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A.A. 2003/2004
Indice
1
1.7 Definizione delle funzioni ln z e z α nel piano complesso . . . . 65
4 Trasformate Integrali 98
4.1 Trasformata di Fourier . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98
4.1.1 Esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99
4.1.2 Proprietà della trasformata di Fourier . . . . . . . . . . 102
4.1.3 Soluzione di equazioni differenziali mediante la trasfor-
mata di Fourier . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106
4.2 Trasformata di Laplace . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110
4.2.1 Esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111
4.2.2 Proprietà della trasformata di Laplace . . . . . . . . 113
4.2.3 Trasformate di Laplace ed equazioni differenziali lineari
a coefficienti costanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 116
2
C Il punto all’infinito 155
C.1 Studio del punto all’infinito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155
C.1.1 Esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 156
C.2 Calcolo del residuo nel punto all’infinito . . . . . . . . . . . . 158
C.3 Studio del punto all’infinito nelle equazioni differenziali . . . . 163
C.3.1 Esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 165
3
Parte I
Funzioni Analitiche ed
Equazioni Differenziali
in Campo Complesso
4
Capitolo 1
Analisi Complessa
z = a + ib = (a, b) a, b ∈ R
i2 = −1 .
a = Re z , b = Im z .
5
Proprietà:
Associativa:
z1 + (z2 + z3 ) = (z1 + z2 ) + z3 z1 , z2 , z3 ∈ C .
Commutativa:
z1 + z2 = z2 + z1 .
z+0=0+z =z ∀z ∈ C .
z + (−z) = (−z) + z = 0 .
2) Moltiplicazione (·)
Definizione:
Proprietà:
Associativa:
z1 · (z2 · z3 ) = (z1 · z2 ) · z3 .
Commutativa:
z1 · z2 = z2 · z1 .
z·1=1·z =z ∀z ∈ C .
z · z −1 = z −1 · z = 1
1 a b
z = a + ib −→ z −1 = = 2 − i .
a + ib a + b2 a2 + b 2
6
Quindi C − {0} è un gruppo abeliano rispetto alla moltiplicazione, con
elemento neutro 1.
Vale inoltre la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto al-
l’addizione
z1 · (z2 + z3 ) = z1 · z2 + z1 · z3 .
z = x + iy
(Fig 1.1).
con
q
r = |z| = x2 + y 2 modulo o valore assoluto di z
7
Figura 1.2: Rappresentazione polare del numero complesso z
e
y
θ = arg z = tan−1 argomento o fase di z .
x
Graficamente r è il modulo del vettore ~r congiungente l’origine con il
punto z, e θ è l’angolo che questo vettore forma con l’asse delle ascisse.
Le relazioni fra componenti cartesiane e polari di z sono:
x = r cos θ
y = r sin θ
z = x + iy = reiθ −→ z ∗ = x − iy = re−iθ .
f : E −→ R , E⊆C
8
Figura 1.3: Rappresentazione polare del numero complesso z e del suo
complesso coniugato z ∗
Esempi
1) La funzione modulo
f (z) = |z|
9
2) Le funzioni
3) La funzione argomento
ϕ(z) = arg z
ϕ: C − {0} −→ I2π ⊂ R ,
a) I2π = (−π, π]
b) I2π = [0, 2π)
ϕ(−x) = π x ∈ R+
10
Figura 1.4: Discontinuità dell’argomento di z
11
1.2 Funzioni Complesse
z = x + iy
ovvero se
∀ > 0 ∃δ > 0 / |f (z) − f (z0 )| < , ∀z ∈ Iδ (z0 ) ,
dove Iδ (z0 ) è un intorno di raggio δ del punto z0 e |f (z) − f (z0 )| è il modulo
del numero complesso f (z) − f (z0 ).
Esempi
1)
f (z) = z 2 = (x + iy)2 = x2 − y 2 + 2ixy
u(x, y) = x2 − y 2
v(x, y) = 2xy .
In coordinate polari
z = reiϕ
w = r2 e2iϕ .
12
2)
f (z) = z ∗ = x − iy
u(x, y) = x
v(x, y) = −y .
In coordinate polari
z = reiϕ
w = re−iϕ .
13
Figura 1.5: Direzioni del rapporto incrementale
tale che nel punto z = x + iy sia la sua parte reale u(x, y) che la sua parte
immaginaria v(x, y) siano di classe C 1 , cioè continue con le loro derivate
prime:
∂u(x, y) ∂v(x, y)
=
∂x ∂y
∂u(x, y) ∂v(x, y)
= − (1.1)
∂y ∂x
14
che
f (z + h) − f (z)
f 0 (z) = lim
h→0 h
esiste ed è indipendente dalla direzione di h = hx +ihy . In particolare si potrà
scegliere h puramente reale (h = hx ) o puramente immaginario (h = ihy ).
Se h = hx
f (z + hx ) − f (z)
f 0 (z) = lim
hx →0 hx
u(x + hx , y) + iv(x + hx , y) − u(x, y) − iv(x, y)
= lim
hx →0 hx
u(x + hx , y) − u(x, y) v(x + hx , y) − v(x, y)
= lim + i lim
hx →0 hx hx →0 hx
∂u(x, y) ∂v(x, y)
= +i . (1.2)
∂x ∂x
Se h = ihy
f (z + ihy ) − f (z)
f 0 (z) = lim
hy →0 ihy
u(x, y + hy ) + iv(x, y + hy ) − u(x, y) − iv(x, y)
= lim
hy →0 ihy
u(x, y + hy ) − u(x, y) v(x, y + hy ) − v(x, y)
= lim + i lim
hy →0 ihy hy →0 ihy
∂u(x, y) ∂v(x, y)
= −i + . (1.3)
∂y ∂y
Uguagliando ora le parti reali e immaginarie delle espressioni (1.2) e (1.3)
per la derivata f 0 (z) otteniamo le condizioni di Cauchy-Riemann:
u0x = vy0
u0y = −vx0 .
15
Consideriamo a questo scopo il rapporto incrementale
f (z + h) − f (z) u(x + hx , y + hy ) + iv(x + hx , y + hy ) − u(x, y) − iv(x, y)
= .
h hx + ihy
(1.4)
Poiché le funzioni u e v sono per ipotesi continue con le loro derivate prime
in z, esse sono differenziabili e si può quindi scrivere nell’intorno del punto
(x, y):
u(x + hx , y + hy ) = u(x, y) + hx u0x (x, y) + hy u0y (x, y) + o(|h|)
v(x + hx , y + hy ) = v(x, y) + hx vx0 (x, y) + hy vy0 (x, y) + o(|h|) .
Sostituendo questi sviluppi nel rapporto incrementale (1.4) si ottiene
f (z + h) − f (z) hx u0x (x, y) + ihx vx0 (x, y) + hy u0y (x, y) + ihy vy0 (x, y) + o(|h|)
= .
h hx + ihy
Utilizzando ora le condizioni di Cauchy-Riemann (1.1) e prendendo il limite
per hx , hy → 0 si ha
f (z + h) − f (z)
lim =
hx ,hy →0 h
hx u0x (x, y) + ihx vx0 (x, y) − hy vx0 (x, y) + ihy u0x (x, y) + o(|h|)
lim =
hx ,hy →0 hx + ihy
(hx + ihy )[u0x (x, y) + ivx0 (x, y)]
lim = u0x (x, y) + ivx0 (x, y) = f 0 (z) .
hx ,hy →0 hx + ihy
(1.5)
La derivata di f (z) è quindi definita univocamente indipendentemente dalla
direzione di h: la funzione è pertanto derivabile e la sua derivata è
f 0 (z) = u0x (x, y) + ivx0 (x, y) .
[q.e.d.]
Utilizzando le condizioni di Cauchy-Riemann è possibile dare quattro
espressioni equivalenti della derivata di una funzione in termini delle sue
parti reale e immaginaria:
16
1.2.3 Funzioni analitiche
• Definizione
f : F −→ C F ⊂C
1.2.4 Esempi
Esempio 1
u(x, y) = cx , v(x, y) = cy
17
Esempio 2
f (z) = z ∗ = x − iy
u(x, y) = x , v(x, y) = −y
u0x = 1 , vy0 = −1
Esempio 3
1 1 x − iy
f (z) = = = 2
z x + iy x + y2
x y
u(x, y) = , v(x, y) = −
x2 + y 2 x2 + y 2
Le funzioni u e v sono continue e derivabili in C − {0}. Le condizioni di CR
y 2 − x2 y 2 − x2
u0x = , vy0 = = u0x
(x2 + y 2 )2 (x2 + y 2 )2
−2xy 2xy
u0y = , vx0 = = −u0y
(x2 + y 2 )2 (x2 + y 2 )2
sono soddisfatte. La funzione f (z) è quindi analitica in C − {0}. La sua
derivata è
y 2 − x2 + 2ixy (y + ix)2 1
f 0 (z) = u0x + ivx0 = 2 2 2
= 2 2
=− 2 .
(x + y ) (y + ix) (y − ix) z
Vale pertanto la stessa regola di derivazione valida in campo reale
0
1 1
=− .
z z2
18
Si dimostra, esattamente come nel campo reale, che vale
dz n
= nz n−1
dz
per n intero qualsiasi 1 .
Le funzioni analitiche in tutto il piano complesso, come, per esempio, i
polinomi, la funzione esponenziale e le funzioni seno e coseno, si chiamano
funzioni intere.
1) f1 (z) + f2 (z)
2) f1 (z) · f2 (z)
4) f1 (f2 (z))
1
La stessa formula vale per ogni esponente, reale o complesso, ma non ne parliamo qui
perché non abbiamo ancora definito z α per α non intero.
19
sono funzioni ovunque analitiche. Per la proprietà 3) le funzioni razionali
(rapporto di due polinomi Pn e Qm )
Pn (z)
R(z) =
Qm (z)
sono funzioni analitiche in tutto il piano complesso esclusi i punti zi tali che
Qm (zi ) = 0.
[q.e.d.]
Pertanto
f (z) = costante .
Dimostrazione
Per ipotesi
u2 (x, y) + v 2 (x, y) = K .
2u∂x u + 2v∂x v = 0
2u∂y u + 2v∂y v = 0 .
20
Moltiplicando la prima equazione per u, la seconda per v, sommando
membro a membro e utilizzando le condizioni di CR, si ottiene
(u2 + v 2 )∂x u = 0
(u2 + v 2 )∂y u = 0.
21
1.3 Integrazione in Campo Complesso
γ : J −→ C J = [a, b] ∈ R
dove J è un intervallo reale limitato e chiuso:
γ : t −→ z(t) = x(t) + iy(t) a≤t≤b.
L’applicazione γ associa ad ogni valore del parametro t due funzioni reali x(t)
e y(t). Spesso si considera la curva γ non solo come l’applicazione appena
definita, ma come l’immagine (o sostegno) di tale applicazione, cioè come
l’insieme di punti
γ = {z ∈ C/z = z(t), t ∈ [a, b]} .
Una curva si dice regolare nell’intervallo [a, b] se le funzioni x(t) e y(t)
hanno derivate prime continue e non entrambe nulle ∀t ∈ [a, b].
Una curva si dice regolare a tratti nell’intervallo [a, b] se l’intervallo può
essere suddiviso in un numero finito di sottointervalli chiusi in cui la curva
sia regolare.
Una curva si dice chiusa se z(a) = z(b). Un caso particolare di curva
chiusa è un punto, cioè una curva di equazione z(t) = costante ∀t ∈ [a, b].
Una curva si dice semplice se z(t1 ) 6= z(t2 ) ∀t1 6= t2 , con t1 , t2 ∈ [a, b).
(N.B. L’intervallo [a, b) è semi-aperto per includere le curve chiuse nella de-
finizione di curve semplici.) In pratica una curva semplice è una curva che
non si interseca con se stessa.
Una curva chiusa e semplice si dice curva di Jordan.
Enunciamo, senza dimostrarlo, il seguente teorema:
22
Due curve di Jordan γ1 e γ2 si dicono omotopicamente equivalenti
(O.E.) in una regione D se possono essere deformate con continuità l’una
nell’altra senza uscire da D. N.B. È essenziale specificare la regione D in cui
le due curve sono O.E.
Esempio: se D = C ogni curva di Jordan è O.E. a un punto, ma questo
non è più vero se da C si sottraggono uno o più punti.
Una regione D ⊆ C si dice connessa per archi se, ∀z1 , z2 ∈ D, esiste una
curva γ tutta interna a D, che congiunge z1 e z2 .
Una regione S ⊆ C si dice semplicemente connessa (s.c.) se ogni
curva chiusa contenuta is S è O.E. a un punto. (Definizione alternativa: una
regione S è s.c. se per ogni curva di Jordan γ contenuta in S la regione
interna a γ è sottoinsieme di S). Intuitivamente una regione s.c. è una
regione senza buchi.
ZZ " #
I
∂Q(x, y) ∂P (x, y)
[P (x, y)dx + Q(x, y)dy] = − dxdy , (1.6)
γ S ∂x ∂y
dove S è la regione interna a γ.
w : [a, b] −→ C [a, b] ⊂ R
t ∈ [a, b] , w(t) ∈ C .
Definiamo l’integrale di w(t) in t
Z b Z b Z b
w(t)dt = u(t)dt + i v(t)dt .
a a a
23
L’integrale esiste se la funzione w(t) è continua o se ha un numero finito di
discontinuità di prima specie.
L’integrale (alla Riemann) si può interpretare come limite di somme
integrali:
Z b
w(t)dt = lim In
a n→∞
dove
n
X
In = w(τl )(tl − tl−1 )
l=1
Xn n
X
= u(τl )(tl − tl−1 ) + i v(τl )(tl − tl−1 ) .
l=1 l=1
Si divide cioè l’intervallo [a, b] in n sottointervalli a = t0 < t1 < t2 < ... <
tn = b e si valuta la funzione w(t) nei punti τl interni a ciascun sottointervallo
(tl−1 < τl < tl ).
Dalla disuguaglianza triangolare (|a1 +a2 +...+an | ≤ |a1 |+|a2 |+...+|an |):
n
X
|In | ≤ |w(τl )|(tl − tl−1 )
l=1
f : D ⊆ C −→ C
γ : t 7→ z(t) a≤t≤b
24
Figura 1.6: Curva aperta che unisce i punti A e B nel piano complesso
Z B Z b dz
f (z)dz = f (z(t)) dt . (1.8)
A(γ) a dt
N.B. Il secondo membro della (1.8) esiste perché γ è regolare a tratti
(quindi dz/dt ha un numero finito di discontinuità).
Z B Z B Z B
f (z)dz = [u(x, y)dx − v(x, y)dy] + i [v(x, y)dx + u(x, y)dy] .
A(γ) A(γ) A(γ)
(1.9)
Dimostrazione
Dalla definizione (1.8) segue che
" #
Z B Z bdz(t) Z b
dx(t) dy(t)
f (z)dz = f (z(t)) dt = [u(x, y) + iv(x, y)] +i dt
A(γ) a dt a dt dt
Z b" #
dx(t) dy(t)
= u(x, y) − v(x, y) dt
a dt dt
25
" #
Z b dx(t) dy(t)
+ i v(x, y) + u(x, y) dt
a dt dt
Z B Z B
= [u(x, y)dx − v(x, y)dy] + i [v(x, y)dx + u(x, y)dy] .
A(γ) A(γ)
[q.e.d]
N.B. In generale l’integrale dipende dalla curva γ e non solo dagli estremi
di integrazione.
Valgono per l’integrale (1.9) le proprietà degli integrali curvilinei. In
particolare, se C è un punto sulla curva γ,
Z B Z C Z B
f (z)dz = f (z)dz + f (z)dz
A(γ) A(γ) C(γ)
e
Z B Z A
f (z)dz = − f (z)dz .
A(γ) B(γ)
M = max |f (z)|
z∈γ
e l la lunghezza di γ tra A e B:
v
u dx 2
u ! !2
Z b ds Z b dy
l= dt ≡ t
+ dt .
a dt a dt dt
Dimostrazione
Applicando la disuguaglianza (1.7) alla definizione (1.8) si ottiene
Z
B Z b dz
f (z)dz ≤ |f (z(t))| dt
A(γ) a dt
Z b
dz
≤ M dt .
a dt
26
Ora,
v
u dx 2
u ! !2
dz dy ds
= + ≡ ;
t
dt dt dt dt
pertanto
Z b dz
dt = l
a dt
e quindi:
Z
B
f (z)dz ≤ Ml .
A(γ)
[q.e.d.]
I
f (z)dz = 0 . (1.11)
γ
27
ZZ " #
∂u(x, y) ∂v(x, y)
+ i − dxdy ,
S ∂x ∂y
H
[q.e.d.]
In altre parole, γ f (z)dz = 0 se γ è contenuta nel dominio E di analiticità
di f (z) ed è deformabile con continuità in un punto senza uscire da E.
In modo più conciso si può anche dire che la forma differenziale f (z)dz =
u(x, y)dx − v(x, y)dy + i[v(x, y)dx + u(x, y)dy] è chiusa in un aperto E:
d(f (z)dz) = 0, se valgono le condizioni di CR; essa diventa esatta se il
dominio è semplicemente connesso.
Allora
28
Z B Z B
f (z)dz = f (z)dz
A(γ1 ) A(γ2 )
ovvero: l’integrale di una funzione analitica non dipende dal cammino di in-
tegrazione purché i cammini siano deformabili con continuità l’uno nell’altro
senza incontrare singolarità.
Dimostrazione
!
Z B Z B Z B Z A I
f (z)dz − f (z)dz = + f (z)dz = f (z)dz = 0
A(γ1 ) A(γ2 ) A(γ1 ) B(γ2 ) γ
Esempio:
consideriamo l’integrale
I
dz
I= .
γ z
La funzione 1/z è analitica in C − {0}. Se la regione interna alla curva γ non
contiene l’origine (Fig. 1.8) l’integrale è nullo per il teorema di Cauchy.
Se invece l’origine è interna a γ, per esempio γ è una circonferenza C di
raggio R centrata in O (Fig. 1.9) l’integrale è diverso da zero.
Calcoliamone il valore. L’equazione della curva C in coordinate polari è
z = z(ϕ) = Reiϕ = R(cos ϕ + i sin ϕ)
dz
= R(− sin ϕ + i cos ϕ) = iz 0 ≤ ϕ ≤ 2π
dϕ
I
dz Z 2π 1 0 Z 2π
iReiϕ
I= = z (ϕ)dϕ = dϕ = 2πi
C z 0 z(ϕ) 0 Reiϕ
N.B. L’integrale non dipende da R.
