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S
I racconti
di Dio
studio del mese
T h e o b a l d
e l a t e o l o g i a
n a r r a t i v a
Lo stretto legame che esiste fra linteresse dei
contemporanei per la narrazione e il racconto e
la situazione culturale delle societ postmoderne
abitate da una pluralit di visioni del mondo e
da una crescente individualizzazione degli stili
di vita ha fatto s che la teologia narrativa
assumesse sempre maggior peso tra i diversi
tipi di pensiero teologico.
Tuttavia la fede in Dio, anche e soprattutto nella
nostra epoca post-metafisica, ha ancora bisogno
di essere pensata, perch la teologia narrativa
non rimanga semplicemente una moda, ma
venga fondata da un punto di vista filosofico e
teologico. Se ne incarica il teologo Christoph
Theobald in questo saggio, dimostrando che il
principio della concordanza tra la forma della
memoria biblica e il suo contenuto teologico
quello che permette di collocare la narrativit
al suo giusto posto in una teologia cristiana
adeguata a una societ post-metafisica e
postmoderna, cosciente della densit
letteraria delle sue tradizioni.
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locarsi risolutamente nella societ post-metafisica non
significa assolutamente rinunciare a pensare. Si tratta,
al contrario, di chiarire il legame fra questo contesto
mondiale radicalmente nuovo e la narrazione di Dio e
di pensarlo da entrambi i lati, da quello della nostra si-
tuazione post-metafisica e da quello di colui che noi
chiamiamo Dio. Il ritrarsi della metafisica conduce
certamente a liberare il potenziale narrativo della tra-
dizione biblica, ma al tempo stesso pone di fronte al
fatto che questultima concepisce Dio come soggetto
di un intrigo universale che lapocalittica indica con il
concetto di disegno divino (prothesis tu theu), mentre
oggi luniversale si riduce al dibattito su ci che
una societ giusta e su ci che attiene a unetica della
specie umana.
Se si vuole che la teologia narrativa non sia una
mera moda e si vuole fondarla da un punto di vista fi-
losofico e teologico, bisogna pensare la fede in Dio nel-
lepoca post-metafisica e cercare di comprendere ci
che fa il credente quando Lo pone nella posizione di
Soggetto, Soggetto di un racconto universale.
ci che tenter di fare in un primo tempo.
Ora, questo legame fra Dio e il racconto passa at-
traverso la fede, che al tempo stesso un atto di va-
lutazione dellinsieme di unesistenza individuale di
fronte al male e allassurdo, e di ci che rappresenta
lesistenza di unumanit nellimmensit delluniverso;
un atto che richiede tempo e si iscrive nel tempo di una
vita e nel tempo della storia. Pur essendo valutativo o
argomentativo, esso assume quindi necessariamente
una forma narrativa che, nel caso della tradizione bi-
blica ed evangelica, risulta molto particolare. In un se-
condo tempo, mostrer come questa forma specifica di
narrazione accordi un posto irriducibile alla libert di
valutazione credente, cos come si profila nellepoca
post-metafisica, e come essa dia cos una figura speci-
fica e universale a Dio. Infatti la teologia narrativa al-
laltezza del suo programma solo se, in uno stesso mo-
vimento del pensiero, la forma della memoria biblica,
fatta di racconti e di valutazioni, lespressione per-
fetta del contenuto teologico di questa memoria, dise-
gno di Dio strutturato dal suo modo unico di conce-
dersi alle nostre valutazioni e ai nostri racconti.
I limiti della narrativit compaiono precisamente
nel momento in cui ci si rende conto che essa si basa
su un atto di valutazione, di fronte alla questione della
teodicea, e che esso pu prendere forme molto diverse,
ad esempio quella della discussione con Dio. Essi ap-
paiono ancor pi chiaramente se si considera la plura-
lit dei generi letterari implicati nella memoria biblica,
nella quale la narrativit solo un elemento, certa-
mente notevole, ma che si articola con altri elementi,
come la legge, largomentazione, linno ecc. lo stesso
principio della concordanza fra la forma di questa me-
moria complessa e il suo contenuto principio estetico
e teologico al tempo stesso che permette di collocare
la narrativit al suo giusto posto in una teologia cristia-
na adeguata a una societ post-metafisica e postmo-
derna, cosciente della densit letteraria delle sue tradi-
zioni. ci che mostrer nellultima parte.
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35 anni di distanza da quando venne
formulata come progetto nella rivi-
sta Concilium,
1
la teologia narrativa
diventata una realt quasi scontata
della pratica teologica. Basandosi
sulla narratologia letteraria e biblica,
essa ha finito per diventare una for-
ma principale della dogmatica cri-
stiana e della pastorale catechetica e liturgica della
Chiesa, senza che si sappia sempre chiaramente il mo-
tivo per cui ha assunto una tale importanza.
Ora esiste uno stretto legame fra il nostro attuale
interesse per il racconto o la biografia e la situazione
culturale delle nostre societ postmoderne. La plura-
lit delle visioni del mondo che vi coabitano e la cre-
scente individualizzazione degli stili di vita che vi si
praticano rendono impensabile qualsiasi metafisica o
religione che volesse imporre una particolare conce-
zione delluniverso e uno specifico stile di vita come
norma universale. Parlare di societ post-metafisica
non altro che registrare globalmente questa situa-
zione di fatto. Cos, avendo perso la loro copertura
sacra o metafisica, le comunit tendono a rannic-
chiarsi nelle loro proprie tradizioni, religiose o meno,
a valorizzare le loro risorse narrative per fondare i lo-
ro stili di vita e ad accontentarsi di una vicinanza pi
o meno difficile fra loro, rinunciando a pensare la si-
tuazione post-metafisica che di fatto esiste; cosa parti-
colarmente pericolosa in un momento in cui le bio-
scienze e le biotecnologie rischiano di confiscare la
domanda sullavvenire delle societ umane, di natu-
ralizzarla in qualche modo e di risolverla in termini
di fantascienza.
Di fronte a questa situazione, una teologia narrati-
va che si considerasse un semplice sostituto della forma
metafisica assunta dalla teologia classica del secondo
millennio, apparirebbe molto ingenua e poco attrezza-
ta per rendere plausibile la pretesa universale inerente
alla Tradizione cristiana e ai suoi racconti di Dio. Col-
A
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I . PE NSARE L A F E DE I N DI O
I N E POCA POST- ME TAF I SI CA
Le principali caratteristiche della cosiddetta epoca
post-metafisica sono gi state ricordate: in positivo, ab-
biamo visto il pluralismo radicale delle visioni del mon-
do nelle nostre societ postmoderne e la crescente indi-
vidualizzazione dei nostri stili di vita; in negativo, ab-
biamo registrato la fine di ogni metafisica che volesse fa-
re di una di queste visioni o di uno di questi stili unu-
niversale norma di riferimento per tutte le altre culture;
questo determina, in definitiva e ancora una volta in
positivo, uno slittamento dellantico universale metafisico
e religioso verso una meta-riflessione morale e politica
sulle deliberazioni che le nostre societ e i loro individui
pongono effettivamente in essere per stabilire ci che
sta nelleguale interesse di ciascuno e ci che parimen-
ti buono per tutti.
2
Oggi pensare Dio implica trarre
profitto da questo slittamento (e farlo in positivo) in mo-
do che la fede in Dio appaia sotto una nuova luce, mai
cos percepita in epoca metafisica. Ma questo suppone
che non si passi sotto silenzio lo statuto aporetico della
nostra condizione post-metafisica: infatti questa condi-
zione non pu significare la scomparsa della questione
della verit o la sua limitazione agli ambiti scientifici e
socio-politici. Dobbiamo quindi affrontare questa diffi-
colt di fondo e attraversarla nellatto stesso di pensare
oggi la fede in Dio.
La fede al l i nterno
del l a condi zi one post- metafi si ca del l uomo
La principale conseguenza della fine della metafisica
il ritrarsi di Dio nel campo dellinevidenza radicale,
mentre egli si imponeva in societ governate e pensate a
partire da lui. Nessuno pi obbligato a fare intervenire
Dio nella gestione della sua esistenza; e il principio della
laicit consiste nel tenerlo a distanza dalle nostre faccen-
de pubbliche. Cos, per la prima volta nella storia dellu-
manit, compare una distinzione che non potrebbe esse-
re pi netta fra ci che oggetto del sapere, del resto
sotto tutte le sue forme, e ci che attiene alla fede. Il
silenzio di Dio permette una pluralit di posizioni o
atteggiamenti di fronte allenigma della vita e del mon-
do; rivela quindi alla fede ci che essa in ultima
istanza: un atto di libert senza alcuna garanzia.
Questa collocazione radicale della fede non la
minore conseguenza del passaggio delle nostre societ
allepoca post-metafisica. Risale a Kant e alla sua distin-
zione fra il sapere e la fede. Il suo il primo tentativo po-
st-metafisico volto non solo a criticare tutti i contenuti co-
gnitivi di una fede religiosa che oltrepassano lautono-
mia della semplice coscienza morale e auto-legislativa
il dato di ragione ma anche a recuperare di questi
contenuti, per conto della stessa ragion pratica, la moda-
lit della fede (Vernunftglauben) sotto la forma di po-
stulati. Certo, il filosofo di Knigsberg non ha ancora
coscienza del pluralismo religioso, ma landamento del-
la sua argomentazione trascendentale paradigmatico;
potremmo addirittura dire che il suo modo di continua-
re a parlare di una metafisica dei costumi o anche di
una metafisica della natura non un rimasuglio del
passato, ma ci avverte di non prendere il post- come
un invito a rinunciare a pensare la radicalit dellatto di
fede che egli vuole salvare come essenziale.
3
A questo punto incrociamo linterpretazione del ge-
sto fondatore di Kant da parte di Jrgen Habermas, il
quale nel prologo della sua opera Zwischen Naturali-
smus und Religion (Tra naturalismo e religione) propone
una definizione dellet post-metafisica. Scrive: Chia-
mer quindi post-metafisica () le posizioni agnostiche
che distinguono nettamente fede e sapere, senza postulare
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Theobald e la teologia italiana
a proposta e limpostazione teologica di Christoph
Theobald hanno ricevuto unattenzione non formale nel
panorama della teologia italiana. Il dibattito si concen-
trato su due snodi cardine del suo pensiero, che non solo pro-
pongono il riposizionamento del cristianesimo nella contem-
poraneit, ma ne suggeriscono una vera e propria riconfigura-
zione.
