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ALMA MATER STUDIORUM UNIVERSITA DI BOLOGNA FACOLTA DI LINGUE E LETTERATURE STRANIERE Corso di laurea magistrale in Lingua, Societ e Comunicazione

TITOLO DELLA TESI:

L'INTERPRETE PER I SERVIZI PUBBLICI - La mediazione culturale nel settore socio-sanitario dell'EmiliaRomagna -

Tesi di laurea in Mediazione Inglese

Relatore: Prof.ssa Mette Rudvin Cremonini Correlatore: Prof.ssa Maxine Lipson

Presentato da: Giulia

Sessione III Anno Accademico 2009/2010


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INDICE

1 Introduzione......................................................................................................................pag. 3 1.1 L'interprete nella storia.................................................................................................5 1.2 Definire il concetto di interpretazione..........................................................................7 1.3 I partecipanti................................................................................................................11 1.4 Le relazioni fra i partecipanti.......................................................................................20

2 Il ruolo dell'interprete...............................................................................................................25 2.1 L'interprete nella metafora...........................................................................................27 2.2 Invisibilit vs Visibilit.................................................................................................30 2.3 La cortesia linguistica nell'interpretazione...................................................................37 2.4 Decidere cosa e come interpretare................................................................................43

3 L'interprete e la gestione dello scambio interazionale...........................................................49 3.1 La natura dialogica dell'interpretazione di comunit...................................................50 3.2 L'analisi della conversazione: il metodo......................................................................54 3.3 L'interprete e l'avvicendamento dei turni di parola......................................................57 3.4 Le interruzioni...............................................................................................................64 3.5 I segnali discorsivi........................................................................................................75

4 L'interprete in ambito medico..................................................................................................82 4.1 Il briefing.......................................................................................................................91 4.2 La mediazione interculturale in ambito socio-sanitario e la situazione italiana...........96

5 La ricerca sul campo: un'indagine nel settore sanitario emiliano.......................................100 Le interviste alle mediatrici culturali: 5.1 Ospedale SS. Annunziata, Cento (Ferrara) Mediatrici pakistane....................................................................102 5.2 Istituto Ortopedico Rizzoli (Bologna).........................................................................107 5.3 Ospedale S. Anna di Ferrara Mediatrice di lingua araba...........................................................................109 5.4 Ospedale di Bentivoglio (Bologna) Mediatrice di lingua araba...............................................................................114 5.5 Policlinico di Modena Mediatrice di lingua araba...........................................................................................120 5.6 Poliambulatorio di Reggio Emilia Viale Monte S. Michele Mediatrice cinese.........................................................................................................127 5.7 Spazio Salute Immigrati, Ausl di Parma Mediatrice di rumeno e moldavo.........................................................................136

6 La Regione Emilia-Romagna...................................................................................................142 6.1 L'immigrazione straniera in Emilia-Romagna.............................................................142 6.2 La mediazione culturale in Emilia-Romagna: la legislazione italiana e regionale......148 6.3 Alcuni dati sui mediatori culturali della Regione........................................................156

7 Conclusioni................................................................................................................................159

- Bibliografia

- Appendice

CAPITOLO 1 INTRODUZIONE

Il presente lavoro intende analizzare il ruolo dell'interprete che opera nell'ambito dei servizi pubblici e sociali: il cosiddetto interprete di comunit descritto dal modello anglosassone. Come si dir ampiamente nello svolgimento dell'analisi che segue, si tratta di una figura professionale non ancora uniformemente definita e riconosciuta, sia da un punto di vista normativo-istituzionale e terminologico, sia per ci che concerne l'immagine sociale e professionale che comunemente viene associata a tale profilo. Antiche costruzioni metaforiche e stereotipiche continuano ad imbrigliare il ruolo dell'interprete per i servizi pubblici in una serie di luoghi comuni che ne pregiudicano la vera essenza. La prima parte di questo lavoro sar dedicata all'impianto teorico e letterario nel quale si inserisce il soggetto dell'indagine: partiremo dal ruolo prescritto dagli studiosi della comunicazione interculturale, soffermandoci su ci che l'interprete dovrebbe essere in un'ideale situazione di scambio interlinguistico fra locutori di diversa appartenenza culturale. Saranno quindi presentati i vari partecipanti coinvolti nell'interazione mediata, le relazioni che questi intrattengono reciprocamente, il loro ruolo conversazionale e la funzione stessa della mediazione linguistico-culturale. L'annoso dibattito sulla dicotomia che riguarda la visibilit o invisibilit dell'interprete, i concetti di fedelt, imparzialit e neutralit saranno discussi e confrontati con i risultati emersi dagli studi empirici di alcuni fra i maggiori studiosi della materia. L'obiettivo quello di mettere in luce la vastit e la complessit del campo di indagine e della figura dell'interprete, vero perno della comunicazione mediata. Rifiutando l'immagine dell'interprete come mero mezzo di decodificazione e codificazione linguistica, cercheremo di definire la moltitudine di competenze e funzioni comunicative che questo ruolo implica. Osserveremo cio l'interprete come gate-keeper dello scambio internazionale, considerando la comunicazione mediata non solo come produzione testuale, ma anche come attivit e interazione sociale che sottende ad un complesso sistema di relazioni e azioni in gioco. Nella seconda parte del lavoro, invece, restringeremo il campo d'indagine all'interprete

che opera in ambito socio-sanitario; il settore medico impone un'attenzione particolare dovuta all'estrema seriet delle conseguenze legate alla mediazione linguistico-culturale in questo contesto. Il mediatore culturale rappresenta qui l'interfaccia fra le istituzioni e le comunit immigrate, l'anello di congiunzione fra il sistema sanitario nazionale e il cittadino straniero. Il diritto fondamentale all'assistenza e alle cure sanitarie deve quindi passare attraverso il dialogo mediato che solo una figura professionale e competente pu gestire doverosamente. L'interprete-mediatore porta con s il proprio io e la propria identit culturale durante lo scambio interazionale, divenendo una figura attivamente partecipe e coinvolta in ci che viene metaforicamente descritto come un passo a tre della comunicazione. La situazione italiana, nel quadro dell'odierna societ multietnica, ha registrato negli ultimi anni alcuni importanti progressi per ci che riguarda la mediazione culturale nelle strutture socio-sanitarie del Paese e la definizione del profilo professionale deputato; nonostante i lenti miglioramenti, per, permangono numerose criticit e ambiguit di fondo che continuano a rendere questa figura professionale ancora troppo vulnerabile e sottostimata. In questa sezione presenteremo una ricerca sul campo effettuata intervistando le mediatrici culturali di alcune strutture socio-sanitarie dell'Emilia-Romagna; la testimonianza diretta delle mediatrici ci ha cos permesso di confrontare l'impianto teorico inizialmente descritto con la realt pratica di questa professione. Le interviste raccolte presentano una situazione molto pi sfaccettata e complessa di quella postulata dai testi letterari; in alcuni casi, i precetti della deontologia professionale e dei codici di condotta vengono scardinati (e quasi offuscati) dall'urgenza psicologica ed emotiva del contesto situazionale. Due facce della stessa medaglia: ci che l'interprete-mediatore dovrebbe essere e ci che l'interprete-mediatore effettivamente . Infine, dopo aver esposto i risultati delle interviste realizzate, analizzeremo brevemente l'attuale situazione della Regione Emilia-Romagna; prima forniremo alcuni dati sull'immigrazione straniera che interessa il territorio di riferimento, poi ci occuperemo della legislazione nazionale e regionale che regola la mediazione culturale e i servizi correlati; poi concluderemo con una breve panoramica dei mediatori culturali attualmente occupati nei servizi pubblici rivolti alla cittadinanza straniera a livello regionale.

1.1

L'interprete nella storia

L'interpretazione, qui intesa come forma di traduzione, un'antica attivit umana che naturalmente precede l'invenzione della scrittura e della traduzione scritta. In molte lingue indoeuropee, il concetto di interpretazione espresso da parole etimologicamente indipendenti rispetto a quelle utilizzate per la traduzione scritta. Come ricorda il docente e interprete austriaco Franz Pchhacker (2004), locuzioni di lingue germaniche, scandinave e slave utilizzate per denotare la figura dell'interprete erano gi presenti nell'accado, l'antica lingua semitica di Assiria e Babilonia intorno al 1900 a.C. La radice accadica targumanu diede infatti origine al termine dragomanno utilizzato per indicare l'interprete. La parola interprete, invece, deriva dal latino interpres (persona che spiega ci che oscuro) ma le radici semantiche non sono chiare; alcuni studiosi ritengono che la seconda parte del termine derivi da partes o pretium adattandosi cos al significato di intermediario o uomo fra le parti; mentre altri studiosi sostengono che la parola provenga dal sanscrito. In ogni caso, il termine latino interpres, cio colui che spiega ci che altri hanno difficolt a comprendere, particolarmente rivelatore dalla natura di questa professione. Nel corso della storia, gli interpreti sono sempre stati necessari, non solo per consentire la comunicazione fra individui appartenenti a civilt plurilingui, ma anche per sopperire a diversit socio-culturali. Come ricorda Hermann (in Pchhacker e Shlesinger 2002:15), nell'antico Egitto il titolo di essere umano era prerogativa degli egiziani, mentre gli stranieri erano considerati barbari meschini e l'interprete era colui che parlava le sconosciute lingue dei barbari. Nell'antica Grecia, invece, l'interprete non era semplicemente il mediatore linguistico impiegato nelle abituali transazioni economiche, era anche una figura semi-divina in grado di svolgere svariate funzioni e che risultava imprescindibile nelle comunicazioni con i senatori romani d'alto rango e i rappresentanti dei popoli celtici ed egizi. L'Impero Romano, poi, rappresentava un caso unico in quanto al valore attribuito a lingue diverse dalla propria: l'Impero era sostanzialmente bilingue, latino e greco, infatti, erano posti sullo stesso piano nell'insegnamento scolastico e gli interpreti godevano di grande prestigio sociale come attest lo stesso Cicerone descrivendo il ruolo degli interpreti che gli prestavano servizio (Ibid.). In epoca moderna, emblematica la figura dell'interprete ai tempi della conquista dell'America da parte della Corona Spagnola (Angelelli 2004:9). Quando

Colombo pianific il suo viaggio, ben consapevole dell'importanza dell'interprete nella comunicazione con i popoli autoctoni, decise di portare con s due interpreti. il primo era stato a lungo in Guinea, il secondo conosceva l'arabo, l'ebraico e l'aramaico. Al suo arrivo nelle Americhe, Colombo si trov di fronte a 133 gruppi tribali che parlavano pi di mille lingue diverse su un territorio che andava dall'Argentina al Messico; data l'impossibilit comunicativa fra indigeni e autorit spagnole, l'intervento degli interpreti divenne fondamentale ma gli interpreti portati in viaggio si rivelarono inutili. Colombo decise quindi di portare alcuni indigeni in Spagna per far loro apprendere la lingue e la cultura della madre patria e di riportarli poi nelle Americhe in qualit di interpreti. Fra il 1495 e il 1518, una nuova generazione di interpreti nativi rese possibile la comunicazione fra spagnoli e autoctoni. Dopo circa cinque secoli, in occasione del processo di Norimberga (1945-1946), il tema dell'interpretazione torn ad occupare una posizione di primo piano. Le universit di tutto il mondo iniziarono ad offrire corsi di laurea e programmi didattici in mediazione culturale, era necessario disporre di interpreti qualificati per assicurare la comunicazione fra i capi di stato dei tanti paesi coinvolti; la priorit non era data alla comunicazione interlinguistica e interculturale come oggetto di studio in s, ma alle delicate questioni politiche sfociate in seguito al secondo conflitto mondiale. Come ricorda Claudia Angelelli (2004:11), l'importanza degli interpreti stata evidenziata durante recenti periodi di crisi, come le guerre in Kosovo e Macedonia, l'attacco terroristico dell'11 settembre e la guerra in Irak. Ognuna di queste tragedie rappresenta un momento di contatto fra popoli diversi nel quale la figura dell'interprete emerge prepotentemente; l'attacco dell'11 settembre, in particolare, ha sottolineato l'esigenza di rivolgersi ad interpreti professionisti per le lingue meno diffuse come il persiano e l'arabo e a tal proposito il governo degli Stati Uniti ha risposto fondando un centro di ricerca presso l'Universit del Maryland, il CASL, con l'obiettivo di formare interpreti e traduttori specializzati. Come nota Angelelli (Ibid.), l'introduzione della mediazione linguistica nel mondo accademico ha risposto in primo luogo ad una necessit di natura pragmatica ma, come si dir in seguito, il pieno riconoscimento formale di questa disciplina non ancora stato raggiunto.

1.2

Definire il concetto di interpretazione

Per definire cosa si intende con il termine interpretazione e per distinguere quest'ultima da altre tipologie di attivit traduttive, fondamentale il concetto di immediatezza: l'interpretazione si svolge infatti nel qui ed ora dell'evento comunicativo a beneficio di uno scambio interlinguistico e interculturale fra i partecipanti presenti. Per superare la dicotomia scrittura/oralit spesso utilizzata come criterio discriminante nella definizione di traduzione ed interpretazione, Otto Kade (1968), studioso dell'Universit di Leipzig, propose di descrivere l'interpretazione come una forma di traduzione nella quale: il testo nella lingua d'origine presentato solo una volta e non pu quindi essere rivisto o ripetuto; il testo nella lingua di arrivo viene prodotto sotto la pressione del tempo, con limitate possibilit di revisione e correzione. Come riassume Pchhacker (2004:11): interpreting is a form of translation in which a first and final rendition in another language is produced on
the basis of a one-time presentation of an utterance in a source language.

Questa prima e generica definizione ci permette di includere fra le varie tipologie di interpretazione anche l'interpretazione in lingua dei segni per non udenti, altrimenti esclusa dall'opposizione traduzione scritta vs traduzione orale. La letteratura ha tradizionalmente classificato gli eventi comunicativi mediati dalla figura dell'interprete attraverso singoli parametri; fra questi, il contesto (o situazione comunicativa) ha dato origine alla distinzione fra: interpretazione di conferenza, interpretazione legale, interpretazione di comunit, interpretazione medica e interpretazione televisiva. Come descrive Alexieva (2002:219), altre tassonomie che ricorrono a parametri individuali si basano, per esempio, sulla natura del testo d'origine (source text) classificandolo in base a: 1) la sua sostanza (fonica nel caso di enunciati orali; fonica e grafica nel caso in cui l'interprete abbia accesso ad una versione scritta della comunicazione orale; e solo grafica nel caso della traduzione a vista); 2) la posizione che occupa lungo il continuum oralit vs scrittura e 3) il rapporto di intertestualit che si ottiene dal contributo dell'enunciatore (il micro-testo in lingua originale) e l'intero insieme di testi prodotti all'interno dell'evento comunicativo (macro-testo). Secondo Alexieva, tali categorie

mono-parametro non sarebbero sufficienti a fornire un quadro tassonomico completo dei vari tipi di interpretazione e propone quindi una prospettiva multi-parametro che si fonda sul concetto di prototipo come definito da Lakoff (1987); l'evento mediato, quindi, non inserito in categorie rigide ma descritto secondo la sua posizione lungo un continuum che vede agli estremi i membri periferici e i membri centrali (prototipi) di una stessa famiglia di eventi. La tassonomia proposta dall'autrice incorpora i diversi parametri di ricerca in due macrocategorie: modalit di produzione: ci permette di distinguere fra 1) la produzione ininterrotta del testo originale e la simultanea produzione del testo di arrivo e 2) la produzione consecutiva del testo d'origine in segmenti testuali pi o meno lunghi. elementi della situazione comunicativa: partecipanti primari (parlante e destinatario), partecipanti secondari (interprete, organizzatore, moderatore), tema discusso e relativo contesto di enunciazione, tipi testuali utilizzati, caratteristiche spaziali e temporali dell'evento comunicativo, obiettivo della comunicazione e obiettivi perseguiti dai partecipanti stessi. Nel prosieguo della nostra indagine utilizzeremo tale griglia di parametri per definire le caratteristiche salienti di un particolare tipo di interpretazione, obiettivo centrale del presente lavoro appunto lo studio dell'interpretazione di comunit (community interpreting o liaison interpreting) ossia, l'interpretazione o mediazione culturale nei servizi sociali, ad esempio nell'ambito di scuole, ospedali, stazioni di polizia, centri per l'immigrazione, consultori, questure ecc. Secondo la definizione proposta da Cecilia
Wadensj (1998:49): Interpreting carried out in face-to-face encounters between officials and laypeople, meeting for a
particular purpose at a public institution is (in English-speaking countries) often termed community interpreting.

Mentre paesi come la Svezia e l'Australia gi dai primi anni Sessanta hanno risposto con mirate azioni governative al bisogno di servizi di interpretariato che aiutassero gli immigrati nelle attivit sociali quotidiane, altri paesi si sono dimostrati pi lenti nel far fronte a queste esigenze comunicative intra-sociali. Solo negli anni Ottanta e Novanta, davanti alla crescente difficolt di comunicazione nell'ambito delle istituzioni del

settore pubblico (servizi sociali e sanitari), l'importanza dell'interpretazione di comunit ha iniziato a guadagnare una maggiore visibilit. Come spiega Rudvin (2003), in Italia non ancora stato raggiunto un consenso unanime in quanto alla terminologia pi idonea in riferimento a questa purtroppo non ancora consolidata figura professionale, a volte indicata anche con l'espressione interprete sociale o interprete dei servizi sociali. I fattori che differenziano questa tipologia di interpretazione

dall'interpretazione di conferenza, alla quale da sempre sono stati concessi maggior attenzione e prestigio, sono: Come la vicinanza fisica fra interprete e clienti, un divario informativo fra i clienti, una probabile differenza di status fra i clienti, la necessit di interpretare da e in entrambe le lingue, il lavoro individuale e non come membro di un gruppo (Gentile et alii 1996:18).

riassume anche Hale (2007:32), l'interpretazione di comunit presenta le

seguenti caratteristiche distintive rispetto alla pi studiata interpretazione di conferenza: una scala di registri che va dal molto formale al molto informale, bidirezionalit linguistica, un alto livello di prossimit fra i partecipanti che permette un maggior coinvolgimento nell'interazione, modalit consecutiva (short consecutive e long consecutive) ma anche simultanea (chouchotage o whispering) e traduzione a vista; potenziali gravi conseguenze di una resa inappropriata; partecipanti con status diverso nella maggior parte dei casi, e la presenza di un solo interprete che lavoro da solo. Negli ultimi due decenni del ventesimo secolo, si registrato un importante cambiamento nella percezione del ruolo dell'interprete, da mero condotto a partner essenziale e partecipante attivo nella costruzione congiunta della comunicazione fra parlanti di lingue e culture diverse; Wadensj (1998:112), analizzando l'interpretazione di
comunit, afferma che la responsabilit della progressione e del contenuto dell'interazione distribuita nella e attraverso la comunicazione stessa e il ruolo dell'interprete va ben oltre quello di semplice canale deputato alla commutazione linguistica (code-switching); interlocutori primari e interprete sono infatti coinvolti in un passo a tre comunicativo (communicative pas-de-trois) (Ibid.). Adottare una prospettiva interdisciplinare, che comprenda materie come l'antropologia linguistica, la sociologia, la sociolinguistica, la

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traduttologia, solo per nominarne alcune, significa riconoscere la complessit e la vastit del campo di ricerca nel quale si inserisce lo studio dell'interpretazione di comunit, per decenni relegata ai margini della ricerca accademica che ne ha sottostimato l'importanza all'interno di una societ sempre pi multiculturale.

Obiettivo del presente lavoro considerare i diversi interlocutori per i quali lavora l'interprete, l'influenza esercitata dai vari contesti comunicativi nei quali si svolge l'interpretazione e la variet di limitazioni e condizionamenti che i diversi contesti impongono ai rapporti interpersonali fra l'interprete e i cosiddetti partecipanti primari. Circoscrivere lo scopo dell'incontro mediato all'accuratezza linguistica dell'interprete consentirebbe di individuare con una certa sicurezza regole di condotta che prescrivano cosa fare e cosa non fare, si creerebbe, inoltre, l'illusione di poter comunicare fra lingue e culture diverse preoccupandosi esclusivamente della fedele resa linguistica del testo originale nella lingua di arrivo, indipendentemente dal contesto e dai partecipanti coinvolti. Al contrario, come si dir pi dettagliatamente in seguito, fattori sociali e contestuali sono imprescindibili nell'analisi della complessit dell'evento mediato nell'ambito dei servizi sociali. Nessuna interazione si svolge in un vuoto sociale e nessuna delle parti coinvolte pu essere considerata invisibile o imparziale. Ciascun partecipante all'interazione porta con s il proprio io, i propri valori, i propri pregiudizi e la propria cultura. Credere che l'interprete sia immune a questo intreccio di fattori sociali sarebbe poco saggio. Come argomenta Angelelli (2004:29):
When two or more interlocutors interact, they bring to the interaction the self. Many times the interaction occurs within an institution, which constrains it, and often times, the institution is a reflection of the society in which it is embedded. In other words, the interaction does not happen in a social vacuum, several forces affect it. These forces can be found at the level of the interaction itself, the institution in which it takes place, the society at large, or the interplay of all three levels at the same time.

Dopo una prima presentazione dell'interpretazione di comunit, iniziamo ad analizzare il ruolo dei partecipanti all'evento mediato nel contesto dei servizi sociali e le relazioni che questi intrattengono fra di essi.

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1.3

I partecipanti

Fra i partecipanti all'evento mediato nell'ambito dell'interpretazione di comunit si possono distinguere generalmente quattro tipi di partecipanti: i partecipanti primari; l'interprete; l'istituzione e, in gran parte dei casi, l'agenzia. I partecipanti primari sono generalmente due: il primo il rappresentante dell'istituzione (struttura socio-sanitaria, questura, scuola, centro di assistenza per immigrati ecc.), il secondo il cittadino straniero che si rivolge all'istituzione per ricevere un servizio. Questi due interlocutori parlano lingue diverse e appartengono a culture diverse; come spiega Belpiede (in Luatti 2006), gli usi e le consuetudini degli immigrati nel rapporto con i servizi possono essere molto diversi e di barriera al reciproco rapporto. Basti pensare alle modalit di relazioni, al concetto di tempo, agli usi alimentari, ai costumi religiosi, al seguire prescrizioni mediche per persone abituate alla medicina tradizionale o al rapporto con lo stato. Oltre a tale diversit linguistico-culturale, per, gli interlocutori primari si differenziano anche da un punto di vista discorsivo: detengono infatti ruoli conversazionali asimmetrici e complementari allo stesso tempo (Zorzi 1990:7). I ruoli medico-paziente, ufficiale di polizia-cittadino, e in generale la coppia: impiegato di un servizio statale-utente, sono tutti esempi di coppie complementari e asimmetriche per quanto attiene il potere interazionale che esercitano durante lo scambio comunicativo. I diritti interazionali degli interlocutori (ad esempio la possibilit di fare domande o chiedere spiegazioni) sono stabiliti a priori e sono socialmente e culturalmente radicati, fanno cio parte di quelle aspettative e convenzioni sociali che sono sottintese in ogni intercambio e che sono culturalmente determinate. Riguardo alle relazioni di potere in gioco durante ogni interazione, Brown e Levinson (1987:77) offrono la seguente definizione di potere:
Power is an asymmetric social dimension of relative power, roughly in Weber's sense. That is, Power is the degree to which Hearer can impose his own plans and his own self-evaluation (face) at the expense of Speaker's plans of self-evaluation.

Qui il concetto di potere si basa sulla teoria weberiana secondo la quale il potere influenza negativamente il comportamento degli altri o li porta a compiere azioni che altrimenti questi non avrebbero scelto di compiere. Come argomentano Bowe e Martin (2007:84), le relazioni di potere esistono come parte del tessuto sociale della

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comunicazione e non dovrebbero essere considerate esclusivamente come derivanti da negative forze di dominazione esercitate da chi detiene una posizione di potere (es. lo stato, la polizia ecc.). Il potere, cio, non imposto dall'alto, ma creato dall'interazione fra i partecipanti in determinati contesti sociali; in altre parole, il potere si configura all'interno del tessuto linguistico ed una componente discorsiva, un elemento del processo interazionale. Gli autori (ibid.) proseguono affermando che le relazioni di potere fra i partecipanti sono direttamente influenzate dall'accesso alle informazioni e alle risorse; chi ha la possibilit di accedere alle informazioni godr quindi di una posizione di maggior potere durante l'interazione. Per analizzare la relazione fra i partecipanti, necessario considerare anche i fattori culturali che sono inevitabilmente proiettati sull'interazione stessa; secondo Gentile et alii.(1996:19) tali fattori culturali operano su tre livelli: l'eredit culturale, l'esperienza di vita, e lo status relativo. Gli interlocutori primari di eventi mediati necessitano della presenza di un interprete per poter comunicare in quanto parlanti lingue diverse e appartenenti a diversi contesti culturali; come detto in precedenza, ogni partecipante porta con s il proprio modo di vedere il mondo e, pi o meno consapevolmente, si comporta secondo norme sociali proprie della cultura di appartenenza. Nell'ambito dell'interpretazione di comunit, la differenza di status degli interlocutori in alcuni casi marcata, le esperienze condivise sono minime e i fattori esterni condizionano notevolmente l'intercambio comunicativo. Ci che determina la differenza di status fra i partecipanti primari non data soltanto dall'asimmetria dei ruoli conversazionali loro attribuiti, ma anche dalla differenza linguistico-culturale; la persona immigrata vive in una situazione di non contrattualit sociale elevata (Luatti 2006:252), ossia, vive in una situazione di disparit di potere, che aggrava la sua collocazione sociale nel momento del bisogno, ma anche nel quotidiano rapporto con la realt sociale. La lingua, inoltre, assume una particolare rilevanza in questa asimmetria di potere; una delle due lingue rappresenta il potere e l'autorit nel paese ospitante ed generalmente la lingua dell'interlocutore rappresentante dell'istituzione (medico, operatore sociale, poliziotto ecc.), la seconda lingua quella del gruppo minoritario che solitamente ha una diffusione limitata nel paese in questione. Altri fattori sociali e contestuali che influenzano la relazione fra i due interlocutori sono fattori come: l'et, il sesso, il livello d'istruzione, la classe (sociale ed economica), il gruppo etnico di appartenenza, la variet linguistica (standard,

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colloquiale o dialettale) utilizzata. Come spiega Rudvin (2003:178) a proposito dell'asimmetria di potere fra le parti:
it is generally the host institution who sets the norms and the standards for communication and the migrant who must abide by and adapt to those norms () The client will be expected to adapt to the institutional norms of the host country, and the client will be judged according to those norms, not according to the norms of his/her own culture.

L'istituzione, pur non essendo un partecipante fisicamente tangibile dell'interazione, in ogni caso parte dello scambio comunicativo come norm-setter o rule-setter, responsabile cio della definizione delle norme sociali e comportamentali da seguire e che divengono criterio di giudizio del comportamento altrui. Fra le dimensioni culturali individuate da Hofstede (1980) come parametri di misurazione delle differenze culturali fra le varie nazioni del mondo, la prima dimensione riguarda la distanza di potere (power distance) in riferimento al grado di accettazione delle gerarchie e al livello al quale i membri di una cultura accettano le istituzioni e le organizzazioni che detengono potere. I paesi latini, asiatici e africani, per esempio, presentano un elevato indice di distanza del potere, ci rifletterebbe secondo Hofstede un certo grado di accettazione dell'ineguaglianza e delle relazioni asimmetriche durante l'interazione. Il ruolo e l'impatto dell'istituzione sulla comunicazione interlinguistica e interculturale deve quindi essere analizzando considerando eventuali differenze nel modo stesso di rivolgersi alle istituzioni, una prospettiva etnocentrica rischierebbe di ignorare, se non mistificare, le ragioni di determinati comportamenti che sono culturalmente fondati. Oltre ai partecipanti primari, il terzo partecipante presente all'evento mediato ovviamente l'interprete. Tradizionalmente, la figura dell'interprete stata descritta quasi esclusivamente dal punto di vista della sua competenza linguistica e la tendenza principale stata per decenni espressa dell'equazione: interprete = individuo bilingue che converte il messaggio dalla lingua1 alla lingua2 e viceversa. Come affermato in precedenza, la conoscenza linguistica solo la prima facolt richiesta all'interprete ma non certamente l'unica; il quadro notevolmente pi complesso di quanto possa far credere un'analisi superficiale del ruolo dell'interprete; come scrivono Gentile et alii (1996: 65-68) le competenze di un interprete sono molteplici e si possono riassumere in: competenze linguistiche,

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competenze culturali, competenze tecniche, capacit mnemoniche, competenza professionale.

L'interprete di comunit, a differenza dell'interprete di conferenza, chiamato a tradurre da e ad entrambe le lingue interessate; la bidirezionalit linguistica, come abbiamo detto in precedenza, una delle peculiarit di questa tipologia di interpretazione. La competenza richiesta nella seconda lingua deve quindi essere molto elevata, requisito, come vedremo, affatto scontato anche nel caso dei cosiddetti bilingui naturali. Per quanto riguarda il concetto di bilinguismo, la letteratura, in particolare con gli studi di Lambert1 a met degli anni Cinquanta, ha sostenuto che il comportamento linguistico dei bilingui condizionato dall'ordine nel quale vengono apprese le lingue, dal livello di dominanza relativa fra le lingue conosciute e dal grado di fusione/sovrapposizione fra i sistemi linguistici interessati. Secondo Lambert, le caratteristiche individuali di ogni bilingue corrispondenti ad ognuna delle dimensioni precedenti, sembrerebbero avere ripercussioni sul ruolo stesso dell'interprete. Generalmente, la maggior parte dei bilingui impara per prima una lingua (madrelingua), sebbene l'apprendimento della seconda lingua possa avvenire presto durante l'infanzia; questo porterebbe l'interprete ad identificarsi con maggiori probabilit con i parlanti monolingui della sua lingua madre piuttosto che con i parlanti monolingui delle altre lingue conosciute, a parit di tutte le altre circostanze. Naturalmente, ci sono anche altri fattori da considerare; uno di questi il diverso grado di padronanza linguistica fra le lingue conosciute che porterebbe a due importanti conseguenze: in primo luogo, solitamente pi semplice comprendere una lingua (conoscenza passiva) che parlarla con facilit (conoscenza attiva), di conseguenza, pi probabile che l'interprete bilingue traduca con maggior successo alla sua lingua dominante piuttosto che dalla sua lingua dominante alla seconda. La seconda conseguenza della dominanza linguistica si riferisce alla probabilit che l'interprete si identifichi con uno dei suoi clienti. In generale, maggiore la dominanza di una lingua, pi elevata sar la probabilit che l'interprete si identifichi con i parlanti della lingua dominante.
Lambert, W. (1995), Measurement of Linguistic Dominance of Bilinguals, Journal of Abnormal and Social Psichology 50: 197-200. In Anderson, B. (1976)
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La competenza linguistica comprende inoltre la competenza di trasferimento descritta da Wills (1982)2 che data dalle seguenti capacit:
ability to produce a variety of synonymous or analogous expressions in both languages, ability to capture and reproduce register variations, ability to recognize and reproduce domain-specific expressions in a form which will be regarded as natural by the respective users, ability to combine verbal and non-verbal communication cues from the source language and reproduce them in appropriate combinations in the target language, ability to identify and exploit rhythm and tone patterns of the languages in order to determine and utilize the chunks of speech so as to maximize the efficiency of the interpreting, ability to speedily analyze the utterance in the context of the communication in order to anticipate the direction in which the argument is proceeding and the strategy being used in developing the argument.

In quanto alla competenza culturale, l'interprete, per far s che la comunicazione fra i partecipanti primari abbia successo, deve tener conto delle loro differenze culturali e dei comportamenti verbali e non verbali culturalmente definiti; la consapevolezza e la responsabilit di gestire tali differenze sono dovere dell'interprete, da questo punto di vista operante come mediatore culturale fra le parti coinvolte. Le competenze culturali di un interprete sono fondamentali per garantire la mutua comprensione di quei comportamenti divergenti fra le varie culture e che, senza la professionalit dell'interprete, rischierebbero di dar luogo a malintesi se non a vere e proprie situazioni di conflitto. Secondo Richard Brislin et alii (1986:41), alla base delle differenze culturali si trovano differenze nel modo di: 1) categorizzare, culture diverse pongono gli stessi elementi in categorie differenti (per esempio il concetto di buon amico o di bravo lavoratore); 2) differenziare, ovvero, trattare l'informazione nuova ed inserirla nelle categorie conosciute; alcune culture possono dare pi o meno rilevanza a certi aspetti o elementi (per esempio gli obblighi nelle relazioni di parentela); 3) distinguere i membri del gruppo da quelli fuori dal gruppo (chi non appartiene al gruppo, outgroup member, trattato con maggior distanza); 4) stili di apprendimento (il cambiamento, la crescita personale, il miglioramento ecc. comportano l'apprendimento di nuove informazioni secondo modalit e stili diversi fra le culture); 5) attribuzione, gli individui osservano il comportamento di altri individui e a loro volta riflettono sul proprio; i giudizi sulle
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Wills, W. (1982) The Science of Translation, Tubingen, Gunter Narr Verlag In Gentile et alii (1996) p.66.

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cause di tali comportamenti sono detti attribuzioni e lo stesso comportamento, per esempio una energica stretta di mano, pu essere attribuito a cause diverse in culture diverse. Un atteggiamento etnocentrista e pregiudiziale da parte dei partecipanti, e in particolare dell'interprete data la sua posizione di perno, pu inficiare la reciproca comprensione e l'intero andamento interazionale; il giudizio aprioristico e una visione del mondo etnicamente centrata costituiscono un'attitudine naturale dell'uomo che risponderebbe ad almeno quattro funzioni (Ibid.). La prima detta funzione utilitaristica o di adattamento; gli uomini devono adattarsi ad una realt complessa e, se avere atteggiamenti pregiudiziali li aiuta ad adattarsi, allora tali pregiudizi saranno mantenuti (per esempio, credere che i membri di minoranze etniche non siano in grado di svolgere certe professioni significa che ci sar meno competizione per certi incarichi lavorativi). La seconda funzione detta ego-difensiva in quanto il pregiudizio serve per proteggere l'immagine che i membri di un gruppo hanno di loro stessi, rafforzando cos il loro senso di identit; questa funzione si lega alla terza che la funzione di espressione dei valori, mentre la quarta si riferisce alla funzione conoscitiva, ossia, al modo in cui l'informazione viene acquisita ed organizzata. Il pregiudizio verso coloro che non posseggono lo stesso bagaglio conoscitivo fa s che questi ultimi siano considerati ignoranti o sotto-istruiti. La sensibilit interculturale richiesta all'interprete di comunit parte integrante delle sue doti professionali; il modo di concepire lo spazio e il tempo, la famiglia, le differenze di genere uomo-donna e le relazioni fra i due sessi, il modo di concepire lo Stato e le burocrazie, cos come l'uso idiomatico della lingua sono profondamente radicati nella cultura; cos, quando l'interprete non in grado di gestire tali divergenze, o non ne a conoscenza, si rischia di incappare in un cosiddetto culture bump (Rudvin 2003:67), un urto fra culture che si produce quando le aspettative dei partecipanti vengono contraddette da comportamenti inaspettati. L'interprete deve possedere inoltre alcune competenze tecniche che riguardano aspetti come: la disposizione spaziale dei partecipanti, tecniche di controllo della situazione comunicativa (es. tecniche di interruzione e di allocazione dei turni conversazionali); tecniche che utilizzano la conoscenza delle dinamiche di gruppo per identificare i vari ruoli interazionali; tecniche specificamente dirette al turno prodotto dall'interprete (note-

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taking); tecniche per ordinare l'informazione data dagli interlocutori primari in modo da ridurre al minimo le omissioni; tecniche volte alla produzione vocale per rendere l'interpretazione intelligibile e chiara; tecniche finalizzate alla riduzione delle differenze fra incontri mediati e incontri non mediati dalla presenza di un interprete (es. controllo del ritmo, delle ripetizioni e delle ridondanze ecc.) (Gentile et alii,1996:67). Agli aspetti tecnici dell'interpretazione si aggiunge la capacit mnemonica richiesta all'interprete; nel caso dell'interpretazione di comunit, la modalit consecutiva quella utilizzata pi di frequente, il che significa generalmente che l'interprete chiamato a tradurre il messaggio dopo un minuto, o qualche minuto, che il parlante originario lo ha enunciato. In questi casi, il ruolo della memoria riguarda in particolare la capacit di fare collegamenti fra ci che stato detto e ci che un individuo gi conosce a proposito del tema o argomento in oggetto. Di certo, l'interprete pu avvalersi di un aiuto prezioso per facilitare il processo mnemonico e prendere appunti, soprattutto in caso di elenchi, termini tecnici, nomi propri ecc. L'interprete che prende appunti non meno professionale o meno competente dell'interprete che si affida esclusivamente alle proprie facolt mnemoniche, anzi, in alcuni casi, gli appunti sono fondamentali per garantire l'accuratezza dell'interpretazione e per minimizzare il rischio di omissioni o distorsioni del messaggio originale. Gentile et alii (1996:28) puntualizzano che:
while in some circumstances note-taking will be essential, in others is completely out of place and indeed detrimental () The technique must be unobtrusive and the emphasis must remain on the face-to-face communication which is the hallmark of liaison interpreting.

Le competenze professionali, infine, riguardano la deontologia dell'interprete come professionista e si configurano come un corpus di regole di autodisciplina predeterminate dalla professione; si tratta, cio, di un insieme di norme di condotta raccolte in un codice etico (quando presente) che prescrivono i comportamenti e i valori che l'interprete tenuto a rispettare, con particolare riferimento al concetto di imparzialit nei confronti degli enunciatori primari, punto di estrema rilevanza e delicatezza che affronteremo pi accuratamente nel prosieguo della nostra indagine. Dopo aver passato in rassegna la moltitudine di requisiti che l'interprete di comunit deve presentare per svolgere con competenza e professionalit il proprio lavoro, siamo ancor pi consapevoli dell'insufficienza e dell'inadeguatezza dei cosiddetti interpreti naturali o interpreti ad hoc che, privi di ogni forma di preparazione tecnica e

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professionale, sono reclutati fra l'equipe medica degli ospedali, fra gli amici e parenti dell'interessato, fra gli inservienti che operano nella struttura in questione, o pi semplicemente fra coloro che parlano una determinata lingua straniera. Come vedremo in seguito, a proposito dell'interpretazione di comunit in ambito medico, le conseguenze di errori di traduzione dovuti all'inesperienza e spesso all'incoscienza di questi interpreti improvvisati possono essere estremamente serie. Il quarto partecipante all'evento mediato, nonostante spesso non venga preso in considerazione, l'agenzia di interpretariato che rappresenta il terzo cliente cui l'interprete deve rendere conto. Questo tema stato trattato, fra gli altri, anche in occasione della quarta conferenza internazionale sull'interpretazione di comunit, The Critical Link 4, in particolare se ne occupato Uldis Ozolins (2007:121):
Interpreting agencies are crucial in determining outcomes in community interpreting, but have been little studied. () We identify problematic issues for both parties in agencies' relations with interpreters: agencies vary in their expectations of interpreters, their own work practices, and engagement in professional issues; interpreters vary in their own required business practices and professionalism, and the ability to see the agency as their client. Agencies also crucially set expectations of end-user clients who purchase language services.

Mentre alcuni interpreti di comunit sono impiegati a tempo pieno e altri lavorano come volontari, la tendenza che sta emergendo in questi anni quella dell'interprete freelance, cio, un libero professionista che presta servizio in diverse istituzioni e che spesso viene reclutato tramite agenzie di interpretariato. In paesi come la Svezia e l'Australia, precursori di politiche regolatrici di questo ambito, tale tendenza sempre pi forte e le istituzioni governative che inizialmente si occupavano di offrire servizi di interpretariato sono state ormai sostituite da agenzie private, associazioni locali no profit, e agenzie statali. Le agenzie di interpreti sono determinanti nel definire l'ambiente lavorativo, etico e professionale nel quale operano gli interpreti. Per quanto riguarda la relazione che questi ultimi hanno con le agenzie, bisogna riconoscere l'anomalia di questo settore data dalla frequente mancanza di standard e codici deontologici e dalla conseguente eterogeneit di questa categoria professionale; tutto ci fa s che le agenzie debbano spesso confrontarsi con una grande variet di comportamenti e di attitudini da parte degli interpreti contraenti. Come spiega Ozolins (2007), dal punto di vista delle agenzie, la variet di qualit, professionalit e competenze pratiche che si riscontra fra gli

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interpreti rende difficile l'instaurarsi di un rapporto professionale con

essi.

Comportamenti riguardanti la puntualit (tanto l'arrivare in ritardo quanto il congedarsi troppo frettolosamente), un atteggiamento del tipo s Signore nei confronti della direzione dell'agenzia o il perseguimento di codici etici e pratici fra loro idiosincratici, rappresentano punti molto controversi che rischiano di mettere a repentaglio il rapporto fra l'agenzia e l'istituzione committente nel caso in cui quest'ultima tragga giudizi negativi da servizi di interpretariato poco professionali. Questo rischio dovuto anche all'impossibilit di monitorare la prestazione degli interpreti, esclusi contesti d'interpretazione pubblici come i tribunali, le agenzie devono quindi contare esclusivamente sulla fiducia accordata ai loro contraenti. Dal punto di vista degli interpreti, invece, sembrano esserci poche indicazioni in merito al tipo di rapporto che devono intrattenere con le agenzie. Nei codici etici, per esempio, non si riscontra nessuna menzione delle agenzie:
the absence in these codes of any reference to agencies leaves a dangerous black hole: all interpreters have (at least) two clients the two parties they are interpreting for, but not all interpreters understand they also often have a third client - the agency through which they obtain work. (Ozolins 2007:124)

Uno dei motivi della carenza di professionalit fra gli interpreti si ricollega proprio alla loro incapacit di considerare l'agenzia come un terzo cliente: un cliente, cio, che seleziona l'interprete per svolgere una prestazione retribuita e che rappresenta quindi, non solo una fonte di reddito, ma anche il referente al quale rivolgersi per delucidazioni e commenti prima e dopo la sessione di lavoro svolta presso l'istituzione. Un altro punto rilevante per comprendere la cornice contestuale entro la quale lavorano gli interpreti, riguarda poi il rapporto fra le agenzie e il mercato di riferimento composto da coloro che commissionano i servizi di interpretariato; spesso il mercato nutre false aspettative nei confronti degli interpreti o addirittura non ha aspettative, molto frequente, infatti, la tendenza a vedere l'interprete come un male necessario da sopportare per poter riuscire a comunicare con interlocutori stranieri, ignorando il tipo di ruolo, di competenze e di impegno effettivamente richiesti. La centralit delle agenzie in merito alla professionalizzazione degli interpreti dovuta alla loro posizione intermedia fra acquirenti (del servizio/prestazione) e interpreti. Come abbiamo gi detto, molto dipende dall'etica dell'agenzia e dall'attitudine che questa mostra verso il lavoro dell'interprete, Ozolins (2007) sostiene che l'agenzia possa

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realmente ricoprire un ruolo cruciale a patto che non si accontenti semplicemente che l'interprete arrivi puntuale e che non sia fonte di lamentele, ma che sia interessata a sviluppare un rapporto di lavoro professionale e che osservi con occhio critico e consapevole il ruolo dell'interprete. Per trasformare questo cerchio di relazioni vizioso in un cerchio virtuoso, fondamentale che ogni anello sia collegato all'altro, in questo senso, sarebbe importante che le istituzioni per le quali l'interprete presta servizio fornissero un feedback, un commento a posteriori, circa il suo operato e che questo fosse comunicato non solo all'agenzia (referente dell'istituzione) ma anche all'interprete (che di solito ha come unica referente l'agenzia). Un ulteriore punto di esclusione dell'interprete da questo cerchio di relazioni riguarda la stipula dei termini contrattuali:
contracts or service agreements between agencies and purchaser, where they exist, are in most cases negotiated and finalised without reference to the people who will be carrying them out the contract interpreters. This leaves the interpreters in the position of being very much price-takers, and in only rare instances can they be price makers. (Ozolins 2007:128)

Non ci soffermeremo qui sul problema dei bassi livelli remunerativi che gli interpreti di comunit, in particolare, sono costretti ad accettare, ma l'obiettivo di questo primo capitolo introduttivo la presentazione dei partecipanti all'evento mediato, siano essi fisicamente presenti nel contesto d'enunciazione, siano essi partecipanti del pi ampio sistema di relazioni come forze condizionanti il sistema stesso.

1.4 Le relazioni fra i partecipanti

Per comprendere in che modo le relazioni di potere stabilite dal e nel contesto socioculturale di riferimento influiscono sul ruolo dell'interprete, utilizzeremo il concetto di participation framework elaborato da Goffman (1981) nel descrivere l'interazione sociale dal punto di vista del coinvolgimento individuale dei co-partecipanti. Il principio base della teoria di Goffman che l'organizzazione dell'interazione il risultato di un continuo processo di valutazione e rivalutazione dei ruoli (participation status) da parte degli individui coinvolti, il quale si ripete ad ogni turno di parola. Il contenuto e la progressione dell'interazione, cos come la posizione interazionale dei partecipanti,

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dipendono dalle relazioni e dalle posizioni reciproche che si instaurano fra gli individui ad ogni enunciato attraverso potenziali cambiamenti nel loro allineamento conversazionale (footing). Secondo Goffman, la tradizionale dicotomia parlanteascoltatore che propone due ruoli interazionali opposti e reciprocamente escludenti, si rivela insufficiente e non permette di scomporre queste macro-categorie in elementi analitici pi piccoli e coerenti. Nell'introduzione al suo libro, Forms of talk, l'autore definisce il concetto di participation framework come segue:
When a word is spoken, all those who happen to be in perceptual range of the event will have some sort of participation status relative to it. () If one starts with a particular individual in the act of speaking, one can describe the role or function of all the several members of the encompassing social gathering from this point of reference (...) The relation of any one such member to this utterance can be called his participation status relative to it, and that of all the persons in the gathering the participation framework for that moment of speech.(1981:3-137)

Ogni partecipante adeguer il proprio modo di interagire, parlare ed ascoltare a partire da come concepisce il proprio coinvolgimento e quello degli altri in un dato evento comunicativo. In particolare, il concetto di footing, o allineamento conversazionale, molto utile per capire la relazione fra interprete e partecipanti primari. Per footing si intende l'allineamento di un individuo ad un particolare enunciato, sia quando riguarda un format di produzione, come nel caso del parlante, sia quanto riguarda solamente un format di partecipazione, come nel caso dell'ascoltatore. Il principio cardine della teoria di Goffman che in ogni momento i partecipanti si trovano in una situazione scambievole di emissione e di ricezione in una rete di mutue influenze e mutue determinazioni che accompagnano e caratterizzano l'interazione comunicativa. Durante il flusso interazionale, infatti, i partecipanti cambiano continuamente il proprio allineamento e tali cambiamenti costituiscono una caratteristica inerente alla conversazione spontanea. L'etichetta di parlante utilizzata nel classico modello bipolare parlante-ascoltatore, nasconde, secondo l'autore, la complessa differenziazione del format di produzione (production format) che si articola in: animatore (animator), ossia, il parlante inteso come scatola sonora (sounding box), mero emettitore di suoni, privo di connotazioni sociali; autore (author) che seleziona i sentimenti che vuole esprimere e le parole con le quali intende codificarli;

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principale (principal), che stabilisce la propria posizione attraverso le parole pronunciate, che esprime i propri pensieri e che si assume la responsabilit di ci che dice.

In corrispondenza a questi ruoli di produzione si trovano altrettanti ruoli di ricezione, i quali si configurano come una serie di attitudini dei partecipanti verso gli enunciati prodotti dagli altri interlocutori; Wadensj (1998-92) ha distinto questi ruolo di ricezione in: reporter, che ascolta per ripetere le parole che sente senza assumersene alcuna responsabilit; responder, colui che ascolta per poi parlare come partecipante primario, o principale; recapitulator, che ascolta con l'obiettivo di ripetere o riportare ci che stato detto in qualit di autore. Come spiega Mason (1999:8), durante lo scambio comunicativo, l'interprete pu assumere tutti e tre questi ruoli di ricezione:
as responder: (to a courtroom witness who has addressed the interpreter directly) Please address your remarks to the attorney, not to me; as recapitulator: (relaying the request: Ask him to spell his name, please) Please spell your name; as reporter: (following a primary party's injunction: Spell your name, please) Spell your name, please.

