Albert Camus, N vittime N carnefici - 0. Introduzione
Il 4 gennaio 1960 lo scrittore e filosofo francese Albert Camus, nato e cresciuto nel villaggio di Mondovi alla periferia di Algeri, muore in un incidente d'auto insieme al suo amico ed editore Michel Gallimard, mentre rientrano a Parigi dalle vacanze natalizie trascorse a Lourmarin: un villaggio situato nel Sud della Francia dove, con i proventi del Nobel, aveva acquistato e arredato una casa per la sua famiglia. Il manoscritto non ancora concluso dellultimo romanzo di Camus, Il primo uomo, salvato dal quel disastro. Nel 1957 Camus fu insignito del Premio Nobel per la letteratura per i suoi romanzi pi noti: Lo Straniero e La Peste. A 50 anni dalla prima pubblicazione, Lo Straniero rimane un best seller in Francia. Nell'ottobre 1995, Il primo uomo stato finalmente pubblicato in inglese, 30 anni dopo la morte di Camus. La figlia Catherine, unintera vita dedicata a custodire e gestire le memorie del padre, sceglie di pubblicare il manoscritto inedito. La bozza stata redatta con le note dell'autore, il che amplifica il procedere e lo sviluppo del romanzo. Edito in questo modo, Il Primo Uomo mette a nudo lo svolgimento di unopera: qualcosa che si vede solo molto raramente. Il romanzo stesso una meditazione profondamente autobiografica sull'infanzia povera di Camus, in una famiglia senza padre, in Algeria all'inizio del secolo. Anche se rimasto incompiuto, questo testo testimonia l'intuizione e la sensibilit caratteristiche di Camus, dimostrando chiaramente come il suo lavoro migliore rimanesse ancora da fare, al momento della sua morte tragica e prematura avvenuta all'et di 47 anni.
Il mondo di Camus, a oltre mezzo secolo di distanza, ci coinvolge con la sua verit e ci parla del nostro tempo in maniera impressionante. La sua acuta e profonda lucidit, unita a una capacit di analisi affinata alla luce di unesperienza vissuta sulla propria pelle e capace di confrontarsi con le voci pi diverse e accreditate della cultura e della storia del suo tempo, gli hanno permesso di acquisire una lungimiranza di portata straordinaria e di valenza universale, alla quale forse possibile attingere, oggi pi che mai, per trovare una chiave di lettura e di discernimento degli eventi e dei fatti storici e sociali nei quali siamo immersi e di fronte ai quali sentiamo, come in una sorta di dedalo, la nostra sorte giocata. Francese algerino (quindi pied-noir), nato in una famiglia molto modesta il 7 novembre del 1913 e subito orfano di padre, una passione tormentata e mai interrotta per la sua terra natale, ha assunto presto una posizione portante e significativa nella cultura e nella storia francese ed europea, divenendo una delle rare personalit capaci di attraversare criticamente il Novecento. Considerato a pieno diritto uno dei padri dell'esistenzialismo, stato parte attiva e supporto teorico della Resistenza ma le sue posizioni individuali, critiche e gi dissociate dal socialismo reale erano osteggiate dalla sinistra, mentre la destra, che adesso cerca di appropriarsene parlando di religiosit profonda e neoplatonismo e puntando a farne un emblema facendolo salire agli onori del Pantheon, lo denigrava per il suo costante impegno sui temi sociali e della pace. A questi temi, gi ampiamente trattati e mirabilmente messi in evidenza nelle sue opere, egli dedica unattenzione particolare e uno studio accurato e specifico con la pubblicazione, sulla rivista Combat, di cui era collaboratore, e direttore insieme a Pascal Pia dal 1944, di otto brevi saggi che furono poi raccolti ed editati sotto il titolo di Ni victimes Ni bourreaux, apparsi a puntate dal 19 al 30 novembre 1946, e che qui verranno presentati, rispettandone la modalit e la sequenza, nella convinzione che i loro contenuti, pertinenti e sottili, non lascino indifferenti i lettori attuali. Questi saggi rappresentano una condensazione del suo contributo ai problemi della convivenza fra i popoli e della pace, consegnati alla storia e allumanit per essere vissuti e attraversati nella speranza che gli errori del passato non debbano per forza perpetrarsi allinfinito, cos come il romanzo rimasto incompiuto (Il primo uomo), che egli stava scrivendo al momento in cui la sua auto si schiant contro un albero era la risposta di Camus alla questione algerina, che dal 1954 lacerava la Francia, l'Algeria e l'Europa, e che fu storicamente il primo, o uno dei primi laboratori di quei conflitti che agitano cos profondamente i nostri tempi e il mondo intero.
Albert Camus, N vittime N carnefici - 1. IL SECOLO DELLA PAURA
Il secolo XVII stato il secolo della matematica, il XVIII il secolo della fisica, e il XIX quello della biologia. Il nostro secolo XX il secolo della paura. Mi si dir che questa non una scienza. Ma, innanzitutto la scienza vi presente in qualche modo, dal momento che i suoi ultimi progressi teorici lhanno portata a negarsi da sola e che i suoi perfezionamenti pratici minacciano di distruggere lintero pianeta terra. Inoltre, se la paura in se stessa non pu essere considerata come una scienza, non v dubbio sul fatto che sia comunque una tecnica. Quello che colpisce maggiormente, in effetti, nel mondo in cui viviamo, innanzitutto, e in generale, il fatto che la maggior parte degli uomini (eccetto i credenti di tutte le specie) sono privati di avvenire. Non c vita che abbia fondamento senza proiezione sul futuro, senza una prospettiva di evoluzione e di progresso. Vivere contro un muro, vita da cani. Ebbene, gli uomini della mia generazione e di quella che entra oggi nelle officine e nelle facolt hanno vissuto e vivono sempre pi come dei cani. Naturalmente, non la prima volta che degli uomini si trovano davanti un avvenire materialmente ostruito. Ma, di solito, ne uscivano vittoriosi tramite la parola e il grido. Si affidavano ad altri valori, che costituivano la loro speranza. Oggi, nessuno parla pi (eccetto coloro che si ripetono), perch il mondo ci sembra guidato da forze cieche e sorde che non sentiranno le grida di avvertimento, n i gli ammonimenti, n le suppliche. Qualcosa in noi stato distrutto dallo spettacolo degli anni che abbiamo appena trascorso. E questo qualcosa quella perpetua fiducia delluomo, che gli ha sempre fatto credere che fosse possibile pervenire con un altro uomo a delle reazioni umane parlandogli il linguaggio dellumanit. Abbiamo visto mentire, svilire, uccidere, deportare, torturare, e ciascuna volta era impossibile persuadere coloro che lo facevano a non farlo, perch erano sicuri di s e perch non si persuade unastrazione, vale a dire il rappresentante di unideologia.
Il lungo dialogo degli uomini si appena interrotto. E, beninteso, un uomo che non si pu indurre a persuasione un uomo che fa paura. cos che, accanto a coloro che non parlavano perch lo ritenevano inutile si estendeva e si estende tuttora unimmensa cospirazione del silenzio, accettata da coloro che tremano e si danno delle buone ragioni per nascondere a se stessi questo tremore, e provocata da coloro che hanno interesse a farlo. Non dovete parlare dellepurazione degli artisti in Russia, perch questo gioverebbe alla reazione. Dovete tacere sui finanziamenti a Franco da parte degli Anglosassoni, perch questo favorirebbe il comunismo. Lo dicevo, che la paura una tecnica. Fra la paura molto generica di una guerra che tutti preparano e la paura decisamente personale delle ideologie omicide, pertanto verissimo che viviamo nel terrore. Viviamo nel terrore perch la persuasione non pi possibile, perch luomo stato interamente consegnato alla storia e non pu pi volgersi verso quella parte di s, vera quanto la parte storica, e che ritrova quando davanti alla bellezza del mondo e dei volti; perch viviamo nel mondo dellastrazione, nel mondo degli uffici e delle macchine, delle idee assolute e del messianismo senza sfumature. Noi soffochiamo in mezzo a persone che credono di avere assolutamente ragione, sia che si tratti delle loro macchine o delle loro idee. E per tutti coloro che non possono vivere se non nel dialogo e nellamicizia degli uomini, questo silenzio la fine del mondo. Per uscire da questo terrore, sarebbe necessario poter riflettere e agire seguendo la propria riflessione. Ma il terrore, per lappunto, non un clima favorevole alla riflessione. Sono tuttavia del parere, anzich biasimare questa paura, di considerarla come uno dei principali elementi della situazione e di provare a porvi rimedio. Non c niente di pi importante. Poich questo riguarda il destino di un gran numero di Europei che, nauseati di violenze e di menzogne, delusi nelle loro pi grandi speranze, provando ripugnanza allidea di uccidere i loro simili, fosse anche per convincerli, provano altrettanta ripugnanza allidea di venire convinti nella stessa maniera. Eppure lalternativa in cui si pone questa grande massa di uomini in Europa, che non sono di alcun partito, o che si sentono a disagio in quello che hanno scelto, che dubitano che in Russia sia realizzato il socialismo, e in America il liberalismo, che riconoscono, ciononostante, a questi e a quelli il diritto di affermare la loro verit, ma rifiutano loro quello di imporla con lomicidio, individuale o collettivo. Fra i potenti del momento, essi sono uomini senza regno. Questi uomini non potranno far ammettere (non dico trionfare, ma ammettere) il loro punto di vista, e non potranno ritrovare la loro patria se non quando avranno preso coscienza di quello che vogliono e lo diranno in maniera abbastanza semplice e abbastanza forte perch le loro parole possano mettere insieme un fascio di energie. E se la paura non il clima adatto alla giusta riflessione, bisogna innanzitutto che essi risolvano il loro problema con la paura. Per risolvere questo problema, occorre vedere cosa vuol dire la paura, e a che cosa essa si oppone. Essa vuol dire e rifiuta lo stesso fatto: un mondo in cui lomicidio legittimato e nel quale la vita umana considerata come futile. Ecco il primo problema politico di oggi. E, prima di passare al resto, necessario prendere posizione riguardo ad esso. Preliminarmente a qualsiasi costruzione, occorre oggi sollevare due domande: Vuole lei, s o no, direttamente o indirettamente, essere ucciso o fatto oggetto di violenza? Vuole lei, s o no, direttamente o indirettamente, uccidere o usare violenza? Tutti coloro che risponderanno no a queste due domande sono automaticamente coinvolti in una serie di conseguenze che devono modificare il loro modo di impostare il problema. Il mio progetto quello di precisare soltanto due o tre di queste conseguenze. Nellattesa, il lettore di buona volont pu interrogarsi e rispondere.
