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Ontico ENCICLOPEDIA FILOSOFICA

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gena: der seltsame Fall des Honorius, des Mnchs von
Regensburg, in B. MOJSISCH - O. PLUTA (a cura di), Hi-
storia philosophiae Medii Aevi: Studien zur Geschichte
der Philosophie des Mittelalters (Festschrift fr Kurt
Flasch zu seinem 60. Geburtstag), Amsterdam-Phila-
delphia 1991, pp. 927-951; Zwischen Anselm und
Johannes Scotus Eriugena: der seltsame Fall des Hono-
rius, des Mnchs von Regensburg, in L. STURLESE, Die
deutsche Philosophie im Mittelalter: von Bonifatius bis
zu Albert dem Grossen (748-1280), Mnchen 1993,
pp. 119-142.
Ontico ONTICO (ontic[al]; ontisch; ontique; ntico). Il
significato del termine ontico corrisponde alla
semplice posizione dellessere dellente, cos
comesso . In questo senso ontico si oppone
a ontologico, che caratterizza lindagine sulles-
sere compiuta dal di fuori, mediante la ragione
che lo traduce in termini concettuali dando
luogo alla filosofia speculativa ovvero alla
scienza dellente in quanto ente. Nella filoso-
fia di Heidegger la distinzione assume un par-
ticolare peso quanto allesserci delluomo.
Heidegger chiarisce espressamente il rapporto
tra indagine ontica e indagine ontologica. La
comprensione dellessere , nel contempo,
una determinazione dellessere dellesserci.
La caratteristica ontica dellesserci consiste
nel suo essere-ontologico (Sein und Zeit, 4;
tr. it. di P. Chiodi - F. Volpi, Milano 2005). Sem-
pre per Heidegger lontologia, ossia lanaliti-
ca esistenziale (existential), da parte sua, radi-
cata in ultima analisi nellesistentivo (existen-
tiell) e cio nellontico. E con ci si fatto chia-
ro anche il primato ontico del problema
dellessere (ibid.). Di qui la concezione della
filosofia e della ragione come fenomeno delles-
sere, e la verit come a-letheia, auto-svelarsi
dellessere nellesserci. Heidegger fa risalire il
primato ontico-ontologico dellesserci ad Ari-
stotele che, anche se non con chiara consape-
volezza, lavrebbe affermato a proposito
dellanima, dicendo che essa in qualche
modo lente (De anima, III, 8, 431 b 21; tr. it. di
G. Movia, Napoli 1979); dottrina ripresa da
Tommaso (De veritate, q. 1, art. 1: tr. it. di M. Ma-
miani, Padova 1970) che nel verum vede una
nota trascendentale dellessere proprio perch
c un ente, lanima, che ha la caratteristica di
convenire con qualsivoglia ente.
G. Santinello
BIBL.: P. CHIODI, Lesistenzialismo di Heidegger, Torino
1949, pp. 25-32; L. STEFANINI, Esistenzialismo ateo ed
esistenzialismo ateistico, Padova 1952, pp. 22-28; J.
CHAIX RUY, Lexprience ontique de L. Lavelle, in Gior-
nale di Metafisica, 1952; L. PAREYSON, Studi sullesi-
stenzialismo, Firenze 1971, pp. 207-258.
ESISTENZIALISMO.
Ontogenesi ONTOGENESI (dal gr. ente e ,:c.
origine - Ontogenese; ontogenesis; ontogense,
ontognie; ontognesis). Termine della biolo-
gia, che indica lo sviluppo vitale dellindividuo
dal concepimento allo stato adulto (alcune
volte la si riferisce soltanto al periodo embrio-
nale).
Fu usato da E.H. Haeckel nel senso di proces-
so embrionale e nellambito della nota legge
biogenetica fondamentale: lontogenesi ripe-
te la filogenesi, cio le tappe dello sviluppo
embrionale dellindividuo ripercorrerebbero le
tappe evolutive della specie.
Red.
BIBL.: P. MENGAL (a cura di), Histoire du concept de r-
capitulation. Ontogense et phylogense en biologie et
sciences humaines, Paris-Milan-Barcelone 1993 (con
bibliografia).
BIOGENETICA, LEGGE.
Ontologia ONTOLOGIA (ontology; Ontologie; ontologie;
ontologa). , alla lettera, la scienza di ci
che , dove l raccoglie i significati, anzi-
tutto, dellesistere (dellesistente), ma, insie-
me, di ci che esso (dellessente, si direbbe, in
riferimento a quel che si chiam lessenza); nel
greco sono compresi entrambi. Il termine
di formazione moderna (v. sotto, III).
SOMMARIO: I. Lontologia platonica: dal piano
logico verso quello conoscitivo-esistenziale. -
II. Lontologia di Aristotele; ontologia e teolo-
gia. - III. Il termine e il contenuto dellontolo-
gia nel sistema di Wolff. - IV. Lontologia
kantiana. - V. Lontologia hegeliana. - VI.
Tentativo di rinnovamento dellontologia sco-
lastica: Rosmini, Gioberti, Husserl. - VII. Lon-
tologia di N. Hartmann: suo carattere proble-
matico. - VIII. Lontologia fondamentale di
Heidegger; Sartre, Lavelle, Carabellese. IX.
Lontologia analitica.
I. LONTOLOGIA PLATONICA: DAL PIANO LOGICO VERSO
QUELLO CONOSCITIVO-ESISTENZIALE. Il problema
ontologico, nel pensiero greco, fu sempre do-
minato dallantitesi tra essere e divenire, cio
fra il principio parmenideo e quello eracliteo.
Spetta a Platone, senza dubbio, la fondazione
di uneffettiva ontologia, in quanto egli fu il
primo a fare del principio parmenideo un vero
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ENCICLOPEDIA FILOSOFICA Ontologia
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e proprio problema, ponendo lessere quale
oggetto del pensiero, ossia di una riflessione
che ne indaga il significato. Ed noto che per
Platone c, bens, il mondo molteplice delle
cose che esistono, oggetto in generale delle
sensazioni e delle opinioni, ma la realt e veri-
t loro data dallidea per cui ogni cosa divie-
ne trasparente al pensiero. S che lente rea-
le, lente vero (che veramente), lidea, o
il mondo delle idee. Mentre, infatti, le cose,
quali si presentano nella volgare esperienza,
mutano di continuo, nascono e periscono,
lidea sta ferma, non soggetta alla loro alterna
vicenda e al variare delle opinioni che di solito
se ne fanno gli uomini.
Valga, fra i tanti, questo passo, che fa da pro-
logo alla narrazione del Timeo: Secondo mio
avviso si ha a distinguere primieramente que-
ste cose: che quello che sempre , e non ha
generazione; e che quello che si genera, e
mai non . Luno, ci che si comprende per
intelletto e ragione, siccome quello che eter-
namente a un modo; laltro, per lo contrario,
ci ch opinabile per opinione ed irrazionale
senso, generandosi esso e perendo s, che mai
non veramente (Tim., 27 d - 28 a, tr. it. di F.
Acri, in Platone, Dialoghi, Torino 1970, p. 434).
E nel Fedone si dice che solo chi di noi pi in-
tensamente e pi acutamente si appresti a pe-
netrare col pensiero ogni oggetto di cui faccia
ricerca nella sua intima realt, solo costui an-
dr pi vicino di ogni altro alla conoscenza di
codesto oggetto (Phaed., 65 e, tr. it. di M. Val-
gimigli, in Platone, Opere, vol. I, Roma-Bari
1974
3
, p. 112). Si noti: ci che veramente ,
poi, per Platone, insieme, ci che veramente,
ossia la sua realt coincide con la sua verit.
Ens et verum convertuntur, si pu dire sin da
ora, e il verum , poi, per Platone, anche il bo-
num di ciascuna cosa (la sua perfezione). Se si
aggiunge il pulchrum, che per il greco va sem-
pre insieme agli altri due, si ha la famosa trilo-
gia dei valori destinata a restare in tutta la sto-
ria della filosofia come fondamentale.
Lontologia platonica , dunque, caratterizzata
da questa sua idealit, la quale la inclina verso
un piano piuttosto logico che esistenziale,
sebbene neppur questultimo sia mai perduto
di vista, dovendo anzi il primo servire a inten-
dere il secondo. Loggetto del pensiero, qui,
cerca di adeguarsi, per quanto pu, alloggetto
dellesperienza, e nel Teeteto si parla pure di
unopinione vera, che conoscenza ac-
compagnata da ragione. E si sa che la specu-
lazione platonica, dopo il periodo della pole-
mica contro i sofisti, venne sempre pi accen-
tuando il suo interesse per le concezioni co-
smologiche, specialmente pitagoriche, e per-
ci per i problemi propri della scienza. Ontolo-
gia, dunque, logica e insieme epistemologica,
idealistica e insieme esistenziale, come si ve-
de anche nel Sofista, dove (cap. 41), ricono-
sciuto contro Parmenide che anche il non-es-
sere in qualche modo , poich esiste, vien
presentato lessere nelle categorie fondamen-
tali dellessere-esistere, del moto e della quiete,
dellidentico e del diverso: queste pi logiche,
quelle pi epistemologico-esistenziali.
II. LONTOLOGIA DI ARISTOTELE; ONTOLOGIA E TEOLO-
GIA. Accenni sparsi, tuttavia, questi di Plato-
ne. Chi invece li raccolse e svolse intorno a un
nucleo centrale, creando cos una vera e pro-
pria scienza, fu lo scolaro, Aristotele; il quale,
pur proseguendo la tendenza epistemologico-
idealistica gi accennata, trasport decisa-
mente il problema ontologico sul campo
dellesperienza, ossia su un piano realistico, in
cui la filosofia non evadesse dal dato concreto
della conoscenza comune e del sapere umano.
La costante polemica della sua Metafisica con-
tro la dottrina platonica delle idee ha questo
solo significato: non gi di rinunciare alla mi-
gliore conquista del maestro, che della vaga e
indeterminata intuizione parmenidea aveva
per primo fatto un problema di pensiero, ma
allaltra tendenza, pur viva, del maestro, di so-
stituire alla realt del mondo delle cose innan-
zi a noi un mondo meramente ideale, poco o
nulla giovevole a rendersi conto delle determi-
nazioni in cui le cose si presentano in concre-
to. Di qui anche la ripresa del problema eracli-
teo del divenire, portato, ora, dentro a quello
parmenideo dellessere, e la ripetuta dichiara-
zione aristotelica della molteplicit dei signi-
ficati che ha lessere visto in quelle determi-
nazioni. Lessere parmenideo si presenta cos,
ora, decisamente con un carattere esistenzia-
le: lente, oggetto di vera e propria conoscenza.
Questo carattere realistico proprio di tutta
la metafisica aristotelica, onde, per questo ri-
spetto, si pu ben dire che essa propriamen-
te quella scienza dellessere, a cui si d il
nome di ontologia. S che metafisica e ontolo-
gia, per questo lato, sono la stessa cosa. E tut-
tavia, se una distinzione si ha da fare, come
par giusto, sar da dire, allora, che ontologia
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Ontologia ENCICLOPEDIA FILOSOFICA
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vera e propria quella parte della metafisica,
in cui il problema dellente si presenta nella
sua forma pi genuina, dellente in quanto ap-
punto ente esistente; tale problema ha avuto
la determinazione pi conforme allo spirito
della speculazione propria del suo autore. A
questa determinazione, infatti, Aristotele, nel-
la sua opera celeberrima, arriva gradatamente,
partendo dalla concezione generale della filo-
sofia come scienza dei principi e delle cause
prime, e solo attraverso esitazioni e oscilla-
zioni (pur visibili in alcuni passi del testo a noi
tramandato dalla silloge molto pi tardi mes-
sa insieme e ordinata quando qualche tenden-
za al neoplatonismo gi affiorava) viene alla
sua pi chiara enunciazione.
Il primo passo decisivo verso questa metafisi-
ca ontologica dato allapertura del libro IV:
C una scienza che studia lente in quanto
ente e le sue propriet essenziali. Di qui i ca-
ratteri di universalit e di necessit che la di-
stinguono dalle altre scienze: Essa diversa
da ognuna delle scienze particolari, poich
nessuna delle altre scienze studia lente in
quanto ente universalmente, ma dopo averne
recisa qualche parte, di questa considera co-
me si trovi. Cos le matematiche. E prosegue
operando il passaggio, dalla definizione data
prima, a quella ontologica: Ora, volendo noi
conoscere i principi e le cause supreme,
chiaro che li dobbiamo cercare come propriet
di una natura considerata per se stessa. Se,
dunque, coloro che cercavano gli elementi de-
gli enti, cercavano anchessi questi principi, di
necessit anche gli elementi erano dellente
non considerato in particolare, ma in quanto
ente. Perci anche a noi convien prendere le
prime cause dellente in quanto ente. Il libro
prosegue, prima con una specie di aggiusta-
mento di questa nuova definizione alle esigen-
ze della dialettica platonica delluno e del mol-
teplice, dellidentico e del diverso, e poi con la
lunga ed elaborata difesa del principio di non-
contraddizione.
La questione ripresa al cap. 1 del libro VI: ri-
badendo i caratteri di universalit di questa
scienza, e illustrandoli meglio nel confronto
delle altre due scienze, anchesse teoretiche,
la fisica e la matematica, che hanno un ogget-
to particolare, legato, pi o meno, alla corpo-
reit o estensione o materia, Aristotele si chie-
de se questa scienza ontologica possa a
buon diritto qualificarsi anche come teolo-
gia, e risponde affermativamente, perch, se
vi fossero, fra gli enti, soltanto corpi terrestri e
celesti, la fisica sarebbe la prima fra le scienze
e le filosofie speculative; ma se vi , come vi
, un ente separato del tutto dalla materia,
prima e divina la scienza che lo riguarda. Con-
siderare lente come ente considerare lente
in universale, cio prima ancora della distin-
zione tra enti corporei ed enti non corporei, e
se appartiene alla matematica, alla geometria
e allastronomia considerare lente corporeo
ed esteso, appartiene allontologia conside-
rare lente come ente e (in quanto teologia)
lente del tutto separato dalla materia.
Aristotele chiarisce ulteriormente il suo pen-
siero, soprattutto nei libri VII-IX della Metafisi-
ca, dove tratta le questioni intorno alle dieci
categorie dellente, soprattutto intorno alla
sostanza; quindi della divisione dellente in
ente in atto ed ente in potenza, e perci della
natura e delle propriet dellatto e della poten-
za, e poi della materia e della forma come prin-
cipio dellente corporeo e della possibilit in
generale del movimento e delle mutazioni. Nel
libro XII inoltre si trova una trattazione intorno
alla sostanza eterna e separata.
A proposito di Aristotele si a lungo discusso
per stabilire se la sua metafisica sia unontolo-
gia o piuttosto una teologia, o un insieme di
ontologia e teologia, e, in questultimo caso,
se ontologia e teologia siano in lui semplice-
mente giustapposte o armonicamente accor-
date. Gli studi pi recenti hanno tuttavia di-
mostrato come, a proposito della metafisica
aristotelica, solo in modo molto improprio si
possa fare uso dei termini ontologia e teo-
logia, mentre la denominazione pi appro-
priata per questa scienza quella, originaria,
di filosofia prima, che significa scienza delle
cause prime. Per quanto riguarda anzitutto la
teologia, stato notato come Aristotele usi
questo termine non per indicare una scienza,
ma solo per indicare i miti narrati dai poeti in-
torno agli dei (R. Bods, Aristote et la thologie
des vivants immortels, Montral-Paris 1992).
Sembra quindi del tutto scorretto interpretare
la filosofia prima come una teologia, e del re-
sto lespressione che Aristotele usa per carat-
terizzarla al cap. 1 del libro VI della Metafisica
semplicemente quella di scienza (sottinteso)
teologica: essa detta tale solo perch, tra le
cause prime che essa ricerca, sono comprese
anche le cause motrici degli astri, considerati
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come esseri divini. Anche lespressione onto-
logia tuttavia impropria, perch Aristotele
caratterizza loggetto della filosofia prima co-
me ente in quanto ente solo allo scopo di
salvaguardare lunit di tale scienza, messa in
discussione dalleterogeneit delle cause pri-
me e dei principi che essa ricerca, e perch la
sua caratteristica non tanto quella di indaga-
re il concetto di ente e i suoi molteplici si-
gnificati, quanto quella di indagare sul primo
di tali significati, cio la sostanza, e sui suoi
principi. Aristotele stesso dichiara che la
questione sempre indagata e sempre discus-
sa, sia anticamente sia ora, ossia che cos
lente (. ), deve essere sostituita dalla
questione qual la sostanza (.; uc.o)
(Metaph., VII, 1, 1028 b 2-4), intendendo che si
deve ricercare qual la costituzione dellente
concreto, individuale, sensibile, e quali sono i
principi di questo, cio la sua materia prossi-
ma, la sua forma specifica, la sua causa motri-
ce prima, il suo intrinseco fine. I risultati di ta-
le ricerca sono esposti riassuntivamente nel li-
bro XII della Metafisica.
III. IL TERMINE E IL CONTENUTO DELLONTOLOGIA NEL
SISTEMA DI WOLFF. Si fatto un cenno somma-
rio dei principi ontologici, posti, una volta per
sempre, nella Metafisica aristotelica. Ma, come
si detto, il vocabolo di ontologia, come parte
propria della metafisica in generale, non si
trova in Aristotele, e neppure nella filosofia
medievale, ma di formazione moderna. Lo
ha per la prima volta Goclenio (R. Gckel, Lexi-
con philosophicum, Franckfurt am Main 1613, p.
16); lo giustifica poi J. Clauberg, il quale nella
sua Ontosophia (1656) scrive: Sicuti autem c
).o vel ):`,.o dicitur quae circa Deum occu-
pata est scientia, ita haec, quae non circa hoc
vel illud ens speciali nomine insignitum vel
proprietate quadam ab aliis distinctum, sed
circa ens in genere versatur, non incommode
ontosophia vel ontologia dici posse videatur.
Essa sar quella scienza quae contemplatur
ens quatenus ens est, hoc est in quantum
communem quamdam intelligitur habere na-
turam, quae omnibus et singulis entibus suo
modo inest. Ea vulgo metaphysica, sed aptius
ontologia vel scientia catholica et philosophia
universalis nominatur (J. Clauberg, op. cit.,
cap. 1, 1-2).
Questa novit si spiega agevolmente: la scola-
stica aveva messo a profitto la metafisica ari-
stotelica per la costruzione di una vera e pro-
pria teologia; ora, invece, lattenzione tutta
alla scienza e alla nuova metafisica che si ten-
ta di sostituire a quella scolastica tradizionale.
A mezza strada fra lantico e il nuovo si pensa,
dunque, di creare questa scienza che faccia da
introduzione generale al sapere positivo: il che
era pure conforme a quella parte dellatteggia-
mento aristotelico pi gnoseologico-episte-
mologico o idealistico-essenzialistico riguar-
dante il pensato o possibile piuttosto che
lesistente di fatto. Chi diede una finale siste-
mazione a questa metafisica cos riformata, fu
Christian Freiherr von Wolff, la cui opera,
com noto, ebbe uninfluenza grande sul pen-
siero germanico, e larga diffusione nelle scuo-
le sino a Kant. Essa ravviv la metafisica ari-
stotelico-scolastica contaminandola per con
lempirismo da una parte, col razionalismo
cartesiano-leibniziano dallaltra. E si deve a
Wolff la sistemazione, rimasta nellinsegna-
mento comune, dellontologia come introdu-
zione generale alla cosmologia, alla psicologia, e
infine alla teologia naturale.
Lontologia la Philosophia prima (methodo
scientifica pertractata, qua omnes cognitionis hu-
manae principia continentur) (1728). In essa
vengono, s, mantenuti i principi generali
dellontologia aristotelica, lessenza e la so-
stanza, le propriet essenziali di una cosa di-
stinte dagli accidenti mutevoli, e soprattutto
lesistenza come principio dellomnimode deter-
minatum contro lastratto universalismo; ma il
tutto orientato verso laspetto pi platonico
dellaristotelismo, dove lessenza predomina
sullesistenza, in quanto questa concepita
come lestrema determinazione dellessenza
stessa: Essentia primum est, quod de ente
concipitur, nec sine ea ens esse potest; Es-
sentia definiri potest per id quod primum de
ente concipitur, et in quo ratio continetur suf-
ficiens, cur caetera vel actu insint vel messe
possint (Ch.F. Wolff, op. cit., pp. 144, 168).