L'esempio precedente estremamente utile per avere consapevolezza della complessit e delle sfumature che sottendono ogni scambio interazionale; importante inoltre sottolineare che questi ruoli posizionali non sono solo il risultato del libero arbitrio da parte dell'interprete, ma derivano anche dalle aspettative degli altri partecipanti e dalla loro idea di interprete. Una chiara dimostrazione di ci data dal modo in cui i partecipanti primari si rivolgono gli uni agli altri: attraverso la terza persona (lui,lei), tramite il noi inclusivo, tramite la seconda persona (tu) o il pronome di cortesia (Lei in italiano) oppure evitando l'utilizzo di forme pronominali. Come commenta Mason (1999), questa scelta non necessariamente consapevole e molti esempi autentici tratti dalla letteratura mostrano come un cambiamento di footing si rifletta in un cambiamento del pronome utilizzato nel rivolgersi all'interlocutore in questo tipo di eventi mediati. L'allineamento di ogni partecipante quindi soggetto ad un costante processo di

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rinegoziazione e la posizione degli interlocutori primari spesso condiziona lo stile adottato dall'interprete. Esplorando le dinamiche degli incontri mediati dalla figura di un interprete, Wadensj (1998) descrive la posizione di quest'ultimo secondo la teoria del format di produzione e di ricezione elaborati da Goffman e spiega come l'interprete che ricopre il ruolo di reporter rispetto ad un enunciato, sar di conseguenza mero animatore delle parole dell'interlocutore originario. Questa visione rispecchia l'antico stereotipo dell'interprete come semplice animatore degli enunciati altrui, ma Wadensj afferma che per l'interprete sempre, e per necessit, anche autore:
Having the mandate and the responsibility to compose new versions of utterances, interpreters systematically take the role of recapitulator, which means that they relate to their following utterance as author and animator, but not as principal, a role which is normally occupied by the immediately preceding speaker. (1998:93)

L'autore seleziona le parole con le quali codificare il messaggio originale, in questo modo l'interprete-autore agente primario dell'interazione a tre; mentre dal punto di vista della ricezione detiene il ruolo di responder ed quindi il secondo destinatario dell'enunciato, dopo l'interlocutore primario. Ogni partecipante titolare di diritti e doveri conversazionali e le aspettative dell'uno corrispondono agli obblighi (interazionali) dell'altro; questi ruoli divengono quindi interdipendenti laddove aspettative ed obblighi sono le faccia della stessa medaglia: complementari e al servizio le une degli altri. Come spiegano Erickson e Shultz (1982:18): speaking and listening role and role behaviour are thus simultaneously complementary as well as sequentially reciprocal; ci significa che il completamento dell'azione comunicativa di un individuo da parte di un altro non avviene solo durante momenti successivi in una sorta di ping-pong comunicativo, ma avviene anche simultaneamente alla produzione dell'enunciato, per esempio l'interlocutore pu dimostrare la propria attenzione e la propria posizione di ricezione attraverso il comportamento non verbale, detto listening behaviour. L'evento mediato, rifacendoci ancora una volta agli studi di Goffman, rappresenta un cosiddetto situated activity system: a face-to-face interaction with others for the performance of a single joint activity, a somewhat closed, self-compensating, self-terminating circuit of

interdependent actions (1981:96). Lo studio di un determinato ruolo pu essere limitato ad una particolare situazione (es. il ruolo di un interprete durante un consulto medico

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mediato) e in tal caso, un sistema di attivit in situazione coinvolge solo una parte dell'individuo, ci che quest'ultimo in altri contesti e in altri momenti non rilevante; ci che interessa sono le rispettive azioni dei partecipanti, diverse ma interrelate, e il modo in cui tali azioni rispondono a schemi che definiscono un sistema di attivit in situazione. La chiave di Volta che ci permette di apprezzare la complessit dell'evento mediato sta nell'adottare una prospettiva dialogica ed abbandonare la visione monologica che la letteratura ha tradizionalmente utilizzato per osservare la funzione dell'interprete. L'approccio monologico descrive l'uso linguistico dal punto di vista del parlante: il significato delle parole e degli enunciati considerato come derivante esclusivamente dalle intenzioni e dalle strategie comunicative del parlante, mentre i co-partecipanti sono visti come ricettori delle informazioni codificate dal parlante. I co-partecipanti si troverebbero cos in una sorta di vuoto sociale (Wadensj 1998:8). Il modello dialogico, al contrario, implica la costruzione e l'elaborazione congiunta del significato da parte dei co-partecipanti. Il significato creato nella e dalla attivit comunicativa. La responsabilit del flusso comunicativo e di eventuali incomprensioni distribuita fra le parti. Secondo Wadensj (Ibid.), il primo approccio corrisponderebbe al discorso come testo (Talk as text), mentre il secondo risponderebbe al discorso come attivit (Talk as activity) Considerare la comunicazione mediata non solo come produzione testuale ma anche come attivit e interazione sociale consente di analizzare pi a fondo il complesso sistema di relazioni e azioni in gioco. Da un punto di vista sociolinguistico, i fattori contestuali assumono grande rilievo nell'analisi del discorso come interazione e il modello mnemonico di Hymes3 costituisce una griglia schematica di partenza: SPEAKING (Situation Participants Ends Act sequences Key Instrumentalities Norms Genres); utilizzando una prospettiva dialogica possiamo osservare la produzione discorsiva come un' inter-attivit che coinvolge tutti i partecipanti e, come vedremo in seguito, il sistema turnazionale evidenzia con grande chiarezza l'aspetto corale e partecipativo dell'evento mediato.

Hymes, D., (1974) Foundations in sociolinguistics: an ethnographic approach, London : Tavistock.

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CAPITOLO 2 IL RUOLO DELL'INTERPRETE

Definire il ruolo dell'interprete richiede uno sforzo analitico multidimensionale e, come si dir in questo capitolo, si tratta di una questione controversa e molto dibattuta sia dagli studiosi che dagli interpreti stessi. Bisogna innanzitutto fare una distinzione fra l'attitudine che l'interprete ha verso il proprio ruolo, la dimensione ideografica descritta da Getzels (1958)4, e l'insieme di aspettative che il sistema sociale di riferimento (sia esso l'ospedale, il tribunale ecc.) ripone nei confronti di questa figura professionale, corrispondente alla dimensione nomotetica (Ibid.). Il ruolo

dell'interprete e il contesto in cui chiamato a fornire la propria prestazione rappresentano, come vedremo, due sfere inevitabilmente interrelate. Un'altra importante distinzione che opportuno presentare in via preliminare riguarda la nozione di ruolo secondo la prospettiva della psicologia sociale di Goffman (1961), l'autore distingue fra: ruolo normativo, ruolo tipico e performance del ruolo. Il ruolo normativo corrisponde all'insieme di idee e opinioni condivise circa una determinata attivit, ci che si dovrebbe fare. Il ruolo tipico considera la mutevolezza delle condizioni di tempo e spazio nelle quali si svolge la prestazione; infine, la performance del ruolo determinata dall'individualit e dallo stile personale del soggetto che svolge l'attivit. Come vedremo nell'analizzare il ruolo dell'interprete, questi tre aspetti del ruolo sono spesso divergenti e il ruolo normativo prescritto da eventuali codici deontologici si discosta frequentemente dall'effettiva performance dell'interpretazione in contesto. Tale sfasamento risale alla tendenza, superata a partire dagli anni Ottanta, di considerare l'interpretazione come branca della traduzione, analizzata quindi attingendo dal quadro teorico della traduttologia, che a sua volta si basa sullo studio di testi scritti. In senso lato, il compito dell'interprete stato descritto per decenni come mero trasferimento di idee e pensieri da un a lingua1 a una lingua2 e, attraverso il linguaggio metaforico, gli studiosi e gli stessi interpreti hanno definito in vari modi questo ruolo di persona nel mezzo paragonandola a un canale o ponte attraverso il quale comunicano due persone. Il compito di questo condotto comunicativo, per, assai complesso, in quanto si
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Getzels, J., W. (1958) Administration as a social process , Chicago: University of Chicago In Gentile et alii.(1996:31)

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richiede la produzione fedele e accurata del messaggio da un individuo all'altro senza che ci comporti un coinvolgimento personale ed emotivo. Secondo quest'ottica, il messaggio dovrebbe quindi essere reso con accuratezza, imparzialit e neutralit allo stesso tempo; un compito tutt'altro che semplice e meccanico la cui complessit risulta pressoch annullata dalle varie metafore che equiparano l'interprete ad una macchina, una finestra, un ponte o una linea telefonica. Come argomenta Roy (in Pchhacker 2004:347):
On the one end, these descriptions attempt to convey the difficulty of the simultaneous tasks in interpreting while reminding everyone that the interpreter is uninvolved on any other level, at the same time, the same descriptions encourage interpreters to be flexible, which usually means be involved.

A questa contraddizione di fondo si aggiunge un'altra presupposizione che sembra essere favorita anche da codici e standard esistenti, secondo la quale per ogni enunciato esiste un solo significato che, di conseguenza, non passibile di un processo di costruzione congiunta da parte dei co-interlocutori. La presupposizione implicita che il significato esista indipendentemente dai partecipanti. Cos, affermando che il compito dell'interprete quello di conferire il significato del messaggio originale in un'altra lingua, si afferma contemporaneamente la natura monolitica del significato, come un unico blocco semantico impermeabile al contesto e all'uso contestuale. A questo proposito, la teoria di Bakhtin (1979)5 sull'interdipendenza fra mente e linguaggio, analizza la parola come elemento scomponibile in tre aspetti, nella pratica equamente e simultaneamente rilevanti, ma che da un punto di vista teorico, possono essere considerati separatamente. Il primo aspetto quello della parola come entrata lessicografica con una serie di accezioni potenziali; il secondo collegato all'uso che gli altri parlanti ne fanno (quando un individuo scrive o pronuncia una parola, in un certo senso riproduce ed include valori, emozioni e connotazioni contestuali che altri individui hanno associato a quella stessa parola in altri momenti enunciativi); il terzo aspetto della parola si riferisce ad un enunciato specifico in un momento dato (il senso di una parola deriva anche dall'uso contestuale e soggettivo che ne fa un individuo in una certa situazione comunicativa e con determinati obiettivi interazionali). In questo modo, la parola allo stesso tempo espressione individuale del parlante e elemento di
5

Bakhtin, M., M., (1979) Estetika Slovesnogo Tvorchestva. Moscow:Isskusstvo. In Wadensj (1998: 3839)

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collegamento fra gli individui e la situazione d'uso. Come denuncia Angelelli (2004), molte scuole che offrono corsi di interpretariato condividono questa idea monolitica del linguaggio e durante le lezioni non raro che gli studenti si sentano dire dai loro insegnanti: il tuo compito catturare il significato e trasmetterlo in un'altra lingua, senza contribuire a ci che si dice, oppure, il tuo unico compito conferire il significato espresso da un parlante alla lingua dell'altro parlante. In questo modo, il ruolo dell'interprete ridotto a quello di mero codificatore-decodificatore linguistico e la complessit dell'interazione mediata viene del tutto sminuita; anche da un punto di vista prettamente linguistico, per, le due lingue interessate durante l'evento mediato possono presentare differenze lessicali, grammaticali e prosodiche, cos come possono differire in quanto a costruzioni sintattiche, usi idiomatici ecc. Sistemi linguistici diversi non sono, cio, sovrapponibili e il messaggio originale spesso pu essere reso tramite pi versioni, in questo modo i concetti di adeguatezza, fedelt e accuratezza risultano sempre pi ambigui.

2.1 L'interprete nella metafora

Reddy (1979:165) spiega il potere che la metafora e l'uso metaforico del linguaggio possono avere nell'influenzare il nostro modo di pensare e concepire il mondo:
I am going to present evidence that the stories English speakers tell about communication are largely determined by semantic structures of the language itself. This evidence suggests that English has a preferred framework for conceptualizing communication, and can bias thought process toward this framework.

Secondo la metafora del condotto (conduit metaphor) di Reddy (1979), le espressioni linguistiche utilizzate dai parlanti in interazione sono veicoli all'interno dei quali idee e significati possono essere versati ed estratti, rimanendo immutati nel passaggio; quello che accade nella comunicazione altro non sarebbe quindi che un mero scambio di informazioni tra due persone. Per rendere pi evidente il modo in cui la metafora del condotto permea la lingua dei parlanti, Reddy (1979:166) propone alcune frasi che ricorrono tipicamente in caso di fallimento comunicativo nella lingua inglese:

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1) 2) 3)

Try to get your thoughts across better; None of Mary's feelings came through to me with any clarity; You still haven't given me any idea of what you mean.

Espressioni simili si possono riscontrare anche in italiano (es. non ho colto l'idea, non ho afferrato il significato delle sue parole), possiamo notare come le parole e le idee siano concepite come pacchetti di informazioni che si trasmettono da un parlante all'altro ma, come obietta lo stesso Reddy, se ricevere e scartare questi pacchetti di informazioni un'azione cos semplice e passiva, perch in alcuni casi si verificano intoppi, incomprensioni, se non veri e propri fallimenti comunicativi? Per spiegare quanto la metafora del condotto sia pervasiva nel nostro modo di concepire e descrivere il linguaggio, Reddy elabora una contro-metafora che chiama the toolmakers paradigm; in base a questo paradigma, il messaggio comunicativo, pi che veicolo di pacchetti informativi, presentato come un progetto la cui interpretazione da parte dei co-interlocutori non garantisce una corrispondenza esatta tra i significati elaborati da chi realizza il progetto e i significati elaborati dal destinatario. Il paradigma del progetto indica inoltre che la comunicazione implica intenzionalit, pianificazione e considerazione del destinatario al quale rivolgiamo il nostro messaggio. Tornando al ruolo dell'interprete, possiamo ora affermare che la concezione del linguaggio che insita nella nostra cultura e quindi nella nostra forma mentis una convenzione culturale radicata che, ad un'analisi pi profonda, risulta eccessivamente semplicistica e fuorviante. Un'interessante panoramica della variet di metafore riguardanti la figura dell'interprete stata proposta da Roy (in Pchhacker 2002:345-353) che, in particolare, si occupata dell'interpretazione della lingua dei segni per non udenti negli Stati Uniti ed ha individuato quattro descrizioni che esemplificano il ruolo dell'interprete. Queste quattro descrizioni vanno da un estremo coinvolgimento personale all'assenza di

coinvolgimento personale dell'interprete: 1) gli interpreti come aiutanti: per molto tempo gli interpreti di persone non udenti

sono stati gli stessi familiari ed amici; fino agli anni Sessanta, infatti, non vi era distinzione fra interprete e aiutante e l'intervento di quest'ultimo spesso sconfinava dall'interpretazione vera e propria e comprendeva la possibilit di dare consigli e addirittura prendere decisioni al posto del parente o amico non udente;

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2)

gli interpreti come condotti o canali: questa descrizione che gli interpreti stessi

iniziarono a promuovere serv loro per allontanarsi dallo stereotipo dell'aiutante ed acquisire contemporaneamente uno status maggiormente professionale e distante dalle responsabilit che gravavano sull'interprete-aiutante. Questo rovesciamento di prospettiva, dal massimo coinvolgimento personale al minimo coinvolgimento dell'interprete-macchina, sollev molte contestazioni in quanto gli interpreti iniziarono a rifiutare ogni responsabilit di eventuali conseguenze della loro prestazione e questa presa di posizione fin con l'influenzare negativamente la percezione dei consumatori. Gli interpreti cominciarono cos a cercare una descrizione del loro ruolo che fosse meno radicale; 3) gli interpreti come facilitatori della comunicazione: non appena la metafora del

condotto inizi a decadere, gli interpreti ricorsero ad una nuova descrizione che attingeva dalla teoria della comunicazione, secondo la quale, l'evento comunicativo costituito da tre elementi base: mittente, messaggio e destinatario. Questa base teorica presentava l'interprete come canale interposto fra mittente e destinatario deputato a facilitate la trasmissione del messaggio fra due parlanti di lingue diverse. La descrizione dell'interprete come facilitatore della comunicazione fu sostenuta anche dal Code of Ethics della lingua dei segni americana (ASL) che, fra i principi costituenti, stabiliva: The interpreter's only function is to facilitate communication. He/she shall not become personally involved because in doing so he/she accepts some responsibility for the outcome, which does not rightly belong to the interpreter (Ibid.) 4) gli interpreti come specialisti bilingui bi-culturali: fra la fine degli anni Settanta

e l'inizio degli anni Ottanta, si cominci a riconoscere l'importanza della competenza interculturale oltre che linguistica dell'interprete, cos come si svilupp una nuova consapevolezza della prospettiva multidisciplinare necessaria per analizzare l'evento mediato.

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2.2

Invisibilit vs Visibilit

Il ruolo dell'interprete, o meglio, la percezione che ne hanno gli interpreti, gli studiosi e i clienti stessi, ha subito varie trasformazioni nel corso degli anni ma la descrizione meccanicistica ancora radicata nell'immaginario collettivo e spesso anche nella valutazione dei diretti interessati. Angelelli (2004) parla del mito dell'invisibilit dell'interprete, una sorta di fantasma fra i partecipanti che, come fosse un canale, si lascia attraversare dal flusso comunicativo convertendolo da una lingua ad un'altra. Questa prospettiva presuppone l'assenza di interazione fra interprete e partecipanti primari, l'assenza di interazione fra i partecipanti stessi e, in definitiva, presuppone l'assenza di fattori culturali e contestuali, come se la comunicazione avvenisse in un luogo totalmente asettico fra partecipanti privi di ogni connotazione sociale. In questo non-luogo comunicativo l'interprete fungerebbe da modem-linguistico, un modulatore e demodulatore della lingua. In questo modello teorico, l'interprete una non-persona e pertanto non . Il ruolo della non-persona uno dei ruoli discrepanti definiti da Goffman (1981) e che Wadensj (1998:66) definisce come persona presente ma trattata come assente; La non-persona fisicamente presente all'evento comunicativo ma non detiene n il ruolo di partecipante attivo n quello di ascoltatore o partecipante passivo. Fra gli esempi forniti da Goffman (Ibid.), un esempio classico di non-persona il servitore, un individuo la cui presenza deve risultare come una non presenza. Altri esempi si riferiscono ai molto giovani, ai molto anziani, ai malati e a volte agli stranieri che si presuppone non capiscano, totalmente o in parte, ci che si dicono i parlanti coinvolti in una interazione comunicativa. Per molti versi, il concetto di non-persona pu essere equiparato a quello dell'interprete invisibile, entrambi propongono infatti un ruolo meramente tecnico secondo il quale l'interprete non apporta nulla alla sostanza e al contenuto della comunicazione in atto. Questo ruolo, che spesso coincide con il ruolo normativo dell'interprete (ossia ci che l'interprete dovrebbe fare ed essere), si discosta dalla realt pratica di questa professione, dalla effettiva performance del ruolo. Una concezione alternativa del ruolo dell'interprete quella che considera quest'ultimo come co-costruttore dell'interazione, ci che Angelelli (2004) chiama il modello della visibilit. Questo modello presenta l'interprete come individuo visibile, non solo dal

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punto di vista linguistico, ma visibile anche dal punto di vista delle sue caratteristiche sociali e culturali attraverso le quali costruisce l'interazione insieme agli altri copartecipanti. Secondo Angelelli (2004:11), la visibilit si manifesta quando l'interprete fa un'azione, o pi, delle seguenti: 1) introduce o posiziona il proprio io come parte dell'evento comunicativo, divenendo quindi co-partecipante e co-costruttore; 2) stabilisce norme comunicative, (per esempio rispetto al sistema dei turni di parola) e controlla il traffico delle informazioni; 3) 4) 5) 6) 7) parafrasa o spiega termini o concetti; sposta il messaggio su e gi lungo la scala dei registri linguistici; filtra le informazioni; si schiera con uno dei partecipanti; sostituisce uno dei partecipanti all'evento comunicativo.

Nel pas-de-trois dell'evento mediato, l'intervento dell'interprete presente a tre livelli: interpersonale, istituzionale e sociale; di conseguenza, siccome l'accesso ai servizi e all'informazione degli individui stranieri dipende interamente dall'interprete,

quest'ultimo detiene un ruolo di potere fondamentale nel permettere ai parlanti di lingue diverse di soddisfare i propri obiettivi comunicativi. Come afferma Anderson (1976:218) interpreters enjoy the advantage of power inherent in all positions which control scarce resources. L'interprete esercita la propria visibilit e il proprio potere interazionale in molti modi. La maniera in cui interagisce con l'interlocutore appartenente ad una minoranza linguistico-culturale, per esempio, rappresenta un tema d'analisi interessante. A tal proposito, bisogna ricordare che fin dalle sue origini, l'interpretazione avvenuta non solo fra due lingue e due culture diverse ma anche fra due potenze politico-economiche diverse. Angelelli (2004) propone il classico esempio della Malinche: figlia di una nobile famiglia azteca, fu data in dono come schiava dal Cacique di Tabasco al conquistatore spagnolo Hernn Corts nel 1519. La giovane donna interpretava dal nahuatl allo yucateco, un'antica lingua maya, mentre Jernimo de Aguilar, un prete spagnolo, interpretava poi dalla lingua maya allo spagnolo per Corts. Durante una delle comunicazioni mediate fra il conquistatore e le popolazioni indigene, un giovane messicano (che conosceva lo spagnolo) di nome Orteguita, ascolt l'interpretazione

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della Malinche verificando che ci che stava dicendo corrispondesse alle parole originarie di Corts. Questo episodio dimostra quanto la compagine dominante si preoccupasse dell'accuratezza dell'interpretazione e, allo stesso tempo, non si fidasse dell'interprete. Data la posizione di potere di Corts, Orteguita rispondeva unicamente a quest'ultimo, il quale aveva il privilegio di esigere accuratezza e verificare la plausibilit dell'interpretazione. Quando la Malinche mediava gli scambi comunicativi fra Corts e i nativi vi era una netta disparit fra lo status di potere dei partecipanti coinvolti. La giovane schiava, attraverso la propria interpretazione, permetteva alle voci e alle esigenze dei nativi di essere ascoltate ma faceva s che il messaggio degli oppressori prevalesse su quello di primi. Il suo ruolo, insomma, non era affatto neutrale e tanto meno invisibile. Al contrario, la giovane interprete rappresentava un fattore determinante nell'alterare o nel perpetuare relazioni di potere e solidariet durante la mediazione della comunicazione. La visibilit della Malinche come interprete non un caso isolato e, come ha testimoniato la storia, gli interpreti hanno continuato nel tempo a mediare la comunicazione fra la grandi potenze economiche e culturali. Se riteniamo che gli interpreti e l'interpretazione siano elementi cruciali nella comunicazione fra parlanti pi dominanti e meno dominanti, allora necessario analizzare l'evento mediato nella sua complessit; bisogna cio valutare i diversi interlocutori per i quali lavora l'interprete, i diversi contesti interazionali e le limitazioni imposte sul ruolo interpersonale dell'interprete da tali differenze contestuali. Limitare lo scopo dell'evento mediato all'accuratezza del contenuto o alla competenza linguistica dell'interprete permette l'identificazione di regole precise riguardo a ci che l'interprete dovrebbe o non dovrebbe fare ma, d'altro canto, crea l'illusione che una volta garantita la

trasmissione dell'informazione sia possibile garantire anche la comunicazione interculturale, a prescindere dalla situazione e dai partecipanti coinvolti. Ma qual allora il vero obiettivo che sostiene il mito dell'invisibilit? Gli interpreti accettano veramente la condizione di essere invisibili e privi di potere? E se cos fosse, perch, invece di valorizzare il potere che hanno come unici professionisti dell'interazione interculturale, si dipingono o permettono di essere dipinti come semplici codificatoridecodificatori linguistici? Ed infine, perch permettono di essere privati del loro ruolo di centralit nella comunicazione interlinguistica e interculturale? A questi quesiti si possono dare varie risposte; secondo Angelelli (2004:22) una possibile spiegazione, che

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potremmo ricollegare alla metafora meccanicistica di Roy precedentemente descritta, riguarda la possibilit di prendere le distanze dalle responsabilit derivanti dall'interpretazione; l'essere invisibili e neutrali consente all'interprete di dissociarsi da eventuali responsabilit e di appellarsi alla natura prettamente tecnica e meccanica, perci imparziale, della loro prestazione. Una seconda spiegazione si riferisce al fatto che l'invisibilit assicura una certa fiducia nei confronti dell'interprete; la fiducia un fattore essenziale per un rapporto cos breve come quello che si instaura per esempio fra un interprete di conferenza e il politico, scienziato, diplomatico o studioso per il quale chiamato ad interpretare. La fiducia determinante anche quando l'interprete si trova a lavorare in situazioni a forte impatto psicologico ed emozionale (in ambito medico o giuridico per esempio), nelle quali il cliente si trova a dover accordare fiducia ad un perfetto sconosciuto: l'interprete. Wadensj (1998:285-286) fornisce una terza motivazione al mito dell'invisibilit sostenendo che questo consentirebbe agli interpreti di mostrare una finta devozione nei confronti dei codici di condotta che in tal modo sarebbero sostenuti solo a parole (paying lip service to official Codes of Conduct) ma smentiti, almeno in parte, dalla reale performance pratica.
The uncompromising defence of the just translating model should perhaps be understood as the interpreters voicing the credo of an occupational group. As is the case with other so-called liberal professions, the individual practitioner is responsible before her or his colleagues. The single member either belongs to the association of professionals and accepts his norms, or is excluded and will be grouped among the non-serious performers or amateurs. Yet, when experienced interpreters account for concrete instances of interpreting, it is obvious that they are well aware of the fact that interpreting involves a complexity of activity. (Ibid.)

Secondo l'autrice, il mito dell'invisibilit servirebbe all'interprete come giustificazione per agire da non-persona; l'interprete, quando chiamato a descrivere il proprio ruolo, preferisce dichiararsi in linea con l'eventuale codice deontologico esistente, cosciente dell'importanza e dell'autorevolezza dell'impianto normativo, anche se rischia poi di cadere in contraddizione una volta che, con registrazioni autentiche alla mano, si analizza l'effettivo svolgimento della sua professione. Il paradosso che ne emerge che gli interpreti professionisti dichiarano di agire da non professionisti (asserendo di limitare il proprio compito alla mera traduzione linguistica) per essere giudicati professionisti; una bugia detta sapendo di mentire che, paradossalmente, accrediterebbe la professionalit dell'interprete. Angelelli nel suo libro Revisiting the interpreter's 34

role (2004) elabora un inventario del ruolo interpersonale dell'interprete (IPRI l'acronimo di Interpreter's Interpersonal Role Inventory) con l'obiettivo di esplorare le percezioni che gli interpreti stessi hanno del proprio ruolo. L'IPRI stato formulato per misurare la collocazione del ruolo dell'interprete lungo la scala avente per estremi i concetti di invisibilit vs visibilit. Le cinque componenti della visibilit considerate dall'autrice (2004:50) sono: 1) 2) 3) 4) 5) alignment with the parties; establishing trust with/ facilitating mutual respect between the parties; communicating affect as well as message; explaining cultural gaps/ interpret culture as well as language; establishing communication rules during the conversation.

L'IPRI il risultato di un'indagine svolta fra 293 interpreti di U.S.A., Canada e Messico considerando tutti i contesti e le combinazioni linguistiche disponibili nell'ambito dell'interpretazione di conferenza, dell'interpretazione di comunit (ambito legale e medico) e dell'interpretazione telefonica. La ricerca stata improntata a partire da tre quesiti principali: 1) se esiste una relazione fra il contesto sociale d'appartenenza dell'interprete e la sua percezione di visibilit a partire dalle variabili di: et, sesso, livello d'istruzione, reddito e identificazione col gruppo dominante o col gruppo subordinato; 2) la collocazione di interpreti operanti in diversi contesti lavorativi (medico, legale, conferenza) lungo il continuum della visibilit/invisibilit del loro ruolo; 3) se interpreti operanti in ambiti differenti concepiscono il proprio ruolo in maniera diversa. I risultati di questo studio hanno evidenziato che gli interpreti considerano il proprio ruolo visibile in ognuno dei contesti lavorativi analizzati; tale responso si rivelato particolarmente importante rispetto a quei gruppi per i quali inizialmente si ipotizzava una natura invisibile e monologica (l'ambito legale e di conferenza), anche se gli interpreti del settore medico-sanitario percepiscono il proprio ruolo come pi visibile rispetto agli altri. L'indagine ha poi dimostrato che gli interpreti ritengono di avere un ruolo visibile sia in interazioni faccia a faccia che non, come nel caso della comunicazione telefonica. Infine, emerso che esiste una correlazione fra il contesto di appartenenza sociale dell'interprete e la sua percezione del ruolo, ma quest'ultima determinata dal contesto lavorativo pi che dai fattori sociali individuali. A tal proposito, riportiamo alcune delle risposte collezionate da Angelelli (2004:79)

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all'interno dei questionari sottoposti agli interpreti selezionati nel campione: many of the questions are not applicable to my experience as conference interpreter. I can see my self giving very different answers with respect to a community interpreting situation. I am not sure that the two are really comparable communication situations. Questa risposta emblematica dell'importanza del contesto situazionale a conferma che gli eventi mediati non sono tutti uguali (come affermerebbe la metafora del condotto) e che gli interpreti stessi riconoscono che le loro opinioni potrebbero differire a seconda di quale dei loro cappelli stanno indossando nel momento in cui rispondono al questionario. Lo studio ha inoltre dimostrato quanto il mito dell'invisibilit sia saldamente radicato nell'ideologia professionale, nonostante la dichiarata visibilit del ruolo confermata dagli intervistati. Molti di loro danno per scontato il concetto di neutralit-invisibilit come capo saldo del quadro normativo della loro professione ed alcuni hanno espresso anche un certo fastidio di fronte alle domande che indagavano il loro posizionamento lungo il continuum invisibilit-visibilit, quasi percependo il proprio mestiere come trascendente rispetto ad ogni parametro umano: our work is serious, and we must be respectful no matter what. Of course we can have feelings we are human but we keep them to ourselves. We are not participants; we are channelling other people's words and feelings and give our all to do so. Come mostra questa risposta, la tensione continua fra il ruolo normativo e la performance del ruolo un elemento ricorrente; gli interpreti vivono cio una condizione di dualit eticaprofessionale; aderire al ruolo prescritto ma anche rendere la comunicazione da un punto di vista pragmatico e quindi andare oltre la prescrizione del Codice. Come risulta da altre risposte, la neutralit dell'interprete plausibile ma non necessariamente naturale e spontanea, anzi, qualcosa che l'interprete professionista raggiunge faticosamente: A consecutive interpreter, doing political work, has to be very careful to be neutral (Ibid.). Anderson (1976:213) afferma, a questo proposito, che dietro la facciata dell'interprete neutrale, (the nonpartisan interpreter che agisce come una fedele eco dei partecipanti primari), si nasconde in realt una considerevole manipolazione del contenuto comunicativo a favore della moderazione e della razionalit; in questo modo, l'interprete neutrale rischia di mistificare il messaggio originale e di violarne la fedelt attraverso la mitigazione delle parole pi forti e potenzialmente conflittuali. Inoltre, mentre da una parte, gli interlocutori primari si

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aspettano di vedere massimizzati i propri status interazionali grazie all'azione dell'interprete, dall'altra, l'eccessivo distacco dell'interprete neutrale orientato al solo risultato dell'interazione, non al raggiungimento degli obiettivi comunicativi delle parti: rather than being equally pulled in both directions, he might be pulled in neither () and any outcome would be acceptable to him (Ibid.). Un'ulteriore considerazione meritano, poi, i cosiddetti interpreti ad hoc, bilingui privi di competenza e preparazione professionale, che sono ancor pi esposti al rischio di allinearsi con una delle parti e creare legami che possano compromettere l'imparzialit pretesa dai codici di condotta; Rudvin (2003:147) descrive questa identificazione fra interprete e cliente col termine bonding:
Bonding, i.e. sympathy, empathy and/or identification, between parties (both service provider-interpreter and client-interpreter) is a natural process, especially when the client and interpreter come from the same ethnic group, if that group is a small minority, and especially if it is a persecuted minority.

Mason (1999) e Berk-Seligson (in Pchhacker and Shlesinger 2002) parlano di ingroup loyalties, ossia, di lealt nei confronti dei membri di uno stesso gruppo etnicoculturale o solidariet culturale (Garzone 2003), mentre Anderson (1976) parla di role overload e role conflict. D'altro canto, per auspicabile la creazione di un sano rapporto lavorativo fra i tre partecipanti, positive bonding (Rudvin 2003:147), che consentirebbe di instaurare un'atmosfera di generale fiducia e agio per facilitare lo svolgersi dell'interazione mediata. Come avverte Rudvin (Ibid.) per, un eccessivo legame fra i partecipanti rischierebbe di inficiare l'imparzialit dell'interprete e di aumentare la pressione psicologica che grava su quest'ultimo. Nell'ambito medico e legale per esempio, l'interprete, anche inconsapevolmente, pu compromettere o danneggiare la comunicazione fra i partecipanti; un legame eccessivamente stretto con una delle due parti (creare un rapporto d'amicizia, ma anche dispensare consigli o informazioni di propria iniziativa) potrebbe creare delle aspettative nei confronti dell'interprete che quest'ultimo non sarebbe poi in grado di soddisfare, se non commettendo illeciti deontologici. Come argomenta Anderson (1976: 212-213), l'interprete, per qualsiasi motivo, pu scegliere di allearsi con uno dei partecipanti e divenire il cosiddetto Tertium Gaudens (Simmel 1964)6 della triade interazionale; il proverbiale terzo che gode fra i due litiganti, nel caso in cui l'interprete come uomo
Simmel, G. (1964) The Triad in Wolf, K. trans. and ed.The Sociology of Georg Simmel, New York: The Free Press. Citato in Anderson (1976:213-214)
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nel mezzo tragga un vantaggio personale nello schierarsi con l'uno o l'altro interlocutore. L'interprete, come detto finora, ha un potere interazionale notevole e persino maggiore rispetto a quello dei partecipanti primari; in seguito descriveremo in che modo l'interprete esercita concretamente questo potere all'interno della comunicazione partendo dalle strategie della cortesia linguistica, la cosiddetta politeness (Brown and Levinson 1987), attraverso le quali protegge la propria faccia o quella del proprio interlocutore, influenzando, come vedremo, la percezione dei co-partecipanti.

2.3

La cortesia linguistica e l'interpretazione

Il comportamento linguistico socialmente appropriato a una data situazione comunicativa stato definito da Brown e Levinson (1987) con il termine politeness, il quale non coincide necessariamente con la scelta del registro formale, ma riguarda pi in generale l'appropriatezza della comunicazione relativamente al livello di familiaritconoscenza fra i partecipanti, al livello di formalit, al tipo di situazione, alla relativa et degli interlocutori e al loro sesso. Le realizzazioni linguistiche della cortesia nelle varie culture richiamano come regole generali di base il principio di cooperazione di Grice (1975) e il concetto di faccia elaborato da Goffman (1967)7. Il primo, formulato da Grice (1975) nel quadro di una logica filosofica della conversazione, fu presentato per la prima volta durante una lezione alla Harvard University nel 1967. Grice (1975: 59) afferma che gli eventi comunicativi sono tipici esempi di un comportamento, almeno in una certa misura, cooperativo; ciascun parlante vi riconosce un intento o una serie di intenti pi o meno comuni o almeno una direzione accettata di comune accordo. Postula, pertanto, un principio generale, definito appunto principio di cooperazione, che comprende quattro categorie, quantit, qualit, relazione e modo, ognuna articolata in un certo numero di massime (Dai un contributo n pi n meno informativo di quanto richiesto, Non dire ci che ritieni falso, Sii pertinente, Evita oscurit di espressione). Il secondo concetto cui si ricollega la teoria della cortesia quello di faccia, formulato da Goffman (1967: 5) e definito dall'autore come:the positive social value a person
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Goffman, E. (1967) Interaction ritual: essays on face to face behavior, New York: Doubleday.

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effectively claims for himself by the line others assume he has taken during a particular contact. Per non danneggiare questa immagine pubblica, i parlanti adottano strategie interazionali che evitano il crearsi di situazioni potenzialmente minacciose per la faccia (avoidant face-work): ad esempio, le formule di cortesia che accompagnano ordini e richieste o gli espedienti utilizzati per gestire argomenti delicati o imbarazzanti. Brown e Levinson (1978) fanno una distinzione fra la cosiddetta faccia positiva e la faccia negativa; la prima l'immagine di s che ogni individuo reclama e proietta nell'interazione e che desidera che gli altri apprezzino; la faccia negativa riguarda invece la rivendicazione del proprio territorio e della propria libert d'azione rispetto alle imposizioni altrui. Come scrivono Bowe e Martin (2007:27): The notion of avoiding conflict or confrontation is an integral element of appropriate language usage, finding its way into the language of almost all social groups and it is this that is generally recognised as politeness. Al contrario, nel caso in cui uno dei partecipanti commetta un atto di minaccia, seppur involontariamente, come nelle gaffes, participants try to give accredited status as an incident to ratify it as a threat that deserves direct official attention and to proceed to try to correct for its effects (Goffman 1967:19). Nel contesto dell'evento mediato, le strategie di cortesia cui i parlanti primari ricorrono devono essere decodificate e ricodificate opportunamente dall'interprete, il quale, oltre a barcamenarsi nella corretta resa di atti potenzialmente minacciosi o difensivi della faccia dei partecipanti, anch'egli coinvolto con la propria faccia in qualit di terzo co-parteciapante, visibilmente e attivamente presente. Il modo in cui gli interpreti non professionisti affrontano la gestione della politeness molto significativo delle insidie e della complessit dell'evento mediato. Lo studio sugli interpreti naturali di Harris e Sherwood (in Mason 1999:18) racconta il caso di una trattativa commerciale fra un immigrato italiano in Canada e un canadese anglofono che comunicano tramite l'interpretazione della figlia bilingue del primo. I partecipanti primari si comportano seguendo le proprie norme culturali e quando in un momento cruciale del negoziato, l'italiano nel quadro delle proprie aspettative culturali- si rivolge all'interlocutore dandogli dell'imbecille, la giovane interprete ad hoc, mostra contemporaneamente una consapevolezza bi-culturale ed un'istintiva mossa di autodifesa della faccia:
Padre: Digli che un imbecille! Figlia (al terzo partecipante): My father won't accept your offer.

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Ci che l'interprete non professionista pu in questo caso non aver considerato che una mossa simile pu rivelarsi controproducente. Nel caso specifico infatti, il padre, che conosce l'inglese abbastanza bene da monitorare almeno in parte la performance della figlia, obietta immediatamente: perch non gli hai detto quello ti ho detto?, smascherando cos il face-saving act della figlia. Anche Knapp-Patthoff e Knapp (1987:181-201) si sono occupati approfonditamente della prestazione di interpreti ad hoc, in particolare riportiamo il caso di una conversazione fra un interlocutore tedesco e uno coreano mediati da una studentessa coreana di venticinque anni, quest'ultima ha vissuto in Germania per tre anni ed ha appreso la lingua anche nell'ambito scolastico e universitario. Come notano gli autori, la mediatrice (termine qui utilizzato per denotare l'interprete non professionista) in alcune circostanze prende iniziative di proprio conto, per esempio ricorrendo a strategie volte ad evitare conflitti ed incomprensioni. In particolare, in merito all'uso delle strategie di cortesia (politeness strategies), si descrive il comportamento del parlante tedesco che, nel formulare una richiesta all'interlocutore coreano, mette in atto due tipi di strategie di cortesia per mitigare il potenziale facethreatening act. Il primo tipo di strategia viene denominata claiming common ground, ossia, l'affermazione di un terreno comune che secondo Brown e Levinson (1978:108): occurs by indicating that S and H both belong to the same set of persons who share specific wants, including goals and values. Tale strategia consente al parlante di instaurare un'atmosfera amichevole facendo sembrare l'imposizione meno pesante; il parlante tedesco, infatti, riconosce gli sforzi dell'interlocutore, afferma di comprendere la posizione dell'altro e mostra solidariet nel raccontare che lui stesso si era trovato in precedenza nella medesima situazione. La rivendicazione di un terreno comune viene ugualmente espressa in risposta al rifiuto o all'accettazione tramite frasi del tipo: ah s, capisco, certo, posso comprendere, oh s, evidente. Ci che emerge con chiarezza da questo studio, che la mediatrice sceglie in ogni occasione di non tradurre linguisticamente la strategia di cortesia adottata dal parlante tedesco. Gli autori escludono la possibilit che l'interprete non abbia capito o che abbia deciso di non tradurre per motivi di sensibilit culturale nei confronti del partecipante coreano; anche in coreano, infatti, la strategia dell'affermazione del terreno comune risulta appropriata. La seconda strategia utilizzata dal parlante tedesco si configura, poi, come atto di

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cortesia per mitigare l'impatto conflittuale della sua imposizione sull'interlocutore e riguarda l'utilizzo di verbi, avverbi ed espressioni modali che attenuano la potenziale minaccia della faccia; (vielleicht, shon, mal che in italiano corrispondo a forse, anche, solo). Anche in quest'occasione, la mediatrice non traduce le particelle modali dal tedesco al coreano, nonostante la lingua coreana presenti opzioni linguistiche equivalenti. La strategia di cortesia del parlante tedesco viene quindi vanificata dalla mancata traduzione (zero rendition di Wadensj 1998) da parte dell'interprete. KnappPatthoff e Knapp (1987) analizzando poi le strategie utilizzate dalla mediatrice, osservano che quest'ultima molto pi preoccupata di salvare la propria faccia piuttosto che proteggere quella del partecipante tedesco; emblematiche di questo atteggiamento sono le frasi: ci che gli interessa o ci che vuole sapere in relazione al parlante tedesco, che denotano una chiara volont da parte della ragazza di dissociarsi dalle parole del parlante primario. Da notare, inoltre, il ricorso alla terza persona singolare (mentre la norma prescrive l'utilizzo della prima persona) e il conseguente cambio di footing da recapitulator a mero reporter che scarica la responsabilit dell'enunciato sul parlante primario, optando deliberatamente per lo stile indiretto. L'allineamento, come detto in precedenza, soggetto ad una ri-negoziazione costante da parte dei cointerlocutori e anche l'interprete, come soggetto partecipante, oscilla fra i vari ruoli di ricezione a disposizione. In conclusione alla loro analisi sulla performance dell'interprete non professionista, gli autori affermano: This strongly suggests that she regards her role as that of an independent, active party in the interaction, who too, has a face to lose. (1987:199) Anche nell'ambito dell'interpretazione legale, stato dimostrato che a volte l'interprete utilizza strategicamente gli strumenti linguistici della cortesia per salvaguardare la propria faccia; Berk-Seligson (in Pchhacker and Shlesinger 2002:281) sostiene che il caso pi frequente di ricorso deliberato alla politeness da parte dell'interprete si registra nella fase in cui i deputati sono chiamati a rispondere alle domande del giudice; trattandosi prevalentemente di domande del tipo s/no, quando l'imputato risponde con un semplice Yes o No, spesso l'interprete risponde Yes, sir o No, sir rendendo la risposta pi cortese. Come si chiede l'autrice:
The question is whether the politeness she is striving for is for the defendant's sake or for her own. Court interpreters, particularly those employed fulltime in a courthouse, are highly sensitive to the fact that they

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are employees of the court, and that they are expected to act just as obsequiously before the judge as any lawyer, defendant, or clerk. (Ibid.)

In questo caso, l'interprete difende la propria faccia e mostra anche un certo grado di parzialit in quanto maggiormente schierato con l'istituzione che rappresenta, piuttosto che impegnato a mantenere una posizione equidistante fra le parti. Mason (1999) concorda nel riconoscere che anche la faccia dell'interprete coinvolta nell'evento mediato:
Interpreters are keenly aware of threats to face and adopt politeness strategies aimed at protecting their own or their addressee's face: downtoning or hedging; introducing conventional apologies. (Mason 1999:13)

Susan Berk-Seligson (Ibid.), inoltre, ha condotto uno studio empirico che evidenzia quanto gli interpreti in sede processuale possano influenzare la percezione dei giurati riguardo alle dichiarazioni dei testimoni. L'uso del linguaggio durante il processo, e in particolare il ricorso alle strategie di cortesia, un'arma di notevole importanza. Come emerge dall'analisi sociolinguistica dell'autrice, in questo contesto il modo col quale si formula un enunciato pu essere tanto significativo quanto il suo contenuto proposizionale. L'indagine parte dalla consapevolezza che la reazione di un individuo alle parole del suo interlocutore pu variare a seconda di alcune caratteristiche sociolinguistiche quali l'impiego di un variet dialettale, il tono della voce, l'et, il sesso ecc. Il metodo selezionato per condurre l'esperimento quello della cosiddetta matched guise technique, l'indagine sperimentale utilizza, infatti, due registrazioni audio (in cui un testimone spagnolo viene tradotto all'inglese da un interprete) che sono identiche tra loro in ogni dettaglio salvo una sola eccezione: nella prima versione l'interprete traduce dallo spagnolo all'inglese ogni istanza del vocativo di cortesia seor-sir che ricorre negli enunciati prodotti dal testimone; nella seconda versione, invece, l'interprete omette di tradurre il vocativo di cortesia. I giurati fittizi chiamati a giudicare il testimone sono stati selezionati per formare un campione rappresentativo dal punto di vista sociolinguistico8 ed stato chiesto loro di fingersi membri della giuria e fornire le loro
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Il campione che ha partecipato all'esperimento costituito da 551 persone, in maggioranza provenienti dall'area di Chicago e Pittsburg; il 55% rappresentato da donne e il restante 44% da uomini; l'et media si aggira intorno ai 27,3 anni; dal punto di vista del livello d'istruzione, il 55% del campione formato da individui in et scolastica e il restante 45% da persone gi inserite nel mondo del lavoro, il 29% degli intervistati non ha pi di 12 anni di istruzione scolastica alle spalle (cio ha frequentato solo la scuola superiore); in merito, poi, all'identit etnica, il campione cos composto: 52,3% anglo-americani,

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impressioni sul testimone. Ad ogni partecipante stato sottoposto un questionario con quattro aggettivi ognuno dei quali misurabile attraverso una scala di sette punti (da 1 a 7): convincente, competente, intelligente e attendibile. L'ipotesi di partenza, era che la manifestazione della cortesia linguistica nella dichiarazione del testimone potesse avere qualche impatto sulle impressioni dei giurati e i risultati emersi hanno ampiamente confermato la tesi iniziale. La differenza fra i valori medi dei 4 attributi relativi alla prima versione (polite version) rispetto ai valori medi della seconda (non-polite version) si rivelata statisticamente significativa per ognuno dei quattro aggettivi. Come conclude Berk-Seligson (Ibid.), si possono trarre due riflessioni finali da questo esperimento:
First, even though politeness has been considered to be one of the characteristics of powerless testimony style, and hence should have a negative impact on jurors, this study finds that just the opposite is true: politeness gives a witness an enhanced image. Second, what has made the difference between one version and another is the role played by the interpreter.

