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QUALE Psicologia, 2007, 29

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IL SISTEMA NELLAPPROCCIO STRATEGICO





Filippo Petruccelli
!



Riassunto. Interessante pu essere i legame che vi , a livello psicoterapeutico, tra lapproccio strategico e la
psicologia sistemica. In un sistema a livello di famiglia il terapeuta pu cercare di individuare la persona che ha la
capacit ed il potere di iniziare il mutamento e consentire ad esso di aver luogo. Sullargomento viene presentato un
caso clinico.

Parole chiave Sistema, psicoterapia, legame.


Summary. Can be interested connection, for psychotherapy, between strategic approach and system psychology. In
the family system therapist can to locate subject that have a possibility to begin and to maintain change. In this
article is presented a clinic case.


Key words. System, psychotherapy, bond.


1. Due modelli in interazione: approccio sistemico e strategico

Lapproccio strategico risulta essere fortemente interconnesso con la formulazione della teoria della comunicazione,
ed in particolare con la terapia della famiglia ad indirizzo sistemico. Il modello strategico, infatti, nasce da una
sintesi tra lo studio sulla famiglia e sulla comunicazione operato dal gruppo di Palo Alto, nello specifico Jackson e
Bateson, le teorie sistemiche e il lavoro clinico e lo studio dellipnosi da parte di Milton Erickson.
proprio Erickson quello che viene definito il padre della terapia strategica e lispiratore tecnico di molte delle
procedure terapeutiche utilizzate nellapproccio sistemico (Nardone, Watzlawich, 1990).
La teoria sistemica in psicoterapia nasce, intorno agli anni 50, come novit rispetto agli approcci tradizionali.
Questi ultimi erano basati su un concetto di causalit lineare ed unidirezionale, per cui un evento A produce
necessariamente e solo un evento B, e fondavano lindagine o la spiegazione di un episodio sullanalisi del passato,
visto come causa del presente. Infatti, secondo questi approcci, solo la conoscenza del passato permetteva la
comprensione e leventuale modifica del presente (Watzlawich, 1976).
La visione sistemica, invece, osserva il comportamento di un individuo in termini cibernetici, considerando le entit
personali non come elementi statici e a s stanti ma come elementi interagenti allinterno di un contesto e di un
insieme di relazioni. La persona, quindi, viene necessariamente analizzata in base al contesto dove vive e alle
relazioni che instaura in questo. Questo modello propone, inoltre, il concetto di retroazione, definibile come
messaggio di ritorno dal ricevente allemittente, che crea un gioco circolare di informazioni allinterno del sistema.
Si passa quindi, con la teoria sistemica, da una concezione di causalit lineare, precedentemente menzionata, ad una
di causalit circolare, nella quale non esiste pi un inizio ed una fine ma una circolarit continua di informazioni. Da
questo approccio si sviluppa la necessit di studiare i fenomeni clinici nella loro globalit, avendo presente che ogni
variabile si esprime in base al suo rapporto con le altre variabili e con il contesto relazionale.
Ecco perch lapproccio sistemico stato il fautore anche della terapia familiare.
La teoria sistemica ha permesso di approdare ad una nuova prospettiva psicologica dellintervento terapeutico. Si
passati, nella pratica clinica, dallanalisi dellintrapsichico a quella relazionale, dallo studio a ritroso del passato a
quello delle regole che governano il qui ed ora, dal chiedersi il perch di un problema a capire cos e come
modificarlo, dalla passivit estrema del terapeuta alluso da parte di questo dellinfluenza interpersonale per la
risoluzione del problema (Hoffman, 1981).
Rispetto alla classica terapia familiare-sistemica, basata principalmente sullinterazione familiare e sulla
riorganizzazione di questo sistema organizzativo, lapproccio strategico focalizza maggiormente lattenzione sul
problema presentato, sugli elementi che lo mantengono tale e su come poter modificare rapidamente la situazione. In
realt questa distinzione risulta essere vera soprattutto in teoria, poich nella pratica clinica le due prospettive spesso
si intersecano e risultano essere complementari.
Il clinico di approccio strategico, infatti, chiedendosi quale tipo di strategia pu funzionare meglio per il problema
presentato decider se incontrare il singolo paziente o la famiglia, se lavorare sul singolo soggetto o, dopo aver