Questo aristotelismo cos platonizzato era co-
mune anche alla tradizione scolastica, ma es-
so viene qui radicalmente trasformato in una
concezione gnoseologico-logica di stampo
leibniziano. Qui, infatti, lontologia diviene
scienza non solo del reale, ma anche del pos-
sibile: del possibile, si dice, in quanto pu re-
alizzarsi. Possibile, infatti, come mero possibi-
le, tutto ci che non implica contraddizione,
o non contraddice una verit dimostrata. Possi-
bile, dunque, vuol dire pensabile, e vale per es-
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so, in generale, il principio di non-contraddi-
zione. Ma per il reale questo principio non ba-
sta: ci vuole anche il principio di ragion suffi-
ciente, il quale afferma che niente esiste fuori
della connessione che ogni cosa ha nel mondo
con tutte le altre cose. Lessenza, invece, di
una cosa data dalla definizione che la deter-
mina in se stessa, fuori del rapporto con le al-
tre cose, e si dicono propriet essenziali (attri-
buti) quelle che da essa conseguono necessa-
riamente, mentre si chiamano modi quelle che,
pur non conseguendo da essa, a essa si ac-
compagnano talvolta. Quando le determina-
zioni raggiungono la concretezza delloggetto
della percezione in atto, si ha lesistente nella
sua piena individualit: poich luniversale,
per s, astratto, non esiste. Come si vede,
platonismo e aristotelismo qui si contendono
il primato, luno partendo dal pensabile, laltro
dallesistente che oggetto della percezione.
Poi, in una seconda parte, questa ontologia,
per farsi preludio alla cosmologia, passa alla
considerazione del semplice e del composto. II
composto risulta di parti le une fuori delle al-
tre, donde lidea dellestensione. Si dice spazio
lordine delle parti considerate nella simulta-
neit, tempo lordine della loro successione in
una serie costante. Si chiamano sostanze, inve-
ce, le essenze semplici, indivisibili, inestese.
Esse sono fornite di una propria vis o forza, la
quale capace di variazioni in quanto sono va-
riabili i limiti loro (che, altrimenti, considerate
fuori di questi limiti, la realt di ciascuna coin-
ciderebbe con lintera possibilit). Il prodotto
di queste forze, proprie degli elementi sempli-
ci, quello, poi, che si attribuisce al loro ag-
gregato.
Il favore che incontr questa metafisica si deve
soprattutto al carattere scientifico con cui si
presentava, e si sa che Kant lavor a lungo, nel
periodo precritico, intorno a questo ideale
wolffiano di un rinnovamento in tal senso del-
la scienza prima, la quale, prendendo il no-
me di ontologia, pareva conciliare empirismo
e razionalismo. E dAlembert, nel Discorso pre-
liminare (1751) allEnciclopedia, cos giustifica-
va la nuova scienza: Poich tanto gli esseri
spirituali quanto quelli materiali hanno pro-
priet generali in comune, come lesistenza, la
possibilit, la durata, giusto che questo ra-
mo della filosofia, dal quale tutti gli altri rami
prendono in parte i loro principi, si denomini
ontologia, ossia scienza dellessere o metafisi-
ca generale (Discours prliminaire, 71). Si no-
ti, anzi, che Kant stesso, pur dopo la sua cele-
bre rivoluzione copernicana, pensava di
mantenere questo nome di ontologia alla me-
tafisica chegli pensava di fondare criticamen-
te, come ora diremo. Il modello chegli teneva
presente, quale sistema dogmatico, a cui quello
critico doveva sostituirsi, era appunto quello
di Wolff.
Anche la parte dellopera kantiana riguardante
la teologia sar diretta alla critica, in primo
luogo, di quella wolffiana. La quale, tuttavia,
portava pure una novit non trascurabile, al-
meno storicamente, perch creava una teolo-
gia razionale, che si affiancava a quella rivela-
ta, ma voleva essere indipendente da essa in
quanto faceva a meno del dogma. Lintenzio-
ne, tuttavia, era ortodossa, poich, come di-
chiarava il titolo, questa era una Theologia na-
turalis, qua existentia Dei et attributa divina a po-
steriori demonstrantur. Non, dunque, per la via
cartesiana, che aveva portato a quella del-
lempio Spinoza. Ma neppure, in verit, per
la via, precisamente, del tomismo, poich par-
tiva dal presupposto leibniziano che questo
fosse il migliore dei mondi possibili, perfetto
di una perfezione corrispondente alla somma
sapienza del suo autore, il quale nel crearlo al-
tro non aveva fatto che tradurre in esistenza la
sua pensabilit. Di qui il teorema (434 della
parte I): Possibilitas rerum non pendet a vo-
luntate Dei, che un evidente avvicinamento,
suo malgrado, allo spinozismo. Qualche per-
plessit aveva infatti su questo punto, come si
vede dalla prefazione, dove si appella, proprio,
a Tommaso: Quis enim est qui nesciat ante
Cartesium essentiarum necessitatem defensam
fuisse a philosophis et theologis, d. Thoma
non alia de causa asseverante Deum rem nul-
lam quoad determinationes essentiales aliter
facere potuisse quam fecit?. Daltronde a
queste difficolt non poteva sfuggire una me-
tafisica che, come era quella di Wolff, unificava
nel concetto di ente il problema del mondo
con quello di Dio creatore, e dava quindi an-
che un senso univoco allesistenza dei due en-
ti. Kant, pertanto, osservava che largomento
ex contingentia, a cui Wolff dichiarava volersi
attenere, sottintendeva gi quello ontologico.
Tutta la teologia wolffiana, infatti, si regge sul-
la contrapposizione dellens a se e dellens ab
alio, luno necessario, perfettissimo, e per non
indigens vi alterius entis ad existendum (ibi, 25),
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ENCICLOPEDIA FILOSOFICA Ontologia
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laltro ripetente per naturale deduzione la sua
esistenza dal primo (anche se il modo di que-
sta deduzione non sia meramente logico come
in Spinoza, e sia, invece, come qui si dice al
67, soltanto il modo di una ratio sufficiens).
IV. LONTOLOGIA KANTIANA. Kant riprende il
problema posto da Aristotele con la sua onto-
logia, in quanto essa aveva una fondamentale
impostazione, non logica, ma gnoseologica.
Per Kant come per Aristotele loggetto concre-
to del conoscere dato nellatto della perce-
zione sensibile, e conoscere sintesi indisso-
lubile di senso e intelletto. La differenza data
dal senso problematico che ora acquista il co-
noscere rispetto alla cosa in s (allousia, di
cui la metafisica antica, platonica in fondo,
pretendeva cogliere lessenza immutabile,
eterna ecc.), e per la trasposizione delle cate-
gorie aristoteliche a forme, del senso o dellin-
telletto, mediante le quali lo spirito umano in-
terpreta il mondo dei fenomeni e ne costruisce
la scienza (cfr. in Kritik der reinen Vernunft, Riga
1787
2
, tr. it. di G. Gentile - G. Lombardo-Radi-
ce, Critica della ragion pura, Bari 1963
8
, p. 21, il
noto passo della rivoluzione copernicana).
Trascendentalit oggettiva in Aristotele, sog-
gettiva in Kant, facente capo, luna, al princi-
pio dellente in quanto ente, laltra allio penso.
Principio, luno e laltro, di principi che ci dan-
no insieme lesistenza delloggetto e la sua co-
noscibilit. Ontologia chiama questa scienza
anche Kant, gi nella citata prima Critica (Dot-
trina trascendentale del metodo, cap. 3), e meglio
ancora nello scritto sul tema del concorso a
premio indetto dallAccademia reale delle
scienze di Berlino per il 1791: Quali sono gli ef-
fettivi progressi compiuti dalla metafisica in Ger-
mania dallepoca di Leibniz e Wolff? In esso, ripi-
gliando il termine wolffiano, Kant definisce
lontologia come quella scienza (come parte
della metafisica) che costituisce un sistema di
tutti i concetti e principi dellintelletto, solo in
quanto questi si riferiscono agli oggetti che
possono essere dati ai sensi, e quindi sono tali
che possono essere comprovati per mezzo
dellesperienza. Lontologia non tocca il so-
prasensibile, che pure lo scopo finale della
metafisica, ma appartiene dunque alla metafi-
sica solo come propedeutica, come lingresso
o il vestibolo della metafisica vera e propria,
ed chiamata filosofia trascendentale perch
contiene le condizioni e i primi elementi di
ogni nostra conoscenza a priori (ber die Fort-
schritte der Metaphysik, tr. it. di P. Manganaro, I
progressi della metafisica, Napoli 1977, p. 66).
Essa una risoluzione della conoscenza nei
concetti che stanno a priori nellintelletto e
che hanno il loro uso nellesperienza (ibi, p.
67).
Qui lontologia diventa, dunque, formale e
soggettiva, sebbene di una formalit e sogget-
tivit ben diversa dal formalismo meramente
logico e dal soggettivismo empirico, poich la
forma un aspetto dellattivit dello spirito
umano, del senso o dellintelletto, ed essa non
tanto soggettiva da non includere in s un
rapporto alloggetto, definito come oggetto di
una possibile esperienza in generale. Kant ha
potuto cos mantenere il concetto del sinolo,
ossia delloggetto come sintesi di materia
(qui, il contenuto in generale) e di forma, e ri-
prendere la dottrina aristotelica delle catego-
rie, elaborandola nella sua estetica e logica
trascendentale (non senza ibrida mescolanza,
in questa, della considerazione propriamente
gnoseologica con quella logica del giudizio in
generale).
V. LONTOLOGIA HEGELIANA. In Hegel il senso
dellesistenza si disperde in una generalit per
cui il problema dellessere si avvia, inevitabil-
mente, verso una concezione panteistica.
notevole, a questo proposito, la critica
chegli fa della critica kantiana dellargomento
ontologico, dove si dice che per il pensiero,
nel riguardo del contenuto, non si pu dar nul-
la di pi povero che lessere, per cui sarebbe
strano che la concreta totalit, che Dio, non
fosse neppure tanto ricca da contenere una co-
s povera determinazione. E aggiunge: An-
cor pi povero pu essere solamente ci che
con la parola essere si suol dapprima rappre-
sentare, cio unesistenza sensibile, come quella
della carta che io ho ora dinanzi a me (Enci-
clopedia, 51). Lesistenza, insomma, in Hegel
non fa problema: essa una determinazione
sorgente dal seno stesso dellessenza.
Hegel, come Kant, ha presente Wolff, come te-
sto classico di metafisica dommatica (pre-
cedente cio a quella critica), e ne scorre
brevemente la partizione (ibi, 32 ss.): La pri-
ma parte di questa metafisica, nella sua confi-
gurazione sistematica, era lontologia, cio la
dottrina dei caratteri astratti dellessenza.
Hegel, alla luce del criticismo, rifar da capo
questa metafisica, a cominciare, per lappun-
to, dallontologia (e proseguir con la filosofia
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Ontologia ENCICLOPEDIA FILOSOFICA
8120
della natura, corrispondente alla parte cosmo-
logica; poi, con la filosofia dello spirito uma-
no, corrispondente alla parte psicologica; con-
chiudendo in fine con la trattazione dello spi-
rito assoluto, corrispondente alla parte teolo-
gica).
Anche Kant, come si visto, aveva dato la sua
ontologia criticamente fondata, ma, mentre
Kant si riallaccia a quellatteggiamento della
posizione aristotelica che pu dirsi gnoseolo-
gica, Hegel riconduce di nuovo il conoscere al
pensare in generale, ossia ne fa un problema
veramente logico, e rinnova in esso, cos, piut-
tosto lontologia platonica: salvo, sintende, lo
spostamento generale del pensiero, proprio
dellet moderna a cominciare da Cartesio e
sino a Kant. Si vuole qui sorpassare lo stesso
Kant, superando la sua distinzione del feno-
meno dal noumeno: poich, ora, il noumeno
ci che noi pensiamo, o dobbiamo pensare,
nel fondo stesso del fenomeno. Lio penso
kantiano si allarga, dopo Fichte e Schelling, si-
no a coincidere con lattivit del pensiero in
generale, la quale , ora, unattivit dialettica,
che ha un suo proprio interno svolgimento,
per il quale tutto il reale sillumina alla luce
della ragione pensante. La metafisica diventa,
cos, una logica, tutta quanta, ossia una dottri-
na delle categorie fondamentali del pensiero
nel processo del pensare, via via, se stesso.
Universalit e necessit, attributi del concetto
nella vecchia logica, e poi delle categorie kan-
tiane, diventano ora il carattere proprio del
pensiero puro, ossia assolutamente a priori.
Ha la sua ontologia, dunque, anche questa
nuova metafisica hegeliana, e sar anchessa,
come voleva essere quella kantiana, una spe-
cie di atrio o vestibolo o introduzione alla trat-
tazione seguente: La logica oggettiva prende
piuttosto il posto della metafisica di una volta,
come di quella chera ledifizio scientifico so-
pra il mondo, da innalzarsi solo per mezzo di
pensieri. E se ci riferiamo allultima forma cui
era arrivata codesta scienza nel suo perfezio-
narsi, quella, di cui in primo luogo prende im-
mediatamente il posto, lontologia, la parte
cio dellantica metafisica che doveva ricerca-
re la natura dellente in generale (e lente com-
prende in s tanto lessere quanto lessenza).
Ma, in secondo luogo, la logica oggettiva ab-
braccia in s anche il resto della metafisica, in
quanto questa cercava di comprendere, insie-
me alle pure forme del pensiero, anche i sub-
strati particolari, presi in su le prime dalle rap-
presentazioni, cio lanima, il mondo, Dio
(Logica, Partizione generale).
Lontologia hegeliana si svolge allora, com
noto, nelle tre sezioni della dottrina dellesse-
re (qualit, quantit, misura), della dottrina
dellessenza (come riflessione e fondamento,
fenomeno, realt in atto), della dottrina del
concetto (la soggettivit, loggettivit, lidea).
In essa confluiscono le categorie della metafi-
sica antica e di quella nuova, critica, moderna:
tutto organizzato in una dialettica rigorosa,
deduttiva, mediatrice dei passaggi che porta-
no dal concetto indeterminato dellessere sino
allidea assoluta, che pura forma del pensie-
ro pensante se stesso, ossia che a se stesso
forma e contenuto insieme. Siamo, cos, nel
regno della verit, comessa in s e per s
senza velo. Ci si pu, quindi, esprimere cos:
che questo contenuto lesposizione di Dio,
comegli nella sua eterna essenza prima del-
la creazione della natura, e di uno spirito fini-
to (ibi, Introduzione). Dio, infatti, qui, aristo-
telicamente, lo stesso pensiero puro, assolu-
to, che ora venuto a coscienza di s e, in s,
della realt tutta quanta. La logica-metafisica
hegeliana infatti, di nuovo, una teologia: la
teologia del pensiero immanente alla realt
stessa, in cui il pensabile si realizza dialettica-
mente.
VI. TENTATIVO DI RINNOVAMENTO DELLONTOLOGIA
SCOLASTICA: ROSMINI, GIOBERTI, HUSSERL. Leco
di questa radicale trasformazione della vec-
chia ontologia fu viva specialmente in Italia,
dove la tradizione scolastica era pi forte; il
compito di farne la critica fu assunto da Gio-
berti e Rosmini. Gioberti si rifaceva a Male-
branche (e Malebranche aveva sostenuto che
la sua tesi era gi in Agostino), ma era un Ma-
lebranche alquanto hegelianeggiato, in quan-
to la preuve de simple vue, con cui loratoriano
aveva inteso di convalidare largomento onto-
logico dellesistenza di Dio, veniva da Gioberti
trasformata nellintuizione del principio pri-
mo, dellente, creatore dellesistente. Rosmini,
accusato da Gioberti di psicologismo, ritie-
ne, invece, che lintuito abbia per oggetto non
lessere, ma lidea dellessere. Lontologia rosmi-
niana segna un progresso su quella kantiana;
essa centralizza e unifica nell esistenza
delluomo le tre forme fondamentali dellesse-
re, quella dellidealit, della realt, della morali-
t, s che, per questo rispetto, si dimostra cen-
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ENCICLOPEDIA FILOSOFICA Ontologia
8121
trale la posizione delluomo nel mondo per il
passaggio al principio teologico, a Dio, che di-
viene, cos, per quanto raggiunto per via razio-
nale, pi vicino al Dio della rivelazione cristiana.
Questo ricco e fecondo movimento di pensie-
ro si sa che sub un arresto, in Italia e fuori, per
il trionfo crescente, nella seconda met del se-
colo, del positivismo, che portava con s una
dichiarata avversione a tutto ci che sapesse
di metafisica, e questa avversione fu mantenu-
ta e condivisa generalmente anche dalle cor-
renti criticiste e ideali che poi seguirono al po-
sitivismo. La metafisica, si diceva, era un resi-
duo della filosofia precritica, liquidata una vol-
ta per sempre dalla kantiana Critica della ragio-
ne pura. Ma ecco che in Germania compare al
principio del secolo la scuola fenomenologica di
E. Husserl, che riprende lidea di unontologia
che dovrebbe, pur accogliendo quanto v di
ontologico in quella kantiana e hegeliana,
restaurare il problema tradizionale della meta-
fisica classica platonico-aristotelica. Lontolo-
gia kantiana, infatti, e quella hegeliana, luna
dal punto di vista gnoseologico e laltra da
quello meramente logico, erano sconfinate in
un formalismo a cui mancava la positivit (ri-
vendicata, appunto, dal positivismo). Biso-
gnava, dunque, rivalorizzare il contenuto posi-
tivo del sapere, senza per questo ricadere nel
piatto positivismo e acritico empirismo, di-
spersivi del pensiero filosofico a cui essen-
ziale la riflessione pensante, propria della co-
scienza che vuole assicurarsi della validit del
proprio sapere.
La fenomenologia sta fra Kant e Hegel per il la-
to formale, fra Platone e Aristotele per quello
del contenuto. Ma la sua dipendenza anche
dal positivismo si vede da ci, che lontologia
viene scissa in diverse ontologie, chiamate
regionali, a seconda dei diversi generi di co-
se prese in considerazione: Ogni oggetto em-
pirico concreto si inserisce con la sua essenza
materiale in un genere materiale superiore, in
una regione di oggetti empirici. Allessenza re-
gionale corrisponde poi una scienza eidetica
regionale o, come possiamo anche dire, unon-
tologia regionale (Ideen zu einer reinen Phno-
menologie und phnomenologischen Philosophie,
Halle 1913, ed. it. a cura di E. Filippini, Idee per
una fenomenologia pura e una filosofia fenomeno-
logica, Torino 1950, p. 62). Queste ontologie re-
gionali debbono, nellintenzione di Husserl,
adempiere un ufficio fondamentale per la
chiarificazione dei concetti di cui si valgono le
singole scienze, poich ogni scienza di dati di
fatto ha fondamenti teoretici essenziali in on-
tologie eidetiche (ibid.). Sopra queste ontolo-
gie regionali dette anche materiali, in quanto
trattano di essenze realizzabili in oggetti con-
creti di esperienza, sta quella puramente for-
male che esamina le categorie delloggetto in
generale.
Esempio di ontologie regionali quello della
natura fisica: Cos, p. es., a tutte le discipline
naturalistiche corrisponde la scienza eidetica
della natura fisica in generale (lontologia della
natura), in quanto alla natura effettiva corri-
sponde un eidos apprendibile in modo puro,
ossia lessenza di natura in generale con inclu-
sa una massa infinita di rapporti essenziali. Il
progresso, infatti, della scienza fisica dato
dalla tendenza a razionalizzare sempre pi il
dato: La splendida fioritura delle scienze ma-
tematiche, formali e materiali, scaturisce da
questa tendenza. Con impegno appassionato,
esse vengono costituite, o ricostituite, come
scienze razionali nel nostro senso di ontologie
eidetiche e, a partire dallet moderna, non per
se stesse, bens in vista delle scienze empiri-
che. Pertanto esse diedero abbondantemente
i frutti sperati nello sviluppo parallelo dellam-
miratissima fisica razionale (ibi, p. 63).
Lontologia puramente formale invece, catego-
riale, analitica, riguarda la forma per se stessa,
la quale , bens, unessenza anchessa, ma
unessenza completamente vuota, che, come
tale, conviene a tutte le essenze possibili, e
che, nella sua universalit formale, subordina
a s anche le pi elevate generalit materiali,
prescrivendo loro quelle leggi che scaturisco-
no dalle sue intrinseche verit formali. La co-
siddetta regione formale non sta, dunque, sul
medesimo piano delle regioni materiali (o re-
gioni senzaltro), anzi propriamente non una
regione, bens una vuota forma di regione in
generale: essa ha tutte le regioni, con tutte le
loro particolarizzazioni essenziali riferite a rap-
porti-di-cose, non gi accanto a s, ma, sia pu-
re formaliter, sotto di s. Questa subordinazio-
ne del materiale al formale si rivela nel fatto
che lontologia formale racchiude in s le for-
me di tutte le possibili ontologie (materiali,
ossia autentiche), e che essa prescrive alle on-
tologie materiali una comune costituzione for-
male (ibi, p. 65).
