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QUARTO SEMINARIO INTENSIVO
DI PSICOTERAPIA ANALITICA BREVE*
Edmond Gilliron
SOCIETA ITALIANA DI MEDICINA PSICOSOMATICA (SIMP) - SEZIONE PESCARESE
Coordinatore: Dott. FAUSTO AGRESTA - (IV INCONTRO)
Pescara, 24-28 Giugno 1992 - Conduttore: Prof. Edmond Gilliron
PRIMA PARTE: Tema: cos una psicoterapia? Come si costruisce una
terapia breve. Consiglio: lettura del capitolo IV del libro: Psicoterapie brevi
e classicazione delle psicoterapie. Il dottor Gilliron invita un partecipante
a parlare di un caso qualsiasi in psicoterapia per affrontare il problema del-
lINDICAZIONE.
Maria: Bambina di 12 anni, seconda media, soffre di balbuzie. Il sinto-
mo si manifesta per la prima volta a sette anni. Da due anni le difcolt sono
aumentate: durante le interrogazioni si blocca, arrossisce. linsegnante
di lettere a spingere la famiglia ad un consulto psicologico. Padre: 40 anni,
impiegato di banca. Madre: 37 anni, segretaria. Non va al primo colloquio
perch inuenzata. Secondo glio maschio: 11 anni, ha tic agli occhi. Il pa-
dre racconta di litigi in famiglia. Le vacanze sono separate. Incomprensioni
tra la moglie e la famiglia dorigine del padre, litigano spesso. La moglie gli
rimprovera di essere un mammone e lui abbandona il letto comune e va in
quello della bimba, oppure dorme sul divano. Il primo colloquio il mo-
mento di conoscenza, un atto esplorativo, non terapeutico, per poter avere
una diagnosi; INVESTIGAZIONE.
opportuno considerare: 1. IL TIPO DI DIAGNOSI; 2. COSA SI
PUO FARE PER IL PAZIENTE (tipo di trattamento); 3. TIPO DI TEORIA E
MODELLO DI RIFERIMENTO.
(Il Prof. Gilliron invita i partecipanti ad esprimere il primo punto di
vista sulla situazione. Ognuno formula una denizione). Padre ha compiti
di madre; madre depressa, padre presente; padre partner, bambina legata al
padre, in crisi ora sul suo ruolo; episodio traumatico a sei anni.
Il Prof. Gilliron osserva la presenza di molti punti di vista, nessuno
dei quali si pu denire falso. Introduce quindi il discorso relativo ai MO-
DELLI DI RIFERIMENTO.
Ad esempio:
A) Se diciamo, una bambina timida, diamo una denizione relativa al
comportamento: MODELLO COMPORTAMENTALE.
B) Se diciamo, la glia cerca di salvare la madre, usiamo linterpretazione:
MODELLO SIMBOLICO.
C) Se osserviamo che il padre porta anche il fratello con tics: MODELLO DI
INTERAZIONE, stiamo guardando latteggiamento del padre, le allean-
ze, le interazioni tra padre e secondo glio. Esistono pertanto diversi,
possibili, modelli di riferimento.
Gilliron pone la differenza tra la descrizione analitica e lINTERPRE-
TAZIONE, che il commento su una descrizione di tipo deduttivo. La
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differenza tra descrizione e interpretazione recente ma, dove non si
fa, si entra nel mondo della magia. Se dobbiamo fare una terapia di tipo
accettabile, bisogna subito denire descrizione ed interpretazione. Per la
descrizione, dobbiamo sapere che tipo di modello stiamo usando;
D) se parliamo del problema della glia, non si parler del padre o della
madre, ma solo del sintomo della glia, e cos facendo ci riferiamo al
modello dei desideri e delle fantasie, della vita interiore, ci basiamo sulla
problematica dei desideri: MODELLO ANALITICO (o della vita interio-
re), che si interroga sui desideri.
E) Se parliamo della famiglia intera, dellinterazione tra padre, glia e fra-
tello, se ci domandiamo perch la madre assente, etc. abbiamo il: MO-
DELLO SISTEMICO INTERATTIVO.
# Quando pensiamo di trattare qualcuno, dobbiamo fare una INVESTI-
GAZIONE, ovvero cercare fatti legati al nostro modello di comprensione
psichica. #
F) Se parliamo di traumi, LIFE EVENTS, modello del Trauma:
a) morti, guerre, incendi; b) trauma freudiano (prima teoria di Freud);
c) trauma legato alla separazione: c lidea di b., accaduto qualcosa
nella famiglia e poi si lega a qualcosa daltro in senso analitico (problema
di IDENTIFICAZIONE);
# Facciamo allora un salto dalla descrizione di un evento esterno a un fatto
psichico#
Gilliron focalizza sul modello della TERAPIA BREVE. Chiede che si
parli del secondo colloquio. La famiglia giunge al completo, M. aspetta, poi
prende la sedia e la porta vicino alla bambina, Maria.
M.: Sono pronta a prendermi tutte le colpe. Ma stavolta le avranno
raccontato come viviamo. Siamo qui per i gli.
M.: Io non sono ricca, n laureata, non sono mai stata accettata. Ma-
ria e M. scoppiano a piangere.
M.: Ho perso mio padre a 18 anni, mia madre si risposata due anni
dopo. Mia madre ha salvato un mostro, il patrigno era aggressivo, scellerato,
si ubriacava. La suocera descritta come un mostro; lei ha fatto la guerra
quando nata Maria; la gravidanza era stata portata male, la denivano una
piagnona.
Si pone subito il problema del modello e della investigazione. Due sono i
modelli possibili:
A - il terapeuta convoca la famiglia; B - il terapeuta lascia fare la fami-
glia (viene chi vuole).
Nel primo caso sar il terapeuta a decidere, prende lautorit. un
modello di tipo piramidale ed il terapeuta decide le cose che accadranno
(MODELLO INTERATTIVO PURO). Le interazioni sono sottoposte al te-
rapeuta. Facendo cos, la famiglia si sottopone allautorit del terapeuta e la
sua propria autorit non conta. Lautorit denita chiaramente e il punto
di forza non pu pi cambiare. Tutto il lavoro terapeutico sar conseguente
a questa scelta.
Nel secondo caso lasciamo fare la famiglia come vuole. Lautorit
data alla famiglia. Il terapeuta lascia lautorit ad essa ed un osservatore.
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La famiglia ha il diritto di decidere chi sar presente o no. Tale modello os-
serva come le persone si dispongono nello spazio e chi cerca lappoggio di
chi. un modello basato sui desideri e sui bisogni delle persone (MODEL-
LO PSICOANALITICO - FORZE INDIVIDUALI). Se nellosservazione e in-
vestigazione confondiamo i modelli A e B, stiamo commettendo un errore.
Per il modello A c bisogno del supervisore (TECNICA DELLO
SPECCHIO UNIDIREZIONALE). Nel B il terapeuta diventa una parte del
sistema, una parte attiva. anche la vittima del sistema. Gilliron usa il
modello B.
Prendendo subito spunto dal caso di Maria, nel primo colloquio pos-
siamo vedere che ci sar un rapporto particolare tra padre e terapeuta. Il
padre si appogger su di lui, non potendolo fare sulla moglie. Domanda
posta dal gruppo: se lappuntamento preso per una persona e ne arrivano
due, cosa si fa?
Gilliron: molti terapeuti prendono tutti e due. Gilliron chiede chi sia
la persona malata, entra una sola e prendere le generalit di entrambe.
Nel modello B il terapeuta accetta il gioco. Per ricostruire la dinami-
ca, bisogna vedere il ruolo che la famiglia attribuisce al terapeuta. Gilliron
ipotizza che, nel caso in questione, il ruolo dato al terapeuta sia quello di
una suocera. Perch la famiglia ha bisogno di una seconda suocera? Bisogna
pertanto capire o le aspettative della famiglia verso il terapeuta o il ruolo
della suocera nel gruppo-famiglia. Si pu quindi vedere come si parla della
suocera.
Ipotesi: La suocera sta cambiando\ qualcosa non va pi con la suocera.
Cosa cercare nella suocera:
- malattia, invecchiamento, allontanamento dalla famiglia: tutti questi avve-
nimenti possono distrarla (la crisi infatti basata sulla mancanza);
- oppure la suocera troppo presente e la famiglia la vuole cacciare via.
La ragione della consultazione il problema della famiglia, ma la
famiglia sta mettendo in forse la validit della suocera. Padre, madre e due
gli stanno discutendo il ruolo della suocera e la sostituzione con il terapeu-
ta. Si pu prevedere una battaglia certa tra la famiglia e la terapeuta: si porr
lidea della rottura della terapia, la famiglia, impossibilitata a sbarazzarsi del-
la suocera, lo far con la terapeuta. Possiamo gi fare delle ipotesi:
- la terapeuta avr interesse per il padre; la terapeuta avr noia per la ma-
dre.
In questo caso il sesso del terapeuta non conta, un maschio sarebbe
trattato come una donna; la famiglia si appoggerebbe sulla parte femmini-
le del terapeuta. Lunica situazione in cui il sesso importante quando:
membri della famiglia sono incapaci di simbolizzare, quando usano la realt
per evitare di pensare (STRUTTURA CARATTERIALE PSICOTICA, PER-
VERSA).
* Perversione: negazione dellidentit sessuale, negazione della fem-
minilit, rapporti di forza, amore di tipo omosessuale. Con questa famiglia,
dobbiamo avere informazioni sulla suocera. Il tipo di lavoro analitico, ma
non ci sono ancora le condizioni di base. Primo passo sar valutare se i pre-
senti sono capaci di fare differenza tra realt e immaginario e farlo con una
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interpretazione sul ruolo della terapeuta. Se la famiglia capace di giocare
il come se, allora potremo prenderla in terapia. Se non vuole, allora diremo
che non possibile fare una terapia e cos rafforzeremo la CRISI. La prossi-
ma volta la famiglia giunger con motivazioni pi chiare.
COSA FARE: a. connotazione positiva per rafforzare i legami tra i
membri: Voi siete una famiglia, avete legami molto stretti; b. lavorare sul
padre per fargli capire e sentire che molto preoccupato;
(Quando la famiglia si sente compresa gi terapia, anche se non lo );
a - dire che la suocera mantiene unita la famiglia, il trait dunion. Per far
scappare la famiglia, si deve criticare la suocera; pertanto si deve accet-
tare-senza accettare e mettere in evidenza limportanza dei legami.
Dobbiamo poi sapere perch la madre era assente nel primo collo-
quio, forse perch gi stata messa da parte dalla suocera. La terapeuta gio-
ca la parte della suocera, quindi stata posta in una trappola familiare. Nel
secondo colloquio la terapeuta ha dovuto assumere il ruolo della suocera.
La terapeuta potrebbe prendere in terapia la glia, chiedendo il parere dei
genitori, creando un sotto-sistema (terapeuta e glia). Anche se ci occupia-
mo di una sola persona, tutti gli altri sono presenti a livello immaginario e
sorvegliano.
*Per la terapeuta, con lintera famiglia, lunica possibilit sarebbe esse-
re suocera, senza esserlo (facciamo come se): mi sembra che come se fossi
la vostra suocera!
Se facciamo linvestigazione con un modello e poi la terapia usandone
un altro, stiamo errando. Esiste cio uno stretto rapporto tra teoria e tecni-
ca. vero che ci sono diverse tecniche, i mezzi di cui abbiamo bisogno per
curare i pazienti sono diversi, ma la teoria la medesima. Vi propongo una
teoria globale, non psicoanalitica pura, ma globale della persona (per la
mente non c paradosso: riferimento alle prescrizioni paradossali di certi
sistemici). Molti parlano di psiche sana o malata, psiche frammentata e io
mi interesso alla parte sana o malata. La teoria analitica non esclude il pun-
to di vista sistemico. Gilliron chiede che si parli di una prima seduta, dopo
la fase dellinvestigazione, una seduta gi di terapia. Il caso presentato da
una terapeuta donna.
Una donna viene per una ragazza di 16 anni (F). La ragazza glia
di una prostituta, amica della donna, che trovandosi incinta, le conda la
volont di venderla. La donna decide di adottare la bimba, alla nascita (ha
gi due gli maschi). Tutta la famiglia concorde. Lultima settimana la pro-
stituta viveva in famiglia. La bambina nasce e vive con la nuova famiglia che
ladotta legalmente dopo tre anni. La ragazza ha sempre mostrato affetto
per la madre adottiva. Tre mesi prima della consultazione F. si era lasciata
dal ragazzo: crisi depressiva, disturbi agli occhi (bruciore e abbassamento
della vista).
Tre mesi prima era riapparso il padre biologico, il quale le annuncia il
suo sposalizio e la invita a cena. Da tre mesi la ragazza manifesta ribellione
nei confronti della madre adottiva. Durante il colloquio questultima piange
in continuazione e narra di aver avuto due episodi psicotici; suo marito, pa-
dre adottivo di Giada, si separato da lei.
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Primo colloquio della terapeuta con la ragazza - Giada.
Ha atteggiamenti maturi, molto ne, al contrario della madre adotti-
va, che sembra una prostituta. La terapeuta si aspettava una glia disastrata,
invece molto aperta. Dice di voler andare a vivere con il padre biologico; la
madre non laccetta e le rende la vita impossibile. Parla del padre adottante
come di un danzato: vado a ballare con lui, ho un bel rapporto con la sua
donna. Va dal padre ad ogni weekend.
La terapeuta chiede in terza seduta di vederle insieme (Gilliron parla di acting-out
del terapeuta).
Entrambe non riconoscono i problemi interni e la terapeuta prende
un ruolo attivo, che il risultato della pressione di entrambe. La terapeuta
ha un ruolo decisionale, di padre. Finora non c una prima seduta, siamo
entrati in un processo di ripetizione, sappiamo che la terapeuta ha un ruolo
attivo da giocare, non sappiamo chi il padre. Possiamo ipotizzare che la
terapeuta il padre: ci sar un problema tra la terapeuta e il padre. Dopo le
prime due sedute, una con la madre, una con la glia, la terapeuta chiede
di vedere entrambe: lotta contro la scissione. Tutte due infatti tendono a ne-
gare limportanza del terzo, limportanza dellaltro e dei legami. La madre
adottiva ha preso la bimba dalla pancia della madre biologica, diventata
cos anche lei una prostituta, come sostituzione della madre biologica. Il
padre adottivo non conta qui. La madre adottiva ha usato ladozione come
conferma dellinutilit di un padre. questo un fantasma di PATOGENESI.
un fantasma PSICOTICO TIPICO: negazione del padre. Una persona si
sostituisce allaltra e nulla cambia. La madre adottiva sostituendosi a quel-
la biologica (prostituta) ha costretto la glia a prendere il posto di madre
(reale): tutte le regole biologiche sono state negate. Siamo in un gioco di
simmetria, di specchio, dove ognuno lo specchio dellaltro.
Finora, si evidenzia limpossibilit di costituire il setting psicotera-
peutico, perch la terapeuta impedita nel farlo. Il setting mira a poter
distinguere il mondo della realt socio-culturale dal mondo affettivo. Le due
donne vogliono far entrare la terapeuta nel mondo immaginario. La loro
caratteristica comune la NEGAZIONE del RUOLO MASCHILE (il mondo
maschile messo da parte). Sarebbe stato positivo dire alla ragazza che buo-
na era la scelta di andare a vivere con il padre, anche se cera qualcosa che
le faceva paura (in realt la glia indifferente verso il padre). Quando la
terapeuta non ha le idee chiare e ha lesigenza di trovare la realt, allora siamo in un
ambiente psicotico (o perverso).
N.B. La glia dice alla terapeuta che sana, che non ha bisogno di fare
una terapia, perch la madre ad essere malata. Se la terapeuta domanda
alla glia di venire, e lei accetta, allora la terapeuta cade in una trappola, per-
ch la glia afferma di essere sana. La terapeuta deve prendere un ruolo at-
tivo, di padre impotente ( un ruolo della mente). Finora F. stata una glia
senza padre ed ora vuol farsi riconoscere dal padre; sta lottando per cambia-
re. La glia ha problemi legati alla rapporto sessuale: negazione delluomo;
Diagnosi: ORGANIZZAZIONE PRE-PSICOTICA (deve fare un salto
enorme per poter guarire). Ricordarsi che gli psicotici non rispettano il set-
ting, lottano contro la costruzione del setting, ed una lotta per mantenere
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il CAOS. Per comprendere meglio lorganizzazione psicotica ci aiutiamo con
il mito della madre uroborica.
La madre onnipotente chiede a uno dei gli di castrare il marito.
Questo atto di differenziazione seguito dalla nascita dei conitti, cio dalla
complementariet. Cronos (il Tempo), introduce lidea del conitto, della
separazione dalla madre e dal padre: il senso di colpa. Nella mitologia, il
senso di colpa impersonato dalle Erinni (punizione e vendetta). Il bambi-
no quando pensa a s, ai suoi desideri, sperimenta il senso di colpa, perch
non fa tutto per i genitori.
Nella psicosi siamo in un mondo ove il padre non pu essere rico-
nosciuto. Resta lidea dellarmonia, dellonnipotenza, che deve essere una
negazione della differenza, tra il soggetto e laltro. Lo schizofrenico non
pu percepire la potenza dei genitori, si sentirebbe in pericolo. Vive con
lidea dellarmonia totale, dove non c differenza tra i sessi. Vive con lidea
di essere lui il suo proprio genitore. Pertanto sempre in pericolo, doven-
dosi difendere dallimportanza del mondo reale: Io sono Dio e tutti devono
crederlo. Le prime crisi psicotiche compaiano in giovent, al momento del-
linnamoramento, questo un vero terremoto. La spinta biologica molto
pericolosa, perch lo psicotico ama solo s e se vogliamo aiutarlo dobbiamo
essere attenti a ci.
Si riprende la discussione del caso clinico: Giada.
Terzo incontro: si prende la coppia madre-glia, non c pi il con-
itto, sono in armonia. Giada non ha pi disturbi agli occhi e vuole venire
in terapia. Due giorni dopo: telefona la madre, chiedendo anche lei una
terapia, perch ha paura di un nuovo episodio psicotico. Lincontro con
Giada: la ragazza felice. Due giorni dopo: incontro con la madre. Racconta
di essere stata abbandonata dal padre. Non sapeva differenziarsi dalla madre
(si vendica del proprio passato nel presente).
Una settimana dopo: secondo incontro con Giada: va tutto meglio. Il
giorno dopo: incontro con la madre: Giada migliorata molto, pi di-
sponibile, cerca le coccole. Difcolt nel contatto sico con i gli e Giada.
Narra un episodio: suo padre (aveva lei 4-5 anni), la toccata e allora lei si
sentita riutata; no a 14 anni si sentita maltrattata.
Appare un elemento nuovo: LA SEDUZIONE (Trauma della Prima Teoria)
*Ricordiamo che nella prima teoria, Freud pensava a un trauma reale,
poi rinunci a tale teoria e si rivolse alla fantasia. E questo passaggio dalla
realt alla fantasia, nella teoria legata alla vita reale di Freud, cio alla mor-
te di suo padre. La seduzione se imposta dalladulto si parla di TRAUMA,
se il gioco del dottore si parla di curiosit attiva del bambino. Anche i
bambini possono avere un atteggiamento seduttivo, ma sta alladulto ottene-
re freni. Quando un adulto parla di un atto seduttivo, bisogna controllare se
un fatto reale o una fantasia.
BORDERLINE: ci portano tante fantasie, interessanti, ma ci impedi-
scono di pensare e di fare il nostro lavoro. come se vivessero un romanzo.
*La fantasia di seduzione CHIAVE nella vita mentale dei nostri pa-
zienti. In questa paziente (madre di Giada), lidea di seduzione appare in
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una atmosfera dove il padre presentato come cattivo, responsabile dei
problemi. Secondo lei, il responsabile delle sue difcolt mentali il padre
con i suoi desideri (episodio dei 4-5 anni). I bambini normali hanno biso-
gno di dire che possono sposare il padre e allora si deve suggerire al padre
di incoraggiare la bambina, dicendole che lei sarebbe una buona moglie.
Tutti devono essere stati sedotti, perch cos si scopre la eterosessualit, ma
bisogna essere sedotti anche dal nostro stesso sesso. Dobbiamo aver provato
il piacere di essere stati presi sia nelle braccia della madre che in quelle del
padre.
Terzo incontro con Giada: stata promossa, felice con il ragazzo,
non litiga. La terapeuta chiede a Giada con chi usa latteggiamento della
seduta e la ragazza risponde: con mia madre. Questa risposta ci d infor-
mazioni precise: la persona normale capisce che fa paragoni, perch ha
la possibilit di simbolizzare. Uno psicotico, invece, non pu capire laltro
signicato delle cose.
La vita mentale si basa sempre su una doppia realt, sul reale e sullim-
maginato. Per il bambino non adottato, quando il padre reale non gli con-
viene, pu inventarne un altro che gli vada bene. Il bambino adottivo, inve-
ce, ha la possibilit di trovare nella realt oggettiva unaltra persona. Si crea
un conitto molto difcile perch laltro padre che dovrebbe essere quello
buono, CATTIVO, perch ha riutato il glio alla nascita. Ladozione di
un bambino, anche se fatta in et molto, molto precoce, sempre difcile.
Nel caso di genitori divorziati che litigano, il bambino sa che essi lottano e
litigano perch entrambi lo vogliono, lo amano.
Terza seduta madre: disdice e chiama dopo una settimana. Dice di aver
parlato con la propria madre e parla del vecchio analista, con cui cera stato
un rapporto pi intimo. La paziente andata a controllare nella realt. Non
parla pi della glia, ma del padre. Quarta seduta Giada: parla del ragazzo:
litigano, giocano. Lui la cerca, c sempre. Lei si sente quasi sposata, si sente
gi adottata dai futuri suoceri. Quarta seduta madre: Giada ha atteggiamen-
ti ribelli. Quinta seduta Giada: molto chiusa, come se volesse nascondere
qualcosa, la terapeuta sente di ripiombare nella confusione.
*(La terapia arrivata qui). Fine prima parte. Gilliron spiegher la sua concezione di
STRUTTURA DI PERSONALITA (Largomento sar sviluppato nel prossimo numero
- n. 49, maggio 2013). Nota: Ripeteremo anche nei prossimi numeri alcune trascrizioni dei Seminari
del Prof. E. Gilliron a Pescara, organizzati dal Dott. F. Agresta, e registrate, presso la SIMP Pescarese,
negli anni 1989-2004.
gi Direttore Policlinico Psichiatrico Universit Losanna, Psichiatra, Psicoanalista della
Societ Svizzera di Psicoanalisi e Psicoanalista dell IPA.
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I NONNI COME GENITORI NARCISTICI*
Hayde Faimberg
La lotta contro il genitore narcisistico, tappa tanto importante ai miei
occhi dallanalisi del conitto edipico, si riattualizza nel transfert. S. Freud,
che pure aveva studiato la melanconia, riteneva che il narcisismo segnasse il
limite dellanalisi, poich, secondo lui, non poteva essere trasferito. Ci chia-
risce bene limportanza del contesto teorico nel quale ogni analista ascolta
ed analizza meglio il modo di funzionamento narcisistico del paziente. Dopo
Freud numerosi sono stati gli analisti che hanno riconosciuto lesistenza di
un transfert narcisistico. Allorch Alice mi consult per la prima volta mi
disse: Bene, immagino che ormai io sia obbligata a venire da lei, come se
fossi stata io a chiamarla: distanza, inaccessibilit, silenzio sono stati i tratti
distintivi della sua analisi. Nel corso della prima seduta essa disse di sentirsi
altrove; nello stesso tempo era era di essere un enigma per i suoi genitori
intrusivi, ed io sentii come sarebbe stato difcile entrare in contatto con lei,
sentii che rischiavo nel transfert o di abbandonarla al suo isolamento, o di
aggredirla con lintrusione. Il silenzio nelle sedute diventato cos una sorta
di implicita sda, come se essa dicesse n dallinizio lei non riuscir mai a
conoscermi.
Nella seduta che ho scelto di riferire per chiarire il mio intento, essa
comincia subito a parlare, cosa assolutamente non abituale. (Ha appena co-
minciato un nuovo lavoro).
Paziente: Devo lasciare il lavoro, non posso continuare (...) Non so
che cosa si aspettino da me, hanno laria di pretendere che io sia una spe-
cialista a livello internazionale. (Essa d per un certo tempo degli esempi,
senza precisare e piangendo).
Analista: Lei sembra allo stesso tempo triste e furente di non sentirsi
capace dessere e di fare ci che immagina di essere in grado di fare. Per
il momento noi non sappiamo perch lei abbia limpressione di non poter
imparare.
Paziente: (con disprezzo) Io non faccio mai domande. La mia fami-
glia cos. E cos che si deve fare, mai domande (...) Mio padre mi ha inse-
gnato a non fare mai domande, a sapere velocemente prima di tutti (...) Per
tutta la mia famiglia il peggio non essere considerati intelligenti, cos si
per forza stupidi. (Breve silenzio). Lanno scorso, sul lavoro, non ho mai
fatto una sola domanda!. (Continua a descrivere i diversi modi di essere
intelligente o stupida). (Era la prima volta che parlava con tale passione e
con tanti dettagli dellintelligenza e del fatto di non fare domande sebbene
un giorno avesse ricordato un apprezzamento nel quale si diceva che Alice
non faceva mai nessuna domanda. Ma a quellepoca non appariva affatto
chiaro che ne fosse era, citava semplicemente delle persone e questo po-
teva essere inteso anche come una critica da parte loro. Oggi so che le cose
non stanno cos).
Mentre lascolto parlare con disprezzo mi torna alla mente che, quan-
do era piccola, Alice era stata improvvisamente portata in un paese straniero
di cui non capiva la lingua. Noi avevamo ricostruito la fatica che aveva fatto
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per capire anche ci che succedeva allasilo. Il suo commento era stato che
la famiglia pensava che tutto andasse bene e che lei fosse molto intelligente.
La mia interpretazione si basa su questo ricordo che mi tornato alla mente
spontaneamente.
Analista: Lei ha forse limpressione, ponendo delle domande, di ritro-
varsi smarrita come quando ha perso la sua lingua. E duro non conoscere
neppure le parole per dire che non si capiscono le parole. E possibile che
lei abbia preferito pensare di essere molto brillante, forse eccezionale, e che
gli altri fossero degli <<stupidi>> perch non conoscevano la sua lingua.
Paziente: A casa mia siamo tutti intelligenti salvo mia madre, lei la
stupida di famiglia!
(Continua a dire cose di questo tipo con evidente piacere, raccontan-
do tutti i particolari e gli aneddoti che ai suoi occhi dimostrano la evidente
stupidit di sua madre. In realt la madre una nota scrittrice, una donna
colta, apprezzata dalla lite intellettuale. I commenti di Alice sono quindi
del tutto inattesi. In seguito spiega che suo padre non accetta alcun segno di
debolezza, di sconforto. Ma lo dice eramente, come se se stessa non avesse
mai bisogno di affetto o di protezione).
Paziente: Mia madre dice che non c nulla di peggio dellessere una
donna; mi ha raccontato di essere stata molto dispiaciuta che io fossi una
bambina Mio padre mi ha insegnato a giocare a scacchi quando ero mol-
to piccola i miei fratelli (cadetti) non sapevano neppure giocare a carte!
Sono stupidi. (In realt mi ha detto che sono studiosi di buon livello nel
campo delle scienze).
Non posso immaginare niente di peggio che essere una vittima come
mia madre! (...)
Mia madre mi ha raccontato che mio padre aveva accettato di sposarla
solo per avere dei gli (...) Mia nonna (materna) ha sempre detto che, come
madre, mia madre era una nullit Mia nonna adora mio padre e prende
sempre le sue parti quando i miei genitori discutono e ci capita spessoE
sempre presente a fare da arbitro (...). Alice non aveva mai espresso prima
una tale variet di affetti. La coppia della nonna con il padre, il giudizio
sprezzante nei confronti della madre sono assolutamente nuovi.
Si vede bene questa volta che il transfert narcisistico - linaccessibilit
psichica - legato alla storia di Alice e si intreccia con quella di sua madre.
Daltra parte quale rappresentazione interna ha Alice di sua madre? Nel
momento in cui interpreto il suo dolore psichico ( duro non conoscere
neppure le parole per dire che non si capiscono le parole), il timore della
propria debolezza attribuito genericamente alla madre. Perci essa cita
sia la madre che la nonna (a casa mia siamo tutti intelligenti salvo mia ma-
dre lei la stupida di famiglia. Mia madre dice che non c nulla di peg-
gio dellessere una donna. Mia nonna dice che, come madre, mia madre
una nullit).
Si potrebbe vedere in questa imago della madre il risultato della proie-
zione, e della sola proiezione, della aggressivit di Alice nel contesto di una
rivalit edipica. Questo , senza dubbio, evidente. Ma credo che questa visio-
ne delle cose si possa arricchire. Preferisco pensare che noi siamo in procin-
to anche di (ri)costruire la versione di Alice, il modo in cui lei pensa che sua
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madre abbia potuto tentare di risolvere i suoi conitti edipici con la propria
madre, la nonna. Ci che suppone a proposito di sua madre deriva dal suo
modo di funzionamento narcisistico legato alla relazione della madre con la
propria madre narcisistica (la nonna di Alice).
Quale interesse abbiamo ad adottare questo punto di vista comple-
mentare? Rispondiamo che ci permette di ricostruire il modo in cui gli
oggetti edipici hanno potuto intervenire nella formazione dello psichismo
della paziente - precisamente attraverso la prospettiva delle sue identica-
zioni al modo in cui funziona loggetto. In questo senso si pu pensare che
sia anche stato trasmesso ci che per la madre signichi essere una donna.
La paziente si identica nelle qualit sgradevoli che per la madre implica
lessere una donna.
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Alice si compiace di fare di sua madre la glia sottova-
lutata della nonna; di eliminare la madre in quanto valida partner sessuale
per il padre. In questo senso la madre immobilizzata nello psichismo di
Alice, non pu cambiare, esclusa per sempre. Alice pu adesso analizzare
questa supposizione narcisistica, che legata al piacere di raccontare quali
relazioni hanno tra loro i suoi oggetti edipici e che cosa passa attraverso la
sottovalutazione della madre. Retrospettivamente si capisce che cosa signi-
chi il silenzio per la paziente:
1) in questo genere di transfert narcisistico si suppone che io non
abbia bisogno delle sue parole, che io basti a me stessa e conservi tutto per
me. Daltra parte, ad un altro livello, io sono stupida e non so a meno di
porre delle domande.
2) Nello stesso tempo essa non manca mai le sue sedute, smette di
mantenere il suo silenzio, poich ha bisogno di me per confermare di non
aver bisogno di me come analista: nel transfert la sua fragilit e la sua on-
nipotenza rivelano la struttura contraddittoria del narcisismo. A partire dal
transfert narcisistico noi cominciamo a (ri)costruire i rapporti che gli ogget-
ti edipici hanno tra di loro nella mente di Alice: uno di questi oggetti edipici
, nel racconto della paziente, la nonna.
Il complesso di Edipo sembra qui troppo restrittivo per capire ci
che accade. Questa una delle ragioni che mi ha portato a parlare di con-
gurazione edipica.
Inoltre, nello psichismo della paziente, le relazioni tra gli oggetti edi-
pici si instaurano secondo i criteri narcisistici che ho appena ricordato; la
nonna un genitore narcisistico. Si vede quindi quello che mi ha spinto a
considerare il narcisismo in termini di investimento narcisistico, il modo in
cui funziona la psiche. Essendo la nonna uno degli oggetti edipici e posse-
dendo le caratteristiche di un genitore narcisistico, relativamente a questo
particolare modo di funzionamento psichico di chi fa lanalisi, si pu legitti-
mamente parlare di dimensione narcisistica della congurazione edipica.
Consideriamo con attenzione questa dimensione narcisistica della congu-
razione edipica.
La madre appare, nello psichismo di Alice come la glia di una madre
narcisistica, la nonna.
2
Alice e sua madre sembrano sorelle di fronte alla sola
1
Mi sembra che Alice si identichi nel modo in cui funziona loggetto narcisistico che
stato il modo di relazione della madre con Alice.
2
Come il padre narcisistico in Totem e Tab.
- 12 -
madre possibile, una madre narcisistica, la nonna.
3
E cancellata la diffe-
renza fra le generazioni: C telescopage di generazioni (Faimberg, 1985,
1988). Tutto questo mi porta a pensare che questa storia sia stata usata da
Alice per resistere inconsciamente a dei ni narcisistici - al riconoscimen-
to della sessualit dei genitori come coppia. In altre parole, la resistenza
narcisistica che essa oppone al riconoscimento dei suoi conitti edipici del
complesso di Edipo - ad una storia, che si intreccia con quella (ricostruita)
dei genitori.
Quando parlo della madre, della nonna o di qualsiasi altro oggetto ori-
ginale, non si tratta della loro realt materiale: parlo del modo in cui, nello
psichismo della paziente, essi fanno parte di un conitto intrapsichico non
cosciente.
Conclusioni
Si pu considerare il narcisismo in termini di conitto intrapsichico
legato alla storia della formazione dello psichismo del paziente. In una
certa misura i pazienti credono di essere stati accettati dai propri genitori
in accordo con alcune ipotesi fondamentali: lanalisi della dimensione nar-
cisistica della congurazione edipica pu, nel transfert, mettere questo in
discussione e permettere di vincere lillusione narcisistica che esiste per sem-
pre un solo e unico spazio psichico, un solo e unico oggetto damore. Nello
stesso tempo viene (ri)costruito il rapporto narcisistico tra le generazioni.
Io credo inevitabile la lotta narcisistica contro gli oggetti edipici.
Avanzando lidea di una congurazione edipica che copre un campo
pi esteso dei conitti edipici e considerando la dimensione narcisistica che
questa congurazione edipica, io (propongo) ipotizzo una matrice concet-
tuale che stabilisce il legame tra il modo di funzionamento del paziente e il
suo complesso di Edipo.
Il mio discorso un modo tra gli altri di dire di che cosa si tratta in
analisi.
*Questo breve articolo che la dott.ssa H. Faimberg ha offerto espressamente per il Semi-
nario S.I.M.P. di Pescara, rappresenta una introduzione interessante al suo libro che ha,
poi, pubblicato nel 2006: Ascoltando tre generazioni. Legami narcisistici e identicazioni
alienanti, Franco Angeli, Milano.
Hayde Faimberg psicoanalista argentina, vive a Parigi. E Psicoanalista della Societ Psi-
coanalitica di Parigi.
3
Nel caso di Jacques (Faimberg e Corel 1989a), il genitore narcisistico il padre del pa-
dre. Bisognerebbe dedicare uno studio particolare al rapporto tra il destino delle identi-
cazioni sessuali e 1identit sessuale del nonno, del genitore e del paziente.
- 13 -
IL NECESSARIO APPRENDIMENTO
DELLAMBIGUITA
1
Questordine abbandona la vecchia base dellaut-aut
raggiunge lentamente una nuova base, quella delle.
Il XX secolo sta sotto il segno e [...] cosa che va molto ol-
tre i limiti dellarte e che prima o poi avr ripercussioni
su ogni importante settore dellevoluzione umana.
Kandinskij
Luigi Pagliarani
Il titolo da me proposto suonava cosi: Dal cuore che allatta la mente
la possibile salvezza - ovvero: Il necessario apprendimento dellambiguit.
Per la verit il titolo che mera venuto di getto (poi auto-censurato, perch
poteva apparire indecente, diceva: Il cuore ha pi stanze di un casino
(Marguez) - E la mente?. Che, a ben guardare, ripropone - con altra lingua
il famoso detto di Pascal, secondo cui il cuore ha pi ragioni di quante
non ne conosca la ragione.
Quel che intendo esporre lo sviluppo di un pensiero che vengo colti-
vando da anni.
2
Premessa indispensabile la netta distinzione - sottolineata da
Bleger - tra ambivalenza e ambiguit. Il primo sentimento indica uno stato
dellessere - individuale, di coppia, sociale in cui la conittualit, la disso-
nanza, le contraddizioni risultano intollerabili; il secondo invece la sofferta
- non, cio, insofferente - perci tollerata coesistenza dei contrasti e delle
simultanee molteplicit.
Il nuovo svolgimento trae spunto da un articolo - poco noto - di Bion:
PSYCHIATRY AT A TIME OF CRISIS (cui abbinerei il brevissimo - ma inten-
sissimo - GROUP THERAPY), entrambi del l948. Osservando il grande, cre-
scente, allarmante jato tra il progresso tecnologico e la nostra insufciente
capacit di gestire e governare sanamente le emozioni sociali - gap, questo,
che ci pu trascinare alla catastrofe - Bion vedeva allora in questo stato di
fatto una sda che proprio la psicologia era chiamata ad affrontare. Consi-
derando anche che, per logica interna, la gerarchia tecnologica produce e
promuove capi insensibili, quando al contrario si rende necessaria - a tutti i
livelli - la cultura di stili di leadership che sappiano affrontare le emozioni,
fare i conti specie con quelle angoscianti.
3
Inserirei qui laltro contributo di
Meltzer, per il quale il gruppo patisce insopportabilmente le emozioni ed
1
la traccia per la mia relazione al convegno promosso dalla sezione clinica della Societ
Italiana di Psicologia scientica (SIPs) del 1 marzo 1988.
2
A partire da Metempsicotico il gruppo? E da Ambiguit, sentimento del tempo - apparsi
nell83 e nell84 nei QUADERNI Dl PSICOTERAPIA D1 GRUPPO - per arrivare al pi re-
cente IL CORAGGIO DI VENERE e allultimissimo FORNARI, LA POLEMOLOGIA E UN
LAPSUS DELLA PSICOANALISI, appena pubblicato sul n.56 de Il piccolo Hans).
3
La scienza fa che i cuori durino pi a lungo, ma li ha avviliti. (Ceronetti).
- 14 -
il suo rapportarsi con loggetto estetico: per dirla con Kandinskij anacro-
nisticamente pi disposto allaut-aut che alle (cfr. di Meltzer WHAT IS AN
EMOTIONAL EXPERIENCE?). Donde la predilezione del gruppo-gruppo
per un ordine dispotico che fugge dal caos, invece di sapervi abitare nella
speranza (ed anche per fede e carit laicamente intese) che dal caos si
origini il cosmo, linedita, originale forma buona.
Luomo regredisce provvisoriamente allo stato amorfo, notturno, del caos,
per poter rinascere, con pi vigore, nella sua forma diurna. Lorgia [...] annulla la
creazione, ma la rigenera nello stesso tempo. (Mircea Eliade). Come se il grup-
po - quanto pi estese sono le sue dimensioni - fosse ambivalentemente (e
meno provvisoriamente del singolo) combattuto tra un caos notturno, col
rischio della follia (di cui la guerra lespressione agita), ed un caos diurno,
grembo di creazione (e di pacica - e contrastata e sofferta - coesistenza).
Dalla contraccettivit al clima natalizio.
Qual allora il luogo dove lintolleranza dellambiguit (donde la
disposizione - nel terrore del caos - a privilegiare gli sbocchi paranoidi e schi-
zoidi) oggetto di attenzione sistematica no a cogliere - nella molteplicit,
nella pluralit, nella simultaneit copulativa delle differenze un valore o se
non altro lofcina di nuove forme, nuovi ordini, nuove leggi, proprio per-
ch alla convinzione (totalitaria) di una verit si sostituisce - per esperienza
vissuta psicosomaticamente, di corpo e di mente - la scoperta di pi verit
(dalla monotonia alla polifonia, cio alla complessit)?
4
Approdo difcile - e ad un tempo arricchente - a quel polisindeto - bel-
lo e intrigante - che la realt (interna ed esterna), riempita di tanti e, da
non guardare perci aut-aut-isticamente. Dalla consapevolezza della gruppa-
lit sprigionano le scelte sociali e lo scegliersi di ognuno. Scelte e scegliersi
diversi, molto diversi a questo punto dal tagliare, dallo scindere, dal negare.
La scelta dellambiguit, per cui generare non sgravarsi.
Qui, in questa clinica, si attua leducazione sentimentale pi necessa-
ria del galateo e del porto darmi; qui si svolge e cresce quel pensiero espe-
riente (Franz Rosenzweig, IL NUOVO PENSIERO, con la triade: esperien-
za, rivelazione, redenzione) che insieme portano allazione auspicabile: e
dellindividuo e della polis. Sicch il gruppo - da prigione senza scelta (tutto
prescritto, non resta che la morte) - sviluppa un inventario di possibilit,
promotore ed emendatore del peccato (originale, secondo Kierkegaard) di
non mettere a frutto le occasioni, del farsi torto tradendo le vocazioni del
genius pueri et loci. Vera e propria alfabetizzazione di noi al plurale emo-
zionalmente analfabeti - che educa ognuno a dire Io in quanto si appre-
so a dire Noi in modo pi chiaro e preciso.
5
Solidariet di e tra individui e
non caserma di ubbidienti in uniforme.
6
4
Quel luogo - e quel tempo - lo abita in linea di principio la psicoterapia di gruppo, ed
ogni altro approccio responsabilizzato a sperimentare le dinamiche di gruppo (micro e
macro). lapproccio alla gruppalit (dellEgo e dellAgor).
5
Tanti Io circolanti da un Universo ad un Multiverso, capaci di controllare il bombarda-
mento dinformazioni.
6
Non ci sono soltanto le divise militari. Il manager come un giovane lupo. Ecco lideale.
Incarnato dal quadro dinamico. Cravatte sgargianti, scarpe lucide, ventiquattrore con pre-
servativi e minicomputer per i calcoli [] tutto in preda alla dominanza. (H.Laborit).
- 15 -
Ecco perch mi sembra legittimo sostenere che la modalit clinica del-
la psicologia si ponga anche come scienza della complessit. Tale affermazio-
ne non solo designa la specicit della psicologia clinica, ma ne evidenzia
e ne proclama una responsabilit politica in era atomica. la sda di Bion.
Resta a vedere per - e questo lo scolio, ed anche lo scoglio, del teorema
- se gli psicologi sapranno corrispondere, saranno allaltezza di questo com-
pito. La sensazione oggi emergente tuttaltro che edicante se, a 40 anni
dallallarme lanciato da Bion, le cose non sono un granch cambiate, anzi -
per certi versi - si sono persino involute, sotto il dominio imperversante della
tecnologia anestetica.
Laltro punto su cui voglio richiamare la vostra attenzione il confron-
to che Bion fa tra il progresso tecnologico e la nostra capacit di progredire
nel governare, nel conoscere le nostre emozioni. Bion riscontra lo scarto
sempre pi profondo tra i due progressi. Oggi noi abbiamo macchine, con-
gegni, che ancora cinquanta anni fa erano impensabili; mentre invece non
siamo altrettanto esperti per quel che riguarda luniverso emozionale... In
altre parole, nel momento in cui io invento una macchina, devo semplice-
mente insegnare a chi la deve usare, come la si usa e a cosa serve. Quanto
pi buona limitazione della tecnica nelluso di questa macchina, tanto pi
precisa sar la prestazione. In questa area abbiamo una mimesi: una solu-
zione semplicistica, che non pu valere nel campo dello sviluppo emotivo e
intellettuale, dove la situazione opposta. Qui limitazione non di nessun
valore; anzi un pericolo gravissimo, perch produce una falsa apparenza di
sviluppo e di crescita.
Nel testo di Bion Memoria del futuro si insinua il dubbio ed il so-
spetto cio che alla n ne luomo si lasci prendere dalla tentazione della
esplosione planetaria o nucleare, per non dover affrontare quellaltra esplo-
sione, molto, molto pi temuta, del proprio mondo interno; in altre parole,
la possibile guerra nucleare potrebbe essere lultima difesa dello sviluppo
tecnologico per impedire agli individui del nostro tempo langosciante con-
fronto con il proprio mondo interno.
Se consideriamo lattivit psichica come un processo che prende for-
ma mentre avviene, e si fonda sulle sensazioni di esistere, possiamo riferirci
allepistemologia emergente dei sistemi complessi dinamici (Bertalanffy L.
von, 1969; Atlan H., 1972; Lorenz K., 1973; Morin E., 1977; Prigogine I.,
Stengers I., 1981; Filippini R., 1990). Nel relativizzare la concezione di be-
nessere e di salute, possiamo cos ad esempio considerare la psicoterapia at-
traverso la nozione di auto-organizzazione: un sistema, parzialmente aperto e
parzialmente chiuso, a partire da epicentri endogeni, secondo la sua costituzio-
ne (che congura i vincoli del sistema), attraverso squilibri uenti, nel gioco
di complementarit oppositive, per mezzo dellenergizzazione di aree di disordine
relativo, in rapporto a soglie critiche, pu subire trasformazioni qualitative,
aumentando di complessit. Come si vede, il concetto di auto-organizzazio-
ne pi ampio di quello di benessere, e anche di quello di salute.
Per nire vorrei citare la pagina di Keats che mi ha portato a dire che
la salvezza sia nel cuore che allatta la mente; e forse il criterio epistemologi-
co di Richard Rorty (OGGETTIVIT O SOLIDARIET ?).
- 16 -
Avvertenze:
Il Saggio La sda di Bion, oggi pi che ieri. Psicosocioanalisi del potere e dei conitti
stato composto con Winword 7 (per cui dovrebbe essere facile la stampa disponendo di
Windows). Lintervista IL VOLONTARIATO E LA RICERCA DELLARMONIA apparsa
sul n.5/maggio 1996 della rivista Animazione Sociale.
IL NECESSARIO APPRENDIMENTO DELLAMBIGLIIT la traccia di un contributo del
1988 ad un convegno della SIPs [questi due testi li menziono nel mio intervento al conve-
gno Bion97, perci li allego].
Il breve testo Bion pensatore pratico appare in appendice al volume PSICOSOCIO-ANA-
LISI E CRISI DELLE ISTITUZIONI. Il pensiero di Bion nel dibattito attuale (a cura di
Eraldo Cassani e Giuseppe Varchetta), Guerini e Associati, Milano 1990.
Questo volume contiene gli atti di un COLLOQUIO di ARIELE interamente dedicato a
Bion, e cio:
1. La traduzione in italiano del saggio di W.R. Bion PSYCHIATRY AT A TIME OF CRISIS
2. LULTIMO BION: PSICO-SOCIO-ANALISTA di Luigi Pagliarani
3. IL PRIMO BION. LA LABORIOSA COSTRUZIONE DI UN MODELLO DI MENTE
NELLE <<ESPERIENZE NEI GRUPPI>> di Ferruccio Marcoli
4. W.R BION: IA PSICOANALISI NEL GRUPPO SOCIALE. LEGAMI, PASSAGGI E RI-
FLESSI RECIPROCI di Parthenope Bion - Talamo
5. Il dibattito nonch varie schede.
6. a p.110 cito un passo da una lettera di Keats, poeta cos caro a Bion, che mi piace ri-
portare qui: Credo che ci sia un sistema di salvazione pi valido di quello cristiano, e cio un
sistema di creazione dello spirito. Questo si realizza attraverso tre grandi Elementi che interagisco-
no uno sullaltro per una serie di anni. Questi tre Elementi sono lIntelligenza, il cuore umano
(distinto dallintelligenza, o Mente) e il Mondo, o lo spazio materiale dove sincontrano la Mente
o lntelligenza destinata a possedere il senso dellidentit. Riesco a fatica a esprimere ci che vedo
ancora solo vagamente, e tuttavia credo di vederlo; perch possiate giudicare meglio prover a spie-
garmi nel modo pi semplice possibile: chiamo il mondo una Scuola che ha lo scopo di insegnare
a leggere ai bambini. Chiamo il cuore umano un libro che si usa in quella Scuola, e chiamer il
Bambino che impara a leggere, lAnima fatta da quella scuola e da quel libro. Non vedete com
necessario un Mondo di Dolore e di affanni per educare lIntelligenza e farne unAnima? Un
Luogo dove il cuore senta e soffra in migliaia di modi diversi! Il Cuore non solo il Libro, la
Bibbia della Mente, lesperienza della mente, il senso da cui la Mente o lintelligenza succhia la
propria identit.
Gli indirizzi erano:
o I miei indirizzi: Vicolo Pozzolo,l - 6833 VACALLO (CH) | ) [004l.9l] 683.23.48 | FAX
[004l.9l] 683.59.17 - E.mail: lpagliarani@tinet.ch
o Via Olindo Guerrini, 3 - 20133 MILANO (I) | [ma preferibile scrivermi a Vacallo].
Luigi Pagliarani, psicosocioanalista, stato uno dei pi brillanti allievi di Franco Fornari,
psichiatra, psicoanalista, che sar anche presidente della Societ Italiana di Psicoanalisi
(SPI). E stato intervistato a Vacallo, in Svizzera, dal Dott. Fausto Agresta e il testo ripor-
tato in N. Prospettive in Psicologia nel 1990. Questo breve lavoro era stato inviato per la
Rivista.
- 17 -
INTERVISTA A FERRUCCIO ANTONELLI*
UNA PSICOSOMATICA A MISURA DUOMO
a cura di Fausto Agresta
Roma, 27 gennaio 1987