Dal momento che il testimone spagnolo risponde esattamente nella stessa maniera in entrambe le versioni, lo studio di Berk-Seligson dimostra che solo ed esclusivamente l'interprete a determinare la differenza nella valutazione dei giurati. Ancora una volta, l'interprete non solo attivamente coinvolto e visibile all'interno dell'interazione mediata, ma anche una figura determinante dell'andamento della comunicazione interlinguistica e interculturale. Come ha evidenziato il caso presentato, la sola assenza del vocativo signore (sir) in risposta alle domande dell'avvocato sufficiente per suscitare una valutazione pi negativa da parte della giuria. Un'omissione apparentemente irrilevante, che l'interprete ha il potere di gestire sapientemente, ma che pu modificare la reazione dell'interlocutore. Da notare poi, che questa manipolazione della reazione, se in ambito processuale, ha certamente conseguenze assai pi consistenti che nel contesto di una informale conversazione faccia a faccia. Nell'esperimento considerato, le strategie della cortesia linguistica hanno consentito di modificare la valutazione del testimone accrescendo o diminuendo il suo grado di persuasione, competenza, intelligenza e attendibilit agli occhi della giuria. Come abbiamo detto in precedenza, la politeness o cortesia linguistica si pu esprimere

39,4% ispanici, 6,75 afro-americani, 7% orientali, 0.4% nativi indiano-americani (ecc). (Berk-Seligson 2002:283)

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attraverso vari strumenti linguistici e paralinguistici; nel caso sopra citato, la cortesia resa esplicita dal vocativo sir, ma ci sono molti altri modi di esprimere la cosiddetta negative politeness nei confronti della faccia negativa dell'interlocutore (espressioni che esprimono deferenza, formalit, scuse convenzionali ecc.). La complessit delle relazioni soggiacenti l'interazione mediata molto pi grande di quanto si possa credere a primo acchito e dagli esempi riportati finora si dimostrato quanto il ruolo dell'interprete sia centrale e condizionante. La tradizionale visione meccanicistica dell'interprete come convertitore automatico della lingua poco a poco smentita e smontata dagli esempi offerti dai vari studiosi che si sono interessati a questo tema; a proposito dell'azione visibile dell'interprete nell'interscambio comunicativo, possiamo osservare la visibilit dell'interprete proprio a partire dalla sua produzione testuale.

2.4

Decidere cosa e come interpretare

Se adottiamo la prospettiva del ruolo normativo, dobbiamo, o dovremmo aspettarci che l'interprete traduca fedelmente ed integralmente l'enunciato originale dalla lingua1 alla lingua2, conditio sine qua non della professione stessa come prescrivono i codici e la letteratura. Se invece partiamo dalla performance del ruolo, cio adottiamo una prospettiva pragmatica e osserviamo l'effettiva prestazione dell'interprete sul campo, ci renderemo conto, ancora una volta, della discordanza fra ci che e ci che si pensa dovrebbe essere. A questo proposito, Wadensj (1998:106-108) propone una tassonomia dei tipi di interpretazione (types of renditions): 1) close renditions, interpretazioni strette: il contenuto proposizionale

dell'interpretazione uguale a quello dell'enunciato originale e lo stile dei due enunciati coincide; 2) expanded renditions, interpretazioni ampliate: l'informazione espressa pi

esplicitamente rispetto all'originale; 3) reduced renditions, interpretazioni ridotte: l'informazione espressa meno

esplicitamente rispetto all'originale; 4) substituted renditions, interpretazioni sostituite: consistono nella

combinazione di un'interpretazione ampliata e una ridotta;

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5)

summarized renditions, interpretazioni riassunte: il testo corrisponde a due o

pi enunciati originali, in alcuni casi possono comprendere parti di due o pi enunciati originali appartenenti ad uno stesso interlocutore; in altri casi, corrispondono a due o pi enunciati proferiti da individui diversi; a volte, l'enunciato prodotto dall'interprete e un enunciato originale possono fornire insieme il contenuto proposizionale di una successiva interpretazione riassunta; 6) two part or multi-part renditions, interpretazioni di due o pi parti: sono

definite da due enunciati prodotti dall'interprete corrispondenti ad un enunciato originale, quest'ultimo viene separato in due parti da un altro enunciato originale frapposto di cui per non viene tradotto il contenuto nell'interpretazione; 7) non-renditions, non interpretazioni: il testo si pu considerare iniziativa o

reazione dell'interprete senza una corrispondenza (in termini di traduzione) ad un enunciato originale precedente; 8) zero renditions, interpretazioni nulle: quando gli enunciati originali non

vengono tradotti Contrariamente a quanto prescriva la norma, la produzione testuale dell'interprete pu presentare varie forme a dimostrazione della complessit del sistema turnazionale dell'evento mediato e della strategia interpretativa selezionata dall'interprete di turno in turno. Stando alla prescrizione di codici e studiosi, l'interprete dovrebbe produrre il proprio turno dopo ogni enunciato di un partecipante primario e questo dovrebbe configurarsi come copia del messaggio in lingua1 ricodificato nella lingua2 secondo il seguente schema (dove DI sta per dialogue interpreter, P per professionista e S per straniero che si rivolge all'istituzione o struttura del paese ospitante): P: Enunciato 1 (nella lingua maggioritaria di P ) DI: Enunciato 1' (= interpretazione di E1 nella lingua straniera) S: Enunciato 2 (nella lingua straniera di S) DI: Enunciato 2' (= interpretazione di E2 nella lingua di P) P: Enunciato 3 (nella lingua di P) DI: Enunciato 3' (=interpretazione di E3 nella lingua di S) ecc. La tassonomia proposta da Wadensj (1998) risulta dall'analisi di un corpus di dati autentici che l'autrice ha registrato nel reparto immigrazione di una stazione di polizia

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svedese, tale classificazione smentisce la regolarit del precedente schema di riferimento e mostra la variet di interpretazioni che possono essere prodotte di volta in volta nella pratica dell'interpretazione. Le interpretazioni ampliate aggiungono esplicitamente informazione a ci che espresso nell'enunciato originale; queste solitamente servono per specificare e disambiguare il significato referenziale e interazionale di un determinato enunciato originale ma, come asserisce Wadensj (1998), aggiungere elementi informativi all'originale pu significare esporre la comprensione del messaggio iniziale ad una pi ampia serie di opzioni interpretative che possono rendere pi complessa la ricezione dell'enunciato originale. Altre volte, le interpretazioni ridotte rischiano invece di togliere chiarezza, almeno in parte, al significato referenziale ed interazionale dell'originale; nemmeno le cosiddette interpretazioni strette o fedeli, per, sono avulse da problematiche interpretative e, in alcune occasioni, la traduzione letterale del messaggio originale pu essere causa di discrepanze di significato dovute alle differenti convenzioni culturali degli interlocutori primari. Procedendo con la classificazione di Wadensj, troviamo poi le interpretazioni

sostituite, ovvero, interpretazioni pi complesse nelle quali l'informazione resa pi esplicita rispetto all'enunciato iniziale comprendendo a volte ampliamenti e riduzioni allo stesso tempo; una tendenza abbastanza frequente in questo tipo di interpretazioni l'aprire il turno con l'informazione data per ultima nell'enunciato originale, in questi casi l'interprete memorizza e ripristina l'informazione con ordine inverso provocando cos uno spostamento di enfasi da un punto all'altro del messaggio. Nel caso poi delle interpretazioni riassunte, l'interprete produce una versione compendiata di pi enunciati originali emessi da uno o pi individui. A questo proposito, l'autrice distingue fra off-the-record e on-the-record talk, ossia, fra conversazioni ufficiose e conversazioni ufficiali; nel contesto dell'evento mediato, anche l'interprete un potenziale interlocutore di conversazioni ufficiose che pu cominciare di propria iniziativa (ad esempio per chiedere chiarimenti ad uno dei clienti) o nelle quali pu trovarsi coinvolto per volere di una delle due parti (quando uno dei partecipanti si rivolge direttamente all'interprete dando origine ad uno scambio fra i due che non verr tradotto all'altro partecipante primario). Un'altra dimensione di analisi del comportamento dell'interprete riguarda la dicotomia

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contributo esplicito vs. contributo implicito. Normalmente l'interprete controlla implicitamente lo scambio comunicativo attraverso la propria produzione testuale e attraverso il tipo di interpretazione che produce, cos, implicitamente anche la traiettoria tematica dello scambio risulta condizionata dell'intervento dell'interprete. Esempi di contributi espliciti da parte dell'interprete si hanno, invece, in caso di richieste di chiarimenti e commenti riguardanti l'enunciato del parlante precedente; in questi casi viene prodotta una sequenza monolingue fra l'interprete e uno dei partecipanti primari escludendo temporaneamente l'altro partecipante primario dalla conversazione. L'interprete pu infatti sollecitare uno dei co-interlocutori a fornire meta-commenti in merito al significato di ci che quest'ultimo vuole esprimere, a ci che non ha capito o alle sue intenzioni comunicative. Roy (2000) definisce l'interprete di comunit come un poliziotto della comunicazione (communication cop), in quanto unico individuo bilingue nel contesto enunciativo, l'interprete l'unico partecipante che conosce il ritmo, il tempo e le pause fra le sequenze comunicative delle lingue in oggetto e in definitiva, detiene il ruolo di responsabile della gestione del traffico comunicativo. Anche Wadensj (In Pchhacker e Shlesinger 2002:367-368), riguardo alla complessit del ruolo svolto dall'interprete, conclude:
On a macro-sociological level, there is a duality inherent in the function of a dialogue interpreter already in that she, in a sense, exhibit both service and control. () The Dialogue Interpreter on duty in conversation is constantly confronted with assessing how, and by whom, interlocutors intend their utterances to be understood. In the course of interaction, the Dialogue Interpreter at work, more or less consciously, evaluates interlocutors' speakership and listenership.

Tornando alla teoria di Goffman (1981), possiamo affermare che l'interprete cofautore e co-costruttore del quadro partecipativo dell'evento mediato in quanto condiziona e controlla lo status partecipativo degli interlocutori principali; in altre parole, l'interprete si occupa contemporaneamente di mediare e coordinare la comunicazione fra i parlanti coinvolti. Oltre ai tipi di interpretazione che l'interprete pu deliberatamente scegliere di produrre, un'ulteriore prova della sua visibilit e della sua azione data dal modo col quale i partecipanti primari si rivolgono a quest'ultimo nell'interscambio mediato. Un aspetto rivelatore delle dinamiche interazionali che si sviluppano durante l'evento mediato costituito, infatti, dal modo in cui i partecipanti primari comunicano fra di essi, se cio

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parlano direttamente l'uno all'altro come se non fossero presenti barriere linguistiche fra di loro, oppure se si rivolgono all'interprete sia da un punto di vista paralinguistico (indirizzando lo sguardo e il linguaggio corporale nella sua direzione) che propriamente linguistico (in particolare considerando la deissi personale: pronomi di persona, appellativi, forme verbali). L'analisi della deissi personale fondamentale per comprendere il ruolo dei partecipanti all'evento comunicativo e la loro relativa posizione all'interno dell'interazione. Da una parte il partecipante primario potrebbe dire penso che... oppure, rivolgendosi direttamente all'interprete: Gli riferisca che penso che...; analogamente, l'interprete pu utilizzare la prima persona, fingendo di parlare al posto del parlante primario, oppure rendere il messaggio originale in terza persona, es. ha detto che.... Come afferma Garzone (2003.103), generalmente si pu dire che citare, presentare cio l'enunciato nella stessa forma grammaticale nella quale stato formulato (attraverso il discorso diretto), preferibile rispetto al riportare in quanto permette di prevenire tutte quelle distorsioni che derivano dal trasformare il discorso diretto in discorso indiretto. La letteratura e i codici di condotta professionale esistenti prescrivono l'utilizzo della prima persona singolare nell'interpretazione ma, ancora una volta, la pratica spesso contraddice tale prescrizione, soprattutto nel caso di interpreti che si improvvisano tali, ma anche nel caso di interpreti professionisti quando, per esempio, l'interprete decide di proteggere la propria faccia e distanziarsi da un enunciato potenzialmente conflittuale. Dallo studio che Berk-Seligson (in Pchhacker 2002) ha condotto sull'interpretazione legale (detta anche interpretazione giudiziaria o di tribunale) emerso che la maggior parte dei testimoni che durante il processo depone tramite un interprete, poco dopo l'inizio dello scambio mediato, inizia a rispondere direttamente all'interprete, come se fosse quest'ultimo a porre le domande, piuttosto che rispondere all'avvocato che effettivamente le ha formulate. Questo comportamento si riflette a sua volta in due atteggiamenti frequenti: il primo legato allo sguardo. Nel rispondere alla domanda, infatti, l'interrogato mantiene il contatto visivo non con l'avvocato ma con l'interprete; il secondo riguarda le forme di cortesia linguistica che spesso corrispondono al sesso dell'interprete piuttosto che a quello dell'avvocato. Quest'ultimo caso evidente quando l'interprete donna e l'avvocato uomo, o viceversa. Come puntualizza la studiosa (Ibid.), negli eventi mediati in ambito legale, necessario che l'imputato si rivolga direttamente all'avvocato o al giudice e bisogna evitare che si

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rivolga all'interprete come persona. In ogni caso, di frequente accade l'esatto contrario e nell'eventualit di una discordanza fra il genere utilizzato dall'imputato e quello dell'avvocato che lo interroga, l'interprete ha la possibilit di scegliere fra le seguenti alternative: 1) interpretare letteralmente la forma allocutiva con il rischio di creare qualche imbarazzo; 2) tradurre la forma allocutiva non correttamente ma in modo tale che il genere dell'espressione linguistica corrisponda al sesso dell'avvocato; 3) eliminare la forma allocutiva dall'interpretazione (esempio di zero-rendition); 4) sollevare il problema davanti al giudice o avvocato. Secondo l'analisi di Berk-Seligson (Ibid.2002:281), la seconda e la terza opzione sono le pi frequenti e la discordanza delle forme allocutive nel contesto dell'interazione mediata porterebbe ad alcune conclusioni significative:
even though ideally the interpreter is supposed not to have her own persona in the proceeding, in fact she is spoken to directly by the witnesses () and she often is addressed by lawyers and judges, even though she is there merely to be a medium through which court officials can communicate with the non-English speaking and hearing impaired.

In questo capitolo, abbiamo raccolto gli aspetti salienti della partecipazione attiva dell'interprete all'evento mediato. Partendo dalla metafora meccanicistica dell'interprete come canale comunicativo strumentale alla comunicazione interlinguistica ma invisibile dal punto di vista interazionale, abbiamo poi raccolto i risultati emersi dalle analisi di alcuni fra i maggiori studiosi di questo campo evidenziando quanto il ruolo dell'interprete sia visibile, presente, condizionante, attivo e decisivo nel contesto interazionale. L'interprete presente come persona, come partecipante a tutti gli effetti, nella pratica gode di uno status interazionale estremamente potente, seppur in modo implicito e a volte inconsapevole. L'interpretazione di comunit sulla quale si focalizza il presente lavoro, si svolge in un contesto comunicativo molto interessante dal punto di vista del ruolo detenuto dall'interprete; il contesto istituzionale di riferimento (il tribunale, l'ospedale, l'ufficio immigrazione ecc.) presenta infatti alcune peculiarit rispetto all'asimmetria dei ruoli conversazionali e allo schema interazionale che viene a crearsi. Barlett (1982)9 propone il termine schemata per descrivere l'insieme di conoscenze ed esperienze che l'individuo immagazzina all'interno di strutture mentali le quali determinano le sue aspettative, il suo modo di concepire i ruoli, le responsabilit e
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Barlett, F. C. (1982) Remembering. Cambridge: CUP citato in Knapp et alii. (1987:115)

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le relazioni e attraverso le quali definisce ci che ritiene importante e tipico. Nella comunicazione interlinguistica e interculturale, il rappresentante dell'istituzione e il cliente hanno generalmente schemi di riferimento divergenti e l'interprete assume il ruolo di mediatore o gate-keeper (Erickson and Shultz 1982; Wadensj 1998). Il quadro istituzionale stabilisce a priori cosa ci si attende dall'interazione e cosa o non opportuno fare durante la stessa; in questo contesto, il risultato dell'incontro dipende dal modo in cui la parte di status inferiore (il cliente, paziente, l'immigrato ecc.) padroneggia la forma di comunicazione propria dei contesti istituzionali-burocratici del paese ospitante, ma dipende anche dall'abilit mediatrice dell'interprete e dalla sua capacit e volont di considerare la prospettiva dell'altro. Nel prossimo capitolo, analizzeremo pi dettagliatamente le caratteristiche della conversazione mediata e in particolare della gestione (gate-keeping) conversazionale da parte dell'interprete.

CAPITOLO 3 L'INTERPRETE E LA GESTIONE DELLO SCAMBIO INTERAZIONALE

Come anticipato precedentemente, un aspetto costitutivo dell'evento mediato nell'ambito dei servizi sociali la sua natura dialogica e in questa sezione ci soffermeremo sulle caratteristiche di ci che Mason (1999:147) definisce: interpreter-mediated communication in spontaneous face-to-face interaction. Innanzitutto, opportuno fornire una breve descrizione di ci che si intende per parlato dialogico per poi confrontarlo con un particolare tipo di parlato dialogico che , appunto, quello mediato dall'interpretazione nel contesto dei servizi sociali.

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3.1

La natura dialogica dell'interpretazione di comunit

In primo luogo, il parlato una delle due strategie duso della lingua (Bernardelli / Pellerey 1999:54) insieme alla modalit scritta. Poich la lingua scritta e la lingua parlata vengono impiegate in contesti comunicativi diversi, queste due modalit presentano differenze notevoli. Da una parte, il testo scritto che si fonda su un progetto e su una elaborazione pi accurati, dallaltra, il testo parlato che viene pianificato nel momento stesso dellenunciazione e che, di conseguenza, ricco di pause, segnali discorsivi, riformulazioni, esitazioni e ripetizioni. Carla Bazzanella (1994:14) individua tre macro-tratti situazionali che caratterizzano il parlato canonico: 1. 2. 3. il mezzo fonico-acustico; un contesto extralinguistico comune; la compresenza di parlante e interlocutore/i (ibid.)

Strettamente collegati al tipo di mezzo sono limmediatezza e lirreversibilit del testo parlato; lelaborazione di questultimo avviene in tempo reale e, data la minima possibilit di pianificazione, il discorso viene continuamente modificato rispetto al progetto iniziale, il parlante cio svolge un continuo lavoro di aggiustamento del proprio intervento nel corso del turno. Il testo parlato inoltre irreversibile, non possibile cancellare ci che gi stato pronunciato e lunico escamotage di cui il parlante dispone la ritrattazione (Bernardelli / Pellerey 1999:56). Levento comunicativo, in quanto unico e irripetibile data la sua evanescenza, fa s che lascoltatore non solo non possa valutare con calma e a propria discrezione ci che gi stato detto, ma costringe anche lascoltatore a seguire il ritmo denunciazione selezionato da chi detiene il turno di parola. Il secondo macro-tratto situazionale riguarda la presenza degli interlocutori nel medesimo contesto comunicativo e determina la coincidenza fra tempo di codifica e tempo di ricezione10; la compresenza degli interlocutori (terzo macro-tratto) determina, infine, la possibilit di feed-back, ossia la possibilit del parlante di verificare durante lo svolgersi del proprio turno, la reazione dellinterlocutore che pu dimostrare in vari modi il suo accordo o disaccordo (Bazzanella 1994:20); privilegio questo di cui lautore di un testo scritto non gode, almeno non nelle immediate circostanze dalla produzione testuale. L'evento mediato, nonostante mantenga la struttura dialogica della
Nel caso dell'evento mediato, la coincidenza fra tempo di codifica e tempo di ricezione sar valida per gli scambi monolingui fra partecipante primario e interprete.
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conversazione, presenta alcune caratteristiche divergenti rispetto al parlato dialogico canonico proprio per la presenza dell'interprete che, in linea di principio, occupa ogni turno dopo l'enunciato di uno dei parlanti primari. I partecipanti primari, non parlano direttamente l'uno all'altro ma comunicano tramite l'interprete; questa comunicazione a tre si sviluppa su due livelli e il flusso comunicativo mediato dall'interprete si biforca: da una parte, lo scambio comunicativo professionista-interprete, dall'altra lo scambio cliente-interprete:
although the content of the turn originates from each primary participant, the turns acually takes place between each speaker and the interpreter. The interpreter participates by managing simultaneous talk, pauses and lags, and turn-taking for other turns. (Roy 2000:7)

Come vedremo, l'intervento frapposto dell'interprete si ripercuote sull'immediatezza del parlato dialogico, influenzando il sistema dei turni e la funzione di segnali discorsivi, back-channels ed altri elementi interazionali. Generalmente, l'interprete di comunit produce il proprio turno di interpretazione appena il cliente ha terminato di parlare, poi ascolta l'intervento del secondo cliente e lo traduce al primo. La lunghezza del turno detenuto dal partecipante primario pu variare e non esiste una misura precisa, in ogni caso, il criterio fondamentale quello di consentire ai parlanti di esprimersi liberamente secondo il proprio ritmo e la propria velocit. Nella maggior parte dei casi, ci significa lasciare che i partecipanti completino il proprio commento o la propria domanda senza interruzione e poi interpretare l'enunciato originale con un ritmo solitamente pi veloce rispetto al primo. Come spiega Rudvin (2003:175) a proposito dell'interpretazione fra medico e paziente, la lunghezza dell'enunciato pu essere fortemente condizionata dalla situazione comunicativa stessa:
the length of speech sequence varied greatly, also because the interpreter was sensitive to the patient's reactions/state of mind -i.e. when the patient was crying the interpreter would not interrupt but allow her to finish speaking before translating, so the length of turns was directed by the patient's emotional state, without necessarily being conscious of what she was doing.

In questo caso, Ahlberg11 parla di comunicazione personale , nella quale la gestione del sistema turnazionale dipende ampiamente dalla sensibilit dell'interprete coinvolto. La frammentazione del flusso comunicativo, spezzato pi o meno regolarmente dal
Ahlberg, N., (2000) No five fingers are alike. What exiled Kordish women in therapy told me, Oslo, Solum. Citato in Garzone/Rudvin 2003:175.
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turno di interpretazione, fa s che i partecipanti primari abbiano pi tempo a disposizione per elaborare il proprio intervento; in questo modo viene alterato uno dei tratti tipici del parlato dialogico individuati da Bazzanella (1994), ossia, la mancanza di pianificazione dovuta allo svolgersi della comunicazione in tempo reale. Da un punto di vista temporale, l'immediatezza dello scambio viene meno, si parla appunto di comunicazione mediata dalla presenza dell'interprete e, come scrive Wadensj

(1998:235): primary interlocutors may sometimes utlize the pauses- when the interlocutor talks in the unknown language- to reflect upon how to act next. Gli interlocutori primari, a differenza di quanto accade nella conversazione canonica, non sono costretti a seguire il ritmo d'enunciazione l'uno dell'altro, ma devono adeguarsi al ritmo d'enunciazione del loro interlocutore diretto che l'interprete; come si dir in seguito, anche la possibilit di feedback modificata, e a volte, compromessa, dalla partecipazione dell'interprete. Proseguendo con l'analisi del parlato dialogico; Bazzanella (1994:21-7) associa ai macro-tratti situazionali i corrispettivi linguistici, qui di seguito riassunti. Al mezzo fonico-acustico corrispondono: frammentariet della costruzione del discorso; stile nominale; dislocazioni e topicalizzazioni, frasi scisse; ellissi e brachilogie; prevalenza di paratassi sullipotassi12; cambiamenti di pianificazione autoindotti, anacoluti; bassa coesione testuale; esitazioni, pause; uso di connettivi semantici polivalenti; lessico generico; ripetizioni; segnali discorsivi. Al contesto extra-linguistico comune corrispondono: autocorrezioni; parafrasi; particelle modali o hedges; tendenza alla ridondanza e ampio uso di deittici. Infine, i corrispettivi linguistici del terzo macro-tratto situazionale (compresenza di parlante e interlocutore/i) sono: la deissi (in genere), uso frequente di fatismi; ampio uso di strategie di cortesia; forte presenza di pronomi di prima persona; cambiamenti di pianificazione indotti dallesterno; discorsi simultanei ed interruzioni; segnali discorsivi di conferma o di disconferma; maggior livello di implicitezza. Nel caso della comunicazione dialogica mediata, sono soprattutto i corrispettivi linguistici associati al primo macro-tratto (il mezzo fonico-acustico) a presentare delle discordanze: il turno prodotto dall'interprete risulta essere infatti pi pulito rispetto all'originale, proprio perch ne costituisce una
La prevalenza, nel parlato dialogico, di paratassi sullipotassi un aspetto molto dibattuto; in particolar modo, Miriam Voghera ha dimostrato pi volte che il parlato conversazionale manifesta un grado abbastanza alto di ipotassi e le sue pi recenti conclusioni sono che lopposizione paratassi/ipotassi non un tratto che globalmente differenzia scritto e parlato. Per un approfondimento si rimanda a Voghera (1992).
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riproduzione nella lingua2:


a mediator has to process the turn of a speaker before he or she mediates it. This processing among other psycholinguistic processes may include a reordering of content elements, deletions of elements that are irrelevant for rendering a speaker's communicative intention, e.g. repetitive paraphrases within a turn. (Knapp-Patthoff and Kanpp 1987:195)

Gli aspetti pragmatici, poi, detengono unimportanza particolare nella conversazione, basti pensare agli elementi della deissi e alle presupposizioni e implicature13 (Levinson 1985:289) che derivano dal contesto enunciativo stesso: questo tipo di interazione, che stato definito parlato-parlato, contiene la massima verbalit implicita, vale a dire, gran parte del significato dipende dalla situazione. (Dardano: 1996:203)14 In quanto alla situazione discorsiva, ci sono differenti tassonomie circa le possibili classificazioni delle modalit conversazionali15, Zorzi propone la seguente:
Nellambito della conversazione si possono grossolanamente individuare tre larghe sezioni. Innanzi tutto gli incontri in cui i diritti dei partecipanti sono dati a priori e, in gran parte dipendono dallasimmetria dei ruoli posizionali []. Una seconda sezione riguarda incontri in cui i partecipanti hanno ruoli complementari, ad esempio gli incontri di servizio o le interviste. In questi scambi verbali certi compiti sono determinati a priori []. Questa divisione costitutiva dellincontro stesso, consentendo di identificarlo come tale. Una terza sezione riguarda la conversazione nella sua accezione comune: le quattro chiacchiere informali senza una previa pianificazione degli argomenti da trattare e con pari diritto di intervento dei partecipanti. (Zorzi 1990:7)

La presupposizione un tipo di inferenza pragmatica che, rispetto allimplicatura, sembra dipendere pi strettamente dalleffettiva struttura linguistica delle frasi. (Levinson 1985:175) Secondo la definizione proposta da Givn (1979:50 cit. in Brown / Yule 2001:29): [presupposition is] defined in terms of assumptions the speaker makes about what the hearer is likely to accept without challenge. [T. Givn (1979). On understanding grammar. New York, Academic Press.] La nozione di implicatura, invece, spiega come sia possibile intendere (in senso generale) pi di quanto si dice effettivamente; ad esempio: A: sai che ore sono? B: mah, gi passato il lattaio (Levinson 1985:109) Per un approfondimento si veda H. P., Grice (1975). Logic and conversation. In P. Cole / Morgan, J.L. (1975). Syntax and Semantics 3: Speech Acts. New York, Academic Press, pp. 41-58. 14 M., Dardano (1996). Manualetto di linguistica italiana. Bologna, Zanichelli. 15 De Mauro et alii, come cita Bazzanella (1994:81), individuano cinque gradi di naturalezza: 1) scambio bidirezionale faccia a faccia con presa di parola libera (conversazione in tutte le sue possibili forme); 2) scambio bidirezionale non faccia a faccia con presa di parola libera (conversazioni telefoniche); 3) scambio bidirezionale faccia a faccia con presa di parola non libera (dibattiti, interviste, interrogazioni ecc.); 4) scambio unidirezionale in presenza di destinatario/i (lezioni, conferenze, omelie, comizi ecc.); 5) scambio unidirezionale o bidirezionale a distanza (trasmissioni radiofoniche e televisive). [Tullio De Mauro / Federico Mancini / Massimo Vedovelli / Miriam Voghera (1993). Lessico di frequenza dellitaliano parlato. Milano, Etaslibri]

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Nel prosieguo di questo lavoro osserveremo che il tipo di conversazione ha importanti ripercussioni sul sistema turnazionale e in particolar modo sul sistema di allocazione dei turni di parola; come si pu facilmente intuire lasimmetria dei ruoli posizionali, tipica degli eventi mediati nell'ambito dei servizi sociali, influisce sulla possibilit e sulle modalit di presa del turno, infatti il partecipante che rappresenta l'istituzione la figura che detiene il maggior potere interazionale e, come vedremo, l'interprete gioca un ruolo fondamentale nella regolazione del meccanismo di turnazione. Dalla natura dei ruoli posizionali dipendono i diritti dei partecipanti, vale a dire la possibilit per i partecipanti di prendere iniziative paritarie (il diritto, ad esempio, di fare domande, di scherzare, di interrompere, di cambiare argomento ecc.); si vedr quindi come in una situazione di asimmetria dei ruoli lavvicendamento dei turni segua regole diverse e imponga ai parlanti diritti dintervento non paritari mente l'interprete svolge il ruolo di gate-keeper del flusso comunicativo.

3.2

Lanalisi della conversazione: il metodo

Esistono diversi modelli teorici per affrontare lo studio della conversazione, questi si possono distinguere in due tipi principali: lanalisi del discorso e lanalisi della conversazione. Lapproccio cui si far riferimento in questo lavoro il secondo. Entrambe le analisi mirano a fornire una spiegazione del modo in cui avviene la produzione e la comprensione del discorso, tuttavia differiscono nei metodi adottati che, in gran parte, secondo alcuni autori, risulterebbero incompatibili. Come scrive infatti Levinson, le procedure utilizzate dallanalisi del discorso (AD) sarebbero: a) b) lindividuazione di un insieme di categorie di base o unit del discorso; la formulazione di un insieme di regole di concatenazione che individuano le sequenze ben formate (discorsi coerenti) escludendo quelle male strutturate (discorsi incoerenti). (Levinson 1985:291) doveroso, per, precisare che la descrizione che Levinson d dellAD non condivisa unanimemente, anzi, si tratta di una posizione alquanto controversa; Brown e Yule, analisti del discorso, si dissociano, infatti, da un metodo analitico che escluda aprioristicamente frasi male strutturate e attribuiscono questo modo di procedere alla

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grammatica testuale. I due autori affermano, al contrario:


the analysis of discourse is, necessarily, the analysis of language in use. As such, it cannot be restricted to the description of linguistic forms independent of the purposes of functions which those forms are designed to serve in human affairs. While some linguists may concentrate on determining the formal properties of a language, the discourse analyst is committed to an investigation of what the language is used for. [...] [AD] may be regarded as a set of techniques, rather than a theoretically predetermined system for the writing of linguistic rules. (Brown &Yule 2001:1-23)

Laspetto discriminante tra i due modelli di analisi teorica riguarderebbe, secondo Levinson, limportanza attribuita allintuizione. Mentre lanalisi del discorso (AD) utilizzerebbe la facolt introspettiva come strumento chiave nella valutazione dei fenomeni linguistici, lanalisi della conversazione la eviterebbe scrupolosamente ritenendola in certi casi fuorviante. Lanalisi della conversazione trae origine dalletnometodologia, una scuola sociologica fondata da Harold Garfinkel, autore dellopera Studi etnometodologici (1967) che viene considerata come latto fondante di questa scuola.
L'etnometodologia si fonda sulla nozione che le attivit quotidiane sono rese possibili dalluso di una serie di assunti e convenzioni, assimilabili a dei metodi, che vengono appunto definite etnometodi. Il suo obiettivo fondamentale lo studio del modo in cui i membri della societ attribuiscono un senso a quelle che gli etnometodologi chiamano espressioni indicali, ovvero quelle espressioni il cui significato non universale ma dipende dal contesto in cui vengono usate. Ad esempio nella conversazione quotidiana molti concetti sono sottintesi, come esistesse un tacito accordo, le parole assumono un significato differente a seconda di come sono dette e del contesto in cui sono dette. L'etnometodologia riconosce il fatto che la gente comune cerca di fornire spiegazioni ai fatti sociali proprio come fanno gli scienziati, ovviamente servendosi di un apparato concettuale del tutto diverso. (Grimaldi 2000)

Gli studi di etnometodologia comprendono:


analisi della conversazione studio dell'interazione non verbale osservazione partecipante e non partecipante. (Ibid.)

Lapproccio conversazionalista, adottato da Sacks, Schegloff, Jefferson, Pomerantz ed altri, costituisce un modello rigorosamente empirico nello studio dei dati, questo modo di procedere non ammette dati elicitati o ricostruiti ma considera esclusivamente dati

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autentici16. I metodi utilizzati sono essenzialmente di tipo induttivo, lobiettivo la ricerca di modelli ricorrenti in un corpus sufficientemente ampio e rappresentativo del genere conversazionale. bene precisare, per, che svolgere unanalisi su un corpus che sia il pi ampio possibile non significa avere velleit di completezza ed esaustivit, ma significa, piuttosto, disporre di una raccolta-dati abbastanza ampia da permettere di identificare le propriet sistematiche delloggetto di studio. Non si parte, cio, da una teoria iniziale costruita secondo uno studio di tipo introspettivo-intuitivo, per i conversazionalisti, infatti, la competence chomskiana17, ossia la competenza innata del parlante, non costituisce uno strumento analitico valido e scientificamente attendibile; anzi, spesso limpressione che i parlanti hanno della propria lingua differisce dal modo in cui effettivamente tale lingua si concretizza negli enunciati prodotti dagli stessi parlanti. Lanalisi della conversazione, come gi detto, verte primariamente su dati realmente prodotti, osservabili e non manipolati dal linguista nel tentativo di farli rientrare in determinate tassonomie; una teorizzazione prematura e categorie ad hoc pregiudicano la veridicit degli studi svolti ed questa la ragione per la quale i teorici dellAC evitano teorie che non siano supportate da dati reali. Lobiettivo centrale delle ricerche che utilizzano lapproccio conversazionalista la descrizione e la spiegazione delle competenze che i partecipanti alla conversazione utilizzano durante lo svolgersi dellevento comunicativo. Un altro concetto portante dellanalisi della conversazione , a questo proposito, ladozione della cosiddetta prospettiva del partecipante, ossia:
Da un lato il valore di un enunciato ratificato dalla reazione del co-partecipante, che ne seleziona uno dei significati possibili e a questo - e solo a questo- reagisce, dimostrando cos la sua comprensione e, insieme, rassicurando il primo parlante dellefficacia del suo contributo; dallaltro chi parla disegna il suo discorso tenendo conto del ricevente. (Zorzi 1990:7)

Levinson, in merito al modello conversazionalista, scrive: si presta poca attenzione alla natura del contesto cos come potrebbe essere concepito teoricamente in sociolinguistica o nella psicologia sociale (ad esempio, se i partecipanti siano amici o lontani conoscenti, se appartengano ad un certo gruppo sociale, se il contesto sia formale o informale, ecc.) [] limportanza di questi fattori non negata a priori: semplicemente, non presunta. Se possibile dimostrare in modo rigoroso che i partecipanti utilizzano queste categorie nella produzione di una conversazione, allora possiamo sostenere che rivestano un interesse per lAC. (Levinson 1985:299) 17 Per competence Chomsky intende la consapevolezza interiorizzata che ogni parlante ha della propria lingua. Actual speech behaviour, speech performance, for him (Chomsky) is only the top of a large iceberg of linguistic competence distorted in its shape by many factors irrelevant to linguistics. La citazione tratta da: J. R. Searle (1972). Chomskys revolution in linguistics. The New York Review of Books. June, 29 (1972), pp. 60-1.

16

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I primi analisti della conversazione sono quindi i partecipanti stessi che, una volta identificata la strategia dellinterlocutore, sono in grado di coordinarsi a questa e di continuare congiuntamente lo sviluppo dellinterazione. Le conversazioni, anche quelle pi informali, sono altamente strutturate e in modo niente affatto casuale: le regole di interazione (es. distanza fisica tra i soggetti, volume di voce, turni di parola, frasi standard che aprono e chiudono la conversazione) sono numerose e le persone vi aderiscono senza accorgersene. Gli etnometodologi osservano e classificano il comportamento esterno (cio che pu essere osservato direttamente) e inferiscono lesistenza delle regole che causano le regolarit comportamentali, nel contesto di ciascuna situazione specifica. La scelta del metodo da adottare rappresenta un tema alquanto dibattuto, gli analisti del discorso possono accusare i teorici dellAC di essere poco chiari nelluso delle categorie concettuali e di non prestare la necessaria attenzione ai fattori contestuali dell'interazione; daltra parte, questi ultimi possono opporre ai teorici dellAD (cos come connotati da Levinson) il pericolo che uneccessiva preoccupazione per la costruzione di teorie aprioristiche porti a sottostimare i dati empirici; il dibattito rimane aperto. Cynthia Roy nel suo libro Interpreting as discourse process (2000:9-10) afferma:
discourse is language as it is actually uttered by people engaged in social interaction to accomplish a goal. My use of the concept is that developed in linguistics where a central goal of most discourse approches is to discover and demonstrate how participants in a conversation make sense of what is going on within the social and cultural context of face-to-face interaction.

3.3

L'interprete e l'avvicendamento dei turni di parola

In questa sezione intendo riassumere in termini generali come avviene lorganizzazione sequenziale della conversazione e, lalternanza dei turni costituisce, in merito, uno degli aspetti pi interessanti, soprattutto se si vuole indagare il ruolo dell'interprete nel dialogo fra i partecipanti primari. Come descrive Roy (2000:36): turn-taking in interpreting has unique and complex features that actively involve the interpreter in organizing, managing, constraining and directing the flow of talk. Innanzitutto necessario entrare nella prospettiva della co-produzione dellevento interazionale:

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parlante e interlocutore/i, cio, collaborano attivamente alla produzione congiunta della conversazione. Il prodotto dellinterazione frutto non solo della collaborazione ma anche della negoziazione del messaggio linguistico fra i partecipanti; il sistema di turnazione rappresenta, come vedremo, un elemento importante per comprendere la costruzione dellevento stesso. Ad una prima riflessione si pu ritenere che durante linterazione fra due interlocutori un partecipante A parla, poi si ferma; un altro, B, comincia, parla, si ferma; in questo modo la distribuzione del discorso fra i due interlocutori sar del tipo: A-B-A-B-A-B. Nel caso della comunicazione mediata lo schema sar del tipo: A-C-B-C-A-C-B-C. Ad unanalisi pi approfondita di tale

meccanismo di alternanza ci si rende conto, tuttavia, che il fenomeno tuttaltro che banale. Come afferma Sacks (2007:63) ci sono due regole di base nel processo conversazionale: 6) in una singola conversazione vi almeno uno e non pi di un partecipante che parla per volta; 7) in una singola conversazione il parlante cambia.

Ora, com possibile che al verificarsi della seconda caratteristica venga mantenuta la prima?
The question is, then, how does it happen that when somebody stops - though the notion stop is clearly a very problematic kind of notion- somebody starts up. And only one starts up. That is to say, on the one hand, people dont start up talking just anywhere in that talk of others. And on the other, if conversations take place with more than two people present, then theres a question as to how it could happen that at each given point somebody stops and somebody starts up, only one starts up. (Sacks 1992:32)

Ovviamente esistono situazioni in cui accade che pi di un parlante prenda la parola nello stesso momento e che ci sia quindi pi di un parlante per volta, cos come si possono verificare situazioni di silenzio; un altro fattore determinante quello culturale, in alcune culture l'ordinata alternanza dei turni la regola, come nel caso delle culture anglo-americane di cui Wierzbicka (1991:80)18 descrive il modello turnazionale nel seguente modo:
SOMEONE IS SAYING SOMETHING NOW
18

Wierzbicka, A. (1991) Cross-cultural pragmatics. The semantics of human interaction, Berlin: Mouton. Citato in Garzone 2003:71-72.

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I CAN'T SAY SOMETHING AT THE SAME TIME I CAN SAY SOMETHING AFTER THIS

In altre culture, invece, il sistema dei turni maggiormente soggetto a comportamenti di tipo competitivo e vi una pi alta frequenza di interruzioni e sovrapposizioni secondo lo schema (Ibid.):
YOU SAID SOMETHING NOW I WANT TO SAY WHAT I THINK ABOUT THIS I WANT TO SAY IT NOW

Garzone (2003:72) osserva che, durante l'interazione mediata, tali divergenze culturali possono emergere in maniera problematica, in questo caso, compito dell'interprete professionista riuscire a supplire a queste differenze attraverso la gestione del sistema turnazionale. Nella conversazione si pu individuare una classe di luoghi nei quali le due caratteristiche di fondo descritte da Sacks (1992) risultano particolarmente problematiche. Questi luoghi sono detti punti di transizione o punti di rilevanza transizionale (PRT), definiti in termini sintattici e intonativi19. Nel PRT intervengono le regole per il passaggio del turno da un parlante allaltro, questo non significa per che in quel punto il parlante debba necessariamente cambiare, ma solo che tale passaggio pu verificarsi. Il cambio ordinato del turno visto come gestito attivamente dai partecipanti che collaborano a costruire unit di discorso al termine delle quali appropriato il cambio. Sacks et alii20 (cit. in Zorzi 1990:15) distinguono due parti: la componente costitutiva del turno e la componente allocativa. Le unit sulle quali opera il sistema turnazionale sono determinate da vari tratti della struttura linguistica superficiale: sono unit sintattiche (frasi, proposizioni, sintagmi nominali, ecc.) parzialmente identificate come unit di turno da strumenti prosodici e, soprattutto, intonazionali (Levinson 1985:301). Una volta che il parlante di turno inizia il proprio intervento dovrebbe essere possibile per lascoltatore prevedere quali unit il parlante ha intenzione di utilizzare
Allinterno di un discorso pi largo, che comprende tutto il comportamento del parlante (e non solo quello verbale), Duncan (1973:37) ha identificato sei elementi che funzionano come segnali indicanti la fine del turno in atto : intonazione discendente; allungamento della sillaba finale; termine dei gesti delle mani; sequenze sociocentriche, tipo but uh, or something, you know; diminuzione del volume della voce in concomitanza delle sequenze sociocentriche; completamento dellunit sintattica. (Zorzi 1990:56) [S. Duncan (1973). Some signals and rules for taking speaker turns in conversations, in non-verbal communication. New York, Oxford University Press.] 20 Herbert Sacks / Emanuel A. Schegloff / Gail Jefferson (1974). A simplest systematics for the organization of turn-taking in conversation. Language, 50, 4, pp. 696-735.
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cos da capire quando lespressione completa. In altre parole, sembra che il parlante, fin dalle prime parole, possa far comprendere allascoltatore con quale unit sintattica si accinge a formare il proprio turno. Al punto di completamento, PRT, possibile il passaggio della parola secondo le seguenti regole (Sacks et alii 1974 cit. in Levinson 1985:302) in cui P la persona che detiene il turno e S il parlante successivo:
Regola 1: si applica inizialmente al primo PRT di ogni turno a) Se P seleziona S nel corso del suo turno, deve smettere di parlare e far proseguire S; il passaggio avviene al primo PRT dopo la selezione di S; b) Se P non seleziona S, un altro partecipante qualsiasi pu auto-selezionarsi; il primo che parla conquista il diritto al turno successivo; c) Se P non ha selezionato S e nessun altro si auto-seleziona, P pu (ma non necessario che lo faccia) continuare a parlare (pu, cio, reclamare il diritto ad unulteriore unit di turno).21 Regola 2: si applica a tutti i PRT successivi: Quando P ha applicato la regola (1c) si possono applicare le regole (1a-c) ai PTR successivi in modo ricorsivo, finch non si effettua il cambio di parola.

In merito all'interazione mediata, balza immediatamente all'occhio che tali regole per il passaggio del turno risultano in parte sospese; data la barriera linguistica che divide i partecipanti primari; questi ultimi per comunicare devono ricorrere all'interprete, quindi, nonostante l'enunciato originale sia rivolto al co-interlocutore primario selezionato, sar in ogni caso l'interprete a detenere il turno di parola successivo per rendere il messaggio dalla lingua1 alla lingua2; in altre parole, l'interprete che si occupa della gestione e della allocazione dei turni conversazionali. Inoltre, si pu affermare che, almeno in linea teorica, l'individuazione del PRT palesata dal fatto che i partecipanti primari segmentano il proprio intervento per consentirne l'interpretazione. Questa

frammentazione del flusso comunicativo introduce un certo grado di artificialit nella conversazione fra i partecipanti primari che comunicano indirettamente fra di loro, infatti, come spiegano Gentile et alii. (1996:42):
Ideally, the parties should speak in as natural a way as possible, as if they are communicating with each other in the same language. In reality people sometimes find that the very presence of an interpreter creates stress, which affect the way they speak or address each other.