Il primo aspetto quello dellintelligenza della fede che
pensa e vive la rivelazione cristiana di Dio. Al saggio Dei ver-
bum: dopo quarantanni la rivelazione cristiana (cf. Regno-
att. 22,2004,782), sono seguite due riprese di confronto criti-
co intorno alla qualit cristologica della storicit di Dio (cf. M.
EPIS, La rivelazione come storia. W. Pannenberg e C. Theo-
bald: due modelli teologici a confronto, in Teologia 31 (2006),
11-35; M. NERI, Accolta singolarit. La teologia della rivelazio-
ne nellopera di Christoph Theobald, in Regno-att. 2,2007,27);
e la pubblicazione in italiano del suo volume su La rivelazio-
ne (EDB, Bologna 2006).
Il secondo aspetto quello di una complessiva compren-
sione stilistica del cristianesimo (cf. La teologia nella post-
modernit: il cristianesimo come stile, in Regno-att.
14,2007,490). A questo tema la Facolt teologica dellItalia set-
tentrionale ha dedicato una giornata di studio e confronto
con il prof. Theobald, svoltasi a Milano il 30 maggio 2007, di
cui eco il terzo numero della rivista Teologia del 2007 dedi-
cato a Teologia e fenomenologia di Ges. Teologia fonda-
mentale in contesto postmoderno: dinamismo dellospitalit
teologale di Ges e riconfigurazione della fede in Christoph
Theobald.
Questo studio del mese a firma di C. Theobald, di cui le
EDB hanno recentemente pubblicato in traduzione italiana i
due volumi su Il cristianesimo come stile, intende riprendere e
rilanciare gli spunti critici emersi nel corso di questi momenti ri-
cettivi del suo pensiero da parte della teologia italiana.
M. N.
L
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ovviamente (come fa lapologetica moderna) la validit
di una religione particolare, ma anche senza contestare
(come fa lo scientismo) a queste tradizioni nel loro insie-
me un possibile contenuto positivo.
4
Indubbiamente, tutto questo prologo attraversato
dallinquietudine di fronte a una modernizzazione che
tende a uscire dai suoi binari; e, alla maniera di Kant,
Habermas spera di trovare nelle tradizioni religiose del-
le risorse di un linguaggio che apra il mondo e per-
metta la rigenerazione () di una coscienza normativa
che si indebolisce da ogni parte.
5
Egli infatti ben con-
sapevole dei limiti delle teorie morali formali e deonto-
logiche di ispirazione kantiana, che sono a corto di ri-
sposte quando si pone la questione della motivazione ad
agire come si deve, in particolare quando si affrontano i
problemi relativi a unetica della specie umana in rap-
porto alle bioscienze e alle biotecnologie. Ma presta ben
poca attenzione allaporia inerente allepoca post-meta-
fisica, aporia che deriva precisamente dalla pluralit del-
le religioni e visioni del mondo, ognuna delle quali pre-
tende di avere la verit rispetto ai fedeli di altre religioni
e ai non credenti; pur riconoscendo questo fenomeno,
egli tende piuttosto a ridurre le convinzioni e la fede a
delle opinioni,
6
collocandole nello schema aristotelico
dellopinione (doxa) e del sapere (episteme).
7
Effettivamente molti credenti considerano la loro
fede unopinione (doxa) fra altre, mentre molti non
credenti pongono la loro libert semplicemente al ripa-
ro da ogni interrogativo ultimo, restando in un cosiddet-
to riserbo agnostico; in realt, gli uni e gli altri adotta-
no istintivamente lo stesso atteggiamento di fondo di
fronte al plurale che il loro elemento, o accontentando-
si dello stato di fatto della loro credenza o rifiutando di
impegnarsi. Per quanto legittimi e necessari siano un ta-
le agnosticismo e una tale tolleranza di fatto sul piano
pubblico delle nostre societ democratiche, bisogna tut-
tavia chiedersi se questi atteggiamenti non conducano in
definitiva a ridurre le tradizioni religiose alla loro utilit
storico-sociale.
Certamente Habermas esalta il pensiero post-metafi-
sico di un Kierkegaard che si confronta con linsupera-
bile eterogeneit della fede
8
e raccomanda un atteggia-
mento di non ingerenza nei riguardi delle religioni,
ma tutto sommato riduce queste ultime a risorse e de-
finisce apologetico il tentativo interno alla teologia
cattolica di mantenere la questione della verit sul terre-
no delle convinzioni religiose, una posizione, a suo avvi-
so, simmetricamente opposta allo scientismo, che le con-
sidera per s non vere, illusorie o prive di senso.
9
Quanto alla fede cristiana, essa non pu acconten-
tarsi dello statuto di opinione, perch la convinzione
intima che essa reclama da parte del soggetto al tem-
po stesso un impegno nei riguardi della verit e della sua
propria verit; un impegno tanto pi inespugnabile per
il fatto che la fede trova nellepoca post-metafisica il
posizionamento radicalmente libero e senza garanzia di
cui si detto allinizio. Ma bisogna aggiungere subito
che la conservazione della questione della verit nel
campo specifico del nostro vivere insieme che sono le
nostre convinzioni non vantaggiosa solo per la Tradi-
zione cristiana, ma importa anche alle nostre societ; in-
fatti la scomparsa della ricerca del vero in questo campo
sarebbe disastrosa perch priverebbe lumanit di un ul-
timo potenziale di motivazione di cui ha bisogno per la
sua sopravvivenza.
certamente qui che risiede la principale difficolt
della teologia contemporanea. Non che non si possa di-
mostrare il carattere inespugnabile della questione della
verit: infatti, appena si argomenta a favore di questo o
di quello, si suppone una possibile verit; vivendo in un
ambiente multiculturale e multireligioso, lo stesso cre-
dente non pu non adottare una prospettiva panorami-
ca e comparatistica sul fenomeno religioso e quindi
chiedersi perch aderisce alla fede cristiana, mentre si
trova davanti molte altre scelte che reclamano in qual-
che modo la sua adesione.
Questo modello di argomentazione pu essere fa-
cilmente universalizzato, postulando come condizione
ultima del vero che nessuno sia escluso dallargomenta-
zione e non venga esercitata alcuna violenza sugli inter-
locutori; mira utopica certamente necessaria come
denunciare altrimenti violenza ed esclusione? ma al
tempo stesso impossibile come non riconoscerne il ca-
rattere fittizio? Infatti lutopia del consenso univer-
sale e senza costrizione garantisce unicamente la possi-
bilit di porsi al di l dello scetticismo (nulla vero) e del
dogmatismo (io conosco la verit); posizione che il con-
cilio Vaticano II chiama ricerca responsabile della ve-
rit (Dignitatis humanae, n. 3; EV 1/1047).
Ma, ci detto, bisogna riconoscere che nessuno ob-
bligato ad argomentare. Come in passato, per lo pi i
nostri contemporanei vivono interi periodi della loro esi-
stenza senza ricorrere a questo tipo di razionalit. Le lo-
ro convinzioni ultime riguardo al senso che danno alla
loro vita derivano maggiormente, come abbiamo gi ri-
cordato, dal registro emotivo. A questo clima generale si
aggiunge laporia inerente alla questione della verit:
pur essendo una o comune a tutti gli esseri umani,
essa irrimediabilmente segnata dalle nostre divisioni
storiche e quindi attraversata dallinsuperabile pluralit
delle nostre convinzioni assiali o ultime. Mentre que-
sta aporia, maggiormente percepibile nel nostro conte-
sto mondiale e post-metafisico, ma certamente struttura-
le dellenigmatico fenomeno umano, costringe il pensie-
ro a mantenere al tempo stesso il rispetto della pluralit e
largomentazione a favore del vero, essa continua a es-
sere ridotta a un insieme indistinto di opinioni multiple,
persino a degradarsi in violenza o semplicemente in in-
differenza reciproca.
Come argomentare, in questo clima globale di dol-
ce nichilismo, a favore della pretesa allassolutezza del-
la fede cristiana?
La dot tri na del postul ato
e l a strut tura dossol ogi ca del l a fede
Per affrontare la questione nel quadro dellaporia gi
segnalata, a nostro avviso, lunico approccio possibile
un rinnovamento della dottrina kantiana del postula-
to, rimodellata su una concezione dossologica dellatto
di fede. Infatti la critica della metafisica nellepoca post-
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moderna non pu significare la fine di un pensiero del
vero che deve allora, per conservare lapertura radicale
dellumano, aprirsi un cammino molto precario fra il
dogmatismo e lo scetticismo.
Anzitutto, riguardo al suo versante filosofico, noi riaf-
fermiamo lo statuto fittizio dellutopia di una comuni-
cazione universale e senza costrizione e aggiungiamo gi
che, per lermeneutica filosofica, il grande racconto bi-
blico, detto anche grande codice,
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ha un carattere
fittizio; statuto che riguarda pi particolarmente la
sua metafora centrale, quella del regno di Dio. Ma pre-
cisiamo subito che questa sensibilit nei riguardi del
mondo biblico come totalit non esclude assoluta-
mente, ma al contrario include, linteresse storico per la
genesi di questo mondo e per coloro che lhanno inven-
tato e aperto. precisamente qui che interviene latto di
postulazione: esso conserva fino in fondo e al di l di
ci che , propriamente parlando, conoscibile un as-
soluto che, pur essendo dellordine della finzione o di
un come se, si presenta come condizione necessaria
per permettere a colui che lo pone di condurre una vita
sensata.
11
In Kant, che al riguardo si basa sul fatto razionale
dellimperativo categorico, questo atto di fede ragione-
vole postula unistanza divina, cio un autore morale del
mondo, in grado di riconciliare i due ordini della legge
naturale e della legge morale.
12
Ma qui poco importa il
dettaglio dellargomentazione: il suo stesso andamento
che ci interessa e soprattutto un modo di valorizzare la
creativit interna di una fede che esplicita ed estrapo-
la progressivamente tutto ci di cui essa dispone per re-
sistere allassurdo e al male,
13
fino ad anticipare unen-
tit etica comune, una sorta di Chiesa universale e in-
visibile sulla terra di cui il regno di Dio il simbolo.