Riproduciamo integralmente questa intervista al Prof. Ferruccio Antonelli,
Presidente della Societ Italiana di Medicina Psicosomatica (SIMP), fatta a Roma
nel gennaio del 1987. Il valore di questa intervista rimane importante e signicativo
nellevoluzione della psicosomatica e nella psicoterapia. In questo periodo storico siamo
partecipi del valore che riconosciuto alla psicosomatica e alle psicoterapie ad essa
collegate, specialmente a quelle di indirizzo psicodinamico. Ad essa viene riconosciuta
validit, nella sua integrit e complessit di ricerche e di terapie, dalle stesse neuro-
scienze.
A tal proposito annunciamo che il XXIV CONGRESSO NAZIONALE S.I.M.P.
(Societ Italiana di Medicina Psicosomatica) PSICOSOMATICA: I TERRITORI
DEL FUTURO: dalle leggi dellAnima alle Neuroscienze, si svolger a VICENZA:
11-12 Ottobre 2013.
Ferruccio Antonelli nato a S. Elpidio (AP) 59 anni fa, medico, spe-
cialista in clinica delle malattie nervose e mentali, docente di psichiatria. E

presidente della Societ Italiana di Medicina Psicosomatica (SIMP) dal 1966,
dirige la rivista Medicina Psicosomatica che fond nel 1956, dirige il Corso
quadriennale di formazione in medicina psicosomatica presso lUniversit di
Roma. Gi docente di psicosomatica alla scuola di psichiatria dellUniversit
Cattolica e alla scuola di gastroenterologia dellUniversit statale di Roma.
Membro di numerose accademie e societ scientiche italiane e straniere.
Autore di una ventina di libri e di oltre trecento pubblicazioni scientiche
apparse sulle principali riviste nazionali ed estere di psicosomatica, psichia-
tria, psicoterapia, psicologia. Lultimo Congresso della Societ Italiana di
medicina psicosomatica, a Pescara nel maggio 1985, ci ha offerto loppor-
tunit per una serie di riessioni sulla condizione attuale della medicina
psicosomatica e sulle sue prospettive di evoluzione. Tale riessione stata
ancor pi stimolata dal fatto che in quella occasione si parlato di crisi del-
la psicosomatica, nei termini in cui questa vedrebbe sempre pi indistinti i
conni della propria identit come scienza, pratica e campo di ricerca. Ci
anche grazie al fatto che pi che proporsi come una branca specica della
medicina, essa si prospetta come un atteggiamento di fronte alla malattia
e al malato che, al di l delle metodologie di intervento, fonda la sua di-
versit soprattutto sul modo in cui viene intesa e interpretata la malattia:
come messaggio. Per cui la psicosomatica non riconosce la malattia in s
come fatto oggettivo da trattare oggettivamente, ma riconosce che luomo
malato, ovvero che la personalit che si ammala. Luomo si ammala per
esprimere e comunicare, con la sua malattia, il suo disagio, le cui cause
vanno ricercate anche nei suoi rapporti con gli altri, e, non ultimo, si am-
- 18 -
mala nel momento in cui chiede di essere aiutato ad uscire dal suo disagio.
Ma una malattia-sofferenza, - lo possiamo dire in base ai risultati - utile e
indispensabile per ottenere una rinascita, un nuovo modo di intendere le
situazioni intra e interpersonali nel senso di liberazione dagli intrecci della
malattia, appunto. Come gi sottolineato nellEditoriale per il Congresso
(Prospettive in Psicologia, Maggio 1985, N. 2) sappiamo che il corpo mala-
to parla molti linguaggi: il verbale (e non), lanalogico, il simbolico. Nella
comunicazione non-verbale si racchiudono inniti messaggi: sottili, silenzio-
si, contorti, di paura, di rabbia, di spazio, di tempo. Diciamo subito che la
medicina psicosomatica deve apprezzare il corpo che parla a 360, in tutte
le dimensioni e direzioni, non solo in senso orario. Ma lelaborazione stra-
tegica e concettuale di questi messaggi da decodicare rientra nel corpus
terapeutico delloperatore. Il medico, lo psicologo, lo psichiatra, ma anche
tutti gli operatori medici, specialisti, che apprezzano emotivamente e poi,
operativamente, un tipo di medicina veramente a misura duomo debbono
superare, non tanto la distinzione seppur reale tra mente e corpo, quanto
la propria dimensione di autosufcienza (di alcuni) quando affermano io
sono medico, tu sei psicologo, tu sei psichiatra, quasi a voler intendere e
a sottolineare una sottile differenza di status che indicherebbe, o dovrebbe
sottendere una riprivatizzazione medica e, conseguentemente una maggiore
validazione della relazione e quindi della guarigione. Questo, quando esi-
ste, ci fa pensare ad una concezione della medicina psicosomatica intesa in
senso gerarchico e da laboratorio, tipicamente diagnostico, mentre laspetto
relazionale-terapeutico viene ad essere scotomizzato, o alla ne, consigliato
come supporto! Spostare il tiro dalla malattia alla relazione interpersonale
lobiettivo che ci proponiamo come terapeuti. Ci implica non tanto una
informazione staticamente libresca e limitata alla psicosomatica dei test e
delle ricerche personologiche che ormai hanno segnato il passo, quanto una
robusta formazione di base in senso relazionale, lunga e continuamente in
crescita, partendo dalla realt concreta dei casi, al di l delle medicine, teo-
rie e delle scuole di appartenenza. Latteggiamento psicosomatico guarda
quindi alla realt complessiva delluomo in quanto realt psichica e organica
insieme, una realt in cui non solo il corpo o solo la mente ad amma-
larsi, ma sempre la personalit nel suo complesso di mente e di corpo a
manifestare la malattia. Abbiamo voluto fare questo viaggio allinterno della
psicosomatica evitando di prospettare un elenco delle teorie e delle me-
todologie che vi conuiscono, ma usando la testimonianza viva e diretta
di coloro che quotidianamente e concretamente operano secondo lottica
psicosomatica. In questo senso, dobbligo la prima intervista al Prof. F.
Antonelli, Presidente e fondatore della Societ Italiana di Medicina Psico-
somatica, noto sia in Italia che allestero e Direttore della Rivista Medicina
Psicosomatica, organo ufciale della S.I.M.P. Iniziarne questa esplorazione
che si snoder attraverso altri incontri previsti con coloro i quali, in quanto
autorevoli professionisti e studiosi in questo campo, potranno offrire il loro
punto di vista e le loro riessioni e conoscenze sulla materia e sulle strategie
di intervento. A questo proposito invitiamo i lettori e i colleghi che desidera-
no aprire un confronto su questi temi della medicina psicosomatica e del-
lintendere la relazione terapeutica, a scrivere alla redazione della rivista,
portando le loro esperienze e le riessioni critiche su questo tema.
- 19 -
AGRESTA. Lei Professor Antonelli, come Presidente della Societ Italiana di
Medicina Psicosomatica (SIMP), uomo di scienza, iniziatore e promotore della nuova
cultura della medicina psicosomatica in Italia, nei primi anni della sua formazione
pensava che questa oggi avrebbe potuto raggiungere una tale diffusione? E come ma-
turato in lei questo interesse pionieristico, in Italia, per quei tempi?
ANTONELLI. Avevo la certezza che la p.s. si sarebbe affermata. Non
mi attribuisca capacit divinatorie: era solo la valutazione (rivelatasi poi esat-
ta) che i tempi fossero maturi per il recupero dellumano in una medicina
sempre pi tecnicizzata dal progresso e frazionata dalle specializzazioni. Mi
affascin e mi convinse la lettura del famoso volume Psychosomatic Medici-
ne di Weiss ed English mentre frequentavo il quinto anno: era il 1950.
AGRESTA. A Pescara nellultimo Congresso nazionale della Societ Italiana
di Medicina Psicosomatica si parlato di crisi della psicosomatica, in riferimento
anche al fatto che difcile dare una denizione generale di cosa realmente sia la me-
dicina psicosomatica, visto che questa, pi che una branca specica della medicina,
un modo di intendere il malato e la sua sofferenza. Ci comporta che chi, occupandosi
della malattia, fa proprio il concetto dellapproccio psicosomatico, traduce poi nella
pratica tale concetto secondo la particolare tecnica con cui egli cerca di curare il mala-
to e secondo una personale in-terpretazione della sua sofferenza. Per cui la domanda
che le pongo questa: in che modo nella particolarit della sua pratica e nella speci-
cit della sua interpretazione si traduce il termine psicosomatico?
ANTONELLI. La p.s. una corrente di pensiero per lo studio e la cura
dei disturbi provocati o aggravati da situazioni emotive. un modo nuovo
di interpretare il rapporto medico-paziente. un diverso stile di esercitare
la medicina centrandola pi sul malato che sulla malattia, e restituendo
dignit sia a chi soffre sia a chi cura. Faccio un esempio. La parola ulcera
molto diffusa nei trattati e nel linguaggio comune tanto degli operatori
sanitari quanto della gente comune. Manca invece nel vocabolario dello
psicosomatologo, il quale invece parla di ulceroso o di portatore di ul-
cera, aprendo, cos, immediatamente, ampi spazi ai vissuti, le esperienze, i
problemi, le angosce, tutta unetiopatogenesi particolare ed in pi, che il
presupposto di un intervento terapeutico e preventivo che non si sostituisce
a quello farmacologico o chirurgico ma lo completa a tutto vantaggio del
paziente. Afnch non resti un ulceroso anche ad ulcera guarita.
AGRESTA. Il fatto che lapproccio psicosomatico comporti anche una partico-
lare losoa della sofferenza determina che ladesione ad una dimensione terapeutica
fondata su tale approccio sia generalmente il frutto di una evoluzione personale, nel
senso culturale e psicologico del termine. Vorrei chiederle quale stato per lei liter di
tale evoluzione.
ANTONELLI. Vivere la medicina in chiave psicosomatologica richie-
de, s, una certa evoluzione, se non altro quella dellesperienza professio-
nale: il vecchio medico di famiglia psicosomatologico per forza, magari
anche a propria insaputa. Per, in genere, pi che di evoluzione, la p.s. ha
bisogno di quel requisito caratterologico che si chiama dimensione umana
e cio disponibilit allascolto, alla comprensione, alla rassicurazione. Nien-
te di eroico; una caratteristica che, per solito, costituisce la motivazione
- 20 -
prioritaria che ha indotto a scegliere la facolt di medicina. Per quanto mi
riguarda, io ho sempre sentito in me questo drive, forse favorito dal mio
impegno cattolico. Ma questultima circostanza casuale: la p.s. non legata
ad alcuna ideologia; del resto, carit cristiana e solidariet socialista, allatto
pratico, collimano.
AGRESTA. Abbiamo proposto una relazione tra un possibile processo evolutivo
nella propria realt di persona e di tecnico della sofferenza e lapproccio psicosomatico.
Ci ci fa pensare che latteggiamento psicosomatico sia anche il prodotto di una
formazione. Esiste la possibilit di una formazione alla psicosomatica e se s cosa do-
vrebbe comportare ci in termini pratici?
ANTONELLI. La formazione, intesa come training specico, indi-
spensabile per ogni professione, ed lunica garanzia per ottenere quel
salto di qualit che permette di esercitare al meglio. La formazione, in ter-
mini pratici, la somma di tre addendi: cultura, esperienza, specicit. La
letteratura scientica psicosomatologica molto varia e sarebbe bene che i
suoi cultori ne conoscessero gran parte; lesperienza clinica con pazienti psi-
cosomatici la verica necessaria per metabolizzare le teorie; la specicit
permette di ridimensionare le pretese onnipotenti e limitare, con umilt e
onest, il campo dazione dellintervento. Non condivido la denizione del-
lo psicosomatologo come tecnico della sofferenza. Almeno in pari misura,
se non di pi, tale termine spetta allalgologo, allanestesista, allagopun-
turista, al neochirurgo, al padre spirituale, e forse ad altri ancora. Pi che
tecnico della sofferenza, lo psicosomatologo ne linterprete in quanto
ne decodica il signicato simbolico e propone interpretazioni e soluzioni
mediante lo strumento della psicoterapia.
AGRESTA. A quali strutture, nella realt socio-sanitaria dellItalia potrebbe
rivolgersi chi, avvertendone lesigenza, volesse cercare una formazione alla psicosoma-
tica?
ANTONELLI. Lunica struttura che mi risulta il Corso quadrien-
nale di formazione in medicina psicosomatica e psicoterapia che la SIMP
promuove a Roma, con il patrocinio del Ministero della Sanit (Direzione
Generale Ospedali) e con la collaborazione dellIstituto di Psichiatria del-
lUniversit La Sapienza di Roma. Un altro tipo di formazione ottenibile
frequentando i Gruppi Balint, che sono in corso, in modo pressoch per-
manente, in varie citt dItalia. La SIMP ha un proprio servizio, che fa capo
al Dr. Parietti, in grado di organizzare un GB in qualunque centro venga
richiesto da una dozzina di candidati.
AGRESTA. Il termine psicosomatico ricostituisce gi nella sua struttura
verbale quel concetto di unit della persona, in quanto realt psicologica e organica
insieme, che sta alla base appunto dellatteggiamento psicosomatico. Nella prospettiva
di tale atteggiamento la malattia viene vista come il frutto della deconnessione tra il
mondo psichico e il mondo organico personale. Nella sua pratica di lavoro come viene
trattata tale deconnessione e come viene ricostituita la connessione tra psiche e soma
che segna la guarigione della malattia e, quindi, la ne della sofferenza?
ANTONELLI. Pi che di deconnessione parlerei di indebita ingeren-
za del mondo psichico in quello somatico e cio di somatizzazione di stati
- 21 -
depressivo-ansiosi. Uningerenza siologica prevista dalla p.s. intesa come
momento unicante e non certo come dicotomia. Ma quando tale ingerenza
supera determinati livelli quantitativi e qualitativi, si ha il disagio (distress),
la disfunzione, lalterazione, cio il disturbo psicosomatico Lobiettivo prio-
ritario dellintervento psicosomatologico il ristabilimento dellequilibrio
esistenziale a cui spesso segue la scomparsa (o almeno lattenuazione) del
disturbo e quindi la ne (e quasi) della sofferenza.
AGRESTA. Almeno nella pratica della sofferenza latteggiamento psicosomati-
co si pone in una particolare relazione con la cultura losoca e medica della nostra
civilt che ha la tendenza a scindere la dimensione organica da quella spirituale o
psico-affettiva individuale. In che relazione lei vede la psicosomatica con la cultura
losoca e medica del corpo in occidente?
ANTONELLI. Ogni movimento culturale raccoglie consensi o meno a
seconda di quale cultura preesistente trova in ogni determinato ambiente.
Nel Giappone, sensibilizzato dallo Zen, la psicosomatica si imposta con
straordinaria immediatezza ed in modo quanto mai naturale. Nelloccidente
europeo, esaltato dai trion della medicina organicista dellottocento e scot-
tato dalla stregoneria medievale, la p.s. stata accolta con cautela e persino
difdenza. Ma lo stesso occidente ha sempre coltivato il primato dello spiri-
to su materia, e questa tradizione ha nito col rendere accettabile in tempi
brevi la p.s. riconoscendola come un progresso, quando non ha addirittura
tentato di rivendicarne la paternit rispolverando le intuizioni psicosomati-
che di eroi del suo mondo classico, come Ippocrate e Platone.
AGRESTA. Si detto che la medicina psicosomatica in realt lespressione di
un atteggiamento diverso di fronte al malato e alla sua sofferenza e che nellapproccio
psicosomatico conuiscono le tecniche pi diverse per la cura della malattia; una delle
tecniche di elezione, in questo approccio, la psicoterapia. Secondo lei quali rapporti
intercorrono tra psicosomatica e psicoterapia e qual la reale applicabilit di questul-
tima nei casi di malati psicosomatici?
ANTONELLI. La p.s. non avrebbe senso di esistere se venisse disgiunta
dalla psicoterapia. Le malattie ex emotione sono note da millenni; la no-
vit nella possibilit di prevenirle e di curarle. Se disturbo p.s. signica
- come signica - un fenomeno che nasce nello psichismo e si manifesta nel
corpo, chiaro che la terapia causale solo psicologica; altrimenti si avreb-
be lassurdo di voler abbattere un aereo con un siluro. Il paziente psicoso-
matico ha poca disponibilit ad una psicoterapia analitica, frenato com
dalla alexitimia, dal pensiero operativo, dal pregiudizio che identica gli
operatori psichiatrici con i medici dei pazzi, dalla mitizzazione degli esami
di laboratorio e dei farmaci. Ma alcune tecniche psicoterapiche moderne
sembrano particolarmente accette agli psicosomatici proprio perch cen-
trate sul corpo (rilassamento, Gestalt, bioenergetica), e sono in grado di
ottenere risultati positivi e persino in tempi brevi.
AGRESTA. Non si pu parlare di approccio psicosomatico se non si costituisce
lidea di messaggio, di comunicazione che la malattia il pi delle volte costituisce;
per cui lei daccordo sul fatto che latteggiamento psicosomatico comporta, per chi
lassume, una disponibilit allascolto e alla decodicazione del messaggio insito nella
malattia?
- 22 -
ANTONELLI. La psicoterapia di un paziente psicosomatico difcile
perch deve superare le barriere delle resistenze, dello scetticismo, della cul-
tura organicista. In genere, qualche esperienza di training autogeno e qual-
che convincente spiegazione di tipo cognitivo sono in grado di stabilire un
primo contatto e di sciogliere qualche riserva. Ci che segue, se ci si riesce,
la psicoterapia vera e propria, il vero processo di insight e di crescita.
AGRESTA. La disponibilt allascolto e alla decodicazione di ci che il ma-
lato comunica con la sua sofferenza implica che si costituisca una relazione umana
tra paziente e terapeuta; in una societ come la nostra in cui la presenza tecnologica,
particolarmente nel trattamento della malattia, diventa sempre pi imponente, crean-
do sempre pi distacco tra il malato e il suo medico e riducendo sempre pi lo spazio
della relazione, quale futuro lei prospetta per la psicosomatica?
ANTONELLI. I cittadini sono sempre pronti a parlar male dei medici,
come dei politici e di tutti, perch scioperano o perch esosi o impreparati
e cos via. Ma quando il singolo cittadino ha bisogno del medico, non per
farsi prescrivere un dentifricio al uoro ma perch ha un dolore o unemor-
ragia o lipertensione o altro di serio, allora scatta leterno e sempre uguale
rapporto carismatico della speranza, della ducia. Nel clima della malattia, il
rapporto medico-paziente non ha bisogno di essere cercato o creato; nasce
per germinazione spontanea; il medico deve solo gestirlo. Se lo fa bene, per-
ch adeguatamente formato in senso psicosomatologico, diventa medicina
egli stesso e raddoppia le sue umane potenzialit di guarire.
AGRESTA Le prospettive e linteresse della medicina psicosomatica in relazione
al problema del cancro. Come vede lei, Prof. Antonelli, questo nuovo approccio? un
problema reale o un falso problema? Alcuni eminenti medici (n psicologi, n psicoa-
nalisti) credono alla natura psicosomatica del tumore. Altri - pure eminenti - affer-
mano che si tratta solo di un problema psicologico secondario. E da qui gli approcci e
le ricerche si presentano, naturalmente, in maniera diversa: appoggio e sostegno/pre-
venzione e psicoterapie globali (medico-psicologiche).
ANTONELLI. Tutto ci che, di sicuro, si sa sul cancro potrebbe essere
scritto su un biglietto da visita. Sugli eventuali rapporti tra psiche e cancro
ci sono ipotesi suggestive e veriche nebulose. Nulla di pi, almeno per ora.
AGRESTA. La ringrazio.
* La presente intervista stata pubblicata sul numero 1, Anni III, di Prospettive in Psicologia,
Gennaio 1987, e viene qui riproposta come omaggio ad uno dei pi importanti personaggi
della Psicologia e della Medicina Psicosomatica italiana. Il prof. Antonelli ha sempre rico-
nosciuto con eleganza e semplicit tutta lattivit della Sezione pescarese della SIMP.
- 23 -
LINTERVENTO COGNITIVO-COMPORTAMENTALE
DI GRUPPO NEL SERVIZIO PSICHIATRICO
DI DIAGNOSI E CURA (SPDC) DELLOSPEDALE
UMBERTO I DI NOCERA INFERIORE (SA) (ASL SA)
(Seconda Parte)
Franca Lepre
1
, Valeria DAndria
2
, Nicoletta Faiella
3
, Stefania Farina
3
,
Filomena DAmico
4
, Filomena Basile
5
, Antonella Centanni
6
,
Maria Laura Mignone
7
, Walter Di Munzio
8