Data la flessibilit delle unit sintattiche costitutive dei turni e i modi di proseguire consentiti dalla regola (1c), non ci sono limiti rigidi per lestensione temporale del turno. (Levinson 1985:303)

21

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La comunicazione interpretata introduce un certo grado di artificialit nell'interazione fra i parlanti primari; come spiega Roy (2000:67), molti dibattiti accademici, libri, saggi e pamphlet scritti sul tema dell'interpretazione presuppongono implicitamente che, se i partecipanti primari parlano e rispondono reciprocamente, allora gli interpreti dovrebbero dar loro l'illusione di comunicare direttamente l'uno con l'altro; sebbene, a volte possibile che i partecipanti abbiano l'impressione di parlarsi direttamente, la realt non questa. I partecipanti primari comunicano sempre ed inevitabilmente con l'interprete. Nonostante la comunicazione sia rivolta all'altro interlocutore principale, spesso accadere infatti, come descritto nello studio di Berk-Seligson riportato precedentemente, che i partecipanti primari parlino e mantengano il contatto visivo con l'interprete piuttosto che con l'altro interlocutore principale; di conseguenza anche le forme pronominali della deissi personale risultano sfasate e l'altro partecipante primario non pi il tu rispetto a chi parla ma diventa lui/lei mentre l'interprete stesso viene promosso al ruolo di interlocutore diretto. Secondo l'analisi di Wadensj (1998:234), le caratteristiche inerenti all'evento mediato che divergono dalla tradizionale conversazione monolingue e che costituiscono potenziali fonti di problemi sono:
the non-standard turn-taking and the fragmentation of discourse; the non-standard back-channeling; the non-standard dependence on a mediator's understanding, or, seen from the point of view of the person in the middle; the non-standard position of understanding on other's behalf and of understanding other' (mis)understandings

Il fatto che ogni turno, almeno in linea di principio, sia seguito dal turno di interpretazione, pone l'interprete al centro dell'intero sistema di alternanza dei turni e limita lo spazio interazionale di ogni partecipante; chi parla, infatti, non pu occupare uno spazio interazionale a propria discrezione, ma deve tener conto della capacit mnemonica dell'interprete che, ovviamente, non illimitata. Come nota Wadensj (Ibid.), a volte pu accadere che la segmentazione del messaggio in pi parti inframezzate dai turni di interpretazione possa compromettere la coesione del messaggio; inoltre, al termine del turno prodotto dall'interprete, l'altro partecipante primario potrebbe auto-selezionarsi e assumere il controllo dell'interazione anche se il

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parlante iniziale non intendeva cedere il turno. La necessit di interrompere l'enunciato dopo periodi pi o meno lunghi per consentirne la traduzione, implica infatti la possibilit di perdere il turno di parola proprio perch al termine del turno di interpretazione si viene a creare un PRT. Ci che risulta da quanto detto finora che lavvicendamento dei turni richiede un complesso meccanismo di coordinazione fra i partecipanti i quali, lo ribadiamo, cooperano attivamente allo sviluppo dellinterazione e richiede inoltre un notevole sforzo di coordinazione da parte dell'interprete. Nei casi in cui il numero dei partecipanti alla conversazione aumenta (almeno quattro parlanti), lo sforzo di coordinazione richiesto per un avvicendamento ordinato maggiore, la regola base del si parla uno alla volta, infatti, rimane invariata; ci che potremmo avere semmai che si producano pi conversazioni parallele (Sacks 2007:66). Infine bisogna tener presente che il meccanismo che regola lavvicendamento dei turni un insieme di regole con opzioni prevedibili che, come abbiamo visto, operano turno per turno, si pu quindi parlare di sistema a gestione locale. Nessuno dei partecipanti escluso a priori dalla conversazione e, daltra parte, non si ha un elenco preordinato dei turni che si susseguiranno durante la scambio interazionale. Il passaggio della parola opera turno per turno e questo fa s che ogni partecipante sia tenuto a seguire la conversazione in quanto potenzialmente selezionabile per il turno successivo. Nello studio condotto da Roy (2000) sull'incontro mediato fra una professoressa universitaria e uno studente non udente, l'autrice individua quattro categorie di turni che sono estendibili agli eventi mediati in generale: turni regolari, turni che nascono da pause o ritardi, turni iniziati dall'interprete e turni sovrapposti. I turni regolari, detti anche passaggi dolci (smooth transitions), assomigliano ai turni regolari nella normale conversazione faccia a faccia:
it is accomplished in the same language at a typical turn transition, a failing intonation indicating a stop. It is accomplished quickly with relative smoothness and without hesitations, lenghty pauses, or outward indications of a kink in the interactional rhythm. This is a regular turn. (Roy 2000:70)

Il turno regolare cos chiamato proprio perch costituisce un passaggio che avviene con facilit e naturalezza; diverso il caso dei turni che nascono intorno a pause, ritardi o silenzi. Un particolare tipo di silenzio, tipico della conversazione mediata, il silenzio che si produce mentre i partecipanti ascoltano (o guardano nel caso della lingua dei segni) il turno di interpretazione. Il grado di tolleranza rispetto alla lunghezza di una

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sequenza silenziosa dipende dallo stile conversazionale di un individuo; il silenzio, comunque, crea un'opportunit per i partecipanti di appropriarsi del turno ed iniziare a parlare. Roy (Ibid.) distingue fra ritardi regolari (regular lags) e ritardi lunghi (lengthy lags); i ritardi regolari si possono trovare in due punti:
one instance occurs at the beginning of a speaker's talk whereby an interpreter does not begin to interpret immediately but starts a few moments later. Another instance occurs when one speaker's stream of talk ends, the interpretation continues, and then stops (Roy 2000:76)

Il ritardo regolare corrisponde alla percezione di ritardo accettabile dei partecipanti nell'attesa di ricevere il messaggio interpretato; il ritardo, invece, pu essere percepito come troppo lungo quando uno dei partecipanti ritiene che il tempo di verbalizzazione del messaggio in lingua2, o il tempo di silenzio, sia eccessivo e quindi reagisce e verbalmente e/o non verbalmente. Questo tipo di ritardo produce generalmente due effetti: o il partecipante a disagio riprende la parola, oppure manifesta il proprio disagio attraverso il linguaggio del corpo mentre resta in attesa. Come argomentano Gentile et alii. (1996:36): these pauses, while inevitable, work against a constant and focused flow of communication. Il tempo necessario all'interpretazione pu quindi produrre un effetto di distorsione, il cliente pu pensare che la risposta non sia connessa alla sua domanda e pu chiedersi se tale discrepanza nasca dal prestazione dell'interprete o si debba attribuire all'altro partecipante. Nonostante questi potenziali fattori di minaccia della comunicazione, un punto importante evidenziato da Roy che, durante l'interazione interpretata, i partecipanti imparano a gestire e ad interagire nel quadro dell'evento mediato:
primary speakers who lack experience with interpreters seem to learn about interpreted interaction as they progress through a meeting. (...) In this meeting, the Professor learns how interpreted conversations proceed so that her tolerance for lag and her wait for a response grow, gradually increasing in length. (Roy 2000:80)

Un altro tipo di turno, poi, quello iniziato dall'interprete. Nella gestione del sistema turnazionale l'interprete si occupa dell'allocazione del turno di parola ai partecipanti primari e questo costituisce l'intervento principale dell'interprete nel sistema di alternanza dei turni. Ci sono per altri esempi in cui il turno nasce dall'iniziativa dell'interprete: il primo il turno offerto dall'interprete ad un partecipante che ha segnalato il proprio desiderio di dire qualcosa, un particolare interessante che per

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offrire un turno l'interprete deve a sua volta occuparne uno, segno della complessit del sistema interazionale. L'interprete, inoltre, pu anche prendere il turno per sollecitare o favorire l'intervento di uno dei partecipanti; Roy (2000) esaminando la registrazione dell'evento mediato, osserva che ad un certo momento la comunicazione arriva ad un punto di stallo e l'interprete esorta lo studente a dire qualcosa attraverso un semplice gesto (l'interprete apre la mano e si sporge lievemente in avanti guardando il ragazzo). Con questo gesto, cio attraverso il comportamento non verbale, l'interprete influenza sia la direzione che il risultato dell'evento comunicativo; d'altra parte, lo studente riconosce l'indizio paralinguistico dell'interprete ed inizia a parlare. In questo caso: the interpreter takes a self-motivated turn and influences the outcome of the interaction () he has assisted the student in behaving appropriately during this interaction (Roy 2000:98). Ancora una volta, l'interprete emerge come figura di primo piano, non solo come tecnico della lingua, ma anche come gestore/direttore della comunicazione stessa. Infine, un ulteriore tipo di turno ricorrente durante lo scambio conversazionale il turno sovrapposto. A questo proposito, bene fare una distinzione preliminare fra sovrapposizione ed interruzione: la prima descrive un momento nel quale due o pi partecipanti parlano contemporaneamente; la seconda riguarda invece la percezione dei partecipanti rispetto ai diritti e doveri conversazionali di ogni individuo (determinata dalla lunghezza, dall'effetto e dal punto in cui si interrompe), la sovrapposizione, quindi, non necessariamente considerata interruzione. A quest'ultimo tipo di turno, data la sua frequenza e ricchezza di sfumature, nonch risvolti interazionali, dedicheremo la prossima sezione.

3.4

Le interruzioni

Un altro meccanismo cui i parlanti ricorrono pi o meno inconsapevolmente, ma che in realt regolato da un insieme di norme riconosciute, quello delle interruzioni. A prescindere dal disordine apparente che interruzioni e sovrapposizioni fra i parlanti possono portare nel sistema di turnazione, contravvenendo alla regola basilare del si parla uno alla volta, vedremo invece come esse contribuiscono a confermare la validit di certe norme conversazionali. Tali disfluenze dellevento interazionale sono spesso

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ritenute devianti dal normale andamento della conversazione, sono cio considerate eccezioni, eventi unitari, errori casuali dei parlanti; al contrario, la regolarit con la quale tali deviazioni si manifestano permette di riconoscerle come strategie conversazionali che i parlanti utilizzano per il conseguimento di determinati effetti comunicativi. Questi intoppi della comunicazione costituiscono una fonte di verifica delle strategie seguite, cio implicitamente riconosciute dai parlanti, perch si presentano quando lorganizzazione ipotizzata non opera nel modo previsto. Si crea quindi un problema che i partecipanti devono risolvere o ponendovi un rimedio o traendo forti inferenze dallassenza del comportamento atteso. In questo modo le regole della conversazione vengono ribadite e rafforzate, in alcuni casi linfrazione di una regola viene marcata con un intervento del tipo: Sto parlando io! Lasciami finire! che ne palesa lesistenza. Definire cosa intendiamo con il termine interruzione non affatto semplice contrariamente alla familiarit che il parlante comune percepisce nel suo utilizzo. Studiosi di diverse aree hanno tentato in vari modi di precisare la natura concettuale di questa parola; Zorzi raggruppa i molteplici punti di vista in due macro-categorie: gli approcci psicologici e gli approcci descrittivi. I primi provengono dallambito della psicologia sociale e, per quanto eterogenei, possono essere accomunati per due aspetti:
non affrontano il problema definitorio delle interruzioni, usando perlopi il termine nellaccezione comune, con il rischio - ovvio- di mescolare fenomeni diversi; collegano le interruzioni a un certo numero di variabili sociali e individuali (sesso, ruolo sociale, intelligenza, caratteristiche della personalit, ecc.) con particolare attenzione al rapporto interruzioni/potere. [] Un limite dellapproccio, per quanto interessante, lindefinitezza di categorie concettuali quali intelligenza, loquacit, aggressivit, fiducia in se stessi, ecc., inoltre questo approccio non aiuta a distinguere n i vari tipi di parlato simultaneo, n tanto meno, a collegarli ad altri aspetti dello scambio verbale22. (Zorzi 1990:85)

Gli approcci descrittivi si differenziano da quelli psicologici perch partono da criteri oggettivi per distinguere fra interruzioni e sovrapposizioni, mirano cio a rintracciare delle regolarit, dei meccanismi ricorrenti che possano fungere da discriminanti nellanalisi dei vari fenomeni. Si individuano cos tre diversi parametri: a)
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il tempo;

Zorzi (1990:85) riporta alcuni risultati: gli uomini interrompono pi delle donne; le donne pi sicure di s interrompono quelle meno sicure; la frequenza delle interruzioni inversamente proporzionale allansiet sociale e direttamente proporzionale alla disponibilit e alla loquacit dellinterlocutore.

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b) c)

leffetto che ha la sovrapposizione sul turno del primo parlante; la posizione dellinterruzione allinterno dellintera sequenza.

Il criterio preso in considerazione per quanto riguarda il tempo la lunghezza della sovrapposizione; in seguito alla misurazione acustica di questi fenomeni si definisce sovrapposizione involontaria ogni parlato simultaneo che dura una parola mentre stringhe pi lunghe di parlato sovrapposto si classificano come interruzioni.23 Riguardo alleffetto che linterruzione produce sul turno del primo parlante, si fa una distinzione fra le interruzioni che hanno successo, ossia quelle in cui chi interrompe impedisce al primo parlante di completare il proprio turno, e quelle che non hanno successo, cio quelle in cui chi interrompe non riesce a portare avanti il suo discorso prima che laltro abbia terminato. Il terzo parametro riguarda la posizione dellinterruzione, ci che interessa non tanto leffetto della sovrapposizione/interruzione sul primo turno quanto il luogo in cui inizia la sovrapposizione.
By overlap we tend to mean talk by more than a speaker at a time which has involved a second one to speak given that a first was already speaking, the second one has projected his talk to begin at a possible completion point of the prior speakers talk. If thats apparently the case, if for example, his start is in the environment of what could have been a completion point of the prior speakers turn, then we speak of it as an overlap. If its projected to begin in the middle of a point that is in no way a possible completion point for the turn, then we speak of it as an interruption. (Schegloff 1978, cit. In Zorzi 1990:87)24

La distinzione fra sovrapposizione ed interruzione quindi data dal quando il turno del secondo parlante inizia rispetto al turno del primo, in questo modo il punto di rilevanza transizionale diventa determinante per il riconoscimento delluna o dellaltra. Ricapitolando, il secondo parametro definisce il termine sovrapposizione in rapporto alleffetto che il turno interrompente ha sul turno del primo parlante, mentre il terzo parametro lo definisce in base al momento in cui interviene il secondo parlante. Il discorso simultaneo (DS) si produce quando due o pi interlocutori parlano

Questo studio stato condotto da Zimmerman e West nel 1975 (cit. in Zorzi 1990:85). Per un approfondimento si veda: D. Zimmerman / C. West (1975). Sex role, interruptions and silence in conversation. In B. Thorne / N. Henley (eds.). Language and sex. Rowley MA, Newbury House, pp. 29105. 24 E. Schegloff (1978). On some questions and ambiguities in conversation. In W. U. Dressler (ed.). Current trend in textlinguistics. Berlino, De Gruyter, pp. 81-102.

23

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contemporaneamente; la lunghezza del discorso simultaneo varia da una sola parola ad un enunciato intero. Spesso il DS riguarda semplicemente una interiezione, come nel caso dei back-channels (ad esempio: mmh, s s, esatto, vero). Nel contesto dell'evento mediato, le interruzioni si inseriscono in un quadro interazionale reso ancor pi complesso dalla la natura mediata della comunicazione. Innanzitutto, avendo ribadito lo status partecipativo dell'interprete, ragionevole aspettarsi che anche quest'ultimo produca dei turni interrompenti e la realt dell'interpretazione lo dimostra con una certa frequenza. I motivi pi ricorrenti di interruzione da parte dell'interprete sono perlopi due: la richiesta di spiegazioni e chiarimenti ai partecipanti primari, e la necessit di reclamare il proprio spazio per l'interpretazione del messaggio. Una delle caratteristiche che Wadensj (1998:234) ha descritto come potenziale trouble source, gi citata in precedenza, : the nonstandard dependence on mediator's understanding. La comprensione del messaggio originale non solo il primo passo nel processo interpretativo ma ne costituisce anche un momento cruciale; ovviamente, prima di interpretare fondamentale che l'interprete abbia capito l'enunciato del partecipante primario. Come avvertono Gentile et alii. (1996:45): it is far worse to misinterpret or distort the meaning because a necessary clarification or explanation was not sought than to interrupt the flow of the interview in order to seek such clarification/explanation. Gli stessi autori spiegano che, in genere, le persone che sono solite lavorare con l'affiancamento di un interprete, considerano interruzioni di questo tipo da parte dell'interprete come indice di professionalit e preoccupazione per il successo della comunicazione, non attribuiscono cio tali richieste di spiegazioni all'incompetenza di quest'ultimo. Una variabile che influisce sul grado di flessibilit e accettazione di un'interruzione di chiarimento il tipo di contesto nel quale si svolge l'interpretazione; Hale (2007) fa notare che l'atmosfera privata, informale e rilassata del consulto medico, per esempio, favorisce la richiesta di ripetizione o di chiarimento da parte dell'interprete in caso di fraintendimenti o ambiguit, permettendogli, ci nonostante, di mantenere un certo distacco professionale e fornendo un'interpretazione accurata. Mentre in ambito processuale o investigativo si utilizzano strategie inquisitorie che rendono l'interrogatorio volutamente insidioso, l'obiettivo del medico quello di essere il pi chiaro possibile e preciso con il paziente; in questo caso l'interprete pu quindi trarre vantaggio dallo scopo dell'interazione e, se necessario,

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richiedere le dovute delucidazioni. La seconda situazione principale di interruzione opportuna da parte dell'interprete si ha, invece, quando uno dei partecipanti parla per un lasso di tempo troppo esteso (relativamente alla capacit mnemonica dell'interprete). In questo caso l'interruzione appropriata; ricordiamo, infatti, che l'interprete deve gestire sequenze logiche e sintattiche spesso complesse, oltre a padroneggiare due sistemi linguistici e culturali diversi. Cos, quando l'interprete si trova a dover immagazzinare tutta in una volta una quantit eccessiva di informazione, bene che interrompa il parlante di turno per segnalare l'esigenza di frammentare l'enunciato e permetterne l'interpretazione. L'interruzione, in ogni modo, non deve essere n troppo brusca n troppo timida:
The interpreter does not abruptly stop a speaker mid-sentence because he/she thinks that's enough. On the other hand, if out of excessive politeness or timidity the interpreter allows any speaker to go and on, there are two possible outcomes, both negative in terms of the objectives of the interview. Either the segment will be abbreviated or summarised, or the interpreter will ask the speaker to repeat the whole thing. (Gentile et alii. 1996:46)

Per quanto concerne, poi, le interruzioni prodotte dai partecipanti primari nel corso dello scambio interazionale, utilizziamo la classificazione proposta da Bazzanella (1994:175181) la quale prende in considerazione tre variabili: - il discorso simultaneo (DS); - il completamento dellenunciato da parte del primo parlante (CE); - lottenimento del cambio di turno da parte di chi interrompe (CT). Dallincrocio di queste variabili Bazzanella (1994) individua cos vari tipi di interruzione: Interruzione semplice (I), caratterizzata dalla presenza di DS, dallottenimento

del cambio di turno da parte di B, e dal non completamento dellenunciato di A. Back-channel (BC) e Interruzione vana (IV), entrambi caratterizzati dalla

presenza di DS, dallassenza di cambio di turno da parte di B, e dal non completamento dellenunciato di A. Mentre per i back-channels sono prodotti senza lintenzione di prendere il turno, e quindi lassenza di cambio di turno da parte di B del tutto prevedibile, nel caso dellinterruzione vana lassenza di cambio di turno da parte di B un insuccesso, in quanto il cambio era stato tentato intenzionalmente. Interruzione silenziosa (IS), caratterizzata da assenza di DS, linterlocutore

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prende il turno senza che il parlante di turno abbia terminato il suo enunciato (perch si trova in un momento di difficolt, o nella pianificazione del discorso, o nella ricerca di un termine che gli sfugge), approfittando cos del silenzio altrui (sovente anche per supportarlo). Suggerimenti lessicali (SL), come linterruzione silenziosa, si trovano nel caso

di assenza di DS e di assenza di completamento dellenunciato, ma non ricercano (e conseguentemente non ottengono) il cambio di turno. Anche in quest'occasione, dobbiamo ricordare che mentre nella conversazione canonica A e B sono i due co-interlocutori che parlano direttamente l'uno all'altro, nella comunicazione mediata avremo A, B e C e con maggiori probabilit linterruzione evverr nello scambio monolingue fra uno dei parteciapnti principali e l'interprete; raramente infatti si dar il caso che un partecipante interrompa l'altro partecipante primario, proprio per la mancanza di comprensione o inintelligibilit del messaggio fra due parlanti di lingue diverse. I tipi di interruzione cos classificati da Bazzanella, trasposti all'ambito dell'interpretazione, riguarderanno soprattutto lo scambio fra interprete e partecipante primario e, in maniera abbastanza prevedibile, il soggetto che pi di ogni altro sar sottoposto ad interruzioni e sovrapposizioni nel corso dell'evento mediato sar l'interprete. Garzone (2003:102) sostiene che i motivi alla base di questa frequenza di interruzioni rivolte al turno dell'interprete si possono spiegare sotto vari punti di vista: il primo riguarda il supposto status inferiore dell'interprete all'interno dell'interazione; il secondo riguarda la sua non autonomia come interlocutore, avendo la funzione di rendere comprensibile il messaggio fra i due (o pi) interlocutori principali. In questo modo, non appena il partecipante ritiene di aver capito il contenuto dell'interpretazione, abbastanza naturale che questo voglia rispondere

immediatamente, anche se il turno dell'interprete non ancora stato completato. Come emerge dall'analisi di Roy (2000), invece abbastanza frequente che si sovrappongano pi parlanti contemporaneamente; come abbiamo detto la

sovrapposizione ha un impatto diverso rispetto all'interruzione vera e propria riguardo ai parametri di tempo, effetto sul turno del primo parlante e posizione all'interno della sequenza enunciativa. Se due parlanti iniziano un turno nello stesso momento e si sovrappongo al turno di interpretazione che l'interprete sta ancora elaborando (quindi ci sono tre parlanti sovrapposti), quali sono le alternative a disposizione dell'interprete per

70

poter gestire la comunicazione? Roy (2000:85) individua quattro opzioni principali:


1)

l'interprete pu fermare uno dei parlanti (o entrambi) e permettere all'altro di

continuare. Se l'interprete blocca entrambi, o l'interprete indica chi dei due pu prendere la parola, oppure uno dei due seleziona il parlante successivo.
2)

L'interprete pu momentaneamente ignorare il turno sovrapposto di un

partecipante, memorizzare il segmento, continuare il turno di interpretazione rivolto all'altro partecipante e poi produrre la sequenza conservata in memoria subito dopo la fine del turno. Questa possibilit dipende dall'abilit mnemonica dell'interprete e dal giudizio dell'interprete riguardo all'importanza o all'impatto del segmento enunciativo lasciato in sospeso.
3) 4)

L'interprete pu ignorare totalmente l'enunciato sovrapposto l'interprete pu momentaneamente ignorare l'enunciato sovrapposto e dopo aver

terminato l'interpretazione per un partecipante pu offrire il turno successivo all'altro o pu indicare in qualche modo che il turno stato violato. Riguardo alla prima alternativa, l'interprete non solo chiamato ad agire nell'arco di qualche frazione di secondo, ma deve anche considerare una molteplicit di fattori: l'importanza del messaggio, le relazioni fra i parlanti e lo status relativo. Roy (Ibid.) indica inoltre l'importanza dei cosiddetti segnali di contestualizzazione

(contestualization cues) sottolineati soprattutto da elementi prosodici, che possono indicare l'importanza del frammento sovrapposto e indirizzare l'interprete verso l'opzione pi adeguata. Nel caso in cui l'interprete decida di ignorare momentaneamente l'enunciato sovrapposto e trattenerlo nella memoria possiamo identificare tre situazioni: l'interprete ritiene che quel segmento non sia cruciale al momento; il segmento sovrapposto breve, semplice e facile da ricordare; oppure, l'interprete prevede che uno dei parlanti sta terminando o in procinto di terminare il proprio turno. L'autrice individua inoltre due tipi di enunciati sovrapposti che possono essere ignorati dall'interprete senza influenzare il risultato comunicativo in maniera rilevante. Il primo dato dai cosiddetti back-channels o fatismi che servono per confermare l'attenzione o esprimere accordo ( mm-hmm, ah ah, certo ecc.) Il secondo tipo altrettanto breve ma possiede un maggior contenuto semantico, per esempio: s, posso farlo, no, ne dubito. Come spiega Roy (2000:90), in questi casi preferibile che l'interprete ignori

71

tali enunciati prodotti in sovrapposizione per due ragioni fondamentali: innanzitutto perch non fisicamente possibile ascoltare due persone contemporaneamente e parlare allo stesso tempo, soprattutto dal momento che il compito dell'interprete presenta una complessit tale da richiedere la piena attenzione di quest'ultimo. In secondo luogo, l'inserimento dell'enunciato sovrapposto potrebbe sorprendere il parlante che detiene la parola e portarlo a sospendere il turno perch stato interrotto nel suo ragionamento. Come conclude Roy (2000:92):
Overlapping talk is a difficult dilemma for interpreters. Whether the talk is simply of a back-channel nature or will become an attempt to take a turn does not deny its potential meaningfulness in conversational activity. As overlapping talk begins, any prediction as to its eventual length is a fifty-fifty probability. () Acting on these communicative problems, and acting on them quickly, is what interpreters do.

Rispetto alla conversazione spontanea che prevede parit di diritti dintervento per i partecipanti, l'evento mediato nell'ambito dei servizi pubblici presenta l'asimmetria dei ruoli posizionali e la presenza dell'interprete come terzo partecipante il cui status interazionale pu essere giudicato inferiore agli occhi dei co-interlocutori ma, alla luce di quanto detto finora, si pu affermare che certamente diverso rispetto a quello dei partecipanti primari e, per molti versi, superiore in quanto alla gestione dell'evento stesso. In particolare, si visto come il sistema turnazionale della comunicazione mediata presenti delle peculiarit in merito all'allocazione e all'alternanza dei turni di parola. Nella conversazione quotidiana, la presa del turno unattivit competitiva nella quale ogni partecipante potenzialmente coinvolto: a) b) c) il parlante del momento seleziona quello successivo il parlante successivo si auto-seleziona se n a) n b) sono validi, il parlante di turno pu mantenere la parola e continuare a parlare. Comunemente, quando si affronta il fenomeno delle interruzioni, si suole ricorrere alla distinzione polare fra interruzioni supportive e interruzioni competitive; si tratta di una dicotomia di tipo funzionale, perch fondata sui motivi che si trovano alla base delle interruzioni stesse. Alla prima categoria appartengono le interruzioni volte a sostenere il parlante di turno, mentre la seconda comprende quelle finalizzate ad ottenere il turno di parola. In base alla classificazione di Bazzanella (1994:189), fra le interruzioni supportive rientrano i back-channels e i suggerimenti lessicali, mentre esempi di 72

interruzioni

competitive

sono:

linterruzione

semplice,

la

sovrapposizione,

linterruzione silenziosa, e linterruzione vana. I limiti che questa dicotomia comporta stanno nella difficolt di individuare lintenzione soggiacente ad ogni interruzione; Bazzanella evidenzia, in particolare, due punti deboli della distinzione fra supportive e competitive:

1.

tipi di interruzione classificati sotto una categoria possono assumere il valore funzionale opposto in determinate situazioni;

2.

leffettiva portata supportiva o competitiva deve essere calcolata in base ad un numero maggiore di parametri, che non il semplice cambio di turno25. (Bazzanella 1994:190)

Una volta superata questa dicotomia, Bazzanella suggerisce che i vari tipi di interruzione possano essere identificati attraverso la co-occorrenza di parametri acontestuali od oggettivi, e di variabili contestuali; i primi sono indipendenti dal contesto situazionale, mentre i secondi sono strettamente collegati al contesto particolare:
riassuntivamente consideriamo parametri oggettivi i seguenti: tono alto e/o volume alto, durata della sovrapposizione, insistenza e persistenza, vicinanza di PRT, presenza o assenza di modalizzatori, accordo o disaccordo preposizionale, cambio di topic, passaggio del turno ad un terzo partecipante conversazionale. Consideriamo parametri contestuali: i rapporti di status, gli stili individuali e le abitudini culturali, lo scopo socialmente costituito e riconosciuto, lurgenza psicologica, la causa di forza maggiore. (Bazzanella 1994:193)

Fra i parametri contestuali rientrano, oltre ai rapporti di status di cui abbiamo gi fatto menzione, gli stili individuali e le abitudini culturali; lo studio degli stili individuali appartiene alla macro-categoria degli approcci psicologici in quanto si concentra su aspetti soggettivi, quali sono le caratteristiche della personalit, difficilmente inquadrabili in analisi sistematiche; tuttavia innegabile che a livello individuale ci possa essere una corrispondenza fra il tipo di personalit e la maggiore o minore tendenza ad interrompere. Anche per quanto concerne le abitudini culturali si individua una certa correlazione fra stereotipi comportamentali di una popolazione rispetto al modo e alla frequenza con le quali gli individui della stessa trattano le interruzioni; il

Lottenimento del turno da parte di chi interrompe , infatti, il vero elemento discriminante in questo tipo di classificazione polare.

25

73

brano che segue pone a confronto la cultura italiana e quella anglosassone dal punto di vista del comportamento interazionale:
First impressions suggested a sharp contrast between the quieter (surface) manners of English meetings and the Italian meetings. In all of the recorded Italian interactions the tone of the voice was often loud, the pace faster, and the apparent lack of concern for turn-taking practices was sometimes disconcerting, particularly to Anglo-Saxon ear. [...] Non-native observers may be baffled by the frequency of what we have defined previously as overlaps. Recent work on intercultural negotiation seems to confirm that the Italians take the floor through successful interruptions at least twice as frequently as their Dutch counterparts. (Bargiela Chiappini / Harris 1997:69-224)

Gli stereotipi su anglosassoni e italiani sono molteplici: i primi interrompono poco e parlano pi lentamente, mentre i secondi parlano ad alta voce, tutti insieme, interrompendosi di frequente, tanto che a volte pu risultare sconcertante la mancanza di preoccupazione per il rispetto dei turni.26 Susan Ervin-Tripp affronta tali differenze da una diversa prospettiva:
Groups which emphasize autonomy and value what Brown & Levinson (1978) call negative politeness can be expected to leave the floor to one speaker and to risk gaps of inattention more readily than interruption. Groups which emphasize solidarity and positive politeness are likely to look for evidence of closeness through the production of joint texts, proxy completion and simultaneity. (Ervin-Tripp 1987:5027 cit. in Zorzi 1990:84)

La percezione dellinterruzione quindi culturalmente determinata, ma il modo di interrompere dipende in primo luogo dallorganizzazione conversazionale cui i parlanti si orientano (Zorzi 1990:83). Zorzi ha analizzato un corpus di registrazioni di incontri di servizio in libreria sia in italiano che in inglese, e dal suo studio sono emersi i seguenti dati:
In italiano lunico modo per sospendere la produzione di una seconda parte dispreferita, dato che normalmente viene data consecutivamente alla prima parte, linterruzione (e in questo senso un rimedio preparatorio). Del tutto diversamente in inglese, si ha interruzione solo se non si negoziata laccettabilit della richiesta e della risposta nella frase strutturalmente designata a ci (vale a dire fra la

Le variabili culturali che possono contribuire a differenziare latteggiamento dei partecipanti alla conversazione sono numerose; la dicotomia: Deal-focus vs. Relationship-focus una di queste; ci sono cio culture che attribuiscono maggior importanza allinstaurarsi di buone relazioni sociali fra i partecipanti, mentre per altre culture pi rilevante la conclusione degli affari anche a scapito dei rapporti interpersonali. 27 S. Ervin-Tripp (1987). Cross cultural and developmental sources of pragmatic generalization. In J. Verschueren / M. Bertucelli Papi. (eds.). The pragmatic perspective. Amsterdam, Benjamins, pp. 4760.

26

74

richiesta e la risposta stessa), ci spiega perch le interruzioni sono pi numerose in italiano28. (Zorzi 1990:105)

La breve rassegna dei parametri oggettivi e contestuali appena presentata ha voluto esporre la molteplicit degli aspetti operanti nel momento in cui un partecipante effettua un turno interrompente. Alcune di queste sovrapposizioni riguardano turni nei quali chi interviene manifesta tramite back-channels (MM; s; ah; vero; infatti; etc.) la propria attenzione e il proprio coinvolgimento rispetto alla conversazione; come sar spiegato oltre, in generale il partecipante che si sovrappone al parlante di turno tramite pause piene e segnali discorsivi di conferma e/o accordo non intende chiedere la parola ma segnalare lattenzione in corso e la propria disponibilit al proseguimento dellinterazione. Altre sovrapposizioni ricorrenti nel parlato spontaneo riguardano casi nei quali chi interrompe ansioso di esprimere la propria posizione sul tema trattato, quindi, salvo rare eccezioni (peraltro in situazioni comunicative affollate e mai in conversazioni a due), non si tratta di sovrapposizioni con cambio di topic, cos come sono pi rari esempi di interruzioni attuate per passare il turno ad un terzo partecipante. In altre parole, nella tipica conversazione spontanea le interruzioni con valore conflittuale sono meno numerose mentre si ha abbondanza di sovrapposizioni e interruzioni che esprimono partecipazione da parte di chi le produce. Tali caratteristiche, secondo la definizione di Deborah Tannen (1984), rientrano nel cosiddetto parlato conviviale:
[] in cui interrompersi e parlare insieme sembrano segni di coinvolgimento emotivo, di viva partecipazione e interesse per la conversazione e di sintonia fra gli interlocutori. [] Il parlato sovrapposto e interrompente una delle manifestazioni pi significative di uno stile conversazionale ad

Di seguito riportiamo due esempi di incontri di servizio, rispettivamente in italiano e in inglese, tratti dallo studio di Zorzi (1990:96-103). 1) A: Signorina / signorina scusi manuali per dipingere dove si trovano? B: Erm_ +dipingere* A: +dipinti* / +su pittura su ceramica* B: +Mm s (qualcos-)* (Mi dovrebbe tornare) qualcosa penso per solo sulla pittura ad olio 2) A: Erm_ I suppose that would make sense / yes / well we havent got it / Im ++sure we could get it* B: you HAVENT got it* A: for you / oh unless theyve got it in HIstory of course/ I mean_ which is possible / cos theyve got erm ANcient history! B: Uhuh! +well Ill have a look* A: +in the history department* B: Ill have a look!

28

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alto coinvolgimento. Per i partecipanti che adottano questo stile, la sovrapposizione non solo ben vista, ma anche cercata (al contrario del silenzio o delle pause fra i turni che sono accuratamente evitate come antisociali). (Tannen 1984:3029 cit. in Zorzi 1990:91)

3.5

I segnali discorsivi

Come abbiamo sinora osservato, i corrispettivi linguistici che Bazzanella associa al macro-tratto situazionale della compresenza degli interlocutori sono:
1) uso frequente di fatismi; 2) ampio uso di strategie di cortesia; 3) forte presenza di pronomi di prima persona; 4) cambiamenti di pianificazione indotti dallesterno; 5) discorsi simultanei ed interruzioni; 6) segnali discorsivi di conferma o di disconferma; 7) maggior livello di implicitezza. (Bazzanella 1994:27)

Ai fini della nostra analisi, vogliamo comprendere in che misura l'evento mediato, e quindi l'azione dell'interprete, comporti delle differenze rispetto alla comune conversazione spontanea; i segnali discorsivi costituiscono unimportante risorsa interazionale a disposizione dei partecipanti, in quanto indicano lintenzione di chi parla rispetto al turno di parola. Attraverso luso di certi segnali discorsivi, infatti, il parlante pu manifestare lintenzione di prendere, mantenere oppure cedere il turno, cosicch gli altri partecipanti sappiano quando possibile intervenire nel rispetto delle regole conversazionali. Secondo la definizione proposta da Bazzanella (2001):
I segnali discorsivi sono quegli elementi che, svuotandosi in parte del loro significato originario, assumono dei valori aggiuntivi che servono a sottolineare la strutturazione del discorso, a connettere elementi frasali, interfrasali, extrafrasali e a esplicitare la collocazione dellenunciato in una dimensione interpersonale, sottolineando la struttura interattiva della conversazione. (Bazzanella 2001:225)

Deborah Schiffrin ha approfondito il tema dei discourse markers partendo dallanalisi di un corpus di interviste di gruppo da lei raccolto, ed ha poi elaborato i risultati ottenuti nellopera omonima dalla quale citiamo la seguente definizione:
I operationally define markers as sequentially dependent elements which bracket units of talk. [...] Sometimes those units are sentences, but sometimes they are propositions, speech acts, tone units. In sum, I am being deliberately vague by defining markers in relation to units of talk because this is where they occur at the boundaries of units as different as tone groups, sentences, actions, verses, and so on. [...] I define markers at a more theoretical level as members of a functional class of verbal (and non-verbal)
29

Tannen, D. (1984) Conversational style: analyzing talk among friends, Norwood (N. J.) : Ablex

76

devices which provide contextual coordinates for ongoing talk. (Schiffrin 1987:31-41)

Linsieme dei segnali discorsivi forma appunto una classe funzionale, cio raggruppa elementi alquanto eterogenei dal punto di vista delle classi grammaticali di appartenenza, accomunati per dalla funzione che svolgono:
Possono fungere da segnali discorsivi: operatori di coordinazione (es. e, ma), operatori di coordinazione avverbiale (es. cio), avverbi frasali (es. praticamente), interiezioni (es. eh?), sintagmi verbali (es. guarda), sintagmi preposizionali (es. in qualche modo), ed espressioni frasali (es. come dire). (Bazzanella 2001:225)

Secondo la tassonomia indicata da Bazzanella (2001:232) le funzioni dei segnali discorsivi si possono distinguere in due categorie: le funzioni interattive, che riguardano latteggiamento del parlante verso linterazione in corso; e le funzioni metatestuali30 volte a segnalare larticolazione delle varie parti del testo [] ed il rapporto tra gli argomenti e i temi trattati nel dialogo (Ibid.). Lo scarso contenuto semantico dei segnali discorsivi dimostrato dal fatto che la loro assenza non incide sul significato dellenunciato, ci che cambia riguarda invece il piano pragmatico, la dimensione interazionale dellenunciato in questione. A dimostrazione di quanto appena detto leliminazione dei segnali discorsivi nel discorso indiretto (DI): il carattere mediato di questo cancella, infatti, la dimensione emotiva-interazionale che alla base della funzione pragmatica dei segnali discorsivi presenti nel discorso originale. Per quanto riguarda il discorso diretto (DD), invece, si riscontra la presenza dei segnali discorsivi in questa forma di reported speech, ma, come emerso dal lavoro di Emilia Calaresu (2004:20-1)31 che ha svolto unanalisi comparativa fra discorsi originali e rispettivi discorsi riportati, tali segnali discorsivi appartengono al reporter e non allenunciatore originale: limpiego di segnali discorsivi in apertura di discorso diretto corrisponde semplicemente a strategie di ricreazione di situazioni discorsive altre da parte del

Le funzioni metatestuali, cos come descritte da Bazzanella (2001:246-9), sono le funzioni svolte da: - demarcativi: (ma) insomma, a proposito, senti, comunque - focalizzatori: se (nelluso correlativo), ma, s, proprio, appunto, ecco, ti dico, ti voglio dire - indicatori di riformulazione: -indicatori di parafrasi: diciamo, voglio dire, in altre parole -indicatori di correzione: diciamo, anzi, insomma, cio, non so, no -indicatori di esemplificazione: mettiamo, diciamo, prendiamo, ecco, per/ad esempio. 31 E. Calaresu (2004). Testuali parole: la dimensione pragmatica e testuale del discorso riportato. Milano, Franco Angeli.

30

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reporter. (Ibid.) Oltre a produrre un effetto di maggior espressivit e aderenza al parlato, i markers che troviamo in apertura di DD sono uno dei segnali tangibili che si sta introducendo un discorso diretto e, solitamente, si giustappongono alle cosiddette cornici, che sono:le parti introduttive con verbo di dire (o equivalenti contestuali come fare) (Calaresu 2004:18). La presenza o assenza dei segnali discorsivi allinterno dellenunciato non ha alcuna ripercussione sul contenuto semantico di questultimo; la non incidenza di questi elementi linguistici sul contenuto proposizionale data da propriet sintattiche quali: linterrogabilit, la sostituzione tramite pro-forme, leliminabilit e la negazione. La prima e la seconda propriet riguardano rispettivamente limpossibilit di formulare domande che abbiano come risposta segnali discorsivi e limpossibilit di sostituzione tramite pro-forme; la terza propriet si riferisce alla possibilit di cancellazione dei segnali discorsivi senza che ci alteri il contenuto semantico del discorso; la quarta propriet, infine, indica limpossibilit di negazione dei segnali discorsivi, grazie anche alla loro frequente parenteticit che li mantiene esterni al contenuto proposizionale (Bazzanella 2001:230). Queste caratteristiche costituiscono il motivo principale della frequente omissione di tali particelle all'interno del turno formulato dall'interprete; nonostante l'interprete sia tenuto a riportare l'enunciato originale nella sua totalit e completezza parlando in prima persona come a simulare una conversazione monolingue, generalmente i segnali discorsivi vengono eliminati nella versione interpretata. Se i segnali discorsivi sono cos ricorrenti negli enunciati dei parlanti primari perch assolvono ad una molteplicit di funzioni interazionali, anche se i parlanti ne sono inconsapevoli, che permettono loro di gestire il sistema turnazionale ed esprimere la propria posizione in merito allo scambio comunicativo. I segnali discorsivi con funzione interattiva utilizzati dal parlante di turno possono essere finalizzati a: - prendere il turno, il partecipante manifesta la propria intenzione di prendere la parola; - mantenere il turno: questa funzione svolta dai cosiddetti riempitivi, ossia da segnali discorsivi (diciamo, praticamente, come posso dire, non so, per cos dire) utilizzati per riempire spazi che, data la difficolt di pianificazione da parte del parlante, rimarrebbero vuoti e potrebbero essere interpretati dallinterlocutore come PRT, inducendolo quindi a prendere la parola. Spesso questi segnali discorsivi sono accompagnati da pause piene

78

(e_, ehm, mm), da pause vuote (silenzi), dallallungamento della vocale precedente e da indicatori di correzione (cio) - richiedere lattenzione: delle forme imperative alla II pers. sing. o pl. (o alla III sing. o pl., o alla II pl. come forme di distanza) vengono usate per richiamare e mantenere lattenzione. [] il caso di: senti/a; senti un po, mi segui/e?, di/dimmi/dica, ehi, guarda/guardi/guardate, vedi/vede/veda. (Bazzanella 2001:235) In inglese troviamo due segnali discorsivi ricorrenti nel richiamare/mantenere lattenzione dellinterlocutore, yknow e I mean: yknow gains attention from the hearer to open an interactive focus on speaker-provided information and I mean mantains attention on the speaker. [] I mean displays speaker orientation, and as a byproduct it invites hearers attention; yknow invites hearer attention and thus directly invites hearer assessment; as a byproduct, yknow displays speaker orientation (Schiffrin 1987:267-310). - controllare la ricezione. I segnali discorsivi di controllo della ricezione sono utilizzati dal parlante per accertarsi della corretta ricezione dellenunciato da parte dellinterlocutore. I segnali pi comuni sono: eh?, capisci?, capito?Uno dei segnali discorsivi deputati , in inglese, al controllo della ricezione da parte di chi parla , ancora una volta, yknow, come spiega Schiffrin, infatti: Yknow allows a speaker to check on how the discourse is creating an interactional progression away from an initially asymmetric distribution: is knowledge now more equitably devided? Is opinion now shared? (Schiffrin 1987:279). - richiedere accordo e/o conferma. Qui troviamo segnali discorsivi come: no?, vero?, non vero?, eh?, non cos?, giusto?. Tali elementi discorsivi si trovano in posizione finale ed hanno intonazione interrogativa. Questi segnali discorsivi di richiesta daccordo e/o conferma possono allo stesso tempo svolgere unaltra funzione interazionale, ossia, cedere il turno. In questi casi, data la presenza di un segnale apposito, il passaggio del turno rimarcato e i partecipanti sono cos avvisati dellimminente transizione del turno di parola. In inglese, il segnale discorsivo maggiormente utilizzato per indicare la disponibilit del parlante a cedere il turno so. Come osserva Schiffrin (1987:218): in contrast to and which marks a speakers continued turn so is a turn-transition device which marks a speakers readiness to relinquish a turn. Since so is a turn-transition device, it should not be surprising to find it followed by explicit turn-transition phrases if a next speaker does not avail

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him/herself of the opened turn space. Such phrases explicitely open a participation slot to a hearer. i.e. Jack: Were considering the...more or less: the oppressors. So eh...take it from there. Il fatto che durante l'evento mediato questi segnali discorsivi siano spesso omessi nella versione interpretata si deve proprio alla natura mediata dell'evento; i vari riempitivi legati alla pianificazione in tempo reale, per esempio, perdono la loro valenza nel turno di ricodificazione dell'interprete (che costituisce una seconda versione dell'originale); gli eventuali riempitivi, false, partenze o esitazioni, quando presenti nel turno di interpretazione, sono da attribuire all'interprete stesso e non al parlante primario. Cos anche i segnali discorsivi finalizzati a verificare l'attenzione e la comprensione dell'interlocutore vedono in parte alterata la propria funzione dalla mediazione dell'interprete il quale, come abbiamo detto, il principale regolatore

dell'avvicendamento dei turni. Oltre ad assolvere a numerose esigenze comunicative del parlante, i segnali discorsivi sono ampiamente utilizzati anche dall'interlocutore, incluso quando quest'ultimo

intende mantenersi in posizione di ricezione. Come abbiamo visto, la conversazione il prodotto del lavoro congiunto di parlante e interlocutore; pur senza prendere il turno di parola, infatti, linterlocutore pu contribuire attivamente allevento interazionale tramite segnali discorsivi (perlopi fatismi e back-channels) che spesso si sovrappongono al turno del parlante. Come abbiamo detto in precedenza, la maggior parte delle sovrapposizioni individuate nel parlato spontaneo sono costituite appunto da segnali discorsivi prodotti dallinterlocutore per: mostrare attenzione in corso (s, mm, ah) esprimere accordo e/o conferma (s, esatto, certo, vero, infatti, assolutamente, benissimo) o accordo parziale, se non perplessit (beh/be', mah, insomma) segnalare ricezione e acquisizione di conoscenza (ho capito, ah, a_h!, no_!, ecco) richiedere spiegazioni (cio?, in che senso?, eh?, cosa?) interrompere il parlante (ma, allora, scusa/ scusami/ scusate; un attimo, un momento; insomma) Ricapitolando, all'interno dello scambio comunicativo, i segnali discorsivi svolgono

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un'importante funzione ausiliaria in quanto aiutano i co-interlocutori ad organizzare e a gestire il sistema dei turni oltre a favorire la comprensione reciproca attraverso meccanismi di feedback. Nella triade interazionale dell'evento mediato, i segnali discorsivi rappresentano un caso interessante; dato il loro scarso contenuto semantico, spesso l'interprete omette tali elementi all'interno del turno di interpretazione e numerosi studi che hanno confrontato gli enunciati originali con quelli prodotti dall'interprete hanno mostrato che i vari meccanismi di feedback e back-channellig tendono ad essere ridotti, se non addirittura eliminati:
Interlocutors' small words of back-channelling are rarely translated. It is as if the relative transparency of this communicative activity reduces the relevance of translating () However closely the interpreter strives to translate, the interpreter-mediated conversation in itself transforms the interactional significance of back-channelling (Wadensj 1998:121)

Secondo Wadensj (1998), cio, offrire una traduzione letterale dei back-channels prodotti dai parlanti, da una parte permetterebbe all'interprete di aderire ai precetti dei codici di deontologia professionale per i quali si deve tradurre tutto ci che viene proferito dai partecipanti primari; d'altra parte, per, una traduzione letterale sminuirebbe l'unicit dell'interprete all'interno dell'interazione dal momento che interpretare questi elementi discorsivi rischierebbe di far risultare superflua l'interpretazione stessa:
In interpreter-mediated encounters, a kind of joyful relief can sometimes be observed when primary parties suddenly find themselves understanding one onother directly, and they can laugh at the interpreter being excessively helpful. (Wadensj 1998:122)

I partecipanti primari possono ovviamente identificare un certo comportamento come espressione di attenzione, conferma o disaccordo, ma meno la comunicazione trasparente e mutuamente accessibile per gli interlocutori principali (per esempio grazie ad una certa affinit culturale o perch hanno una conoscenza basilare del rispettive lingue), pi questi dipendono dall'interprete che deve essere in grado di capire quando l'interpretazione o non necessaria. In merito all'evento mediato, Knapp e Knapp-Patthoff (1987:194) affermano che per alcuni tipi di enunciati, in particolare espressioni enfatiche, una traduzione letterale non rappresenterebbe un 'interpretazione adeguata, il loro significato, piuttosto, dovrebbe essere reso tramite una descrizione delle intenzioni del parlante (es. he's delighted, 81

she agrees al posto di enunciati del tipo: oh yes, that' nice, clear etc.) (Ibid.). Dato che l'elaborazione di tali enunciati rende ancora pi complesso il compito dell'interprete, ragionevole presupporre che nella maggior parte dei casi quest'ultimo si astenga in partenza dal fornire una traduzione e che tali porzioni di enunciato siano rese attraverso una zero rendition (Wadensj 1998), ovvero, non siano tradotte affatto: thus, these utterances pose a problem of mediatibilty for M (mediator), which does not arise from the structures of the languages involved, but from the very structure of mediator discourse (Knapp et alii.1987:194). Come spiegano generalmente questi tipi di enunciato gli autori (Ibid.),

si collocano all'inizio del turno e sono

immediatamente seguiti da una domanda o richiesta, oppure indicano l'intenzione di mantenere il turno di parola (es. ehm) seguiti da un'eventuale pausa e da una successiva richiesta, domanda ecc. Nella versione ri-codificata tali elementi verrebbero quindi rimossi a favore di un contenuto proposizionale pi conciso, come scrivono Gentile et alii. (1996) anche per questa ragione che solitamente i turni dell'interprete, e quindi le versioni tradotte, sono pi brevi rispetto agli enunciati originali. Grazie a questa breve indagine sul tema dell'avvicendamento dei turni di parola, abbiamo potuto considerare la complessit inerente all'interpretazione al di l dell'apparente semplicit del ruolo dell'interprete; abbiamo visto come anche meccanismi automatici che utilizziamo inconsciamente mentre parliamo sono la prova di regole conversazionali sottostanti tutt'altro che banali. L'evento mediato chiama in gioco le relazioni, le intenzioni, le aspettative comunicative e le competenze conversazionali di tutti i partecipanti coinvolti, primo fra tutti (data la sua centralit all'interno dell'interazione) l'interprete, il quale, man mano che procediamo nella nostra analisi si spoglia dei luoghi comuni e dei pregiudizi che lo relegano al ruolo di automa della comunicazione ed emerge sempre pi come figura protagonista responsabile del successo comunicativo fra gli interlocutori primari.

82

CAPITOLO 4 L'interprete in ambito medico

In questo capitolo concentreremo la nostra attenzione su un ambito professionale specifico circoscrivendo la nostra analisi alla figura dell'interprete che opera nel contesto dei servizi socio-sanitari. In questo ambito, la complessit insita nel ruolo dell'interprete risulta ulteriormente ampliata dalla delicatezza e dalla responsabilit che il tipo di contesto comporta. Nella prima parte ci occuperemo di delineare le caratteristiche salienti e le peculiarit dell'interpretazione medica, come viene denominata in territorio anglosassone (medical interpreting), per passare poi alla presentazione dell'attuale situazione italiana che, come vedremo, mostra alcune specificit locali, e a volte contraddizioni, degne di una riflessione pi profonda. Il tema della comunicazione interlinguistica in ambito medico o socio-sanitario particolarmente delicato in corrispondenza della gravit delle conseguenze di eventuali errori comunicativi, imputati in questo caso all'interprete o mediatore linguisticoculturale responsabile dell'interazione fra i parlanti monolingui. Come scrive Rudvin (2003:159):
According to the law, all individuals have equal right to access legal, social and health services. However, frequently language is a serious obstacle to equal access, even when language-mediaton services are provided for, if the quality of the interpreting is not adequate, then the clients are clearly not enjoying the rights to which they are entitled.