Ne segue che, se γ1 e γ2 sono due semicirconferenze centrate nell’origine
(Fig. 1.10) gli integrali
Z B dz
I1 =
A(γ1 ) z
29
Figura 1.8: Curva chiusa che non contiene l’origine
e
Z B dz
I2 =
A(γ2 ) z
non devono necessariamente essere uguali poiché non si può applicare il
Corollario del teorema di Cauchy. Infatti essi valgono
Z π Z −π
I1 = i dϕ = iπ , I2 = i dϕ = −iπ .
0 0
I
dz
I= a∈C (1.12)
C z−a
dove la curva C è la circonferenza di raggio R centrata in a (Fig. 1.11).
Infatti, ponendo
z = z(ϕ) = a + Reiϕ
si ha
30
Figura 1.9: Curva chiusa che contiene l’origine
e quindi
Z 2π 1 0
Z 2π
iReiϕ
I= z (ϕ)dϕ = dϕ = 2πi .
0 z(ϕ) − a 0 Reiϕ
Dimostrazione
Per dimostrare il teorema consideriamo 3 casi:
a) D semplicemente connesso
b) D generico, γ1 e γ2 non si intersechino
c) D generico, γ1 e γ2 si intersechino
a) In questo caso la dimostrazione è banale perché, per il teorema di
Cauchy,
I I
f (z)dz = f (z)dz = 0 .
γ1 γ2
31
Figura 1.10: Semicirconferenze centrate nell’origine
b)
Effettuiamo due tagli AB e CD (Fig. 1.12). Poiché γ1 e γ2 sono O.E. in
D, la regione compresa tra le due curve appartiene tutta a D. Si ha allora
(per il corollario al teorema di Cauchy):
Z D Z B Z C Z D
= + +
A(E) A B(F ) C
Z A Z C Z B Z A
= + + .
D(G) D C(H) B
poiché
Z B Z A Z C Z D
=− e =− .
A B D C
Z B Z B
=
A(E) A(F )
32
Figura 1.11: Circonferenza centrata nel punto a
Z A Z A
= .
B(G) B(H)
• Corollario: l’integrale (1.12) vale 2πi per ogni curva chiusa γ che
circondi il punto a:
I
dz
I= = 2πi, a∈C (1.13)
γ z−a
I
dz
= 2πiδn,1 , n∈Z (1.14)
γ (z − a)n
33
Figura 1.12: Curve γ1 e γ2 che non si intersecano in un dominio D
34
Figura 1.13: Curve γ1 e γ2 che si intersecano in un dominio D
1 I f (z 0 ) 0
f (z) = dz ∀z ∈ S , γ = ∂S . (1.16)
2πi γ z 0 − z
Dimostrazione
Consideriamo il seguente integrale
I
f (z 0 ) − f (z) 0
I(z) = dz .
γ z0 − z
Per il teorema generalizzato di Cauchy γ può essere deformata in una circon-
ferenza C centrata in z di raggio arbitrario r, interna a S:
I
f (z 0 ) − f (z) 0
I(z) = dz .
C z0 − z
35
Per la disuguaglianza di Darboux (1.10),
f (z 0 ) − f (z)
|I(z)| ≤ max 2πr = 2π max |f (z 0 ) − f (z)| ,
z0 − z
z 0 ∈C z 0 ∈C
|I(z)| ≤ 2π.
I(z) = 0,
da cui la (1.16).
[q.e.d.]
La rappresentazione integrale di Cauchy permette quindi di conoscere i
valori di una funzione analitica in tutta la regione interna ad una curva
chiusa γ una volta noti i suoi valori nei punti appartenenti alla curva γ.
36
si ottiene la rappresentazione integrale di Cauchy per le derivate della fun-
zione f (z):
dn f (z) n! I f (z 0 )
= dz 0 ∀z ∈ S . (1.17)
dz n 2πi γ (z 0 − z)n+1
37
1.4 Serie in campo complesso
k=0
38
1.4.2 Serie di Taylor
∞
ak (z − z0 )k
X
f (z) = (1.20)
k=0
con
1 dk f (z)
" #
ak =
k! dz k z=z0
1 I
f (z)
= dz , (1.21)
2πi c (z − z0 )k+1
f (z 0 )
I
1
f (z) = dz 0 ,
2πi c z 0 − z
39
Figura 1.14: Intorno circolare del punto z0 nel dominio D
|z 0 − z0 |, quindi zz−z
0 −z < 1) ) si ottiene
0
0
∞
f (z 0 )
I
X 1
f (z) = (z − z0 ) n
dz 0 , (1.23)
n=0
2πi c (z 0 − z0 )n+1
∞
ak (z − z0 )k .
X
f (z) analitica in z0 ⇐⇒ ∃I(z0 ) / ∀z ∈ I(z0 ) , f (z) =
k=0
40
∞
zk
X
k=0
converge uniformemente a
1
f (z) =
1−z
nella regione |z| < 1. Il punto z = 1 è infatti un punto singolare di
f (z).
1.4.3 Zeri
1) La funzione si annulla in z0 :
f (z0 ) = 0
• Esempio: la funzione
f (z) = z 2
41
Uno zero è un punto regolare di f (z), che sarà quindi rappresentabile
tramite uno sviluppo in serie di Taylor intorno a quel punto:
∞
ak (z − z0 )k .
X
f (z) = (1.24)
k=0
a1 = a2 = ... = an−1 = 0
an 6= 0 .
k0 =0
La funzione
∞
ak+n (z − z0 )k
X
g(z) =
k=0
g(z0 ) = an 6= 0 .
Pertanto una funzione f (z) che abbia in z0 uno zero di ordine n può
sempre essere scritta nella forma
42
1.4.4 Serie di Laurent
∞
dk (z − z0 )k .
X
f (z) = (1.27)
k=−∞
1 I f (z)
dk = dz , (1.28)
2πi γ (z − z0 )k+1
3
La dimostrazione è analoga a quella dello sviluppo in serie di Taylor, con la differenza
che la curva γ da scegliere per la rappresentazione integrale di Cauchy di f (z) è composta
dalle due circonferenze (percorse in verso opposto) che delimitano una corona circolare
centrata in z0 e contenuta in I(z0 ).
43
Figura 1.15: Curva γ in un intorno bucato del punto z0
• Poli
Il punto singolare isolato z0 si definisce polo della funzione f (z) se lo
sviluppo in serie di Laurent intorno a z0 possiede un numero finito n
di potenze negative; un polo si dice di ordine n se:
d−k = 0 , ∀k > n
d−n 6= 0 .
44
Nell’intorno di un polo di ordine n lo sviluppo (1.27) si riduce quindi a
∞
dk (z − z0 )k
X
f (z) = (1.29)
k=−n
k=0
Definiamo ora
∞
dk−n (z − z0 )k .
X
g(z) =
k=0
1
= h(z)(z − z0 )n ,
f (z)
dove h(z) = 1/g(z) è di nuovo una funzione analitica e non nulla in z0 .
• Singolarità essenziali
Il punto z = z0 si definisce invece singolarità essenziale isolata della
funzione f (z) se è un punto singolare isolato e lo sviluppo in serie di
Laurent intorno a z0 possiede un numero infinito di potenze negative.
Come si vede dallo sviluppo in serie di Laurent (1.26), un esempio di sin-
golarità essenziale isolata è l’origine per la funzione e1/z , e analogamente
per le funzioni sin(1/z), cos(1/z) e simili.
45
Dalle definizioni di polo e singolarità essenziale isolata segue che un polo di
ordine n può essere rimosso moltiplicando la f (z) per (z −z0 )n , mentre questo
non è possibile per una singolarità essenziale.
Un’altra importante differenza fra poli e singolarità essenziali è la seguen-
te: è evidente dalla (1.30) che limz→z0 f (z) = ∞ se il punto z0 è un polo di
f (z); se invece z0 è una singolarità essenziale il limite non esiste, perché nel-
l’intorno di z0 la funzione oscilla forsennatamente: per farsene un’idea, basta
pensare all’andamento nell’intorno dell’origine della funzione sin z1 con z reale
o immaginario puro.
Più in generale, si può dimostrare il Teorema di Weierstrass per le
singolarità essenziali isolate: se z = z0 è una singolarità essenziale isolata
della funzione f (z), coefficienti negativi, allora per ogni e δ piccoli a piacere
e per ogni numero complesso c ∈ C, esiste un valore di z ∈ I δ (z0 ) tale che
|f (z) − c| < .
46
1.5 Residui
1 I
{Resf (z)}z=z0 ≡ f (z)dz . (1.31)
2πi γ
• Esempio
1 1 I dz
f (z) = ⇒ {Resf (z)}z=0 = =1,
z 2πi γ z
dove γ è una curva che circonda l’origine.
47
1.5.1 Teorema dei residui
I n
X
f (z)dz = 2πi {Resf (z)}z=zk , (1.33)
γ k=1
Dimostrazione
Il teorema dei residui si dimostra facilmente per induzione completa. In-
fatti la (1.33) è vera per n=1 per la definizione di residuo. Se le singolarità
sono n + 1 isoliamo la (n + 1)-esima come in Fig. 1.16.
48
n
X
= 2πi {Resf (z)}z=zn+1 + 2πi {Resf (z)}z=zk
k=1
n+1
X
= 2πi {Resf (z)}z=zk . (1.34)
k=1
g(z)
f (z) =
(z − z0 )n
1 I g(z)
{Resf (z)}z=z0 = dz .
2πi γ (z − z0 )n
dk g(z)
( )
k! I g(z)
= dz ,
dz k z=z0
2πi γ (z − z0 )k+1
4
locale, perché vedremo più avanti che il discorso può essere diverso se si conosce
il comportamento globale della funzione in tutto il piano complesso, punto all’infinito
compreso.
49
si ottiene, ponendo k = n − 1,
dn−1 g(z)
( )
1 I g(z) 1
n
dz =
2πi γ (z − z0 ) (n − 1)! dz n−1 z=z0
e quindi, poiché
g(z) = (z − z0 )n f (z) ,
dn−1
( )
1
{Resf (z)}z=z0 = lim [(z − z0 )n f (z)] . (1.35)
(n − 1)! z→z0 dz n−1
∞
dk (z − z0 )k
X
f (z) =
k=−1
d−1
= + d0 + d1 (z − z0 ) + ... ,
z − z0
si ottiene
∞
( )
k+1
X
{Resf (z)}z=z0 = lim d−1 + dk (z − z0 )
z→z0
k=0
e quindi
50
1.6 Calcolo di integrali definiti mediante il
teorema dei residui
Il teorema dei residui (1.33) è di grande utilità perché permette non solo di
calcolare integrali naturalmente definiti su curve chiuse nel piano complesso,
ma anche ampie classi di integrali definiti sull’asse reale, trasformandoli in
integrali in campo complesso.
dz
z = eiθ ⇒ dθ = −i ; (1.38)
z
b) ci si riconduce ad un integrale nel piano z lungo una circonferenza di
raggio unitario;
c) si calcola l’integrale con il teorema dei residui.
1.6.2 Esempi
Esempio 1
Z 2π dθ
I= .
0 5 + 3 cos θ
5
Naturalmente l’intervallo d’integrazione potrebbe essere anche (−π, π) o qualsiasi altro
intervallo di ampiezza 2π.
51
Con la sostituzione (1.38) si ha:
eiθ + e−iθ 1 1
cos θ = = z+ .
2 2 z
Sostituendo in I:
dz
I
1
I = −i
C z 5 + 3/2 (z + 1/z)
2i I dz
= −
3 C z 2 + 10
3
z+1
dove C è una circonferenza di raggio unitario centrata nell’origine. Studiamo
ora le singolarità della funzione integranda:
1
f (z) = 10 .
z2 + 3
z +1
10 1
z2 + z+1=0 ⇒ z1 = − , z2 = −3
3 3
10 1
2
⇒ z + z+1= z+ (z + 3) .
3 3
La funzione f (z) ha due poli semplici in z = −1/3 (interno alla curva C e
z = −3 (esterno alla curva C). Pertanto
( )
2i 1
I = − 2πi Res 2 10
3 z + 3z+1 z=−1/3
4π z + 1/3
= lim
3 z→−1/3 z + 1 (z + 3)
3
π
= .
2
Esempio 2
Z 2π dθ
I= , p∈C
0 1 − 2p cos θ + p2
Poniamo
dz
z = eiθ ⇒ dθ = −i
z
52
Allora (vedi esempio precedente)
1 1
cos θ = z+ .
2 z
Sostituendo in I:
dz
I
1
I = −i
C z 1 − p (z + 1/z) + p2
I
dz
= 1
C pz − (1 + p2 )z + p
2
1
f (z) =
pz 2 − (1 + p2 )z + p
ha due poli semplici:
pz 2 − (1 + p2 )z + p = 0 −→ z1 = 1/p , z2 = p
−→ pz 2 − (1 + p2 )z + p = p (z − 1/p) (z − p)
e quindi
iI dz
I= .
p C (z − 1/p) (z − p)
( )
i 1
I = 2πi Res
p (z − p)(z − 1/p) z=p
( )
2π z−p
= − lim
p z→p (z − p)(z − 1/p)
2π
=
1 − p2
53
e, se |p| > 1,
( )
i 1
I = 2πi Res
p (z − p)(z − 1/p) z=1/p
( )
2π z − 1/p
= − lim
p z→1/p (z − p)(z − 1/p)
2π
= 2 .
p −1
Se |p| = 1, l’integrando ha una singolarità sul cammino di integrazione e
I non è definito.
Lasciamo allo studente attento di accorgersi che l’esempio 1 è un caso
particolare dell’esempio 2.
Molto spesso possono essere calcolati con il metodo dei residui anche integrali
estesi a tutto l’asse reale:
Z ∞
I= g(x)dx . (1.39)
−∞
54
Figura 1.17: Semicirconferenze di raggio r nel semipiano inferiore (a) e
superiore (b)
!
1
g(z) = o , z→∞. (1.44)
|z|
Dimostrazione.
solo nel caso che quest’ultimo integrale esista; se ciò non succede, ma esiste il limite (1.42),
allora questo si chiama valore principale dell’integrale (1.39).
55
e applicando la disuguaglianza (1.7) si ottiene
π
Z Z
g Reiθ dθ
g(z)dz ≤ R
γR 0
si ottiene infine la (1.41). (Notare che non si è fatto altro che ridimo-
strare la disuguaglianza di Darboux (1.10) in questo caso particolare.)
[q.e.d.]
2) La funzione integranda g(z) è della forma eiαz f (z), con α > 0, dove
f (z) è una funzione che tende uniformemente (rispetto all’argomento
di z) a zero quando |z| tende a infinito e l’argomento di z è compreso
fra 0 e π (cioè nel semipiano Im z ≥ 0), ovvero 7
f (z) = o(1), z → ∞, 0 ≤ arg z ≤ π . (1.45)
Z
lim eiαz f (z)dz = 0 . (1.46)
R→∞ γR
3) Con la sostituzione z → −z, si vede subito che la (1.46) vale anche per
α < 0, purché valga la (1.45) con π ≤ arg z ≤ 2π e la semicirconferenza
γR stia nel semipiano inferiore.
4) Con la sostituzione z → −iz si vede subito che vale anche
Z
lim eαz f (z) dz = 0 , α>0 (1.47)
R→∞ γR
56
Per capire subito su quale semicirconferenza chiudere il cammino per
poter applicare il lemma di Jordan, basta ricordare che essa va scelta in
modo che, lungo la sua freccia, l’esponente del fattore che moltiplica f (z)
deve essere reale e tendere a −∞ per |z| → ∞.
Si indica con lemma di Jordan il contenuto dei punti 2), 3) e 4), ma
per comodità denoteremo con questo termine tutto quanto detto in questo
paragrafo.
1.6.4 Esempi
Esempio 1
Z ∞ x2
I= dx
0 (x2 + 1)(x2 + 4)
La funzione integranda è simmetrica:
x2
f (x) = = f (−x) .
(x2 + 1)(x2 + 4)
Quindi
1Z ∞ x2
I= dx .
2 −∞ (x2 + 1)(x2 + 4)
Inoltre
|z|→∞ 1
f (z) ∼ ;
z2
le ipotesi del lemma di Jordan (caso 1) sono soddisfatte in entrambi i semipia-
ni. Possiamo quindi chiudere il cammino di integrazione nel piano complesso
come indicato in Figura 1.17 (scegliamo di chiuderlo nel semipiano positivo).
Indichiamo con CR il cammino chiuso e con ΓR la semicirconferenza. Il
lemma di Jordan ci assicura che
Z
lim f (z)dz = 0
R→∞ ΓR
e quindi
Z ∞ I
f (z)dz = lim f (z)dz .
−∞ R→∞ CR
57
Pertanto
1 I
I= lim f (z)dz .
2 R→∞ CR
Studiamo la funzione f (z):
(z 2 + 1)(z 2 + 4) = 0 −→ z = ±i , z = ±2i .
f (z) ha 4 poli semplici, due nel semipiano Im z > 0 e due nel semipiano Im
z < 0. Quindi
1
I = 2πi [{Resf (z)}z=i + {Resf (z)}z=2i ]
2
z2 i
{Resf (z)}z=i = lim(z − i) 2
=
z→i (z + i)(z − i)(z + 4) 6
z2 i
{Resf (z)}z=2i = lim (z − 2i) 2
=−
z→2i (z + 2i)(z − 2i)(z + 1) 3
i i π
I = πi − = .
6 3 6
Si noti che in questo esempio, e nei successivi esempi 2 e 3, l’integrando è
positivo; se il risultato trovato fosse un numero negativo (o peggio immagina-
rio) si sarebbe certo commesso un errore di segno (o dimenticato un fattore
i).
Esempio 2
Z ∞ dx
I= , n intero positivo
−∞ 1 + x2n
1 |z|→∞ 1
f (z) = ∼
1 + z 2n z 2n
Il lemma di Jordan (caso 1) vale in tutto il piano z. Chiudiamo il cammino
di integrazione in Im z > 0:
58
I
dz
I = lim .
R→∞ CR 1 + z 2n
I poli di f (z) sono dati da
1
1 + z 2n = 0 −→ z 2n = −1 −→ z = (−1) 2n .
− 1 = ei(π+2kπ)
con
2k + 1
θk = π
2n
cioè
π 3π π
z0 = ei 2n , z1 = ei 2n , z−1 = e−i 2n , etc.
1 1
{Resf (z)}z=zk = lim (z − zk ) = z→z
lim
z→z k 1 + z 2n k 2nz 2n−1
zk zk
= 2n
=− .
