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PRODURRE COMPORTA RIFIUTI, 

MA MANCA LA CULTURA CHE LI ARMONIZZA.

Fantasia dalla parola "phantasia" da "phaos", che significa "luce", e "senza luce non si può 
vedere". Fantasia è un termine che assume diversi significati. Di base, la fantasia è una 
facoltà della mente di creare immagini che possono intrecciare immagini reali ed irreali, o 
essere   completamente   irreali.   Ecco   inquadrati   gli   spot   di   oggi,   molti   dei   quali   sono   di 
eccezionale   attrattività,   come   questo   amabile   gigante,   RWE   Energy   Giant,   creativo 
sull’ambiente. È davvero un amore! 

L'uomo degli inizi, non essendo in grado di avvolgere la realtà, pur desiderando di trovare il 
proprio posto nell'universo, si è rivolto all'animismo, come strumento dell'immaginazione, 
creando  così  un  universo  simbolico,  oltre,  vicino   e  alcune   volte   anche  contro  l'universo 
reale. Tramite l'animazione, la personificazione e l'iperboleggiare dello sconosciuto, l'uomo 
è arrivato gradatamente alla magia, alla religione e alla letteratura.

Quella stessa magia antica si è evoluta e oggi è al servizio delle tante RWE AG, si potrebbe 
dire,   e   tutto   sarebbe   credibile   se   non   fosse   per   un   grave   problema,   quello   dei   rifiuti. 
PRODURRE COMPORTA RIFIUTI, MA MANCA LA CULTURA CHE LI ARMONIZZA, cosa che 
la magica fantasia degli spot non prevede abbastanza. Perché? Perché significa far durare di 
più i prodotti e perciò meno fabbriche e meno affari.

Un tempo i piatti rotti si riparavano, degli animali si impiegava tutto, financo i peli, ma non 
perché la società era povera, ma perché si aveva un concetto di "utile" che si è perso, dal 
momento che allora dire "utile" era avere nello sguardo tutto un mondo: dalla vita di un 
animale   che   non   si   uccideva   non   tanto   perché   era   "sacra"   quanto     perché   era   stupido 
uccidere senza motivo; alla vita dei figli cui nessuno avrebbe pensato di sottrarre le fonti di 
sostentamento strappando piante e uccidendo animali, come oggi avviene in dimensioni 
mondiali e catastrofiche.

Insomma, si crea un senso di colpa ai bambini o agli anziani che non buttano la cartaccia 
nell'apposito contenitore, ma si continua a produrre tonnellate di quella stessa cartaccia. 
Chi fa più danni: l'anziano che non ricicla o la cultura che produce sapendo che poi butterà 
via il prodotto?
Far sparire quello che non si sa gestire è alla base del concetto di "rifiuto". È alla base del 
piatto di carne ottima buttato via, come è alla base del matrimonio buttato via. Alla base 
sta   l'idea,   ecco   il   vero   nocciolo,   che   al   mondo   "qualcosa   non   serva",   che   qualcosa 
(qualcuno!) sia inutile; e – ancor più paradossale e più chiaro – diventi inutile quando noi 
non sappiamo cosa farne. 

Ma, come faceva dire Federico Fellini al personaggio de "Il Matto", "Io sono ignorante, ma ho  
letto qualche libro e mi son fatto un'idea...e cioè che non c'è niente al mondo che non serve. Lo  
vedi questo sassolino? Ecco, anche questo sassolino serve a qualcosa. Io non lo so a che cosa  
serve... se uno sapesse tutto, quando si nasce, quando si muore, sarebbe Dio. Io non lo so a che 
cosa serve questo sasso, ma serve. Perché se non serve questo sasso, non servono neanche le  
stelle..." (cfr. Federico Fellini, La Strada). 
È contro la cultura del "significato" che si alza la cultura del "rifiuto". E non si può venirne 
fuori, se non si ammette che da qualche parte il tutto ha un Senso.  

L'ecologia moderna in gran parte si basa su un intento buono: nulla deve andare sprecato 
perché le risorse sono poche; ma raramente dà un giudizio più ampio: nulla va sprecato 
perché tutto è utile.  È un fraintendimento che sorge dalla mancanza di certezza che "tutto 
è   bene"   (cfr.   Tito   1,15),   anche   "i   capelli   del   capo"   (Matteo   10,30)   È   stato   cacciato 
dall'orizzonte pubblico la possibilità che esista un Significato del mondo e ci si è ridotti col 
buttare via tutto quello che "non serve" o "non serve più"; e in questo "tutto" entrano sempre 
più categorie, fino a lasciarne fuori solo i soggetti umani "adulti, sani, attivi, e capaci di 
autodeterminazione", e che tuttavia possono diventare "rifiuti" per un altro popolo durante 
una guerra o per un'altra categoria durante una crisi sociale. (1)