Qualche difcolt maggiore viene esperita nella conduzione del mo-
dulo Obiettivi individuali alla dimissione, in cui non si riesce sempre a far
esplicitare in maniera chiara e concreta obiettivi a breve e medio termine ai
pazienti. Durante la conduzione di questo modulo, viene evidenziata la forte
paura, esplicitata e sottolineata pi volte dai pazienti, di tornare a casa, in
quanto il reparto appare, per loro, come un luogo protetto e sicuro in cui
vivere con serenit i propri problemi e i sintomi della patologia. Tornare
nel mondo reale porta con s angoscia, disperazione e ansia di fronte alle
attese e alle aspettative dei membri della famiglia, e, in unottica pi ampia,
dellintera comunit che li attende (in genere si tratta di piccoli paesi di
provincia). Tali vissuti sono comuni, nella nostra esperienza, alla quasi tota-
lit dei ricoverati che hanno partecipato alla discussione. Emergono, in altre
circostanze, speranze di guarigione irrealistiche, che il conduttore cerca
di tradurre nellesplicitazione di un obiettivo concreto per stare meglio.
Gli scopi del modulo, dunque, non sempre vengono soddisfatti appieno,
in quanto i contenuti espressi dai pazienti riguardano spesso progetti poco
realistici e difcilmente realizzabili nel contesto nel quale molti di essi si
trovano a vivere. I cinque moduli costanti vengono trattati tutti in sequenza
durante il ciclo di riunioni. Per quanto riguarda i moduli opzionali, invece,
alcuni sono stati trattati di rado, concentrando maggiormente lattenzio-
ne su Allucinazioni, Ansia e paura, Delirio e pensiero psicotico, Disturbi
dellumore: tristezza e gioia, Disturbi di personalit cluster B: rabbia, Idee di
suicidio, Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO). Gli argomenti che susci-
tano maggiore interesse e partecipazione dei pazienti e che sono trattati
percentualmente pi spesso, sono quelli che riguardano le ansie e le paure,
la tristezza e la gioia e le idee di suicidio. In alcune particolari occasioni vari
ricoverati hanno chiesto di allontanarsi dal gruppo, in quanto la trattazione
di simili argomenti suscitava in loro eccessiva ansia e angoscia. In altre pi
fortunate circostanze, invece, i pazienti hanno espresso contenuti originali
riguardo i signicati e i vissuti caratteristici dei disturbi dellumore, dellan-
sia e delle idee di morte, comuni alla maggior parte dei pazienti conosciuti.
Pi difcoltosa e pesante apparsa la trattazione del modulo TSO, che ha,
a volte, affaticato i pazienti, mentre in altre circostanze ha suscitato notevoli
discussioni, interesse e numerose domande pertinenti e chiaricatorie per
- 24 -
tutti i partecipanti allincontro, in merito alle modalit di esecuzione della
procedura, ai tempi obbligatori di ricovero e alle procedure medico-legali.
Nella nostra esperienza, la conduzione dei moduli troppo lunghi e di meno
immediata comprensione da parte dei pazienti (modulo Modello stress-vulne-
rabilit, Psicofarmaci, Obiettivi individuali alla dimissione, TSO) risultata
difcoltosa, e problematico stato richiamare lattenzione e linteresse dei
pazienti, che a volte si sono allontanati prima della conclusione dellincon-
tro.
Discussione
Il dato ottenuto sulla partecipazione dei pazienti alle riunioni di grup-
po (62.3 %) ci sembrato positivo (si tratta della prima volta in cui stata
introdotta la metodica di gruppo in reparto) e incoraggiante, in quanto la-
scia supporre che lo spazio di intervento con i ricoverati crescer in futuro.
I pazienti che non prendono parte agli incontri riferiscono, per la maggior
parte, di non essere interessati, di avere confusione che non permette loro
di seguire e partecipare alla discussione dellargomento, di non voler la-
sciare il proprio letto. I pazienti che sono tornati in reparto dopo un breve
periodo, si sono mostrati contenti della continuit dellintervento di gruppo,
visto come un elemento rassicurante e indicativo che gli operatori hanno a
cuore la loro cura. Vanno evidenziate delle difcolt incontrate dagli ope-
ratori che si occupano dellintervento, le maggiori delle quali riguardano la
collaborazione con gli altri operatori del reparto. Non tutti, infatti, sembra-
no aver compreso appieno gli scopi e le modalit dellintervento proposto.
La stanza delle riunioni non viene prontamente preparata ogni mattino
allarrivo delle operatrici, n ai pazienti viene fatto un invito chiaro di par-
tecipare agli incontri. Spesso i professionisti del reparto, essendo impegnati
in altre attivit, non riescono a partecipare alle riunioni; qualcuno non vi ha
mai preso parte e ha una minima e vaga idea degli obiettivi e delle nalit
degli interventi di gruppo, sia per i pazienti che per gli operatori stessi. La
stanza degli incontri, in questo modo, spesso lasciata senza un controllo,
ostacolando e rendendo difcile il delicato lavoro del conduttore e del co-
conduttore, alle prese, a volte, con pazienti facilmente distraibili che, in
modo continuo, entrano ed escono dalla sala dove viene svolto lintervento.
Purtroppo, nella gran parte delle occasioni, il conduttore e il co-conduttore
sono state le uniche gure professionali coinvolte e impegnate nellorganiz-
zazione e nello svolgimento degli incontri. Gli infermieri professionali del
reparto, solo in poche occasioni, si sono dimostrati interessati allintervento
(anche, ci sembrato, a causa del carico lavorativo a cui sono sottoposti) e
hanno dedicato prevalente attenzione al modello medico classico, alla som-
ministrazione delle terapia farmacologica e alle pratiche assistenziali di rou-
tine. Alcuni infermieri, precedentemente ed opportunamente formati per
lintervento, si sono dimostrati, daltro canto, molto interessati e motivati
alla partecipazione agli incontri, ma non hanno avuto nessuna opportunit
di esprimersi ed essere coinvolti nellorganizzazione e conduzione delle riu-
nioni, gravati dalle strette esigenze di reparto (carenza di personale, scaden-
za dei contratti interinali, sostituzioni, ecc). Lequipe medica del reparto
si dimostrata, inizialmente, riluttante ad accettare la pratica dellintervento
di gruppo come una prassi a cui sottoporre quotidianamente i ricoverati;
- 25 -
sembrata, a nostro avviso, poco convinta e scettica riguardo lefcacia e
lutilit degli incontri. Abbiamo rilevato una certa difcolt a rompere gli
schemi e le abitudini di reparto; essendosi interessata poco a ci che avve-
niva durante gli incontri di gruppo e non avendovi assistito quasi mai, lequi-
pe medica, a nostro avviso, ha perso una marea di informazioni preziose
sullandamento della terapia e sui miglioramenti dei pazienti, ostacolando,
in questo modo, oltre che una pi approfondita e intima conoscenza degli
stessi, anche un clima di maggiore condivisione e collaborazione con gli altri
professionisti e gli operatori impegnati nella conduzione degli interventi
di gruppo. Tuttavia, superate le prime settimane di difcolt, si assistito a
un graduale e progressivo coinvolgimento, sino ad unattiva partecipazione
della maggior parte degli operatori. Nelle fasi recenti, infatti, si assiste a un
cambiamento di atteggiamento, motivato dalla presenza costante e quotidia-
na delle operatrici e dallimplementazione della metodica di gruppo, che
lascia intravedere un maggiore interesse e partecipazione agli incontri. Alla
stessa maniera, pazienti che, nelle settimane iniziali, difcilmente si facevano
coinvolgere nelle riunioni, hanno accettato la quotidianit degli incontri di
gruppo, sino a ritenerli una pratica di reparto normale. evidente il loro
cresciuto interesse, la ricerca attiva dellincontro, la maggiore partecipazio-
ne, gli interventi pi vivaci e dinamici durante le discussioni, la permanenza
anche durante i moduli di durata maggiore.
Altra difcolt che abbiamo riscontrato riguarda la mancanza di infor-
mazioni preventive sullo stato di salute dei pazienti fornite dai professionisti
operanti nel reparto (medici ed infermieri) ogni mattina prima dellinizio
dellincontro di gruppo, informazioni che sarebbero molto utili per una mi-
gliore conduzione della riunione e per ottenere migliori risultati e risposte e
maggiore consapevolezza dai ricoverati sui temi trattati. Inoltre, la preventiva
conoscenza dello stato di salute dei partecipanti al gruppo, permetterebbe
di scegliere i moduli pi appropriati e pertinenti da trattare (soprattutto per
quanto riguarda la scelta dei moduli opzionali), facilitando e migliorando il
lavoro del conduttore. Latmosfera di reparto appare, in denitiva, rilassata
e serena, e le occasioni di collaborazione, soprattutto con gli infermieri, ap-
paiono assai procue.
Conclusioni
Le operatrici sono soddisfatte per i risultati ottenuti in questi mesi con
lintervento cognitivo-comportamentale di gruppo. Lo strumento utilizzato,
il manuale Lintervento cognitivo-comportamentale di gruppo nel Servizio Psichia-
trico di Diagnosi e Cura di Vendittelli et al., ci sembrato un validissimo stru-
mento per le risposte e i risultati ottenuti, maneggevole, chiaro e lineare.
Pur tuttavia vanno evidenziati dei limiti dellintervento applicato: non vi
stato nessun lavoro pomeridiano dei pazienti, a causa di difcolt organiz-
zative di reparto e per mancanza di risorse, che li abbia spinti a riettere sui
contenuti della riunione svolta al mattino; inoltre, non stato utilizzato uno
strumento quantitativo per valutare lefcacia dellintervento, come un que-
stionario sulla soddisfazione dei ricoverati della degenza nel reparto o sulla
percezione del clima di reparto da parte di pazienti e operatori sanitari.
Laiuto maggiore per la messa in pratica degli incontri giunto, poi, quasi
esclusivamente da personale esterno al reparto, in qualit di volontariato. Le
- 26 -
operatrici auspicano che risultati migliori e strutturati vengano formalizzati
col tempo e che la pratica degli incontri di gruppo mattutini divenga unat-
tivit maggiormente strutturata nellorganizzazione del reparto, una prassi
abituale, coinvolgendo la totalit dellequipe medica ed infermieristica in-
terna del Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura. A tal riguardo si stanno
studiando modalit di incontro-formazione e coinvolgimento dellequipe
strutturata. Parimenti sar utile implementare metodiche di verica e attivi-
t pomeridiane.
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Psichiatrico di Diagnosi e Cura, Centro Scientico Editore, Torino 2008.
Indirizzo dellAutore (per tutti): Dott. Franca Lepre
Via S. Francesco, 85
80034 Marigliano (Napoli)
1
Psichiatra, dirigente medico del Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura del P. O. Umberto I
2
Psicologa, tirocinante post-lauream del Servizio di Psicologia Ospedaliera del P. O. Umberto I
3
Tecnico della riabilitazione psichiatrica, volontaria ASL SA
4
Educatrice professionale, volontaria ASL SA
5
Tecnico della riabilitazione psichiatrica, ASL SA
6
Psicoterapeuta, dirigente psicologo ASL SA, responsabile del servizio di Psicologia Ospedaliera del
P. O. Umberto I
7
Sostituto Responsabile del Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura del P. O. Umberto I
8
Direttore del Dipartimento di Salute Mentale ASL SA

- 29 -
IL RACCONTO DEL MALESSERE
E IL MALESSERE DEL RACCONTO
Angelo DOnofrio
Il titolo della relazione presenta la gura retorica del chiasmo: da un
lato c il racconto razionale del malessere con la sua logica e la ricerca
dei perch, dallaltro lato il racconto pieno di buchi, ripostigli, anticamere,
cantine, dove bisogna cercare una porta da aprire per far luce, per dare un
nuovo senso alla storia. In questo compito ci si potr trovare davanti a una
porta chiusa, ben mascherata, accuratamente difesa, che occulta un luogo
segreto: una miniera di valori o truciolati di falegnameria? Racconto che
testo plurimo, polifonico e fatto di parole: parole imbavagliate o carcerate
in certi casi, liberate in altri, criptiche, incastrate nel corpo, claustroliche o
claustrofobiche, capricciose, ingovernabili, anamorche, maniacali, disaffet-
tivate, capaci di addormentare lascoltatore, cio il terapeuta, comunque
quasi sempre parole malate come la malattia che raccontano, ma anche
parole che svelano oppure occultano.
La malattia del corpo diventa il veicolo relazionale privilegiato per
chiedere aiuto, assistenza, affetto. Ma quali e quanti sensi hanno le parole?
Cosa c dietro e dentro una parola? Quanti e quali travestimenti presenta-
no? Quante cose terribili e indicibili vi si nascondono? Qual poi il suono,
la modulazione delle stesse? Quale musica c dietro? A quali altre parole
rimandano? Da dove vengono le parole: dalla testa? Dalla pancia? Cosa vo-
gliono dire? C una pluralit di senso.
Il paziente vorr parlare o preferir star zitto, castrarsi verbalmente per
evitare la sofferenza e provare ad autocurarsi? Parler solo supercialmente
per nascondere le cose importanti? Le sue parole saranno strumenti utili
per dare informazioni o per evitarle? Sar un paziente stitico o diarroico nel
parlare o dolorosamente afasico? Tratterr le parole come feci o le rovescer
addosso al suo interlocutore? Si nasconder dietro le parole? O queste gli
serviranno solo per evitare o riempire il silenzio della seduta? Parler di se
stesso senza tener conto dellanalista (una specie di masturbazione, senza
preoccuparsi di comunicare con laltro, per analizzarsi per proprio conto)?
O parler allanalista, ma non parlando di se stesso? Come user le parole?
Gli serviranno per esorcizzare il dolore, magari per fronteggiare la sua ango-
scia, secondo la logica che, se si parla del diavolo, prima o poi spuntano le
corna, per poi scoprire dopo un po che il diavolo non cos brutto come
viene dipinto. In ogni caso lapsus, ripetizioni, parole che inciampano, offro-
no a chi ascolta la possibilit di scrutare allinterno dellaltro, osservando
lorganizzazione del discorso.
Sar a sua volta lanalista, questa strana guida che sta dietro e non davan-
ti al viaggiatore, un buon contenitore di quellindicibile che il paziente porta
con s? Potr questultimo afdarlo nelle mani dellaltro? Sapr lanalista ri-
ceverlo senza giudicarlo e consentendo allaltro la possibilit dello sviluppo e
del cambiamento? Le parole poi dicono cose o dicono solo parole? Se fos-
se vero il secondo caso, che possibilit di comunicare ci sarebbe? Tutto rin-
vierebbe a un codice dato. Dovremmo fare delle differenze in base a questo.
- 30 -
Quali movimenti inoltre suscita in noi la parola dellaltro? Quali vi-
sioni o effetti uditivi? Troveranno inne le parole la strada giusta? Mentre
noi parliamo, le parole parlano di noi e delle nostre emozioni: parole che
si combinano a volte da sole, trovata aperta la porta della bocca, altre volte
si congelano e in esse vengono incapsulate le emozioni. Usi, sensi, funzioni
per una parola sono inniti. Dentro un discorso c quel che linterlocutore
vuol dirci, quel che pensa di dirci, quel che riesce a dirci, quel che noi pen-
siamo voglia dirci laltro, quel che, in quel momento e con la nostra storia,
siamo in grado di cogliere, ma ci pu essere anche un altro voler dire. Si
passa da un monosenso a un plurisenso: cos si avvia un processo di elabora-
zione. Il linguaggio pertanto una specie di enciclopedia polivalente; non
possiamo contenerlo nella sua ampiezza, perch i suoi conni non sono de-
niti una volta per sempre. Insieme al testo, bisogna tener conto anche della
voce che lo presenta, perch parole e voce sono inseparabili.
In ogni caso non si ha una storia, ma si racconta una storia, in cui
conuiscono in modo complesso tanto il passato quanto il presente. Per chi,
come un analista, impegnato quotidianamente in attivit di conversazione,
come accade nella stanza dellanalisi, davvero centrale il problema delle
parole, di chi le dice e di chi le ascolta, del signicante e del signicato delle
stesse, delle sfasature tra luno e laltro, del rapporto tra sintomo-signicante
e il suo signicato, del modo di dire le parole e inne della differenza tra
dire e parlare. Si pu infatti parlare, parlare, parlare senza dire assolutamen-
te nulla, perch le parole vengono solo dalla testa o sembrano quelle di un
bel libro stampato. Cos non viene fuori nulla di non previsto o che abbia
a che fare con le emozioni, cio con la carne viva. Insomma viene rovescia-
to solo un ume di parole che inondano laltro e lo annegano. Si pu anche
non parlare e, nello stesso tempo, dire molte cose.
Il paziente racconta il suo racconto al destinatario, lanalista, seguen-
do un procedimento autologico, cio descrive se stesso mentre descrive il
fenomeno osservato. E nel suo racconto, e non certo nella cartella clinica
o nella gabbia della diagnosi, che troviamo le sue emozioni testimoniate
dalle croste che celano cicatrici che, a loro volta, coprono ferite e quindi
emorragie e ci permettono di capire cosa il soggetto ci sta chiedendo in
quel preciso momento. Occorre cercare il vero malessere nella costruzione
del racconto, perch l che va individuato il vero signicato del malessere,
nelle zone buie della narrazione, nelle quali il paziente teme di entrare per
non incontrare i propri pensieri, sentimenti, sogni, fantasie, realt, che ma-
gari potrebbero metterlo faccia a faccia con aspetti di s poco conosciuti o
addirittura inaccettabili. In ogni racconto, non va dimenticato, ci sono pure
elementi potenzialmente auto guaritori. Ora per il paziente non riesce pi
a scrivere le pagine della sua storia: si arrestato. Non pi in grado di rac-
contarla e noi dobbiamo aiutarlo a riconquistare il potere di raccontare. Il
modo poi in cui raccontiamo la nostra storia anche il modo in cui diamo
forma alla nostra terapia. Eppoi certamente pi utile aiutare il soggetto a
trovare una narrazione capace di dare un signicato al passato che cercare
di mettersi in contatto con il passato reale. Il paziente, inizialmente, svolge il
ruolo di guida: racconta e noi ascoltiamo, prima di proporre possibili alter-
native. Del resto tutti noi, per tutta la vita, non facciamo che raccontare noi
stessi, sia che il racconto lo indirizziamo agli altri sia a noi stessi. Cos una
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storia nisce dentro unaltra: come accade per le matrioske. Un po alla vol-
ta assumiamo unidentit che si costruisce mediante il nostro diventar narra-
tori. I pazienti invero anatomizzano e usano in molteplici modi le loro sto-
rie: c chi passa unanalisi a cercare il colpevole da mettere sul banco degli
imputati, dove comunque, prima o poi, niscono tutti i personaggi del suo
microcosmo, analista compreso (romanzo giallo); c chi invece si dimostra
attento cronista che si ferma (e si perde) nei dettagli e immette nellanali-
sta fatti quotidiani, eventi asettici, privi di ogni emozione. Ed minuzioso,
preciso, nanche ossessivo (romanzo sociale); c chi racconta con toni di
rivendicazione, in attesa di un impossibile risarcimento per i torti subiti, non
rendendosi conto che il passato un tempo che non pu pi tornare; c
inne chi alla ricerca della verit storica, che comporti unesatta e rigorosa
ri-costruzione del passato, ma dimentica che ci che conta la verit narrati-
va e non certo quella storica (romanzo storico).
Tutti questi racconti rientrano nellambito dei testi narrativi, che trat-
tano fatti reali o immaginari. Sulla realt storica possiamo incidere poco,
perch essa stata quella che stata, n ci dato cambiarla, per, in com-
penso, possiamo agire sul divenire, cio sui conitti intrapsichici, ma non
su quelli reali, perch la loro concretezza non li rende parlabili nella stan-
za dellanalisi. Il paziente ci lascia nello studio trame, indizi, sospetti. La sua
una storia che non ha pi un equilibrio, che piena di ansie incontrollabi-
li, che barcolla e pu cadere da un momento allaltro. Ma , nel contempo,
una storia che ci incuriosisce, ci solletica. Dobbiamo perci indagare. Partire
dalle tracce che devono essere esplorate, ma che potrebbero portarci in un
altro luogo e spostare altrove la ricerca di ci che stato represso, riutato e
quindi nascosto chiss dove. Occorre trovare le connessioni, i travestimenti
linguistici, ma non unoperazione facile: si deve scomporre, poi ricompor-
re e ricostruire. Il non capire subito una storia non deve spingere il terapeu-
ta ad accusarsi, semmai ad interrogarsi: il suo non capire deve comunque
avere un senso. Bisogna invece non nascondere il non capire con false in-
terpretazioni o somministrazioni di farmaci o in altri modi. Sempre occorre
porsi la domanda Cosa sto facendo? piuttosto di cosa debbo fare?.
E normale non capire in certi casi; sbagliato sentirsi obbligati a
capire, spinti dal furor sanandi. Dice Balint: tu non devi saper tutto, puoi
anche pensare. Cos, quando ci succede di non sapere che strada prendere,
la situazione, invece di spaventarci, dovrebbe spingerci a pensare, a cercare
nuovi percorsi. Si dovr liberare chi schiavo della sua storia, che un rac-
conto di malattia, di abuso, di spreco degli anni migliori, per far s che pos-
sa costruire la nuova storia attraverso una narrazione coerente. Davanti al
terapeuta c un groviglio di parole, pasticci di parole, di fatti, di emozioni.
A lui spetta il compito di decifrare con laiuto del paziente, che ci dar una
mano a interpretare il testo, che altrimenti sarebbe incomprensibile, perch
espresso in un idioletto. Perch ci si ammala? Che cosa si ammala? La per-
sona? La sua storia? Il suo modo di raccontarla? Perch la racconta in quel
modo? Quale storia nasconde perch non pu sopportarne il signicato?
Bada al contenuto o alla forma? Che tipo di relazione ci sta proponendo?
Cosa ci comunica senza usare le parole? Che cosa dobbiamo guarire? Non
pertanto possibile un intervento chirurgico, chiamiamolo cos, perch
non sappiamo dov davvero il male: nella testa? Nel cuore? Nella pancia?
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Sulla bocca? Dove? Vorr poi il paziente fermarsi a riettere sulle proprie
emozioni per trovare una risposta alla sua sofferenza oppure continuer a
fare altro: bere troppo, mangiar troppo? Nel sintomo sono racchiusi tutti
i no mai detti. Dare aiuto quindi a chi? Una persona un insieme di tante
parti. Chiedere di eliminare vuol dire non porre il sintomo e non esaminare
tutto quello che esso cela. Cos il soggetto vuole spesso cambiar tutto senza
cambiare niente, cio che si cancelli la sua sofferenza senza per intaccare
le sue difese. Ecco questo il mio sintomo. Vediamo se ti spaventi, se sei
disposto ad accogliermi, ad ascoltarmi, se veramente vuoi interessarti a me,
se cadi nella trappola: guardare dove voglio io: fermarsi ai sintomi e non
lasciar vedere oltre al terapeuta (si fermi qui, non vada oltre). I sintomi
esprimono da un lato le paure del soggetto, ma anche i suoi desideri. Ce lo
dice Freud, quando afferma che il sintomo contiene sia la pulsione che la re-
sistenza. E la storia di un sintomo una storia da ricostruire, non da narrare.
Chiss quale pensiero non pensato diventato sintomo? Del resto del pro-
prio disagio il racconto del paziente non dice tutto, n lui sa tutto e spesso,
anche quando sa, nge di non sapere o si riuta di sapere. Allora tutto ci
va a collocarsi nel sintomo. I sintomi sono tra noi e lui, occupano lo spazio
terapeutico, difendono il paziente. Eliminarli tout-court lo porrebbe troppo
vicino a noi ed egli il contatto non riuscirebbe proprio a reggerlo.
Dobbiamo pertanto attenerci alla regola di Balint: non troppo vicino al
paziente perch questi non si senta invaso, n troppo lontano perch non si
senta abbandonato. Il sintomo per la soluzione migliore che il soggetto ha
saputo trovare no ad oggi: cos egli ha risolto il conitto ammalandosi e con
la malattia ha evitato il conitto nella realt. Eppure il sintomo la via obbli-
gata di ogni discorso: via crucis, ma anche corsia preferenziale; in tutti i casi,
bussola per andare avanti. Il sintomo inoltre presenta il doppio versante: quel-
lo della sofferenza e quello del piacere. Se accadesse al paziente di star bene,
dove collocherebbe i lamenti, le lagnanze e cosa metterebbe al loro posto?
Il compito dellanalista quello di non rompere un equilibrio fatico-
samente e a volte dolorosamente conquistato, sia pure attraverso il compro-
messo, senza compensare quella via duscita che il sintomo. Certo, forni-
re su richiesta, la ricetta del viver bene cosa molto facile, un vademecum
per tutti e per tutte le stagioni; ascoltare la gente che soffre e cercare la
propria ricetta del vivere pi difcile. Occorre un buon sarto che sappia
prendere attentamente le misure per un vestito su misura.
Angelo DOnofrio, Psicologo e Psicoterapeuta con specializzazione in Biopsicologia ad
indirizzo terapeutico e in Logoterapia psicofonica. Gi docente di Psicologia dinamica
presso il Centro Ricerche Biopsichiche di Padova. Di formazione ed orientamento psicoa-
nalitico si occupa di psicoterapia e formazione (conduttore di gruppi Balint per docenti
ed operatori socio-sanitari). Ha pubblicato diversi testi ed inoltre articoli e contributi su
varie riviste. E membro della SIMP, sezione di Verona.

Relazione: Mal-essere da stress lavoro correlato 19/11/2011- Verona presso la Sala Conve-
gni Banco Popolare di Verona e Novara - Convegno organizzato dalla SIMP - Sezione di Verona.
Indirizzo dellAutore: Dott. Agelo DOnofrio
Via Spalato 2, Vicenza -
e-mail: d1212a@virgilio.it