2nzk 2n
59
Pertanto
n−1
X zk iπ n−1
X iπ
I = 2πi − =− e 2n (2k+1) .
k=0 2n n k=0
Poniamo
iπ iπ
z0 = e 2n −→ z02k+1 = e 2n (2k+1)
Allora
iπ n−1
X (2k+1) iπ n−1
X k iπ 1 − z02n
I=− z0 = − z0 z02 = − z0
n k=0 n k=0 n 1 − z02
Ma z02n = −1 e pertanto
2iπ z0 π 1
I=− 2
= z0 −z0−1
n 1 − z0 n
2i
e infine
π
I=
π
.
n sin 2n
Esempio 3
Z +∞ cos x
I = dx .
−∞ 1 + x2
L’integrale
esiste poiché la funzione integranda è continua sull’asse reale ed
è O x12 per x → ±∞; non si può però applicare il caso 1) del lemma di
1
Jordan perché l’integrando non è affatto O z
nel piano complesso; infatti
1 Z +∞ eiz + e−iz
I= dz , (1.48)
2 −∞ 1 + z 2
quindi esso diverge esponenzialmente per z = iy con y → ±∞. Invece il
primo addendo dell’integrale (1.48) soddisfa le ipotesi del caso 2) del lemma
di Jordan (α = 1 > 0) e quindi si calcola chiudendo il cammino nel semipiano
superiore:
eiz eiz
( )
Z +∞ π
dz = 2πi Res = ;
−∞ 1 + z2 1 + z2 z=i
e
60
il secondo addendo ricade invece nel caso 3) (α = −1 < 0) e quindi si calcola
chiudendo il cammino nel semipiano inferiore
e−iz e−iz
( )
Z +∞ π
dz = −2πi Res = .
−∞ 1 + z2 1 + z2 z=−i
e
Pertanto
π
I= .
e
Esempio 4
Z ∞ sin x
I= dx .
0 x
La funzione integranda è pari:
sin x
f (x) = = f (−x) .
x
Quindi
1 Z ∞ sin x
I= dx .
2 −∞ x
Notare che l’integrando non è singolare nell’origine; infatti lo zero semplice
del denominatore è compensato da uno zero semplice del numeratore.
Il lemma di Jordan non è direttamente applicabile, perché
sin z 1 eiz − e−iz
= ;
z 2i z
quindi per il primo addendo bisognerebbe applicare il caso 2) (α = 1 > 0) e
chiudere con una semicirconferenza nel semipiano superiore, mentre il secon-
do ricade nel caso 3) (α = −1 < 0) e bisognerebbe chiudere nel semipiano
inferiore. Non si può nemmeno spezzare l’integrale in una somma di due
integrali, perché
Z +∞ eiz
dz
−∞ z
non esiste (lo zero del denominatore non è più compensato da uno zero del
numeratore).
La difficoltà si aggira nel modo seguente: poiché f (z) è ovunque analitica
al finito (si noti che f (z) → 1 per z → 0), prima di spezzare l’integrale si
61
può deformare il cammino di integrazione, grazie al teorema di Cauchy. In
particolare, i due cammini C1 e C2 di Figura 1.18 danno lo stesso risultato
per I:
1 Z sin z 1 Z sin z
I= dz = dz .
2 C1 z 2 C2 z
1 Z eiz e−iz
Z !
I= dz − dz .
4i C1 z C1 z
iz −iz
Benché la funzione f (z) sia regolare ovunque, le funzioni ez e e z hanno
un polo semplice in z = 0; inoltre esse soddisfano il lemma di Jordan nei
semipiani Im z > 0 e Im z < 0, rispettivamente. Pertanto si possono chiudere
i cammini di integrazione nelle curve γ1 e γ2 (vedi Figura 1.19).
1 I eiz e−iz
I !
I= dz − dz .
4i γ1 z γ2 z
62
Figura 1.19: Chiusura del cammino che aggira l’origine nel semipiano
superiore (a) ed inferiore (b)
1 I e−iz e−iz
( )
1 π
I=− dz = + 2πi Res = . (1.49)
4i γ2 z 4i z z=0
2
63
Ora,
Z
eiz
dz = 0
C1 z
per il lemma di Jordan (applicabile in Im z > 0) e per il teorema di Cauchy,
e
eiz eiz
I ( )
dz = 2πi Res = 2πi .
γ z z z=0
64
1.7 Definizione delle funzioni ln z e z α nel pia-
no complesso
La funzione logaritmo w = ln z è definita nel campo complesso ∀z 6= 0 dalla
equazione
ew = z , (1.51)
ovvero
eRe w eiIm w
= |z|eiarg z
(1.52)
da cui segue, prendendo il modulo di ambo i membri,
eRe w
= |z| ⇒ Re w = ln |z| , (1.53)
dove il logaritmo del numero positivo |z| è quello definito in campo reale.
Sostituendo nella (1.52) si ottiene
eiIm w
= eiarg z
, (1.54)
la cui soluzione generale è
Im w = arg z + 2πn , ∀n ∈ Z . (1.55)
Si rimuove l’ambiguità, insita nella stessa definizione di arg z, fissando il
valore di n (per esempio n = 0) e scegliendo un intervallo di ampiezza 2π in
cui far variare arg z, come discusso nel par.1.1.2. Quindi
ln z = ln |z| + i arg z . (1.56)
La funzione logaritmo è perciò completamente definita solo se si specifica in
che intervallo varia arg z ed è discontinua su una semiretta (taglio) uscente
dall’origine del piano complesso, perché tale è la funzione arg z, come si è
visto nel paragrafo 1.1.2. L’origine è perciò una singolarità non isolata
della funzione logaritmo detta punto di diramazione (branching point); lo
stesso dicasi per il punto all’infinito. La funzione z α , con α ∈ C, si definisce
come
z α = eα ln z (1.57)
e, salvo che per α ∈ N, soffre degli stessi problemi della funzione logaritmo8 .
È facile dimotsrare che
d ln z 1
= , ∀z 6= 0 (1.58)
dz z
e quindi anche
dz α
= αz α−1 , ∀α ∈ C . (1.59)
dz
8
Per α ∈ N non ci sono ambiguità poiché eN (ln z+2πin) = eN ln z .
65
Capitolo 2
Equazioni Differenziali in
Campo Complesso
66
in z → z0 P (z) ha al più un polo semplice e Q(z) al più un polo doppio;
quindi le funzioni (z − z0 )P (z) e (z − z0 )2 Q(z) rimangono finite per z → z0 :
lim (z − z0 )P (z) = p0
z→z0
lim (z − z0 )2 Q(z) = q0 ,
z→z0
con p0 e q0 finiti; è possibile che uno o anche entrambi siano nulli. Se invece
per esempio P (z) diverge più velocemente di 1/(z −z0 ), in modo tale che (z −
z0 )P (z) tenda a infinito per z → z0 , oppure se Q(z) diverge più velocemente
di 1/(z − z0 )2 , in modo tale che (z − z0 )2 Q(z) tenda a infinito per z → z0 ,
il punto z0 è un punto singolare irregolare, o essenziale. Queste definizioni
valgono per tutti i valori finiti di z0 . Lo studio del punto z → ∞ verrà
trattato separatamente in un prossimo paragrafo.
• Esempi
P (z) = 0 , Q(z) = ω 2
L’equazione è ovunque regolare al finito.
2) Equazione di Legendre:
(1 − z 2 )u00 − 2zu0 + αu = 0 (2.4)
2z α
P (z) = − 2
, Q(z) =
1−z 1 − z2
L’equazione ha due punti singolari fuchsiani in z = ±1. Infatti sia P (z)
che Q(z) hanno un polo semplice in z = ±1:
lim (z − (±1))P (z) = 1 = p0
z→±1
67
3) Equazione di Bessel:
z 2 u00 + zu0 + (z 2 − α2 )u = 0 (2.5)
1 α2
P (z) = , Q(z) = 1 − 2
z z
L’equazione ha una singolarità di tipo fuchsiano in z = 0 con p0 = 1 e
q0 = −α2 .
4) Equazione di Laguerre
zu00 + (1 − z)u0 + au = 0 (2.6)
1 a
P (z) =− 1 , Q(z) =
z z
L’equazione ha una singolarità di tipo fuchsiano in z = 0.
5) Equazione di Hermite:
u00 − 2zu0 + 2αu = 0 (2.7)
z n2
P (z) = − , Q(z) =
1 − z2 1 − z2
L’equazione ha due punti singolari fuchsiani in z = ±1.
7) Equazione ipergeometrica:
z(z − 1)u00 + [(1 + a + b)z − c]u0 + abu = 0 (2.9)
(1 + a + b)z − c ab
P (z) = − , Q(z) =
z(z − 1) z(z − 1)
L’equazione ha due punti singolari fuchsiani in z = 0 e z = 1.
8) Equazione ipergeometrica confluente:
zu00 + (c − z)u0 − au = 0 (2.10)
c−z a
P (z) = − , Q(z) = −
z z
L’equazione ha un punto singolare fuchsiano in z = 0.
68
2.1.1 Soluzione nell’intorno di un punto regolare
c0 = u(z0 ) (2.19)
c1 = u0 (z0 ) , (2.20)
69
determinano univocamente la soluzione u(z). Se per esempio u1 è la soluzione
corrispondente a c0 = 1 e c1 = 0 e u2 quella corrispondente a c0 = 0 e c1 = 1,
la soluzione generale dell’equazione differenziale sarà
• Esempi:
k=0
∞ ∞ ∞
00 k−2 k−2
ck+2 (k + 1)(k + 2)z k ,
X X X
u (z) = ck k(k − 1)z = ck k(k − 1)z =
k=0 k=2 k=0
70
dove nell’ultimo passaggio si è effettuato il cambiamento di indice k → k − 2.
Sostituendo nella (2.22) si ottiene
∞ h i
ck+2 (k + 1)(k + 2) + ω 2 ck z k = 0 .
X
(2.23)
k=0
Una serie di potenze è nulla se e solo se tutti i suoi coefficienti sono nul-
li. Uguagliando a zero i coefficienti della (2.23) si ottiene una relazione di
ricorrenza per i coefficienti ck :
ω2
ck+2 = − ck . (2.24)
(k + 1)(k + 2)
Dati i coefficienti c0 e c1 , che saranno determinati dalle condizioni al contorno,
la (2.24) permette di costruire tutti i coefficienti delle potenze pari
ω2
c2 = − c0
2
ω2 (ω 2 )2
c4 = − c2 = c0
(3)(4) 4!
ω2 (ω 2 )3
c6 = − c4 = − c0
(5)(6) 6!
(ω 2 )n
c2n = (−1)n c0
(2n)!
e delle potenze dispari
ω2
c3 = − c1
(2)(3)
ω2 (ω 2 )2
c5 = − c3 = c1
(4)(5) 5!
ω2 (ω 2 )3
c7 = − c5 = − c1
(6)(7) 7!
(ω 2 )n
c2n+1 = (−1)n c1 .
(2n + 1)!
Pertanto la soluzione cercata è
∞ 2n∞ 2n+1
n (ωz)
c1 X n (ωz)
X
u(z) = c0 (−1) + (−1)
n=0 (2n)! ω n=0 (2n + 1)!
0
= c0 cos(ωz) + c1 sin(ωz) , (2.25)
71
• L’equazione di Legendre
La prima sommatoria si può riscrivere come segue (si noti che i termini
k = 0, 1 sono nulli):
∞ ∞
0
k−2
(k 0 + 2)(k 0 + 1)ck0 +2 z k ;
X X
k(k − 1)ck z =
k=2 k0 =0
k=0
72
e
2−α
c3 = c1
6
12 − α (12 − α)(2 − α)
c5 = c3 = c1
20 5!
30 − α (30 − α)(12 − α)(2 − α)
c7 = c5 = c1
42 6!
etc...
• L’equazione di Hermite
73
Questa, sostituita con le sue derivate nella (2.33), fornisce
∞ h i
ck k(k − 1)z k−2 − 2kz k + +2αz k = 0 .
X
(2.35)
k=0
Il primo termine della serie può essere riscritto, cambiando l’indice sommato
k in n = k − 2, come:
∞ ∞
ck k(k − 1)z k−2 = cn+2 (n + 2)(n + 1)z n
X X
(2.36)
k=2 n=0
L’eq. (2.38) mostra che la serie (2.34) ha raggio di convergenza infinito. Sce-
gliendo c0 = 1, c1 = 0 oppure c0 = 1, c1 = 0 si ottengono soluzioni pari
o dispari, come si è visto per i polinomi di Legendre. Se α = n è intero
positivo o nullo, una delle due serie (quella pari se α è pari, quella dispari se
α è dispari) si riduce a un polinomio di grado n, il polinomio di Hermite Hn .
74
2.2 Soluzione nell’intorno di un punto fuch-
siano
75
Uguagliamo ora a zero il coefficiente della potenza (z − z0 )ρ ; poniamo cioè
k = l = 0 nell’equazione precedente. Otteniamo cosı̀:
c0 [ρ(ρ − 1) + ρp0 + q0 ] = 0 ,
ovvero, per c0 6= 0,
ρ2 + (p0 − 1)ρ + q0 = 0 . (2.42)
L’equazione (2.42), detta equazione indiciale o caratteristica dell’equazione
differenziale (2.2), è un’equazione di secondo grado in ρ e ha quindi due solu-
zioni, ρ1 e ρ2 . Per risolvere l’equazione differenziale occorre quindi risolvere
l’equazione indiciale (2.42), dove
lim (z − z0 )P (z)
p0 = z→z
0
e
q0 = lim (z − z0 )2 Q(z) ,
z→z0
e ricavare gli indici ρ1 , ρ2 . Scelti gli indici in modo che Reρ1 ≥Reρ2 il teorema
di Fuchs ci assicura che esiste sempre la soluzione particolare
∞
u1 (z) = (z − z0 )ρ1 ck (z − z0 )k ,
X
c0 6= 0 (2.43)
k=0
76
2.2.1 Esempio: l’equazione di Bessel
L’equazione di Bessel
ρ2 − α2 = 0 ,
da cui
∞ ∞
c1 (1 + 2ρ)z 1+ρ + ck k(k + 2ρ)z k+ρ + ck z k+ρ+2 = 0 .
X X
(2.48)
k=2 k=0
c1 = 0 (2.50)
ck
ck+2 = − . (2.51)
(k + 2)(k + 2 + 2ρ)
77
ricaviamo infine che tutti i coefficienti di indice dispari sono nulli, mentre i
coefficienti pari sono:
c0
c2 = −
2(2 + 2ρ)
c2 c0
c4 = − =
4(4 + 2ρ) 2 · 4(2 + 2ρ)(4 + 2ρ)
c4 c0
c6 = − =−
6(6 + 2ρ) 2 · 4 · 6(2 + 2ρ)(4 + 2ρ)(6 + 2ρ)
n c0
c2n = (−1) .
2 · 4 · 6...2n(2 + 2ρ)(4 + 2ρ)(6 + 2ρ)...(2n + 2ρ)
√ z2 z4
!
J1/2 (z) = N1/2 z 1− + + ···
3! 5!
z3 z5
!
N1/2 sin z
= √ z− + + · · · = N1/2 √ . (2.53)
z 3! 5! z
e
cos z
J−1/2 (z) = N−1/2 √ . (2.54)
z
78
Parte II
Introduzione all’Analisi
Armonica
79
Capitolo 3
Serie di Fourier
3.1 Introduzione
d2 u du
LC 2
+ RC + u(t) = f (t) , (3.1)
dt dt
che può essere utile scrivere nella forma
Lt u(t) = f (t) ,
dove Lt è l’operatore differenziale
d2 d
Lt = LC 2 + RC + 1 . (3.2)
dt dt
80
Se la tensione d’ingresso è sinusoidale
1 − ω 2 LC ωRC
A= V ; B= V . (3.7)
(1 − ω 2 LC)2 + ω 2 R2 C 2 (1 − ω 2 LC)2
+ ω 2 R2 C 2
U = A − iB = ρe−iα , (3.8)
Lu = f , (3.10)
81
dove l’operatore L è definito non solo dalla sua espressione differenziale
Lt di eq.(3.2), ma anche dal suo dominio, specificato dalle condizioni al
contorno periodiche:
u(T ) = u(0) ,
• Proprietà P1:
se u1 (t) è soluzione dell’eq. (3.1) con termine noto f1 (t):
d2 u1 du1
LC 2
+ RC + u1 (t) = f1 (t) (3.11)
dt dt
e analogamente u2 (t) soddisfa:
d2 u2 du2
LC 2 + RC + u2 (t) = f2 (t) (3.12)
dt dt
allora
82
d2 u du
LC+ RC + u(t) = eω (t) (3.17)
dt2 dt
è ancora più immediata; infatti se si pone 1
eiωt + e−iωt
cos(ωt) = = Re eiωt , (3.22)
2
si può scrivere la f (t) di (3.3) come
1
f (t) = [eω (t) + e−ω (t)] = Re eω (t) per V reale . (3.23)
2
Allora la proprietà di linearità P1 ci permette di scrivere subito la soluzione
dell’eq. (3.1 nella forma
1
u(t) =
[uω (t) + u−ω (t)] = Re uω (t) (3.24)
2
con uω (t) dato dall’eq. (3.18)2 .
Osservando che la U (ω) dell’eq. (3.20) coincide con la U di (3.8), si verifica
subito che la soluzione (3.24) coincide con la soluzione (3.4).
La proprietà P1 non ci permette solo il giochetto che abbiamo appena
fatto, ma ha una conseguenza molto più importante e generale:
1
Sia nelle incognite U e u(t) che nella funzione di entrata e(t) si è esplicitamente
ricordata la dipendenza dal parametro ω per motivi che diventeranno chiari fra poco (vedi
eq. (3.23).
2
Si è usata l’identità U ∗ (ω) = U (−ω) che segue dalla (3.20); con ∗ indichiamo la
complessa coniugazione.
83
• Proprietà P2:
se “in qualche modo” si riesce a scrivere il termine noto dell’eq. (3.1)
nella forma
Vn eiωn t ,
X
f (t) = (3.25)
n
Un eiωn t
X
u(t) = (3.26)
n
Vn Vn
Un = ZC (ωn ) = . (3.27)
R + ZL (ωn ) + ZC (ωn ) 1 − ωn2 LC + iωn RC
Lo scopo della seconda parte di questo corso sarà proprio di trovare il mo-
do per esprimere ampie classi di funzioni f (t) nella forma (3.25); in linguaggio
matematico possiamo dire che oggetto di questo corso è la analisi armonica.