La formazione dell'interprete occupa quindi un ruolo fondamentale, ma in questo settore pi di ogni altro frequente il ricorso a interpreti improvvisati (ad hoc) che, sovraccaricati di un compito che non sono preparati a svolgere, si ritrovano a dover sostenere situazioni psicologicamente ed emotivamente provanti, dense di divergenze culturali di cui spesso non sono consapevoli, oltre alle difficolt tecniche e terminologiche legate all'interpretazione. Angelelli ha studiato approfonditamente il ruolo dell'interprete in ambito medico utilizzando un corpus di dati raccolto durante oltre 300 incontri nel contesto ospedaliero ed intervistando gli stessi interpreti in merito alle opinioni che nutrono riguardo al loro ruolo professionale. Lo studio stato svolto presso un ospedale della California per un periodo di ventidue mesi. L'autrice ha cominciato la propria riflessione a partire dal

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censimento del 2000 dal quale risulta che negli Stati Uniti circa 21 milioni di persone hanno una limitata padronanza della lingua inglese; tale risultato equivale ad una notevole variet etnica e linguistica che rende certamente impegnativo il compito di fornire un'adeguata assistenza socio-sanitaria ai pazienti che possiedono una conoscenza limitata dell'inglese. Come scrive Angelelli (2004:19),
the most important communication skills for an HCP (healthcare provider) in cross-cultural setting are those that assist in patient assessment and elicitation skills to understand the patient's perspective of symptoms and explanatory health-beliefs models.

Per esempio, pazienti che provengono da ambienti culturali diversi mostrano diverse attitudini circa il modo di ascoltare le notizie, soprattutto le brutte notizie; per alcune culture il semplice proferimento di cattive notizie pu venire associato a conseguenze infauste. La maggior parte dei pazienti preferisce ricevere tutte le informazioni disponibili sul proprio stato di salute e sulle possibili opzioni terapeutiche. Per i medici, d'altro canto, pu rivelarsi estremamente importante la consapevolezza che pazienti di culture diverse possono differire nelle preferenze che riguardano il modo di ricevere l'annuncio di un referto negativo. Anche i pazienti che sono interessati ad una informazione specifica, per esempio nel caso di una prognosi, potrebbero astenersi dal fare qualsiasi domanda ai medici; questi ultimi, secondo un'ottica multi-culturale, non dovrebbero interpretare il silenzio del paziente al quale stato chiesto di esporre eventuali dubbi come equivalente all'assenza di dubbi o domande da rivolgere loro; spesso, infatti, la non verbalizzazione di una domanda nasconde al contrario l'interesse verso la risposta. Alcuni temi particolarmente delicati e sensibili, inoltre, possono divenire veri e propri tab per alcune culture; in Italia, per esempio, tipico soprattutto fra i pi anziani evitare la parola tumore e sostituirla con locuzioni pi vaghe che ne possano mitigare l'impatto, l'espressione pi ricorrente in questo caso brutto male. Gli interpreti specializzati ad operare in ambito socio-sanitario e chiamati ad assistere i pazienti delle minoranze etno-linguistiche pi deboli, non solo dovrebbero essere consapevoli di atteggiamenti determinati culturalmente, ma dovrebbero anche essere mediatori competenti nel gestire eventuali divari interculturali. Dallo studio di Angelelli emerso che i pazienti delle culture minoritarie, specialmente quando non padroneggiano l'inglese, pi raramente ricevono risposte empatiche dai medici,

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instaurano relazioni interpersonali con loro, ricevono informazioni sufficienti e sono incoraggiati a partecipare alle decisioni terapeutiche che li riguardano. Come mostra l'analisi, inoltre, negli Stati Uniti ai pazienti stranieri che non parlano inglese corrisponde un numero inferiore di visite per le cure primarie ed un ricorso meno frequente ai servizi volti alla prevenzione; nonostante ci, non chiaro quali siano i fattori (se il paziente o l'operatore sanitario) che spiegano tale inferiorit di status da un punto di vista sanitario-assistenziale. Un'altra tendenza che riguarda i pazienti stranieri quella di ricorrere a visite emergenziali piuttosto che a regolari appuntamenti d'ambulatorio. A complicare ulteriormente la situazione, poi, vi il fatto che la maggior parte delle istituzioni si affida sempre pi spesso ad interpreti improvvisati ed inesperti; negli Stati Uniti, meno di un quarto degli ospedali offre corsi di formazione per il proprio staff. Angelelli ha rilevato che solo nove ospedali (sui 300 analizzati) si preoccupavano di dare una preparazione ai loro interpreti volontari; questo significa che la maggior parte delle prestazioni di interpretariato/mediazione linguistica negli ospedali svolta da pazienti, familiari, amici, membri dell'equipe medica e addetti alle pulizie, cio da interpreti privi di formazione. Questa pratica, che abbiamo presentato sotto l'etichetta di ad hoc interpreting, spesso sfocia in errori d'interpretazione (omissioni, aggiunte, sostituzioni ecc,) e versioni condensate o riassunte degli enunciati prodotti da medico e paziente. Spesso i pazienti sono accompagnati dai familiari durante le visite mediche, in particolare quando si tratta di pazienti anziani. I pazienti accompagnati da un familiare tendono a comportarsi diversamente rispetto ai pazienti non accompagnati, in particolare per quanto riguarda le problematiche mediche, le relazioni familiari e l'inclinazione verso il coinvolgimento della famiglia in merito alle cure. I familiari, inoltre, spesso si comportano da interpreti rispondendo alle domande al posto del paziente e non permettendo a quest'ultimo di parlare liberamente; di frequente offrono consigli e informazioni di propria iniziativa e non traducono i commenti espressi dal diretto interessato, cos come le domande del medico sono spesso riportate in modo non corretto e a volte non vengono tradotte affatto. Anche la mancanza di contatto visivo fra medico e paziente pu sottrarre al medico alcuni preziosi indizi non verbali che riguardano i pensieri e lo stato d'animo del paziente, con il rischio quindi di compromettere, o almeno ostacolare, la definizione di un quadro clinico pi preciso. La presenza dell'interprete, infatti, pu ridurre la comunicazione verbale diretta e la

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reciprocit non verbale fra i due partecipanti primari, rendendo cos l'incontro meno personale e diminuendo il senso di legame fra i due; questo accade soprattutto quando gli operatori della struttura ospedaliera o socio-sanitaria non sanno come comportarsi durante l'evento mediato e non sanno come utilizzare l'interprete. Secondo Angelelli, la presenza di una terza persona pu influenzare negativamente la relazione che si instaura fra medico e paziente a causa di un ridotto senso di privacy e intimit fra i due, anche nel caso in cui l'interprete e il medico abbiano ricevuto un'ottima formazione preventiva in merito alle dinamiche dell'evento mediato. Alcune ricerche condotte in questo ambito nell'arco degli ultimi vent'anni mostrano che i pazienti che comunicano attraverso un interprete hanno pi difficolt a conoscere la propria diagnosi e con una frequenza significativa esprimono una certa insoddisfazione verso l'esito dell'incontro ritenendo che il medico avrebbe potuto spiegarsi meglio; d'altra parte, i pazienti che comunicano direttamente con gli operatori esprimono un maggior grado di soddisfazione cos che, in definitiva, possiamo considerare la comunicazione mediata come un'arma a doppio taglio:
When used improperly, it can pose a barrier to establishing a therapeutic patient-provider relationship. However, adequate communication brokered through an interpreter can facilitate the exchange of information between HCP (healthcare provider) and patient, and have a profoundly positive impact on the wellbeing of the patient (Angelelli 2004:25).

Di conseguenza, possiamo affermare che l'interprete dovrebbe occupare un ruolo mediano di interfaccia culturale, andando quindi a scardinare il vecchio mito dell'invisibilit. Quando si analizza l'evento mediato in ambito socio-sanitario importante non confondere i termini interazione e relazione interpersonale, questi due termini infatti non sono intercambiabili: an interaction between patient and HCP is characterized by an observable exchange of behaviours, whereas a relationship involves qualities that are more subjective (caring, concern, respect, and compassion). (Ibid. 2004:15) Un rapporto di collaborazione fra medico e paziente un'alleanza terapeutica nella quale i due soggetti coinvolti divengono complici nella comune lotta contro la malattia e quando i pazienti sono trattati come partner durante l'incontro, o consulto medico, esprimono una maggiore tendenza a porre domande, chiedere chiarimenti e mostrano, in definitiva, una maggiore soddisfazione e una ridotta preoccupazione verso la malattia grazie all'aderenza alle cure prescritte. In questo modo viene a stabilirsi un

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legame di tipo emotivo fra i due partecipanti primari; sostegno, empatia, interesse e legittimazione da parte del medico, cos come domande mirate e puntuali, sono tutti elementi importanti nella costruzione del rapporto interpersonale col paziente che, in tal modo, si sente ascoltato e capito. A questo punto, interessante indagare gli effetti che la presenza dell'interprete

provoca sulle dinamiche di questo rapporto triadico. Gli eventi mediati al California Hope (pseudonimo che Angelelli utilizza per riferirsi all'ospedale nel quale ha svolto la sua ricerca) coprono una serie di attivit: concordare o cancellare un appuntamento; dare notizie o consegnare referti; condurre un una visita orale (per le patologie del linguaggio); condurre una visita medica di controllo; condurre una procedura (es. TAC); e telefonare per ricordare un appuntamento. In queste attivit, pu presentarsi ognuna delle seguenti funzioni: lamentarsi, rimproverare, spiegare, manifestare sostegno, giustificare/si, domandare e rispondere, esprimere solidariet, dare istruzioni, informare e ricordare. Siccome solo una piccola percentuale pari al 4% dei casi studiati dall'autrice ha confermato la teoria dell'invisibilit dell'interprete, la conclusione che ne deriva che la visibilit dell'interprete pu essere pi legata e dipendente dal contesto situazionale che al tipo di interazione. La presenza di altri ascoltatori ha un impatto significativo sull'interazione; a differenza dell'interpretazione di tribunale e di conferenza che sono pubbliche di natura, l'interpretazione in contesto medico si svolge generalmente in un luogo privato (ad eccezione dello staff medico presente); questo contesto intimo, tuttavia, pu offrire all'interprete pi occasioni di visibilit. Come ogni altro evento comunicativo, anche l'evento mediato caratterizzato dalla struttura tripartita: apertura, corpo centrale e chiusura. Come ogni consulto medico monolingue, anche l'evento mediato pu essere suddiviso in sei fasi che Byrne e Long (1976)32 hanno identificato nel loro studio; queste fasi comprendono: 1) 2) 3) 4) rapportarsi col paziente; scoprire il motivo della visita; condurre una visita di tipo verbale o fisico, o entrambe; esaminare le condizioni di salute del paziente;

Byrne, P. S., Long, B., E., I. (1976) Doctors talking to patients: a study of the verbal behaviours of doctors in consultation. London: HMSO.

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5) 6)

prescrivere la cura o ulteriori esami; concludere.

La presenza di un interprete durante l'evento comunicativo ha un impatto su ognuna di queste sei fasi. Il concetto di visibilit sembra essere un concetto fluido che presenta una serie di variabili. La visibilit varia a seconda delle fasi del consulto medico, la visibilit che si riscontra durante le fasi di apertura e chiusura, per esempio, estremamente ritualizzata. Le strategie linguistiche e comunicative utilizzate dall'interprete per rendere gli enunciati che produce sono varie; in alcuni casi, l'interprete risulta lievemente coinvolto nella produzione testuale a causa del ricorso al pronome singolare (includendo se stesso nell'interazione); in altri casi, l'interprete produce messaggi che aggiungono informazione in maniera significativa rispetto agli originali, percorrendo cos livelli di maggiore o minore visibilit:
For example, if a doctor uses a technical term, such as clear liquid diet, the interpreter takes ownership by expanding, explaining, or changing the register for the patient, in order to ensure that the patient understand. Clear liquids then become water, broth, and apple juice. (Angelelli 2004:77)

A livello di scelte lessicali durante la comunicazione interculturale l'interprete svolge quindi un compito delicato, Ian Mason (1999:12) propone un esempio interessante:
A hospital doctor addressing a patient may well refer to a problem with the waterworks rather than a genito-urinary tract problem; the discourse adopted is one which acts as an appropriate sign (informality, friendly bedside manner) within its culture; if used cross-culturally without interpreter mediation, it may meet whit a look of blank incomprehension or, worse, result in offence being taken.

Un interprete competente e doverosamente formato costituisce, quindi, una figura cruciale nel compensare differenze interculturali e nel rendere l'enunciato d'arrivo semanticamente e pragmaticamente appropriato; in questi casi l'azione dell'interprete chiaramente pi visibile. Solitamente, il maggiore grado di visibilit (e il conseguente impatto sulle informazioni mediche e personali trasmesse) non riguarda le fasi di apertura e chiusura dell'incontro; al contrario, interessa le fasi intermedie (dalla seconda alla quinta es. durante la visita o le fasi di disamina delle condizioni di salute o di prescrizione della terapia o di successivi esami). Gli obiettivi dei partecipanti coinvolti durante l'evento mediato non sono gli unici elementi che divergono; come abbiamo 88

detto in precedenza, ogni partecipante porte con s le proprie aspettative personali. I pazienti si aspettano di essere ascoltati, i medici si aspettano di ottenere le informazioni necessarie per definire la diagnosi e presentare possibilit terapeutiche, gli interpreti, dal canto loro, si aspettano di aiutate i partecipanti monolingui nel comunicare l'uno con l'altro. A volte i pazienti stranieri arrivano all'appuntamento avvertendo una sensazione di forte impotenza e frustrazione, sapendo di non possedere il repertorio linguistico (gergo tecnico, medicalese) necessario per interagire con il dottore o infermiere ma cercando disperatamente una soluzione per il loro stato di salute. A volte i medici si trovano a lavorare sotto forti pressioni di tempo, a volte non dispongono del repertorio linguistico idoneo alla comunicazione con un interlocutore profano oppure non conoscono la cultura di appartenenza del paziente. Sta all'interprete il compito di organizzare e coordinare questo insieme di risorse, obiettivi, ed aspettative interazionali. Nel seguente dialogo, l'interprete si presenta al paziente (Ibid. 2004:80):
(HI: hospital interpreter; N: nurse; P: patient) HI: Mara Gmez? N: Gmez. Thank you. Here he is. HI: Seora. Buenos das. (Ma'am, good morning.) P: S. Buenos das. (Yes. Good morning.) HI: Soy un intrprete, ma llamo Joaqun y le voy a ayudar a practicar con la enfermera. (I am an interpreter. My name is Joaqun, and I am going to help you talk with the nurse.) P: okay.

Joaqun descrive il proprio ruolo al paziente come interprete ed aiutante al contempo. Questo turno di parola non gli formalmente attribuito ma lui stesso a posizionarsi all'interno dell'interazione come partecipante attivo. Il seguente esempio (Ibid.) dimostra un pi alto livello di visibilit rispetto alle fasi di apertura e chiusura, soprattutto in termini di enunciati originati per iniziativa dell'interprete e in riferimento alla gestione del dialogo:
D: let's see...no heart disease runs in the family, right? HI: Y no hay enfermedades del corazn que andan en la familia de Used, verdad? (no heart disease in your family, right?) P: No D: Has she ever been checked for the skin test for tuberculosis? HI: Le han hecho alguna vez el estudio de piel para tuberculosis? (Have you ever been tested with the skin test for tuberculosis?) P: Pues, all me hicieron estudios pero no s si es para eso... (Well, I had some tests done there, but I don't know if they were to check that...) HI: es una aguja que se le meta, le inyecta un poco de liqudo bajo la piel y tiene que regresar dentro de dos o tres das para que le vean si ha cambiado la piel.

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(It is a needle thet is inserted, it injects a little liquid under the skin and you have to go back in two or three days so that they can see if you have changed your skin.) P: No HI: No, she hasn't had that. I just described for her what it was as she said she's had different tests but she wasn't sure if she has had tuberculosis; so I explained to her how PPD works.

In questo dialogo, l'interprete, di propria iniziativa, spiega al paziente in cosa consiste un test per la tubercolosi ritenendo, cos facendo, di non interferire nella costruzione del rapporto di fiducia con il medico. L'interprete, in questo modo, media e dirige la comprensione dell'enunciato originale e incide sulla relazione fra il medico e il paziente nel momento in cui subentra come autore dell'informazione. Come dimostrano anche gli esempi riportati, gli interpreti spesso sono partecipanti attivi e visibili durante l'evento comunicativo. Le fasi di apertura e chiusura (di natura formulaica e ritualizzata) mostrano un minor tasso di visibilit che si presenta perlopi quando si registra un coinvolgimento dell'interprete come autore del testo. Si riscontrano poi esempi di notevole visibilit nei casi in cui l'interprete, sotto l'influenza dei fattori sociali in gioco, sostituisce progressivamente l'interlocutore monolingue divenendo egli stesso autore primario del testo. Attraverso il suo studio, Angelelli ha osservato in prima persona che gli interpreti dirigono le mosse interazionali e coordinano gli scambi di informazione fra i parlanti; i risultati cos emersi hanno avvalorato la tassonomia proposta da Baker33 secondo la quale l'interprete partecipa a: Relazioni strutturali, perch collega parte del testo in questione all'evento comunicativo nella sua complessit; l'interprete ricollega costantemente una risposta o un commento alla globalit del tema trattato. Relazioni generiche, in quanto collega il testo ai testi precedenti. Relazioni relative al mezzo, in quanto collega il testo al mezzo col quale prodotto; se gli interlocutori basano il testo su una radiografia o un referto, per esempio, l'interprete fa riferimento a questi mezzi, diversi dal mezzo testuale. Relazioni interpersonali, in quanto collega il testo ai partecipanti coinvolti. Relazioni referenziali, in quanto rapporta il testo al mondo o contesto ambientale proprio di una lingua. Relazioni del silenzio, in quanto ci che non viene detto o non pu essere espresso verbalmente ha comunque un impatto sul testo; l'interprete svolge il
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Baker, A. (1995) Beyond translation: essays towarda a modern philology. Michigan: University of Michigan Press.

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proprio compito durante i silenzi (le pause dei parlanti primari), interpreta il silenzio, provoca o richiede il silenzio e riempie il silenzio altrui. L'interprete, come abbiamo visto, detiene una moltitudine di ruoli e il termine utilizzato dagli interpreti per definire il proprio ruolo evidenzia, ancora una volta, la tensione fra il ruolo prescritto (invisibile) e il ruolo effettivo (visibile). In ogni caso, questa tensione sembra esistere solo a livello percettivo, astratto; nella pratica, infatti, gli interpreti diventano partecipanti visibili e attivi nel corso dell'interazione mediata. Molti di loro hanno descritto il loro ruolo attraverso varie metafore: Gli interpreti come detective; i pazienti non sempre danno risposte precise alle domande formulate loro dai medici o dagli altri operatori sanitari; a volte, addirittura, i medici chiedono agli interpreti di ottenere le informazioni necessarie senza definire una domanda precisa; Interpreters then take the lead in a line of questioning, in order to get the answer. In other words, they become detectives, questioning the patient carefully, hoping to discover the answer (Angelelli 2004:131) Gli interpreti come ponti multiuso; grazie alla loro capacit di adottare la prospettiva culturale di entrambi i partecipanti primari, medico e paziente, gli interpreti colmano questo divario culturale; They provide a service to both patients and HCPs, sometimes by educating the parties on cultural differences and other times by simply smoothing the differences without making either party aware of the process. (Ibid.) Gli interpreti come intenditori di diamanti; i racconti dei pazienti sono molto diversi fra loro in termini di contenuto e generalmente presentano un misto di informazioni rilevanti, meno rilevanti, oppure del tutto irrilevanti; In the telling of a story, the patient opens up a bag full of rocks, diamonds, and dirt; it is important that interpreters be capable of distinguishing diamonds from ordinary rocks (Ibid.) Gli interpreti come minatori; mentre ad alcuni pazienti piace raccontare la propria storia, altri sono pi restii a fornire le informazioni necessarie all'interprete o al medico. In these cases, interpreters have to find a way to extract information excavating until they get to the gold (the necessary information), as miners do (Ibid.)

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4.1

Il briefing

L'interazione fra medico e paziente, nonostante le barriere linguistico-culturali, un elemento fondamentale che pu ripercuotersi sull'esito stesso della terapia prescritta. In altre parole, non sufficiente comunicare solo le informazioni di carattere prettamente medico, importante anche che i due partecipanti primari instaurino e costruiscano un rapporto interpersonale grazie alla partecipazione dell'inteprete/mediatore. Per poter interagire al meglio sia con l'interlocutore primario che con l'interprete necessario sapere cos' un evento mediato e in cosa consiste la figura dell'interprete o mediatore linguistico-culturale. A questo proposito sarebbe ideale organizzare una sessione informativa preliminare, detta briefing, con entrambe le parti (fra interprete e medico, e fra interprete e paziente) durante la quale spiegare il ruolo detenuto

dall'interprete/mediatore, fornire alcune regole base in termini di gestione dei turni di parola, di aspettative interazionali (cosa ci si deve aspettare dall'evento mediato e dalla performance dell'interprete) e in termini di etica professionale. Come avvisano Gentile et alii.(1996:21) importante che la sessione di briefing sia condotta con cautela e professionalit:
The briefing from both clients about the subject matter of the interview needs to be handled extremely carefully to avoid eiher client assuming, during the interview, that the interpretation will be supplemented with what was discussed at the briefing. (Ibid.)

Secondo gli autori, necessario chiarire che le informazioni fornite durante la fase di briefing non verranno utilizzate dall'interprete per integrare ci che verr detto durante la successiva interazione a tre; questo comportamento vizierebbe la vera essenza della figura professionale dell'interprete alterandone il ruolo. Inoltre, se l'interprete utilizzasse l'informazione ricevuta durante la sessione preliminare per aggiungere e completare l'enunciato del paziente in sede di consulto medico, potrebbe dare adito a conseguenze sfavorevoli di cui sarebbe ritenuto responsabile. Per evitare tutto ci, l'interprete dovrebbe organizzare la sessione informativa preliminare nel miglior modo possibile senza entrare troppo nel dettaglio con i partecipanti: this may be to obtain as much information as possible when the booking is made and to avoid waiting in the company of one client before the assignment (Ibid 1996:22). Piccinini (in Luatti 2006) parla di stipula preventiva di un contratto di mediazione,

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una sorta di patto dove l'operatore prima dell'intervento di mediazione, definisce insieme con il mediatore, le modalit d'intervento: posizione dei soggetti, collocazione dei tempi per la traduzione, scambio di informazioni sul caso, gestione delle informazioni ecc. Per mantenere la fiducia del medico (o operatore sanitario) necessario che il mediatore mantenga il flusso della comunicazione ma non produca direttamente comunicazione (come vedremo la pratica spesso smentisce tali precetti); fondamentale cio che l'interprete/mediatore si tenga alla giusta distanza:
Spesso il mediatore viene vissuto dall'utente come un confidente, egli incarna un modello di una integrazione avvenuta, una storia di immigrazione conclusa positivamente, ma a lungo termine, per il mediatore, il fatto di rappresentare un punto di riferimento costante, il fatto di dover essere disponibile in ogni momento, rischia di diventare controproducente e di portare ad uno sconfinamento della dimensione professionale in quella personale. (Ibid. 2006:99)

La formazione professionale dell'interprete che opera in questo ambito quindi cruciale, una professione nella quale previsto l'instaurarsi di una relazione d'aiuto necessita di strumenti professionali per poter stabilire con chiarezza alcune regole cardine che proteggano l'interprete dal rischio di essere troppo coinvolto, complice e solidale con uno dei partecipanti; il paziente col quale condivide l'appartenenza linguistico-culturale, o l'operatore dell'istituzione che incarna l'autorit e che a volte ha un rapporto di collaborazione continuativa con l'interprete:
Si tratta quindi di una posizione di equilibrio, il mediatore deve essere, da un lato, credibile e meritevole di fiducia rispetto alla comunit di appartenenza, d'altro canto per, deve essere abile a non lasciarsi coinvolgere troppo dalle problematiche legate ai singoli e alla comunit (Ibid.).

Come detto in precedenza, l'interprete pu lavorare come freelance, oppure pu operare tramite un'agenzia o cooperativa o un'associazione no profit; il tipo di contratto pu essere di collaborazione o prestazione occasionale, a chiamata, oppure pu lavorare all'interno di un team stabile presso una struttura ospedaliera o socio-sanitaria. Come suggeriscono Gentile et alii. (1996), l'importanza del briefing necessaria anche e soprattutto nel caso di prestazioni isolate quando cio prevista una singola esperienza di comunicazione mediata. Durante il briefing, o accordo di traduzione, fra il mediatore linguistico-culturale e l'operatore, importante stabilire che tipo di

traduzione operare, come spiega Marta Castiglioni (in Luatti 2006), fornire una traduzione fedele e completa pu significare cose molto diverse a seconda dei casi e 93

dei contesti situazionali. Durante la compilazione di una cartella clinica o la realizzazione di un'anamnesi, per esempio, il mediatore linguistico-culturale proceder alla traduzione del contenuto che risponda alla domanda formulata dall'operatore, tralasciando eventuali commenti dai pazienti e tutto ci che non sia funzionale alla raccolta dei dati necessari alla visita. In altre circostanze, una traduzione fedele richiede che alle parole del paziente si aggiungano ulteriori spiegazioni di tipo culturale. Diversa ancora la mediazione linguistico-culturale nell'ambito della salute mentale che, proprio per la sua specificit, richiederebbe un approfondimento appositamente dedicato. Secondo Castiglioni, inoltre, importante che il mediatore linguisticoculturale ricordi all'operatore che esiste sempre un certo livello di intraducibilit e che tradurre dire quasi la stessa cosa (Eco 2001)34 in un'altra lingua. Un altro tema controverso e degno della massima attenzione se e come interpretare e decodificare la comunicazione non verbale, il paralinguaggio (il tono della voce, il timbro, i silenzi, le pause ecc.) e il linguaggio del corpo (postura, sguardo, gesti ecc.) che non di rado sono fonte di malintesi, ambiguit comunicative e fraintendimenti che possono provocare anche pericolosi errori diagnostici o di valutazione di una data situazione:
Un esempio rappresentativo, accaduto all'inizio del nostro lavoro, stato quello dell'assistente sociale che di fronte al silenzio della donna cinese riguardo al nome da dare al bambino e al ritardo nell'iscrizione nell'anagrafe, interpreta in modo sbagliato che la donna vuole dare il neonato in adozione. Il silenzio della donna era invece motivato dalla necessit di consultare l'oroscopo cinese per la scelta del nome. (Castiglioni in Luatti 2006:150)

Come spiega la stessa autrice, il caso sopracitato dovuto ad un malinteso culturalmente determinato; nelle culture occidentali il silenzio spesso significa assenso, al contrario per gli asiatici significa dissenso. Le persone occidentali esprimono la rabbia o il disaccordo considerando queste manifestazioni come segni d'apertura e sincerit, nella cultura araba-mediorientale, per esempio, le persone tendono ad interiorizzare la rabbia e il disaccordo e considerano la loro manifestazione come inconveniente o presuntuosa. Richard Gesteland (1997), a proposito della

comunicazione interculturale, parla del cosiddetto mito dell'orientale imperscrutabile (the myth of the inscrutable oriental), i parlanti asiatici, soprattutto cinesi,

giapponesi e abitanti dell'area meridionale del continente asiatico, presentano un


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Eco, U. (2001) Dire quasi la stessa cosa, Bompiani, Milano. Citato in Luatti 2006:149.

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linguaggio pi indiretto, preferiscono nascondere le proprie emozioni, in particolare quelle negative, they seem to treat no as a four-letter-word. To avoid insulting you they may instead murmur that will be difficult (Ibid.). Gesteland, poi, classifica le differenze culturali principali secondo i seguenti parametri dicotomici:

Deal-Focus vs Relationship-Focus Cultures (Clarity vs Harmony) Informal vs Formal Cultures Rigid- Time vs Fluid- Time Cultures Expressive vs Reserved Cultures 'Low-Context' and 'High- Context' Communication (Direct Language vs Indirect Language)

Affinch la comunicazione interculturale abbia successo, fondamentale tener conto di tali differenze radicate nella cultura dei parlanti che, nella maggior parte dei casi, sono implicite e sconosciute all'interlocutore di diversa appartenenza linguistico-culturale; un'altra interessante distinzione individuata da Gesteland (1997) riguarda il diverso livello di espressivit dei parlanti: - Very expressive cultures: the Mediterranean Region, Latin Europe, Latin America;
- Moderately expressive: USA and Canada, Australia and New Zealand, Eastern Europe, South Asia; - Reserved cultures: East and Southeast Asia, Nordic and Germanic Europe.

La sessione informativa preliminare all'evento mediato vero e proprio pu essere quindi utilizzata anche per far luce su alcune divergenze culturali rilevanti delle quali bene informare i partecipanti primari allo scopo di evitare, o per lo meno attenuare, eventuali malintesi basati su pregiudizi di tipo etnocentrico, se non addirittura conflitti comunicativi scaturiti da misunderstanding di carattere interculturale. In fase di briefing, inoltre, opportuno definire il setting nel quale avverr la mediazione cos da stabilire alcune regole di comportamento che possano arginare il rischio di possibili malintesi, Castiglione (2006) propone di fissare tali regole:

la presentazione del mediatore all'inizio dell'intervento: il mediatore linguistico-

culturale spiega all'utente il motivo della sua presenza per ottenere il consenso a partecipare alla visita o al colloquio, oltre a ricordare la regola del segreto professionale;

la collocazione spaziale del mediatore linguistico-culturale: come gi detto

citando Gentile et alii. (1996), la disposizione delle sedie durante l'evento mediato 95

dovrebbe permettere di riprodurre il triangolo e, nel caso non sia possibile rispettare una posizione triangolare, il mediatore dovrebbe collocarsi accanto all'utente per bilanciare la situazione di disparit di potere e a volte d'ineguaglianza in cui ogni utente si viene a trovare (disuguaglianza d'accesso alle risorse d'informazione e asimmetria di status posizionale) Ancora una volta, il colloquio etnopsichiatrico costituisce un ambito di ricerca a parte, in quest'ultimo infatti preferibile una disposizione circolare dei partecipanti per favorire e facilitare il flusso comunicativo;

il turno di parola: il mediatore linguistico-culturale deve rispettare e fare

rispettare il turno di parola per consentire di ascoltare e trasmettere in modo corretto ci che viene detto e per permettere di evitare il crearsi di situazioni di disagio e stress. In seguito all'evento mediato, pu essere molto utile un'ulteriore sessione informativa che prende il nome di de-briefing, ossia un incontro a posteriori fra interprete o mediatore culturale e operatore sanitario; come afferma Rudvin (2003:152):
De-briefing can be very useful to discuss any problem that have arisen during the session that are still unclear or may have led to a misunderstanding. It is also an opportunity for the interpreter to discuss difficult ethical issues or dilemmas with a doctor , psychiatrist or judge if s/he needs support, advice or simply empathy.(...) Ultimately, decisions about whether to brief/de-brief, whether or not one can offer practical advice to the client etc. are, of course, not the responsibility of the interpreter alone but the legal institutions themselves.

In questa sezione, abbiamo voluto riassumere i motivi principali che stanno alla base di un'ideale sessione di briefing in vista dell'evento mediato fra paziente ed operatore sanitario, come verr detto nel prosieguo di questo lavoro utilizzando le testimonianze dirette di alcune mediatrici culturali, spesso la sessione informativa preliminare (cos come quella conclusiva) non rientra per nella prassi del servizio di mediazione culturale offerto dalle aziende socio-sanitarie, o meglio, nella pratica si riscontra (se prevista) una forma di briefing molto pi breve e concisa di quella postulata in via teorica; spesso infatti, la sessione di briefing col paziente, inglobata nello stesso scambio mediato medico-paziente e si riduce ad una brevissima presentazione del mediatore prima di iniziare la visita o consulto medico.

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4.2

La mediazione interculturale in ambito socio-sanitario e la situazione italiana

Come scrive Rudvin (2005:331), ricollegandosi alla teoria antropologica di Kleinman35, le strutture sanitarie ed assistenziali sono solo dei sistemi come altri, non universali nella loro struttura, e profondamente limitati dalla propria cultura di riferimento (culture-bound). Il sistema sanitario quindi un modello concettuale culturalmente definito, non un modello universale stabilito a prescindere dal contesto socio-culturale nel quale inserito, a tal proposito scrive Baraldi (2003:110):
Queste identit culturali non sono caratteristiche predefinite di gruppi sociali, di minoranze, di nazioni o di altri segmenti. La trasformabilit le distingue, essendo esse sistematicamente contaminate da forme culturali diverse con cui entrano in contatto: l'identit culturale (e quindi la diversit culturale) una produzione, non un antecedente alla comunicazione. () L'informazione prodotta nella comunicazione una costruzione sociale, dunque non mai oggettiva.

Il sistema sanitario pertanto, radicato e modellato da e nella cultura di riferimento, cos come lo scopo stesso delle terapie mediche e l'impianto teorico e metodologico sul quale il sistema pone le proprie fondamenta. Il ruolo dell'interprete-mediatore rappresenta l'anello di congiunzione fra il linguaggio e le istituzioni, entrambi culturalmente costituiti. Nella maggior parte dei casi le istituzioni si rivolgono ad agenzie, cooperative o associazioni attraverso appalti o convenzioni per la gestione dei servizi di mediazione. Come si gi detto, la mediazione pu richiedere interventi molto differenziati e pu esigere varie modalit di coinvolgimento: ascolto, accompagnamento, sostegno, orientamento, testimonianza, informazione, traduzione linguistica e consulenza su aspetti legati all'appartenenza culturale. Da una parte dunque la complessit del ruolo che l'interprete-mediatore chiamato a svolgere, dall'altra l'emergenza del fenomeno immigratorio italiano che ha comportato in concreto l'impossibilit di elaborare e strutturare con la dovuta attenzione un modello di mediazione efficiente ad efficace, un modello nel quale i miglioramenti sono stati apportanti solo a posteriori, in seguito ai risultati emersi dall'esperienza diretta. La situazione italiana si presenta ancora piuttosto eterogenea e carente di un impianto istituzionale e normativo in grado di delineare uniformemente questo profilo

Kleinman, A. (1980) Patients and healers in the context of culture : an exploration of the borderland between anthropology, medicine, and psychiatry. Berkeley: University of California press.

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professionale tuttora confuso, basti pensare alla stessa terminologia che ad oggi manca di una definizione standardizzata ed ufficialmente riconosciuta. Tale mancanza di strutturazione, sia a livello professionale che disciplinare, rende ancora pi complessa e problematica la definizione del ruolo dell'interprete-mediatore in ambito socio-sanitario, cos come si ripercuote sul servizio sociale offerto agli utenti stranieri. Rudvin (2005:336) parla di trasversalit del problema nei diversi ambiti sociali (sanitario, giuridico, amministrativo), aggravata da un reclutamento spesso casuale e improvvisato che minaccia la credibilit e l'immagine stessa di una professione che richiede notevoli competenze tecniche e personali. Il reclutamento di interpreti qualificati per le cosiddette lingue a diffusione limitata, poi, rappresenta un' ulteriore criticit del sistema italiano: hospitals and immigration services tend to use a colleguefriends-yellow pages network (Ibid.), pi raro invece il caso di team stabili di mediatori linguistico-culturali all'interno delle strutture socio-sanitarie del Paese. L'Italia di oggi attraversa un momento storico di transizione, nel quale proliferano e spesso si sovrappongono profili professionali, percorsi formativi (offerti dalle universit o quelli di carattere pubblico offerti dalle ONG) e denominazioni sempre pi ambigue ed incerte; Belpiede (in Luatti 2006:246) propone un riassunto della caotica terminologia italiana rispetto alla figura dell'interprete-mediatore:
Mediatore interculturale, mediatore culturale, mediatore linguistico-culturale, operatore sociale, operatore sociale e culturale, agevolatore/facilitatore, tecnico esperto in mediazione, tecnico qualificato in mediazione,...: la variet delle definizioni evidenzia come il nome, e di conseguenza il profilo del mediatore, siano oggetto di discussione nella maggior parte delle Regioni italiane. C' da chiedersi se tali opzioni definitorie siano l'esito di riflessioni o piuttosto di scelte che non riflettono una disamina precisa, ma semplicemente espressione del contesto territoriale e del suo linguaggio.

Come sostiene la stessa autrice, tale situazione imputabile in particolare a due processi istituzionali: le autonomie regionali e universitarie (Ibid.) In assenza di una regolamentazione a livello nazionale, ogni regione, e ciascuna universit, ha creato ex novo una moltitudine di profili formativi e di corsi di laurea che si differenziano solo per minime variabili dei rispettivi piani didattici non facendo altro che aumentare la frammentazione delle professioni cosiddette sociali. Rudvin (2006:59) descrivendo il quadro italiano, individua una sostanziale, seppur non precisa, differenziazione: In Italy a distinction albeit not yet standardized is made between language mediator

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(cummunity interpreter/public service interpreter) and cultural mediator (culturebroker). Come spiega Rudvin, per motivi di ordine geo-politico, il ruolo del mediatore culturale in Italia stato nettamente predominante rispetto a quello dell'interprete e l'interpretariato semplicemente considerato come una delle tante attivit svolte dal mediatore culturale: The main task of a language mediator is to translate. The assumed, and mistaken, simplicity of this task leads to the frequent recruitment of ad-hoc interpreters. (Rudvin 2006:60) In Italia, la distinzione fra interprete e mediatore linguistico-culturale risulta spesso confusa, farraginosa, se non addirittura deviante rispetto alla reale definizione di tali figure professionali:
Entrambe le figure condividono gli stessi obiettivi di base dell'operatore sanitario, ovvero capirsi, aiutarsi vicendevolmente per arrivare a un'intesa, giungere a una diagnosi ed una terapia. Tradizionalmente, il ruolo del mediatore in questo processo pi pro-attivo che non quello dell'interprete. (Rudvin 2005:338)

Rudvin propone una descrizione delle qualifiche professionali del mediatore culturale (Ibid.): - deve essere (preferibilmente) straniero; - deve avere un vissuto migratorio (per stabilire l'empatia emotiva e culturale); - attitudine all'ascolto e capacit di immedesimazione; - livello di istruzione elevato; - alte competenze linguistiche nella propria lingua madre sia scritta sia orale; - buon livello culturale; - conoscenza della realt italiana. L'interprete, d'altro canto, traduce ed interpreta in maniera pi distaccata durante la relazione interculturale, utilizza un approccio dissociativo nei confronti

dell'interlocutore, traduce con pi precisione possibile quanto viene detto e deve possedere un'attitudine all'imparzialit. Mediatore linguistico-culturale ed interprete, inoltre, condividono la consapevolezza delle differenze interculturali e della mancanza di corrispondenza terminologica e/o comunicativa fra lingue diverse. Rudvin (Ibid. 2005:342) afferma che nella formazione dell'interprete mancano spesso elementi quali:

il diverso modo di descrivere i sintomi; i tab culturali; la descrizione e la percezione del dolore;

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i diversi approcci alla gerarchia professionale (come comportarsi: Lei/tu, contatto visivo, tono di voce, poter contraddire);

le differenze nel rapporto medico-paziente; le differenze nel rapporto uomo-donna; le percezioni legate all'et; il ruolo della famiglia; il consenso informato; la riservatezza.

Detto questo, sarebbe incauto asserire che la figura del mediatore linguistico-culturale e quella dell'interprete sono figure antitetiche; queste due figure professionali rappresentano piuttosto ruolo diversi ma appartenenti ad uno stesso continuum, o spettro professionale nel quale si ha, da una parte, una figura pi pro-attiva e partecipante, e dall'altra, una figura pi distaccata ed imparziale che svolge un compito di traduzione/interpretazione pi automatico (ma non per questo pi facile!). Come conclude Rudvin (Ibid.)
si potrebbe ipotizzare una distinzione di ruoli che vede il mediatore culturale chiamato nei casi di necessit di mediazione (dove si sono gi verificati problemi di comprensione o di altra natura che necessitano di un intervento pi attivo e per pazienti con difficolt psicologiche o sociali). Dato che la formazione del mediatore culturale richiede tempi pi lunghi e un pool di mediatori pi ristretto, si potrebbe ricorrere ad interpreti per compiti pi mirati, brevi e circoscritti e per casi standard.

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CAPITOLO 5 La ricerca sul campo: un'indagine nel settore sanitario emiliano

Dopo aver presentato l'impianto teorico sul quale poggia il presente lavoro, in questa sezione verr proposta una breve ricerca sul campo; l'ambito di studio circoscritto alle strutture ospedaliere emiliane e la selezione degli ospedali stata in parte guidata dalla possibilit di reperimento dei dati d'interesse, e in parte basata su un criterio di tipo demografico, legato sia al numero di abitanti dell'area di riferimento, sia alla proporzionale presenza di stranieri sul territorio. Il metodo utilizzato stato quello dell'intervista, tale strumento metodologico stato selezionato fra le altre opzioni possibili (questionario, conversazione registrata, video ecc.) per la relativa facilit d'impiego nel contesto in questione avendo scelto di strutturare l'intervista in maniera da non risultare invadente o impositiva rispetto ai soggetti intervistati, ossia le mediatrici culturali. In altre parole, la struttura, seppur conservando una griglia di base che stata mantenuta uniforme per tutte le interviste svolte, non presenta una scaletta di domande rigidamente definita; ci che costituisce la struttura fissa dell'intervista sono piuttosto gli spunti tematici proposti a ciascuna delle mediatrici culturali intervistate. L'organizzazione strutturale dell'intervista utilizzata nella nostra ricerca pu essere descritta come segue: 1) Presentazione della mediatrice, provenienza geografica-culturale, periodo di permanenza nel nostro paese, tipo di figura professionale ricoperta nella struttura socio-sanitaria; 2) 3) Formazione professionale, livello di istruzione, tipo di contratto di lavoro; Descrizione del ruolo che ricopre e dell'organizzazione del servizio di mediazione culturale nella struttura socio-sanitaria di riferimento; 4) Discussione di alcuni elementi specifici: briefing, segreto professionale, terminologia tecnica, problematiche linguistiche e traduttive, gestione dei turni di parola e utilizzo della 1^ o 3^ persona durante la mediazione; 5) Gestione delle differenze culturali: quali sono le maggiori differenze incontrate; racconto di aneddoti legati alla comunicazione interculturale. Le interviste sono state previamente concordate, o con la coordinatrice del servizio di

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mediazione contattata telefonicamente o via e-mail, oppure con la mediatrice stessa (con la quale ho potuto parlare telefonicamente, utilizzando i recapiti telefonici pubblicati sul sito Internet dell'azienda socio-sanitaria relativa). Le strutture sanitarie presso le quali si sono svolte le interviste sono:

l'Ospedale SS. Annunziata di Cento (Ferrara); l'Ospedale S. Anna di Ferrara; l'Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna; l'Ospedale di Bentivoglio (Bologna); il Policlinico di Modena; il Poliambulatorio di Reggio Emilia Viale Monte S. Michele Lo Spazio Salute Immigrati, Ausl di Parma

Da un punto di vista pratico, durante l'intervista mi sono servita di un semplice quaderno per gli appunti sul quale ho annotato sinteticamente le risposte delle mediatrici, trascrivendo (quando possibile in termini mnemonici) alcuni frammenti di discorso diretto che ho successivamente riportato in questo lavoro per rendere la testimonianza diretta dell'intervistata e per sottolineare alcune scelte lessicali significative che, come vedremo, risultano particolarmente interessanti ai fini della nostra indagine. La raccolta delle interviste alle mediatrici culturali si svolta nell'arco di circa un mese (fra dicembre 2010 e gennaio 2011) e, compatibilmente con la disponibilit accordatami dalle operatrici, stata elaborata per costituire la controparte empirica della sezione teorica con la quale abbiamo aperto il presente lavoro. Le interviste si sono svolte in copresenza, delineandosi cio come conversazioni a due semi-strutturate e faccia a faccia, fra intervistatore (chi scrive) e intervistato (la mediatrice culturale). Solo in due casi, come si dir, l'intervista stata condotta in presenza di altri soggetti che hanno

mantenuto il ruolo di partecipanti passivi, ascoltatori, forse influenzando in parte la libert di risposta dell'intervistata. La possibilit di parlare direttamente con il soggetto centrale sul quale verte questo studio stata estremamente produttiva ed illuminante; da una parte, mi ha permesso di confermare o confutare certi aspetti teorici prescritti dalla letteratura e dalla saggistica che si occupata di questo tema; dall'altra, mi ha permesso di conoscere l'aspetto pi umano di questa figura professionale tanto

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controversa quanto affascinante; le mediatrici con le quali ho potuto parlare si sono dimostrate estremamente disponibili, alcune di loro mi hanno persino ringraziata per l'attenzione dedicata loro, e gli aneddoti che mi hanno raccontato sono stati preziosissimi per conoscere un po' pi da vicino la loro realt professionale e quella delle strutture socio-sanitarie della Regione Emilia-Romagna. Come scrive Rudvin (2006:63):
On principle, the hospitals (often in conjunction with local authorities) employ migrant staff (trained or untrained), mainly female, who do an excellent job, but are badly underpaid and have little long-term job security. Many have families and small children to care for and rely on their husbands as the principal breadwinners.

Questo in sintesi il quadro che mi si prospettato dinnanzi una volta entrata nel vivo della ricerca sul campo: un mondo quasi esclusivamente femminile, composto da donne in gamba che svolgono la loro professione con grande impegno e dedizione ma anche con grande sacrificio.

Le interviste alle mediatrici culturali: 5.1 Ospedale SS. Annunziata, Cento (Ferrara) Mediatrici pakistane

Il primo dicembre 2010 mi reco all'ospedale SS. Annunziata di Cento in provincia di Ferrara, essendo il mio comune di residenza ho pensato di iniziare la mia indagine sul campo proprio a cominciare dalla mia citt (o meglio cittadina, l'ultimo documento dell' Ufficio Statistiche e Censimenti del 31 dicembre 2009 dichiara un totale di 35.150 abitanti in tutta l'area comunale). Mi rivolgo alle infermiere del reparto ginecologiaostetricia chiedendo se possibile fare una breve intervista a uno dei mediatori culturali in servizio, la capo-sala mi dice che al mercoled c' la mediatrice pakistana e al venerd quella marocchina, cos riesco ad avere un colloquio con Sadia, una giovane pakistana, studentessa di lingue (inglese e spagnolo) presso l'Universit di Ferrara, che lavora saltuariamente come mediatrice linguistica da circa un anno e mezzo. Ha 22 anni e da cinque anni vive in Italia, parla molto bene l'italiano, quattro anni fa ha frequentato un

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corso semestrale di mediazione culturale organizzato gratuitamente dal Comune di Cento dove ha seguito lezioni di lingua italiana e un breve corso intensivo incentrato sulla terminologia medica e sull'organizzazione ospedaliera; ha trovato il corso molto utile e l'attestato finale che le hanno rilasciato le ha permesso di registrarsi fra i mediatori culturali della Cooperativa Camelot36 con sede a Ferrara.

Contratto e remunerazione Ora ha un contratto a chiamata con questa cooperativa e occasionalmente, per lo pi quando c' bisogno di sostituire un'altra mediatrice, la chiamano uno o due giorni prima per sapere se disponibile. Mi dice che molto felice di fare questo mestiere, certo lavora poco (a volte passano settimane intere senza ricevere nessuna telefonata dalla cooperativa) e quando le chiedo se soddisfatta della remunerazione che percepisce mi risponde: prendo 11 l'ora, per non me lo sono mai chiesto se lo stipendio poco. A me piace questo lavoro.