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IL RAPPORTO CON IL PAZIENTE
CON I DISTURBI DANSIA*
Antonino Minervino
Le relazioni
siamo sempre e comunque immersi in un universo di relazioni e da esse non possiamo
prescindere
Come ognuno di noi sa, avendolo appreso dallesperienza personale e
professionale, viviamo di relazioni: relazioni con gli altri, relazioni con noi
stessi e, perch no, relazioni virtuali (informatiche o immaginarie). Certo,
ognuna di queste relazioni ha sue caratteristiche peculiari, assolve a deter-
minate funzioni e soddisfa determinati bisogni. Di tutto ci bisogna tener
conto quando ci si vuole occupare di relazioni umane. Un esempio concreto
lo troviamo proprio nella struttura del nostro progetto emergenza ansia.
Le persone che sono impegnate nel progetto a vario titolo e con ruoli di-
versi non possono prescindere dalle relazioni che avranno. Ci saranno per-
sone nel ruolo di coordinatori, persone nel ruolo di formatori, persone nel
ruolo di ricercatori e, inne, persone nel ruolo di pazienti. Quattro gruppi
di persone che avranno relazioni professionali (specie del genere relazioni
umane) con caratteristiche di volta in volta diverse. Fra il gruppo dei coordi-
natori e il gruppo dei formatori la relazione sar una relazione professionale
di condivisione che si rif al tipo di relazioni che si instaura in un gruppo
di lavoro alla pari. Fra il gruppo di formatori e il gruppo di ricercatori la
relazione sar una relazione professionale di consultazione che si rifa al tipo
di relazione che si instaura nella pratica della psichiatria di consultazione
e di collegamento (trasferimento di conoscenze e prestito di competen-
ze). Inne, fra il gruppo dei ricercatori e quello dei pazienti (siamo nella
parte operativa vera e propria del progetto) la relazione sar una relazione
professionale che si rif a quella che impronta ogni pratica delle cosiddette
professioni daiuto, classicamente rappresentata dalla relazione medico-
paziente (Balint 1961).
La relazione terapeutica
nessuno stato da me curato diversamente da come dovrei essere curato io se mi capi-
tasse la stessa malattia (medico inglese del XVII secolo).
Questa frase mi sembra unespressione particolarmente efficace e
ci perch imperniata sul possibile scambio di ruoli fra lessere medico
e lessere paziente e quindi su quel meccanismo di identicazione che, se
ben conosciuto e, soprattutto, se ben dosato, consente di comprendere
meglio laltro. Possiamo condividere lidea che nel campo delle professioni
daiuto e fra queste, come detto prima, classicamente quella del medico,
nellincontro professionale medico e paziente, fra chi porta un bisogno ed
esprime pi o meno consapevolmente una domanda e chi raccoglie quella
domanda e cerca di dare una risposta a quel bisogno, si verica sempre un
coinvolgimento relazionale che impegna lintera persona degli uni e degli
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altri (Minervino 1995). Ci ha come conseguenza che le componenti af-
fettive, emotive e caratterologiche di ogni paziente e di ogni curante sono
decisive, in positivo e in negativo, ai ni dellefcacia degli interventi. E che
le conoscenze tecniche (il sapere attinente la propria professione), per
quanto sosticate e complesse, possono essere corroborate, ma anche forte-
mente ostacolate, dal cosiddetto fattore umano che trova nella relazione il
suo campo dazione.
Il fattore umano
in fondo, se uno buono, gentile e disponibile con i pazienti, e affronta con molto
buon senso il proprio lavoro, non ha pi bisogno di nulla... non deve imparare altro.
La consapevolezza dellesistenza di questo fattore (la sua conoscenza),
ma soprattutto la gestione e luso, ai ni terapeutici, della propria personali-
t, delle proprie risorse umane, delle proprie capacit relazionali sono tutti
elementi che raramente, e solo in soggetti naturalmente dotati, si sviluppa-
no e si accrescono in virt dellesperienza di vita e professionale (Minervino
e Parietti 1977). Stiamo parlando del fattore umano, di elementi affettivi ed
emotivi che intervengono nella propria pratica professionale e, in genere, si
portati a pensare che, data la loro natura, non sia necessario uno specico
intervento utile a una loro migliore conoscenza e soprattutto utile a un ap-
prendimento e un addestramento specici. In effetti, si sottovaluta il rischio,
puntualmente in atto, di perpetuare, sia nella vita che nella professione, le
caratteristiche di quel fattore umano di cui dicevamo prima e che proprio
nellagire professionale si trasforma in un possibile intralcio, quasi mai ri-
conosciuto come tale. Sembra, perci, pi opportuno che esperienze di for-
mazione e di addestramento specicamente dedicate allaspetto relazionale
della professione consentano a doti, capacit, attitudini relazionali di essere
conosciute e sviluppate, che si arrivi, in altri termini, allacquisizione di quel-
la competenza relazionale (Minervino 1997) che insieme alla competenza
del sapere e alla competenza conversazionale costituisce la base di una
buona professionalit. (Turrini e Minervino 2002).
Il ruolo terapeutico del medico
il medico come medicina (M. Balint)
II ruolo terapeutico del medico forse non pi in discussione, La
funzione psicologica elemento connaturato e imprescindibile del ruolo
terapeutico del medico. La naturale aspettativa da parte del paziente che
il medico sia molto competente, che sappia curarlo e che abbia tutti gli stru-
menti e le conoscenze, per farlo, ma che sappia farlo anche e, forse soprat-
tutto, nei confronti della persona portatrice di questa o quella malattia. Non
appare, quindi, naturale che un medico competente debba esserlo anche
dal punto di vista psicologico e che debba avere la dovuta competenza per
accorgersi anche della persona nella sua globalit oltre che della malattia?
Certo non si potrebbe essere particolarmente soddisfatti di avere un medi-
co sensibile e capace di prendersi cura della persona, ma poco conoscitore
del sapere medico tanto da far correre qualche rischio. naturale, quindi,
laspettativa dei pazienti di incontrare un medico capace di svolgere un
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ruolo terapeutico in senso globale. Non si tratta di prospettare pratiche
psicoterapiche in senso specialistico: molto pi semplicemente il medico
pu acquisire una competenza relazionale, in cui si attiva quella funzione
psicologica naturalmente insita nel suo ruolo terapeutico, che indubbia-
mente completa la sua professione e che nelle aspettative e nei bisogni del
paziente (Luban-Plozza et al. 2001).
Lapproccio al paziente ansioso
Detto questo, Salvo Montalbano, come tutti quelli che sono ansiosi dalla nasci-
ta, riesce a trovare un accordo, a convivere con lansia, cosa che , invece, impossibile
quando lansia deriva da uno stato depressivo, quando non pi una manifestazione
del temperamento, ma una malattia. (da Lansia del commissario. Di A. Camille-
ri, in Molza M. A. (a cura di) (1999): Racconti sullansia). Fin qui abbiamo
cercato di evidenziare nei suoi termini generali limportanza della compo-
nente relazionale dellagire professionale del medico. Parliamo, quindi, di
relazione, di medico e paziente e nella fattispecie di approccio al paziente
ansioso. C unansia che si condivide con tutti quelli che sono esposti a una
situazione ansiogena: in questo caso ognuno produce una naturale risposta
connotata da ansia a uno stimolo che la genera specicamente. Proviamo a
immaginare un traghetto che naviga in un mare in burrasca: tutti, o quasi, i
passeggeri saranno, in quelloccasione, in una condizione che possiamo de-
nire ansia. Proviamo invece a pensare a come ognuno di noi si sente dopo
un po di tempo che trascorre con una, o peggio, con pi persone ansiose.
Ci si rende conto di un elemento che potremmo denire come qualit
relazionale dellansia. Sa essere contagiosa! E ci comporta un notevole im-
patto relazionale. E quindi, dato che ce ne occupiamo da un punto di vista
relazionale e della comunicazione, dobbiamo tener conto di questa qualit
relazionale dellansia.
Lansia acuta e lansia cronica
Angere: stringere, s, si sentiva stretto, chiuso tra le smaglianti pareti me-
talliche dellascensore, quella lucente cellula dalluminio, illuminata da una strana
luce opalescente e fredda che lo stava portando, con un sibilo meccanico, appena per-
cettibile, al 333 piano alla presenza dellImperatore. Non ricordava letimologia della
parola ansia... (da Il sig. G. e lImperatore. Di G. Alberini, in Racconti sul-
lansia, op. cit.). Occuparci di un paziente ansioso vuoi dire dover affrontare
sempre il suo vissuto dallarme, di tensione pi o meno manifesto. Il quadro
clinico con il quale lansia di quel paziente si rende manifesta condiziona
lentit con la quale quel vissuto si manifester: troveremo la massima espres-
sivit in situazioni acute come lattacco di panico; troveremo unespressivit
pi contenuta in forme cliniche pi strutturate come nelle forme dansia
cronica (Bellantuono et al. 1992). Questa caratteristica connoter la relazio-
ne medico-paziente, nel senso di una sollecitazione pi o meno forte verso
una gestione di accoglienza, di contenimento e verso una richiesta di com-
prensione, perch, com naturale, per i pazienti importante sentire di
essere capiti. Bisogna, per, considerare che potremmo trovarci, almeno
in termini reattivi o per altre e diverse ragioni, di fronte ad atteggiamenti di
non disponibilit a raccogliere tali sollecitazioni da parte del medico.
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Lansia reattiva
Le sollecitazioni di cui sopra sono pi facilmente accolte dal medico se
si trova di fronte ad alcuni aspetti sintomatici dellansia di natura reattiva a
qualche situazione o dipendente da qualche causa facilmente individuabile
come tale sia dal paziente che dal medico stesso. In questo caso entrambi
possono condividere una conoscenza, porla allesterno e individuarla come
causa di cui si rilevano gli effetti: si rientra in uno schema pi rassicurante
e latteggiamento di entrambi connoter una relazione probabilmente poco
o per niente problematica. Possono scattare pi facilmente meccanismi di
solidariet, di disponibilit e atteggiamenti di accoglienza e comprensione
vengono assunti con naturalezza. Una persona si ritrova in improvvise e gra-
vi difcolt economiche che minacciano la propria qualit di vita e quella
della sua famiglia. Persistendo tale situazione, nel tempo passa da una natu-
rale condizione di apprensione e preoccupazione a un vero e proprio stato
dansia.
Lansia endogena
Ecco, molto spesso lansia ci deriva dal fatto che non sappiamo dove stiamo
andando, come farfalle impazzite corriamo freneticamente avanti e indietro, perdendo
di vista la meta e, quasi con la paura di accogliere quanto la vita tutti i giorni lungo
il percorso ci offre, sprechiamo tempo e energie in rivoli che non portano da nessuna
parte. (da La tua anima conosce la risposta. Di R. Battaglia, in Racconti
sullansia, op. cit.). Sappiamo, per, che altrettanto spesso lansia dei no-
stri pazienti ha radici pi profonde, cause e ragioni molto meno evidenti
rispetto alle situazioni cosiddette reattive. Tutto si rif a una realt interna
al paziente, spesso con aspetti e caratteristiche profondamente in ombra
per il paziente stesso. Il paziente sente lansia, soffre per questo e per i
sintomi che lansia produce, si trova spesso a funzionare molto meno bene
di quanto sarebbe capace, guarda attorno a s e non trova cause, intuisce
dentro di s qualcosa, ne avverte la presenza minacciosa, ma di solito co-
stretto a essere un attore privo di conoscenza. Tutto pu essere pi difcile
anche per il medico: viene meno quello schema rassicurante di cui si diceva
prima, lattenzione va rivolta alla struttura del paziente e levidenza andreb-
be cercata nella modalit di funzionamento del paziente. La relazione pi
impegnativa, comporta una maggiore attenzione e disponibilit del medico
e una disposizione relazionale pi aperta e capace di ascolto.
Essere capiti
...ho voluto fare lattore, non solo perch mi sempre piaciuto stare al centro
dellattenzione, ma anche per essere accettato, per sentirmi amato dagli altri, per placa-
re la mia ansia di sentirmi inadeguato (da Ansia da concepimento. Di A. Haber, in
Racconti sullansia, op. cit.). Fondamentale per tutti i pazienti, lo dicevamo
prima, lesperienza dellessere capiti. Ancor di pi per i pazienti ansiosi, se
pensiamo a questi come a persone che cercano una risposta al perch della
propria condizione, soprattutto quando questa non dipendente dallester-
no. Un aspetto importante in generale, quindi ancor di pi in questambito,
risulta essere la capacit di cogliere gli aspetti comunicativi del sintomo
ansioso. Ci consente al medico di poterli riproporre al paziente in una
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restituzione che lo riavvicini a una realt, interna e/o esterna, meno minac-
ciosa. un po come riavvicinarsi allo schema pi rassicurante di cui sopra,
grazie al quale possibile ricorrere a una certa conoscenza, anche parziale e
incerta, ma pur sempre con il vantaggio della conoscenza per cui ci che
conosciuto sempre meno minaccioso. Il paziente racconta al medico della
propria ansia che si manifesta soprattutto quando, per qualunque ragione,
costretto ad allontanarsi dai suoi luoghi abituali. Se il medico intuisce, per
la conoscenza che ha di quella persona, che ci avviene per qualcosa che ap-
partiene alla storia di quel paziente, a esperienze relazionali precedenti, ne
pu cogliere il valore comunicativo attuale e riproporlo al paziente, aprendo
cos la relazione a una possibile conoscenza condivisa.
Sintomi funzionali e somatici: il paziente inconsapevole
Unulteriore difcolt rappresentata da quelle situazioni caratteriz-
zate da unansia che non si mostra come tale, ma che parla soprattutto
attraverso sintomi somatici funzionali, sintomi che il medico tende a liqui-
dare assieme allo stesso paziente. Non ci riferiamo qui tanto a quei pazienti
che mostrano i sintomi somatici di un disturbo dansia o di una condizione
depressiva con ansia e caduta del tono dellumore che restano evidenti e ap-
prezzabili. Molti sono i pazienti che presentano al proprio medico sintomi,
sfumati o intensi, che possono essere a carico di qualunque organo o appa-
rato (possiamo segnalare come esempi lapparato cardiovascolare, digestivo,
genitourinario, ricordando che nessuna parte del corpo esclusa da questa
possibilit). Sottoposti a indagini e a procedimenti diagnostici, questi pa-
zienti non consentono la formulazione di questa o quella malattia somatica.
Di solito la condizione ansiosa e/o depressiva come se fosse del tutto rac-
chiusa in questi sintomi, tanto da non poter essere apprezzata pi come tale
dallo stesso paziente e, spesso, pi difcilmente riconosciuta dal medico.
Comunicare con il sintomo
Per cercare di orientarci in questo problema, dobbiamo partire da una
prima considerazione circa la struttura profonda che sta alla base di questo
genere di disturbi e che caratterizza questi pazienti: per diverse ragioni,
attraverso percorsi esistenziali anche diversi, queste persone sono lontane,
hanno perso o forse non hanno mai avuto la capacit di accedere e di cono-
scere la propria realt interna, se non in termini assoluti, almeno per buona
parte di questa. La dimensione emotiva, affettiva a loro piuttosto preclusa.
come se fossero mossi dalla necessit di operare nei confronti di alcuni
contenuti psichici una difesa forte e costante che consenta loro di mantene-
re una utile distanza da questi. La medesima difesa pare rendersi necessaria,
per questi pazienti, anche quando si in presenza di situazioni ambientali,
di contesto (per es. familiare, lavorativo) esse possono avere una relazione
importante con linsorgenza e il mantenimento del sintomo somatico. Cosa
che pu risultare evidente a un osservatore esterno ma che, anche se propo-
sto allinteressato, non viene accettato. Quindi, il sintomo somatico assume,
in questo senso, il valore di una difesa forte da contenuti psichici, ma nel
contempo si carica di senso e di forza comunicativa e di funzione relaziona-
le, nel senso che, comunque, seppure in un modo cos difcile e complesso,
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consente al paziente di stare in una relazione con gli altri e fra questi, con il
medico.
Parlare linguaggi diversi
A quel punto per tranquillizzarmi un po chiamai a Milano il mio medico, che
cominci a prendermi in giro, consigliandomi alla ne un ansiolitico. Non lavesse
mai detto! Non c, infatti, nulla di peggio per un ansioso che sentire ridicolizzare le
proprie ansie, perch ritenendosi incompreso, le ansie gli si ingigantiscono (da Casa,
dolce casa! di P. Limiti, in Racconti sullansia, op. cit.). piuttosto comune che
il medico usi con questi pazienti atteggiamenti e stili relazionali improntati,
dapprima, allanalisi dei sintomi secondo lapproccio clinico, poi alla rassi-
curazione, quindi alla banalizzazione e, visto che di solito n qui non si
ottenuto nulla, allinsofferenza e inne allespulsione. Lesito di tutto ci,
di solito, ha un che di paradossale: paziente e medico hanno perso molto
tempo, si sono incontrati per molte visite, hanno speso soldi ed energie per
molti accertamenti, magari anche impegnativi, hanno tentato incerte dia-
gnosi somatiche, anche per approssimazione, e inne si ritrovano profon-
damente insoddisfatti luno dellaltro. Come fare per orientarsi in tutto ci?
Proviamo a guardare alla scena dellincontro del medico con un paziente
con queste caratteristiche. Da una parte abbiamo una persona, il paziente,
che per le ragioni che abbiamo detto prima, produce un sintomo somati-
co perch gli necessario non accedere a certi suoi contenuti psichici:
possibile, dicevamo, che non possa concedersi neanche di sentire lansia
come tale. Dallaltra abbiamo unaltra persona, il medico, che orientato
fortemente a prendere un sintomo somatico e a trattarlo legittimamente
come tale. Il tentativo di collocare quel sintomo somatico nellambito di
una diagnosi medica sar destinato a fallire, e questo, anche se trasformato
in rassicurazione da parte del medico per il suo paziente, non sortir alcun
effetto: il medico avr guardato a quel sintomo con strumenti legittimi ma
inefcaci, vista la natura di quel sintomo; il paziente non ha la possibilit di
raccogliere la rassicurazione dato che il contenuto profondo permane ed
attivo, e soprattutto permane la necessariet del sintomo. Entrambi guarda-
no nella medesima direzione, quella del sintomo, con sguardi legittimi, ma
improduttivi e non comunicanti: il primo, quello del medico, appartiene
alluniverso oggettivante degli strumenti conoscitivi della medicina; il secon-
do, quello del paziente, alluniverso delle emozioni, dei sentimenti, del pro-
fondo, a lui precluso per varie ragioni e stipato nel sintomo somatico. Ma
anche quando il medico fosse nella condizione di intuire che la natura di
quanto il paziente gli da da osservare appartiene a quel profondo universo,
non detto che le cose vadano meglio. Una volta esclusa la natura organica
del sintomo, il poterlo riferire direttamente ed esplicitamente alle cose psi-
cologiche del paziente non ha miglior fortuna: questo perch non si tiene
nel dovuto conto la funzione difensiva di cui si diceva prima e di quanto
quel sintomo sia necessario a quel paziente. Di nuovo, si congura una
scena in cui c uno, il paziente, che guarda al sintomo somatico perch non
pu guardare oltre, e c un altro, il medico che sa di dover guardare oltre,
intuisce loggetto del suo sguardo e sollecita il suo interlocutore a seguirlo
nel fare quello che, appunto, non pu fare!
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Accogliere e accettare
Le implicazioni relazionali di tutto ci sono evidenti, appartengono
allesperienza comune e possono essere sintetizzate nei termini di insoddi-
sfazione e frustrazione. Ma possibile fare qualcosa? Possibile e necessario,
per entrambi, viste le dimensioni del fenomeno delle cosiddette somatiz-
zazioni. Come relazionarsi con questi pazienti, come fare per essere loro
daiuto senza pagare prezzi troppo alti in una relazione medico-paziente
che si annuncia difcile? Sempre tenendo conto delle difcolt oggettive
cui il medico va incontro in queste situazioni, difcolt che potrebbero
essere accentuate da eventuali caratteristiche personologiche del medico
stesso, bisognerebbe tenere nella dovuta considerazione che con molta
probabilit quel paziente ha gi avute diverse esperienze, nellambito delle
sue relazioni pi o meno signicative, di intolleranza o di banalizzazione
della propria condizione. intuitivo, quindi, che la prima condizione che
si rende necessaria quella dellaccoglienza del paziente e dellaccettazione
del sintomo e di quello che rappresenta. Accoglienza e accettazione che pos-
sono risultare difcili e costose da un punto di vista emotivo perch, come
abbiamo visto, le dinamiche che si attivano in una situazione come questa
non spingono certo verso una reciproca comprensione. Ma, seppure con le
difcolt segnalate, resta una premessa necessaria che comporta uno sforzo
da parte del medico che potr risultare procuo. Infatti proprio di questo
che quel paziente ha bisogno: poter fare con il suo medico quellesperienza
che altrove gli negata, essere accolto e accettato in virt di quel sintomo
anche quando quel sintomo non guadagna la legittimit di una malattia del
corpo che rientri nelle categorie usuali del medico e della medicina che egli
rappresenta. Questesperienza sta alla base della presa in carico globale di
questi pazienti, fa sperimentare loro una condivisione che anche emotiva
e affettiva ed il primo passo perch il sintomo sia meno necessario, la dife-
sa che lo sottende meno forte, i contenuti per conto dei quali parla un po
pi accessibili. Diventa quindi possibile che, grazie a ci, gli sguardi di cui
parlavamo prima, quello del medico e del paziente, possano volgere nella
stessa direzione ed entrambi, insieme, provare a guardare dove prima non
era possibile, e accompagnare il paziente verso una conoscenza, prudente
e graduale, anche molto parziale, ma utile quanto basta ad accedere a un
livello di comunicazione diverso.
Il paziente difcile
Una particolare attenzione va riservata a quelle situazioni che rendono
pi difcile lapproccio a un paziente ansioso, situazioni che hanno impor-
tanti implicazioni nella gestione della relazione. Queste ulteriori difcolt
possono derivare o da alcuni elementi del contesto in cui il paziente vive o da
elementi legati alla specica struttura personologica del paziente o da entrambe.
Il paziente, ogni paziente, va visto e valutato tenendo conto anche della sua
collocazione nel proprio contesto di vita e nelle sue modalit di relazione,
oltre che della qualit di queste. In ogni caso, saper cogliere linterfaccia fra
il nostro paziente e il suo ambiente vuol dire poter disporre di unulteriore
livello di conoscenza utile alla comprensione della condizione di quella
persona, allinuenza che questo ha sulle manifestazioni cliniche e sulle mo-
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dalit con le quali queste si esprimono. Conoscenza che pu essere molto
utile nel decidere che cosa sia meglio fare. Questa indicazione vale sia nelle
situazioni che si mostrano come ansia reattiva, sia in quelle in cui lansia
sembra poter avere pi i caratteri di endogenicit. comunque intuitivo
come questo continuo rimando fra il paziente, il suo ambiente e il suo me-
dico rappresenti un usso continuo di notevole complessit, ma del quale
si possono cogliere, prestandogli una sufciente attenzione, gli elementi di
base da poter utilizzare per una migliore gestione del paziente.
Il paziente ansioso e il suo ambiente
Dobbiamo mettere in evidenza che, oltre allo schema pi generale che
abbiamo appena nito di descrivere, alcuni elementi presenti nel contesto
del paziente ansioso possono avere, con molta evidenza, una forte inuenza
sulla sua condizione, unintensa interrelazione fra come sta il paziente e
come viene percepito dal suo ambiente, come lui percepisce lambiente e
lo vive, in una sorta di circolo chiuso caratterizzato da una comunicazione
implicita ed esplicita che potremmo denire di tipo circolare e che si autoa-
limenta perch gli elementi che la costituiscono si mostrano come immodi-
cabili: quando ci accade, molto facilmente troviamo implicato o lambiente
familiare o quello del lavoro. Una persona vive una condizione di conitto
sul lavoro con un suo superiore: tale situazione venuta determinandosi sia
per alcuni aspetti di scarsa efcienza del paziente (magari legati ad ansia da
prestazione) sia per una propensione a uneccessiva severit da parte del
superiore. E facile intuire come questa situazione ben presto diventi circolare e tenda
ad autoalimentarsi. esperienza comune che questi pazienti siano percepiti
come pazienti difcili: con loro le nostre iniziative di terapia producono
scarsi risultati, le nostre strategie di supporto risultano faticose e improdutti-
ve, il paziente mostra insoddisfazione che pu tanto essere riferita alla cura
quanto alla qualit della sua vita e il medico mostra frustrazione, stanchezza
e senso di impotenza. La struttura della relazione fra medico e paziente ten-
de di fatto a riprodurre e a rappresentare ci che il paziente vive nelle sue
relazioni difcili. Profonde alterazioni nei rapporti familiari, con il coniuge,
con i gli o altre gure signicative, rapporti difcili con i propri colleghi di
lavoro, con un superiore o con dei collaboratori sono gli esempi pi comuni
di queste esperienze. Ogni prescrizione del medico, sia essa farmacologica
o di counseling, dovrebbe tener conto di questi elementi relazionali perch
sono forti e tendono a neutralizzare ognuna di queste iniziative. Va quindi
colto preliminarmente laspetto mimetico della relazione con il nostro pa-
ziente e sentire oltre che capire che la nostra relazione con quel pazien-
te sta diventando, o gi diventata, la scena dove si replica ci che il pazien-
te vive, pi o meno consapevolmente, nella sue importanti ma compromesse
relazioni familiari e/o professionali. Questi pazienti difcili, perch vivono
una vita difcile e perch ci fanno sperimentare una parte difcile del no-
stro lavoro, pongono un problema relazionale che, se colto e superato, pu
rappresentare unutile premessa per una possibile evoluzione positiva della
situazione. Se il medico ha colto che la situazione che si trova a gestire ha
come protagonista un paziente che vive una condizione simile, pu cogliere
che, senza volerlo e senza saperlo, quel paziente lo sta collocando dentro
- 41 -
di s, lo sta sentendo e vivendo come uno degli attori delle altre relazioni
e come tale tender a trattarlo, stabilendo con lui una relazione con le me-
desime qualit: aggressivit latente, comunicazione improduttiva e sterile,
focalizzazione estrema nella conittualit con questa o quella persona. Ci
rappresenta per il medico uninformazione basata non solo sulle conoscen-
ze teoriche che gli dicono che ci possibile, ma soprattutto suffragata da
una conoscenza esperienziale. Come utilizzare questinformazione, che resta
utile anche quando ha solo i caratteri dellintuizione, del presentimento e
non ancora quelli della conoscenza lucida e compiuta? Aprendo al paziente
uno spazio comunicativo nuovo ed esplicito: ...sa che ho tutta la sensazione,
la percezione di essere con lei come se fossi il capoufcio (piuttosto che il
padre, il fratello, la moglie, il collega, lamico ecc.). Diventa una sorta di
disvelamento che pu aiutare il paziente a entrare in una comunicazione
pi procua, con una persona che lo ha appena informato che questi il
medico che si sente trattato come se ma che in virt delle sue competenze
consente che ci avvenga senza che il suo ruolo venga meno. Proprio in
virt di questa capacit del medico, nella relazione col paziente si possono
cogliere cose che appartengono anche ad altro: l gli attori giocano il loro
ruolo no in fondo, qui possono sentire e capire grazie al fatto che uno, il
medico, pu tentare di restituire al paziente, utilizzando il suo ruolo, ci
che il paziente gli porta. Questo spazio relazionale, attivato da intuizione,
conoscenza, apertura ed esplicitazione, diventa un nuovo scenario dove altri
interventi, compresi quelli farmacologici, hanno un migliore destino.
Il paziente difcile per struttura personologica
Alcune persone hanno una struttura di personalit che, senza scon-
nare in quelle forme di Disturbo di Personalit di vario tipo descritte dalla
psichiatria, presenta parecchie caratteristiche di quei disturbi, ma in forma
molto attenuata, pre-clinica o sotto-soglia, e che tende a farli vivere in un
continuo stato di tensione, con la possibilit di produrre veri e propri stati
dansia e/o di depressione. Sono persone che, a causa della loro struttura
di personalit, hanno una particolare percezione del mondo sia esterno
che interno, che sono difcilmente disposti alla critica, ma che, soprattut-
to, sono poco, o per nulla, sensibili a qualunque forma di intervento sia
farmacologico che psicologico. Ce n quanto basta per sentirsi, di fronte a
questi pazienti, disarmati e impotenti, e in effetti proprio ci che accade.
Bisogna tenere ben presente che lelemento centrale, in questi pazienti,
rappresentato dalla struttura di personalit con caratteristiche sub-cliniche e
che ansia e/o depressione ne sono una diretta espressione. Abbiamo detto
che con questi pazienti ci si sente disarmati e impotenti, ma altrettanto
facile sentire una forte sollecitazione allaffaccendamento, o sentirsi facil-
mente invasi da aggressivit o sentirsi portati verso espressioni di onnipo-
tenza. Questi segni relazionali andrebbero colti al loro emergere ed essere
utilizzati come guida nella gestione della relazione per non cadere nella
trappola di perpetuarli inconsapevolmente: in pratica quando compaiono
pu essere opportuno linvio allo specialista psichiatra. Alcuni esempi di
difcolt nella gestione di un paziente ansioso sono rappresentati da quei
pazienti che hanno una particolare tendenza a legarsi alluso dei farmaci
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(farmacolici) o, allopposto, vivono luso del farmaco come assolutamente da
evitare (farmacofobici). I primi possono essere tali in virt della cronica condi-
zione di ansia di cui soffrono, e per la quale hanno sperimentato il farmaco,
soprattutto benzodiazepine di solito non pi sotto controllo medico, o pos-
sono essere tali in virt di una loro particolare attitudine alluso del farmaco
come risolutore di ogni stato di disagio, anche sico: in pratica, si tratta di
quei pazienti, abbastanza facilmente identicabili perch presenti nellespe-
rienza di ogni medico, che hanno unintolleranza alla sofferenza sia psichica
che sica e che corrono sempre alla ricerca del rimedio diventando alti
utilizzatori sia di farmaci che del medico relegato nel ruolo di prescrittore.
La sollecitazione a uno sguardo superciale (in fondo chiedono solo farmaci...)
e, alla lunga, un sentimento di frustrazione, sono i segni relazionali che si
rilevano con questi pazienti. Lo spunto utile pu essere dato dal tentativo
di restituire loro questa modalit (quasi uno stile di vita) caratterizzata da
una soglia della sofferenza cos bassa in ogni senso cercando, con ci, se ci
si sente minimamente preparati e pronti da un punto di vista relazionale,
di offrire la possibilit di passare dalluso di tanti farmaci a un maggior
uso del farmaco medico (Balint 1961). Naturalmente, se il problema co-
stituito sostanzialmente da un abuso o da un uso scorretto e autogestito di
benzodiazepine, deve intervenire la competenza farmacologica del medico
per riportare luso di questi farmaci a una modalit pi appropriata. Ci
comporta un impegno non indifferente da parte del medico e da parte del
paziente, impegno che, in una buona gestione della relazione, si trasforma
in soddisfazione. Un obiettivo di questo genere si raggiunge impegnando
tempo, dando informazioni chiare e precise sugli effetti collaterali delluso
cronico delle benzodiazepine e sulla convenienza del paziente a tornare a
un uso corretto e, quindi, pi utile di questi farmaci: alla ne di un percorso
di questo tipo, medico e paziente saranno ripagati da un successo condiviso
per limpegno di entrambi. I pazienti farmacofobici possono essere rappre-
sentati da quelle persone che hanno sviluppato il loro disturbo dansia in
una fobia specicamente indirizzata al farmaco e, fra questi, pi facilmente
lo psicofarmaco. Ma, a parte questa specica forma dansia fobica ben strut-
turata che converrebbe inviare allo specialista, molti pazienti si propongono
al proprio medico come oppositivi allassunzione di farmaci in generale, con
maggior vigore rispetto agli psicofarmaci. Spesso si tratta di pazienti ansiosi,
che soffrono di forme sub-cliniche di ansia, ma che altre volte possono esse-
re portatori di forte disagio e di sofferenza notevole: di solito queste persone
vivono lassunzione di farmaci come aggressiva e particolarmente pericolosa
in quanto rappresenta lintroduzione nel proprio organismo di sostanze
potenzialmente tossiche e che, soprattutto, sfuggono alla loro possibilit di
controllo. Di solito si tratta di persone che vivono nella necessit pi o meno
assoluta di tenere tutto sotto controllo, producendo, con ci, una condizio-
ne dansia pi o meno accentuata, ma che, proprio per la sua origine, trova
nelle prescrizioni farmacologiche del medico non una possibilit di cura ma
unoccasione per manifestarsi. La relazione con il medico per queste per-
sone diventa quasi lunica possibilit di cura, ma per il medico rappresenta
un momento difcile, dato che, da una parte, si ritrovano un paziente che
comunque chiede loro aiuto e, dallaltra, non dispongono di uno strumento
abituale quale la prescrizione. Anche in questi casi, quando la difcolt
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non sentita in misura tale da consigliare un invio allo specialista, se si rie-
sce a cogliere questo possibile meccanismo profondo, si pu provare a resti-
tuirlo al paziente, offrendogli unoccasione per riettere insieme e, con ci,
aprire uno spazio di comunicazione che pu essere la migliore premessa per
una prescrizione farmacologica, se necessaria.
Linvio allo specialista
La richiesta di consulenza e il suo destino. Nei paragra precedenti abbia-
mo visto quelle situazioni che possono presentarsi di difcile gestione per il
medico di medicina generale. Queste possono rappresentare unoccasione
di riessione per il medico stesso, che pu saggiarsi nella propria capacit di
cogliere la complessit di quelle situazioni, e decidere se prestare maggiore
attenzione a queste o valutare lopportunit di un invio allo specialista. Con
questultima, eventuale, decisione si introduce una variabile di grande im-
portanza anche dal punto di vista relazionale: spostiamo la nostra attenzione
dalla relazione medico-paziente, alla relazione medico inviante-medico con-
sulente, soprattutto quando questultimo non prende a sua volta in carico il
paziente e si limita alla consultazione. Dobbiamo considerare la qualit della
relazione fra il medico di medicina generale e il suo paziente come elemen-
to primario nella gestione del paziente, e tenere conto che questa qualit
avr un riverbero nella relazione fra il paziente e il medico consulente. Que-
sta seconda coppia avr, naturalmente, una fenomenologia relazionale rela-
tiva alla persona del paziente e alla persona del medico consulente, ma ri-
sentir sia della qualit della relazione fra quel paziente e il medico inviante
che di quella della relazione fra i due medici. Bisognerebbe sempre tenere
conto di questi elementi di complessit relazionale, ma loccasione dinvio
di pazienti ansiosi, soprattutto se rientrano fra quelli che abbiamo descritti
come difcili, mostra bene come lintrecciarsi a diversi livelli delle comuni-
cazioni di cui, comunque, sono sempre cariche le relazioni possa vanicare
la prestazione specialistica. Capita infatti spesso, ed perci facile ritrovarlo
nella esperienza di ognuno di noi, che linvio al consulente non si trasformi
in risorsa ma si traduca in difcolt aggiuntiva, sia per il medico che per
il paziente o, quando va bene, in qualcosa di inutile con spreco di tempo
e di risorse e aumento del senso di insoddisfazione. Linvio non dovrebbe
essere considerato solo un atto ovvio e frutto di unopportuna valutazione
tecnica per lacquisizione di pareri e prescrizioni specialistici, ma un atto
pi complesso in quanto si sviluppa in un ambito relazionale, si trasferisce in
un altro ambito relazionale e ritorna al primo nella costante presenza di un
terzo ambito relazionale altrettanto importante come quello rappresentato
dalla relazione medico inviante-medico consulente. Avere consapevolezza
di questi aspetti consente di recuperare latto dellinvio allo specialista e di
gestirlo nella sua complessit relazionale, recuperandolo cos a un destino
un po pi felice di quanto di solito non capiti.
Conclusioni
Nellottica che proponiamo, quella relazionale, risultano importan-
ti latteggiamento del medico e la sua competenza relazionale, da cui
derivano i seguenti spunti problematici: il medico che non ha tempo; il
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medico che disconosce la dimensione psicologica; il medico che minimizza
o ipervalorizza la condizione ansiosa; il medico che, per qualche sua carat-
teristica personale, ha difcolt a trattare un paziente ansioso. Tutto ci
rimanda allimportanza di un setting nella medicina generale che consenta
unaccoglienza del paziente ansioso fatta di attenzione e disponibilit e che
si concretizzi nella qualit del tempo a esso dedicato piuttosto che nella
quantit. Un setting piuttosto realistico, che rinunci a un telefono che squil-
la, a unattenzione distratta, a un ascolto parziale, a un affaccendamento
continuo, a una squalicazione del paziente e dei sintomi che porta. Sono
considerazioni che, se condivise, possono portare a una gestione efcace del
paziente ansioso con il possibile risultato di una buona presa in carico del
paziente, una sua buona compliance e un maggior successo del trattamento.
Inne non da sottolineare il valore aggiunto di un aumento di soddisfazio-
ne nella professione con la relativa diminuzione del rischio di burn-out per il
medico e la maggiore soddisfazione del paziente con la netta diminuzione
del numero delle consultazioni.
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Rigatelli M. e Bressi C. (a cura di), Manuale di psichiatria di consultazione, McGraw-Hill,
Milano.
*Questo articolo Tratto dal volume: Ansia: Comprendere per curare; (a cura di): Girardi P., Ru-
berto A., Minervino A., Tatarelli R., (2003), Giovanni Fioriti Editore, Roma. Ringraziamenti:
Si ringraziano il Dott. A. Minervino e lEditore per il permesso di pubblicazione di questo
interessante lavoro, tratto dalla pubblicazione in oggetto.
Antonino Minervino: psichiatra, psicoterapeuta con una formazione di tipo psicoanali-
tico, un addestramento ai gruppi Balint in Svizzera presso il Centro Internazionale di Do-
cumentazione Balint di Ascona, conduttore di gruppo Balint, professore presso la Scuola
- 45 -
di Specializzazione in Psichiatria dellUniversit di Parma. Direttore del Dipartimento di
Salute Mentale dellAzienda Ospedaliera di Cremona, membro del Consiglio Direttivo
Nazionale della Societ Italiana di Psichiatria di Collegamento e Consultazione (SIPC),
dellAccademia delle Tecniche Conversazionali e della Societ Italiana di Medicina Psico-
somatica (SIMP). Autore di libri e articoli scientici internazionali.
Indirizzo dellAutore: Antonino Minervino
Via Borgo Carinissimi - 43100 Parma
ABBONAMENTO A
Nuove PROSPETTIVE IN PSICOLOGIA
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NA Nuove PROSPETTIVE IN PSICOLOGIA - Via Bologna, 35 - 65121 PESCARA (I).
P.S. Specicare bene la causale del versamento.
La rivista on line: Rivista Nuove Prospettive in Psicologia
http://www.prospettiveinpsicologia.com/sinapsi.html
ON-LINE: http://www.prospettiveinpsicologia.com/index.html
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PSICOTERAPIA ANALITICA DI COPPIA INTEGRATA,
SOMATIZZAZIONI MULTIPLE
E ANORESSIA IN ADOLESCENTI
Fausto Agresta, Sabrina Iansante , Carmela Pelusi
Latteggiamento di tipo dinamico