L’analisi armonica è uno strumento matematico di enorme importanza in
fisica: infatti le equazioni differenziali lineari del secondo ordine (in
particolare a coefficienti costanti ) intervengono in numerosissimi problemi
in ogni campo della fisica, non solo per i circuiti RLC, ma ogni volta che si
vogliano descrivere piccole oscillazioni attorno a una situazione di equilibrio.
Inoltre l’analisi armonica, in particolare la trasformata di Fourier, gioca
un ruolo fondamentale nella Meccanica Quantistica.
È utile osservare che alla radice del ruolo privilegiato che giocano le fun-
zioni eiωt nella soluzione dell’eq. (3.1) sta il fatto che esse sono autofunzioni
dell’operatore differenziale Lt , cioè che vale l’equazione
84
Nel capitolo successivo vedremo che ulteriori specificazioni dell’operatore dif-
ferenziale (le “condizioni al contorno”) faranno sı̀ che non tutti i valori di ω
siano ammissibili.
85
3.2 Funzioni periodiche e sviluppi in Serie di
Fourier
Una prima classe di funzioni per cui si può effettuare l’analisi armonica (3.25)
contiene le funzioni periodiche (di periodo T ), tali cioè che
f (t + T ) = f (t), ∀t ∈ R . (3.30)
In tal caso è lecito aspettarsi che gli ωn dell’eq. (3.25) siano tutti multipli
interi dell’armonica fondamentale ω = 2π T
ovvero
2π
ωn = n ,n ∈ Z . (3.31)
T
Infatti dall’identità
2π 2π
eiωn (t+T ) ≡ ei T n(t+T )
= ei T nt i2πn
e = eiωn t , ∀n ∈ Z , ∀t ∈ R . (3.33)
Vn eiωn t
X
f (t) = (3.34)
n∈Z
2πt
Con il cambio di variabile x = T
, suggerito dalla (3.31), e usando l’identità
Z 2π
ei(n−l)x dx = 2πδnl , (3.36)
0
86
detta relazione di ortogonalità, si ottiene subito:
1 Z T −iωl t
Vl = e f (t)dt . (3.37)
T 0
• per ognuna delle armoniche, cioè per ognuno dei termini di tale serie,
si applica la procedura che ci ha portato dal termine noto (3.16) alla
soluzione (3.18), ottenendo cosı̀ i coefficienti Un dati dalla (3.27);
an einx
X
(3.38)
n∈Z
87
Notiamo inoltre che affinché la (3.39) abbia senso bisogna che l’integrale
esista; ciò succede certamente se f (x) è sommabile 4 , perché tale rimane
dopo essere stata moltiplicata per il fattore einx , il cui modulo vale 1.
Ci conviene anzitutto enunciare il seguente
• lemma di Riemann:
qualunque sia l’intervallo (a, b), finito o infinito, per ogni f (x) sommabile,
vale
Z b Z b Z b
lim f (x)e±ikx dx = lim f (x) cos(kx) dx = lim f (x) sin(kx) dx = 0 .
k→∞ a k→∞ a k→∞ a
(3.42)
Dimostrazione: ci limitiamo a dimostrare tale lemma nel caso particolare in
cui f (x) sia di classe C 1 , cioè continua con la sua derivata prima. In tal caso
è lecito integrare per parti e si ha
Z b 1 1 Zb 0
±ikx b
±ikx
f (x)e dx = f (x) e ∓ f (x)e±ikx dx , (3.43)
a ±ik a ik a
da cui
Z ( )
b 1 Z b
±ikx 0
f (x)e dx ≤ |f (b)| + |f (a)| + |f (x)| dx . (3.44)
|k|
a a
88
TEOREMA: Condizione sufficiente affinché la serie (3.38) converga pun-
tualmente a f (x0 ) è che la funzione f (x) (sommabile nell’intervallo (0, 2π))
sia di classe C 1 nell’intorno del punto x0 .
Dimostrazione
Usando l’identità
N 2N n 1 − ei(2N +1)α −iα(N +1/2) 1 − e
i2(N +1/2)α
eilα = e−iN α eiα = e−iN α
X X
= e
l=−N n=0 1 − eiα e−iα/2 − eiα/2
sin(N + 1/2)α
= (3.47)
sin α/2
la (3.45) diventa
1 Z 2π sin [(N + 1/2)(x0 − y)]
SN (x0 ) = dyf (y)
2π 0 sin(x0 − y)/2
Z π
1 sin [(N + 1/2)t]
= dtf (x0 + t) , (3.48)
2π −π sin t/2
dove nell’ultimo passaggio si è posto t = x0 − y e si è usata la periodicità
dell’integrando per fissare l’intervallo di integrazione 5 . Notare che per cal-
colare limN →∞ SN (x0 ) non si possono applicare direttamente le formule di
Riemann (3.42) alla (3.48), poiché la funzione fsin
(x0 +t)
t/2
non è integrabile: essa
2f (x0 )
diverge come t
per t → 06 .
Si noti che l’integrale si può spezzare come segue:
Z π Z −δ1 Z δ2 Z π
= + + ; (3.49)
−π −π −δ1 δ2
5
sin(N + 1/2)t e sin t/2 hanno periodo 4π, ma il loro rapporto ha periodo 2π.
6
è integrabile se f (x0 ) = 0, allora si applicano le formule di Riemann e si ottiene
correttamente limN →∞ SN (x0 ) = 0.
89
∀δ1 , δ2 ∈ (0, 2π) si possono applicare le formule di Riemann al primo e terzo integrale,
quindi
Z π Z δ2
sin [(N + 1/2)t] sin [(N + 1/2)t]
lim f (x0 + t) dt = lim f (x0 + t) dt ; (3.50)
N →∞ −π sin t/2 N →∞ −δ
1
sin t/2
perciò la somma della serie nel punto x0 dipende solo dal comportamento locale della
funzione f (x) (sommabile in (0, 2π)) in un intorno (arbitrariamente piccolo) del punto x0 .
Usando l’identità
1 Z π sin [(N + 1/2)t]
dt = 1 , (3.51)
2π −π sin t/2
che si può verificare direttamente con il metodo dei residui (o anche conside-
rando il caso particolare della (3.48) per f (x) = 1), si può scrivere
1 Zπ 1 f (x0 + t) − f (x0 )
SN (x0 ) − f (x0 ) = dt sin N + t . (3.52)
2π −π 2 sin t/2
Adesso la funzione che moltiplica sin(N + 1/2)t è sommabile nell’intervallo
(−π, π); infatti in tale intervallo sin t/2 si annulla solo nell’origine e
f (x0 + t) − f (x0 )
lim = 2f 0 (x0 ) . (3.53)
t→0 sin t/2
Si può quindi passare al limite per N → ∞ e applicare le formule di Riemann
per ottenere
[q.e.d]
Notare che il Teorema (3.54) può essere esteso al caso in cui nel punto x0
la funzione abbia una discontinuità di I specie, ma sia di classe C 1 sia in un
intorno sinistro che in un intorno destro di x0 . Al posto della (3.52) si scrive
infatti
f (x0 +) + f (x0 −) 1 Z0 1 f (x0 + t) − f (x0 −)
SN (x0 ) − = dt sin N + t
2 2π −π 2 sin t/2
1 Z π
1 f (x0 + t) − f (x0 +)
+ dt sin N + t ,
2π 0 2 sin t/2
(3.55)
dove f (x0 −) e f (x0 +) sono i limiti destro e sinistro nel punto x0 e si è usata
l’identità
Z π Z 0
sin (N + 1/2) t sin (N + 1/2) t
dt = dt = π . (3.56)
0 sin t/2 −π sin t/2
90
Dalle formule di Riemann segue allora:
f (x0 +) + f (x0 −)
lim SN (x0 ) = , (3.57)
N →∞ 2
di cui la (3.54) è ovviamente un caso particolare. Se il punto x0 cade in uno
degli estremi dell’intervallo di definizione della f (x0 ), continua a valere la
(3.57) purché la funzione sia continuata periodicamente: f (x + 2π) = f (x).
T
In vista di una successiva applicazione fisica, torniamo alla variabile t = 2π
x:
∞
an eiωn t
X
f (t) = (3.58)
n=−∞
1 Z T /2
am = f (t)e−iωm t dt . (3.59)
T −T /2
h i
an eiωn t + a−n e−iωn t = |an | ei(ωn t−αn ) + e−i(ωn t−αn )
= An cos(ωn t − αn ), (3.61)
con
An = 2|an | . (3.62)
∞
X
Quindi per f (t) reale la serie (3.58) diventa f (t) = a0 + An cos(ωn t − αn
n=1
91
∞ ∞
! !
1 Z T /2 1 Z T /2
2
a∗m e−iωm t iωn t
X X
|f (t)| dt = an e dx
T −T /2 T −T /2 m=−∞ n=−∞
∞ ∞
Z T /2
1 X ∗
e−iωm t eiωn t dt
X
= am an
T m=−∞ n=−∞ −T /2
∞ ∞ ∞
1 X
a∗m an T δmn = |an |2 ,
X X
= (3.64)
T m=−∞ n=−∞ n=−∞
∞ ∞
!2
1 Z T /2 2 2
X
2 2
X An
|f (t)| dt = a0 + 2 |an | = a0 + √ , (3.66)
T −T /2 n=1 n=1 2
dove nell’ultimo passaggio si è ricordata la (3.62).
√ In questo caso a0 è la
componente di corrente continua della f (t) e An / 2 il valore efficace della
corrente alternata di pulsazione ωn .
92
È immediato verificare direttamente che le (3.67) formano un sistema di
funzioni ortogonali nell’intervallo (−π, π) (o in qualunque altro intervallo di
ampiezza 2π). Infatti:
Z π
sin(mx) sin(nx)dx = πδmn (m 6= 0)
−π
Z π
cos(mx) cos(nx)dx = πδmn (m 6= 0)
−π
= 2πδmn (m = 0)
Z π
sin(mx) cos(nx)dx = 0 . (3.68)
−π
Data una f (x) sommabile nell’intervallo (−π, π), anziché la serie (3.38)
proviamo a scrivere
∞
A0 X
f (x) = + [An cos(nx) + Bn sin(nx)] . (3.69)
2 n=1
1Zπ
An = cos(nx)f (x)dx (3.70)
π −π
1Zπ
Bn = sin(nx)f (x)dx . (3.71)
π −π
1Zπ
A0 = f (x)dx .
π −π
Le relazioni (3.70) valgono quindi per tutti gli n = 0, 1, 2, ..., mentre le (3.71)
93
alla sua derivata prima, allora la (3.69) è vera nel senso della convergenza
puntuale. Se invece nel punto x0 la f (x) ha una discontinuità di prima
specie, ma è di classe C 1 sia in un intorno sinistro che in un intorno destro
di x0 , vale allora:
∞
A0 X f (x0 +) + f (x0 −)
+ [An cos(nx0 ) + Bn sin(nx0 )] = . (3.72)
2 n=1 2
π ∞
Z
2 π 2
|An |2 + |Bn |2 .
X
|f (x)| dx = |A0 | + π
−π 2 n=1
∞
A0 X
f (x) = + An cos(nx) .
2 n=1
∞
X
f (x) = Bn sin(nx) .
n=1
• Esempio
(
−1 −π <x<0
(x) =
+1 0≤x≤π .
94
1Zπ
Bn = sin(nx)(x)dx
π −π
Z 0 Z π
1
= − sin(nx)dx + sin(nx)dx
π −π 0
2Zπ 2
= sin(nx)dx = [− cos(nx)]π0
π 0 (nπ
2 0 n pari
= [1 − (−1)n ] = 4
nπ nπ
n dispari.
Pertanto
4 4 4
(x) = sin x + sin(3x) + sin(5x) + ...
π 3π 5π
∞
4X sin[(2n + 1)x]
= .
π n=0 2n + 1
Figura 3.2:
e nei punti ±π la somma della serie vale zero, in accordo con la (3.72).
Per n → ∞, si verifica il cosiddetto fenomeno di Gibbs, tipico delle serie di Fourier di
funzioni discontinue: in prossimità di una discontinuità di prima specie, la ridotta ennesima
della serie di Fourier presenta un picco, tanto più stretto quanto maggiore è n, di altezza
pari a circa il 9% del salto. Questo esempio mostra che la serie di Fourier non converge
uniformemente alla funzione f (x) nei punti in cui essa ha una discontinuità di I specie.
Scriviamo adesso esplicitamente la generalizzazione delle eq.(3.69),(3.70) e
(3.71) al caso di funzioni periodiche con periodo T 6= 2π. In questo caso si
pone
T
t= x.
2π
Se x varia nell’intervallo (−π, π), la variabile t varierà nell’intervallo (−T /2, T /2).
La serie di Fourier (3.69) diventa cosı̀:
∞
A0 X 2πnt 2πnt
f (t) = + An cos + Bn sin ,
2 n=1 T T
con
95
1Zπ 2 Z T /2 2πnt
An = cos(nx)f (t(x))dx = cos f (t)dt
π −π T −T /2 T
1Zπ 2 Z T /2 2πnt
Bn = sin(nx)f (t(x))dx = sin f (t)dt .
π −π T −T /2 T
• Esempio 1
Quindi
∞ ∞
2 2X 1 + (−1)n 2 4X cos 2kx
f (x) = − cos nx = −
π π n=2 n2 − 1 π π k=1 (2k)2 − 1
2 4 cos 2x cos 4x cos 6x
= − + + + ···
π π 3 24 35
• Esempio 2
96
f (x) = |x| −π <x<π
2Zπ
A0 = xdx = π
π 0
Z π Z π
2 2
π
An = x cos nxdx = x sin nx|0 − sin nxdx
π 0 πn 0
2
= [1 − (−1)n ]
πn2
da cui
∞
π 4X cos(2k + 1)x π 4 cos 3x cos 5x
f (x) = − = − cos x + + + ···
2 π k=0 (2k + 1)2 2 π 9 25
• Esempio 3
1 Z 2π
A0 = xdx = 2π
π 0
Z 2π Z 2π
1 1
2π
An = x cos nx = x sin nx|0 − sin nxdx = 0
π 0 πn 0
Z 2π Z 2π
1 1 2
2π
Bn = x sin nx = −x cos nx|0 + cos nxdx = − .
π 0 πn 0 n
Quindi
∞
sin nx sin 2x sin 3x
X
f (x) = π − 2 = π − 2 sin x + + + ···
n=1 n 2 3
Si consiglia agli studenti di disegnare i grafici delle f (x) dei tre esempi
proposti.
97
Capitolo 4
Trasformate Integrali
Nel capitolo 1 abbiamo imparato a risolvere l’eq. (3.1) nel caso in cui il
termine noto sia periodico e abbiamo dovuto poi allargare il discorso per
dare un senso preciso alla convergenza puntuale della serie (trigonometrica)
di Fourier. Ma come possiamo risolvere l’eq. (3.1) quando il termine noto
non è periodico? Come fare a scriverlo come somma di termini della forma
eiωn t che sono invece periodici?
Il modo migliore è di considerare una funzione non periodica come caso
limite di una periodica con periodo L che tende a infinito. A questo scopo
scriviamo i coefficienti di Fourier
1 Z L/2 −ikn x 2πn
an = e f (x)dx , con kn ≡ (4.1)
L −L/2 L
nella forma
1
an = √ F (kn )∆k , (4.2)
2π
dove
1 Z L/2 −ikn x
F (kn ) ≡ √ e f (x)dx , (4.3)
2π −L/2
e
2π
∆k = kn − kn−1 = . (4.4)
L
Allora la serie trigonometrica di Fourier (3.58) si può riscrivere come
98
∞
1 X
f (x) = √ eikn x F (kn )∆k . (4.5)
2π n=−∞
A questo punto effettuiamo il limite L → ∞, nel quale ∆k → 0 e la serie a
secondo membro della (4.5) può riguardarsi come una somma integrale alla
Riemann per la funzione eikx F (k), estesa all’intervallo (−∞, +∞), diviso in
infiniti intervalli parziali di ampiezza ∆k → 0. Pertanto la (4.5) diventa
1 Z∞
f (x) = √ F (k)eikx dk , (4.6)
2π −∞
1 Z∞
F (k) = √ f (x)e−ikx dx . (4.7)
2π −∞
4.1.1 Esempi
• Esempio 1
99
La trasformata di Fourier della funzione
1
f (x) = , a ∈ R+
x 2 + a2
è
1 Z∞ e−ikx
F (k) = √ dx .
2π −∞ (x + ia)(x − ia)
Se k > 0 chiudiamo il cammino di integrazione nel semipiano Imz < 0 e
otteniamo:
e−ikz π e−ka
1 r
F (k) = − √ 2πi Res = .
−
2π (z + ia)(z ia)
z=−ia
2 a
e−ikz
1 π eka
r
F (k) = √ 2πi Res
= .
(z + ia)(z − ia) z=ia
2π 2 a
Pertanto
π e−|k|a
r
F (k) = .
2 a
La verifica della (4.6) è immediata e coinvolge solo un integrale elementare.
• Esempio 2
(
1 |x| < a
f (x) = (4.9)
0 |x| > a
è
1 Z +∞ −ikx 1 Z +a −ikx
F (k) = √ f (x)e dx = √ e dx
2π −∞ 2π −a
s
1 eika − e−ika 2 sin ka
= √ = . (4.10)
2π ik π k
100
Per verificare che l’antitrasformata di (4.10) sia effettivamente la (4.9) dob-
biamo calcolare l’integrale
Z +R Z +R
1 ikx 1 sin(ka) ikx
I(x) ≡ √ lim F (k)e dk = lim e dk
2π R→∞ −R π R→∞ −R k
eik(x+a) eik(x−a)
Z +R " #
1
= lim − dk (4.11)
2πi R→∞ −R k k
deformando il cammino di integrazione come nell’esempio 4 del paragrafo
1.6.4, aggirando per esempio l’origine nel semipiano immaginario positivo.
Se x > a entrambi gli integrali in (4.11) ricadono nel caso α > 0 del lemma
di Jordan e pertanto si può chiudere il cammino d’integrazione con una semi-
circonferenza nel semipiano superiore; all’interno del cammino d’integrazione
l’integrando è regolare e pertanto:
I(x) = 0 se x > a .
Analogamente, se x < −a conviene aggirare l’origine nel semipiano immagi-
nario negativo, perché entrambi gli integrali in (4.11) ricadono nel caso α < 0
del lemma di Jordan e pertanto si può chiudere il cammino d’integrazione
con una semicirconferenza nel semipiano inferiore, ottenendo di nuovo zero:
I(x) = 0 se x < −a .