Albert Camus, N vittime N carnefici - 2. SALVARE I CORPI
Poich un giorno ho detto che non avrei pi saputo ammettere, dopo lesperienza di questi ultimi due anni, alcuna verit che avesse potuto costringermi, direttamente o indirettamente, a far condannare un uomo a morte, alcune persone che stimavo mi hanno talvolta fatto notare che ero nellutopia, che non cera verit politica che non ci conducesse un giorno a questo estremo, e che era dunque necessario correre il rischio di questo estremo o accettare il mondo cos comera. Questo argomento veniva presentato con forza. Ma io credo innanzitutto che ci si mettesse cos tanta forza unicamente perch coloro che lo presentavano non avevano immaginazione per la morte degli altri. una stranezza del nostro secolo. Cos come ci si ama per telefono e si lavora non pi sulla materia, ma sulla macchina, oggi si uccide e si uccisi per delega. La pulizia ci guadagna, ma la conoscenza ci perde. Tuttavia questo argomento ha unaltra forza, sebbene indiretta: esso pone il problema dellutopia. Insomma, le persone come me vorrebbero un mondo, non in cui non ci si uccida pi (non siamo cos pazzi!), ma in cui lomicidio non sia legittimato. Qui, in effetti, siamo nellutopia e nella contraddizione poich viviamo, per lappunto, in un mondo in cui lomicidio legittimato, e dobbiamo cambiarlo se non vogliamo che sia cos. Sembra per che non lo si possa cambiare senza esporsi alleventualit dellomicidio. Lomicidio ci rimanda dunque allomicidio e noi continueremo a vivere nel terrore, sia che lo accettiamo con rassegnazione, sia che vogliamo sopprimerlo con mezzi che sostituiranno ad esso un altro terrore. A mio avviso, tutti dovrebbero riflettere su questo perch, ci che mi colpisce in mezzo alle polemiche, alle minacce e agli scoppi di violenza, la buona volont di tutti. Tutti, a parte alcuni truffatori, dalla destra alla sinistra, ritengono che la loro verit sia adatta a fare la felicit degli uomini. Ciononostante, lunione di queste buone volont ha come risultato questo mondo infernale nel quale degli uomini sono ancora uccisi, minacciati, deportati, in cui si prepara la guerra, e in cui impossibile dire una parola senza essere immediatamente insultato o tradito. Bisogna dunque concluderne che se degli uomini come noi vivono nella contraddizione, essi non sono i soli, e che coloro che li accusano di utopia vivono forse in unutopia senza dubbio differente, ma alla fine pi costosa. Occorre dunque ammettere che il rifiuto di legittimare lomicidio ci costringe a riconsiderare la nostra nozione dellutopia. A tale riguardo sembra che si possa dire: lutopia ci che in contraddizione con la realt. Da questo punto di vista, sarebbe assolutamente utopistico voler che nessuno uccida pi nessuno. lutopia assoluta. Ma unutopia a un livello molto pi debole rispetto al fatto di chiedere che lomicidio non sia pi legittimato. Daltronde, le ideologie marxista e capitalista, basate tutte e due sullidea di progresso, convinte entrambe che lapplicazione dei loro principi debba condurre fatalmente allequilibrio della societ, sono utopie di grado molto pi sostenuto. Inoltre, ci stanno costando molto care. Si pu trarne la conclusione che, praticamente, la lotta che singagger negli anni a venire non verr stabilita fra le forze dellutopia e quelle della realt, ma tra utopie diverse che cercano di inserirsi nel reale e fra le quali non si tratta altro che di scegliere le meno costose. La mia convinzione che non possiamo pi avere ragionevolmente la speranza di salvare tutto, ma che possiamo proporci perlomeno di salvare i corpi, affinch lavvenire rimanga possibile. Si vede quindi che il fatto di rifiutare la legittimazione dellomicidio non pi utopistico delle posizioni realistiche di oggi. Tutta la questione sta nel sapere se questultime costano pi o meno caro. anche questo un problema che dobbiamo risolvere, e sono dunque scusabile se penso che si possa essere utile definendo, in rapporto allutopia, le condizioni che sono necessarie per placare gli animi e le nazioni. Questa riflessione, a patto che la si faccia senza paura e senza pretesa, pu aiutare a creare le condizioni di un pensiero equo e di un accordo provvisorio fra gli uomini che non vogliono essere n delle vittime, n dei carnefici. Beninteso, non si tratta, negli articoli che seguiranno, di definire una posizione assoluta, ma soltanto di mettere a punto alcune nozioni oggi travestite e di provare a porre il problema dellutopia il pi correttamente possibile. Si tratta, insomma, di definire le condizioni di un pensiero politico modesto, vale a dire liberato da ogni messianismo e sgomberato dalla nostalgia del paradiso terrestre.