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Ontologia ENCICLOPEDIA FILOSOFICA
8122
Questontologia formale, intesa come logica
pura, , dunque, scienza eidetica delloggetto
in generale, e oggetto per essa ogni cosa:
possono perci, in essa, costituirsi verit mol-
teplici allinfinito, distribuite in particolari di-
scipline, le quali rimandano tutte ad un pic-
colo patrimonio di verit immediate o fonda-
mentali, che nelle discipline puramente logi-
che fungono come assiomi (ibid.). Husserl de-
finisce, quindi, come categorie logiche (catego-
rie della regione logica delloggetto in genera-
le) i concetti fondamentali puramente logici,
che si presentano in questi assiomi, e cita co-
me esempi i concetti di propriet, di qualit, di
rapporto-di-cose, di relazione, didentit, di
uguaglianza, dinsiemi (collezioni), di numero,
di tutto e parte, di genere e specie ecc. Insieme
a queste categorie logiche sono poste anche le
categorie del significato, riguardanti la logi-
ca meramente discorsiva. Non ci inoltriamo
ulteriormente nello sviluppo complicato di
questa nuova ontologia, in cui il noumeno
kantiano stato calato nel mondo fenomeni-
co, e lIo penso resta quale principio trascen-
dentale sempre proteso verso la trascendenza
delloggetto per afferrarlo circuendolo con le
sue analisi logiche sulla base dintuizioni date
immediatamente. Qui, come abbiamo detto,
da Hegel si vuole ritornare a Kant, al problema
della conoscenza riguardante il mondo
dellesperienza, ma, nello stesso tempo, si lo-
gicizza, al modo dellidealismo, latto conosci-
tivo risolvendolo in rapporti di idee-essenziali,
che dovrebbero essere costitutive del reale da-
to effettivamente, su cui lavorano le scienze
dette perci positive.
VII. LONTOLOGIA DI N. HARTMANN: SUO CARATTERE
PROBLEMATICO. Dei numerosi scolari di Hus-
serl, seguaci di questa ontologia fenomeno-
logica, ci si limita a ricordare Nicolai Hart-
mann e M. Heidegger, i quali hanno lavorato
con maggiore autonomia, pur nel comune in-
dirizzo della scuola. N. Hartmann, , come
Husserl, libero da preoccupazioni teologiche,
e perci elabora unontologia, anche lui, in
senso kantiano, cio rivolta semplicemente a
uninterpretazione del mondo dellesperienza.
Daccordo con Husserl nella riforma del kanti-
smo, ossia nella reazione al suo soggettivi-
smo, egli vuole, poi, riformare la stessa onto-
logia del maestro, in quanto questa, secondo
lui, s troppo limitata al problema logico-gno-
seologico, mentre il problema dellessere, og-
getto proprio dellontologia, deve spaziare pi
largamente e comprendere tutti i problemi del-
lesperienza umana, non solo quelli conosciti-
vo-scientifici, ma anche quelli pratico-morali.
In Zur Grundlegung der Ontologie (Berlin 1935,
ed. it. a cura di F. Barone, La fondazione dellon-
tologia, Milano 1963) Hartmann insiste sulla
necessit di superare lantitesi tradizionale di
soggetto e oggetto, poich anche il soggetto ,
infine, un modo dellessere, e il conoscere, in
cui lessere si polarizza in quellantitesi, sol-
tanto uno degli aspetti in cui il problema on-
tologico si presenta. Tale problema , dunque,
al di l della distinzione del soggetto dallog-
getto (al di l, o al di qua), e perci anche dei
contrasti di realismo e idealismo, di sensismo
e razionalismo, di natura e spirito e via dicen-
do. Lessere in quanto semplicemente essere
un super-oggetto, un oggetto, cio, che
trascende tutte le distinzioni e opposizioni (N.
Hartmann, op. cit., pp. 17 ss.): lOggetto. Lon-
tologia fenomenologica, quindi, non deve essere
intesa come un sistema deduttivo, al modo
dellantica ontologia. Anzi, essa non neppure
un sistema, non ha una conclusione: la feno-
menologia soltanto un metodo, e lunit
soltanto di questo, non di un principio da far
valere a priori. Forse non si direbbe male affer-
mando che questo principio resta, nella mente
di Hartmann, come un problema perenne, pe-
rennemente aperto alla ricerca, e quasi come
un punto di convergenza allinfinito della mol-
teplicit ed eterogeneit dei problemi intorno
ai quali versa la ricerca filosofica. Il che ci sem-
bra anche il punto pi originale di questa on-
tologia di Hartmann, ossia il carattere di pro-
blematicit che in essa assume il problema
dellessere. Per Hartmann ci sono nellessere
come due zone, o punti di vista, che si intrec-
ciano continuamente (cfr. ibi, pp. 263 ss.):
luna, dellessere reale, che si traduce in esi-
stenza; laltra, dellessere ideale, destinato a
restare tale nella sua validit a priori, come so-
no le formazioni matematiche pure, i principi
logici, i valori. Queste le idee direttive anche
della pi breve trattazione Neue Wege der On-
tologie (1949
3
).
VIII. LONTOLOGIA FONDAMENTALE DI HEIDEGGER;
SARTRE, LAVELLE, CARABELLESE. Ma il pensatore
pi importante della scuola stato, senza
dubbio, M. Heidegger. La nota pi originale
della sua speculazione in quel Dasein, princi-
pio esistenziale puro, che, emergendo dal
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ENCICLOPEDIA FILOSOFICA Ontologia
8123
mondo delle cose e degli eventi, degli enti
(chiamato perci ontico), si apre alla compren-
sione dellessenza (del mondo ontologico).
Lontologia kantiana riceve qui un rinnova-
mento radicale: non solo il noumeno, secondo
la dottrina fenomenologica, resta calato nel fe-
nomeno, ma, allargata lesistenza di questo ol-
tre il campo dellesperienza conoscitiva a
quello pratico e storico in generale, vien cen-
tralizzato tutto questo mondo nelluomo in
quanto portatore di quel principio esistenzia-
le, e per, kantianamente, vengono derivate
dalla sua struttura le forme o categorie costi-
tutive di unontologia criticamente fondata.
Questo lavoro Heidegger ha compiuto in Sein
und Zeit (Halle 1927). Lanalitica logico-gnose-
ologica kantiana si trasformata, cos, in
analitica esistenziale, mantenendo il suo
carattere trascendentale (che qui, emergendo
lesistere puro dalla sfera dellontico, vien de-
finito come trascendenza a questo). Delle forme
kantiane vien ripresa, anzitutto, quella della
temporalit, fatta coincidere col processo stes-
so costitutivo del Dasein (cfr. la durata pura di
Bergson), e ad essa vengono subordinate o
collegate le altre forme e categorie del mondo
empirico umano, teorico e pratico.
In questo modo il Dasein diventa un principio
che , insieme, ontologico e preontologico, in
quanto il principio di apertura sul mondo
che da ontico diviene ontologico: Se, infatti,
vogliamo conservare il nome di ontologia per
il cercare esplicito e teoretico intorno al senso
dellente, allora necessario definire il sud-
detto essere-ontologico dellesserci (Dasein)
come preontologico. Il che non significa, tutta-
via, qualcosa come una mera onticit, ma
unonticit realizzantesi nella maniera di una
comprensione dellessere (M. Heidegger, op.
cit., p. 23). Ma, nello stesso tempo, essendo es-
so il principio di ogni possibile ontologia, sar
esso il fondamento ontologico supremo, e per
la sua struttura sar la struttura di unontolo-
gia fondamentale: Le ontologie che hanno co-
me oggetto tematico lente che non ha il carat-
tere dellessere dellesserci, sono pertanto fon-
date e motivate nella struttura ontica delles-
serci stesso, struttura che porta in se stessa la
caratteristica di una comprensione preontolo-
gica dellessere. Perci lontologia fondamenta-
le, in cui tutte le altre trovano la possibilit del
loro scaturire, deve esser cercata nellanalitica
esistenziale dellesserci. Il quale perci ha, da
pi punti di vista, un primato rispetto a tutti
gli altri enti. In primo luogo, ha un primato on-
tico, in quanto ente determinato nel suo essere
dallesistenza; in secondo luogo, ha un prima-
to ontologico, in quanto fondamento costituen-
te la comprensione dellessere di ogni ente (e
perci), condizione ontico-ontologica della
possibilit di ogni ontologia (ibi, p. 24).
A partire dal 1930, tuttavia, nel pensiero di
Heidegger si prodotta una svolta, in segui-
to alla quale il tema della sua ontologia, in
luogo dellesserci, divenuto lo stesso essere
(Sein): questo stato da Heidegger ricercato
soprattutto nel linguaggio, da lui definito ca-
sa dellessere (Lettera sullumanismo), ma non
nel linguaggio della filosofia tradizionale, o
della scienza, o del parlare comune, bens nel
linguaggio della poesia e dellarte in genere.
Lontologia heideggeriana venuta in tal mo-
do caratterizzandosi soprattutto come ascol-
to dellessere, quale si manifesta soprattutto
nella poesia.
Un successivo esempio di ontologia fenome-
nologica offerto da Sartre. Come per Husserl
e Heidegger, la posizione fenomenologica per-
mette a Sartre di superare il fenomenismo e di
fondare unontologia: lintenzionalit della co-
scienza assicura lassoluta realt ontologica
dellessere. Alla coscienza si pu applicare,
pi che la definizione heideggeriana del Da-
sein (lessere il cui essere consiste nellessere
questione a se medesimo), la definizione: la
coscienza un essere il cui essere questione
del proprio essere in quanto questessere im-
plica un esser altro da s (Ltre et le nant, Pa-
ris 1943, p. 29). La caratteristica dellessere
della coscienza dunque quella di essere co-
scienza di qualche cosa che la trascende e che
lessere stesso del fenomeno, non un essere
noumenico che si celerebbe dietro al fenome-
no. lessere en-soi che trascende lessere
pour-soi della coscienza; luno e laltro legati
per in una relazione indissolubile. Lontolo-
gia fenomenologica consiste nella descrizione
delle modalit dellessere colto nella relazione
en soi - pour soi.
Lontologia risorge, oltre che nellindirizzo fe-
nomenologico, in certe forme di spiritualismo
contemporaneo, e caratterizza in particolare lo
spiritualismo di L. Lavelle, che per molti
aspetti avvicinabile a quello giobertiano. An-
che per Lavelle uniniziale esperienza metafisi-
ca dellessere (cfr. lintuito giobertiano) la
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Ontologia ENCICLOPEDIA FILOSOFICA
8124
condizione per costruire unontologia articola-
ta nelle tre nozioni di essere, esistenza e realt,
che sono i tre aspetti sotto i quali il tutto pu
esser considerato. Ma pi propriamente lon-
tologia la scienza che studia lessere in s, la
sua partecipazione a tutti i suoi modi e la pre-
senza totale dei modi nellessere. Se lessere
Dio, lesistenza lio, la realt il mondo non
basta riconoscere che lessere loggetto
dellontologia, affermazione del tutto verba-
le, bisogna dire anche che loggetto della
metafisica (che sorpassa la materia quale da-
ta), tanto pi se si considera lessere, a un
tempo, nellunit che gli propria e nei modi
che lo esprimono (Introduction lontologie, Pa-
ris 1951
2
[1947], p. 63; cfr. anche ibi, pp. 1-8).
Una posizione affine a quella di Heidegger, ma
raggiunta per una via del tutto diversa, quel-
la rappresentata, in Italia, da Carabellese, il
quale ha conchiuso per un rinnovamento
dellontologia tradizionale che tenga conto
della critica kantiana e dello sviluppo chessa
ha avuto nellidealismo hegeliano, per la fon-
dazione quindi di un ontologismo che riporti
alla sua dovuta preminenza, su tutti gli altri
problemi, il problema dellessere. Sono molti
gli scritti di Carabellese, ma lopera sua pi si-
gnificativa rester probabilmente quella pub-
blicata a Firenze nel 1931 col titolo: Il problema
teologico come filosofia. Laffinit, a cui abbiamo
dianzi alluso, soprattutto nella distinzione,
fondamentale per Carabellese, del problema
dellesistenza da quello dellessere puro. Per
lui, lesistere proprio del mondo soggettiva-
mente considerato, ossia del cosiddetto
mondo dellesperienza, corrispondente a
quello che Kant diceva il mondo dei fenomeni,
e il noumeno, o cosa in s, , s, immanente ad
esso, ma anche trascendente: , come diceva
anche Hartmann, loggetto puro, al di l della
distinzione soggetto-oggetto, la quale, come
nel conoscere empirico, resta per sempre que-
stione circoscritta allambito del soggettivo,
senza possibilit di elevarsi a una posizione
metafisica del problema della realt.
IX. LONTOLOGIA ANALITICA. Un nuovo modo di
concepire lontologia si diffuso, soprattutto
nella filosofia analitica anglo-americana, nella
seconda met del sec. XX sotto la denomina-
zione di ontologia analitica. Lespressione
si trova per la prima volta in D.C. Williams (The
Elements of Being, in Review of Metaphysics,
7, 1953, pp. 3-18 e 171-192), il quale scrive: La
filosofia prima, secondo il piano tradizionale,
ontologia analitica, cio esamina i tratti ne-
cessari di qualunque cosa in questo o in un
qualsiasi altro mondo possibile. Il suo proble-
ma principale quello della sostanza e dellat-
tributo, o a ogni modo qualcosa di affine a
quella famiglia di idee che contiene anche le
idee di sussistenza e inerenza, soggetto e pre-
dicato, particolare e universale, singolare e ge-
nerale, individuo e classe, materia e forma. [...]
Interessata a ci che significa essere una cosa
o un genere, in qualche modo precede ed in-
dipendente dallaltro grande ramo della meta-
fisica, la cosmologia speculativa: quali generi
di cose ci sono, di quale materia sono fatte e
come sono messe insieme?. Pi recentemen-
te E. Runggaldier e C. Kanzian (Grundprobleme
der analytischen Ontologie, Paderborn 1998, ed.
it. a cura di S. Galvan, Problemi fondamentali
dellontologia analitica, Milano 2002) hanno
considerato lontologia analitica una disci-
plina della filosofia analitica.
Alcuni filosofi intendono lontologia analitica
come elaborazione di una tavola delle catego-
rie. Alla domanda Che cosa c? Che cosa esi-
ste? essi rispondono fornendo una lista di ca-
tegorie in cui collocare i vari oggetti a cui attri-
buiamo una qualche esistenza. Ci fatto in
due modi diversi: il primo consiste nel produr-
re un sistema di categorie ontologiche com-
pleto, e il secondo nel procedere caso per ca-
so. W.v.O. Quine (From a Logical Point of View,
ed. riveduta Cambridge [Massachusetts] 1961
2
,
ed. it. a cura di P. Valore, Da un punto di vista
logico, Milano 2004), R. Chisholm (A Realistic
Theory of Categories. An Essay on Ontology,
Cambridge 1996), J. Hoffman e G.S. Rosen-
krantz (Substance among Other Categories,
Cambridge 1994) e A. Thomasson (Fiction and
Metaphysics, Cambridge 1999) hanno prodotto
dei sistemi categoriali ontologici completi. Al-
tri invece argomentano a favore o contro lam-
missione di certi tipi di enti, siano questi nu-
meri, universali, atti di coscienza, o oggetti fit-
tizi. Un approccio ontologico di questo tipo
emerge, in particolare, dai tentativi di scoprire
la vera forma logica di certi insiemi di enuncia-
ti, riguardino questi eventi (D. Davidson, The
Individuation of Events, Dordrecht 1969, tr. it. di
R. Brigati, in Azioni ed eventi, Bologna 1992) o
entit fittizie (T. Parsons, Nonexistent Objects,
New Haven 1980).
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ENCICLOPEDIA FILOSOFICA Ontologia
8125
Un problema discusso nellambito dellonto-
logia analitica quello del significato della pa-
rola esistere. La posizione pi diffusa al ri-
guardo quella risalente a G. Frege e B. Rus-
sell, secondo cui lesistenza una propriet
dei concetti, o delle classi, e consiste nel fatto
che un concetto, o una classe, esemplificato
da almeno un individuo. Questa posizione
conduce ad affermare lunivocit del termine
esistere, che significa sempre e soltanto c
almeno un x tale che ecc.. Nellambito del-
lontologia analitica contemporanea essa
rappresentata soprattutto da Quine (Word and
Object, Cambridge [Massachusetts] 1960, tr. it.
di F. Mondadori, Parola e oggetto, Milano 1970)
ed stata ripresa recentemente da P. van In-
wagen (Meta-Ontology, in Erkenntnis, 48,
1998, pp. 233-250). Ma alcuni filosofi analitici,
come G. Ryle, hanno invece sostenuto che
esistere ha molti significati diversi, a secon-
da del tipo di enti di cui viene predicato. P. es.,
quando diciamo che esistono numeri primi, o
che esistono i mercoled, o che esiste lopinio-
ne pubblica, o che esistono dei bombardieri,
usiamo la parola esistere con significati
completamente diversi (G. Ryle, The Concept of
Mind, London 1949, ed. it. a cura di F. Rossi-
Landi, Lo spirito come comportamento, Roma-
Bari 1982).
Infine c un altro modo di intendere lontolo-
gia analitica, consistente nellanalizzare quali
tipi di concetti e di argomenti usiamo quando
facciamo ontologia. Questo tipo di indagine
pu essere qualificato come meta-ontologia
(P. van Inwagen, op. cit.) o come epistemolo-
gia dellontologia (T. Sider, Four-Dimensiona-
lism. An Ontology of Persistence and Time,
Oxford 2001). Essa non pone domande del ti-
po che cosa c?, ma domande del tipo che
cosa ci stiamo chiedendo quando ci chiedia-
mo che cosa c?.
A. Carlini - E. Berti
BIBL.: a) per il pensiero antico e medievale: F.J.
THONNARD, Caractres platoniciens de lontologie augus-
tinienne, in Augustinus Magister, Paris 1954, pp.
317-327; R. LORIAUX, Ltre et la forme selon Platon,
Bruges-Paris 1955; K.-H. VOLKMANN-SCHLUK, Plotin
als Interpret der Ontologie Platons, Frankfurt am Main
1957
2
; G.P. KLUBERTANZ, St. Thomas an Analogy, Chi-
cago 1960; P. AUBENQUE, Le problme de ltre chez Aris-
tote, Paris 1962; A. ZIMMERMANN, Ontologie oder Me-
taphysik? Die Diskussion ber den Gegenstand der
Metaphysik im 13. und 14. Jahrhundert. Texte und
Untersuchungen, Leida 1965; P. AUBENQUE (a cura
di), tudes sur le Sophiste de Platon, testi raccolti da
M. Narcy, Napoli 1991; J. MORAVCSIK, Plato and Plato-
nism. Platos Conception of Appearance and Reality in
Ontology, Epistemology, and Ethics, and Its Modern
Echoes, Oxford 1992; G. REALE, II concetto di filosofia
prima e lunit della metafisica di Aristotele, ed. con
laggiunta di tre saggi integrativi, Milano 1994
6
;
AA.VV., Aristotele e i suoi esegeti neoplatonici. Logica e
ontologia nelle interpretazioni greche e arabe, Napoli
2004.
b) Per il pensiero moderno e contemporaneo, in
particolare: F. BARONE, Lontologia di N. Hartmann,
Torino 1948; G. VARET, Lontologie de Sartre, Paris
1948; R. ASSUNTO, Ontologia e fondazione delluomo nel
pensiero di P. Carabellese, in Giornale critico della
Filosofia italiana, 1949, pp. 18-38; E. CORETH, Das
fundamental ontologische Problem bei Heidegger und
Hegel, in Scholastik, 1954, pp. 1-23; J.F. SMITH,
Hartmanns New Ontology, in Review of Metaphy-
sics, 1954, pp. 583-601; G. DI NAPOLI, Ontologia clas-
sica e ontologia contemporanea, in Rassegna di
Scienze filosofiche, 1955, pp. 46-65; G. KNG, On-
tology and the Logistic Analysis of Language, Dordre-
cht 1967; J.F. COURTINE, Suarez et le systme de la
mtaphysique, Paris 1990, tr. it. a cura di C. Esposito,
Il sistema della metafisica. Tradizione aristotelica e svol-
ta di Surez, Milano 1999; E. BERTI, Being and Essence
in Contemporary Interpretations of Aristotle, in A. BOT-
TANI - M. CARRARA - P. GIARETTA (a cura di), Individuals,
Essence and Identity, Dordrecht 2002, pp. 79-108; C.
BIANCHI - A. BOTTANI (a cura), Significato e ontologia,
Milano 2003; M. FERRARIS, Ontologia, Napoli 2003.
c) Tra gli scritti di carattere teoretico: H. KRINGS, Fra-
gen und Aufgaben der Ontologie, Tbingen 1954; P.