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Docente di Psicologia dello Sviluppo, Universit degli Studi di Cassino
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conosciuto il funzionamento del sistema familiare, intervenie direttamente su questo, fermo restando che in ogni
caso lavorando sul singolo necessariamente si influenza e cambia il sistema circostante e viceversa (Nardone,
Watzlawich, 1990).
Detto questo va chiarito che non esiste un unico modello di terapia strategica e di intervento terapeutico. In generale,
si solito dividere tra i due modelli pi consolidati e che hanno influenzato maggiormente il pensiero e i lavori degli
autori strategici. Il modello di Haley (1976) e del suo gruppo, vede il problema portato in ambito clinico determinato
soprattutto dallincongruenza gerarchica allinterno della famiglia e dalle conseguenze disfunzionali dovute ad
alleanza e giochi di potere. Il sintomo in questo modo viene concepito come una metafora del problema e
rappresenta una soluzione, anche se insoddisfacente, da parte del soggetto.
Secondo il modello dellMRI di Palo Alto (Fisch, Weakland, Segal, 1982), il problema riscontrato a livello clinico
dovuto ai meccanismi di azione e retroazione instaurati nel sistema preso in considerazione e scaturiti dalle tentate
soluzioni operate dal soggetto per risolvere i sintomi o i disturbi presenti. Lattenzione focalizzata sulle
interazioni del sistema che ripetute nel tempo mantengono il problema e compito del terapeuta quello di
interrompere i pattern disfunzionali e sostituirli, in apparente non-direttivit, con quelli funzionali. Risulta
fondamentale in questa visione, quindi, la concettualizzazione del problema da parte del paziente e quello che ha
attuato fino a quel momento per superarlo.
Interessante pu essere a questo punto capire che cosa un sistema.
Un sistema un insieme di parti che agiscono come una singola entit. Attraverso le relazioni e le influenze
reciproche tra le parti il sistema vive e funziona come un tutto integrato. Tutte le parti di un sistema sono
interdipendenti e pi aumentano le connessioni pi ci sono possibilit di influenzarlo (Senge, 1990).
Da molti autori (Bateson, 1979) un sistema viene definito come una rete: come detto precedentemente le parti si
relazionano a vicenda con dei legami, pi legami ci sono, pi si creano relazioni interdipendenti, pi il sistema
diventa complesso a livello dinamico. In questo caso una qualsiasi forma di cambiamento di una parte del sistema
avr delle conseguenze su tutte le altre in bilancio, le quali cercheranno di opporre resistenza al cambiamento, che
includerebbe anche una loro modifica.
Non ci pu essere stabilit senza resistenza, sono due facce della stessa medaglia (Wheatley, 1996). Lo sbaglio
sarebbe insistere nel cambiamento finch la capacit di resistenza del sistema volge alla fine. In questo modo
probabile il collasso o lo sfaldarsi del sistema, il quale molto frequentemente quando cambia davvero lo fa in
maniera drastica e molto veloce.
La cosa interessante che il sistema pu andare in crisi in circostanze banali ma, allo stesso tempo, possibile
ottenere dei risultati anche senza sforzi. Il cambiamento avviene facilmente quando si identificano le connessioni
giuste, anche senza il bisogno di pressioni, solo imparando dove intervenire, per ottenere buoni risultati anche con il
minimo sforzo.
Questo viene chiamato da molti studiosi effetto-leva (Bateson, 1979). Infatti, come nel caso di una leva fisica,
invece di sprecare le proprie forze e quelle del sistema spingendo o tirando in maniera indiscriminata le varie parti,
risulta pi utile comprendere che cosa frena il cambiamento e studiare le connessioni che regolano gli elementi che
si desiderano modificare: tagliandole o cambiandole si favorisce il cambiamento (Onnil et al., 1994). Molte volte, in
ambito clinico, il punto critico per leffetto-leva coincide proprio con le convinzioni e le credenze delle persone
inserite nel sistema.
Nel lavoro clinico e terapeutico bisogna essere pronti ad affrontare eventuali effetti collaterali al cambiamento, che a
volte possono essere sorprendenti e a volte spiacevoli. Anche in questi casi, conoscendo bene il sistema, gli effetti
collaterali possono essere previsti e minimizzati o, addirittura, il buon esito si identifica proprio come effetto
collaterale di un cambiamento attuato (Andolfi, 1977)).


