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Murray Bookchin

Per una societ ecologica


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http://greennotgreed.noblogs.org/
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Indice
I Ecologia e societ
II Gerarchie, classi, stati
III Punti cruciali della storia
IV Ideali di libert
V Il progetto rivoluzionario
VI Ricostruire la societ
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Questo libro non sarebbe stato scritto senza i suggerimenti,
lincoraggiamento e laiuto di diversi amici carissimi. In particolare
sono grato a Dimitri Roussopoulos di Black Rose Books ed a
Rossella Di Leo e Amedeo Bertolo di Eluthera, i quali non solo mi
hanno spinto a scrivere Per una societ ecologica ma ne hanno
seguito attentamente la stesura. Non potr mai ringraziarli
abbastanza per la loro assistenza. Gli altri che mhanno in varia
misura aiutato sono troppo numerosi per menzionarli.
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PERCH HO SCRITTO QUESTO LIBRO
Da molto tempo pensavo di scrivere un libro che brevemente e
chiaramente riassumesse il mio pensiero sullecologia sociale. Mi
sembrava (e sembrava a diversi miei amici) che potesse essere
utile condensare in un paio di centinaia di pagine - pagine non
troppo difficili per il lettore medio - quelle idee che avevo
sviluppato in diversi libri ponderosi.
Questo , per lappunto, quel libro. Esso non , beninteso, un
surrogato dei miei libri precedenti, in particolare de Lecologia
della libert, ma una sorta di rassegna dei principali temi che ho
affrontato ed unintroduzione generale alle mie idee di fondo.
Inoltre ho profittato delloccasione per aggiungere qualche idea
nuova.
Le idee fondamentali che ho sviluppato in quasi tutti i miei
scritti sono riconducibili al concetto che la maggior parte dei nostri
problemi ecologici ha le sue radici in problemi sociali e che
lattuale disarmonia tra umanit e natura pu essere ricondotta
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essenzialmente ai conflitti sociali. Non credo che si possa giungere
ad un equilibrio tra umanit e natura se non si trova un nuovo
equilibrio - basato sulla libert dal dominio e dalla gerarchia - in
seno alla societ. Per lappunto, ho chiamato ecologica questa
nuova societ ipotizzata ed ho definito il mio pensiero come
ecologia sociale. Lecologia sociale non n ecologia umana n
ecologia profonda, termini e concezioni che tendono a deviare la
nostra attenzione dagli aspetti sociali dellattuale crisi ecologica. E
necessario affrontare onestamente il fatto che, se non
trasformiamo la societ in senso libertario, gli atteggiamenti e le
istituzioni che ci spingono folle- mente verso il disastro ecologico
continueranno ad operare, nonostante tutti gli sforzi che si
possono dedicare a riformare il sistema sociale dominante.
Quel che ritengo della massima importanza di mostrare che
lecologia sociale un corpus teorico coerente, che cerca non solo
di spiegare il perch dellattuale sfascio ecologico ma anche di
trovare un terreno comune, una base unificante per le tematiche
ambientaliste, femministe, classiste, urbane e rurali. Fu dal
nascente dominio di esseri umani su altri esseri umani, cominciato
tanto tempo fa - prima ancora che emergessero le classi
economiche e lo Stato - che si svilupp lidea del dominio sulla
natura (in realt non ci possibile dominare la natura pi di
quanto ci si possa sollevare tirandosi per le stringhe). Quello che
si andava affermando nellambito sociale era invece dominio reale:
dominio dei vecchi sui giovani nelle gerontocrazie, degli uomini
sulle donne nel patriarcato, di un gruppo etnico su un altro gruppo
etnico nelle gerarchie razziali, della citt sulla campagna nelle
civilt urbane... Tutte queste forme di dominio hanno unorigine e
una natura comune: sono sistemi di comando-obbedienza basati
su istituzioni gerarchiche.
Le implicazioni ecologiche di questi sistemi sono pi rilevanti
ancora delle loro determinazioni economiche, in quanto
comportano la distruzione di valori ecologici quali la
complementarit, il mutuo appoggio, il senso del limite, un
profondo sentimento comunitario ed una concezione organica
fondata sullunit nella diversit. Questi valori e le istituzioni in cui
si sono incarnati sono ora sostituiti dalla competizione,
dallegoismo, dalla crescita illimitata, dallanomia e da una
razionalit puramente strumentale, vale a dire dalla convinzione
che la ragione non altro che uno strumento, una destrezza
nelladeguare i mezzi ai fini e non un carattere inerente ad una
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realt ordinata e comprensibile. Questo vasto insieme di categorie
moderne, che gioca un ruolo alienante sia nelle nostre
interrelazioni umane sia nel nostro rapporto collettivo con la
natura, trova la sua espressione pi nefasta nel capitalismo - sia
il capitalismo privato allOvest sia il capitalismo burocratico allEst
- cio in un sistema di crescere-o-morire (vale a dire di
accumulazione senza fine di capitale come funzione di
sopravvivenza in un mercato concorrenziale), che minaccia di
distruggere tutta la biosfera a meno che non venga sostituito da
un nuovo assetto sociale radicalmente diverso.
Una tale trasformazione sociale non implica semplicemente
listituzione di nuove relazioni economiche relative al possesso o al
controllo della propriet. Essa comporta lacquisizione duna nuova
sensibilit antiautoritaria, lo sviluppo di nuove tecnologie che
armonizzino il nostro rapporto con la natura, di nuove comunit
urbane che vivano in equilibrio con la campagna, di nuovi rapporti
sociali basati sullassistenza e sulla responsabilit reciproca, di
nuove forme di sviluppo qualitativo sostitutive duna crescita
quantitativa fine a se stessa. Come queste idee siano tra loro
interconnesse e siano alla base di recenti movimenti sociali come
quello ecologico, quello femminista e quello comunitario, e come
esse consentano anche un nuovo approccio a movimenti
tradizionali legati a problemi come la miseria, lo sfruttamento
economico, il dominio di classe, il razzismo e limperialismo... tutta
questa tematica attraversa il presente libro, sviluppata in una
prospettiva ecologica.
Se il movimento ecologico, alla cui nascita negli Stati Uniti ho
contribuito una trentina danni fa, si ritraesse dallarena sociale,
alla ricerca di una vita privata sana,
o se ingenuamente si volgesse ad una pura pratica elettorale,
alla ricerca di influenza e potere, la perdita per tutti noi sarebbe
irreparabile. Ho visto i cosiddetti verdi europei fare continui
compromessi con il sistema sociale dominante, allo scopo di
acquisire potere...con lunico risultato dessere
progressivamente assorbiti da quello stesso potere che cercavano
di trasformare. Il pensiero ecologico pu oggi fornire la pi
rilevante sintesi didee che si sia vista dopo lilluminismo. Pu
aprire prospettive per una pratica che possa veramente cambiare
lintero paesaggio sociale dei nostri tempi. Lo stile militante che
i lettori troveranno in questo libro nasce da un preoccupato senso
durgenza. E urgente e di vitale importanza non lasciare che un
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modo ecologico di pensiero ed il movimento che ne pu derivare
finisca con il degenerare in nuove forme di politica statai-nazionale
ed in tornei partitici, da un lato, e/o in variopinte mode mistiche e
spiritualistiche portatrici di quietismo e passivit sociale, dallaltro.
C una via, che non n quella della politica convenzionale -
cio la politica statuale - n quella del quietismo mistico: la
politica diretta, la politica di base, fondata sulla mobilitazione
comunitaria e sul federalismo municipale, un federalismo che pu
mettere in crisi la centralizzazione statalistica e la concentrazione
capitalistica che segnano in modo nefasto la nostra epoca. E di
questo mi occupo nella parte finale del libro.
La verit non mai stata semplice, unidimensionale. Spesso
un sottile filo rosso, per cos dire, che attraversa un labirinto di
errori in cui facilmente cadiamo se qi manca una visione chiara e
coerente della realt. E questo sottile filo rosso che ho cercato di
seguire. Ed questo filo che il lettore o la lettrice deve cercare e
seguire fino alla fine, con la sua propria capacit di guardare oltre
il presente stato delle cose. Per il resto il libro parla da s.
Giugno 1989
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ECOLOGIA E SOCIET
Molti hanno oggi il problema di definire se stessi, di sapere
chi sono, e di ci si nutre una vasta industria psicoterapeutica.
Ma questo non soltanto un problema individuale, anche un
problema sociale, della societ nel suo complesso. Socialmente,
viviamo nella disperata incertezza delle relazioni che debbono
intercorrere tra le persne. Lalienazione e la confusione circa la
nostra identit e il nostro destino non ci concernono solo in quanto
individui: tutta la nostra societ, intesa come un unico essere,
stenta
-
a riconoscere la propria natura e il proprio orientamento. Le
societ di un tempo tendevano a promuovere la fiducia nelle virt
della cooperazione e dellamore, dando cos un senso etico alla
vita associata; la societ moderna promuove invece la fiducia nelle
virt della
competizione e dellegotismo, e cos facendo priva il consesso
umano di qualsiasi senso (se non, forse, quello di essere uno
strumento di accumulo e consumo insensati).
Gli uomini e le donne del passato erano guidati da convinzioni e
speranze certe, da valori che li definivano in quanto esseri umani e
davano cos significato alla vita associata. Usiamo parlare del
Medio Evo come di unet di fede, e dellIlluminismo come di
unepoca di ragione. Anche il periodo precedente alla seconda
guerra mondiale e gli anni subito successivi ci appaiono come
unaffascinante epoca di innocenza e speranza, nonostante la
Grande Depressione e i terribili conflitti che lhanno macchiata. In
un recente (e piuttosto sofisticato) film di spionaggio c un
vecchio che dice di sentire la mancanza della chiarezza della
seconda guerra mondiale, alludendo evidentemente alla presenza
di uno scopo, unidea, che guidava i comportamenti.
Oggi, questa chiarezza non c pi. Il suo posto stato preso
dallambiguit. La certezza che la tecnologia e la scienza
avrebbero migliorato la condizione umana stata vanificata dalla
proliferazione degli armamenti^ nucleari, dalla fame diffusa in
tutto il Terzo Mondo, e dalla povert nel mondo industrialmente
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avanzato. La fiducia che la libert avrebbe trionfato sulla tirannia
stata smentita dalla crescente centralizzazione in tutti gli Stati e
dallesautoramento del popolo ad opera delle" burocrazie, delle
frze di polizia, di sofisticate tecniche di controllo; e ci nelle
nostre democrazie non meno che nei paesi apertamente
autoritari. La speranza di costruire un unico mondo, una vasta
comunit di gruppi etnici diversi che collaborano per migliorare la
vita in ogni luogo, stata distrutta dal montare di una marea di
nazionalismo, razzismo, miope individualismo e indifferenza per le
disgrazie che affliggono milioni di altri.
I nostri valori ci appaiono meno validi di quelli delle popolazioni di
appena due o tre generazioni fa. La generazione attuale sembra
essere pi egocentrica, chiusa nel privato, mediocre, rispetto alle
generazioni del passato. Manca il supporto offerto dalla famiglia
estesa, dalla comunit, dal mutuo appoggio. A quanto pare il
rincontro dellindividuo con la societ avviene pi attravrso
fredde agenzie burocratiche che non attraverso persone attente e
sensibili.
Questa mancanza di identit e di senso sociale laspetto
saliente dei problemi che ci stanno di fronte. La guerra una
condizione cronica della nostra epoca. Lincertezza economica
una presenza costante. La solidariet umana, un mito sfuggente.
E, non ultimo dei nostri problemi, ci sta davanti lapocalisse
ecologica, la distruzione catastrofica del sislema che garantisce la
stabilit del pianeta. Viviamo sotto la minaccia costante che il
mondo vivente possa irrevocabilmente essere compromesso da
una societ impazzita nel suo sviluppo, una societ che sostituisce
sempre pi lorganico con linorganico, il suolo con il cemento, le
foreste con i deserto, la ricca diversit delle forme di vita con
ecosistemi semplificati, in breve una societ che sta mettendo
indietro lorologio dellevoluzione, riportandola ad un mondo
passato, pi inorganico, minerale, incapace di offrire
sostentamento a forme di vita complesse, esseri umani inclusi.
Questa ambiguit del nostro destino, del nostro significato, del
nostro scopo, genera cos una domanda angosciante: forse una
maledizione, la societ, un cancro per tutte le forme di vita? Non
c rimedio a questo nuovo fenomeno chiamato civilt che pare
sul punto di distruggere il mondo naturale prodotto in milioni di
anni di evoluzione organica?
In effetti, esiste oggi tutta una letteratura, che attira
lattenzione di milioni di lettori, centrata su questo pessimismo nei
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confronti della civilt in s e per s. Tale letteratura presenta la
tecnologia come contrapposta ad una presunta natura organica
vergine, la citt come contrapposta alla campagna, e la
campagna contrapposta alla natura selvaggia, la scienza
contrapposta al rispetto per la vita, la ragione contrapposta
allinnocenza dellintuizione, insomma lumanit contrapposta a
tutta la biosfera.
Stiamo perdendo la fiducia nelle nostre caratteristiche
tipicamente umane, nella nostra attitudine al pensiero concettuale
e sistematico, nella nostra capacit di vivere in pace con gli altri,
di prenderci cura dei nostri
compagni e delle altre forme di vita. Questo pessimismo
alimentato, un giorno dopo laltro, da sociologi che attribuiscono i
nostri difetti ai cromosomi, da antiumanisti che deplorano la
nostra sensibilit antinaturale, e da biocentristi che
disprezzano le nostre qualit razionali pretendendoci non diversi
nella nostra unicit dalle formiche. In breve, assistiamo ad un
attacco diffuso contro la ragione, la scienza, la tecnologia, contro
la loro capacit di migliorare il mondo, per noi stessi e per la vita
in generale.
Storicamente, questa concezione che vede la civilt come
inevitabilmente contrapposta alla natura, come una corruzione
della natura umana, risale ai tempi di Rousseau e ci viene
ripresentata oggi, quando pi che mai necessaria una civilt
umana ed ecologica, se vogliamo davvero salvare il pianeta e noi
stessi. La civilt, con il suo maschilismo razionalista e tecnicista
vista sempre pi come una nuova peste. Anzi, la societ in se
stessa viene messa in discussione, al punto di considerare come
pericolosamente innaturale il ruolo che essa svolge nella
formazione dellumanit, ed intrinsecamente distruttivo. Lumanit
viene diffamata dagli stessi esseri umani e, paradossalmente,
accusata di' essere una forma di vita perversa, che non fa che
distruggere le altre forme di vita e minacciare lintegrit del loro
complesso. Cosicch, oltre alla confusione per lincertezza della
nostra epoca e della nostra identit, abbiamo anche la confusione
circa la condizione umana, vista come un elemento di caos frutto
delle nostre tendenze assassine e della nostra abilit ad esercitarle
con terribile efficienza, essendo dotati di ragione, scienza,
tecnologia.
Bisogna riconoscere che sola pochi antiumanisti, biocentristi e
misantropi che si dedicano ad indagare sulla condizione umana
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sono pronti a seguire la logica delle loro premesse fino a certe
assurdit. E di vitale importanza, per queste misture di sensazioni
e idee precise, che le varie forme, istituzioni, relazioni che
costituiscono ci che chiamiamo societ siano in larga misura
ignorate. Proprio come vengono usati termini tipo umanit o
vocaboli zoologici come homo sapiens, che celano le grandi
differenze, e spesso gli aspri conflitti, che esistono tra i bianchi
privilegiati e la gente di colore, tra gli oppressori e gli oppressi,
allo stesso modo parole vaghe come societ o civilt
nascondono lesistenza di grandi differenze tra le societ libere,
non gerarchiche, senza classi e senza Stato, e quelle pi o meno
gerarchiche, classiste, statalizzate e autoritarie. La zoologia
rimpiazza unecologia ad orientamento sociale e le cosiddette
leggi naturali, basate sulle oscillazioni di popolazione tra gli
animali, rimpiazzano i conflitti di interesse economici e sociali.
La semplicistica contrapposizione tra societ e natura, tra
umanit e biosfera, tra ragione, tecnologia, scienza e
le forme di relazione umana col mondo naturale meno sviluppate o
addirittura primitive, ci impedisce di prendere in considerazione le
complesse differenze e divisioni che sono presenti in seno alla
societ, il che invece indispensabile per definire i nostri problemi
e la loro soluzione. Lantico Egitto, ad esempio, aveva verso la
natura un atteggiamento significativamente diverso da quello
babilonese. Gli egiziani nutrivano reverenza nei confronti di un
gruppo di divinit della natura essenzialmente animistiche, molte
delle quali erano anche fisicamente in parte umane e in parte
animali, mentre i babilonesi avevano un pantheon di dei di tipo
politico, molto umani.
Eppure lEgitto non stato meno gerarchico di Babilonia nel
trattare la popolazione, e forsanche pi oppressivo di questa nei
confronti degli individui in quanto tali. Certe societ di cacciatori, a
dispetto delle loro profonde concezioni animistiche, hanno
distrutto la flora e la fauna naturale tanto quanto le culture urbane
che fanno esclusivo riferimento alla ragione. Il termine societ
non fa che inghiottire tutte queste differenze, insieme alla gran
variet di modelli sociali, e questo equivale a far violenza al
pensiero e anche allintelligen- za pura e semplice.
Accade cos che la societ in s diventi qualcosa di innaturale.
La ragione, la tecnologia, la scienza, diventano elementi
distruttivi, senza che vengano tenuti in alcun conto i fattori
sociali che ne condizionano luso. Qualunque tentativo di
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modificare lambiente visto come una minaccia, come se la
nostra spcie potesse fare ben poco, o niente del tutto, per
migliorare la vita del pianeta in senso generale.
Non siamo meno animali degli altri mammiferi, vero, eppure
siamo qualcosa di pi ch mandrie di erbivori brucanti sulle
praterie africane, ed questo qualcosa di pi (vale a dire, il tipo di
societ che costituiamo ed il modo in cui ci dividiamo in gerarchie
e classi) che condiziona profondamente il nostro comportamento e
gli effetti di esso sul mondo naturale.
Infine, separando cos radicalmente lumanit e la societ
umana dalla natura e riducendoli a mere entit zoologiche, non
riusciamo pi ad accorgerci di come la natura umana derivi dalla
natura non umana e le>- voluzione sociale dalla evoluzione
naturale.
In questepoca di alienazione, non solo lumanit si aliena, si
separa da se stessa: si separa anche dal mondo naturale, del
quale un tempo faceva parte in quanto formanti vita complessa e
pensante.
In sintonia con simili concezioni, gli ambientalisti progressisti e
misantropi ci ammanniscono una dieta costante di rimbrotti circa il
modo in cui noi, in quanto specie, siamo responsabili del
degrado ambientale. Non c bisogno di andare in California per
trovare unaccozzaglia di mistici e guru che hanno del problema
ecologico e dei suoi fondamenti questa visione asociale e centrata
sulla specie. New York va altrettanto bene. Non dimenticher tanto
facilmente la mostra ambientalista organizzata negli anni 70
dal Museo di Storia Naturale di quella citt, con una lunga serie di
scenografie che mostravano al pubblico esempi di inquinamento e
distruzione ecologica. Lultima di esse, quella che concludeva la
mostra, portava lincredibile titolo Lanimale pi pericoloso della
Terra, e consisteva unicamente di un grande specchio che
rifletteva limmagine del visitatore che si fosse trovato a sostare di
fronte ad esso. Ho ancora in mente limmagine di un bambinetto
nero che guardava lo specchio, mentre il suo maestro bianco
cercava di spiegargli il messaggio che larrogante scenografia
tentava di comunicare.
Non cerano scenografie rappresentanti gli staff dirigenziali delle
industrie che decidono di disboscare montagne intere o funzionari
governativi che agiscono in collusione con essi. Il messaggio della
rappresentazione era uno solo, fondamentalmente antiumano:
sono gli individui come tali, non la societ rapace e coloro che ne
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Beneficiano, ad essere responsabili degli squilibri ecologici, i ceti
poveri tanto quanto quelli ricchi, la gente di colore non meno dei
bianchi privilegiati, le donne non meno degli uomini, gli oppressi
non meno degli oppressori. Una mitica specie umana rimpiazza
cos le classi, gli individui rimpiazzano le gerarchie, i gusti
personali (molti dei quali sono modellati dai media) rimpiazzano i
rapporti sociali, e i diseredati che vivono magre ed isolate
esistenze rimpiazzano le multinazionali, le burocrazie aggressive e
le manifestazioni violente dello Stato.
Societ e natura
Ma lasciamo da parte certe scandalose rappresentazioni che
mettono allo stesso livello i privilegiati e i non privilegiati. A questo
punto appare giustificato attirare lattenzione su di una necessit
importante: che la societ venga ricondotta in seno al quadro
ecologico. Una volta di pi bisogna ricordare che praticamente
tutti i problemi ecologici sono problemi sociali e non semplice-
mente, o principalmente, il risultato di concezioni religiose,
spirituali o politiche.,Che tali concezioni generino un approccio
antiecologico in persone di ogni ceto evidente. Ma pi che
prendere le ideologie per il loro valore nominale, per noi cruciale
chiederci da dove esse provengano.
Molto spesso, le necessit economiche possono indurre le
persone ad agire anche contro i loro impulsi pi genuini, anche
contro valori sentiti fortemente come naturali. I boscaioli assunti
per radere al suolo qualche meravigliosa foresta di norma non
nutrono alcun odio per gli alberi. Eppure non possono far altro
che tagliare gli alberi, esattamente come gli addetti ai macelli non
possono far altro che uccidere animali domestici. Ogni comunit
ha certamente fra i suoi componenti qualche individuo sadico o
distruttivo, ivi compreso qualche ambientalista misantropo che
amerebbe vedere lumanit sterminata. Ma per la maggioranza
delle persone, certi tipi di lavoro, come anche quelli
particolarmente faticosi (il minatore, ad esempio) non sono
occupazioni liberamente scelte. Al contrario, sono il frutto di
bisogni materiali e soprattutto sono il prodotto di assetti sociali
sui quali le persone comuni non hanno possibilit di controllo.
Al fine di capire i problemi attuali, ecologici cos come politici ed
economici, dobbiamo prnderne in esame le cause sociali e
risolverli con strumenti sociali. I vari tipi di ecologia, profonda,
spirituale, antiumanista, misantropica, sono gravemente
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mistificanti perch focalizzano la nostra attenzione sui sintomi
sociali piuttosto che sulle cause sociali. Mentre imperativo
guardare alle modificazioni dei rapporti sociali al fine di capire le
pi importanti modificazioni ecologiche, queste ecologie ci
distolgono dal sociale per indirizzarci verso il culturale, lo
spirituale, o verso una tradizione vagamente definita. La
Bibbia non ha creato lantinaturalismo europeo. Essa servita a
giustificare un antinaturalismo preesistente sul continente fin dai
tempi pagani, a dispetto di certi tratti animistici delle religioni pre-
cristiane. certo che linfluenza antinaturalistica della cristianit
aumentata significativamente in seguito allemergere del
capitalismo. Non solo dobbiamo portare la societ in seno al
quadro ecologico, allo scopo di capire perch la gente tenda ad
assumere atteggiamenti competitivi (fortemente naturalistici in
certi casi, fortemente antinaturalistici in altri), ma dobbiamo anche
esaminare pi profondamente la societ stessa. Dobbiamo
scoprire perch la societ distrugga il mondo naturale e,
contemporaneamente, perche essa abbia stimolato e spirato, e
tuttora stimoli e spinga, levoluzione naturale.
Parlando di societ in senso astratto e generale (ricordiamoci
che ogni societ unica e completamente diversa dalle altre, dal
punto di vista storico), dobbiamo obbligatoriamente prendere in
esame ci che, pi che societ, andrebbe definito come
socializzazione. La societ un assetto dei rapporti che spesso
prendiamo come dati, come qualcosa di fisso. A molti, oggi, una
societ di mercato, fondata sullo scambio e sulla competizione,
pu apparire come sempre esistita, anche se c qualcuno che
sa vagamente dell'esistenza di societ pre-mercantili, fondate sul
dono e sulla cooperazione. Per socializzazione, invece, si intende
un processo, allo stesso modo che lesistenza umana.
Storicamente, il processo di socializzazione umana pu essere
visto, come per lindividuo, come una specie di infanzia sociale
nella quale lumanit viene faticosamente educata alla maturit
sociale.
Non appena si comincia a considerare la socializzazione da un
punto di vista approfondito, ci che colpisce il fatto che la societ
nelle sue forme pi antiche deriva dalla natura. Ogni evoluzione
sociale, infatti, virtualmente unestensione dellevoluzione
naturale in un ambito unicamente umano. Per usare le parole
pronunciate pi di duemila anni fa dal grande oratore e filosofo
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romano Cicerone: ... con le nostre mani, portiamo in seno al
regno della Natura una seconda natura per noi stessi.
Losservazione di Cicerone, certo, incompleta: il regno della
Natura primigenio, presumibilmente incontaminato, anche detto
prima natura, viene rimodellato, totalmente o parzialmente, e
trasformato in una seconda natura non solo con le nostre
mani. Il pensiero, il linguaggio, ed un complesso di
importantissime modificazioni biologiche, giocano un ruolo cruciale,
e a tratti decisivo, nella creazione della seconda natura in seno
alla prima.
Uso a ragion veduta il termine rimodellare, allo scopo di
sottolineare che la seconda natura non semplicemente un
fenomeno che si sviluppa al di fuori della prima. Non a caso
Cicerone diceva ... in seno al regno della Natura.... E
sottolineare che la seconda natura, o pi esattamente la
societ, intesa nel senso pi ampio del termine, emerge
dall'intemo della prima natura originaria, significa ristabilire il
fatto che la vita sociale ha sempre una sua dimensione naturale,
anche se nel nostro pensiero la societ contrapposta alla natura.
Lecologia sociale dice chiaramente che la societ non
uneruzione improvvisa nel mondo. La vita sociale non si
contrappone necessariamente alla natura come un avversario, in
una guerra senza quartiere: lemergere della societ un fatto
naturale che trae la sua origine dalla biologia della socializzazione
umana.
Questo processo di socializzazione da cui emerge la societ
(quale che ne sia la forma: famiglia, bande, trib, o modelli pi
complessi di interrelazioni umane) trae la sua origine dai rapporti
di parentela, in particolare quelli tra madre e figli. Ma la madre
biologica pu essere rimpiazzata da molti surrogati, come il padre,
i parenti o anche tutti i membri di una certa comunit: quando dei
genitori sociali, dei parenti sociali per cos dire, intervengono
a prender parte ad un sistema di cure che di norma compito dei
genitori biologici in senso stretto, allora che comincia a prendere
forma la societ pro- , priamente intesa. In tal modo, la societ
oltrepassa il mero gruppo riproduttivo per indirizzarsi verso
relazioni umane istituzionalizzate, passando da quella che
potremmo definire una quasi uniforme comunit animale ad un
ordine sociale chiaramente strutturato. AI primo costituirsi della
societ, sembra pi che verosmile che gli esseri umani si siano
socializzati a formare questa seconda natura per effetto di
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vincoli di sangue, specificamente materni. In seguito, le strutture e
le istituzioni che segnano il progredire dellumanit da semplici
forme di comunit animali verso una societ vera e propria,
cominciano a modificarsi, e tali modificazioni assumono grande
importanza dal punto di vista dellecologia sociale. Positivo o
negativo che sia, le societ si sviluppano intorno a gruppi di
status, gerarchie, classi e formazioni statali. Cionondimeno, la
riproduzione e le cure parentali continuano ad essere le basi
biologiche costanti in ogni forma di vita associata, nonch il fattore
originario della socializzazione dei piccoli e quindi della formazione
della societ. Come ha avuto modo di osservare Robert Briffault
allinizio di questo secolo, in The !olution o" #uman Species,
lunico fattore conosciuto che determina una profonda distinzione
tra la costituzione dei pi rudimentali gruppi umani e tutti gli altri
gruppi animali [] lassociazione delle madri e dei loro nati, che tra
gli animali rappresenta la sola forma di vera solidariet sociale. In
seno a tutti gli ordini di mammiferi la durata di questa
associazione tende continuamente ad aumentare, come
conseguenza del protrarsi del periodo di dipendenza infantile.
Secondo Briffault, il protrarsi di tale periodo correlato con il
prolungarsi del periodo di gestazione e con il progresso
dellintelligenza.
La dimensione biologica che Briffault attribuisce a ci che
chiamiamo societ non pu essere dimenticata. Essa una
presenza decisiva non solo per le origini della societ dopo secoli
di evoluzione animale, ma anche per la quotidiana riproduzione
della societ nella vita di tutti i giorni. Le cure attente che ogni
nuovo nato riceve per molti anni ci dicono che ci troviamo in
presenza non semplicemente della riproduzione di un nuovo
essere umano, ma della riproduzione della societ stessa. A
paragone dei piccoli di altre specie, i bambini crescono lentamente
e nellarco di un periodo assai lungo. Vivendo in stretta
associazione con i genitori, i fratelli e le sorelle, i parenti di vario
grado, e quindi con una comunit in continua espansione, essi
mantengono una plasticit mentale che rende creativi gli individui
e formativi i gruppi sociali. Per quanto gli animali non umani
possano avvicinarsi in diversi modi alle forme tipiche degli umani,
essi non arrivano a creare una seconda natura dotata di
tradizione culturale, n a possedere un linguaggio complesso ed
una elaborata capacit di concettualizzazione, e nemmeno
limpressionante attitudine a ristrutturare consapevolmente il
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proprio ambiente a seconda delle proprie necessit.
Uno scimpanz, per esempio, resta nello stadio infantile solo per
tre anni, ed in quello adolescenziale per sette; a dieci anni di et
completamente adulto. I bambini, invece, vengono considerati
come tali per circa sei anni e come giovani altri quattordici. Ci
significa che uno scimpanz si sviluppa mentalmente e fisica-
mente circa nella met del tempo a ci necessario per un essere
umano, e la sua capacit di imparare e di pensare fssa, a
paragone di quella di un umano, le cui attitudi possono svilupparsi
nelcorso di molte decadi. Per lo stesso motivo, le associazioni di
scimpanz sono spesso labili e limitate. Le associazioni umane,
invece, sono fondamentalmente stabili, altamente istituzonalizzate
e segnate da un grado di solidariet e creativit che non hanno
eguali, per quanto ne sappiamo, tra le specie non umane.
Tale prolungarsi di un periodo di plasticit mentale, di
dipendenza e di creativit sociale, porta a due risultati di
importanza decisiva.
Prima di tutto, le forme pi antiche di associazione umana
devono aver favorito una forte predisposizione all$interdipenden%a
tra i membri di un certo gruppo, e non al rozzo individualismo
che generalmente associamo con lindipendenza. Esiste una
ricchissima massa di dati antropologici che indica come
partecipazione, mutuo soccorso, solidariet ed empatia fossero le
virt sociali pi apprezzate allinterno dei primi raggruppamenti
umani, proprio perch lidea della reciproca dipendenza delle
persone ai fini della sopravvivenza era la conseguenza naturale del
lungo periodo di dipendenza dei giovani dagli adulti.
Lindipendenza, per non parlare della competizione, doveva
sembrare certamente qualcosa di estraneo, e comunque molto
strano, ad una creatura che per molti anni era stata educata in
una condizione di grande dipendenza. Lamore reciproco doveva
apparire come il prodotto del tutto naturale di un essere altamente
acculturato chiaramente bisognoso di cure continue. La nostra
moderna versione dellindividualismo, o pi precisamente
dellegotismo, non avrebbe potuto convivere con lantica
concezione di solidariet e aiuto reciproco, senza la quale, vorrei
aggiungere, un animale fisicamente cos fragile come un essere
umano difficilmente avrebbe potuto sopravvivere da adulto, e
ancor pi da bambino.
In secondo luogo, linterdipendenza tra gli uomini deve aver
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assunto una forma altamente strutturata. Non esiste alcuna prova
che anche tra gli esseri umani sia normale il sistema di legami
notevolmente lassi che esiste tra i nostri cugini primati.
Ovviamente, possibile che i vincoli umani possano sciogliersi, o
de-istituzionalizzarsi, in particolari momenti di radicale
trasformazione o decadimento culturale. Ma in condizioni
relativamente stabili, la societ umana non mai stata lorda che
secondo gli antropologi del secolo scorso stava alla base della vita
sociale primordiale. Al contrario, le prove di cui disponiamo
indicano che tutti gli umani, e forse anche i nostri antenati
ominidi, sono vissuti in qualche forma di gruppo familiare
strutturato, e pi tardi in bande, trib, villaggi e simili. In breve,
come ancor oggi accade, si riunivano non semplicemente su basi
affettive o morali, ma anche strutturalmente, attraverso istituzioni
programmate, chiaramente definite e relativamente stabili.
Gli animali non umani possono formare lasse comunit e anche
assumere atteggiamenti di difesa collettiva allo scopo di
proteggere i propri piccoli dai predatori. Ma non si pu definire tali
comunit come strutturate, se non in senso molto ampio. Gli
animali umani, invece, creano comunit altamente formalizzate,
che nel corso del tempo tendono a diventare sempre pi
strutturate. Queste non sono semplici comunit, ma quel
fenomeno nuvo ch definiamo societ.
Lincapacit a distinguere le comunit animali dalle societ
umane contiene in s il rischio di ignorare la peculiarit che
distingue la vita sociale umana da quella delle comunit animali,
vale a dire la possibilit di modificare la societ, nel bene e nel
male, e i fattori che producono siffatte modificazioni. Riducendo
ad una semplice comunit quella che una societ complessa,
non riusciamo a capire levoluzione delle differenze di status in
gerarchie consolidate, e delle gerarchie in classi economiche. In
somma, rischiamo di perdere completamente il senso pi vero di
concetti come gerarchia, cio di sistemi di comando e
obbedienza altamente organizzati, nettamente distinti dalle
differenze personali, individuali, di status, spesso di breve durata
e non necessariamente caratterizzate da azioni coercitive.
In effetti, tendiamo a confondere le forme istituzionali della
volont umana, dei conflitti di interesse, della tradizione, con
manifestazioni fisse della vita comunitaria, come se avessimo a
che fare con caratteristiche intrinseche, inalterabili, della societ,
e non con strutture artificiali, che in quanto tali possono essere
19
modificate, migliorate, peggiorate, o semplicemente abbandonate.
Dallinizio della storia fino ai giorni nostri, il gioco di ogni elite
dirigente stato di identificare il proprio sistema gerarchico di
dominio con la vita comunitaria come tale, cosicch istituzioni
fatte dalluomo vengono ad assumere sanzione divina o biologica.
Accade cos che una certa societ, con le sue istituzioni, si
trasformi in unentit permanente e intoccabile, che acquista
misteriosamente una sua vita propria al di fuori della natura, in
quanto prodotto di una apparentemente fissa natura umana che
il risultato di una programmazione genetica ai primordi della vita
sociale. Allopposto, pu anche accadere che una certa societ,
con le sue istituzioni, si dissolva in seno alla natura, come
nientaltro che una delle tante forme di comunit animali con i suoi
maschi alfa, guardiani, capi ed altre forme esistenziali
tipiche dellorda. Quando si producono fatti incresciosi come
guerre o conflitti sociali, vengono imputati allattivit dei
cromosomi, che contengono quel certo gene che origina la
guerra, o quello della cupidigia.
In entrambi i casi, sia in quello di una societ astratta che
esiste al di fuori della natura, che nel caso altrettanto astratto di
una comunit naturale indistinguibile dalla natura, si manifesta un
dualismo che divide nettamente la societ dalla natura, o un rozzo
riduzionismo che dissolve la societ nella natura. Tali concezioni,
apparentemente contrapposte ma in realt strettamente correlate,
sono semplicistiche, ed appunto per questo seducenti. Nonostante
vengano spesso presentate in forme sfumate, ad opera dei loro
sostenitori pi sofisticati, si riducono presto o tardi a veri e propri
slogan di piazza, a loro volta congelati in dogmi popolari.
Lecologia sociale
Il modo con cui lecologia sociale affronta il problema della
societ e della natura sembra richiedere un maggior sforzo
intellettuale, ma evita i semplicismi delle concezioni dualistiche e
la rozzezza del riduzionismo.
Lecologia sociale si sforza di mostrare come la natura e!ol!a
lentamente nella societ, senza ignorare n le differenze tra
questa e quella n lentit della loro reciproca commistione. La
socializzazione quotidiana del giovane in seno alla famiglia
biologicamente fondata tanto quanto le cure tributate ogni giorno
agli anziani dallestablishment medico sono socialmente motivate.
Del pari, mentre non cessiamo di essere mammiferi con
20
determinate necessit naturali, istituzionalizziamo tali necessit e
la loro soddisfazione in unampia gamma di forme sociali. Dunque
il sociale e il naturale si fondono reciprocamente nelle attivit pi
normali della vita quotidiana, senza per questo perdere la propria
identit, in un mutuo processp interattivo.
A prima vista tutto ci pu apparire ovvio, se riferito a certi
problemi di tutti i giorni. Ciononostante lecologia sociale solleva
questioni di grande importanza, che riguardano i diversi modi con
cui natura e societ hanno interagito nel corso del tempo e i
problemi che da tale interazione sono scaturiti. Come si
instaurata questa separazione tra lumanit e la natura, questo
conflitto? Quali istituzioni, quali ideologie, lhanno reso possibile?
Era evitabile, stante lo sviluppo dei bisogni umani e della
tecnologia? E potr essere superato in futuro, in una societ
ecologicamente orientata?
Come pu una societ razionale ed ecologicamente orientata
inserirsi nel processo dellevoluzione naturale? E da un punto di
vista ancora pi generale, c qualche motivo di credere che la
mente umana (essa stessa un prodotto dellevoluzione naturale,
come anche la cultura) rappresenti il culmine decisivo dello
sviluppo naturale, vale a dire del lungo processo di sviluppo della
coscienza, dalla sensibilit e capacit di sopravvivenza delle forme
di vita pi semplici alla consapevolezza ed intelligenza di quelle pi
complesse?
Sono domande provocatorie, queste, ma non celano alcuna
arroganza nei confronti delle forme di vita non umane, segnata da
una ricca capacit intellettuale, sociale, immaginativa e
costruttiva, ad una sintonia con la fecondit, diversit e creativit
della natura. Contesto che tale sintonia possa essere raggiunta
contrapponendo la natura alla societ, le forme di vita non umane
a quelle umane, la fecondit naturale alla tecnologia, o una
qualche soggettivit naturale alla mente umana. In effetti, dalla
considerazione del rapporto esistente tra natura e societ emerge
limportante risultato che lintlligenza (carattere che tanto
apprezziamo come tipicamente umano) ha anchessa una profonda
base naturale. Il nostro cervello, il nostro sistema nervoso, non
comparso allimprovviso, senza una lunga storia naturale
antecedente. Ci che pi ci appare come parte integrante della
nostra umanit (la nostra straordinari capacit di pensiero
concettuale) ha le sue origini nel tessuto nervoso degli invertebrati
primitivi, nei gangli cerebrali dei molluschi, nel midollo spinale dei
21
pesci, nel cervello degli anfibi, nella corteccia cerebrale dei
primati.
Anche qui, nel pi intimo dei nostri attributi umani, siamo
prodotti dellevoluzione naturale non meno che dell'evoluzione
sociale. In quanto esseri umani, incorporiamo in noi stessi millenni
di differenziazione ed elaborazione organica; come tutte le forme
di vita complesse, non siamo solo un prodotto dell'evoluzione
naturale: ne siamo anche gli eredi, prodotto della fecondit
naturale.
Ma nello sforzo di mostrare come la societ lentamente emerga
dalla natura, lecologia sociale deve ugualmente mostrare come
anche la societ vada incontro a differenziazione ed elaborazione.
E cos facendo, deve prendere in considerazione i momenti
dellevoluzione sociale nei quali si sono prodotte rotture che hanno
lentamente portato la societ in contrapposizione con il mondo
naturale, e spiegare il prodursi di questa contrapposizione dalla
sua prima comparsa nella preistoria fino ai nostri giorni. In effetti,
Se vero che la specie umana una forma di vita capace di
valorizzare coscientemente il mondo naturale e non semplicemente
di danneggiarlo, importante per lecologia sociale riuscire a
spiegare come molti esseri umani si siano trasformati in parassiti
delle altre forme di vita, invece che essere partner attivi
dellevoluzione organica. Tale progetto deve essere intrapreso in
modo non casuale, sforzandosi seriamente di riunire
reciprocamente lo sviluppo sociale e quello naturale, il che di
vitale importanza per noi e per la costruzione di una societ
ecologica.
Forse uno dei pi importanti contributi dati dallecologia sociale
allattuale discussione ecologica, la constatazione che i problemi
fondamentali che pongono la societ contro la natura nascono
allinterno dello sviluppo sociale stesso, e non tra la societ e la
natura. Ci equivale a dire che la contrapposizione tra societ e
natura ha le sue radici in contrapposizioni che esistono in seno alla
societ, vale a dire nei conflitti profondi tra
I diversi esseri umani che spesso celiamo con l
r
uso allargato del
termine umanit.
Questa concezione contrasta con il corrente pensiero ecologico e
sociale, nella quasi totalit. Il pen- siero ecologico attuale ha in
comune con il liberalismo, il marxismo e il conservatorismo lidea
22
che per dominare la natura sia necessario dominare gli esseri
umani. Praticamente tutte le ideologie sociali contemporanee
hanno al centro delle loro teorie il concetto della dominazione
umana. Dallepoca classica ad oggi, universalmente accettata
lidea che per impedire che luomo sia dominato dalla natura sia
indispensabile il dominio delluomo sulluomo come primo mezzo di
produzione e come strumento per sottomettere il mondo naturale.
Per secoli, stato asserito che per sottomettere il mondo naturale
era necessario sottomettere gli esseri umani, sotto forma di
schiavi, o di servi, o di salariati.