PRINI, Verso una nuova ontologia, Roma 1957; I. MAN-
CINI, Ontologia fondamentale, Brescia 1958; P.B. GRE-
NET, Ontologie, Paris 1959; G. SIEWERTH, Das Schicksal
der Metaphysik von Thomas zu Heidegger, Einsiedeln
1959; J. GIRARDI, Description des essences et ontologie, in
Revue philosophique de Louvain, 1961, pp. 445-
493, 640-671; E. GARULLI, Esperienza e metafisica nella
filosofia moderna, Urbino 1963; R. EGIDI, Ontologia e
conoscenza matematica, Firenze 1964; J. DE FINANCE,
Connaissance de ltre. Trait dontologie, Paris 1966;
R.H. INNERS, Ideology and Analysis. A Rehabilitation
of Metaphysical Ontology, Paris-Bruges 1966; G.
KNG, Ontology and the Logical Analysis of Language,
New York 1967; G. MARCEL, Position et approches con-
crtes du mystre ontologique, Louvain 1967
2
; J.K. FEI-
BLEMAN, Ontology, New York 1968; R.S. GROSSMANN,
Ontological Reduction, Bloomington 1973; M. MUNITZ
(a cura di), Logic and Ontology, New York 1973;
AA.VV., Ontologia e assiologia, Brescia 1974; G. VATTI-
MO, Poesia e ontologia, nuova ed. aumentata, Milano
1985; P.M. SIMONS, Parts. A Study in Ontology,
Oxford 1987; A. CAVADI et al., Metafisica, anti-metafi-
sica, post-metafisica. Lineamenti di ontologia, Palermo
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Ontologia analitica ENCICLOPEDIA FILOSOFICA
8126
1990; M. MARSONET, La metafisica negata: logica, on-
tologia, filosofia analitica, Milano 1990; J. BACON - K.
CAMPBELL - L. REINHARDT (a cura di), Ontology, Cau-
sality and Mind. Essays in Honour of D.M. Arm-
strong, Cambridge 1993; H. MATURANA, A ontologia da
realidade, Belo Horizonte 1997; P. VAN INWAGEN, On-
tology, Identity, and Modality, Cambridge 2001; A.C.
VARZI, Parole, oggetti, eventi e altri temi di metafisica,
Roma 2002; A.C. VARZI, Ontologia e metafisica, in N.
VASSALLO - F. DAGOSTINI (a cura di), Storia della filoso-
fia analitica, Torino 2002; G. FERRETTI (a cura di), Lin-
guaggi dellontologia, Pisa 2003; A.C. VARZI, Ontologia,
Roma-Bari 2005.
ABISSO; ACCIDENTE; ACQUA; ANALOGIA; CIELO, CIE-
LI; CONDIZIONE; CONTINGENZA; COSA; DASEIN; DIF-
FERENZA ONTOLOGICA; DIO; ELEMENTO; ENOLOGIA;
ENTE; ERMENEUTICA; ESISTENZA; ESPERIENZA; ES-
SENZA; ESSERE; EVENTO; EVIDENZA; FINITO; FONDA-
MENTO; FUOCO; IMMANENTISMO; IMMANENZA; INFI-
NITO; MATERIA; MEONTOLOGIA; METAFISICA; MON-
DO; NATURA; NECESSIT; NULLA; ONTOLOGIA ANA-
LITICA; ONTOTEOLOGIA; POSSIBILIT; POSSIBILIZZA-
ZIONE; PRINCIPIO; PROTOLOGIA; REALE; REALT; RE-
ALT VIRTUALE; TEOLOGIA; TERRA; UNO.
Ontologia analitica ONTOLOGIA ANALITICA. Lontologia
analitica si occupa della struttura ultima della
realt e delle componenti fondamentali di ci
che vi . Lanalisi del linguaggio dei primi filo-
sofi analitici non ha messo fuori gioco lonto-
logia ma ha riportato a nuova vita i problemi
ontologici classici. I problemi trattati dallon-
tologia analitica corrispondono, infatti, in
gran parte a quelli delle ontologie scolastiche.
Il complesso dei problemi di ontologia analiti-
ca sar sviluppato in tre parti corrispondenti a
tre centri tematici: nesso di predicazione (e re-
lative posizioni ontologiche), concetto di stato
di cose, nozione di modalit. Di conseguenza
la voce si articola secondo la seguente tripar-
tizione.
SOMMARIO: I. Predicazione e concezioni ontolo-
giche (realismo/platonismo, aristotelismo e
nominalismo): 1. Teorie della predicazione. - 2.
Strawson: individui e universali. - 3. Quine: fisica-
lismo ontologico. - 4. Ontologie realiste. - II. Fatti,
cose e identit: 1. Stati di cose. - 2. Individui/co-
se. - 3. Teorie dei fasci. - 4. Specie/sortali (sortals).
- 5. Identit. - 6. Permanenza/continuit nel tem-
po. - 7. Oggetti come continuanti. - 8. Identit per-
sonale. - III. Teoria delle modalit ontologiche:
1. De dicto e de re. - 2. Concezioni possibilisti-
ca/concretistica e attualistica. - 3. Esistenza.
I. PREDICAZIONE E CONCEZIONI ONTOLOGICHE (REALI-
SMO/PLATONISMO, ARISTOTELISMO E NOMINALISMO).
Le varie posizioni ontologiche dipendono non solo
da opzioni contenutistiche (Weltanschauungen),
ma anche dallinterpretazione del rapporto di pre-
dicazione. Per predicazione si intende generalmen-
te latto linguistico con cui si produce o si esprime
una proposizione. Per proposizione sintende invece
unespressione linguistica suscettibile di essere vera
o falsa cos come anche il contenuto o il pensiero
(Gedanke) da essa espresso.
Di fondamentale importanza per lontologia
analitica la distinzione messa in rilievo da
Frege tra denotato o riferimento (Bedeutung, refe-
rent) e senso (Sinn, meaning). I denotati sono
gli oggetti a cui ci si riferisce parlando. Il senso
invero ci che si afferra quando si compren-
de unespressione linguistica. La distinzione
corrisponde a quella tra suppositio persona-
lis e suppositio formalis nella filosofia sco-
lastica e a quella pi recente tra estensione
e intensione di unespressione.
Per referimento (Referenz, reference) o denotazione
si intende la relazione tra unespressione lin-
guistica e loggetto o linsieme degli oggetti da
essa denotati. Dal punto di vista delle seman-
tiche formali la referenza intesa come rela-
zione a due posti, mentre dal punto di vista
pragmatico, vale a dire per coloro che prendo-
no le mosse dallanalisi degli atti linguistici,
una relazione almeno a tre posti. il parlante
a riferirsi mediante luso di unespressione lin-
guistica a un oggetto intenzionale.
I problemi ontologici di questo paragrafo sor-
gono non appena ci si chiede in che cosa con-
sista il nesso tra soggetto e predicato e a che
cosa ci si riferisca mediante il soggetto e me-
diante il predicato. Tali questioni stanno alla
base dellontologia sia classica sia analitica.
Nuovo per la teoria della predicazione nel-
lambito della ontologia analitica lelimina-
zione della copula e leliminazione della di-
stinzione tra predicato nominale e verbale.
Socrate parla e Socrate parlante hanno
ambedue la stessa struttura proposizionale
Fa (F sta per un predicato a un posto e il
termine singolare a per un soggetto il cui
denotato un individuo o una cosa singola
concreta). A tutte le varianti dellontologia
analitica poi comune la critica dellinterpre-
tazione scolastica della predicazione, apostro-
fata da P. Geach come teoria dei due nomi.
Secondo tale teoria una proposizione sarebbe
VOLUMIfilosofia.book Page 8126 Wednesday, September 6, 2006 10:43 AM
ENCICLOPEDIA FILOSOFICA Ontologia analitica
8127
vera se e solo se il soggetto e il predicato han-
no lo stesso riferimento (ovvero coincidono
nella loro supposizione).
Le varie concezioni dellontologia analitica di-
stinguono tra il tipo di referenza o denotazione
dei soggetti e quello dei predicati e in conse-
guenza anche tra i tipi dei loro denotati. Il nes-
so tra i denotati non pu quindi essere quello
didentit espresso con la copula, ma sar, co-
me vedremo in seguito, un nesso diverso. La
soluzione nominalistica consiste tuttavia nel
negare che i predicati abbiano un denotato o
un riferimento proprio. Essi hanno solamente
la funzione di essere detti dei denotati dei sog-
getti e quindi di convenire o essere veri di questi.
Una proposizione sar vera se e solo se il pre-
dicato vero del denotato del soggetto ovvero
se questo cade sotto il predicato.
Chi non simpatizza per questa soluzione no-
minalistica accoglie nellontologia entit co-
me propriet e specie. A tale riguardo si pone
il problema classico se queste entit siano
particolari o generali/universali, cio qualcosa
che si presenti identico in cose diverse, in diffe-
renti luoghi spazio-temporali. Oltre agli indivi-
dui particolari vi sono anche entit generali/uni-
versali, entit a-temporali e prive di estensione
spaziale?
Il problema degli universali concerne anche
linterpretazione del modo in cui tali entit esi-
stono, ovvero del tipo di rapporto in cui stan-
no con entit di altre categorie. Esistono an-
che indipendentemente dalle concrete cose
particolari? Gli autori che rispondono positi-
vamente vengono in genere denominati pla-
tonici e le loro concezioni platoniche o
platonizzanti. Alle posizioni platonizzanti si
contrappongono concezioni per le quali le en-
tit universali non sarebbero in se stesse,
bens esisterebbero soltanto nelle cose con-
crete. Un simile realismo moderato degli
universali si colloca nella tradizione dellonto-
logia aristotelico-tomistica.
1. Teorie della predicazione. Il dibattito su no-
minalismo e realismo si svolge, come si det-
to, nel contesto dellinterpretazione della
struttura semantica delle proposizioni ovvero
della predicazione. Il nesso tra il denotato del
soggetto e quello del predicato di una propo-
sizione elementare Fa viene interpretato (a)
come inclusione tra un individuo e un insieme
di individui (Carnap e i primi estensionalisti);
(b) come saturazione o soddisfazione di una
funzione attraverso un argomento (Frege e ap-
proccio semantico); (c) come esemplificazio-
ne/istanziazione o realizzazione di un universale
in un caso particolare (Strawson e tradizione
aristotelica) e (d) come essere il valore di una va-
riabile vincolata (Quine e approccio fisicalisti-
co). Le ontologie sulla scia di Carnap tendono
ad essere positivistiche/estensionalistiche; quelle
improntate su Frege platoniche o platoneggian-
ti, quelle su Strawson aristoteliche e quelle su
Quine fisicalistiche/nominalistiche. Le ultime so-
no monocategoriali in quanto accettano sola-
mente una categoria di entit di base, cio en-
tit concrete, vale a dire localizzabili nello spa-
zio e nel tempo.
(a) Nesso predicazionale inteso come inclusio-
ne. Una proposizione elementare Fa vera
se e solo se a denota un individuo che in-
cluso nellinsieme degli individui denotati da
F. Le condizioni di verit di una proposizio-
ne dipendono, infatti, dallestensione dei suoi
termini costitutivi e lestensione di un termine
singolare in posizione di soggetto ovviamen-
te un singolo individuo, mentre lestensione di
un predicato, essendo un termine generale,
un insieme di individui. Lestensione del ter-
mine Socrate un individuo, mentre lesten-
sione del termine filosofo linsieme di tutti
i filosofi. Socrate filosofo risulta quindi ve-
ro se e solo se Socrate un elemento dellin-
sieme di tutti i filosofi.
A prima vista questa teoria sembra convincen-
te per ragione della sua semplicit, ma proprio
questa semplicit provoca a sua volta molti
problemi tra cui quelli dell'estensionalismo:
come si pu determinare lestensione di un
termine generale nella vita reale? Appartengo-
no allestensione anche gli individui futuri e
quelli passati?
(b) Nesso inteso come saturazione. Fa vera
se e solo se il denotato di a satura o soddi-
sfa F. Questa teoria, risalente a Frege, di-
ventata standard per la semantica formale ed
tuttora la concezione-chiave per varie impo-
stazioni realistiche dellontologia analitica.
Con la sua teoria della predicazione Frege mira
a difendere unintuizione realistica vale a dire
anti-idealistica e anti-psicologistica: mediante
la predicazione esprimiamo pensieri ma con
questi ci riferiamo alla realt che non dipende
dai nostri pensieri. Pronunciando enunciati di-
chiarativi pretendiamo che il valore di verit di
ci che dichiariamo sia il vero (das Wahre). Lin-
VOLUMIfilosofia.book Page 8127 Wednesday, September 6, 2006 10:43 AM
Ontologia analitica ENCICLOPEDIA FILOSOFICA
8128
novazione da parte di Frege concerne lelimi-
nazione della copula e linterpretazione del
predicato come segno di una funzione.
La copula pu essere legittimamente trala-
sciata in quanto le due parti della predicazione
convengono una allaltra in maniera diretta:
lespressione semanticamente completa, vale
a dire il soggetto, completa lespressione se-
manticamente incompleta, vale a dire il predi-
cato. In tal modo ne risulta unespressione
complessa completa, cio una proposizione.
Lo stesso vale per i denotati: attraverso F ci
si riferisce a unentit incompleta che diventa
completa solamente se saturata dallentit a
cui ci si riferisce attraverso a. Importante
la distinzione tra il predicato F come espres-
sione linguistica e la sua denotazione (Bedeu-
tung) che in quanto incompleta ontologica-
mente dipendente.
Frege interpreta le denotazioni dei predicati
ovvero gli attributi o concetti (Begriffe) come
funzioni. Interpreta a come oggetto-argo-
mento e F come concetto-funzione. I valori
di tali funzioni sono due, il vero e il falso. Se a
satura F, Fa vero, nel caso contrario falso.
Sulla scia di Frege si usa il termine saturazione
ogniqualvolta un attributo usato come una
funzione (si parla anche di funzione proposi-
zionale Fx) che assegna a un individuo scel-
to come suo argomento il valore di verit vero.
Se vero che Socrate filosofo, lindividuo So-
crate soddisfa/satura lessere filosofo. Un
enunciato vero se e solo se i denotati o rife-
rimenti (Bedeutungen) delle due parti compo-
nenti sono tali che una delle due soddisfa lal-
tra. Il realismo ovvero platonismo di Frege
concerne la realt degli attributi ovvero delle
funzioni-concetto. Questi sono reali sebbene
ontologicamente non completi. Hanno, tutta-
via, uno statuto ontologico diverso da non
confondersi con quello degli individui.
(c) Nesso inteso come esemplificazione/istanzia-
zione. Un enunciato Fa vero se e solo se il
denotato di a un caso particolare ovvero
una esemplificazione o realizzazione del deno-
tato universale di F. Se vero che Socrate
filosofo ci significa che Socrate realizza les-
sere filosofo o che un esemplare o unistanza
particolare di questo universale. Questa teoria
viene associata al nome di Strawson, che, co-
me vedremo in seguito, sostiene una forma di
realismo degli universali in quanto denotazio-
ni dei predicati.
I denotati dei soggetti, gli individui concreti,
hanno un posto determinato nello spazio e nel
tempo e possono essere localizzati, mentre i
denotati dei predicati, essendo universali, non
sono ordinati spazio-temporalmente, ma
stanno tra di loro in relazioni di tipo diverso
come per sempio linclusione o lesclusione.
Lessere cane p. es. include lessere vivo ma
esclude lessere costruito. Anche questa teoria
della predicazione implica ovviamente unon-
tologia con almeno due categorie diverse: in-
dividui e universali.
(d) Nesso in base alla quantificazione esisten-
ziale. La proposizione Fa risulta vera se e so-
lo se si d un qualcosa tale che sia a e anche F
ovvero se c un valore x tale che cada sotto
lespressione sia in posizione di soggetto sia
in posizione di predicato. Che Socrate filoso-
fo significa che si d un qualcosa di reale che
tale da essere sia Socrate sia filosofo. In base
a questinterpretazione ovvio che non ne-
cessario assumere due categorie diverse di og-
getti/entit. Questa interpretazione dovuta in
particolare a Quine favorisce gli approcci mo-
no-categoriali di tipo fisicalistico.
La differenza tra posizioni pluri-categoriali re-
alistiche e posizioni mono-categoriali di stam-
po fisicalistico/naturalistico dovuta, come
sopra indicato, anche alla diversa interpreta-
zione della relazione di referenza o denotazio-
ne. Se si prescinde dai parlanti si propensi
ad assumere una posizione simile a quella di
Quine. Se invece si convinti che per compren-
dere la struttura della predicazione bisogna
prendere in considerazione anche i parlanti nel-
lo svolgimento dellatto linguistico, vale a dire
nellatto di riferire e di predicare, si attratti
verso un realismo nel senso di Strawson.
2. Strawson: individui e universali. La teoria
della predicazione di Strawson si situa nella
tradizione della filosofia degli atti linguistici
(speech act theory) dovuta al tardo Wittgenstein
e agli studi di Austin e Searle. Il punto di par-
tenza dellanalisi della predicazione il par-
lante in quanto pronuncia degli enunciati de-
scrittivi. Tale atto risulta pertanto composto
dallatto referenziale e da quello predicazionale in
senso stretto.
I due atti sono diversi e, per avere successo,
devono soddisfare varie condizioni. Per Straw-
son la differenza tra latto del riferire e quello
del predicare non pu essere chiarita ricondu-
cendola a una mera differenza grammaticale.
VOLUMIfilosofia.book Page 8128 Wednesday, September 6, 2006 10:43 AM
ENCICLOPEDIA FILOSOFICA Ontologia analitica
8129
Le analisi grammaticali sono dipendenti dalla
lingua parlata e perci non possono essere al-
la base di una teoria della predicazione com-
pleta. Strawson evidenzia che la differenza tra
gli atti linguistici di riferimento e quelli di pre-
dicazione pu essere giustificata solo grazie
alla differenza ontologica tra gli elementi
(items), che vengono introdotti attraverso i
rispettivi atti linguistici, cio tra cose singo-
le/particolari e quelle universali. Per mezzo di
soggetti ci si riferisce proprio a cose singole,
mentre si utilizzano i predicati per introdur-
re negli enunciati gli universali, come ad
esempio le propriet.
Nella metafisica descrittiva di Strawson la
questione delle strutture fondanti del nostro
sistema linguistico e concettuale insepara-
bilmente connessa a quella delle strutture
portanti della realt: se comprendiamo le
strutture di base del nostro linguaggio, com-
prendiamo anche le strutture fondamentali
del mondo.
Un presupposto della riuscita della comunica-
zione linguistica che lascoltatore compren-
da e sappia ci che detto dal parlante: se
lascoltatore sa di quale particolare il parlante
discorre, allora in condizione di identificare
questo particolare. Una delle caratteristiche
fondamentali del nostro linguaggio consiste
quindi nel fatto che esso dispone di mezzi per
riferirsi a oggetti e identificare individui/partico-
lari. Un tipico mezzo linguistico per lidentifi-
cazione non dimostrativa luso di nomi o di
descrizioni definite. Ma come garantire che i par-
lanti, con nomi o descrizioni, si riferiscano ef-
fettivamente a ci che i loro ascoltatori sup-
pongono costituisca il riferimento?
Condizione essenziale di ogni identificazione
di un particolare la conoscenza di ci che di-
stingue tale particolare da ogni altro, cio la
conoscenza della sua posizione spazio-tempora-
le; perci, identificare un particolare, in modo
dimostrativo o non dimostrativo, significa
sempre, in ultima istanza, localizzarlo nel siste-
ma spazio-temporale oggettivo.
Per riuscire nella localizzazione degli individui
ci vuole, dunque, una certa conoscenza anche
empirica, conoscenza non richiesta per riferirsi
agli universali. Per introdurre nel linguaggio
universali mediante i predicati sufficiente la
conoscenza del significato. Le relazioni tra gli
universali come per esempio le relazioni di in-
clusione o di incompatibilit non sono di ca-
rattere empirico.
Lapproccio descrittivo dellontologia anali-
tica di Strawson prende cos le mosse dal si-
stema concettuale che utilizziamo nella nostra
vita quotidiana. La differenza tra gli individui e
gli universali, esattamente come la differenza
tra le rispettive condizioni di identificazione
da cui la prima discende sta alla base delle
differenze meramente grammaticali tra sog-
getto e predicato, da una parte, e atti di riferi-
mento e di predicazione, dallaltra.
Lanalisi della predicazione di Strawson rende
giustizia alle intuizioni quotidiane, sia rispetto
al modo in cui parliamo, sia rispetto alla no-
stra comprensione del mondo di cui parliamo.
Per questa sua vicinanza alle intuizioni della
vita di tutti i giorni, Strawson si pone consape-
volmente nella tradizione della metafisica clas-
sica. Egli infatti paragona esplicitamente il suo
modo di procedere a quello di Aristotele. Il
suo aristotelismo non si manifesta solo nel
modo in cui egli effettua le differenziazioni on-
tologiche, ma anche nella scelta di considera-
re le cose (individuals) come i particolari fon-
danti e gli universali come appartenenti a una
categoria ontologica di secondo tipo.
Lanalisi della predicazione tipica di Quine si
distanzia invece dallaristotelismo e favorisce
quelle posizioni mono-categoriali dellontolo-
gia analitica che si dicono fisicalistiche o natu-
ralistiche in senso stretto.