Ma, se la dottrina kantiana del postulato vuole con-
servare soprattutto lautonomia assoluta della coscienza
morale e, in qualche modo, la gratuit del rispetto del-
laltro e di s, resa indipendente da ogni promessa di
premio o di castigo, allora bisogna chiedersi ci che mo-
tiva in definitiva questo atto gratuito, rendendolo cos
possibile. Kant riflette sul problema della volont corrot-
ta e pervertita dal male e sulla sua possibile rigenerazio-
ne, ma non cede quanto alla necessit di lasciare solo al-
luomo e alle sue opere ci che egli deve diventare, buo-
no o cattivo.
Ora qui, proprio nel luogo della massima fragilit
della volont umana, che si pu introdurre, in una pro-
spettiva pi paolina, lesperienza e la nozione del poter
essere s stessi o del poter essere pi proprio del s.
Kierkegaard, al quale dobbiamo la prima di queste
espressioni, guida la traversata del s, mediante la sua
trascendenza interiore, fino allimmersione nella poten-
za che lha posto,
14
mentre Heidegger, autore della se-
conda espressione, identifica lemergenza del s con una
chiamata ascoltata: Al Se-stesso chiamato, nulla
gridato, ma esso convocato a se stesso, cio al suo po-
ter-essere pi proprio.
15
A causa del carattere formale
del ragionamento, si tratta, in entrambi i casi, di una ve-
ra postulazione; in Kierkegaard, essa prende la forma
di una resistenza al male che il pensatore cristiano usa
nellanalisi di ci che chiama la malattia mortale, il
fallimento salutare di ogni atto di affermazione di s me-
diante il s.
chiaro che, in tutti questi casi, la tradizione narra-
tiva della Bibbia servita da risorsa, permettendo lar-
ticolazione filosofica di questa fede post-metafisica
sotto le sue diverse forme. Per ragioni che si chiariranno
in seguito, il teologo non pu che reagire positivamente
di fronte a questo fenomeno di apprendimento e di riu-
tilizzo, pur conservando la propria libert di esprimere
delle preferenze per questa o quella ripresa. Non basta,
in una prospettiva neotestamentaria, affermare che que-
sta fede di ragione si aggiunge, come in Kant, alla
coscienza morale nella sua autonomia; ci sembra che
si possa, e addirittura si debba, poter dimostrare che es-
sa rappresenta in qualche modo il nocciolo di una co-
scienza spirituale che, in unesperienza di gratuit ori-
ginaria, si mostra autorizzata a esistere per se stessa, nel-
lintersoggettivit umana e nella sua inalterabile solitudi-
ne; condizione relazionale e socio-politica di cui si par-
ler pi avanti.
16
La dimensione dossologica o teologale della fede
emerge dal cuore di questa postulazione, precisamente
l dove si manifesta una gratuit assolutamente discreta
e quindi senza esigenza di riconoscenza o di ritorno.
Se, sul piano filosofico, luomo biblico appare anzitutto
come credente che fa esistere Dio, questo atto di in-
venzione, se si osa parlare in questo modo, consiste, da
un punto di vista propriamente teologico, nel conferire a
Dio lo statuto di soggetto; il che implica uninversio-
ne dello sguardo o una conversione del soggetto
umano che affronta ormai il reale con stupore (thau-
mazein), adottando in qualche modo lo sguardo stesso
di Dio su di lui: Nella tua luce, noi vediamo la luce,
canta il salmista, seguito da tutta una tradizione che usa
la metafora dellimmagine e dello specchio per at-
tribuire lazione della sapienza o del Logos nellumanit
a Dio (cf. Sap 7,26s; 1Cor 13,12; 2Cor 3,18).
17
La libera creativit della fede viene assunta in que-
stesperienza dossologica; essa non annullata, poich il
silenzio di Dio ne la riproduzione. Anche questo si-
lenzio assume nellatto stesso di pregare e lodare Dio
una nuova connotazione; ora esso abita la fede, la tra-
scende dallinterno e lingloba al tempo stesso come in-
globa tutto il reale, manifestandosi come semplice s
divino. Perci latto di fede propriamente teologale resta
il risultato di una sintesi che simultaneamente si prova e
si comprende come realizzazione, persino come incar-
nazione di un disegno divino
18
di cui pu rendere con-
to solo un pensiero narrativo in forma olistica; lo mostre-
remo nella seconda parte.
Di fronte ai rischi della storia e alle molteplici mani-
festazioni del male, questa fede continua a resistere al-
lassurdo e al tragico, ma ormai procedendo a una pon-
derazione della vita umana a partire dal s silenzioso
di Dio. Indubbiamente la confessione di fede dellapo-
stolo Paolo ne lespressione pi alta. Concludendo un
lungo processo di riflessione condivisa con i Romani,
egli afferma: Ritengo (logizomai) infatti che le sofferen-
ze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria
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futura che sar rivelata in noi (Rm 8,18). La conserva-
zione e la proclamazione di un Vangelo fin nella prova
del male e della morte pu avere come soggetto solo
Dio: Bont radicale di colui che d vita ai morti e chia-
ma allesistenza le cose che non esistono (Rm 4,17).
Un modo di assumere
l apori a del l a condi zi one post- metafi si ca
Al punto in cui siamo giunti nellargomentazione
della fede a favore della sua propria consistenza, possia-
mo gi ritornare sullaporia inerente alla questione della
verit, cio linespugnabile unit del vero e la minac-
cia che sembra pesare su di essa a causa dellinsuperabi-
le pluralit delle convinzioni ultime che coabitano pi o
meno difficilmente in seno alla stessa umanit.
Riguardo al modo specifico della tradizione biblica e
cristiana di affrontare questa aporia insuperabile, la for-
ma propria che le d consiste nellassumere fino in fon-
do la fragilit umana che questenigmatica condizione
produce: la fede prende su di s la menzogna, la vio-
lenza e ogni esclusione, persino lassenza di ogni interes-
se per il vero; essa applica semplicemente la regola do-
ro (cf. Mt 7,12) riguardo alle altre convinzioni assiali del-
lumanit.
Integrare in questo modo la prospettiva altrui, qua-
lunque essa sia, al punto da prendere su di s le situazio-
ni limite dellintersoggettivit umana, compreso leven-
tuale rifiuto di comunicare, significa identificare la verit
in definitiva con un modo di comunicare con laltro; un
modo che il Nuovo Testamento, in particolare laposto-
lo Paolo, riconosce al Messia che per lui Ges di Na-
zaret. Questa prospettiva, che si pu chiamare kenoti-
ca (cf. Fil 2,5s) o assimilare alla santit biblica, sup-
pone non solo che il soggetto mantenga fino in fondo la
coerenza con se stesso (concordanza fra pensieri, parole
e atti) e attivi la sua capacit paradossale di mettersi (con
simpatia e compassione) al posto dellaltro senza mai la-
sciare il proprio posto; ma essa implica anche e soprat-
tutto che, precisamente nelle situazioni limite della co-
municazione, sia cambiato il suo rapporto con la morte;
su questo ritorner pi esplicitamente nellultima parte.
La fede, che come abbiamo detto esplicita ed estra-
pola, in un processo di valutazione e ponderazione, tut-
to ci di cui dispone per affrontare situazioni inedite di
comunicazione, assimila questa santit assolutamente
non esigibile a Dio, considerato come colui che rende
possibile nella storia limprobabile, persino limpossi-
bile. Nella sua forma propriamente dossologica di spos-
sessamento di s, essa d cos alla sua Bont radicale il
suo ultimo significato, al quale mirano la teologia del
XX secolo e il concilio Vaticano II quando usano le-
spressione paradossale di auto-rivelazione di Dio come
mistero (Dei verbum, nn. 2 e 6; EV 1/873 e 878).
Notiamo, per concludere questo primo tempo, che
questo concetto risponde perfettamente alle esigenze di
un pensiero post-metafisico, inaugurato mediante la
messa in risalto della modalit della fede: se Dio ha do-
nato tutto, compreso se stesso come indica la nozione
di auto-rivelazione, allora si comprende non solo il
silenzio di colui che ha detto tutto, ma anche la forma ul-
tima di una fede che non pu che essere un atto libero
senza alcuna garanzia, ricevendo da Dio senza confu-
sione con le nostre conquiste cognitive e tecniche ci
che per sempre lui solo pu donare alluomo, cio se
stesso nella sua santit assolutamente gratuita.
Queste riflessioni sul pensiero di Dio nellepoca post-
metafisica riuniscono tutte le condizioni per liberare i
racconti di Dio da unutilizzazione puramente circostan-
ziale, persino folkloristica, e introdurli in una teologia
narrativa che non schiva la pretesa della fede di porre
Dio in posizione di soggetto di un intrigo universale.
ci che mi propongo di fare ora, nel secondo tempo.
I I . DAL L A PONDE RAZI ONE AL L A NARRAZI ONE
La traversata di un pensiero post-metafisico della fe-
de in Dio ci ha condotti al punto preciso in cui possiamo
chiederci se vi siano delle ragioni propriamente teologi-
che, derivanti quindi dalla figura cristiana di Dio, per
fondare il legame fra lui e una narrazione universale,
stabilita per la prima volta nella letteratura apocalittica
con la nozione di disegno divino.
Partir dalla discussione delle ragioni proposte dalla
teologia narrativa classica a proprio favore, e le valuter
in funzione della loro pertinenza in epoca post-metafisi-
ca. Poi occorrer mostrare ed il punto principale
che i racconti evangelici del Nuovo Testamento sono
particolarmente consoni alla nostra condizione storica,
perch si interessano non solo a Cristo e ai suoi discepo-
li, ma anche alla figura, pi elementare e universale, di
coloro che circostanze di ogni sorta pongono davanti al-
la questione del peso e del valore della loro vita. In
realt, questo interesse per le folle anonime e per la sin-
golarit assoluta di colui che se ne distacca induce a sta-
bilire un legame fra Dio e le nostre storie umane, perch
quello che viene detto il suo disegno altro non che il
suo modo unico di permettere alla moltitudine di farlo
esistere mediante una ponderazione credente, nel sen-
so antropologico ed, eventualmente, dossologico del ter-
mine spiegato sopra.
Allorizzonte di questipotesi si profila gi la questio-
ne della ragion dessere degli altri generi letterari o for-
me di discorso nella memoria biblica, che potrebbero
candidarsi anchessi a un ingresso privilegiato in teolo-
gia; questione legittima che noi affronteremo solo nel-
lultimo tempo del nostro percorso, per proporre una de-
finizione pi precisa della teologia narrativa.