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psicosomatico che abbiamo adot-
tato nel rapporto psicoterapeutico, in generale, implica una relazione co-
municazionale col paziente a 5 livelli: verbale, non verbale, corporeo, simbolico,
(analogico, metaforico) e onirico. Il lavoro analitico che si basa sui legami tra
lintraspichico e linterpersonale- nelle terapie con coppie, con famiglie e
con gruppi, laddove uno o pi membri presentano disturbi funzionali o
malattie psicosomatiche- favorisce il cambiamento intrapsichico e il processo di
mentalizzazione, nello specico, in presenza di una struttura di personalit
di tipo alessitimico, con incapacit a creare immagini e simbolismi, rappre-
sentazioni psichiche fantasmatiche e, principalmente, produzioni di sogni.
Soltanto cos si raggiunger una desomatizzazione pi o meno completa e
un cambiamento di base.
1. La coppia Mario e Anna (senza gli; alessitimia, prurito con perdita di
sangue durante il sonno di M.; struttura anoressica di A.), dopo 8 mesi, ha
attraversato diversi momenti terapeutici (solo sintomi/ senza sogni/ sogni
di un membro/ sogni di coppia) prima di raggiungere il processo di menta-
lizzazione pi maturo che dato dai sogni di coppia, come equivalenti oniri-
ci. Dalle sedute in cui largo spazio viene dato ai sintomi, alle resistenze, alle
ri-somatizzazioni, si arriva alla scoperta del valore dei sogni (primi sogni di
tipo crus) in chiave psicosomatica e col lavoro sui 5 livelli di comunicazione,
il processo mentale onirico che si sviluppa durante la psicoterapia analitica
di coppia, favorisce la nascita di nuove rappresentazioni psichiche il cui
contenuto sar equivalente nei due membri della coppia. Fuori dal setting,
non si raccontano i sogni tra i membri. Il sogno di Mario: Il padre di A. sta
per morire di tumore; sogno di Anna.: La madre di Mario sta impazzen-
do. Negli ultimi sogni di coppia si mentalizza lo sporco nella mente di A.
(casa piena di fogna) e si spengono con lacqua i corpi dei nonni che bru-
ciano (fuoco mentalizzato: prurito diminuito). Questo un primo valido
risultato.
2. Caso Clara, 45, impiegata. Serie di sintomi senza lesioni come: ver-
tigini, insonnia, emicrania, vomito psicogeno, colite, agorafobia. Persona
abbastanza chiusa e rigida, divorziata, senza gli. Clara, come un burattino
di legno che non sembra riconoscere i sentimenti; il suo mondo intrapsi-
chico dapprima negato. Poi, comincia a parlare di suo padre sempre ma-
lato (poi morto) e di una madre molto autoritaria e fredda negli affetti. Al
terzo colloquio porta un sogno in cui rivela laltro lato della sua personalit:
unadolescenza ribelle e molto libertina. Aggiunge Clara: Ogni volta che
inizio a parlare del passato, mi vengono le vertigini. Dopo i quattro collo-
qui, ssiamo un periodo di un anno per una psicoterapia dinamica breve
con lobiettivo di favorire il processo di mentalizzazione con la diminuzione
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del processo di somatizzazione attraverso i sogni e i legami conittuali con il
corpo sofferente (desomatizzazione).
Clara allinizio porta, accanto ai lamenti psicosomatici, pochi sogni
crus in cui ricorda lamica di studio dellUniversit; poi, un sogno in cui va
in bagno (scaricare, lasciarsi andare alla emozioni) no ai sogni pi signi-
cativi. Durante il percorso terapeutico una via di mezzo rappresentata
dalla lotta tra sintomi, sogni e resistenze che si manifestano, spesso, prima
con una recrudescenza dei vari sintomi e poi con un maggiore scioglimento
delle difese psichiche, tanto che riuscir ad andare a lavorare e non avr pi
le vertigini. Un sogno importante quello sulla gura paterna che laspetta
di fronte casa sua. Lei abita da sola. Ma come, pap- gli dice- se eri morto,
perch sei tornato?. E lui le risponde, nel sogno: E per te bambina mia,
ma non lo devi dire a nessuno, tanto la mamma dorme e tua sorella fuori.
Verr a trovarti ancora, ma non pensare pi a me. Entrano degli uomini
e lei non li caccia pi... da questo momento associa e fa considerazioni ri-
guardo al suo mondo interno che non deve pi nascondere. User sempre
meno la rimozione e la razionalizzazione: non pagher pi con tutte le so-
matizzazioni e non sar pi tanto sospettosa nellarea degli affetti e in quella
lavorativa.
3. Famiglia De Ruttis. Terapia di Gianna, T. A. con V.G. con la Dott.ssa Alessan-
dra DAmato.
E composta dal padre, Luigi, 45 anni; madre, Leda, 42; Gianna, di
11 anni, paziente designata; Marco, 5 anni. Gianna stata ricoverata in due
Ospedali diversi per tre mesi: riutava il cibo, era mutacica e in Clinica le
stata diagnosticata unulcera duodenale; ha sviluppato pian piano intense
eruttazioni, con grave aerofagia. Inviata da un parente gi in terapia da uno
di noi, la famiglia si presenta come alessitimica, rigida, chiusa: parla soltanto
la madre e nessun membro ha mai ricordato i sogni nella sua vita. Dopo i
primi colloqui si prospetta una Terapia Familiare Psicoanalitica, integrata
col Training Autogeno con V.G. per Gianna con unaltra Terapeuta. Gianna
presenta grave difcolt a parlare, risponde solo con molte eruttazioni e ae-
rofagia. Il lavoro integrato aiuta a sbloccare Gianna: gi dopo un mese pi
rilassata, le eruttazioni diminuiscono e mangia di pi. La famiglia ha biso-
gno di cambiamenti di ruolo: c una madre onnipotente e presenzialista
e un padre debole e assente. Questa situazione cambier. C una rivalit
fraterna molto rimossa e mai espressa. E tra disegni e qualche test proiettivo,
visto che i gli non parlano, abbiamo qualche notizia in pi e un minimo
di conversazione. Dopo 2 mesi, dice la madre: Dottore, stiamo cambiando;
abbiamo rivisto i lmini e prima non vedevamo che Gianna faceva sempre
i dispetti al fratellino; non labbiamo preso mai sul serio. Si accorgono che
Gianna ha dovuto scegliere la strada della malattia grave e della sofferen-
za psicosomatica per sentirsi viva e per attirare lattenzione della famiglia
tenuta. Dinamica pre-edipica pi chiara con i primi sogni. Per primo, il
padre: Faccio lautista per gli amici; non trovo mai il parcheggio e non tro-
vo il tempo per ritornare dalla famiglia che era a giocare in un campo. Il
Terapeuta: Quindi, la famiglia laspetta, ma rimane sempre sola. Il piccolo
Marco racconta il primo, sottovoce e con stimoli a parlare dalla mamma, sti-
moli a disegnare il sogno da parte del terapeuta: Una strega entra nella sua
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stanza e non se ne va (nascita e morte della sorella?). Il bambino non parla,
ha paura e, quando Gianna sta meglio, prende il ruolo della sorella: si riuta
di parlare, non risponde. La madre, che non ha mai sognato, racconta il
primo sogno: Ho sognato che mi rapiscono il bambino e piango, piango e
mi sveglio. Sembra proprio che la madre debba dare la colpa agli altri (i
cattivi rapiscono i bambini) per staccarsi dal glio.
La terapia continua: durante il Training Autogeno Gianna tende,
in qualche seduta, ad addormentarsi. Tutti i sintomi e lulcera di G. sono
stati risolti; G. mangia ogni cosa senza problemi e senza farmaci. I medici
collaborano con i Terapeuti e la famiglia abbastanza cambiata: i genitori
negavano la rivalit conscia e inconscia tra i gli, G. e il fratellino; il padre
non aveva nessun potere e la madre era presente, troppo iperprotettiva
e logorroica. Ora cominciano a sognare e a pensare. Gianna, nellultima
seduta, era angosciata e non riusciva per niente a parlare (resistenze). Nel
frattempo aveva sviluppato sintomi ossessivi riguardo alla pulizia tanto da
essere spaventata di lasciare tracce di sporco sugli oggetti toccati. Ho spiega-
to che i sintomi si spostano e che necessario che Gianna, per parlare pi
forte, si dovr sentire pi forte in famiglia. Dopo 4 mesi, Gianna racconta
il primo sogno: per farla parlare bisogna stimolarla a lungo; poi racconta di
aver sognato di vomitare e, in seguito, un altro sogno: ha un pallone bucato
(ulcera). In una seduta successiva dice sussurrando, a l di voce: Ho pau-
ra di morire. Le rispondo sorridendo: Gianna, tutti abbiamo la paura di
morire; io pure ho un po paura di morire. Scoppia a ridere...va bene se
lo diciamo...se non lo diciamo fa male. Dopo un po, Gianna ha lacrime di
gioia, di liberazione dellangoscia...ride e piange...tutti ridono e viene fuori
una risata di gruppo. Il pap le d un fazzolettino... poi, aggiungo: Quando
eri in Ospedale, ci pensavi?. Lei fa cenno di no con la testa e mi guarda e
con un sorriso. Ora ci puoi pensare alle paure, puoi dire che hai paura e
pian piano la paura diminuir.
Nella seduta successiva tutti sono pi rilassati: Gianna adesso per la
prima volta parla pi forte e racconta un altro sogno; d notizie degli ottimi
risultati a scuola, mentre il fratellino disegna due suoi sogni: nel primo so-
gno aveva due boccettine di uno sciroppo per la gola; nel secondo lui aveva
ancora una ferita al ginocchio. Il pap dice che dorme tutta la notte, non
si sveglia pi per andare nella camera dei genitori e va da sola a scuola e in
chiesa. La terapia con TA prosegue con una seduta a settimana e la terapia
familiare analitica due sedute al mese.
In una seduta successiva un secondo sogno di Gianna: Ho sognato
che Marco era stato rapito...ho pianto tanto e si svegliata piangendo. Si
pu notare che, da una parte Gianna apre il suo scrigno segreto e il suo
desiderio inconscio quello che il fratellino venga rapito; dallaltra, ha in-
troiettato un linguaggio prettamente materno. La terapia continua.
9. 3 Suicidio intestinale e follia psicosomatica
Dopo un avvenimento per essi signicativo e simbolico, i pazienti si
esprimono spesso con un linguaggio corporeo, il cui signicato pu sfuggire
agli psicoterapeuti se non riconoscono la collocazione del sintomo nel con-
testo relazionale. Nel bene e nel male, cio nella siologia e nella patologia,
ogni atto della nostra vita motivato da un sentimento ed accompagnato
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da un intervento corporeo. La medicina moderna ha preso conoscenza del
fatto che molte diagnosi derivano dai referti di analisi strumentali sempre pi
sosticate, ma molte altre derivano dallesatta comprensione del signicato
dei messaggi che sono emanati di continuo da tutti i distretti del corpo. Chia-
ve di lettura pi esatta delle funzioni e delle disfunzioni del corpo umano.
Anche nei gruppi Balint si considera il pericolo che rappresenta per
un malato un linguaggio non compreso dal terapeuta, al quale si risponde
con gesti puramente producono tecnici confusioni semantiche: una reazione
non rara per il medico senza formazione psicologica. Ma come rispondere
quando non si riesce a capire? Non forse langoscia, davanti a casi spesso
clinicamente drammatici, che impedisce al terapeuta stesso di capire un mes-
saggio che il paziente ha cercato di trasmettergli? Secondo Gilliron, lur-
genza della richiesta del malato con turbe funzionali una misura difensiva
tendente ad impedire al medico di pensare, di considerare attentamente ci
che lo spinge ad agire, di riettere, di aspettare quando necessario (In-
contri di Ascona, 1989). Possiamo collocare lo psicoterapeuta in unottica
contestuale in rapporto alla famiglia che gli fornisce segni cui corrispon-
dono avvenimenti. Il disturbo psicosomatico riscontrabile nel bambino
rientra certamente nel campo di competenza del medico e del pediatra, ma,
spesso, pu accadere che il bambino sia il capro espiatorio, la vittima di un
transfert di conitti coniugali: egli ne porta i segni, mentre i veri malati,
cio i membri della famiglia, appaiono clinicamente sani. Il bambino di-
venta allora un sintomo rappresentativo, un sintomo di proiezione di una
situazione familiare perturbata. Come bambino - sintomo, pu dunque far
parte di una follia psicosomatica a pi persone. Pensiamo daltronde alla
sda con elementi di silenzio e di non comunicazione che giungono no
alla sindrome di Munchhausen caratterizzata da un valzer di operazioni.
Essa si manifesta anche sotto forma di crisi depressiva oltre che sotto laspet-
to psicosomatico, toccando particolarmente il tratto digerente (scompenso
ricorrente, secondo Guyotat). In questo senso Luban Plozza, insieme con
J.A. Merloo, parla di suicidio intestinale come equivalente suicida di un
sintomo psicosomatico. Dal riscontro che abbiamo per molti di questi casi,
sembrerebbe che tutti i pazienti con tale sindrome, abbiano uneziologia
emozionale comune che potremmo chiamare suicidio intestinale. Soven-
te, nei primi colloqui, si nota un bambino disperato a causa delle relazioni
tra nutrice e nutrito, relazioni che assumono un aspetto negativo derivante
da un certo avvenimento o da uno stato depressivo ricorrente della madre.
Lassorbimento e levacuazione intestinale si presentano allora come riessi
pavloviani distruttori. Una nutrice vissuta come ostile pu favorire una
sovralimentazione oppressiva, una ingestione forzata di cibo nauseante, un
drenaggio illogico degli intestini e delle responsabilit premature imposte
al neonato. Il bambino non riuscir mai a controllare il suo tratto intestina-
le. Un bambino predisposto n dalla nascita ad una sensibilit spontanea
utilizzer inne questa alimentazione e questo cerimoniale di eliminazione
illogica per rinunciare a vivere e a resistere ad ogni manipolazione. La ten-
denza autodistruttrice interferisce progressivamente nel meccanismo delle
funzioni intestinali. A proposito di suicidio intestinale, possiamo riscontra-
re il riuto inconscio della vita che si palesa nelle affezioni seguenti: 1) ano-
ressia; 2) bulimia, rimpinzamento autodistruttivo (lobesit generalmente
- 50 -
una reazione alla depressione ed alla frustrazione); 3) ulcera gastrica, che
pu essere considerata unattesa masochista del cibo, provocante una secre-
zione superua di succo gastrico che danneggia la mucosa; 4) encopresi:
ritenzione, per sda, del contenuto intestinale, dapprima al ne di punire
il gruppo familiare che educa il bambino e che attende continuamente
levacuazione intestinale, ma che, successivamente, inuisce sullindividuo
stesso; 5) inne, retto colite ulcero - emorragica, nella quale sono orenti i
fantasmi magici primitivi di aggressione e di evacuazione autodistruttrice del
corpo (Agresta F., Luan-Plozza B. 2000). Ci si manifesta anche in bambini
molto piccoli, che, per lostilit, si imbrattano i vestiti, e lo faranno persino
ancora in et scolare. E difcile controllare le proprie funzioni intestinali,
soprattutto quando una disperazione precoce resta sospesa sul bimbo come
uccello del malaugurio. Un bambino autistico grave doveva essere sotto-
posto a clisteri, allinizio della psicoterapia, perch evacuava ogni 10 15
giorni; poi, nel corso della cura si regolarizzato. Alberto, un ragazzo di 15
anni affetto da rettocolite emorragica, dopo vari ricoveri, da pi di un anno
trattato farmacologicamente, senza risultati duraturi, mi viene inviato da
un pediatra per un aiuto psicologico. E la fotograa dellalessitimico grave:
senza emozioni, senza sogni, senza fantasie; nei suoi disegni e nei colloqui
viene fuori proprio il suo pensiero operatorio concreto, rapportabile ad
unet di circa 7-8 anni. I disegni quasi in trasparenza, sono delimitati solo
dai conni graci con un vuoto dentro. Ai test psicodiagnostici ci sono state
risposte forti e inconsce di gelosia e di aggressivit distruttiva nei confronti
del fratello (immagini di fratricidio) e di gelosia molto forte nei confronti
della gura materna. Tutto il suo mondo completamente negato, rimosso
e somatizzato. Data questa situazione, e la grave insonnia, curata anche con
un farmaco e a parte la collaborazione dei genitori che vengono seguiti da
un mio collega, inizio col ragazzo una psicoterapia analitica di rilassamento
corporeo con lo scopo di combattere linsonnia. Dopo un mese Alberto pi rilas-
sato, tranquillo, dorme di pi, anche se, nei giorni precedenti luscita dei
risultati scolastici (in cui pensava di essere respinto) ha avuto una nuova per-
dita di sangue. Dopo il colloquio con la famiglia c stata una seduta molto
importante in cui ha portato tre sogni, di cui uno molto signicativo e inte-
ressante. Ecco il sogno: Ho sognato che andavo al bagno, mi guardavo allo
specchio e avevo i capelli lunghi ed erano bagnati; come me li asciugavo
col fono diventavano rasati; poi, come me li bagnavo di nuovo, diventavano
lunghi. Abbiamo parlato sia della stretta connessione tra la pelle, lintestino
e il sistema nervoso che nascono dallo stesso foglietto embrionale. Poi, del
signicato dinamico e simbolico del bambino che si guarda allo specchio
per farsi ammirare dalla madre; abbiamo parlato del signicato dinamico e
simbolico dei capelli (i pensieri, il capello come simbolo del pene); quindi
il problema della castrazione e della ri