2. Lapproccio strategico nel sistema familiare

E Haley (1973) che fa entrare ufficialmente il concetto di ciclo vitale della famiglia nel settore psicoterapeutico.
Secondo questa visione, levoluzione di cui la famiglia protagonista vista come un processo di ristrutturazione
della trama dei rapporti tra gli individui che la compongono. Ad ogni tappa di questo sviluppo, caratterizzato da
eventi naturali come la nascita o le separazioni, il sistema familiare si trova ad affrontare situazioni nuove che
mettono in crisi le vecchie strutture, necessitanti di una nuova organizzazione.
Quando la famiglia non riesce ad attuare questo mutamento si blocca e, in questa situazione, tendono a crearsi dei
sintomi in uno o pi componenti. Il sintomo lespressione di una disfunzione momentanea allinterno della
famiglia che non riesce a produrre un cambiamento (Nardone et al., 2001).

La signora T., 40 anni, dirigente di unindustria tessile con diverse sedi nel Lazio, si presenta al primo colloquio
esponendo le sue preoccupazioni per il figlio minore, R. di 17 anni, definito come un soggetto difficile. R. un
ragazzo molto robusto, alto 1.89 e di 100 kg. di peso e, a detta della madre, anche questo fonte di problemi.
Raccontando la storia di quello che lei chiama il suo bambino, afferma che questi ha avuto delle difficolt sin
dalla nascita. In seguito la separazione dei genitori e la grave malattia che lha colpita, un carcinoma alla tiroide,
hanno ampliato le sofferenze del ragazzo.
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La signora continua affermando che R. non ha mai avuto la figura del pap perch, anche quando i genitori non
erano separati, questi era assente. Infatti il ragazzo ha vissuto linfanzia col nonno paterno cercando, senza esserci
riuscito, a ritrovare la figura del pap nel nonno. Ora, poi, con la separazione i rapporti con il padre sono
pressoch nulli, poich il genitore non lo cerca mai.
Laltro figlio ha 23 anni e, secondo la madre, molto diverso da R... La signora afferma, infatti, che il figlio
maggiore, pur vivendo le stesse situazioni, non ha reagito allo stesso modo ed sempre andato avanti senza
difficolt.
La signora si aspetta che lo psicoterapeuta possa essere un confidente per R., pur non sapendo come convincere il
figlio ad incontrarlo, di quello che non riesce a dire alla mamma. La preoccupazione pi grande della madre,
infatti, che il figlio possa frequentare cattive amicizie, a causa del suo carattere difficile.

Nel caso clinico presentato proprio R. quello che da molti autori (Nardone, Watzlawich, 1990) viene definito il
paziente designato. In realt R. solo lespressione di una disfunzionalit a livello del sistema familiare, che si
esprime con sintomi nel soggetto pi debole. Proprio per questo, lobiettivo dello psicoterapeuta quello di
incontrare tutti i componenti della famiglia.
Scopo della terapia diventa, allora, aiutare la famiglia a risolvere i problemi derivanti dalla necessit di mutare la
propria organizzazione, per permettere lo sviluppo nel ciclo vitale.
Le relazioni familiari hanno un doppio aspetto: di vincolo, determinato dallassunzione di un ruolo, e di risorsa
perch proprio il ruolo che crea, organizza e definisce le relazioni. Unaltra caratteristica delle relazioni familiari
data dallattaccamento e la cura, fenomeni relazionali che non si concentrano solo tra madre e figli ma investono tra
loro anche gli altri componenti, e della lealt, definibile come impegno tra le generazioni (Nardone, 1998).
Mentre lapproccio psicodinamico e tradizionale era centrato sul singolo e considerava il sintomo come espressione
esterna di un processo patologico del soggetto, lapproccio relazionale e, collegato a questo lo strategico,
considerano il problema come espressione di una difficolt dellindividuo e di chi gli sta intorno. Cambiando il
rapporto tra il paziente designato e il contesto relazionale che lo circonda, il sintomo non ha pi ragione di
esistere, perch cambiando le dinamiche relazionali questo non ha pi significato.
Agendo strategicamente sul singolo si determinano dei cambiamenti generali in tutto il contesto circostante.
Agire strategicamente per il terapeuta, significa non focalizzarsi sullanalisi del profondo e sulle cause del
problema con lobiettivo di estrapolare la verit, ma sul come funziona il problema e come si pu cambiare la realt
per mutare la situazione di disagio (Rampin et al., , 2001). In questa ottica i problemi possono essere risolti mediante
strategie che rompono il sistema, fino ad allora creato dalle soluzione tentate e sbagliate che si sono susseguite e
che hanno incentivato le difficolt. Le strategie sono rappresentate da prescrizioni dirette o indirette,
ristrutturazioni, paradossi che rompono la rigidit dellapparato disfunzionale e permettono il salto di livello e
lapertura a nuove alternative (Watlzawick et al., 1974).
Inoltre, secondo lapproccio strategico sotto linfluenza del modello costruttivista, per definire il cambiamento
utile, nel soggetto, prima mutare lagire e poi successivamente la cornice concettuale. provato, infatti, che sono
proprio le esperienze concrete che cambiano il nostro modo di percepire la realt. Lo stesso Piaget (1971) ha
dimostrato come lacquisizione di nuovi apprendimenti avvenga con un processo che parte dallesperienza e
raggiunge, poi, la cognizione e come solo dopo aver prodotto il cambiamento possibile ripetere lapprendimento
acquisito con consapevolezza.