3. Quine: fisicalismo ontologico. Anche Quine
distingue nella sua teoria della predicazione
tra espressioni che svolgono una funzione di
riferimento e quelle che servono alla funzione
predicativa. Ai predicati tuttavia spetta sola-
mente la funzione di essere detti di una co-
sa. I predicati non hanno delle denotazioni
proprie, con essi non si introduce un determi-
nato tipo di entit vale a dire propriet o uni-
versali. Nel caso di un enunciato vero, le-
spressione predicata conviene o corrisponde a
ci che viene denominato con lespressione
referenziale.
Si deve a Quine il criterio dellimpegno ontolo-
gico. Cosa deve esserci nella realt perch i
nostri enunciati possano essere non solo com-
prensibili, ma anche veri? A che cosa ci si vin-
cola quando si avanzano affermazioni? Secon-
do Quine, attraverso gli atti di predicazione
non ci si impegna ad accettare universali. Se
ci che conviene alle cose cui ci si riferisce me-
VOLUMIfilosofia.book Page 8129 Wednesday, September 6, 2006 10:43 AM
Ontologia analitica ENCICLOPEDIA FILOSOFICA
8130
diante i soggetti sono i predicati, vale a dire
espressioni linguistiche, non ci si trova impe-
gnati ad accettare propriet come ci a cui i
predicati si riferiscono.
Se ci interroghiamo sui presupposti ontologici
delle nostre affermazioni quotidiane, non pos-
siamo fermarci alla superficie del nostro lin-
guaggio. Gli enunciati del linguaggio ordina-
rio, infatti, sono per diversi aspetti troppo
complicati grammaticalmente e troppo inde-
terminati semanticamente, perch si possano
scorgere i vincoli ontologici assunti. Perci
dobbiamo parafrasare le asserzioni traducen-
dole nella notazione canonica della logica dei
predicati: in questo modo, enunciati comples-
si sono svolti in una forma logicamente pi
semplice e chiara. Quine sottolinea espressa-
mente che la traduzione di enunciati nella no-
tazione canonica unesigenza non solo
dellanalisi del linguaggio, ma anche dellon-
tologia. In base a questa notazione possibile
interpretare la differenza tra il ruolo referenzia-
le e predicativo senza sostenere una differenza
categoriale.
Tradotto nella notazione canonica Socrate
pensa diventa (x Socrate e pensa). Da
questa notazione evidente che il parlante si
vincola solamente ad accettare che ci sia qual-
cosa di indeterminato che sia Socrate e che
pensi. Per Quine lonere del riferimento o il
ruolo referenziale spetta solo ai quantifica-
tori e alle variabili da essi vincolate. Tutte le al-
tre espressioni, anche le tipiche espressioni-
soggetto degli enunciati quotidiani, come i no-
mi o le descrizioni definite, si trovano nellam-
bito dazione del quantificatore e quindi sono
utilizzate esclusivamente in modo predicativo.
Di conseguenza, il suddetto enunciato vero
se e solo se entrambe le espressioni Socrate
e pensa convengono/corrispondono a qual-
cosa di reale ovvero a un elemento del domi-
nio dei valori della variabile vincolata.
Con la notazione canonica si pu risolvere il
problema degli enunciati esistenziali negativi
come Pegaso non esiste. Se il nome Pega-
so comportasse un impegno ontologico
lenunciato non potrebbe essere vero. Non
possiamo, infatti, sensatamente negare lesi-
stenza di ci che, nominandolo, ci impegnia-
mo ad affermare come esistente. Con lattribu-
zione dellonere del riferimento non ai nomi
ma al quantificatore esistenziale e alla variabi-
le vincolata il problema si risolve. Lenunciato
va analizzato cos: Non c niente che sia Pe-
gaso.
Quine non nega la differenza tra la funzione re-
ferenziale e quella predicativa del nostro lin-
guaggio, nega tuttavia la differenza presuppo-
sta dallanalisi tradizionale tra soggetto e pre-
dicato. Nella notazione canonica le espressio-
ni soggetto e predicato assumono la stessa
funzione: sono entrambe dette di una entit
non specificata, di un qualcosa a cui ci si rife-
risce indeterminatamente.
Lanalisi della predicazione svolta da Quine
esclude che i parlanti introducano entit uni-
versali corrispondenti ai predicati. I modi di
dire che sembrano presupporre entit univer-
sali sarebbero sorti in seguito a fraintendi-
menti e per la gran parte sarebbero sostituibili
o traducibili in un linguaggio canonico. Il lin-
guaggio canonico consente di impegnarsi ad
accettare solamente un tipo di entit. Se, a
questo punto, quali entit di tale unico tipo
sono scelti i particolari concreti (concrete parti-
culars) fisici, lontologia mono-categoriale che
ne risulta il fisicalismo di stampo quineano.
Molti naturalisti sono inclini a condividere
questa sua forma di fisicalismo.
Secondo tale forma di fisicalismo, gli oggetti
fisici sono entit localizzabili nello spazio e nel
tempo: come oggetto Quine considera tutto e
solo ci cui conviene unestensione spazio-
temporale determinabile in modo preciso. Gli
oggetti fisici intesi come unit spazio-tempo-
rali sono a quattro dimensioni; la loro estensio-
ne temporale da immaginare in stretta ana-
logia con lestensione spaziale. Una configura-
zione di segmenti temporali non in linea di
principio distinguibile da una costituita da
parti spaziali: da questo punto di vista, non fa
differenza se parlo della testa e dei piedi di un
individuo ovvero del suo primo o del suo quin-
to decennio di vita come di parti distinte.
Per Quine, un importante vantaggio teoretico
della concezione delle cose come somme di
parti spazio-temporali numericamente distin-
te consiste nel fatto che essa consente di giu-
dicare ontologicamente irrilevante la differen-
za tra cose ed eventi. Gli oggetti fisici, concepiti
come entit tetra-dimensionali nello spazio-
tempo, non devono essere distinti da eventi o
da processi.
Unulteriore variante del fisicalismo ontologi-
co si ha quando si assumono come unica cate-
goria di base atomi o altri elementi ultimi co-
x
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ENCICLOPEDIA FILOSOFICA Ontologia analitica
8131
stituenti la realt fisica. In questo caso si parla
di atomismo naturalistico o fisicalistico. Le
cose del mondo quotidiano e gli oggetti del
macrocosmo sarebbero insiemi di questi ele-
menti ultimi. Gli oggetti sarebbero quindi
identici al materiale che li costituisce.
4. Ontologie realiste. La teoria realista della
predicazione, sulla scia di Frege e anche di
Strawson, presuppone che non ci siano sola-
mente enti particolari ma anche universali, va-
le a dire entit che non sono localizzabili nello
spazio e nel tempo. Localizzabili sono sola-
mente le loro esemplificazioni o realizzazioni
nello spazio-tempo.
Le posizioni realiste nellambito dellontolo-
gia analitica non dipendono solamente dalle
suddette interpretazioni della predicazione
ma anche (a) dalle tendenze realiste interne
alla filosofia della scienza, (b) dalla rivaluta-
zione delle specie naturali e della predicazione
sortale e (c) dalla tradizione fenomenologica ba-
sata sulla tesi del primato dellintenzionalit.
(a) Lapproccio realista al problema degli uni-
versali dovuto in gran parte a tendenze reali-
ste nellambito della filosofia della scienza di
provenienza anglosassone, specialmente au-
straliana (Smart, Armstrong). Il comune deno-
minatore delle varianti pluri-categoriali reali-
stiche la postulazione di entit indipendenti
dallatto conoscitivo o linguistico. In questo
senso si oppongono a ogni forma di idealismo
epistemico o linguistico.
Il realismo della filosofia della scienza parte
dalla convinzione che gli oggetti della ricerca
scientifica esistono indipendentemente dai
soggetti che percepiscono o pensano; ma, co-
me sostiene David Armstrong, di questi ogget-
ti fanno parte propriet, capacit (powers) e
leggi naturali. Allo scienziato non interessa
soltanto mostrare che i processi causali acca-
dono di fatto, ma anche la loro regolarit. Ora,
lidealista di impronta kantiana parte dallidea
che queste invarianze siano da interpretare co-
me prodotti della facolt conoscitiva del sog-
getto: questo costituisce lordine causale del
suo mondo. Il realista cerca invece le ragioni
della regolarit dei processi causali nella real-
t indipendente dal pensiero.
Un presupposto dellinterpretazione realistica
della regolarit dei processi causali sta nella
convinzione che cose o eventi capaci di pro-
durre i medesimi effetti convengono in deter-
minate propriet causali, cio entit universali.
Una caratteristica essenziale delle leggi di na-
tura sta nella loro universalit. Per Armstrong
evidentemente possiamo chiarire il valore uni-
versale delle leggi di natura soltanto se rite-
niamo che esse siano qualcosa di universale
indipendente dal pensiero. Se le leggi di natu-
ra fossero mere costruzioni linguistiche, come
potrebbero rivelare effettivamente qualcosa
del mondo reale? Armstrong difende lesigen-
za di unontologia realista riferendosi anche al
problema dellinduzione. Come si pu spiegare
il fatto che gli scienziati riescano a pervenire
alla scoperta di leggi valide universalmente par-
tendo dallosservazione di singoli casi concreti?
I ricercatori desumono dalle regolarit osser-
vate rapporti tra entit universali.
(b) Nella vita quotidiana non ci limitiamo a di-
re delle cose o degli esseri viventi come essi so-
no, ma diciamo anche che cosa essi sono o di
che specie sono. Le espressioni con le quali
indichiamo di quale specie o sorta qualcosa
, vengono anche denominate espressioni
sortali (sortals). Uomo, mucca, tavolo
e sedia sono esempi di espressioni sortali.
Anche per queste espressioni ci si domanda se
si riferiscono a delle entit universali o no.
I realisti a proposito delle specie partono dalla
tesi che in linea di principio non possibile
ammettere lesistenza di cose concrete che
non appartengano ad alcuna specie o genere:
non vi sono affatto mere cose ma soltanto
occorrenze o esemplari di questa o quella specie.
Lappartenenza a una specie o a un genere
costitutiva per le cose stesse; ora, se questo
vero, dallinterpretazione realistica delle sin-
gole realizzazioni concrete, segue linterpreta-
zione realistica anche delle specie e dei generi.
Contro linterpretazione realistica degli uni-
versali estesa alle specie possono essere rivol-
te varie obiezioni: indubbiamente vi sono spe-
cie che mutano; notoriamente ve ne sono alcu-
ne che sorgono e altre che scompaiono. Ebbene,
se si concepiscono le specie come entit uni-
versali, difficile spiegarlo. Contro questa
obiezione si pu tuttavia osservare che ci che
realmente muta, quando mutano le specie, so-
no solo le loro concrete realizzazioni.
(c) A un realismo degli universali tendono pu-
re le ontologie di stampo fenomenologico. I filo-
sofi di orientamento fenomenologico attribui-
scono una particolare importanza allo studio
dei fenomeni intenzionali. Tale primato
dellintenzionale influisce sulla discussione da
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Ontologia analitica ENCICLOPEDIA FILOSOFICA
8132
loro condotta negli ambiti pi diversi, quali la
filosofia del linguaggio e anche lontologia.
Le ontologie fenomenologiche sono perci ca-
ratteristicamente anti-riduzionistiche e guarda-
no con scetticismo a ontologie mono-catego-
riali, come quella di Quine. Per questo un im-
portante tema delle ontologie fenomenologi-
che quello della suddivisione delle entit in
categorie diverse.
Il punto di partenza la riflessione che il sog-
getto pensante fa su di s. Se vogliamo coglie-
re e comprendere le strutture generali della re-
alt, dobbiamo iniziare col chiederci come noi,
in quanto soggetti pensanti, ci rapportiamo a
tali strutture: questa unintuizione centrale
nella tradizione di Brentano e Husserl. Ogni ri-
ferimento a qualcosa daltro sarebbe da ana-
lizzare, in fondo, come una relazione a se stes-
si, ovvero a determinate facolt del soggetto
pensante.
Come possibile un riferimento oggettivo? Ov-
vero che cosa rende una parola che si riferisce
a una cosa proprio parola di questa cosa? La
regola fenomenologica per trattare simili que-
stioni sta nel primato dellintenzionale: il riferi-
mento o la relazione alloggetto delle espres-
sioni linguistiche pu essere spiegato in modo
soddisfacente solo in rapporto alle facolt in-
tenzionali del parlante.
Per Chisholm lammissione di entit in onto-
logia da intendersi anche come conseguenza
dellimpegno ontologico assunto nel momen-
to in cui le espressioni linguistiche sono inter-
pretate. Egli stesso afferma che la sua teoria
dellintenzionalit e del riferimento presuppo-
ne una ben determinata ontologia. Come pre-
supposto fondamentale della sua teoria del ri-
ferimento, Chisholm ritiene che ogni atto men-
tale sia di fatto diretto a un oggetto di riferi-
mento, un oggetto intenzionale. A cosa mai ci ri-
feriamo intenzionalmente, cio pensando,
opinando, credendo, sperando ecc.? Non ci ri-
feriamo solo a delle cose concrete della nostra
vita quotidiana, ma anche a entit universali,
come forme, indipendentemente dal fatto che
queste siano esemplificate in qualche cosa
concreta. Noi possiamo perfino fare conside-
razioni su figure che non si sono mai date nel-
lo spazio e nel tempo e che secondo ogni pre-
visione non si daranno mai: si pu credere
allesistenza di unicorni verdi o a Biancaneve.
Per Chisholm, in linea di principio, esiste tutto
ci che pu costituire loggetto di un atto in-
tenzionale. In questo modo, lautore conferma
che la sua teoria presuppone, fra laltro, una
concezione platonica delle propriet: non si
danno cio soltanto propriet che compaiono
nella concretezza dellesperienza, ma anche
propriet non attuali. Secondo Chisholm e la
maggior parte degli ontologi analitici di stam-
po fenomenologico, le propriet esistono indi-
pendentemente dal fatto che si diano o meno
realizzazioni concrete di tali propriet, visto
che noi possiamo riferirci intenzionalmente ad
esse indipendentemente dalle loro concrete
esemplificazioni.
Chisholm sottolinea che enunciati su proprie-
t non esemplificate non si possono analizzare
come enunciati su insiemi di occorrenze con-
crete. Tale constatazione giustifica, a giudizio
dello stesso Chisholm, un realismo estremo
nellinterpretazione delle propriet.
II. FATTI, COSE E IDENTIT. 1. Stati di cose. Se-
condo tutte le concezioni realistiche se un enuncia-
to vero ci deve essere qualcosa nella realt a ren-
derlo vero, vale a dire un suo verificatore (truth-
maker). Ora, entit isolate, siano esse cose o pro-
priet, non possono come tali essere verificatori.
Verificatori sono fatti, ovvero entit che si rappor-
tano ad altre in una certa maniera.
Se Fa vero, F conviene allindividuo a. Il
fatto che a sia F (Fa), vale a dire il fatto che tra
F e a sussista la relazione di inerenza, non lo
stesso che il mero esserci di F e di a (F+a). Il
fatto non si esaurisce nellessere una som-
ma di una cosa e di una propriet. Ci che
rende vero lenunciato che il tavolo sia marro-
ne lo stato di cose sussistente che consiste
nellessere-marrone-del-tavolo. Parimenti, la
riduzione della proposizione a pi alto di b
allindicazione dellaltezza di a e di b, non pu
avere successo, poich non indica il rapporto
tra a e b.
Accenniamo ora (a) allo sfondo storico relati-
vo al termine stato di cose, (b) ad argomenti
in favore dellassunzione di stati di cose
nellontologia e (c) ad alcune difficolt di tale
assunzione.
(a) Il termine stato di cose deve la sua diffu-
sione attuale a Wittgenstein. Col suo Tractatus
Logico-Philosophicus (London 1961) Wittgen-
stein difende unontologia di stati di cose o di
fatti: Il mondo la totalit dei fatti e non delle
cose. Il concetto di stato di cose era tuttavia
di centrale importanza per tutti i primi filosofi
analitici. Le espressioni linguistiche comples-
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ENCICLOPEDIA FILOSOFICA Ontologia analitica
8133
se vanno analizzate nelle loro componenti pi
semplici: solo cos possono essere verificate o
falsificate. Anche Russell e Carnap esplicitano
la riduzione di proposizioni molecolari a propo-
sizioni atomiche: il valore di verit di proposi-
zioni complesse in dipendenza funzionale
dal valore di verit delle proposizioni atomi-
che di base. Alle proposizioni atomiche corri-
spondono stati di cose semplici o elementari, ov-
vero le prime raffigurano gli altri (teoria della
raffigurazione).
Pensatori dimpostazione empiristico/positivi-
stica ritengono che tali stati atomici o elemen-
tari siano esclusivamente empirici. Li si descri-
ve o esprime mediante protocolli o enunciati
osservativi (Beobachtungsstze). Tuttavia, le
controversie sulla natura e le caratteristiche di
questo tipo di proposizioni avvenute nel Cir-
colo di Vienna e pi tardi non hanno mai mes-
so in questione la distinzione in s tra propo-
sizioni complesse, da una parte, ed elementari
di base, dallaltra.
Era convinzione comune dei primi filosofi ana-
litici che solamente contenuti relazionali o
strutturali fossero comunicabili intersoggetti-
vamente. Carnap scelse perci come elementi-
base del suo sistema di costituzione enunciati
esprimenti la relazione di somiglianza e Wittgen-
stein pose alla base del suo sistema enunciati
elementari a due posti aRb. Questi rendono
meglio lidea del sussistere di una relazione e
quindi dei fatti come stati di cose reali.
Oggi, lampiezza della banda di oscillazione
nelle concezioni contemporanee sugli stati di
cose particolarmente ampia: si va dalla tesi
per cui gli stati di cose sono gli elementi o le
parti costitutive fondamentali della realt fino
allo stretto rifiuto.
(b) Tra gli argomenti in favore dellassunzione
di stati di cose nella ontologia si annoverano i
seguenti. Ai sensi non si presentano mai sin-
goli elementi isolati, ma solo elementi in rela-
zione tra di loro. Ci risulta impossibile imma-
ginare cose prive di propriet ed esterne a ogni
relazione. Nella vita ordinaria non percepiamo
mai cose, propriet ed eventi per s, bens
sempre solo in connessione tra loro, ovvero
come stati di cose.
Nella vita, la causalit di fondamentale im-
portanza. Ora, sono proprio gli stati di cose
candidati ideali ad essere gli elementi di una
connessione causale. Gli stati di cose fungono da
causa e da effetto (cfr. Armstrong). Se, per
esempio, mi brucio con acqua bollente, la cau-
sa dellarrossamento della mia mano o del mio
dolore non lacqua n la temperatura come
tale, bens lo stato di cose per cui lacqua ha
una data temperatura o semplicemente lesse-
re-bollente del liquido.
Perfino nel testo aristotelico si possono indivi-
duare argomenti a favore degli stati di cose. La
denominazione delle categorie degli accidenti
per esempio deriva dallabbreviazione di do-
mande: si enuncia una qualit o quantit
quando si risponde alla domanda come una
cosa sia o quanto sia grande ecc. Inoltre le
cose concrete (sostanze prime) sono entit
complesse (composte), costituite di particolarit
(materia) e sostanzialit (forma).
Gli individui/particolari e gli universali si tro-
vano in una relazione reciproca tale che gli uni
rendono possibile la realizzazione o la istan-
ziazione degli altri, senza che questa relazione
si possa confondere con la relazione tutto-par-
ti. Particolari e universali che non si rapporti-
no lun laltro come elementi di stati di cose
sussistenti non possono essere reali.
(c) La nozione ontologica di stato di cose an-
che problematica. Stati di cose o fatti non pos-
sono per esempio essere soggetti a mutamen-
ti. Lassunzione degli stati di cose come cate-
goria ontologica, specialmente se considerata
fondamentale, comporta poi il problema clas-
sico del regresso allinfinito. Se si postula un
nesso speciale come ragione del sussistere di
una esemplificazione o del fatto che F conven-
ga ad a, bisogna chiedersi quale sia la ragione
del sussistere di questo nesso e cos via in in-
finitum.
Difficolt per unontologia degli stati di cose
sorgono, infine, anche dalla domanda se si
debbano considerare soltanto gli stati di cose
che hanno luogo (magari solo nello spazio e
nel tempo), cio soltanto i fatti, o anche gli
stati meramente possibili (con vari gradi di
possibilit). Secondo quali criteri si devono
fissare i limiti?
2. Individui/cose. Nellontologia analitica di
fondamentale importanza la questione che cosa sia-
no gli individui o le cose quotidiane concrete. Le
cose sono dette concrete in quanto determinate
spazialmente e temporalmente: riempiono una
precisa porzione di spazio e sono quindi localizza-
bili, nonch misurabili nella loro estensione, e ini-
ziano a esistere in un qualche istante, continuano
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Ontologia analitica ENCICLOPEDIA FILOSOFICA
8134
a esistere, finch in un determinato momento ces-
sano di esistere.