Che tale concezione pervada lideologia di quasi tutte le elite
dirigenti, ed abbia fornito ai movimenti sia conservatori che
progressisti la giustificazione per il mantenimento dello status
quo, non ha bisogno di dimostrazione. Il mito di una natura
avara stato sempre usato per giustificare lavarizia degli
sfruttatori e la crudelt del trattamento da essi riservato agli
sfruttati, e non ha mancato di fornire alibi allopportunismo politico
tanto di destra come di sinistra. Agire allinterno del sistema ha
sempre implicato laccettazione del dominio come modo di
organizzare la vita sociale, nel nvigliof dei casi come mezzo
per liberare gli esseri umani dalla presunta sudditanza alla natura.
E forse poco noto che anche Marx ha giustificato lemergere
della societ di classe e dello Stato come momenti di passaggio
verso il dominio sulla natura e lipotetica liberazione dellumanit.
stato sulla scorta di tale visione storica che Marx ha formulato la
propria concezione del materialismo storico, ed ha fondato la sua
convinzione che la societ di classe fosse un passaggio obbligato
sulla strada del comunismo.
Paradossalmente, gran parte dellattuale ecologia
antiumanistica contiene esattamente lo stesso pensiero, ma in
forma invertita. Al pari dei loro avversari, anche questi ecologisti
accettano lidea che lumanit sia dominata dalla natura, sia che
ci si presenti come leggi naturali, sia come unineffabile
saggezza della terra che deve guidare il comportamento
umano. Ma mentre gli avversari rivendicano la necessit che la
natura si arrenda all'umanit conquistatrice, lecologia
antiumanistica si adopera perch sia lumanit ad arrendersi alla
natura che tutto conquista. Per quanto possano differire le due
concezioni, nelluso dei termini e nel tipo di religiosit, in
entrambe presente la medesima idea fondamentale, il dominio:
il mondo naturale concepito come un dittatore, dal quale
23
bisogna liberarsi o cui bisogna obbedire.
Lecologia sociale sfugge a questa trappola, riconsiderando
lintero concetto di dominazione, sia nei rapporti tra natura e
societ che nelle cosiddette leggi naturali e leggi sociali.
Ci che normalmente viene definito come dominio in natura,
non che una proiezione dei nostri organizzatissimi sistemi di
controllo sociale sulle forme comportamentali proprie delle
comunit animali, individualistiche, asimmetriche e il pi delle
volte solo blandamente coercitive. In altre parole, gli animali non
dominano nel medesimo modo in cui le elite umane dominano,
e spesso sfruttano, i gruppi sociali oppressi; e nemmeno
comandano per mezzo di forme istituzionalizzate di violenza
sistematica, come invece accade nelle societ umane. Tra le
scimmie, ad esempio, non esiste vera e propria coercizione e il
cosiddetto comportamento dominante solo occasionale. I
gibboni e gli oranghi sono noti per latteggiamento pacifico verso i
membri della propria specie. I gorilla sono altrettanto tolleranti,
nonostante lemergere di qualche maschio adulto di rango
superiore nei confronti dei giovani e dei pi deboli di rango
inferiore. I cosiddetti maschi alfa degli scimpanz non hanno
uno status fisso allinterno dei loro raggruppamenti, che
restano sempre alquanto fluidi, e lo status che raggiungono
pu essere dovuto a cause le pi diverse. Certo possibile
passare tranquillamente da una specie animale allaltra alla
ricerca di individui di rango superiore da contrapporre ad altri
di rango inferiore, ma una tale operazione si rivela piuttosto
stupida, quando termini come rango, status, vengono usati
tanto elasticamente da poter includere anche mere differenze di
comportamento di gruppo e funzioni piuttosto che azioni
coercitive.
Lo pu dirsi del termine gerarchia. Tanto come etimologia che
come significato proprio, esso ha un senso profondamente sociale,
non zoologico. Di origine greca, usata inizialmente per indicare i
livelli nei quali erano ordinate le diverse divinit e in seguito la
struttura del clero (Hierapolis era unantica citt frigia dove veniva
adorata la dea madre), successivamente essa stata senza
motivo ampliata nel suo significato fino a includere tutto, dalle
relazioni che esistono negli alveari allazione erosiva dei corsi
dacqua, dei quali si dice che dominano il proprio alveo. Le
femmine degli elefanti vengono denominate matriarche quando
svolgono un ruolo di vigilanza, e i maschi delle scimmie che
24
mostrano grande coraggio nella difesa della comunit, in cambio di
qualche modesto privilegio, sono spesso designati come
patriarchi. Lassenza di un vero e proprio sistema organizzato di
dominio (presente invece nelle comunit gerarchiche umane e
sottoposto alla possibilit di mutamenti istituzionali radicali,
rivoluzioni popolari incluse) completamente ignorato.
Inoltre, le diverse funzioni che le presunte gerarchie animali
svolgono, vale a dire le cause che fanno s che un individuo occupi
uno status alfa ed altri uno inferiore, sono minimizzate, se mai
vengono considerate. Con lo stesso tipo di approccio, le sequoia
pi alte potrebbero essere considerate come superiori rispetto a
quelle pi piccole, oppure arrivare a considerarle come una sorta
di elite in seno alla gerarchia di un bosco misto, dove
sottomettono, ad esempio, le quercie (che, tanto per complicare
le cose, sono pi avanzate evolutivamente). La tendenza ad
estendere meccanica- mente le categorie sociali al mondo naturale
altrettanto fallace che la tendenza ad estendere i concetti
biologici alla geologia. I minerali non si riproducono allo stesso
modo degli esseri viventi. Le stalagmiti e le stalattiti delle grotte
certamente aumentano di dimensione, col passare del tempo. Ma
in nessun modo crescono in un modo anche lontanamente
simile a quello degli esseri viventi. Prendendo similitudini
superficiali e usandole per costituire raggruppamenti identificativi,
si finisce col credere al metabolismo delle rocce e alla
moralit dei cromosomi.
Tutto ci pone il problema dei continui tentativi di individuare
nel mondo naturale caratteri etici, oltre che sociali, quando esso
invece solo poten%ialmente elico, nel senso che pu costituire la
base per unetica sociale oggettiva. E' vero: in natura esiste la
coercizione, ed anche il dolore e la sofferenza. Ma non la crudelt.
Lintenzionalit e la volont animale sono troppo limitate per poter
produrre unetica del bene e del male, o della bont e della
crudelt. Ci sono prove assai scarse della presenza di pensiero
inferenziale e concettuale tra gli animali, ad eccezione dei primati,
dei cetacei, degli elefanti e forse di pochi altri. Ed anche tra gli
animali pi intelligenti, le forme di pensiero sono comunque
estremamente limitate se paragonate alle capacit degli esseri
umani socializzati. Bisogna riconoscere, anzi, che ggi non siamo
ancora completamente umani, se pensiamo che le nostre
potenzialit di creativit, amore e razionalit sono ancora in gran
parte sconosciute. La societ dominante serve pi ad inibire che a
25
porre in atto le nostre potenzialit umane. Non riusciamo ancora
ad immaginare quanto le nostre pi infime caratteristiche
potrebbero espandersi se le vi-, cende umane fossero realmente
affrontate in modo etico, ecologico e razionale.
Per quanto ne sappiamo, invece, il mondo non umano
conosciuto ha dei limiti insuperabili quanto a capacit di
sopravvivere alle modificazioni ambientali. Se davvero, come
credono molti biologi, il segreto del successo evolutivo risiede
nelladattamento alle modificazioni ambientali, allora gli insetti
andrebbero posti ad un livello superiore a qualunque forma di
mammifero... i quali insetti, peraltro, non sono in grado di
formulare una cos elevata valutazione di s pi di quanto unape
regina possa anche solo vagamente essere conscia del proprio
status regale. Uno status, vorrei aggiungere, che solo gli esseri
umani (che hanno dovuto sopportare limperio di re e regine
stupidi, inetti e deboli) potrebbero attribuire ad un insetto
praticamente privo di intelligenza.
Nessuna di queste osservazioni ha lo scopo di contrapporre in
senso metafisico la natura alla societ, o viceversa. Anzi, esse
intendono sostenere che ci che unisce la societ alla natura in un
ininterrotto continuum evolutivo la possibilit per gli esseri
umani di incarnare la creati!it della natura, vivendo in una
societ razionale e ecologicamente orientata, al di l di un criterio
di successo evolutivo inteso in un senso puramente adattati!o. Le
grandi realizzazioni del pensiero umano, dellarte, della scienza e
della tecnologia non servono solo ad erigere monumenti
allevoluzione, dimostrano che lapice della grande capacit
creativa della natura rappresentata da una forma di vita a
sangue caldo, meravigliosamente versatile ed intelligente, e non
da un insetto geneticamente programmato e privo di intelletto.
Le forme di vita che si limitano ad adattarsi alle modificazioni
ambientali sono un esempio di evoluzione incompleta, per quanto
possa essere utile la loro presenza nellambito di un certo
ecosistema. Le forme di vita che creano e modificano
coscientemente il proprio ambiente, auspicabilmente con lintento
di renderlo pi razionale ed ecologico, rappresentano invece il
proseguire, ampio e certamente non definito, dellevoluzione
naturale, levoluzione verso una natura cosciente di s, che nessun
tipo di insetto potrebbe mai raggiungere.
Per sua parte, la natura non come un bel panorama da
ammirare attraverso la finestra, uno spettacolo immobile come in
26
una cartolina. Questo modo di concepire la natura pu anche
elevare lo spirito, ma ecologicamente fuorviante, perch ci
induce a dimenticare che la natura non una rappresentazione
statica del mondo naturale, ma la storia dellevoluzione, lunga e
comprensiva di tutti gli avvenimenti che lhanno caratterizzata.
Tale storia contiene tanto levoluzione della materia inorganica
quanto quella della materia organica. In un campo, come in una
foresta, o in vetta ad un monte, i nostri piedi poggiano su ere di
sviluppo, strati geologici, fossili di forme di vita ormai estinte, resti
in decomposizione di esseri morti di recente, e nuovi esseri che
silenziosamente prendono vita. La natura non una persona,
una madre amorosa, e nemmeno, nel crudo lessico materialista
dellultimo secolo, materia e morte. N un puro e semplice
processo fatto di cicli che si ripetono come stagioni, un
susseguirsi di attivit metaboliche costruttive e distruttive, cpn
buona pace di certe filosofie del processo. Invece, la storia
naturale un evoluzione cumulati!a verso forme e relazioni
sempre pi diverse, sempre pi differenziate e complesse.
Tale sviluppo evolutivo di esseri continuamente pi variegati, cio
di nuov forme di vita, anche uno sviluppo che contiene, latenti,
eccitanti possibilit. La variet, la differenziazione, la complessit,
aprono alla natura, man mano che questa si espande, nuove
direzioni per un ulteriore sviluppo e linee alternative di evoluzione.
Man mano che gli animali divengono pi complessi e consapevoli
di s, pi intelligenti, cominciano a compiere quelle scelte
elementari capaci di influenzare la loro stessa evoluzione. Sono
sempre meno oggetti passivi della selezione naturale e sempre
pi soggetti attivi del proprio autosviluppo.
La mutazione bianca di una lepre a mantello scuro che si
accorge delle possibilit mimetiche offerte da un terreno coperto
di neve, non si limita, semplicemente, ad adattarsi per
sopravvivere, ma agisce in funzione della propria sopravvivenza.
Non solo lambiente che la seleziona, ma anchessa seleziona
il proprio ambiente e compie una scelta che esprime una sia pur
modesta capacit di giudizio e soggettivit.
Maggiore la variet degli habitat che emerge nel corso
dellevoluzione, maggiore il ruolo attivo e ragionato che le forme
di vita, specie quelle neurologicamente pi complesse, svolgono
nella propria sopravvivenza. Nella misura in cui levoluzione
naturale segue questa via di sviluppo neurologico, essa da origine
ad. esseri viventi dotati di una sempre maggiore capacit di scelta
27
e libert nel determinare il proprio sviluppo.
Con questa concezione della natura, intesa come storia
complessiva dei livelli via via pi differenziati di organizzazione
materiale (specialmente di forme di vita) e di crescente
soggettivit, lecologia sociale stabilita la base per comprendere
lumanit e dare un senso alla collocazione della societ
nellevoluzione naturale. La storia naturale non un fenomeno
meramente casuale. segnata da tendenze, da direzioni, e per
quanto concerne gli umani da fini consapevolmente perseguiti. Gli
esseri umani, con il mondo sociale da essi creato, possono
allargare significativamente lorizzonte dellevoluzione naturale,
trasformandolo in un orizzonte segnato dalla coscienza, dalla
riflessione e da una libert di scelta e creativit volontaria mai
viste prima. I fattori che obbligano molti esseri viventi a ruoli in
gran parte adattativi, nella trasformazione ambientale, potrebbero
essere sostituiti dalla capacit di adattare coscientemente
lambiente alle forme di vita esistenti o alle nuove che potrebbero
svilupparsi.
L'adattamento, in effetti, libera la creativit e introduce in
misura crescente una componente di libert nelle apparentemente
ferree leggi naturali. Ci che uri tempo veniva definita come
cecit della natura, alludendo alla mancanza in essa di ogni
direttiva morale, si rivela oggi come libert della natura, nella
misura in cui questa, sia pur lentamente, trova la sua voce e i
mezzi per alleviare le inutili sofferenze di tutte le specie in una
umanit consapevole ed in una societ ecologica.
In ogni caso, perch abbia un qualche senso il principio di
No avanzato dallantiumanista David Ehren-feld &The 'rrogance
o" #umanism(, secondo il quale qualunque forma di vita esistente
deve essere conservata per la semplice ragione che esiste,
bisogna presupporre lesistenza di un No, cio di una forma di
vita cosciente (lumanit) che si assume il compito di salvare
specie che la natura avrebbe condannato all'estinzione durante
qualche glaciazione, o desertificazione, o collisione con asteroidi.
Orsi grizzly, lupi, puma ed altri animali del genere non sono al
sicuro dallestinzione soltanto perch lasciati nelle mani
amorose di una presunta Madre Natura. Se vero che i
grandi rettili del Mesozoico sono stati distrutti da modificazioni
climatiche successive alla probabile collisione della Terra con un
asteroide, la sopravvivenza dei mammiferi oggi esistenti potrebbe
essere altrettanto precaria di fronte alleventualit di una qualche
28
calamit naturale, a meno che non vi sia una forma di vita
consapevole, ecologicamente indirizzata, in possesso degli
strumenti tecnologici idonei a salvarli.
Non si tratta quindi di stabilire se levoluzione sociale sia, o
meno, in contrasto con levoluzione naturale. Si tratta invece di
stabilire come levoluzione sociale possa inserirsi nellevoluzione
naturale, e perch sia invece stata (senza motivo, vorrei dire)
contrapposta allevoluzione naturale a scapito della vita nel suo
complesso. La capacit di essere razionali, o liberi, non garantisce
che tale capacit debba automaticamente essere messa in atto. Se
levoluzione sociale viene vista come loccasione potenziale di
aprire lorizzonte dellevoluzione naturale ad una creativit mai
sperimentata prima, e se gli esseri umani vengono considerati
come la via attraverso cui pu realizzarsi la potenzialit della
natura di essere libera e cosciente di s, ci che dobbiamo stabilire
perch tali potenzialit siano state tarpate e come possano
essere nuovamente messe in atto.
Lecologia sociale ha fede (una fede assolutamente antitetica
allimmagine scenica della natura) che tali potenzialit siano
reali e possano essere realizzate. Il divario tra evoluzione naturale
ed evoluzione sociale, tra vita umana e vita non umana, tra la
natura considerata come avara e indocile, e unumanit avida e
distruttiva, tutto ci specioso e fuorviante se visto come
inevitabile.
N meno fuorvianti sono stati i tentativi riduzionisti di includere
il sociale nellevoluzione naturale, di seppellire la cultura nella
natura in unorgia di irrazionalismo e misticismo, di assimilare
lumano alla pura animalit, di imporre una presunta legge
naturale ad una societ umana sottomessa.
Ci che ha trasformato gli esseri umani in alieni nel mondo
naturale sono le mutazioni sociali che hanno fatto di molti esseri
umani degli alieni nel loro stesso mondo sociale: la dominazione
del giovane da parte degli anziani, delle donne da parte degli
uomini e degli uomini da parte di altri uomini. Ancor oggi, come
nei secoli passati, esistono esseri umani che possiedono la societ
ed altri che da essa sono posseduti. Fintantoch la societ non
sar restituita ad unumanit indivisa capace di usare la sua
saggezza collettiva, le su conquiste culturali, le sue innovazioni
tecnologiche, le sue conoscenze scientifiche, la sua creativit
innata, a beneficio proprio e del mondo naturale, tutti i problemi
29
ecologici avranno le proprie radici in problemi sociali.
30
GERARCHIE, CLASSI, STATI
Fin qui, ho cercato di dimostrare che lumanit con la sua
capacit di pensare un prodotto dellevoluzione, non un alieno
nel mondo naturale. In effetti, che gli esseri umani siano il
risultato di una tendenza evolutiva verso una crescente
differenziazione, complessit, coscienza di s, intuitivo.
Come la maggior parte delle intuizioni, anche questa ha la sua
base fattuale: le prove paleontologiche di tale tendenza, dai
semplicissimi fossili unicellulari del passato pi remoto ai resti di
ben pi complessi mammiferi appartenuti a tempi recenti,
testimoniano lo svolgersi di un grande dramma biologico. Tale
dramma la storia di una natura che va acquistando nuova
capacit di pensiero concettuale, fino a dar vita ad un tipo di
primati, detti esseri umani, che hanno il potere di scegliere,
modificare e ricostruire il proprio ambiente.
Come ho gi detto, la natura non la scena immobile che
osserviamo dalla cima di un monte. Definita con maggior
precisione di quella possibile in un adesivo da appiccicare sullauto,
la natura proprio la storia della sua differenziazione evolutiva, e
se appunto la pensiamo come evoluzione possiamo discernere la
tendenza verso la consapevolezza e la libert che insita in essa.
Che questa tendenza provi lesistenza di un fine
predeterminato, una volont-guida, o un Dio, del tutto
irrilevante ai fini della presente discussione. Ci che conta che
tale tendenza pu essere dimostrata, dallesame dei fossili, dal
fatto che le forme di vita esistenti derivano da quelle precedenti,
dallesistenza della stessa umanit.
Inoltre, chiedersi quale sia il posto dellumanit nella natura
significa riconoscere implicitamente che la specie umana si
evoluta come forma di vita in grado di costruirsi un posto nel
mondo naturale, non semplicemente di adattarsi ad esso. La
specie umana col suo immenso potere di modificazione
dellambiente non stata inventata dagli ideologi umanisti,
che hanno deciso che la natura stata fatta per servire
lumanit e i suoi bisogni come vorrebbero certi ecologi
31
misantropi. Il potere dellumanita emerso da ere di evoluzione e
da secoli di sviluppo culturale. Il problema del posto che tale
specie ha in seno alla natura non pi un problema di zoologia,
riguardante la sistemazione tassonomica dellumanit nel contesto
di tutte le forme di vita, come era ai tempi di Darwin. Il problema
dellorigine delluomo, per usare il titolo della grande opera
darwiniana, considerato dai pensatori odierni altrettanto
importante che le immani capacit possedute dalla nostra specie.
Chiedersi quale sia il posto dellumanit nella natura, oggi,
un problema morale e sociale, e nessun altro animale in grado di
porselo, con buona pace di molti antiumanisti che amerebbero
veder lumanit divenire una specie tra le tante, tutte partecipanti
ad una cosiddetta democrazia della biosfera. Per gli esseri
umani chiedersi quale sia il loro posto nella natura significa
chiedersi se il potere dellumanit possa essere messo al ser!i%io
di unevoluzione futura o se, al contrario, debba essere usato per
distruggere la biosfera. Il che non senza conseguenze sul tipo di
societ (o seconda natura) che gli esseri umani possono
costituire: gerarchica, fondata sullo sfruttamento e sulla
sopraffazione, oppure libera, egualitaria ed orientata in senso
ecologico. Misconoscere la base sociale dei nostri problemi
ecologici, celarla tra le maglie di mistiche primitivistiche e
antirazionali- ste, equivale letteralmente ad arretrare il pensiero
ecologico al livello primordiale di sentimenti da quattro soldi,
usabili per i peggiori scopi reazionari.
Ma se tener presente la societ fondamentale per poter
comprendere il senso dei nostri problemi ecologici, non per questo
essa pu essere vista come limmagine statica che osserviamo dai
vertici di una torre accademica, dal balcone di un palazzo di
governo o dalle finestre della sede di una grande multinazionale.
Anche la societ proviene dalla natura, come ho cercato di
dimostrare dando conto della socializzazione umana e della
riproduzione quotidiana di tale processo fino ai nostri giorni.
Considerare la societ come aliena rispetto alla natura rafforza
quel dualismo tra il sociale e il naturale tanto diffuso nel pensiero
moderno. Una concezione cos antiumanistica serve ad aprire le
porte esattamente a tutte le forze antiecologiche che
contrappongono la societ alla natura e pretendono di ridurre il
mondo naturale ad una semplice riserva di risorse.
Del pari, dissolvere la societ nella natura individuando lorigine
dei problemi sociali in fattori genetici, istintivi, irrazionali e mistici,
32
equivale ad aprire le porte a tutte quelle forze primitivistiche
portatrici di tendenze razziste, misantropiche e sessiste in campo
femminile cos come in campo maschile.
Ben lungi dallessere una scena immobile che permette agli
elementi reazionari di identificare la societ esistente con la
societ come tale (allo stesso modo che oppressi e oppressori
vengono riuniti in una singola specie detta #omo sapiens e
pariteticamente considerati come responsabili dellattuale crisi
ecologica), la societ invece la storia della sua evoluzione e delle
sue molteplici forme e possibilit. Sul piano culturale siamo il
prodotto della nostra storia sociale, cos come sul piano fisico
siamo il prodotto dellevoluzione naturale. Portiamo con noi,
spesso senza rendercene conto, una massa di convinzioni,
abitudini, atteggiamenti e sentimenti che generano idee
regressive, tanto per ci che riguarda la natura quanto per i
rapporti tra gli umani.
Sia della natura umana che della natura non umana abbiamo,
spesso inesplicabilmente anche per noi stessi, unimmagine fissa,
ed tale immagine che sottilmente informa un gran numero dei
nostri atteggiamenti verso gli appartenenti a questo o quel sesso,
verso i giovani, verso i vecchi, verso i legami familiari e di
parentela, verso lautorit politica, per non parlare dei diversi
gruppi etnici, ideologici, sociali. Immagini arcaiche di gerarchia
presiedono tuttora alle nostre opinioni circa le pi elementari
differenze tra le persone e tra tutti gli esseri viventi. Il modo in cui
le pi semplici differenze tra fenomeni vengono ordinate
gerarchicamente nella nostra mente, deriva da distinzioni
socialmente ancestrali che risalgono ad un tempo troppo lontano
perch possa essere ricordato.
Tali distinzioni gerarchiche si sono sviluppate nel corso della
storia, spesso prendendo origine da innocue differenze di status
successivamente trasformate in assetti gerarchici veri e propri, in
rapporti di dominazione e obbedienza. Conoscere il presente e
costruire il futuro comporta una comprensione attenta e coerente
del passato, un passato che ci condiziona in vario grado ed
influenza profondamente le nostre idee dellumanit e della
natura.
)l concetto di domina%ione
Allo scopo di sottolineare linfluenza che il passato esercita sul
presente, non posso fare a meno di prendere in esame una delle
33
posizioni fondamentali dellecologia sociale, oggi trasmessa
allattuale pensiero ambientalista. Mi riferisco al concetto, proprio
dellecologia sociale, che tutte le nostre idee di dominio sulle
natura derivano dal dominio reale delluomo sulluomo.
Tale concetto deve essere preso esattamente nel suo senso
letterale. Non solo una visione storica della condizione umana,
anche una sfida alla nostra condizione contemporanea, con
implicazioni di grande portata per quanto concerne la
trasformazione sociale. Sul piano storico, essa afferma senza
equivoci di sorta che il dominio delluomo sulluomo venuto
prima dellidea di dominare la natura. stato il dominio delluomo
sulluomo che ha dato origine allidea stessa di dominio sulla
natura, deliberatamente evito di usare un termine oggi assai di
moda, e cio che il dominio sulla natura comporta il dominio
delluomo sulluomo. Luso di questo verbo mi sembra
particolarmente repellente, perch confonde lordine secondo cui il
dominio si presentato nel mondo e quindi limportanza della sua
eliminazione per raggiungere una societ libera. Gli uomini non
hanno mai pensato di dominare la natura se non dopo aver
cominciato a dominare le donne, i giovani e gli altri uomini. E
finch non elimineremo la dominazione in tutte le sue forme non
potremo creare realmente una societ razionale ed ecologica. Gli
scritti di molti progressisti, oltre che di Marx, ingenerano la
convinzione che siano stati i tentativi di dominare la natura che
hanno condotto al dominio delluomo sulluomo, ma un simile
progetto non mai esistito negli annali di ci che chiamiamo
Storia. Mai nella storia dellumanit accaduto che gli oppressi
di qualunque periodo abbiano gioiosamente accettato la propria
oppressione in virt della convinzione che la loro miseria avrebbe
consentito ai discendenti di qualche era futura di potersi
finalmente liberare dal dominio della natura. Contestare luso di
termini come comportare o condurre, come fa lecologia
sociale, non una pedanteria da Medio Evo. Al contrario, il modo
in cui tali parole vengono usate il risultato di differenze radicali
nellinterpretazione della storia e dei problemi che ci stanno di
fronte.
La dominazione delluomo sulluomo non sorta perch
qualcuno ha creato un meccanismo socialmente oppressivo (la
struttura di classe marxiana, o la megamacchina umana
concepita da Lewis Mumford, o qualunque altra costruzione) allo
scopo di liberarsi dal dominio della natura. E' stata proprio
34
questa nauseabonda idea che ha originato il mito che il dominio
sulla natura richiede, presuppone o comporta il dominio
delluomo sull'uomo.
Tale mito fondamentalmente reazionario implica la concezione
che le diverse forme di dominio, come le classi o lo Stato, abbiano
la loro ragione dessere in condizioni e necessit economiche, e
che la libert possa essere ottenuta solo dopo aver realizzato il
dominio sulla natura con la costituzione conseguente di una
societ senza classi. Il problema della gerarchia, qui, scompare
misteriosamente, perdendosi nellincertezza di idee confuse,
oppure viene fatto rientrare in quello dellabolizione delle classi,
come se una societ senza classi sia necessariamente una societ
senza gerarchia. Se accettiamo la concezione di Engels, e in un
certo senso anche di Marx, dobbiamo infatti ammettere che la
gerarchia sia pi o meno inevitabile in una societ industriale,
anche in regime di comunismo. Progressisti borghesi, conservata,
e anche qualche socialista, si trovano sorprendentemente
daccordo nel ritenere, come ho gi avuto occasione di notare, che
la gerarchia indispensabile per lesistenza stessa della vita
associata, in quanto infrastruttura dellorganizzazione e della
stabilit di fessa.
Sostenendo invece che la concezione del dominio sulla natura
scaturisce dal dominio sugli esseri umani, lecologia sociale
capovolge radicalmente lequazione delloppressione umana e
amplia enormemente il proprio orizzonte. Essa appunta la sua
indagine sui sistemi istituzionali di coercizione, di
comando/obbedienza, che sono venuti prima dellemergere delle
classi economiche, vale a dire che non sono necessariamente
motivati solo sul piano economico. La questione sociale della
disuguaglianza e delloppressione, va dunque al di l dello
sfruttamento inteso in senso puramente economico, e tocca le
forme culturali del dominio, presenti nella famiglia, tra le
generazioni e i sessi, tra i gruppi di diversa etnia, in seno alle
istituzioni politiche, sociali ed economiche, fino alla nostra
percezione della realt nel suo complesso, ivi compresa la natura e
le forme di vita non-umane.
In breve, lecologia sociale pone il problema del comando e
dell'obbedienza a livello personale, sociale, storico e ricostruttivo,
in un modo che comprende e contemporaneamente supera le
anguste interpretazioni economiciste della questione sociale,
che oggi vanno per la maggiore. Lecologia sociale spinge la
35
questione sociale ben oltre i confini ristretti della giustizia, per
entrare nel campo illimitato della libert, al di l di una razionalit,
di una scienza e di una tecnologia del dominio, verso una
razionalit, una scienza e una tecnologia libertarie, al di l di un
orizzonte di riforme sociali, verso un orizzonte di ricostruzione
radicale della societ.
Le prime comunit umane
Noi che viviamo nellera presente siamo tuttora vittime della
nostra storia recente. Il capitalismo moderno, il pi peculiare ed
anche il pi dannoso assetto sociale mai emerso nel corso della
storia umana, identifica il progresso nella competizione e nella
rivalit pi aspre;
lo status sociale nellaccumulazione rapace ed illimitata di
ricchezza; i valori della persona nella meschinit e nellegoismo;
vede nella produzione di merci, di beni specificamente destinati
alla vendita e al profitto, la forza propulsiva di ogni sforzo
economico ed artistico; vede nel profitto e nellarricchimento la
ragion dessere della vita associata.
Nessunaltra societ nota ha reso tali fattori tanto centrali nella
propria esistenza, o, peggio, li ha identificati con la natura
umana come tale. Tutti i vizi che nel passato erano visti come
apoteosi del male, sono stati trasformati in virt, ad opera della
societ capitalista.
Questi attributi borghesi sono tanto radicati nella nostra vita
quotidiana e nel nostro modo di pensare che ci risulta difficile
capire come le societ precapitaliste abbiano potuto fondarsi su di
una concezione dei valori umani nettamente opposta. E' difficile
per la mentalit moderna comprendere come le societ
precapitaliste identificassero loptimum sociale con la cooperazione
piuttosto che con la competizione, con la distribuzione piuttosto
che con laccumulazione, con linteresse pubblico piuttosto che con
il vantaggio privato; con lofferta di doni piuttosto che con la
vendita di merci; con laiuto reciproco piuttosto che con il profitto
e la rivalit.
Questi valori erano identificati come tipici di una natura umana
incorrotta. In certi casi fanno tuttora parte di un appassionato
processo di socializzazione che tende a dar vita a rapporti di
interdipendenza, e non alla cosiddetta indipendenza, aggressiva,
egoista, che sarebbe meglio definire come rozzo individualismo.
Per capire da dove veniamo, socialmente parlando, e come
36
accaduto che siamo diventati quello che siamo, necessario
liberarci dellattuale sistema di valori ed esaminare, sia pur
sommariamente, un corpo di idee in grado di fornirci unimmagine
chiara di una societ pi organica, o addirittura ecologica, emersa
dal mondo naturale.
In tale societ organica, in larga misura preletterata
o tribale, la dominazione era praticamente assente, non soltanto
per quanto riguarda lassetto istituzionale, ma anche nel
linguaggio. Stando ai risultati di analisi linguistiche condotte da
antropologi come Dorothy Lee, in certe comunit indiane (i Wintu
della costa pacifica, ad esempio) mancavano i verbi transitivi
(avere, prendere, possedere, ecc.) che indicano potere
sugli individui e sugli oggetti. Al loro posto, si usava dire che una
madre andava con il suo bambino (e non che lo portava), che
il capo stava col suo popolo, e in genere che la gente viveva
con gli oggetti, e non che li possedeva.
Per quanto tali comunit possano essere state diverse tra loro,
possibile identificare nel loro linguaggio e nel loro comportamento
elementi che rimandano ad un unico corpo di idee, valori e modelli
esistenziali. Come ha osservato Paul Radin uno dei pi valenti
antropologi americani, era presente tra gli individui un
fondamentale senso di rispetto e attenzione reciproca per la
necessit materiali altrui, che Radin definisce il principio del
minimo irriducibile. Ognuno aveva diritto ad accedere ai mezzi di
sussistenza, indipendentemente dallentit del contributo
produttivo fornito. Il diritto di vivere non era messo in discussione,
cosicch concetti come uguaglianza erano privi di significato,
in quanto le disuguaglianze che affliggono noi tutti, dal peso degli
anni a quello delle malattie, venivano compensate dalla comunit.
Le prime concezioni di uguaglianza formale, secondo cui
siamo tutti ugualmente liberi di morire di fame o di abbandono,
non erano ancora arrivate a sostituire luguaglianza sostanziale,
secondo cui anche coloro che erano meno capaci di una completa
attitudine produttiva venivano forniti in misura ragionevole del
necessario a vivere. Secondo quanto ci dice Dorothy Lee in
*reedom and +ulture, luguaglianza esisteva nellintima natura
delle cose, come effetto della struttura democratica della cultura,
non come un principio che doveva essere applicato. In queste
societ organiche non cera nessun reale bisogno di ottenere
luguaglianza, in quanto esisteva in esse un rispetto assoluto per
37
gli esseri umani, per ciascun individuo, indipendentemente dalla
sua et e dal suo sesso.
Linterpretazione della Lee non poteva non essere recepita da
Radin, che ha vissuto per decenni tra gli indiani Winnebago,
godendo della loro totale confidenza. Se dovessi descrivere
brevemente le principali caratteristiche della civilt aborigena, non
avrei esitazipone a dichiarare che sono tre: il rispetto per
lindividuo, Indipendentemente dallet e dal sesso,
l'impressionante livello di integrazione sociale e politica,
lesistenza di_ una sicurezza personale che trascende qualunque
fornai di governo ed ogni tipo di interesse, o conflitto, tribale o di
gruppo &The ,orld o" Primiti!e -an(.
Il rispetto per lindividuo, che Radin pone al primo posto
nell'elenco degli attributi aborigeni, merita particolare attenzione
oggi, in unepoca dove da una parte il collettivo viene identificato
con la negazione dell'individualit, e dall'altra un'orgia di puro
egoismo ha creato individui isolati e atomizzati privi di alcun limite
al proprio ego. Una collettivit forte pu essere favorevole
allindividuo, come sembrano dimostrare certi studi recenti sulle
societ aborigene, assai pi di una societ di libero mercato
composta di esseri egoisti ed aridi. Non meno meraviglioso
delluguaglianza sostanziale raggiunta da molte societ organiche
il modo in cui larmonia comunitaria veniva proiettata verso il
mondo naturale nel suo complesso. Cos come la societ era
organizzata senza strutture gerarchiche, anche la natura era
concepita in modo nettamente non gerarchico. Le testimonianze di
molte cerimonie delle comunit di cacciatori e orticoltori, indicano
chiaramente che i partecipanti consideravano se stessi come
membri di un pi ampio mondo vitale. Le danze tendevano pi a
rappresentare la natura, specialmente gli animali, che ad
esprimere la volont di sottometterla, fosse la selvaggina o
fenomeni atmosferici come la pioggia. La magia, definita nel
secolo scorso la scienza delluomo primitivo, aveva un duplice
aspetto. Da una parte le veniva attribuito un ruolo che pu essere
inteso come coercitivo, nel senso che un determinato rituale
doveva necessariamente produrre un determinato effetto, cos
come oggi accade per la chimica. Ma esistevano anche rituali,
specialmente di gruppo, che probabilmente hanno preceduto le pi
note attivit magiche di causa-effetto ed avevano un carattere
persuasivo, pi che coercitivo. La vita selvaggia era vista come in
un rapporto di dare-avere, secondo il quale la selvaggina si
38
concedeva al cacciatore in quanto parte del gran ciclo
dellesistenza, basato sulla propiziazione, sul rispetto e sul
reciproco bisogno. Lumanit entrava in questo ciclo non meno che
gli animali, e le forme di vita umane e non umane erano viste
come legate da bisogno reciproco, pi che da rapporti di conflitto,
ed in questo senso concedevano se stesse le une alle altre.
Questo fortissimo senso di complementarit, riscontrabile nei
rituali, sembra riflettere un senso di uguaglianza dove le differenze
erano considerate parte di un tutto naturale, e non di una
piramide strutturata gerrchicamente. Il tentativo della societ
organica di porre sullo stesso piano la vita umana e quella non
umana, di vedere luna come partner complementare dellaltra, ha
prodotto una concezione della differenza altamente ugualitaria.
Secondo tale concezione, unentit differente non n migliore
n peggiore delle altre entit: linsieme della differenziazione
determina una maggiore ricchezza del tutto, non la superiorit di
una parte sulle altre. Ciascu- na entit complementare alle altre,
cosicch un maschio e una femmina, per quanto diversi
fisicamente e funzionalmente, apportano particolari attitudini alla
comunit arricchendola culturalmente e materialmente.
In tale mondo di uguaglianza sostanziale, la terra e le altre
risorse che la nostra societ definisce come propriet, erano
disponibili a chiunque ne avesse bisogno. Ma in linea di principio
non potevano essere oggetto di possesso personale e tanto
meno di propriet. Quindi, a quanto sembra, le societ
organiche preletterate erano fondate, oltre che sul principio del
minimo irriducibile, sulluguaglianza sostanziale, sullarte della
persuasione e su di una concezione della diversit vista come
complementarit, anche sullusufrutto. Gli oggetti erano disponibili
alle persone e alle famiglie di una certa comunit in quanto
necessari e non perch posseduti o creati dal lavoro del
possessore.
Luguaglinza sostanziale delle comunit organiche preletterate
non era soltanto il prodotto di strutture istituzionali o di costumi
ancestrali. Faceva parte della sensibilit stessa dellindividuo, del
modo con cui percepiva le differenze, gli altri esseri umani, la vita
non umana, gli oggetti materiali, la terra e le foreste, insomma il
mondo naturale nel suo complesso. La natura e la societ, cos
39
nettamente separate nella nostra societ, e nel nostro modo di
pensare, nelle societ organiche sfumavano gradualmente l'una e
nellaltra, e venivano percepite come un continuum di interazioni
ed esperienze quotidiane.
E' inutile far notare che se l'umanit non dominava la natura,
nemmeno la natura dominava lumanit. A1 contrario, la natura
era vista come una feconda sorgente di vita, un genitore benevolo
e provvido, non un padrone avaro che deve essere costretto a
cedere i mezzi di sostentamento ed i segreti che cela in s.
E' difficile capire completamente luguaglianza sostanziale
esistente nelle societ organiche, se non si riconosce che di quella
visione egualitaria faceva parte anche la natura. Una concezione
della natura come avara avrebbe invece prodotto delle
comunit avare a loro volta, composte di esseri umani egoisti.
Tale natura non era affatto lentit quasi senza vita che oggi
diventata, oggetto di ricerche di laboratorio e materia di
manipolazione tecnica. Era costituita di animali selvaggi che,
secondo la mentalit aborigena, erano anchessi organizzati
secondo linee di parentela come i clan umani; era costituita di
foreste, viste come luoghi capaci di offrire protezione; di forze
cosmiche come venti, piogge torrenziali, il sole ardente, la luna
benigna. La natura permeava letteralmente la comunit non solo
in quanto ambiente provvidenziale, ma soprattutto come una linfa
parentale che teneva uniti tra loro individui e generazioni.
La reciproca lealt di parentela in forma di vincolo di sangue (un
vincolo in cui il senso del dovere nei confronti dei propri parenti
comporta la vendetta contro chi reca loro offesa) era la fonte
organica della continuit comunitaria.
Per quanto questa fonte possa essere poi divenuta fittizia,
specialmente in tempi pi recenti dove la parola parentela
diventata un debole surrogato dei veri legami di sangue, non c
ragione di dubitare della sua rilevanza al fine di stabilire il posto di
ognuno in seno alle antiche comunit umane. Era l'affiliazione in
funzione del sangue, determinata dal fatto di avere in comune sia
gli avi sia i discendenti, che stabiliva se un individuo poteva essere
accettato come parte di un gruppo, chi poteva sposare, le sue
responsabilit verso gli altri nonch quelle degli altri nei suoi
confronti, insomma lintero assetto di diritti e doveri reciproci dei
membri di una determinata comunit.
Era grazie alla realt biologica di questi vincoli di sangue che la
natura penetrava nelle istituzioni fonda- mentali della societ
40
preletterata. La continuit dei vincoli di sangue era uno strumento
atto a definire, letteralmente, lassociazione sociale e la stessa
identit individuale. Che uno appartenesse o no ad un certo
gruppo e quali dovessero essere le sue relazioni con gli altri era
determinato, almeno a livello giuridico, dalla sua situazione
genealogica.
Ma cera anche un altro fatto biologico che definiva la posizione
delle persone in seno alla comunit: lappartenenza al sesso
maschile o femminile. A differenza dei vincoli di parentela! che
erano destinati ad attenuarsi lentamente man mano che altre
istituzioni di tipo non biologico, come lo Stato, andavano a
sostituirsi gradualmente alla genealogia e alla paternit, la
strutturazione sessuale della societ rimasta fino ad oggi, pur
subendo modificazioni a causa dellevoluzione sociale.
Infine, cera un elemento biologico che interveniva a definire gli
individui in quanto membri di un gruppo, let. Come vedremo in
seguito, i primi esempi di condizione fondata su differenze
biologiche sono stati principalmente i gruppi det cui
appartenevano i diversi individui, e le cerimonie che legittimavano
la posizione di ciascuno da tale punto di vista.
La parentela stabiliva il fatto fondamentale che lindividuo
aveva una certa ascendenza in comune con i membri di una certa
comunit. Definiva i diritti e le responsabilit degli appartenenti
ad un medesimo lignaggio, diritti e responsabilit da cui derivava
chi ciascuno poteva sposare in seno ad un certo gruppo
genealogico, chi doveva essere aiutato e sostenuto di fronte alle
normali necessit dellesistenza, a chi poteva essere richiesto
aiuto nelleventualit di questa o quella difficolt. Il lignaggio
definiva, nel senso letterale del termine, lindividuo e il gruppo,
cos come la pelle segna il limite che separa una persona
dallaltra.
Le differenze di sesso, anchesse biologiche allorigine,
definivano il tipo di lavoro svolto da ciascuno nella comunit e il
ruolo di ciascun genitore nellallevamento dei figli. In genere, le
donne raccoglievano il cibo e lo preparavano; gli uomini
cacciavano e svolgevano una funzione protettiva verso la
comunit nel suo complesso. Siffatti compiti fondamentalmente
diversi hanno dato anche origine alle culture di solidariet
femminile, nelle quali le donne costituivano delle associazioni, a
volte informali a volte strutturate, con cerimonie e divinit diverse
da quelle degli uomini, che avevano una cultura propria.