IL SOCIALISMO MISTIFICATO
Se si ammette che lo stato di terrore, riconosciuto o no, in cui viviamo da dieci anni, non ancora cessato e che oggi la causa principale del disagio in cui si trovano gli animi e le nazioni, diventa necessario andare a vedere che cosa possibile opporre al terrore. Questo pone il problema del socialismo occidentale, poich il terrore non si legittima se non ammettendo il principio: Il fine giustifica i mezzi. E questo principio pu essere ammesso soltanto se lefficacia di unazione eretta a scopo assoluto, come avviene nelle ideologie nichiliste (tutto permesso, quello che conta riuscire), o nelle filosofie che fanno della storia un assoluto (Hegel, poi Marx: poich il fine la societ senza classi, tutto quanto porta a questo bene). questo il problema che si posto ai socialisti francesi, per esempio. Gli sono venuti certi scrupoli. La violenza e loppressione di cui finora non avevano avuto che unidea alquanto astratta, le hanno viste allopera. E si sono chiesti se avrebbero accettato, come chiedeva la loro filosofia, di esercitare essi stessi la violenza, seppure provvisoriamente e per uno scopo comunque diverso. Un recente autore di una prefazione di Saint- Just, parlando di uomini che avevano scrupoli simili, scriveva con tono di palese disprezzo: Hanno fatto marcia indietro davanti allorrore. Non c niente di pi vero. E in questo modo essi si sono messi nella condizione di acquisire il disprezzo di coscienze abbastanza forti e superiori per adagiarsi nellorrore senza protestare. Nello stesso tempo, per, essi hanno dato voce a quellappello angosciato venuto dai mediocri come noi, che si contano a milioni, che costituiscono la materia stessa della storia, e di cui bisogner un giorno tener conto, malgrado tutti i disprezzi. Quello che ci sembra pi serio, al contrario, provare a comprendere la contraddizione e la confusione in cui si sono trovati i nostri socialisti. Da questo punto di vista, evidente che non si riflettuto abbastanza in merito alla crisi di coscienza del socialismo francese, cos comessa si manifestata in un recente congresso. pi che evidente che i nostri socialisti, sotto linfluenza di Lon Blum, e pi ancora sotto la minaccia degli eventi, hanno al primo posto delle loro preoccupazioni dei problemi morali (il fine non giustifica tutti i mezzi) che non avevano considerato fino a questo momento. Il loro desiderio legittimo era di fare riferimento ad alcuni principi che fossero superiori allomicidio. Risulta comunque evidente che quegli stessi socialisti vogliono conservare la dottrina marxista; gli uni perch pensano che non si possa essere rivoluzionari senza essere marxisti; gli altri, per una rispettabile fedelt alla storia del partito che fa loro credere non si possa nemmeno essere socialista senza essere marxista. Lultimo congresso del partito ha messo in evidenza queste due tendenze e il compito principale di questi congressi stato di pervenire alla conciliazione. Ma non si pu conciliare ci che inconciliabile. chiaro, infatti, che se il marxismo vero, e se c una logica della storia, il realismo politico legittimo. altrettanto chiaro che se i valori morali preconizzati dal partito socialista sono fondati sul diritto, allora il marxismo falso assolutamente, poich pretende di essere vero assolutamente. Da questo punto di vista, il famoso superamento del marxismo in un senso idealista e umanitario non altro che una finzione e un sogno privo di conseguenza. Marx non pu essere superato, poich andato fino al limite della conseguenza. I comunisti hanno ragionevolmente fondati motivi per utilizzare la menzogna e la violenza che i socialisti ripudiano, sostenuti in questo dai principi stessi e dalla dialettica inoppugnabile che i socialisti vogliono pur tuttavia conservare. Non cera quindi da stupirsi nel veder il congresso socialista concludersi con una semplice giustapposizione di due posizioni contraddittorie, la cui sterilit stata palesemente sancita dalle ultime elezioni. Sotto questo punto di vista, la confusione continua. Bisognava scegliere e i socialisti non volevano o non potevano scegliere. Non ho scelto questo esempio per attaccare il socialismo, ma per chiarire i paradossi in cui viviamo. Per attaccare i socialisti bisognerebbe essere superiore a loro. Non ancora cos. Al contrario, mi sembra che questa contraddizione sia comune a tutti gli uomini di cui ho parlato, che desiderano una societ che possa essere nello stesso tempo felice e dignitosa, che vorrebbero che gli uomini fossero liberi in una condizione finalmente giusta, ma esitano fra una libert in cui sanno bene che la giustizia alla fin fine messa nel sacco e una giustizia nella quale vedono bene che la libert soppressa in partenza. Di questa angoscia intollerabile si fanno generalmente beffe coloro che sanno che cosa bisogna credere o che cosa bisogna fare. Ma io sono del parere che, anzich deriderla, occorra ragionarci sopra e chiarirla, vedere che cosa significa, rendere leggibile la condanna quasi totale che essa produce su coloro che la provocano e mettere in luce la debole speranza che la sostiene. E la speranza risiede per l'appunto in questa contraddizione, perch essa costringe o costringer i socialisti alla scelta. O essi ammetteranno che il fine sta al di sopra dei mezzi, e quindi che lomicidio possa essere legittimato, oppure rinunceranno al marxismo come filosofia assoluta, limitandosi a conservarne laspetto critico, spesso ancora valido. Se sceglieranno il primo termine dellalternativa, la crisi di coscienza sar finita e le posizioni saranno chiarite. Se ammetteranno il secondo, dimostreranno che questo tempo segna la fine delle ideologie, ovvero delle utopie assolute che si distruggono da sole, nel corso della storia, a causa del prezzo che finiscono per costare. Bisogner allora scegliere unaltra utopia, pi modesta e meno dispendiosa. cos, perlomeno, che il rifiuto di legittimare lomicidio costringe a porre la domanda. S, la domanda che bisogna formulare e nessuno, credo, oser rispondere ad essa con leggerezza.
LA RIVOLUZIONE TRAVESTITA
A partire dallagosto 1944, nel nostro paese tutti parlano di rivoluzione, e sempre sinceramente: non ci sono dubbi a tale proposito. La sincerit, tuttavia, non in se stessa una virt. Ci sono sincerit cos confuse da essere peggiori delle menzogne. Non si tratta per noi oggi di parlare il linguaggio del cuore, ma soltanto di pensare in modo chiaro. Idealmente, la rivoluzione un cambiamento delle istituzioni politiche ed economiche, idoneo a far regnare pi libert e giustizia nel mondo. Praticamente, linsieme degli avvenimenti storici, spesso infelici, che produce questo felice cambiamento. Si pu dire oggi che questa parola sia usata nel suo senso classico? Quando nel nostro paese le persone sentono parlare di rivoluzione, anche ammettendo che conservino il loro sangue freddo, esse immaginano un cambiamento di forma della propriet (generalmente la messa in comune dei mezzi di produzione) ottenuto, o tramite una legislazione basata sulle leggi della maggioranza, oppure in seguito alla presa del potere da parte di una minoranza. facile vedere come questo insieme di nozioni non abbia alcun senso nelle circostanze storiche attuali. Da una parte, la presa di potere tramite la violenza unidea romantica che il progresso degli armamenti ha reso illusoria. Lapparato repressivo di un governo ha tutta la forza dei carri armati e degli aerei. Sarebbero quindi necessari dei carri armati e degli aerei soltanto per stabilire un equilibrio. Il 1789 e il 1917 sono ancora delle date, ma non sono pi degli esempi. Supponendo che questa presa del potere sia comunque possibile, che si faccia in tutti i casi attraverso le armi o per via legale, essa avrebbe efficacia soltanto nel caso in cui la Francia (o lItalia, o la Cecoslovacchia) potesse essere messa fra parentesi e isolata dal mondo. Perch, nella nostra attualit storica, nel 1946, una modifica del regime di propriet comporterebbe, per esempio, ripercussioni tali sui crediti americani che la nostra economia ne risulterebbe minacciata a morte. Una rivoluzione di destra non avrebbe pi ampie possibilit, a causa dellipoteca parallela che ci crea la Russia, con milioni di elettori comunisti e con la sua posizione di massima potenza continentale. La verit, che mi scuso di scrivere chiaramente, mentre tutti la conoscono senza dirla, che non siamo liberi, come Francesi, di essere rivoluzionari. O perlomeno non possiamo pi essere dei rivoluzionari solitari perch non sussistono pi, oggi, nel mondo, politiche conservatrici o socialiste che possano dispiegarsi sul solo piano nazionale. Cos, possiamo parlare soltanto di rivoluzione internazionale. Esattamente, la rivoluzione si far su scala internazionale o non si far. Ma qual ancora il senso di questa espressione? Ci fu un tempo in cui si pensava che la riforma internazionale si sarebbe fatta attraverso la congiunzione o la sincronizzazione di pi rivoluzioni nazionali; unaddizione di miracoli, in un certo modo. Oggi, e se la nostra analisi precedente corretta, si pu pensare solamente allestensione di una rivoluzione gi riuscita. una cosa che Stalin ha visto molto bene ed la spiegazione pi benevola che si possa dare della sua politica (laltra rifiutare alla Russia il diritto di parlare in nome della rivoluzione). Questo equivale a considerare lEuropa e lOccidente come una sola nazione in cui unimportante minoranza bene armata potrebbe vincere e lottare per prendere alla fine il potere. Ma, dato che la forza conservatrice (nella fattispecie gli Stati Uniti) altrettanto bene armata, facile rendersi conto che la nozione di rivoluzione viene sostituita oggi dalla nozione di guerra ideologica. Pi precisamente, la rivoluzione internazionale non procede oggi senza un estremo rischio di guerra. Qualsiasi rivoluzione futura sar una rivoluzione straniera. Comincer con unoccupazione militare oppure, il che equivale alla stessa cosa, con un ricatto di occupazione. E avr senso soltanto a partire dalla vittoria definitiva delloccupante sul resto del mondo. Allinterno delle nazioni, le rivoluzioni costano gi molto care. Ma, in considerazione del progresso che si ritiene possano portare, generalmente si accetta linevitabilit di questi danni. Oggi, il prezzo che la guerra costerebbe allumanit deve essere obbiettivamente comparato al progresso che ci si pu attendere in seguito alla presa del potere mondiale da parte della Russia o dellAmerica. E credo sia di importanza definitiva che se ne valutino i pro e i contro e che, per una volta, si provi ad immaginare cosa ne sarebbe di un pianeta, nel quale una trentina di milioni di cadaveri sono ancora tenuti occultati, dopo un cataclisma che ci costerebbe dieci volte di pi. Far osservare che questo modo di ragionare obbiettivamente corretto. Esso prende in considerazione soltanto la valutazione della realt, senza assumere per il momento giudizi ideologici o sentimentali. Dovrebbe, in ogni caso, spingere alla riflessione coloro che parlano di rivoluzione con leggerezza. Quello che questa parola contiene in s oggi deve essere accettato in blocco o rifiutato in blocco. Se accettato, ci si deve riconoscere responsabili consapevoli della guerra futura. Se rifiutato, si deve, o dichiararsi sostenitore dello status quo, che significa lutopia totale, dal momento che essa presuppone limmobilizzazione della storia, oppure rinnovare il contenuto della parola rivoluzione, il che implica unadesione a quella che chiamer lutopia relativa. Dopo aver riflettuto un po' in merito a questo dilemma, mi sembra che gli uomini che desiderino oggi cambiare il mondo in maniera efficace debbano scegliere fra i cumuli di cadaveri che si preannunciano, il sogno impossibile di una storia che tutta un tratto si ferma, e laccettazione di unutopia relativa che lasci una possibilit allazione e, nello stesso tempo, anche agli uomini. Non tuttavia difficile rendersi conto che, al contrario, questa utopia relativa la sola possibile, e la sola ispirata dal senso di realt. Quale sia la fragile possibilit che potrebbe salvarci dalle carneficine, quello che prenderemo in esame in un prossimo articolo.