Nellontologia aristotelica e nella vita quoti-
diana si distinguono le cose concrete dalle lo-
ro propriet: in ogni istante della loro esisten-
za, le cose concrete possiedono un intero com-
plesso di propriet ma non sono identiche a
loro. Tale differenza, apparentemente ovvia,
tra un portatore e le sue propriet comporta,
tuttavia, varie difficolt che indussero e indu-
cono tuttora diversi ontologi a identificare le
cose con linsieme delle loro propriet o delle loro
parti costitutive pi semplici. Non ci sarebbe
bisogno di postulare una categoria ontologica
a s stante per le cose distinta da quella degli
attributi o delle entit portatrici/sostrati di at-
tributi. Diffuse nellontologia analitica sono
quindi luna o laltra versione della teoria dei fa-
sci: le cose concrete non sarebbero altro che
fasci di propriet o di elementi atomici, ovvero
costruzioni teoriche formate da elementi on-
tologici pi semplici.
I problemi connessi con questi approcci con-
cernono in primo luogo lindividuazione e
lidentit diacronica delle cose. Le difficolt so-
no tali che proprio nellambito dellontologia
analitica si riscoperto il ruolo delle specie o
dei sortali (sortals): le cose concrete non pos-
sono essere comprese nella loro individualit
e unit indipendentemente da quello che so-
no, vale a dire dalla loro specie. Nel seguito ci
concentriamo sulla teoria dei fasci nelle sue
varianti principali e successivamente sulla
questione dei sortals.
3. Teorie dei fasci. Il tentativo di sviluppare te-
orie ontologiche senza categorie proprie delle
cose e che non facciano ricorso ai portatori
delle propriet tipico di pensatori di orienta-
mento empiristico. Questi si sforzano di evita-
re, per quanto possibile, la postulazione di en-
tit che non siano accessibili alla prospettiva
empiristica o, in senso pi ampio, alle scienze
positive: se si riesce a evitare la postulazione
di tali entit ontologiche, da una parte, ci si
adegua al principio di economia di Ockham e,
dallaltra, ci si colloca su un terreno di cono-
scenza pi sicuro.
Nella prospettiva empiristica, il contenuto co-
gnitivo del nostro discorso sulle cose concrete
costituito dallinsieme delle loro propriet.
Una ragione significativa per approvare e con-
dividere la teoria dei fasci in una sua qualun-
que versione e rimane questa convinzione
empiristica.
Le propriet e qualit dei fasci non vanno, tut-
tavia, intese in un mero senso fenomenico. In-
fatti, se le nozioni fondamentali della teoria
dei fasci sono ristrette solo a ci che dato
nellesperienza sensibile fenomenica, ci si de-
ve poi confrontare con il problema della costi-
tuzione del mondo esterno, ovvero della realt
intersoggettiva o oggettiva. Vari ontologi
odierni evitano fin dallinizio simili restrizioni,
parlando di propriet nel senso del discorso
ordinario o del consueto discorso scientifico.
Essi annoverano tra le propriet delle cose
concrete anche la costituzione interna, le mo-
dalit reattive in situazioni di sperimentazione
ecc. Si tratta di propriet che di regola non so-
no accessibili in prima istanza ai sensi, ma che
possono essere scoperte attraverso la ricerca,
sia essa scientifica o daltro tipo.
Affinch le propriet possano essere le parti
ontologiche costitutive delle cose di tutti i
giorni, esse devono trovarsi nella relazione re-
ciproca di compresenza o coattualit, capace di
fondare la loro unit. Gli elementi connessi da
questa relazione riflessiva e simmetrica occor-
rono e sono localizzati insieme. Che determi-
nate propriet si trovino nella relazione di
compresenza, e cos costituiscano una cosa
concreta, contingente: esse potrebbero essere
compresenti con altre propriet e in altri fasci
e, in tal caso, formerebbero altre cose.
Per la teoria dei fasci soprattutto laspetto
temporale delle cose a far nascere diversi pro-
blemi. Una teoria adeguata dei fasci deve te-
ner conto, infatti, anche delle propriet passa-
te e future. Ma le cose avevano delle propriet
che ora non hanno pi e, nel futuro, ne avran-
no altre che ora non possiedono ancora.
Laspetto temporale risulta connesso a quello
modale: le cose che hanno perduto delle pro-
priet, potrebbero ancora averle; e le cose che
ora possiedono tali propriet, avrebbero potu-
to perderle; e altre ancora le perderanno di
nuovo in futuro.
Interroghiamoci ora sulle due versioni pi im-
portanti della teoria dei fasci, quella che si
fonda sulle propriet intese come (a) entit
universali e quella che si fonda sulle propriet
intese come (b) entit concrete. Nella prospet-
tiva di una filosofia realistica le propriet che
fungono da elementi dei fasci sono universali:
esse vengono intese come ricorrenti nel tem-
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ENCICLOPEDIA FILOSOFICA Ontologia analitica
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po e presenti in diversi luoghi dello spazio. In
una filosofia positivistica o rigidamente empi-
ristica, le componenti ontologiche fondamen-
tali delle cose (oggi chiamate anche tropi)
sono invece concrete. La teoria dei fasci va in-
contro a difficolt, sia che ci si decida per luna
o per laltra versione, sia che alla fine si opti
per una combinazione di entrambe. In un caso
ci si imbatte nella questione di come si possa
ricavare il concreto da propriet generali,
nellaltro di come si possa ricavare il generale
partendo da occorrenze concrete. In seguito
tratterremo anche di quella versione della teo-
ria dei fasci che assume come elementi dei fa-
sci (c) entit fisiche, atomiche (simples).
(a) La concezione realistica per cui le cose con-
crete sarebbero fasci di universali offre vantag-
gi per lepistemologia e la teoria della scienza:
determinati eventi naturali in particolari circo-
stanze sono causalmente efficaci poich ad es-
si convengono propriet, disposizioni, capaci-
t ecc., universali. Nella spiegazione causale
gioca un ruolo decisivo proprio luniversalit di
simili propriet e delle leggi ad esse connesse.
Il problema centrale della teoria realistica dei
fasci intesi come fasci di universali tuttavia
quello della particolarit, in ultima istanza,
dellindividuazione. Chi simpatizza per la teoria
dei fasci realistica si imbatte infatti nella do-
manda se cose concrete numericamente diffe-
renti possano coincidere rispetto a tutte le
propriet. Se la risposta s, allora esiste un
fondato argomento contro la teoria dei fasci.
Infatti, se due cose aventi tutte le propriet in
comune dovessero essere diverse, dovrebbe
esserci qualcosa di ulteriore che convenga
alluna e non allaltra, e che fondi cos la diver-
sit numerica. In realt, vi sono chiare intuizio-
ni a favore della possibile esistenza in uno
stesso istante di oggetti numericamente diver-
si e tuttavia coincidenti, in tale istante, rispet-
to a tutte le propriet autentiche.
Si pensi allargomento di M. Black delle due
sfere completamente uguali, collocate a una
certa distanza tra loro e luna completamente
simmetrica rispetto allaltra. Se le due sfere
coincidono rispetto a tutte le propriet auten-
tiche, su cosa si fonda la loro differenza nume-
rica? Vari pensatori propendono cos per po-
stulare nelle singole cose concrete qualcosa di
ulteriore, capace di fondare la loro particolari-
t o individualit, cio puri sostrati, i cosid-
detti particolari nudi (bare particulars). Di
conseguenza, ogni cosa concreta dellespe-
rienza comune sarebbe un complesso formato
da elementi costitutivi condivisibili con altre
cose e da un ulteriore elemento che appartie-
ne ad essa soltanto.
La teoria dei bare particulars pu essere condi-
visa anche da pensatori di orientamento empi-
ristico. Ci si pu chiedere, infatti, se non sia
esperibile anche la diversit numerica di due co-
se che sembrano eguali alla vista e sono per-
cepite come tali anche con gli altri sensi. Pen-
siamo a due palle perfettamente eguali: non
forse possibile esperire in uno stesso momen-
to anche la loro duplicit? Non si ha inoltre di-
mestichezza con le cose comuni, proprio in
quanto le si esperisce come particolari? Anche
i classici rappresentanti della dottrina dei bare
particulars qui accennata, il primo Russell e
Bergmann, erano in certa misura orientati in
senso empiristico; ci nonostante non tende-
vano apertamente a pensare che al soggetto
sperimentante fossero date nellesperienza
soltanto delle qualit.
Forse per la postulazione di bare particulars
porta a una contraddizione, come suppone fra
gli altri Sellars. Se i bare particulars vengono
postulati per fungere da portatori delle pro-
priet delle cose concrete comuni, come pos-
sono essere in s considerati bare, cio come
possono essere puri ovvero privi di propriet?
Se infatti si ritiene che ai bare particulars con-
venga essenzialmente la propriet dessere
portatori di propriet e causa delle differenze
numeriche tra i fasci di propriet universali,
essi non saranno pi bare in senso proprio e
cos sorger la domanda su ci che fa s che
questi particolari si distinguano luno dallal-
tro. Per questo non si richiede forse di nuovo
qualcosa come dei bare particulars, che fondi-
no la differenza numerica dei precedenti bare
particulars a un livello pi profondo? In altre
parole, ricompare il pericolo del regresso allin-
finito. I particolari, postulati per fondare lunit
e la differenza numerica dei fasci di propriet,
si rivelano a loro volta come fasci o complessi,
che dovrebbero trovare il fondamento della lo-
ro unit e della loro differenza numerica, ri-
spetto ad altri complessi, in qualcosa di pi
profondo, e cos via allinfinito.
Un altro tentativo di venire a capo dei proble-
mi che abbiamo toccato si deve ad Armstrong,
che pur avendo un impostazione materialisti-
ca, considerato uno dei principali rappresen-
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Ontologia analitica ENCICLOPEDIA FILOSOFICA
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tanti di una concezione realistica delle spiega-
zioni causali e della versione basata su univer-
sali della teoria dei fasci. Le comuni cose con-
crete, per Armstrong, i cosiddetti thick particu-
lars, consistono ciascuno di fasci di universali
e di un ulteriore elemento ontologico, il thin
particular. Questo non un puro sostrato, ben-
s il residuo del processo astrattivo, che rima-
ne quando si prescinda dalle propriet. Cos i
particolari thick e thin si possono intendere
quali diversi livelli di astrazione relativi a una
medesima realt. In un caso si hanno le cose
senza le loro propriet, nellaltro le cose nella
loro interezza, ossia insieme alle loro proprie-
t istanziate.
Nella teoria di Armstrong si unisce il tentativo
di mantenere i vantaggi della teoria dei fasci e
della concezione di impronta realistica delle
propriet come universali a quello di risolvere
il problema della particolarit che stato
menzionato. Tuttavia, grazie a questa teoria,
diviene anche chiaro che, in ultima istanza, le
comuni cose concrete devono venire intese
quasi di necessit come stati di cose: esse non
sono infatti solamente fasci di propriet, ma
rappresentano una connessione di thin particu-
lars e propriet, i quali soltanto in tal modo
danno origine ai thick particulars.
In quanto elementi di stati di cose, i particolari
e gli universali si trovano in una relazione reci-
proca tale che gli uni rendono possibili le rea-
lizzazioni e le istanziazioni degli altri. Partico-
lari e universali che non si rapportino luno
allaltro come elementi di stati di cose sussi-
stenti non possono essere reali. Un particolare
esterno a uno stato di cose non avrebbe alcu-
na propriet e non apparterrebbe ad alcuna
specie o tipo di cose.
(b) Secondo la versione della teoria dei tropi le
cose della vita di tutti i giorni non sono altro
che fasci di attributi concreti: un diamante, ad
esempio, non altro che un insieme di parti-
colari concretizzazioni di durezza, trasparenza,
luminosit, struttura di carbonio, struttura cri-
stallina, massa, solidit, temperatura ecc. La
teoria nega qualsiasi forma di dipendenza on-
tologica delle propriet. I tropi sono ontologi-
camente originari (primitive) e semplici, nel sen-
so che non necessitano di alcun particolarizza-
tore che renda ciascuno di essi un caso indivi-
duale di una specie generale. Non necessa-
rio postulare portatori di propriet: la loro
concretezza deriva dallesperibilit e dalla lo-
calizzabilit spazio-temporale di questi stessi
tropi.
Uno degli indiscutibili vantaggi delle ontolo-
gie tropistiche quello della loro semplicit.
Esse avanzano la pretesa di riuscire a dar con-
to di tutte le entit utilizzando una sola cate-
goria. Secondo il principio di Ockham, tale so-
briet un importante pregio teorico: la po-
stulazione di tropes come elementi ontologici
fondamentali del mondo reale corrisponde al
desiderio di trovare un modello ultimo della
realt, che si manifesti in ogni ambito: la strut-
tura ontologica dei tropes corrisponderebbe a
quella dellintero universo
Anche la teoria dei tropes stata sviluppata a
partire da un punto di vista gnoseologico ed
epistemologico realistico: come la realt sia e
quali propriet formino fasci e quindi cose non
il risultato di convenzioni, n dipende dal
modo convenzionale in cui classifichiamo lin-
guisticamente quanto ci viene incontro nel-
lesperienza. La teoria dei tropi, tuttavia, si ac-
corda bene anche con il pensiero di ontologi
di orientamento empiristico.
Affinch determinati tropes possano dare origi-
ne a un fascio, devono trovarsi in una relazione
reciproca, caratterizzata generalmente come
compresenza. Il fatto che ben precisi tropes
siano compresenti e costituiscano cos una
comune cosa individuale, non dipende dalla
postulazione di altri elementi ontologici. Lin-
sieme dei tropes compresenti dati in un certo
istante non ha niente di necessario in s. Che
proprio questi tropes diano come risultato un
fascio, ad esempio un diamante, un fatto
contingente.
Tra le varie difficolt a cui vanno incontro le
ontologie dei tropi si annovera quella della
spiegazione della somiglianza delle cose tra di
loro: a cosa va ricondotta tale somiglianza, se
non vi alcuna propriet comune che la possa
fondare?
Unulteriore difficolt di questa teoria dovu-
ta alla localizzazione dei tropes. Le cose concrete
occupano in un particolare istante esclusiva-
mente un solo posto nello spazio: due cose
materiali numericamente diverse non posso-
no presentarsi nello stesso luogo contempo-
raneamente. Tuttavia, i tropes si trovano in una
relazione di compresenza e ci implica che si
presentino o possano presentarsi nel medesi-
mo luogo. Le numerose occorrenze delle pro-
priet di una mela o di una forchetta si presen-
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ENCICLOPEDIA FILOSOFICA Ontologia analitica
8137
tano tutte in un determinato istante proprio l
dove la mela o la forchetta esistono. Esse
quindi non sono esclusive, a differenza dei ri-
spettivi fasci di cui sono i costituenti.
La versione tropistica della teoria dei fasci si
imbatte anche nei problemi fondamentali del
movimento nello spazio e della mutabilit delle
cose: come pu una stessa cosa muoversi nel-
lo spazio e mutare nel tempo, se i suoi tropes
vengono incessantemente sostituiti da altri?
Infine colpisce che anche la versione dei tropes
in fondo comprenda i fasci alla maniera di stati
di cose: i tropi stanno in relazione di compre-
senza e si comportano reciprocamente come
elementi di uno stato di cose. La tesi per cui i
tropes sarebbero elementi di base non implica
che per questo essi siano semplici sotto ogni
rispetto, ma solamente che svolgano la loro
funzione ontologica di elementi basilari.
(c) Le varie versioni della teoria dei fasci pre-
suppongono che le cose concrete comuni del-
la vita quotidiana non siano fondamentali co-
me nellaristotelismo, bens costruzioni teori-
che formate da parti costitutive o elementi pi
semplici. Ci vale anche per le ontologie mo-
nocategoriali fisicalistiche che assumono co-
me elementi ontologici fondamentali entit fi-
siche, semplici elementi atomici (simples). Tali
elementi sarebbero secondo lo stato odierno
della scienza elettroni, fotoni, quarks ecc. Le
comuni cose concrete sarebbero quindi delle
costruzioni formate da tali elementi e dalla re-
lazione-base di composizione o dalla relazio-
ne tutto-parte.
La composizione di particelle ontologiche
semplici non sarebbe cos allorigine di nessu-
na realt nuova: sarebbe per principio impossi-
bile produrre o creare cose nuove componen-
do elementi semplici. Ci che appare nuovo
non sarebbe altro che un insieme risultante da
una nuova selezione di parti costitutive sem-
plici: generazione e corruzione, creazione e di-
struzione e, in fondo, tutti i mutamenti non
consisterebbero in altro che in spostamenti di
simples fondamentali.
Unaltra conseguenza consiste nella tesi che ci
sono infinite cose composte, dato che i simples
gi di per s formano infiniti insiemi diversi,
tra i quali noi con il nostro linguaggio ne sele-
zioniamo pochissimi. Poich gi di per s esi-
ste una quantit pi che numerabile di insiemi
di cose atomiche semplici, sarebbe ugualmen-
te impossibile produrre o portare in un qual-
che modo allesistenza cose nuove mediante
la composizione di simples. Inoltre, non sareb-
be possibile trovare un fondamento ontologi-
co per la scelta dei diversi insiemi; tutto dipen-
derebbe invece da punti di vista puramente
pratico-pragmatici.
Il modo della composizione delle cose quoti-
diane a partire dai simples sarebbe in ogni caso
ontologicamente irrilevante: in un senso, esso
non pu portare ad alcuna cosa nuova, nellal-
tro risulta superfluo, poich le cose ritenute
nuove gi ci sono. Nel primo caso si parla di
nichilismo, nellaltro di universalismo. Date que-
ste conseguenze, chiaro che anche le teorie
fisicalistiche che si fondano non su propriet,
ma su elementi atomici semplici e indivisibili,
si imbattano in seri problemi.
Le carenze della teoria dei fasci, sia nella ver-
sione degli universali sia in quella dei tropi,
come pure nella versione fisicalistica rafforza-
no le intuizioni che per comprendere la strut-
tura ontologica delle cose si debbano postula-
re ulteriori principi, che come le specie o i sor-
tali (sortals), fanno capo alla categoria della so-
stanza aristotelica.
4. Specie/sortali (sortals). La prima filosofia
analitica faceva a meno delle specie, nature ed
essenze delle cose. Nellambito della ontolo-
gia analitica, tuttavia, il termine sortale (sor-
tal) ha assunto il ruolo del termine aristotelico
forma sostanziale o forma seconda: le co-
se concrete sono istanziazioni o esemplifica-
zioni dei loro sortali (sortals). Lassunzione dei
sortali dovuta non solo alle carenze sopra
menzionate, ma anche (a) alla distinzione se-
mantica tra predicazione sortale (essenziale) e
accidentale, (b) al ruolo referenziale dei termi-
ni in posizione di soggetto e (c) alla problema-
tica dellidentit e continuit nel tempo.
(a) Nellanalisi della predicazione si fa distin-
zione tra enunciati che descrivono le cose,
enunciati che indicano ci di cui esse sono fat-
te ed enunciati che dichiarano che cosa esse
siano. I predicati sono quindi o meramente de-
scrittivi, in quanto esprimono delle qualit, o
composizionali, in quanto indicano il materiale
e le parti costitutive, o sortali, in quanto espri-
mono la specie. A differenza delle predicazioni
meramente descrittive, quelle sortali sono es-
senziali: ci che espresso dal predicato con-
viene al referente del soggetto in ogni istante
della sua esistenza.
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Ontologia analitica ENCICLOPEDIA FILOSOFICA
8138
Nel caso di una predicazione descrittiva e
composizionale si risponde alla domanda co-
me x, e la risposta varia da circostanza a cir-
costanza, nel caso di una predicazione sortale
si risponde alla domanda che cosa sia x, e, que-
sta volta, la risposta non varia da circostanza a
circostanza: lidentit e individualit di una co-
sa non dipendono da come sia x, bens da ci
che x, vale a dire dalla sua essenza o dal suo
sortale. Anche il quesito cosa sia x non va con-
fuso con quello riguardante ci di cui x fatto.
Se parliamo di una cosa, non ci riferiamo in
generale al suo materiale, bens al materiale
che determinato e disposto in un certo modo
e del quale la cosa risulta composta. Se qual-
cuno potesse indicare in modo preciso quali
parti costitutive compongono x, senza per di-
re come esse, attraverso la loro composizione,
diano origine a x con le sue funzioni, le sue ca-
pacit e i suoi modi di reagire e operare, la ri-
sposta alla domanda che cosa sia x non sareb-
be adeguata. Chi afferra il senso di unespres-
sione sortale capisce, grosso modo, quali sia-
no le condizioni di identit e continuit delle
cose che cadono sotto questespressione.
quindi in grado, in linea di principio, di distin-
guere numericamente individui appartenti alla
stessa specie; conseguentemente capace di
contarli e conosce le condizioni della continui-
t di un individuo tra il tempo del suo inizio e
quello della sua fine.