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nascita. Lacqua che fa ricrescere i
capelli, mentre nellintestino i villi intestinali vengono rasati dal sangue, e
cos via. E la prima volta, dopo due mesi di terapia, che Alberto si apre cos
tanto e mi segue in questi passaggi: interessato a questo tipo di linguaggio
nuovo che si avvicina al signicato psicologico della sua malattia impregnata
sul corpo ma vissuto nella propria mente co grande paura. E tranquillo, an-
che perch tutti i giorni deve fare bene il rilassamento a casa, come dei com-
piti e si sente impegnato rispetto allinizio, quando era un po abbattuto.
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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:
1. Agresta F. : (1988), Dialoghi e sogni in psicoterapia, (Pres. G. Lai), Riza, Milano;
2. Agresta F., (1997), Malattie psicosomatiche e psicoterapia analitica. Coppia, Familia, Gruppo,
(Pref. E. Gilliron), N. Prospettive in Psicologia, Pescara; II Ed. 2004;
3. Agresta F.: (2010), Il Linguaggio del corpo in psicoterapia. Glossario di Psicosomatica, Al-
pes, Roma;
4. Agresta F, Pelusi C., Serroni A., (2007), Un caso di colite...Giulio, 32. Un primo colloquio, N.
Prospettive in Psicologia, Anno XXII, n. 2, Novembre (Fasc. n. 38).
5. Agresta F., Iansante S., Pelusi C., Rotondo A. M., (2010), La coppia Gerry e Naomi: Il
processo di mentalizzazione e gli equivalenti onirici. Lezione-dibattito ai Tirocinanti, N.
Prospettive in Psicologia, Anno XXV, n. 1, Maggio (Fasc. n. 43);
6. Agresta F., Iansante S., Pelusi C. et alii, (2010), La famiglia Addams (dal vomito- sintomo
del glio- alla terapia di coppia). Un Approccio Familiare- psicoanalitico. Esperienze di Tirocinio
con Studenti, N. Prospettive in Psicologia, Anno XXV, n. 2, Novembre (Fasc. n. 44);
7. Iansante S., Agresta F., Bianconi A., La Terapia sistemico-relazionale: basi teoriche. Esperienze
di Tirocinio con Studenti in Psicologia, N. Prospettive in Psicologia, Anno XXVI, n. 1, Mag-
gio (Fasc. n. 45).
*Questo lavoro stato presentato al VII Congresso Nazionale del Gruppo per la Ricerca
in Psicosomatica (GRP), Cura della malattia e cura del malato: 60 anni di Psicosomatica
Clinica, Roma, 9-10 novembre 2011, CNR Piazzale Aldo Moro 7. Il lavoro sintetico stato
pubblicato su Abstract Book, Medicina Psicosomatica
Psicologo, Psicoterapeuta, Gruppoanalista (Direttore: CSPP- Centro Studi di Psicologia,
Psicosomatica Clinica e Psicoterapia Analitica Individuale e di Gruppo- Pescara;Psicologa
Psicoterapeuta (CSPP);Psicologa Psicoterapeuta (CSPP).
Indirizzo: Direzione Rivista Nuove Prospettive in Psicologia
Via Bologna, 35 - 65121 Pescara
- 52 -
LA MIA DISIDENTIT
Fausto Agresta, Alessandra D Amato
Durante una seduta con Jennifer L., una giovane studentessa univer-
sitaria che dopo sei mesi di psicoterapia che aveva iniziato per attacchi di
panico, emicranie, insonnia e paure varie, ora scomparse, si sviluppa questo
dialogo analitico la cui interpretazione e sviluppo rimane un lavoro perso-
nale della paziente.
Riporto il dialogo tenuto tra Jennifer ed il Terapeuta nellultima sedu-
ta. Jennifer subito esordisce: Questa settimana non ho nessun sogno da raccon-
tarle. In realt non ho dormito affatto! Dunque non ci sarebbe stato proprio il tempo
necessario per sognare!.
Terapeuta: E come mai non hai dormito?.
J: Non so Ansie varie Le mie solite ossessioni Sa che adesso devo fre-
quentare dei corsi serali il venerd sera? Beh, come al solito ho paura di non farcela
Che poi, insomma, credo di avercela gi fatta che credo semplicemente di essere
paranoica Ho come la necessit di trovare una ssazione su tutto Ecco! Cos se
adesso non fossero stati i corsi serali, magari mi sarei ssata con qualcosaltro!.
T: E il mal di testa?.
J: No, quello non ce lho pi da tempo!.
T: Quindi adesso c solo linsonnia!.
J: S! Lho letto nei suoi libri... Circa la difcolt ad addormentarsi Laddor-
mentarsi come lasciarsi morire Forse ho paura di morire!.
T: Questo discorso vale per i bambini!.
J: S, comunque ogni volta che non riesco ad addormentarmi penso a tutto que-
sto ed allora a maggior ragione non riesco, perch poi divento frustrata.
T: Secondo me una scusa.
J: Una scusa?!.
T: Una scusa.
J: S, possibile!.
T: Adesso non hai pi il mal di testa, ma non riesci a dormire! Linsonnia il
nuovo problema! l che vai a scaricare la tua ansia la tua angoscia! Ora dobbia-
mo solo capire qual il vero problema.
J: Mi sono appena ricordata un sogno che devo aver fatto tra una mezzoretta
e laltra questa settimana visto che ho dormito molto poco! Che strano per che mi
sovviene proprio ora!.
T: Non strano.
J: Glielo racconto.
Nella prima parte della conversazione, il Terapeuta rompe le difese di
Jennifer (cit. una scusa!) che sostiene di non avere niente da dire, poich
non ricorda i sogni, come a voler vanicare la seduta. Si aprono allora le
libere associazioni e la paziente messa nella condizione di ricordare (andare
avanti) (e, se il caso, ricordare altri sogni...).
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Il sogno:
Ho sognato di trovarmi a Roma, nellappartamento in cui vivo(*) e cerano le
mie vecchie coinquiline, A ed M, che avevano deciso di tornare a vivere con noi(**).
Allinizio ero un po infastidita, poich dopo tutto quello che era successo tra noi(***)
mi sembrava incoerente che fossero tornate come se niente fosse, poi per ho deciso di
metterci una pietra sopra. Cos ho deciso di chiedere perdono ad A, con la quale non
sono mai andata particolarmente daccordo, cos, per opportunismo: se doveva tornare
a vivere con me, tanto vale che andassimo almeno apparentemente daccordo.
Lei allora ha nto di non aver mai avuto problemi con me e dunque mi ha det-
to di non capire il motivo delle mie scuse poich lei di problemi non ne aveva.
Mi son sentita cos come dire umiliata per il fatto che mi abbia trattato
con quel falso atteggiamento di superiorit e di conseguenza mi sono pentita di averle
chiesto scusa. Fine.
Comunque, Dottore, questo sogno ne rievoca un altro. Glielo racconto?.
Il Terapeuta sorride: Menomale che non avevi nessun sogno da raccontare,
ed ora addirittura due!.
A questo punto della conversazione, il Terapeuta si ferma per chiarire
il signicato del sogno.
T: Che rapporto avevi con questa coinquilina?.
J: La odiavo! Va beh, odiare una parola grossa Diciamo che allinizio ci
andavo daccordo, ma poi diventata insopportabile! Insopportabile perch era la
classica ragazza brutta e ignorante ignorante nel senso di ignoranza culturale e
chiusura mentale che per parlava come una donna di mondo! Oltretutto se ne sta-
va sempre l a guardarmi con quellaria giudicante! Insomma era una stronza!.
T: Ma se questa qui non la sopportavi, perch le hai chiesto scusa?.
J: Glielho detto! Per convenienza!.
T: Ma convenienza di che? Perch le hai chiesto scusa?.
J: Forse infondo le volevo un po di bene.
T: E secondo te chi rappresenta?.
J: Mia mamma? No, scherzo La butto l sul ridere, visto che in un modo o
nellaltro mia madre centra sempre! Per, seriamente non credo sia lei Sinceramente
non lo so!.
T: Chi rappresenta?.
J: Non lo so.
T: Beh, forse rappresenta semplicemente un lato di te: hai detto che ignorante,
brutta, stronza! Tutti siamo un po stronzi! Per le hai chiesto scusa. Le hai chiesto
scusa perch inconsciamente lavevi gi capito: hai capito che sei anche un po
stronza per, invece di prendertela con te stessa, o rinnegare questo lato di te, lhai
accettato. Hai accettato un parte importante di te che prima riutavi prima.
J: Le racconto laltro sogno?.
T: Ora raccontami laltro sogno.
*) Il luogo sognato non corrisponde sicamente allappartamento in cui Jennifer vive.
**) Per noi, J sottintende la coinquilina con cui viveva anche lo scorso anno.
***) J e le vecchie coinquiline hanno troncato i rapporti.
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Il (secondo) sogno:
Questo sogno molto vecchio: risale a due anni fa, a quando andavo ancora
a scuola.
Mi trovavo nella palestra della scuola. M, una mia compagna di classe, ed io
eravamo esonerate dallora di educazione sica quindi ci siamo sedute a parlare.
Io le chiedevo scusa per tutto
Ora, non ricordo se io abbia baciato lei o se sia stata lei a baciare me sulla
guancia, comunque ci riconciliavamo. Ed io ero felice di questo.
Il Terapeuta: Ricominciamo. Allora chi questa M?.
J: una vecchia compagna di classe. Unaltra stronza (sorride). Allepoca mi
diede non pochi problemiCera una situazione tesa(****) in classe ed io avrei sol-
tanto voluto tirarmene fuori. Cos nel sogno ero disposta a chiederle scusa.
T: Nella realt lavresti fatto?.
J: No! Mai! Lodiavo!.
T: Perch?.
J: Perch era una sgualdrina! E mi aveva rubato la migliore amica ed il
ragazzo!Unaltra parte di me?.
Il Terapeuta sorride e la seduta si conclude: Vedrai che questa settimana
dormirai!.
interessante, ora, chiedersi da cosa fosse tanto sconvolta, Jennifer, da
non riuscire a dormire o meglio, da cosa fosse scaturita questa paura.
La paura di sognare, di conoscersi e di riconoscersi meglio, uno step
fondamentale nella Psicoanalisi poich solo cos che si misura lefcacia di
essa: il Terapeuta che ha agito bene, sa che prima o poi ci sar una chiusura
da parte del paziente (che, nello psicosomatico pu prendere la forma di
una ricomparsa dei sintomi, o, come in Jennifer, nella comparsa di nuovi
etc). Limportante aiutare a sbloccare il paziente, in modo da esorcizzare i
fantasmi del passato e nalmente cambiare.
Nella seduta precedente, Jennifer aveva raccontato un sogno partico-
lare.
Lo riporto:
Mi trovavo a casa di mia nonna materna con tutto il parentado, anche quello
dalla parte di mio padre. Ebbene, ad un certo punto sento un po di casino e allora
esco e vado nel retro della casa di mia nonna per capire cosa stesse succedendo. Vedo
allora mia nonna paterna legata con una corda alla pianta di ulivo. Precisamente
mia madre e mia madrmia zia! stringevano i due capi della corda in modo che la
nonna non potesse divincolarsi.
A quel punto io chiedo il perch di quel gesto, e loro rispondono dicendo che era
giusto cos, per tutto quello che aveva fatto. Chiedo cosavesse fatto di tanto grave ma
nessuno mi risponde.
****) Quando J frequentava il quinto superiore del Liceo..., venne a sapere che la maggior
parte dei suoi compagni di classe (tra cui la migliore amica) andavano a ripetizioni private
dalla professoressa di Italiano. Quando questi ne furono al corrente cercarono di isolare
ed ignorare Jennifer in modo da non alimentare i sospetti, al contrario di M che, invece,
inizi ad accusarla di alimentare voci false.
- 55 -
Inne, noto che, su mia nonna (tutta blu), cadevano tante gocce di pioggia cos
domando a mia madre e mia zia perch stessero innafando la nonna, ma nuovamen-
te non ricevo risposta.
Evidentemente, questo sogno deve aver colpito Jennifer, che si por-
tata ad un punto topico della Terapia, quel punto in cui compaiono nuovi
fantasmi del passato, non pi soltanto mamma e pap.
Lorizzonte stato allargato e la prima a comparire la nonna pater-
na, colpevole di tutto, e allora deprecabile, tanto da essere legata a un albero
ma allo stesso tempo fragile, indifesa (non parla!), tenuta comunque in vita
(viene innafata come si fa con la pianta di ulivo, non a caso pianta longeva
e forte).
Jennifer sogna la nonna con la quale nella realt non ha mai avuto
un rapporto. Sostiene che per lei come unestranea, di non provare niente
per lei, che quando morir non ne sentir la mancanza. Per la sogna ed,
innafandola, decide di tenerla in vita. Ci che sostiene nel piano della realt
non corrisponde a ci che avviene nel piano onirico, di qui la confusione e
langoscia che la porta al blocco, alla chiusura, allinsonnia.
Fausto Agresta, Psicologo, Psicoterapeuta e Psicoanalista di gruppo. Gi docente Universi-
t di LAquila e Chieti. Ha insegnato allIREP (Dir. E.Gilliron: Roma). Didatta e Docente
allIPAAE (Pescara) e alla SIPSI (Roma). Coordinatore SIMP e Direttore del CSPP (Centro
di Psicoterapia Psicoanalitica e Psicosomatica) di Pescara.
Alessandra DAmato, Psicologa, Psicoterapeuta di indirizzo analitco, sta studiando per
la II specializzazione presso la SIPSI (Roma), con i Prof. ri D. Nesci e T. Poliseno; socia
della SIMP, membro del CSPP di Pescara e membro della Segreteria di N. Prospettive i
Psicologia.
Indirizzi: Dott. Fausto Agresta
Via Bologna, 35- 65121 Pescara
Dott.ssa DAmato Alessandra:
cell. 349.6940474; e-mail: damatoale@hotmail.it
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SUSY AL PRIMO COLLOQUIO:
PSICOTICA CON MADRE SCHIZOFRENICA
Fausto Agresta, Sabrina Di Virgilio
Terapeuta: Prego, possiamo cominciare. Allora, qual il motivo che
lha spinta a chiedere un colloquio con me?
Paziente: (Ride) Non so, io oggi non ci sto, Dottore, mi dispiace ma
in alcuni giorni in genere non ho smesso di parlare nemmeno un minuto e
mentre oggib
Terapeuta: ...Chi era questa persona che lha accompagnata?
Paziente: Lei una mia ex compagna di scuola. Siamo andate a scuola
insieme e ora siamo compagne di vitaormai ci conosciamo da otto anni.
Terapeuta: Lei voleva farla entrare?
Paziente: S, indifferente tanto lei sa tutto di me.
Terapeuta: Perch indifferente?
Paziente: indifferente perch lei mi conosce bene, sa quali sono i
miei problemi, di cosa parlo, di cosa vorrei risolvere e allora gi sa tutte que-
ste cose. Non c segreto, qualcosa di cui dovrei parlare e lei non sa( ride).
Terapeuta: Non c differenza tra lei e la sua amica?
Paziente: No, c molta differenza; magari io le parlo di certe cose ma
lei non mi capisce no in fondo perch non sono problemi suoi personali;
siamo due persone diverse che per stanno bene insieme.eh mi piace
questo studio!
Terapeuta: Le piace?
Terapeuta: S molto! Pieno di fotoeh... pieno di vita diciamo
Terapeuta: Come ha deciso di venire qua? Quando ci ha pensato? Per-
ch ci ha pensato?
Paziente: Ho deciso (ride) Ho pensato molto tempo fa perch stavo
molto male. Io soffro di depressione da tre anni; cio tre anni fa ho avuto
un esaurimento nervoso e poi la depressione che tuttora soltanto che
allinizio di questanno sono stata un poco meglio anche se mi mancato
completamente laiuto da parte degli altri, linteressamento. Ho visto troppa
noncuranza e indifferenza e questo mi ha fatto molto male perch vivo in
un paese molto piccolo con la gente di mentalit ristretta e non portata
a dare una manifestazione di affetto, di cose per me essenziali; visto che mi
mancato questo aspetto cercavo di aiutare e di darmi per gli altri eppure
troppo ... per cui allinizio di questanno mi stavo riprendendo, ho lavorato
anche come collaboratrice domestica per 3 mesi. Siccome mia mamma
schizofrenica e non sta bene in quel periodo inizi di nuovo a stare molto
maleIniziai ad avere delle contrazioni muscolari nel corpo soprattutto
nel viso e questo mi spinse ad andare dallo psicologo perch io non sapevo
come rilassarmi. Questo praticamente da marzo e ormai sono 7 - 8 mesi
soltanto che essendo depressa cio magari esternavo il mio bisogno di
parlare con qualcuno ma forse non venivo capita e visto che nessuno dei
familiari mi portava dallo psicologo io ho continuato a soffrire dentro.
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I segni visibili possono essere contrazioni muscolari perch durante la notte
e anche di giorno mi mettevo in determinate posizioni schiacciavo le guance
e di conseguenza quasi quasi mi sembra...volevo risolvere questo fatto per
non peggiorare la mia gura estetica perch per me importante moltissi-
mo lesteriore, perch forse nella vita lunica cosa che mi ha dato un po di
aiutoforse una ragazza carina manifesta pi simpatia pi...
Paziente: Ho avuto problemi da piccola quando mia mamma stava
molto molto male; problemi con la schizofrenia e spesso viene ricoverata in
ospedale come XY. E questo successo poi venni qua, ho deciso di venire
proprio per risolvere questo problema adesso non mi importa quasi pi
niente perch ormai passato tutto questo tempo. Vedo i risultati di questa
miacome posso diredi questo mio umore e ora mi sento brutta ecces-
sivamente anche se mi sono sempre svalorizzata troppo n da quando sono
nata e ora non mi accetto cos come sono. Poi ci sono moltissime altre cose,
una storia troppo strana per riettendo io prima non capivo perch mi
mettevo in determinate posizioni con il viso perch stavo sempre tesa con i
denti, con i muscoli, con le mani mentre adesso credo sia quasi inconscia-
mente cio io involontariamente faccio queste cose perch da quando due
anni fa ho tentato il suicidio forse dentro di me c sempre quello stimolo a
voler morireche cosa ? Una musichetta?
(Un orologio che scandiva la ne delle ore )
Paziente: E allorasiccomepenso che quasi quasi mi sto prenden-
do io tutti i miei problemi perch non voglio vivere sono stanca ho lottato
tanto e sono sempre allo stesso punto eccoda parte della gente c troppa
indifferenza, io capisco che chi non ha avuto determinati problemi non pu
capire, per quando tu chiedi un aiuto e dici non so cosa fare e vedi che al
massimo ti telefonano di tanto in tanto non si fanno mai vedere, beh allo-
ra ti ritieni quasi una persona inutile che non serve perch magari le altre
persone hanno gi tutto e non che non servi tu, sono le altre persone che
sono complete, credo, cio io non lo so
Lei non dice niente? Parli pure leibh Cio se venivo in un altro
momento avrei detto altre cose adesso mi sto dilungando su questa cosa
qua.
Terapeuta: Cio, dunque le avevo chiesto perch e come aveva deciso
di venire qui da me
Paziente:Ho deciso perch pensavo appunto siccome.
Terapeuta: Maria cosa centra?
Paziente:Dunque lei mi stata vicino quando ho tentato il suicidio
quando.. ah s per la storia lunghissima. Dunque io ho tentato il suici-
dio perch attualmente ho pi di 10 chili del mio peso; invece, quando ho
tentato il suicidio ne avevo 30 in pi (ride) e quindi non volevo vivere; so-
prattutto non mi riconoscevo pi in me stessa, ero praticamente una palla
ma non solo per questo, anche per altre cose perch ho fatto troppe cose
per gli altri ma ho considerato poco me stessa e quindi sono andata oltre
alla propria resistenza. Ogni persona deve equilibrarsi e avere un proprio
limite, perch se non sei di ferro. Io sono stata troppo efciente nei riguardi
degli altri ma soprattutto nei riguardi di mia madre perch essendo, come
dire, completamente pazza ho cercato di aiutarla per considerando
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Lei stava male, nel senso che non connetteva per niente, lei rompeva,
picchiava, gridava, rideva e diceva tantissime cose soprattutto oscene nei
miei riguardi da quando ero piccola, da due, tre anni, quattro, cinque, mi
ha sempre picchiata a sangue, mi diceva delle cose assurde che io andavo
con mio padre.
E tutte queste cose, mi dava della puttana, cos da sempre, per poi
quando non era pi possibile venivano i carabinieri la venivano a prendere
e la portavano via perch era un pericolo pubblico, perch poteva picchiare
chiunque visto che gi dentro casa faceva strage. Soltanto che il mio proble-
ma stato che inizialmente che quando ero piccola non ne ho mai parlato
con nessuno delle cose che succedevano in casa, in quanto io pensavo forse
che gli altri lo sapevano visto che nessuno lavvicinava, nessuno ci parlava;
erano tutti spaventati da lei e quindi io pensavo lo sanno che con me non
una persona buona soprattutto nei confronti di mio padre e di mio fratello.
Perch ho un fratello; io credevo che loro non si interessassero a me perch
non mi hanno mai chiesto come stai, come va, cosa ti succede, e n quan-
do e no a tre anni fa quando mi sono esaurita loro non sapevano le cose
che mi erano accadute giornalmente e forse tenere dentro tutte queste cose
e andare comunque avanti; forse io a contatto con le persone a scuola ero
normalissima, non sembrava che avevo dei problemi, anzisempre pronta
ad aiutare gli altri nel risolvere le situazioni, a dare un po di allegria e gioia
nelle giornate, a risolvere il problema degli altri ah.. Poi tornando a mia ma-
dre ogni tre mesi niva in ospedali psichiatrici. Ho iniziato a pensare allet
di 16 anni di curarla io, perch pensai che se questa va in ospedale e sta un
poco meglio si pu fare la stessa cura a casa. Ne parlai con il mio medico..
eeeehh..dunque.. il medico generico non poteva darmi quei farmaci forti
che danno solitamente a queste persone, mi diede semplicemente tipo Se-
renase, Roipnol, Tavor e cos io cominciai a curarla per conto mio. Era dif-
cile perch lei sfogava su di me, prima di andare a scuola preparavo tutto
quanto, le medicine perch lei non sapeva di prenderle, non le ha mai volu-
te prendere prima perch di solito le persone quando non stanno bene non
se ne accorgono. E diciamo insomma, lho seguita per tanto tempo..eeehh
costantemente e nei primi anni queste medicine potevo arrivare a dargliene
tipo oltre 60 gocce al giorno di Serenase, il dottore diceva che in ogni mo-
mento quando vedi la necessit gliele dai e cos per me era quasi, non lo so,
era troppo perch lei stava sempre male; dopo dovevo pensare a mio padre,
la casa perch lei non faceva niente, a preparare da mangiare a mio padre, a
tenere la casa in ordine, i panni, tutto quanto. La scuola, giustamente le su-
periori una scuola non pi dellobbligo, quindi se la vuoi fare devi rendere
senn meglio che non ci vai, quindi era veramente stressante perch poi
lei mi impediva pure di studiare, stava sempre cantando, gridando, ridendo,
poi mi prendeva a botte ogni tanto. Eehh..comunque il primo anno che
prese queste medicine non vidi nessun risultato, mentre gi dopo il secon-
do anno stava leggermente pi tranquilla, meno agitata.. .poi invece piano
piano, piano pianoadesso sembra proprio unaltra persona anche perch
poi quando vedevo che lei aveva dei risultati, io praticamente le stavo dietro
sempre, mezzogiorno, la sera, le preparavo da mangiare, le mettevo queste
medicine, non era facile perch lei mi buttava i piatti, tutto quello che pre-
paravo; quindi glieli dovevo rimettere, per me avevo molta paura e terrore
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se mi avesse scoperto che le mettevo le medicine, mi avrebbe ucciso e quindi
insomma, piano piano vidi un certo risultato, lei dormiva la notte, quindi
era molto stressante andare a scuola dopo non aver dormito la notte.
Terapeuta: Ci credo. Come faceva?
Paziente: Me lo chiedo pure io, magari due o tre ore; forse un po si
dormiva, dopo non che succedeva tutte le notti.
Terapeuta: Scusi, suo padre?
Paziente: Ecco, diciamo mio padre una persona un po...non so de-
nire, cio adesso che sto male si rende conto che. (registrazione rovinata)
tutto perso.
Terapeuta: Che lavoro fa?
Paziente: Lui costruisce..eehh (registrazione rovinata)
Terapeuta: Quanti anni ha?
Paziente: Cinquantaquattro.
Terapeuta: Sua madre?
Paziente: Mia madre cinquanta.
Terapeuta: Suo fratello?
Paziente: Trenta.
Terapeuta: Suo fratello che fa?
Paziente: Ah ecco, un altro motivo del mio esaurimento mio fratello
sei anni fa se n andato in Spagna. Cio, io lo vedevo come lunica persona
della mia famiglia di cui un po vantarmi, non vantarmi, insomma era un
po il mio orgoglio perch venir presa per avere una mamma pazza poi in
un paese piccolo dove senti sempre dire: hai la mamma pazza, mio padre
era troppo impegnato per i miei gusti. Mio fratello lo vedevo un tipo brillan-
te, non stava mai a casa usciva sempre praticamente, non cera mai mai mai,
non siamo cresciuti insieme, in quanto abbiamo gi una differenza di et di
otto anni poi lui un tipo completamente diverso da me mentre io vivevo
il problema familiare, avevo moltissimi dispiaceri e ci soffrivo, lui evadeva,
usciva, stava sempre con i suoi amici, tornava solo a dormire la notte; per
nello stesso tempo lo ammiravo molto, sentivo di avere un fratello anche se
non stavamo insieme, lo sentivo moltissimo dentro, quando poi invece nel
92 andato via, se ne sono andati in Spagna, lui e la sua famiglia perch
sposato e ha due glie io ho perso, per me avevo perso tutto.
Terapeuta: Due anni fa?
Paziente: Tre.
Terapeuta: Tre anni fa?
Paziente: Praticamente a febbraio del 94, saranno tre anni.
Terapeuta: Lei aveva detto che tre anni fa ha avuto una depressione,
un esaurimento
Paziente: Tre anni fa ho avuto proprio un esaurimento.
Terapeuta: Prima che partisse suo fratello?
Paziente: No, dopo.
Terapeuta: Appena dopo?
Paziente: Dopo un mese.
Terapeuta: Dopo un mese. Suo fratello quando si sposato?
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Paziente: Mio fratello si sposato dieci anni fa. Nell 84.
Terapeuta: Ha due gli, vero?
Paziente: S due, ha due glie femmine, una sei anni e laltra due,
deve compiere due anni.
Terapeuta: La moglie che lavoro fa?
Paziente: Adesso stanno inSpagna, la moglie lavora in casa diciamo
che sono perch portiera di un condominio.
Terapeuta: E lui?
Paziente: muratore. E naturalmente lui se n andato perch non
aveva un buon rapporto con mio padre, perch noi siamo stati come dal-
tronde un po come tutte le persone che vengono da lei (ride), sono un
po cos trascurati, non vengono tenuti nella considerazione giusta perch i
bambini hanno bisogno di sentirsi lodati ogni tanto accarezzati, detto qual-
cosa di buono; invece da nostra madre era impossibile ricevere queste cose
se non cose brutte. Invece nostro, mio padre di carattere praticamente,
non so come descriverlo (ride), direi quasi una pietra, non esterna mai i
suoi sentimenti; adesso che io sto male s, manifesta dopo che io ho tentato
il suicidio, tuttora voglio morire.
Terapeuta: Come ha tentato il suicidio?
Paziente: Ho preso una forte dose di barbiturici praticamente.
Terapeuta: E poi?
Paziente: E poi praticamente sarei morta subito, se non fosse stato che
sono stata una grande deciente, perch ne ho prese altre cento di Roip-
nol.
Terapeuta: Quelli di sua madre?
Paziente: S, di mia madre e anche i miei perch ho avuto lesauri-
mento e non dormivo pi la notte. Me ne davo un pezzetto di Roipnol e un
pezzetto di Tavor anche io perch sono stata tre anni fa ricoverata dieci gior-
ni allospedale Zv di Roma, reparto psichiatrico, perch poi essendo che in
quel periodo io esternavo tutto quello che non avevo mai esternato prima,
i miei familiari e le persone che mi avevano sempre visto, mi avevano preso
completamente per pazza visto che questa sempre allegra, sempre bene,
nessun problema, ma cosa dice, boh.. non mi credevano, di conseguenza mi
avevano proprio presa per una che se ne uscita completamenteavendo
una madre schizofrenica la cosa andata proprio a genio, dicono uguale
alla madre. Per sono contenta perch mi ha fatto bene stare un poco dieci
giorni di riposo perch a casa mia non era mai un riposo. E poi praticamen-
te solo la sera nellospedale mi davano le medicine perch non dormivo, co-
minciai pure a non dormire quando dovevo fare lesame di stato, perch era
una cosa pi pesante del solito; non avevo nessun appoggio, tutto per conto
mio, curavo mia madre, mi sentivo stanca, non volevo nemmeno affron-
tare gli esami, non mi importava niente, non volevo fare, dicevo che non
sarei stata in grado di farli, che non mi ricordavo niente, e cominciai a non
dormire, gi da quando cominciai a prendermi le medicine di mia madre,
perch dicevo, bah, visto che dorme lei e io non dormo pi ora me le pren-
do e prendevo un po di Roipnol...eeehhh, insomma dopo.. sto parlando di
cinquantamila cose, non so nemmeno dove mi trovo.
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Terapeuta: Lei si trova qui.
Paziente: S.
Terapeuta: Io le ho chiesto perch venuta da me. Perch ha deciso
di venire da me?
Paziente: Eeehh, dunque adesso
Terapeuta: Che cosa sa lei di me?
Paziente: Che uno psicologo e che cerca di aiutare le persone a capi-
re se stesse, a risolvere i propri problemi. Ho chiesto a mia cugina uno psico-
logo che avesse avuto un po di esperienza pi degli altri perch ho sempre
cercato di risolvere da sola i miei problemi e ora volevo proprio una persona
qualicata, non laureata da poco con esperienza.
Terapeuta: E sua cugina cosa le ha detto?
Paziente: Niente, mia cugina mi ha detto che tutti gli psicologi sono
qualicati per aiutare le persone per se volevo uno psicologo come dico
io insomma, mi ha consigliato lei perch dice che bravo perch io so che
molti vanno da lui. Perch io volevo proprio uno psicologo che fosse.. in-
somma che avesse aiutato le altre persone e lei ha detto che lei una perso-
na che a livello professionale...ne ha casi da risolvere mi fa un poco pena.
Terapeuta: Le faccio pena?
Paziente: S, un poco.
Terapeuta: Perch le faccio pena?
Paziente: E mo perch capisco che se uno fa lo psicologo non che
vive i problemi degli altri per io invece sono un tipo, ma adesso non pi
perch non me ne importa n di me n degli altri, ma prima qualsiasi pro-
blema che avevano le persone io dicevo ma dai, coshai? Parlane, e le vivevo
anche io, allora mi sembra quasi che se stai a sentire il problema di un altro
ci soffri pure tu. E allora penso che uno psicologo quante ne deve sentire.
Terapeuta: Prima o poi diventa schizofrenico pure lui?
Paziente: Prima o poi; infatti ho detto prima di venire qua che quando
uscir dallo psicologo, lo psicologo andr dallo psichiatra, per fa tutto lui,
lo prendi come lavoro per ci puoi rimanere male ma nel limite dellora in
cui sta il cliente altrimenti esci pazzo veramente.
Terapeuta: Come lo vuole lei lo psicologo? Lei ha detto come lo voglio
io
Paziente: Non ho capito.
Terapeuta: Lei ha detto parlando di sua cugina che avrebbe voluto,
desiderato uno psicologo come diceva lei.
Paziente: Diciamo uno psicologo secondo me pi bravo degli altri, con
pi esperienza.
Terapeuta: E lei che ne sa se sono pi bravo degli altri?
Paziente: Diciamo che non volevo uno che avesse iniziato questo lavo-
ro da poco (ride), perch giustamente uno pi esercita la professione, pi
diventa qualicato a svolgerla. Ecco tutto, per cui mi ha detto, anche altri
psicologi del consultorio, insomma ma visto che io non mi do per niente,
di queste cose a livello mutualistico, come si dice non lo so, visto che sono
andata da dentisti e da altri, ho detto dallo psicologo bohh.. forse saranno
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bravissimi anche loro ma io ho voluto fare cos (ride), poi che le devo dire.
Che passato il tempo?
Terapeuta: No, c tempo ancora. Le posso chiedere cosa si aspetta da
me?
Paziente: (ride) non lo so.
Terapeuta: Cosa si aspetta da questi colloqui? Perch prima di decide-
re qualsiasi cosa faccio tre o al massimo quattro colloqui prima di iniziare;
poi si decide se approfondire leventuale psicoterapia e se vi sono dei punti
su cui poi si pu riettere, oppure fermarsi oppure ritornarci su per pi
tempo. Lei venendo qui che cosa si aspetta?
Paziente: Mah..
Terapeuta: Lei mi ha detto che adesso disoccupata, che sta a casa,
suo padre sa che viene qui?
Paziente: Oh s certo. Ma veramente come le dicevo avevo proprio la
necessit di venire qua da uno psicologo a marzo di questanno perch ave-
vo delle tensioni muscolari, facciali eccessive, io stavo sempre male, tutta la
faccia indolenzita, mi faceva male da morire, piangevo e non sapevo come
fare, soltanto che non mi hanno capita a fondo.. a quel tempo ero molto de-
pressa, io non agivo, dicevo voglio cos, ma non che prendevo il telefono,
chiamo, esco e prendo lautobus ed esco, non facevo niente di pi, non mi
hanno spinta pi di tanto a venire. Adesso sono praticamente loro che mi
spingono.
Terapeuta: Loro chi?
Paziente: Mio padre, la mia amica, che dice: dai vacci perch..
Terapeuta: Con questa amica che rapporto ha lei?
Paziente: Un rapporto da amica, per me lamicizia importante.
Terapeuta: Che fa questa amica? Come si chiama?
Paziente: Dunque noi abbiamo frequentato la stessa scuola, lei ha la-
vorato questestate a Rimini come cameriera di sala, adesso sta a casa, non
lavora.
Terapeuta: Perch le affezionata?
Paziente: Dunque sono affezionata a lei perch..
Terapeuta: No, io le ho chiesto perch le affezionata.
Paziente: Ah, s non avevo capito.
Terapeuta: Pu dire anche tutte e due le versioni, come vuole...
Paziente: Dunque lei affezionata a me perch io le ho dato tanto
quando potevo, lho aiutata sotto vari aspetti, le ho dato una mano, quando
andavamo a scuola, per tante cose e cos quando sono stata male io lho
chiamata e lei non si riutata di starmi vicina.
Terapeuta: Lei voleva farla entrare qui.
Paziente: S, non mai stata a contatto con queste esperienze e non
sapeva cosa fare, io non posso dire quello che fa lei. Beh, cosa voglio da lei..
adesso come adesso vorrei quasi uno stimolo a rivivere, non so se possibile
a darlo, cio a darlo a unaltra persona perch non mi importa pi di nien-
te, eccoma ci sarebbero tantissime e tantissime cose da dire, ma sembra
invece che quasi mi sia fermata...
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Terapeuta: S, appunto, se lei daccordo io sono disposto a fare
questi tre o quattro colloqui di investigazione iniziale per capire meglio il
problema, poi decidiamo che cosa si pu fare... cos, dal punto di vista del
tempo, dal punto di vista economico, dal punto di vista delle sue decisioni
anche perch bisogna decidere in due se fare un trattamento psicologico.
Va bene?
Paziente: S, va bene.
Terapeuta: Per indispensabile pure che prima o poi essendo lei di-
pendente economicamente, io debbo parlare con suo padre.
Paziente: Ah, s certo certo, su questo non ci sono problemi..
Terapeuta: Allora perlomeno devo parlare con la famiglia, con il padre
che paga non solo in senso pratico, ma anche chi ha la responsabilit.
Paziente: Certo, ha ragione.
Terapeuta: che mi deve autorizzare.
Paziente: Ho capito, oggi voleva pure venire mio padre poi non ve-
nuto perch io ho ritenuto non necessario.
Terapeuta: lui che mi deve autorizzare.
Paziente: E mannaggia questo padre che cos?
Terapeuta: Oppure lei si deve rendere indipendente economicamente.
Paziente: S s la pu autorizzare non c problema.
Terapeuta: Ha capito molto importante.
Paziente: Ma mi tolga una curiosit, queste sedute quanto vengono a
costare?
Terapeuta: Trentamila lire.
Paziente: Beh, a questo gi ci avevo pensato
Terapeuta: Pure suo padre?
Paziente: S, ma a mio padre non interessa tanto la spesa, si interessa
per lavora e laffronta perch per lui una glia pi importante di un po
di soldi; pu spendere tutti i soldi di questo mondo se pensa che sua glia
vuole morire, per lui peggio, per cui per lui non un problema la spesa
visto che lavora e non disoccupato.
Terapeuta: Almeno una sola ora a settimana... comunque prima di
prendere tutte queste decisioni come ho detto se lei daccordo ci dobbia-
mo vedere almeno tre volte.
Paziente: Almeno tre volte in una settimana?
Terapeuta: No, almeno tre volte, tre incontri.
Paziente: Ah, eehh..
Terapeuta: Quindi che sseremo man mano.
Paziente: S, ma mo io questa la vedo diciamo come mai questo
fatto?
Terapeuta: Quale fatto?
Paziente: Cio io pensavo di venire dallo psicologo e continuare poi a
venire settimanalmente.
Terapeuta: S, s, ma prima bisogna sapere quello che bisogna fare per-
ch non si pu improvvisare.
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Paziente: Eh, ma questo si sa col tempo.
Terapeuta: Dopo tre sedute so..
Paziente: Ah s? Allora lei sa.
Terapeuta: So, perlomeno posso dare unindicazione sul problema
principale su cui possiamo lavorare primariamente.
Paziente: Certo, certo va bene.
Terapeuta: Ho bisogno di conoscerla prima di tutto e lei ha bisogno di
conoscermi, non possiamo improvvisare cos. Una situazione che particola-
re di cui lei stata protagonista.
Paziente: Certo certo..non so se tre sedute saranno sufcienti.
Terapeuta: Al limite una quarta, io pure devo pensare di me.
Paziente: Mah.. certo certo. Ma si tratta del fatto di una che vuole mo-
rire non di una che vuole vivere.
Terapeuta: S, ma se uno vuole morire non che posso impedirlo, se
lei vuole vivere io posso aiutarla a riettere su questa cosa molto importan-
te!
Paziente: questo il fatto, che quando volevo vivere non mi hanno fat-
to venire da lei; adesso che voglio morire mi mandano per forza, ma allora
mi state prendendo per scema, me e gli altri. Proprio oggi ho detto che uno
va dallo psicologo perch vuole vivere, vuole riprendersi, bah visto che mi
sono ripresa da sola, forse anche adesso, daltronde in tre anni non che ci
ho pensato poche volte a morire, in fondo c sempre la speranza nch c
vita.
Terapeuta: Ma lei ha telefonato, poi ha ritelefonato, mi ha cercato,
quindi
Paziente: S, infatti questa sducia completa mi venuta da pochi gior-
ni in quanto non riesco ad accettare il lato esteriore di me stessa, mi vedo
troppo diversa da come ero, magari una persona che si guarda troppo allo
specchio magari una cosa banale, lo so, forse perch ho avuto troppo
affetto dagli altri per quello che ero prima; adesso con 10 kili in pi, 3, c
stato tutto uno squilibrio e mi trovo troppo diversa quando mi guardo. Non
riesco ad accettarmi, non mi piaccio.
Terapeuta: Allora, ci vogliamo rivedere?
Paziente: S.
Terapeuta: Cercando di conoscerci meglio di vedere tante cose che
dobbiamo vedere. Lei dica a suo padre che dopo la ne di questi colloqui
vorrei conoscerlo.
Paziente: Certo mio padre pu pure venire quando vuole lei.
Terapeuta: Io penso che possiamo fare questi colloqui iniziali da soli se
lei daccordo, va bene?
Paziente: S, s ma poi deve assistere anche mio padre? No.
Terapeuta: Beh, devo parlarci.
Paziente: S, parlare con lui?
Terapeuta: S, penso di s.
Paziente: Beh, certo meglio
Terapeuta: Non da soli, non devo nascondere niente.
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Paziente: (Ride) ma poi voglio dire poi...
Terapeuta: Un colloquio posso fare.
Paziente: Ah ecco non stavo capendo.
Terapeuta: Va bene?
Paziente: S, va bene.
Terapeuta: Come rimaniamo daccordo? Mi richiami tra 7 o 8 giorni.
Paziente: sette o otto giorni?
Terapeuta: S.
Paziente: Cos tanto?
Terapeuta: Io ho solo unora libera a settimana.
Paziente: Ah unora a settimana... mamma mia. Eh in 7 o 8 giorni chi
sa quante cose succedono.
Terapeuta:Va bene, io sto qua.
Paziente: S, ci diamo un appuntamento.
Fine del primo colloquio che avvenuto pi di venti anni fa.
Si ringrazia la Dott.ssa Carolina Napolitano per il contributo al lavoro di redazione.
Fausto Agresta, psicologo, psicoterapeuta e psicoanalista di gruppo. Gi docente Universi-
t di LAquila e Chieti. Ha insegnato allIREP (Dir. E.Gilliron: Roma). Didatta e Docente
allIPAAE (Pescara) e alla SIPSI (Roma). Coordinatore SIMP e Direttore del CSPP (Centro
di Psicoterapia Psicoanalitica e Psicosomatica) di Pescara.
Sabrina Di Virgilio, psicologa, psicoterapeuta. Membro del CSPP, SIMP Pescarese e della
Rivista N. Prospettive in Psicologia - Redazione.
Indirizzo: Dott. Fausto Agresta
Via Bologna, 35 - 65121 Pescara
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QUESTIONI FONDAZIONALI DELLE SCIENZE UMANE
IL RITO DELLA MENOPAUSA:
PARLARE CON IL SACRO
Alfonso Di Nola
La menopausa ha nutrito una pubblicistica ampia e approfondita di ca-
rattere medico-sociologico e psicologico, mentre scarse e incerte sono le testi-
monianze antropologiche sopra di essa, e si tratta quasi sempre di testimonian-
ze che circolano intorno al pi ampio problema dellimpurit mestruale.
In sostanza, anche in antropologia non si pu prescindere dallaccet-
tare il corrente rilievo medico-psicologico della natura fondamentale del cli-
materio femminile come fase di crisi profonda della personalit siologico-
ormonale e psichica della donna. Ma mentre il corrispondente acme critico
rappresentato dalla prima mestruazione protetto, proprio per la carica di
esposizione e di debolezza della mestruante, da una rete rituale molto ricca
allinterno dei movimenti che toccano il ciclo vitale e si esprimono come riti
di passaggio, la menopausa, che, in quanto a consistenza critica, tanto gra-
ve e incidente quanto la mestruazione e segna un passaggio di status della
donna, non ha originato speciche cerimonialit e si risolta in atteggia-
menti culturali particolari non sanzionati da interventi ufciali del gruppo.
Una nuova posizione nel collettivo
I problemi toccano evidentemente la donna nella sua propria perso-
nalit provata dalla crisi, ma riguardano anche la sua posizione nella collet-
tivit, che muta profondamente e determina atteggiamenti contrastanti, ora
positivi, ora negativi. Si intende che, in queste note, non vogliamo affatto
toccare lattuale gestione sociologica del problema degli anziani, cos
largamente proposto e avvertito proprio nei suoi aspetti di problematica di
adattamento degli individui che abbiano superato il climaterio, alle strutture
sociali e della promozione di forme di riutilizzo o di tolleranza di essi. Si
tratta, piuttosto, di individuare che cosa tradizionalmente ha costituito nel-
la simbologia culturale la donna che ha superato il periodo mestruale e in
quali forme nella tradizione sono state affrontate e risolte (o non risolte)
le conittualit che, in altro senso, appartengono alla gerontologia e alla
sociologia attuale della cosiddetta terza et. In termini generali le culture ar-
caiche considerano la donna non pi mestruata ritornata a una condizione
analoga a quella della prepubere o non ancora mestruata, liberata, per ci
stesso, dai rischi che sono connessi alla sessualit attiva e principalmente alla
mestruazione. La menopausa, peraltro, avvicina la donna alla condizione
immune della vergine. Non a caso, per dare un primo esempio, gli antichi
cerimoniali magici di difesa rurale dalla pioggia, dalla grandine e dalla tem-
pesta esigevano lintervento di una vergine prepubere o di una donna non
pi mestruata, secondo uno schema gi presente nel Medioevo e tuttora
rilevabile nelle periferie rurali del paese: vergine o donna in menopausa
tracciano contro il cielo minacciante segni di croce a mezzo di un ramo di
palma benedetto la Domenica delle Palme.
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Lanziana e il rito nelle civilt tribali
Il superamento delle cariche numinose connesse alla mestruazione
consente alla donna in menopausa di accedere a particolari ritualit e con-
dizioni che quasi sempre competono, in molte societ, al maschio. In molte
culture africane alle donne fatto rigoroso divieto di avvicinarsi ai ritiri nei
quali, allinterno della foresta, sono reclusi i giovani maschi iniziandi. Per
provvedere ai loro bisogni alimentari, le donne depositano i cibi allinizio di
un sentiero che immette nei campi di iniziazione e non possono varcare tale
limite. Tuttavia le donne anziane operano esse medesime come iniziatrici
allinterno dei ritiri, provvedendo a trattenere fra le gambe i maschi che de-
vono essere circoncisi. Nei casi di clitoridectomia, ai maschi che, in una fase
antica provvedevano alloperazione sul corpo femminile, si sono sostituite,
in molte regioni, le donne in climaterio, la cui azione non comporta lesposi-
zione delle iniziande ai rischi del mestruo. Cosi, nella leggenda dei Manja
(Sudan sud-orientale) si narra che Zoro, il primo anziano che oper la
circoncisione maschile, su richiesta del primo circonciso Baganza, provvide
anche allablazione della clitoride della moglie di lui, ma divenne cieco. Da
quellepoca, loperazione afdata a una vecchia, mentre gli uomini non
possono esservi presenti perch diverrebbero ciechi. La rottura della norma
tabuizzante che tocca frequentemente la donna viene interrotta, dopo la
menopausa, in alcune altre situazioni rituali.
Nel culto dei seggi degli antenati, praticato dagli Ascianti (area atlan-
tica dellest africano) e celebre per gli studi di R.S. Rattray (Ashanti, Oxford,
1923), il cerimoniale, molto complesso, comporta la difesa dal sangue me-
struale, ma lacqua occorrente per le puricazioni trasportata da donne
che abbiano superato la menopausa. Va ricordato che nei tempi antichi
la mestruante che fosse entrata nella Casa dei Seggi era immediatamente
messa a morte. I Toda sono una popolazione del meridione della penisola
indiana (altipiani del Nilghiri) che presenta singolarissime strutture cultura-
li connesse allallevamento dei bovini e alla sacralizzazione del latte e della
mungitura. Lordinazione del sacerdote-lattaio, il palol, esige che il candi-
dato si presenti completamente nudo dinanzi a una donna anziana che gli
d alcuni cibi. Presso i Maori della Nuova Zelanda, nel rito di costruzione
di una nuova Casa Comune, al sorgere della stella del mattino (Ko- pu),
tre donne anziane di buona famiglia e perfettamente sane compivano la
cerimonia detta del calpestare la soglia, a mezzo della quale, ricorrendo
a specici incantesimi, si invitavano gli dei ad allontanare le loro inuenze
nefaste dalla nuova costruzione.
Nella Grecia classica: oracoli...
Questi privilegi, che compensano e accompagnano labbandono e il
disprezzo della non pi mestruata, riappaiono nelle civilt cosiddette supe-
riori. Nella Grecia antica spesso competevano alla non mestruata ufci di
grande impegno sacerdotale. Nelloracolo di Dodona, nel centro dellEpi-
ro, ricavato dai segni e dallo stormire di una quercia consacrata a Zeus, in
unepoca imprecisata i sacerdoti divinatori erano stati sostituiti da sacer-
dotesse (Stratone, VI, 289; Erodoto, II, 5 ss.), dette Peleiadi, il cui nome
secondo Strabone, ha originariamente il valore di vecchie, anziane, venera-
bili. Una recente ricerca di Jan N. Bremmer (La donna anziana: libert e
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indipendenza, in Le donne in Grecia, a cura di G. Arrigoni, Bari, 1985, pagg.
275 ss.) ha posto in luce come la menopausa e la vecchiaia, o lavvicinarsi di
essa, in Grecia costituivano, come in altri ambiti, un mutamento fondamen-
tale del rapporto uomo-donna. La donna acquistava una maggiore mobilit
e libert nel gruppo, poteva uscire di casa e muoversi senza la rigida vigi-
lanza che pesava sulla donna ancora mestruata. In epoca classica le donne
che non avevano raggiunto la menopausa erano quasi recluse in casa ed era
loro vietato rigorosamente di aprire la porta della dimora domestica ai visi-
tatori. Il superamento della condizione tabuizzata dipendente dai rischi dal
sangue e pi genericamente della procreazione, si rietteva in molti aspetti
della vita anche cerimoniale. Le donne, dopo la menopausa, costituirono ve-
rosimilmente un gruppo importante del seguito dei propagatori delle nuove
religioni misteriche nel mondo antico (Menandro, framm. 178 Korte), po-
tevano liberamente partecipare ai riti di Cibele e di Sabazio, strettamente
interdetti alle mestruate.
... e levatrici
Sembra, poi, che la circostanza che spesso esse esercitavano il mestiere
di levatrici dipendesse proprio dal fatto che erano ormai libere dalla possi-
bilit di contaminare la partoriente e di essere a loro volta contaminate. So-
crate, che era glio di levatrice, dice a Teeteto: Spero che tu sappia che le
levatrici non aiutano le altre donne durante il parto no a che sono in gra-
do di concepire e generare gli, ma soltanto quando sono troppo vecchie
per farlo (Platone, Teeteto 149 a ss.). Quindi non a caso la sacerdotessa che
era al servizio di una divinit del parto, quale Ilizia del tempo di Sosipolis in
Elide, doveva essere una donna non pi mestruata (Pausania, 6.202 sss.).
Libere di pronunciare oscenit
Numerose sono le fonti classiche che ricordano limpiego di donne
anziani in riti di puricazione, proprio per gli stessi motivi di esenzione
dalla contaminazione. 11 nuovo status era, inoltre, attestato da altre circo-
stanze: per esempio potevano pronunziare, senza rischi, parole oscene o
compiere gesti osceni, come nel caso della gura della vecchia serva Iambe
del VI Inno omerico, la quale spinge Demetra in lutto a un riso improvviso
pronunziando lazzi quasi certamente osceni; che tali poi appaiono, quando
nei testi posteriori dello stesso mito di Demetra, la gura di Iambe sosti-
tuita da quella ambigua di Baubo, che esibisce alla dea dolente la propria
vulva. Carica di una sessualit come solo residuo di oscenit, la vecchia an-
che carente di una sessualit attiva: forse per questultimo motivo, Odisseo
consente di essere lavato soltanto da esse (Odissea, 19.343 ss.).
Streghe e incantatrici
anche dotata di poteri eccezionali che compaiono pi volte: la Pizia
di Del nella Focide, che aveva un potere oracolare su tutta la Grecia anti-
ca, era una donna anziana ed entrava in trance, mentre gi nellantichit,
e poi per tutto il Medioevo e il Rinascimento, le vecchie assumono aspetto
di streghe e di incantatrici. La storia della donna in menopausa , quindi,
una storia di ambiguit culturali, unambiguit che si manifesta appunto
nella violenza verbale con la quale le vecchie vengono insultate nella poesia
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satirica greca e latina e contemporaneamente vengono esaltate come porta-
trici di sapienza allinterno del gruppo familiare. In questultimo senso va
ricordata la situazione che la donna non pi mestruata, sotto laspetto di ava
o di zia, assumeva nella antica famiglia contadina europea. In Italia a essa
spettava non pi il reggimento economico della casa, ma la trasmissione del-
la sapienza affabulante e del complesso magico- religioso tradizionale.
La donna che aveva superato la menopausa era la narratrice di favole,
trasmetteva le medicine segrete e gli incantesimi, insegnava ai bambini i
principi della religione tradizionale: aveva, cio, quella funzione essenziale
che, posteriormente si dissolta con lo sviluppo della societ post-industria-
le, e con la dequalicazione di ruolo e di signicato della non pi mestruata
e dellanziana.
*Una parte di questo scritto ci era stato inviato dal Prof. Alfonso di Nola, come per altre
pubblicazioni che abbiamo pubblicato su N. Prospettive in Psicologia. Questo scritto, am-
pliato e revisionato, stato anche pubblicato su Riza Psicosomatica, settembre 1998, n. 91,
Edizioni Riza, Milano).
Alfonso di Nola era Psichiatra e Docente di Antropologia Culturale nelle Universit di Roma e di
Napoli. Ha pubblicato numerosi lavori legati ai rapporti tra psichiatria e religione e contesti socio-
culturali (Tradizioni Popolari).
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COSCIENZA / ESPERIENZA
MEDICINA E PSICOLOGIA SUL CAMPO
EMICRANIA DI CARLA E LA FAMIGLIA SMITH*
Collaborazione con studenti in Psicologia (Tirocinanti)
Fausto Agresta, Sabrina Iansante, Maria Antonietta Martelli
(Tirocinanti): Lucia Calo, Sissi Cavaliere, Pamela Gosciola,
Adriano Raffaele Prencipe, Emanuela Sonsini, Giuseppe Zinni
Inizio. Dott. Agresta: Leggiamo la trascrizione sui primi colloqui di
consultazione. Tirocinante (legge il resoconto di una seduta): Primo col-
loquio: emicrania. Mi ha chiamato il pap di una ragazza.... Intervento del
Dott. Agresta: La prima cosa, importantissima che c sempre una novit
tra le modalit di invio, che abbiamo visto possono essere molto diverse, e le
modalit di arrivo nello studio, o meglio dal citofono no allo studio e poi
no allentrata. In tutto ci si esprime il modo di essere di una persona. Sap-
piamo che quando c una nuova terra , un nuovo spazio da attraversare,
quando siamo al conne, regrediamo. Possiamo regredire in tanti modi, o
in eccesso o in difetto. Quindi mettiamo in atto dei meccanismi di difesa che
ci proteggono, ed qui il vantaggio. Per il vantaggio dei meccanismi di
difesa ci scopre rispetto al nostro mondo interno. Immaginate un paranoico
che in genere deve scoprire il nuovo territorio, va unora prima allap-
puntamento; invece lossessivo- oppositivo verr sempre tre, cinque, dieci
minuti dopo allappuntamento, e cerca sempre delle giusticazioni. Quindi
questo un primo passaggio. Poi abbiamo la struttura di personalit che si
manifesta in vari modi; come reagisce la struttura di personalit allevento
nuovo? Per saperlo dobbiamo tenere conto della costanza del setting che
diventa un contenitore, e se il setting siamo noi, insomma il setting diventa
un noi, paziente e terapeuta in campo. E una modalit rispetto al quale
(setting) la persona pi o meno deve adeguarsi, confrontarsi, scontrarsi, ecc.
Anche qui a seconda della struttura di personalit la persona reagisce secon-
do la sua modalit psichica, antropologica, culturale, sociale e familiare. An-
cora di pi oggi quindi dopo i primi dieci minuti si pu fare una diagnosi,
poi i test servono per confermare.
Tirocinante (legge): Mi ha chiamato il pap di una ragazza che pre-
senta sempre il disturbo dellemicrania. Durante il primo colloquio il pap
mi dice che sarebbero dovuti andare a Verona per un controllo anche alla
tiroide per poter escludere una causa organica. Il fortissimo mal di testa
iniziato a Settembre.
Dott. Agresta: Quindi ricevo la telefonata dal pap Gianni, 47 anni (la
moglie Francesca, 42 anni), mi dice che la glia, Carla, quattordicenne, ha
fatto tanti esami clinici ma il mal di testa fortissimo non se ne va, stata in
Ospedale, ora dovrebbe andare a Verona etc.. Linviante era un medico che
si era informato. Io lo rassicuro e dico che se non risulta niente dagli esami
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clinici, quasi sicuramente un problema psicologico. Dato che la ragazza
ha quattordici anni ci mettiamo daccordo che avrei visto tutta la famiglia
insieme. (Noi seguiamo la teoria, tuttavia la teoria pi accreditata quella
dei Sistemi Complessi che deriva dagli studi, del premio Nobel I. Prigogine
e da altri studiosi che fanno appello alla Teoria generale dei sistemi e, quin-
di, alla terapia sistemico familiare). Dopo trentacinque anni di clinica, posso
dire che se prima ero indirizzato pi verso il singolo, adesso parto dal siste-
ma per arrivare al singolo. Si risparmia tempo e si ottengono pi risultati.
Quindi il secondo passaggio la teoria sistemico-relazionale di impostazione
psicoanalitica, seguendo anche il prof. E. Gilliron e, inne, sono arrivato
con il mio modello dinamico- psicosomatico. Importante considerare
lincontro tra il fantasma e il mondo esterno: noi osserviamo e ascoltiamo
quello che linterlocutore ci chiede e sappiamo quello che vive, sente e per-
cepisce a livello inconscio; quindi, in teoria, noi immaginiamo come , cosa
dice e come lo dice, e facciamo delle fantasie su di lui. Quando arriva, passa
la frontiera e c lincontro tra il fantasma e la realt e gi facciamo delle
riessioni. Ad esempio, questo pap non ha citofonato, ma arrivato alla
porta direttamente. Questi sono indizi importanti.
Intervento: Voleva indagare sul suo conto?
Dott. Agresta: Cosa intende? Se una persona non citofona, ma arriva
direttamente alla porta dello studio di un medico, la prima volta, quali ca-
ratteristiche psicologiche ha? Il pap mi ha detto che il portone era aperto.
Ci mi fa pensare che forse ha riettuto chiedendosi perch fosse aperto. Il
citofono non serve solamente per aprire il portone, ma una membrana.
Intervento di un Tirocinante: Per farsi accogliere. Altro Intervento:
Per dare lo spazio.
Dott. Agresta: S, e anche per annunciare allinterlocutore che io sto
arrivando. Questo ha un signicato preparatorio, di rispetto. Quindi ci pos-
siamo chiedere: Che caratteristiche ha linterlocutore a livello di struttura
di personalit?.
Intervento 1: Borderline, perch non ha i conni.
Dott. Agresta: Il nevrotico ha lassunzione del senso di colpa. Nel caso
della persona che citofona, c lannuncio. In generale chi crea lo spazio? Il
nevrotico. Chi non crea lo spazio? Lo psicotico. Quindi tale padre, un po
intrusivo, sempre lui che va avanti, telefona, arriva, inoltre un po perver-
so perch non si arriva in questo modo nello studio, specialmente la prima
volta. Dunque, possiamo raccogliere tanti indizi prima ancora che il cliente
arrivi in studio.
Tirocinante: Durante il primo colloquio il pap mi dice che sarebbe-
ro dovuti andare a Verona per un controllo, anche alla tiroide, per poter
escludere una causa organica. Il mal di testa iniziato a Settembre, mese in
cui la ragazza, Carla, di quattordici anni, si iscritta al quarto ginnasio. Il
padre Gianni, quarantasette anni, fa loperaio specializzato e la madre, qua-
rantadue anni, insegna. Iniziano a parlare del sintomo e della sua forte intensit e
del dolore tanto forte a tal punto da non permettere alla ragazza di poter studiare. La
ragazza in conitto perch vuole raggiungere dei buoni risultati a scuola e
il mal di testa le di grande intralcio. Racconta che prima faceva molte atti-
vit, sei o sette: musica, sport, ballo, teatro, ecc. adesso ha dovuto rinunciare
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a qualche cosa a causa dellemicrania che la colpisce nella parte centrale
della testa e spesso si deve mettere a letto. La madre continua a stare in si-
lenzio mentre il padre ogni tanto prende la parola. Il padre riferisce che c
un problema di cui si dovrebbe parlare.
Dott. Agresta: Il padre mi aveva accennato anche per telefono che
cera un problema di cui mi avrebbe parlato a parte.
Tirocinante (legge): Dice che c un problema, un problema serio e
rivolgendo lo sguardo verso la moglie dice lo vuoi dire tu? chiede un po
anche alla ragazza.
Dott. Agresta: Allora lui dice ancora casomai mia glia esce e par-
liamo da soli. Mi prende un po in contropiede. Poi dice alla moglie vuoi
dirlo tu?.
Tirocinante (legge): Prendo la parola dicendo che sono venuti da
uno psicologo e psicanalista a cui possono parlare senza problemi. Il padre
poi ribatte e dice che non sa se pu dirlo davanti a tutti. E questa volta,
guarda la glia, e lei fa un cenno di approvazione, con la testa. Alla ne de-
cidono di parlare.
Dott. Agresta: Per io, e questo importante, non avevo nessun pen-
siero a riguardo.
Tirocinante: La ragazzina racconta che un anno fa faceva teatro,
allet di tredici anni, ha conosciuto un ragazzo di ventuno anni, il suo
istruttore. Il padre interrompe il racconto e le dice che nel caso, se non se
la sente, pu continuare lui. (E chiaro che bisogna avere tanto rispetto per
queste cose). Io inizialmente chiedo perch tanta preoccupazione... Possono
parlare. La ragazza per riprende la parola dicendo che si sono danzati.
Tra di loro cerano sette anni di differenza. Il padre dice che siccome cono-
scevano la madre del ragazzo, insegnante anche lei, hanno dato ducia ai ra-
gazzi. Il ragazzo insisteva nel voler stare con lei, ma dopo un po si sono resi
conto che aveva dei problemi psicologici. sempre il padre a condurre il di-
scorso. Io chiedo cosa sia successo dopo e di che problema si tratti. Racconta
che un giorno hanno sbirciato nel telefonino della glia e hanno trovato dei
messaggi del ragazzo troppo pesanti, capendo che era stato nella loro casa
e quindi i due ragazzi erano stati insieme. Non ho chiesto che signicava
stare insieme.... Hanno continuato a raccontare e hanno detto che hanno
contattato il ragazzo e gli hanno dato un appuntamento per poter scambiare
con lui quattro chiacchiere.
Dott. Agresta: Lappuntamento era in un luogo fuori casa.
Tirocinante: Ho messo a fuoco quanta paura avessero i genitori di
questa relazione. Prendo la parola e dico che il comportamento poteva
prendere unaltra piega e che la differenza di et non comporta nessun
problema. Il padre ammette di aver sbagliato, la ragazza dice che dopo que-
stevento, quando stava a casa le mancava laria e aveva pensieri suicidi. Cos
chiedo, rivolgendo lo sguardo verso la madre, se i ragazzi avessero avuto dei
rapporti sessuali.
Dott. Agresta: Non proprio cos, non riuscivo a capire, io avevo so-
speso il giudizio. Poi, si fa capire di pi ed io faccio questa domanda esplici-
ta ci sono stati, in generale, dei rapporti sessuali?.
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Tirocinante: La ragazza ammette in tutta tranquillit mentre la madre
nega. Il padre dice che avrebbe voluto denunciare il ragazzo e la madre del-
la ragazza risponde che una minorenne. Rivolgendomi alla ragazza dico
come mai hai infranto le regole della famiglia a soli tredici anni?.
Dott. Agresta: A voi studenti del Tirocinio dico che questo un punto
importante... E cosa centra questo con lemicrania?.
Intervento 6: Forse la ragazza non ci vuole pensare.
Dott. Agresta: Se lemicrania data dalla rimozione e dallo sposta-
mento, noi facciamo la strada allinverso. Ecco dunque lemicrania dal pun-
to di vista della famiglia psicosomatica.
Tirocinante (legge): Come mai hai infranto le regole della famiglia
a soli tredici anni? Se non sei grande devi essere protetta. Evidentemente in
questo caso la protezione non ha funzionato.
Dott. Agresta: Perch una ragazza di tredici anni fa lamore con un
uomo di ventuno anni dentro casa sul letto di famiglia? Questa domanda
interessa lo psicologo. Perch lo ha fatto? Cera comunque una complici-
t. Laggressore e la vittima si cercano. Il ragazzo avrebbe potuto tenere le
distanze visto che la ragazza minorenne, e se fosse stato ancora pi sano
avrebbe potuto dirlo al padre di lei, se fosse stato un vero istruttore che
deve proteggere i minori. Proprio come un professore della scuola. Con i
minorenni bisogna essere molto attenti. Quindi c un problema della glia,
ma c un problema anche nel ragazzo. pi grave il ragazzo della ragazza?
La trasgressione stata fatta a casa della ragazza, del padre e poi il padre
gli parla fuori dalla casa. Il ragazzo entrato in casa ed ha ucciso il padre
simbolicamente, e il padre andato ancora fuori. Invece il padre avrebbe
potuto chiamarlo e farlo entrare in casa in quanto questo ha un signicato
simbolico diverso, come quando una persona viene chiamata dal tribunale,
un segnale di autorit. E come se avesse dimostrato che non ha autorit.
Tirocinante (legge): Piano piano ho spostato il problema ed ho chie-
sto se avessero seri problemi di coppia. Hanno negato.
Dott. Agresta: Ho detto ma voi, pensate di avere dei problemi di cop-
pia?, E Rispondono: No