Le esi tazi oni
del l a teol ogi a narrati va cl assi ca
In realt fin dallinizio, nel 1973, questa questione di
una definizione della teologia narrativa caratterizzata
da una serie di esitazioni, causate soprattutto dalla con-
sapevolezza di certi limiti interni al progetto: veramen-
te possibile esprimere tutta la teologia cristiana in termi-
ni di teologia narrativa? Tutti gli autori si difendono dal
rischio evidente della confusione: Nessuno quindi im-
maginer che, sotto il nome di teologia narrativa, si na-
sconda il progetto di raccontare invece di pensare, sot-
tolinea Paul Beauchamp.
19
Fin dalla prefazione del suo
Dio mistero del mondo Eberhard Jngel confessa la sua
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REGATT 02-2010.qxd 21/01/2010 14.22 Pagina 55
perplessit: Non riuscivo a risolvere il problema se la
teologia narrativa sia realizzabile sotto la forma di una
dogmatica scientifica o se la teologia narrativa non fac-
cia piuttosto gi parte dei compimenti pratici della Chie-
sa e abbia il proprio Sitz im Leben (posto vitale) nellan-
nuncio.
20
Pi recentemente anche Paul Ricoeur ha
espresso le sue riserve: Temo una certa inflazione del
racconto come genere letterario a spese di altri modi di
discorso: prescrittivi, profetici, innici, sapienziali.
21
I teologi avanzano perlomeno due ragioni per fonda-
re il privilegio del racconto rispetto ad altre forme di di-
scorso, come ad esempio largomentazione. Sulla scia di
Paul Beauchamp, Bernard Sesbo propone una pic-
cola antropologia del racconto che cerca di individua-
re la molla segreta di questo bisogno di racconti che ci
caratterizza. Ricorda che lassenza la sostanza del
racconto, e pi ancora la mancanza; questo ci con-
duce dal nostro proprio racconto al racconto biblico, per
leggervi le due componenti della nostra salvezza, libe-
razione dalla finitezza e liberazione dal male.
22
Gi
Jean Baptiste Metz aveva avanzato delle ragioni soterio-
logiche per fondare la necessit del racconto: la storia
della sofferenza come storia della colpa e storia dei vinti
resiste a ogni logica emancipatrice e mette in discussio-
ne una soteriologia puramente speculativa.
23
Con un approccio pi barthiano, Eberhard Jngel
adduce ragioni propriamente teologiche favorevoli a fare
dellumanit di Dio una storia da narrare:
24
Il fatto
che luomo possa corrispondere allumanit di Dio solo
raccontandola stato motivato con la conoscenza dellu-
manit di Dio come evento che imprime una svolta alla
storia umana, che divenne realt non a partire da questa
storia e dalle sue possibilit, ma solo dalla potentia aliena
del Dio che viene al mondo. Il linguaggio che corrispon-
de alla svolta della storia propriamente il racconto.
25
Perci Jngel insiste sulla presenza escatologica della
fine della storia nel corso del tempo: Lannuncio del
nuovo tempo fa sembrare lessere del mondo come reso
vecchio da nuovo tempo e destinato a passare.
26
Tutta-
via ci che pu essere solo raccontato nel corso del tem-
po non una possibilit del tempo, ma suppone la ve-
nuta al mondo del mistero del mondo. Jngel pensa que-
sta venuta in unontologia fondamentale del possibile
e del reale
27
che annuncia gi gli sviluppi di Paul Ri-
coeur nel decimo studio di S come un altro.
28
Il faccia a faccia fra Metz e Jngel molto istruttivo
nel quadro della nostra ricerca di un principio che per-
metta di stabilire un legame intrinseco fra Dio e la nar-
razione narrativa. Metz non indica alcuna ragione teolo-
gica per stabilire la necessit dellargomentazione, che
egli riduce del resto a unapologia del racconto. Si priva
anche di colpo della possibilit di fondare il suo proprio
modo di ragionare, identificando il logos della teo-logia
cristiana con una cristo-prassi al seguito di Ges.
il punto che Jngel contesta con forza, sottolinean-
do lesigenza di verit iscritta nel racconto biblico. Scri-
ve: Linteresse pratico a cui mira il narratore non sin-
dirizza immediatamente allagire, ma vuole rendere
esperibile ci che senza la parola narrante per qualsiasi
motivo non ovvio, ma, sulla base della parola narran-
te, appare come la cosa pi ovvia. Non la ragione pra-
tica ma il giudizio a essere provocato primariamente.
29
La perorazione di Jngel a favore delluditrice Maria,
preferita da Ges a Marta che agisce troppo in fretta,
mostra che egli rifiuta la riduzione della contemplazione
allazione. Ma la ragione teologica di questo rifiuto
linteresse dei racconti biblici per la verit che le stesse
Scritture valorizzano anche mediante largomentazione.
In realt, Eberhard Jngel lunico ad aver fondato
teologicamente la diversit dei generi letterari, e special-
mente la differenza fra racconto e argomentazione. Per
lui la forma dei testi pi antichi, lettere apostoliche di
carattere fortemente discorsivo, indica chiaramente
che Dio si offerto alla contemplazione solo nel Croci-
fisso: solo questo divieto cristiano delle immagini sareb-
be in grado di garantire la singolarit unica di Dio, che
non ha storie perch storia. Largomentazione delle let-
tere permetterebbe quindi di proteggere i racconti evan-
gelici dalla narrazione apocrifa che dimenticherebbe
questo principio.
30
Anche se il contenuto dellargomentazione di Jngel
e soprattutto la concentrazione della sua teologia sul
Crocifisso non sono necessariamente convincenti, in-
negabile che egli ha toccato, di sfuggita, il principio stes-
so di una teologia narrativa che consiste nel mettere in
risalto la concordanza assoluta fra la forma e il contenuto
della memoria biblica; un compito che implica evidente-
mente una riflessione teologica sui limiti della narrativit
che abbiamo annunciato per lultimo tempo del nostro
percorso.
Invece bisogna discutere fin dora laffermazione di
Jngel secondo cui Dio non ha storie perch storia. Si
pu contestare la capacit del grande intrigo biblico, gi
plurale in se stessa, di generare una molteplicit di rac-
conti? Si pensi qui ai racconti della storia, da Eusebio fi-
no ai nostri giorni, o alle diverse versioni dellintrigo fi-
losofico dei tempi moderni, da Lessing
31
a F. Kermode
32
e J. Habermas, o ancora a quella parte della letteratura
mondiale che si lasciata ispirare da una determinata fi-
gura delle Scritture o da uno dei suoi intrighi, persino
dalla Bibbia nel suo complesso.
33
Ma bisogna pensare
anche e soprattutto alle numerose biografie dei santi e
degli autori spirituali
34
che, esse stesse ricalcate sui rac-
conti biblici, hanno generato altre biografie a volte ano-
nime, in unimmensa moltiplicazione di racconti.
Vi sarebbe un modo ascetico di volgere le spalle a
questa visione apocalittica,
35
concentrando tutte le ener-
gie sulla protezione dogmatica dellunicit di Dio che
non ha storie. vero e vi ritorneremo che lintrigo
biblico organizzata attorno al Dio unico e al suo uni-
co, lunigenito, colui che cantano i salmi 2 e 110 e che
intravede da lontano loracolo di Is 53,8: Chi raccon-
ter la sua generazione?. In realt, per san Tommaso
questa generazione divina e umana di Ges ineffabi-
le;
36
e noi abbiamo visto largomento di Jngel che inter-
rompe il racconto, in questo punto cruciale, con il divie-
to di ogni immagine. E tuttavia, non si deve pensare al
tempo stesso al fatto che la Lettera agli Ebrei, ad esem-
pio, trasferisce la filiazione divina alla condizione co-
mune di tutti? Scrive il suo autore: Conveniva infatti a
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colui per il quale e mediante il quale esistono tutte le co-
se di condurre alla gloria una moltitudine di figli.
37
Questa straordinaria trasgressione indica chiaramente
che il Dio di Ges Cristo ha una moltitudine di storie.
La nostra percezione attuale di questa moltitudine,
cos come scaturisce dal plurale interno dellintrigo bibli-
co e dalla sua capacit di generare altri racconti, inti-
mamente legata allo statuto dellatto di fede in una so-
ciet post-metafisica, analizzata nel primo tempo del no-
stro percorso; daltra parte, essa confermata, persino
richiesta dal centro cristologico e pneumatologico dei
racconti evangelici. Sono i due punti che bisogna affron-
tare ora e che ci inducono ad abbandonare il quadro
della teologia narrativa classica.
Lat to di ponderazi one ri chi ede tempo
Sopra abbiamo visto che, in una prospettiva filosofi-
ca, la fede esplicita ed estrapola tutto ci di cui dispone
per affrontare lassurdo e che, in una prospettiva teolo-
gale e dossologica, giunge fino a spossessarsi di s, la-
sciando la parola a Dio e adottando il suo sguardo sul
reale. Questo spossessamento di s conviene special-
mente in tutte le situazioni limite della comunicazione
umana, soprattutto quando la difficile coabitazione fra
convinzioni ultime si trasforma in violenza e si presenta
allorizzonte la possibilit di assumere questultima at-
traverso un atteggiamento di non violenza. Sperimen-
tando concretamente il carattere improbabile di quella
posizione che la tradizione biblica indica con il termine
santit, la fede si spinge fino al fondo della sua estra-
polazione dossologica e attribuisce questa santit a Dio,
la cui bont considerata tale da rendere gratuitamente
possibile limpossibile, nella stessa storia dellumanit.
Questesplicitazione e questestrapolazione intrapre-
sa dalla fede un atto di valutazione e di ponderazione
che richiede tempo e si iscrive nel tempo di una vita e nel
tempo della storia. Bisogna distinguere e mantenere in-
sieme questi due poli, singolare e collettivo, di uno stes-
so atto, perch si generano reciprocamente.