DEMOCRAZIA E DITTATURA INTERNAZIONALI
Oggi sappiamo che non ci sono pi isole e che le frontiere sono vane. Sappiamo che in un mondo in accelerazione costante, nel quale si attraversa lAtlantico in meno di una giornata, in cui Mosca parla con Washington nel giro di poche ore, siamo costretti alla solidariet o alla complicit, a seconda dei casi. Quello che abbiamo imparato nel corso degli anni 40, che lingiuria fatta ad uno studente di Praga colpiva nello stesso tempo loperaio di Clichy, che il sangue sparso da qualche parte lungo le rive di un fiume del Centro Europa doveva fare arrivare un contadino del Texas a versare il proprio sul suolo di queste Ardenne che egli vedeva per la prima volta. Non cera e non c pi una sola sofferenza, isolata, una sola tortura in questo mondo che non si ripercuota nella nostra vita di tutti i giorni. Molti Americani vorrebbero continuare a vivere chiusi nella loro societ che trovano buona. Molti Russi vorrebbero, forse, continuare a proseguire lesperienza statalistica lontano dal mondo capitalista. Non possono farlo e non lo potranno mai pi. Allo stesso modo, nessun problema economico, per quanto secondario possa apparire, pu essere risolto oggi al di fuori della solidariet fra le nazioni. Il pane dellEuropa a Buenos Aires e le macchine utensili della Siberia sono fabbricate a Detroit. Oggi, la tragedia collettiva. Sappiamo dunque tutti, senza ombra di dubbio, che il nuovo ordine che cerchiamo non pu essere soltanto nazionale o continentale, n soprattutto occidentale o orientale. Deve essere universale. Non pi possibile attendersi delle soluzioni parziali o delle concessioni. Il compromesso quello che stiamo vivendo, vale a dire langoscia per oggi e lomicidio per domani. E nel frattempo la velocit della storia e del mondo accelera. I ventuno sordi, futuri criminali di guerra, che discutono oggi di pace scambiano i loro monotoni dialoghi tranquillamente seduti al centro di una rapida che li trascina verso il baratro, a mille kilometri allora. Si, questordine universale il solo problema del momento e che superi tutte le dispute costituzionali e di legge elettorale. Ed esso esige che gli destiniamo le risorse delle nostre intelligenze e delle nostre volont. Quali sono oggi i mezzi per giungere a questa unit del mondo, per realizzare questa rivoluzione internazionale nella quale le risorse in uomini, le materie prime, i mercati commerciali e le ricchezze spirituali potranno essere meglio ridistribuite? Io ne vedo soltanto due, e questi due mezzi determinano in maniera precisa la nostra ultima alternativa. Questo mondo pu essere unificato, dallalto, come ho detto ieri, da un solo Stato pi potente degli altri. La Russia o lAmerica possono aspirare a questo ruolo. Personalmente non ho niente, e nessuno degli uomini che conosco ha qualcosa da ridire in merito allidea, difesa da alcuni, che la Russia o lAmerica abbiano i mezzi per dominare e unificare questo mondo secondo gli schemi della loro societ. Mi ripugna, come Francese, e ancor pi come Mediterraneo. Ma non terr in nessun conto questo argomento sentimentale. La nostra sola obiezione, eccola, cos come lho definita in un recente articolo: questa unificazione non pu essere fatta senza la guerra o, perlomeno, senza un rischio estremo di guerra. Ammetter ancora, anche se non ci credo, che la guerra possa non essere atomica. Resta il fatto che la guerra di domani lascerebbe lumanit talmente mutilata e a tal punto impoverita, che lidea stessa di un ordine risulterebbe definitivamente anacronistica. Marx poteva giustificare, come ha fatto, la guerra del 1870, perch era la guerra del fucile Chassepot ed era localizzata. Nelle prospettive del marxismo, centomila morti non sono niente, in effetti, in cambio della felicit di centinaia di milioni di persone. Ma la morte certa di centinaia di milioni di persone, per la felicit supposta di coloro che restano, un prezzo troppo elevato. Il progresso vertiginoso degli armamenti, fatto storico ignorato da Marx, obbliga a porre in modo nuovo il problema del fine e dei mezzi. E il mezzo, in questo caso, farebbe saltare il fine. Qualunque sia il fine desiderato, per quanto elevato e necessario esso sia, che voglia o meno promuovere la felicit degli uomini, che voglia onorare la giustizia oppure la libert, il mezzo impiegato per raggiungerlo rappresenta un rischio talmente definitivo, talmente sproporzionato come grandezza rispetto alle possibilit di successo, che rifiutiamo obbiettivamente di correrlo. Bisogna quindi ritornare al secondo mezzo idoneo ad assicurare questo ordine universale, e che il mutuo accordo di tutte le parti. Non ci domanderemo se sia possibile, considerando qui che per lappunto il solo possibile. Ci domanderemo innanzitutto che cos. Questo accordo delle parti ha un nome, che la democrazia internazionale. Tutti ne parlano allO.N.U., naturalmente. Ma cos la democrazia internazionale? una democrazia che internazionale. Spero mi si perdoni questo truismo, poich le verit pi evidenti sono anche le pi travestite. Che cos la democrazia nazionale o internazionale? una forma di societ in cui la legge al di sopra dei governanti, dato che questa legge lespressione della volont di tutti, rappresentata da un corpo legislativo. questo che si cerca di fondare oggi? Ci viene proposta, in effetti, una legge internazionale. Ma questa legge fatta o disfatta da dei governi, vale a dire dallesecutivo. Siamo quindi in regime di dittatura internazionale. Lunico modo per uscirne porre la legge internazionale al di sopra dei governi, dunque fare questa legge, dunque disporre di un parlamento, dunque costituire questo parlamento per mezzo di elezioni mondiali alle quali partecipino tutti i popoli. E siccome non abbiamo questo parlamento, lunica via resistere a questa dittatura internazionale su un piano internazionale e utilizzando mezzi che non contraddicano il fine perseguito.