Se invece |x| < a, e si aggira l’origine nel semipiano immaginario positivo, il
primo integrale, che si può chiudere nel semipiano superiore, dà zero, mentre
il secondo, che va chiuso nel semipiano inferiore, dà:
1 eik(x−a)
I(x) = − (−2πi)Res =1.
2πi k k=0
Abbiamo cosı̀ dimostrato che I(x) = f (x) per ogni x 6= a. Per x = a
+R
e2ika
Z
1 1
I(a) = lim − dk . (4.12)
2πi R→∞ −R k k
Deformando di nuovo il cammino come prima, il primo integrale si chiude nel semipiano
immaginario positivo e si annulla per il teorema di Cauchy, mentre il secondo dà:
"Z #
− Z R Z
1 dk dk dz
I(a) = − lim + + , (4.13)
2πi R→∞ −R k + k γ z
dove γ è una semicirconferenza di raggio e centro k = 0 che giace nel semipiano Im k > 0.
I primi due integrali si elidono perché la funzione integranda è dispari, e il terzo si calcola
passando a coordinate polari:
Z 0
1 ieiθ 1 f (a−) + f (a+)
I(a) = − dθ = = . (4.14)
2πi π eiθ 2 2
101
Questo mostra che nei punti di discontinuità di prima specie la situazione è analoga a
quella vista per le serie di Fourier: l’antitrasformata dà il valor medio tra i limiti destro e
sinistro della funzione.
• Esempio 3
è
2
1 Z +∞ −(x/a)2 −ikx e−(ka) /4 Z +∞ −(x/a−ika/2)2
F (k) = √ e dx = √ e dx
2π −∞ 2π −∞
2
e−(ka) /4 Z +∞ −t2 a 2 2
= √ a e dt = √ e−a k /4 , (4.15)
2π −∞ 2
cioè ancora una gaussiana, di larghezza inversamente proporzionale a quella
della funzione trasformanda. 1
La verifica della (4.6), che dà l’antitrasformata di F (k), è immediata: non
si tratta che di rifare lo stesso conto con a → A = 2/a.
102
• Trasformata di Fourier di funzioni a parità definita
Cosı̀ come la serie trigonometrica di Fourier di una funzione pari (di-
spari) contiene solo coseni (seni), le trasformate di Fourier di funzioni
a parità definita si possono semplificare come segue:
1 Z∞
F (k) = √ f (x)[cos(kx) − i sin(kx)]dx
2π −∞
s ( R
∞
2 0R f (x) cos(kx)dx se f (−x) = f (x)
= ∞ (4.18)
π −i 0 f (x) sin(kx)dx se f (−x) = −f (x) .
Fk (f 0 ) = ikFk (f ) (4.19)
1 Z∞ 0
Fk (f 0 ) = √ f (x)e−ikx dx
2π −∞
∞
f (x) −ikx ik Z ∞
= √ e +√ f (x)e−ikx dx
2π
−∞ 2π −∞
Z ∞
ik
= √ f (x)e−ikx dx = ikFk (f ) ,
2π −∞
dove il termine integrato deve essere nullo affinché la trasformata di
Fourier esista.
La relazione (4.19) può essere iterata per ottenere le trasformate delle
derivate successive:
103
Moltiplicando ambo i membri della (4.19) per −i e usando la linea-
rità della Trasformata di Fourier si può simbolicamente stabilire la
corrispondenza:
d
−i ↔k (4.22)
dx
fra l’operatore derivata nello spazio delle funzioni f (x) e la semplice
moltiplicazione per k nello spazio delle funzioni F (k); tale corrispon-
denza è di grande importanza in Meccanica Quantistica.
• Dalla disuguaglianza
1 Z +∞
|Fk (f )| ≤ √ |f (x)|dx = cost. (4.23)
2π −∞
segue che la T.F. di una funzione sommabile è sempre una funzione
limitata. Dalla(4.21)
segue quindi che la T.F. di una funzione n volte
1
derivabile è O kn per k → ∞; in breve, quanto più una funzione
è liscia tanto più velocemente la sua T.F. va a zero all’infinito.
• Se l’argomento della funzione f (x) viene traslato di una costante reale a, per la F
vale la seguente relazione:
Infatti
Z ∞
1
Fk [f (x + a)] = √ f (x + a)e−ikx dx
2π −∞
Z ∞
eika ∞
Z
1 0 0
= √ f (x0 )e−ik(x −a) dx0 = √ f (x0 )e−ikx dx0
2π −∞ 2π −∞
ika
= e Fk (f ) .
104
d
Fk [xf (x)] = i Fk [f (x)] (4.25)
dk
come si può facilmente verificare derivando sotto il segno, nell’ipotesi
che la funzione xf (x) sia ancora sommabile sull’asse reale. Come la
(4.19), anche la (4.25) si può iterare, ottenendo
!n
n d
Fk [x f (x)] = i Fk [f (x)] (4.26)
dk
d
x↔i , (4.27)
dk
fra moltiplicazione per x nello spazio delle f (x) e la derivata nello spazio
delle F (k).
Fk (f ) ∈ S , ∀f ∈ S . (4.29)
• Teorema di convoluzione.
Definiamo la convoluzione g = f1 ∗ f2 di due funzioni f1 e f2 :
Z ∞
g(x) = f1 (x0 )f2 (x − x0 )dx0 . (4.30)
−∞
105
È immediato vedere che il prodotto convolutivo è commutativo e asso-
ciativo:
f1 ∗ f2 = f2 ∗ f1 (4.31)
f1 ∗ (f2 ∗ f3 ) = (f1 ∗ f2 ) ∗ f3 . (4.32)
√
Fk (g) = 2πFk (f1 )Fk (f2 ) . (4.33)
Dimostrazione.
1 Z∞
Fk (g) = √ dxg(x)e−ikx
2π −∞
1 Z∞ Z ∞
= √ dx dx0 f1 (x0 )f2 (x − x0 )e−ikx
2π −∞ −∞
1 Z∞ Z ∞
0 0
= √ dx dx0 f1 (x0 )e−ikx f2 (x − x0 )e−ik(x−x ) .
2π −∞ −∞
1 Z∞ 0 0 −ikx0
Z ∞ √
Fk (g) = √ dx f1 (x )e dzf2 (z)e−ikz = 2πFk (f1 )Fk (f2 ) .
2π −∞ −∞
[q.e.d.]
106
le Trasformate di Fourier dell’incognita u(x) e del termine noto f (x), l’equa-
zione differenziale
diventa semplicemente:
∂ 2 T (x, t) 1 ∂T (x, t)
2
= (4.36)
∂x κ ∂t
con la condizione iniziale
T (x, 0) = f (x) .
107
∞ 2
Z
−ikx ∂ T (x, t) 1 Z ∞ −ikx ∂T (x, t)
e dx = e dx .
−∞ ∂x2 κ −∞ ∂t
Chiamando F R(k, t) la trasformata di Fourier rispetto a x della T (x, t), ovvero
+∞ −ikx
F (k, t) = √12π −∞ e T (x, t) dx, e ricordando la (4.20) si ottiene
1 ∂
− k 2 F (k, t) = F (k, t) .
κ ∂t
Questa è un’equazione differenziale del prim’ordine in F (k, t), la cui soluzione
è
2
F (k, t) = F (k, 0)e−κk t .
1 Z∞ −ikx 1 Z∞
F (k, 0) = √ T (x, 0)e dx = √ f (x)e−ikx dx ≡ F (k)
2π −∞ 2π −∞
da cui
1 −κk2 t Z ∞
F (k, t) = √ e f (x)e−ikx dx .
2π −∞
1 Z∞
T (x, t) = √ F (k, t)eikx dk
2π −∞
1 Z∞ Z ∞
0 2
= dk dx0 f (x0 )e−ikx eikx e−κk t
2π −∞ −∞
1 Z∞ 2
Z ∞
0
= dke−κk t dx0 f (x0 )e−ik(x −x) ,
2π −∞ −∞
integriamo su k
−∞
π − (x0 −x)2
r
= e 4κt ,
κt
108
e giungiamo finalmente al risultato:
s
1 Z∞ (x0 −x)2
T (x, t) = f (x0 )e− 4κt dx0 .
4πκt −∞
2
Si può arrivare più facilmente allo stesso risultato osservando che e−κk t è la
2
1
T.F. di √2κt e−x /(4κt) ; quindi F (k, t) è il prodotto di due T.F. e l’antitrasfor-
2
1
mata è la convoluzione di f (x) e √2κt e−x /(4κt) .
La funzione3 s
0 1 − (x0 −x)2
G(x, x , t) = e 4κt θ(t), (4.37)
4πκt
detta nucleo del calore (heat kernel), è la funzione di Green o propagatore
dell’eq. (4.36) ed è tale che la
Z ∞
T (x, t) = G(x, x0 , t)f (x0 )dx0 (4.38)
−∞
f (x) = δ(x)
(per la definizione della delta di Dirac δ(x), vedi più avanti, paragrafo ??) allora il calore
si propaga in modo
√ che la temperatura assume una distribuzione gaussiana di larghezza
proporzionale a t:
∞
Z r
0 0 0 1 − x2
T (x, t) = G(x, x , t)δ(x )dx = G(x, 0, t) = e 4κt .
−∞ 4πκt
È anche interessante notare che per t → 0+ il nucleo del calore (4.37) tende alla delta
di Dirac (vedi eq. (5.69)):
lim G(x, x0 , t) = δ(x − x0 ), (4.39)
t→0+
come deve essere affinché la (4.38) riproduca le condizioni iniziali per t → 0+.
3
Con
0 t<0
θ(t) =
1 t>0
109
4.2 Trasformata di Laplace
Come abbiamo già detto nel paragrafo precedente, il metodo della T.F. per-
mette di risolvere equazioni differenziali a coefficienti costanti soltanto in un
campo molto ristretto; la stessa funzione f (x)=1 non potrebbe essere accet-
tata né come soluzione né come termine noto. D’altra parte, se vogliamo
risolvere un’equazione con condizioni iniziali al tempo t = 0, ci interessa sa-
pere solo ciò che succede per t ≥ 0. È quindi conveniente considerare una
sorta di T.F. definita da un integrale esteso solo al semiasse delle t > 0. In
tal caso, se f (t) è localmente sommabile, cioè è sommabile su ogni intervallo
finito del semiasse reale t ≥ 0, e se esistono una α0 ∈ R, una M > 0 e un
t0 ≥ 0 tali che ∀t > t0 valga
0
e−α t |f (t)| < M (4.40)
la funzione
110
complesso. Infatti antitrasformando la (4.42) si ricava, nell’ipotesi che f (t)
sia di classe C 1 nell’intorno di t,
Z R
−αt 1
f (t)e θ(t) = √ lim Gα (ω)eiωt dω , (4.44)
2π R→∞ −R
da cui
Z R
1 1 Z
f (t)θ(t) = lim g(ω)e(α+iω)t dω = F (s)est ds , (4.45)
2π R→∞ −R 2πi γ
dove il cammino di integrazione γ è una retta parallela all’asse immaginario
del piano di s, di equazione Re s=α > α0 . L’antitrasformata (4.45) si indica
di solito, sottintendendo la θ(t), come
1 Z α+i∞
f (t) = F (s)est ds , (4.46)
2πi α−i∞
che per essere più precisi andrebbe scritta come
Z α+iR
1
f (t) = lim F (s)est ds . (4.47)
2πi R→∞ α−iR
Osserviamo subito: si può dimostrare che F (s) = o(1) per s → ∞ in ogni
direzione del semipiano di analiticità. Per t < 0 si può quindi applicare il
lemma di Jordan (vedi caso 4) chiudendo il cammino con una semicirconfe-
renza nel semipiano a destra di Re s = α, ottenendo f (t) = 0, visto che F (s)
è analitica nel semipiano Re s > α0 .
4.2.1 Esempi
111
• La trasformata di Laplace della funzione f (t) = tn è
Z ∞ Z ∞ n
∂ −st
F (s) = tn e−st dt = (−1)n e dt
0 0 ∂sn
dn Z ∞ −st dn 1
= (−1)n n e dt = (−1)n n
ds 0 ds s
n!
= n+1 .
s
• La trasformata di Laplace della funzione f (t) = cos t è
Z ∞
−st 1 Z ∞ −st it
F (s) = e cos tdt = e e + e−it dt
0 2 0
−(s−i)t ∞
∞ )
e−(s+i)t
(
1 e s
= + = 2 .
2 −(s − i) 0 −(s + i) 0
s +1
Tutte le funzioni discusse in questi esempi hanno ascissa di convergenza α0 =
0; la loro Trasformata di Laplace è perciò analitica in tutto il semipiano
Res > 0; nell’esempio successivo vedremo che non è sempre cosı̀.
• La trasformata di Laplace della funzione f (t) = eat , con a ∈ C, è
∞
Z ∞
−st at e−(s−a)t 1
F (s) = e e dt = = ,
0 −(s − a) 0 s−a
dove è stato necessario supporre Re s > Re a per poter affermare
che limt→+∞ e−(s−a)t = 0; per Re s < Re a l’integrale che definisce la
trasformata di Laplace diverge, quindi l’ascissa di convergenza della
funzione f (t) = eat è α0 = Re a; ciò concorda con il fatto che la
trasformata di Laplace F (s) è analitica nel semipiano Re s > Re a.
Per tutti questi esempi lasciamo allo studente la verifica dell’eq. (4.46).
Riflettendo su questi esempi lo studente si convincerà anche della seguente
importante proprietà:
• Se la T.L. Ls (f (t)) ha poli con Re s > 0 la funzione f (t) esplode
esponenzialmente per t → +∞; viceversa se Ls (f (t)) ha singolarità solo
a sinistra dell’asse immaginario allora f (t) decresce esponenzialmente
per t → +∞; se i poli sono sull’asse immaginario f (t) può oscillare o
crescere come una potenza di t.
Questa proprietà è di grande importanza per le applicazioni a sistemi fisici e
fornisce un criterio di stabilità nel tempo. Quando, per esempio, un sistema
di amplificazione comincia a produrre un sibilo di ampiezza crescente (for-
tunatamente limitata dalla non linearità e quindi saturazione del sistema)
possiamo dire che una qualche singolarità della T.L. della sua funzione di
trasferimento ha acquistato parte reale non negativa.
112
4.2.2 Proprietà della trasformata di Laplace
È evidente che qui con f (0) si intende il limite destro di f (x) per x → 0.
Nell’ipotesi che anche le derivate successive di f (t) esistano e ammetta-
no T.L., la relazione (4.48) può essere iterata per ottenere le trasformate
delle derivate successive:
Ls [f 00 (t)] = sLs [f 0 (t)] − f 0 (0)
= s2 Ls [f (t)] − sf (0) − f 0 (0) (4.49)
000 00 00
Ls [f (t)] = sLs [f (t)] − f (0)
= s3 Ls [f (t)] − s2 f (0) − sf 0 (0) − f 00 (0) (4.50)
(n) (n−1) (n−1)
Ls [f (t)] = sLs [f (t)] − f (0)
= s Ls [f (t)] − s f (0) − sn−2 f 0 (0) − ... − sf (n−2) (0) − f (n−1) (0) .
n n−1
(4.51)
Dalla (4.51) segue che se la funzione f (t) è n volte derivabile e f (n) (t)
ammette T.L. vale
f (0) f 0 (0) f (n−1) (0) Ls [f (n) ]
Ls [f (t)] = + 2 + ··· + , (4.52)
s s sn sn
113
che dà utili informazioni sull’andamento per s → ∞ della trasformata
di Laplace (teorema di Tauber). È da notare che, anche se f (t) ∈ C ∞ ,
non è affatto detto che la serie che facilmente si deduce dalla (4.52)
converga. In realtà essa è in generale una serie asintotica, che sarà
definita nel corso di Metodi Matematici della Fisica II.
• La trasformata di Laplace dell’integrale di una funzione g(t) è legata alla trasfor-
mata di g(t) dalla relazione:
Z x
1
Ls g(t)dt = Ls [g(x)] . (4.53)
0 s
Partendo dalla formula per la trasformata di Laplace per le derivate (4.48) e po-
nendo g(x) = f 0 (x) si ottiene infatti
Z x
f (x) = f (0) + g(t)dt .
0
ovvero
Z x
Ls [g(x)] = sLs g(t)dt ,
0
• Se l’argomento della funzione f (t) viene traslato di una costante a, per la trasfor-
mata di Laplace vale la seguente relazione:
Z a
Ls [f (t + a)] = eas Ls [f (t)] − θ(a) f (t)e−st dt . (4.54)
0
Per dimostrare la (4.54) bisogna distinguere i due casi a < 0 e a > 0. Ricordiamo
infatti che la trasformata di Laplace è un integrale tra 0 e ∞ e che è sottintesa una
θ(t), che implica f (t) = 0 se t < 0. Quindi
Z ∞ Z ∞
−st (t0 =t+a) 0
Ls [f (t + a)] = f (t + a)e dt = f (t0 )e−s(t −a) dt0
0 a
Z ∞
sa 0 −st0 0
= e f (t )e dt .
a
Ora, se a < 0,
Z ∞ Z ∞
0 0
Ls [f (t + a)] = esa f (t0 )e−st dt0 = esa f (t0 )e−st dt0 = esa Ls [f (t)] .
a 0
114
Se invece a > 0,
Z ∞ Z ∞ Z a
0 0 0
Ls [f (t + a)] = esa f (t0 )e−st dt0 = esa f (t0 )e−st dt0 − esa f (t0 )e−st dt0
a 0 0
Z a
sa sa 0 −st0 0
= e Ls [f (t)] − e f (t )e dt .
0
d
Ls [tf (t)] = − Ls [f (t)] ,
ds
come si può facilmente verificare a partire dalle definizioni di L. Notare
che, diversamente da quanto avviene per la T.F., qui siamo sempre
sicuri che se f (t) ammette T.L. anche tn f (t) la ammette, ∀n ∈ N;
equivalentemente, ogni T.L. è sempre infinitamente derivabile nella sua
regione di convergenza, mentre ciò non è affatto detto per la T.F. (vedi
1
per esempio la T.F. di a2 +x 2 , par.4.1.1).
Allora
4
Notare che malgrado l’estremo superiore di integrazione sia t la definizione (4.55)
coincide con la (4.30), se si assume che f1 e f2 si annullino quando il loro argomento è
negativo.
