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GIOVANNI LOSAVIO A MIRANDOLA (4.5.

2014)

Non mai accaduto, io credo, che si sia andati in piazza per rivendicare il restauro. Lo
abbiamo fatto oggi convocando questa assemblea - possiamo dire di popolo - convinti che
per il patrimonio storico e artistico dellEmilia colpito dal sisma nel maggio 2012, il restauro
sia lunica cura possibile, perci doverosa. Doverosa perch prescritta dalla vincolante
disciplina del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio. E perch convinti che il modello di
intervento del dovera ma non comera, coltivato e annunciato anche in sede
responsabile, o comunque prospettato come una ipotesi da considerare, non sia il
restauro prescritto dal codice. E paradossalmente quel modello, dove fosse adottato,
escluderebbe la competenza istituzionale delle Soprintendenze che sono addette alle sole
misure conservative analiticamente descritte nellarticolo 29 del codice.
Per gli interventi innovativi, cessa, viene meno la competenza istituzionale di tutela; anzi il
libero intervento postula a rigore la revoca del vincolo conservativo. Cercher di spiegarmi.
Innanzitutto dalla culturetta accademica del restauro innovativo e attualizzante non stata
ancora registrata la principale novit del codice del 2004/2008. Il codice non solo ha
enunciato esplicitamente le finalit della tutela essenzialmente conservativa che erano
rimaste implicite nella asciutta e gloriosa legge 1089 del 1939, ma ha dettato le
prescrizioni vincolanti sui modi attraverso i quali quelle finalit sono perseguite.
Non credo che sia una constatazione originale la mia: la legge del 1939, rimasta in vigore
fino al testo unico del 1999, quindi 60 anni, non pronuncia in alcuna delle sue disposizioni
la parola restauro e si affida alla discrezione tecnica, e alla cultura del Soprintendente, per
il controllo e lapprovazione delle opere che incidano sul bene di riconosciuto interesse
storico e artistico. Lo fa nella presupposizione che sia compito riservato alla cultura
elaborare principi e criteri della tutela e che i funzionari addetti, i Soprintendenti, si
alimentino di quella cultura; con risultati di ampia discrezionalit in pratica incontrollabile, il
cui esercizio sfugge a verifiche di legittimit rimanendo esposto al solo giudizio e
alleventuale sanzione di riprovazione dellopinione pubblica colta. Ricordiamo le
preoccupazioni manifestate da Cesare Brandi per larbitrariet - sono sue parole - della
prassi dei restauri da lui diffusamente constatata.
Il codice ha invece intenzionalmente ristretto quellambito di discrezionalit e ha dettato
stringenti prescrizioni di conservazione del patrimonio culturale, che vuole assicurata da
coerente, coordinata, programmata attivit di studio, prevenzione, manutenzione e infine
restauro. E intende il restauro come lintervento sul bene attraverso un complesso di
operazioni finalizzate alla integrit materiale e al recupero del bene, alla protezione e alla
trasmissione dei suoi valori culturali. E nelle zone a rischio sismico gi stato detto - il
restauro comprende lintervento di miglioramento strutturale.
La tutela non pu esprimersi dunque che attraverso prevenzione, manutenzione e
restauro, e il restauro diretto ad assicurare la integrit materiale e il recupero del bene
cos come stato riconosciuto di interesse culturale. Recupero secondo il significato
proprio della parola, che il primo dei criteri di interpretazione delle norme, presuppone la
perdita della integrit materiale del bene, che appunto deve essere ricostituita nellassetto
pre-esistente, in considerazione e ragione del quale il bene stato riconosciuto di
interesse culturale.
Le competenze della tutela e dei suoi operatori addetti sono oggi rigorosamente
circoscritte, si esercitano - torniamo a dire - nei soli modi di prevenzione, manutenzione e
restauro, e non data alternativa al recupero della integrit materiale perduta; il modello
dellintervento non pu non essere il bene che era nel momento della subita perdita della
sua integrit. Non concettualmente dato un diverso modello dellintervento perch la
competenza di tutela meramente conservativa e non dispone di alcun criterio obbiettivo
e verificabile per opere innovative; come sono gli innesti modernizzanti sulle strutture del
bene sopravvissuto allevento traumatico, voluti e concepiti nellambizione sbagliata di