IL MONDO VA VELOCE
evidente per tutti che il pensiero politico si trova sempre pi sorpassato dagli eventi. I Francesi, per esempio, hanno iniziato la guerra del 1914 con i mezzi della guerra del 1870 e la guerra del 1939 con i mezzi del 1918. Ma anche il pensiero anacronistico non una specialit francese. Baster qui sottolineare che, praticamente, le grandi politiche odierne pretendono di stabilire lavvenire del mondo servendosi di principi concepiti nel XVIII secolo per quanto riguarda il liberalismo capitalista, e nel XIX per quanto riguarda il socialismo, detto scientifico. Nel primo caso, un pensiero nato nei primi anni dellindustrialismo moderno e, nel secondo caso, una dottrina contemporanea dellevoluzionismo darwiniano e dellottimismo renano si propongono di mettere in equazione lepoca della bomba atomica, dei bruschi cambiamenti e del nichilismo. Niente potrebbe illustrare meglio la sfaldatura sempre pi disastrosa che si apre fra il pensiero politico e la realt storica. Beninteso, il pensiero sempre in ritardo rispetto al mondo. La storia corre mentre il pensiero medita. Ma questo ritardo inevitabile diventa oggi sempre pi grande in proporzione allaccelerazione storica. Il mondo cambiato molto di pi nel corso degli ultimi cinquantanni di quanto non avesse fatto prima in duecento anni. E vediamo ancora adesso la gente accanirsi a risolvere problemi di frontiere quando tutti i popoli sanno che le frontiere oggi sono astratte. ancora il principio delle nazionalit che parso prevalere alla Conferenza dei Ventuno.* Dobbiamo tener conto di questo nella nostra analisi della realt storica. Noi imperniamo oggi le nostre riflessioni sul problema tedesco, che un problema secondario paragonato allo scontro di poteri che ci minaccia. Ma se, domani, concepissimo delle soluzioni internazionali in funzione del problema russo- americano, rischieremmo di vederci ancora una volta sorpassati. Lo scontro di poteri gi in procinto di passare in secondo piano rispetto allo scontro delle civilt. Da ogni parte, in effetti, le civilt colonizzate fanno sentire la loro voce. Fra dieci anni, fra cinquantanni, sar la preminenza della civilt occidentale ad essere rimessa in questione. Tanto vale quindi pensarci subito e aprire il Parlamento mondiale a queste civilt, affinch la sua legge diventi veramente universale, e universale lordine che essa sancisce. I problemi posti attualmente dal diritto di veto sono falsati perch le maggioranze o le minoranze che si oppongono allO.N.U. sono false. LU.R.S.S. avr sempre il diritto di rifiutare la legge della maggioranza fintantoch questa sar una maggioranza di ministri, e non una maggioranza di popoli rappresentati dai loro delegati e fintantoch tutti i popoli non vi saranno equamente rappresentati. Il giorno in cui questa maggioranza avr un senso, bisogner che ciascuno le obbedisca o rifiuti la sua legge, ovverossia dichiari apertamente la propria volont di dominio. Allo stesso modo, se teniamo sempre presente questa accelerazione del mondo, corriamo il rischio di trovare il modo corretto di porre il problema economico attuale. Nel 1930, non si considerava pi il problema del socialismo come si faceva nel 1848. Allabolizione della propriet era succeduta la strategia della messa in comune dei mezzi di produzione. E questa strategia, in effetti, oltre a regolamentare nello stesso tempo il destino della propriet, teneva conto della scala pi vasta su cui si poneva il problema economico. Ma, dal 1930, questa scala si ulteriormente estesa. E, cos come la soluzione politica sar internazionale, o non ci sar affatto, cos la soluzione economica deve riguardare innanzitutto i mezzi di produzione internazionali: petrolio, carbone e uranio. Se collettivizzazione deve esserci, essa deve concernere le risorse indispensabili a tutti e che, in effetti, non devono essere appannaggio di nessuno. Il resto, tutto il resto, rientra nel campo del discorso elettorale. Queste prospettive sono utopistiche agli occhi di qualcuno, ma per tutti coloro che rifiutano di accettare leventualit di una guerra opportuno sostenere e difendere questo insieme di principi senza alcuna riserva. Quanto a conoscere i percorsi che possono avvicinarci ad una simile concezione, essi non sono immaginabili senza lincontro tra i socialisti di ieri e gli uomini di oggi, solitari nei disparati luoghi del mondo. possibile in ogni caso rispondere ancora una volta, e per tutte, allaccusa di utopia. Perch, per noi, la cosa semplice: sar lutopia o la guerra, come ce la preparano sistemi di pensiero sorpassati. Il mondo ha facolt di scelta oggi fra il pensiero politico anacronistico e il pensiero utopistico. Il pensiero anacronistico sul punto di ucciderci. Per quanto diffidenti siamo (e io sia), il senso di realt ci obbliga quindi a ritornare verso questa utopia relativa. Quando essa sar entrata a far parte della Storia, come molte altre utopie dello stesso genere, gli uomini non immagineranno pi altre realt. Tanto vero che la Storia non altro che lo sforzo disperato degli uomini per dare corpo ai loro pi chiaroveggenti sogni.
* La conferenza dei 21 Stati vittoriosi tenutasi a Parigi, al Palazzo del Louxembourg, il 29 luglio 1946, doveva fissare le frontiere dei paesi alleati della Germania: Italia, Romania, Bulgaria, Ungheria, etc.
UN NUOVO CONTRATTO SOCIALE
Per riassumere: il destino degli uomini di tutte le nazioni non sar tutelato se prima non sar risolto il problema della pace e dellorganizzazione del mondo. Non potr esserci una rivoluzione efficace in alcuna parte del mondo, prima che sia realizzata questa rivoluzione. Tutto quello che di diverso si dice in Francia, oggi, futile o interessato. Mi spinger oltre. Non soltanto la forma di propriet non sar cambiata in maniera durevole in alcun punto del globo, ma i problemi pi semplici, come il pane di tutti i giorni, la grande fame che fa torcere i ventri dEuropa, il carbone, non avranno alcuna soluzione fintantoch non sar creata la pace. Qualsiasi pensiero che riconosca lealmente la propria incapacit di giustificare la menzogna e lomicidio portato a questa conclusione, per poco che abbia a cuore la verit. Non gli resta quindi che conformarsi tranquillamente a questo ragionamento. Esso dovr cos riconoscere che: 1 la politica interna, considerata in modo isolato, una questione esclusivamente secondaria e daltronde impensabile; 2 lunico problema la creazione di un ordine internazionale che possa alla fine produrre le riforme di struttura durevoli tramite le quali si conclude la rivoluzione; 3 allinterno delle nazioni esistono ormai soltanto problemi di amministrazione, che vanno risolti provvisoriamente, e al meglio possibile, in attesa di una soluzione politica pi efficace perch pi generale. Bisogner dire, per esempio, che la Costituzione francese non pu essere giudicata se non in funzione del servizio chessa rende, o no, ad un ordine internazionale fondato sulla giustizia e sul dialogo. Da questo punto di vista, lindifferenza della nostra Costituzione alle pi elementari libert umane deplorevole. Occorrer riconoscere che lorganizzazione provvisoria dellapprovvigionamento dieci volte pi importante del problema delle nazionalizzazioni o delle statistiche elettorali. Le nazionalizzazioni non potranno funzionare in un solo paese. E se nemmeno lapprovvigionamento pu essere affrontato sul solo piano nazionale, esso quantomeno pi urgente e impone il ricorso a degli espedienti, anche provvisori. Tutto questo pu dare, di conseguenza, alla nostra valutazione sulla politica interna il criterio che finora le mancava. Trenta editoriali de lAube avranno voglia di opporsi ogni mese a trenta editoriali de lHumanit, non riusciranno a farci dimenticare che questi due giornali, con i partiti che rappresentano e gli uomini che li dirigono, hanno accettato lannessione senza referendum di Briga e Tenda, e si sono in questo modo uniti in ununica impresa di distruzione nei confronti della democrazia internazionale. Che la loro volont sia buona o cattiva, il signor Bidault e il signor Thorez favoriscono a pari merito il principio della dittatura internazionale. Da questo punto di vista, e qualsiasi cosa se ne possa pensare, essi rappresentano nella nostra politica, non certo la realt, ma lutopia pi deplorevole. Si, dobbiamo togliere importanza alla politica interna. Non si guarisce la peste con i rimedi che si applicano ai raffreddori di testa. Una crisi che lacera il mondo intero deve essere risolta su scala universale. Lordine per tutti, affinch sia diminuito per ciascuno il peso della miseria e della paura, oggi il nostro obbiettivo logico. Questo per richiede unazione e dei sacrifici, ovvero degli uomini. E se ci sono molti uomini oggi, che nel segreto del loro cuore maledicono la violenza e il massacro, non ce ne sono molti disposti a riconoscere che questo li costringe a riconsiderare il loro pensiero o la loro azione. Coloro che vorranno fare, tuttavia, questo sforzo, avranno modo di trovarvi una ragionevole speranza e la regola di una azione. Essi ammetteranno che non hanno un gran che da aspettarsi dagli attuali governi, dato che questi vivono e agiscono secondo dei principi omicidi. La sola speranza sta nello sforzo pi grande, quello che consiste nel riprendere le cose al loro inizio, per fare di nuovo una societ viva allinterno di una societ condannata. quindi necessario che questi uomini, uno a uno, rifacciano fra loro, allinterno delle frontiere e al di sopra di esse, un nuovo contratto sociale che li unisca basandosi su principi pi ragionevoli.