.
Tirocinante: E la ragazza dice che litigano spesso. Il padre chiede che
cosa avrebbero dovuto fare, se chiamare i carabinieri o meno.
Dott. Agresta: I genitori si erano danzati da adolescenti, una vita per
cos dire normale, in un paesino nella provincia. Poi si sono sposati, lei ha -
nito gli studi, si laureata e insegna e lui fa loperaio specializzato. Sia luno
che laltro avevano dei problemi. La madre non dormiva e aveva problemi
alla tiroide. Il padre soffriva di epatite C da tanto tempo, forse causata da un
dentista quando era giovane, quando aveva circa diciotto, venti anni. Quindi
c questo vissuto di lui e questo stato psicosomatico della madre. Quindi
lemicrania si inserita da parte della ragazza nel momento in cui doveva
lasciare la famiglia per andare a scuola in una cittadina vicino. Il primo
colloquio grossomodo questo. Dunque a questo punto lo psicologo cosa
dovrebbe fare?.
Intervento: Io vedrei la ragazza alla seduta successiva, senza i geni-
tori.
- 74 -
Dott. Agresta: lo stesso errore che facevo io quaranta anni fa. Poi mi
sono spiegato il perch: prima di tutto perch non ero stato formato a vede-
re le famiglie subito, e secondo perch avevo paura della famiglia. In questo
modo faccio un acting. Conittualizzo il problema sulla persona quando in-
vece il campo allagato e dovremmo prima prosciugare un po. Limpianto
metodologico quello di vedere almeno quattro o cinque volte la famiglia,
no a quando non si denisce il problema. I colloqui di consultazione dura-
no quattro o cinque volte. In casi eccezionali gravi ne ho fatti anche di pi.
Poi, se sono daccordo i genitori e se il caso, si fa la cosiddetta terapia in-
tegrata che quella dellapporto della famiglia con un terapeuta, un paio di
volte al mese a seconda delle necessit e la terapia individuale per il paziente
sofferente, designato, almeno per i bambini e i giovani. Quindi non si fa il
colloquio singolarmente. Perch?.
Intervento: Perch si analizza il problema soltanto su un elemento
della famiglia e quindi automaticamente il resto del sistema continua a se-
guire la stessa linea.
Dott. Agresta: Abbiamo tanti elementi e dunque ho bisogno, nella
pratica clinica si fanno quattro cinque colloqui, tutti i maggiori esperti dico-
no che cos, per denire il problema principale. Se agiamo sullindividuo,
la teoria del sistema si viene a perdere.
Intervento: Mi viene da pensare che se come prima scelta stato ri-
chiesto a tutta la famiglia di venire al primo colloquio, poi fare un colloquio
individuale con la glia sarebbe comunque andare in contrasto con la prima
decisione.
Dott. Agresta: Quando si sceglie una teoria di riferimento, bisogna
portarla no in fondo. Quindi o vedete il paziente sempre da solo o con la
famiglia.
Tirocinante 2 (legge gli interventi): Questa violenza carnale perch
tra labusato e labusante ci sono sette anni di differenza. Tirocinante: La
ragazza dice di essere stata consenziente. Tirocinante 2: Se il ragazzo aves-
se avuto sedici anni non si congurava come violenza carnale. In questo caso
siccome ci sono sette anni di differenza per la legge violenza carnale. Ti-
rocinante: Il problema infatti che lui ha ventuno anni, ovvero che mag-
giorenne e che la ragazza minorenne. Ho chiesto del padre del ragazzo e
mi riferiscono che deceduto. Ho dovuto fare un lavoro trigenerazionale.
Ho detto che lideale sarebbe stato fare una terapia familiare psicanalitica.
Mi hanno chiesto cosa signicasse ed io ho spiegato che il problema insito
nella famiglia in quanto la ragazza ha infranto le regole e quindi bisogna
capire perch lo ha fatto. I genitori ribadiscono di essere stati rigidi e io dico
che signica rigidi? Dipende da quello che si fa proprio e non da quello
che si racconta. Il problema sta nel capire perch la ragazzina si comporta
come un adulto. La ragazza ha portato il suo ragazzo in casa quando i suoi
genitori non erano presenti. La paura edipica non esiste in questa ragazza.
Dott. Agresta: Immaginate un bambino che viene educato attraverso
i giusti sensi di colpa, e questo da una parte tramite la religione e dallaltra
tramite la famiglia e la societ, e che questi, i sensi di colpa, sono introiettati
per equilibrare il comportamento. Quindi in questo caso, qualcosa non ha
funzionato.
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Tirocinante: Mancava lultimo tassello ovvero risolvere i problemi fa-
miliari. Dico che non avrei potuto seguirli prima di quattro cinque incontri
di consultazione e chiedo se sono daccordo.
Dott. Agresta: Quindi prima si denisce se proseguire con i colloqui.
Non bisogna convincere o forzare, ma bisogna essere chiari. Se vanno via, io
accetto il riuto.
Tirocinante 4: Il padre e la ragazza annuiscono, la madre rimane in
silenzio. Io mi rivolgo a questultima e mi risponde che non lo sa. Continuo
dicendo che siccome non ci sono grossi problemi di coppia il mal di testa
il sintomo di un problema familiare. Il marito mi dice che la moglie ha un
problema in realt, cosha?, ha un problema alle ghiandole che non le
salivano sempre e non sa se qualcosa di immunologico o neurologico. Va
da due anni dal neurologo, prende degli ansiolitici per le ghiandole e un
antidepressivo per dormire. Evidentemente c un problema famigliare pi
profondo. [] La ragazza poi entra in conitto con il problema sessuale.
Nel maschio c limpotenza, mentre nella femmina c un conitto pi
culturale. Rivolgendomi alla madre dico che, in questo caso la glia ne
risente, anche del suo stato psicosico e che si sarebbero dovuti fare i primi
quattro incontri familiari, eventualmente poi procedere con una terapia di
coppia di due volte al mese. La donna risponde che lei non crede al fatto
che del suo malessere ne pu risentire la glia. Io rispondo tranquillizzan-
dola che il mal di testa della glia non una malattia, ma un sintomo. Li
congedo dandogli appuntamento per il sabato successivo. Sono daccordo.
Intervento: Io non ho capito cosa ha risposto la ragazza quando lei le
ha chiesto perch ha trasgredito alla regole della famiglia.
Dott. Agresta: Non ricordo esattamente, per io non ho chiesto per-
ch hai trasgredito alle regole di famiglia?, ho detto c stata una trasgres-
sione alle regole di famiglia, ed era una riessione interpretativa. Altrimenti
sarebbe stata unintrusione. Il problema sopratutto che altre persone sono
venute a saperlo. Dunque il dramma di questa ragazza questo. La sua
trasgressione non gli valsa una multa da pagare, sembra una multa a vita.
Come mai questa ragazza non ha previsto le conseguenze, la punizione?
Intervento: Evidentemente li voleva proprio ferire, una forma di
ribellione.
Dott. Agresta: E perch li voleva ferire?.
Intervento: Forse perch una vita troppo piena di regole.
Dott. Agresta: Le nostre supposizioni per vanno vericate.
Intervento: Forse pi nei confronti del padre che le sta addosso, che
non rispetta i conni della glia.
Intervento: Per anche la madre, che non crede che lemicrania della
glia sia dovuta anche ai suoi problemi.
Intervento: Non accetta il fatto che la glia vuole crescere, perch c
una negazione in atto mia glia non ha fatto niente.
Intervento: S, per se il padre considera la glia come una dan-
zatina, la glia se ne trova un altro di danzato, proprio per evidenziare il
distacco.
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Dott. Agresta: Quindi stiamo parlando dellEdipo! Bisogna indagare
sullEdipo. Loro sono in tre, quindi si sta parlando di un Edipo familiare.
In un altro colloquio il padre nalmente rimprovera la glia che non puliva
mai. Comunque alla ne dei quattro colloqui il padre mi disse ma tutto
questo tempo ci vuole? Io gli avevo detto sei mesi per iniziare...vengono da
lontano, ecc. E poi ancora: ma mica noi possiamo afdare nostra glia ad
una persona qualsiasi. Quindi si tratta di un padre intrusivo, controllore,
paranoico.
La famiglia ha accettato ed hanno iniziato una terapia di coppia psica-
nalitica con la Dott.ssa Iansante, e la ragazza viene seguita individualmente.
Gi dal secondo colloquio che hanno fatto con me, il mal di testa non si pre-
sentava pi tutti i giorni, ma una volta alla settimana, e adesso la ragazza il
mal di testa non ce lha pi, quindi tornata a scuola. Fu allinizio dellaltro
anno che riut di andare a scuola e aveva interrotto le attivit.
Intervento 5: Ma la ragazza ancora danzata?.
Dott. Agresta: No, nita allora, ma il problema che deve risolvere
il grave conitto edipico. La ragazza, con questi problemi intrapsichici, ha
il mal di testa cronico fortissimo che esprime una sofferenza data dal mal di
testa che un sintomo funzionale. Ora non prende pi i farmaci. Pensate
che il mal di testa era invalidante per la famiglia. La madre invece, insegnan-
te, non poteva parlare. Adesso come sta?.
Dott.ssa Iansante: Lei non ha pi parlato dei suoi sintomi sici. Lul-
tima volta che li ho visti erano tornati dalla crociera e il clima era molto
migliorato, ed hanno anche detto di aver lasciato molto pi libera la glia.
Abbiamo affrontato anche il discorso del sonnambulismo. Io ho spiegato
loro che il sonnambulismo e lemicrania hanno un signicato molto simile
e che quindi c una pressione da parte loro verso la glia. Probabilmente la
glia si sentiva talmente tanto pressata da non poter nemmeno permettersi
di sognare, e col sonnambulismo metteva in atto un pensiero che non riusci-
va a sognare.
Dott. Agresta: Il vantaggio delle cure che facciamo noi quello del-
lanalisi dei sogni che permette di andare in profondit. Attenzione: solo se
non ci sono problemi organici, il problema si risolve bene.
Intervento: Io volevo aggiungere qualcosa su ci che ho detto prima
quando sostenevo che avrei rivisto la ragazza da sola al secondo colloquio, io
ho pensato che la ragazza non avrebbe parlato in presenza dei genitori.
Dott. Agresta: Ma i genitori lo sanno, ha perso la verginit e appunto
perch era un fatto grave, risaputo, io dovevo vericare se era vero questo
fatto nel senso emozionale. Quando il padre mi ha detto che forse era me-
glio che la glia uscisse dalla stanza di consultazione, ho pensato che intanto
se si fa una terapia familiare, non si pu entrare e uscire in questo modo.
Se la ragazza fosse uscita, noi avremmo parlato di lei in termini morali, etici
e questa non era la sede per farlo. Invece dando la possibilit di aprirsi di
fronte ad uno psicologo mi sembrava di dare diritti a tutti quanti. Quando la
ragazza sarebbe rientrata, io cosa le avrei detto?.
Intervento 7. Forse la ragazza poteva pensare che il terapeuta si fosse
alleato con i genitori.
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Dott. Agresta: Brava, e questo non deve succedere mai, perch i bam-
bini e gli adolescenti tendono sempre a pensare che c alleanza tra adulti.
Al limite avrei chiesto di parlare da solo con la ragazza chiedendole il con-
senso, ma dopo altri colloqui. Oppure, se lo avesse chiesto la ragazza, ecc.
Ma io non devo per, allearmi con la glia per mettermi contro i genitori.
Questo no, io devo dire alla glia il mio lavoro quello di aiutarti, i tuoi
genitori sono qui davanti e sono i tuoi genitori. Anche se un po sono dalla
sua parte, perch i genitori hanno avuto questi problemi e stanno cercando
una risposta per affrontare la situazione. Bisogna dire espressamente che la
colpa non di nessuno, riguarda la storia familiare.
PRIMA SEDUTA
Siamo alla prima seduta di un contratto terapeutico che durer sei
mesi ...rinnovabile. Gianni sembra sempre dare limpressione che non ci
siano problemi mentre Francesca, mostrando unespressione di insoddisfa-
zione, inizia a raccontare un episodio, avvenuto la settimana precedente,
durante il quale, a causa di unincomprensione, hanno litigato. Tale raccon-
to porta ad una lunga lamentela di lei nei confronti del marito. [Dal punto di
vista della comunicazione, lepisodio che viene narrato mette in evidenza unintera-
zione simmetrica, poich ognuno rimane nella propria posizione]. Francesca ritiene
di avere una forma mentis differente dal marito e questo porterebbe ad
incomprensioni continue (Gianni non riesce a capire, a volte, quello che
voglio dirgli, per cui io mi arrabbio).
T.: Signor Di Rossi, rispetto a ci che dice sua moglie lei vuole dire
qualcosa?
D.R.: Io cerco di dimostrare la disponibilit attraverso le cose prati-
che. A volte, quando Francesca torna a casa, se ha avuto diversi impegni, le
faccio trovare tutto a posto. Quando litighiamo, spesso, non riusciamo ad
incontrarci a causa di posizioni differenti. [La punteggiatura di Francesca
sul marito mentre Gianni ritiene che la conittualit nasca dalla loro incapacit di
trovare un punto dincontro]. Francesca prosegue dicendo che il fatto che tra
loro non ci sia intesa la fa molto arrabbiare anche se poi cede e la rabbia
se la tiene dentro. [Sempre a proposito di punteggiatura Francesca identica la
propria rabbia come una risposta allatteggiamento del marito che non riesce a capi-
re; Gianni, dal canto suo, si sforza di essere disponibile con la moglie, anche se le sue
iniziative non sembrano soddisfare le richieste di Francesca].
Faccio notare che questo loro modo di affrontare il conitto produce
un senso di impotenza sia per Francesca (cedo e mi tengo la rabbia den-
tro) che per Gianni (si sente squalicato dalla moglie). Poi, Gianni cerca di
recuperare rendendosi disponibile e Francesca, dopo aver ceduto, fa nta di
niente. Non c un evitamento del conitto, in senso stretto, ma sicuramen-
te un evitamento di un confronto costruttivo, poich le loro discussioni sono
tuttaltro che costruttive in quanto, alla ne, ognuno rimane con il proprio
malessere. Francesca dice che spesso litigano per motivi futili ma cosa vo-
gliono dirsi veramente? Perch (per usare un termine sistemico-relaziona-
le ) non riescono a metacomunicare (andare oltre il futile e motivo e parla-
re di loro, delle loro emozioni?). Entrambi riettono e iniziano a raccontare
le loro origini, il loro essere stati gli per poter oggi dare unidentit al loro
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essere genitori. Francesca, comunque, dimostra una maggiore disponibilit
a parlare di s e della sua famiglia rispetto a Gianni che sembra mostrarsi
pi timoroso. Gianni riette sul suo modo di recuperare e ci lo riporta
alla sua famiglia di origine, dove si parlava poco perch la madre, bracciante
agricola e il padre, operaio, dovevano pensare a lavorare per crescere tre
gli. Francesca parla, a sua volta, della propria famiglia. Secondogenita di
tre gli, la madre, insegnava, mentre il padre era segretario in una scuola.
Le regole in questa famiglia erano molto rigide e Francesca ricorda di avere
avuto sempre poca libert. Quando aveva 10 anni si sono trasferiti in una
casa in campagna, a distanza di qualche chilometro dal paese, per cui, an-
che nelladolescenza, Francesca non poteva uscire mai. Racconta che per la
sua famiglia sono sempre state importanti le apparenze e quando ha cono-
sciuto Gianni gli incontri avvenivano grazie alla madre che la accompagnava
in paese e le permetteva di fare una passeggiata di unora e poi la riportava a
casa. Quando si iscritta allUniversit ha alloggiato presso una famiglia per
essere tenuta sotto controllo.
SECONDA SEDUTA
C un clima pi rilassato ed sempre Francesca a prendere, per
prima, la parola. Parla della glia Carla che dovr decidere se continuare a
frequentare il liceo classico o cambiare scuola e si torna a parlare del sin-
tomo (emicrania), argomento sul quale la coppia si attiva particolarmente,
attraverso una dinamica relazionale che permette un avvicinamento tra i
due coniugi: Francesca si colpevolizza denendosi molto ansiosa e timorosa
che questa sua ansia possa inuire negativamente sulla glia, mentre Gian-
ni, in questa situazione, pu nalmente dimostrare di essere un uomo sul
quale moglie pu contare e cercando di rassicurarla, si mostra disponibile a
sostenerla.
Tirocinante: [Che signicato pu assumere il sintomo di Carla rispetto alla
relazione tra i propri genitori?]. Faccio notare a Gianni e Francesca che il sinto-
mo li avvicina e, probabilmente, li distoglie da eventuali problemi e/o con-
itti tra loro. Sembrano sorpresi ma non commentano. Li lascio riettere e
nel frattempo cerco di esplorare il quinto livello del nostro modello (Agre-
sta F., 1997; 2010), chiedendo se ricordano qualche sogno. Gianni mi dice
di ricordare un sogno di 20 giorni fa. Stavo guardando qualcuno che correva e
alcune persone lo rincorrevano, erano in divisa, anchio mi sono messo a correre per
capire cosa stesse succedendo poi guardo un po meglio e mi accorgo che i soldati lo
hanno preso e che sono io.
Venti giorni prima erano niti i primi quattro colloqui e Gianni aveva
accettato un percorso terapeutico soprattutto per sostenere la moglie ma,
forse, ha paura di essere catturato. Mi dice che nel sogno era successo
qualcosa e che gli uomini in divisa erano armati. Gli ricordo che 20 giorni
fa successo qualcosa nella realt: abbiamo deciso di iniziare la terapia ed
egli esplicita la propria difcolt rispetto alleventualit di ripercorrere la
sua storia. Francesca ricorda un unico sogno successivo al primo colloquio
con il dr. Agresta. Stavamo in una stanza grande, io, mia glia e mio marito, io
e mia glia davanti e mio marito dietro, dalla vetrata arrivavano cristalli di neve
e io e mia glia riuscivamo a prenderli . poi iniziato un vento forte, cera un
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lampadario (della nostra stanza da letto) che ondeggiava, io mi sono spaventata e ho
detto a mio marito che mi cadeva addosso e lui mi diceva di stare tranquilla, non
successo niente e siamo usciti tutti e tre da questa stanza. Francesca: questo sogno
stato molto piacevole e lho fatto dopo il primo colloquio con il dr. Agresta
che mi aveva detto che dovevo dare pi ducia a mio marito. Nel sogno mio
marito mi tranquillizza e succede anche nella realt ed per questo motivo
che, come dice il dottore, dovrei dargli pi ducia e coinvolgerlo di pi nel
rapporto con nostra glia.
*Due sedute per studiare e partecipare a questa esperienza. Appena dopo lintervento della Dott.ssa
Iansante, ci sar il contributo specico della Dott.ssa Maria Antonietta Martelli, psicologa e Terapeu-
ta della ragazza, col contributo dellanalisi dei sogni e dei sintomi, che sar pubblicato nel prossimo
numero 49.
Fausto Agresta, psicologo, psicoterapeuta e psicoanalista di gruppo. Gi docente Universi-
t di LAquila e Chieti. Ha insegnato allIREP (Dir. E.Gilliron: Roma). Didatta e Docente
allIPAAE (Pescara) e alla SIPSI (Roma). Coordinatore SIMP e Direttore del CSPP (Centro
di Psicoterapia Psicoanalitica e Psicosomatica) di Pescara.
Sabrina Iansante, psicologa, psicoterapeuta sistemico- familiare con formazione analitica.
Membro del CSPP, Pescara, e della SIMP. Redazione Rivista.
Maria Antonietta Martelli, psicologa, psicoterapeuta con formazione analitica. Specializ-
zanda SIPSI Roma. Membro del CSPP e della SIMP. Redazione Rivista.
* Indirizzo: Via Bologna, 35 - 65121 Pescara
- 80 -
XIII GIORNATA BALINT PARMENSE
MONASTERO DI SAN GIOVANNI, PIAZZA SAN GIOVANNI, PARMA
22 SETTEMBRE 2012
AUDI ET INTUERE
Andrea Mosca
La Sezione Parmense della SIMP, Coordinata dal Dott. Antonino Mi-
nervino, anche questanno, ha organizzato, con grande attenzione e profes-
sionalit, la XIII Edizione della Giornata Balint.
Parma, Abbazia di San Giovanni: lo scenario (il quadro o il setting)
suggestivo ed esercita una fascinazione che ha qualcosa di inspiegabile;
come quella che sortisce dalla perfetta aderenza tra Arte e Cultura. Labba-
zia, affrescata dal Parmigianino, fu voluta da Stefano Cattaneo da Novara,
un abate saggio e ribelle che si scontrava, spesso, con le autorit ecclesiasti-
che perch predicava il dialogo tra i cristiani e il mondo musulmano.
Sulle volte i simboli religiosi si intrecciano agli insegnamenti del
mondo antico, e le massime latine e greche si alternano a quelle arabe ed
ebraiche. E non si pu nascondere che un certo sospetto sulla confusione
tra le lingue poteva essere fondato, alimentando rapinosi dubbi tra quanti
sono incapaci di tollerare lambiguit o sopportare di non poter capire, gi
da subito. La lingua del medico e quella dello psicologo; lo psichiatra e lo
psicanalista. Il medico che diventa il suo paziente e parla proprio come lui;
parla al gruppo dei partecipanti, cio al corpo-gruppo, in una lingua no ad
allora sconosciuta.
Ma cosa successo? Calma e gesso. Latmosfera mistica ma nessun
miracolo. Su una volta dellabbazia si pu leggere uniscrizione che rap-
presenta una sorta di testamento spirituale dellabate: AUDI ET INTUERE.
Ascolta e rietti. un piccolo sollievo: lo spirito Balint, che gi dai primi
anni 60 ha viaggiato da Sils-Maria, nellEngandina, no al monastero be-
nedettino di Parma, ben conservato, e il 22 settembre 2012 riceve il suo
ennesimo battesimo proprio in unabbazia. Il sigillo sulla continuit stato
apposto dal Professor Klaus Rohr, che non poteva mancare allappuntamen-
to. Il Maestro che tace, che ascolta e riette.
A Parma non veste i panni del conduttore di gruppo. Ma pi che los-
servatore, lui il garante del monito audi et intuere, con quella gentilezza
espressiva che gli appartiene.
Viene riferito che la sera prima, in un incontro riservato ai Conduttori
e ai co- conduttori, il Dott. Minervino, ha conversato con il Dott. P. Parietti e
col Dott. Rohr, seguendo una traccia gi delineata con una celebre Intervista
cn un noto Personaggio. Fu questa una intervista, che il dott. F. Agresta e il
Dott. Minervino- cos levento - fecero a Rohr, ad Ascona, in uno dei grandi
Incontri di G. Balint, nel lontano 1986. Lintervista fu pubblicata sulla Rivi-
sta Prospettive in Psicologia in quellanno, mentre levento nuovo sar pub-
ABBIAMO RICEVUTO
- 81 -
blicato a cura di A. Minervino tra qualche mese. Veniamo a noi.
Il Gruppo Balint, com noto, un gruppo costituito da 10-12 parte-
cipanti (soprattutto medici e psicologi) incentrato sulla discussione di casi
clinici presentati dai membri. Lo scopo esplicito la chiaricazione del
rapporto medico-paziente o psicoterapeuta-paziente, ma implicitamente si
sottintende anche un processo di maturazione dei partecipanti, quel picco-
lo ma signicativo cambiamento che porter il medico (o lo psi) a modi-
care, almeno parzialmente, le sue strutture caratteriali, cos da diventare un
po diverso in quanto curante.
Ma ancora valido tutto questo? Cosa spinge, una mattina di ne
settembre, la sezione parmense, quella pescarese (numerosissima) e quella
orentina ad ingaggiare discussioni liberamente uttuanti sui casi? Perch
Klaus Rohr e Piero Parietti hanno ancora spirito da ardere per la formazio-
ne? Sar il solito Balint. Sar proprio il solito Balint?
La domanda del Maestro Rohr ad introduzione dei lavori stata per
certi versi spiazzante e quasi stucchevole: ancora utile fare i Gruppi Ba-
lint nel 2012?. Ma come? E allora le cose sono due: o ci immettiamo nel
usso perentorio del tempus fugit e ci arrendiamo a quella dolce nostalgia
del tempo che fu (cera una volta in Svizzera), o la domanda di quelle un
po retoriche a cui si risponde da bravi scolari con un s. Dov lequivoco?
Ma, soprattutto, come se ne esce? In fondo, alcune questioni possono anche
rimanere inevase, almeno per un po, e il Gruppo Balint anche a questo ser-
ve, a tollerare lincertezza con meno frustrazione. Ma non questo il punto.
Porsi questa domanda signica assumersi la responsabilit di essere
recettivi e responsivi, signica aderire al ruolo evitando i pericolosi crogio-
lamenti dei curanti. Chiedersi sempre cosa si sta facendo e perch.
In realt formazione psicologica vuol dire comprensione delle richie-
ste inconsce del paziente e delle risposte ugualmente inconsce del curante;
in altre parole e cercando di fare meno confusione possibile tra le lingue
del rispettivo transfert e controtransfert. E questo, oltre che da Balint, lab-
biamo imparato soprattutto da Michel Sapir, il commesso viaggiatore della
psicosomatica.
Non era affatto casuale che Sapir desse molta importanza al clima
emotivo del gruppo. Non pensava solo al paziente in discussione, ma faceva
in modo che anche i membri del gruppo lavorassero bene, ma soprattutto si
trovassero bene assieme. E tutto questo permetteva quella regressione fun-
zionale allemergere di un calore e una spontaneit particolari. Gi, perch
sta in questo lunicit del Gruppo Balint: permette di riettere su unespe-
rienza proprio mentre la si vive.
Ma la vera difcolt sta nella riluttanza del medico (soprattutto) ad
affrontare in prima persona la formazione psicologica, e ci dipende spesso
anche da un riuto profondo a mettere in crisi il proprio modo di essere
medico, di esporsi ai possibili attacchi del gruppo e alle fantasticate critiche
del conduttore. Senza tralasciare il pericolo del falso Self che attanaglia
alcuni psicoterapeuti che sanno tutto e pensano poco, che patiscono lo
strappo tra il dato mentale e quello affettivo, in alcuni casi ancor pi dei
loro stessi pazienti.
Stefano Cattaneo da Novara, che volle fortissimamente la costruzione
dellabbazia, predicava il dialogo tra mondi diversi e apparentemente in-
- 82 -
conciliabili. Adesso chiamiamola pure coazione a ripetere o compulsione
alla ripetizione, freudianamente; oppure, chi si sente un po pi losofo e
nichilista invochi leterno ritorno delluguale. Certo che lo psicoanalista
che si mette ad indagare una malattia organica e si rivolge a colui che tocca
con mano, cio al medico, pu apparire quanto meno discutibile. In effetti
proprio cos, due mondi diversi si incontrano e/o scontrano in un gruppo
Balint.
Ma accade che ogni psichiatra, man mano che la sua formazione pro-
cede, si allontana dal corpo e d risonanza proprio al non toccato, cio al
mentale. Come si pu comunicare tra due tecnicit cos diverse? E qui Sapir
ci d una bella mano: lanalista psicosomatico, se vuole evitare la trasgres-
sione, non sinteressa alla malattia organica se non in modo fantasmatico.
Il suo ruolo consiste pi che altro nel formare delle personalit che, grazie
allacquisito senso del rapporto, possono maturare una maggiore libert
di fantasmazione. Tuttavia, tempus fugit, e anche i gruppi Balint (che prima
erano ad esclusivo appannaggio dei medici) cambiano. Psichiatri, psicologi,
medici, assistenti sociali, infermieri, insegnanti e anche studenti. Non pi
due, ma tanti mondi si incontrano. Tante lingue, come quelle trascritte
sulle volte dellabbazia. E allora, come gi accadde negli anni 70 e 80 in
Svizzera, soprattutto nelle facolt di Ginevra, di Losanna e di Basilea, si ri-
propone il dilemma: insegnamento o formazione?
I conduttori (Piero Parietti, Fausto Agresta, Antonino Minervino gen-
tilissimo ospite Antonio Suman, Piero Martellucci) e i co-conduttori (tra le
prime, la dott.ssa Annamaria Rotondo), hanno delineato due obiettivi che
potremmo dire complementari. Da una parte c una sorta di propaganda
informativa che di fatto si traduce in sensibilizzazione; dallaltra, c il com-
pito della coesione e degli scambi di vedute tra leader e co-leader.
Gran parte dei partecipanti sa che tutti i casi trattati hanno attinenza
con la psicologia, perch, giocoforza, c in ballo un rapporto e una relazio-
ne, sempre e comunque. Di conseguenza, soltanto chi trova il coraggio di
riconoscere la propria stupidit comprende che la psicologia non si inse-
gna, ma che si tratta al contrario di un atteggiamento personale che soltanto
una formazione potr sviluppare.
In gruppi diventati cos eterogenei, ci sono necessariamente incontri e
scontri, in ragione del fatto che ciascuno ha la sua tecnica. Il ruolo del lea-
der costituisce un fattore essenziale ma delicato. Non facile riuscire, allo
stesso tempo, ad essere non didattico lasciando che vengano commessi
degli errori e insieme non essere frustrante a causa del proprio silenzio.
necessario calibrare il gradiente di direttivit, anche a seconda del micro-cli-
ma che si respira nel gruppo.
Ci che importa, prima di tutto, riuscire a valutare le emozioni e i
sentimenti suscitati nel terapista dal paziente, al ne di non esprimere le
emozioni tramite lazione.
Tuttavia, Balint era solito dire che non si dovrebbe formare nessuno
ad una forma edulcorata di analisi; e non ci si dovrebbe perdere in cose ge-
neriche circa la psicopatologia e la psicodinamica, ma concentrarsi sempre
su un caso concreto in una situazione hic et nunc.
Bene, restiamo sul caso; stiamo sul pezzo. E allora accade che allom-
bra degli affreschi del Parmigianino uno di noi ha lardimento di esporre il
- 83 -
suo caso, e gi per questo meriterebbe un plauso. Potremmo dire che si pre-
gia di raccontare il caso davanti ad un supervisor deccezione. Gli occhi del
curante sono un po evitanti, pescano le idee in un usso che non ci dato
sapere. giusto cos. Tu non devi sapere tutto diceva Balint. Massimo ri-
spetto. Poi il conduttore rompe gli indugi e chiede: Ma lei e la sua paziente
vi guardate mai negli occhi?. Ecco la cosa pi semplice del mondo; proprio
per questo, la pi difcile. E si vede che da quel momento in poi devessere
successo qualcosa di particolare, perch il curante ha iniziato a guardare il
gruppo, ivi incluso il suo conduttore, ad appassionarlo e a coinvolgerlo. Con
occhi meno misteriosi.
Maestro Rohr, ha ancora senso fare il Gruppo Balint nel 2012? Grazie
per questa domanda.
Il Gruppo Balint ha una sua ragione di sopravvivere e distituirsi no
a quando sar utile. Fino a quando preserver la sua ratio, che racchiusa,
come un segreto, in quel piccolo ma signicativo cambiamento della per-
sonalit. Perch lagio che deriva dal rimettersi a lavoro dopo un gruppo
Balint indiscutibile. Forse, la sedia un po pi comoda e si sta meglio.
Fanno bene gli sforzi per ascoltare e per capire. E magari, a poco a poco,
perch no, ad alcuni lauspicio di Thomas Ogden non sembrer pi un mi-
raggio e tantomeno minaccioso: essere in grado di diventare il curante di cui
ha bisogno il paziente.