Segreto professionale e alleanze La cooperativa per la quale lavora le ha fatto firmare un contratto che prevede, fra le altre cose, la sottoscrizione di regole di deontologia professionale; alcune di queste si riferiscono al rapporto col paziente e riguardano il segreto professionale che il mediatore linguistico-culturale tenuto a coprire, cos come si riferiscono alla necessit di mantenere un rapporto professionale col paziente. Sadia mi dice che a volte, anche se non dovrebbe, lascia il proprio numero di telefono ai pazienti: se un pakistano che non parla una parola di italiano e mi chiede un aiuto io lo lascio [il numero] perch se hanno bisogno mi dispiace...

Briefing, 1^ o 3^ e registro linguistico Le chiedo poi se prevista una sezione preliminare (briefing) durante la quale il mediatore possa spiegare al paziente in cosa consiste il suo ruolo e come comportarsi
Gli operatori della Cooperativa coprono oggi una ventina di gruppi linguistici tra cui: arabo, russo, albanese, rumeno, urdu, ucraino, indi, cinese, oltre naturalmente a inglese, francese, tedesco e spagnolo. Grazie alle loro competenze si sono attivati progetti e servizi di mediazione linguisticoculturale in: ambito scolastico, ambito sanitario, ambito penitenziario, ambito sociale, ambito informativo. (v. sito ufficiale: http://www.coopcamelot.org )
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durante la comunicazione mediata (per esempio in merito alla gestione e allocazione dei turni di parola, alla disposizione logistica dei partecipanti, ai problemi di carattere interculturale e, soprattutto, in merito alla figura del mediatore stesso), la ragazza mi risponde sommariamente di s, che si presenta al paziente e gli dice che una mediatrice. Le chiedo poi se durante l'evento mediato parla in prima o in terza persona e mi risponde che loro, i mediatori, parlano sempre in terza persona; la comunicazione, non solo linguistica ma anche paralinguistica dei parlanti monolingui, sarebbe quindi sempre rivolta al mediatore. Sadia porta il velo, musulmana e parla cinque lingue: l'urdu, il punjabi, l'inglese, l'italiano e, a livello ancora scolastico, lo spagnolo; quando lavora come mediatrice culturale negli ospedali di Ferrara e provincia, le capita prevalentemente di mediare per pazienti pakistani, indiani e bangladeshi. Da un punto di vista terminologico-lessicale, mi spiega che durante la mediazione cerca di tradurre ci che dice il medico nella maniera pi semplice possibile (abbassamento del registro linguistico) e, siccome il medico italiano utilizza spesso vocaboli tecnici che non possiedono un equivalente lessicale in lingua urdu, la giovane mediatrice ricorre frequentemente alla parafrasi e nel caso in cui si trovi di fronte ad un nome proprio (di un medicinale o di una procedura medica per esempio) che non esiste o non conosciuto in Pakistan, allora prima spiega di cosa si tratta, e poi fornisce direttamente il termine italiano. Sadia dice che a volte potrebbe fornire il termine corrispondente in inglese, lingua co-ufficiale del Pakistan utilizzata negli affari e nella redazione di atti governativi oltre che dall'lite urbana, ma generalmente gli immigrati pakistani che giungono in Italia non hanno una conoscenza sufficiente dell'inglese per poterlo utilizzare come lingua veicolare.

Differenze interculturali Mi racconta poi che l'aspetto pi complicato del suo lavoro riguarda le differenze culturali, riferendosi in particolare al rapporto uomo-donna e al modo di trattare la malattia e di relazionarsi col paziente. Quando le capita di rapportarsi con un paziente pakistano di sesso maschile, spesso si trova in imbarazzo, arrossisce e vede che anche l'uomo, almeno inizialmente, in una situazione di disagio quando si ritrova a parlare direttamente con la giovane ragazza di questioni piuttosto intime, se non veri e propri tab. Poi continua: qui il dottore dice tutto subito! In Pakistan non cos, non dici

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subito al paziente che ha qualcosa di brutto, mi spiega che la cosa pi difficile per lei quella di dover comunicare direttamente al paziente una notizia o un referto negativo; nella sua cultura le cattive notizie si comunicano ai familiari, non al paziente, e in maniera pi indiretta, lasciando ad intendere, ed utilizzando un linguaggio pi criptico nel contesto di una comunicazione meno esplicita. Noi siamo molto pi chiusi dice Sadia, se il dottore dice una frase, poi io ne devo dire cinque di frasi per spiegare; allora le chiedo: quindi non traduci solo quello che dice il medico ma puoi parlare di pi? e mi risponde: S aggiungo molto, perch devo spiegare piano piano che cosa succede. In questo caso la mediatrice non ha il ruolo di semplice animatore (Goffman 1981) dell'enunciato originale ma agisce in qualit di vero e proprio autore (Ibid.), assumendosi la responsabilit di ci che dice e di ci che aggiunge di propria iniziativa in caso di non-renditions (Wadensj 1998).

Gestire lemotivit e i temi tab Mi racconta che una volta, davanti ad una coppia di pakistani in attesa del primo figlio (la donna era ormai al termine della gravidanza), il medico sentendo che il battito cardiaco del feto era molto debole, disse a Sadia che il bimbo sarebbe potuto morire alla nascita. Sadia allora, in grande difficolt, cerc lentamente, e con un dispendio di tempo certamente superiore a quello impiegato dal medico, di dare ai genitori la cattiva notizia, ma solo al termine di un lungo e faticoso discorso disse che forse poteva esserci la possibilit che morisse, a quel punto la donna inizi a piangere e Sadia mi dice che quando un paziente piange, lei cerca di consolarlo, di rassicurarlo, gli dice che non deve preoccuparsi e che qui in Italia i dottori sono molto bravi. Il mio tempo a disposizione con Sadia terminato, la ringrazio e lei gentilmente decide di lasciarmi il suo numero di telefono per ulteriori informazioni sulla sua professione.

Intervista alla seconda mediatrice pakistana Come detto in precedenza, presso l'ospedale SS. Annunziata di Cento il mercoled il giorno in cui presente la mediatrice pakistana, forse a causa di pi appuntamenti concordati per la stessa giornata, riesco ad incontrare una seconda mediatrice pakistana; ha appena terminato la mediazione durante l'ora di fisioterapia di un giovane pakistano

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presso la palestra del reparto di ortopedia, cos mi presento e le chiedo di poterle fare qualche domanda in merito al suo ruolo professionale. Da subito si mostra molto disponibile, si chiama Aziz, ha una cinquantina d'anni, ha il capo coperto dal velo e lavora come mediatrice da circa dieci anni. Contratto e formazione Anche lei lavora all'interno della Cooperativa Camelot e oltre a collaborare con l'ospedale di Cento, due giorni a settimana per sei ore complessive presta servizio presso lo sportello dell'Azienda USL di Ferrara in via Boschetto dove si trovano consultori familiari e ambulatori ginecologici. Le chiedo che tipo di formazione ha avuto e mi risponde che, quando ha iniziato lei, non era ancora previsto nessun tipo di tirocinio, cos ha maturato l'esperienza direttamente sul campo. Registro linguistico, 1^ o 3^ persona e briefing Mi spiega che durante la mediazione utilizza un linguaggio semplice, comune, evitando i tecnicismi utilizzati dal medico e semplificando ci che viene detto il pi possibile, la mediazione avviene sempre in terza persona. Il suo ruolo, oltre alla mediazione linguistico-culturale, comprende anche l'aiuto alla comprensione dei documenti necessari ai pazienti immigrati e il servizio di accoglienza indirizzato a questi ultimi (quando lavora allo sportello della USL). Aziz mi dice che quando incontra un nuovo paziente, presenta brevemente il proprio ruolo: dico che sono l per aiutare a parlare col dottore. Aspetti interculturali e temi tab Le chiedo poi se si mai trovata di fronte a difficolt comunicative legate alla diversit culturale, mi risponde che durante gli appuntamenti ginecologici, per esempio, le donne pakistane sono un po' a disagio nello scoprire il proprio corpo, cos utilizzano un lenzuolo per lasciare scoperta solo la zona interessata. Rapporto coi pazienti e alleanze Mi racconta inoltre, che a volte le pazienti cercano un aiuto che vada oltre l'incontro di mediazione in ospedale, spesso chiedono ad Aziz di poter avere il suo numero di telefono o di poterla incontrare al di fuori, ma io dico di no, non si pu dice Aziz, e

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spiega loro che se vogliono possono tornare in ospedale per parlare di nuovo con lei. In questo modo rispetta la deontologia professionale e sfugge al rischio di creare aspettative che non dovrebbe e non sarebbe in grado di soddisfare.

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Istituto Ortopedico Rizzoli (Bologna)

Il 6 dicembre mi reco all'Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna ed ho un colloquio con la caposala della Clinica Ortopedica e Traumatologica IV a prevalente indirizzo Oncologico (ex-V Divisione), qui vengono trattati, prevalentemente, pazienti affetti da tumori dell'apparato muscolo-scheletrico, sia dell'osso sia delle parti molli37; l'istituto rinomato a livello internazionale e i pazienti che ricorrono alla competenza dello staff medico di questa struttura provengono da tutto il mondo, anche se per ragioni di distanza geografica i pazienti europei costituiscono la maggior parte. La caposala mi fa subito presente che in ospedale non previsto uno staff di mediatori culturali stabile; per le necessit di interpretariato per pazienti IOR possibile usufruire del servizio offerto dalla ONLUS denominata AMISS, organizzazione gi fornitrice di tale servizio per le aziende ospedaliere dell'area metropolitana. Il servizio di mediazione pu essere richiesto: in urgenza: l'intervento della mediazione deve essere eseguito entro le 24h successive alla richiesta; programmato: l'intervento della mediazione verr eseguito dopo le 24h dalla richiesta. Il coordinamento del Servizio di mediazione Interculturale Socio-Sanitario AMISS attivo dalle ore 8.00 alle ore 17.00 dal luned al venerd per le richieste di mediazione programmata, e dalla ore 8.00 alle ore 21.00 tutti i giorni per le mediazioni urgenti. A.M.I.S.S. (Associazione Mediatrici Interculturali in ambito Sociale e Sanitario) si costituita in seguito al Corso di Formazione per Mediatrici Interculturali in ambito Socio-Sanitario (h.700), coordinato dall'ISI (Informazione Salute Immigrati). La formazione stata realizzata con la collaborazione dei servizi territoriali competenti ed

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http://www.ior.it/curarsi-al-rizzoli/clinica-ortopedica-e-traumatologica-iv-prevalente-indirizzooncologico

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offre i seguenti servizi: interpretariato sociale, mediazione interculturale, indicazioni operative per aree d'intervento specifiche, strategie di lettura delle culture e dei diversi codici comunicativi. L'associazione costituita da un gruppo di donne provenienti da diversi paesi: Albania, Algeria, Cina, Ex Jugoslavia, Filippine, Romania, Marocco, Nigeria, Per, Pakistan, Venezuela; che sono formate specificamente per operare nei servizi sociali e sanitari che dispongono di strumenti linguistici e culturali adeguati per interventi di mediazione. L'URP (Ufficio Relazioni con il Pubblico) del Rizzoli, in caso di richiesta contatta l'associazione AMISS per concordare il servizio di mediazione in base alle esigenze del richiedente. La caposala mi spiega che per i malati immigrati, la legge italiana prevede la concessione di un permesso di soggiorno temporaneo per cura; i cittadini stranieri possono chiedere di entrare in Italia per cure mediche, a condizione che vengano loro concessi il visto d'ingresso da parte dell'Ambasciata italiana o Consolato competente nel paese di provenienza e il permesso di soggiorno per cure mediche da parte della Questura. Le Regioni, poi, forniscono aiuti umanitari volti all'assistenza sanitaria provvisoria degli immigrati e all'eventuale ricongiungimento dei familiari38; mi spiega inoltre che per i pazienti oncologici (che costituiscono la maggioranza nella Clinica IV del Rizzoli) il trattamento completo dura in genere un anno: un periodo iniziale di cure chemioterapiche, l'eventuale intervento chirurgico e successivamente un ulteriore ciclo chemioterapico. Durante questo anno di cure mediche e chirurgiche, il cittadino extracomunitario sostenuto economicamente dallo Stato Italiano. Nel caso, poi, di clandestini che giungono direttamente al Pronto Soccorso, la caposala mi dice che per etica professionale gli operatori sanitari sono tenuti ad accoglierli e sar poi compito della direzione sanitaria rivolgersi alla Regione per regolarizzare l'assistenza del paziente. Ci sono poi associazioni di volontariato che offrono il loro supporto ai pazienti stranieri anche per ci che concerne la presa in carico delle loro famiglie; all'interno dell'Istituto Rizzoli, inoltre, si trova la Casa delle Suore che fornisce alloggi ai degenti immigrati e l' Associazione per lo studio e la cura dei tumori delle ossa e dei tessuti molli mette a disposizione case ed appartamenti durante il periodo di permanenza del malato grazie alle donazioni di coloro che la sostengono. La caposala mi informa che prima di iniziare i trattamenti terapici, l'immigrato deve essere preso in cura da un pediatra (nel caso di bambini) o da un
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http://poliziadistato.it/articolo/219-Ricongiungimento_familiare

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medico di base e mi spiega che la chemioterapia regolata da protocolli internazionali tali da permettere al paziente di poter proseguire la cura anche una volta fatto ritorno al proprio Paese. Per quanto riguarda l'aspetto linguistico del rapporto col paziente straniero, mi informa che il documento relativo al consenso che ogni paziente deve firmare disponibile in varie lingue (quelle a maggior diffusione mondiale) e, al bisogno, la direzione pu stilarne una copia nella lingua richiesta dal malato in cura. La caposala mi racconta che lo staff infermieristico del Rizzoli composto da operatori provenienti da varie nazioni: rumeni, polacchi, paraguayani, ucraini ecc. e qualche tempo fa poteva capitare che facessero loro stessi da interpreti-mediatori ai pazienti stranieri che condividevano la loro lingua; mi spiega per che lei sempre stata contraria (salvo casi di emergenza) a queste mediazioni improvvisate: tradurre non facile e in ogni caso non sono pagati per fare questo..poi impiegherebbero tempo che dovrebbero utilizzare per fare altro!. Il tema della mediazione linguistico-culturale sta guadagnando un riconoscimento crescente e, nonostante ci siano ancora molti punti controversi e molti aspetti sottovalutati, si sta acquisendo progressivamente la consapevolezza necessaria per dedicare la giusta attenzione all'identit linguistica e culturale del cittadino straniero, con l'obiettivo di garantire il rispetto del diritto alla salute di ogni individuo.

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Ospedale S. Anna di Ferrara Mediatrice di lingua araba

Il 7 dicembre alle ore 8.30 ho un appuntamento con Dhouha presso l'Arcispedale S. Anna di Ferrara. Dhouha la mediatrice culturale di lingua araba che tre giorni a settimana (per un totale di 8 ore settimanali) presta servizio di mediazione linguisticoculturale nell'Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara. L'appuntamento con la mediatrice stato concordato precedentemente con la coordinatrice dell'Ufficio Accoglienza e Mediazione, Cinzia Gallerani, alla quale mi sono rivolta su invito della responsabile interaziendale Sandra Bombardi, contattata all'indirizzo mail pubblicato sul sito Internet dell'ospedale. Sulla facciata del depliant relativo al servizio di mediazione dell'Ausl di Ferrara (v. Appendice) compare il titolo: accoglienza mediazione,

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mediazione accoglienza e vengono poi forniti tutti i contatti necessari (mail, indirizzi, numeri di telefono e fax), oltre ad una breve descrizione dei servizi di mediazione offerti e alle tabelle relative agli orari durante i quali si svolge il servizio nelle varie lingue. Durante l'intervista a Dhouha, tenutasi nell'Ufficio Accoglienza e Mediazione, presente, qualche scrivania pi distante, anche la coordinatrice C. Gallerani e, di tanto in tanto, entra qualcuna delle altre mediatrici in servizio (questo forse ha in parte condizionato la libert di risposta di Dhouha in conseguenza al monitoraggio, seppur indiretto e discreto, esercitato dalla semplice compresenza della coordinatrice e delle colleghe di passaggio). La mediatrice di lingua araba ha un'agenda colma di appuntamenti dovuta alla forte presenza di arabofoni nella zona, Dhouha tunisina e vive in Italia da nove anni, lavora per la Cooperativa Camelot (come Sadia e Aziz) e dal 2007 si occupa di mediazione in ambito socio-sanitario, mentre prima lavorava come mediatrice per le scuole. Confronto fra la mediazione in ambito scolastico e in ambito sanitario Di sua iniziativa mi racconta che quando lavorava nelle scuole spesso si trovava di fronte a ragazzi che vivevano situazioni difficili e ai quali, dopo essersene guadagnata la fiducia, era chiamata a dare un sostegno psicologico-assistenziale; nel mondo arabo, mi racconta, l'istruzione utilizza metodi didattici pi formali cos, dopo un primo periodo di sostanziale ottimismo di fronte alla informalit del sistema italiano, spesso gli studenti immigrati si ritrovano disorientati, hanno difficolt durante il loro percorso scolastico e soffrono l'emarginazione sociale da parte dei loro coetanei. In ospedale, continua Dhouha, molto diverso, la frustrazione per la non-accettazione un tema a parte e il mediatore ha il compito di aiutare il paziente a comunicare col medico e viceversa. Formazione Le chiedo poi che tipo di formazione richiesta per ricoprire il suo ruolo e, davanti alla sua titubanza, le chiedo se ha dovuto frequentare un corso o un tirocinio per poter praticare, Dhohua mi risponde vagamente dicendomi che l'anno scorso hanno partecipato ad un corso nazionale sulla mediazione. Dialetti e registro linguistico Per quanto riguarda la terminologia tecnica e le eventuali difficolt di traduzione, mi

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racconta che deve cercare di spiegare ci che dice il medico nella maniera pi semplice e chiara per il paziente (abbassamento di registro); quando si tratta di vocaboli di difficile traduzione o impossibili da tradurre con un corrispettivo termine in lingua araba, a volte ricorre al francese (data la francofonia di una parte della comunit araba che ha studiato il francese a scuola; Dhouha mi spiega per che le giovani generazioni parlano sempre meno il francese in seguito ad un processo di arabizzazione iniziato negli anni '90). Un altro punto rilevante per quanto riguarda l'aspetto linguistico, ha a che fare con la frammentazione del mondo arabo in una moltitudine di variet39 regionali o locali che sono solo in parte mutuamente intelligibili per i rispettivi locutori; solo l'arabo classico dei testi scritti condiviso da tutti, mentre l'arabo parlato presenta un quadro piuttosto eterogeneo. A volte Dohuha chiamata a mediare per un paziente arabofono che parla una variet di arabo diversa dalla sua, in questi casi, mi racconta, cerca di fare il possibile per farsi capire, anche aiutandosi con disegni attraverso i quali spiega il problema medico rilevato ed illustra le azioni e le cure (terapeutiche) che il medico prescrive. A questo proposito, Rudvin scrive:
Interpreters for clients from the large international language groups such as English, Spanish, French and Arabic will often not be from the client's own country; apart from the fact that the vast variety of englishes, frenches, spanishes, etc., have different semantic and grammatical features from the standard models of the world languages, they clearly do not share their culture referents so not only do the communication models differ (directness, distance, politeness, semantic overlap, etc.) - even if they are speaking the same language (indeed many interpreters find it difficult to even understand varieties of a particular language), but their real-world referents do not overlap. Varieties of standard languages (especially colonial languages) are sometimes described as cross-cultural, or nativized - that is, the language has been adapted -semantically, grammatically- to its new terrain and culture (for example, English in the Indian subcontinent or East or Central Africa), and reflects that reality and world-vision, rather than, say, the UK or the US. (Rudvin 2006:67)

1^ o 3^ persona In seguito alla domanda circa l'utilizzo della prima o della terza persona durante la mediazione, risponde: so che bisognerebbe usare la prima persona, per il paziente se parlo dicendo io al posto di lui pu non capire...molti di quelli che arrivano sono
La lingua araba parlata in: Algeria, Arabia Saudita, Bahrain, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Iraq, Giordania, Kuwait, Libano, Libia, Mauritania, Marocco, Oman, Qatar, Sudan, Siria, Tunisia, Autorit Nazionale Palestinese (Cisgiordania e Gaza), Sahara Occidentale, Yemen (parlato dalla maggioranza dei cittadini) e in molti altri paesi, fra i quali Israele, come lingua di minoranza.
39

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analfabeti...; il ricorso alla prima persona, mi dice, rischierebbe di confondere il paziente e di complicare ulteriormente la comunicazione.

Aspetti interculturali, rapporto uomo-donna e temi tab L'intervista procede poi sull'aspetto interculturale della mediazione e chiedo quali siano le difficolt maggiori che ha dovuto affrontare, Dohuha un po' perplessa, le chiedo se per esempio il rapporto uomo-donna fra mediatrice e paziente problematico e subito mi risponde che questo non vero e che le donne arabe, soprattutto quelle istruite, sono molto rispettate; a questo punto mi rendo conto che Dhouha ha interpretato la mia domanda come insinuante e puntualizzo che non mi stavo riferendo al rispetto, quanto ad un eventuale imbarazzo nella mediazione uomo-donna quando si affrontano temi intimi e possibili tab. Dhouha allora sorride e (parlando a bassa voce) dice: a volte s, soprattutto per le malattie sessualmente trasmissibili e mi racconta di una coppia con problemi di infertilit, l'uomo aveva un' infezione genitale che aveva tenuto nascosta alla moglie; i medici, grazie all'aiuto di Dhouha, si resero conto nel corso delle varie visite succedutesi che la moglie ignorava la situazione del marito e un giorno, in occasione di un appuntamento individuale al quale si era presentata solo la donna insieme al figlio piccolo, decisero di comunicare alla giovane madre la realt dei fatti tramite la mediazione di Dhouha.

Il distacco Le chiedo allora se si siano mai verificati casi in cui diventa difficile mantenere una posizione di distacco e imparzialit e mi risponde che con i pazienti precisa sempre i limiti del suo ruolo e che, in caso di bisogno, dice loro di utilizzare il servizio dell'ospedale per avere un supporto di mediazione. La mediatrice tunisina si mostra molto disponibile di fronte alle mie domande e mi racconta qualche aneddoto del suo lavoro; mi racconta che le successo in due occasioni di assistere il paziente anche in sala operatoria durante l'intervento, la prima volta si trattava di una turista siriana che, a seguito di un incidente, dovette subire un intervento d'emergenza al S. Anna e, non conoscendo l'italiano, si avvalse dell'aiuto di Dhouha la cui presenza fu richiesta anche durante l'operazione chirurgica. Il secondo caso riguarda un uomo che dovette subire un intervento al cervello, Dhouha mi spiega che si tratt di un episodio molto delicato, il 113

paziente parlava una variet dialettale di arabo che Dhouha conosceva solo in parte, quindi, a seguito di una decisione presa dallo staff medico, si pens di preparare una serie di disegni per spiegare al paziente il tipo di intervento che avrebbe subito; la presenza di Dhouha in sala operatoria le fu richiesta perch l'uomo sarebbe rimasto cosciente durante l'operazione ed era necessaria la presenza di una persona che potesse capire la sua lingua. Dhouha mi racconta che fu una giornata piuttosto stressante ma che decise di accettare quell'impegno per sostenere il paziente, poi mostrandomi il dito, mi racconta che l'uomo le strinse la mano con forza durante tutta l'operazione e una volta uscita dalla sala operatoria si ritrov con le mani tutte indolenzite. Quando le chiedo degli aspetti pi difficili del suo mestiere a livello interculturale, risponde che in Tunisia si ha un rapporto meno diretto col paziente, cos, quando al corrente che la situazione clinica di un paziente molto grave, cerca di dare coraggio e di infondere fiducia nel paziente, lo invita a pregare, a rivolgersi alla religione (in Tunisia si prega Allh per avere conforto); anche con lo staff medico del S. Anna, continua, c' un grande lavoro di squadra, quando la situazione un po' delicata i medici hanno prima un incontro con la mediatrice (briefing) per spiegarle il problema medico in questione, cosa intendono fare e come affrontare il paziente. Compiti aggiuntivi Mi racconta inoltre che nel caso delle gestanti di lingua araba, Dhouha le segue durante tutto il percorso della gravidanza e, una volta giunte alla 38^ settimana, la mediatrice stessa che si preoccupa di controllare che la cartella clinica sia completa di tutti i documenti necessari affinch non manchi nulla; la mediatrice diviene cos una figura di supporto sia in termini linguistico-assistenziali che operativi, (per esempio quando controlla i documenti della partoriente). Rapporti con la comunit e fiducia Quando le domando poi se non ha mai avvertito il rischio di prendere troppo a cuore il caso di un malato, suo connazionale, o col quale condivide la lingua e in parte la cultura, mi risponde che ci che le ha permesso di mantenere il giusto distacco il fatto di non frequentare la comunit arabofona locale; questo le ha garantito, fra l'altro, una certa credibilit come professionista neutrale: loro sanno che non vado a dire tua moglie ha questo o tuo fratello ha questo, cos capiscono che possono fidarsi di me...se 114

li incontro al supermercato per li saluto..come stai e poi basta..; Dhouha sottolinea cos, che riuscita a guadagnarsi la fiducia dei pazienti grazie alla non frequentazione della comunit di immigrati di lingua araba, se cos fosse stato, i pazienti avrebbero avuto diffidenza nei suoi confronti per paura che il segreto professionale non venisse mantenuto. Mi racconta poi, che quando il servizio di mediazione in ospedale non era ancora strutturato su basi continuative, capitava che i pazienti portassero con loro qualche parente o conoscente che potesse parlare italiano e fungere quindi da interprete, cos Dhouha, sorridendo, mi riporta un caso in cui il parente aveva tenuto nascosta la complicata situazione medica del malato, i medici avevano sospettato qualcosa, e alla fine si scopr che al paziente era stato detto che l'intervento chirurgico serviva per togliere un microbo!

5.4

Ospedale di Bentivoglio (Bologna) Mediatrice di lingua araba

Mercoled 15 dicembre, previo accordo telefonico, arrivo all'ospedale di Bentivoglio (Bo), e nello studio dedicato al servizio di mediazione culturale incontro Nadia, mediatrice di lingua araba. Nadia, quasi giustificandosi, mi dice subito: forse non sono la persona pi indicata per risponderti..; le spiego brevemente il mio progetto di tesi dicendole che si tratta di una semplice chiacchierata e che il suo aiuto potrebbe comunque essere molto prezioso, allora mi sorride facendo s con la testa. Nadia italiana, nata nel nostro Paese ma parla perfettamente arabo perch nata da un matrimonio misto, il padre libico e la madre italiana: hanno scelto di darmi questo nome perch sia arabo che italiano, durante l'infanzia ha vissuto per qualche anno in Libia dove ha conosciuto la cultura che le stata trasmessa dal padre e, dopo essersi laureata in lingue straniere nel nostro Paese, ha iniziato a lavorare come mediatrice culturale. Per questo, mi spiega, si considera una mediatrice atipica: molti pensano che per essere mediatori culturali si debba per forza essere immigrati, ma io credo anche che per essere mediatori culturali in ogni caso non basti essere immigrati.

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Formazione In quanto al suo percorso formativo come mediatrice, Nadia ha frequentato un corso per la mediazione culturale predisposto dalla provincia di Bologna e strutturato in 100 ore di insegnamento teorico e 200 ore di tirocinio pratico per 300 ore complessive; mi dice per che il corso non prevedeva una sessione curriculare di specializzazione nell'ambito socio-sanitario ma una preparazione pi generale sulla mediazione interculturale.

Organizzazione del servizio Le chiedo poi che tipo di servizio offre l'ospedale di Bentivoglio e come si svolge la sua giornata lavorativa; tre giorni a settimana (luned, mercoled e venerd) presente una mediatrice di lingua araba che pu variare a seconda dei periodi o degli impegni, l'arabo l'unica lingua disponibile nel servizio di mediazione dell'ospedale. Nadia pensa che la situazione sia peggiorata negli ultimi anni: servirebbe almeno un mediatrice di urdupunjabi e una di lingua cinese ma qui c' solo l'arabo. Le chiedo allora se si tratta di un problema di fondi dell'Ausl e mi risponde che secondo lei si tratta piuttosto di disinteresse verso le esigenze concrete della popolazione straniera. Il suo servizio presso la struttura ospedaliera non copre l'intera giornata, ma solitamente due ore, dalle 8:30 alle 10:30; quando arriva si infila il camice bianco per essere riconoscibile e poi inizia il suo giro nei reparti di pediatria e ostetricia-ginecologia, comincia con il controllo della tabella dove sono registrati i vari pazienti e se vede che c' qualche paziente di lingua araba va a fargli visita per sapere se ha bisogno di qualcosa.

Briefing, dialetti e registro linguistico Mi spiega che di norma si presenta al paziente prima della visita con il medico, durante un breve colloquio a tu per tu con il paziente straniero spiega chi , che ruolo ha e qual la sua origine geografico-culturale; mi racconta che meglio dire subito al paziente che di origine libica cos da evitare malintesi in seguito, sia da un punto di vista linguistico che per quanto riguarda eventuali differenze culturali. Le chiedo (memore dell'intervista fatta a Dhouha) se abbia mai incontrato difficolt di comunicazione dovute alle variet di arabo esistenti; mi risponde affermativamente: soprattutto col marocchino, perch un arabo molto diverso da quello ufficiale, in questi, casi mi dice: si cerca di capirsi

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comunque nonostante la difficolt; spesso il termine tecnico che usa il medico italiano manca di un corrispondente in lingua araba cos si cerca di parafrasare il concetto e trasmetterlo al paziente nel modo pi chiaro possibile.

Rapporto col paziente Alla mia domanda su eventuali problemi relazionali e interculturali con i pazienti, Nadia mi risponde che in alcuni casi le capita di incontrare una certa diffidenza e resistenza iniziale, un atteggiamento a volte restio, che riconduce al fatto di essere identificata come rappresentante dell'istituzione (la struttura ospedaliera italiana), il paziente immigrato a volte mostra una certa cautela davanti alla figura della mediatrice e Nadia afferma che importante fare il proprio lavoro senza risultare invadenti o impositivi; se il paziente manifesta timore o diffidenza, allora tenta di spiegare con parole semplici e chiare che tipo di compito svolge cercando di mettere a proprio agio il paziente straniero.

Criticit del sistema italiano, remunerazione e pregiudizi La conversazione si sposta poi sulla situazione attuale dei servizi di mediazione culturale della zona; Nadia manifesta una certa sfiducia, ammette di essere scoraggiata, (mentre le parlo vedo il suo pancione sotto il camice bianco, aspetta il secondo figlio, ormai mancano pochi mesi al termine della gravidanza) dice che con questo tipo di lavoro praticamente impossibile riuscire ad avere uno stipendio che le permetta di vivere autonomamente, in pi, con l'arrivo del secondo figlio, sa che non potr pi permettersi di fare questa professione, gi ora le impossibile mantenersi solamente con le poche ore di mediazione all'ospedale, devi avere anche un secondo lavoro, altrimenti non puoi. E' evidente il senso di amarezza delle sue parole, questo un ambiente molto chiuso.. dice, e mi spiega che non facile accedere a questi posti di lavoro, innanzitutto per la scarsit delle posizioni disponibili, ma si riferisce soprattutto alla sua ibridit culturale e si ricollega a quanto detto all'inizio del nostro colloquio: il fatto di non essere una parlante nativa di lingua araba, il fatto di non essere stata lei stessa immigrata le ha reso ancora pi difficile l'inserimento in questo ambito professionale. Poi, ribadendo la sua opinione, dice che il mediatore linguistico non anche, o per forza, un mediatore culturale, che il semplice fatto di essere cittadino 117

straniero non abilita automaticamente l'individuo alla professione di mediatore culturale, e ripete: un ambiente chiuso...perch forse hanno paura che gli venga tolto anche questo... Nadia, come mi spiega, pensa che esigere un passato di immigrazione e la cittadinanza straniera come requisiti base per poter accedere a questa professione, dipende in parte dalla volont di proteggere un lavoro, almeno uno, che finora stato prerogativa degli stranieri. Per qualche anno, prima di sottoscrivere il suo contratto di prestazione occasionale con l'ospedale di Bentivoglio, Nadia ha prestato servizio come volontaria (quindi gratuitamente) presso l'Ambulatorio Sokos di Bologna, Sokos un'associazione di medici e operatori sanitari volontari nata nel 1993 per l'assistenza a emarginati e immigrati40. Tramite il Tesserino STP (Straniero Temporaneamente Presente) gli immigrati senza permesso di soggiorno vengono introdotti in una sorta di anello di congiunzione tra una situazione di clandestinit e quindi di assenza di tutela sanitaria e una condizione di accesso al SSN (Servizio Sanitario Nazionale) attraverso il tesserino, che permette di fare esami, acquistare farmaci, eccetera. Questa lattivit principale svolta da Sokos che funge da interfaccia con associazioni e istituzioni bolognesi41.

Genere e mediazione A questo punto chiedo a Nadia come mai il servizio di mediazione culturale in ambito socio-sanitario (come ho potuto constatare anche grazie alle interviste svolte) sia una prerogativa prevalentemente femminile, mi risponde che negli ospedali lavorano solo mediatrici donne perch, soprattutto nei reparti di ginecologia e maternit, si richiede una presenza femminile per consentire alla donna straniera di sentirsi a proprio agio (in alcuni casi la presenza di una mediatrice e non di un mediatore la sola via di comunicazione interculturale, tanto pi durante una visita ginecologica); Nadia mi
Dal 1993 lassociazione di medici e operatori sanitari volontari Sokos fornisce assistenza medica gratuita ai migranti, anche senza permesso di soggiorno, e alle persone emarginate. Nata dapprima come unit mobile di intervento nei campi dei rifugiati bosniaci e kosovari allestiti lungo le rive del Reno e a Borgo Panigale, dal '98 Sokos ha anche un ambulatorio a Bologna, dove i volontari promuovono e tutelano il diritto alla salute delle persone che non sono raggiunte dal servizio sanitario avendone comunque pieno titolo. (v. http://www.meltingpot.org/articolo857.html ) 41 (v. http://www.meltingpot.org/articolo857.html )
40

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spiega per che esistono ovviamente anche mediatori culturali di sesso maschile, si tratta pi che altro di una differenza di carattere contestuale: si pu dire che generalmente le donne sono impiegate nei servizi di mediazione culturale nelle strutture ospedaliere e socio-sanitarie, mentre si riscontra una netta presenza maschile nella mediazione culturale che ha luogo nei penitenziari o presso i centri di tossicodipendenza per esempio. Alla base di tale differenziazione di genere si trova l'esigenza di comunicare col cittadino straniero, l'obiettivo primario la comunicazione, il cittadino straniero deve essere posto in una condizione di scambio interazionale che gli sia il pi favorevole possibile; la scelta del sesso del mediatore non costituisce certo un esempio di discriminazione sessuale, quanto la necessit di andare incontro alle esigenze del paziente-utente straniero e della comunicazione interculturale in s. Un mediatore uomo in sala parto o in ambulatorio ginecologico, oppure una mediatrice donna in un carcere maschile, risulterebbero inadeguati non dal punto di vista della loro competenza professionale ma unicamente per la loro identit sessuale che, in questi casi, potrebbe mettere a repentaglio se non rendere del tutto impossibile lo scambio comunicativo con l'utente straniero di sesso opposto. In tali contesti, non tanto la differenza di cultura, quanto soprattutto la condizione psicologica-emotiva del cittadino straniero e la delicatezza della situazione contestuale rappresentano elementi di primaria importanza; la credibilit, la fiducia che il mediatore deve infondere nel cittadino straniero sono presupposti irrinunciabili per permettere la comunicazione interlinguistica e interculturale. Nadia mi racconta che saltuariamente ha lavorato anche presso la Casa delle donne per non subire violenza di Bologna, qui le mediatrici sono tutte donne, Nadia mi dice che questa stata per lei l'esperienza pi dura da un punto di vista emotivo e personale, una volta ho pianto davanti ad una ragazza marocchina che era stata stuprata..secondo me in questi casi non ci si deve nascondere, se mi scendeva una lacrima davanti a lei non la nascondevo... A questo punto dell'intervista con Nadia mi rendo conto di quanto possa essere complesso e difficile il suo mestiere, mi rendo conto che i codici di deontologia professionale sono tanto necessari quanto (forse) difficili da applicare in situazioni di estrema delicatezza e sensibilit nelle quali l'interpretemediatore deve cercare di controllare la propria emotivit e mantenere quel giusto distacco che gli si chiede.

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Mediazione integrata L'ospedale di Bentivoglio fa parte di quelle strutture socio-sanitarie della Regione che offrono un servizio di mediazione integrata; l'Italia negli ultimi quindici anni stato uno dei paesi pi soggetto al dinamismo dei nuovi ingressi di cittadini stranieri e la situazione dell'area bolognese caratterizzata dall'alta percentuale di cittadini stranieri presenti, pi alta quasi del doppio della media nazionale. Dall'elaborazione dei dati delle Anagrafi condotta dall'Ufficio di Statistica della Provincia di Bologna relativa al 31/12/200642, si osserva che sulla popolazione totale residente a Bologna pari a 373.026 abitanti, la popolazione straniera era costituita da 30.319 individui; mentre per quanto riguarda il resto della provincia, la popolazione totale residente ammontava a 581.656 abitanti dei quali 35.471 stranieri. Data la consistente presenza di cittadini stranieri sul territorio bolognese, le strutture sociosanitarie hanno dovuto adottare strumenti e metodi di mediazione linguistico-culturali volti a consentire l'erogazione dei servizi assistenziali e sanitari di cui ogni cittadino ha diritto. Come si legge sul sito dellazienda Usl regionale (v. nota precedente), le maggiori criticit della comunicazione interculturale sono dovute alla diversit linguistica, alla diversit culturale (prevenzione, profilassi, modalit di accesso, trattamenti medici, visite periodiche, calendario di vaccinazione ecc.), alla diversa percezione della salute e al luogo in cui il paziente straniero si trova (ambulatorio, Pronto Soccorso o reparto, che prevedono modalit di mediazione differenti: mediazione programmata vs. mediazione urgente). Fra gli strumenti di cui si avvale l'Ausl di Bologna per erogare un servizio di mediazione culturale integrata troviamo:

il Triage Multilingue Telefonico: servizio specializzato di mediazione linguistica e culturale che tramite un call center nel quale operano mediatori di madrelingua, fornisce assistenza informativa attiva in 24h;

il servizio di mediazione culturale a chiamata programmata; la presenza quotidiana nei maggiori ospedali di mediatrici culturali in loco, sportello centralizzato di mediazione.

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V. www.ausl.re.it/HPH/FRONTEND/Home/DocumentViewer.aspx?document_id=799

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Come si legge sul sito dell'Ausl regionale43, la mediazione cosiddetta integrata comprende il triage telefonico multilingue, la modalit plug and play e il servizio di mediazione su prenotazione; in altre parole, grazie a speciali apparecchi telefonici possibile selezionare la lingua necessaria alla conversazione mediante pulsantiera (nella quale sono raffigurate le bandierine corrispondenti alle lingue disponibili) o rubrica inserita nel telefono stesso; l'operatore sanitario viene cos messo in collegamento con un operatore madrelingua di un call center che tradurr in simultanea ci che dir l'assistito: si attiva cos una conversazione a tre (operatore sanitario-mediatore-paziente) che permette, in ogni momento della giornata, uno scambio informativo corretto ed esauriente per l'iter clinico diagnostico del paziente. Negli stessi apparecchi inoltre possibile attivare il servizio di mediazione programmata che consente un intervento di mediazione personalizzato. Le lingue disponibili nel servizio di Triage Multilingue Telefonico sono: cinese, russo, spagnolo, arabo, portoghese, punjabi, tedesco, inglese, bengalese, srilankese, albanese, francese, ucraino, filippino, croato, serbo e rumeno. Gli utenti stranieri sono informati della presenza del servizio di Triage Multilingue Telefonico con vetrofanie contenenti il messaggio scritto nelle varie lingue. Finora sono state installate quattro postazioni attive sulle 24 ore nei quattro Pronto Soccorsi con pi accessi presso l'ospedale Maggiore, l'ospedale di Bentivoglio, l'ospedale di Bazzano e l'ospedale di S. Giovanni in Persiceto, oltre ad altre dieci postazioni attive delle 8:00 alle 17:00 presso altri ospedali della provincia dove si registra un notevole afflusso di utenti stranieri.

5.5

Policlinico di Modena Mediatrice di lingua araba

Gioved 30 dicembre alle 13.30 incontro Khira al Policlinico di Modena, ho fissato l'appuntamento il giorno prima telefonando al numero presente sul sito dell'ospedale sotto la voce servizio di mediazione culturale. Al telefono ho parlato con la Dott.ssa Amanda Zanni, coordinatrice della Cooperativa Sociale Integra che si occupa del
43

Vedi bibliografia.

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servizio di mediazione in tutta la provincia di Modena, in questo modo ho potuto concordare un appuntamento con una delle mediatrici che fanno parte della cooperativa. Come si legge su sito Internet dedicato a Integra: la cooperativa sociale Integra nasce nel 2001, quando un gruppo di mediatori interculturali decide di tentare di rispondere al sempre pi stabile fenomeno migratorio, non soltanto con interventi assistenziali, ma anche e soprattutto con azioni a garanzia del rispetto dei diritti di cittadinanza e di una effettiva inclusione sociale delle persone immigrate. Oggi Integra dispone di numerose e diverse figure professionali specializzate in ambito interculturale, provenienti dalla maggior parte delle aree geografiche esistenti ed opera in tutte le dimensioni che attraversano la vita sociale: socio-sanitaria, educativa, giuridica, lavorativa, culturale e ricreativa (www.coopintegra.it). Quando arrivo all'ingresso 1 del Policlinico, mi aspetta Khira, mediatrice di lingua araba; dopo una prima presentazione, ci rechiamo nell'ufficio di mediazione culturale al primo piano dove presente anche la responsabile del servizio. L'atmosfera molto cordiale e amichevole, dopo esserci accomodate alla scrivania, chiedo a Khira di parlarmi un po' della sua storia. E' tunisina, ha 39 anni ed arrivata in Italia a 18 anni subito dopo essersi sposata con un uomo del suo paese. Parla perfettamente italiano e la cadenza tipicamente modenese. Mi racconta che lavora con la cooperativa dal 2002 ma ha iniziato a svolgere questa professione come volontaria gi dal '97, sono uno dei soci fondatori, dice ridendo, fa parte cio di quel gruppo di mediatori culturali che nel 2001 decise di fondare la Cooperativa dopo un'esperienza di volontariato presso le varie strutture socio-assistenziali del territorio. Dopo pochi minuti di conversazione, Khira si toglie il velo rimanendo solo con il copricapo aderente che le fascia i capelli, poi, rivolgendosi alla collega seduta dall'altra parte della stanza dice: tengo le orecchie scoperte perch ho caldo! e scoppiano a ridere.

Formazione e organizzazione del servizio La nostra chiacchierata prosegue, riguardo alla formazione professionale, mi spiega che lei non ha frequentato il tirocinio di formazione (attualmente previsto) perch otto anni fa non era ancora stato introdotto; Khira dipendente fissa al Policlinico (lavora dal luned al venerd e a turno il sabato mattina) insieme ad altre due mediatrici fisse, una anglofona e l'altra di lingua araba come lei; quando si presenta la necessit di mediazione in una lingua diversa dall'arabo e dall'inglese, la cooperativa contatta la

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mediatrice della lingua richiesta a chiamata.

Briefing e alleanze Le chiedo come avviene la presentazione della mediatrice al paziente straniero, mi risponde che ormai non c' bisogno di nessuna presentazione (briefing) perch il servizio di mediazione conosciuto dalla comunit immigrata, quindi non vi la necessit di spiegare la funzione e la figura della mediatrice. Le chiedo poi se abbia mai incontrato resistenza da parte del paziente straniero nei suoi confronti e mi dice che, al contrario, i pazienti sono generalmente molto contenti di essere affiancati da una persona che parli la loro lingua, si sentono pi protetti e pi sereni nel dialogo col medico.

Dialetti e registro linguistico A questo punto le mie domande sono focalizzate sulla dimensione linguistica della mediazione, anche Khira (come gi avevano fatto Dhouha e Nadia) mi spiega che l'arabo parlato comprende una vasta serie di dialetti che variano da regione a regione o da stato a stato, abbracciando un territorio che va dal Nord- Africa al Medio Oriente. Cos noi dobbiamo sapere tutti i dialetti, mi dice, l'arabo classico uguale per tutti, ma si usa per la lingua scritta, il problema per che alcune persone non sono nemmeno istruite...; ancora una volta, si cerca di capirsi, attraverso il frequente ricorso alla parafrasi e tramite limpiego di un lessico comune. Il giordano e il libanese, continua, sono variet di arabo similari, l'egiziano presenta caratteristiche linguistiche (lessicali e fonetiche) diverse e il marocchino fra tutte la variet pi diversa e a s stante. Khira parla anche francese ma durante la mediazione ricorre solo raramente all'utilizzo di termini francesi (anche perch a volte il paziente non lo comprende se possiede un basso livello di istruzione). Quando parliamo con le gravide, le parole pi frequenti sono 'pressione alta', 'diabete' eccetera..allora come fai a dirlo se non esiste una parola uguale in arabo? Io dico per esempio tensin [francese], oppure dico, qual il contrario di zucchero? Cos capiscono che il sale che non fa bene per la pressione....

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1^ o 3^ persona Le domando poi se utilizzi la prima o la terza persona durante la mediazione e, con un giro di parole, mi fa capire che utilizza la prima persona perch il paziente in grado di riconoscere che l'autore delle parole il medico e viceversa il medico comprende che le parole proferite dalla mediatrice appartengono al paziente. Khira si toglie anche il copricapo, nell'ufficio siamo solo donne e l'atmosfera rilassata ed informale, ha i capelli tinti di un rosso ramato raccolti in una coda.

Segreto professionale e fiducia Le chiedo allora che tipo di rapporto abbia con la comunit araba locale e Khira mi racconta che quando le capita di incontrare un/una paziente al di fuori dell'ospedale aspetta che sia lui/lei a salutarla e finge di non ricordare l'episodio di mediazione e la relativa problematica medica. Anche se ricorda perfettamente, preferisce adottare questo escamotage e fingere di non ricordare (a meno che l'episodio non sia troppo recente) giustificandosi col fatto di parlare ogni giorno con tanti pazienti diversi. In questo modo, mi spiega, il paziente si sente pi protetto e rassicurato dalla professionalit della mediatrice.

Il distacco Per quanto riguarda eventuali difficolt di comunicazione interculturale, Khira mi racconta che dopo tanti anni di esperienza si sente pi forte, ora sa come gestire situazioni difficili o imbarazzanti in maniera pi matura, a volte un po' pi distaccata di quanto non avrebbe saputo fare all'inizio della sua carriera. Mi racconta che poco prima di incontrare me, ha mediato per una bambina araba di 12 anni arrivata in Italia con i genitori da due giorni, dopo 48 ore non ancora possibile attribuire al paziente un medico di base per ragioni burocratiche; la bambina ha bisogno di una vaccinazione particolare...sta molto male..c' gi tutto il pus che le scende dal naso..., ma al Policlinico c' una lista di attesa di tre mesi, cos l'hanno indirizzata verso un'altra struttura. Khira mi dice che in casi come questo molto difficile riuscire a mantenersi distaccati e a controllare la propria parte emotiva, che fa rabbia il fatto di non poter fare niente per motivi di burocrazia e mi dice che, una volta fuori dall'ambulatorio, ha

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spiegato meglio ai genitori come raggiungere l'altra struttura medica e ha detto loro che avrebbe chiesto nuovamente ai medici circa la possibilit di curare la bambina. Se sei sensibile, facendo questo lavoro lo diventi ancora di pi..per capisci anche quanto sei fortunato...