conferire diversi e arbitrari significati al bene danneggiato, e perfino dettati dalla
considerazione cinica dellevento drammatico come la opportunit data a manipolazioni
dirette alla pretesa attualizzazione del bene culturale contro la sua identit storica. Una
attitudine che riflette, a ben vedere, la insofferenza dei confini concettuali posti alla
funzione del restauro subiti come costrittivi della libert della libera progettualit.
Ma la libera progettualit si esprime in un altro mestiere che non sia quello del
restauratore; neppure dunque concettualmente ammissibile condizionare la praticabilit
del restauro alla entit dei danni nella misura della struttura superstite - la met, un terzo,
un quarto - per escludere il ripristino quando i danni, si dice, siano stati totalmente
distruttivi, che tali non sono come stato constatato neppure nel caso estremo della torre
dei Modenesi a Finale Emilia; torre che ha conservato non solo la struttura di
impostazione e radicamento nel suolo, ma ha rivelato ai pi recenti sondaggi la preservata
e fino ad oggi non conosciuta cella ipogea.
Mentre la esigenza della rigorosa ricostruzione secondo lunico obiettivo modello
disponibile, che sta nel bene prima del sisma, trova una ulteriore e insuperabile ragione se
ledificio elemento compositivo, parte integrante di un complesso insediativo storico. La
continuit del tessuto edilizio non tollera lacune o inserti incoerenti e il risarcimento nei
modi del restauro/ripristino di ogni suo autentico elemento compositivo dovuto alla
integrit del centro storico come unitario monumento urbano. Lo dispone la vigente legge
urbanistica della regione Emilia Romagna e lo dispongono i vigenti strumenti urbanistici
dei comuni adeguati a quella legge, attraverso una matura disciplina di tutela degli
insediamenti storici idonea a far fronte anche a eventi, come i sisma straordinari, che
incidono diffusamente sulla integrit del patrimonio urbano.
Lipotesi - chiamiamola cos - del dove era, ma non come era, dunque una ricostruzione
senza principi, anzi eversiva dellordine costituito della tutela come definito nel Codice dei
Beni Culturali, non avrebbe trovato alcun sostegno, anzi un esplicito divieto, nella pi
matura, e vigente, disciplina urbanistica della nostra Regione. Ma contro la vantata
tradizione di tutela dei suoi centri storici la Regione Emilia Romagna si data nel
dicembre 2012 una apposita legge speciale di ricostruzione, che cancella nei comuni
colpiti dal sisma la virtuosa normativa di piano regolatore e libera dalla regola del ripristino
filologico gli edifici crollati o gravemente danneggiati dal terremoto; regola che invece
varrebbe per ogni altro evento distruttivo (Italia Nostra gi lo ha con preoccupazione
segnalato). La legge di ricostruzione pianifica labbandono della vigente ordinaria buona
urbanistica e, sul cattivo modello della legge speciale dellimmediato ultimo dopoguerra,
affida ai piani di ricostruzione la facolt di riprogettare radicalmente, anche nel disegno
degli isolati e della trama viaria, insediamenti urbani storici che rischiano cos di smarrire la
loro secolare identit, perfino attraverso la delocalizzazione di funzioni essenziali e vitali
dei nuclei originali degli insediamenti.
Di fronte alla Regione, che sembra rinnegare la tradizionale politica di salvaguardia dei
tessuti urbani storici, non rimane allora che fare affidamento sulla responsabilit degli
amministratori comunali, altrimenti gelosi degli originali caratteri che attribuiscono ai luoghi
di vita delle loro comunit una insopprimibile identit. Le dichiarazione che abbiamo oggi
ascoltato dal Sindaco di Mirandola ci confermano che questo affidamento fondato.
Gli amministratori comunali saranno dunque consapevoli - pensiamo che lo possano
essere - delleversivo strumento del piano di ricostruzione. Si impone quindi un impegno
del tutto eccezionale, in ogni caso circoscritto a quelle porzioni dellinsediamento che in
tempi recenti fossero state gravemente alterate da interventi di trasformazione
incompatibili con i principi di tutela della morfologia urbana storica.
Certo che nei piani di ricostruzione messi in cantiere in questi mesi, il modello del dove
era ma non come era, per il patrimonio culturale offeso dal sisma, non potr trovare la
legittimazione che a quel modello crediamo sia fermissimamente legata dal Codice per i
Beni Culturali e il Paesaggio.

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