(b) Le espressioni sortali svolgono anche un
ruolo referenziale. Risulta infatti impossibile
identificare una cosa, o riferirsi ad essa, indi-
pendentemente dal suo sortal. Le cose non si
possono nemmeno contare in quanto cose,
ma solo come cose appartenenti a qualche
specie. Infatti, termini come cosa od ogget-
to non sono solitamente considerati termini
referenziali, termini cio attraverso i quali ci si
pu rapportare alle cose del mondo, identifi-
candole. Essi sono stati classificati da filosofi
come Wittgenstein e Carnap tra le espressioni
formali alle quali non conviene alcuna funzio-
ne referenziale: Cos non si pu dire, ad
esempio, vi sono oggetti, come si dice vi so-
no libri. N si pu dire vi sono 100 oggetti, o
vi sono x oggetti. inoltre insensato parlare
del numero di tutti gli oggetti (L. Wittgenstein,
Tractatus Logico-Philosophicus, 4.1272).
Le espressioni referenziali sono associate a
dei criteri di identificazione, i quali vengono
sempre mediati, almeno implicitamente, da
una qualche espressione sortale, che di volta
in volta esprime quali siano i criteri di identit
che consentono di distinguere le cose le une
dalle altre e di contarle come entit differenti.
(c) La tesi che lidentit e la continuit delle
cose non dipendono solamente dal materiale
di cui risultano costituite, ma anche dal loro
sortale, controversa. I fisicalisti evidente-
mente non la possono accettare. Per loro, da
criterio didentit funge la coincidenza spazio-
temporale. Se due cose apparentemente diver-
se occupano la stessa porzione dello spazio-
tempo non sono due, ma identiche. La statua
la stessa cosa del blocco di marmo di cui
composta. I fisicalisti rigettano la tesi della di-
pendenza sortale dellidentit delle cose an-
che in ragione dellimpossibilit della cosid-
detta coabitazione di cose diverse.
La tesi della dipendenza sortale dellidentit
risulta invece pi plausibile nel contesto della
continuit delle cose nel tempo. I soli criteri di
continuit spazio-temporale e qualitativa si
sono infatti dimostrati insufficienti per con-
sentire lindividuazione di una medesima cosa
nel tempo. Percorsi devianti non si possono di
per s escludere, n passaggi ingiustificati da
un intero a una delle sue parti e viceversa, da-
to che tutto e parte sono concetti relativi:
ci che in una certa prospettiva viene conside-
rato un tutto o un intero, in unaltra pu essere
soltanto una parte. Le carenze che attengono,
come abbiamo visto, alla teoria dei fasci e a un
principio di composizione specifico per le cose
materiali concernono anche i criteri di conti-
nuit meramente spazio-temporali e qualitati-
vi in quanto prescindono dalla determinazio-
ne sortale delle cose.
Se si vuole seguire una medesima cosa nel suo
corso temporale, non si pu fare a meno della
cosiddetta regola sortale: si possono seguire le
cose nel tempo ed evitare di seguire percorsi
devianti, in ultima istanza, solo considerando
le loro specie o i loro generi. Anche le altre re-
lazioni tra le fasi del percorso di una cosa o tra
le fasi della cosa stessa, come ad esempio le
relazioni causali, dipendono dalla specie o dal
genere della cosa.
Di specie si pu parlare per in senso generale
o in senso individuale (particolare): nel primo
caso si parla di type, nel secondo, di token. Per
poter seguire il percorso di una stessa cosa o
per poter accertare lidentit di una cosa nel
tempo, la coincidenza rispetto alla specie in
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ENCICLOPEDIA FILOSOFICA Ontologia analitica
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quanto type si dimostra criterio necessario, ma
non sufficiente. Il criterio deve venire ampliato
con quello della continuit spazio-temporale,
la quale garantisce la coincidenza rispetto a un
token sortale individuale, sortal-token.
Nellontologia analitica ci si riferisce nella di-
scussione dei suddetti problemi allesempio
della nave di Teseo di Hobbes: si suppone che
loriginaria nave di Teseo venga ristrutturata in
modo tale che, gradualmente, tutte le tavole e
le parti vengano sostituite da altre nuove. Le
parti scartate non vengono per distrutte,
bens messe al sicuro e di nuovo riunite in un
momento successivo. Alla fine ci troviamo cos
con due navi numericamente diverse. Quale
delle due identica a quella originaria? La na-
ve che possiede la stessa forma funzionale indi-
viduale di quella originaria, oppure laltra che,
pur avendo subito uninterruzione nella forma,
composta dalle stesse parti della nave origi-
naria?
Hobbes ritiene che la continuit del materiale
sia decisiva per lidentit. Tuttavia, assumen-
do come criterio quello della continuit sor-
tale individuale o della forma individuale, do-
vremmo propendere per la tesi che ad essere
identica alloriginaria la nave che, rispetto
ad essa, si colloca lungo lo stesso percorso
spazio-temporale continuo. Secondo questo
criterio, la graduale sostituzione del materia-
le con altro nuovo non toglie lidentit nel
tempo.
Le questioni di identit che riguardano i soli
artefatti non causano tuttavia gravi problemi:
esse vengono di solito risolte in virt di accor-
di convenzionali. Ci vale anche per le regole
giuridiche relative al diritto di successione o di
propriet. Rispetto agli organismi viventi, in-
vece, le corrispondenti questioni di identit
come quella dellidentit personale non pos-
sono venire risolte cos facilmente. Le questio-
ni didentit e dindividuazione sono talmente
complesse da richiedere ulteriori chiarimenti.
5. Identit. Le questioni ontologiche sono stretta-
mente connesse alla problematica dellidentit. In-
fatti tutto ci che esiste identico a s e ci che non
identico a s non pu esistere. Nellontologia
analitica molto diffuso il detto di Quine no en-
tity without identity. In questo paragrafo ac-
cenno (a) allo sfondo della filosofia analitica del
linguaggio dellidentit, (b) tratto del principio di
Leibniz e (d) introduco alla problematica
dellidentit diacronica. La tesi che le cose restano
nel corso della loro esistenza identiche a se stesse,
che abbiano cio identit diacronica, fondamen-
tale per lidentit personale. Se la si accetta o no
dipende, come vedremo in seguito, dallinterpreta-
zione del quadri-dimensionalismo, ovvero dello
spazio-tempo.
(a) Chiave per comprendere la problematica
dellidentit sono gli enunciati di identit, nel-
la forma: a identico a b. Se un enunciato di
identit vero, con esso viene detto che qual-
cosa di determinato identico a s. Poich
tutto identico a s, gli enunciati di identit
non sembrano poter esprimere nulla di nuovo.
Ciononostante hanno un contenuto informativo
ben preciso.
Con gli enunciati di identit viene detto che i
loro termini, pur avendo diverso significato o
diverso senso, si riferiscono allo stesso ogget-
to. Con la stella della sera identica alla stel-
la del mattino si afferma che i due termini
stella della sera e stella del mattino si ri-
feriscono al medesimo corpo celeste. Chiara-
mente il senso delle due espressioni diverso,
e per questa ragione sono state necessarie ri-
cerche astronomiche per scoprire che il riferi-
mento delle due espressioni il medesimo.
Dalla scoperta astronomica scaturisce anche il
contenuto informativo. Perci, sebbene il con-
tenuto informativo degli enunciati di identit
riguardi il livello del linguaggio, esso ha origi-
ne a livello fattuale: che due espressioni dota-
te di diverso significato abbiano il medesimo
riferimento, dipende da come fatto il mondo.
(b) Lidentit una relazione simmetrica, ovve-
ro se x identico a y anche y sar identico a x;
transitiva, cio se x identico a y e y a z, x sar
identico a z; riflessiva: infatti i relata della rela-
zione non sono due, ma soltanto uno. Identit
quindi non uguaglianza. Nel caso della ugua-
glianza o perfetta somiglianza abbiamo a che
fare con una relazione tra cose numericamente
diverse. A volte si parla di identit qualitativa,
esprimendo per soltanto luguaglianza di
quanto numericamente diverso. da chie-
dersi se, come presume il principio di Leib-
niz, la perfetta uguaglianza, cio la coinciden-
za rispetto a tutte le propriet, implica identit
numerica.
Vediamo, innanzitutto, che cosa afferma il
principio di Leibniz. Il principio afferma: (1)
lidentit degli indiscernibili e (2) lindiscerni-
bilit degli identici, vale a dire, dichiara che x
identico a y se e soltanto se x coincide con y
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Ontologia analitica ENCICLOPEDIA FILOSOFICA
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in tutte le sue propriet. In tal modo, il princi-
pio offre condizioni necessarie e sufficienti per-
ch un enunciato di identit sia vero. Ora, la
parte (2) del principio risulta immediatamente
evidente e non viene messa in discussione.
Tuttavia, la parte (1) non viene accettata senza
riserve: non forse pensabile che ci siano cose
del tutto uguali tra loro, pur essendo numeri-
camente diverse, come si visto nellesperi-
mento delle due sfere di Black?
Quando si parla di coincidenza delle propriet
come condizione necessaria e sufficiente
didentit, nel senso del principio di Leib-
niz, si intendono soltanto le propriet esten-
sionali e si escludono quelle propriet che con-
vengono alle cose solo in quanto gli esseri
umani si riferiscono ad esse per qualche ri-
spetto. Una cosa, ad esempio, pu essere an-
gosciante o tranquillizzante; ma che una simi-
le propriet convenga a una cosa dipende da
come questultima viene percepita. Nella con-
siderazione delle propriet, si includono, inve-
ce, le propriet che contengono aspetti tempo-
rali, propriet come lessere stato prodotto,
ovvero lessersi formato in un certo istante,
lavere una certa storia ecc., e propriet causali
come la propriet di provocare o aver provoca-
to diversi effetti, ovvero dessere conseguenza
di azioni presenti o passate. Considerando tali
propriet, la statua, per il principio in questio-
ne, non pu essere identica al suo metallo.
(c) Nel quadro dellodierna ontologia si consi-
derano specialmente enunciati di identit in
senso diacronico. Con questi si afferma che x
nellistante t
0
identico a y in un altro istante
. Ad esempio, il signor x identico al compa-
gno di scuola. Questultimo tema tocca que-
stioni centrali di altri ambiti della riflessione
filosofica, come quelli del tempo, del muta-
mento nel tempo, dellidentit personale ecc.
Per lontologia lidentit diacronica ad esse-
re di centrale importanza, nella misura in cui
connessa alla questione se vi siano cose che
rimangano se stesse nel corso del tempo, vale
a dire se vi siano o meno ragioni per affermare
lesistenza dei cosiddetti continuanti.
6. Permanenza/continuit nel tempo. Lodierna
discussione ontologica, soprattutto quella re-
lativa alle cose concrete, contraddistinta da
due interpretazioni contrapposte della perma-
nenza. Luna assume che vi identit diacronica
in senso proprio, mentre la seconda nega tale
assunto: ci che nella vita quotidiana si consi-
dera identit temporale, non sarebbe vera-
mente tale, ma sarebbe soltanto una relazione
pi debole, una specie di relazione di continuit.
Le due prospettive portano a ontologie pro-
fondamente diverse e sono a loro volta espres-
sione di differenti opzioni ontologiche. La pro-
spettiva che nega lidentit diacronica corri-
sponde a quella degli atomisti e fisicalisti pre-
socratici, laltra a quella aristotelica.
Il termine persistence (persistenza) viene usato
in senso neutrale, per indicare la mera perma-
nenza delle cose concrete nel tempo, indipen-
dentemente dalla loro interpretazione ontolo-
gica. Se la permanenza viene intesa esplicita-
mente nel primo senso, allora si parla di per-
durance (perduranza); mentre nellaltra inter-
pretazione, quella aristotelica, si parla di endu-
rance (enduranza). I sostenitori del primo sen-
so si chiamano anche perdurantists, mentre i
sostenitori dellaltra prospettiva vengono detti
endurantists.
La differenza tra i due punti di vista da ricon-
durre alla diversa interpretazione delluso del
sistema spazio-tempo a quattro dimensioni
adottato dalle scienze positive. Con questo si-
stema si pu rappresentare la realt non solo
in un determinato istante, ma anche nella
molteplicit degli istanti in successione. La di-
mensione temporale viene cos trattata come
una dimensione spaziale e ci induce a pensa-
re che tutti i particolari, cose ed eventi, siano
estesi anche temporalmente. Per il perduranti-
smo, le cose sono infatti quadri-dimensionali,
composte anche da fasi o parti temporali, per
lendurantismo invece tridimensionali.
Chi propende per il punto di vista perduranti-
stico ritiene che soltanto un segmento o una
parte temporale delle cose concrete sia di volta
in volta presente in ciascuno degli istanti e
perci non pu credere alla possibilit
dellidentit diacronica. Chi invece propende
per il punto di vista endurantistico ritiene che
le cose concrete esistano come interi in ogni
istante della loro esistenza e che siano quindi
diacronicamente identici.
Gli ontologi di impostazione fisicalistica e no-
minalistica e i pensatori orientati in senso em-
piristico tendono ad assumere un punto di vi-
sta perdurantistico. Essi interpretano le cose
concrete come somme o aggregati delle rispet-
tive parti temporali. Nella prospettiva perdu-
rantistica, tutte le parti temporali sono reali,
t1
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ENCICLOPEDIA FILOSOFICA Ontologia analitica
8141
sia quelle passate come quelle future. Esse ven-
gono giudicate reali quanto le parti spaziali.
Gli ontologi di impronta aristotelica propen-
dono evidentemente verso lendurantismo so-
stenendo che le cose sono continuanti, vale a
dire individui che si muovono nel tempo, an-
dando col tempo. Esse restano se stesse pur
mutando.
Lontologia quadri-dimensionale perduranti-
stica si accompagna di regola a un punto di vi-
sta convenzionalistico. Per i perdurantisti,
quindi, convenzionale quali cose noi formia-
mo o identifichiamo come unit. Nella pro-
spettiva convenzionalistica, possono venire
formate anche cose completamente astruse,
profondamente estranee al nostro mondo. Da
ci non segue, per, che per i perdurantisti sia
convenzionale anche la distribuzione della
materia o dei simples nello spazio-tempo: tale
distribuzione evidentemente data.
Lidentit diacronica per i perdurantisti pu
essere solo una specie di relazione di continuit
tra fasi o sezioni temporali contigue delle co-
se. In ultima istanza, elemento decisivo per-
ch, nella vita di tutti i giorni, parliamo solo di
una ben precisa parte propria dellinsieme di
tutti gli oggetti, proprio questa continuit.
Parliamo infatti di gatti, alberi, automobili, ca-
se, tavoli ecc. e non di oggetti astrusi come
delloggetto di Quine costituito da una banco-
nota di 10 dollari e dal terzo decennio della
torre Eiffel.
Ci che ci permette di congiungere ben precise
fasi o parti temporali in unit, formando delle
cose, per i perdurantisti dato dalla contiguit
spaziale o temporale, dalla somiglianza quali-
tativa e dalla dipendenza causale tra queste fa-
si. Le cose formate nella vita quotidiana sono
di regola distribuite nello spazio-tempo in mo-
do tale da non mostrare alcuna lacuna tempo-
rale e da essere molto simili nelle loro fasi
contigue. Inoltre, non solo negli organismi vi-
venti, ma anche negli artefatti, le fasi o parti
temporali influiscono causalmente su quelle
immediatamente successive.
Il prezzo che il perdurantismo ha da pagare per
i suoi vantaggi di semplicit ontologica mol-
to alto: deve accettare varie conseguenze con-
trointuitive. Lidentit delle cose dipende in-
fatti dalla regione dello spazio-tempo che oc-
cupano, vale a dire, non vi si pu dare n mo-
vimento n mutamento (cfr. Quine). Ci che si
esperisce come mutamento nel tempo sareb-
be invero solamente un dato soggettivo.
Contro il perdurantismo valgono obiezioni
analoghe a quelle che si possono rivolgere
contro alcune versioni della teoria dei fasci.
Soprattutto gli argomenti modali sembrano si-
gnificativi: se le cose sono aggregati a quattro
dimensioni, segmentati come vermi, di parti
spazio-temporali, allora saranno per esse es-
senziali i limiti. Le cose non sarebbero perci
pi le stesse, se esistessero pi a lungo o pi
brevemente. Se lintero Cartesio considerato
la somma di 54 parti annuali, egli non sarebbe
pi lo stesso Cartesio se fosse vissuto alcuni
anni in pi o in meno.
7. Oggetti come continuanti. Lendurantismo
assume che le cose non siano estese nel tem-
po, vale a dire che abbiano solamente le tre di-
mensioni spaziali. Nel tempo sono estesi sola-
mente gli eventi e le storie degli individui
composte da varie fasi passate e future. Il fatto
che sia sensato dire che gli eventi e le azioni
sono estese nel tempo non implica che sia
sensato dire lo stesso dei loro soggetti o agen-
ti. Le cose e le persone umane sono continuan-
ti o enduranti, in quanto continuano a esistere
nellattimo presente.
Partendo dallassunzione che le cose siano
continuanti, lendurantismo ammette che vi
sia identit diacronica. Di regola, poi, ritiene
che tale assunzione sia fondamentale (basic/pri-
mitive), tale cio da non richiedere alcuna for-
ma di riduzione ad altro o di analisi ulteriore.
Se il perdurantista si allontana da questa com-
prensione pre-filosofica, spetta a lui lonere
della prova: dia lui ragione della sua scelta.
Lapproccio endurantistico corrisponde al-
lesperienza pre-filosofica della vita ordinaria:
ci vale innanzitutto per la convinzione comu-
ne che le cose mutano pur rimanendo sempre
identiche a s. Lendurantista ammette inoltre
che in ogni momento dellesistenza di una co-
sa, esiste sempre la cosa intera, ovvero la cosa
con tutte le qualit che le convengono.
Come deve essere interpretata questa convin-
zione, per evitare di cadere in contraddizione?
Come posso io essere come intero in t
2
identi-
co a me stesso come intero in t
1
, visto che nel
frattempo sono mutato? Unobiezione classica
contro lendurantismo infatti fa leva sulla pre-
tesa che lassunzione in ontologia di conti-
nuanti o enduranti che mutano nel corso del
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Ontologia analitica ENCICLOPEDIA FILOSOFICA
8142
tempo violi il principio di Leibniz. Lidentit
presume la coincidenza di tutte le propriet.
La strategia pi convincente di trattare
lobiezione nel contesto della concezione del-
la natura del tempo e di rifiutare la concezione
eternistica del tempo, ovvero quella concezione
per cui tutti gli istanti temporali sarebbero
ugualmente reali. Lobiezione si basa infatti sul
confronto tra cose e loro propriet in un certo
istante, da una parte, e cose e altre loro pro-
priet in un altro istante, dallaltra come se
le cose in entrambi gli istanti fossero ugual-
mente presenti. Nella prospettiva di uninter-
pretazione presentistica della natura del tempo,
ci viene posto in dubbio: il presentista coe-
rente crede alla realt esclusiva del momento
presente: ci che reale, per lui, sono le cose
nel loro stato attuale con le propriet che esse
ora possiedono. Il confronto di una situazione
attuale con una non attuale sarebbe certo pos-
sibile, ma non si dovrebbero trascurare le dif-
ferenze tra una situazione esistente realmente
e unaltra non pi o non ancora attuale.
Nella prospettiva presentistica e attualistica,
lendurantista pu perci muovere dalla con-
vinzione che le situazioni passate e future non
siano pi o non siano ancora reali. Se egli ri-
tiene che ci sia identit diacronica e afferma
che cose passate sono identiche a cose pre-
senti e future, non si vede obbligato a applica-
re il principio leibniziano. Come a proposito di
se stesso egli ritiene di poter possedere in
unaltra situazione propriet diverse, allo stes-
so modo convinto di aver avuto nel passato
altre propriet e di possederne nel futuro altre
ancora.
Se il tempo viene interpretato in modo presen-
tistico, i tempora non possono essere elimina-
ti, come viceversa Quine esige per un linguag-
gio che tenga conto in modo adeguato dello
spazio-tempo a quattro dimensioni. Invece di
dire che io in t
2
ho la propriet F e in t
1
la pro-
priet G incompatibile con la precedente, in
senso presentistico devo affermare: in t
1
avevo
G e in t
2
ho o avr G. Esprimendomi in questo
modo, non violo il principio di Leibniz. Ve-
diamo ora limpatto delle due posizioni onto-
logiche sullinterpretazione dellidentit per-
sonale.