41
Comunque, nessuna di queste differenze di genere (e
lo stesso pu dirsi di quelle genealogiche) inizialmente conferiva
posizioni di comando ad un certo gruppo sessuale n obbligava un
altro allobbedienza. Le donne avevano il pieno controllo del
mondo domestico: la casa, il focolare di famiglia, la preparazione
dei mezzi di sostentamento pi immediati, come le pelli e il cibo.
Spesso, la donna costruiva il proprio riparo, se era abbastanza
piccolo, e tendeva ad avere orti propri, man mano che la societ
si evolveva verso uneconomia orticola.
A loro volta, gli uomini si occupavano di quelli che potremmo
chiamare gli affari civili, cio lamministrazione della politica
comunitaria, sia pur ancora embrionale, come le relazioni tra le
diverse bande, clan, trib, e i casi di ostilit con altre comunit.
Come vedremo, tali affari civili sarebbero poi divenuti assai
complicati, in seguito ai conflitti intercomunitari provocati dagli
spostamenti di popolazione. E cos che in seno alle prime comunit
hanno cominciato ad emergere associazioni di guerrieri, che
finivano per specializzarsi nella caccia ad altri uomini, oltre che
agli animali. ,
Sta di fatto, ad ogni modo, che nei primi momenti dello sviluppo
sociale la cultura maschile e quella femminile erano complementari
e contribuivano insieme alla stabilit sociale, oltre che provvedere
al sostentamento della comunit nel suo insieme. Le due culture
non erano in conflitto reciproco. Non appare credibile che una
comunit umana primigenia avrebbe potuto sopravvivere se la
cultura di uno dei due generi avesse tentato di esercitare un
qualche predominio sullaltra, men che mai se si fosse messa in
posizione antagonistica. La stabilit della comunit richiedeva il
mantenimento di un equilibrio tra elementi potenzialmente ostili,
affinch la comunit stessa potesse sopravviver in un ambiente
particolarmente precario.
Oggi, se crediamo di poter individuare, a posteriori, un ruolo di
comando degli uomini sulle donne delle comunit preletterate in
virt del loro monopolio degli affari civili, perch tali affari
hanno assunto una enorme importanza presso di noi.
Dimentichiamo che le prime comunit umane erano vere societ
domestiche, organizzate soprattutto intorno al lavoro delle donne,
ed erano spesso influenzate fortemente, a livello sia reale che
immaginario, dal mondo femminile. I gruppi di et, invece, hanno
avuto implicazioni sociali pi ambigue. Dal punto di vista fisico, i
vecchi della comunit erano le persone pi deboli, dipendenti, e
42
anche pi vulnerabili nei periodi diffcili. In certe occasioni nelle
quali lesistenza della comunit era minacciata, erano quelli dai
quali ci si aspettava che rinunciassero per primi alla vita. Erano
quindi i membri pi insicuri, psicologicamente oltre che
fisicamente.
Nello stesso tempo, per, i vecchi della comunit erano i
depositari viventi delle tradizioni, delle conoscenze, dellesperienza
collettiva. In un mondo privo di linguaggio scritto, erano i custodi
della cultura comunitaria, coloro che ne difendevano lidentit e la
storia. Questa doppia posizione, di estrema vulnerabilit personale
da una parte e di rappresentazione della tradizione comunitaria
dallaltra, pu aver dato origine ad una tensione che li ha spinti a
migliorare il proprio status, circondandolo di unaureola quasi
religiosa, cio di un potere sociale (di questo appunto si trattava)
capace di renderli pi sicuri man mano che la forza fisica veniva
loro a mancare.
Gerarchie e classi
La logica, unita ad un buon numero di dati antropologici a
nostra disposizione, suggerisce che la gerarchia sia scaturita dal
prestigio degli anziani, che appaiono essere stati coloro che hanno
dato avvio ai primi sistemi istituzionalizzati di comando e
obbedienza. Tale gerontocrazia includeva anche le donne anziane,
oltre che gli uomini. Praticamente in tutte le societ esistenti, fino
ai nostri giorni, si trovano tracce del ruolo fondamentale che essa
ha svolto, nella forma di consigli degli anziani via via adattatisi a
modelli di clan, di trib, di citt o di Stato, oppure in quella di
manifestazioni culturali, come il culto degli antenati o le
norme della buona educazione che prescrivono la deferenza verso
i vecchi, in molte societ diverse.
N il sorgere di un potere sociale maschile ha necessariamente
significato la rimozione delle donne anziane dalla posizione di
privilegio che avevano agli albori di tutte le gerarchie. A figure
bibliche come Sara era riconosciuta grande autorit e prestigio
pubblico, oltre che negli affari domestici, anche nella famiglia
patriarcale e poligamica dei beduini ebrei. In realt, Sara non un
personaggio atipico nel mondo delle famiglie esplicitamente
patriarcali; in molte societ tradizionali accade che le donne che
hanno superato let di mettere al mondo figli acquistino lo status
di ci che viene definita una matriarca, dotata di enorme
influenza in seno alla comunit, superiore a volte a quella degli
43
anziani maschi.
Eppure, anche la gerontocrazia primigenia possedeva tratti
ugualitari. Se una persona viveva abbastanza, poteva diventare
anziana solo nel senso onorifico del termine, oppure poteva
diventare un patriarca (o una matriarca) dominante. In
queste forme antiche, la gerarchia non era cos rigida dal punto di
vista strutturale, a causa di una sorta di mobilit dal basso
allalto, di tipo biologico. La sua esistenza non era ancora
antitetica allo spirito ugualitario delle prime societ comunitarie.
La situazione cambia, comunque, quando gli elementi biologici
che inizialmente tengono in piedi la vita comunitaria diventano
sempre pi sociali, vale a dire man mano che la societ funziona
sempre pi secondo una sua logica, trasformando forma e
contenuto delle relazioni che si instaurano in seno ai gruppi e tra
essi. E' importante notare che gli elementi biologici presenti nelle
relazioni di sangue, nelle differenze di genere, nei gruppi di et,
non scompaiono, una volta che la societ comincia a generare le
sue proprie forze di sviluppo endogeno. La natura continua ad
essere presente in molti di tali mutamenti sociali. Ma la
dimensione naturale della societ viene modificata, complicata,
alterata, dalla socializzazione degli elementi biologici, pur presenti
nella vita sociale di tutti i tempi.
Prendiamo in considerazione uno dei principali cambiamenti
prodottisi nelle prime societ, che avrebbe profondamente
influenzato levoluzione sociale: lincremento dellautorit maschile
sulle donne. fuor di dubbio che la supremazia gerarchica dei
maschi stata il principale e comunque il pi inflessibile sistema
gerarchico intervenuto a corrodere le strutture ugualitarie della
societ umana primigenia. Probabilmente, per, la gerontocrazia
venuta prima della patricentricit, dell'inclinazione sociale verso
i valori maschili, fino alle forme pi esasperate di gerarchia
patriarcale. In effetti, quelli che vengono definiti come tipi biblici
di patriarcato non sono che modificazioni patricentriche della
gerontocrazia, in cui tutti i membri giovani della famiglia, maschi o
femmine che siano, sono totalmente sottomessi aHimperio
assoluto del maschio pi vecchio, e spesso anche della sua
anziana consorte, la cosiddetta matriarca.
Che i maschi giungano a detenere per nascita uno status
speciale nei confronti delle femmine ovviamente un fatto sociale.
Ma poggia anche su elementi biologici rielaborati per particolari
scopi sociali. I maschi sono fisicamente pi grossi, pi muscolosi,
44
e normalmente possiedono pi emoglobina delle femmine
(nellambito dello stesso gruppo etnico); non si pu fare a meno di
aggiungere che producono anche quantitativi significativamente
maggiori di testosterone, un ormone che non solo stimola la
sintesi delle proteine e produce una muscolatura pi sviluppata,
ma sta anche alla base di quelle manifestazioni comportamentali
che associamo con un grado elevato di dinamismo fisico. Negare
tali adattamenti evolutivi, che hanno dato ai maschi una maggiore
attitudine atletica alla caccia degli animali prima, e poi degli altri
uomini, invocando questa o quella eccezione individuale alle
caratteristiche maschili significa, n pi n meno, voler ignorare
un importante dato di fatto biologico.
Nessuno di tali fattori, tuttavia, comporta di necessit la
subordinazione delle donne agli uomini. N verosimile che
labbia determinata. E' certo che il predominio maschile non aveva
alcuna funzione quando il ruolo delle donne era tanto
fondamentale per la stabilit delle prime comunit umane.
Qualunque tentativo di istituzionalizzare la subordinazione delle
donne, stante la ricchezza del loro mondo culturale ed il ruolo
decisivo che svolgevano nel sostentamento della comunit,
sarebbe stato quanto mai pernicioso per larmonia interna del
gruppo. In effetti, lidea stessa di dominazione, per non parlare di
quella di gerarchia, era totalmente estranea alle prime comunit
che si erano socializzate intorno ai valori del minimo irriducibile,
della complementarit, delluguaglianza sostanziale e
dellusufrutto. Questi valori non erano semplice- mente un credo
morale: erano parte di una sensibilit generale nella quale
rientrava tanto il mondo umano quanto quello non umano.
Eppure sappiamo che gli uomini sono arrivati a dominare le
donne e a considerare preminente la propria cultura civile
rispetto alla cultura domestica femminile. Il fatto che ci sia
accaduto in modo sfumato, indistinto, non ha ricevuto lattenzione
che meriterebbe. Le due culture, quella maschile e quella
femminile, hanno continuato ad essere notevolmente distanti luna
dallaltra per lungo tempo, anche perch quella maschile sembrava
orientarsi verso il fronte sociale pratica- mente in tutti i campi
di attivit. Gli affari di tipo civile, patrimonio dei maschi, a poco
a poco hanno acquisito maggior rilevanza rispetto a quelli
domestici pur senza subordinarli totalmente. Esistono molte
cerimonie, nelle societ tribali, dove le donne sembrano concedere
agli uomini poteri che essi in realt non hanno, come il rituale
45
dellattribuzione delle capacit di dare la vita.
Ma man mano che la societ civile diventava pi problematica
a causa di invasioni dallesterno, conflitti tra comunit, e poi
guerre vere e proprie, il mondo maschile diventava sempre pi
assertivo e agonistico, e queste caratteristiche inducono alcuni
antropologi maschi ad attribuire alla sfera civile una maggior
rilevanza, nella propria letteratura, specialmente quando non
possono giovarsi di contatti significativi con donne di qualche
comunit preletterata. Il fatto che il pi delle volte le donne
schernissero la bellicosit maschile e vivessero praticamente per
proprio conto in rapporti personali assai stretti, ritenuto tuttal
pi meritevole di un accenno a pi di pagina nella maggior parte
dei resoconti. La capanna degli uomini apparsa cos come la
contrapposizione attiva della casa delle donne, e lintensa vita
sociale e familiare che qui si svolgeva, con lallevamento dei figli e
la preparazione del cibo, stata quasi dimenticata dagli antro-
pologi maschi, nonostante avesse un peso psicologico
determinante per tutti gli accigliati guerrieri della comunit. In
effetti, la solidariet femminile ha continuato a mantenere una sua
eccezionale vitalit anche molto tempo dopo il sorgere delle
societ urbane. Ma le discussioni femminili vengono disprezzate
come pettegolezzi e il loro lavoro definito servile, anche nelle
societ euroamericane.
Per ironia della sorte, la degradazione delle donne, fino ad allora
sempre variabile e incostante, fa la sua apparizione quando i
maschi cominciano a dar vita a gerarchie tra loro stessi, come ha
efficacemente dimostrato Janet Biehl nel suo splendido lavoro sulla
gerarchia &,hat is Social co.*eminism, in Green Perspectives).
Con laumentare dei conflitti tra comunit, con linstaurarsi di stati
di guerra sistematica e violenza istituzionalizzata, i problemi
civili finiscono per diventare cronici. Richiedono sempre
maggiori energie, maggiore mobilit degli uomini, imponendo un
maggior impegno al settore di competenza femminile per le
necessarie risorse materiali.
Dalla pelle dellabile cacciatore emerge cos una creatura di
nuovo tipo, luomo forte, il grande guerriero. Lentamente,
ogni settore della societ preletterata viene rimodellato in funzione
del mantenimento di queste superiori funzioni civili. Il vincolo
di sangue gradualmente sostituito da impegni di fedelt verso i
compagni di guerra, che potevano appartenere a clan diversi
attraversando cos i lignaggi tradizionali e la loro sacralit. E
46
compaiono gli uomini inferiori, obbligati a fabbricare le armi del
grande guerriero, ad occuparsi del suo sostentamento, a costruire
e abbellire le sue abitazioni, ed infine erigere le sue fortificazioni e
tramandare ai posteri le sue imprese, costruendo imponenti
monumenti funebri e splendidi palazzi.
Anche il mondo femminile, con la sua riservatezza, viene
rimodellato, in modo da poter fornire al grande guerriero giovani
soldati o abili servi, vestiti di cui adomarsi, concubine con cui
trastullarsi e, con lo sviluppo delle aristocrazie femminili, eredi cui
affidare il proprio nome nel futuro. E compaiono tutti quegli
atteggiamenti di plauso alla sua grandezza che sono
comunemente considerati segni di debolezza femminile, dando
rilevanza e predominio ad un assetto, culturale centrato sulla forza
fisica maschile.
Lossequio verso i capi maschi, i guerrieri, i re, non era una
condizione imposta dai guerrieri solo alle donne. A fianco della
donna sottomessa sta limmagine costante delluomo sottomesso,
sulla cui schiena poggia iI piede arrogante del monarca o del
capitalista prevaricatore. Lav sottomissione delluomo alluomo
cominciava gi allinterno della capanna degli uomini, dove
ragazzi spaventati e inesperti erano costretti a sopportare le beffe
dei maschi adulti, oppure quando uomini piccoli erano
disprezzati per i compiti loro affidati, inferiori rispetto a quelli
degli uomini grandi.
La gerarchia, nel suo tentativo di metter fuori la testa
attraverso la gerontocrazia, non comparsa da un momento
allaltro, nella preistoria. Si invece conquistata spazio
lentamente, con cautela, senza farsi notare, crescendo in modo
quasi metabolico man mano che i grandi dominavano i
piccoli, i guerrieri e i loro compagni dominavano i loro seguaci,
i capi dominavano le comunit, e infine i nobili dominavano i
contadini e i servi.
Parallelamente, la sfera civile dei maschi ha cominciato a
prevalere lentamente su quella domestica delle donne.
Gradualmente, il mondo femminile stato posto sempre pi al
servizio di quello maschile. E la solidariet femminile, ben lungi
dallo scomparire, divenuta pi nascosta, assumendo laspetto di
una confidenza che le donne si scambiavano dietro le spalle degli
uomini, celandosi al cospetto delle nuove relazioni civili create
dai maschi.
Pertanto, nelle relazioni tra generi come in quelle tra maschi, il
47
passaggio dallegualitarismo sessuale delle prime societ
preletterate alla priorit maschile non stato improvviso.
Come ha rilevato la Biehl, impossibile separare la dominazione
delle donne ad opera degli uomini dalla dominazione degli uomini
ad opera di altri uomini. I due tipi di dominazione hanno sempre
interagito dialetticamente, reciprocamente rafforzandosi con
atteggiamenti di comando e obbedienza
che hanno pian piano permeato lintera societ, producendo anche
gerarchie tra le donne, sia pur di natura meno stabile. Al livello
pi basso di ogni scala sociale stava sempre lo straniero
immigrato (maschio o femmina che fosse) e i prigionieri di guerra,
che in seguito a mutamenti di ordine economico, sono poi andati
a costituire la popolazione degli schiavi.
La transizione da una societ fondamentalmente domestica
ad una fondamentalmente civile stata condizionata da molti
fattori non facilmente percettibili, ma comunque di grande
importanza.
Molto tempo prima che la dominazione fosse istituzionalizzata,
la gerontocrazia aveva gi dato luogo ad una mentalit strutturata
intorno al concetto che i pi vecchi dovessero comandare e i pi
giovani fossero obbligati ad obbedire. Tale mentalit andava ben
oltre la cura e lattenzione indispensabili perch i pi giovani
venissero istruiti nellarte di sopravvivere. In molte comunit
preletterate^gli anziani acquisivano potere decisionale
occupandosi della celebrazione dei matrimoni, dlie cerimonie di
gruppo, delle dichiarazioni di guerra o di litigi tra persone e clan.
Siffatta mentalit (o condizionamento, se preferite) era gi una
presenza preoccupante che faceva presagire la comparsa di
inconvenienti anche pi gravi man mano che la gerarchla andava
estendendosi nella societ.
In queste prime societ la gerarchia veniva anche rafforzata
dagli sciamani e in seguito da gilde sciamaniche che acquisivano
prestigio e privilegi grazie al loro monopolio delle pratiche
magiche. Che fossero, o no, la scienza delluomo primitivo, le
arti sciamaniche erano comunque assai ingenue nel migliore dei
casi e fraudolente nel peggiore, il che era leventualit pi
frequente, con buona pace di certi culti del giorno doggi e di
tanta letteratura a buon mercato sullargomento. Il ripetersi di
insuccessi nelluso delle tecniche magiche poteva risultare fatale,
e non solo allammalato o alla comunit in crisi. Poteva essere
48
pericoloso allo sciamano stesso, il quale poteva anche finire
infilzato su di una lancia, invece che semplicemente cacciato in
esilio.
Pertanto, come fa notare Paul Radin nel suo eccellente lavoro
sugli stregoni dellAfrica occidentale, le gilde sciamaniche erano
sempre alla ricerca di alleati influenti che ne proteggessero i
membri dallira popolare o dallincredulit. Questi alleati potevano
essere anziani che cercavano cos di compensare il senso di
insicurezza risultante dal decadere delle loro energie, o capi in
ascesa alla ricerca di legittimazione ideologica dal mondo degli
spiriti.
Un ulteriore affinamento della gerarchia venuto quando dallo
status relativamente semplice di uomo forte, il cui prestigio
dipendeva principalmente dai doni che poteva distribuire grazie
allabilit nella caccia, si passati a quello di capo ereditario.
Assistiamo qui alla trasformazione delluomo forte, che per
guadagnarsi lammirazione pubblica deve continuamente compiere
azioni valorose di tutti i tipi, in un consigliere avveduto che riceve
rispetto pur senza aver alcuna prerogativa di potere, fino a
diventare una figura quasi regale che incute timore, per
limpressionante entourage di compagni armati che gli stanno
attorno oppure grazie ad uno status di semidio dotato di poteri
soprannaturali, o entrambe le cose.
Questa lenta evoluzione delluomo forte verso una speciedi
autocrate stata innescata dal determinarsi di profonde
alterazioni nella rilevanza attribuita al vincolo di sangue. Se non
vengono stravolti, i legami di parentela sono straordinariamente
ugualitari. Evocano un senso immediato di lealt, di responsabilit,
di mutuo rispetto e appoggio. Essi si fondano sulla forza morale di
un comune senso della stirpe, sulla convinzione che siamo tutti
fratelli e sorelle (per quanto tali legami ancestrali possano
risultate fittizi nella realt) e non sulla base di interessi materiali,
potere, paura o coercizione.
L'uomo forte prima, poi il capo e infine lautocrate, minano
alla base tale legame fondamentalmente ugualitario. Ci avviene,
ad esempio, attraverso lasserzione della supremazia di una certa
linea di parentela sulle altre, nel qual caso un clan intero che
acquisisce uno status regale o dinastico, di fronte agli altri clan
della comunit. Oppure pu accadere che il
singolo individuo abbandoni i propri parenti e chiami a s un
gruppo di compagni, siano essi guerrieri, servi, o simili, scelti
49
unicamente in funzione della loro abilit o della loro fedelt, senza
alcuna considerazione per i legami di sangue.
Quello che si mette in moto un processo corrosivo. Di nuovo
viene creato un nuovo tipo di persona: una persona che non
appartiene alla genealogia delluomo forte e nemmeno alla
comunit. Come i mercenari del Rinascimento, costui forma con i
suoi compagni una compagnia di tipo militare, priva di
tradizioni o legami di fedelt sociale.
Siffatte compagnie potevano facilmente essere usate contro
la comunit o trasformate in una monarchia e aristocrazia
oppressive. Nella famosa epica sumera, Gilgamesh adotta lo
straniero Enkidu come suo compagno, compromettendo cos
lintegrit di tutto il sistema di parentele che teneva unita la
societ e quindi la complessa rete di relazioni che da esso
derivava, fondamentale per la conservazione dei valori ugualitari
della societ preletterata.
Ci che intendo mettere in evidenza, qui, come la
differenziazione gerarchica abbia rimodellato le rlazioni esistenti
nelle societ primigenie, dando origine ad un sistema di status,
assai prima che emergessero le relazioni strettamente economiche
che stanno alla base di quelle che noi definiamo classi. Lo
status legato all'et si mescolato con le modificazioni di quello
legato al genere; la societ domestica stata posta al servzio
di quella civile; le gilde sciamaniche si sono intrecciate con le
gerontocrazie e i gruppi guerrieri; e questi ultimi hanno
rielaborato i legami di parentela, finendo col ridurre le comunit
tribali fondate sul sangue in comunit territoriali fondate invece
sulla residenza, composte di contadini, servi e schiavi.
Il nostro mondo moderno non che lerede di questopera di
rimodellamento e differenziazione dellumanit, che si
sviluppata, assai prima del sorgere delle classi, in gerarchie dove
le classi sono state, per cos dire, tenute in incubazione. Queste
gerarchie costituiscono ancor oggi il terreno fertile su cui crescono
le prevaricazioni attuate dai gruppi di et, dagli uomini sulle
donne e dagli uomini su altri uomini, insomma il terreno che
produce quel vasto panorama di dominazione che d origine a sua
volta allo sfruttamento soprattutto economico, fondato sulle classi.
Solo pi tardi questo immenso sistema di dominazione sociale
ha prodotto la concezione che la natura doveva essere dominata
dallumanit. Nessuna societ ecologica, per quanto i suoi ideali
possano essere comunitari o pacifici, in grado di rimuovere
50
questo obiettivo finale di dominare il mndo naturale, se non
riesce ad eliminare radicalmente la dominazione delluomo
sulluomo, e quindi lintera struttura gerarchica della societ, nella
quale risiede il principio stesso della dominazione. Una tale societ
ecologica deve riuscire a liberarsi dello strato di gerarchia che la
ricopre, che incrosta le relazioni familiari fra generazioni e generi,
chiese e scuole, amici e amanti, sfruttati e sfruttatori, insomma il
modo stesso di concepire il mondo nel suo complesso.
Come recuperare e anche superare il mondo non gerarchico che
un tempo costituiva la societ umana, con i suoi valori tipici (il
minimo irriducibile, la complementarit e lusufrutto), sar oggetto
della parte finale di questo libro. Per il momento, sufficiente
ricordare che lecologia sociale ha fondato sulla capacit di
comprendere la gerarchia (la sua origine, i suoi scopi, le sue
conseguenze) il proprio messaggio di una societ razionale,
liberatoria, ecologica.
A rischio di ripetermi, voglio sottolineare che il termine
gerarchia deve essere considerato rigorosamente in senso
sociale. Estenderlo a tutte le forme di coercizione significa fondare
tutti i sistemi istituzionalizzati e organizzati di comando e
obbedienza nella natura e ammantarli di un alone di eternit
che si ritrova soltanto nella programmazione genetica degli insetti
cosiddetti sociali. In realt, abbiamo assai pi da imparare dalla
storia dei nostri monarchi umani che non da quella delle regine
che si trovano negli alveari.
Personaggi come Luigi XVI di Francia o Nicola II di Russia, ad
esempio, non sono diventati autocrati grazie ad un fsico o una
personalit geneticamente programmati, ed ancor meno per la
loro acutezza mentale. Essi erano persone inette, goffe,
psicologicamente fragili e piuttosto stupide (il che riconosciuto
anche dai biografi realisti dellepoca), vissute in tempi di
convulsioni rivoluzionarie. Eppure hanno goduto di un potere
praticamente assoluto, fintantoch non intervenuta la rivoluzione
a ridimensionarlo.
Qual era lorigine di tale potere? Esso non pu essere spiegato se
non con la presenza di specifiche istituzioni di supporto
(burocrazia, esercito, polizia, magistratura) che coscientemente
sostenevano lassolutismo, oltre ad una Chiesa ad esso asservita
(e strutturata anchessa secondo un assetto eminentemente
gerarchico); insomma un vasto apparato istituzionale, che aveva
richiesto secoli per essere messo a punto (e che stato
51
rovesciato in poche settimane). A parte gli insetti geneticamente
programmati, nel mondo non umano non abbiamo nulla di
lontanamente simile a queste gerarchie. Se togliamo il termine
gerarchia dal contesto sociale dellesistenza umana, quindi, non
facciamo che creare confusione sulle sue origini e sugli strumenti
per rimuoverla (il che, vorrei aggiungere, una attitudine che
solo gli esseri umani posseggono).
Del pari, anche la parola dominazione andrebbe usata
strettamente nella sua accezione sociale, se non vogliamo
perdere di vista le sue diverse forme istituzionalizzate, specifiche
degli esseri umani. Certo, occasionalmente pu accadere che gli
animali fra loro esercitino qualche forma di coazione, in genere
come individui, a volte come piccole bande che cercano di
accedere a quelli che appaiono come privilegi (anche questa
una parola dai molti significati, come si pu vedere se si
paragonano privilegi di specie diversa tra loro).
Ma tale atteggiamento di dominazione, tra gli animali, non
solo individuale o comunque legato ad un numero limitato di
individui. Esso anche episodico, informale, incostante e, in
particolare tra le scimmie, assai diffuso. E i privilegi che
vengono reclamati dai nostri pi stretti parenti animali variano
considerevolmente da una specie allaltra, anche da un gruppo
allaltro. Istituzioni durature come gli eserciti, la polizia, la
criminalit organizzata, nel mondo animale sono sconosciute, e
dove riscontriamo qualcosa di simile (ad esempio tra i soldati di
insetti come le formiche) esse sono il frutto di comportamenti
genetica- mente programmati, non di istituzioni socialmente
concepite, che possono anche andare incontro a mutamenti
radicali in caso di ribellione.
E' necessario chiedersi perch/ tali istituzioni coercitive sorgano
principalmente tra gli esseri umani, non solo come sorgono. In
altri termini, in virt di quali cause si formata la dominazione
istituzionalizzata e la sottomissione, quale che sia la storia della
loro emergenza e del loro sviluppo?
Come ho gi avuto occasione di notare, lo status comparso tra
i gruppi di et, anche se in forma inizialmente benevola. Quindi un
atteggiamento psicologico di deferenza verso gli anziani era
presente gi nelle antiche societ, anche prima che quelli
cominciassero a pretendere dai giovani veri e propri privilegi. Ho
gi citato le infermit e le insicurezze che let avanzata produce, e
la capacit degli anziani di mettere al servizio della propria
52
posizione, di crescente importanza, la loro esperinza e le loro
conoscenze.
Che la gerontocrazia abbia costituito il presupposto di una
coscien%a di status, fuor di dubbio lapparizione di gerarchie
legate allet il pi delle volte non stata che una questione di
tempo : il processo di socializzazione, con la sua necessit di
istruzione, di conoscenza, di esperienza, garantiva agli anziani la
giustificazione del rispetto loro tributato e, in situazioni difficili, la
possibilit di ottenere una certa quantit di potere.
La forma di status sociale pi importante probabilmente quella
connessa con il potere degli uomini forti, inizialmente
concentrato nella loro persona, in seguito nelle loro compagnie
sempre pi istituzionalizzate. Siamo in presenza, qui, di un
fenomeno complesso e molto sottile. I grandi uomini, come
abbiamo visto, erano rinomati per la generosit, non solo per
labilit. La loro distribuzione rituale di doni al popolo (un sistema
di redistribuzione della ricchezza che assumeva a volte caratteri
nettamente nevrotici, come nei potlatch degli indiani del Nord-
Ovest, dove gli aspri conflitti tra i diversi grandi uomini
portavano alla disaccumulazione orgiastica di ogni loro avere
allo scopo di accumulare prestigio in seno alla comunit) pu
essere stata assai positiva alle origini. La generosit, la
propensione a donare, rientravano in una sorta di galateo
sociale che promuoveva lunit, e quindi la stessa sopravvivenza
della comunit.
Col tempo, e stante la tendenza umana ad ottenere
lapprovazione della comunit, verosimile che la condizione di un
uomo forte abbia finito col significare qualcosa di pi che la
generosit e lapprezzamento per labilit e il coraggio. Questi
erano caratteri maschili assai apprezzati da tutte le comunit
preletterate, cos come esistevano molte particolari abilit
femminili ugualmente apprezzate in quanto tali. Tali caratteri,
come le cerimonie del potlatch sembrano indicare, potevano
facilmente diventare un fine in se stessi. Oppure, in certe
comunit come gli Hopi, ad esempio, ci veniva visto come
socialmente negativo, a causa dellindividualismo che vi si
esprimeva, ed era quindi contrastato. In effetti, quando gli
educatori euro-americani hanno cercato di insegnare ai bambini
Hopi certi sport competitivi, hanno trovato grande difficolt. Le
abitudini hopi erano contrarie alle rivalit e allasserzione
individuale, che venivano considerate dannose alla solidariet
53
comunitaria.
In definitiva, di fronte al manifestarsi delle prime potenziali
gerarchie, le comunit hanno avuto atteggiamenti diversi. In
alcuni casi hanno permesso ad esse di svilupparsi, ritenendole
scarsamente pericolose per la coesione comunitaria, in altri le
hanno fieramente avversate fin dallinizio. Presso certe comunit il
fenomeno ha condotto alla costituzione di gerarchie vere e
proprie, altrove stato arrestato a vari livelli della sua evoluzione
o stato ricacciato indietro totalmente, con il ripristino di una
condizione pi ugualitaria.
Le abitudini, la socializzazione, nonch principi fondamentali
come quelli del minimo irriducibile, della complementarit e
dellusufrutto, possono aver favorito lattenuazione della gerarchia,
pi che il suo sviluppo.
Ci sembra provato, nella storia euroamericana, dal gran numero
di comunit umane totalmente prive, o quasi, di istituzioni
gerarchiche. Sorprendentemente, solo una porzione limitata
dellumanit ha prodotto societ strutturate attorno al prevalere di
gerarchie, classi e Stato. La maggioranza di esse ha in varia
misura evitato questa strada perversa dellevoluzione sociale, o
lha accettata in modo limitato.
Un fatto, per, deve essere notato chiaramente: quando una
comunit si sviluppa verso la gerarchia, le classi,
lo Stato, la sua presenza non pu mancare di influenzare
profondamente le altre comunit che continuano a seguire una
direzione ugualitaria. Una comunit guerriera guidata da capi
aggressivi spinge le comunit vicine, per quanto pacifiche, a
creare anchesse le loro formazioni militari e i loro capi, se
vogliono sopravvivere. Accade cos che una regione intera possa
radicalmente cambiare, culturalmente, moralmente e
istituzionalmente, semplicemente in conseguenza del formarsi di
gerarchie aggressive in seno ad una singola comunit.
Ci esemplificato con precisione dallevoluzione subita dalle
sepolture presso una comunit andina, dove inizialmente insegne
del grado e armi erano del tutto assenti nelle tombe, per poi
gradualmente comparire nelle strutture funerarie successive. Tale
cambiamento attribuibile allemergere di una comunit vicina
che assai prima si era sviluppata verso modelli sociali aggressivi e
guerrieri, condizionando cos la vita intera delle pacifiche comunit
che la circondavano. E questo certamente accaduto in molte
parti del globo, anche non reciprocamente in comunicazione.
54
Non meno importanti sono i cambiamenti che risultano essere
avvenuti nelle societ indiane dAmerica, passate da imperi
centralizzati, guerreschi e quasi statizzati, a comunit
relativamente non-gerarchiche, pacifiche e decentralizzate. Nella
fase centralista e militarista, loppressione di tali imperi
diventata sempre pi gravosa e insopportabile per le comunit che
essi controllavano, al punto che sono stati rovesciati da ribellioni
locali o sono semplicemente crollati sotto il loro stesso peso. Gli
indiani del Midwest, o anche i Maya del Messico, dopo una
vigorosa espansione militaristica hanno finito per scomparire dalla
scena quando non sono pi stati in grado di sostentarsi o di farsi
obbedire dalle popolazioni sottoposte. Questa continua oscillazione
delle istituzioni comunitarie tra centralizzazione e
decentralizzazione, tra comunit guerriere e comunit pacifiche,
tra societ in espansione e societ isolate, tipica delle comunit
occidentali, fino alla nascita degli Stati nazionali in Europa,
durante il quindicesimo e il sedicesimo secolo.
Le donne sono state ridotte al ruolo di spettatrici delle
modificazioni intracomunitarie che hanno dato origine alla
gerarchia, partecipando in maniera poco significativa allo sviluppo.
In tale condizione, hanno condiviso con gli strati inferiori della
gerarchia maschile loppressione e la degradazione che tutte le
elite dominanti infliggono ai loro sottoposti. Gli uomini non si
limitavano a degradare, opprimere le donne, spesso usandole
come oggetti: essi opprimevano e uccidevano anche altri uomini,
in unorgia di massacri e crudelt. I primi re del Medio Oriente
erano riluttanti a prendere prigionieri di guerra, considerandoli
come ribelli potenziali, quindi i nemici catturati erano normalmente
messi a morte piuttosto che fatti schiavi. In seguito, quando si
cominciato ad impiegare schiavi di sesso maschile, essi erano
sfruttati senza piet, specie nelle miniere e nelle produzioni
agricole su vasta scala. La forza fisica maschile, usata per lo
sfruttamento, diventava cos una disgrazia, pi che un vantaggio.
Insomma, le cause della gerarchia non sono un mistero. Sono
pienamente comprensibili quando risaliamo alle loro origini
considerando gli aspetti pi normali della vita quotidiana quali la
famiglia, leducazione dei figli, la segmentazione della societ in
gruppi di et, le attese riposte nei singoli individui in quanto
maschi o femmine, tanto nella sfera quotidiana domestica e in
quella civile quanto negli aspetti pi personali
dellacculturazione o nelle cerimonie comunitarie. E la gerarchia
55
continuer ad esistere, se non modifichiamo questi aspetti della
vita quotidiana radicalmente e non solo in senso economico con
labolizione delle classi.
Bisogna dunque riconoscere che le gerarchie hanno preceduto le
classi, ma anche (come ha dimostrato la Biehl) che in genere la
dominazione degli uomini su altri uomini venuta prima della
dominazione degli uomini sulle donne. Le donne sono diventate le
spettatrici degradate di una civilt maschile che si nutriva a, spese
della cultura femminile, la corrodeva, dando vita alla sua
sistematica manipolazione. Nel tentativo di assorbire la cultura
femminile, gli uomini lhanno piegata e subordinata, ma solo in
parte. La solidariet femminile, i rapporti affettivi, i modelli di vita
femminile, hanno continuato ad esistere dietro le spalle dei
maschi, e spesso fuori del loro campo visivo, in ci che si possono
definire come le alcove segrete della storia.
A loro volta, gli uomini erano spesso oggetto della derisione
femminile, anche nellambito di culture insopportabilmente
patriarcali. N si pu dire che le donne abbiano aspirato sempre a
partecipare alla societ civile, che era verso gli uomini anche
pi brutale che verso gli animali domestici. Non dimentichiamo che
non erano buoi che trascinavano giganteschi macigni su per le
pendici delle piramidi dellantico Egitto, bens uomini, servi e
schiavi maschi, valutati pi convenienti che il bestiame.
Lo Stato
Lapice istituzionale della civilt maschile rappresentato dallo
Stato. Anche qui troviamo una sottile dialettica che, se ignorata,
pu condurci ad una visione semplicistica della formazione dello
Stato, secondo la quale le istituzioni statali compaiono nella storia
allimprovviso, gi pienamente sviluppate e apertamente
coercitive. In realt, tali eruzioni statali, da forme istituzionali
apparentemente democratiche ad altre profondamente
autoritarie, sono un fenomeno pi moderno che premoderno,
soprattutto la repentina sostituzione delle strutture repubblicane
con Stati totalitari. Tranne che in periodi di invasioni, quando
aristocrazie esterne sono state rapidamente imposte a comunit
relativamente ugualitarie, i mutamenti rapidi in seno alle istituzioni
statali hanno costituito sempre una certa rarit. A meno di
limitarsi a considerare come uno Stato sorto, quanto si
sviluppato
e quale sia stata la sua solidit, troviamo notevoli difficolt nel
56
definire lo Stato, ma le difficolt sono inferiori se esploriamo le
forme sotto cui esso si presentato nelle diverse societ.
A livello minimale, lo Stato pu essere considerato come un
sistema professionale di coercizione sociale e non un semplice
organo amministrativo, come ingenuamente considerato dalla
maggior parte della gente oltre che da diversi esperti di politica. Il
termine professionale ha la stessa importanza rivestita dal
termine coercizione. La coercizione esiste in natura, nelle
relazioni inter/personali e anche nelle comunit non gerarchiche
prive di Stato. Se lo Stato viene definito soltanto attraverso il
concetto di coercizione, non possiamo che ricondurlo ad un
fenomeno prettamente naturale, il che falso. Solo quando la
coercizione si istituzionalizza, e diventa una forma di controllo
sociale professionale, sistematico, organizzato, cio, quando la
gente viene espropriata della propria vita quotidiana in seno ad
una comunit e tale vita viene amministrata, da una istituzione
che ha il monopolio della violenza, allora possiamo propriamente
parlare di Stato.
Possono esistere diversi livelli di Stato, vale a dire Stati
incipienti, quasi-Stati, Stati parziali. Ignorare tale gradualit di
coercizione, professionalizzazione e istituzionalizzazione significa
dimenticare che lo Stato, cos come lo conosciamo oggi, il
prodotto di unevoluzione lunga e complessa. I quasi-Stati, e
anche quelli completi, sono stati frequentemente assai instabili,
ed hanno spesso subito emorrage di potere nel corso del tempo,
dando origine a societ essenzialmente prive di Stato.
Da qui gli spostamenti storici da imperi ad elevatissimo livello di
centralizzazione alle societ feudali, ed anche alle citt-Stato di
impostazione nettamente democratica, con frequenti ritorni agli
imperi e agli Stati nazionali, autocratici o repubblicani che fossero.
Il concetto semplicistico che vede gli Stati venire alla luce come
bambini, dimentica limportantissimo processo di gestazione dello
sviluppo statale e genera un bel po' di confusione. Facciamo
tuttora, confusione, infatti, in merito a concetti come Stato,
politica, societ, che invece andrebbero attentamente distinti luno
dallaltro.
N vero che tutti gli Stati sono necessariamente un sistema
istituzionalizzato di violenza che opera negli interessi di una classe
dirigente specifica, come il marxismo ci chiede di credere. Ci sono
molti esempi di Stati che erano essi stessi la classe dirigente e i
cui interessi erano separati, e anche antitetici, da quelli di altre
57
classi privilegiate, dirigenti, in una certa societ. Il mondo
antico ci fornisce casi di diverse classi capitalisti- che, spesso
anche dotate di grandi privilegi e di grande capacit di
sfruttamento, che sono tuttavia state tratte in inganno dallo Stato,
circoscritte e quindi divorate, il che in parte spiega perch una
vera societ capitalistica non sia mai emersa dal mondo antico.
E nemmeno si pu dire che lo Stato rappresenta gli interessi
di determinate classi, come proprietari terrieri, mercanti, artigiani
e simili. Lo Stato tolemaico dellEgitto ellenistico era un interesse
di per s e non rappresentava altri che se stesso. Lo stesso pu
dirsi dello Stato azteco, o incaico, fino a che non sono stati
abbattuti e sostituiti dallinvasore spagnolo. Sotto limperatore
Domiziano, lo Stato romano era diventato il principale interesse
dellimpero e veniva anteposto allaristocrazia terriera che pure
aveva la supremazia nella societ mediterranea.
Ci saranno altre occasioni per parlare dello Stato in seguito,
quando si tratter di distinguere tra Stato e politica e tra politica e
societ. Per il momento, dobbiamo dare unocchiata alle
formazioni di tipo statale che a volte hanno dato origine a diversi
tipi di Stato.
Una struttura in cui prevista la presenza di un capo circondato
da una compagnia di guerrieri che lo sostengono, come nel caso
azteco, gi un tipo di Stato incipiente. Il monarca
apparentemente assoluto veniva scelto nellambito di un clan
regale da un consiglio di anziani, era attentamente saggiato per le
sue qualit e poteva essere rimosso nel caso si fosse mostrato
incapace di far fronte alle sue responsabilit. Come anche nel caso
del militaristico Stato spartano, i capi (o re che fossero) erano
ancora circondati da tradizioni tribali, rimodellate al fine di
produrre la centralizzazione del potere.
Gli Stati mediorientali come lEgitto, Babilonia, la Persia, in
pratica non erano che lestensione della famiglia del monarca.
Formavano una notevole amalgama tra una societ domestica e
una societ territoriale: limpero era primariamente visto come
unestensione diretta del palazzo reale, piuttosto che ununit
amministrativa rigorosamente territoriale. Faraoni, re e imperatori,
nominalmente detenevano la terra (spesso insieme al clero) per
conto di divinit, che si incarnavano nel monarca o erano
rappresentate da questi. Anche gli imperi dei re asiatici e
dellAfrica del Nord erano famiglie, e la popolazione era
considerata come servitori del palazzo e non come cittadini nel
58
senso occidentale del termine.
In effetti, tali Stati non erano semplicemente una macchina di
sfruttamento e controllo nellinteresse di una qualche classe
privilegiata. Erano famiglie con burocrazie ed entourages
dispendiosi, che costituivano Stati fini a se stessi, autoperpetuan-
tesi. Lamministrazione era vista come il mantenimento di una
struttura familiare molto costosa, con monumenti eretti per
glorificarne il potere, il che gravava sulleconomia del paese e
spesso la metteva in crisi. NellEgitto del Regno Antico, le risorse
disponibili venivano devolute in ugual misura tanto alla
costruzione di piramidi, templi, palazzi e castelli, quanto al
mantenimento dellimportantissimo sistema irriguo della valle del
Nilo. Lo Stato egiziano era molto reale, ma non rappresentava
altro che se stesso. Concepito come una casa, con un territorio
sacro allinterno del quale il Faraone incarnava la divinit, lo Stato
quasi coincideva con la societ stessa. In effetti era un massiccio
Stato sociale, nel quale la differenziazione di una politica estranea
alla societ era minima. Lo Stato non esisteva al di sopra della
societ o al di fuori di essa: Stato e societ erano essenzialmente
la stessa cosa, cio una famiglia sociale estesa, non un
assortimento di istituzioni coercitive separato dalla societ come
tale.