38
Infatti dare senso alla propria vita ed entrare even-
tualmente nellinversione dossologica della fede teologa-
le resta unesperienza assolutamente singolare che ac-
compagna tutta una vita con le sue crisi e le sue riprese,
le sue molteplici sorprese e le sue fasi pi tranquille, sen-
za poter terminare prima della morte del soggetto; essa
pu esprimersi precisamente in elementi di racconti, di
intrighi di risoluzione e di rivelazione (secondo le espres-
sioni consacrate dalla narratologia), andando dalla sem-
plice confidenza o dalla confessione fino al racconto bio-
grafico. Ma essa esiste solo se lambiente la rende possi-
bile, fornendo al soggetto le risorse del linguaggio e di
una tradizione con le sue figure di identificazione, per-
mettendogli cos di articolare il suo proprio cammino e
il suo modo di dargli un senso. Da parte loro, anche que-
ste tradizioni di senso hanno una storia che consiste nel-
lintegrare nel loro patrimonio narrativo, grazie a un fe-
nomeno di rilettura, le esperienze decisive, crisi e ripre-
se, che hanno condotto i loro portatori collettivi e indivi-
duali, attraverso soglie critiche, a prese di coscienza spi-
rituali e a valutazioni sempre pi sottili e approfondite.
La specificit della tradizione biblica non solo quel-
la di aver articolato questi molteplici intrighi collettivi e
singolari e di averle riunite e collegate in raccolte sempre
pi ampie, giungendo fino a imprimere allinsieme la
forma olistica di un grande racconto. La specificit di
questo corpus evidenziata anche e soprattutto dal suo
modo di iscrivervi, fin dalle prime parole, la postulazione
di senso sotto la sua forma dossologica, facendo indubbia-
mente di Dio il soggetto del grande racconto che in-
globa e orienta dallinterno linsieme degli intrighi sin-
golari e collettivi, ma facendolo in modo tale che la va-
lutazione del peso di ogni episodio di questo racconto
sia progressivamente lasciata agli stessi attori umani. Da
questo punto di vista, il percorso narrativo della Genesi
particolarmente significativo per linsieme della Bib-
bia.
39
Esso articola fin dallinizio i due livelli del disegno
divino e della libert umana, lasciata alla contingenza
della storia e al male sotto tutte le sue forme, ma, nel ci-
clo di Giuseppe, d al saggio che sogna e sa interpretare
i sogni altrui una chiaroveggenza quasi divina e, a cose
fatte, lacrime umane provocate dal modo di Dio di trar-
re il bene dal male (Gen 50,20).
Solo che questa postulazione quella di un narra-
tore anonimo e onnisciente, quasi silenzioso e, comun-
que, assolutamente discreto, che lascia al lettore come
unevidenza che Dio autore di un intrigo divino. Sol-
tanto in epoca moderna questa postulazione viene per-
cepita come tale e nella sua forma specifica di presup-
posto. Nessuno lha espresso meglio di Thomas Mann
nel suo grande romanzo Giuseppe e i suoi fratelli in
quattro volumi (1933-1943), spesso commentato ai no-
stri giorni. Attraverso la memoria di Giuseppe, egli ri-
sale ad Abramo e mostra come questultimo, sognato-
re roso dallinquietudine, fu spinto a mettersi in cam-
mino dallinquietudine di Dio (Gottesnot) e il modo in
cui lha scoperto, facendo apparire, a pi riprese e
con unestrema precisione, linversione del movimento
di postulazione nel cuore della struttura dossologica del-
la fede.
Ecco ci che si legge nel secondo volume: Si chia-
mava Abiram, che poteva significare mio Padre subli-
me, ma anche, a ragione, padre del Sublime; infatti,
in una certa misura, Abraham non forse il padre di
Dio, dal momento che lo aveva contemplato e nel pensie-
ro aveva concretizzato la sua immagine (ausformen und
hervordenken)? Certamente, le qualit insigni che gli at-
tribuiva erano lappannaggio primordiale del Signore,
Abram non ne era assolutamente il creatore; tuttavia,
non le aveva forse in qualche modo generate scoprendo-
le, insegnandole e conferendo loro, mediante lo spirito,
una realt? Senza dubbio, le virt onnipotenti di Dio esi-
stevano sostanzialmente al di fuori di Abraham, ma esse
erano al tempo stesso in lui ed emanavano anche da lui;
in certi momenti, era impossibile dissociarle dalla poten-
za della sua anima, di lui Abiram, tanto erano stretta-
mente unite e confuse nella conoscenza. Era l il punto
di partenza dellalleanza.
40
O ancora questo breve riassunto nel quarto volume:
Dio aveva messo nel suo cuore linquietudine, affinch
lavorasse senza sosta a concretizzarlo attraverso il pensiero
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(ausformen und hervordenken) e il Signore ricompens
la creatura che creava in spirito il Creatore, ricolmando-
lo di promesse insigni. Concluse unalleanza con lui af-
finch ognuno si santificasse attraverso laltro.
41
Pl ural i t di fi gure del l a fede e pl ural i t
di racconti : Di o chi ede di essere raccontato
Se si passa certo in modo un po troppo rapido
dalla Genesi ai racconti evangelici, non si abbandonano
i due livelli, stabiliti da narratori onniscienti e anonimi,
anche se l la voce divina infinitamente pi discreta
e il personaggio principale, Ges, conduce, in Marco e
Matteo, verso lesperienza abissale dellabbandono da
parte di Dio; il che senza dubbio un modo dei narra-
tori di mettere alla prova la loro propria onniscienza.
Ma il punto specifico, nel nostro contesto, il modo in
cui questi racconti collocano latto di fede come atto di
valutazione allinterno della relazione fra Ges e coloro
che lo incrociano. Questa prospettiva talmente decisi-
va da dover essere integrata nella definizione stessa del
genere letterario Vangelo: I Vangeli sono racconti di
conversione che descrivono non solo il percorso di Ges,
dallinizio alla fine, ma anche ci che egli diviene in e
per coloro che nel loro percorso incrociano il suo.
42
In questa definizione sottintesa la prospettiva nar-
ratologica secondo la quale ci che avviene sulla scena
del testo pu riprodursi, nellatto stesso della lettura, fra
il narratore e i lettori se questi ultimi accettano di entra-
re nel processo di identificazione, rappresentato dal rac-
conto.
Ora il racconto non mette solo in scena il destino dei
discepoli di Cristo e dei Dodici, ma riserva soprattutto
un posto privilegiato alla figura di chiunque, senza di-
ventare discepolo, si vede accreditato un atto di fede:
va, figlio mio, figlia mia, la tua fede ti ha salvato/a (cf.
Mc 2,5; 5,34). Lalterit di chiunque fortemente sot-
tolineata, soprattutto da Luca che lincarna nella figura
del centurione ammirato da Ges, il quale dichiara alla
folla: Neanche in Israele ho trovato una fede cos gran-
de (Lc 7,9). Questa fede elementare viene qualificata
unicamente mediante la sua situazione relazionale:
chiunque si pronuncia, almeno implicitamente, ri-
guardo a Ges, diventando cos il beneficiario della sua
presenza Figlio mio, figlia mia , essendo al tem-
po stesso rinviato da lui alle sue risorse interiori pi
profonde La tua fede ti ha salvato.
Se ci che avviene nei racconti evangelici pu ripro-
dursi fra narratori e lettori, bisogna distinguere vari tipi
di rapporti con il testo. Non legittima solo la lettura ec-
clesiale, fatta dai discepoli di Cristo, ma anche quella di
chiunque. Il centurione di oggi che considera questi
racconti biblici e linsieme del racconto biblico come te-
sto di identificazione e scuola di umanit, vi trova la
sua propria avventura umana e attinge, in questo serba-
toio, lintelligenza delle vie umane per dare loro anche
oggi una forma, eventualmente scritta; allora lo fa a par-
tire da quella postulazione elementare e fondamentale
che suppone che la vita, qualunque cosa capiti, mantie-
ne la sua promessa, senza che si produca linversione
dossologica n abbia luogo lesperienza che vi corrispon-
de. Un certo ascetismo teologico ha impedito a Jngel di
percepire questa capacit di generazione plurale del rac-
conto biblico.
Invece la lettura cristiana e liturgica del testo attiva
immediatamente la struttura dossologica della fede e
linversione che fa di Dio il soggetto del grande intri-
go della storia e del mondo. qui che si chiarisce in defi-
nitiva il legame intrinseco fra Dio e il racconto: solo la let-
tura trinitaria del testo biblico permette di conservare fi-
no in fondo liniziativa di Dio, mantenuta nellatto dos-
sologico, e la creativit inerente allatto di fede, compre-
sa quella del chiunque di cui abbiamo appena parla-
to: c disegno di Dio, perch contano fino in fondo la
contingenza pericolosa e gioiosa della storia e la plura-
lit e la singolarit dei percorsi umani; ma questalterit
interna al disegno divino gli d al tempo stesso e d alla
sua unit la profondit abissale
43
che il concetto
dellauto-rivelazione di Dio come mistero, introdotto
alla fine della prima parte, tenta di pensare.
Infatti lesplicitazione trinitaria di questa consegna
di s da parte di Dio permette di conservare, da un
punto di vista teologico, la creativit interna della fede,
ancora una volta compresa quella di chiunque: Dio
colui che si dona alluomo, donandogli il suo proprio
Spirito di santit, affinch luomo possa donargli libera-
mente lesistenza nella sua creazione. Il Messia Ges in-
carna una volta per sempre questo libero atto di ascolto
e di obbedienza kenotica, divino e umano al tempo
stesso; ma la sua esistenza sarebbe scomparsa da molto
tempo dalla storia e scomparirebbe oggi se coloro che lo
seguono non continuassero a farlo esistere nei loro pro-
pri percorsi. precisamente questa tensione fondamen-
tale fra luna volta per tutte del suo passaggio in Pa-
lestina e lo Spirito Santo e creatore a permettere di pen-
sare la creativit storica della Tradizione cristiana e lo
spossessamento di s a vantaggio dellumanit che deve
caratterizzarla in epoca post-metafisica.
Registriamo, per chiudere questo secondo tempo, un
doppio risultato che ci permette di lasciare la teologia
narrativa sotto la sua forma classica.
Abbiamo anzitutto compreso il motivo per cui la teo-
logia pu affrontare solo in modo globalmente positivo i
tentativi, in epoca post-metafisica, di considerare le tra-
dizioni religiose e, in particolare, la tradizione narrativa
della Bibbia come una risorsa che permette di ricupe-
rare da questi contenuti la modalit della fede (Vernunft-
glauben), senza la quale difficile oggi trovare delle mo-
tivazioni per agire come si deve, quando si affrontano i
problemi relativi allavvenire della specie umana. Come
il Ges dei racconti evangelici si avvicinato a chiun-
que per suscitare in lui la sua propria fede elementare,
cos oggi la teologia invitata ad adottare un atteggia-
mento ospitale, ovviamente non privo di critica, nei ri-
guardi di tutte le manifestazioni di una fede nella vita
e nellavvenire dellumanit, comunque si presentino del
resto queste risorgive e a qualsiasi profondit si trovino.