115
4.2.3 Trasformate di Laplace ed equazioni differenziali
lineari a coefficienti costanti
Come si è detto nel par. 4.1.3 il metodo della trasformata di Fourier per
risolvere equazioni differenziali lineari si può applicare solo in un numero
ristretto di casi, cioè quando il termine noto e la soluzione dell’equazione
differenziale sono sommabili. La trasformata di Laplace permette di risolvere
equazioni differenziali lineari a coefficienti costanti
d2 u du
c2 2
+ c1 + c0 u = f (t) (4.57)
dt dt
per una classe più estesa di funzioni e permette inoltre di tener conto auto-
maticamente delle condizioni iniziali
u(0) = u0
du
= u1 . (4.58)
dt t=0
• Esempio
116
Consideriamo il circuito oscillante di Fig. 3.1 e cerchiamo la soluzione dell’e-
quazione differenziale
du d2 u
u + RC + LC 2 = f (t) (4.61)
dt dt
con le condizioni iniziali
u 0 = i0 = 0 (4.66)
V
U (s) = . (4.68)
(s − iω)(1 + RCs + LCs2 )
R 1√ R2 4
s0 = iω , s1,2 = − ± ∆ con ∆ = − . (4.69)
2L 2 L2 LC
117
Ora, se ∆ > 0, s1 e s2 giacciono√sull’asse reale negativo (perché R > 0),
se ∆ < 0, s1 = s∗2 = − 2L R
+ 2i −∆ e se ∆ = 0 i due poli sono reali
e coincidenti (polo doppio). L’antitrasformata di U vale, secondo la
(4.46),
1 Z r+i∞ st
u(t) = e U (s) , con r > 0 (4.70)
2πi r−i∞
ovvero, se s1 6= s2 ,
est
( )
V X
u(t) = Res
LC s=0,s1 ,s2 (s − iω)(s − s1 )(s − s2 )
eiωt es1 t es2 t
" #
V
= + + .
LC (s1 − iω)(s2 − iω) (s1 − iω)(s1 − s2 ) (s2 − iω)(s2 − s1 )
(4.71)
118
che verifica le condizioni iniziali
V 1
u(0) = [1 − 1] = 0 (4.75)
LC s21
V 1 s1 t 2
i(t) = e (ts1 − s1 + s1 ) ⇒ i(0) = 0 (4.76)
LC s21
e per t → +∞ si comporta come nel caso precedente.
u 0 = V e i0 = 0 . (4.78)
da cui
s+ R L
s+ R L
U (s) = V =V .
s2 + R
L
s + 1
LC
(s − s1 )(s − s2 )
119
R
Se invece s1 = s2 = − 2L
est s + R
d R st
L
u(t) = Res =V s+ e
(s − s1 )2 ds L
s=s1
s=s1
R
= V 1 + s1 t + t es1 t .
L
Si verifica facilmente che le condizioni iniziali sono soddisfatte:
u(0) = V
d R
i(t) = CV 1 + s1 t + t es1 t
dt L
R R s1 t
2
= CV s1 t + s1 t + 2s1 + e
L L
R
⇒ i(0) = 2s1 + =0.
L
In entrambi i casi, per t → +∞ sia la tensione u(t) che la corrente
i(t) tendono esponenzialmente a zero, come ci si aspetta. Anche qui
t → +∞ significa t >> 2L/R.
120
Capitolo 5
Spazi L2 e Distribuzioni
Sin dall’inizio del Capitolo 3.2 abbiamo visto l’importante ruolo giocato dalle
relazioni di ortogonalità (3.36) nel calcolo dei coefficienti di Fourier. In que-
sto capitolo torneremo su questo argomento trattandolo in modo un po’ più
approfondito, e ciò ci permetterà di dare una definizione di convergenza delle
serie (e trasformata) di Fourier molto più generale ed appropriata. Allarghe-
remo inoltre il campo delle funzioni introducendo il concetto di distribuzione;
riusciremo cosı̀ a derivare funzioni anche nei loro punti di discontinuità di I
specie e ad ampliare di molto il campo delle funzioni che ammettono T.F.
Z b
(f , g) = f ∗ (x)g(x)dx . (5.1)
a
121
fi∗ gi .
X
(f , g) = (5.2)
i
Z b
(f , αg + βh) = f ∗ (x) [αg(x) + βh(x)] dx
a
Z b Z b
= α f ∗ (x)g(x)dx + β f ∗ (x)h(x)dx
a a
= α(f , g) + β(f , h) .
2) Hermiticità:
"Z #∗
b Z b
∗ ∗
(f , g) = f (x)g(x)dx = f (x)g ∗ (x)dx = (g, f ) ,
a a
che si riduce alla commutatività nel caso di spazio vettoriale sui reali.
3) Positività1 :
Z b
(f , f ) = |f (x)|2 dx ≥ 0 , (5.3)
a
122
Notare che dalle proprietà 1) e 2) segue che il prodotto scalare (5.1) è
antilineare nel primo fattore:
123
Grazie alla proprietà P3, per calcolare un integrale alla Lebesgue di fatto
si continua a calcolare il solito integrale di Riemann.
Perché allora complicarci la vita con l’integrale di Lebesgue? La ragione
è che esistono delle funzioni piuttosto bizzarre che sono sommabili, cioè
integrabili alla Lebesgue, senza esserlo alla Riemann 4 ; tali funzioni, del tutto
prive di interesse per la fisica, sono però essenziali per rendere completo lo
spazio funzionale, nel senso che preciseremo fra poco.
Un esempio di tali funzioni un pò strambe è la funzione di Dirichlet, cosı̀
definita su tutto l’asse reale:
(
1 x∈Q
d(x) =
0 x∈
/Q,
dove Q è l’insieme dei numeri razionali.
Si può dimostrare che tale funzione, che evidentemente non è integrabile
alla Riemann, è però sommabile e che il suo integrale di Lebesgue vale zero.
La funzione di Dirichlet è diversa da zero solo sui razionali, cioè su
un’infinità numerabile di punti; il fatto che il suo integrale si annulli è un
caso particolare della più generale
Proprietà 5: Condizione necessaria e sufficiente affinché una funzione
a valori reali non negativi abbia integrale di Lebesgue nullo è che essa sia
quasi ovunque nulla nell’intervallo (finito o infinito) di integrazione; dicendo
che una proprietà vale quasi ovunque (che si abbrevia con q.o.) su un
intervallo si intende che l’insieme dei punti in cui non vale sia di misura
nulla, cioè, in pratica, finito o infinito numerabile5 .
Come conseguenza della Proprietà 5 si può allora affermare che il vettore
nullo (cioè il vettore di norma nulla, che vogliamo sia unico) è rappresentato
dall’intera classe delle funzioni quasi ovunque nulle; analogamente, a ogni
vettore dello spazio astratto corrisponde una classe di funzioni quasi ovunque
uguali quadrato sommabili; tale spazio, dotato del prodotto scalare (5.1), 6
si denota con il simbolo L2 (a, b).
Si denota invece con L(a, b) lo spazio delle funzioni sommabili 7 .
4
Inoltre l’integrale di Lebesgue gode di proprietà, discusse in Appendice E, che rendono
molto più semplice derivare sotto il segno, scambiare il limite con l’integrale e scambiare
l’ordine d’integrazione in integrali multipli.
5
Nel piano, un insieme di misura nulla può essere costituito non solo da un’infinità
numerabile di punti, ma anche da un numero finito o infinito numerabile di segmenti (o
curve differenziabili) e cosı̀ via.
6
che evidentemente non dipende da quale funzione si sceglie per rappresentare la classe.
7
In L(a, b) non è definito il prodotto scalare, anche se è ancora uno spazio vettoria-
le normato; per la reazione di inclusione fra L(a, b) e L2 (a, b), su intervallo finito, vedi
Appendice E.
124
Due funzioni f (x) e g(x) appartenenti a L2 (a, b) si definiscono ortogonali
se il loro prodotto scalare è nullo:
Z b
(f , g) = f ∗ (x)g(x)dx = 0 .
a
Z b
(φi , φk ) = φ∗i (x)φk (x)dx = δik , ∀i, k .
a
n
X
f (x) = ck φk (x) (5.6)
k=1
n
X
f= ck φk , (5.7)
k=1
Z b n n
φ∗i (x)f (x)dx =
X X
(φi , f ) = ck (φi , φk ) = ck δik = ci . (5.8)
a k=1 k=1
Questo risultato era ovviamente atteso, poiché stiamo lavorando in uno spa-
zio a numero finito di dimensioni, la varietà ennedimensionale generata dai
vettori φ1 , · · · φn . In L2 (a, b) esistono però sistemi ON formati da un’infinità
numerabile di vettori; per esempio la eq.(3.36) mostra che in L2 (0, 2π) le
funzioni trigonometriche (in forma esponenziale)
eilx
φl (x) = √ (5.9)
2π
formano un sistema ON infinito numerabile. Per estendere la (5.6) al caso
in cui n sia infinito, bisogna affrontare il problema della convergenza della
serie, e questo è l’argomento centrale di questo paragrafo.
125
Se {φi , i = 1, 2, ...} è un insieme infinito numerabile di funzioni orto-
normali di L2 (a, b) e ∀f (x) ∈ L2 (a, b), consideriamo dapprima la proiezione
ortogonale fN del vettore f sul sottospazio generato dai vettori ON φ1 , · · · φN .
Essa è data da
N
X
fN (x) = ci φi (x) N = 1, 2 · · · , (5.10)
i=1
con
Z b
ci = (φi , f ) ≡ φ∗i (x)f (x)dx, (5.11)
a
∞
|ck |2 ≤ (f , f ) .
X
(5.12)
k=1
Da
kf − fN k2 ≥ 0 (5.13)
segue che
N N
kf − fN k2 = (f , f ) + c∗k cl (φk , φl ) − [ck (f , φk ) + c∗k (φk , f )]
X X
k,l=1 k=1
N N
|ck |2 − (ck c∗k + c∗k ck )
X X
= (f , f ) +
k=1 k=1
N
|ck |2 ≥ 0 ,
X
= (f , f ) −
k=1
da cui
N
|ck |2 ≤ (f , f ) .
X
k=1
126
Se il sistema di vettori {φk } è tale che la disuguaglianza di Bessel vale
con il segno = per ogni f , allora il sistema di vettori {φk } si dice completo
e costituisce una base ON in L2 (a, b). La (5.12) diventa allora
∞
|ck |2 = (f , f )
X
(5.14)
k=1
lim kf − fN k2 = 0. (5.16)
N →∞
Abbiamo cosı̀ definito la somma della serie di Fourier nello spazio vettoriale
astratto; in termini di funzioni la (5.16) significa:
Z b
lim |f (x) − fN (x)|2 dx = 0, (5.18)
N →∞ a
127
dove la ridotta N − esima della serie di Fourier è data dalla (5.10) con i
coefficienti (5.11).
La (5.18) si abbrevia nel modo seguente:
L2 (a, b) tale che f = ci φi (È per questa dimostrazione che è importante che
P
l’integrale sia di Lebesgue e che vengano quindi incluse nello spazio funzionale
anche funzioni non integrabili alla Riemann).
Uno spazio vettoriale sui complessi, dotato di prodotto scalare e completo,
si dice spazio di Hilbert.
La completezza di uno spazio, in particolare dello spazio L2 (a, b), e la
sua separabilità, permettono di stabilire una corrispondenza biunivoca fra i
suoi elementi f e gli insiemi infiniti numerabili dei loro coefficienti di Fourier
ci , che possiamo considerare come le componenti di un vettore rispetto alla
base φi prefissata.
8
Purtroppo la parola completo viene usata con due significati del tutto diversi: la
completezza dello spazio non ha nulla a che fare con la completezza di un sistema di
funzioni o vettori.
128
È facile mostrare che tale corrispondenza conserva i prodotti scalari: se
P P
f (x) = i ci φi e g(x) = i di φi , allora
∞ ∞ ∞
!
Z b
f ∗ (x)g(x) dx = c∗i (φi , g) = c∗i di , (5.21)
X X X
(f , g) = ci φi , g =
a i=1 i=1 i=1
129
Z +∞
2
lim kF − FN k = lim |F (k) − FN (k)|2 dk = 0 .
N →∞ N →∞ ∞
Z +∞
f (x) = l.i.m.N →∞ fN (x) ⇔ lim |f (x) − fN (x)|2 dx = 0 , (5.24)
N →∞ ∞
dove
1 Z N ikx
fN (x) = √ e F (k) dk . (5.25)
2π −N
In fisica si continua a scrivere
1 Z +∞ −ikx 1 Z +∞ ikx
F (k) = √ e f (x)dx , f (x) = √ e F (k)dk (5.26)
2π −∞ 2π −∞
anche per f (x) ∈ L2 , ma la scrittura corretta è data dalle equazioni (5.22),
(5.23), (5.24), (5.25). Naturalmente le (5.26) sono anche formalmente cor-
rette se f (x) ∈ L(R) L2 (R), F (k) ∈ L(R) e f (x) è di classe C 1 nel punto
T
Z ∞ 1 Z +∞ Z +∞
∗ ∗
F (k)G(k) dk = √ dk F (k) dx e−ikx g(x)
−∞ 2π −∞ −∞
∗
1 Z +∞
Z +∞ Z +∞
=√ dx g(x) dk e−ikx F ∗ (k) = f ∗ (x)g(x) dx .
2π −∞ −∞ −∞
130
• Esempio
1 Z∞ −iωt 1 Z ∞ −t/T
F (ω) = √ f (t)e dt = √ e sin(ω0 t)e−iωt dt
2π −∞ 2π 0
Z ∞ Z ∞
1
= √ e(−1/T −iω+iω0 )t dt − e(−1/T −iω−iω0 )t dt
2i 2π 0 0
" #
1 1 1
= √ − ,
2i 2π 1/T + i(ω − ω0 ) 1/T + i(ω + ω0 )
cioè
" #
1 1 1
F (ω) = √ − .
2 2π (ω − ω0 ) − i/T (ω + ω0 ) − i/T
Per dare un’interpretazione fisica alle funzioni f (t) e F (ω), supponiamo
che f (t) sia il campo elettrico di un’onda irradiata. Allora la potenza
R∞
irra-
diata è W ∝ |f (t)| e l’energia totale irradiata è proporzionale a 0 |f (t)|2 dt.
2
Z ∞ 1 Z∞
2
|f (t)| dt = |F (ω)|2 dω .
0 2π −∞
Quindi |F (ω)|2 rappresenta (a meno di costanti) l’energia irradiata per in-
tervallo unitario di frequenza:
1 ω02
|F (ω)|2 = .
2π (ω02 − ω 2 )2 + 2 ω02 +ω 2
+ 1
T2 T4
ω02 T 2
|F (ω)|2 '
(ω02 − ω 2 )2 T 2 + 2(ω02 + ω 2 )
131
5.2 Sistemi ONC in L2
• Le funzioni trigonometriche
eikx
( )
√ , k = 0, ±1, ±2, ... (5.28)
2π
che avevamo già visto in (5.9), costituisce una base ON in L2 (0, 2π).
Usando le formule di Eulero, esso può essere riscritto come sistema
trigonometrico:
( )
1 cos nx sin nx
√ , √ , √ ; n = 1, 2, · · · (5.29)
2π π π
Z b
xn xm dx 6= 0 (5.31)
a
anche per n 6= m.
132
È possibile tuttavia ortogonalizzarlo, passando dalle funzioni xn a loro
combinazioni lineari, che saranno polinomi Pn (x), costruiti in modo tale che
11
Z b
Pn (x)Pm (x)dx = hn δnm .
a
∞
X
f (x) = αn Pn (x) .
n=0
1 dn 2
Pn (x) = (x − 1)n , (5.32)
2n n! dxn
dove si è usata la normalizzazione convenzionale:
Z 1 2
Pm (x)Pn (x)dx = δmn . (5.33)
−1 2n + 1
Per dimostrare che (Pm , Pn ) = 0 per n 6= m basta scrivere, per m < n
dn dn
" #
Z 1 Z 1
(Pm , Pn ) = cost dxPm (x) n (x2 −1)n = cost dx Pm (x) (x2 −1)n ,
−1 dx −1 dxn
(5.34)
dove si è integrato n volte per parti tenendo conto che i contributi negli
estremi si annullano poiché
+1
dl 2
n
(x − 1) = 0 per ogni l ≤ n − 1 , (5.35)
dxl
−1
11
Per ragioni di comodità e tradizione non sempre le costanti positive hn sono scelte
uguali a 1.
133
e accorgersi che
dn
Pm (x) = 0 ∀n ≥ m + 1 . (5.36)
dxn
Dalla (5.32) segue che i primi polinomi di Legendre sono
1
P0 (x) = 1 , P1 (x) = x , P2 (x) = (3x2 − 1) , · · · .
2
Inoltre è facile dimostrare che i polinomi di Legendre obbediscono all’equazione
differenziale di Legendre
d 2 d
Lx Pn (x) = λn Pn (x) con Lx = (x − 1) e λn = n(n + 1) . (5.38)
dx dx
h i
d d
Dimostrazione: Fn (x) = dx (x2 − 1) dx Pn (x) è ancora evidentemente un
polinomio di grado n; può quindi essere scritto nella forma
n
X (n)
Fn (x) = αl Pl (x) (5.39)
l=0
(n)
con gli αl proporzionali a
Z 1 Z 1 d 2 d
dxPl (x)Fn (x) = (x − 1) Pn (x)
dxPl (x)
−1 −1
"
dx dx #
Z 1 Z 1
2 d d
= − dx (x − 1) Pl (x) Pn (x) = dxFl (x)Pn (x) ,
−1 dx dx −1
(5.40)
134
Se l’intervallo è infinito non è possibile utilizzare direttamente le potenze
perché esse non sono quadrato sommabili (l’integrale (5.31) non esiste). Tut-
tavia sull’intervallo (−∞, +∞) si può introdurre un fattore di convergenza
2 2
e−x , definire il sistema di funzioni {e−x /2 xn }, quadrato sommabili sull’asse
reale qualunque sia n = 0, 1, 2, ..., e ortogonalizzarlo secondo il metodo appe-
na descritto. Questo conduce ai polinomi di Hermite, dati dalla formula
di Rodrigues generalizzata
2 dn −x2
Hn (x) = (−1)n ex e , n = 0, 1, 2 · · · (5.42)
dxn
e normalizzati come segue:
Z +∞ 2 √
e−x Hm (x)Hn (x)dx = 2n n! πδmn .