La polis greca dellet classica non ci offre unimmagine dello
Stato pi completa di quella mediorientale. Atene pu essere
considerata come lapogeo di una politica distinta sia dalle attivit
sociali (vita familiare, lavoro, amicizie, bisogni materiali), sia
dallamministrazione degli apparati militari, delle burocrazie, del
sistema giudiziario, della polizia, attivit che possono invece
essere indicate come statali. Dal punto di vista di questa triplice
distinzione (sociale, politica e statale) la polis ateniese assai
difficile da definire. Lo Stato, pi esattamente il quasi-Stato creato
dagli ateniesi durante let di Pericle, manteneva caratteristiche
tribali in virt delle quali buona parte della cittadinanza di sesso
maschile veniva coinvolta in attivit apparentemente statali: gli
ateniesi avevano inventato la politica, cio lamministrazione
diretta della cosa pubblica ad opera della comunit nel suo
complesso.
giusto riconoscere che questa comunit politica, o pubblico
dominio, come stato chiamato, faceva parte di un ambito pi
vasto nel quale rientravano cittadini senza alcuna garanzia, e cio
stranieri, tutte le donne (di qualunque classe sociale) e gli schiavi.
59
Questa vasta popolazione non garantita provvedeva i mezzi di
sussistenza necessari a che molti cittadini ateniesi maschi
potessero riunirsi in pubbliche assemblee, partecipare a giurie
ppolari, in una parola amministrare collettivamente gli affari della
comunit. Assistiamo qui alla prima differenziazione della politica
come tale dal livello sociale della famiglia e del lavoro.
Ma era davvero uno Stato, la polis? Che gli ateniesi dellet
classica usassero la coercizione contro schiavi, donne, stranieri e
polis rivali pi che certo. Nellambito del Mediterraneo orientale,
linfluenza ateniese era diventata sempre pi di tipo imperiale,
man mano che la citt forzava altre citt ad unirsi alla Lega di
Deio, controllata da Atene, e le sottoponeva a tassazioni per
procurarsi i fondi necessari al sostentamento dei propri cittadini e
allabbellimento della polis. Le donne, di basso come di alto ceto,
erano per lo pi confinate in casa e obbligate a mantenere
lambito domestico indispensabile per la vita pubblica dei mariti. I
limiti della democrazia ateniese non vengono attenuati dal fatto
che le donne fossero vessate in tutto il mondo mediterraneo, a
volte anche pi che ad Atene. O che gli Ateniesi fossero in genere
meno crudeli dei Romani nel trattare gli schiavi. Ciononostante,
non possiamo ignorare il fatto che Atene nellepoca classica abbia
rappresentato un caso unico, mai visto prima nella storia
dellumanit, grazie alle istituzioni democratiche ivi esistenti, alla
loro estensione, alla fiducia riposta nella competenza dei cittadini
nellamministrazione delle faccende pubbliche. Come vedremo,
tali istituzioni erano un vero esempio di democrazia diretta, nata
da una generale avversione per ogni tipo di burocrazia, sicch si
pu dire che lo Stato ateniese non fosse unentit pienamente
sviluppata.
In effetti, non sar mai sufficientemente sottolineato che Atene,
come altre citt-Stato, avrebbe potuto evolversi in unoligarchia,
considerando il fatto chq numerose citt indipendenti sono
diventate sempre pi autoritarie e stratificate al loro interno. Cos
accaduto a Roma, alle citt-Stato italiane del tardo Medio Evo,
alle federazioni cittadine tedesche, alle municipalit americane del
New England. Il numero di citt indipendenti, evidentemente
libere e decentralizzate che si sono trasformate da comunit
prettamente democratiche in aristocrazie, praticamente infinito.
Ci che invece singolare, di Atene, che la tendenza
apparentemente normale verso loligarchia stata
volontariamente invertita grazie alle radicali riforme introdotte da
60
Solone, distene, Pericle, nella struttura istituzionale della polis. Le
istituzioni aristocratiche sono state costantemente indebolite e
deliberata- mente abolite, o comunque ridotte a semplici corpi
cerimoniali, mentre quelle democratiche sono state dotate di
potere crescente fino a comprendere tutta la cittadinanza di sesso
maschile, indipendentemente dalla propriet e dal censo.
Lesercito stato trasformato in una milizia di fanti, la cui forza
era superiore alla cavalleria aristocratica. Insomma, le
caratteristiche negative della democrazia ateniese, cos comuni
nellambito del Mediterraneo di quellepoca, devono essere
considerate nel contesto di uninversione rivoluzionaria della
tendenza verso loligarchia normalmente presente nella maggior
parte delle citt-Stato.
E' facile rimproverare a questa democrazia il fatto di poggiare
su di una base formata da schiavi e di degradare la condizione
femminile. Ma far ci con arroganza, dopo duemila anni di
pensiero arricchito da un continuo dibattito sociale, significa voler
ignorare uno dei rari momenti di creativit democratica apparsi in
occidente, che hanno nutrito molte tradizioni utopiche e libertarie.
In effetti, lo Stato inteso come apparato specifico e
professionistico radicato negli interessi di classe non compare se
non con lemergere delle nazioni europee moderne. Lo Stato
nazionale, cos come lo conosciamo oggi, spoglia la politica di
tutte le sue caratteristiche tradizionali: democrazia diretta,
partecipazione dei cittadini agli affari di governo, sensibilit per il
benessere comunitario. La stessa parola democrazia subisce
una degradazione. Diviene rappresentativa invece che diretta,
intensamente centralizzata invece che frutto di una libera
federazione tra comunit relativamente indipendenti, e privata
comunque delle sue istituzioni originarie. I cittadini, da persone
istruite e consapevoli, diventano meri contribuenti, gente che
paga in cambio di servizi, e listruzione abbandona il suo
orientamento civico per arrendersi a programmi intesi a stimolare
nei giovani attitudini finanziariamente remunerative. E ancora da
vedere dove ci condurr tale spaventevole tendenza, in un mondo
che sta diventando preda di robot meccanici, di computer che
possono facilmente essere impiegati per scopi di sorveglianza, di
manipolatori genetici quasi totalmente privi di scrupoli morali.
Assume quindi unimmensa importanza conoscere come siamo
arrivati a questa condizione, nella quale il nostro millantato
controllo sulla natura ha in realt sottomesso noi stessi ad una
61
societ pi oppressiva che nel passato. Del pari, decisivo
conoscere con precisione le realizzazioni storiche umane che, per
quanto imperfette, rivelano come la libert pu essere
istituzionalizzata e auspicabilmente estesa al di l di ogni
orizzonte del passato.
Certo non c alcuna possibilit di ritornare allugualitarismo del
mondo preletterato, o alla polis democratica dellantichit classica.
N il caso di desiderarlo. Ogni illusione di atavismo,
primitivismo, ogni tentativo di ricatturare unepoca ormai lontana
con tamburi, sonagli, rituali appositi e canti la cui ripetizione
dovrebbe portare tra noi una qualche presenza sovrannaturale,
tutto ci, innocente o no che sia, ci distoglie dalla necessit di
discussione razionale, di ricerca nel campo comunitario, di critica
rigorosa dellattuale sistema sociale. Lecologia si fonda sulle
meravigliose qualit, sulla fecondit, sulla creativit
dellevoluzione naturale, non su divinit antropomorficamente
concepite, immanenti o trascendenti che siano.
N gioverebbe alla creativit ecologica che ci mettessimo a
quattro zampe, ululando alla luna come lupi o coyotes. Gli esseri
umani sono un prodotto dellevoluzione naturale come gli altri
mammiferi, parte integrante del mondo naturale. Grazie alla loro
stessa natura, allorigine biologica del loro potere intellettuale, essi
sono costruiti proprio per intervenire nella biosfera. La loro
presenza tra gli esseri viventi, per quanto corrotta dallattuale
situazione sociale, rappresenta una modificazione decisiva
dellindirizzo evolutivo, da una forma in larga misura adattativa ad
una potenzialmente creativa. La natura umana in gran parte una
costruzione sociale, frutto della dipendenza prolungata,
dellinterdipendenza societaria, del progressivo aumento della
ragione, delluso di strumenti tecnici per scopi volontariamente
perseguiti. Tutti questi attributi sono contemporaneamente sia
biologici che sociali, e questo rappresenta una delle pi grandi
realizzazioni dellevoluzione naturale.
Le gerarchie, le classi, gli Stati, distorcono le capacit creative
dellumanit. Decidono se la creativit ecologica dellumanit
debba essere posta al servizio della vita o al servizio del
potere e del privilegio. Che lumanit debba irrevocabilmente
separarsi dal mondo vivente a causa della societ gerarchica
oppure essere ricondotta ad esso per mezzo di una societ
ecologica, dipende dalla nostra capacit di capire le origini,
levoluzione e soprattutto la portata della gerarchia, lentit della
62
sua penetrazione nella nostra vita quotidiana, il modo in cui ci
divide in gruppi reciprocamente contrapposti, et contro et,
genere contro genere, uomo contro uomo, assorbendo ogni
dimensione sociale e politica nellambito totalizzante dello Stato. I
conflitti che nascono in seno ad unumanit divisa, strutturata
intorno alla dominazione, conducono inevitabilmente a conflitti con
la natura. La crisi ecologica, con la sua contrapposizione tra
umanit e natura, sorge prima di tutto dalle divisioni all'interno
dellumanit stessa.
La nostra epoca sfrutta con grande abilit tali divisioni,
mistificandole. Le divisioni vengono presentate non come sociali,
ma come personali. I conflitti tra la gente vengono attenuati, o
anche celati, attraverso appelli ad una armonia sociale priva di
qualunque realt nella nostra societ. Come negli atavici rituali,
vari gruppi associativi, con appelli nemmeno troppo nascosti al
mondo degli spiriti e ad uno spiritualismo evanescente, sono
diventati unarena privatizzata dove si impara la riconciliazione;
e ci mentre ovunque intorno a noi si scatenano tempeste di
conflitti che minacciano di distruggerci. Non un caso che
questuso dei gruppi di incontro e della spiritualit, con
intenti edulcoranti e attenuativi, sia diventato cos di moda,
partendo dai loro territori dorigine nella sunbelt americana. E il
frutto di una vera e propria campagna tesa, sotto il nome di
post-modernismo,-a dimenticare il passato, a diluire la nostra
conoscenza della storia, a mistificare lorigine dei nostri problemi,
a stimolare loblio e labbandono dei nostri ideali pi illuminati.
Mai come ora, quindi, stato tanto necessario recuperare il
passato, approfondire la nostra conoscenza della storia,
demistificare lorigine dei nostri problemi, ritrovare la memoria
della antiche forme di libert, dei progressi fatti nella liberazione
dellumanit dalle superstizioni, dallirrazionalit, dalla sfiducia
nelle potenzialit umane. Se dobbiamo rientrare nel flusso
dellevoluzione naturale e svolgere in essa un ruolo creativo,
dobbiamo anche rientrare nel flusso dellevoluzione sociale e
svolgere anche in essa un ruolo creativo.
certo che non sar possibile ritrovare il nostro incanto per
la natura se non ritroveremo prima il nostro incanto per
lumanit e le potenzialit della ragione umana.
63
PUNTI CRUCIALI DELLA STORIA
Fin qui, ho cercato di dimostrare che necessario addentrarsi
nelle pieghe pi intime della vita quotidiana, se davvero vogliamo
sradicare lidea del dominio sulla natura.
Ho sottolineato come il dominio delluomo sulluomo abbia
preceduto lidea di dominio sulla natura, ed anche lemergere delle
classi e dello Stato. Mi sono chiesto (cercando di rispondere) come
siano nate le gerarchie e perch, e come abbiano potuto
differenziarsi sempre pi, fino a diventare gruppi di status
dapprima temporanei e successivamente stabili, che in seguito
hanno prodotto classi e Stati.
La mia intenzione stata quella di lasciare che tali tendenze si
manifestassero attraverso la loro stessa logica, esaminando le
diverse sfumature man mano che si presentavano. Ho
continuamente ricordato al lettore che lumanit, con le sue origini
sociali, un prodotto dellevoluzione naturale, cos come lo sono
gli altri mammiferi con le loro comunit, e che tuttavia gli esseri
umani possono portare una creativit consapevole nello sviluppo
evolutivo della natura e possono migliorarlo, non semplicemente
interromperlo o invertirlo.
Che lumanit sia in grado di svolgere un simile ruolo dipende
dal tipo di societ che sappiamo creare e dalla sensibilit che pu
derivarne. Adesso quindi importante prendere in esame i punti
cruciali della storia, l dove essa ha avuto la possibilit di
indirizzarsi verso una societ ecologica e razionale, invece che
antiecologica e irrazionale.
guerrieri
La prima modificazione sociale che ha mosso la societ in una
direzione preoccupante sia per lumanit che per il mondo
naturale, stata la crescita in senso gerarchico del settore civile di
pertinenza maschile, vale a dire lascesa delle gerontocrazie
maschili, dei gruppi guerrieri, delle elite aristocratiche, nonch
dello Stato. Ridurre tali sviluppi altamente complessi a
64
patriarcato, come molti autori sono propensi a fare, ingenuo e
semplicistico. Gli uomini (termine altrettanto generico quanto
quello di umanit, che ignora loppressione delluomo sulluomo,
oltre che delluomo sulla donna) non si sono semplicemente
impadroniti della societ. N la societ civile maschile si
limitata a sovvertire il mondo domestico femminile in seguito alle
invasioni di pastori indo-europei e semiti a cultura patriarcale, per
quanto tali invasioni abbiano avuto un peso notevole nella
sottomissione di molte antiche comunit dedite allorticoltura. La
rilevanza che certe ecofemministe, insieme ad accoliti di religioni
cristiane e non, attribuiscono a tale teoria della conquista e
dellinvasione non fa che spostare il problema: come successo
che un cambiamento tanto importante quanto il patriarcato si sia
prodotto nelle societ pastorali invadenti? Esistono prove che
lascesa dellambito civile maschile, con la sua attenzione
privilegiata per le questioni intertribali e
belliche, sia stata piuttosto lenta, e daltra parte non sono mancati
casi di comunit pastorali che lasciavano al controllo femminile
settori vitali come la discendenza e la trasmissione del diritto di
propriet, pur essendo siffatte comunit guidate da guerrieri
bellicosi.
In molti casi, la predominanza del settore civile si sviluppata
gradatamente, ed probabile che abbia guadagnato importanza in
seguito ad incrementi numerici delle popolazioni vicine. In effetti,
gli uomini erano necessari al fine di proteggere l comunit nel
suo complesso (donne comprese) dalle scorrerie di altri uomini.
Potevano verificarsi conflitti provocati da comunit orticole
apparentemente pacifiche e matricentriche che tentavano di
cacciare popolazioni primitive di cacciatori-raccoglitori da
territori boschivi che erano destinati ad essere trasformati in
terreni agricoli. Siamo onesti: per quanto matricentriche e
pacifiche, le prime comunit di agricoltori dovevano apparire assai
bellicose agli occhi dei cacciatori che esse cercavano di sfrattare, i
quali per parte loro non erano assolutamente disposti ad
abbandonare la loro vita nomade per intraprendere attivit di
coltivazione. A proposito del dissodamento delle terre a fine
agricolo, le parole di Wovoka, il messia degli indiani Paiute ai
tempi della Danza degli Spettri, verso la fine dellottocento, sono
un esempio di questa mentalit: Dovr io piantare una lama nel
cuore di mia madre, la Terra?.
fuori di dubbio, comunque, che lo spostamento graduale
65
dalliniziale dominio degli anziani verso quello del maschio pi
vecchio (il patriarca), la perdita di influenza degli sciamani
animistici in favore di un clero adoratore di divinit, e lascesa di
gruppi guerrieri culminata in monarchie assolute, abbiano
costituito la principale svolta storica in direzione della
dominazione, deile classi, della formazione dello Stato. possibile
che comunit matricentriche avrebbero dato origine ad
unevoluzione totalmente diversa. Basata sullorticoltura, sulluso
di strumenti semplici, sui principi dellusufrutto, del minimo
irriducibile, della complementarit, e sui valori cosiddetti
femminili dellaffetto e delle cure amorevoli (che in ogni caso
sono stati tramandati fino a noi nella socializzazione dei piccoli), la
societ avrebbe potuto dare un corso relativo alla storia.
Lattenzione che tutte le madri nutrono per i loro figli avrebbe
potuto generalizzarsi nellamore reciproco di tutti per i propri
simili. Uno sviluppo tecnologico fondato su bisogni limitati avrebbe
potuto assumere gradualmente forme anche sofisticate e generare
una profonda sensibilit culturale.
Evitabile o no che fosse, comunque resta il fatto che, al bivio, la
storia ha preso la direzione del patriarcato, del clero, delle
monarchie e degli Stati, e non quella matricentrica e
antigerarchica. I valori guerrieri del combattimnto, della
dominazione di classe, dellimperio statale, sono andati a
costituire linfrastruttura fondamentale di ogni evoluzione verso la
civilt, in Asia come in Europa, nel Nuovo Mondo (Messico e
Ande, ad esempio) come nel Vecchio.
Laspirazione di molti, nel movimento ecologista o femminista, a
tornare a vivere come in un tranquillo villaggio del Neolitico pu
essere compresa, considerati quali sono i risultati della cosiddetta
civilt. Ma lidea che questi hanno di quel mondo lontano,
nonch il loro odio crescente per la civilt come tale, lasciano
spazio a pi di un dubbio. Certo, non verosimile che le primitive
comunit di cacciatori-raccoglitori amassero le ugualmente
primitive comunit di orticoltori pi di Wovoka, che ne
condividessero o meno la fede nella medesima Dea Madre. N
verosimile che con laumento della popolazione le societ di
orticoltori abbiano conservato i teneri sentimenti celebrati da certe
femministe doggi, tanto innamorate del passato. E' possibile che
pastori patricentrici e invasori venuti dal mare abbiano accentuato
unevoluzione che forse, senza di essi, sarebbe stata meno
perversa, ma che sarebbe stata comunque difficile da evitare. Il
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peccato originale della civilt, ammesso che ne esista uno,
probabilmente quello che ha messo i coltivatori contro i cacciatori
(indipendentemente dal fatto che entrambi siano stati
matricentrici e animisti) e, molto tempo dopo, i pastori contro i
coltivatori.
In ogni caso, che le societ fossero di coltivatori o di cacciatori,
in esse erano presenti molti aspetti negativi. Prima di tutto, le
societ tribali e i villaggi sono notoriamente chiusi. Lesistenza
di una discendenza comune, fittizia o reale che sia, porta
allesclusione degli stranieri, eccetto forse quando intervengono le
regole dellospitalit. Sebbene le norme dellesogamia e le
imprescindibili necessit del commercio tendano a favorire
alleanze tra gli interni di un villaggio e gli esterni ad esso, un
esterno pu sempre essere ucciso senza conseguenze da un
interno. Le sanzioni contro il furto, laggressione e lomicidio
valgono esclusivamente per gli interni e i loro parenti, e non
riconoscono alcuna autorit estranea alla discendenza comune.
In realt, le societ tribali sono societ molto chiuse nei
confronti di ogni estraneo, a meno che questi non risulti
necessario per qualche suo talento, oppure per ripopolare la
comunit dopo guerre o epidemie che hanno provocato numerose
vittime, o per un matrimonio. E sono societ chiuse non solo nei
confronti degli estranei, ma spesso anche nei confronti di
qualunque innovazione tecnica o culturale. Nonostante molti
elementi culturali possano diffondersi lentamente da una comunit
tribale ad unaltra, tali comunit tendono ad essere estremamente
conservatrici di fronte alle innovazioni radicali. Nel bene e nel
male, i modelli esistenziali tradizionali tendono a sclerotizzarsi col
passare del tempo. Ogni nuova tecnologia che non sia stata
elaborata allinterno della comunit tende ad essere rifiutata, e per
comprensibilissime ragioni se si pensa agli effetti socialmente
distruttivi che le nuove tecnologie possono avere su costumi ed
istituzioni consacrati dal tempo. Il fatto importante, comunque,
che siffatto conservatorismo rende le comunit tribali assai
vulnerabili al controllo, esercitabile su di esse da altre comunit in
possesso di tecnologie pi efficienti.
Un secondo aspetto negativo delle societ tribali
rappresentato dalle loro limitazioni culturali. Esse sono societ
verosimilmente incapaci di elaborare sistemi complessi di scrittura,
da cui i termini di non letterate e di preletterate che molti
antropologi usano per designarle. Oggi che lirrazionalismo, il
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misticismo e il primitivismo sono diventati piuttosto alla moda tra
la gente bene della classe media (generalmente per conoscenza
attraverso opere scritte), incapacit dei popoli non letterati di
conservare le testimonianze storiche o di comunicare graficamente
guardata con grande simpatia. Ma si dimentica fin troppo
facilmente che lassenza di scrittura alfabetica, oltre a limitare
drasticamente lampiezza del panorama culturale nellepoca
primitiva, ha anche favorito la gerarchia. La conoscenza delle
tradizioni, dei legami ancestrali, dei riti nonch delle tecniche di
sopravvivenza, ben presto diventata territorio riservato degli
anziani che, attraverso lesperienza e linsegnamento di formule da
imparare a memoria, si trovavano nella condizione strategica per
manipolare i pi giovani.
La gerontocrazia, che a mio giudizio stata la prima forma di
gerarchia, si resa possibile poich i giovani dovevano ricorrere
agli anziani per sapere le cose. Non cerano pergamene o libri
che potessero sostituire la sapienza racchiusa nella mente degli
anziani. E gli anziani hanno usato efficacemente tale monopolio
della conoscenza allo scopo di istituire la pi antica forma di
dominazione della preistoria. Lo stesso patriarcato deve una
porzione rilevante del proprio potere alla conoscenza detenuta dal
maschio pi anziano di un clan in virt dellesperienza conferitagli
dallet. La scrittura avrebbe potuto facilmente democratizzare
lesperienza e la cultura sociale, il che era ben noto alle elite
dominanti e specialmente al clero, che ha sempre esercitato un
severo controllo sullalfabetizzazione e ha confinato la capacit di
scrivere nelle mani di impiegati o chierici.
Oggi esiste tanta letteratura mistificatoria sulla vita primitiva. E
importante ricordare alle persone intelligenti che lumanit non
nata in un mondo hobbesiano in cui tutti erano contro tutti; che
i due sessi erano un tempo reciprocamente complementari, sul
piano culturale oltre che su quello economico; che la
disaccumulazione, le donazioni, il minimo irriducibile e
luguaglianza sostanziale costituivano i fondamenti delle antiche
societ organiche; che lumanit viveva in relazione armonica con
la natura in quanto aveva una situazione di armonia al proprio
interno, in seno alle comunit. Allo stesso modo, per, non
possibile ignorare che questo mondo innocente ma vulnerabile di
fronte a tendenze interne verso la gerarchia o ad invasori che
potevano assoggettarlo al potere di minoranze guerriere, non era
esente da difetti che impedivano agli esseri umani di realizzare
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pienamente le proprie potenzialit. Lidea di una humanitas da
tutti ugualmente condivisa, in grado di riunire genti etnicamente e
tribalmente diverse, accomunandole nel progetto di costruire per
tutti una societ realmente cooperativa, era totalmente assente.
Certamente si sono dati, nel tempo, casi di confederazioni tribali,
ma esse avevano per lo pi lo scopo di mitigare un sanguinoso
stato di guerra intertribale, oppure il fine espansionistico di
cacciare le altre genti dalla propria terra. La Confederazione
Irochese, ad esempio, che pure uno dei casi pi celebrati di
cooperazione intertribale fondata su forti tradizioni democratiche,
era totalmente finalizzata al raggiungimento dei propri interessi, e
si era guadagnata lodio feroce di altre popolazioni indiane, come
gli Uroni e gli Illinois, che da essa si erano viste invadere le terre e
devastare le comunit.
Le citt
Dopo il passaggio da uno sviluppo matricentrico ad uno
patricentrico, la successiva svolta storica che incontriamo
stata lemergenza e la crescita delle citt. La citt ha formato
unarea sociale totalmente nuova, un ambito territoriale nel quale
le affinit ancestrali basate sui vincoli di sangue sono state
permanentemente sostituite dal luogo di residenza e dagli interessi
economici.
La portata di tale passaggio e il suo impatto sulla storia, sono
difficili da apprezzare ai giorni nostri. Lurbanesimo ormai parte
integrante della vita sociale moderna, al punto che non viene
nemmeno posto in discussione. Inoltre sempre stato sottolineato
il fatto che la citt ha accelerato lo sviluppo culturale (letteratura,
arte, religione, filosofia, scienza) e ha dato impulso allo sviluppo
economico (tecnologia, classi, divisione del lavoro tra artigianato e
agricoltura), sicch non sempre agevole accorgersi delle nuove
forme di associazione umana prodotta dallurbanesimo.
Forse per la prima volta, almeno per quanto ne possiamo siamo
sapere, gli esseri umani si sono trovati nella condizione di
interagire gli uni con gli altri senza eccessivo riguardo per i vincoli
ancestrali e di sangue. Il concetto che le persone sono
fondamentalmente simili, indipendentemente dalla loro
ascendenza tribale e di villaggio, comincia a prendere il
sopravvento sulle differenze etniche. La citt va sempre pi
sostituendo il dato di fatto biologico del lignaggio e della nascita in
seno ad un particolare gruppo di parentela, con il dato di fatto
69
sociale della residenza e degli interessi economici. Nella citt, la
condizione sociale non semplicemente il frutto della nascita, ma
pu, entro certi limiti, essere scelta ed essere cambiata. Le
istituzioni sociali, insieme alla formazione di un universo
unicamente umano, vengono, a porsi in primo piano in seno alla
societ, spingendo gradualmente la comunit paesana ai margini
della vita sociale. La parentela si ritira sempre pi nellambito del
privato, degli affari di famiglia, e le relazioni di clan tendono a
scomparire, limitandosi a rapporti con i parenti pi immediati,
senza tenere in conto la rete estesa dei cugini di clan.
Di capitale importanza nel nuovo ordine sociale crea- c to dalla
citt il fatto che ora lo straniero, lesterno, pu avere un suo
posto sicuro nellambito di una vasta comunit di esseri umani.
Inizialmente, tale posto non conferiva agli esterni una vera
uguaglianza. LAtene di Pericle, ad esempio, nonostante la sua
dichiarata apertura verso gli stranieri residenti, raramente dava ad
essi la cittadinanza ed il diritto di difendere in tribunale i propri
diritti, se non per bocca di cittadini ateniesi. Cionondimeno le
prime citt davano agli stranieri maggior protezione contro gli
abusi degli interni. In molti casi, le citt che andavano
formandosi raggiungevano un compromesso tra i valori tribali
fondati sui vincoli di sangue e quelli sociali basati sul dato di fatto
della residenza, conferendo agli esterni alcuni diritti basilari che
raramente avrebbero potuto avere nella societ tribale, pur
limitando la cittadinanza agli interni e riconoscendo ad essi uno
spettro pi ampio di diritti civili. Pi che ospitalit, dunque, la citt
offriva agli esterni giustizia, de "acto e de 0ure che fosse, in
forma di protezione garantita da un monarca o, pi tardi, da
leggi scritte. Sia gli esterni che gli interni erano visti come
esseri umani aventi in comune almeno un minimo definito di
diritti, derivanti dal fatto della loro umanit e delle loro necessit.
Con la nascita e lascesa delle citt, lidea embrionale che tutti i
popoli sono in un certo senso un solo popolo prende corpo e
raggiunge una nuova universalit storica.
Non mia intenzione fingere di credere che questo passo
gigantesco verso lo sviluppo dellidea di una humanitas comune
sia avvenuto da un giorno allaltro, o che non sia stato
accompagnato da cambiamenti negativi nella condizione umana,
come vedremo subito. Le citt pi liberali, come le poleis greche
ed in particolare lAtene democratica, hanno ad esempio smesso di
concedere la cittadinanza agli stranieri residenti al tempo di
70
Pericle, come ho gi avuto occasione di notare. Circa un secolo
prima, Solone garantiva senza difficolt la cittadinanza a tutti gli
stranieri che fossero in grado di portare ad Atene talenti ed abilit
ritenuti necessari. Pericle, che pure stato il pi democratico dei
leader ateniesi, ha poi disgraziatamente abbandonato la liberalit
soloniana, trasformando la cittadinanza in un privilegio destinato
solo agli uomini di consolidata stirpe ateniese.
Le prime citt erano anche permeate di credenze e istituzioni
tribali: arcaici atteggiamenti religiosi; deificazione degli antenati
(seguiti dai capi tribali che potevano cos trasformarsi in monarchi
divini); aristocrazie feudali ereditate dalle societ di villaggio del
tardo Neolitico e dellet del bronzo. Daltra parte, ad Atene e
Roma lantica decisionalit assembleare di tipo tribale non solo era
mantenuta, ma era stata riportata in auge e, almeno ad Atene al
tempo di Pericle, dotata di autorit suprema.
Vi era tensione tra la citt e questi atteggiamenti e istituzioni. La
citt ha continuamente cercato di rimodellare le religioni
tradizionali, per trasformarle in religioni civiche che favorissero la
fedelt nei propri confronti. Il potere della nobilt veniva
continuamente eroso, ed il diritto patriarcale sulla vita dei figli era
continuamente preso di mira, allo scopo di suscitare nei giovani
lealt verso istituzioni civiche come la burocrazia e lesercito.
Siffatta tensione non mai scomparsa completamente. Anzi,
per circa tremila anni, essa ha costituito il dramma continuo della
politica civica, manifestandosi attraverso conflitti anche violenti,
come i tentativi delle citt medievali di sottomettere la nobilt
territoriale ed vescovi. Le citt erano portatrici di razionalit, di
giustizia imparziale, di cultura cosmopolita e di individualismo, di
fronte ad un mondo permeato di misticismo, di arbitrariet del
potere, di chiusura parrocchiale, di subordinazione dellindividuo
alla comunit e, significativamente, allimperio delle elite
aristocratiche e religiose.
Almeno legalmente, la citt non ha raggiunto la vera maturit
fino a che limperatore Caracalla nel terzo secolo non ha
proclamato tutti gli uomini liberi dellimpero romano cittadini di
Roma. Le ragioni che hanno spinto Caracalla possono giustamente
essere guardate con sospetto: egli era manifestamente interessato
ad un allargamento della base tributaria dellimpero per far fronte
alle crescenti spese di questo. Cionondimeno, tale provvedimento,
pur solo a livello legale, ha diffuso in tutto il mondo la concezione
che tutti gli esseri umani, schiavi compresi, appartengono alla
71
stessa specie, indipendentemente dalla loro etnia, dal loro censo,
dalla loro occupazione, dalla loro et. Il concetto di un universo
umano riceveva cos legittimazione, ad un livello fino ad allora
sconosciuto, se non tra i filosofi ed in certe religioni (il giudaismo,
oltre che il cristianesimo). La legge di Caracalla, per certo, non
stata sufficiente a dissolvere le barriere che dividevano i diversi
gruppi etnici, le citt, i villaggi. Sia allinterno, vicino alle frontiere
dellimpero, sia al di l di esse, tali differenze erano ancora forti
come nei millenni precedenti. Eppure la legge di Caracalla,
rafforzata pi tardi dellidea cristiana di un mondo unificato dalla
sottomissione ad ununica divinit creatrice e dallaccettazione del
libero arbitrio individuale, ha dato un nuovo assetto allaffinit tra
esseri umani, che non avrebbe potuto emergere senza la citt ed i
suoi valori sempre pi cosmopoliti, razionalistici ed individualistici.
Non a caso il famoso trattato di Agostino in difesa del
cristianesimo si chiamava la Citt di Dio, e i padri del
cristianesimo nutrivano per la citt di Gerusalemme la stessa
affezione che avevano per essa gli ebrei.
Lavvento della citt ha comportato la perdita di molti importanti
elementi tipici della vita degli antichi villaggi. Attraverso la
propriet comunale della terra e delle cosiddette risorse
naturali, si arrivati alla propriet privata. Le classi, categorie
basate sulla propriet e sulla gestione di tali risorse, hanno
sostituito le antiche gerarchie di status cristallizzandosi in
gerarchie economiche, sicch gli schiavi si sono contrapposti ai
padroni, i plebei ai patrizi, i servi ai signori feudali e, in seguito, i
proletari ai capitalisti.
Comunque, non detto che le gerarchie pi antiche,
strutturatesi intorno ai gruppi di status (gerontocrazie, capitanati e
poi burocrazie) fossero scomparse. Al contrario, esse formavano la
base invisibile di ben pi visibli e tempestose relazioni di classe.
Lesistenza dei gruppi di status non veniva posta in discussione, ed
i giovani, le donne, i figli e le masse del popolo minuto hanno
cominciato inconsapevolmente a diventare complici della stessa
dominazione che subivano ad opera delle varie elite. La gerarchia
entrata a far parte integrante dellinconscio umano, mentre le
classi, la cui legittimit era pi facile da porre in questione per via
dellevidente sfruttamento, diventavano laspetto pi rilevante di
unumanit conflittuale ed aspramente divisa.
Dal punto di vista negativo, quindi, la citt ha consolidato la
privatizzazione della propriet, la struttura di classe e la
72
statizzazione completa o quasi. La tensione tra le realizzazioni
conseguenti allemergere della citt e il decadimento di certi
valori, arcaici ma profondamenti sentiti, tra cui lusufrutto, la
complementariet ed il principio del minimo irriducibile, ha dato
origine a quella problematica dello sviluppo umano definita come
la questione sociale. Questa espressione, un tempo cos
popolare nella sinistra, alludeva al fatto che la civilt, nonostante
le sue molteplici realizzazioni, non mai stata pienamente
razionale e priva di sfruttamento. In questa sede, lespressione
viene usata in unaccezione pi etica, per sottolineare come tutte
le pi straordinarie conquiste dellumanit, ottenute grazie alla
civilt, siano state sempre inquinate dal male della gerarchia.
Marx non avrebbe parlato di male, nel suo tentativo di
trasformare la critica del capitalismo in una scienza oggettiva,
priva di connotazioni moralistiche. E' invece a Bakunin che va
riconosciuto il merito di aver introdotto la considerazione del
male nella sua concezione, mostrando come numerose
trasformazioni sociali, per quanto necessarie o comunque
inevitabili, si siano rivelate in seguito come malefiche nel
dramma generale della storia.
In *ederalismo, socialismo e anti.teologismo, Bakunin osserva:
E non esito a dire che lo Stato un male anche se storicamente
necessario, tanto necessario in passato quanto necessaria sar
presto o tardi la sua estinzione, tanto quanto sono state
necessarie per il passato la bestialit primitiva e le divagazioni
teologiche.
A parte il riferimento alla bestialit primitiva (un pregiudizio
assai diffuso pi di un secolo fa, dal quale neanche Bakunin era
immune), c qui il riconoscimento che lumanit si sviluppata sia
attraverso il male come attraverso il bene, sfiorando il
problema della dialettica della stessa civilt. La maledizione
biblica nei confronti dellumanit non era vana: riconosceva in
qualche modo che alcuni mali non potevano essere facilmente
evitati man mano che lumanit stessa emergeva dallanimalit.
Gli esseri umani non avevano coscienza di creare gerarchia
quando riconoscevano autorit agli anziani, non pi di quanto ne
avessero allorch riconoscevano autorit al clero. La capacit di
prevedere quali saranno gli effetti di determinate premesse non
poi cos sviluppata negli esseri umani, che restano, dopo tutto, dei
primati in larga misura inconsapevoli, dalla razionalit pi
potenziale che reale. Da tale punto di vista, per quanto concerne
73
lattitudine ad affrontare i problemi evolutivi della loro realt
sociale, i popoli preletterati non erano meglio equipaggiati di quelli
che sono stati colpiti dagli aspetti peggiori della civilt. La
questione sociale come la vediamo noi oggi, dipende dal fatto
che ci siamo elevati verso la luce della libert con occhi non
completamente aperti, abbagliati da oscuri atavismi, da antiche
gerarchie, da pregiudizi profondamente radicati di cui facile
essere preda, con effetti disastrosi. Abbiamo tra le mani il classico
coltello a doppio taglio: lemancipazione da una parte, la nostra
rovina dallaltra.
Gli Stati na%ionali e il capitalismo
Una terza svolta storica stata quella rappresentata
dallavvento degli Stati nazionali e del capitalismo industriale.
Stato nazionale e capitalismo industriale non vanno
necessariamente insieme, ma il capitalismo ha seguito tanto
rapidamente lascesa degli Stati nazionali da poter essere
considerato un fenomeno ad essi congiunto.
Come fatto in s, la costruzione delle nazioni risale al
dodicesimo secolo, quando Enrico II dInghilterra e Filippo Augusto
di Francia hanno tentato di centralizzare il potere della monarchia
ed acquisire i territori che avrebbero dovuto costituire le proprie
rispettive nazioni. In seguito il potere nazionale avrebbe
lentamente assorbito ogni potere locale, pacificando in modo
definitivo le meschine rivalit tra baronie e citt. I patrimoni
imperiali del mondo antico avevano creato Stati immensi, ma non
durevoli. Risultanti dallunione di gruppi etnici diversi, tali imperi
vivevano in precario equilibrio con le comunit di villaggio che
avevano subito ben poche modificazioni, sia culturali che
tecnologiche, dai tempi del Neolitico.
La funzione principale di tali societ rurali era di fornire ai
monarchi tributi e corve lavorative. Per il resto, erano lasciate a
se stesse. La vita locale era quindi sotterranea, ma intensa.
Intorno a questi villaggi esisteva una certa quantit di terreno
comune, che chiunque poteva coltivare, e sembra provato che
anche i territori privati venissero regolarmente redistribuiti alle
varie famiglie a seconda del modificarsi delle loro necessit. Le
interferenze provenienti dallalto erano minime, in genere. I
pericoli maggiori per queste societ di villaggio derivavano
dallinvasione di qualche esercito o dalle vessazioni dei nobili.
74
Altrimenti, quando non erano tormentate dagli aristocratici o dai
gabellieri, erano lasciate in pace.
In questo tipo di societ, la giustizia era spesso arbitraria. Le
lamentele del contadino greco Esiodo circa il comportamento
egoistico e scorretto dei baroni locali echeggiano problemi che solo
raramente affiorano nella letteratura storica a nostra disposizione.
I codici legislativi elaborati dal monarca assoluto di Babilonia,
Hammurabi, non costituivano la regola nel mondo pre-romano. Pi
di frequente, accadeva che nobili esosi proclamassero ciascuno
leggi proprie, fatte a misura delle proprie necessit. Il contadino
poteva a volte ottenere dal nobile protezione per s e la propria
comunit contro le razzie di qualche invasore, ma giustizia mai. Gli
imperi erano gi troppo grandi per poter essere gestiti sia dal
punto di vista amministrativo sia, ancor pi, da quello giudiziario.
Limpero romano stato uneccezione a questa regola, soprattutto
perch era costituito in larga misura da territori costieri assai
urbanizzati, pi che da plaghe interne con rare citt.
Al contrario, le nazioni europee si sono formate su una base
territoriale continentale che la storia ha forgiato fino a farle
divenire sempre pi facilmente gestibili. Certo, la rete stradale era
scarsa e le comunicazioni primitive. Ma con lascesa al trono di
sovrani energici come Enrico II dInghilterra e Filippo Augusto di
Francia, la giustizia regale ed i burocrati hanno cominciato a
penetrare fin nelle zone pi remote, incidendo sempre pi
profondamente nella vita quotidiana delle popolazioni. E' sicuro
che la giustizia del re venisse accolta favorevolmente dalla
gente comune, poich i suoi funzionari costituivano un
cuscinetto tra larroganza nobiliare e le masse asservite. In
effetti, lo sviluppo degli Stati nazionali stato accompagnato
allinizio da un senso genuino di aspettativa e sollievo.
Ma il potere regale era un centro di interessi in se stesso, non
unagenzia morale per il raddrizzamento dei torti subiti dal popolo,
ed ha finito per diventare altrettanto oppressivo che quello dei
nobili locali che aveva sostituito. Inoltre, non era un docile
strumento per lascesa della borghesia emergente. I sovrani
inglesi di casa Stuart, che nel 1640 hanno catapultato lInghilterra
nella rivoluzione, consideravano la propria nazione come un
appannaggio personale, che sia la potente nobilt sia la ricca
borghesia minacciavano di sovvertire.
Lidea che lo Stato nazionale sia stato formato dalle
borghesie una falsit che fin dora va ridimensionata. Intanto,
75
ci che chiamiamo borghesia nel tardo Medio Evo non era
niente di simile agli industriali, o capitalismo industriale, che
oggi conosciamo. Se si eccettuano alcuni ricchi banchieri e
commercianti che importavano ed esportavano merci su vasta
scala, il borghese nascente era generalmente un mastro artigiano
che agiva allintemo di un sistema associativo altamente
controllato. Era raro che sfruttasse anche un solo proletario, nel
senso che oggi attribuiamo al termine.
Chiaramente, non era impossibile che le disparit economiche
permettessero lascesa di artigiani che emarginavano i propri
apprendisti e trasformavano le proprie gilde in societ privilegiate
ad uso e consumo proprio e dei propri figli. Ma questa non era la
regola. Nella maggior parte dellEuropa, le gilde fissavano i prezzi,
determinavano la quantit e la qualit dei beni prodotti, ed erano
aperte agli apprendisti che con il tempo sarebbero divenuti a loro
volta mastri. E' difficile definire tale sistema, a crescita
attentamente regolata, come capitalistico. Il lavoro era compiuto
prevalentemente a mano, in piccole botteghe dove il mastro
sedeva fianco a fianco dellapprendista, rifornendo un mercato
molto limitato e personalizzato.