E se dimostra benevolenza e, a volte, ammirazione di
fronte ai tentativi di apprendimento e di rielaborazio-
ne che ha suscitato la sua tradizione, non pu non rico-
noscere al tempo stesso di aver essa stessa beneficiato
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dellingresso delle societ nellepoca post-metafisica per
una migliore comprensione della prospettiva teologale
delle sue proprie risorse narrative. Questo processo di
apprendimento plurisecolare passato attraverso lad-
domesticamento progressivo dellesegesi critica, la cui ri-
presa in teologia narrativa possibile solo attraverso la
mediazione di una filosofia della religione di tipo kantia-
no, perch solo questa permette di conferire il suo vero
significato allinteresse storico per la genesi del mondo
biblico e per coloro che lhanno inventato e aperto: se in-
fatti, da un punto di vista filosofico, questo atto di aper-
tura dipende da una postulazione, da un punto di vista
teologico esso suppone una libera esperienza dossologi-
ca nella quale Dio si manifesta come soggetto di un in-
trigo universale, permettendo al credente di affrontare le
sue relazioni con gli altri in modo divino.
Il secondo risultato, intravisto da Jngel, il principio
di concordanza fra la forma e il contenuto teologale del-
la memoria biblica. Questo principio ci ha gi guidato
nel nostro modo di affrontare il racconto biblico e i rac-
conti evangelici. Ci resta da esplicitarlo in un ultimo
tempo del nostro percorso.
I I I . I L PRI NCI PI O DI CONCORDANZA F RA F ORMA
E CONTE NUTO E I L I MI TI DE L L A NARRATI VI T
Se cinteressiamo a questo principio di concordanza
perch ci permette non solo di chiarire i rapporti fra la
teologia narrativa, lesegesi critica e la narratologia lette-
raria e biblica, ma anche e soprattutto di giungere a una
definizione pi limitata e quindi pi precisa della teolo-
gia narrativa: essa deve essere riferita a una memoria bi-
blica che conosce altri generi letterari oltre al racconto e
che si comprende, proprio in questa forma differenziata,
a partire dallesperienza teologale di santit come suo ul-
timo mistero.
Un pri nci pi o esteti co e teol ogal e
Ricordiamo anzitutto che la concordanza fra la for-
ma e il contenuto di unopera o di un discorso il crite-
rio pi elementare per apprezzarne la qualit stilistica.
Ora, questo criterio trova nella narratologia letteraria
unapplicazione particolare, perch questultima sinte-
ressa proprio alla relazione intrinseca fra il narratore e il
lettore, come abbiamo gi segnalato: ci che avviene nel
racconto fra i personaggi, collegati e caratterizzati in un
intrigo pi o meno complesso da un narratore pi o me-
no onnisciente, chiamato a diventare realt fra il te-
sto e i suoi lettori. Lanalisi dei punti di vista occupati
dal narratore conduce quindi a individuare il suo modo
di guidare il lettore mediante strategie pedagogiche
pi o meno sottili.
Questosservazione generale permette di rivolgere ai
testi biblici, come a qualsiasi testo, la domanda stilistica:
c o meno concordanza e, se c, quale concordanza, fra
ci che il racconto vuole comunicare e il suo modo di far-
lo? Una domanda che si radicalizza se la posta in gioco
della comunicazione il Vangelo, il mistero, la fe-
de o ancora la corrispondenza misteriosa della fe-
de con il punto di vista di Dio.
A suo modo, lapostolo Paolo enuncia questo princi-
pio di concordanza in 1Cor 2,1-5: La mia parola e la
mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi
di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e del-
la sua potenza, perch la vostra fede non fosse fondata
sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio. Formu-
lato a partire dalla sua esperienza apostolica, questo bre-
ve passo parte dallo statuto teologale della fede, per li-
berare luditore rispetto alleventuale forza persuasiva
del retore cristiano o, piuttosto, per esigere che la forma
del suo discorso non ostruisca la libert divina della fede
del ricevente che essa deve suscitare, ma vi sia, al contra-
rio, perfettamente accordata; principio generale che bi-
sogna evidentemente applicare alle stesse Lettere paoli-
ne, ma che si pu estendere anche ai racconti evangelici
e al resto della Bibbia.
Cos precisato, il principio estetico di concordanza
fra la forma e il contenuto non apre solo una vera criti-
ca interna del canone delle Scritture, ma permette an-
che lelaborazione di una teoria dellispirazione;
44
esso
interroga anche la teologia e il teologo sul loro proprio
modo di comunicare. Il teologo non pu accontentarsi
della posizione di commentatore delle Scritture; anche
se gli conviene ritornare sempre alla posizione del dida-
skalos di Matteo o anche dellhodegos lucano nascosto
nel personaggio di Filippo (At 8,31 e contesto), a ispirar-
si quindi alle molteplici pedagogie bibliche e al princi-
pio di concordanza quando instaura il suo rapporto ver-
so i testi e, con i testi, verso altri lettori, la cui autonomia
teologale gli sta a cuore. proprio questo interesse
centrale della Bibbia per il punto di vista del ricevente e
per la sua situazione, valorizzato dallanalisi narrativa,
che obbliga il teologo a collocarsi, con altri lettori, a di-
stanza dal testo biblico, fuori testo, non solo a indurlo
a rileggere il racconto nelloggi, ma anche e soprattutto a
invitarlo a riscriverlo, onorando cos (contro lascetismo
di Jngel) la sua forza di generazione plurale stabilita nel
secondo tempo del nostro percorso.
allora che egli deve fare intervenire la pluralit del-
le convinzioni e dei punti di vista allinterno delle no-
stre societ post-metafisiche e laporia inerente alla que-
stione della verit di cui abbiamo parlato nel primo tem-
po del nostro percorso. Infatti il principio estetico del-
laccordo fra la forma e il contenuto trova il suo signifi-
cato propriamente teologico quando viene applicato non
solo ai testi, ma anche e soprattutto ai testimoni che
hanno dato loro forma e ne vivono; esso ha allora il no-
me pi concreto di santit: forma di vita che corri-
sponde assolutamente a ci che essa significa, cio la
santit stessa di Dio. Evidentemente questo stile di vita
viene messo particolarmente alla prova quando le nostre
convinzioni ultime diventano fonte di violenza. Allora la
santit si manifesta come quella posizione altamen-
te improbabile che, come abbiamo gi detto, consiste nel
mantenere fino in fondo la concordanza con s stessi as-
sumendo su di s le situazioni limite dellintersoggettivit
umana, compreso leventuale rifiuto di comunicare; il
che, in una situazione di minaccia, suppone una libert
radicale nei riguardi della prospettiva della morte. Il
centro del Nuovo Testamento, ci che esso indica come
il suo mysterion (cf. Mc 4,11; 1Cor 2,1.7) non altro che
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lunico Dio, il quale comunica alla moltitudine quella
santit che lo costituisce in se stesso (cf. Lv 19,1s; Mt
5,43-48).
In retrospettiva, qui si chiarisce la pluralit dei pun-
ti di vista, pianificata da un narratore evangelico che
non vuole controllare la libert dei suoi lettori ma, al
contrario, da buon pedagogo, suscitarla perfino nelle si-
tuazioni limite che il lettore stesso deve attraversare; di
fronte alle figure di santit presenti nella storia, egli pu
essere indotto in definitiva ad adottare latteggiamento
dossologico nei riguardi dello stesso testo sacro e ac-
clamarlo come parola del Dio santo; pu anche legitti-
mamente considerarlo un classico fra altri, al quale si
riferisce a causa della sua qualit stilistica e della coeren-
za del modello di umanit che esso sviluppa, attingendo-
vi una fede umana che gli permette di attraversare, al-
loccasione in modo esemplare o eroico, le situazioni dif-
ficili o gioiose che incontra.
Concludendo, mi rimane solo da suggerire breve-
mente che, pur fondando la teologia narrativa, questo
principio di concordanza, preso nel suo significato teolo-
gale, la limita al tempo stesso, per fare debitamente spa-
zio ad altri tipi di generi letterari e quindi ad altri tipi di
teologie.
I l i mi ti del l a narrati vi t
la santit di Dio, concordanza assoluta fra ci che
egli e il suo modo di affidarsi alle nostre mani, a chiede-
re di essere raccontata: essa a fondare, in definitiva,
larticolazione teologica fra il grande racconto biblico e
la moltitudine dei nostri racconti e anche a conferire, co-
me abbiamo mostrato, alla cosiddetta teologia narrativa
il suo statuto principiale.
45
Ma questa stessa santit esige
anche la presenza di una legge o di una regolazione, of-
fre un ambiente nel quale la discussione e largomenta-
zione devono trovare il loro posto e sfocia in quella che
essa presuppone fin dallinizio come la sua espressione
pi alta, la dossologia sotto tutte le sue forme; cos la
santit apre la teologia narrativa ad altri tipi di pensiero
teologico.
Ricordiamo che lo statuto principiale della teologia
narrativa stato al centro del nostro percorso che ha vo-
luto onorare fino in fondo il gesto della narrazione bibli-
ca che consiste nel mettere Dio in posizione di sogget-
to di un intrigo universale. Nella seconda parte abbia-
mo affrontato questo legame intrinseco fra Dio e il rac-
conto dellumanit: anzitutto a partire dallatto di fede
come atto di ponderazione che la sfida principale di
ogni esistenza umana e che, iscrivendosi in un racconto
individuale, sostenuto e suscitato dal potenziale narra-
tivo delle nostre tradizioni collettive; poi, a partire dal-
linversione dossologica di una fede che collega linsieme
dei nostri racconti umani a colui che si consegna senza
riserve ai nostri molteplici punti di vista e modi di farlo
esistere liberamente nella storia. Ora, questo legame fra
Dio e lintrigo della storia umana riceve una nuova e ul-
tima chiarificazione, dopo aver individuato la coerenza
letteraria della tradizione narrativa della nostra memo-
ria biblica e aver fondato il principio estetico di con-
cordanza fra la sua forma e ci che questultima veicola
nella misteriosa concordanza di Dio con se stesso, total-
mente impegnato nella comunicazione che fa di se stesso
in coloro che senza violenza affrontano la violenza.
precisamente questa santit a permettere di compren-
dere il versante pneumatologico e cristologico del rac-
conto di Dio, dato che la loro unit fonda la teologia
narrativa nel suo statuto principiale.