−∞
L’ortogonalità dei polinomi dati dalla (5.42) si dimostra come per i poli-
nomi di Legendre. I primi polinomi di Hermite sono
ovvero " #
x2 d −x2 d
e e Hn (x) = −2nHn (x) , (5.44)
dx dx
mentre le funzioni associate di Hermite
2 /2
ψn (x) = e−x Hn (x) , n = 0, 1, 2 · · · (5.45)
che formano una base ortogonale in L2 (R), (ψn , ψm ) = δnm hn , sono solu-
zioni dell’equazione dell’oscillatore armonico quantistico:
d2
Lx ψn (x) = λn ψn (x) con Lx = − + x2 e λn = 2n + 1 , (5.46)
dx2
che si dimostra in stretta analogia alla (5.38). L’esistenza del sistema ONC
(5.45), ovviamente numerabile, implica che anche lo spazio delle funzioni
quadrato sommabili sull’intero asse reale è separabile.
135
• Polinomi di Laguerre
Analogamente nell’intervallo (0, +∞) si può partire dal sistema {e−x/2 xn+γ/2 },
con γ > −1, e ortogonalizzarlo, ottenendo cosı̀ i polinomi di Laguerre Lγn , su
cui non ci soffermiamo. Le funzioni e−x/2 xγ/2 Lγn (x) formano, per ogni γ > −1
fissato, un sistema ONC in L2 (0, ∞)
d2
!
Z +∞ Z +∞
∗ ∗
(u, Lv) = u (x)Lx v(x) = u (x) − 2 + x2 v(x)
−∞ −∞ dx
#∗
2
" !
Z +∞ d
= − 2 + x2 u(x) v(x) . (5.48)
−∞ dx
d
Lo stesso vale anche per i sistemi trigonometrici, se si prende Lx = −i dx , con
condizioni al contorno periodiche u(π) = u(−π). Infatti
!
Z +π d
(u, Lv) = ∗
dxu (x) −i v(x) = −i u∗ (x)v(x)|+π
−π
−π dx
" # " #∗
Z +π d ∗ Z +π
d
+ dx i u (x) v(x) = dx −i u(x) v(x)
−π dx −π dx
= (Lu, v) . (5.49)
136
Notare l’importanza delle condizioni al contorno periodiche per poter
“buttar via” il contributo agli estremi nell’integrazione per parti. Confron-
tando (φn , Lφn ) = λn (φn , φn ) con la sua complessa coniugata e usando la
(5.47) si vede subito che
da cui
(φn , φm ) = 0 se λn 6= λm . (5.52)
Notare che queste due proprietà sono identiche a quelle degli operatori (ma-
trici) hermitiani negli spazi unitari finito dimensionali. Il discorso invece sulla
completezza dei sistemi di autofunzioni di un operatore autoaggiunto in uno
spazio infinito dimensionale è molto più delicato e non sarà affrontato qui: ci
limitiamo a dire che tale sistema è completo per gli esempi visti qui (polino-
mi di Legendre in L2 (−1, 1), funzioni associate di Hermite in L2 (R), sistema
trigonometrico in L2 (−π, π)) e in molti altri, ma ciò non è sempre vero.
Perché il sistema di autofunzioni di un operatore autoaggiunto sia completo
è talvolta necessario includervi autofunzioni generalizzate, rappresentate da
“distribuzioni” anziché da funzioni quadrato sommabili; daremo un esempio
nel prossimo paragrafo. Vogliamo terminare questo paragrafo sottolineando
l’importanza delle condizioni al contorno. Per esempio l’equazione
d
−i u(x) = λu(x) (5.53)
dx
ammette la soluzione eiλx per ogni λ ∈ C; è solo la richiesta di periodicità
u(π) = u(−π) che seleziona i λ ∈ Z, e questa ci dà una base ortogonale in
L2 (−π, π); sull’intervallo (−∞, +∞) i valori reali di λ sono selezionati dalla
richiesta che u(x) sia limitata su tutto l’asse reale.
137
5.3 La δ di Dirac e le distribuzioni
dove
1 Z +N 1 sin N t
dN (t) = dke−ikt = . (5.57)
2π −N π t
Ovviamente non ha senso scambiare il limite con l’integrale poiché il limite
puntuale per N → ∞ di dN (t) non esiste. Tuttavia si può scrivere
138
tali funzioni di prova), integrare sulla variabile e poi fare il limite. Si scrive
allora per ogni funzione di prova g(x)
Z +∞ Z +∞
lim dydN (y − x)g(y) = δ(y − x)g(y)dy = g(x) . (5.59)
N →∞ −∞ −∞
T : g 7→ (T, g) ∈ C , (5.63)
139
troppo crescente per x → ±∞ (ci pensa g(x) ad assicurare la convergenza
dell’integrale) o addirittura, come nel caso della δ di Dirac, non è nemmeno
necessario che sia una funzione; in quest’ultimo caso la (5.64) non è che un
modo simbolico di scrivere la (5.63), dove la prescrizione per associare ad
ogni g ∈ S il numero complesso (T, g) è data in qualche altro modo, per
esempio per la δ di Dirac
si può provare
δ(x) = lim N D(N x) debole; (5.67)
N →∞
basta infatti moltiplicare per una funzione di prova qualsiasi g(x) e integrare
per ottenere
Z +∞ Z +∞ Z +∞
y
δ(x)g(x)dx = lim N D(N x)g(x)dx = lim D(y)g dy
−∞ N →∞ −∞ N →∞ −∞ N
= g(0) , (5.68)
dove:
1.
1 2 N 2 1 2 2
D(x) = √ e−x ⇒ δ(x) = lim √ e−(N x) = lim √ e−x / (5.69)
π N →∞ π →0+ π
140
2.
x < − 12 1
0
0
x < − 2N
D(x) = 1 |x| < 12 ⇒ δ(x) = lim N 1
|x| < 2N
N →∞
x > 21 . 1
0
0 x > 2N .
0 / − 2 , 2
x∈
= lim
→0+ 1 x ∈ − 2 , 2
(5.70)
3.
1 1 N 1 1
D(x) = 2
⇒ δ(x) = lim 2
= lim
π x +1 N →∞ π (N x) + 1 →0+ π x + 2
2
(5.71)
con φl (x) = eilx . La δ di Dirac può quindi essere vista come generalizzazione
della δ di Krönecker a indice continuo; si confrontino anche le proprietà
caratteristiche
Enunciamo ora un’importante proprietà della delta di Dirac. Sia f (x) una funzione con n
zeri semplici:
141
Allora:
n
X δ(x − xi )
δ(f (x)) =
df . (5.76)
i=1 dx
x=xi
2 2
Per esempio, se f (x) = x − a , la (5.76) fornisce
δ(x − a) δ(x + a) 1
δ(x2 − a2 ) = + = [δ(x − a) + δ(x + a)] .
2|a| 2|a| 2|a|
Caso particolare importante della (5.76) è
1
δ(ax) = δ(x) , ∀a ∈ R, a 6= 0 . (5.77)
|a|
Un’altra proprietà della δ di Dirac è
f (x)δ(x − x0 ) = f (x0 )δ(x − x0 ) , ∀f ∈ C ∞ (5.78)
come si dimostra moltiplicando ambo i membri per una qualsiasi funzione di
prova g(x) e integrando su x.
• Ogni distribuzione T è infinitamente derivabile secondo la defi-
nizione
! !
dT dg
, g = − T, , (5.79)
dx dx
che è la generalizzazione dell’identità
Z +∞ dT ∗ Z +∞
dg
g(x)dx = − T ∗ (x) dx (5.80)
−∞ dx −∞ dx
valida per ogni funzione di prova g ∈ S se T ∈ L C 1 (nell’integrazione
T
142
• La derivata nel senso delle distribuzioni è continua rispetto al limite
debole:
dT dTn
T = lim Tn debole ⇒ = lim debole . (5.83)
n→∞ dx n→∞ dx
La (5.83) fornisce un altro modo per ricavare la (5.81): partendo dalla
rappresentazione
1 1 x
θ(x) = + lim arctan ; (5.84)
2 →0+ π
della θ di Heaviside, derivando ambo i membri e scambiando il limite con la
derivata (il che è sempre lecito solo nel senso delle distribuzioni) si ottiene la
rappresentazione (5.71) della δ.
• Ogni distribuzione temperata T ammette Trasformata di Fourier,
secondo la definizione:
(Fk (T ), Fk (g)) ≡ (T, g) , ∀g ∈ S (5.85)
che generalizza l’analoga identità (5.27) valida per funzioni quadrato som-
mabili. La definizione (5.85) è sensata poiché, come dimostrato nel para-
grafo 4.1.2, la trasformata di Fourier manda lo spazio S in se stesso, quindi
Fk (g) ∈ S, ∀g ∈ S, e quindi Fk (T ) è a sua volta una distribuzione temperata.
Grazie alla definizione (5.85) si può calcolare la T.F. anche di funzioni che
non siano né sommabili né quadrato sommabili su R; basta che siano local-
mente sommabili e “non troppo crescenti” 14 . In particolare si può calcolare
la T.F. F (k) della funzione f (x) = eik0 x (k0 ∈ R); detta
1 Z +∞ −ikx
G(k) = √ e g(x)dx (5.87)
2π −∞
la sua T.F., per la (5.85), si scrive:
Z +∞ √
(F, G) = (f, g) = e−ik0 x g(x)dx = 2πG(k0 ) , (5.88)
−∞
da cui si deduce
√
F (k) ≡ Fk eik0 x = 2πδ(k − k0 ) . (5.89)
14
Non si può invece calcolare la T.F. di funzioni f che all’infinito crescano più di ogni
potenza, per esempio esponenzialmente; queste infatti non sono distribuzioni temperate
e per dare senso a Z +∞
(f, g) = f ∗ (x)g(x)dx (5.86)
−∞
bisognerebbe usare funzioni di prova “a supporto compatto” che non sono però mandate
in se stesse dalla T.F.
143
√
In particolare la T.F. di f (x) = 1 è 2πδ(k). Viceversa scegliendo f (x) =
δ(k − k0 ) la catena di identità
Z +∞ 1 Z +∞ ik0 x
(F, G) = (f, g) = δ(k − k0 )g(x)dx = g(x0 ) = √ e G(k)dk
−∞ 2π −∞
(5.90)
implica
1
F (k) ≡ Fk (δ(x − x0 )) = √ e−ikx0 . (5.91)
2π
Notare che le (5.89) e (5.91) potevano anche essere dedotte (in modo rozzo
e scorretto ma mnemonicamente efficace) scrivendo semplicemente
1 Z +∞ −ikx
F (k) = √ e f (x)dx (5.92)
2π −∞
ed utilizzando rispettivamente la rappresentazione (5.61) della δ di Dirac e
la sua definzione (5.59). Invitiamo lo studente a verificare che tale modo
diventa corretto se si usano invece i limiti deboli
2 /N 2
eik0 x = lim eik0 x e−x (5.93)
N →∞
N 2 2
δ(x − x0 ) = lim √ e−N x , (5.94)
N →∞ π
Usando infatti le (5.94) l’integrale (5.92) acquista senso proprio, poiché il suo
integrando diventa sommabile.
144
Appendice A
Funzioni armoniche
42 g(x, y) = 0 , (A.1)
∂u(x, y) ∂v(x, y)
= (A.2)
∂x ∂y
∂u(x, y) ∂v(x, y)
= − (A.3)
∂y ∂x
Derivando la (A.2) rispetto a x e la (A.3) rispetto a y si ottiene
∂ 2 u(x, y) ∂ 2 v(x, y)
=
∂x2 ∂x∂y
2
∂ u(x, y) ∂ 2 v(x, y) ∂ 2 v(x, y)
= − = − .
∂y 2 ∂y∂x ∂x∂y
1
Vedremo piu’ oltre che in realtà questa condizione è sempre soddisfatta perché ogni
funzione analitica è infinitamente derivabile
145
Nell’ultima equazione è lecito scambiare l’ordine di derivazione perché v(x, y)
è di classe C 2 . Sottraendo membro a membro le precedenti equazioni si
ottiene:
∂ 2 u(x, y) ∂ 2 u(x, y)
+ = 4u(x, y) = 0 .
∂x2 ∂y 2
Analogamente, derivando la (A.2) rispetto a y e la (A.3) rispetto a x e
sottraendo membro a membro si ottiene
∂ 2 v(x, y) ∂ 2 v(x, y)
+ = 4v(x, y) = 0 .
∂x2 ∂y 2
[q.e.d.]
Data una funzione u(x, y) armonica in una certa regione del piano (x, y)
è possibile costruire (a meno di una costante) la corrispondente funzione
armonica v(x, y) tale che f (z) = u(x, y) + iv(x, y) sia analitica. Infatti, nota
u, le condizioni di Cauchy-Riemann ci consentono di ricavare le derivate
parziali vx0 e vy0 e da queste, integrando, la funzione v(x, y).
Esempi
Sia
∂u(x, y) ∂u(x, y)
= − sin xe−y , = − cos xe−y
∂x ∂y
2 2
∂ u(x, y) ∂ u(x, y)
2
= − cos xe−y , 2
= cos xe−y
∂x ∂y
Pertanto 42 u(x, y) = 0 e u è armonica. Dalle condizioni di CR si ricava
che
∂v(x, y) ∂u(x, y)
= = − sin xe−y (A.4)
∂y ∂x
∂v(x, y) ∂u(x, y)
= − = cos xe−y . (A.5)
∂x ∂y
146
Integrando la (A.4) rispetto a y si ottiene
Z
v(x, y) = − sin xe−y dy + g(x) = sin xe−y + g(x) .
f (z) = u(x, y) + iv(x, y) = cos xe−y + i sin xe−y = eix−y = ei(x+iy) = eiz ,
analitica in tutto C.
La funzione
u(x, y) = x2 − y 2
è armonica. Infatti
Pertanto
La funzione
x
u(x, y) =
x2 + y2
è armonica in R2 − {0}. Infatti:
y 2 − x2 2x(x2 − 3y 2 )
u0x = , u00xx =
(x2 + y 2 )2 (x2 + y 2 )3
147
−2xy −2x(x2 − 3y 2 )
u0y = , u00yy = = −u00xx .
(x + y 2 )2
2 (x2 + y 2 )3
Dalle CR:
2xy Z
2xy
vx0 = −u0y = ⇒ v(x, y) = dx + g(y)
(x2 + y 2 )2 (x2 + y 2 )2
y
= − 2 dx + g(y) .
x + y2
1 2y 2
vx0 = − + + g 0 (y)
x2 + y 2 (x2 + y 2 )2
y 2 − x2 0 0 y 2 − x2
= + g (y) = u x =
(x2 + y 2 )2 (x2 + y 2 )2
⇒ g(y) = K .
Quindi
x y
f (z) = u(x, y) + iv(x, y) = −i 2 +K
x2 +y 2 x + y2
z∗ 1
= 2
+K = +K .
|z| z
148
Appendice B
C = {z ∈ S / |z − z0 | = r} ,
allora
1 Z 2π
f (z0 ) = f [z(ϕ)]dϕ ∀z ∈ C . (B.1)
2π 0
Dimostrazione
Applichiamo la rappresentazione integrale di Cauchy con γ = C e
passiamo a coordinate polari (z ∈ C)
149
2) Teorema: né la parte reale né la parte immaginaria di una funzione
f (z) = u(x, y) + iv(x, y) analitica in un dominio D s.c. possono avere
estremi all’interno di D.
Dimostrazione
Dimostriamo il teorema per la parte reale u(x, y). La dimostrazione è
analoga per v(x, y).
Sia z0 un punto interno a D, tale cioè che esista un intorno I(z0 ) tutto
contenuto in D. Mostriamo che possono esistere solo due alternative:
a)
1 Z 2π
u(z0 ) = u[z(ϕ)]dϕ . (B.2)
2π 0
u(z) = u(z0 )
150
ovvero l’alternativa a).
L’altro modo di negare l’alternativa b) è di affermare che esiste un
intorno I(z0 ) ⊂ D tale che ∀z ∈ I(z0 ) sia u(z) ≤ u(z0 ));allora dalle
(B.2) e (B.3) deduciamo di nuovo che
Z 2π
{u(z0 ) − u[z(ϕ)]}dϕ = 0;
0
u(z) = u(z0 ) .
[q.e.d.]
1 2π 1 Z 2π
Z
|f (z0 )| = f [z(ϕ)] dϕ ≤ |f [z(ϕ)]| dϕ . (B.4)
2π 0 2π 0
1 Z 2π
|f (z0 )| = |f (z0 )| dϕ . (B.5)
2π 0
Z 2π
{|f [z(ϕ)]| − |f (z0 )|} dϕ ≥ 0
0
151
Poiché l’integrando è per ipotesi una funzione continua e non positiva,
ne segue che
|f (z)| = |f (z0 )|
per ogni z ∈ C. Variando il raggio r della circonferenza C in modo
da coprire tutto l’intorno I(z0 ) si dimostra che |f (z)| = |f (z0 )| per
ogni z ∈ I(z0 ). Abbiamo cosı̀ dimostrato che |f (z)| non può avere un
massimo all’interno di D.
Per dimostrare che |f (z)| non può avere minimi, se non nei punti in
cui si annulla, consideriamo la funzione g(z) = 1/f (z), analitica in D
esclusi gli zeri zi di f (z). In questi punti |f (zi )| è ovviamente minima.
Se z 6= zi , i minimi di |f (z)| corrispondono ai massimi di |g(z)|. Ma,
come si è appena dimostrato, la funzione |g(z)|, analitica in D, non può
avere massimi in D, e quindi la |f (z)| non può avere minimi.
[q.e.d.]
4) Teorema: sia f (z) una funzione analitica in un dominio semplicemente
connesso S, γ ⊂ S una curva di Jordan di lunghezza l, f (z) limitata
sulla curva γ e M = maxz∈γ |f (z)| il suo valore massimo su γ, z0 un
punto appartenente alla regione interna a γ e δ = minz∈γ |z − z0 | la
distanza minima della curva γ dal punto z0 . Sotto queste ipotesi:
a)
Ml
|f (z0 )| ≤ (B.6)
2πδ
b)
dn f (z) Ml
≤ n! ∀n = 1, 2, ... (B.7)
dz n 2πδ n+1
z=z0
Dimostrazione
La dimostrazione segue immediatamente dalle rappresentazioni di Cau-
chy (1.16) e (1.17) e dalla disuguaglianza di Darboux (1.10):
a)
1 I f (z)
|f (z0 )| = dz
2πi γ z − z0
1 f (z)
≤ max
l
2πi z∈γ z − z0
1 Ml
≤
2πi δ
152
b)
dn f (z) n! I f (z)
= dz
dz n 2πi γ (z − z0 )n+1
z=z0
n! M l
≤
2π δ n+1
[q.e.d.]
df (z) Ml
≤ .
2πδ 2
dz
z=z0
df (z) M 2πr M
≤ = .