Nel tardo Medio Evo, leconomia curtense con la sua elaborata
gerarchia ed i suoi servi della gleba era in disfacimento, anche se
non era ancora completamente scomparsa. Cominciavano a
vedersi agricoltori relativamente indipendenti, che lavoravano
come proprietari della loro terra o come fittavoli di nobili
assenteisti. Guardando il vasto panorama europeo nel periodo tra
il quindicesimo e il diciottesimo secolo, ci che risulta
limmagine di uneconomia mista. Oltre a servi, fittavoli e piccoli
proprietari, cerano artigiani (alcuni abbienti, altri men) che
coesistevano con veri capitalisti, la maggior parte dei quali, per,
si dedicava al commercio pi che allindustria. LEuropa era il
centro di uneconomia mista, non esclusivamente capitalistica, e
la sua tecnologia, nonostante alcuni progressi compiuti nel corso
del Medio Evo, era ancora artigianale, non industriale. Anche la
produzione di massa, come quella del grande arsenale veneziano
(dove lavoravano 3.000 addetti), faceva affidamento sugli
artigiani, ciascuno dei quali lavorava secondo schemi
assolutamente tradizionali, in piccole botteghe e officine.
Queste caratteristiche del mondo cos comera subito prima
della rivoluzione industriale sono molto importanti, perch hanno
condizionato le opzioni sociali che si offrivano allEuropa. Prima
76
della monarchia Stuart in Inghilterra, Borbone in Francia e
Asburgo in Spagna, le citt europee godevano di uno straordinario
livello di autonomia. Le citt italiane e tedesche, in particolare,
anche se non esclusivamente, costituivano veri e propri Stati, forti
del proprio diritto, con assetti politici che variavano dalle semplici
democrazie dei primi tempi alle oligarchie delle epoche successive.
Esse si riunivano anche in confederazioni contro signorotti locali,
invasori stranieri o monarchi assoluti. In questi secoli, la vita
cittadina era florida, non solo economicamente, ma anche
culturalmente. I cittadini dovevano fedelt in primo luogo alla
propria citt e solo subordinatamente ai propri feudatari territoriali
e alle nazioni emergenti.
Il potere crescente degli Stati nazionali, dal sedicesimo secolo in
poi diventato una fonte di conflitti, cos come era stato una fonte
di ordine nei confronti della nobilt riottosa. I tentativi compiuti
dai sovrani al fine di imporre la sovranit regale sulle citt di quel
periodo ha prodotto unera di attacchi quasi insurrezionali contro i
rappresentanti della corona. Venivano distrutti i registri regali,
assaliti i funzionari, demoliti i loro uffici. Nonostante alla persona
del re fosse tributato il rispetto consuetudinariamente dovuto ai
capi di Stato, i suoi editti venivano frequentemente ignorati e i
funzionari incaricati di farli rispettare perfino linciati. La Fronda,
una serie di conflitti avviati dalla nobilt francese e dalla
cittadinanza parigina contro il crescente potere del re, durante la
giovent di Luigi XIV, aveva pratica- mente demolito lassolutismo
e spinto il giovane sovrano ad abbandonare Parigi nellattesa che il
suo potere venisse ristabilito.
Dietro queste rivolte in molte parti dellEuropa, possibile
scorgere il montare della resistenza contro la pretesa degli Stati
nazionali centralizzati di limitare le prerogative delle citt. Queste
rivolte municipali hanno raggiunto il proprio apice allinizio del
sedicesimo seco
lo, quando le citt della Castiglia sono insorte contro Carlo II di
Spagna, cercando di costituire ci che era essenzialmente una
confederazione municipale. La lotta, durata pi di un anno, finita
con la sconfitta delle citt castigliane, dopo alcune vittorie iniziali,
dando lavvio al declino economico e culturale della Spagna, per
quasi tre secoli. Dal momento che la monarchia spagnola era a
quellepoca allavanguardia dellassolutismo reale e svolgeva un
ruolo fondamentale nella politica europea, la ribellione delle citt
castigliane (detta anche dei comuneros, dal nome attribuito ai loro
77
partigiani) ha fornito lindicazione di uno sviluppo alternativo a
quello verso gli Stati nazionali, cio di una evoluzione verso una
confederazione di citt. Per un certo periodo, lEuropa stata in
bilico tra queste due alternative, e solo alla fine del diciassettesimo
secolo lo stato nazionale ha preso il sopravvento sulla concezione
federativa.
Ma questa concezione non morta. Gi era affiorata tra gli
estremisti della rivoluzione inglese che i seguaci di Cromwell
avevano condannato come anarchici svizzeri. Ed riapparsa
nelle confederazioni cui gli agricoltori progressisti hanno tentato di
dar vita nel New En- gland, allindomani della rivoluzione
americana. E poi ancora in Francia, tra i movimenti radicali come
le assemblee di quartiere a Parigi e nelle altre citt, durante la
Grande Rivoluzione, e infine durante la Comune di Parigi nel 1871,
che chiedeva la costituzione di una Comune di Comuni e la
dissoluzione dello Stato nazionale.
Nel periodo immediatamente precedente la formazione degli
Stati nazionali, quindi, lEuropa si trovata ad un bivio. Legato alle
fortune dei comuneros spagnoli o dei sans culottes che affollavano
le sezioni parigine nel 93, il futuro degli Stati nazionali stato non
poco incerto, allinizio. Se il continente si fosse mosso nella
direzione delle confederazioni urbane, la sua storia avrebbe preso
un corso certamente pi favorevole, e forse anche pi
rivoluzionario, democratico e cooperativo del corso assunto nel
diciannovesimo e ventesimo secolo.
Per i motivi fin qui esposti, non affatto certo che levoluzione
verso il capitalismo industriale che oggi conosciamo fosse
storicamente preordinata. Il capitalismo ha accelerato lo sviluppo
tecnologico in misura che non ha precedenti nella storia, e ci un
fatto che non ha bisogno di essere ulteriormente comprovato.
Avrei parecchio da dire sugli effetti che tale sviluppo tecnologico
ha prodotto nei confronti dellumanit e della natura, e su quelli
che a!rebbe potuto produrre in una societ genuinamente
ecologica. Certo , comunque, che anche il capitalismo, come lo
Stato nazionale, non stato una necessit inevitabile, e
neppure il presupposto per linstaurarsi di una democrazia
cooperativa o socialista.
In effetti, c'erano forze non irrilevanti che tendevanp a inibire lo
sviluppo e lascesa del capitalismo. In quanto sistema mercantile
aspramente competitivo, basato sulla produzione per lo scambio e
laccumulo dei profitti, il capitalismo (e la mentalit capitalistica,
78
con limportanza accordata allegoismo individuale) si trovato in
grande conflitto con tradizioni e abitudini profondamente radicate,
ed anche con il vissuto reale delle societ precapitalistiche. Tutte
le societ precapitalistiche privilegiavano la cooperazione rispetto
alla competizione quantunque tali tendenze venissero
comunemente disattese o anche usate per mobilitare forza-lavoro
collettiva al servizio delle elite o dei sovrani. Nonostante ci, la
competizione intesa come sistma di vita era semplicemente
inconcepibile. Certo, anche nel Medio Evo era possibile imbattersi
in comportamenti maschili competitivi, ma questi erano
generalmente orientati, in un modo o nellaltro, verso il servizio
pubblico, non al fine di raggiungere larricchimento personal.
Nel mondo precapitalistico, il sistema mercantile era
essenzialmente marginale, essendo le societ fondate
sullautosufficienza. Dove il mercato assumeva una qualche
rilevanza, durante il Medio Evo, esso veniva attentamente regolato
dalle gilde e dai precetti cristiani contro linteresse ed il profitto
eccessivo. E' vero che il capitalismo sempre esistito (come ha
osservato Marx) negli interstizi del mondo antico (e del mondo
medievale, si potrebbe aggiungere), ma esso non ha mai
raggiunto uno status socialmente dominante. In effetti, la prima
borghesia non aveva vere aspirazioni capitalisti- che, nel senso
che modellava i suoi fini ultimi su quelli dellaristocrazia e quindi
investiva i profitti in terreni, per poter ritirarsi dagli affari e vivere
come laristocrazia feudale.
Lideale del limite, la fiducia della Grecia classica nellaurea
mediocrit, non ha mai perso interamente la propria influenza nel
mondo precapitalistico. Dalla preistoria dellepoca tribale fino al
tempo della Storia, la virt stata intesa nel senso di dedizione
individuale al bene della comunit, ed il prestigio si conquistava
distribuendo la propria ricchezza sotto forma di doni, non
accumulandola.
Non un caso, quindi, che il mercato capitalistico e lo stesso
spirito capitalistico, che propugnavano crescita continua,
accumulo, competizione, e ancora crescita e ancora accumulo,
abbiano incontrato infiniti ostacoli nelle societ precapitalistiche. I
primi capitalisti del mondo antico non hanno quasi mai raggiunto
uno status superiore a quello di funzionari dei sovrani imperiali,
che avevano bisogno di mercanti che acquistassero per loro merci
rare ed esotiche in posti lontani. I loro profitti erano fissi e le loro
ambizioni sociali ridotte.
79
Certo, gli imperatori romani hanno concesso maggiore libert
dazione ai borghesi della loro epoca, ma ciononostante li tosavano
per benino con le tasse ed espropri occasionali. Il mondo
medievale in Europa ha dato alla borghesia mano ancor pi libera,
soprattutto in Inghilterra, nelle Fiandre e nellItalia settentrionale.
Eppure, anche nel pi individualistico mondo cristiano, i capitalisti
hanno dovuto vedersela con linsorgere di sistemi di gilde
associative, che in breve circoscrivevano il mercato, e sono stati
contagiati dai valori aristocratici del lusso e della vita dispendiosa
che si contrapponevano alla virt borghese della parsimonia
finalizzata allaccumulo di ricchezza.
E' certo che in tutta Europa la borghesia era vista come una
sotto-classe alquanto disprezzabile nella sua passione per la
ricchezza, volgare nella sua ambizione di appartenere alla nobilt,
culturalmente incostante nella sua propensione per ii crescere,
pericolosa nella sua mania di innovazione tecnologica. La sua
supremazia nellItalia e nelle Fiandre durante il Rinascimento era
altrettanto instabile. Signori dalle mani bucate come i Medici, che
erano riusciti ad avere il controllo delle principali citt dellItalia
settentrionale, hanno letteralmente divorato i profitti del
commercio in spese folli per la costruzione di palazzi e
monumenti, oltre che per la guerra. Semplici modificazioni subite
dai percorsi commerciali, come lo spostamento dal Mediterraneo
allAtlantico negli anni immediatamente successivi alla presa di
Costantinopoli da parte dei turchi (1453), hanno finito col
costringere le citt-Stato italiane ad occupare un posto secondario
in Europa. Con lesplosione del capitalismo in Inghilterra tale
economia ha guadagnato supremazia nazionale prima e infine
mondiale.
Ma anche questesplosione non stato un fatto inevitabile della
storia, n stata predeterminata da forze sociali che agiscono al
di sopra delluomo. Leconomia e lo Stato inglese erano di
costruzione assai lassa, forse la pi lassa di tutta lEuropa. La
monarchia inglese non ha mai raggiunto lassolutismo di un Luigi
XIV in Francia, n lInghilterra era una nazione chiaramente
definita. Essa sempre stata in conflitto con i suoi vicini celtici
della Scozia, del Galles e soprattutto dellIrlanda, nonostante
infiniti tentativi di incorporare costoro nella societ anglosassone.
N il feudalesimo era profondamente radicato, nonostante la
continua preoccupazione inglese per lo status. Era una societ
porosa, con una storia instabile, dove il mercante prima e poi
80
lindustriale hanno trovato pi che altrove la libert necessaria a
svilupparsi.
La nobilt inglese, a sua volta, era in gran parte unelite nuova
installata dai sovrani Tudor dopo che loriginaria nobilt normanna
si era completamente distrutta nella sanguinosa Guerra delle
Rose, nel quindicesimo secolo. I nuovi nobili, spesso di umili
origini, non erano contrari a investire qualche spicciolo nel
commercio. Allo scopo di guadagnare denaro vendendo lana
allindustria tessile delle Fiandre, essi hanno incamerato
astutamente le terre in comune della popolazione rurale
trasformandole in pascoli per pecore.
Inoltre, lo sviluppo del sistema capitalistico, nel quale i
cosiddetti fattori portavano la lana alle abitazioni delle famiglie,
da dove passava alla tessitura e quindi alla tintura, ba portato al
concentramento di tutti gli addetti in fabbriche, dove erano
obbligati a lavorare in condizioni di estremo sfruttamento e
inflessibile disciplina. In tale modo, la nuova borghesia industriale
riusciva ad eludere le tradizionali restrizioni imposte dalle gilde
nelle citt, dando origine ad una classe di proletari spossessati
tenuti al proprio servizio. Ogni lavoratore poteva cos essere
sostituito da altri, in un mercato del lavoro che si presentava come
libero, dimodoch i salari tendevano a diminuire e i profitti
potevano crescere a dismisura nel nuovo sistema industriale che si
sviluppava in prossimit dei principali centri urbani inglesi.
Nella cosiddetta Gloriosa Rivoluzione del 1688 (da non
confondere con la tempestosa Rivoluzione Inglese del 1640) gli
esosi nobili inglesi e le loro controparti borghesi sono venuti ad un
compromesso. Allaristocrazia veniva concesso di dirigere lo Stato,
mentre la monarchia diventava un puro simbolo dellunit tra le
classi, e la borghesia veniva lasciata libera di occuparsi
delleconomia. Messe da parte le liti tra le varie classi dirigenti, la
classe capitalista inglese si trovata a godere del diritto
praticamente illimitato di saccheggiare lInghilterra e spingere
anche allestero le proprie manovre, reclamando lindia, larghe
porzioni dellAfrica e basi commerciali strategiche in Asia.
Le economie mercantili esistevano gi prima del capitalismo,
coesistendo in realt con diverse economie comunali. Ci sono
periodi del Medio Evo che ci portano la testimonianza di un
affascinante equilibrio tra citt e campagna, tra artigianato e
agricoltura, tra le innovazioni tecnologiche ed il conservatorismo
culturale. Tale mondo, nel diciannovesimo secolo, sarebbe stato
81
idealizzato dagli scrittori romantici e da P. Kropotkin, lanarchico
russo particolarmente sensibile alle varie alternative al capitalismo
offerte dalle societ (e mentalit) cooperativistiche in vari periodi
storici.
Lo sviluppo del capitalismo inglese nel diciottesimo secolo, e la
sua vittoria nel diciannovesimo, hanno alterato radicalmente tali
prospettive. Per la prima volta, la competizione veniva vista come
salutare, il commercio come libero, laccumulo di ricchezza
come prova di parsimonia, e legoismo come prova di un
interesse per se stesso che ha lavorato come mano nascosta al
servizio del bene pubblico. Concetti come salute, libert,
parsimonia e bene pubblico sarebbero serviti a giustificare
lespansione illimitata e il saccheggio spudorato della natura, e
degli esseri umani. Durante la rivoluzione industriale i proletari
inglesi non hanno sofferto meno delle grandi mandrie di bisonti
sterminati nelle praterie americane. I valori e le comunit umane
non sono stati oggetto di minor violenza che gli ecosistemi animali
e vegetali distrutti nelle foreste dellAfrica e dellAmerica Latina.
Parlare del saccheggio perpetrato dallumanit ai danni della
natura significa mistificare la realt della selvaggia spoliazione
perpetrata da uomini ai danni di altri uomini, cos efficacemente
descritta nei romanzi di Dickens e di Zola. Il capitalismo ha
separato da se stessa la specie umana altrettanto brutalmente e
crudelmente di quanto abbia separato la societ dalla natura.
La competizione ha cominciato cos a permeare di s ogni
aspetto della societ, non limitandosi a mettere i capitalisti luno
contro laltro per il controllo del mercato. Ha messo i compratori
contro i venditori, il bisogno contro lavidit, lindividuo contro
lindividuo ai livelli pi elementari dei rapporti umani. Sul mercato,
ogni persona affronta le altre con un ringhio, anche tra i
lavoratori, ciascuno dei quali cerca per ragioni di semplice
sopravvivenza di avere la meglio sullaltro. Nessun moralismo,
nessun pietismo pu cambiare il fatto che la rivalit, ai livelli
financo molecolari della societ, una regola borghese di
esistenza, nel senso pi stretto del termine esistenza.
Accumulare per togliere, far fuori o comunque assorbire il
concorrente una condi%ione essen%iale allesisten%a in un assetto
economico capitalistico. Che anche la natura sia una vittima di
questa furia sociale competitiva, accumulativa ed espansiva,
dovrebbe essere ovvio, se non fosse che esiste una forte tendenza
a fame risalire le origini alla tecnologia e allindustria come tali.
82
Che la tecnologia moderna esalti certi fondamentali fattori
economici, cio lo sviluppo inteso come regola di vita in
uneconomia competitiva e la mercificazione dell'umanit e della
natura, un fatto evidente. Ma la tecnologia e lindustria come tali
non trasformano ogni ecosistema, specie, porzione di suolo, corso
dacqua, e anche gli oceani e laria, in un mero oggetto di
sfruttamento. Essi non monetizzano n danno un prezzo a tutto
ci che pu essere sfruttato nellambito della lotta competitiva per
la sopravvivenza e lo sviluppo. Parlare di limiti di crescita in
seno ad uneconomia di mercato capitalistica non ha alcun senso,
cos come non ne ha parlare di limiti della guerra in una societ
guerriera. Gli scrupoli morali cui oggi danno voce tanti
ambientalisti sapientoni sono tanto ingenui quanto quelli delle
multinazionali sono fasulli. Il capitalismo non pu essere
persuaso a porre un freno al suo sviluppo^ cos come non si
pu persuadere un essere umano a smettere di respirare. I
tentativi di realizzare un capitalismo verde, o ecologico, sono
condannati allinsuccesso a causa della natura stessa del sistema,
che un sistema di crescita continua.
In effetti, i concetti pi fondamentali dellecologia, come
lattenzione allequilibrio, lo sviluppo armonioso verso una
maggiore differenziazione, e infine levoluzione verso una
maggiore soggettivit e consapevolezza, si contrappongono
radicalmente ad uneconomia che omogeneizza citt, natura e
individuo, e che mette gli esseri umani gli uni contro gli altri e
contro la natura, con una ferocia che finir per distruggere il
pianeta. Per generzioni i pensatori di sinistra hanno detto la loro
circa i limiti intrinseci del sistema capitalistico, i meccanismi
interni che lavrebbero portato inevitabilmente
allautodistruzione. Marx si guadagnato il plauso di schiere
infinite di autori per aver previsto che il capitalismo sarebbe
crollato e sarebbe stato sostituito dal socialismo, in seguito ad una
crisi cronica che avrebbe comportato perdita di profitto,
stagnazione economica e lotta di classe da parte di un proletariato
sempre pi impoverito. Osservando oggi gli immensi squilibri
biogeochimici che hanno aperto buchi nello strato di ozono
dellatmosfera ed innalzato la temperatura del nostro pianeta in
seguito alleffetto serra, tali limiti appaiono chiaramente di
natura ecologica. Quale che possa essere il destino del capitalismo
come sistema con i suoi specifici limiti interni sul piano
economico, possiamo comunque affermare apertamente che esso
83
ha dei limiti esterni sul piano ecologico.
Certo, il capitalismo incarna totalmente la nozione bakuniniana
di male, senza peraltro essere socialmente necessario. Dopo
il sistema capitalistico non ci sono altre svolte della storia. Esso
segna il termine del percorso di un lungo sviluppo sociale in cui il
male ha permeato di s il bene e lirrazionalit ha prevalso sulla
razionalit. Per la societ e il mondo naturale, in effetti, il
capitalismo costituisce un punto di negati!it assoluta. Non
possibile migliorarlo, ricostruirlo o rinnovarlo, semplicemente
aggiungendo al termine un prefisso di moda (eco-capitalismo).
Lunica alternativa possibile distruggerlo, perch esso incarna
tutte le malattie della societ, patriarcato, sfruttamento,
statalizzazione, egoismo, militarismo, sviluppo fine a se stesso,
che hanno afflitto la civilt e inquinato tutte le sue conquiste.
84
IDEALI DI LIBERT
Ho parlato dei tentativi popolari di resistere al precipitare della
societ nel male, ad esempio la resistenza opposta allo Stato
nazionale dai comuneros spagnoli o dai sanculotti francesi, e quella
meno diretta degli artigiani e degli agricoltori indipendenti al
capitalismo.
Ma all evoluzione delle istituzioni patricentriche, urbane ed
economiche in senso sempre pi antiumanistico ed antiecologico, i
popoli si sono opposti in scala ben pi vasta e con idee pi
esplosive di quanto ho indicato. Oggi, mentre corriamo il rischio di
perdere ogni coscienza della Storia, ed in particolare della
tradizione rivoluzionaria con la sua carica di utopia alternativa,
importante esaminare i movimenti libertari emersi ad ogni
svolta storica e le idee di libert di cui essi sono stati portatori.
Vedremo cos quanto numerose siano le concezioni che hanno
tentato di frenare il precipitare della civilt nel male. E
troveremo il progresso nel suo vero significato, quello cio che
porta i conflitti sociali ad affrontare problemi di portata sempre
maggiore, fino ad approfondire il concetto stesso di libert.
Per cominciare, voglio operare una distinzione che mi sembra
importante: quella tra lidea di libert e lidea di giustizia. I due
termini sono stati usati tanto frequentemente luno al posto
dellaltro che sono praticamente diventati sinonimi. In realt,
per, la giustizia qualcosa di profondamente diverso dalla
libert, ed indispensabile che tale differenza venga qui
sottolineata. Sul piano storico, le due idee hanno dato origine a
conflitti assai diversificati ed hanno postulato opzioni radicalmente
differenti, fino ai giorni nostri. La distinzione tra le semplici
riforme e le modificazioni fondamentali dellassetto sociale
corrisponde in gran parte a quella tra la richiesta di giustizia e la
richiesta di libert, nonostante le due richieste, in situazioni di
particolare mobilit sociale, si siano spesso strettamente
intrecciate.
Giustizia significa richiesta di equit, di correttezza &"air
pla1(, cio il godimento dei benefici dellesistenza in misura
85
proporzionale al contributo di ciascuno- Per dirla con le parole di
Thomas Jefferson, la giustizia uguale e congrua...,
.fondandosi sul rispetto del principio di equivalenza. La congruit,
o equivalenza, del trattamento che ciascuno riceve (socialmente,
giuridicamente, materialmente) in cambio di ci che d, viene
espressa nella rappresentazione tradizionale della Giustizia intesa
come divinit romana, che tiene in una mano la bilancia, nellaltra
la spada, ed ha gli occhi bendati. I due piatti della bilancia
simboleggiano l possibilit di quantificare, determinare, lequit;
la spada allude al potere della violenza che sta dietro al giudizio
(in situazione di civilt la spada simboleggia lo Stato); la
benda sugli occhi indica la presunta oggettivit del giudizio
medesimo.
Non qui il caso di prendere in esame le complesse teorie della
giustizia elaborate a partire da Aristotele nel mondo antico, fino a
John Rawls ai tempi nostri. Esse considerano argomenti come la
legge naturale, il contratto, la reciprocit, legoismo, che non
hanno attinenza diretta con la nostra trattazione. Ma la benda che
copre gli occhi della Giustizia e la bilncia che questa tiene in
mano simboleggiano una relazione problematica che non
possibile ignorare. Di fronte alla Giustizia, tutti gli esseri umani
sono presumibilmente uguali, nudi, cio spogliati di ogni
privilegio sociale, di particolari diritti, di status. La famosa
esigenza di giustizia ha unascendenza lunga e complessa, Fin
dalle origini delloppressione sistematica e dello sfruttamento, i
popoli hanno dato alla Giustizia, bendata o no che fosse, una
voce, e ne hanno fatto linterprete degli sfruttati di fronte
alliniquit insensibile e alle violazioni del principio di equivalenza.
Allinizio, la giustizia stata contrapposta al canone tribale della
vendetta di sangue, della ritorsione irragionevole per il male fatto
ad un proprio parente. La famosa legge del taglione (occhio per
occhio, dente per dente, vita per vita) veniva applicata
esclusivamente nel caso di torti commessi ai danni di parenti, non
di persone qualsiasi. Per quanto possa apparire razionale sotto il
profilo dellequivalenza di trattamento, lequit tribale era quindi
meschina e chiusa. Nessuno insorgeva per lo straniero offeso o
ucciso, se non qualche suo parente nella patria dorigine. La
ritorsione, inoltre, era frequentemente del tutto arbitraria. Ben pi
di una vita veniva comunemente reclamata per delitti che
esistevano solo agli occhi dellinteressato, con latroce risultato di
faide sanguinose che potevano proseguire per generazioni,
86
coinvolgendo comunit e popoli interi evidentemente non
responsabili di crimini tanto lontani da scomparire dalla memoria
dei contendenti.
La famosa 2restiade di Eschilo (tragica trilogia greca
sullassassinio di una madre ad opera del figlio, in ritorsione
dellomicidio compiuto da essa ai danni del padre di questo) ha
molteplici implicazioni. Tra esse, importante notare il maggior
peso dellobbligo filiale (indipendentemente dal sesso) nei
confronti della madre, in un sistema di cosiddetta legge
matriarcale, dove le donne, e non gli uomini, costituivano
presumibilmente i nodi socialmente riconosciuti della parentela e
del lignaggio. Ma non meno importante (e forse pi3 importante,
almeno per gli Ateniesi dellet classica, che apprezzavano questa
trilogia) era lallusione alla necessit di far uscire la giustizia dal
mondo arcaico di vendetta irragionevole, per portarla in un ambito
di equit razionale e oggettiva, per rendere cio la giustizia
uguale e congrua.
Il che non significa che la giustizia abbia avuto la sua origine in
Grecia. Nel periodo successivo al passaggio dalle societ tribali
alle aristocrazie feudali e monarchie assolute, il bisogno di
giustizia (cio di codici scritti che indicassero con chiarezza le
pene corrispondenti ai vari delitti) era diventato particolarmente
sentito tra gli oppressi. Lequivalenza intesa come giustizia
uguale e congrua stata pian piano depurata delle sue
connotazioni di classe, nel 4euteronomio ebraico come nelle
riforme di Solone ad Atene. La legge romana, che ancor oggi
costituisce il fondamento di gran parte del diritto occidentale, ha
enormemente affinato le prime conquiste popolari, riconoscendo
nel 0us naturale e nel 0us gentium il fatto che gli uomini sono
realmente uguali per natura, sebbene possano essere resi
disuguali dalla societ. Perfino la schiavit veniva interpretata
come un contratto, nel quale lo schiavo era una persona cui era
stata risparmiata la vita in guerra e che in cambio impegnava il
proprio corpo e il proprio lavoro a vantaggio del vincitore.
Il problema della giustizia uguale e congrua, per, che non
tutte le persone sono uguali naturalmente, a dispetto
delluguaglianza "ormale ad esse riconosciuta in una societ
giusta. Alcuni individui nascono fisica- mente forti, mentre altri
al loro confronto sono pi deboli. Oppure esistono marcate
differenze quanto a salute, et, talento, intelligenza, risorse
materiali a disposizione. E tali differenze possono essere banali,
87
ma anche terribilmente importanti, per quanto concerne le
richieste che esse determinano nella vita di tutti i giorni.
Paradossalmente, quindi, il concetto di uguaglianza pu essere
subdolamente usato per trattare con la gente in modo molto
disuguale: pesi uguali vengono imposti ad individui assai diversi
tra loro, che hanno cio diversa capacit di sopportarli. I diritti
cos acquisiti, per quanto possano essere uguali e congrui,
perdono qualunque significato per coloro che non sono in grado di
esercitarli a causa ai qualche inettitudine fisica o materiale. E la
giustizia diviene quindi sostan%ialmente assai disuguale, proprio
perch viene definita solo "ormalmente. Da una societ che si
preoccupa solo delluguaglianza giuridica, cio che non prende in
considerazione le condizioni fisiche o mentali delle persone, pu
nascere facilmente una disuguaglian%a tra uguali.
Invece, le societ tribali ugualitarie si rendevano conto
dellesistenza di tali importanti disuguaglianze e cercavano di
mettere a punto meccanismi di compensa%ione allo scopo di
realizzare unuguaglianza sostanziale. Il principio del minimo
irriducibile, ad esempio, creava una base in grado di superare le
differenze economiche che, nella societ moderna, rendono
enormemente disuguali persone formalmente uguali. Chiunque,
indipendentemente dal sesso, dallo status, dalle capacit, aveva il
diritto di accedere ai principali mezzi di sostentamento, anche chi
non aveva voglia di contribuire alla comunit sul piano materiale.
Tali mezzi non potevano essere rifiutati a nessuno dei membri
della comunit. Ogni qual volta era possibile, agli infermi, ai deboli
e ai vecchi veniva riservato un trattamento speciale, allo scopo di
ugualizzare la loro posizione materiale e minimizzare il loro
senso di dipendenza. Sembra che tale concezione risalga alle
comunit neanderthaliane di cinquantamila anni fa. E' stato
ritrovato, ad esempio, lo scheletro di un uomo maturo affetto da
un grave handicap fisico risalente verosimilmente alla nascita, che
non gli avrebbe permesso di sopravvivere se non avesse ricevuto
una particolare attenzione da parte della comunit. Relativamente
alla vita economica, il principio informatore della giustizia
(disuguaglianza tra uguali) non si era ancora fatto sentire. Le
popolazioni preletterate erano guidate da un altro principio, quello
dell$ uguaglian%a tra disuguali, che costituisce il fondamento dell
ideale di libert.
Il tentativo di ugualizzare disuguaglianze inevitabili, di
compensare ad ogni livello esistenziale, o quasi, le deficienze
88
frutto di circostanze che sfuggono alle possibilit di controllo
(impedimenti fisici di qualunque tipo o la mancanza di certi diritti
per limitazioni dovute a fattori ineluttabili) costituiscono il punto di
partenza di una societ libera. Alludo qui non soltanto agli ovvi
meccanismi compensativi messi in atto per far fronte a situazioni
di malattia o impedimento individuale. Parlo anche di
atteggiamenti, di un modo di vedere le cose tale da produrre un
senso di affetto, di responsabilit, di seria preoccupazione per gli
esseri umani ed anche per quelli non umani, nella convinzione che
le sofferenze, i guai e le difficolt di questi e quelli possono essere
alleviati o rimossi grazie al nostro intervento. Il concetto di
uguaglianza tra disuguali trova verosimilmente il proprio
fondamento emozionale in un atteggiamento di simpatia e di
comunione, in una tradizione che d risalto alla solidariet, perfino
in una sensibilit estetica che riconosce la bellezza della natura e
la libert della vita selvaggia. Lidea essenzialmente libertaria che
quanto passa per giustizia congrua ed uguale pu facilmente
condannare un numero illimitato di persone ad una esistenza
miserabile o peggio, la chiave di volta della libert concepita
come etica. In effetti, realizzare liberamente le potenzialit di
ognuno e soddisfarle pienamente presuppone che tali potenzialit
siano realmente realizzabili, il che significa costruire letica della
societ Sul principio delluguaglianza tra disuguali.
Sottolineo la parola etica, qui. Il principio delluguaglianza tra
disuguali secondo le quali vivevano le comunit preletteratie, era il
frutto di un costume, una sorta di tradizione tramandata. A causa
della chiusura di tali comunit, inoltre, il costume valeva solo per i
membri della comunit stessa, non per gli estranei. Visti nel
panorama generale della societ primitiva, i popoli preletterati
erano vulnerabili alle invasioni da parte ai comunit tecnicamente
pi avanzate, tanto quanto lo erano ad attacchi portati contro le
loro abitudini. Non era difficile che costumi come luguaglianza tra
disuguali si dissolvessero, per essere sostituiti da sistemi fondati
sul privilegio, totalmente privi di ogni idea di giustizia. Una volta
persasi la pratica consuetudinaria della libert, emerso in primo
piano il bisogno di giustizia, surrogato magro ma necessario per
imbrigliare il potere assoluto dei nobili e dei re. Obblighi morali,
che pi tardi sarebbero diventati leggi, hanno cos cominciato a
limitare larbitrio di questi. I profeti biblici, in particolare
lanarchico Amos, non hanno solo scagliato tuoni e fulmini di
retorica contro i privilegiati e i re dei Giudei. Hanno anche esteso i
89
confini delle consuetudini, fondate sulla tradizione, fino allambito
della moralit.
Quindi gli oppressi non hanno pi dovuto andare a cercare negli
oscuri recessi della tradizione lautorit per fronteggiare
lingiustizia. Hanno potuto stabilire codici morali, fondati sui
sistemi di valori esistenti, con i quali sostenere gli scarsi diritti che
reclamavano. Non per stato fatto alcun serio tentativo di
formulare in termini razionali questi diritti, cio di trasformarli in
unetica coerente per renderli accessibili alla ragione e alla
discussione.
La giustizia cos rimasta per molti secoli un fatto morale che
assumeva la forma pi di comandamenti quasi religiosi e spesso
dichiaratamente sovrannatura che di giudizi razionali. Lessere
uguale e congrua alludeva alla precisione, non alla distinzione
ragionata tra diritto e torto. In effetti, il diritto e il torto erano
considerati come stabiliti dal cielo e venivano frequentemente
trattati pi in termini di virt e peccato che di giusto e
ingiusto. Dobbiamo aspettare i Greci e i Romani, con i loro
filosofi oltre che i loro giuristi, per trovare dibattiti ragionati sulla
giustizia, e qualche volta sulla libert, condotti nel linguaggio
secolare del mondo reale.
E' stato tra questi pensatori che la giustizia, concepita come un
fatto razionale e secolare, ha cominciato ad assumere la forma di
un problema etico. La gente ha cominciato a interrogarsi circa le
differenze tra atti giusti e ingiusti, senza pi adottarle
acriticamente come ingiunzioni divine o consuetudini sancite dal
tempo. La libert, a sua volta, ha cominciato ad emergere non solo
come esigenza, ma anche come un complesso articolato di idee,
affinato dalla ^critica e da precisi progetti di ricostruzione sociale.
E' iniziata cos una nuova era dellevoluzione, che diventata non
solo naturale e sociale ma anche etica ed emancipatoria. Gli ideali
di libert hanno cominciato ad essere parte dellevoluzione della
societ giusta, quella che noi oggi chiamiamo societ ecologica.
Libert e mito
Ho operato una distinzione piuttosto netta tra consuetudine,
moralit ed etica perch gli ideali di libert nel corso della storia
hanno preso forme assai diverse, partendo da un approccio
tradizionale per volgersi poi ad uno prescrittivo e infine razionale.
Tali distinzioni non hanno semplicemente un interesse storico.
90
Oggi, la giustizia ben pi intrecciata alla libert che nel passato,
cosicch accade che banali riforme vengano impensabilmente
confuse con trasformazioni sociali radicali. Tentativi di realizzare
una societ giusta attraverso poco pi che qualche modesta
correzione di una societ sostanzialmente irrazionale come
lattuale, si mescolano con tentativi di realizzare una societ libera,
che richiede invece una ricostruzione radicale. La societ doggi, in
effetti, non viene ricostruita, viene semplicemente modi"icata pi
con interventi di natura cosmetica che con trasformazioni
fondamentali. Le riforme in nome della giustizia vengono fatte pi
per gestire una crisi profonda e in crescita, che per, risolverla.
Non meno preoccupante il fatto che la ragione, con le sue
esigenze di critica rigorosa, di analisi, di coerenza intellettuale,
viene sovvertita da un moralismo da quattro soldi, spesso di
natura religiosa, mentre miti misticheggianti invadono anche le
interpretazioni morali della libert, evocando immagini di
liberazione primitivistiche e potenzialmente reazionarie. Questi
ritorni al passato atavico, di norma, sono indirizzati in senso
egoistico pi che sociale. La terapia personale va sostituendo la
politica sotto legida dellauto-liberazione, i fabbricanti di miti si
accompagnano a quelli di religioni per produrre una giungla
lussureggiante di misticismo esotico. E tutto ci viene
contrapposto alla ragione in nome dell Unicit cosmica, una
notte in cui tutte le vacche sono nere, per usare lespressione di
Hegel.
Il carattere regressivo di questa evoluzione deve essere
attentamente preso in considerazione. Le prime idee di libert
erano confinate nellimmaginario mitico. Quindi non potevano
essere realizzate, principalmente perch si esprimevano
attraverso oniriche fantasticherie di un ritorno ad unepoca ormai
inaccessibile, a causa dellabisso che separa anche lumanit
primitiva da un presunto stato di primigenia animalit. Solo nel
mito, come in quello omerico dellisola dei Lotofagi, era possibile
immaginare una condizione in cui la natura predominasse
totalmente e lanimalit pervadesse la comunit umana al punto
da dissolvere perfino la memoria. La serenit dei Lotofagi, che non
hanno volont n senso della propria identit, li spoglia di ogni
percezione del tempo, passato e futuro, ponendoli in quella che si
presenta come uneternit naturale. I marinai di Ulisse, che
hanno lordine di perlustrare lisola, vengono ricevuti con
gentilezza e invitati a cibarsi del frutto mielato del loto, che
91
toglie loro ogni desiderio di ritornare alla propria nave. Essi non
solo diventano contenti di stare, ma dimenticano la loro casa
e se stessi in quanto individui. Come accade nella nostra epoca
terapeutica e mistica, essi non hanno alcun senso di s da
realizzare perch non hanno un s cui far riferimento.
Questa fantasia mitica della preistoria, questo sogno di una
perduta armonia con la natura che pi vegetativa che animale,
un affronto agli esseri umani nel loro complesso, ad esseri che
possiedono lintelligenza oltre alle funzioni fisiologiche. Che la
mente e il corpo siano stati erroneamente contrapposti luna
allaltro dalla religione e da certa filosofia, non toglie il fatto che
siano comunque due cose diverse sotto numerosi aspetti.
Nessuna di queste osservazioni vuole negare che lumanit, nel
passato, sia effettivamente vissuta in vari gradi di armonia con la
natura. Ma tal armonia non mai stata cos statica, immutabile nel
tempo, priva di ogni forma di evoluzione, come quella descritta nel
mondo dei Lotofagi e nelle sue diverse rappresentazioni mitiche.
Qui, lo spiccato carattere di arbitrariet del mito, la sua
indisponibilit allintervento critico della ragione, si arrende alla pi
completa menzogna. Da un punto di vista primitivistico, la
libert assume la connotazione mistificatrice di assenza di
desiderio, di attivit, di volont, una condizione tanto priva di
scopo che lumanit cessa di riflettere razionalmente su se stessa
e quindi diviene incapace di prevenire leventuale emergere di
minoranze dirigenti in grado di dominarla completamente. In
questo mondo mitico e mistificato non c alcuna necessit di
guardarsi dalla gerarchia o di resisterle.
La natura, per quanto primigenia e selvaggia, non cos
immota nel tempo, cos priva di dinamismo, cos eterna, come
potrebbe apparire dal belvedere di una residenza estiva per gente
bene. Tale immagine tipicamente cittadina della natura
tradisce la sua fecondit, la sua ricchezza di cambiamento e di
evoluzione. La natura incessantemente attiva, mentre i Lotofagi
non lo sono. Come vedremo, lideologia dominante favorisce tale
visione statica e inconsapevole del paradiso proprio per rendere
remota la libert e il desiderio di essa impossibile da realizzare.
Senza dubbio lisola dei Lotofagi un mito regressivo, che sogna
un ritorno allinfanzia e alla passivit, allo stato in cui il neonato
non fa che rispondere alle carezze, al seno materno pronto a
nutrirlo e si lascia cullare in una tranquilla ricettivit da una madre
amorosa. Il fatto che lespressione pi antica per indicare la libert
92
sia la parola sumerica amargi, che significa anche ritorno alla
madre, ha un interpretazione ambigua. Pu avere unaccezione
regressiva, ma pu anche alludere alla convinzione che in passato
la natura fosse benigna e che la libert possa esistere solo
nellambito di una societ matricentrica.
Che la libert dovesse essere conquistata attraverso l'attivit, la
volont e la coscienza, dopo levoluzione della societ oltre le
semplici consuetudini, e che fosse necessaria la speranza di poter
raggiungere un rapport nuovo, razionale ed ecologico tra
lumanit e la natura, era un fatto ancora da scoprire. In effetti,
una volta spezzati i legami tra lumanit e la natura, questo
stato il duro compito della storia. Ritornare al mito, oggi, significa
porre le basi di un quietismo pericoloso che abbandona le
conquiste della storia per immergersi nel mondo atavico, spesso
solo immaginario, della preistoria. Un simile ritorno ci spinge a
dimenticare la storia e la ricca esperienza che essa pu offrirci. La
personalit umana si dissolve nellambito di uno stato puramente
negativo che precede lo sviluppo evolutivo naturale verso livelli
superiori di sensibilit e coscienza di s. Avviene cos che la
natura prima venga denigrata, degradata, che la sua ricca
dinamica sia negata a favore di unimmagine fissa e statica del
mondo naturale, dove levoluzione multicolore della vita ridipinta
di tinte tenui e sbiadite, senza forma, senza attivit, senza
movimento e direzione propria.
Queste immagini vegetative dellet delloro, che vengono
ripescate oggi dalle correnti mistiche del movimento ecologista
americano, inglese e centro-europeo, non sono generazione
diretta delle classi oppresse della storia. Vero che, quando la
vita tribale ha lasciato il passo alla civilt in Medio Oriente,
Egitto ed Asia, i sogni utopici delle classi inferiori si sono
impregnati di un senso di perdita e della nostalgia di un ritorno
al giardino dellEden. La gente parlava con desiderio dell'et in cui
il leone e lagnello vivevano fianco a fianco e la natura forniva ad
unumanit armoniosa tutto il necessario per vivere. La condizione
umana era concepita in termini di unet delloro successivamente
seguito da unet dellargento meno paradisiaca, per poi
concludersi quella del ferro, che aveva aperto la porta a conflitti,
guerre e ingiustizie, il tutto destinato a ripetersi per leternit
come le stagioni dellanno. La storia non era vista in senso
evolutivo, ma semplicemente come la continua ripetizione ciclica
di degenerazione e rinascita.