3. La famiglia e ladolescente

La maggior parte degli autori, pur con terminologie differenti, quali separazione o differenziazione, segnalano il
problema delladolescenza sia per il singolo che per il sistema che lo circonda.
Secondo lapproccio sistemico ladolescenza, come le altre tappe del ciclo vitale della famiglia, comporta una
rottura ed una ridefinizione delle relazioni intra ed extrafamiliari, dei confini interni ed esterni. Lobiettivo, in questa
fase, quello di riorganizzare la struttura familiare in un assetto maggiormente funzionale (Malagoli Togliatti, et al.,
1991). Questa evoluzione possibile, per, in una struttura flessibile e capace di tollerare delle disorganizzazioni,
queste ultime intese come confusione o destabilizzazione temporanee in vista di una nuova stabilit.
Minuchin (1974) definisce la fase adolescenziale come momento di transizione dove si modifica la partecipazione
del giovane allinterno e allesterno della famiglia. Tutto questo attraverso una ridefinizione dei confini dei
sottosistemi familiari, nel senso di un allontanamento delladolescente dal sottosistema dei fratelli, in vista di una
maggiore indipendenza ed autonomia, ed una relazione genitore-adolescente tesa alla responsabilit.
Secondo Haley (1985), la crisi delladolescenza una lotta per mantenere le vecchie posizioni allinterno del
sistema familiare, poich lallontanamento dei figli che crescono pu comportare anche la crisi del matrimonio dei
genitori e la necessit di una ridefinizione. In questa fase, ladolescente pu fallire o incontrare delle difficolt tra
linserimento nello sviluppo extrafamiliare e la stabilizzazione dellorganizzazione familiare. In questo caso
lobiettivo terapeutico quello di riorganizzare il sistema familiare per permettere lo svincolo del giovane
adolescente.
Secondo alcuni autori (Cigoli, 1992) le famiglie che presentano difficolt nella fase adolescenziale dei figli, sono
determinate o da una visione dei figli nelle loro fasi precedenti, la quale porta a controllarli in maniera inadeguata
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creando una sorta di legame di dipendenza o, al contrario, dallassunzione da parte dei figli di comportamenti troppo
adulti o autosufficienti.
In questa fase, comunque, la famiglia necessita di alcuni modifiche: un cambiamento nelle relazioni tra genitori e
figli; un aumento della flessibilit delle regole; una modifica degli interessi personali di ciascun soggetto. In questo
processo di mutamento i figli ribelli sono quelli, solitamente, liberi dai sintomi e, malgrado le pressioni familiari,
quelli che possiedono una buona valutazione di s. Al contrario i soggetti deboli sono quelli che hanno una debole
definizione di loro stessi e sono quelli pi sensibili ai giudizi altrui.
Alcuni studiosi (Fiorenza, 2000) definiscono il periodo adolescenziale come un processo di disidentificazione che
comporta una inevitabile angoscia riguardo la coesione di S. Il processo adolescenziale un percorso continuativo
che consente, col tempo, lo strutturarsi di una identit pi autonoma e stabile. Questo percorso caratterizzato da
momenti di segretezza, come i diari e le amicizie segrete, e momenti di euforia ed esibizione, come il vestirsi in
modo originale ed inconsueto. I primi permettono una sorta di differenziazione ed autonomia dal nucleo familiare, i
secondi rappresentano una richiesta di controllo e riconoscimento da parte del sistema stesso.
Una parte integrante della crisi adolescenziale proprio il conflitto coi genitori. Infatti, i genitori si trovano ad
affrontare in questo periodo diverse forme di angoscia: per il tempo che passato; per la perdita dellonnipotenza e
del controllo totale dei figli piccoli; per la colpa o il turbamento che la dirompente sessualit delladolescente
rievoca.
In questa fase ladolescente deve portare a termine due compiti paradossali, da una parte deve identificarsi
separandosi dai genitori, dallaltra pu farlo solo fondando la sua identit nellorganizzazione del suo sistema
familiare. Tutto questo possibile solo se la coppia genitoriale stata capace di creare un sistema funzionante che
favorisce ed accoglie le spinte di trasformazione delladolescente (Cigoli, 1992).
Tutti questi elementi possono essere riscontrati nel caso clinico esposto precedentemente.
Infatti:

La signora afferma di avere, ora, una relazione consolidata con un uomo pi giovane che lavora in unaltra citt.
Le reazioni di R. a questa relazione sono altalenanti. Il ragazzo alterna infatti momenti di gioia a momenti di non
sopportazione, secondo la madre a causa delle influenze da parte del padre che, pur vedendo poche volte i figli, li
monta, dicendo loro di stare attenti perch ora la mamma ha il fidanzato quindi dar meno attenzioni a voi.
Inoltre il suo ex marito pi volte lha svalutata davanti ai figli accusandola di essere una poco di buono. I figli e
soprattutto R. sono rimasti molto male ma, a volte, lei ha la sensazione che il ragazzo si fermi ad elaborare quello
che gli dice il padre.
Il ragazzo non sembra aver mai avuto grandi problemi scolastici ma, la madre afferma, ha problemi caratteriali:
non ascolta nessuno, difficile, si sente molto pi grande di quello che e, per questo, pretende di decidere tutto
lui.
R. stato due anni fidanzato ma la ragazza, in vacanza, lha tradito con il suo amico del cuore. La signora afferma
che probabilmente il figlio era molto innamorato, anche perch da questo episodio il suo comportamento
peggiorato, per esempio, pur alternando momenti di grande felicit a momenti di grande nervosismo, risponde pi
spesso in malo modo.
Lei non sa come aiutarlo in questo momento difficile anche perch, ora, il ragazzo non ne vuole sapere di andare da
uno psicologo. Qualche tempo fa si sono recati da uno psicologo per delle crisi. Il ragazzo vedeva delle figure
vicino alla porta, non riusciva a dormire e si faceva la pip addosso.
Da come la signora ne parla appare chiaro che nel corso degli anni si sia creata una sorta di alleanza con il figlio
maggiore ed unattenzione di entrambi concentrata sui problemi di R.
Appare chiaro che R. sia stato investito e partecipe di situazioni negative come i problemi familiari, scolastici,
amicali e sentimentali e che questi abbiano intaccato il suo narcisismo ed innalzato delle difese.
La signora racconta di essere abituata a cucinare cose diverse ai figli, poich R. robusto mentre il fratello
maggiore magro. Afferma di adorare entrambi, anche se il pi piccolo convinto che lei voglia pi bene al
maggiore.
La signora T. consapevole dellalleanza creata con il figlio pi grande ed afferma avendo solo 17 anni di
differenza ci siamo sempre sentiti come fratello e sorella. Afferma, inoltre, di essersi rifugiata nei figli quando il
rapporto col marito non andava pi bene, senza rendersi conto di non aver preservato i ragazzi dal dolore della
situazione. Una situazione che ha portato i figli a non avere pi una figura di riferimento maschile.
Il terapeuta cerca di convincere la signora ad un incontro con lei e i suoi due figli, consigliandole di raccontare
loro che aveva deciso di iniziare un percorso terapeutico. Lobiettivo quello di condurre R. insieme al suo
sistema familiare ad un colloquio ma anche di spezzare lalleanza tra madre e figlio maggiore e porre entrambi i
ragazzi sullo stesso livello. Infatti la madre avrebbe dovuto raccontare una menzogna ad entrambi.
La signora non sembra molto convinta di questa iniziativa. Inizialmente afferma che in questo modo i figli
potrebbero credere a quello che il padre dice continuamente, cio che lei non ci sta con la testa, poi si dichiara
poco propensa a raccontare bugie al figlio maggiore, che sarebbe ben disposto ad aiutare il fratello, anche senza
trucchetti del genere.
La signora afferma che, secondo il figlio maggiore i problemi di R. sono stati creati anche dal fatto che gli
abbiamo sempre concesso tutto.
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Il terapeuta rimane convinto ad impostare un colloquio con lintero sistema famigliare, ponendo al centro
dellincontro la figura della madre bisognosa dellaiuto dei figli, di entrambi i figli allo stesso modo.