Il movimento per la pace di cui ho parlato dovrebbe poter articolarsi, allinterno delle nazioni, in comunit di lavoro e, oltre i confini, in comunit di riflessione: le prime delle quali, in base ad accordi consensuali sul modo cooperativo, solleverebbero il maggior numero possibile di individui, mentre le seconde tenterebbero di definire i valori su cui pogger questordine internazionale, sostenendone nel contempo la causa in ogni occasione. Pi precisamente, il compito di questultime sarebbe quello di opporre parole chiare alle confusioni del terrore, e spiegare nello stesso tempo i valori indispensabili ad un mondo pacificato. Un codice di giustizia internazionale il cui primo articolo sia labolizione generale della pena di morte, e una messa in chiaro dei principi necessari a qualsiasi civilt del dialogo potrebbero essere i suoi primi obbiettivi. Questo lavoro risponderebbe ai bisogni di unepoca che non trova in alcuna filosofia le giustificazioni necessarie alla sete di amicizia che brucia oggi gli animi occidentali. Ma fin troppo evidente che non si tratterebbe di edificare una nuova ideologia. Si tratterebbe soltanto di cercare uno stile di vita. Sono questi, in ogni caso, dei motivi di riflessione e non posso dilungarmi su questo tema nellambito di questi articoli. Ma, per parlare pi concretamente, diciamo che degli uomini che decidessero di opporre, in qualsiasi circostanza, lesempio al potere, la predicazione alla sopraffazione, il dialogo allinsulto ed il semplice onore allastuzia; che rifiutassero tutti i vantaggi della societ attuale ed accettassero soltanto i doveri e le responsabilit che li legano agli altri uomini; che si impegnassero ad orientare prima di tutto linsegnamento, poi la stampa e lopinione, secondo i principi di comportamento di cui si trattato finora, quegli uomini non agirebbero nel senso dellutopia, evidente, ma secondo il realismo pi onesto. Essi preparerebbero lavvenire e, in questo modo, farebbero cadere fin da oggi alcuni dei muri che ci opprimono. Se il realismo larte di tener conto del presente e del futuro nello stesso tempo, di ottenere il massimo sacrificando il minimo, chi non vede che la loro scelta risponderebbe alla realt pi lampante? Questi uomini si solleveranno, oppure no, non posso sapere. probabile che la maggior parte di essi in questo momento rifletta, e questo bene. Ma certo che lefficacia della loro azione sar strettamente legata al coraggio con cui accetteranno di rinunciare, per il momento, ad alcuni loro sogni per dedicarsi esclusivamente allessenziale, che salvare le vite. E, arrivati a questo punto, bisogner forse, prima di concludere, alzare la voce.
VERSO IL DIALOGO
S, bisognerebbe alzare la voce. Io mi sono guardato bene, fino ad ora, di fare appello alle forze del sentimento. Ci che ci stritola oggi, una logica storica che abbiamo creato di sana pianta e i cui nodi finiranno per strangolarci. E non il sentimento che pu tagliare i nodi di una logica che delira, ma soltanto una ragione che ragioni entro i limiti che essa si riconosce. Ma non vorrei, per concludere, lasciar credere che lavvenire del mondo possa fare a meno delle nostre forze di indignazione e damore. So bene che gli uomini hanno bisogno di grandi motivazioni per intraprendere un cammino e che difficile scuotersi da soli per una lotta i cui obbiettivi sono cos limitati e nella quale la speranza ha una parte appena accettabile. Ma non si tratta di trascinare gli uomini. Al contrario, lessenziale che essi non siano trascinati e sappiano bene quello che fanno. Salvare quello che ancora pu essere salvato, per rendere lavvenire se non altro possibile, ecco la grande motivazione, la passione e il sacrificio richiesti. Questo esige soltanto che ci si rifletta e che si decida chiaramente se il caso di aumentare ulteriormente la sofferenza degli uomini per dei fini sempre incomprensibili, se bisogna accettare che il mondo si riempia di armi e che il fratello uccida di nuovo il fratello, o se bisogna, al contrario, risparmiare per quanto possibile il sangue e il dolore per dare la loro chance ad altre generazioni che sapranno difendersi meglio di noi. Da parte mia, credo di essere abbastanza sicuro di aver scelto. E, avendo scelto, mi sembrato di dover parlare, dire che non sar mai pi fra coloro, chiunque essi siano, che si adeguano allomicidio, e trarre le conseguenze che da questo derivano. La cosa fatta e quindi oggi mi fermer. Prima, per, vorrei che si sentisse bene con quale intento ho parlato finora. Ci viene chiesto di amare o di detestare questo o quel paese e tale o talaltro popolo. Ma siamo pi duno a sentire troppo bene le nostre somiglianze con tutti gli uomini per accettare questa scelta. Il modo adeguato di amare il popolo russo, in riconoscenza di quello che non ha mai cessato di essere, vale a dire il lievito del mondo di cui parlano Tolstoj e Gorki, non di auspicare per esso le avventure della potenza, di risparmiargli, dopo tante prove attraversate, un nuovo e terribile dissanguamento. Lo stesso vale per il popolo americano e per linfelice Europa. il genere di verit elementari che si dimenticano nel furore del momento. S, quello che bisogna combattere oggi sono la paura e il silenzio, e con essi la separazione delle menti e degli animi che producono. Quello che bisogna difendere sono il dialogo e la comunicazione universale degli uomini fra loro. La servit, lingiustizia, la menzogna sono i flagelli che spezzano questa comunicazione e proibiscono questo dialogo. Ecco perch dobbiamo rifiutarli. Ma questi flagelli sono oggi la materia stessa della storia, e quindi molti uomini li considerano come dei mali necessari. altrettanto vero che non possiamo sfuggire alla storia, poich vi siamo immersi fino al collo. Si pu tuttavia rivendicare il diritto di lottare allinterno della storia, per preservare quella parte delluomo che non le appartiene. Ecco tutto quello che ho voluto dire. E in tutti i casi definir ancora meglio questo atteggiamento e lo spirito di questi articoli tramite un ragionamento sul quale vorrei, prima di concludere, che si meditasse lealmente. Una grande esperienza mette oggi in movimento tutte le nazioni del mondo, secondo le leggi della potenza e del dominio. Non dir che bisogna ostacolare, n lasciar proseguire questa esperienza. Essa non ha bisogno che laiutiamo e, per il momento, se ne infischia che la contrastiamo. Lesperienza quindi continuer. Porr semplicemente questa domanda: Che cosa accadr se lesperienza fallisce, se la logica della storia si smentisce, nonostante molti animi vi facciano affidamento?. Cosa succeder se, malgrado due o tre guerre, malgrado il sacrificio di numerose generazioni e di alcuni valori, i nostri nipoti, supponendo che ci siano, non si troveranno pi vicini alla societ universale? Succeder che i superstiti di questa esperienza non avranno nemmeno pi la forza di essere i testimoni della loro stessa agonia. Poich dunque lesperienza continua, ed inevitabile che continui ancora, non male che degli uomini si prendano il compito di preservare, lungo il corso della storia apocalittica che ci attende, lumile capacit di riflettere che, senza pretendere di risolvere tutto, sar sempre pronta in qualunque momento, per indicare un senso alla vita di tutti i giorni. Lessenziale che questi uomini pesino bene, e una volta per tutte, il prezzo che dovranno pagare. Ora posso concludere. Tutto quello che mi sembra auspicabile, in questo momento, che in mezzo al mondo dellomicidio ci si decida a riflettere sullomicidio e a scegliere. Se questo potesse accadere, ci divideremmo allora fra coloro che accettano, a rigore, di essere degli assassini, e coloro che vi si rifiutano con tutte le loro forze. Poich questa terribile divisione esiste, sar quantomeno un progresso renderla chiara. Attraverso cinque continenti, e negli anni a venire, uninterminabile lotta continuer fra la violenza e la predicazione. Ed vero che le possibilit della prima sono mille volte pi grandi rispetto a quelle dellultima. Tuttavia io ho sempre pensato che se luomo che sperava nella condizione umana era un folle, colui che disperava degli eventi era un vile. E a questo punto, lunico onore sar di accettare ostinatamente questa formidabile scommessa che decider, infine, se le parole sono pi forti delle pallottole.
Segue la pubblicazione della traduzione di un'intervista rilasciata a Russell Wilkinson dalla figlia Catherine Camus e dall'editore Robert Gallimard)
Russell Wilkinson: Tra isolamento intellettuale e nuova percezione dell'opera di Camus Intervista a Catherine Camus e Robert Gallimard
L'importanza de Il primo uomo nellambito di una valutazione di Albert Camus come scrittore e filosofo politico nel tempo attuale
PRESENTAZIONE
Il 29 luglio del 2000, presso la Cit du Livre di Aix-en-Provence ha avuto luogo la cerimonia ufficiale del passaggio del Fond Camus alla Biblioteca di quella citt che, per loccasione, aveva allestito una vasta esposizione di volumi, foto, registrazioni, video, manoscritti etc., creando un evento adeguato alla portata dellautore, e uno spazio per accogliere e conservare tutto quel materiale. Trovandomi in quella citt per ragioni di studio ed essendo gi sua appassionata lettrice ed estimatrice, non ho voluto perdere una cos insperata occasione per dare spazio alla mia viva curiosit sullautore e sulluomo Camus, trovando ampia conferma dellintima e perfetta connessione che avevo intuito, fra lartista e la sua opera. Quello che non sapevo e che mai avrei potuto immaginare, e che in quelloccasione apparve fin troppo evidente, fu la discrepanza fra il consenso e lamorevole sostegno che lo avevano aiutato a crescere in Algeria, pur nella pi assoluta povert, e lisolamento, i ripetuti vili attacchi che dovette subire in Francia, dai compagni di lotta e di partito, proprio mentre e dove stava dando il meglio di s. Volendo dire qualcosa che illustri e faccia intendere la portata, lautorevolezza, lumanit e il grande senso di responsabilit che hanno mosso questuomo, unitamente allimpensabile solitudine in cui, per il suo straordinario acume, lanticipo sui tempi e lirrinunciabile rigore si trovato a vivere, mi parso naturale e pertinente riportare questa testimonianza della figlia che, a mio avviso, dice assai pi di quanto qualsiasi storico o studioso potrebbe mai dire. Di pi, poi che in quelloccasione ebbi modo di incontrarla, e volendo testimoniarle quello che ritenevo un debito omaggio e riconoscimento per il gesto che stava compiendo, fui enormemente sorpresa nel trovare in lei, unitamente a tanta devozione e alla totale dedizione allopera del padre (non per scelta, come mi disse, ma per obbligo di eredit), la stessa semplicit, lessenzialit, lo stesso senso di responsabilit, di rigore e rispetto per lumanit, che avevo trovato e trovo nellopera del padre. Qualit rare, cui pu far bene attingere, di tanto in tanto.