In realt, la condivisione della santit stessa di Dio
con una moltitudine introduce in ogni essere umano, del
resto indipendentemente dal fatto di avere o meno una
tradizione religiosa, un limite incredibilmente mobile
fra un appello smisurato che risuona in lui, lappello a
essere come Dio, e la sua propria misura umana (cf.
Mt 5,43-48). C veramente generazione quando ci
che si presenta cos alla coscienza spirituale (al quale
qui ritorniamo) come smisurato si dimostra di colpo
a misura di questuomo o di questa donna (cf. Lc 6,38).
Qui non vale pi alcuna definizione; anche se a noi
piacerebbe molto fissare i nostri limiti mediante leggi,
delimitare il nostro terreno o, al contrario, ridurre lec-
cesso divino in noi a un gioco di comparazione o di ri-
valit con altri. Ma la generazione gratuita di un uomo
o di una donna a immagine dellUnico li rende in-
comparabili. Non potendo mai essere definito, lincompa-
rabile in noi chiede quindi di essere raccontato: essere rac-
contato in una moltiplicazione di racconti individuali e
collettivi. Ma questa moltiplicazione sarebbe impensabi-
le se la santit stessa di Dio non avesse assunto una figu-
ra storica unica e in modo tale da esprimersi in essa in-
teramente il che significa anche una volta per sempre
precisamente nella modalit di una moltiplicazione infi-
nita. Qui bisognerebbe esplicitare cosa che non possia-
mo fare in questo quadro troppo limitato che la vit-
toria di Cristo sulla morte (cf. Gv 10,18; Eb 2,14s) a ren-
dere possibile la sua santit, a realizzarla e a offrire ad al-
tri una stessa libert (cf. Ap 12,11); un punto molto dif-
ficile da accettare in civilt per le quali la morte non fir-
ma lunicit di una vita.
46
E. Jngel ha giustamente percepito la novit radicale
che rappresenta questa svolta cristica nella storia dellu-
manit, novit che solo la forma della narrazione pu
onorare. Ma non ha visto che lUnicit di eccellenza di
Cristo consiste precisamente nellaver generato una mol-
titudine di unici: Se il chicco di grano, caduto in terra,
non muore rimane solo (monos); se, invece, muore, pro-
duce molto frutto (Gv 12,24).
Come mai allora questa moltiplicazione non produ-
ce una disgregazione della tradizione e una diluizione
apocrifa dellarte biblica del raccontare?
La risposta si trova anzitutto nel discorso prescritti-
vo della legge, incastrato nello svolgimento del raccon-
to biblico. Forse bisogna dire, in senso inverso, che il
racconto emerge nel cuore stesso della legge, esatta-
mente l dove essa afferma, insistendo sulla sfida libera-
trice del sabato, la sua propria ragion dessere.
47
Infatti
la norma morale e la sua esplicitazione in una tavola di
comandamenti e di divieti la risposta necessaria della
societ alla deriva della competizione umana in violen-
za. Ma la risposta a un eccesso di violenza, persino a
unincertezza radicale della specie umana riguardo al
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suo avvenire, non deve venire da altrove, da un eccesso
di bont e di sollecitudine che addirittura la precede e
in un certo modo la previene? Il racconto biblico trac-
cia precisamente il percorso che conduce dalla preoccu-
pazione etica e morale della giustizia verso la scoperta
di una giustizia che oltrepassa la giustizia, leconomia
meta-etica del dono di s allaltro, che costituisce il te-
stimone e i testimoni: Amate i vostri nemici e pre-
gate per quelli che vi perseguitano, affinch siate figli
del Padre vostro che nei cieli; egli fa sorgere il suo sole
sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli in-
giusti (Mt 5,44-45).
Lestrema fragilit di questo passaggio verso ci che
le Scritture indicano come il loro compimento non deri-
va solo dalla realt della violenza, ma soprattutto dal-
limpossibilit divina di legiferare sullappello a un so-
vrappi di giustizia. Di nuovo, il principio della comu-
nicazione della santit divina a una moltitudine ci viene
in aiuto per farci comprendere la convenienza di una re-
gola dogmatica e la sua forma. Lungi dal raddoppiare la
norma etica e morale della giustizia, il cosiddetto dog-
ma si colloca paradossalmente l dove manca qualsiasi
legge per permettere ai testimoni di percorrere fino in
fondo il loro cammino di realizzazione, per ricordare la
loro vulnerabilit costitutiva, aperta dalla grazia, e man-
tenerli cos in collegamento fra loro.
In realt, vediamo emergere nella letteratura episto-
lare, ad esempio in san Paolo, una vera regola di fe-
de,
48
che indica le condizioni della salvezza. Ma la sua
funzione non quella di regolare in modo giusto il vive-
re insieme degli uomini (cf. Rm 10,1-5), bens di mante-
nere aperto in Cristo, termine della legge (Rm 10,4),
lo spazio della comunicazione dello Spirito nei cuori
umani (cf. Rm 5,5), senza discriminazione fra tutti gli
uomini e senza federarli, su questo unico fondamento,
nella Chiesa. Quando nel IV secolo questa regola trova
la sua forma compiuta nel Simbolo, il suo contenuto tri-
nitario indica bene il suo uso spirituale: permettere e as-
sociare una moltitudine di racconti, che concordano
perfettamente con limmagine biblica del Dio unico, mi-
stero del legame fra incomparabili.
Una teologia dogmatica o speculativa, riferita al sim-
bolo ecclesiale e al suo sviluppo storico, diventa allora
necessaria ed come richiesta dalla stessa memoria bi-
blica e da ci che la fonda, la comunicazione storica del-
la santit di Dio. Ma, pur avendo una necessaria funzio-
ne regolativa, essa deve restare legata alla teologia nar-
rativa che la protegge da una chiusura ideologica.
Come evitare allora, ci chiediamo unultima volta,
che questa insistenza sulla posizione incomparabile di
ogni testimone e sulla loro vulnerabilit non provochi la
loro emarginazione o il loro ritiro elitario rispetto alla so-
ciet? La risposta teologica pu venire solo dallo stile ar-
gomentativo di certi discorsi narrativi o di argomenti sa-
pienziali che interrompono, a volte a lungo, lo svolgi-
mento del racconto biblico. Occorre ricordare che Ges
e Paolo erano dei temibili controversisti? Linteresse co-
stitutivo della Bibbia per la ricezione della santit di Dio
implica questa capacit di ponderazione argomentativa
del ricevente; essendo questa lultima manifestazione
della sua libert teologale e la garanzia che la conver-
genza o la pace, per parlare in termini biblici, non sia il
risultato di unimposizione esterna. La presenza dellar-
gomentazione mostra che la pluralit spesso conflittuale
dei punti di vista sottomessa a un lavoro corrosivo del-
la critica. Infatti, in regime biblico, lorizzonte della ve-
rit non dellordine del destino: la verit affidata
alla libert storica delle persone e delle societ.
Perci oggi impossibile onorare lesperienza del
Dio santo del racconto biblico, senza rendersi al tempo
stesso conto del fatto che questo Dio si affidato ai no-
stri dibattiti, per cui noi dobbiamo entrare nella contro-
versia fra i grandi stili di vita del mondo, che toccano
tutti il limite incerto della nostra esistenza. ci che ab-
biamo cercato di fare in questo contributo difendendo,
in modo argomentativo, i racconti di Dio dalla folkloriz-
zazione che li minaccia nellepoca post-metafisica e
mantenendo, a loro riguardo, la questione della verit.
Questa controversia che si iscrive in ogni epoca nelle
grandi strutture di dibattito disponibili in una determi-
nata societ deve, al nostro tempo, affrontare la differen-
ziazione interna delle pretese di validit inerenti a
ogni discorso comunicabile: autenticit, giustezza nor-
mativa e verit.
Quando il credente argomenta a favore della giustez-
za della proposta cristiana nel mondo sociale e avanza
una pretesa di verit del suo discorso nel mondo di tutto
ci che reale, egli attesta, nel dibattito, coinvolgen-
dosi autenticamente in esso, che la societ e il mondo
non sono tragicamente chiusi alla santit, ma in quanto
creature, fin dalla loro fondazione da parte di Dio, aper-
ti a un compimento escatologico; egli argomenta quindi
a favore del primato ontologico del possibile sul reale, la
cui espressione perfetta ancora una volta la finzione
letteraria del racconto.
Ma dato lo statuto post-metafisico delle nostre so-
ciet nelle quali la Bibbia diventata un racconto cultu-
rale fra altri, solo il discorso innico o dossologico, assolu-
tamente gratuito, pu, in definitiva, riconoscere a Dio la
posizione di soggetto di un grande intrigo: quello
della sua santit che sta diventando immanente alla no-
stra storia multiforme e variegata
Christoph Theobald*
* Dedichiamo queste riflessioni alla Facolt teologica dellItalia
settentrionale e a Pierangelo Sequeri, ringraziandoli per la loro ospi-
talit e laccoglienza riservata al mio pensiero (cf. Teologia 32
[2007/3]).
1
J.B. METZ, Petite apologie du rcit, in Concilium (1973) 85,
57-69 e H. WEINRICH, Thologie narrative, in Concilium (1973) 85,
47-55.
2
cos che J. Habermas riassume la posizione di una teoria uni-
versale della giustizia e della morale, slegata da unetica particolare
della vita riuscita che tributaria delle grandi narrazioni metafisiche
e religiose dellumanit; cf. J. HABERMAS, Astensione giustificata. Esi-
stono risposte post-metafisiche alla domanda sulla vita giusta?, in
ID., Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale, Ei-
naudi, Torino 2002, 6.
3
per questo che F. Marty parla nella sua lettura dellopera kan-
tiana di nascita della metafisica; cf. F. MARTY, La naissance de la
mtaphysique chez Kant. Une etude sur la notion kantienne danalogie,
Beauchesne, Paris 1980.
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4
J. HABERMAS, Prologue. La frontire entre foi et savoir. Sur la
rception et la porte actuelle de la philosophie kantienne de la reli-
gion, in Entre naturalisme et religion. Les dfis de la dmocratie, Gal-
limard, Paris 2008, 57 (corsivo nostro); ed. originale Zwischen Natura-
lismus und Religion: philosophische Aufstze, Suhrkamp, Frankfurt a.