Mediazione e genere Le chiedo se anche la Cooperativa Integra impiega soltanto mediatrici donne oppure se ci sono anche mediatori, mi risponde che per la mediazione negli ospedali e agli sportelli delle strutture socio-sanitarie lavorano quasi sempre donne (nel team di mediatori di Integra lavorano attualmente solo tre uomini), Se vai al SER.T [Servizio Tossicodipendenze dell'Ausl di Modena], invece, l trovi dei mediatori uomini perch in quei casi c' bisogno di una figura pi autoritaria e la tua parola [cio quella di una donna] meno forte. Come scrivono Shlesinger e Voinova (2010:1)44 a proposito del concetto di genere:
Gender as a social (rather than biological) construct is one of the features that organizes our view of the world and remains an over-arching analytical category. It results in explicit and implicit forms of difference (leading, in many cases, to explicit and implicit forms of inequality), whether embedded in social policy and social institutions or internalized by the individual men and women themselves.

Il genere come costrutto sociale, dunque, modella e guida il nostro modo di concepire la realt e le relazioni con gli altri; quando Khira afferma che la parola della donna meno forte rispetto a quella delluomo sta appunto esprimendo una visione del genere culturalmente determinata:
A central theme running through the discussions of the role of gender in shaping professional identity relates to the premise that contemporary societies assign decision-making qualities, a public voice and political power primarily to men (Von Flotow 1997: 100, citato in Shlesinger e Voinova 2010:3)

Le domando poi come sia il rapporto uomo-donna nella sua professione. Nessun problema, dice, anche in Tunisia ci sono dottori uomini che curano pazienti di sesso femminile e medici di sesso femminile che curano uomini. Al Policlinico, quando ci sono pazienti molto religiose che chiedono solo donne, si cerca di trovare una dottoressa.; a Khira capitato varie volte di essere presente durante una visita

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Shlesinger, M. and Voinova, T. (2010) Self-perception of female translators and interpreters in Israel.

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andrologica quando il paziente arabo necessitava della sua mediazione. Mi racconta anche che lei stessa, qualche tempo fa, ha dovuto subire una colposcopia e l'unico medico che effettua questo tipo di esame al Policlinico uomo; in quella situazione, Khira, donna araba musulmana, dopo un primo momento di imbarazzo, ha effettuato l'esame con tranquillit. Si tratta di professionisti, non importa se sono uomini o donne conclude. Ci sono stati per anche episodi pi complicati nell'esperienza della mediatrice; una volta, un uomo arabo la cui moglie doveva subire un raschiamento uterino, disse a Khira che la moglie doveva essere operata soltanto da una donna altrimenti non avrebbe effettuato l'operazione. Davanti a quelle parole, Khira disse che avrebbero chiesto se fosse stato possibile far eseguire l'intervento da una dottoressa ma, in caso contrario, l'uomo doveva assumersi la responsabilit della sua decisione (quella non era la volont della moglie) nell'eventualit di una emorragia o altra complicanza, se voleva decidere di non fare il raschiamento allora lui doveva firmare un foglio dove dichiarava di essere responsabile..dopo l'ho detto anche al dottore e mi ha detto che avevo fatto bene. Fortunatamente poi si trov una dottoressa che pot eseguire l'intervento, ma ci che balza all'occhio il ruolo assolutamente attivo della mediatrice; nel caso sopracitato, lei che intima all'uomo di firmare un foglio nel quale dichiara di non voler permettere alla moglie di essere operata, non il medico che lo dice (anche se in un secondo momento confermer) ma si tratta di un'iniziativa di Khira. Anche lei, lo ribadisce, musulmana e praticante ma rimane disarmata di fronte a questi esempi di fondamentalismo perch, mi racconta tutti sanno che il nostro profeta, Maometto, dice che ai tempi delle guerre le donne facevano le medicazioni agli uomini feriti in guerra...dunque questo si fa da sempre! Fin dalla storia antica!, mi spiega quindi che, contrariamente a quanto si dica sul mondo arabo, la sua una cultura che rispetta tanto l'uomo quanto la donna e i casi di fondamentalismo pi marcato non rispecchiano l'essenza della sua cultura d'appartenenza.

Temi tab La difficolt maggiore da un punto di vista psicologico, poi, riguarda i casi di malattie sessualmente trasmissibili, veri e propri tab (termine utilizzato dalla mediatrice in pi occasioni), soprattutto l'AIDS, anche l'epatite pu essere trasmessa sessualmente, per diverso, suscita meno vergogna e imbarazzo perch si pu contrarre in altri modi,

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ha un impatto meno violento, quando pronuncia la parola AIDS Khira abbassa il volume della voce, quasi sussurrando, e mi spiega quanto sia difficile comunicarlo al paziente o dare informazioni su questa malattia, spiegare cosa comporta e come si contrae: devi dirgli che si prende anche quando si va con le prostitute. Mi racconta che recentemente ha mediato per una ragazza di 22 anni che ha contratto l'AIDS dal marito, in questi casi mi dice, sto con il magone per una settimana, poi capisci che devi andare avanti.

Aspetti culturali e integrazione A questo punto, dopo circa quaranta minuti di conversazione, ringrazio Khira per il tempo dedicatomi e la disponibilit con la quale ha risposto alle mie domande, poi, quando sto per uscire dall'ufficio, mi invita a bere un caff gi al bar. Me lo vuole offrire, dice sorridendo, perch in Tunisia si usa cos verso l'ospite. Al bar continuiamo a chiacchierare, parliamo un po' di tutto, mi racconta delle sue tre figlie e dei suoi desideri per il loro futuro; mi racconta che ha anche un secondo lavoro, ogni venerd pomeriggio per due ore lavora in un piccolo centro ricreativo per donne immigrate dove parlano di tutto, preparano il caff, si truccano, si tingono i capelli e trascorrono in compagnia due ore piacevolissime. Khira ci tiene a sottolineare che i luoghi comuni sulla cultura araba sono in parte infondati, a casa nostra le donne possono fare tutto! E' quando arrivano qui in Italia che cambiano le cose, e a volte anche perch i mariti hanno paura che possano diventare troppo indipendenti; mi racconta che l'importante capire e spiegare che non si fa nulla di male. Lei, per esempio, ogni mattina va a fare colazione al bar da sola e rimane a leggere il giornale per una decina di minuti prima di iniziare a lavorare. Questa banale abitudine stata per lei una piccola conquista; poco dopo essersi trasferita a Modena, infatti, una donna della comunit araba sua conoscente le disse che le avevano detto di averla vista sola al bar e che iniziavano a circolare voci sul suo conto; nel suo paese d'origine, la Tunisia, le donne vanno al bar regolarmente senza alcun problema, ma in Italia questo non visto di buon occhio perch qui si vendono anche gli alcolici, mentre nei paesi arabi i coffee shop vendono solo bevande analcoliche. La mattina seguente, Khira si present nello stesso bar in compagnia del marito: Cos mi hanno vista e hanno capito che mio marito sapeva e che era tutto tranquillo, non c' niente di male!. Mi dice che spesso spiega alle

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pazienti come raggiungere gli ambulatori o gli sportelli socio-sanitari utilizzando le linee dell'autobus, offrendosi anche di incontrarsi alla fermata del bus per poi fare un tragitto insieme e mostrare la strada alla donna. Mi dice che le donne arabe qui in Italia spesso maturano un complesso di inferiorit, alcune di loro hanno conseguito lauree nel loro paese ma qui faticano ad imparare l'italiano e ci che facevano abitualmente nel loro paese di provenienza diventa quasi impossibile una volta giunte in Italia. Mi dice che il marito pu accompagnare la moglie dal medico se si tratta di qualche visita sporadica, per farlo per deve chiedere un permesso al lavoro. Secondo Khira anche per questo che sorgono i problemi e le discussioni all'interno della coppia. I motivi sarebbero anche di carattere pratico quindi. Basta prendere l'autobus! Cos il marito pu andare al lavoro..per poi ci sono alcuni uomini che hanno paura che la donna inizi a fare le cose da sola...hanno paura che dopo possa scappare di casa! dice ridendo. Parlando del rapporto coi pazienti dice: la cosa che odio di pi essere presa per i fondelli aggiunge, e mi spiega che a volte durante la visita medica, ci sono pazienti che dicono di non poter sostenere le cure per motivi economici o per altre difficolt familiari; Khira dice che, quando capisce che il o la paziente sta mentendo (drammatizzando la propria situazione in modo da ottenere aiuti per le spese mediche), una volta finita la visita prende da parte il paziente e gli spiega che non c' bisogno di raccontare bugie, che meglio essere sinceri, perch possono ricevere comunque qualche aiuto per coprire le cure mediche necessarie. Il ruolo svolto dalla mediatrice sembra andare ben al di l del ruolo normativo imparziale e distaccato descritto dalla letteratura. Quando stiamo per salutarci, infine, Khira mi dice che il suo lavoro le piace moltissimo, una professione molto impegnativa ma che le permette di aiutare le persone e di far valere le sue qualit, sia professionali che personali.

5.6

Poliambulatorio di Reggio Emilia Viale Monte s. Michele Mediatrice cinese

Luned 3 gennaio mi reco al Poliambulatorio di Viale S. Michele a Reggio Emilia, ho un appuntamento con la mediatrice culturale cinese Sun Shuyan, con la quale ha parlato al

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telefono qualche giorno prima per fissare l'incontro. Arrivo allo sportello dell'URP dove di servizio il luned pomeriggio e dopo esserci salutate ci appartiamo in uno degli studi adiacenti per iniziare l'intervista.

Formazione e organizzazione del servizio Sun lavora come mediatrice culturale da 15 anni, ha iniziato questa professione prima in ambito scolastico, e poi in quello socio-sanitario. Ha conseguito un attestato riconosciuto a livello regionale dopo aver frequentato un corso per mediatori culturali di 300 ore complessive nell'anno 2005 (v. Cap. 6.2). Oltre a prestare servizio presso lo sportello dell'Ufficio Relazioni con il Pubblico del Poliambulatorio, si occupa anche della mediazione interculturale che si svolge durante le visite ambulatoriali della stessa struttura. Presso lAzienda USL di Reggio Emilia, inoltre, aperto dallottobre 1998 uno spazio denominato Centro per la Salute della Famiglia Straniera, in convenzione con la Caritas, che si occupa di dare assistenza agli stranieri sprovvisti di permesso di soggiorno e quindi non iscrivibili al Sistema Sanitario Nazionale (in base alla Legge 40 Turco-Napolitano del marzo 1998 e il Testo Unico delle Leggi sullImmigrazione 286 del 98). Gli utenti e gli accessi sono cresciuti negli anni stabilizzandosi a circa 2000 utenti l'anno e 7000 accessi l'anno. Letnia maggiormente rappresentata letnia cinese. La presenza fissa della mediatrice, Sun, ha fatto s che lutenza cinese abbia avuto un peso molto importante e abbia nel tempo fatto assumere al centro una funzione di riferimento per la comunit di immigrati cinesi presente in citt. Presso il centro sono sempre presenti i mediatori culturali, ogni 15 giorni una assistente sociale e una volta al mese un medico di igiene pubblica per l'ambulatorio TBC.

Differenze nei sistemi sanitari Sun mi spiega che il sistema sanitario italiano abbastanza lontano da quello cinese, le differenze pi importanti riguardano la necessit di stabilire degli appuntamenti presso le strutture sanitarie italiane a fronte dell'accesso diretto che caratterizza il sistema sanitario cinese. E' abbastanza duro spiegare queste differenze, aggiunge, qui in Italia ci possono essere liste d'attesa molto lunghe, di alcuni mesi a volte, e le cure (sia a livello terapeutico che chirurgico) possono a volte differire fra i due Paesi; anche la prassi degli accertamenti, poi, non trova un corrispettivo nel sistema cinese, dove invece 129

la consuetudine vede una diagnosi pi immediata e diretta della problematica medica. Da un punto di vista economico, continua Sun, negli ultimi trenta anni il sistema sanitario cinese ha percorso un processo di americanizzazione e sono quindi aumentate le strutture sanitarie private a pagamento, non accessibili da parte degli strati sociali pi indigenti.

1^ o 3^ persona e briefing Riguardo allo svolgimento della mediazione in ambulatorio, Sun mi dice che pu avvenire sia in prima persona che in terza persona, dipende dai casi; anche la pratica del briefing, o sessione informativa preliminare, pu essere previsto o meno a seconda dei casi; generalmente richiesto quando si rende necessario l'intervento di un assistente sociale per esempio, allora Sun prepara il paziente e i familiari ad affrontare la situazione, spiegando loro l'iter quale si dovr seguire e la funzione della figura professionale chiamata ad intervenire.

Dialetti e registro linguistico Per quanto riguarda la lingua, durante la mediazione Sun utilizza il cinese ufficiale, ossia il mandarino standard45. Quando per il paziente cinese non scolarizzato e non in grado di parlare il mandarino standard, si rende necessaria una doppia traduzione; Sun mi spiega che in questi casi il paziente, solitamente anziano, si fa accompagnare alla visita medica da un parente (un figlio o un nipote che abbia un livello di istruzione pi elevato) e che possa fare da interprete fra paziente e mediatrice culturale: il parente cio traduce dalla variet dialettale cinese al cinese standard (e viceversa) e la mediatrice tradurr poi dal cinese standard all'italiano per il medico (e viceversa). Certo la mediazione in queste situazioni diventa pi lunga a livello temporale e pi faticosa per il numero di partecipanti coinvolti e per il maggior numero dei passaggi di interpretazione necessari.

La lingua cinese, parlata sotto forma di mandarino standard, la lingua ufficiale della Repubblica Popolare Cinese e della Repubblica della Cina sotto Taiwan, nonch una delle quattro lingue ufficiali di Singapore ed una delle sei lingue ufficiali delle Nazioni Unite.

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Rapporti con la comunit, aspetti interculturali e segreto professionale Da un punto di vista interculturale poi, Sun conferma la chiusura della comunit cinese immigrata verso il mondo esterno; lei stessa riuscita a guadagnarsi la fiducia dei pazienti connazionali dopo un lento monitoraggio da parte di questi ultimi. Mi racconta che inizialmente, per vagliare la sua credibilit e professionalit, pu succedere che il paziente dica in un primo momento di avere un problema alla spalla, poi alla seconda visita dice di avere male alla schiena e alla fine [quando ha valutato la riservatezza e la discrezione degli operatori sanitari e della mediatrice] rivela di avere un problema agli organi genitali. Questa cautela e diffidenza fa parte della cultura cinese verso tutto ci che appartiene ad un universo culturale differente. Quando chiedo a Sun se lei frequenta la comunit cinese di Reggio Emilia, risponde sorridendo: qui ho molti pi amici italiani che cinesi! Quando lavoro parlo quotidianamente con cinesi ma al di fuori raro. Mi racconta poi che le capitato di mediare per due donne cinesi fra loro amiche le quali hanno avuto prova della discrezione di Sun, che (sotto segreto professionale) ha taciuto sia all'una che all'altra di aver mediato per entrambe cos da poter risultare affidabile e professionale; poi aggiunge: i cinesi sono molto pettegoli!, e questo rende ancora pi importante l'assoluta riservatezza del colloquio medico cui la mediatrice prende parte per svolgere la mediazione. Un altro punto di particolare rilevanza e delicatezza legato alla cultura cinese riguarda la sorveglianza esercitata dai familiari del paziente, ma anche da parte dei datori di lavoro. Non di rado, dopo aver mediato per un paziente cinese, accade che un parente chiami Sun al numero telefonico dell'URP per ricevere notizie sulla visita medica e sullo stato di salute del parente; altre volte, invece, capita che lo stesso datore di lavoro del paziente chiami il Poliambulatorio per chiedere a Sun quale sia la situazione medica del dipendente per il quale Sun ha mediato, cos vogliono sapere quando potr tornare a lavorare. La mediatrice, con risolutezza, risponde loro che non possibile rilasciare informazioni private del paziente e che l'unico modo per ottenere informazioni parlare col diretto interessato o con la sua famiglia.

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Corsi interculturali per la gravidanza Sun mi racconta in seguito di aver partecipato attivamente al progetto Il Drago e la Fenice46 che si occupa dell'organizzazione di corsi di preparazione alla nascita per donne cinesi; il progetto si inserisce in un discorso pi ampio del Servizio di Pediatria e Salute Donna del distretto di Reggio Emilia in collaborazione con l'Unit Operativa di Psicologia Clinica del Dipartimento di Salute Mentale, rivolto ai pazienti, in particolare alle donne straniere, che cerca di attrezzare i servizi di cornici metodologiche sempre pi specifiche e mirate a rispondere a pazienti di diverse culture. Il nome di questa iniziativa fa riferimento alla simbologia cinese sul tema della nascita: il Drago, raffigurato in giallo, associato allImperatore, alla sua potenza e quindi al figlio maschio, la Fenice, multicolore, tenace e immortale, simboleggia lImperatrice e quindi la figlia femmina. Il corso condotto da unostetrica del Consultorio, dalle psicologhe e dalla mediatrice culturale cinese (Sun). Il primo corso ha preso lavvio a settembre 2004 e proprio la stabilit e la fiducia nella mediatrice hanno funzionato da catalizzatore e da richiamo per le donne. In particolar modo le gravidanze seguite dal Centro nellanno 2002 sono state 175 di cui 138 cinesi, nel 2004 sono state 227, di cui 145 di donne cinesi e nel 2005 un totale di 200 di cui 130 cinesi. Gli operatori si sono guadagnati la fiducia necessaria ad entrare nellintimit e nel privato di una comunit cos attenta a mantenere i confini del proprio specifico culturale originario, cos impermeabile al contesto occidentale. Le donne invitate a prendere parte a questo corso, sono state contattate per telefono, una per una, partendo dagli elenchi in possesso del Centro per la Famiglia Straniera. Questo tipo di contatto stato un lavoro impegnativo ma necessario dal momento che in citt non esiste una rappresentanza organizzata della comunit cinese. Solitamente la comunit cinese non contemplata in questo tipo di iniziative sul territorio perch vista come un gruppo chiuso e riservato.

Aspetti culturali della comunit cinese Sun mi conferma la chiusura insita nella cultura cinese, la tendenza all'isolamento e alla

I risultati di questo progetto sono stati raccolti e pubblicati nel libro omonimo a cura del Servizio Sanitario Regionale Emilia-Romagna, AUSL di Reggio Emilia. In seguito riporteremo alcuni dati tratti da tale fonte, v. http://www.lacosapsy.com/DRAGOEFENICE.pdf

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auto-ghettizzazione parte di una mentalit ed un atteggiamento culturalmente definiti; anche il fatto di lavorare e sposarsi all'interno della comunit di appartenenza (almeno nella maggioranza dei casi) fa s che gli immigrati cinesi in Italia vivano in un piccolo microcosmo che intrattiene legami col mondo esterno solo sporadicamente; ci, fra l'altro, impedisce o quantomeno rallenta notevolmente l'apprendimento della lingua italiana. Il ruolo della mediatrice cinese fondamentale per dialogare con i servizi socio-sanitari del territorio, forse pi che per altre culture da un punto di vista statistico. Il progetto il Drago e la Fenice propone tre corsi all'anno. Ogni corso articolato in una media di 8 incontri durante la gravidanza, con la possibilit di aggiungerne altri tematici, a seconda della necessit e delle loro richieste, ed un incontro successivo alla nascita dei bambini. Come si potuto constatare durante i corsi, le donne straniere vivono una solitudine linguistica, relazionale e familiare che, a volte, impedisce loro di utilizzare pienamente i corsi per le donne italiane. Come registra il dossier del progetto47, le persone che, dalla Cina, si trasferiscono nella zona (provincia di RE) per lavorare provengono prevalentemente da una stessa zona geografica, vicino a Shangai, la regione dello Zhejiang, un territorio molto povero, prevalentemente rurale, grande come lItalia. Recentemente per il flusso migratorio ha interessato anche le province del nord della Cina. I lavoratori cinesi (a Reggio Emilia in particolar modo ma anche nel resto dellItalia) sono occupati prevalentemente nel settore della ristorazione, nel settore tessile e nelle attivit commerciali quali bar e locali dintrattenimento. Solo il 20% dei lavoratori cinesi lavora alle dipendenze di datori di lavoro italiani. In Italia gli immigrati cinesi trovano collocazione in piccoli laboratori tessili artigianali, prevalentemente gestiti da connazionali, che funzionano in collegamento con le fabbriche locali di maglieria. Il loro arrivo spesso clandestino. La subordinazione ai datori di lavoro molto alta; il datore di lavoro filtra i contatti con lesterno e gestisce anche gli avvenimenti privati dei suoi dipendenti: i problemi di salute, le nascite, i ricongiungimenti familiari. Le telefonate all'URP per poter carpire qualche informazione dalla mediatrice che ha assistito alla visita medica di un dipendente rientrano appunto in tale ottica di subordinazione. Esiste una dimensione
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V. www.lacosapsy.com/DRAGOEFENICE.pdf

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comunitaria molto forte, di coesione e di solidariet, ma anche di vincolo e di costrizione. In questo contesto, la decisione di avere un figlio, la gravidanza e la nascita di un bambino rappresentano eventi particolari e complessi, che vengono gestiti in modi contraddittori. La mancata conoscenza della lingua ed il progetto di emigrazione, apparentemente poco incline allintegrazione, di questo gruppo etnico ha fatto s che finora i servizi abbiano svolto un ruolo marginale nellaccompagnamento al parto ed alla nascita dei bambini cinesi e dei loro genitori. La realt del flusso migratorio dalla Cina spesso sconosciuta, in quanto i servizi offerti dal territorio non vengono utilizzati dai cinesi. Il momento della nascita di un bambino quindi una delle poche tappe della loro vita in cui donne cinesi e servizi vengono in contatto. Spesso le donne cinesi che giungono al centro non conosco affatto la lingua italiana ad eccezione di una manciata di parole, cos, le coordinatrici del progetto insieme alla mediatrice hanno deciso di dedicare una parte del tempo allapprendimento della lingua e delle parole italiane attinenti alla nascita. E stato previsto, nello spazio degli incontri, un piccolo corso di italiano. Come risultato dal dossier le donne colgono limportanza delle parole spingi e non spingere perch lostetrica che le seguir durante il parto le pronuncer spesso. Sun racconta che spesso riceve telefonate dalla sala parto perch dica alla partoriente di spingere.

Credenze cinesi sul tema della nascita Un aspetto molto importante nella cultura cinese, con particolare riferimento al tema della nascita, occupato dalla simbologia e dalle tradizioni legate alla superstizione. Il dossier del progetto ha raccolto alcune credenze e abitudini alimentari che possono stupire o far sorridere l'uomo occidentale ma che diventano punti di grande importanza nel quadro di una comunicazione interculturale che abbandoni la prospettiva etnocentrica a favore di un confronto pi aperto alla diversit culturale. Riportiamo di seguito alcune credenze cinesi in merito alle abitudini alimentari durante la gravidanza tratte dal dossier: Pi frutti di mare si mangiano pi il bambino diventa intelligente. CLM preoccupata perch mangia troppe arance e la madre le ha detto che faranno diventare il bambino arancione. Le loro tradizioni dicono che nellultimo mese di gravidanza non si pu guardare qualcuno che taglia, per esempio, la carne o il pesce

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in cucina. Una donna al settimo mese di gravidanza ha fatto i ravioli cinesi e suo figlio nato con un orecchio a forma di raviolo. Oltre alle credenze e alle superstizioni, la cucina cinese e il tipo di alimentazione tradizionale molto diverso da quello italiano, Sun mi dice per che oggi le donne cinesi in Italia modificano mano a mano le loro abitudini e mangiano un po' di tutto. Come avverte il dossier, le donne cinesi per la maggior parte sono recettive allinfezione da toxoplasma e conservare le abitudini alimentari cinesi (che prevedono uno scarso consumo di carne e un abbondante consumo di riso e vegetali) le protegge fino alla prima visita ginecologica in cui viene spiegato loro quali precauzioni igienicoalimentari attuare durante il corso della gravidanza. La toxoplasmosi pu essere contratta mangiando carni crude o poco cotte (specie di agnello), di insaccati, di verdure lavate male o di latticini non pastorizzati. Semplici avvertenze sul consumo di alcuni cibi possono quindi permettere alle donne cinesi di seguire, se lo vogliono, una dieta alimentare diversa rispetto a quella d'origine. Alcune importanti differenze interculturali riguardano poi il momento stesso del parto: negli ospedali cinesi il marito non pu entrare in sala parto ed assistere alla nascita del figlio, ma di solito le donne sono accompagnate dalle proprie mamme e anche i medici sono tutte donne. Qui in Italia le donne cinesi si fanno per accompagnare dal marito e i mariti sono contenti di poter assistere al parto anche se mostrano a volte un po' di timore. La situazione in Cina sta lentamente cambiando, oggi gli uomini non possono ancora entrare in tutti gli ospedali. Forse in quelli delle grandi citt pi facile ma sicuramente negli ospedali pi piccoli ancora vietato lingresso agli uomini, proprio scritto sulla porta. La credenza cinese che abbiano un'influenza negativa sulla donna e sul parto. Un' usanza importante da un punto di vista interculturale (che un occidentale difficilmente potrebbe comprendere senza essere messo al corrente della tradizione cinese) riguarda il divieto per le mamme di toccare l'acqua per un certo periodo dopo il parto. Le testimonianze raccolte da Sun e dall'equipe medica che ha realizzato il progetto il Drago e la Fenice riportano che: a XF, alla nascita del primo figlio, hanno proposto di fare la doccia, lei sapeva di non poterla fare ma non ha avuto il coraggio di dire di no. Per il secondo figlio vorrebbe seguire la tradizione. Anche i denti non si potrebbero lavare, perch se no si crede che

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da vecchi cadranno prima; un'altra neo-mamma si trovata a disagio al Nido dellospedale nel momento in cui le infermiere le hanno chiesto di lavare il bambino nel lavandino, senza usare le salviettine umidificate come avrebbe voluto fare lei. Il bambino era troppo sporco. Sapeva di non dover toccare lacqua e non riusciva a spiegare questo alle infermiere. Alla fine ha lavato il bambino. Il problema dovuto a tale differenza interculturale si pu risolvere utilizzando salviettine umidificate (o guanti), basterebbe che il personale socio-sanitario fosse informato di tale esigenza per far s che le mamme cinesi che partoriscono in Italia possano vivere i momenti successivi al parto con serenit, risparmiandosi il trauma di contravvenire ad una credenza popolare per loro importante. Altri aspetti simbolici o culturalmente definiti riguardano: il trattamento della placenta (in Cina la placenta usata per produrre medicinali, aumenta gli anticorpi, per cui si deve stare attenti che la placenta una volta espulsa non sia presa da qualcuno che potrebbe usarla per produrre medicinali); i temi della sessualit e della contraccezione, inoltre, sono considerati tab e la pianificazione familiare iniziata negli anni '80 per regolare il numero delle nascite ha intrecciato la sessualit e la procreazione ad aspetti sociali e normativi molto forti. Anche l'allattamento in alcuni casi un momento difficile per la donna cinese: alcune donne preferiscono non allattare il figlio perch hanno paura di creare un legame troppo forte prima di distaccarsene, spesso infatti la crescita dei figli deve essere delegata ai nonni e/o ai parenti rimasti in Cina. I bambini dopo i primi due o tre mesi dalla nascita vengono spesso riportati in Cina e ritornano in Italia dai genitori in et scolare. L'intervista a Sun e l'esperienza raccolta del progetto il Drago e la Fenice ci ha permesso di aprire una finestra su una cultura lontana dalla nostra, ricca di tradizioni e aspetti simbolici di cui spesso non siamo a conoscenza; grazie al sostegno delle mediatrici culturali per possibile costruire un ponte fra le due culture che si incontrano. In momenti delicati e carichi da un punto di vista psicologico-emotivo come quelli del parto o della diagnosi di una malattia, la mediazione culturale diventa fondamentale per garantire non solo il successo della comunicazione, ma anche il rispetto e la comprensione dei partecipanti e delle rispettive culture.

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5.7

Spazio Salute Immigrati, Ausl di Parma Mediatrice di rumeno e moldavo

Marted 4 gennaio incontro Cecilia allo Spazio Salute Immigrati nel centro di Parma, ho concordato l'appuntamento telefonicamente con la mediatrice stessa una settimana prima; quando mi accoglie ci accomodiamo nello studio ed inizia a raccontarmi della sua esperienza. Cecilia la mediatrice di rumeno e moldavo, arrivata in Italia dalla Romania nel '99, ha pi o meno cinquanta anni ed sposata con un italiano, di Napoli, conosciuto due anni dopo il suo arrivo.

Contratto e remunerazione Lavora come mediatrice dal 2003, ha un contratto di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.) che prevede 7 ore settimanali distribuite su due giorni (marted e venerd); Cecilia mi dice che il suo stipendio attuale di 524 euro; quando ha iniziato questa professione le mediatrici percepivano dai 1000 ai 1200 euro mensili a fronte del doppio (o pi) di ore lavorative settimanali.

Organizzazione del servizio All'apertura dello Spazio Salute Immigrati (S.S.I.) le mediatrici che prestavano servizio erano cinque e coprivano cinque lingue e culture diverse, ora sono solo due: Cecilia per il rumeno e il moldavo, e Ming per il cinese. Dagli ultimi due anni a questa parte, l'Ausl di Parma, della quale lo S.S.I. fa parte, ha optato (forse per motivi di fondi) per una riduzione delle mediatrici all'attivo e quando necessaria una mediazione in un'altra lingua si ricorre ai servizi di mediazione a chiamata. Quando Cecilia ha iniziato a svolgere questa professione, nel 2003, lo S.S.I. non era conosciuto come oggi presso le comunit di immigrati del parmense; mi racconta che le mediatrici distribuivano volantini e depliants informativi in vari punti di aggregazione della citt: parchi, stazioni, supermercati, piazze ecc. In questo modo potevano spargere la voce e far conoscere ad un numero sempre maggiore di potenziali utenti l'esistenza di uno spazio appositamente dedicato agli stranieri con o senza permesso di soggiorno. Al Servizio possono rivolgersi gli immigrati (direttamente o con prenotazione telefonica) che non conoscono l'organizzazione dei servizi sanitari o le opportunit di 137

assistenza garantite dalla legislazione, non hanno il permesso di soggiorno o, pur avendolo, non sono iscritti al Servizio Sanitario Nazionale. I servizi offerti al pubblico (per utenza maschile e femminile) sono: assistenza sociale, medicina di base (infettivologia), mediazione culturale e pediatria. Il lavoro di Cecilia presso lo S.S.I. comprende sia il servizio di mediazione telefonica sia quello di mediazione in copresenza con medico e paziente durante la visita ambulatoriale. In questo spazio, oltre alle due mediatrici, esercitano un pediatra, uno psicologo, un medico di base e un assistente sociale. Cecilia svolge anche mediazioni a chiamata presso il Pronto Soccorso e il consultorio del Programma Salute Donna di via Pintor a Parma, oltre a coprire mediazioni extra, che non rientrano nel contratto sopracitato, presso altre strutture socio-sanitarie della provincia; mi racconta, per esempio, che il giorno dopo ha un appuntamento a Fidenza (PR), dovr mediare per una bambina rumena che sar presa in carico da un assistente sociale.

Formazione Riguardo alla formazione di Cecilia, avendo intrapreso la professione prima dell'approvazione della Legge Regionale n.5 del 24 marzo 2004 (v. Cap. 6.2), la mediatrice non ha compiuto il tirocinio formativo attualmente previsto ma, agli inizi della sua professione, insieme alle altre mediatrici dell'Ausl di Parma, ha seguito un corso di formazione (che non prevedeva il rilascio di un attestato ma solo la frequenza) tenuto da vari operatori socio-sanitari, in particolare dalla Dott.ssa Adele Tonini, ginecologa e responsabile dello Spazio Immigrati dell'Azianda Usl di Parma; e al quale hanno contribuito attivamente i mediatori dell'Ausl di Torino, portando la loro esperienza come testimonianza diretta, furono infatti i primi in Italia ad intraprendere un progetto di mediazione culturale rivolto agli immigrati nel nostro Paese; il corso fu organizzato dalla Direzione Uffici Comunali di Parma (D.U.C).

Compiti aggiuntivi Parlando della sua routine lavorativa, Cecilia mi racconta che solitamente compila insieme al paziente la sua biografia raccogliendo i dati anagrafici ed altre informazioni relative al suo trascorso e alla sua permanenza in Italia; in questo modo,

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prima della visita con il medico, Cecilia e il paziente hanno modo di parlare a tu per tu (secondo Gentile et alii. 1996, v. Cap. 4, il mediatore-interprete dovrebbe evitare di trascorrere del tempo da solo con il paziente; ancora una volta, le opinioni sono divergenti e la teoria sembra essere smentita dalla pratica).

Fiducia Cecilia mi spiega l'importanza di conquistare la fiducia del paziente, devi puntare al cuore, dice, devi fargli capire che sei l per aiutarlo; molti immigrati, specie se clandestini, hanno paura di rivolgersi alle strutture sanitarie pubbliche perch temono di essere consegnati alla Questura. Grazie alla mediatrice, vengono informati dei servizi offerti e vengono assistiti anche per ci che riguarda le eventuali pratiche burocratiche.

1^ o 3^ persona, aspetti linguistici e interculturali La mediazione, mi dice, avviene in prima persona e il briefing spesso non necessario perch ormai il servizio diffusamente conosciuto sul territorio. Da una prospettiva interculturale, Cecilia pensa che la cultura italiana e quella rumena siano simili, anche da un punto di vista linguistico ci sono somiglianze dovute al comune ceppo linguistico48 e durante l'intervista Cecilia mi fa alcuni esempi di parole somiglianti: carta = hrtie; calendario = calendar ; acqua = ap ecc. ; la mediatrice vuole

sottolineare la comune discendenza delle due culture e aggiunge che gli immigrati rumeni e moldavi imparano l'italiano molto velocemente, soprattutto se arrivano in Italia da giovani. Dopo non hanno pi bisogno di me!, dice ridendo, non come i cinesi che hanno bisogno della mediatrice anche per andare in bagno!, Cecilia fa un paragone con la collega cinese, (sono rimaste solo loro due come mediatrici fisse allo S.S.I.) e mi fa notare che gli immigrati cinesi imparano la lingua pi lentamente, a volte non vogliono o non hanno bisogno di impararla perch vivono prevalentemente all'interno della comunit cinese, mentre rumeni e moldavi imparano velocemente per motivi di sopravvivenza.

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La lingua rumena (o dacorumeno) una lingua romanza o neo-latina appartenente al gruppo indoeuropeo. La lingua rumena una delle lingue romanze balcaniche e viene parlata come madrelingua da pi di 26 milioni di persone in Romania, Moldavia, ed in diverse parti della Serbia, Bulgaria, Macedonia, Albania, Grecia, Ucraina ed Ungheria.

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Rapporti con la comunit Le chiedo se lei frequenti la comunit rumena e moldava di Parma e mi risponde scuotendo la testa, le chiedo allora se ha qualche amica sua connazionale e mi dice di no, perch dopo si crea invidia...ho provato, ho avuto amiche ma poi..non ho tempo adesso... La mediatrice qui in Italia si ricreata una vita, sposata con un italiano e qualche anno dopo essere arrivata nel nostro Paese, anche i due figli che allora avevano sei e sette anni l'hanno raggiunta; ora sono adulti e vivono a Parma. Mi dice di non avere tempo per le amicizie, durante la settimana lavora e nel weekend deve occuparsi delle faccende domestiche e cucinare per il marito che, da buon napoletano, ama mangiare e le ha insegnato a cucinare piatti tradizionali della sua terra. Anni fa aveva conosciuto delle donne rumene con le quali aveva stretto amicizia ma poi i rapporti si sono deteriorati per fraintendimenti ed invidie, ognuno deve pensare a se stesso, dice, se io sono stata pi fortunata, l'amica non dovrebbe essere invidiosa...

Temi tab A questo punto riporto il discorso sul tema della mediazione culturale e le domando se ha mai riscontrato difficolt o se si sia mai trovata in situazioni di mediazione complesse, la risposta stata: i rumeni non sono tutti balordi... i balordi ci sono dappertutto. Allora la interrompo e le dico che ovviamente io non credo questo e le spiego che mi riferivo a situazioni di particolare delicatezza o stress; Cecilia mi risponde che ci sono parecchi casi di infezioni e malattie sessuali ma sempre un po' sulla difensiva, quasi a voler giustificare i pazienti e la loro disperazione. Mi fa capire che alla sua et certe cose passano in secondo piano ma quando un uomo e una donna sono giovani, allora pi facile lasciarsi trasportare. Le chiedo se per lei imbarazzante parlare di malattie sessualmente trasmissibili con pazienti uomini e mi risponde di no, ormai ha superato il disagio che provava all'inizio e comunque durante la visita andrologica, la mediatrice si volta prima che il paziente si svesta e continua a mediare rimanendo voltata. A volte, quando capisce che la situazione piuttosto delicata o quando il medico stesso glielo fa presente, esce dall'ambulatorio e rimane dietro la porta per essere a disposizione nel caso sia necessario tradurre una parola o una frase; poi, terminata la visita, se c' bisogno di spiegare qualcosa al paziente, o se il paziente necessita di chiarimenti, Cecilia fornisce tutte le spiegazioni dovute. 140

Salute mentale Altri casi particolarmente toccanti riguardano poi le badanti rumene e moldave che giungono allo Spazio Salute Immigrati per avere un supporto psicologico; Cecilia estremamente sensibile all'argomento, anche lei durante il primo anno di permanenza in Italia ha lavorato come badante per un'anziana della citt. Dice che una vita durissima, un inferno, la mia vecchia mi svegliava alle due di notte e poi passava il dito sopra un mobile o un quadro e mi diceva c' polvere e io pulivo..se non metti i tappi nelle orecchie non ce la fai; la mediatrice mi dice che se una donna troppo sensibile rischia di sprofondare in una forte depressione, dice che ci si sente umiliate e la giornata di 24 ore sembra interminabile. Non so cosa intendesse esattamente, ma mi ha detto che a fare questo lavoro ci si pu ammalare molto (credo si riferisse a stress ed esaurimento nervoso). Mi racconta di sentirsi molto fortunata, io sono arrivata in Italia con invito, aveva il biglietto aereo pagato ma la maggior parte delle donne rumene che arrivano nel nostro Paese vive esperienze molto dure. Per pagarsi il viaggio hanno bisogno di cinque o sei mila euro (inclusi gli interessi degli usurai) perch spesso sono costrette a rivolgersi a degli sfruttatori per ottenere prestiti di denaro; una volta arrivate in Italia, continua Cecilia, il primo anno si ritrovano a mangiare alla Caritas e vivono col pensiero fisso di saldare il loro debito e di trovare il modo per sopravvivere; in pi, spesso hanno lasciato la famiglia in Romania, a volte dei figli, e quindi vivono nella costante preoccupazione di racimolare un po' di soldi da mandare a casa. La situazione in questi casi comprensibilmente durissima, disperata. Nel '99, aggiunge, la situazione era notevolmente pi difficile rispetto ad oggi Parma era chiusa. Non c'erano stranieri e se arrivavi ti portavano alla Polizia. Le parole di Cecilia sono enfatiche, ma sicuramente dieci anni fa la vita degli immigrati era pi dura rispetto ad ora. La chiacchierata con Cecilia volge al termine, la mediatrice conclude ripetendomi di sentirsi fortunata a fare questo lavoro, lei ha vissuto in prima persona le sofferenze e le difficolt delle sue connazionali che arrivano in ambulatorio con storie tragiche. Durante l'intervista, inoltre, ha ribadito pi volte che i rumeni non sono tutti delinquenti e che la vita degli immigrati che arrivano in Italia pu essere davvero difficilissima. La sua voglia di raccontare e raccontarsi mi ha colpita. Quando ci salutiamo le porgo la mano, lei me la stringe e mi chiede se pu baciarmi. Poi aggiunge che posso passare a trovarla quando voglio.

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Al termine di questo capitolo di ricerca sul campo, la figura della mediatrice culturale appare decisamente pi concreta ed umana. Le sette mediatrici che mi hanno gentilmente dedicato parte del loro tempo per descrivere in cosa consiste la loro presenza presso le strutture socio-sanitarie della regione non corrispondono ad una figura professionale univoca ed omogenea; le caratteristiche ricorrenti e condivise riguardano pi che altro l'aspetto partecipante, attivo, coinvolgente ed umano di questa professione. Tutte le mediatrici che hanno risposto all'intervista, anche se con modalit differenti, sono partecipanti attive, che agiscono anche di propria iniziativa, prendendo a volte decisioni autonome verso il paziente e svolgendo una vasta gamma di mansioni che vanno dalla mediazione linguistico-culturale in co-presenza, al supporto psicologico verso l'utente straniero, all'assistenza nell'adempimento di procedure burocratiche (come la compilazione di cartelle cliniche, modulistica ecc.), all'offerta di informazioni ulteriori al paziente, all'azione quasi educativa dell'utente straniero per ci che concerne il sistema normativo, sanitario e culturale del nostro Paese. Oltre a queste caratteristiche comuni, ogni mediatrice ha presentato un modus operandi diverso; per quanto riguarda l'utilizzo della prima o della terza persona durante la mediazione, per esempio, due mediatrici hanno risposto di usare sempre la terza persona, due la prima persona, e le altre tre utilizzano entrambe a seconda a seconda dei casi. Anche la pratica del briefing, come emerso dalle interviste, molto meno accurata di quanto prescriva la letteratura, anzi, a volte non nemmeno previsto. La cosiddetta fedelt all'enunciato originale del locutore un altro punto critico, di rottura rispetto alla teoria: in primo luogo, le mediatrici utilizzano un linguaggio pi semplice di quello originale (del medico) determinando cos un abbassamento del registro linguistico a favore della comprensibilit dell'enunciato da parte dell'utente-paziente, spesso scarsamente istruito; in secondo luogo, il testo mediato generalmente pi esteso dell'originale per il frequente ricorso alla parafrasi e per la necessit (culturale) di mitigare il carattere diretto del messaggio del medico italiano, indirectness e hedging caratterizzano spesso il comportamento linguistico delle mediatrici; in terzo luogo poi, rifacendoci alla teoria di Goffman (1981) le mediatrici non sono semplici animators ma, in alcuni casi, sono veri e propri authors, cio autrici dell'enunciato, responsabili di ci che dicono di propria iniziativa. Per quanto riguarda la formazione professionale, tre mediatrici su sette hanno svolto il tirocinio formativo previsto dalla nuova Legge Regionale del 2004

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(v. Cap. 6.2), mentre le altre quattro hanno imparato sul campo e hanno frequentato al pi qualche conferenza o breve corso sulla mediazione culturale disposti dall'Ausl di competenza. L'aspetto certamente pi forte che risulta dalle interviste quello che riguarda il rapporto umano con il paziente straniero e il grande dispendio di energie, da un punto di vista psicologico ed emotivo, richiesto alle mediatrici che, pur sottopagate e in situazioni di forte stress, sono impegnate in prima linea a svolgere un compito tutt'altro che semplice.

CAPITOLO 6 La regione Emilia-Romagna

6.1

L'immigrazione straniera in Emilia-Romagna

In questa sezione ci occuperemo di fornire una breve sintesi sull'attuale situazione della Regione in quanto a flussi migratori e presenza di cittadini stranieri sul territorio regionale e presenteremo in questa sede alcuni dei dati pubblicati nel decimo rapporto sull'immigrazione straniera nella Regione49. Il rapporto reca l'introduzione di Anna Maria Dapporto, Assessore alla Promozione delle politiche sociali e di quelle educative per linfanzia e ladolescenza, Politiche per limmigrazione, Sviluppo del volontariato, dellassociazionismo e del terzo settore della Regione Emilia-Romagna, ed stato pubblicato nel 2010 facendo riferimento ai dati dell'anno 2008. Come scrive l'Assessore A. M. Dapporto: Negli ultimi anni, le politiche regionali in materia di immigrazione hanno mirato alla realizzazione di azioni organiche, multisettoriali, al fine di trovare risposte adeguate a un fenomeno divenuto strutturale per la nostra societ. () Nel corso del 2008 gli immigrati stranieri in regione hanno oltrepassato le 421.000 unit e il 9,7% della popolazione residente, allineandosi a quanto avviene nel resto del continente: la media europea , infatti, superiore al 9% e nei paesi dellEuropa centrosettentrionale essa
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Vedi Bibliografia

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supera gi il 10%. Questo rapporto dimostra come il motore dellimmigrazione sia costituito dal mercato del lavoro che, in Emilia-Romagna (almeno fino allestate 2008), agli effetti della sostanziale piena occupazione che vi si registrata, somma gli effetti del calo demografico degli ultimi decenni. La Regione Emilia-Romagna sta proseguendo nel suo impianto di programmazione delle politiche di integrazione sociale iniziato gi nel 2000. La legge regionale n. 5 del 24 marzo 2004 stata la prima in Italia dopo la riforma del Titolo V della Costituzione. In seguito allapprovazione della legge regionale sono state attuate azioni su pi fronti: dagli sportelli informativi alle attivit di informazione culturale e interculturale, dalle reti regionali per i richiedenti asilo, per la lotta alla tratta e contro le discriminazioni su base etnica, dalla promozione di forme di rappresentanza dei cittadini stranieri allattivit di mediazione interculturale. A queste azioni occorre aggiungere due strumenti fondamentali previsti dalla legge regionale per limmigrazione: la Consulta regionale per lintegrazione sociale e il Programma triennale 2006/2008 per lintegrazione sociale dei cittadini stranieri. La Consulta (della quale si definito anche un comitato esecutivo) risponde alla necessit di avere una programmazione condivisa delle politiche per limmigrazione tra Istituzioni, rappresentanti degli immigrati (due per provincia), associazioni di categoria, sindacati e Terzo settore. Il Programma triennale detta le linee dazione per il triennio, puntando ad una convergenza tra politiche di diversi settori (casa, istruzione, sanit, sociale, lavoro, trasporti, cultura). Lintegrazione si realizza a partire dalle scelte prese in sede istituzionale, affrontando le questioni in modo complessivo e non singolarmente, proprio perch il fenomeno migratorio coinvolge tutti i settori della societ. Alla fine del 2008 lAssemblea Legislativa regionale ha approvato il secondo programma triennale che avr valenza dal 2009 al 2011, individuando tre grandi priorit: lalfabetizzazione, la mediazione interculturale (ma anche dei conflitti) ed il contrasto alla discriminazione su base etnica. Quindi per la prima volta in questa legislatura, limmigrazione entrata stabilmente e in modo strutturale nelle politiche di programmazione della Regione. La ricaduta di queste politiche sul territorio stata analizzata attraverso la realizzazione del quarto rapporto di monitoraggio dei 38 Piani di zona sociali per limmigrazione (giugno 2009), in cui stato possibile valutare quanto i territori hanno recepito della programmazione regionale e quanto si sono impegnati in termini di risorse. Purtroppo

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nel 2009, continuata una decurtazione del Fondo Nazionale per le Politiche Sociali dopo quella avvenuta nel 2005; questi tagli mettono in difficolt le politiche della Regione e degli enti locali sullintegrazione, mancando anche un quadro di riferimento di programmazione nazionale. Gli immigrati sono sempre pi, ed in maniera crescente, utenti dei servizi di welfare della regione: non soltanto nel campo delle politiche sociali, ma anche di quelle sanitarie, scolastiche, lavorative, abitative, ecc Per la prima volta nel corso del 2009, il lavoro dellOsservatorio regionale sul fenomeno migratorio si arricchito di un importante elemento: uno studio sul gettito contributivo e fiscale dei lavoratori immigrati. anche per questo motivo che limmigrazione rappresenta una risorsa per la nostra comunit, una possibilit di crescita e di arricchimento per tutti, nellambito di un quadro di regole condivise. Passiamo ora ai dati relativi all'immigrazione straniera nella Regione comparandoli al quadro dell'immigrazione nazionale ed europea. Secondo le Nazioni Unite sono pi di 200 milioni i migranti nel mondo ovvero, circa il 3% della popolazione mondiale dimora abitualmente in un paese diverso da quello in cui nato. Si tratta di un fenomeno difficile da misurare poich caratterizzato da una grande rapidit di evoluzione, da una grande mobilit anche allinterno del territorio italiano, da una componente di lavoro sommerso e pi in generale dalla clandestinit; tanto difficile da misurare quanto necessario da capire, anche attraverso i numeri, delineandone i tratti caratterizzanti. Una stima della popolazione straniera regolarmente presente sul territorio possibile integrando le informazioni contenute nellarchivio dei permessi di soggiorno in corso di validit gestito dal Ministero dellInterno e nellarchivio dei residenti con cittadinanza straniera gestito dallIstat in collaborazione con le anagrafi comunali. Anche nello scenario di crisi economica e occupazionale delineatosi nel corso del 2008 limmigrazione in Italia non ha arrestato al sua crescita. Secondo la Caritas/Migrantes50 in Italia i soggiornanti stranieri sono passati dai 500.000 di fine anni ottanta ai circa 4.330.000 della fine del 2008 di cui 3.891.295 iscritti in anagrafe. La Caritas/Migrantes aggiunge che se si tiene conto del fatto che la regolarizzazione di settembre 2009, pur in tempo di crisi, ha coinvolto quasi 300mila persone nel solo
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Dossier Statistico Immigrazione Caritas-Migrantes 2009; v. http://www.caritasitaliana.it

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settore della collaborazione famigliare, delle quali circa 30.000 in Emilia-Romagna, lItalia supera abbondantemente i 4,5 milioni di presenze straniere. La stima di circa 461.800 soggiornanti pone lEmilia-Romagna al quarto posto tra le regioni italiane in quanto a consistenza preceduta da Lombardia (997.800), Lazio (499.200) e Veneto (502.200). Se si considera la presenza straniera in termini di incidenza dei residenti stranieri sulla popolazione residente complessiva ecco che lEmilia-Romagna balza al primo posto con circa 9,7 stranieri residenti ogni 100 residenti in complesso, seguita dallUmbria con 9,6 stranieri residenti per 100 abitanti e da Lombardia e Veneto con 9,3. I ritmi di crescita della popolazione straniera in Emilia-Romagna hanno raggiunto il massimo tra la fine degli anni novanta e la met degli anni 2000 quando, anche a seguito dei numerosi procedimenti di regolarizzazione, si avevano incrementi medi annui attorno al 20%. Dopo lultima ondata di regolarizzazione del 2004 i ritmi di crescita si sono dimezzati anche se lingresso nella Comunit europea di Romania e Bulgaria ha determinato un incremento del 15% nel corso del 2007. Anche il 2008 si distinto per un aumento di poco superiore al 15% degli stranieri residenti in EmiliaRomagna e questo sia per il continuo aumento della popolazione straniera proveniente dai nuovi Paesi Membri sia per i consistenti flussi da paesi non comunitari. In termini assoluti le pi alte presenze di cittadini stranieri residenti si trovano in Germania (7,255 milioni), Spagna (5,262 milioni), Gran Bretagna (4,021 milioni), Francia (3,674 milioni) e Italia (3,433 milioni): gli stranieri residenti in questi cinque Stati rappresentano pi del 75% degli stranieri residenti nellUnione europea. In tutti gli Stati membri, ad eccezione di Lussemburgo, Irlanda, Belgio, Cipro, Slovacchia, Ungheria e Malta, la maggior parte degli stranieri residenti proviene da paesi esterni alla UE. In termini di paese di provenienza si riscontra in Italia, e in Emilia-Romagna, una maggiore frammentazione rispetto agli altri grandi paesi, da ricondurre in parte allassenza di legami storici, linguistici o di prossimit geografica che influenza le provenienze dellimmigrazione in altri paesi, come, ad esempio, per gli indiani in Gran Bretagna o gli algerini in Francia. Lalta frammentazione tra i paesi dorigine viene vista come una condizione che potrebbe, a priori, ridurre il rischio di ghettizzazione in quanto favorisce assai meno leventuale formazione e laffermarsi di forti minoranze compatte, prevalenti rispetto alle altre.