Russell Wilkinson: Nella sua nota delleditore per Il primo uomo, lei sembra indicare che ci troviamo oggi in un'epoca pi ricettiva rispetto al lavoro di Camus. Pensa che Camus sia stato trascurato negli ultimi anni?
Catherine Camus: Non mai stato abbandonato dai suoi lettori. Camus enormemente letto. l'autore che vende di pi in tutta la collezione Gallimard ed stato cos per tanti anni. Le vendite non sono mai calate, quindi parlare di riscoperta suggerirebbe lidea che non sia pi stato letto, e questo non vero. Si tratta solo del fatto che, nel mentre stavamo pubblicando Il primo uomo, mi dicevo: Sar orribile, ma orribile sul piano della critica. Non avevo paura del suo pubblico. Avevo paura di ci che sarebbe stato scritto sui giornali. Ci sono comunque dei segnali che dicono che gli intellettuali tornano di nuovo a Camus, oggi. La storia ha dato loro ragione, con la caduta del comunismo. In realt, stato sempre a causa del problema comunista che ci fu opposizione contro Camus. stato sempre e soprattutto qualcosa di politico, una sorta di malinteso. Camus aveva denunciato i gulag e i processi di Stalin. Oggi possiamo dire che aveva ragione. Ma allepoca, dire che cerano campi di concentramento in Unione Sovietica era blasfemo, davvero molto grave. Oggi, quando pensiamo all'URSS, teniamo conto dei campi, ma prima non era permesso, molto semplicemente. Nessuno aveva il diritto di dirlo o di pensarlo, se era di sinistra. Camus ha sempre insistito sul fatto che i criteri storici e largomentazione storica non erano le uniche cose da tenere in considerazione, che non erano onniscienti, e che la storia poteva sempre sbagliarsi in rapporto all'uomo. cos che cominciamo a pensare oggi.
RW: Lei pensa quindi che all'opera di Camus si stia rendendo giustizia, dopo questo periodo di isolamento intellettuale?
Robert Gallimard: Tutto dipende dal momento storico. Subito dopo la guerra, con la liberazione nel 1945, Camus era molto conosciuto e molto amato da Sartre e da tutti gli intellettuali di quella generazione. C' un'intervista rilasciata da Sartre negli Stati Uniti dove gli si chiede qual il futuro della letteratura francese, e lui risponde che il prossimo grande autore per il futuro Camus. E poi il tempo passa, e unargomentazione molto pi politica che letteraria prevale, e dal giorno in cui Camus ha scritto LUomo in Rivolta, nel 1955, c la rottura, e tutti o quasi tutti gli intellettuali di sinistra gli diventano ostili. E poich era gi malvisto dalla destra, rimase completamente solo. E poi, durante gli anni '80, quelli che chiameremmo i giovani filosofi di Francia, come Bernard e Gluxman hanno fatto notare che Camus aveva detto cose che nessuno voleva sentire nell'arena politica. Hanno detto che era Camus che era nel giusto, e non quelli che sono caduti sotto l'influenza di Sartre, la qual cosa comportava una resa incondizionata al comunismo come abbiamo visto in Unione Sovietica. E da quel momento in poi, le opinioni su Camus hanno continuato a modificarsi, fino ad ora. Gli intellettuali della sua et che non lo avevano amato prima, ora lo apprezzano. Ritorniamo quindi alla letteratura, e constatiamo che sempre stato un grande autore.
RW: Il che ci porta specificamente alla pubblicazione de Il primo uomo. Come pensa che questo libro possa cambiare la nostra percezione del lavoro di Camus?
CC: Bisogna sottolineare che egli ha scritto soltanto un terzo di quello che avrebbe voluto scrivere. Il primo uomo il suo ultimo lavoro, postumo. Ma in realt, in un certo senso, il suo primo, perch vi si trovano le linee del suo impegno e anche del suo modo di scrivere nel suo complesso. Quella combinazione di austerit e di sensibilit, la volont di parlare per coloro che non possono farlo da s.
RW: Ci sono delle volte in cui, nelle sue lettere a Louis Germain [il docente di filosofia di Camus in Algeria, pubblicate in appendice] sembra insoddisfatto del suo lavoro su Il primo uomo. Dopo aver ricevuto il premio Nobel, si sentiva sotto pressione per produrre la sua opera definitiva?
CC: Non scriveva sotto l'influenza del Premio Nobel. Era una cosa superficiale per l'artista che era in lui. Il Premio Nobel viene da fuori, una sorta di riconoscimento sociale. E penso che un vero artista sia spinto da esigenze interne. Non possiamo parlare del libro che voleva scrivere perch abbiamo soltanto l'inizio. Non ne aveva scritto un gran che, ma aveva bisogno di scriverlo. Mi sembra che quando si guarda allo stile de Il primo uomo, assomigli molto di pi a quello chegli era come uomo. Gli assomiglia enormemente.
RW: Arriveremo a farci un'idea pi chiara delle sue idee filosofiche con la lettura di questopera?
CC: Forse no, perch ad uno stadio piuttosto grezzo. Ma in questo modo, in queste condizioni, si vede di pi, senza alcun artificio dellarte, senza cancellature. Esso forse, nello stesso tempo, pi vero. Penso che volesse scrivere qualcosa per spiegare chi era e in quale modo si distingueva dallepoca che gli era stata assegnata. stato spesso visto come un moralista severo, ma sul campo da calcio e a teatro che ha imparato la sua moralit. qualcosa di sensuale, non passa solo attraverso il pensiero. Non possibile. Egli ha iniziato a pensare con la sensazione. Non avrebbe mai potuto pensare con oggetti o modelli culturali, perch non ce nerano. Quindi vero che la sua moralit era estremamente vissuta, fatta di cose molto concrete. Questo non passa mai attraverso astrazioni. la sua esperienza, il suo modo di parlare. Ci sono coloro che sono attratti dalle sue idee di assurdit e altri che sono attratti dal lato solare del suo lavoro sullAlgeria, il caldo, ecc.
RW: Dato che Il primo uomo parla della nascita di Camus e della sua infanzia in Algeria, sembra strano che i suoi rapporti profondi e personali con la crisi nazionalista algerina vengano ignorati nel ritratto tradizionale di lui come scrittore francese. Pensa che Il primo uomo possa farci rivalutare l'importanza dellAlgeria nelle nostre considerazioni su Camus?
CC: Spero di s. Camus nato in Algeria, di nazionalit francese ed era assimilato nella comunit francese, anche se i coloni francesi lavevano assolutamente respinto a causa della sua povert. Politicamente, stato a favore di una federazione e, infatti, considerava che, come in Sud Africa oggi (o come tentano di fare), ci dovesse essere una popolazione mista con pari diritti, gli stessi diritti per gli arabi e i francesi, e poi anche per tutti gli altri popoli che vivevano l.
RW: Pensa che egli si considerasse come il primo membro di una razza di sradicati, a motivo della assenza del padre e della dualit culturale della sua formazione?