93
Non si creda, comunque, che tale immaginario fosse proprio
esclusivamente degli oppressi. La fede in una relazione puramente
passiva con la natura e gli esseri viventi non umani era pi
funzionale, storicamente, agli interessi delle classi al potere che a
quelli delle classi subalterne, anche se veniva frequentemente
evocata nei sogni ad occhi aperti degli oppressi. Prima di tutto, tali
immagini non erano altro che sogni, appunto, miti funzionanti
come valvole di sicurezza per le insoddisfazioni reali e concrete
degli inferiori, atte a deviare lattiva volont di cambiamento verso
rituali catartici e desideri innocui. Organizzati da preti e
sacerdotesse, venivano sfruttati come rappresentazioni sceniche
attentamente coreografate al ritmo dei tamburi e al suono dei
flauti, incanalando in una liturgia programmata la rabbia che
altrimenti avrebbe potuto sfociare nellazione, generando radicali
trasformazioni sociali. Nessuna societ mai ritornata al suo
passato doro. Al contrario, limmagine di ciclo inevitabile, con la
sua speciosa promessa di un eterno ritorno, rafforzava la
manipolazione pretesca dei fedeli sottomessi.
Estrema ironia, limmagine di una perduta et delloro veniva
usata per giustificare la tirannia di quella del ferro. Preti,
monarchi e nobili concordavano nello spiegare la perdita dellet
delloro come la pena imposta allumanit per un qualche
peccato originale. Per colpa di va, che aveva indotto Adamo a
cibarsi del frutto dellalbero della conoscenza, oppure di Pandora,
che aveva aperto il vaso contenente i mali del mondo, il paradiso
era stato perduto, si diceva, perch l'uomo aveva violato il proprio
patto con lentit soprannaturale. In somma, il male aveva colpito
lumanit per sua stessa colpa, non per lemergere della gerarchia,
della propriet, dello Stato, delle elite dirigenti.
Quindi era necessario un governo, nelle sue varie forme, allo
scopo di disciplinare unumanit riottosa e priva di quel senso
dellobbedienza indispensabile per mantenere in ordine il mondo.
Ecco che i miti retrospettivi dellet delloro risultano
significativamente presenti non solo tra gli oppressi, ma anche
nella letteratura dei loro oppressori. Tali miti sono stati
capziosamente usati per giustificare la dominazione sulle donne,
nella storia di Pandora, e il dominio sugli uomini, nellOdissea, un
poema profondamente aristocratico in cui lisola che Ulisse
incontra subito dopo quella dei Lotofagi retta dal bieco
patriarcato dei Ciclopi. Tutto ci dimostra sorprendentemente
come queste rappresentazioni non facciano distinzione di sesso
94
quando si tratta di giustificare la sottomissione. Non meno delle
donne, anche gli uomini cadono vittime dei vari esseri demoniaci
che governano le isole toccate da Ulisse nel suo viaggio, ciascuna
delle quali sembra essere la rappresentazione di unera mitica. I
pur goffi tentativi del razionalismo greco di individuare un senso
nella storia, intendendola come progresso pi che come ritorno al
passato, sono decisamente pi avanzati delle immagini basate
sulle false concezioni di una natura ciclica e fondamentalmente
statica. La storia del popolo greco scritta da Tucidide, nella parte
introduttiva dellopera La guerra del Peloponneso,
impeccabilmente secolare e naturalistica. Non vi sono miti a
intralciare la sua cronaca rigorosa basata sui fatti, mentre descrive
linsediamento della comunit greca e la nascita della polis. Secoli
dopo, Diodoro Siculo ha un approccio nettamente realistico nella
sua storia dellevoluzione umana dalla preistoria alla storia, una
rappresentazione drammatica di mutamenti che rompe ogni
legame con miti, cicli, provincialismo. Lattenzione di Diodoro non
attirata soltanto dai Greci, ma dalla razza di tutti gli esseri
umani e la loro storia nelle porzioni conosciute della terra abitata.
Il cristianesimo, nonostante la sua ambivalenza ed il rifiuto del
secolarismo dei cronisti greci, ha portato un senso della storia e
del futuro, offrendo redenzione alle masse prigioniere nei cicli
delleterno ritorno. Che padri cristiani come Agostino abbiano
parlato della perdita dellinnocenza nel Giardino dellden non
strano in una religione che non ha fatto che adattarsi allautorit e
allo Stato romano. Ma alle origini, quando il cristianesimo era un
movimento popolare giudaico, anche sovversivo, il problema
veniva affrontato in modi assai diversi, che lasciavano spazio tanto
ad interpretazioni conservatrici che rivoluzionarie. La religione
giudaica, in virt della sua visione trascendente e dualistica di un
dio creatore chiaramente separato dalla sua creazione, ha rimosso
la divinit dalla vita sociale, oltre che dalla natura. Questo ha
permesso, come hanno osservato H. e H.A. Frankfort, di affrontare
i problemi sociali da un punto di vista in larga misura secolare.
Essi non erano pi intrecciati al mito e alle pretese soprannaturali
dellautorit. Negli imperi antichi, la tirannia era ammantata
dautorit divina e giustificata dalla pretesa dei monarchi di
ricevere il potere dal cielo. L'esistenza di un cosmo sacro
implicava lesistenza di una societ sacra, cosicch loppressione
sociale veniva ad assumere le caratteristiche mistiche della natura.
Tale concezione, come ha sottolineato Janet Biehl, rivive nei
95
moderni tentativi di considerare il mondo naturale come sacro e
di restaurare la superiorit del culto divino, propri ad un eco-
femminismo mitico e non sociale.
Questa tradizione stata ereditata dalla Chiesa, che per si
impegnata a modificarla. Ernst Bloch ha osservato: ...per la
prima volta nella storia appare unutopia politica [il corsivo mio
- M.B]. In effetti, essa produce storia; la storia diviene la storia
della sal!e%%a in dire%ione del 5egno, un unico processo
ininterrotto che va da Adamo fino a Cristo.... Lutopia, in effetti,
veniva ad assumere un carattere terreno d assai pi che in
passato aveva il potere di determinare il futuro. Nonostante la sua
configurazione religiosa, la salvezza poteva essere raggiunta in
terra con il ritorno di Cristo e la sconfitta del male a vantaggio
della virt.
Non si pu negare che le scritture ebraiche contenessero un
attivismo e un interesse per gli oppressi pratica- mente
sconosciuti alle altre religioni del Medio Oriente. Come hanno
rilevato i Frankfort (The mancipation o" Thought "rom -1th(, i
testi egiziani che descrivevano i rivolgimenti sociali seguiti al
collasso del Regno Antico dei costruttori di piramidi, vedevano
con orrore... il turbamento dellordine stabilito. Il potere
acquisito dagli oppressi sintomo di ...dolore e disagio..., nelle
parole del cronista, il quale lamenta che ... l'infimo diventato
supremo e ... il povero diventa ricco. Al contrario, le scritture
ebraiche trattano con esultanza le rivolte sociali degli oppressi. La
nascita del profeta Samuele, ad esempio, celebrata con le
seguenti parole: Spezzati sono gli archi dei potenti... Quelli che
erano gonfi si sono venduti per un tozzo di pane. E quelli che
avevano fame non lhanno pi. I poveri vengono sollevati dalla
polvere, il mendicante tolto dallo strame, ed essi sono posti
tra i principi, ed erediteranno il trono della gloria....
Non solo vengono spazzati via gli effetti oscurantisti del mito,
come postumi letargici di un potente sedativo, ma la fissit e il
conservatorismo di esso sono rimpiazzati da un senso di
dinamismo che produce ideali sempre pi avanzati di libert. I
Gioachimiti, una delle tendenze pi sovversive della Cristianit
medievale, hanno rotto con la fumosa e calcolata imprecisione
temporale delle scritture ufficiali e hanno provocatoriamente diviso
la storia in epoche precise della liberazione umana. Anche pi
importanti dei grandi movimenti popolari chiliastici, come gli
ascetici (e mezzi folli) Flagellanti e i Pastorelli (Pastoureau6) che
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nel loro girovagare attaccavano ciecamente il clero e gli ebrei, i
monaci come Gioacchino da Fiore hanno posto le basi di tendenze
libertarie ben pi durature. Era questi un abate cistercense di
Corazzo, un villaggio calabrese, che nel dodicesimo secolo
sottopone a revisione il concetto di trinit trasformandolo da
mistico riferimento alla natura una e trina della divinit in una
cronologia sovversiva. Secondo lui il Vecchio Testamento
rappresentava lera del Padre, il Nuovo quella del Figlio e lo Spirito
Santo era un Terzo Regno ancora da venire, nel quale non ci
sarebbero stati padroni e la gente sarebbe vissuta in armonia,
senza alcun riguardo per il credo religioso di ognuno, mentre la
natura provvida avrebbe fornito a tutti di che sostentarsi.
Nel periodo che va dal quattordicesimo secolo in Inghilterra al
sedicesimo secolo in Germania (e anche durante le guerre ussite
in Boemia che avevano prodotto burrascosi movimenti comunistici
come quello dei Taboriti) contadini e artigiani hanno
coraggiosamente dato vita a croniche insurrezioni per la
conservazione dei propri diritti comunali, locali e di associazione.
Possono apparire movimenti conservatori alla luce della
modernit e dei suoi valori urbani, tecnologici e individualistici,
eppure questa marea secolare di conflitti mai sopiti ha dato alla
libert unacce%ione morale che nella nostra era di socialismo
scientifico e fredde analisi economicistiche andata perduta.
Nei secoli culminati con la Riforma Protestante, la religione
diventata via via pi terrena e meno soprannaturale di quanto
fosse stata in passato, nonostante la sua costante influenza sui
movimenti contadini e artigiani. Al tempo della Rivoluzione Inglese
del 1640, il movimento democratico dei Le!ellers aveva un
approccio prevalentemente secolare, e si faceva beffe del pietismo
opportunistico di Cromwell. Non il cristianesimo, ma una sorta di
panteismo naturalistico (ammesso che si possa parlare comunque
di teismo) aveva influenzato il pensiero di rivoluzionari comunistici
come Gerard Winstanley, che era a capo del piccolo movimento dei
4iggers durante la guerra civile del 1650.
Il termine libert, piuttosto esotico se paragonato
allinvocazione di giustizia, aveva acquistato un contenuto
marcatamente realistico. Uomini e donne hanno cominciato a
combattere non solo per la libert di religione, ma anche per la
libert dalla religione. Hanno cominciato a combattere non solo
contro forme specifiche di dominazione, ma anche contro il
dominio in quanto tale, per il libero accesso ai mezzi di
97
sostentamento in una societ comunitaria. Lattivismo ha
cominciato a sostituire linerzia vegetativa volta al passato. La
morale ha cominciato a prevalere sulla consuetudine; il
naturalismo ha preso a tagliar fuori il sovrannaturalismo;
lopposizione alla gerarchia ecclesiastica ha cominciato a produrre
opposizione alle gerarchie civili. Un gradevole senso di sviluppo ha
cominciato a sostituire la fissit dei fabbricanti di miti, i rituali
ripetitivi e la morsa atavistica in cui un passato oscuro e
superstizioso stringeva presente e futuro.
Libert e ragione
Se c un fatto fondamentale che segna lespansione degli ideali
di libert, rappresentato dallinfluenza che su di essi ha avuto la
ragione. Contrariamente a quanto sostengono filosofie, religioni e
moralismi, il razionalismo non mai stato abbandonato nei secoli
del mondo antico e del Medio Evo. A dispetto dellepidemia del
Culto di Iside e di altre religioni ascetiche provenienti dallOriente,
durante il tardo impero romano lo sforzo ellenico di dare
uninterpretazione razionale del mondo non solo si era mantenuto
ma aveva lentamente dato origine ad una serie di nuove
interpretazioni di cosa dovesse intendersi per ragione.
In realt, viviamo in uno stato di ignoranza paralizzante per
quanto riguarda i diversi tipi di logica e di razionalit elaborati dai
vari pensatori fino ai nostri giorni. Lidea che esista un unico tipo
di razionalit, cio Fa logica prettamente statica, cosiddetta
lineare, formale, essenzialmente sllogitica, definita da
Aristotele nel suo 2rganum, completamente falsa. In realt,
Aristotele stesso ha usato un tipo di razionalit evolutiva ed
organica negli altri suoi scritti. Tale razionalit organica era
modellata sulla biologia e si contrapponeva alla razionalit formale
modellata sulla matematica ed in particolare sulla geometria. La
razionalit organica, o per meglio dire dialettica, poneva laccento
sullo sviluppo pi che sulla fissit; sulla potenzialit pi che su di
una successione inferenziale di proposizioni; sulla edu%ione fluida
di fenomeni che vanno differenziandosi da una serie di
presupposti generali, generando qualcosa di compiuto e di
altamente sviluppato, pi che sulla deduzione schematica di
conclusioni fisse da premesse rigidamente definite. In breve, una
dialettica riccamente speculativa, organica, coesisteva con la
logica tradizionale, fondata sul senso comune, che usiamo per
98
problemi concreti della vita di tutti i giorni.
La teologia stessa era un tentativo di comprensione razionale
delle vie perseguite dalla divinit-creatrice nella interazione di
questa con ci che aveva creato, in particolare con lumanit.
NellEt della Fede, che poi non era altro che il mondo
medievale, venivano usati entrambi i sistemi di pensiero, allo
scopo di spiegare ben pi che la fede, cui il misticismo, nella sua
nostalgia per linnocenza perduta, si volto assai pi rapidamente
della cultura scolastica clericale. Francesco dAssisi sentiva
realmente e profondamente la sofferenza dei poveri e, pi
problematicamente, vedeva nelle forme di vita non umana un
tributo alla gloria della divinitcreatrice. Ma lordine francescano
stato facilmente cooptato dal Papato e trasformato, allepoca
dellinquisizione in persecutore da perseguitato che era,
coinvolgendolo perfino nella persecuzione degli stessi spirituali
gioachimiti. Linnocenza, lintuizione e i desideri atavistici non
sono barriere molto resistenti contro laggressione da parte di
manipolazioni sofisticate. Pi di frequente, erano pensatori acuti
del tipo di Galileo che venivano messi a tacere con gli arresti
domiciliari, o razionalisti speculativi come Bruno, bruciato
dallinquisizione, e non mistici come Francesco e Meister Eckhart.
La mia idea, comunque, che la ragione non tagliata da un
unico pezzo di stoffa. Nella sua forma dialettica, la ragione ha
dato al pensiero un senso della storia, dellevoluzione, del
processo, e non strumenti di analisi lineari, proposizionali,
sillogistici. Allo stesso modo, i primi tentativi di approccio organico
e non meccanicistico al mondo hanno cominciato a rivivere con le
indagini in campo biologico e fisico. Il concetto di evoluzione era
gi nellaria nel quindicesi secolo, stando agli scritti di Leonardo da
Vinci sui fossili marini trovati nelle montagne dellinterno.
Leonardo ha anche osservato che, in un mondo in continuo
cambiamento, il fiume Po avrebbe portato probabilmente terra
asciutta allAdriatico, cos come ha gi fatto in gran parte della
Lombardia. Nel diciottesimo secolo, levoluzione era un fatto
accettato tra i filosofi francesi, grazie allopera di Maupertuis,
Diderot e Buffon.
La riscoperta del corpo, le necessit dei sensi, il diritto al
piacere fisico e non semplicemente ad una felicit addormentata,
hanno cominciato a mettere in. discussione lascetismo (e non
solo quello) della Cristianit ufficiale, ma anche degli spiritualisti
rivoluzionari. La convinzione, cos frequente tra i ceti poveri che i
99
privilegiati avrebbero dovuto ricevere ancnessi la propria parte di
dolori e rinunzie secondo il presunto volere di dio, era sempre
meno accettata anche presso la gente comune. I piaceri corporei e
la piena soddisfazione dei bisogni materiali venivano sempre pi
spesso visti come un dono del cielo durante il Rinascimento.
Utopie sensuali come quella del Paese di Cuccagna, dove il lavoro
era sconosciuto e pernici arrosto cadevano dal cielo, cominciavano
a circolare tra le masse, spesso in aperto contrasto con le rinunce
della vita monastica predicate dai mistici.
A differenza dei sovversivi millenaristici e anche degli spirituali
gioachimiti, le masse non rimandavano tali utopie ad un futuro
lontano, oppure al paradiso. Erano considerate come esistenti,
localizzate geograficamente in Occidente, fuori dai territori allora
conosciuti, ed erano quindi siti reali, da scoprire per mezzo
dellesplorazione atti!a, non semplici giochi della fantasia. In
effetti, gli ostacoli maggiori a queste tendenze naturalistiche non
erano posti dal razionalismo della Scolastica cristiana, quanto
piuttosto da mistici medievali come Savonarola, il monaco che
voleva essere la voce degli oppressi e che aveva fatto bruciare le
opere darte fiorentine predicando un vangelo di aspre rinunce.
Paragonati allampio ventaglio di concezioni liberatorie apparse
con lapprossimarsi dellEt della Ragione, i movimenti popolari
come i Pastoreau6 o i Flagellanti o gli stessi Gioachimiti, appaiono
incerti o insensati. Facendo emergere le tendenze pi secolari del
razionalismo greco, che si era inquinato di teologia cristiana e
islamica, il Rinascimento ha dato voce a idee riccamente
speculative e critiche. Di queste, importante notare la
straordinaria omogeneit, quale che fosse la forma sotto cui erano
presentate, dissertazioni, dialoghi, o utopie fantastiche. Sono
concezioni non solo razionali (anche in senso dialettico) ma
sensuali: portano il messaggio di una nuova societ in cui tutto ci
che umano fondamentalmente buono e merita di poterai
esprimere pienamente.
Dal punto di vista sociale, sono idee ecologiche, in quanto
partecipatorie: tutti gli aspetti dllesperienza svolgono un ruolo
complementare nel determinare un risultato completo e
riccamente differenziato. In queste nuove ecocomunit, il corpo
ha diritto di cittadinanza pari alla mente; lorganico pari
allinorganico; la passione pari alla ragione; la natura pari alla
societ; le donne pari agli uomini. Per, quanto tali idee possano a
volte apparirci come superate dal punto di vista della nostra
100
concezione di modernit, bisogna riconoscere che in esse non
vera parte del panorama, tanto umano che naturale, che
sfuggisse allindagine critica ed ai tentativi di miglioramento. Esse
affrontavano non solo i problemi dellorcanizzazione sociale, della
cultura, della moralit, della tecnologia e delle istituzioni politiche,
ma anche quelli delle relazioni allinterno della famiglia,
dellistruzione, della condizione femminile, oltre a tutti gli
aspetti banali della vita quotidiana. Nel Rinascimento, e poi
nell'illuminismo, tutto viene esaminato secondo la ragione e
giudicato come positivo o negativo alla luce di un emergente
secolarismo e naturalismo.
Ovviamente non possiamo pretendere che i pensatori di allora
andassero totalmente al di l del proprio tempo. Al contrario, la
grande portata delle loro idee, stante lepoca in cui sono state
espresse, merita la nostra generosit di giudizio. Una delle grandi
verit del sapere dialettico che tutte le grandi idee, per quanto
possano essere apparse limitate al proprio tempo e inadeguate al
nostro, perdono la propria relativit se vengono viste come parte
di un tutto in via di differenziazione, allo stesso modo che un
blocco di marmo cessa di essere un pezzo di pura e semplice
materia minerale quando viene scolpito in una meravigliosa opera
darte. Visto come parte di un ambito pi grande, non pu pi
essere considerato un semplice minerale, cos come anche gli
atomi che compongono un organismo vivente non possono essere
considerati mere particelle. Con la vita nasce il metabolismo, che
non esiste a livello inorgnico, n pu essere imputato allattivit
atomica o alle propriet elettromagnetiche.
Cos giusto che i pensatori della tradizione liberatoria, o
rivoluzionaria se preferite, vengano apprezzati per quello che
hanno apportato tanto al proprio tempo quanto al nostro, se si
vuole cogliere il carattere di continuit della loro opera. E' possibile
distinguere diverse grandi tendenze nellevoluzione degli ideali di
libert: la prima di esse linteresse per il secolo, cio per il
mondo reale, non quello che sta in cielo o fuori delle rotte
conosciute. Questo non significa che i pensatori rivoluzionari egli
utopisti del Rinascimento, dellilluminismo o della prima parte
dellultimo secolo, si adeguassero realisticamente al mondo in
cui vivevano. Al contrario, facevano il possibile per guardare al di
l di esso, cercando di poggiare i propri ideali su quanto di meglio
lepoca in cui vivevano era in grado di esprimere.
Il che ci conduce alla seconda delle tendenze prima ricordate: il
101
riconoscimento della necessit di una societ strutturata in modo
da impedire convulsioni come quelle provocate dalla nobilt
riottosa, in Inghilterra e nel continente europeo. In particolare
durante il Rinascimento, laristocrazia aveva trascinato la societ
in una condizione di guerra cronica. Tra le rovine lasciate dalla
Guerra delle Rose in Inghilterra e dalle guerre di religione in
Europa centrale, utopisti e pensatori rivoluzionari non potevano
concepire una societ umana che non fosse totalmente stabile e
quasi meccanica, quanto a simmetria cooperativa delle sue parti
in movimento. Ben prima che Cartesio avesse fatto del
meccanicismo una concezione filosofica del mondo, le convulsioni
sociali ne avevano fatto uno dei desiderata dei filosofi progressisti.
Il fatto che molti pensatori utopistici abbiano preso a modello i ben
ordinati monasteri, gi un fatto rivoluzionario in s: sarebbe
stato pi facile optare per gli Stati nazionali che gi stavano
sorgendo, come si verificato poi nel movimento socialista, nel
diciannovesimo secolo. Essendo a quel tempo avvertita lesigenza
di una pianificazione economica, in parte per frenare il disordinato
comportamento della nobilt, in parte per tenere sotto controllo le
ruberie perpetrate dallemergente borghesia commerciale a spese
dei contadini e dei ceti urbani meno abbienti, le regole tradizionali
e socialmente responsabili adottate nella gestione dei conventi per
la regolamentazione della vita quotidiana apparivano pi etiche e
umane delle altre alternative allora possibili. Solo pi tardi, nel
diciannovesimo secolo, una societ ordinata ed una economia
pianificata sarebbero state identificate con lo Stato nazionale, in
nome di un socialismo scientifico e del tentativo di realizzare
uneconomia nazionalizzata.
Una terza tendenza che ha contribuito allespansione degli ideali
di libert durante il Rinascimento e lilluminismo, stata lalta
considerazione in cui era tenuto il lavoro. Tommaso Moro,
Tommaso Campanella, Valentin Andreae, Francesco Bacone, non
sono stati gli unici ad onorare il ruolo dellartigiano e del
coltivatore: Diderot ha portato le loro abilit e il loro contributo
alla societ sulle pagine dellEnciclopedia francese, dove queste
arti vengono gratificate di unattenzione senza precedenti ed
esplorate nei minimi dettagli.
Kropotkin, ne )) mutuo appoggio, cita unordinanza medievale
che recita: Ognuno deve amare il proprio lavoro, e nessuno che
stia ozioso potr appropriarsi di ci che altri ha prodotto con
applicazione di opera, poich la legge deve proteggere
102
lapplicazione e lopera.
Tale costellazione di tradizioni ed idee non ha precedenti nel
mondo antico. Profondi valori umani permeavano leconomia mista
dei secoli immediatamente precedenti lascesa del capitalismo
industriale in Inghilterra, uneconomia in cui coesistevano
coltivatori diretti e braccianti, artigiani e proletari.. In questepoca
poco conosciuta, spesso mal interpretata, vennero persino fissati
limiti al lavoro manuale.
Come osserva Maria Luisa Berneri nella sua opera 7iaggio
attra!erso 8topia, ... lidea utopica di una breve giornata
lavorativa che a noi, abituati a pensare al passato nei termini del
diciannovesimo secolo, appare come unidea molto rivoluzionaria,
non risulta essere una grande innovazione se viene messa a
confronto con unordinanza di Ferdinando I sulle imperiali miniere
di carbone, che stabiliva in otto ore la giornata lavorativa dei
minatori. E secondo Thorold Rogers, nellInghilterra del
quindicesimo secolo, gli uomini lavoravano quarantotto ore la
settimana.
Infine, tra le varie tendenze di questa societ mista, in
particolare durante il Rinascimento, c lalta considerazione in cui
era tenuta la comunit. Era questa unepoca costretta ad assistere
alla disintegrazione di villaggi e citt ad opera di un mercato
capillare e continuamente in crescita. La nuova borghesia doveva
essere tenuta sotto controllo. Essa non solo minacciava i fragili
legami che tenevano le persone unite attraverso un medesimo
interesse comunitario, ma colpiva anche le associazioni, le societ
religiose che si prendevano cura dei poveri e degli ammalati, i
legami familiari, i valori di solidariet umana. Man mano che tutto,
dalla terra coltivata in comune alle responsabilit di parentela,
finiva sotto le sue grinfie, i teorici progressisti e gli alfieri
dellutopia rafforzavano le proprie concezioni contro il
comportamento asociale dei nuovi borghesi e dellaristocrazia
commerciale.
Non dobbiamo dunque essere troppo critici, se un pensatore
come Tommaso Moro ha ritenuto necessario, nella sua Utopia,
mantenere solidi legami familiari e restare fedele allortodossia
cattolica di fronte a Enrico VIII, la cui riforma non faceva altro
che sostituire la tiara del vescovo di Roma con la corona di un re
inglese. Come molti dei suoi rinascimentali contemporanei, Moro
era orientato verso lecumenismo umanistico che vedeva espresso
nel principio del papato, piuttosto che verso il nazionalismo
103
incarnato da un monarca egoista. Le riserve avanzate da Moro a
proposito della sottomissione ad un sovrano nella sua societ
ideale, sono espresse per bocca di Hythloday, il narratore di Utopia
che rappresenta lautore: ... la maggioranza dei principi si dedica
alle cose guerresche piuttosto che alle arti della pace, e di quelle
io non ho n esperienza n desiderio di apprenderle; servono in
genere per acquisire nuovi regni, giusto o sbagliato che sia, pi
che per governare quelli che gi possiedono....
Anche maggiore la portata dellideale societario di Valentin
Andreae nella sua Christianopoli, una austera comunit che
impone regole severe al comportamento, ma con un
atteggiamento di profonda umanit verso i bisogni e le sofferenze
degli individui. Christianopoli senzaltro una polis, cio una citt
a misura duomo con confini ben definiti, non uno Stato nazionale.
Ma anche altamente standardizzata nei suoi edifici e nella quasi
matematica suddivisione delle funzioni e delle zone, oltre che
nellequilibrio tra industria e agricoltura. Nessuna di queste utopie
(altro carattere monastico) basata sulla propriet privata e i
mezzi di sostentamento vengono distribuiti secondo i bisogni di
ognuno.
Che siano descritte com isole, come nel caso di Utopia, o come
comunit, come Christianopoli, in realt sono citt, e per quanto le
loro popolazioni vivano bene hanno tutte connotazioni ascetiche.
Questi elementi significativamente pre-nazionali e pre-
capitalistici non devono essere trascurati: lideale monastico di
servizio, lavoro, comunione dei beni e inquadramento,
nellinteresse di ci che appare come il bene della comunit,
permeava il pensiero progressista di quellepoca, soprattutto tra i
pensatori utopistici. Ci visibile anche nella Citt del Sole di
Campanella, dove le donne godono di una considerazione
particolarmente alta, sulla scorta di una concezione eugenetica di
tipo platoniano e di un particolare interesse per le scienze naturali.
Il mondo che presentano, ordinato, amante del lavoro, letterato,
riunisce insieme la tradizione medievale e linnovazione moderna. I
teorici e gli utopisti sociali del Rinascimento erano affascinati dalle
possibilit di progresso umano offerte dalla scienza, come risulta
dalla descrizione della Nuova Atlantide di Bacone, e attribuivano
una grandissima importanza al ruolo dellistruzione nella
ricostruzione della societ.
Questi temi (lilluminazione attraverso lapprendimento,
lapplicazione della ragione e dellordine alle cose umane, il fascino
104
esercitato dalla scienza, lalta considerazione del lavoro) sarebbero
stati ripresi e ampliati daHIlluminismo del diciottesimo secolo.
Ma a quel tempo lo Stato nazionale si era ormai definitivamente
consolidato e la citt aveva cessato di rappresentare lunit
fondamentale dellinnovazione rivouzionaria. Con Montesquieu,
che ha dato il tono allintero secolo, le istituzioni politiche hanno
cominciato a 'soppiantare linteresse per la propriet, le relazioni
familiari e i temi culturali. E' interessante notare che i programmi
comunistici elaborati dagli abati Mably e Morelly sono del tutto
marginali al lavoro dei filosofi; a tuttoggi non conosciamo
nemmeno il nome di battesimo di Morelly, e linfluenza che egli ha
esercitato stata assai scarsa; bisogna arrivare al periodo
conclusivo della rivoluzione francese perch il suo +odice della
9atura venga letto da Gracco Babeuf, lo sfortunato leader della
Congiura degli Uguali.
LIlluminismo stato pi particolaristico del Rinascimento.
Intere discipline sono state create da singoli individui con uno
svolazzo di penna, e lorientamento era pi verso i diritti
individuali che la conservazione della comunit. Il coinvolgimento
con lautorit ecclesiastica, che Voltaire chiamava linfamia,
nonch la presenza di un corpo politico strutturato
gerarchicamente, hanno trasformato la vita monastica in un
anacronismo, nel migliore dei casi, e in una bestemmia nel
peggiore. Pi psicologi che razionalisti, i pensatori illuministici
erano spesso preoccupati dalla natura umana, non solo dalla
ragione umana. Sia Diderot che Rousseau, forse i personaggi pi
importanti dellepoca, erano uomini di cuore, oltre che brillanti
intelletti, e la spontaneit delle passioni svolgeva nella loro opera
un ruolo altrettanto fondamentale che la ragione.
Le utopie libertarie
Dallevoluzione subita dalle idee di rinnovamento sociale, tra il
sedicesimo e il diciottesimo secolo, diversi temi sono emersi e
venuti in reciproca contrapposizione. Era possibile, in unepoca di
profondo disagio economico, che il benessere materiale delle
persone venisse ottenuto solo a patto di sottomettere lindividuo
ad una societ ben ordinata, basata sulla disciplina di tipo
monastico e, pi tardi, sullautorit statale? Era indispensabile che
luguaglianza a livello materiale venisse realizzata subordinando la
libert a piani economici coattivi? Davvero unesistenza gioiosa e
sensuale era in contrasto con la necessit che tutti lavorassero,
105
necessit di cui si era nutrito lascetismo che affliggeva tante
utopie e ideali progressisti di societ? Era possibile labbondanza
per tutti in unepoca che ancora non era riuscita a garantire la
soddisfazione dei pi elementari bisogni della sopravvivenza? E in
che misura gli uomini (per non parlare delle donne) potevano
creare una vitale cultura politica partecipatoria dedicando otto ore
di lavoro, o meno, ai compiti indispensabili per ii soddisfacimento
delle loro necessit materiali fondamentali? Alla base di tutti gli
ammonimenti morali promossi dagli ideali di quel tempo
straordinario, stavano evidentemente domande di questo tipo. E
semplicemente impossibile comprendere le possibilit e le
limitazioni di quelle concezioni senza prendere in considerazione
questo tipo di problemi.
Nel passaggio da citt a nazione, dal monastero allo Stato,
dalletica alla politica, dalla propriet comune a quella privata,
infine da un mondo artigianale ad uno industriale, emersa
unaffascinante combinazione di concezioni spesso contenenti il
meglio (e il peggio) di ognuna di queste antinomie sociali. Uso il
termine antinomie coscientemente, perch ci di cui parlo sono
idee contraddittorie ma coesistenti, delle quali solo poche hanno
completamente soppiantato le immagini precedenti nella mente
dei pensatori progressisti del diciannovesimo secolo. Anzi, come
vedremo, sono anche riemerse ai giorni nostri, sia pur sotto
laspetto di richieste sensibilmente riformulate, in una sintesi
totalmente nuova che viene definita come ecologia sociale. E' vero
che, messe a confronto, fra molte di esse stata poi compiuta una
scelta da parte dei teorici progressisti. Per esempio, il marxismo
ha scelto nettamente la concezione nazionale invece che quella
cittadina e la concezione statale invece che quella di una comunit
monastica autodisciplinata, come invece ha sostenuto in
particolare Andreae, le cui idee hanno spesso anticipato il
villaggio industriale di Robert Owen.
Ma altre forme di pensiero rivoluzionario dovevano presentarsi,
producendo una sintesi adatta al proprio tempo (tempo di rapida
industrializzazione e urbanizzazione) che i rivoluzionari non
possono pi permettersi il lusso di ignorare.
Mi riferisco qui alle utopie libertarie ed alle idee esplicitamente
anarchiche apparse nel diciannovesimo secolo: una tradizione che
ha prodotto ideali di libert tanto razionali quanto etici, tanto
meditati quanto appassionati. E' semplicemente impossibile
ignorare le penetranti analisi di William Godwin, oppure il
106
complesso degli scritti di Pierre-Joseph Proudhon, o la critica
incisiva di Mikhail Bakunin, e il lavoro di ricostruzione operato da
Piotr Kropotkin, soprattutto le sue preveggenti intuizioni
ecologiche, e le visioni utopiche di Robert Owen o di Charles
Fourier. N questi pensatori possono essere trattati come semplici
precursori visionari del socialismo scientifico di Karl Marx.
Con la medesima arroganza il naturalismo di Aristotele potrebbe
essere considerato inferiore allidealismo filosofico di Hegel, o
lopera storica di Tucidide a quella di Charles Beard. In realt, tutti
questi pensatori si completano a vicenda, e anche quando sono in
disaccordo gettano comunque luce su problemi importanti,
ciascuno dei quali affrontato da un punto di vista sociale
differente, in un dramma storico ancora ampiamente incompleto.
Il corso degli eventi umani si mosso in direzioni chiaramente
definite e necessariamente progressive non pi di quanto sia
accaduto per la storia delle idee. Se dovessimo tornare ad una
societ maggiormente decentrata, un Aristotele o un Tucidide
sarebbero pi importanti per noi, in quanto esprimono la saggezza
della polis greca assai pi di un Hegel o di un Beard, cos
interessati allo Stato nazionale. Il senso della storia umana, i
percorsi che essa avrebbe potuto seguire e quindi le idee pi
idonee per la ricostruzione in senso razionale della societ sono
ancora tutti da definire. I teorici progressisti e gli utopisti seguiti
alla rivoluzione francese hanno avuto ideali di libert pi aperti di
quelli nutriti dai loro predecessori illuministi, e tali ideali avrebbero
potuto costituire unalternativa al corso seguito dalla storia, se non
fossero stati scioccamente ignorati dai successori socialisti di
quelli. La grande portata di quegli ideali e lalternativa che essi
hanno offerto allumanit sono due eredit, entrambe
immensamente importanti per il radicalismo moderno. I pensatori
anarchici e gli utopisti libertari erano profondamente sensibili alle
scelte che sarebbe stato necessario compiere nel reindirizzare la
societ umana in senso razionale e liberatorio. Essi hanno
sollevato problemi di grande portata: se fosse possibile ricondurre
comunit ed individuo ad una reciproca armonia; se davvero la
nazione fosse il successore necessario, o per meglio dire etico,
della comunit o comune; se lo Stato dovesse essere il
successore inevitabile della citt e delle confederazioni regionali;
se luso in comune delle risorse dovesse essere soppiantato dal
possesso privato; se la produzione artigianale dei beni e lattivit
agricola a misura duomo fossero destinate per necessit storica
107
ad essere sostituite da gigantesche catene di montaggio e da
sistemi meccanizzati di agribusiness. Infine, si sono chiesti se
letica doveva sottomettersi allo statalismo e quale sarebbe stato il
destino della politica uno volta che essa avesse cercato di
adattarsi agli Stati centralizzati.
Essi non vedevano contraddizione tra il benessere materiale e
una societ ben ordinata, tra luguaglianza sostanziale e la libert,
tra la giocosit, il piacere, e il lavoro. Essi immaginavano una
societ dove fosse possibile labbondanza, dove potesse emergere
una cultura politica non condizionata dal sesso, grazie alla
diminuzione della settimana lavorativa, della produzione superflua
e del consumo eccessivo. Tali richieste, avanzate gi due secoli fa
e infusi della passione morale di duemila anni (e pi) di
movimenti ereticali come i Gioachimiti, sono state violentemente
riproposte in questultimo tratto del ventesimo secolo. Termini
come precursori sono diventati semplicemente privi di
significato in una societ in crisi come la nostra, che si trova nella
necessit di rivalutare tutta la storia delle idee e delle alternative
che la storia sociale ha tracciato nel passato.
N possibile ignorare le differenze che distinguono i teorici
anarchici e gli utopisti libertari del secolo scorso da quelli di un
passato pi lontano. Tendenze anarchiche come quelle
rappresentate dai primi Cristiani, gli Gnostici rivoluzionari, i
Fratelli del Libero Spirito del Medio Evo, i Gioachimiti e gli
Anabattisti, vedevano la libert pi come il risultato ai una
visitazione soprannaturale, che come la conseguenza dellattivit
umana. E' importante notare questa mentalit sostanzialmente
passiva-recettiva, fondata su basi mistiche. Che alcune tendenze
premoderne abbiano agito allo scopo di cambiare il mondo, non
cambia il fatto che le loro stesse azioni erano considerate come
espressione della predeterminazione divina. Ai loro occhi, lazione
fioriva dalla trasmutazione del volere di Dio nella volont umana.
Era il prodotto di unalchimia sociale resa possibile da una
decisione soprannaturale, non dallautonomia umana. La pietra
filosofale del cambiamento, in questo caso, stava in cielo, non
sulla terra. La libert doveva arrivare, portata da forze
sovrumane, come il secondo avvento di Cristo o la predicazione
di un nuovo Messia. La Storia, in effetti, era vista come un
orologio che segnava il trascorrere di una specie di tempo
metafisico, fino a che i peccati del mondo sarebbero divenuti cos
intollerabili da muovere la divinit, che non avrebbe pi benedetto
108
la sua creazione, n sopportato le sofferenze dei poveri e degli
oppressi.

Q
uesta ingenua concezione stata radicalmente modificata dal
Rinascimento, dallilluminismo e soprattutto dal diciannovesimo
secolo. LEt delle Rivoluzioni, per definire adeguatamente il
periodo che va dalla fine del 1770 alla met del ventesimo secolo,
ha bandito le visitazioni soprannaturali e latteggiamento
passivorecettivo da parte degli oppressi. Questi dovevano agire se
volevano emanciparsi. Dovevano volontariamente costruire la
propria storia, concetto fondamentale che Jean-Jacques Rousseau
ha aggiunto alla storia delle idee rivoluzionarie e per il quale,
nonostante i suoi errori, merita limmortalit. Anche gli oppressi
dovevano ragionare. Non potevano fare appello ad altre forze che
quella della loro mente. La combinazione di ragione e volont, di
pensiero e azione, di riflessine ed intervento, ha cambiato
lintero panorama del radicalismo, spogliandolo dei suoi attributi
mitici, mistici, religiosi ed intuitivi. Ed triste che tali attributi
stiano cominciando a ritornare di moda oggi, in questo mondo
senza energia e psicoterapizzato.
Il radicalismo dellEt delle Rivoluzioni, comunque, andato
oltre. La storia vista nellottica gioachimita, e in parte anche in
quella marxista, procede al ritmo dellapprossimarsi inevitabile di
un tempo finale, un termine, anche un assoluto hegeliano, dove
tutto ci che stato, in un modo o nellaltro, e tutto ci che
accade segue la guida di una mano segreta, Dio, lo Spirito,
lastuzia della ragione (per usare il lessico hegeliano), o
linteresse economico, per quanto esso possa essere celato
a coloro che ne sono influenzati. Non ci sono alternative a ci che
stato, o sar, come si sentiva dire negli assurdi dibattiti circa
linevitabilit del socialismo, una o due generazioni fa.
Invece, limportanza attribuita dagli utopisti anarchici e libertari
alla capacit di scelta in sede storica ha stabilito un punto di
partenza totalmente nuovo, separandosi dalle visioni sempre pi
teleologiche del socialismo religioso e poi scientifico. In gran
parte, ci spiega lattenzione che gli anarchici e gli utopisti libertari
del diciannovesimo secolo hanno tributato allautonomia
individuale, alla capacit di ogni individuo di scegliere sulla base di
giudizi etici e razionali. Tale impostazione nettamente diversa
dalla tradizione liberale che stata associata alle idee anarchiche
dagli oppositori, in particolare dai marxisti. Il liberalismo ha offerto
allindividuo un quid di libert, certo, ma un quid limitato dalla
109
mano invisibile della concorrenza mercantile, non dalla capacit
di agire conformemente a determinate norme etiche. Il libero
imprenditore su cui il liberalismo ha modellato la propria
immagine di autonomia individuale era, in effetti, completamente
condizionato dalla comunit mercantile, per quanto potesse
sembrare emancipato dal mondo comunitario medievale di gilde
e vincoli religiosi. Era loggetto di una legge superiore di
interazioni mercantili fondate su di una moltitudine di egoismi e
competizioni, che annullandosi reciprocamente generavano un
interesse sociale generale.
Lanarchismo e gli utopisti libertari non hanno mai visto
lindividuo libero in questa luce. Lindividuo doveva essere libero
per funzionare come una creatura etica, non come un meschino
egoista, compiendo scelte razionali e auspicabilmente
disinteressate tra alternative storiche razionali e irrazionali.
Laccusa marxista che lanarchismo un prodotto
dellindividualismo liberale o borghese, ha le sue radici in
ideologie che sono esse stesse borghesi, come quelle basate sul
mito della mano invisibile (liberalismo), dello spirito
(hegelianesimo), o del determinismo economico (marxismo).
Limportanza attribuita dagli anarchici e dagli utopisti libertari alla
libert individuale comportava lemancipazione della storia
medesima da una predeterminazione a-storica, e la prevalenza
delletica nella determinazione delle scelte. Lindividuo realmente
libero, ed esprime realmente la sua individualit, quando guidato
da una coscienza razionale, umana e profonda, del bene comune e
sociale.