Psicologo, Specializzando in Psicoterapia analitica - Responsabile Redazione e membro
del CSPP Pescara.
Indirizzo mail: andreamosca84@virgilio.it

- 84 -
PROSPETTIVE IN LIBRERIA
In Libreria la nuova pubblicazione scientica di
FAUSTO AGRESTA
IL LINGUAGGIO DEL CORPO IN PSICOTERAPIA
Glossario di Psicosomatica
(Prefazione: Piero Parietti)
Alpes Italia, Roma: I Edizione, marzo 2010, pagg. 272; Euro:19,00
Il linguaggio del corpo in psicoterapia: Libreria Edison, Pescara: Presentazione Libro di F. Agresta
il 20 giugno 2010. Da sin: Franco Farias, M.V. Costantini, F. Agresta, E. Faretta. e P. Parietti.
DALLA PREFAZIONE di Piero Parietti
La psicosomatica una disciplina dai signicati ambigui e dalle attribuzioni molte-
plici e spesso apparentemente antitetiche. Il collega Fausto Agresta uno studioso
serio ed appassionato che ha preso sul serio la psicosomatologia diffondendone la
conoscenza e cercando di strutturarne, per quanto possibile, i concetti esplicativi,
sia nellambito della propria attivit professionale di docente e di psicoterapeuta
individuale e di gruppo, sia nel contesto della Societ Italiana di Medicina Psicoso-
matica quale organizzatore di Corsi, Convegni, come Coordinatore della Sezione di
Pescare e di responsabile dell

area di attivit degli Psicologi. per anche lautore
di pubblicazioni interessanti ed originali di cui gli esempi pi signicativi sono, a
mio parere, il testo pubblicato nel 1997 Malattie Psicosomatiche e Psicoterapia
Analitica e la rivista semestrale Nuove Prospettive in Psicologia giunta ormai al
XXIII anno dalla sua fondazione ed al quarantesimo fascicolo. Il libro citato illustra
infatti in maniera chiara, tanto la storia della Medicina Psicosomatica, quanto la cri-
tica elencazione delle teorie e dei modelli teorici progressivamente elaborati, sempre
con il supporto esplicativo di situazioni cliniche affrontate. Un testo che dovrebbe
essere letto e studiato da quanti si occupano di psicosomatica. La rivista, tramite
contributi originali e interviste a tutto campo a livello nazionale ed internazionale,
ha trattato e tratta, di tutte le impostazioni di lavoro teoriche e pratiche tradizionali,
ma anche attuali in ambito psicologico (ma non solo), secondo unottica psicoso-
matologica. Lattuale pubblicazione costituisce un ulteriore importante contributo
allattivit svolta, con merito e successo, dallautore nella sua costante diffusione di
conoscenza della psicosomatica, con una modalit pratica ed originale bene espressa
dal suo titolo IL LINGUAGGIO DEL CORPO IN PSICOTERAPIA e dal sottotitolo: Glos-
sario di Psicosomatica. Ritengo che il dare particolare risalto alla dimensione corporea in
psicoterapia, ove comunemente predomina la dimensione del mentale, costituisca una
precisa scelta dettata dallorientamento psicosomatista dellautore. Questo in quanto la
- 85 -
chiamata in campo del corpo pone in primo piano la duplice caratterizzazione dello
stesso tra corpo reale fondato sul codice biologico e focalizzato sulla oggettivit della
osservazione clinica, e corpo vissuto o fantasmatico, basato su di un codice simbolico
ed espresso dalla soggettivit individuale della persona sofferente. Differenziazione
bene espressa dai fenomenologi di lingua tedesca, con i termini rispettivi di koerper
[corpo biologico] e di Leib [corpo vissuto], che costituisce una articiosa separazio-
ne sostanzialmente messa in atto nella operativit clinica dalla medicina focalizzata
sul koerper e dalla psichiatria centrata sul leib, e che la psicosomatica tende invece
ad unicare soprattutto attraverso il coinvolgimento dei soggetti implicati in quella
particolare relazione terapeutica che Michel Sapir ha indicato con lespressione di
corpo a corpo tra medico e paziente. Formulazione che richiama linuenza balin-
tiana sulla impostazione culturale di questo autore francese che ha avuto un ruolo
fondamentale assieme a quello di Boris Luban

-

Plozza nella scelta balintiana fatta dal-
la SIMP negli anni settanta del secolo scorso, per lattivit formativa dei propri soci.
Due amici scomparsi quelli citati, il francese Michel e lo svizzero Boris, entrambi di
origine russa e il maestro di origine ungherese Michael Balint, che hanno fortemente
e positivamente inuenzato latmosfera culturale della SIMP di cui Fausto Agresta
un autorevole esponente. Ma la chiamata in causa del corpo, secondo la prospettiva
indicata, comporta anche una possibilit di integrazione pratica tra le due componen-
ti culturali, sorte nellambito della psicosomatica e della sua storia evolutiva, costituite
da quelle che lo psichiatra Carlo Lorenzo Cazzullo, riconosciuto maestro e pioniere
della medicina psicosomatica in Italia, indicava come nosograca e metodologica.
La prima, quella nosograca, prende (prendeva) in considerazione alcune partico-
lari forme di malattia, denite appunto come psicosomatiche, la cui origine sarebbe
da individuare in dinamiche conittuali psichiche inconsce somatizzate. La seconda,
quella metodologica (pi attuale), centrata non tanto sullaspetto nosograco del-
la malattia, quanto invece sul tipo di approccio da parte del terapeuta allindividuo
comunque sofferente, considerato secondo una prospettiva globale comprendente
anche la relazione terapeutica attivata. La chiamata in causa della relazione interper-
IL LINGUAGGIO
DEL CORPO
IN PSICOTERAPIA
Glossario di Psicosomatica
di FAUSTO AGRESTA
Volume di 272 pagine
Prezzo di copertina: 19,00
possibile ordinare il volume
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mandando una e-mail con i propri
dati a: info@alpesitalia.it
telefonando o inviando un fax
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oppure
sul sito www.alpesitalia.it
( 19,00

+ 3,00 per spese di
spedizione)
Su richiesta presso le librerie
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sonale tra lindividuo sofferente e lindividuo (professionista) che lo assume in cura
appare come un superamento della articiale ed assurda suddivisione tra forme psico-
somatiche e non di malattia. Nel glossario, che comporta la illustrazione di terminolo-
gie molteplici con la citazione di modalit terapeutiche derivate da modelli teorici di-
versi ed arricchite dalla esemplicazione di casi clinici ricavati sia dalla letteratura, sia
dalla esperienza clinica personale le problematiche prima indicate trovano adeguata
espressione. Al termine del libro nellappendice NUOVO TIPO DI INTERVENTO
IN PSICOSOMATICA: Gruppoanalisi e Psicosomatica, Agresta esplicita, anche con la
citazione di esperienze cliniche affrontate, la propria modalit operativa esponendo-
la, coraggiosamente (in quanto non spesso avviene), alle valutazioni ed alle critiche
dei Lettori, quale base per riessioni e possibili elementi di discussione tra addetti ai
lavori ed anche questo motivo di merito. Come ulteriore motivo di merito lavere
voluto fornire un utile strumento di studio e di lavoro tramite lelencazione di oltre
mille indicazioni bibliograche sullargomento. Tutti motivi quelli citati per cui ho
accettato di buon grado di fornire una presentazione al lavoro dellamico Fausto che
ringrazio affettuosamente per la sua richiesta.
Piero Parietti,
Psichiatra, Psicoterapeuta, Presidente della Societ Italiana di Medicina Psicosoma-
tica (SIMP) e Responsabile della Formazione. Direttore della Scuola ad indirizzo
Psicosomatico Riza, Milano.
* * *
ALAIN DE MIJOLLA
PREISTORIE DI FAMIGLIA
Casa Editrice Astrolabio Ubaldini Editore, Roma, 2012, pagg.161; Euro: 18,00
Questo libro nasce dalla raccolta di diversi articoli che lautore ha scritto sul tema del-
lidenticazione e della trasmissione intergenerazionale. Il paziente che giunge in ana-
lisi porta con s la sua storia, caratterizzata dai suoi familiari ma anche da personaggi
invisibili, antenati reali o immaginari; passato e presente si intrecciano in un dialogo,
con messaggi consci e inconsci, che coinvolge a fondo i processi di identicazione del
paziente. Alain De Mijolla, membro della Socit psychanalytique de Paris, presidente
e fondatore dellAssociation Internazionale dHistorie de la Psychanalyse e membro
del Comitato per la ricerca concettuale dellAssociation Psychanalytique Internationa-
le, in questa produzione editoriale, pone laccento sulle discussioni e i punti di vista
opposti che si sono confrontati negli anni e che hanno determinato unevoluzione nel-
lascolto di numerosi pazienti che hanno potuto cos alzare il velo sui non-detti di cui
portavano, a volte, stigmate orribilmente mutilanti. La storia e la preistoria di un indi-
viduo in relazione a se stesso, ai suoi oggetti e al loro passato si costruiscono secondo
modalit fantastiche e si immagazzinano nella memoria inconscia, pronte a riemergere
in caso di bisogno o, pi semplicemente, sotto la pressione di uno sviluppo psichico
che si raggiunge con gli anni e con le esperienze di vita. Il soggetto si trova lacerato tra
il desiderio di conformarsi al racconto familiare ufciale, in questo caso la necessit di
amore imporrebbe la sospensione della ricerca e delle riessioni personali, e lavidit
pulsionale non meno esigente a saperne di pi per trovare informazioni contrarie alle
menzogne genitoriali e ai loro segreti. Il soggetto non allora condannato, per mez-
zo di una violenta repressione, ad una ricerca solitaria dei segreti sempre provvisori
che i processi inconsci proteggono? Tuttavia, seppellire non equivale a cancellare e le
fantasie di identicazione con genitori e progenitori ricostruiti sul piano dellimmagi-
nario non perdono di efcacia rapidamente. Possono infatti essere attinte dalle riserve
dellinconscio per nutrire certe organizzazioni fantasmatiche pi elaborate e di svilup-
po successivo che Freud ha denito e descritto come romanzo familiare.
De Mijolla si basa sul concetto di romanzo familiare per individuare nella psiche la
ripetizione di tratti caratteriali e schemi provenienti dalle generazioni precedenti. In
alcuni lm, il protagonista circondato da personaggi fantomatici, invisibili agli altri
- 87 -
personaggi della scena, con grande sorpresa di coloro che ignorano la loro presenza
immateriale. Oggetti che si spostano, sedie che scompaiono: una moltitudine di azio-
ni bizzarre rivelano la loro presenza nella vita di quelli che dovrebbero proteggere o
perseguitare. Analogamente, negli studi in cui si svolgono le consultazioni, da parte
di psicoanalisti, psicologi, psichiatri, medici ecc, ci si pu rappresentare la corte di
antenati che ronzano intorno al soggetto che si sta incontrando, come in un ballo di
vampiri, piuttosto maleci se sono condannati a restare ignorati e quindi ad errare
eternamente senza riposo. Niente di ci che sar detto, nel setting terapeutico, rimar-
r slegato dai processi di appartenenza a queste fantasie fantasmatiche intergenera-
zionali.
Inne, De Mijolla si oppone alla corrente che vorrebbe collegare le corrispondenze
intergenerazionali, come in una misteriosa comunicazione da inconscio a inconscio;
egli si fa invece sostenitore di una linea di ricerca psicoanalitica secondo cui la trasmis-
sione intergenerazionale si rivela meno insondabile di quel che potrebbe sembrare e
le corrispondenze nella storia del paziente possono essere analizzate e diventare stru-
menti di una clinica rigorosa, dove teoria e pratica procedono di pari passo. Un libro,
assolutamente raccomandato professionisti e cultori della materia.
Sabrina Iansante
* * *
GIANNI GULLI
LE AMORFOGRAFIE
Edizioni Tracce, Pescara, 2011
Una lettura psicologica delle Amorfograe
E cos il sogno si avverato ... si possono acquistare. Le Amorfograe, come stimolo
alla riessione critica tra la misticazione delle comunicazioni del Potere e del socia-
le rispetto allindividuo solo e confuso. A volte, il soggetto un po automa, an-
che amorzzato e pilotato dai mass-media acritici. Il lavoro di G. Gull uno stimolo
forte alla riessione e alla prospettiva di guardare alla forza distruttrice del mondo
esterno e alla fragilit delle nostre possibilit del percepire e dellelaborare, sempre
a partire dal nostro pensiero attivo e dinamico. Altre volte, questo modus vivendi, rap-
presenta anche la nostra maschera, quella dellUomo che si nasconde, cos come
stato descritto dal grande Erich Fromm nella Fuga della libert. Nella pratica
analitica, individuale e di gruppo, si risveglia la parte che non vorremmo incontrare:
il doppio, il nostro gemello interno di freudiana memoria. Una giovane raccontava
il suo primo sogno: Entrando in un teatro privato, si toglieva la maschera e, questo,
proprio nel momento in cui aveva deciso di aprire il suo inconscio! Le amorfograe
rappresentano una sintesi tra i disegni, le conversazioni e i nostri sogni ... Questo
originale contributo di Gull fortemente raccomandato a tutti i Lettori, piccoli e
grandi, e a coloro che intendono dar voce al nostro bambino interno con lobiet-
tivo di in-contrare e ri-conoscere, sempre nellAltro da s, la voce del bambino
esterno, cio luomo, nella sua Umanit e Soggettivit, come proiezione e come punto
di dialogo e di atus archetipico dell essere nel mondo. Se ci riferiamo allanalogia
col sogno, Le Amorfograe rappresentano, in parte, ci che si intende per rea-
lizzazione (distorta) dei desideri. Ci che distorce il risultato del sogno- la distanza
tra sogno e realt- sono i meccanismi di difesa dellIo che operano in ognuno di noi.
Cos possiamo dire che ognuno vede quel che vuole o che pu vederci...! I bambini
esprimono le proprie paure e desideri con i sogni e con i disegni. Gli adulti disegnano
poco e, quando sognano molto, potrebbero anche disegnare i propri sogni. Questo
saggio di Gull ha un doppio pregio: far tornare bambini gli adulti e... far leggere,
come un sogno preventivo, il mondo degli adulti ai bambini.
Fausto Agresta
* * *
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FERDINANDO PELLEGRINO
IL SUICIDIO. CLINICA E RESPONSABILITA PROFESSIONALE
con il contributo di Francesco Franza e Valentina Marchese
Mediserve, Napoli, 2013
Ogni anno nel mondo un milione di persone muore per suicidio ed il fenomeno
secondo lOMS in crescita, soprattutto tra i giovani; in Italia, pur considerato tra
i Paesi europei a basso rischio, nel biennio 2007-2008 si sono vericati dati ISTAT
7.663 suicidi (3.757 nel 2007 e 3906 nel 2008).
Il genere maschile, let avanzata, la presenza di un disturbo psichiatrico e labuso di
sostanze rappresentano fattori importanti di ideazione suicidaria; tuttavia, anche se il
fenomeno del suicidio assume dimensioni notevoli in et anziana, occorre prestare
particolare attenzione ai giovani. Nelle fasce di et 15-24 e 25-44 anni, nel biennio
2007-2008, il suicidio stato infatti la quarta causa di morte.
Questi dati riettono la dimensione del fenomeno che appare complesso, multifatto-
riale e difcile da studiare proprio per i limiti connessi alla comprensione delle radici
profonde della sofferenza umana.
Su tale base si fonda la preoccupazione del clinico che deve mediare istanze spesso
contraddittorie e difcili da gestire: se da un lato deve occuparsi e preoccuparsi della
salute del paziente e della gestione di quadri clinici estremamente complessi che si
innestano frequentemente su personalit fragili, dallaltro vede crescere dentro di s
langoscia derivante dal dover controllare/gestire variabili cliniche (gravit della pato-
logia in esame) ed extracliniche (fattori lavorativi, come il licenziamento, o familiari,
come il divorzio) che sfuggono ad ogni possibilit di controllo.
Ma lautonomia professionale anche assunzione di responsabilit rispetto ad eventi
che, seppure prevedibili - in teoria -, accadono allimprovviso annientando spesso anni
di lavoro terapeutico e con un impatto notevole sulla coscienza delloperatore, sia esso
medico, infermiere o specialista psichiatra.
Il suicidio o il tentato suicidio di un paziente in ospedale nel III rapporto di Moni-
toraggio degli eventi sentinella del Ministero della Salute (settembre 2005-dicembre
2010) rappresenta il 19% rispetto al totale degli 873 eventi segnalati; pertanto tale pro-
blematica richiede la massima attenzione da parte delle organizzazioni sanitarie, ci
non di meno anche per il crescente aumento del contenzioso medico-legale da parte
dei familiari nei confronti degli operatori e della struttura stessa.
Problematiche cliniche, umane, professionali, sociali, familiari e medico-legali si in-
trecciano quindi in modo dinamico con caratteristiche costantemente mutevoli e non
sempre semplici da denire.
Per tali motivi il volume che presento vuole riassumere le principali argomentazioni
riguardanti il suicidio, no ad includere le problematiche medico-legali rivisitate alla
luce degli attuali orientamenti della giurisprudenza.
Il lavoro nasce come proposta, sulla scorta di precedenti esperienze formative, come
interfaccia di confronto clinico-legale per offrire spunti di riessione e predisporre un
servizio di consultazione e aggiornamento continuo agli operatori del settore.
Fausto Agresta
* * *
PAOLA TIBERII
DIZIONARIO DELLE COLLOCAZIONI
Le combinazioni delle parole in italiano
Zanichelli, Bologna, 2012
A volte capita di non riuscire a trovare il termine giusto per esprimere al meglio unidea:
un bel libro o un libro avvincente? Unestate calda o unestate rovente? Il Dizio-
nario delle collocazioni un testo pensato per chiunque voglia esprimersi con efca-
cia espressiva e propriet di linguaggio. Offre una scelta di circa 200.000 collocazioni e
permette di trovare le espressioni giuste per comunicare in modo accurato e incisivo.
Nel libro: 640 pagine; oltre 6000 voci; 200.000 combinazioni di parole; DVD-Rom con
versione digitale e Assistente linguistico; Euro 25,00.
Fausto Agresta
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NOTIZIE
PRIMO ANNUNCIO
VIII Congresso Gruppo di Ricerca in Psicosomatica
A BOLOGNA
Il 18-19 aprile 2013 ci sar a Bologna il congresso del Gruppo di Ricerca in
Psicosomatica (GRP).
* * *
La Sezione di Verona G. Guantieri della S.I.M.P
Societ Italiana di Medicina Psicosomatica
ha organizzato il convegno
Lequilibrio Psicosomatico Responsanile
Sabato 10 novembre 2012 alle ore 16.00 - Sala della Disciplina
Bardolino (VR).
Il convegno Lequilibrio Psicosomatico Responsanile si presenta come
seguito delle Giornate Strumentali Benacensi SIMP 2012 di Manerba sul
Garda, per approfondire il tema Quale Equilibrio Psico-somatico nella ricerca
del Ben-Essere quotidiano della persona, tema di indubbia emergenza e
attualit in questo 2012 dellInvecchiamento.
LUnione Europea ha proclamato il 2012 Anno Europeo dellInvecchiamento,
al fi ne di i ncoraggi are e sol l eci tare azi oni vol te a promuovere un
invecchiamento attivo, inteso come la possibilit di svolgere un ruolo
partecipativo allinterno della collettivit e di godere di una migliore qualit
della vita, qualsiasi sia la nostra et.
A partire da tali riflessioni sul Ben-Essere si inquadra il convegno
Lequilibrio Psicosomatico Responsabile.
Nel corso dellincontro verranno analizzate le basi biologiche e le strategie
pi idonee che consentono alla Persona il mantenimento e/o il recupero
del proprio equilibrio psicofisico. Attraverso gli interventi dei Dott.ri R.
Cacciacarne, M. Vittori, G. Signoretto, D. Pagani, A. Brugnoli, M. Chinatti, G.
Martinelli, D. Martino, si persegue lobiettivo di comprendere quale processo
di Consapevolezza e Cambiamento debba sortire dalla presa in carico del
proprio Ben-Essere e quindi quale disponibilit a prendersi cura di s nel
quotidiano sia presente ai giorni nostri.
- 90 -
* * *
Sezione di Naviglio Grande di Milano della Societ Italiana di Medicina
Psicosomatica
ha organizzato il seminario
Ipnosi in ginecologia nella preparazione al parto
10 e 11 novembre 2012 - Presso Associazione del Labirinto s.r.l. - Milano
Il seminario teorico-pratico Ipnosi in ginecologia nella preparazione al
parto propone una visione olistica dellipnositerapia nellambito della sfera
ostetricoginecologica e della sessualit femminile.
Attraverso i preziosi contributi dei docenti A.Gandol, U.Longoni, M.Maisto,
L.Merati, V.Zema, verranno presentate diverse applicazioni dellipnositerapia.
Nello specico verr approfondito limpiego dellipnosi nella preparazione
al parto, sia in un contesto terapeutico gruppale sia individuale, e
nel trattamento delle problematiche sessuali femminili, dellinfertilit,
dalladoloscenza alla menopausa.
* * *
quipe Curante e quipe Sognante
19 novembre 2012 - Scuola Medica Ospedaliera Romana
B.go S. Spirito 3 - Roma
Il corso, aperto a 20 Medici, Psicologi, Infermieri e Tecnici della Riabilitazione
Psichiatrica, si svolto il 19 Novembre 2012 presso il Complesso
Monumentale S. Spirito in Saxia ASL RM E B.go S. Spirito 3 Roma.
stata offerta ai partecipanti la possibilit di sperimentare un nuovo setting
per la supervisione in gruppo di casi clinici, valida sia per chi lavora nelle
istituzioni, dove il lavoro di quipe indispensabile, sia per chi si dedica
allattivit privata.
Seguendo il pensiero di Thomas Ogden, si analizza lidea che la psico-
patologia sia legata al fallimento della capacit dellindividuo di sognare la
propria esperienza. Il metodo prevede che il gruppo lavori sul caso clinico
presentato in un clima di sospensione del giudizio e attraverso le libere
associazioni dei partecipanti che saranno poi raccolte in aree tematiche.
Il lavoro del gruppo, cos strutturato, ha consentito, oltre che lindispensabile
aiuto allo psicoterapeuta, importanti approfondimenti diagnostici sul caso
clinico.
RELATORI:
Dott. Tommaso Achille Poliseno (Specialista in Psichiatria e in
Criminologia Clinica, Dirigente Medico, Responsabile UOS Centro
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Residenziale Gasparri ASL RM E Membro Ordinario del Laboratorio
di Gruppoanalisi COIRAG; co-Direttore della Scuola Internazionale di
Psicoterapia nel Setting Istituzionale SIPSI).
Dott. Domenico Agresta (Psicologo-Psicoterapeuta Psicodinamico).
Dott.ssa Marcella Fazzi (Psicologa-Psicoterapeuta, libero professionista di
Roma).
* * *
DREAMS: SCOPO ED OGGETTO
La Cooperativa, conformemente alla Legge 381/91, ha scopo mutualistico e
non lucrativo. La Cooperativa persegue linteresse generale della comunit, la
promozione umana e lintegrazione sociale dei cittadini attraverso la gestione
di servizi socio-sanitari ed educativi di eccellenza in aree trascurate dal
Servizio Sanitario Nazionale, dalle Universit, e dalle istituzioni scolastiche
di ogni ordine e grado, grazie alla collaborazione con lAssociazione senza
scopi di lucro The International Institute for Psychoanalytic Research and
Training of Health Professionals (I.I.P.R.T.H.P.).
La Cooperativa ha per oggetto:
a) Prevenzione e assistenza psicologica, socio sanitaria, sociale e legale
rivolta a:
- individui con problematiche legate a situazioni di malessere causate da
malattia, disagio psicologico, patologie genetiche, infertilit, invecchiamento,
problemi di inserimento sociale e lavorativo;
- istituzioni pubbliche o private quali ospedali, cliniche, hospice, comunit,
case di cura e riabilitazione, scuole di ogni ordine e grado, universit,
organizzazioni, aziende;
b) educazione socio-sanitaria e tutela delle fasce a rischio o deboli;
c) organizzazione e gestione di servizi di informazione e promozione
sanitaria;
d) gestione, diretta ed associata, di strutture e residenze sociali, sanitarie e
socio-sanitarie;
e) assunzione di partecipazione in societ consociate anche in forma di
socio nanziatore;
f) progettazione e realizzazione di studi e ricerche su problematiche e temi
rientranti nelloggetto sociale tramite la collaborazione con lIIPRTHP;
g) organizzazione di programmi di educazione continua in medicina (ECM)
tramite la collaborazione con lIIPRTHP.
Per il conseguimento di tali ni la Cooperativa stipula, in forma diretta e/o
appalto, convenzioni e contratti con soggetti privati ed Enti Pubblici.
Info. Presidente: Dott.ssa Marcella Fazzi - Roma
E-mail: marcellafazzi@fastwebnet.it
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- 93 -
e-mail: damatoale@hotmail.it
- 94 -
INFORMAZIONI GENERALI: CSPP
CENTRO DI PSICOLOGIA,
PSICOSOMATICA CLINICA E DI PSICOTERAPIA
ANALITICA INDIVIDUALE E GRUPPOANALITICA
Dott.ssa Alessandra DAmato
cell. 349-6940474 - E-mail: damatoale@hotmail.it - Oppure:
Dott. Andrea Mosca
cell.: 338.5450618 - E-mail: andreamosca84@virgilio.it
*Comitato Organizzatore di Eventi, Convegni e Atti:
A. Serroni, C. Pelusi, D. Agresta, S. Di Virgilio, S. Iansante, A. Mosca, M. A. Martel-
li, A. DAmato, R. Rastelli, e in Coll. con N. Prospettive in Psicologia: R. De Luca,
A. Giannandrea
Direzione CSPP:
Dott. Fausto Agresta
CSPP: Via Bologna 35, 65121, Pescara
tel. 085/28354 E-mail: fagresta@hotmail.com
www.prospettiveinpsicologia.com
cod. scale: 910 866 006 80
CSPP
CENTRO DI PSICOLOGIA,
PSICOSOMATICA CLINICA E DI PSICOTERAPIA
ANALITICA INDIVIDUALE E GRUPPOANALITICA
(CSPP)
Via G. Puccini, 45
65121 Pescara (zona Porto, di fronte al Parco de Riseis)
Attivit e Formazione:
Formazione Psicoterapeutica individuale e gruppoanalitica ad indirizzo psicodina-
mico- psicosomatico.
Supervisione cliniche individuali e di gruppo; Gruppi Balint; Training Autogeno con
Visualizzazione Guidate. Tirocinio per stuenti in Psicologia Chieti, LAquila.
Direttore e Supervisore della Struttura (CSPP)
Dott.: Fausto Agresta
In Collaborazione con:
Societ Italiana di Medicina Psicosomatica (SIMP: P. Parietti) e Sezione Pescarese
e Coordinamento Nazionale Area Psicologi (Direttivo della SIMP) / Gruppo per la
Ricerca in Psicosomatica (GRP)/ Centro Studi PIIEC Milano (Psicoterapia Integrata
Immaginativa ad Espressione Corporea: Resp.: E. Faretta)/ Rivista N. Prospettive
in Psicologia / Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Analitica Antropologica
Esistenziale (IPAAE) Pescara.
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