8. Identit personale. Il problema dellidentit
personale sta al centro della filosofia della
mente. Le posizioni al riguardo sono molte e
tutte dipendono da assunzioni ontologiche
specifiche. Sovente, tali assunzioni sono im-
plicite, ma nondimeno determinanti nel-
lorientare la scelta della concezione della per-
sona umana. Chi propende per il perduranti-
smo si concentrer sulla questione dei criteri
didentit personale. Questi potranno essere,
almeno in parte, anche convenzionali, visto
che per il perdurantismo non si d identit
diacronica. Ci che nella vita quotidiana funge
da identit dovr quindi essere interpretato
come mera relazione di continuit qualitativa.
Chi propende per lendurantismo accetter in-
vece lidentit diacronica delle persone umane
come un dato. I criteri saranno secondo il suo
punto di vista daiuto per identificare e re-
identificare le persone, ma non saranno condi-
zioni costitutive dellidentit. La posizione en-
durantisitica di tendenza realistica e permet-
te una concezione degli agenti umani confor-
me alla razionalit pratica e ai presupposti
della discussione etica.
Persone umane sono agenti dotati di determi-
nate capacit, come quella di riferirsi intenzio-
nalmente ad altro e di assumere una prospet-
tiva soggettiva. Persone umane fanno lespe-
rienza del fluire del tempo: lattimo presente
sempre un altro. tipico per loro avere una
prospettiva indessicale, detta anche prospetti-
va della prima persona. Le capacit soggettive
e indessicali implicano una certa egocentrici-
t, espressa anche nelluso delle espressioni
indessicali io, ora, qui e cos via.
La scienza come scienza deve assumere un
punto di vista oggettivo e quindi deve esclude-
re ogni forma di soggettivit e indessicalit. La
razionalit pratica della vita quotidiana e la di-
scussione etica non possono tuttavia prescin-
dere da questa tipicit delle persone umane
essendo esse agenti e come tali centri dinten-
zionalit e dazione.
Nel contesto di un fisicalismo e perduranti-
smo coerente le persone umane dovranno es-
sere interpretate naturalisticamente, vale a di-
re come fenomeni naturali che per di pi sono
estesi nel tempo. Propenso alla visione qua-
dridimensionale dello spazio-tempo tipica di
un approccio meramente scientifico, il natura-
lista interpreter quindi le persone umane al
modo di eventi o processi. Non potendo assu-
mere identit diacronica dovr intendere le
persone come somme delle loro parti tempo-
rali. Le persone saranno quindi aggregati
massimali di fasi connesse da una relazione
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ENCICLOPEDIA FILOSOFICA Ontologia analitica
8143
di continuit qualitativa o di somiglianza tra le
fasi.
Quine, traendo le ultime conseguenze della
posizione quadridimensionalista o perduran-
tista, tratta le parti temporali in analogia a
quelle spaziali: La concezione spazio-tempo-
rale serve a farci capire che non c alcun mo-
tivo per cui la mia prima e la mia quinta deca-
de non dovrebbero, come la mia testa e i miei
piedi, essere calcolate come parti dello stesso
uomo, per quanto dissimili (cfr. W.v.O. Qui-
ne, Word and Object, Cambridge [Massachu-
setts] 1960, tr. it. di F. Mondadori, Parola e og-
getto, Milano 1996, 36).
In conformit con questi presupposti perdu-
rantistici, non essendoci continuanti si avr
solamente un susseguirsi di fasi. Alla prima
segue la seconda e cos via. Ad agire sarebbe
quindi di volta in volta solamente una parte di
una persona nel senso ordinario. La risposta
corretta alla domanda chi abbia commesso
una certa azione, sarebbe quindi: la fase della
persona esistente durante il tempo dellazione.
Il desiderio di sopravvivenza tipico delle per-
sone umane sarebbe quindi il desiderio di ave-
re dei successori, vale a dire delle fasi tempo-
rali molto simili e causalmente dipendenti da
quelle attuali o passate. La paura di pericoli
futuri sarebbe la paura che i nostri successori
soccombano a questi pericoli.
Grosse difficolt per il programma della ridu-
zione dellidentit a mera continuit causano
tutti quei predicati della vita quotidiana che
presuppongono delle capacit intenzionali
che si protraggono nel futuro e nel passato,
come le intenzioni, la capacit di ricordarsi e
di anticipare il futuro, di imparare nel corso
del tempo, di seguire regole e cos via (past- or
future-reflecting predicates).
Ogni pensatore che propende per unontolo-
gia di continuanti o sostanze aristoteliche si
oppone alla riduzione dellidentit diacronica
a mera continuit. I criteri didentit personale
non saranno, secondo lui, costitutivi per
lidentit, ma solamente daiuto per identifica-
re le persone e per scoprire/stabilire chi esse
siano. Tra i criteri pi discussi sono da anno-
verare quelli basati sulla continuit psicologi-
ca e sulla memoria (cfr. Locke). Per lenduran-
tista luso di questi criteri non esclude tuttavia
la possibilit di persone identiche a se stesse
che siano completamente discontinue psico-
logicamente o soffrano di una specie damne-
sia totale.
III. TEORIA DELLE MODALIT ONTOLOGICHE. La tesi
secondo cui lontologia sarebbe superata dallana-
lisi del linguaggio stata messa in discussione so-
prattutto alla luce dellanalisi degli enunciati mo-
dali, nei quali compaiono gli operatori necessa-
rio o possibile/contingente. Ci si pu vedere,
innanzitutto, evidenziando la differenza tra moda-
lit de dicto (riferite a dicta, cio enunciati o pro-
posizioni) e modalit de re (riferite a stati di cose
o anche individui e propriet). Vedremo che per
esplicitare le condizioni di verit degli enunciati
modali si dovr fare ricorso al concetto di mondo
possibile. Vedremo, poi, che i mondi possibili ven-
gono interpretati in senso attualistico/astrazioni-
stico (cfr. A. Plantinga) o possibilistico/concretisti-
co (cfr. D. Lewis). Proprio in base allontologia
delle modalit lesistenza pu essere interpretata di
nuovo come predicato/attributo. Gli approcci di-
vergenti circa la teoria delle modalit influenzano
anche la discussione sulla soggettivit e indessica-
lit dellagente umano.
1. De dicto e de re. Alla luce dei principi del-
lanalisi del linguaggio classica e del positivi-
smo logico, le modalit non potevano essere
riferite a entit del mondo, a processi, stati di
cose o oggetti. Esse non potevano essere mo-
di dessere, ma soltanto modi di dire o di co-
noscere. Di conseguenza, si tendeva a ritenere
che i termini necessario, analitico e a
priori da una parte e contingente, sinteti-
co e a posteriori dallaltra, avessero la mede-
sima estensione. Ogni enunciato necessario sa-
rebbe analitico e a priori, mentre ogni enuncia-
to contingente sarebbe sintetico e a posteriori.
stato S. Kripke, uno dei grandi della logica
modale, a mettere in discussione questi pre-
supposti e a difendere la sensatezza di enun-
ciati necessari a posteriori.
Quasi paradossalmente, poi, stato proprio
Quine con le sue invettive contro lessenziali-
smo aristotelico a far rivivere nellambito della
filosofia analitica il dibattito sulle modalit de
re. Cos, secondo Quine, luso degli operatori
modali necessariamente e possibilmente
allinterno del raggio dazione di un quantifica-
tore come ad esempio c una x per cui vale
che necessariamente F... non sensato. Es-
so implicherebbe laccettazione dellessenzia-
lismo vale a dire lassunzione di propriet es-
senziali o necessarie. E, secondo Quine, il
prezzo da pagare per la logica modale quanti-
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Ontologia analitica ENCICLOPEDIA FILOSOFICA
8144
ficata, cio laccettazione della distinzione ari-
stotelica tra le propriet necessarie e contin-
genti, sarebbe troppo alto. Questo stesso pen-
siero convinse tuttavia altri a pagare il prezzo
dellessenzialismo.
Un enunciato modale della forma Np (vale a
dire necessariamente p inteso de dicto) vero
se e solo se p vero in ogni mondo accessibile
dal nostro mondo; e un enunciato modale del-
la forma Pp (possibilmente p) vero se e solo
se p vero in almeno un mondo possibile ac-
cessibile dal nostro. Alla luce di questa inter-
pretazione, si quantifica su mondi possibili:
nel primo caso si afferma che per un qualun-
que mondo M, accessibile dal nostro, vale che
lenunciato p vero in M; nellaltro, che c al-
meno un mondo possibile M, tale che p vero
in M. Un enunciato modale invece della forma
NFa (vale a dire a necessariamente F inteso
de re), lenunciato, cio, secondo cui la pro-
priet F conviene necessariamente ad a, vero
se e solo se a possiede F in ogni mondo in cui
esiste; e un enunciato modale della forma PFa
vero se e solo se a possiede F in almeno un
mondo nel quale esiste.
Utilizzando le modalit de dicto, si quantifica
su tutti i mondi possibili accessibili dal no-
stro; mentre utilizzando le modalit de re si
quantifica soltanto su quelli in cui esistono la
cosa o lindividuo di cui si predicano le rispet-
tive modalit. Di conseguenza, Bush non uo-
mo in tutti i mondi possibili, ma solo in quelli
in cui esiste; infatti, se fosse uomo in ogni
mondo, egli sarebbe un individuo necessario,
mentre non lo .
A seconda della relazione di accessibilit tra
mondi, si quantifica su differenti domini di
mondi. In questo modo si possono esplicitare
meglio diversi gradi di forza di necessit e pos-
sibilit: la necessit e la possibilit logiche
presuppongono un dominio di quantificazione
pi ampio della necessit o della possibilit fi-
sica o storica.
Se il mondo attuale linsieme di tutti gli stati
di cose sussistenti, questo induce a ritenere
che un mondo meramente possibile sia un in-
sieme consistente di stati di cose che non sus-
sistono. Sono modi in cui il mondo attuale sa-
rebbe potuto essere se alcune cose fossero an-
date diversamente. Chiaramente non qualsia-
si insieme di stati di cose costituisce un mon-
do possibile: questultimo uno stato di cose
massimale, ovvero tale che per ogni stato di co-
se stabilito se vi incluso o meno.
Il framework dei mondi possibili conciliabile
anche con unimpostazione di tipo nominalisti-
co: D. Lewis assume perfino la realt degli altri
mondi possibili. Egli di conseguenza sostiene
che lattualit indessicale: per gli abitanti di
un particolare mondo, il mondo attuale sem-
pre quello in cui essi si trovano; per noi, il
nostro mondo, per gli abitanti di un altro, il
loro mondo. Il punto di vista per cui lattualit
dei mondi di tipo indessicale viene anche ca-
ratterizzato come possibilistico.
2. Concezioni possibilistica/concretistica e attuali-
stica. Linterpretazione possibilistica della no-
zione di mondo possibile deriva dallassunto
di base che tutti i mondi possibili effettiva-
mente esistono. Per contro, lopposta inter-
pretazione attualistica deriva dalla convinzione
fondamentale secondo cui esistono soltanto
le entit del nostro mondo attuale. Il punto di
vista attualistico rifiuta la postulazione di en-
tit che non esistano attualmente nel nostro
mondo.
Il punto di vista possibilistico presuppone una
pluralit di universi reali quanto il cosmo nel
quale viviamo. Il nostro mondo sarebbe sol-
tanto una parte della vasta realt che com-
prende tutti i cosmi, quella parte che si con-
nette a noi spazio-temporalmente; mentre gli
altri mondi o universi non li potremmo rag-
giungere a causa della separazione spazio-
temporale e causale.
Anche lattualismo presuppone invero una
certa datit dei mondi meramente possibili,
ma in un altro senso. Un mondo meramente
possibile , in quanto stato di cose massimale,
un modo in cui il mondo attuale potrebbe es-
sere, ovvero uno stato in cui esso si potrebbe
trovare. Se quindi si parla nella terminologia
dei mondi possibili, come se i mondi mera-
mente possibili esistessero, allora con ci si
intende solo che ci sono stati diversi, nei quali
si potrebbe trovare il mondo attuale. Tali stati,
per, sono tutti non realizzati.
Chi tende al possibilismo, per la ragione che
presuppone la realt degli altri mondi, non po-
tr insieme sostenere lidea dessere egli stes-
so esistente in altri mondi. Se ammettesse
questo, costui incorrerebbe in gravi difficolt:
come potrebbe egli stesso avere nello stesso
tempo diverse propriet tra loro incompatibi-
li? Egli perci costretto a rinunciare alla co-
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ENCICLOPEDIA FILOSOFICA Ontologia analitica
8145
siddetta identit attraverso mondi o iden-
tit trasversale ai mondi tra individui appar-
tenenti a mondi diversi. Per D. Lewis, infatti, in
altri mondi vi sono soltanto controparti (coun-
terparts) degli individui esistenti nel mondo at-
tuale.
Chi invece tende allattualismo, pu ritenere
che il discorso su uno stesso individuo presen-
te in mondi diversi sia sensato, dato che egli
non crede alla piena realt degli altri mondi.
Plantinga, ad esempio, contesta che uninter-
pretazione possibilistica delle comuni assun-
zioni controfattuali, che, condotta alla luce
della teoria delle controparti, rigetta lidentit
trasversale ai mondi, possa dare conto di quel-
lo che intendiamo quando nella vita di tutti i
giorni facciamo unassunzione controfattuale.
Ad esempio, se supponiamo che Socrate non
abbia filosofato e che non abbia sedotto i gio-
vani, ci lo pensiamo del Socrate che effettiva-
mente ha filosofato: il Socrate delle assunzioni
controfattuali identico a quello del mondo
attuale e non affatto una sua controparte.
Appare evidente una certa corrispondenza tra
linterpretazione perdurantistica della durata
o dellidentit attraverso il tempo e linterpre-
tazione possibilistica dei mondi possibili: per
entrambe, infatti, vi sono molte pi realt di
quelle che vengono riconosciute da una perso-
na comune. Per i perdurantisti, le fasi, le sezio-
ni o le parti temporali passate e future delle
cose sono reali quanto le cose stesse esistenti
nel momento presente; per i possibilisti, come
abbiamo visto, gli innumerevoli mondi possi-
bili diversi dal nostro, comprese le controparti
delle cose del nostro mondo, sono reali quan-
to questultimo. Come per i perdurantisti non
vi alcuna identit nel tempo, cos per i possi-
bilisti non si d alcuna identit trasversale ai
mondi.
La moltiplicazione delle cose esistenti, difesa
da perdurantisti e possibilisti, a cui qui si fat-
to cenno, il prezzo che viene pagato per avere
unontologia molto semplice di tipo mono-ca-
tegoriale, che riconosca, cio, una sola catego-
ria fondamentale di entit. Per questa ragione,
i pensatori di orientamento nominalistico ten-
dono ad assumere sia il punto di vista perdu-
rantistico sia quello possibilistico.
3. Esistenza. Nellontologia analitica si consi-
dera nuovamente lesistenza come predicato
di primo ordine, ovvero come propriet che di-
stingue le cose attuali da quelle meramente
possibili. Questo sviluppo dovuto, da una
parte, allinsufficienza delle soluzioni propo-
ste dallanalisi del linguaggio e dalla filosofia
di Quine e, dallaltra, alla logica modale appe-
na menzionata. Per questo faremo un accen-
no, innanzitutto, (a) alle posizioni della prima
filosofia analitica. Poi, si proceder (b) alle-
splicazione dellesistenza come predicato.
(a) Per Hume, Kant e per i filosofi dellanalisi
del linguaggio lesistenza non una propriet:
con il concetto desistenza non si aggiunge
niente al concetto di una cosa. Se per di pi si
parte dallidea che lesistenza conviene a tutto,
in quanto tutto ci che anche esiste, allora la
domanda sulla natura dellesistenza risulter
banale.
Secondo i filosofi dellanalisi del linguaggio
lesistenza o la non esistenza sono determina-
zioni di ordine superiore, con le quali enuncia-
mo qualcosa delle locuzioni. Gli enunciati di
esistenza hanno un contenuto informativo in
quanto dicono di determinate locuzioni che
non sono vuote e che quindi sono soddisfatte
da qualcosa. Ma questa soluzione proposta
dalla filosofia dellanalisi del linguaggio com-
porta notevoli difficolt. Chi formula enunciati
di esistenza di solito non intende dire che
unespressione saturata/soddisfatta o no.
Per dire e comprendere che il presunto pianeta
Vulcano non esiste, devo almeno avere cono-
scenze determinate sui pianeti e su ci che
comporterebbe lesistenza di un ulteriore pia-
neta accanto agli altri nove.
Nella tradizione di Quine, ci che viene sensa-
tamente inteso con esistenza pu essere
espresso con il quantificatore esistenziale. Quan-
do si quantifica, deve essere chiaro qual il
dominio di quantificazione. Si deve sapere quali
valori delle variabili sono in questione, il che
varia da sistema linguistico a sistema lingui-
stico, da teoria a teoria. Da ci deriva una certa
relativit della trattazione del problema del-
lesistenza.
Caratteristico di Quine per un particolare
realismo nellinterpretazione della quantifica-
zione: sono le cose esistenti nella realt a ren-
dere vere le proposizioni quantificate e non le
espressioni linguistiche che possono venire
sostituite a una variabile. Questa interpreta-
zione della quantificazione viene chiamata
standard o oggettuale e si contrappone a
quella meramente sostituzionale.
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Ontologico ENCICLOPEDIA FILOSOFICA
8146
Ci che viene espresso con il quantificatore
esistenziale riguarda quindi le cose o gli indi-
vidui di cui si parla. Il punto di vista di Quine
in sintesi: essere ritenuto qualcosa vuol dire
unicamente e semplicemente essere conside-
rato il valore di una variabile. Quindi, chi ri-
vendica la verit dei propri asserti si impegna
ad accogliere come esistenti quelle entit che,
come valori di una variabile, cadono nel raggio
dazione del rispettivo quantificatore, ovvero
soddisfano tali asserti.
Riflessioni di tipo meramente logico o semanti-
co, per, non bastano a spiegare cosa significhi
che qualcosa esiste. Se tutto ci che esiste
rientra nel dominio di quantificazione, nasce
linterrogativo intorno a cosa debba essere
questo tutto. Se invece si quantifica su do-
mini limitati, allora permane la questione cir-
ca la relativit dei domini ontologici.
(b) Nellontologia analitica lesistenza viene
nuovamente interpretata come predicato attri-
buito a individui reali, per distinguerli da altri
puramente possibili, cio esistenti in altri
mondi, ma non nel nostro mondo attuale.
Gli enunciati desistenza, conseguentemente,
vengono intesi come affermazioni di attualit:
le cose esistenti hanno una relazione al presente
e sono inserite nei processi causali della realt.
Per definire la differenza tra individui attual-
mente esistenti e quelli puramente possibili
risulta determinante la situazione dinserimen-
to, o meno, di tali individui nella rete causale del
nostro mondo. Gli enti solamente possibili,
infatti, non fanno parte della rete causale, non
agiscono, non fanno nulla e perci non posso-
no essere utilizzate per la spiegazione di altri
dati. Inoltre, tali entit non sono nemmeno ef-
fetti di dati che le precedano spazialmente o
temporalmente, n hanno alcuna potenzialit.
Tuttavia, appena esse iniziano a esistere at-
tualmente, si aprono loro molte possibilit: in
questottica, lesistenza cos la porta verso
le propriet dellagire causale.
Gli enti puramente possibili sono per di pi in-
determinati qualitativamente, a differenza del-
le realt esistenti attualmente: di ogni pro-
priet risulta definito se convenga o meno a
una cosa attualmente esistente, se cio essa
stessa o il suo complemento spettino o meno
alla cosa in questione. Le propriet che con-
vengono o meno a una cosa puramente possi-
bile sono poche e inoltre non producono effetti.
Se lesistenza attuale nel senso sopra descritto
viene interpretata come lessere implicato in
processi causali, per lontologia si dischiudo-
no nuove possibilit, che la rendono pi inte-
ressante e pi rilevante per lattuale proble-
matica filosofica, di quanto sia plausibile
unontologia che tratta come esistente tutto
ci che pu costituire il valore di una variabile
vincolata.
E. Runggaldier
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2003.
PREDICAZIONE, TEORIA DELLA.
Ontologico
ONTOLOGICO (ontological; ontologisch; onto-
logique; ontolgico). Il termine ha un significa-
to speciale in Heidegger, appunto per il signi-
ficato particolare che assume lessere nella filo-
sofia heideggeriana; ontologico ci che si ri-
ferisce a ci che proprio in qualche modo
dellessere, ma in senso contrapposto a onti-
co (che si riferisce o proprio dellente).
Per Heidegger tutta la cosiddetta ontologia
tradizionale unontica, e cio non sa solle-
varsi alla comprensione dellessere. Solo il pi
antico pensiero presocratico riesce a cogliere
lessere come presenza o apertura della totalit
dellente. Ma, subito, il pensiero occidentale
tende a concepire la presenza come ens supre-
mum, fondamento (ontico) della totalit del-
lente (Identitt und Differenz, Pfullingen 1957).
La verit ontologica invece il fondamen-
to (in senso ontologico) della verit ontica,
nel senso che lorizzonte di quelloriginario
significare dellessere, che rende possibile
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