Infine, la concezione anarchica di un mondo nuovo, cos come
espresso nelle utopie libertarie, implica che la societ pu sempre
essere ricostruita. In effetti, lutopia per definizione la
rappresentazione del mondo come dovrebbe essere
conformemente ai canoni della ragione, in contrasto con il mondo
come , risultato deTlinterazione cieca di forze incomprensibili. La
tradizione anarchica del diciannovesimo secolo, pur meno
pittorica di quella degli utopisti che dipingevano tele piene di
immagini nuove e dettagliate, ha elaborato le proprie teorie, in
accordo razionale con la storia umana, non con la storia teologica
o metafisica. Il mondo da sempre il frutto dellattivit di esseri
umani in carne ed ossa, che hanno compiuto scelte concrete nei
momenti cruciali della storia, e pu esser ricostruito seguendo
linee evolutive alternative, gi presentatesi in passato.
110
La gran parte della tradizione anarchica non pri- mitivistica
nostalgia per il passato, come vorrebbero farci credere certi storici
marxisti del tipo di Hobsbawm, ma rivalutazione delle possibilit
passate rimaste inattuate, come la comunit, la confederazione,
lautogestione delleconomia, e un nuovo equilibrio tra umanit e
natura. La famosa asserzione di Marx che i morti devono seppellire
i morti priva di senso, per quanto lodevoli fossero le sue
intenzioni di fronte ad un presente che cerca di imitare il passato.
Solo i vivi possono seppellire i morti, e ci pu avvenire soltanto
se essi sono in grado di capire cosa realmente morto e cosa
ancora in vita tra i cadaveri che affollano i campi di battaglia della
storia.
Ecco dunque il motivo dellinteresse nutrito da William Godwin
per lautonomia individuale, per lessere etico il cui intelletto
libero dal peso di concetti soprannaturali e da ogni forma di
dominazione, divina, statale o consuetudinaria. Ed ecco anche
linteresse di Proudhon per il municipalismo e il confederalismo
intesi come principi associativi, come modi di vita dove la libert
non impedita n dallo Stato nazionale n dallopera nefasta della
propriet. Ecco la rivalutazione bakuni- niana della spontaneit
popolare e della funzione trasformatrice dellatto rivoluzionario,
dellazione come espressione di volont libera dai compromessi e
dal cretinismo parlamentare. Ecco infine lecologismo di Kropotkin,
il suo interesse per la misura umana e la decentralizzazione, e per
larmonia tra umanit e natura contrapposta allo sviluppo esplosivo
dellurbanizzazione e del centralismo.
Ritorner in seguito sulle idee di questi importantissimi, bench
scarsamente apprezzati, pensatori a proposito dei problemi che
oggi abbiamo di fronte e della necessit di una societ ecologica.
Per il momento, voglio occuparmi di un altro tipo di
emancipazione, lemancipazione del corpo, sotto forma di nuova
sensualit, e dello spirito sotto forma di sensibilit ecologica. Sono
argomenti che raramente figurano nella maggior parte delle
discussioni sulla trasformazione sociale, nonostante abbiano un
posto privilegiato nel pensiero utopico.
Il senso di 0oie de !i!re fa parte integrante della tradizione
anarchica, a dispetto di qualche espressione dascetismo apparsa
qua e l. Lammonimento di Emma Goldman (Se nella vostra
rivoluzione non potr ballare, non la voglio!), frutto di
unimpostazione tipicamente anarchica. E' una tradizione che
risale a secoli addietro, agli artigiani ed anche a certi contadini
111
anarchicheggianti, che chiedevano lemancipazione dei sensi oltre
a quella delle loro comunit. Fin dallantichit gli Ofiti avevano
riletto le scritture bibliche per identificare la chiave della salvezza:
Eva e il serpente, agenti di libert; labbandono estatico della
carne, strumento per la liberazione dellanima. I Fratelli del Libero
Spirito, un movimento che si presentato in Europa sotto molti
nomi diversi, rifiutavano la reverenza ecclesiastica per la
negazione di s e celebravano una propria versione del
cristianesimo, inteso come un messaggio di vero e proprio
libertinaggio, oltre che di liberazione sociale. NellAbbazia di
Thlme di Rabelais, la massima Fa ci che vuoi! liberava da
ogni limitazione i membri di quellordine giocoso, dove era lecito
coltivare tutti i piaceri del corpo e dellintelletto. I limiti tecnologici
delle ere passate, il fatto che il piacere potesse ben di rado
separarsi dal parassitismo in un mondo segnato dalla necessit di
lavoro continuo, hanno reso elitari questi movimenti e queste
utopie. Ci che i Fratelli del Libero Spirito toglievano ai ricchi, i
ricchi a loro volta toglievano ai poveri. Ci che i membri
dellAbbazia di Thlme apprezzavano come un loro diritto, era
stato espropriato al lavoro di operai, coltivatori, cuochi e servitori.
La natura non era generosa, si diceva, se non in ristrette aree
privilegiate del mondo. Lemancipazione dei sensi era spesso
considerata, dai poveri e dai loro profeti rivoluzionari, come un
privilegio della classe dirigente, sebbene fosse diffusa nelle citt e
nei villaggi pi di quanto saremmo portati a credere. E anche gli
oppressi avevano i loro sogni di utopici piaceri, immagini di una
natura davvero generosa, con fiumi di latte e di miele. Ma,
sempre, questa condizione meravigliosa proveniva da un qualche
essere che accordava il dono dellabbondanza sotto forma di
una terra promessa - fosse questo una divinit o un demone
capriccioso piuttosto che la tecnologia o una nuova e pi equa
organizzazione del lavoro e della distribuzione dei suoi frutti. I
grandi pensatori utopici del diciannovesimo secolo hanno
rappresentato un cambiamento radicale rispetto allapproccio
tradizionale ed per questo che meritano la nostra attenzione. I
primi villaggi industriali di Robert Owen, che combinavano le
tecnologie pi avanzate del tempo con lagricoltura per la
costituzione di comunit a misura duomo, erano concepiti sulla
base delle possibilit tecnologiche offerte dalla Rivoluzione
Industriale. La prima natura pu essere generosa o no, ma la
seconda natura, chiaramente, cio la societ umana, ad essere
112
economicamente produttiva. E' lumanit a realizzare la sua
utopia sociale, piuttosto che attendere il dono messianico da parte
di esseri sovrumani. E ci avviene grazie allingegno tecnico, alla
capacit di cooperazione e di immaginazione sociale. Certamente,
si anche presentata unutopia tecnologica, culminata nel nostro
secolo nellimmagine di un mondo tecnocraticamente
amministrato, creata da H.G. Wells e ispirata alla Nuova Atlantide
pensata qualche secolo prima da Bacone, utopista scientifico
del sedicesimo secolo. Allopposto, lutopia di William Morris era
pi artigianale e nostalgicamente medievale, ma nettamente
libertaria nella sua essenza. Nel suo 9oti%ie da 9essun Luogo,
Morris rovescia il capitalismo e ricrea il comune del Medio Evo,
con i suoi valori cooperativi. Lindustria sparisce, insieme con
lautorit, e la produzione di qualit compensa gli apparenti
vantaggi della produzione in massa di beni scadenti. Lutopia di
Morris certamente la romantica rivalutazione di un mondo perso
per sempre, eppure non priva di insegnamenti per la sua e la
nostra epoca. La produzione di qualit e labilit artigiana
continuano ad affascinarci, in quanto modello di eccellenza e
strumento per la fabbricazione di beni destinati a durare per
generazioni, in contrapposizione alla nostra economia usa e
getta, i cui prodotti sono effimeri e di pessimo gusto. I valori cui
Morris si ispirava erano chiaramente ecologici. Portano un
messaggio di misura umana, di integrazione tra agricoltura ed
artigianato, di prodotti durevoli ed artistici e di una societ non
gerarchica.
Il pensatore utopico che avrebbe riunito queste tradizioni
apparentemente contrastanti (intelletto e sensualit, industria e
produzione di beni durevoli, lavoro e gioco) non era n un
socialista n un inetto visionario. Era Charles Fourier, che ha
creduto di trasformare limmaginazione in una scienza e i modelli
newtoniani di ordine cosmico in una fantasia cosmologica. Ai fini
della presente trattazione, non importante considerare il senso
missionario di Fourier, o la profondit dei suoi principi sociali. Egli
non solo non era socialista, non era nemmeno egualitario. Le sue
opere sono percorse da contraddizioni, pregiudizi grossolani, e dal
tentativo fallito di fare del suo sistema di interazione passionale
un sistema matematico, ricorrendo allappoggio dei ricchi e potenti
per istituire i suoi ideali falansteri (enormi palazzi in grado di
ospitare almeno 1.620 persone dal carattere adatto e
complementare, che avrebbero dato luogo a comunit
113
emozionalmente equilibrate). I suoi falansteri avrebbero dovuto
essere, ovviamente, il pi possibile autosufficienti, con officine,
terreno coltivato intorno, residenze, centri per listruzione e sale
da ballo, il tutto collegato da gallerie coperte per proteggere gli
abitanti dellinclemenza del tempo e metterli in condizione di
accedere facilmente alle diverse parti.
Ci che ci interessa, del falansterio di Fourier, non sono i suoi
principi strutturali, ma quelli che ne dovevano guidare lo stile di
vita, molti dei quali si contrapponevano alla monotonia dellattivit
industriale, ai valori puritani dellepoca, al fardello di limitazioni
che allora veniva imposto ai sensi come a tutto il corpo. Secondo
tali principi, la libert sessuale avrebbe spazzato via le tradizionali
inibizioni familiari e le convenzioni ipocrite. La volutt lunica
arma che Dio pu impiegare per padroneggiarci egli scrive con
eretica ironia, e per indurci a seguire i suoi disegni: egli regola
luniverso attraverso lattrazione, non con la forza. Era
certamente un punto di vista nuovo e socialmente sovversivo.
Lordine poggia sulla soddisfazione personale, non sullobbedienza
allautorit. La risposta alla disciplina industriale la rotazione
giornaliera del lavoro, infra- mezzata da piaceri intellettuali e
corporei, alimentazione sontuosa per la gioia del palato, una
gamma di suggerimenti fantasiosi per rendere piacevole la vita,
nonch la convinzione fondamentale che il fastidio del lavoro
possa essere trasformato in piacere, rendendolo pi affascinante,
inventando festivit, lavorando in compagnia di colleghi con natura
e carattere complementari. Fourier tentava cos di sconfiggere
lesigente regno della necessit, che teneva tutti sotto il giogo
del lavoro manuale, con lartistico regno della libert, che
poteva trasformare anche il pi duro dei lavori in piacere.
Il Mondo dellArmonia concepito da Fourier, fondato
sullattrazione e non sulla coazione, poi diventato un programma
sociale, al quale i seguaci del maestro hanno dato un pi netto
carattere anarchico, dopo la morte di lui. Secondo Fourier non
cera contraddizione tra larte umana e la fecondit della natura,
come non cera contraddizione tra mente e corpo, gioco e lavoro,
libert e ordine, unit e diversit. Erano intuizioni ribelli che
successivamente sarebbero state affinate attraverso una versione
naturalistica della dialettica, come vedremo quando ci occuperemo
della collocazione dellumanit nella natura e dello sviluppo di una
natura libera attraverso sia la prima che la seconda natura.
Per il momento, necessario rimarcare che gli scritti di Fourier
114
collimavano, come tempo se non come luogo, con il villaggio
industriale di Owen, che realisticamente riuniva officine e
fabbriche con le fattorie, in comunit totalmente integrate,
secondo uno schema che avrebbe poi formato il prototipo dellidea
kropotkiniana di comunit libertaria.
Tra la fine della Rivoluzione Francese e la met del
diciannovesimo secolo, gli ideali di libert avevano acquisito una
solida base naturalistica, tecnologica e materiale. Siamo di nuovo
in presenza di una svolta storica, in corrispondenza della quale
lumanit poteva, quale che fosse il modo, abbandonare la
direzione di unespansione condizionata dal mercato e dal profitto,
e incamminarsi verso un futuro di armonia orientato in senso
comunitario ed ecologico, unarmonia tra esseri umani che poteva
generare a sua volta, grazie ad una nuova sensibilit, larmonia
tra umanit e natura. Mentre nella seconda met del secolo
diciannovesimo la societ si ingolfata nello sviluppo industriale
tanto da ricostruire ex novo il mondo naturale e quasi fame uno
sintetico, nella prima met del secolo essa stata piena di
promesse di una nuova integrazione tra societ e natura e di
comunit cooperative dove i pi generosi impulsi verso la libert
avrebbero potuto realizzarsi. Se ci non avvenuto, stato
perch lo spirito borghese ha via via pervaso la societ mista
euro-americana del secolo passato, infettando anche il progetto
rivoluzionario di rifondazione della societ che aveva avuto la sua
maggior forza espressiva negli utopisti, socialisti e anarchici,
seguiti alle ultime convulsioni della Rivoluzione Francese.
Tale progetto rivoluzionario aveva ricevuto uneredit
intensamente etica, un impegno a riconciliare la divisione tra
mente, corpo e societ, che contrapponeva la ragione alla
sensualit, il lavoro al gioco, la citt alla campagna e infine
lumanit alla natura. I pensatori anarchici e utopisti, nelle loro
migliori espressioni hanno visto chiaramente queste
contraddizioni, ed hanno cercato di superarle attraverso un ideale
di libert fondato sulla complementarit, sul minimo irriducibile,
sulluguaglianza dei disuguali. Le contraddizioni erano considerate
una prova che la societ era invischiata nel male, oppure che la
civilt, per usare parole di Fourier, si era rivoltata contro
lumanit e la cultura a causa della direzione irrazionale che fino
ad allora aveva seguito. La ragione, col suo potere di speculare
lare al di l delle situazioni di fatto, stava diventando un rozzo
razionalismo, finalizzato allo sfruttamento del lavoro e delle
115
risorse naturali. La scienza, con la sua ricerca della realt e
dell'ordine delle cose, stava trasformandosi in scientismo, cio in
programmazione razionale del controllo delle persone e della
natura. La tecnologia, con la sua promessa di alleviare il lavoro,
stava rivelandosi come un insieme tecnocratico di strumenti atti
allo sfruttamento del mondo umano e non umano. I pensatori
anarchici e gli utopisti libertari, nonostante la loro fiducia che
ragione, scienza e tecnica potessero essere forze creative per la
ricostruzione della societ, hanno dato voce ad una protesta
collettiva contro lasservimento di tali forze a finalit puramente
strumentali. Essi erano profondamente consapevoli della rapida
evoluzione cui il secolo sarebbe andato incontro, e la
constatazione dellattuale malessere storico conferma lesattezza
delle loro intuizioni. La loro pressante richiesta di un cambiamento
immediato in senso liberatorio pervasa dallangoscia per
limborghesimento della societ, per usare il termine usato da
Bakunin a proposito dei timori che lo turbavano negli ultimi anni
della sua vita. Nonostante il giudizio ipocrita di Gerald Brenan e
Hobsbawn, limportanza attribuita dagli anarchici alla
propaganda del fatto non era una rivalutazione primitiva di
azioni violente e catartiche, contrapposte alla generale passivit di
fronte agli orrori del capitalismo industriale. Al contrario, tali
azioni erano per lo pi la conseguenza della disperata
constatazione che si stava perdendo unoccasione storica per lo
sviluppo sociale, e che tale perdita avrebbe prodotto ostacoli
immensi per la realizzazione futura del progetto rivoluzionario.
Sulla base della loro concezione etica ed utopica, vedevano
giustamente il proprio tempo come disponibile allemancipazione
immediata dellumanit, non semplicemente come uno stadio
fra i tanti, nella lunga storia dellevoluzione umana verso la
libert, con le sue infinite precondizioni e le sue infrastrutture
tecnologiche.
Ci che i teorici anarchici e gli utopisti libertari non hanno visto
che gli ideali stessi di libert erano segnati dal pericolo di
imborghesimento. Nessuno, forse nemmeno Marx che pure ha
avuto una parte decisiva in tale infezione, poteva immaginare che
il tentativo di trasformare in scienza il progetto emancipatorio,
sotto il nome di socialismo scientifico, ne avrebbe fatto una
scienza anche pi lugubre delleconomia, cio che lavrebbe
spogliato del suo animo etico, del suo spirito visionario, della sua
sostanza ecologica. Non meno importante, il socialismo
116
scientifico di Marx avrebbe contribuito, in tandem con la
borghesia, allo smantellamento dellobiettivo principale del
progetto rivoluzionario, nonch delle sue premesse ideologiche,
giustificando lassorbimento delle unit decentrate in seno allo
Stato centralizzato, il dissolvimento delle concezioni federative in
seno alle nazioni scioviniste, lo snaturamento delle tecnologie a
misura duomo nei sistemi fagocitanti della produzione di massa.
117
IL PROGETTO RIVOLUZIONARIO
Per quanto inquinati, ideali di libert continuano ad esistere fra
noi. Eppure il progetto rivoluzionario non mai stato cos
compromesso dallimborghesimento temuto da Bakunin
nellultimo periodo della sua vita. N si presentato in termini
tanto ambigui come oggi. Parole come radicalismo e sinistra
sono diventate di significato misterioso, ed esiste il serio pericolo
che perdano completamente di senso. Quanto oggi passa per
rivoluzione, radicalismo e sinistra, solo un paio di generazioni fa
sarebbe stato rifiutato come riformismo ed opportunismo politico.
Il pensiero sociale si lasciato attrarre cos addentro le viscere
dellattuale societ che le persone che si considerano di sinistra
(socialisti, marxisti o radicai che siano) rischiano di venirne digeriti
senza neppure accorgersene. Semplicemente, in molti Paesi
euroamericani non esiste una sinistra consapevole che abbia una
qualche rilevanza. Non esiste neppure un radicalismo criticamente
indipendente, eccezion fatta per ridotti circoli di teorici
rivoluzionari.
A lungo termine, forsanche pi pericoloso il fatto che il
progetto rivoluzionario rischia di perdere la sua stessa identit, la
propria capacit di autodefinirsi, il senso della propria direzione.
Oggi constatiamo lassenza non solo di un vero approccio
rivoluzionario, ma anche della capacit di definire cosa si intenda
con lespressione trasformazione rivoluzionaria, o col termine di
capitalismo. La preoccupazione bakuniniana circa
l'imborghesimento della classe operaia si affianca al timore
marxista che un giorno le generazioni future di lavoratori possano
considerare il capitalismo qualcosa di tanto scontato da apparire
una forma naturale del vivere umano, non un tipo di societ
che si presentata nel corso di un periodo storico specifico.
Definire come capitalista la societ euro-americana suscita
perplessit, nel migliore dei casi, e nel peggiore d origine a
speciose contrapposizioni con le societ cosiddette socialiste,
come la Russia o la Cina. Che qui si tratti di capitalismo
imprenditoriale e l di capitalismo burocratico appare spesso
118
incomprensibile al buonsenso tradizionale.
E certamente possibile che ancor non sia stato compreso cosa
sia realmente il capitalismo. Dallo, scoppio della prima guerra
mondiale, le sinistre hanno descritto ogni fase del capitalismo
come ultimo stadio, mentre il sistema, invece, ha continuato a
crescere, assumendo dimensioni internazionali e tecnologie nuove
che fino a poche generazioni fa nemmeno la fantascienza era in
grado di prevedere. Il capitalismo ha anche mostrato una
stabilit, e una capacit di cooptare le forze che ad esso si
oppongono, che un secolo fa avrebbe scosso profondamente i
pionieri del socialismo e dellanarchismo. E' possibile che non sia
ancora arrivato ad incarnare completamente il male della societ
(per usare il termine di Bakunin), cio a produrre un sistema di
continua rivalit sociale tra le persone ad ogni livello dellesistenza
e uneconomia fondata sulla concorrenza e laccumulazione. Una
cosa, comunque, devessere ben chiara: un sistema che deve
espandersi continuamente fino a distruggere tutti i vincoli tra
societ e natura, come dimostrano i buchi nello strato di ozono e
laumento delleffetto serra. letteralmente il cancro della vita
sociale.
Se le cose stanno cos, la natura non marcher di attuare la
propria vendetta, rendendo il pianeta inabitabile per le forme di
vita complesse come la nostra e quella dei nostri cugini
mammiferi. Ma stante la celerit con cui si sviluppano le
innovazioni tecnologiche, ivi compresi gli strumenti per
scandagliare i segreti stessi della materia e della vita (sotto forma
di scienza nucleare e ingegneria genetica) anche possibile che
alla distruzione dei cicli naturali verr posto rimedio per mezzo di
sostituti completamente sintetici, con giganteschi impiapti
industriali che soppianteranno i processi naturali. E' da ciechi non
accorgersi che esiste tale possibilit, e quindi quella di
unevoluzione in senso totalitario della societ, frutto della
gestione tecnocratica e su scala mondiale della societ e della
natura. Se cos fosse, il pianeta da sistema autoregolato di forze
tendenti allequilibrio, come figura nella ipotesi Gea, diverrebbe
un sistema a parziale o totale controllo tecnologico, una sorta di
ipotesi Dedalo senza la coscienza greca del limite.
Finch tale sinistra prospettiva continuer ad essere allordine
del giorno, avremo la disperata necessit di ripristinare il progetto
rivoluzionario, con gli elementi nuovi che ad esso sono stati
aggiunti nellultima met del secolo. Laffermazione di un presunto
119
settarismo o dogmatismo di sinistra che sarebbe insito
nellidea stessa di progetto ri!olu%ionario, non deve turbarci. Chi
oggi si definisce moderato, o di centro-sinistra, per usare il
prudente lessico della nostra epoca, troppo debilitato
intellettualmente per distinguere il settarismo da unanalisi
approfondita dei problemi sociali ed ecologici contemporanei.
Dobbiamo quindi prendere risolutamente in considerazione i
periodi passati e recenti nei quali il progetto rivoluzionario si
manifestato, come lera del socialismo operaista, la New Left
(Nuova Sinistra) e lattuale cosiddetta Era dellEcologia. Senza
un riesame critico delle soluzioni gi proposte, non faremo che
brancolare nelloscurit di una Storia sconosciuta, che invece ha
tanto da insegnarci.
)l socialismo operaio
importante rendersi conto, oggi, che uno dei pi grandi
progetti rivoluzionari dellepoca moderna ormai non pi vitale.
Mi riferisco in parte allanalisi sociale marxista, ma anche, come
vedremo, al socialismo operaio nel suo complesso, che andato al
di l del marxismo, assumendo contenuti libertari ed anche
utopici. Dire che lessere determina la coscienza, o in termini
meno filosofici che i fattori materiali determinano la vita culturale,
troppo semplicistico per spiegare il peso che questa ha avuto
nella seconda met del secolo scorso e nella prima met
dellattuale, proprio quando il capitalismo ha plasmato la mente
europea e americana secondo modelli prettamente economicistici.
Osservando pi attentamente la storia si vedr che questa
immagine essenzialmente borghese della realt, che il marxismo
ha trasformato in unideologia apparentemente di sinistra,
limitata ad unepoca ben precisa per quanto predominante appaia
oggi. Sarebbe impossibile comprendere perch in molti momenti
dellepoca antica il capitalismo non sia riuscito a diventare un
assetto sociale dominante, se non si tenesse presente lesistenza
di tradizioni culturali che hanno ostacolato e segretamente
compromesse le spinte in direzione capitalistica. E' possibile
portare innumerevoli esempi di come, al contrario, sia la
coscienza a determinare lessere (per usare siffatto
linguaggio deterministico), volgendo lo sguardo verso lAsia,
lAfrica o lAmerica indigena, per non parlare di molti Paesi europei
nei primi tempi dellepoca moderna. Il marxismo riporta ogni
questione al rapporto generale tra coscienza ed essere, che
120
continua a avere un gran peso in seno allaccademia marxista,
anche se tutto il resto della teoria ormai in pezzi. Osservando le
cose da un punto di vista economicistico e borghese, esso
definisce in termini appunto borghesi una massa di problemi che
hanno invece una base nettamente non economica e non
borghese. La stessa resistenza delle societ precapitalistiche a
divenire Capitalistiche, ad esempio, spiegata come mancanza
di sviluppo economico, inadeguatezza scientifica e, come spesso
accade in molte delle opere marxiane meno rigorose (come i
Griindrisse(, presenza di fattori culturali, che pure dovrebbero
essere considerati dipendenti dai fattori economici.
Ben pi utile del modo circolare di ragionare che caratterizza
gran parte del marxismo, cercare di definire il progetto
rivoluzionario prendendo in considerazione lideale socialista ed i
miti storici sviluppatisi intorno ad esso. I progetti rivoluzionari
hanno sempre assunto le caratteristiche proprie del periodo in cui
sono stati concepiti, nonostante il tentativo di universalizzare le
proprie idee e la volont di parlare in nome dellumanit di ogni
tempo. Il radicalismo contadino quasi contemporaneo alle prime
manifestazioni di agricoltura stanziale e di insediamento in villaggi.
Ispirato da una moralit religiosa universale, ha sempre sostenuto
di parlare in nome di valori eterni, centrati sulla libert della terra
e del villaggio. Ha anche assunto forme anarchiche e populiste.
Personaggi come lanarchico ucraino Nestor Machno nel 1917-21 e
il populista messicano Emiliano Zapata, pi o meno nello stesso
periodo, hanno lottato per scopi praticamente identici. Del pari, il
radicalismo degli artigiani apparso nel Medio Evo, raggiungendo
il proprio apice nel movimento degli nrag/s durante la
Rivoluzione Francese e la Comune di Parigi nel 1871. Il suo
portavoce forse pi consapevole stato Pierre-Joseph Proudhon,
sebbene le sue idee municipaliste e federaliste abbiano avuto
implicazioni ben pi ampie di quelle di qualunque specifica classe
di cui si facesse portavoce.
Il socialismo operaio, che ancor oggi un ideale coltivato da
molti socialisti e sindacalisti indipendenti, ha un pedigree pi
complesso e complicato. Esso prende origine in parte dalla
trasformazione che, ad opera del capitalismo, molti artigiani
pienamente autosufficienti hanno subito, diventando operai
salariati durante gli anni esplosivi della Rivoluzione Industriale.
Come movimento - lasciando da parte gli aspetti teorici - esso
stato influenzato dalle sue origini rurali e provinciali, vale a dire
121
dalla proletarizzazione dei contadini indotti a lasciare i propri
villaggi e la propria cultura rurale. Il fatto che essi abbiano portato
tali culture precapitalistiche, con i loro ritmi e valori naturalistici, in
seno alle citt industriali di capitale importanza al fine di
spiegarne lo scontento e la militanza. Fino agli anni20 e 30, in
America e in Europa, le classi lavoratrici del capitalismo industriale
tradizionale non erano costituite da proletari per nascita. I
metalmeccanici americani del settore auto, ad esempio, nella
prima met del presente secolo sono stati reclutati nelle valli dei
monti Appalachi. Molti lavoratori francesi (e ancor pi spagnoli)
sono stati reclutati nei villaggi e nelle cittadine, e a volte non
erano altro che artigiani provenienti da grandi citt come Parigi. Lo
stesso pu dirsi delle classi lavoratrici che hanno fatto la
rivoluzione russa del 1917. E' interessante notare che Marx, nella
sua continua confusione, considerava questi strati sociali
estremamente volatili come der alte scheisse (la vecchia merda,
letteralmente) e non attribuiva ad essi alcun peso rivoluzionario.
Tale background rurale ha prodotto un mosaico altamente
complesso di atteggiamenti, valori e tensioni tra le culture pre-
industriali e industriali, contribuendo a dare un carattere fiero e
quasi millenaristico ad uomini e donne che, anche se lavoravano
con macchinari moderni e vivevano in grandi centri urbani, spesso
notevolmente acculturati, si sentivano guidati da valori in gran
parte artigianali e contadini. I meravigliosi operai anarchici (per
usare le parole di un socialista, Ronald Fraser, in :lood o" Spaiti(
che bruciavano il denaro trovato saccheggiando le armerie di
Barcellona, durante i giorni febbrili dellinsurrezione nel luglio
1936, erano persone che agivano spinte da profondi impulsi
utopici ed etici, e non semplicemente dagli interessi economici che
il capitalismo avrebbe instillato col passar del tempo nelle classi
lavoratrici. I proletari della fine del diciannovesimo secolo e
dellinizio del ventesimo, erano di una razza assai speciale. Si
sentivano d/class/, un naturalismo vitale orientava
spontaneamente il loro comportamento, provavano rabbia per la
perdita della propria autonomia, ed erano forgiati da valori che si
rifacevano ad un mondo ormai perduto di abilit artigianale,
amore per la terra, solidariet comunitaria.
Ecco dunque lo spirito rivoluzionario che si manifestato nel
movimento operaio, dalle barricate parigine del giugno 1848,
quando una classe lavoratrice in gran parte artigiana ha levato le
bandiere rosse della repubblica sociale, alle barricate del
122
maggio 1937 a Barcellona, dove una classe operaia socialmente
anche pi consapevole ha innalzato le bandiere rosso-nere
dellanarco-sindacalismo. Ma col passare del tempo, questo
movimento ha subito una drastica trasformazione: la
composizione sociale, la cultura politica, la tradizione e gli scopi
del proletariato attuale sono profondamente mutati. Il mondo
rurale e le tensioni culturali nei confronti di quello industriale, che
hanno dato origine al fervore rivoluzionario proletario, sono
scomparsi dalla scena storica. E scomparse sono le persone,
quelle particolari personalit umane nelle quali quel background e
quelle tensioni si erano incarnate.
La classe operaia di oggi si completamente industrializzata, e
non radicalizzata, come avevano sperato ardentemente socialisti
ed anarchici. Essa non ha spirito n tradizioni antagoniste, e
nessuna delle attese millenaristiche che aveva un tempo. Non
soltanto modellata e definita nelle sue aspettative dai mass
media (una spiegazione, questa, che piace a chi ama vedere
ovunque il potere dei media moderni); ma come classe, il
proletariato diventato la controparte della borghesia, non il suo
antagonista irriducibile. Tanto per usare il linguaggio
delloperaismo contro i suoi stessi miti, si pu dire che la classe
operaia oggi semplice- mente uno degli organi del corpo
capitalistico, e non un embrione della societ futura. Ci cui
assistiamo non semplicemente il suo fallimento in quanto
agente storico della trasformazione rivoluzionaria, bens il suo
perfezionamento come prodotto generato dal capitalismo nel corso
del suo sviluppo. Nella sua forma pura, il proletariato non ha
mai costituito veramente una minaccia per il sistema capitalistico.
Sono state proprio le sue impurit, invece, come i pezzi di
stagno e di zinco che trasformano il rame in solido bronzo, che
hanno costituito il nerbo della sua antica militanza e del fervore
millenaristico che in certi momenti cruciali ha saputo generare.
Siamo qui di fronte ad un modello quanto mai difettoso di
cambiamento sociale, un modello che stato introdotto nel
progetto rivoluzionario degli ultimi centanni e poi accettato
implicitamente anche dalla sinistra non marxista. Esso fondato
sullopinione decisamente errata che la nuova societ debba
nascere nel seno stesso della vecchia, crescendovi e sviluppandosi
come un figlio vigoroso capace di imporsi ai suoi genitori
odistruggerli.
123
Nellantichit non mai accaduto alcunch che possa
giustificare questa teoria dellembrione, se cos vogliamo
chiamarla, a proposito della rivoluzione. Il feudalesimo europeo
ha sostituito la vecchia societ sulle coste settentrionali del
Mediterraneo (ed ivi soltanto) perch le relazioni feudali erano in
genere il prodotto della decomposizione delle precedenti relazioni
tribali, quando queste non venivano rimodellate in monarchie
assolute del tipo apparso in Oriente. Il grande hinterland del nord
Europa ha rapidamente perduto le proprie caratteristiche tribali
quando ha incontrato la societ romana. Il capitalismo non nato
dal ventre del nuovo feudalesimo europeo, n la sua nascita
stata inevitabile, come pretendevano di farci credere gli storici
marxisti del passato, o Ferdinand Brandel e Immanuel Wallerstein
pi di recente. Come credo di aver gi dimostrato in The 5ise o"
8rbani%ation and th; 4ecline o" +iti%enship, lEuropa tra il
quattordicesimo e il diciottesimo secolo era assai composita,
socialmente ed economicamente, ed offriva diverse alternative al
capitalismo e alla costituzione degli Stati nazionali. Il mito di uno
sviluppo embrionale del capitalismo, e quello della sua presunta
inevitabilit, non poteva che nuocere al progetto rivoluzionario
del socialismo operaio.
In primo luogo, infatti, ha generato lidea che il proletariato
fosse lequivalente moderno della borghesia, e come la borghesia
medievale si sarebbe presumibilmente sviluppato in direzione
rivoluzionaria in seno al capitalismo stesso. Il fatto che il
proletariato non abbia mai avuto, nemmeno lontanamente, il
predominio economico che Marx riconosceva alla prima borghesia,
e che quindi avrebbe dovuto conquistare il potere economico oltre
che politico, tutto ci avrebbe dovuto dimostrare quanto fosse
assurda per il proletariato la teoria dellembrione, anche nel
caso che la borghesia medievale avesse davvero il potere che le
veniva attribuito. In particolare, in che modo la classe operaia
avrebbe potuto elevarsi al di sopra dei suoi interessi particolari in
una struttura economica alla quale era totalmente subordinata, a
causa delle sue richieste miranti unicamente ad ottenere salari pi
alti, orari ridotti e migliori condizioni di lavoro allinterno del
sistema, era un mistero impenetrabile.
La dottrina economica marxista, nonostante le sue mirabili
analisi sulle relazioni tra merci e processo di accumulazione,
stata in larga misura concepita per dimostrare che il capitalismo
avrebbe spinto alla rivolta il proletariato, a causa
124
deHimpoverimento progressivo e delle crisi croniche. Il fatto che
la fabbrica, invece, avrebbe decisamente addomesticato il
proletariato, attraverso la routine mortale del lavoro industriale;
che ne avrebbe sottomesso la riottosit con la sottomissione ad
una gerarchia manageriale ed a metodi di produzione
standardizzata; che la mera disperazione non avrebbe spinto il
proletariato alla rivoluzione, ma a stratificarsi contro se stesso,
dimodoch i meglio pagati e quelli di razza superiore si
sarebbero contrapposti ai meno pagati e di razza inferiore; che
le previsioni di una cronica crisi economica sarebbe stata
vanificata da abili tecniche di gestione delle crisi; che il
nazionalismo e perfino lo sciovinismo patriottardo avrebbero preso
il sopravvento sulla solidariet internazionale di classe; infine, che
il progresso tecnologico avrebbe ridotto numericamente il
proletariato e lavrebbe condotto alla collusione con il suo stesso
sfruttamento secondo un modello gestionario di tipo giapponese,
tutto ci non stato nemmeno lontanamente previsto come logica
dello sviluppo capitalistico.
In secondo luogo, il mito marxiano di uno sviluppo
embrionale ha mistificato la storia, rimuovendone gli elementi
essenziali di spontaneit. In tale teoria non cera posto che per
ununica evoluzione, non erano possibili direzioni alternative.
Nellevoluzione sociale, la capacit di scelta aveva un ruolo
insignificante. Il capitalismo, gli Stati nazionali, linnovazione
tecnologica, la distruzione di tutti i vincoli tradizionali che un
tempo limitavano la ricerca del profitto, la perdita dei legami
comunitari che in passato generavano un senso di responsabilit
sociale, tutto ci stato considerato non solo come inevitabile, ma
anche come desiderabile. La storia, in effetti, lasciava agli uomini
unautonomia minima. La storia fatta dagli uomini... ha scritto
Marx, una dichiarazione piuttosto ovvia che, molto tempo dopo la
sua morte, i marxisti di orientamento culturale avrebbero ripreso
per togliersi dimpaccio dalle crescenti contraddizioni tra le teorie e
la realt oggettiva. Ma essi hanno dimenticato di notare che la
frase di Marx era stata pronunciata per dare rilievo a quella
successiva: ...ma in condizioni che non sono scelte da loro.
Il progetto rivoluzionario marxiano (ma non solo marxiano)
stato bardato con stadi, sottostadi e sotto-sottostadi,
fondati sulle cosiddette precondizioni tecnologiche e politiche.
In contrasto con la pratica anarchica di pressione continua contro
la societ alla ricerca dei suoi punti deboli, per aprire spazi atti a
125
rendere possibile il cambiamento rivoluzionario, la teoria
marxiana si strutturata secondo una strategia dei limiti storici
e degli stadi di sviluppo. La Rivoluzione Industriale stata
accolta come una delle precondizioni tecnologiche del
socialismo e le tendenze luddiste sono state denunciate come
reazionarie; lavvento degli Stati nazionali stato visto come
un passo fonda- mentale in direzione della dittatura del
proletariato e il federalismo stato bollato come arretrato.
Dovunque si verificasse, la centralizzazione delleconomia e dello
Stato stata accolta come un progresso verso leconomia
pianificata, cio verso uneconomia altamente razionalizzata.
Questa specie di fatalismo era cos forte tra i marxisti, ed in
particolare in Engels, che nel 1920 i socialdemocratici tedeschi
sono stati riluttanti ad accettare le leggi anti-monopolio (con
dispiacere dei picco- io-borghesi tedeschi, che si sono ben presto
rivolti ai nazisti per ottenere soddisfazione) poich la
concentrazione dellindustria in poche mani era vista come
storicamente progressista e favorevole ad unevoluzione verso
uneconomia pianificata!
In terzo luogo, c il fatto che lo stesso proletariato, gi ridotto
ad un docile strumento di produzione del capitalismo, stato
trattato nel medesimo modo anche dallavanguardia marxista. I
lavoratori sono stati visti principalmente come esseri economici,
incarnazione di interessi economici. I tentativi compiuti da
pensatori di sinistra come Wilhelm Reich di richiamarsi alla
sessualit, o di artisti rivoluzionari come Mayakovsky di
richiamarsi alla sensibilit estetica, sono stati considerati
bestemmie dai partiti marxisti. Larte e la cultura sono state
trattate soprattutto come veicoli di propaganda da porre al
servizio delle organizzazioni operaie.
Il progetto rivoluzionario marxista si anche distinto per il suo
completo disinteresse verso i problemi urbani estetici e
comunitari: argomenti che sono stati rigettati come
sovrastrutturali e ininfluenti rispetto ai pi fondamentali
problemi economici. Gli esseri umani con la loro vasta gamma di
interessi in quanto persone creative, genitori, figli, amici, sono
stati ricostruiti artificialmente e trasformati in esseri economici,
cosicch il progetto rivoluzionario marxista ha rafforzato quella
stessa degradazione e spersonalizzazione dei lavoratori operata
dal sistema industriale. Il lavoratore doveva esprimere il meglio di
s come buon sindacalista o devoto funzionario di partito, non
126
come un essere culturalmente sofisticato con ampi interessi
umani e morali.
Infine, il risultato estremo di questa innaturale trasformazione
degli esseri umani in vuoti prodotti di classe stato lo
snaturamento della natura stessa. Le preoccupazioni ecologiche
non erano soltanto estranee al progetto rivoluzionario marxista,
erano viste come insidiosamente controproducenti, nel senso
letterale del termine. Impedivano lo sviluppo dellindustria e lo
sfruttamento del mondo naturale. La natura stata considerata
avara, cieca, crudele regno della necessit, un insieme di
risorse che il lavoro e la tecnologia dovevano sottomettere,
dominare, modellare. Il grande progresso storico del capitalismo,
salutato come necessario da Marx, stata la sua spietata
capacit di abolire ogni limite al saccheggio del mondo naturale.
Infatti Marx lodava lindustrializzazione prodotta dal capitalismo
come, a suo giudizio, permanentemente rivoluzionaria, in
quanto riduceva la natura ad un semplice oggetto di
utilizzazione umana.
Il linguaggio di Marx e le sue opinioni circa luso illimitato della
natura a scopo sociale, non riflettono il cosiddetto umanismo o
antropocentrismo che oggi viene denigrato da tanti
ambientalisti angloamericani. Lumanismo marxiano, in realt,
poggiava sullinsidiosa riduzione degli esseri umani a forze
oggettive della storia, sottomessi a leggi sociali su cui non
avevano alcuna possibilit di controllo. Tale mentalit anche pi
sconcertante di qualunque forma di antropocentrismo. La
natura viene vista come risorse naturali perch gli esseri umani
sono concepiti come risorse economiche. Lopinione marxista
che il lavoro umano il mezzo attraverso cui luomo si scopre in
conflitto con la natura, implica sinistramente che il lavoro sia
lessenza dellumanit, un carattere diverso da tutti gli altri
caratteri umani. Sotto questo aspetto, Marx si distacca
completamente dalla tradizione autenticamente umanista del
passato, che vedeva lunicit degli esseri umani nella loro
coscienza, moralit, sensibilit estetica ed empatia per tutti gli
esseri viventi. Peggio, se nella teoria marxiana gli esseri umani
non sono che strumenti della storia, la felicit e il benessere
dellattuale generazione possono essere sacrificati per
lemancipazione delle generazioni future, un concetto immorale
che i bolscevichi in generale, e Stalin in particolare, avrebbero
127
usato con effetti distruttivi su larga scala, edificando il futuro sui
cadaveri del presente.
Il contributo dato dal socialismo operaio al progetto
rivoluzionario stato di natura soprattutto economica. La critica
marxiana delleconomia borghese, per quanto limitata soprattutto
al suo tempo, magistrale. Ha rivelato la latente capacit della
merce di diventare una forza corrosiva, in grado di cambiare la
storia, e il potere sovvertitore del mercato, che pu cancellare
tutte le forme tradizionali della vita sociale. Ha previsto che il
potere daccumulo capitalistico sarebbe arrivato al punto di
generare monopoli e automazione, come risultato logico della
tendenza allinnovazione. Marx cap altres che lascesa del
capitalismo aveva dato origine ad un acuto senso di penuria, che
nessuna societ precedente aveva conosciuto. Unumanit
alienata viveva in timorosa soggezione dei prodotti del suo stesso
lavoro. Le merci erano diventate feticci in grado di governare i
popoli attraverso le fluttuazioni mercantili, con il misterioso potere
di condizionare la sopravvivenza economica. Una societ libera
poteva sperare di porre fine alle proprie intime paure,
allinsicurezza materiale e ai desideri artificialmente indotti, solo
quando la tecnologia avesse raggiunto un livello tale da rendere la
penuria priva di senso, grazie allabbondanza dei beni; dopo di che
in una societ ecologica e razionale gli esseri umani avrebbero
forse avuto desideri non distorti dal mistificato mondo economico
del capitalismo.