CC: No, non a livello politico. Egli Il primo uomo perch povero, il che non mai stato cos rilevante per gli esseri umani. Conosceva bene l'Algeria. E stato esiliato dal suo paese, ma ha sempre vissuto nella sua lingua. Solitario e solidale. Non come per coloro che sono in esilio in un paese in cui la lingua non la loro. Aveva poca speranza che potesse funzionare, ma voleva che funzionasse. LAlgeria aveva prodotto tanta violenza, e quando una tale violenza si verifica non c' pi spazio per la riflessione. E non vi alcuna posizione di mediazione. Se guardiamo oggi la situazione in Bosnia, i Croati, i Bosniaci e i Serbi hanno creato cos tanto orrore che ci si chiede come queste persone possano vivere insieme dopo tutto quello che hanno fatto. La violenza ha gi raggiunto un punto tale che tutti vivono nellodio, non vi alcuna possibilit di riflessione, n di conciliare le rispettive posizioni. Non c' nessuno che pu dire Questa gente ha torto su questo, e ragione su quello. Questo potrebbe dare la possibilit a delle popolazioni, o anche a due esseri umani, di vivere insieme. Possiamo risolvere i problemi soltanto con l'accettazione e l'arricchimento attraverso le nostre differenze.
RW: Allora, Camus ha cercato di vivere il paradosso di essere allo stesso tempo solitario e solidale?
CC: Credo che Camus si sentisse molto solo. Si pu vedere questo in tutti i suoi libri. Lo straniero non Camus, ma ne Lo straniero vi sono elementi di Camus. C' questa sensazione di esilio. E non n da Parigi n da altra parte che egli in esilio, ma dal mondo intellettuale, a causa delle sue origini. E questo un esilio completo. Proprio a causa del suo modo di sentire prima di pensare. Si trova in un contesto dal quale vorrebbe spesso sfuggire. In ogni caso, dobbiamo imparare che cos il sangue. Tutto questo deve essere razionalizzato. Su questo punto egli si sente esiliato, solo...
RG: E tuttavia, qualcosa che evidente che Camus non avrebbe mai potuto essere un uomo neutrale. Era impegnato veramente e fisicamente nella Resistenza. In quel caso si impegnato nella lotta contro il nazismo. E ha sempre avuto un profondo impegno, una vera resistenza contro tutti i totalitarismi. Spesso dimentichiamo che Camus era molto feroce contro il regime di Franco, e fino alla fine. Ha rifiutato di andare in Spagna, ha lasciato l'UNESCO perch lUNESCO aveva accettato la Spagna di Franco e gli aveva permesso un discorso. Camus stato assolutamente intransigente, questo non affatto una neutralit... la lotta, un uomo che si impegnato. Certo, non era esistenzialista, ma era impegnato, un combattente. Non per niente dirigeva il giornale della Resistenza intitolato Combat.
RW: E come possiamo spiegare la differenza tra il suo impegno e quello degli esistenzialisti?
CC & RG insieme: Non stato un esistenzialista! RG: Ha sempre rifiutato di esserlo.
RW: Un altro esempio di essere solo e solidale, essere un amico di Sartre, ma mantenendo la sua distanza dal credo esistenzialista?
CC: S. Oggi cominciamo a vedere come vanno queste cose. Ma di solito solo quando le cose ti colpiscono in pieno che cominci a capirle. Ognuno ha molte speranze per unumanit migliore e molti, tra cui Sartre, si sono indirizzati verso il comunismo nella sua fase iniziale. La generosit aveva un posto nella speranza degli uomini. Ma Camus aveva notato che abbiamo molto da attraversare. Bisogna che tutto sia accettato prima di essere migliorato. Quando hanno chiesto a Sartre se voleva vivere sotto un regime comunista oppure no, ha detto, No -. per gli altri buono, ma non per me, no. L'ha detto! Quindi difficile dire fino a che punto il suo atteggiamento sia intellettuale. Come si pu pensare che mai nella propria vita si vorrebbe vivere sotto un regime comunista e, allo stesso tempo, dire che un bene per tutti? Una cosa alquanto difficile, ma Sartre vi arrivato. Camus no, ed con questo che dobbiamo confrontarci oggi, voglio dire con ci che lideologia pura, che non tiene conto del contesto umano. In materia di economia, la stessa cosa. L'economia voleva basarsi sulla teoria senza considerare i criteri umani, o il parametro uomo. Si finisce per sbattere la testa contro il muro, non pu funzionare. Non se ignoriamo l'uomo. Questo il motivo per cui Camus pi moderno adesso, perch dice sempre s, ma c luomo. la prima cosa, perch io sono luomo. Ed questo, la solidariet.
RW: Il primo uomo quindi il suo ponte fra l'esperienza e la filosofia?
CC: Quello che propongono gli articoli che sono gi stati scritti su Il primo uomo l'umilt. L'accettazione di queste contraddizioni. Cercare una spiegazione la morte. La menzogna la morte per Camus. per questo motivo che nel dramma Il malinteso, il figlio muore, ucciso dalla sorella e dalla madre, perch aveva mentito. Non ha mai detto loro chi era. Esse lo uccidono perch non lo riconoscono. Ma Camus dice anche che niente vero, di ci che impone lesclusione. Quindi dobbiamo accettare delle contraddizioni, se non vogliamo respingere alcune cose riguardo alla vita, alcune evidenze. Se creiamo un sistema, e poi diciamo: Qui c la verit, qui, in questo genere di percorso, si abbandoneranno tutti gli altri percorsi, e si uccider la vita. Questo dipende dal singolo individuo. Non era esattamente il sistema, che Camus aveva attaccato. Egli diceva: Se funziona, tanto meglio. Il suo scopo era quello di aiutare le persone a vivere. Questa la cosa importante. Penso che la cosa pi importante per un artista sia di provare tutti i canali possibili.
RW Essendo dedicato a sua madre, pensa che Il primo uomo dia unimmagine pi chiara delle sue idee sulla femminilit?
CC: vero che le donne appaiono pochissimo negli altri suoi lavori. Hanno un posto molto marginale. Ma la femminilit, s, in effetti pi presente ne Il primo uomo, non soltanto relativamente alle donne ma stilisticamente, nella sua interezza, nelle annotazioni che ha scritto. Vi si pu vedere una vera storia d'amore, una storia d'amore d'infanzia, la prima di Camus. Meursault [il protagonista de Lo straniero] e Maria non hanno realmente mai vissuto un gran che. C Dora ne I giusti e poche altre nelle sue opere di teatro, ma non sono molto conosciute. Penso che per Camus sua madre fosse pi di una madre. l'amore, l'amore assoluto. per questo che Il primo uomo scritto per lei, dedicato, A te che non potrai mai leggere questo libro. E l'amore molto importante ne Il primo uomo, perch egli ama quelle cose che non ha mai scelto, ama le sue esperienze infantili in un modo molto reale. La loro povert voleva dire che non c'era nientaltro a cui pensare se non cosa mangiare, come vestirsi. Non c davvero spazio per altro, nella sua famiglia. difficile per gli altri mettersi al suo posto. Non vi esistenza immaginaria nelle loro vite. Gli intellettuali francesi sono per la maggior parte dei piccoli borghesi, ma difficile dire se questo conferisca pi valore allopera di Camus. Direi piuttosto che egli diverso. Necessariamente. Le sue posizioni si fanno sentire. Cos, naturalmente, gli intellettuali che non hanno avuto questa esperienza, hanno difficolt a comprenderla. Ma penso che questo lo abbia reso pi tollerante, perch aveva gi visto entrambi i lati delle cose, mentre gli altri ne avevano visto uno solo. Essi immaginano la povert, ma non la conoscono. Hanno anche una sorta di cattiva coscienza nei confronti della classe operaia. la prospettiva che essi non avrebbero mai potuto adottare, non come Sartre avrebbe voluto, perch non la conoscevano. Non hanno mai saputo come rivolgersi a loro. Non capiscono cosa vuol dire, e questo conferisce loro una cattiva coscienza. Camus era pi vicino ai poveri.
RW: Questa vicinanza viene forse dalla sua umilt, come possiamo vedere nelle lettere al signor Germain, il suo vecchio insegnante, pubblicate alla fine deIl primo uomo?
CC: per il fatto che il suo insegnante, ne Il primo uomo ha un posto fondamentale. Camus ce lo mostra esattamente come era. Il primo uomo completamente autobiografico. La madre che descrive la donna che ho conosciuto, ed era esattamente come lui la descrive. E quellinsegnante realmente esistito. Ma questo mostra anche che gli uomini attribuiscono molta importanza alla celebrit, e Camus ha scritto il suo discorso di accettazione del premio Nobel come ringraziamento per il suo insegnante. Il riconoscimento, l'apprezzamento esistono. Lo ha fatto per mostrare che quello era il risultato di tutto ci che il suo maestro aveva fatto per lui. E, pi ancora, che ci sono dei Signor Germain ovunque nel mondo. Questo il motivo per cui ho pubblicato le lettere, per assegnargli un posto nellopera... Ma non potrei mai pensare o agire per conto di quello che mio padre avrebbe detto o fatto. Era un artista, egli si considerava un artista, e per questo si preso la responsabilit di parlare per coloro che non hanno n i mezzi n l'opportunit per farlo.