2πr2
dz r
z=z0
df (z)
=0 ∀z0 ∈ C
dz
z=z0
da cui
df (z)
=0 ∀z ∈ C ⇒ f (z) = costante ∀z ∈ C .
dz
[q.e.d.]
153
Se definiamo una funzione intera come una funzione regolare in tutto
il piano complesso (cioè priva di singolarità al finito), il teorema di
Liouville afferma che una funzione intera e limitata è costante.
N.B. Lo stesso teorema non vale nel campo reale. Infatti esistono
funzioni f (x) di variabile reale non costanti che sono infinitamente
derivabili e limitate in tutto R. Per esempio le funzioni
1)
1
f (x) =
1 + x2
e
2)
2
f (x) = e−x
2
f (iy) = ey
non è limitata. Invece la funzione
2 ∗z
f (z) = e−|z| = e−z
154
Appendice C
Il punto all’infinito
Esempi
1
• La funzione f (z) = z
è regolare all’infinito e ivi ha uno zero semplice.
155
un polo (in realtà ne cadono infiniti): l’infinito non è una singolarità
isolata, ma un punto di accumulazione di poli.
Naturalmente, se f (z) è regolare all’infinito può essere sviluppata in serie
di Taylor in un intorno dell’infinito IΩ (∞), cioè all’esterno di un cerchio,
centrato in un punto a scelto secondo convenienza (spesso a = 0), e di raggio
Ω tale che all’esterno del cerchio la f (z) non abbia singolarità. Tale serie si
ottiene sviluppando in serie di Taylor la funzione φ(t) = f (a+1/t) nell’intorno
del punto t = 0, tornando poi alla variabile originaria z con la sostituzione
t = 1/(z −a); lo sviluppo di Taylor nell’intorno del punto all’infinito conterra’
quindi solo potenze negative di z − a, oltre alla potenza nulla.
Per esempio lo sviluppo (1.26) della funzione e1/z , che abbiamo già visto
essere lo sviluppo di Laurent nell’intorno della singolarità essenziale z =
0, può anche essere letto come lo sviluppo di Taylor nell’intorno del punto
regolare z = ∞.
Discorso analogo per lo sviluppo di Laurent; solo che stavolta la parte
principale dello sviluppo (cioè quella singolare) conterrà solo potenze posi-
tive di (z − a), in numero finito o infinito a seconda se il punto all’infinito è
un polo o una singolarità essenziale.
Per ogni funzione intera lo sviluppo di Taylor
∞
an z n
X
f (z) = (C.2)
n=0
C.1.1 Esempi
Esempio 1: la funzione
f (z) = ez
156
è regolare in z = 0. Infatti, lo sviluppo in serie che definisce la funzione
esponenziale
∞
z
X zk
e =
k=0 k!
Esempio 2: la funzione
2
f (z) = e−1/z
∞ ∞
−1/z 2 (−1/z 2 )k (−1)k
z −2k
X X
e = =
k=0 k! k=0 k!
∞ ∞ 1 0
(−1/z)k (−1)k (−1)k k0
f (z) = ze−1/z = z z −k+1 = −
X X X
= z .
k=0 k! k=0 k! k0 =−∞
(−k 0 + 1)!
f (z) = ez/(1−z) .
157
Poniamo z 0 = z − 1:
∞ ∞
−(1+z 0 )/z 0 −1/z 0 −1 1X (−1/z 0 )k 1X (z − 1)−k
f (z) = e =e e = = (−1)k
e k=0 k! e k=0 k!
Esempio 5: sia
158
Figura C.1: Curva che contiene tutte le singolarità al finito della funzione
f(z)
della potenza 1/(z − a). Per esempio, il residuo all’infinito della funzione
regolare all’infinito f (z) = 1/z vale −1, mentre quello della funzione f (z) = z
(che ha un polo semplice all’infinito) è nullo.
Una conseguenza immediata di quanto abbiamo detto è che una funzione
pari ha sempre residuo nullo all’infinito (sempre che abbia senso definir-
lo), poiché il suo sviluppo, di Taylor o di Laurent, in potenze di z non potrà
contenere il termine 1/z; lo stesso succede per una funzione che all’infinito
sia O( z12 ).
Un altro modo per calcolare il residuo all’infinito si basa sul calcolo diretto
dell’integrale (C.3) mediante il cambiamento di variabile:
1
z= , (C.4)
t
che manda z → ∞ in t → 0.
Si vede subito che una circonferenza c di raggio R centrata nell’origine del
piano z, di equazione |z| = R, viene trasformata in un’analoga circonferenza
c0 di raggio 1/R nel piano t di equazione |t| = 1/R.
Se c è percorsa in senso antiorario, c0 sarà percorsa in senso orario; infatti
quando la fase φ di z = Reiφ cresce, quella di t = 1/R e−iφ diminuisce. La
159
circonferenza cR viene quindi “mappata” dalla trasformazione (C.4) in una
circonferenza c01/R percorsa in senso opposto.
Di conseguenza:
1 I
{Resf (z)}z=∞ = − f (z)dz
2πi c
1 I
1 dz
= + f ( ) dt .
2πi c0 t dt
Ora, dz/dt = −1/t2 , e quindi
1 I 1 1
{Resf (z)}z=∞ = − f dt
2πi c0 t t2
1 1
= − Res f . (C.5)
t t2 t=0
Si noti che il residuo di f (z) in z = ∞ non è uguale al residuo di f (1/t)
in t = 0:
1
f (z) =
z
è regolare in z = ∞ (perché la funzione f (1/t) = t è uguale a 0 in t = 0) ma
il suo residuo, calcolato tramite la (C.5), vale
1 1 1 I 1
Res = − Res t =− dt = −1 ,
z z=∞ t2 t=0 2πi c0 t
come abbiamo già visto.
L’interesse principale nel definire il residuo all’infinito sta nel seguente:
160
Dimostrazione.
Sia γ una curva di Jordan che non passa per alcuna singolarità di f (z).
Allora, per il teorema dei residui (1.33), si ha
I X
f (z)dz = +2πi {Resf (z)}
γ interni
I X
f (z)dz = −2πi {Resf (z)} ,
γ esterni
X
{Resf (z)} = 0 . (C.6)
tot
[q.e.d.]
La verifica più immediata di questo teorema è data dalla solita funzione
f (z) = 1/z che ha residuo +1 nell’origine e −1 all’infinito; conviene richia-
mare questo esempio elementare ogni volta che non ci si ricordi con quale
segno si debba prendere il coefficiente della potenza 1/(z − a) per calcolare
il residuo all’infinito.
• Esempio 1
A volte può essere conveniente usare l’eq. (C.6) per semplificare il calcolo
di integrali in campo complesso. Per esempio l’integrale
I
z3
dz con C = {z, |z| = 1} (C.7)
C 2z 4 + 1
richiederebbe di valutare i 4 residui interni alla curva C, nei punti zi soluzioni
di z 4 = −1/2. Utilizzando invece il teorema (C.6) si ha semplicemente
1
z3 z3
( )
I
1 t3
dz = −2πi Res 4 = +2πi lim 2
C 2z 4 + 1 2z + 1 z=∞
t→0 t2
t4
+1
= iπ . (C.8)
Ancor più semplicemente si trova che il residuo all’infinito dell’integrando è
−1/2 guardando allo sviluppo:
z3 1 1
4
= + O( 2 )
2z + 1 2z z
161
• Esempio 2
2k+1
∞ l X π
1X z ∞
k z
{Resf (z)}z=0 = −
Res (−1)
2 2 (2k + 1)!
l=0 k=0
z=0
∞ k 2k+1
X (−1) π
= − δ
l+1 l−2k−1,−1
l,k=0 (2k + 1)! 2
∞
(−1)k
2k+1
X π π
= − = − sin = −1 .
k=0 (2k + 1)! 2 2
∆ Corollario del Teorema 14: ogni funzione intera f (z) ha residuo nullo
all’infinito.
Dimostrazione
L’infinito può essere punto regolare di f (z) (allora f (z) è costante - Teo-
rema di Liouville, Appendice B) o singolarità isolata; in entrambi i casi ha
senso definire il residuo all’infinito. Poichè la somma dei residui fa zero e non
ci sono singolarità al finito, si deduce che necessariamente il residuo all’in-
finito è nullo. In alternativa, basta vedere che lo sviluppo (C.2) di f (z) in
serie di Laurent nell’intorno dell’infinito non contiene la potenza z −1 .
162
C.3 Studio del punto all’infinito nelle equa-
zioni differenziali
163
siano regolari in t = 0, ovvero
1 1
P (z) = O , Q(z) = O per z → ∞ . (C.17)
z z2
Se l’infinito è un punto ordinario, si può cercare una soluzione come sviluppo
in serie di Taylor intorno a z = ∞:
∞ ∞
ck tk = ck z −k
X X
u(z) = u(1/t) =
k=0 k=0
e
tρ2 ∞
(
k
ρ1 − ρ2 =
6 n , d0 6= 0
P
k=0 dk t
u2 (1/t) = ρ2 P∞ k (C.18)
au1 (1/t) ln t + t k=0 bk t ρ1 − ρ2 = n , b0 6= 0
ovvero
z −ρ2 ∞
(
−k
ρ1 − ρ2 =
6 n , d0 6= 0
P
k=0 dk z
u2 (z) = −ρ2 P∞ −k (C.19)
−au1 (z) ln z + z k=0 bk z ρ1 − ρ2 = n , b0 6= 0 .
dove
!
2 P (1/t) P (1/t)
p˜0 = lim t − 2
= 2 − lim
t→0 t t t→0 t
Q(1/t) Q(1/t)
q˜0 = lim t2 4
= lim .
t→0 t t→0 t2
In termini della variabile z:
p˜0 = 2 − z→∞
lim zP (z)
q˜0 = lim z 2 Q(z) .
z→∞
164
Detti ora
p0 = lim zP (z)
z→∞
q0 = lim z 2 Q(z) .
z→∞
C.3.1 Esempi
2 ω2
P̃ (1/t) = , Q̃(1/t) = 4
t t
All’infinito l’equazione ha una singolarità irregolare.
2) Equazione di Legendre:
(1 − z 2 )u00 − 2zu0 + αu = 0
2 2/t α
P̃ (1/t) = − 2 , Q̃(1/t) = 4
t t −1 t − t2
All’infinito l’equazione ha una singolarità fuchsiana.
165
3) Equazione di Bessel:
z 2 u00 + zu0 + (z 2 − α2 )u = 0
2 1 1 1 − α2 t2
P̃ (1/t) = − = , Q̃(1/t) =
t t t t4
All’infinito l’equazione ha una singolarità irregolare.
4) Equazione di Laguerre
zu00 + (1 − z)u0 + au = 0
2 t−1 a
P̃ (1/t) = − 2 , Q̃(1/t) = 3
t t t
All’infinito l’equazione ha una singolarità irregolare.
5) Equazione di Hermite:
2 2 2α
P̃ (1/t) = + 3 , Q̃(1/t) = 4
t t t
All’infinito l’equazione ha una singolarità irregolare.
6) Equazione di Chebyshev:
(1 − z 2 )u00 − zu0 + n2 u = 0
2 1 n2
P̃ (1/t) = + 2 , Q̃(1/t) = 2 2
t t(t − 1) t (t − 1)
All’infinito l’equazione ha una singolarità fuchsiana.
zu00 + (c − z)u0 − au = 0
2 ct − 1 a
P̃ (1/t) = − 2
, Q̃(1/t) = − 3
t t t
All’infinito l’equazione ha una singolarità irregolare.
166
8) Equazione ipergeometrica:
2 1 + a + b − ct ab
P̃ (1/t) = − , Q̃(1/t) = 2
t t(1 − t) t (1 − t)
167
Appendice D
1) L’equazione di Laplace:
∆ψ(~r) = 0 , (D.1)
∂2 ∂2 ∂2
∆ = ∇2 = + + .
∂x2 ∂y 2 ∂z 2
L’equazione di Laplace compare spesso nello studio di fenomeni elet-
tromagnetici, nell’idrodinamica, nella propagazione del calore e nello
studio della gravitazione.
2) L’equazione di Poisson:
ρ
∆ψ(~r) = − , (D.2)
0
che è una generalizzazione dell’equanzione di Laplace (D.1) in presenza
di una sorgente.
168
e l’equazione di diffusione indipendente dal tempo
ψ(~r, t) = 0 , (D.5)
6) L’equazione di Klein-Gordon
7) L’equazione di Schroedinger
h̄2 ∂ψ(~r, t)
− ∆ψ(~r, t) + V (~r)ψ(~r, t) = ih̄ ,
2m ∂t
che è alla base della meccanica quantistica non relativistica.
8) Le equazioni di Maxwell, che sono un sistema di equazioni alle derivate
parziale accoppiate per i campi elettrico e magnetico.
9) L’equazione di Dirac, che governa la meccanica quantistica relativistica.
Tutte queste equazioni possono essere scritte nella forma
Hψ = F ,
169
F è una funzione nota e ψ è la funzione incognita (scalare o vettoriale).
Inoltre le equazioni (1,3,4,6,7,9) sono lineari: questo significa che, se ψ1 e ψ2
sono soluzioni dell’equazione differenziale, qualsiasi loro combinazione lineare
ψ = a1 ψ1 + a2 ψ2
4) metodi numerici.
dove X(x) dipende solo dalla variabile x, Y (y) solo dalla y e Z(z) solo dalla z.
Non è detto, in generale, che una soluzione di questo tipo esista, ma, se esiste,
170
il procedimento è giustificato. Se non esiste, si dovrà risolvere l’equazione con
un altro metodo. Sostituiamo dunque la (D.8) nell’equazione (D.7):
Si noti che le derivate sono derivate ordinarie, non parziali. Separiamo ora i
termini che dipendono da x da quelli che non ne dipendono:
Ora, il primo membro è una funzione della sola variabile x, mentre il secondo
membro dipende solo da y e z. Poichè x, y e z sono variabili indipendenti,
questo è possibile solo se entrambi i membri della (D.9) sono uguali a una
costante, la costante di separazione, che indicheremo con −l2 . Otteniamo
cosı̀ due equazioni:
1 d2 X(x)
2
= −l2
X(x) dx
2
1 d Y (y) 1 d2 Z(z)
2
+ 2
+ k 2 = l2 .
Y (y) dy Z(z) dz
1 d2 Y (y) 1 d2 Z(z)
2
=− 2
− k 2 + l2 .
Y (y) dy Z(z) dz
Questa equazione può essere verificata solo se ambo i suoi membri sono uguali
a una costante di separazione, −m2 :
1 d2 Y (y)
2
= −m2
Y (y) dy
1 d2 Z(z)
2
= −k 2 + m2 + l2 = −n2 ,
Z(z) dz
171
dove abbiamo introdotto, per motivi di simmetria formale, la costante n2 ,
legata a l, m e k dalla relazione
l 2 + m2 + n2 = k 2 .
Riassumendo, abbiamo trasformato l’equazione differenziale alle derivate par-
ziali in n=3 variabili
∂ 2 ψ(x, y, z) ∂ 2 ψ(x, y, z) ∂ 2 ψ(x, y, z)
2
+ 2
+ 2
+ k 2 ψ(x, y, z) = 0
∂x ∂y ∂z
in n=3 equazioni differenziali ordinarie
1 d2 X(x)
= −l2
X(x) dx2
1 d2 Y (y)
= −m2
Y (y) dy 2
1 d2 Z(z)
2
= −n2
Z(z) dz
e abbiamo introdotto n−1=2 costanti di separazione l e m (la terza costante,
n, non è indipendente dalle altre due). La nostra soluzione sarà caratterizzata
da tre indici l, m, n:
ψlmn (x, y, z) = Xl (x)Ym (y)Zn (z) (D.10)
e varrà per qualunque scelta delle costanti l, m, n purchè l2 + m2 + n2 = k 2 .
La soluzione generale sarà una combinazione lineare delle (D.10):
X
Ψ(x, y, z) = almn ψlmn (x, y, z) ,
l,m,n
172
Si noti che le derivate sono diventate derivate ordinarie, perchè agiscono su
funzioni di una sola variabile. Moltiplicando per r2 sin2 θ possiamo isolare i
termini dipendenti da φ:
1 d2 Φ
" ! !#
1 d dR 1 d dΘ
2
= r2 sin2 θ −k 2 − 2
r2 − 2 sin θ (D.13)
.
Φ dφ Rr dr dr r Θ sin θ dθ dθ
Questa equazione è una uguaglianza fra una funzione che dipende solo da
φ e una che dipende solo da r e θ: l’unica soluzione possibile è che ambo i
membri della (D.13) siano uguali a una costante, che indicheremo con −m2 :
1 d2 Φ
= −m2 (D.14)
Φ dφ2
m2
! !
1 d 2 dR 1 d dΘ
r + sin θ − = −k 2 .
Rr2 dr dr r2 Θ sin θ dθ dθ r2 sin2 θ
173
Appendice E
L’integrale di Lebesgue
174
Z b Z b Z b
lim f (x, y) dx = lim f (x, y) dx ≡ f (x, y0 ) dx . (E.3)
y→y0 a a y→y0 a
Enunciamo infine
Z b Z d Z d Z b
dx dy|f (x, y)| , dy dx|f (x, y)|
a c c a
allora vale
Z b Z d Z d Z b
dx dyf (x, y) = dy dxf (x, y) (E.5)
a c c a
175
integrali di Riemann impropri, richiedono condizioni sufficienti estremamente
più restrittive e difficili da verificare.
Naturalmente nel caso di intervallo finito anche per l’integrale di Lebe-
sgue si possono avere ulteriori semplificazioni: se e solo se l’intervallo è finito,
F (x) = M costante è sommabile; si può quindi dire, come caso particolare
della proprietà (E.1), che condizione sufficiente affinché valga la (E.1) è che
le fn (x) siano q.o. uniformemente limitate, cioè che esista una costante M ,
indipendente da n, che le maggiori tutte (in modulo) quasi ovunque.
Affermazioni analoghe si possono fare per le proprietà (E.3) e (E.4).
Inoltre se e solo se l’intervallo (a, b) è finito vale L2 (a, b) ⊂ L(a, b),
ovvero ogni funzione quadrato sommabile, su un intervallo finito, è ivi anche
sommabile; per convincersene basta l’identità
Z b
f (x) dx = (1, f ) ,
a
1
/ L2 (0, 1) .
f (x) = √ ∈ L(0, 1) ma ∈ (E.6)
x
1
f (x) = √ 2
∈ L2 (0, ∞) ma ∈
/ L(0, ∞) .
1+x
176