Quello che si pu desumere da questo caso la presenza di confini familiari non funzionali presenti nel sistema. La
madre, separata dal marito, figura non presente n fisicamente n emotivamente neanche durante il matrimonio, si
allea con il figlio maggiore, che in questa situazione tende a rappresentare il vice-padre. Lattenzione dei due
nel corso degli anni si concentra su R., il soggetto pi debole del nucleo, che mostrando sintomi e difficolt
rappresenta la valvola di sfogo del sistema. Questa situazione, fino ad ora non funzionale ma comoda per
mantenere lequilibrio familiare, viene messa in crisi anche dallentrata di R. nelladolescenza (Nardone, et al.,
2001).
Lobiettivo delle manovre terapeutiche quello di modificare il sistema dei confini familiari, creando una
alleanza tra i fratelli (entrambi ignari delle vere intenzioni della madre) ed una posizione up della figura materna
(come dovrebbe essere nella realt).


4. Il trattamento

Quello che risulta pi utile in situazioni problematiche, come quella del caso clinico esposto, un modello integrato
di intervento e trattamento, che coinvolga ladolescente e, se possibile, anche tutto il sistema. Infatti, prendere in
considerazione come risorsa solo la terapia familiare significa passare dalla parte opposta. Da sola la terapia
familiare non sufficiente e non pu fornire alladolescente quel processo continuativo, che mettendo in gioco gli
aspetti primitivi del proprio S permette il processo di individuazione (Onnil, et al., 1994).
E proprio a questo punto che risulta utile laspetto innovativo dellapproccio strategico.
Il terapeuta strategico, sin dal primo incontro, focalizza la sua attenzione e valutazione su: cosa avviene nelle
interazioni che il soggetto ha con se stesso, con gli altri e con il mondo; come il problema risulta funzionale
allinterno del contesto dove vive; quali sono state le tentate soluzioni fino ad ora utilizzate dal soggetto; come
possibile cambiare la situazione nel modo pi semplice e rapido possibile (Rampin, et al., 2002).
Come viene espresso dal caso clinico presentato, uno dei problemi di R. anche laspetto fisico, legato ad un
comportamento alimentare non adeguato.
Secondo lapproccio strategico, e non solo, le abitudini alimentari e comportamentali hanno effetti non solo fisici ma
sono strettamente correlati alle relazioni familiari e sociali.
Le famiglie di soggetti con difficolt alimentari, soprattutto in et adolescenziale, appaiono serene ed equilibrate ma
questa forma di serenit, rigidamente sostenuta, spesso nasconde una sorta di insoddisfazione, pi o meno negata dai
componenti della famiglia ed il paziente rappresenta lunica fonte di preoccupazione e disagio familiare. Molte
volte si lamenta un cambiamento del comportamento delladolescente, il quale appare scontroso, chiuso, testardo e
fonte di notevoli difficolt (Nardone et all. 1990). In queste condizioni molte volte i confini familiari appaiono labili
ed invischiati.
Questo quello che si riscontra anche nel caso di R.
Nella realt del caso clinico presentato, la signora non si presenta pi ai colloqui con il terapeuta.
Appare chiaro come gi le piccole manovre di cambiamento dei confini familiari adottati dal terapeuta nei primi
colloqui, che avevano lobiettivo di creare unalleanza fraterna, siano state viste dalla madre come un fastidio e una
provocazione.
Il cambiamento auspicato dal terapeuta destabilizzerebbe lequilibrio creato negli anni, un equilibrio non certo
funzionale ma utile al sistema familiare. Se la madre, infatti, non si fosse alleata col figlio maggiore, il pi forte,
non avrebbe trovato un sostegno ed un aiuto nella difficile situazione coniugale e nel periodo della sua malattia
(Andolfi, 1977).
Ma quanto potr durare un equilibrio del genere?


Bibliografia

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69
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