In  quanto   alla  RWE  AG, bello   RWE Energy Giant  ma  molto   meno, anzi  niente,  le  cose 
trasmesse   dall'Organizzazione   ambientalista   tedesca   "ausgestrahlt".   Rivela   sul   suo   sito 
alcuni particolari relativi al traffico illegale di scorie radioattive tra Germania e Russia, un 
traffico   ben   noto   ma   le   cui   effettive   dimensioni   non   erano   finora   conosciute.   Secondo 
l'organizzazione,   fra   il   1996   e   oggi   ben   22mila   tonnellate   di   scorie   –   essenzialmente 
esafluoruro di uranio (UF6) – sono state spedite in Siberia dall’impianto di arricchimento di 
combustibile nucleare di Gronau, in Westfalia. Di questa enorme quantità, molto superiore 
a quella, già scandalosa, inviata dalla Francia (mediamente 108 tonnellate all’anno), solo il 
dieci per cento è poi tornato in Germania, dopo un ulteriore arricchimento effettuato presso 
l'impianto di Seversk (conosciuto un tempo come Tomsk­7), nella Siberia occidentale. Il 
resto, cioè circa ventimila tonnellate, è rimasto abbandonato in una grande discarica a cielo 
aperto, immagazzinato in fusti metallici che ora sarebbero in buona parte arrugginiti e a 
rischio   di   perdite,   secondo   quanto   appreso   da   "ausgestrahlt"   presso   fonti   ambientaliste 
russe.  
Secondo   il   portavoce   dell'organizzazione,   Jochen   Stay,   i   metodi   di   gestione   delle   scorie 
radioattive usati dalle aziende tedesche del complesso nucleare (Rwe e E.on) non sono 
diversi da quelli usati dalla mafia in Italia (e forse, aggiungiamo, c'è stata anche qualche 
forma di collaborazione); non ci sarebbe da meravigliarsi se tra breve emergessero nuovi e 
più grossi scandali anche in merito alla gestione del deposito di scorie “ufficiale” tedesco, 
quello posto nei pozzi delle miniere di salgemma di Gorleben. (2)

Altro   caso   clamoroso   sui   rifiuti,   questa   volta   da   poter   utilizzare,   è   un   classico   d'Africa, 
Nigeria Report.
Cito il REPORT di domenica 7 giugno che presenta un'inchiesta su estrazione petrolio in 
Nigeria. 

Uno degli aspetti più controversi è il "gas flaring", il gas che fuoriesce dai giacimenti di 
petrolio   e   che   viene   bruciato   dalle   compagnie   perché   sarebbe   costoso   riutilizzarlo.   Una 
pratica vietata in Nigeria e contrastata dalle Nazioni Unite perché altamente inquinante.
Ma  nonostante  i  divieti  e le sentenze  della Corte  Federale Nigeriana, la  pratica  del  gas 
flaring   ancora   oggi   viene   adottata   anche   perché   l'entità   delle   multe   che   dovrebbero 
dissuadere   le   grandi   aziende   è   risibile.   Alla   fine   anche   i   governanti   africani   sembrano 
tollerare e chiudere un occhio. Allora di chi è la responsabilità di un inquinamento che ha 
devastato il delicato ecosistema fluviale, distrutto la pesca e reso imbevibile l'acqua? E lo 
sfruttamento   delle   risorse   alle   spalle   della   popolazione   locale?  Negli  anni   la   tensione  è 
degenerata in una vera e propria guerra. A confrontarsi i guerriglieri, l'esercito nigeriano e 
le polizie private che proteggono le strutture e i cantieri delle multinazionali.

Report ha inoltre preso in esame la concentrazione delle proprietà terriere per l'allevamento 
di pecore da lana nella pampa argentina. Enormi estensioni di terra sono state comprate 
dalla   Benetton:   quasi   un   milione   di   ettari   di   territorio,   pari   al   10   per   cento   dell'intera 
Patagonia una volta abitata dagli Indios che ora vogliono indietro il loro territorio.  Al loro 
posto allevamenti di pecore che forniscono lana pregiata mentre le comunità originarie di 
indios Mapuche sono state escluse sempre di più, confinate in riserve e relegate ad attività 
economiche   di   pura   sussistenza.   La   famiglia   indio   Curinanco   ha   denunciato   questa 
situazione   rioccupando   un   piccolo   fazzoletto   di   terra   all'interno   delle   proprietà   della 
famiglia di Ponzano Veneto, rivendicando i propri diritti ancestrali e avviando una causa 
legale contro l'esproprio dei terreni agli indios e l'economia del latifondo. (3)

Gaetano

(1)­ http://www.zenit.org/article­19957?l=italian
(2)­ http://mir.it/servizi/ilmanifesto/estestest/?p=936
(3)­http://www.gestoricarburanti.it/redazione/il­mercato­petrolifero­
magazine­91/mercato­petrolifero­magazine­92/1880­report­domenica­7­giugno­presenta­
uninchiesta­su­estrazione­petrolio­in­nigeria.html

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