M. 2005. I primi tre saggi delledizione tedesca sono pubblicati in Ita-
lia in ID., La condizione intersoggettiva, Laterza, Roma-Bari 2007; gli
altri otto in Tra scienza e fede, Laterza, Roma-Bari 2008.
5
Ivi, 14 e 48.
6
Cf., ad esempio, questa formulazione: Noi non associamo agli
orientamenti assiologici che hanno un significato esistenziale per noi
e per coloro che condividono il nostro stesso stile di vita una pre-
tesa che lascia supporre che essi meriterebbero un riconoscimento
universale (ivi, 49).
7
Cf. C. THEOBALD, Le christianisme comme style. Une manire de
faire de la thologie en postmodernit, Cogitatio fidei 261, Cerf, Pa-
ris 2007, 659 e 693s; trad. it. Il cristianesimo come stile. Un modo di fa-
re teologia nella postmodernit, EDB, Bologna 2009, 771ss.
8
HABERMAS, Entre naturalisme et religion, 53s.
9
Ivi, 56-58.
10
N. FRYE, Le grand code. La Bible et la littrature, pref. di T. To-
dorov, Seuil, Paris 1984; trad. it. Il grande codice. La Bibbia e la lette-
ratura, Einaudi, Torino 1986.
11
La nostra fenomenologia dellospitalit neotestamentaria un
modo di onorare le caratteristiche specifiche del mondo biblico
aperto, in modo unico, da Ges di Nazaret (cf. THEOBALD, Il cristia-
nesimo come stile, 50-107).
12
Cf., fra gli altri, Critique de la facult de juger, 87s, in E.
KANT, uvres philosophiques, II, Gallimard, Paris 1985, 1253s; trad.
it. Critica del giudizio, Laterza, Roma-Bari 2002.
13
Jrgen Habermas considera, in Entre naturalisme et religion,
26-28, lespressione di Adorno secondo cui il segreto della filosofia
kantiana risiederebbe nella sua impossibilit di pensare la dispera-
zione () come unapprovazione del dialettico Kant che scruta gli
abissi di un pensiero che vuole chiarire, spiegare e si ostina in questo
a partire dalla sola soggettivit; non tiene conto delle riflessioni criti-
che di Kant sulla teodicea (cf., ad esempio, E. KANT, Sur linsuccs de
toutes les tentatives philosophiques en matire de thodice [ber das
Milingen aller philosophischen Versuche in der Theodicee, 1791], in
uvres philosophiques, II, 1393-1413).
14
Cf. S. KIERKEGAARD, La maladie la mort, uvres comple-
tes XVI, Editions de lOrante, Paris 172; trad it. La malattia morta-
le, Mondadori, Milano 1991.
15
M. HEIDEGGER, Sein und Zeit, 56, Niemeyer, Tbingen
1963, 273; trad. it. Essere e tempo, Longanesi, Milano 2003.
16
Nel suo approccio, si pu comprendere la versione procedu-
ralistica debole dellAlterit proposta da J. Habermas; ma essa ri-
schia di porre il trans-soggettivo e lassoluto sullo stesso piano. Scrive:
In questa prospettiva, ci che rende possibile lessere-s-stessi appa-
re come una potenza trans-soggettiva pi che come una potenza as-
soluta (Il futuro della natura umana, 14). Riguardo al nostro approc-
cio al legame sociale e politico e allalterit che esso implica, cf. il no-
stro studio La fede trinitaria dei cristiani e lenigma del legame so-
ciale, in THEOBALD, Il cristianesimo come stile, 635-676.
17
Cf. anche THEOBALD, Il cristianesimo come stile, 733-752.
18
Linversione eccessiva che caratterizza la dossologia (cf. pi
avanti le nostre riflessioni sulla santit) apre lo spazio a un tipo di on-
tologia che si potrebbe chiamare ontologia teologale.
19
P. BEAUCHAMP, Narrativit biblique du rcit de la passion, in
Recherches de science religieuse 73(1985) 1, 41 (ripubblicato in ID., Le
rcit, la lettre et le corps. Essais bibliques, Cogitatio fidei 114, Cerf,
Paris 1992, 110).
20
E. JNGEL, Dio mistero del mondo (1977), Queriniana, Brescia
1982, 13.
21
P. RICOEUR, Lectures 3. Aux frontires de la philosophie, Seuil,
Paris 1994, 363 (nota).
22
B. SESBO, Jsus-Christ, lunique mdiateur, 2: Les rcits du
salut, Jsus et Jsus-Christ 51, Descle, Paris 1991, 18-23.
23
J.B. METZ, La foi dans lhistoire et dans la socit, Cerf, Paris
1979, 144-157; trad. it. La fede, nella storia e nella societ: studi per
una teologia fondamentale pratica, Queriniana, Brescia 1978.
24
JNGEL, Dio mistero del mondo, 390-409.
25
Ivi, 396.
26
Ivi, 393.
27
Cf. JNGEL, Dio mistero del mondo, 264-296; soprattutto 283:
Noi contestiamo dunque questa fondamentale scelta aristotelica a fa-
vore del primato ontologico della realt contrapponendole la possibi-
lit come il pi ontologico dellessere. Il possibile per allora an-
che il pi della caducit. La possibilit la positivit della caducit.
E questo significa ulteriormente anche il passare stesso, anzi addirit-
tura il passato non senza possibilit. Il problema dellontologia di
Jngel loccultamento dellatto di postulazione che lapre.
28
RICOEUR, S come un altro, 428s: Intendo bene che lenergeia,
che i latini hanno tradotto con actualitas, globalmente designa ci in
cui siamo effettivamente. Ma, mettendo laccento principale sul sem-
pre gi e sullimpossibilit di uscire da questo legame di presenza, in
breve sulleffettivit, non si attenua, forse, la dimensione dellenergeia
e della dynamis, in virt di cui lagire e il patire umani sono radicati
nellessere? Proprio per render conto di questo radicamento ho pro-
posto la nozione di fondo ad un tempo effettivo e potente. Insisto sui due
aggettivi. Esiste una tensione fra potenza ed effettivit, che mi sembra
essenziale allontologia dellagire e che mi sembra eclissata nellequa-
zione fra energeia ed effettivit. La difficile dialettica fra i due termini
greci rischia di scomparire in una riabilitazione apparentemente uni-
laterale dellenergeia.
29
JNGEL, Dio mistero del mondo, 402.
30
Ivi, 407-409.
31
G.E. LESSING, Lducation du genre humain (1780), Aubier,
Paris 1946; trad. it. Leducazione del genere umano, Laterza, Bari
1951.
32
F. KERMODE, The Sense of an Ending. Studies in the Theory of
Fiction, Oxford University Press, London 1966; trad. it. Il senso della
fine. Studi sulla teoria del romanzo, Sansoni, Milano 2004.
33
Cf., ad esempio, gli studi raccolti in F. MIES (a cura di), Bible et
littrature. Lhomme et Dieu mis en intrigue, Lessius, Bruxelles 1999.
34
Cf., ad esempio, ATANASIO DI ALESSANDRIA, Vie dAntoine, in
SChr 400, Cerf, Paris 1994.
35
Ap 7,9-17.
36
Summa Teologiae III
a
, q 31, a 3.
37
Eb 2,10; cf. anche Il cristianesimo come stile, 563-604.
38
Cf. il nostro studio Resistere al male, in THEOBALD, Il cristia-
nesimo come stile, 835-867.
39
Cf., fra gli altri, R. ALTER, Lart du rcit biblique (1981), Les-
sius, Bruxelles 1999, 216-239 e leccellente studio di J.-P. SONNET, Y
a-t-il un narrateur dans la Bible? La Gense et le modle narratif de
la Bible hbraque, in F. MIES (a cura di), Bible et littrature, 9-27.
40
T. MANN, Joseph et ses frres, II: Le jeune Joseph, Gallimard, Pa-
ris 1936, 40s (corsivo nostro).
41
T. MANN, Joseph et ses frres, IV: Joseph le nourricier, Gallimard,
Paris 1936, 343 (corsivo nostro).
42
Cf. C. THEOBALD, Jsus nest pas seul. Ouvertures, in P. GI-
BERT, C. THEOBALD (sotto la direzione di), Le cas Jsus Christ. Exg-
tes, historiens et thologiens en confrontation, Bayard, Paris 2002, 410.
43
Cf. la dossologia del c. 11 della Lettera ai Romani: O profon-
dit della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quan-
to insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Infatti, chi
ha mai conosciuto il pensiero del Signore? O chi mai stato suo con-
sigliere? O chi gli ha dato qualcosa per primo tanto da riceverne il
contraccambio? Poich da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le
cose. A lui la gloria nei secoli. Amen! (Rm 11,33-36).
44
Cf. C. THEOBALD, La rception des Ecritures inspires, in P.
GIBERT - C. THEOBALD (sotto la direzione di), La rception des Ecritu-
res inspires. Exgse, histoire et thologie, Bayard et RSR, Paris 2007,
269-298.
45
qui che termina linsieme del nostro percorso speculativo.
Da una parte, noi conserviamo fino in fondo la sua posizione fenome-
nologica ed ermeneutica, tenendo conto al tempo stesso dello statuto
aporetico della questione della verit che in esso si manifesta. Ma, dal-
laltra, nella misura in cui la tradizione biblica trasferisce il principio
di concordanza (che ha la propria plausibilit estetica ed ermeneuti-
ca) in Dio stesso, noi accordiamo ai testimoni che vivono di questa
memoria la possibilit di fondare in modo trinitario in un atto dos-
sologico senza garanzia la coerenza di questa memoria e la loro pro-
pria relazione con il Santo di Dio che lincarna.
46
Cf. il nostro studio Il Figlio unico e i suoi fratelli, in THEO-
BALD, Il cristianesimo come stile, 715-729, dove cerchiamo di pensare
simultaneamente labitazione di Dio nei santi e lunione ipostatica del
Figlio, essendo luna condizionata dallaltra.
47
Cf. BEAUCHAMP, Le rcit, la lettre et le corps. Essais bibliques,
191-194.
48
Cf., ad esempio, Rm 10,9: Se, con la tua bocca proclamerai:
Ges il Signore!, e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risusci-
tato dai morti, sarai salvo.
A p. 50: El GRECO, Gli apostoli Pietro e Paolo (part.), 1587-1592,
Ermitage, San Pietroburgo.
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