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Come viene sottolineato nellEurostat Regional Yearbook 200951 in molte regioni europee, dove la crescita naturale nulla o negativa, limmigrazione internazionale assume ancor pi importanza in quanto collegata alla possibilit di mantenere una certa dimensione demografica; in particolare in Emilia-Romagna e nelle altre regioni del Centro-Nord Italia limmigrazione in grado di contrastare la crescita negativa dovuta alla sola componente naturale. In una situazione di invecchiamento della popolazione e di limitato ricambio generazionale delle classi di et lavorative si creano maggiori spazi di inserimento per gli immigrati e lo dimostra il fatto che non solo lEmilia-Romagna attrae sempre pi stranieri ma continua ad attrarre anche una parte consistente delle migrazioni interne al paese. Nel 2008 il saldo migratorio interno dellEmilia-Romagna, pari a 4,6 per mille, risulta ancora una volta il pi elevato tra le regioni italiane e, unito al saldo migratorio con lestero, avrebbe portato ad un incremento della popolazione ad opera delle sole migrazioni pari al 15,8 per mille. La crescita complessiva stata per di circa 14 persone ogni 1.000 presenti nella popolazione in quanto il tasso di crescita naturale, tuttora negativo, pari a circa -1,3 per mille. La popolazione straniera presente oramai su tutto il territorio regionale anche se vi sono delle zone in cui vi una maggiore incidenza in funzione delle diverse specializzazioni economiche, delle vie di comunicazioni presenti e del mercato abitativo pi o meno favorevole; in particolare evidente come le province di Piacenza, Parma, Reggio Emilia e Modena abbiano un numero di stranieri ogni 100 residenti superiore alla media regionale pari a 9,7%. Queste province emiliane hanno circa l11% di stranieri residenti al contrario di Ferrara che continua a mostrare la presenza pi bassa (6,1%) seppure con notevoli incrementi nel corso degli ultimi anni. I dati raccolti identificano una vasta area tra le province di Reggio Emilia e Modena con valori superiori all11% e che raggiungono, in molti comuni, anche il 20% nonch una fascia di comuni al confine tra la provincia di Piacenza e la Lombardia e zone collinari della provincia di Modena, Bologna e di Forl-Cesena. Il peso della componente femminile pi elevato della media regionale nelle province di Ferrara (54,1%), Rimini (52,5%), Bologna (51,3%) e Parma (50,5%). Questa distribuzione influenzata in parte dalla distribuzione per cittadinanza degli stranieri
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http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/product_details/publication?p_product_code=KSHA-09-001

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residenti poich vi sono delle nazionalit in cui la componente femminile decisamente prevalente: tra le prime troviamo Ucraina (16.407 donne pari al 81,2%del totale degli ucraini residenti), Polonia (8.349, 73,8%) e Moldavia (12.306, 68,5%). Tra le prime venti cittadinanze presenti, quote di donne superiori al 50% si riscontrano anche per gli immigrati residenti provenienti da Nigeria, Filippine e Romania e Bulgaria. Il costante e rapido aumento della popolazione straniera incide in maniera notevole sulle caratteristiche strutturali della popolazione sia perch ne modifica la consistenza sia perch contribuisce in larga misura al suo ringiovanimento in termini di rapporto tra popolazione anziana e giovanile: va infatti ricordato che circa il 78% degli stranieri residenti in Emilia-Romagna si colloca nelle classi di et tra i 15 e i 64 anni, attive sia dal punto di vista lavorativo sia demografico e contribuendo quindi alla ripresa della natalit. Nellanalisi della distribuzione degli stranieri residenti per cittadinanza (v. tabella in Appendice) evidente come i gruppi di pi antica immigrazione siano ancora molto rappresentati, in particolare i cittadini marocchini (62.680 residenti), gli albanesi (54.336), i rumeni (54.205) e i tunisini (20.343): a partire dal 2006 la consistenza dei cittadini rumeni ha superato quella dei cittadini tunisini che fino ad allora avevano rappresentato la terza cittadinanza in quanto a consistenza. Tra le prime venti cittadinanze per consistenza lincremento pi elevato nel corso del 2008 quello dei cittadini moldavi (17.970 residenti, +40,1% rispetto al 1.1.2008) seguiti dai rumeni (54.205, +30,1%); con variazioni superiori al 15,2% medio regionale si trovano anche le provenienze da Bangladesh, Sri Lanka, Bulgaria, Ucraina, India e Polonia. Seppure i cittadini stranieri si collocano abbastanza omogeneamente sul territorio e quindi nelle graduatorie delle residenze a livello provinciale ritroviamo sostanzialmente le cittadinanze gi citate, si possono riconoscere rispetto ad esse alcune particolarit. Nelle graduatorie delle prime venti cittadinanze presenti a livello provinciale notiamo che i cittadini albanesi, marocchini e rumeni si collocano tra le prime tre cittadinanze tranne a Parma dove in seconda posizione troviamo i moldavi (4.668 residenti pari a circa il 26% del totale regionale), a Reggio Emilia dove la seconda posizione occupata dagli indiani (5.351 poco pi del 41% del totale regionale) e nella provincia di Rimini dove in terza posizione troviamo gli ucraini (2.421 circa il 12% del totale regionale). Da

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notare anche il quarto posto occupato dalla comunit cinese nelle province di Rimini, Forl-Cesena e Reggio Emilia, dai senegalesi nella provincia di Ravenna, dagli ucraini in quella di Ferrara, dai filippini a Bologna e dai macedoni a Piacenza. Questa breve panoramica sul quadro dell'immigrazione straniera in Emilia-Romagna estremamente utile per comprendere pi a fondo il contesto nel quale si situano i servizi di mediazione culturale predisposti dalla Regione. Come emerso dalle testimonianze delle mediatrici intervistate, spesso le lingue di mediazione presso le strutture sociosanitarie regionali rappresentano solo le lingue maggiormente diffuse; a fronte della grande variet dei flussi di immigrazione che caratterizzano il territorio della Regione, in alcuni casi il servizio di mediazione culturale risulta pertanto insufficiente rispetto alle lingue cosiddette minoritarie e ai rispettivi parlanti che, come tutti i cittadini stranieri, dovrebbero poter usufruire di tale servizio.

6.2

La mediazione culturale in Emilia-Romagna: la legislazione italiana e regionale

In questa sezione cercheremo di delineare l'attuale situazione della regione EmiliaRomagna rispetto alla figura del mediatore linguistico-culturale e alle politiche regionali che regolano tale profilo professionale, in particolare facendo riferimento al processo di definizione di questo ruolo avvenuto fra il 2004 e il 2005. Prima per, opportuno fornire una breve descrizione del quadro normativo italiano in merito al tema dell'immigrazione per poi focalizzare l'attenzione sulla legislazione regionale. Da un punto di vista normativo, cos come descritto da Camilotti e Sebastianis (in Luatti 2006), il termine mediatore stato utilizzato per la prima volta dal Ministero della Pubblica Istruzione nella circolare n. 205 del 26 luglio 1990 Accoglienza ed organizzazione scolastica degli alunni stranieri, in cui si parla dell' impiego di mediatori di madre lingua per agevolare la comunicazione nell'ambito scolastico e nella comunicazione scuola-famiglia, nonch [dell'] utilizzo di esperti di madre lingua per attuare le iniziative per la valorizzazione della lingua e cultura d'origine, senza per definirne il ruolo, le competenze e i requisiti. Fino a venti anni fa, dunque, la mediazione culturale stata relegata ad una posizione marginale ed accessoria, priva di

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un assetto strutturato che ne stabilisse i caratteri sotto il profilo normativo. Ma solo nella legge 40/98 (Legge Turco-Napolitano), in seguito confluita nel Decreto legislativo 286/9852, si fa riferimento per la prima volta al mediatore come figura qualificata. L'ambiguit della terminologia utilizzata, tuttavia, rende la definizione del mediatore qualificato ancora piuttosto farraginosa, poich si parla di mediatori culturali qualificati e di mediatori interculturali, senza esplicitarne le eventuali differenze (Ibid.)53 Secondo quanto scrive Fiorucci (in Luatti 2006) utilizzando toni piuttosto forti per esprimere il proprio disappunto, la legge sull'immigrazione attualmente in vigore, Legge Bossi-Fini del 30 luglio 2002, n.189, sembra caratterizzarsi per almeno due aspetti principali:

l'istituzionalizzazione della precariet: i rischi di diventare clandestini e

irregolari presenti in questa legge sono elevatissimi () L'economia sommersa che si fonda sul lavoro nero, accumula ricchezza utilizzando persone che non possono rivendicare diritti e non possono ribellarsi a condizioni di lavoro dure, nocive e insopportabili in una moderna societ democratica;

la riduzione della persona umana al suo essere prestatore d'opera: collegare il

permesso di soggiorno al contratto di lavoro (contratto di soggiorno) costituisce una negazione della persona umana nel suo complesso. Il dibattito a livello politico-normativo, come appare anche dal brano sopracitato, rimane acceso; Fiorucci (Ibid.) pone a confronto la Legge Bossi-Fini con la precedente
Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero. 53 L. 40/98, art. 36, c. 6b: [...sono dettate le disposizioni dei] criteri per il riconoscimento dei titoli di studio e degli studi effettuati nei Paesi di provenienza ai fini dell'inserimento scolastico, nonch dei criteri e delle modalit di comunicazione con le famiglie degli alunni stranieri, anche con l'ausilio di mediatori culturali qualificati; art. 40, c. 1: Lo Stato, le Regioni, le Province e i Comuni () favoriscono: () la realizzazione di convenzioni con associazioni () per l'impiego all'interno delle proprie strutture di stranieri, titolari di carta di soggiorno o permesso di soggiorno di durata non inferiore a due anni, in qualit di mediatori interculturali al fine di agevolare i rapporti tra le singole amministrazioni e gli stranieri appartenenti ai diversi gruppi etnici, nazionali, linguistici e religiosi. Anche il DPR 394/99 (Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) adotta la denominazione mediatore culturale qualificato e ne indica come compiti l'accoglienza, la comunicazione con le famiglie e le azioni a tutela dalla lingua di origine: art. 45 c. 5 e 6: Il collegio docenti formula proposte in ordine ai criteri e alle modalit per la comunicazione tra scuola e famiglia degli alunni stranieri. Ove necessario, anche attraverso intese con l'ente locale, l'istituzione scolastica si avvale dell'opera di mediatori culturali qualificati. Ricordiamo che la Legge 189/02 (Bossi-Fini) ha lasciato inalterate le disposizioni relative all'istruzione per gli immigrati ed i loro figli. (Camilotti e Sebastianis 2006:213)
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legge quadro sull'immigrazione, la Legge n. 40 del 6 marzo 1998 (Legge TurcoNapolitano), la quale, nonostante i limiti e gli elementi controversi54 che mostrava, presentava alcuni aspetti innovativi gi nel titolo Disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero: non parlava pi di norme urgenti in materia di immigrazione, quasi a voler prendere atto del carattere non pi transitorio dell'immigrazione nel nostro paese; non faceva riferimento esclusivamente alla dimensione lavorativa dell'immigrato, parlando per la prima volta di condizione dello stranieroe prendendo in considerazione una vasta gamma di aspetti tra loro interrelati per giungere all'acquisizione del pieno diritto di cittadinanza (casa, lavoro, assistenza sanitaria, istruzione, formazione e riqualificazione professionale, possibilit di accesso ai servizi) presentava un articolo, art. 36 Istruzione degli stranieri. Educazione interculturale, che per la prima volta in una legge italiana introduceva il concetto di educazione interculturale, con riferimento alla figura dei mediatori culturali (senza per regolamentarne la qualifica e la formazione).

La Legge Turco-Napolitano del 1998, primo testo unico sull'immigrazione, nell'art. 42 nomina i mediatori linguistico-culturali, affermando il loro impiego nei servizi al fine di agevolare i rapporti tra le singole amministrazioni e gli stranieri appartenenti ai diversi gruppi etnici, nazionali, linguistici e religiosi. La legge, inoltre, stabilisce la creazione di un Albo nazionale dell'associazione e delle cooperative che svolgono azioni di mediazione a favore della popolazione immigrata. Come detto in precedenza, la Turco-Napolitano non fissa esplicitamente la natura delle attivit di mediazione linguistico-culturale. Casrtiglioni (in Luatti 2006:146) aggiunge:
Gli sforzi inoltre per arrivare alla definizione del ruolo e del profilo professionale del mediatore linguistico-culturale da parte del CNEL [Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro] attraverso l'istituzione di un'apposita commissione, nei due anni successivi alla promulgazione del testo Unico, sono riamasti sulla carta.

Oltre alla mancanza di omogeneit e chiarezza terminologica gi menzionata, risulta evidente la mancanza di corrispondenza fra il testo normativo e la realt della mediazione culturale effettivamente svolta sul campo; nonostante i piccoli progressi
Fiorucci si riferisce qui alla questione delle impronte digitali e alla situazione dei Centri di permanenza temporanea (CPT) italiani: ICPT , istituiti con la legge Turco-Napolitano e mantenuti in vita e rinforzati nella loro funzione repressiva dalla Legge Bossi-Fini, rappresentano dei veri e proprio lager dove vengono sospesi tutti i diritti (Fiorucci in Luatti 2006: 107)
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registrati in questa breve panoramica della normativa nazionale sul tema dell'immigrazione e della mediazione interculturale, permangono infatti criticit e punti oscuri ancora da risolvere. In quanto alla legislazione regionale dell'Emilia-Romagna, il processo di cambiamenti qualitativi e quantitativi iniziato nella seconda met degli anni '90 si sviluppato di pari passo con la crescente presenza di cittadini stranieri nel nostro Paese, la quale ha contribuito a diffondere la consapevolezza dell'importanza di servizi assistenziali e di mediazione culturale che potessero permettere agli immigrati di dialogare con il sistema italiano ed accedere alle infrastrutture del Paese. Come spiegano esaustivamente Facchini e Martelli (in Luatti 2006), nel dicembre 2001, la Regione Emilia-Romagna ha sottoscritto con enti locali, parti sociali (Associazioni datoriali e Sindacati) e forum regionale del terzo settore un Protocollo d'intesa in materia di immigrazione straniera nel quale si sono definiti cinque assi strategici di intervento regionale per l'integrazione dei migranti: governo dei flussi migratori, lavoro e formazione professionale, politiche abitative, integrazione sociale e nuova legislazione regionale. A proposito della mediazione culturale, il protocollo regionale 2001 affermava come:
la relazione tra culture differenti richiede che sia dedicata particolare attenzione alle azioni e ai progetti di mediazione culturale volti al superamento delle incomprensioni, diffidenze e conflitti che inevitabilmente si creano. La realizzazione efficace di interventi di mediazione culturale necessita per dell'attivazione di percorsi volti alla definizione del profilo professionale, all'individuazione di percorsi formativi specifici, alla differenziazione fra ambiti e modalit d'intervento, alle modalit organizzative per la gestione di progetti e servizi, alla destinazione di risorse economiche specifiche. La progettazione di iniziative in tal senso non possono e non devono non disporre della ricca esperienza realizzata in questa regione dall'associazionismo, dal volontariato e dalla cooperazione sociale.

La nuova legge regionale si configura quindi come strettamente collegata al tema della mediazione interculturale e la Regione Emilia-Romagna stata la prima regione italiana a legiferare in materia di politiche per l'integrazione dei cittadini immigrati dopo la riforma del Titolo V della Costituzione55 e dopo la modifica della normativa nazionale
Con la legge Costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001 viene riformata la parte della Costituzione riguardante il sistema delle Autonomie Locali e dei rapporti con lo Stato. La riforma comporta la revisione degli articoli 114-133 della Carta Costituzionale. Attraverso la conferma di alcuni articoli, labrogazione di altri e la modifica di altri ancora, viene cambiato in profondit lordinamento istituzionale della Repubblica. Quanto alla organizzazione istituzionale, il nuovo testo dellarticolo 114 (il primo del Titolo V), secondo una logica di equiordinazione, indica che la Repubblica (intesa come Stato-ordinamento) costituita da
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(approvazione del D.Lgs. 286/98) e delle sue successive modifiche previste dalla L. 189/2002. Come argomentano Facchini e Martelli (2006), l'approvazione di una nuova normativa regionale si rendeva necessaria per almeno tre ragioni:

la evidente vetust della precedente legge regionale in vigore (LR 21 febbraio 1990, n. 14), che sostanzialmente nasceva nel solco della impostazione emergenziale causata dai primi consistenti flussi migratori nel nostro paese;

le modifiche sostanziali rispetto alle caratteristiche del fenomeno migratorio (stabilizzazione e femminilizzazione in primis)

un forte processo di innovazione e modificazione legislativa avviato a livello nazionale a partire dalla emanazione del D.Lgs. 286/1998 e successive modificazioni.

La nuova legge regionale per l'integrazione sociale dei cittadini stranieri, LR n. 5 del 24 marzo 2004, Norme per l'integrazione sociale dei cittadini stranieri immigrati. Modifiche alle leggi regionali 21 febbraio 1990, n. 14 e 12 marzo 2003, n. 2 (v. Appendice), nata dunque per promuovere e garantire una maggiore coesione sociale tra nuovi e vecchi cittadini residenti sul suolo italiano e prevede attivit di mediazione culturale al fine di:
garantire per i cittadini stranieri immigrati pari opportunit di accesso all'abitazione, al lavoro, all'istruzione ed alla formazione professionale, alla conoscenza delle opportunit connesse connesse

strutture paritetiche, senza distinzione tra livelli gerarchici: Comuni, Province, Citt metropolitane, Regioni e Stato (inteso come Stato-persona) Larticolo 114 prevede, inoltre, il riconoscimento costituzionale della funzione di capitale della Repubblica per la citt di Roma. In considerazione della nuova forma di Stato decentrato, i nuovi importanti compiti costituzionali della capitale saranno disciplinati con legge dello Stato. La rilevanza del nuovo orientamento federalista si manifesta, in particolare, nella inversione, disposta con il nuovo testo dellarticolo 117, della enunciazione delle materie di competenza esclusiva, che pone implicitamente come pi rilevante la competenza regionale rispetto a quella statale. Il secondo comma di tale articolo, infatti, definisce lambito di materie in cui deve essere esercitata la potest legislativa esclusiva da parte dello Stato; nel vecchio testo erano, invece, stabilite in modo esplicito le materie di competenza regionale. Il comma successivo indica le materie concorrenti, sulle quali, tuttavia, liniziativa legislativa spetta alle Regioni, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla normativa dello Stato. Il comma 4, infine, attribuisce alle Regioni la potest legislativa residuale, cio relativamente a ogni materia non espressamente riservata allo Stato. () Secondo il principio di sussidiariet, che attribuisce le funzioni al livello pi basso di governo, lambito regionale, con la riforma, divenuto quello legislativamente pi rilevante, mentre ai Comuni (articolo 118) spettano le funzioni amministrative. (Espa e Felici 2003:29:30, v. http://www.isae.it/ra_fed_cap3_2003.pdf )

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all'avvio di attivit autonome ed imprenditoriali, alle prestazioni sanitarie ed assistenziali [e, rispetto all'assistenza sanitaria afferma che] la Regione promuove, anche attraverso la Aziende sanitarie, lo sviluppo di interventi formativi destinati ai cittadini stranieri immigrati ed attivit di mediazione interculturale in campo socio-sanitario, finalizzati ad assicurare gli elementi conoscitivi idonei per facilitare l'accesso ai servizi sanitari e socio-sanitari. (artt. 1 e 13)

La Regione Emilia-Romagna, ispirandosi al principio di pari opportunit e con l'obiettivo di assicurare il pieno inserimento sociale, culturale e politico per i cittadini stranieri, ha introdotto uno specifico articolo, art. 17, Interventi di integrazione e comunicazione interculturale, che prevede al punto e) come la Regione e gli Enti locali promuovano:
il consolidamento di competenze attinenti alla mediazione socio-culturale, secondo la normativa regionale in materia di formazione professionale, finalizzate alla individuazione ed alla valorizzazione di una specifica professionalit volta a garantire sia la ricognizione dei bisogni degli utenti, sia l'ottenimento di adeguate prestazioni da parte dei servizi. (citato in Luatti 2006:237)

Con la delibera

n.1576 del 30 luglio 2004 Prime disposizioni inerenti la figura

professionale del mediatore interculturale la Regione Emilia-Romagna ha definito gli standard formativi essenziali per il riconoscimento della qualifica di mediatore interculturale e ha fissato tale figura professionale con la delibera n. 2212 del 10 novembre 2004, Approvazione repertorio delle qualifiche professionali regionali56. In queste delibere vengono individuate le competenze del mediatore e i contenuti del percorso formativo, ma non vengono indicati i requisiti d'accesso alla professione. Come scrivono Camilotti e Sebastianis (in Luatti 2006), tra le competenze rientrano la diagnosi dei bisogni e delle risorse degli immigrati, il loro orientamento ai servizi, la capacit di intermediazione linguistica e le tecniche di mediazione interculturale. I contenuti della formazione, poi, prevedono nozioni generali su: fenomeni e dinamiche dei processi migratori, organizzazione e funzionamento dei servizi socio-sanitari, educativi, scolastici e lavorativi in Italia e nel paese d'origine, normativa sull'immigrazione, tecniche di base della comunicazione, di interpretariato, elementi di base di sociologia ed antropologia culturale, pedagogia interculturale e psicologia dell'immigrazione. Da notare che anche tra i contenuti didattici e non solo fra le
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V. http://bur.regione.emilia-romagna.it/bur/area-bollettini/n.-132-del-07.10.2010/adeguamentoed-integrazione-degli-standard-professionali-del-repertorio-regionale-delle-qualifiche/allegato-1_schedemonografiche

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competenze richieste si specifica la lingua di provenienza parlata e scritta. Secondo Belpiede (2006:254) gli strumenti principali del mediatore interculturale professionista sono: il decentramento emozionale e culturale e il ruolo di terzo, l'ascolto e la relazione empatica. Facchini e Martelli (2006), riflettendo sul profilo professionale del mediatore interculturale e il suo ruolo, affermano che gli operatori, per non essere ridotti a meri traduttori linguistici della comunicazione, dovrebbero possedere competenze trasversali in ambito comunicativo e relazionale e competenze specifiche; in secondo luogo, dovrebbero rielaborare in termini professionali la propria esperienza migratoria. In altre parole quindi, il mediatore culturale dovrebbe diventare un esperto della comunicazione interculturale in un settore di attivit specifico: l'ambito giudiziario, la sanit , la scuola, ecc. L'obiettivo, dunque, la formazione di una figura professionale competente e specializzata, riconosciuta e tutelata attraverso la definizione di standard nazionali. In quanto alle qualifiche del mediatore culturale, con la delibera n. 265 Approvazione standard dell'offerta formativa a qualifica e revisione di alcune tipologie di azione di cui alla delibera di GR n. 177/2003 del 14 febbraio 2005, la Giunta regionale stabilisce gli standard formativi del Sistema regionale delle qualifiche. La scheda monografica con gli standard relativi ai corsi per la qualifica di mediatore interculturale si colloca nell'area professionale Assistenza sociale, sanitaria, socio-sanitaria. Il percorso formativo prevede:

corsi di 500 ore, con una quota di ore di stage pari almeno al 35-45% del monte ore complessivo, rivolti a giovani non occupati, che hanno concluso un percorso di istruzione e formazione con il conseguimento del relativo titolo finale;

corsi di 300 ore per giovani-adulti occupati o disoccupati (con un periodo di stage pari al 20-40% del monte ore totale) la cui durata pu essere ridotta fino ad un minimo di 200 ore, in funzione delle caratteristiche dei partecipanti. Anche in questo caso non vengono date disposizioni precise sui requisiti relativi all'et, ai titolo di studio e alla nazionalit dei corsisti.

Il 7 febbraio 2006, la Giunta regionale ha approvato il Programma Triennale 2006-2008 per l'integrazione sociale dei cittadini stranieri sulla base dell'art. 3 della Legge regionale, in cui, al punto 14 Comunicazione e mediazione interculturale, si intende

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favorire:
la promozione all'approccio interculturale attraverso una serie di possibilit operative con lo scopo di conoscere e valorizzare gli apporti culturali diversi al fine di costruire assieme nuove solidariet, nuove comunit socialmente coese in una logica di pari opportunit di diritti e di rispetto dei doveri socialmente definiti. (citato da Camilotti e Sebastianis in Luatti 2006:218)

Due anni dopo, in data 16 dicembre 2008, la Giunta Regionale ha decretato l'approvazione del Programma Triennale 2009-2011 per l'integrazione sociale dei cittadini stranieri. Gli obiettivi strategici del programma sono tre:
- Primo, la promozione dellapprendimento e dellalfabetizzazione della lingua italiana per favorire i processi di integrazione e consentire ai cittadini una piena cittadinanza. - Secondo obiettivo, la promozione di una piena coesione sociale attraverso processi di conoscenza, formazione e mediazione da parte dei cittadini stranieri immigrati e italiani. - Terzo, la promozione di attivit di contrasto al razzismo e alle discriminazioni, lavorando su pi aspetti: prevenzione ed educazione, sostegno a progetti e azioni per eliminare alla base le situazioni di svantaggio, opportunit di orientamento, assistenza e consulenza legale, e un lavoro costante di osservazione del fenomeno nel territorio regionale, con particolare attenzione al ruolo dei mezzi di informazione57.

In conclusione, nonostante i progressi gradualmente registrati che abbiamo sin qui ricordato, dobbiamo per sottolineare il rischio che le autonomie regionali riguardanti la regolamentazione della mediazione interculturale possano creare ulteriori ambiguit a livello nazionale. In ogni regione si sono stabiliti, infatti, profili e standard differenti ed in alcune la figura professionale del mediatore interculturale non esiste neppure. Il rischio, pertanto, quello di formare un mediatore con un corso di 300 ore in EmiliaRomagna che poi si trasferisce in un'altra regione dove il suo certificato non ha alcun valore o perch in quella regione non esiste affatto il profilo o perch stato individuato un profilo per la professionalizzazione del quale sono richieste pi ore (Piccinini in Luatti 2006:103). Come gi detto, ci che sarebbe auspicabile la definizione a livello nazionale di uno standard comune di questa figura professionale che sia unanimemente ed uniformemente riconosciuta su tutto il territorio del Paese; un altro punto di criticit della situazione attuale riguarda inoltre la mancanza di coordinamento fra il mondo del
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http://www.emiliaromagnasociale.it/wcm/emiliaromagnasociale/news/2008/dicembre/17_immigrazione pp.htm

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lavoro e il sistema formativo per cui, ad oggi, le cooperative o associazioni che erogano servizi di mediazione linguistico-culturale non hanno alcun vincolo che le porti ad impiegare mediatori qualificati, come succede invece per le professioni sociali ufficialmente regolamentate. Un altro punto di divaricazione, infine, dato dai corsi universitari da una parte, e dai corsi di formazione professionale dall'altra. Come spiega Piccinini (in Luatti 2006:104):
Da un lato abbiamo giovani interessati a lavorare nel settore del management interculturale con nozioni raffinate di sociologia, antropologia, psicologia, dall'altro abbiamo adulti stranieri, principalmente donne, che hanno vissuto a loro volta un'esperienza di migrazione, sono portatori del loro patrimonio linguistico e culturale d'origine e sanno dialogare con la societ italiana e i servizi diversi. (...) Rischiamo di trovarci in una situazione dove ci sono mediatori culturali italiani, laureati, che lavorano per le pubbliche amministrazioni e gestiscono il lavoro della manovalanza composta da mediatori interculturali stranieri.

In questo senso, uno sforzo di coordinamento a livello sistemico nazionale costituirebbe la premessa necessaria per garantire credibilit alla figura del mediatore culturale e per definirne formalmente il profilo professionale dal punto di vista giuridico, in modo da eliminare l'ambiguit e la vulnerabilit che fino ad oggi hanno caratterizzato questo ruolo tanto complesso quanto fondamentale nell'odierna societ multietnica.

6.3

Alcuni dati sui mediatori culturali della Regione

A maggio 2010, la Regione Emilia-Romagna ha pubblicato un report di ricerca intitolato La mediazione interculturale nei servizi alla persona della Regione EmiliaRomagna. Lingua, mediazione e culture58. Come recita l'introduzione a tale rapporto, vengono illustrati: gli esiti della prima ricerca di carattere regionale realizzata sui mediatori interculturali operanti nel territorio dellEmilia-Romagna. Lindagine, sicuramente inedita per ampiezza e caratteristiche in ambito nazionale, si inserisce in una pratica gi sperimentata di follow up professionale con cui il Servizio Politiche per laccoglienza e lintegrazione sociale della Regione Emilia-Romagna intende conoscere meglio coloro che, nel suo territorio, lavorano in ambito migratorio. Nel 2009,
58

v. http://ermes.regione.emilia-romagna.it/ermes/notizie/copy_of_attualita/luglio/pronto-il-primocensimento-sui-mediatori-interculturali/Ricerca_Mediatori_in_E-R_-web.pdf

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linteresse viene posto pi specificatamente su quanti, a vario titolo, operano come mediatori/mediatrici interculturali (ma anche linguistici e culturali) nei diversi servizi alla persona dellintera Emilia-Romagna (sportelli e centri informativi per stranieri, Aziende USL, Ospedali, consultori, scuole, centri per limpiego, servizi per migranti, ecc) e che si dedicano ad unutenza prevalentemente straniera. [Questo rapporto risponde fra l'altro] ad una necessit strategica propria della Regione Emilia-Romagna che, nel suo ultimo programma triennale per lintegrazione sociale dei cittadini stranieri 2009-2011 pone proprio le attivit di mediazione interculturale e/o linguistico-culturale tra le azioni prioritarie di intervento regionale nellambito delle politiche di accoglienza e inclusione degli stranieri. Di seguito proponiamo una sintesi dei risultati emersi da questa ricerca (v. nota 54), in particolare concentrando la nostra attenzione su come e dove vengono oggi svolte le attivit mediatorie e chi ne sono i protagonisti. Secondo i dati del rapporto, in EmiliaRomagna operano complessivamente circa 300 mediatori e mediatrici interculturali, a cui si affianca poi un numero quasi doppio di persone che svolgono questattivit in modo pi occasionale, non continuativo e strutturato. In totale, si tratta di 849 mediatori impiegati nei servizi socio-sanitari e assistenziali della Regione. Un dato significativo, cui abbiamo fatto cenno pi volte nel corso del nostro lavoro riguarda la netta presenza femminile nell'ambito della mediazione culturale: le 685 donne censite dal rapporto rappresentano oltre l80% dei mediatori della Regione e operano prevalentemente nell'ambito dei servizi sanitari. Come si dice in questo studio, Il settimo Rapporto Cnel sugli indici di integrazione degli immigrati in Italia, recentemente diffuso, riconosce allEmilia-Romagna il primo posto nel Paese. Per quanto riguarda le attivit di mediazione, emerge che la quasi totalit degli enti pubblici con leccezione di alcune realt sanitarie si avvale di fornitori esterni, in maggioranza cooperative o associazioni (34 per lEmilia-Romagna). Sul totale dei mediatori e delle mediatrici a disposizione in regione, 849 unit, le presenze pi numerose riguardano Modena (226 mediatori), Bologna (188), Parma (136) e Ferrara (106). Degno di nota fra tutti il settore sanitario, i mediatori strutturati o occasionali che svolgono, in tutto o in parte, le loro attivit nelle strutture sanitarie regionali

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costituiscono infatti il 50% dell'intero gruppo di mediatori all'attivo. In realt, come abbiamo gi detto, in questo specifico settore si dovrebbe parlare di mediatrici. Qui la componente femminile rappresenta infatti oltre il 90% delle figure deputate alla mediazione interculturale, e in alcune aziende sanitarie pressoch esclusiva. Secondo i dati del rapporto: a Bologna (Ausl e Azienda ospedaliera) operano 95 mediatrici, tutte donne; a Ferrara su 87 operatori nel campo della mediazione 74 sono donne, e a Modena (sempre Ausl e Azienda ospedaliera) sono attive 86 donne e un solo uomo. Come hanno confermato le stesse mediatrici intervistate nella nostra indagine, la presenza femminile nei servizi sanitari non deve stupire in quanto si ha a che fare con ambiti di specificit (come i reparti di ginecologia e i consultori) dove non solo importante conoscere lingue e culture ma anche saper approcciare esperienze, confidenze e ambiti dintimit. Oltre al sanitario, gli altri settori prevalenti dattivit per i mediatori sono lo scolastico-educativo e linformativo (sportelli, servizi di accoglienza e orientamento). La ricerca ha registrato che fra le culture e le lingue di competenza pi diffuse troviamo: larabo (166 mediatori, di cui 122 donne), seguito dal rumeno/moldavo (72), dal cinese (67) e dallalbanese (64). I curricula scolastici dei mediatori, poi, sono mediamente alti: se meno del 3% ha terminato la scuola dellobbligo, oltre il 12% possiede un diploma universitario triennale, e pi del 55% ha una laurea: tra questi ultimi, il 10% ha un titolo post laurea di specializzazione o il dottorato. Sul totale dei mediatori, il 60,8% si formato per operare nel campo della mediazione culturale seguendo corsi appositi. Questo in sintesi, il quadro tracciato dal rapporto del 2010 sulla mediazione interculturale nei servizi alla persona. Il primato della Regione Emilia-Romagna a livello nazionale certamente un buon risultato, rimane tuttavia ancora molta strada da percorrere per la piena integrazione sociale dei cittadini immigrati nel nostro Paese e per la definizione professionale dei mediatori culturali che rappresentano un importante anello di congiunzione nella catena della coesione sociale italiana.

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CAPITOLO 7 Conclusioni

Al termine del lavoro di indagine sin qui presentato si propongono ora alcune note di sintesi e considerazioni conclusive. Abbiamo iniziato la nostra analisi partendo dal ruolo normativo attribuito allinterprete per i servizi pubblici, o community interpreter, e abbiamo quindi presentato il profilo teorico che la letteratura e gli studiosi della materia conferiscono a questa figura professionale. Una volta prese le distanze dalla concezione meccanicistica dellinterpretazione, spesso sminuita da antichi luoghi comuni che la equiparano alla mera decodificazione e codificazione linguistica, ci siamo soffermati sulla natura dialogica, sociale e contestuale dellevento mediato. Considerare la lingua come un sistema di relazioni complesso che rispecchia il modello cognitivo della cultura nella quale immerso costituisce un presupposto fondamentale per comprendere la comunicazione interlinguistica e interculturale. Linterpretazione non consiste dunque nellassociazione automatica di termini corrispondenti fra lingue diverse, ma significa piuttosto rielaborare il messaggio originale in unaltra lingua e cultura cercando di conservarne il pi possibile la natura semantica e pragmatica. Le leggi della matematica non appartengono quindi alluniverso della mediazione linguistica e linterpretemediatore, ben lontano dallimmagine di scatola parlante o condotto fra i locutori primari, chiamato a svolgere un compito che richiede grandi capacit comunicative, oltre che propriamente tecniche, e una grande preparazione professionale. Competenze linguistiche, culturali, tecniche, mnemoniche e professionali costituiscono cos il bagaglio necessario allinterprete o mediatore linguistico-culturale nellambito dei servizi pubblici. Proseguendo nella nostra analisi, abbiamo poi osservato il ruolo attivo e partecipante di questa figura durante lo svolgersi della comunicazione mediata; il pas-de-trois nel quale gli interlocutori primari e linterprete sono coinvolti rappresenta un lavoro di concertazione e co-partecipazione di cui linterprete il vero perno centrale. Stabilire cosa e come tradurre, regolare e condurre linterazione fra parlanti di lingue diverse, rapportarsi al contesto situazionale e allo status relativo dei partecipanti, considerare le

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implicazioni culturali della comunicazione e saper gestire la propria identit personale e culturale che inevitabilmente linterprete porta con s: queste, come abbiamo visto, sono alcune delle pi importanti sfide che si presentano allinterprete-mediatore durante la fase di mediazione in co-presenza. Nella seconda parte del presente lavoro, abbiamo invece spostato la nostra attenzione sul ruolo effettivo dellinterprete-mediatore in un ambito circoscritto, quello sociosanitario della Regione Emilia-Romagna. Il quadro emerso caratterizzato da una ricchezza di esperienze diverse, fra loro eterogenee per molti aspetti, che si allontana dal rigore e dalla linearit dei precetti teorici iniziali. La delicatezza connaturata al settore socio-sanitario rende il compito del mediatore interculturale (questa lespressione pi opportuna in tale contesto) ulteriormente complesso e impegnativo. Lo stress, la pressione psicologica e il forte impatto emotivo del contesto situazionale sono elementi intrinseci nella mediazione di questo ambito e sono fattori che aumentano il carico di difficolt e responsabilit che incombe sul ruolo del mediatore, o meglio, della mediatrice. Come abbiamo osservato, infatti, si tratta di un ambiente prevalentemente femminile in cui operano donne che tendenzialmente hanno maturato una lunga esperienza nel campo e presentano, oltre a grandi capacit linguistiche, anche una notevole attitudine comunicativa e abilit a porsi in contatto con utenti e pazienti che spesso versano in situazioni di forte disagio. Gli utenti stranieri, inizialmente, possono manifestare timore e diffidenza nei confronti della mediatrice che, pur essendo loro connazionale, rappresenta anche listituzione del Paese ospitante; in tale situazione la capacit di costruire un ponte comunicativo col cittadino straniero fondamentale ed sostenuta in parte dal vissuto migratorio che la mediatrice condivide col paziente, e in parte rafforzata dal suo trascorso professionale e formativo: spesso infatti le mediatrici hanno conseguito lauree nel loro Paese di origine e hanno operato in vari settori (soprattutto socio-educativi) oltre a quello sanitario, sviluppando cos una sensibilit e unesperienza che corroborano e consolidano le loro competenze professionali. Un dato interessante che emerge di frequente riguarda la differenza di status socio-economico e il livello di istruzione fra la mediatrice e il paziente immigrato; tale differenza si ripercuote spesso sulla comunicazione dando luogo ad una semplificazione del linguaggio e ad un

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abbassamento del registro linguistico selezionato, oltre ad influenzare aspetti culturali (in particolare legati a temi tab). Un aspetto che importante sottolineare in questa fase conclusiva, riguarda la connotazione pi espressiva che strumentale delle mediatrici interculturali che operano nel settore socio-sanitario; a dispetto del supposto distacco prescritto dai manuali teorici, lattitudine empatica ed espressiva delle mediatrici un elemento che emerge con assoluta chiarezza dalle interviste realizzate: comunicare e ascoltare il paziente (non solo occuparsi di tradurre il messaggio da una lingua allaltra), accompagnare il paziente in una tappa del suo percorso di integrazione, conquistare la sua fiducia, farlo sentire protetto e mettere a sua disposizione la propria professionalit (non solo da un punto di vista linguistico) per garantire il diritto fondamentale alla cura di ogni cittadino e per favorirne lintegrazione nella nostra societ. Come abbiamo constatato, inoltre, dietro alle mediatrici si trovano spesso delle associazioni di mediatori o cooperative che collaborano con le Aziende Usl regionali e forniscono un servizio di mediazione linguistico-culturale sempre pi strutturato che va ad inserirsi nel quadro di una riorganizzazione dellintero sistema, un lento processo, in alcuni casi ancora insoddisfacente, ma che sta registrando anche risultati degni di nota. Queste cooperative, alcune delle quali nate da un progetto degli stessi mediatori culturali (come nel caso di Integra nella provincia di Modena), rappresentano il ponte fra la domanda e lofferta e detengono un ruolo fondamentale nel fornire alle istituzioni pubbliche e private operatori professionali, competenti e affidabili contribuendo, fra laltro, a semplificare liter per il reperimento e la certificazione dei singoli mediatori culturali da parte dei committenti. Ci che sino ad oggi ha alimentato la condizione di vulnerabilit e mancanza di istituzionalizzazione di questa figura professionale nel nostro Paese in parte riconducibile allassenza di riconoscimento formale di tale profilo a livello normativo e allassenza di unorganizzazione integrata che coinvolga le strutture pubbliche/private, le agenzie o cooperative di interpretariato e mediazione, e i mediatori stessi. Il ricorso a bilingui improvvisatisi mediatori, la banalizzazione del ruolo che il mediatore ricopre, e la sua conseguente sottovalutazione, sono tutte concause dellattuale situazione della mediazione interculturale italiana; la crescente portata dei flussi migratori, nonostante ci, ha portato ad un lento ma graduale miglioramento dei servizi dedicati alla mediazione linguistico-culturale del Paese dando

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una spinta propulsiva allevoluzione dei servizi gi esistenti e alla nascita di nuovi. Come spiega Rudvin (2005), infatti, anche la storia dellimmigrazione nel nostro Paese, fra i vari fattori, ha contribuito a plasmare la situazione odierna e le sue peculiarit rispetto a paesi di pi lunga tradizione migratoria quali U.S.A., Regno Unito, Canada e Australia; in Italia il coinvolgimento delle associazioni di volontariato e della Chiesa (in particolare attraverso la Caritas) molto pi forte che in altre realt nazionali, mentre a livello governativo si registra un intervento meno incisivo sulle politiche che riguardano lintegrazione della popolazione immigrata. Questo ha dato origine ad una tendenza allassistenzialismo nei confronti dellimmigrato che ha portato poi a preferire il concetto di mediatore rispetto a quello di interprete. Tornando alla nostra analisi, comparando la griglia teorica delineata nella prima sezione del lavoro con lindagine e la presentazione di dati empirici della seconda, si riscontra una relazione dicotomica fra la figura normativa dellinterprete-mediatore e quella concretamente osservata nella pratica. Da una parte si prescrive un ruolo fin troppo asettico e distaccato dalla realt interazionale dellevento mediato, dallaltra si rileva un grado di partecipazione del mediatore interculturale che rischia di sfociare nella prevaricazione dei partecipanti primari. Forse dosare e miscelare le caratteristiche delluno dellaltro potrebbe essere una giusta soluzione, ossia, modulare la razionalit e il rigore scientifico del ruolo normativo con la partecipazione empatica e spesso auto-gestita del ruolo effettivo. Di certo, questo sarebbe possibile soltanto raggiungendo un livello di standardizzazione e

istituzionalizzazione che possa tracciare con chiarezza il profilo professionale del mediatore interculturale su base nazionale. Anche il ruolo dell'istituzione e dei suoi operatori nella relazione di mediazione altrettanto ambiguo e necessita di essere formalizzato a livello legislativo. Tutto il peso della conduzione del rapporto con lo straniero, infatti, scaricato sul mediatore: da una parte quindi evidente la difficolt dellistituzione a confrontarsi con tutti i soggetti presenti sul suo territorio di competenza (e potenziali utenti delle proprie prestazioni) con la conseguente centralit del mediatore come figura fondamentale fra listituzione e gli utenti stranieri; dall'altra, leventuale fallimento della mediazione imputato completamente al mediatore e al cittadino immigrato. In altre parole, il rischio che, nonostante lo sforzo di comprensione e di avvicinamento alla struttura regolativa

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dellistituzione, la responsabilit di un ipotetico fallimento del servizio di mediazione venga fatto ricadere sul mediatore stesso e sul cittadino della cultura minoritaria, senza che listituzione si adoperi per mettere in atto una riorganizzazione del proprio sistema. La soluzione auspicabile, ancora una volta, data dallintegrazione di tutti i soggetti coinvolti; non soltanto i partecipanti fisicamente presenti allevento mediato, ma anche i soggetti esterni che determinano o quantomeno incidono sul servizio di mediazione interculturale offerto alla popolazione immigrata. Il raggiungimento di questo obiettivo costituirebbe un enorme traguardo da un punto di vista sociale e assegnerebbe il giusto riconoscimento ad una professione tanto complessa quanto appassionante che i mediatori interculturali di oggi, nonostante le criticit del sistema attuale, svolgono con estrema dedizione.

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Ringraziamenti...
Un ringraziamento speciale alla Prof.ssa Rudvin per aver nutrito il mio interesse verso la mediazione linguistico-culturale e per aver stimolato una curiosit che mi ha portata a conoscere realt nuove e affascinanti. Grazie a Sadia, Aziz, Dhouha, Nadia, Khira, Sun e Cecilia, le mediatrici culturali che hanno accettato di rispondere alle mie domande raccontandosi con grande generosit e dedicandomi tempo preziosissimo. Grazie ai miei genitori che mi hanno sostenuta durante tutto il percorso di studi e grazie a mio fratello Giacomo che mi ha pazientemente accompagnata durante le trasferte per realizzare le interviste. Infine, grazie a Giulio che in questi mesi mi ha incoraggiata e consigliata nella progettazione del mio lavoro.

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APPENDICE

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