E' importante porre la necessit di una tecnologia che sappia
liberare il progetto rivoluzionario dalla paura moderna di
uninsufficienza di beni. Ma tale tecnologia deve essere vista nel
contesto dello sviluppo sociale, pi che come una precondizione
dellemancipazione umana in ogni tempo e situazione. Nonostante
tutte le loro pecche, le societ precapitalistiche erano strutturate
in base ad alcuni potenti limiti morali. Ho gi citato lordinanza
medievale, citata a sua volta da Kropotkin, che stabiliva che
...ciascuno deve trovar piacere nel suo lavoro.... Non era
assolutamente una rarit. Il concetto che il lavoro dovesse essere
piacevole, e che bisogni e ricchezze non dovessero espandersi
allinfinito, contribuiva notevolmente a condizionare la stessa idea
popolare di penuria. In effetti, la ricchezza era spesso vista come
qualcosa di demoniaco e il soddisfacimento eccessivo dei bisogni
come moralmente riprovevole. Donare, liberarsi del superfluo,
come gi abbiamo visto, era considerato superiore
128
allaccumulazione dei beni e allespansione dei desideri. Non che le
societ precapitaliste abbiano tutte costantemente aborrito il lusso
e le cose buone della vita, certo non la Roma imperiale, almeno.
Ma questi erano comunque visti come vizi e ad essi si reagiva
prima o poi con lascetismo e lesaltazione della rinuncia.
Proprio queste tradizioni sarebbero state oggetto di aspre
critiche da parte di Marx, il quale ha elogiato il capitalismo per
aver scalzato ...la tradizione che vuole un soddisfacimento
limitato di bisogni, confinati entro limiti ben definiti, e la
riproduzione dei modi di vita tradizionali... (Griindrisse). La
produzione fine a se stessa - il capitalismo tipico disprezza la
qualit e lutilit e ama solo la quantit e il profitto - doveva
essere accompagnata dal consumo fine a se stesso. Certo, questo
un concetto relativamente recente. Ma comunque un concetto
profondamente radicato presso grandi masse di persone nel
mondo occidentale. Stante fa feticizzazione delle merci e
lidentificazione del benessere con la sicurezza materiale, gli
attuali concetti di consumo non possono pi essere
significativamente modificati dalla semplice persuasione morale,
per quanto impegnata. Bisogna invece dimostrare quanto siano
irrilevanti, perfino ridicoli, in virt del fatto che la tecnologia in
grado di produrre benessere per tutti, che lidea stessa di
benessere pu essere ridefinita in termini razionali ed ecologici.
In ogni caso, il marxismo in quanto progetto rivoluzionario ha
iniziato ad entrare in crisi quando dopo il secondo conflitto
mondiale il capitalismo si riconsolidato, senza che alcuna delle
tanto attese rivoluzioni proletarie fosse arrivata a porre fine alla
guerra salvando la societ dalla barbarie. Il declino stato
ulteriormente accelerato dallevidente degenerazione della Russia
sovietica in un altro Stato nazionale, anchesso pervaso di
sciovinismo nazionalistico e ambizioni imperialistiche. La ritirata
del marxismo negli enclavi accademici testimonia la sua morte
come movimento rivoluzionario. Ormai cos intrinsecamente
borghese nella sua impostazione generale da essere innocuo e
disarmato. I Paesi capitalisti, per parte loro, hanno nazionalizzato
larghi settori delle loro economie. In un modo o nellaltro,
anchessi pianificano la produzione ed hanno neutralizzato le
fluttuazioni economiche con una vasta gamma di riforme. La
classe operaia divenuta una forza in gran parte devitalizzata per
quanto concerne i cambiamenti sociali radicali, per non parlare
della rivoluzione. La bandiera rossa del socialismo marxista
129
avvolge ormai una bara piena dei miti che inneggiano alla
centralizzazione politica ed economica, alla razionalizzazione
industriale, alla teoria semplicistica del progresso lineare,
allatteggiamento fondamentalmente anti-ecologico, tutto in nome
della sinistra. Con la bandiera rossa o no, pur sempre una bara.
I miti in essa contenuti hanno tragicamente distratto il pensiero e
lazione sovversiva dai generosi ideali di libert della prima met
del diciannovesimo secolo.
La 9e< Le"t e la controcultura
Il progetto rivoluzionario, per, non morto con la crisi del
marxismo, nonostante sia stato ancora inquinato dalla
volgarizzazione delle idee marxiane per diverso tempo dopo gli
anni 30. Tra la fine degli anni 50 e linizio degli anni 60, una
costellazione di idee totalmente nuove ha cominciato a farsi avanti.
Lascesa del movimento per i diritti civili negli Stati Uniti ha dato
impulso sociale alla semplice richiesta di uguaglianza etnica, che
per molti versi risentiva di spinte ugualitarie risalenti ai tempi delle
rivoluzioni democratiche del diciottesimo secolo ed ai loro ideali di
fratellanza tra gli esseri umani.
I discorsi di Martin Luther King, ad esempio, avevano un taglio
nettamente millenaristico, in parte precapitalistico. Erano discorsi
apertamente utopici e quasi religiosi. Contenevano riferimenti a
sogni, ad ascese alla sommit del monte come quella di Mos,
e facevano appello ad un fervore etico che andava oltre gli
interessi particolari e i pregiudizi provinciali. Erano tenuti con un
sottofondo di musica e cori che lanciavano messaggi come
Freedom Now! (libert ora) e We Shall Overcome
(vinceremo).
Il diffondersi dellideale di emancipazione, la sua santificazione
attraverso luso di una terminologia religiosa e atteggiamenti
ieratici aveva rimpiazzato la pseudoscienza del marxismo. Era un
preciso messaggio etico di redenzione spirituale e una visione
utopica di solidariet umana che trascendeva classi, propriet e
interessi economici. Era la riaffermazione degli ideali di libert, nel
gergo del progetto rivoluzionario pre-marxista, cio in un
linguaggio che sarebbe risultato comprensibile ai romantici Puritani
della Rivoluzione Inglese e forse anche ai coloni progressisti della
Rivoluzione Americana. Gradatamente, il movimento diventato
130
pi secolare. Le pacifiche proteste indette dal clero e dai pacifisti
neri per testimoniare in favore delle libert umane fondamentali,
hanno lasciato il passo alla rabbia e alla resistenza violenta contro
lautorit. Le normali assemblee si sono spesso trasformate in
rivolte e, dal 1964 in avanti, ogni estate stata segnata da
sollevamenti nei ghetti neri degli Stati Uniti, con proporzioni quasi
insurrezionali.
Ma il movimento per i diritti civili non ha monopolizzato gli ideali
egualitari emersi negli anni 60. Precedute dal movimento
antinucleare degli anni 50, ivi compresa la campagna per il
disarmo nucleare in Inghilterra e lo sciopero delle Donne per la
Pace negli Stati Uniti, diverse tendenze hanno cominciato a
manifestarsi, fino a convergere producendo la cosiddetta New
Left, un movimento che si distingueva nettamente dalla vecchia
sinistra per scopi, forme organizzative e strategie di
trasformazione sociale. Il progetto rivoluzionario veniva
recuperato, ma in sintonia con gli ideali libertari pre-marxisti, non
con il socialismo operaio. In tale progetto sono confluite le diverse
forme controculturali della rivolta giovanile, con la sua ricerca di
nuovi modelli esistenziali e di libert sessuale e col suo ricco
insieme di valori comunitari e libertari. Un variegato orizzonte di
idee sociali, sperimentazioni e relazioni cos emerso, illuminato
da folli speranze di cambiamento radicale.
Certo la luce non veniva soltanto dallideologia. Era alimentata
da unimportante transizione in atto nella societ euroamericana,
a livello tecnologico, economico e sociale. Tra la fine della seconda
guerra mondiale e linizio degli anni 60 non era morto soltanto il
socialismo operaio. Altre caratteristiche determinanti della vecchia
sinistra erano andate scomparendo: la capacit dei partiti operai
gerarchici di rappresentare le tendenze sovversive, la disperazione
tipica degli anni 30, larcaica eredit tecnologica fondata su
giganteschi impianti industriali con limpiego di lavoro intensivo e
sovradimensionato. La struttura industriale negli anni della Grande
Depressione non era tecnologicamente molto innovativa. Gli anni
30 sono stati forse anni di speranza ardente, ma cupi. Gli anni
'60, allopposto, sono stati segnati da esuberanti promesse, anche
quella di ottenere limmediata realizzazione dei propri desideri. Il
capitalismo, ben lungi dal ricadere nella cronica depressione che
aveva preceduto la guerra, si era riorganizzato e le sue
fondamenta non erano mai state cos solide. Esso ha creato
131
uneconomia pianificata basata sulla produzione militare e tenuta
in piedi da eccezionali progressi tecnologici, nellelettronica,
nellautomazione, nelluso del nucleare, nellagribusiness.
Uninfinita quantit e variet di beni uscita come dal corno
dellabbondanza. La ricchezza prodotta era tale, in effetti, che
notevoli porzioni della popolazione potevano vivere usando
semplicemente gli scarti della societ. Oggi, a distanza di anni,
difficile rendersi conto di quanto quellepoca sembrasse
promettere.
Erano promesse chiaramente materialistiche. La controcultura di
allora rifiutava i beni materiali, eppure consumava senza avvertire
contraddizione impianti stereo, dischi, apparecchi televisivi,
farmaci che aprivano la mente, vestiti esotici e cibi altrettanto
esotici. Trattati progressisti come Triple 5e!olution incoraggiavano
lidea, apparentemente pi che giustificata, che almeno in
Occidente la tecnologia fosse entrata in unera di abbondanza
senza precedenti e di libert dal lavoro. Che la societ potesse
essere riorganizzata in modo da godere pienamente di tutto
questo ben-di-dio materiale e sociale era fuori di dubbio, una volta
che tale benessere venisse strutturato sulla base di una nuova
visione etica.
Tali aspettative permeavano ogni strato della societ, anche
quelli pi diseredati e sfavoriti. Il movimento per i diritti civili non
nasceva dal semplice risentimento covato dai neri nel corso di tre
secoli di oppressione e discriminazione. Negli anni 60 esso si
originato anche pi prepotentemente dalla speranza popolare di
accedere ad un tenore di vita pari a quello della classe media
bianca, e dalla convinzione di aver raggiunto ormai unabbondanza
pi che sufficiente per tutti. Il messaggio etico di King e dei suoi
discepoli affondava le proprie radici nella tensione esistente tra
lindigenza dei neri e il benessere dei bianchi, una tensione che
rendeva loppressione dei neri anche pi intollerabile che in
passato.
Allo stesso modo, anche la New Left si andata radi- calizzando
in conseguenza delliniquit con cui la ricchezza americana era
distribuita e dellirrazionalit con cui era impiegata (ad esempio in
avventure militari allestero). La controcultura e le sue richieste
sono diventate sempre pi utopiche, nella misura in cui le
comodit della vita divenivano accessibili a tutti. I giovani, i famosi
emarginati degli anni 60, hanno dato un significato etico al
fatto di poter vivere decentemente rovistando nelle immondizie e
132
con un po di aiuto da parte degli amici, come diceva una
famosa canzone dei Beatles.
Non dico questo perch intendo denigrare il radicalismo della
New Left e le utopie della controcultura. Cerco piuttosto di
spiegare perch abbiano assunto certe forme stravaganti ed anche
perch siano scomparse non appena le tecniche di gestione della
crisi, messe in atto dal sistema, hanno reinventato il mito della
penuria di beni e messo il freno ai programmi assistenziali (un
mito della penuria accettato anche da certe tendenze reazionarie
del movimento ecologista, come vedremo pi avanti).
E nemmeno voglio sostenere che gli ideali etici di libert siano
meccanicamente legati alla contrapposizione tra povert e
abbondanza. Cinquecento anni di rivolte contadine con le loro
visioni utopiche, oppure le rivolte degli artigiani durante lo stesso
lasso di tempo e con visioni simili, o quelle di sovversivi religiosi
come gli Anabattisti e i Puritani, o infine quelle di anarchici e
utopisti libertari di impostazione razionalistica (movimenti che
hanno spesso lanciato messaggi di ascetismo in epoche
tecnologicamente non sviluppate), tutto ci sarebbe inesplicabile.
Tutti questi progetti rivoluzionari hanno accettato concezioni della
libert basate sulla povert, non sullabbondanza. Ci che in
genere li ha messi in moto sono state le asprezze della transizione
dal villaggio alla citt, dalla citt agli Stati nazionali, dalle forme di
lavoro artigianale a quelle industriali, da societ miste al
capitalismo, situazioni ciascuna delle quali era peggiore di quella
precedente, sia sul piano psicologico cne materiale.
Ci che ha spinto la New Left verso il suo progetto
rivoluzionario e la controcultura verso la sua caotica utopia sono
state invece concezioni di libert basate sullabbondanza, sul
trapasso ad una situazione migliore della precedente. In effetti,
per la prima volta sembrava che la societ potesse dimenticarsi
delle potenzialit tecnologiche finalizzate a produrre benessere
materiale per tutti, concentrandosi invece sul benessere etico per
lutti. Labbondanza, almeno quella che esisteva per le classi
medie, ed una tecnologia dalla produttivit incalcolabile, hanno
generato una loro etica: la ragionevole certezza che labolizione di
qualsiasi forma di oppressione (imposta ai sensi, al corpo o alla
mente) potesse essere ottenuta anche sul terreno borghese della
strumentalit economica. A motivare limpostazione progressista
dei primi documenti della New Left (come la Dichiarazione di Port
Huron) cera la convinzione che la tecnologia fosse ormai cos
133
produttiva da poter essere usata per tranquillizzare i ricchi e
rimuovere la loro tradizionale paura di perdere i propri beni. I
ricchi avrebbero potuto serenamente godere la ricchezza e la
societ (a parte i problemi di potere e controllo) avrebbe
ugualmente a disposizione di che garantire ampio benessere a
tutti. In effetti capitalismo e Stato sembravano aver perso la
propria ragione dessere, in quanto la disponibilit di mezzi di
sostentamento creata dalla tecnologia sembrava renderne inutile
la distribuzione secondo criteri gerarchici.
Anche il lavoro, dunque, cessava di essere un fardello per le
masse. La repressione sessuale non era pi necessaria al fine di
deviare le energie libidinali verso lintensa attivit lavorativa. Gli
ostacoli convenzionalmente frapposti sulla via del piacere in queste
nuove condizioni diventavano insopportabili e il bisogno poteva
essere sostituito dal desiderio, inteso come impulso genuinamente
umano. Il regno della necessit poteva finalmente essere
sostituito dal regno della libert, e ci spiega linteresse
suscitato allepoca, in molte parti del mondo, dalle opere di
Charles Fourier.
Nella loro fase iniziale, la New Left e la controcultura erano
profondamente anarchiche e utopiche, come dimostrato dal
contenuto dei progetti che cominciavano ad affiorare alla
coscienza collettiva. Uno dei primi stato il modo realmente
democratico, faccia a faccia, di prendere le decisioni. Il termine
democrazia partecipativa divenne di gran moda per indicare la
necessit di controllo dal basso su tutti gli aspetti dellesistenza,
non soltanto su quelli politici. Era sottinteso che chiunque poteva
accedere alla sfera politica e trattare la gente nella vita di tutti i
giorni in modo democratico. Con ci si intendeva in realt che le
persone avrebbero dovuto essere trasparenti in tutte le loro
relazioni e in tutte le idee professate.
Tanto la New Left quanto, in ugual misura, la contro- cultura
emergente che laffiancava, avevano un atteggiamento
ferocemente antiparlamentare che spesso tendeva apertamente
allanarchismo. stato scritto molto sul fuoco nelle strade che a
quellepoca era parte integrante delle attivit della sinistra, ma
bisogna riconoscere che cerano anche forti impulsi verso
listituzionalizzazione dei processi decisionali che oltrepassavano il
livello della protesta di piazza e delle dimostrazioni cos comuni in
quel tempo.
134
La principale organizzazione americana della New Left, gli
Studenti per una Societ Democratica (SDS) e il suo
equivalente tedesco, lUnione degli Studenti Socialisti (anche in
questo caso SDS) erano caratterizzate da un certo formalismo
nelle loro conferenze e riunioni di lavoro. Ma tutti potevano
parteciparci, con ben poche limitazioni, e ci ha esposto tali
organizzazioni allinvasione cinica da parte di sette della sinistra
dogmatica. Ad eccezione di quelle di grandi dimensioni, queste
conferenze e riunioni avevano in gran parte acquisito una loro
propria geometria egualitaria, il circolo, dove non esisteva alcun
presidente formale o capo. Chi aveva avuto la parola indicava chi
dovesse parlare dopo di lui semplicemente scegliendo una delle
persone che avevano alzato la mano per indicare la volont di
esprimere il proprio punto di vista.
Tale geometria e procedura non erano una forma di simbolismo
democratico e organizzativo fine a se stesso. Al contrario,
esprimevano una genuina fiducia nel dialogo faccia a faccia e nella
discussione spontanea. Le leadership venivano viste con sospetto,
al punto che gli incarichi erano spesso assunti a rotazione e
lesistenza di quadri strutturati aborrita come un cedimento verso
il controllo autoritario. Le assemblee della New Left contrastavano
drammaticamente con le riunioni, molto formali e spesso
accuratamente orchestrate, che qualche generazione prima
avevano caratterizzato il movimento operaio. In effetti, la
democrazia applicata in modo estremo al processo decisionale era
considerata come marginale dal socialismo operaio,
particolarmente da quello di impostazione marxista.
In un certo senso, la New Left stava quasi consapevolmente
riportando in vita tradizioni elaborate nel corso delle rivoluzioni
democra'tiche di due secoli addietro. Proprio perch i mezzi di
sussistenza apparivano potenzialmente disponibili in abbondanza
per tutti, la New Left sembrava capire che la democrazia e una
concezione etica della libert costituivano il mezzo per arrivare
direttamente a quellugualitarismo sociale che il socialismo operaio
aveva cercato di raggiungere con mezzi economici e partitici. Era
un notevole spostamento daccento verso limportanza delletica,
in unepoca in cui tutti i problemi materiali dellumanit apparivano
solubili, almeno in linea di principio. In effetti, lepoca premarxista
delle rivoluzioni democratiche si era mescolata con le forme di
socialismo e pensiero utopico premarxista sotto legida della
democrazia partecipativa. Leconomico diveniva ora veramente
135
politico, e il politico cominciava a perdere la patina di statalit che
per un secolo laveva avvolto, un cambiamento dalle implicazioni
decisive ed anarchiche.
In secondo luogo, unimpostazione cos democratica nella vita
sociale non aveva senso senza decentramento.
Se la struttura della democrazia non veniva ricondotta ad un livello
umano, comprensibile, da toccare con mano, la democrazia
stessa non poteva acquisire una vera forma partecipativa.
Bisognava creare nuove unit di rapporto sociale e nuove modalit
tra le persone. In breve, la New Left cominciava a cercare, sia pur
a tentoni, nuove forme di libert. Tuttavia non mai riuscita ad
esportare queste nuove forme al di l delle assemblee che in
genere si tenevano nei campus delle universit.
In Francia, durante la rivolta del maggio-giugno 1968, sembra
che in diversi arrondissements parigini si siano tenute assemblee
di quartiere. Anche negli Stati Uniti erano state avviate attivit nei
quartieri, ma senza vero interesse, soprattutto da parte di gruppi
che agivano in sostegno di scioperi o di collettivi attivi nei ghetti.
Comunque lidea di dar vita a nuove forme di attivit municipale
libertaria, come contropotere alternativo alle forme statizzate, non
ha preso piede, tranne che in Spagna dove il Movimento dei
Cittadini, a Madrid, ha avuto un ruolo non secondario nel
coagulare i sentimenti popolari contro il regime franchista. La
richiesta di decentramento rimasta uno slogan cui ispirarsi,
senza riuscire ad esprimersi tangibilmente fuori delle universit,
dove gli interessi sovversivi erano centrati sul potere
studentesco.
La controcultura ha dato la sua versione del decentramento
sotto forma di vita comunitaria. Gli anni 60 sono stati il decennio
per eccellenza per le comunit di tipo anarchico, come le
definivano molti testi sullargomento. Gli esperimenti comunitari si
sono moltiplicati nelle citt e nelle campagne. Pi che sviluppare
una nuova politica, essi intendevano sperimentare nuovi modelli di
esistenza, antitetici a quelli convenzionali. Erano dei veri e propri
nuclei di contro cultura. I nuovi modelli prevedevano la messa in
comune della propriet, la pratica dellusufrutto, la rotazione degli
incarichi di lavoro, la cura collettiva dei figli da parte di entrambi i
sessi, costumi sessuali radicalmente nuovi, il tentativo di
raggiungere una certa autonomia economica, e la creazione di
nuova musica, poesia, arte, nellintento di interrompere ogni
contatto con i canoni estetici dominanti. Il corpo umano e la sua
136
rivalutazione, quale che possa essere il giudizio sui modelli
adottati, diventava parte di un pi generale tentativo di abbellire
lambiente. I veicoli, le stanze, lesterno dei palazzi, perfino le
pareti di mattoni delle case popolari venivano decorati e coperti di
murales.
Questo tipo di comuni, in certi casi, costituivano porzioni intere
di questo o quel quartiere, e ci ha portato alla costituzione di
associazioni intercomunita- rie e strutture di supporto anche se
informali, come quelle chiamate consigli di trib. Lidea del
tribalismo, che la controcultura ha preso in prestito abbastanza
facilmente dalla tradizione degli indiani americani, si espressa
pi in un linguaggio gergale di amore e nelladozione di usanze
indiane (rituali e specialmente gioielli) che in una realt di
relazioni durevoli e di mutuo appoggio. Ci sono stati gruppi che
hanno tentato di vivere nel rispetto di siffatti principi tribali e in
qualche caso schiettamente anarchici, ma sono stati rari.
Buona parte dei giovani che hanno contribuito alla creazione
della controcultura erano transfughi provvisori provenienti dai
sobborghi della classe media, ai quali avrebbero fatto ritorno al
termine degli anni 60. Ma i valori di molte comunit erano ideali
consolidati che sarebbero filtrati nella New Left, la quale ha dato
anchessa vita ai suoi collettivi, per compiti specifici come la
stampa di articoli, la direzione di scuole libere e altre iniziative
del genere. Termini anarchici come gruppi di affinit (che nel
movimento anarchico spagnolo erano lunit-base per lazione)
hanno cominciato a diventare di moda. Presso gli anarchici
spagnoli questi gruppi erano stati concepiti come forme
associative contrapposte alle sezioni dei vari partiti socialisti
fondate sulla residenza o sul luogo di lavoro; nella New Left, le
personalit pi libertarie vi portavano anche altri elementi della
controcultura, come lo stile di vita, oltre allattivit politica.
In terzo luogo, laccumulo di propriet era oggetto di derisione.
La capacit di espropriare cibo, vestiario, libri o altro dai grandi
magazzini e dagli shopping center era considerata un merito. Tale
mentalit, e pratica, divennero cos diffuse da infettare perfino le
classi medie rispettose delle convenzioni. Il taccheggio nei negozi
assunse proporzioni epidemiche negli anni 60. La propriet veniva
generalmente vista come una specie di bene pubblico, da usare
liberamente o da espropriare.
Anche i valori estetici, che erano rimasti seppelliti nei manifesti
artistici e politici del passato, hanno avuto una rinascita
137
straordinaria. I musei venivano contestati in quanto si riteneva
che gli oggetti ivi contenuti dovessero essere esposti in luoghi
pubblici in modo da divenire parte di un ambiente vivo, reale. Si
tenevano pubbliche rappresentazioni teatrali &Street theatre( nei
posti pi incredibili, come sui marciapiedi dei quartieri finanziari;
complessi rock tenevano i propri concerti per strada o nelle
piazze; i parchi erano usati come aree per le manifestazioni, o per
le discussioni, o semplicemente come luoghi allaperto dove
giovani seminudi fumavano tranquillamente marijuana sotto il
naso dei poliziotti.
Infine, limmaginario della societ occidentale stato
surriscaldato da immagini insurrezionali. In seno alla New Left ha
cominciato a circolare la convinzione che il mondo intero fosse
ineluttabilmente prossimo ad una trasformazione rivoluzionaria
violenta. La guerra in Vietnam ha messo in moto folle immense a
Washington, a New York e in altre citt americane ed europee,
come non si vedeva dai tempi della Rivoluzione Russa. Le
sommosse nei ghetti neri diventarono comuni, con i loro scontri
sanguinosi con lesercito e la polizia, che hanno spesso subito
perdite. Luccisione di personaggi pubblici come Martin Luther King
e Robert Kennedy sono state solo quelle pi famose, in un elenco
che comprende attivisti per i diritti civili, studenti e (crimine
orrendo) un gruppo di bambini neri nel corso di una funzione
religiosa. Queste morti spinsero alcuni settori della New Left verso
attivit terroristiche individuali.
Lanno 1968 ha visto la pi spettacolare rivolta di movimenti
studenteschi e neri. In Francia, in maggio- giugno, milioni di
operai hanno seguito gli studenti in uno sciopero generale durato
settimane. Leco di questa quasi-rivoluzione (come stata
definita di recente) giunto in tutto il mondo in svariate forme,
ma ha ottenuto scarsa simpatia presso le classi operaie e aperta
ostilit presso gli operai tedeschi e americani, il che stato una
specie di sigillo di chiusura definitiva apposto sul socialismo
operaio.
Nonostante una massiccia sollevazione degli studenti americani
nel 1970, in seguito allinvasione della Cambogia, tutto questo
movimento, pi che una vera insurrezione, era la sua proiezione
immaginaria. In Francia, i lavoratori hanno battuto in ritirata, agli
ordini dei loro partiti e sindacati. Le classi medie erano
sinceramente combattute tra i benefici materiali ottenuti
dallestablishment e lappello etico proveniente dalla New Left, cio
138
dai suoi stessi figli. Libri come quelli di Theodor Roszak e di
Charles Reich, che tentavano di spiegare alle generazioni pi
anziane il messaggio della New Left e in particolare la
controcultura, hanno incontrato un successo sorprendente.
Forsanche milioni di persone attaccate alle convenzioni avrebbero
avuto unatteggiamento di simpatia attiva per le dimostrazioni
pacifiste, e perfino per la stessa New Left, se lideologia di questa
fosse stata presentata secondo le forme populiste e libertarie
proprie della tradizione rivoluzionaria americana.
La fine degli anni 60, in effetti, stato un periodo di grande
importanza per la storia degli Stati Uniti. Se la New Left e la
controcultura avessero avuto una crescita pi lenta, pi paziente e
graduale, larghi settori della coscienza popolare sarebbero
cambiati. Il famoso sogno americano, forse alla pari di altri
sogni nazionali, aveva radici ideologiche profonde, non solo
radici materiali. Gli ideali di libert, di comunit, di mutuo
appoggio, anche di federalismo decentrato, sono arrivati in
America con i primi insediamenti di Puritani progressisti. Il loro
particolare protestantesimo, contrario ad ogni forma di gerarchia
ecclesiastica, faceva riferimento al comunalismo del cristianesimo
primitivo piuttosto che ad un rozzo individualismo (un ideale
essenzialmente da cowboy, un anarchismo puramente personale
dove il fuoco del bivacco delleroe armato e solitario sostituito
dal focolare familiare dei proprietari terrieri del villaggio). I
Puritani attribuivano grande importanza alle assemblee popolari
faccia a faccia o ai raduni cittadini che consideravano pi come
strumenti di autogoverno che di governo centralizzato. Pur senza
essere rispettata rigorosamente, tale concezione ha continuato ad
esercitare unimmensa influenza sullimmaginario americano, al
punto che se fosse stata accolta dalla New Left e dalla
controcultura le avrebbe caricate di un senso etico che molti
americani avrebbero accettato.
Ma la New Left, invece di seguire questa tradizione, verso la fine
degli anni 60 ha sciaguratamente fatto lesatto contrario. Si
staccata dalle sue origini anarchiche ed utopiche e, quel che
peggio, ha acriticamente fatto proprie ideologie provenienti dal
Terzo Mondo, ispirate ai modelli sociali vietnamiti, cinesi,
nordcoreani e cubani. Tali ideologie sono state introdotte dai
residui del settarismo marxista ancora in circolazione dagli anni
30, non solo negli Stati Uniti ma anche in Europa, ed oggi
costituiscono il curriculum accademico, sia pur in forma pi
139
sofisticata, del corpo insegnante della New Left. Proprio le
tendenze democratiche della New Left sono state usate contro di
essa dagli autoritari filo-maoisti, allo scopo di conquistare lSDS
in America e in Germania. Nel tentativo di rifiutare una presunta
ascendenza piccolo-borghese, questi movimenti si sono imbevuti
di atteggiamenti operaisti e di riverenza per lestremismo nero,
esibendo uno zelo ultrarivoluzionario che li ha totalmente
marginalizzati e demoralizzati. Gli anarchici presenti nellSDS
americana e tedesca, ed in altre organizzazioni simili, non sono
riusciti a dar vita ad un loro movimento bene organizzato, e
lostentazione di ultra-rivoluzionarismo ha giocato a favore delle
pi strutturate tendenze maoiste, con risultati disastrosi per tutta
la New Left.
Ma non stato soltanto un difetto di ideologia ed
organizzazione che ha portato alla morte la New Left e la
controcultura. Leconomia in espansione, surriscaldata, degli anni
60 stata sostituita in modo definitivo dalleconomia raffreddata e
fluttuante degli anni 70. La rapidit dello sviluppo economico
stata deliberata- mnte bloccata e la sua direzione invertita,
almeno in parte. Sotto la guida di Nixon negli Stati Uniti e della
Thatcher in Inghilterra, cos come dei loro colleghi in altre nazioni
europee, stato creato un nuovo clima politico ed economico che
ha sostituito la sobbollente mentalit degli anni 60 con un senso
di incertezza economica.
Linsicurezza materiale degli anni 70, e la reazione politica
successiva alla vittoria elettorale del conservatorismo in America e
in Europa, ha dato origine a una tendenza individuale a ritirarsi
dalla sfera pubblica. Il privato, la carriera, linteresse personale
hanno preso a prevalere sempre pi marcatamente sul senso
sociale, sullimpegno etico, sulla volont di cambiamento.
La New Left scomparsa anche pi rapidamente di come era
comparsa, e la controcultura diventata un fenomeno
commerciale per boutiques e per interpretazioni in chiave
pornografica della libert sessuale. La cultura della droga per
aprire la mente, tipica degli anni 60, ha aperto la strada negli
anni 70 ad una cultura della droga-sedativo, mettendo in crisi
la societ euroamericana con la scoperta di nuovi farmaci e delle
pi bizzarre combinazioni di questi per sentirsi su o gi, a
seconda delle necessit.
Una storia completa della New Left e della controcultura, con la
descrizione approfondita delle sue origini, del suo sviluppo e della
140
sua decadenza, deve ancora essere scritta. La gran parte del
materiale oggi disponibile sentimentale o autogiustificativo. Il
radicalismo della New Left era essenzialmente intuitivo. La New
Left non era teoricamente cos preparata come la vecchia sinistra,
alla quale essa ha tentato di succedere pi con limpegno attivo
che con lanalisi. Nonostante la massa di volantini propagandistioi
dal lessico roboante, essa non ha prodotto analisi
intellettualmente acute degli eventi che provocava o delle
possibilit reali che aveva di fronte. A differenza della vecchia
sinistra che, con tutti i suoi difetti, era pur sempre parte di una
tradizione secolare ricca di esperienze e valutazioni critiche, la
New Left apparsa pi come un fatto storico isolato, difficile da
spiegare nel contesto di una fase storica pi ampia.
Pi interessata allazione che alla riflessione, la New Left ha
utilizzato versioni rinfrescate dei pi consunti dogmi marxisti per
avallare la propria riverenza, nutrita da sensi di colpa, per i
movimenti del Terzo Mondo, per curare le sue stesse insicurezze
di classe media, nonch per nascondere lelitarismo dei suoi
leader pi opportunisti, prova vivente di come il potere, di fatto,
corrompa. I pi impegnati dei giovani estremisti degli anni 60
andavano a lavorare in fabbrica per brevi periodi, allo scopo di
conquistare una classe operaia per lo pi indifferente, mentre
altri si volgevano al terrorismo, con azioni che in alcuni casi non
erano che una parodia del terrorismo vero e in altri una tragedia
che costata la vita a tanti giovani intensamente (pur se
erroneamente) impegnati.
Ecco dunque che errori gi fatti in passato son stati cos
riciclati: disprezzo per la riflessione seria, sopravvalutazione
dellazione, tendenza a ricadere nei dogmi pi frusti, con il
risultato certo della sconfitta e della demoralizzazione. Ed
proprio quello che successo negli anni 60, quando si giunti alla
stretta finale.
Ma non detto che tutto sia perduto. Il socialismo operaio
aveva centrato il proprio progetto rivoluzionario sugli aspetti
economici della mutazione sociale, cio sulla creazione,
specialmente sotto il capitalismo, delle condizioni materiali
necessarie per una successiva liberazione dellumanit. In accordo
con lopinione di pensatori famosi come Aristotele, era logico
pensare che i popoli dovessero essere ragionevolmente liberi dai
bisogni materiali per poter svolgere le proprie funzioni nella sfera
politica. La libert che si voleva dotare di basi materiali, atte a
141
permettere alle persone di agire come individui o collettivit
responsabili ed autonome, era la libert formale della
disuguaglianza fra uguali, il regno astratto della giustizia. Il
socialismo operaio morto in parte a causa della sua aridit e
mancanza di immaginazione, ma ha anche apportato le necessarie
correzioni alla concezione puramente etica delle istituzioni
politiche, mostrandosi in grado di concepire le strutture
economiche necessarie alla piena partecipazione popolare nella
ricostruzione della societ.
La New Left ha recuperato le visioni utopiche ed anarchiche del
progetto rivoluzionario pre-marxista, ma ha anche intuito che esse
potevano essere allargate per porle in sintonia con le nuove
possibilit di benessere che la tecnologia aveva messo a
disposizione dopo la seconda guerra mondiale. Alla solidit delle
fondamenta economiche necessarie per una societ libera, la New
Left ha cos aggiunto alcuni attributi tipici del fourierismo. Ha
proposto limmagine di una societ sensuale e non soltanto ben
nutrita; libera dal lavoro e non solo dallo sfruttamento; una
democrazia sostanziale, non solo formale; labbandono al piacere,
non solo la soddisfazione dei bisogni. I valori antigerarchici,
decentralisti, comunitari ed edonistici avrebbero continuato a
manifestarsi fino agli anni 70, nonostante le contorsioni
ideologiche della New Left che si andava decomponendo e
precipitava in un mondo immaginario di insurrezioni, rabbia e
terrorismo. Mentre, come ben sappiamo, i leader e i luogotenenti
avrebbero finito per trovare la propria strada in auelle stesse
strutture universitarie che tanto avevano disprezzato negli anni
precedenti, il resto del movimento ha pagato un pesante scotto di
suicidi, morti in scontri a fuoco con la polizia, detenzioni e rovina
psicologica. Ma la New Left ha anche significativamente ampliato la
definizione di libert e lorizzonte del progetto rivoluzionario,
spingendoli al di l dei loro confini economici tradizionali, verso
concezioni politiche e culturali pi aperte. Nessun movimento
futuro potr mai dimenticare leredit etica, estetica ed
antiautoritaria lasciata dalla New Left e dagli esperimenti
comunitari fioriti in seno alla controcultura, nonostante le due
tendenze non siano assolutamente assimilabili. La dimensione
anarchica degli anni 60 non scomparsa. Due problemi,
comunque, sono rimasti insoluti. Quali forme specifiche dovrebbe
assumere un futuro movimento che volesse arrivare alla gente? E
quali possibilit e nuove idee ci sono a disposizione per allargare
142
gli ideali di libert?
)l "emminismo e lecologia
Quando ancora la New Left e la controcultura erano pienamente
vitali, gi queste domande cominciavano ad avere risposta
attraverso due nuove problematiche: lecologia e il femminismo. I
movimenti protezionistici, ed anche quelli ambientalisti volti a
correggere particolari eccessi dellinquinamento, hanno una antica
tradizione nei Paesi di lingua inglese e nellEuropa centrale, dove il
misticismo naturalistico risale al tardo Medio Evo. Lascesa del
capitalismo con i danni terribili da esso inflitti al mondo naturale
ha dato a questi movimenti un rinnovato senso durgenza.
Laccertamento che talune malattie come la tubercolosi (la famosa
peste bianca del diciannovesimo secolo) traevano la propria
origine dallindigenza e dalle malsane condizioni di lavoro, ha
spinto molti medici socialmente impegnati, come il liberale tedesco
Rudolph Virchow, ad occuparsi attivamente della mancanza di
igiene tra le popolazioni povere. Movimenti simili sono sorti in
Inghilterra e si sono diffusi in tutto il mondo occidentale. Il
rapporto tra ambiente e salute, cos, stato visto per pi di un
secolo come un problema di generale importanza.
Nella maggioranza dei casi, tale rapporto era concepito in
termini eminentemente pratici. Il bisogno di pulizia, alimentazione
adeguata, abitazioni sane e condizioni di lavoro decenti, veniva
affrontato in modo molto angusto, senza coinvolgere lordine
sociale. Lambientalismo era un movimento riformista. Non
sollevava alcun problema di grande portata al di l del trattamento
umanitario dei ceti poveri e operai. Una volta che fossero state
attuate alcune specifiche riforme, i suoi adepti ritenevano che non
ci sarebbe mai stato attrito serio tra il sistema capitalistico e il loro
orientamento stretta- mente ambientalistico.
Un altro movimento ambientalista, soprattutto americano, ma
diffuso anche in Inghilterra e Germania, emerso da una passione
quasi mistica per la vita selvaggia. In esso sono confluite diverse
correnti, troppo complesse per darne conto in questa sede.
Protezionisti americani come John Muir trovavano nella vita
selvaggia una forma di contatto con la vita non umana che
ritenevano spiritualmente vivificante, capace di destare desideri ed
istinti umani sopiti. E' una concezione che pu essere fatta risalire
allidilliaca passione di Rousseau per la vita solitaria in mezzo alla
143
natura. Come modo di sentire sempre stato segnato da una
buona dose di ambiguit. Il mondo selvaggio, o ci che oggi ne
resta, pu dare un senso di libert, una pi intensa percezione
della fecondit della natura, un amore per le forme di vita non
umane, ed un pi ricco apprezzamento - estetico dellordine
naturale.
Ma c anche un lato meno innocente. Il mondo selvaggio pu
indurre anche a rifiutare la natura umana, e ogni rapporto sociale,
e a dar vita ad uninutile opposizione tra vita selvaggia e vita
civile. Rousseau tendeva ad assumere posizioni di questo tipo, nel
diciottesimo secolo, per ragioni che qui non il caso di
considerare. Laccusa di essere un nemico dellumanit, mossa
a Rousseau da Voltaire, non del tutto esagerata. Lentusiasta
della vita selvaggia che si ritira in montagna e sfugge la
compagnia umana non fa che ingrossare la trib di misantropi,
che si sono manifestati innumerevoli in tutte le epoche. Per le
popolazioni tribali, tali temporanei ritiri hanno lo scopo di ritornare
poi alla trib con un maggior bagaglio di saggezza; per il
misantropo, invece, una rivolta contro la sua propria specie, un
rifiuto dellevoluzione naturale incarnatasi negli esseri umani.
Questa contrapposizione tra una presunta prima natura
selvaggia e una seconda natura sociale, riflette la cieca e
tortuosa incapacit di distinguere quanto di irrazionale ed anti-
ecologico presente nella societ capitalistica da quanto di
razionale ed ecologico potrebbe esistere in una societ libera. La
societ viene invece condannata in quanto tale, all'ingrosso.
L'umanit, senza che vengano tenuti presente i conflitti ad essa
interni tra oppressi ed oppressori, riunita sotto letichetta di
ununica specie, dannosa al mondo naturale, primigenio,
supposto innocente ed etico.
Tale impostazione porta ad un rozzo biologismo che impedisce
qualunque possibilit di dare alla societ e allumanit un posto
nella natura, o pi precisamente nellevoluzione naturale. Il fatto
che anche gli esseri umani siano prodotti dellevoluzione naturale
e che anche la societ esca dal medesimo processo considerato
con scarsa attenzione e viene generalmente subordinato ad
unimmagine molto statica della natura. In tale semplicistico
immaginario, la natura vista come un paesaggio riprodotto in
cartolina. E' una concezione ben poco naturalistica e, comunque
pi estetica che ecologica. Lappassionato di vita selvaggia in
genere un turista in vacanza, che entra in un mondo
144
fondamentalmente alieno rispetto allambiente in cui normalmente
vive. Che lo sappia o no, questo turista porta con s
quellambiente, proprio come porta appeso alle spalle lo zaino,
prodotto ai una societ altamente industrializzata.
La necessit di superare questo ambientalismo tradizionale
emersa allinizio degli anni 60, e precisamente nel 1964, quando
alcuni autori anarchici hanno tentato di rimodellare il pensiero
libertario secondo linee ecologiche. Pur senza negare lurgenza di
fermare linquinamento ambientale, il disboscamento insensato, la
creazione di centrali nucleari et similia, lapproccio riformista e
settoriale veniva abbandonato per un approccio rivoluzionario,
fondato sullesigenza di ricostruire totalmente la societ secondo
principi ecologici. Laspetto pi significativo di questo nuovo
approccio, che ha le sue radici nel pensiero di Kropotkin, era il
riconoscimento di una relazione tra la gerarchia e il concetto di
dominio sulla natura. In parole povere, si diceva, lidea stessa di
dominare la natura deriva dallesistenza del dominio delluomo
sulluomo.
Come ho gi avuto modo di osservare, siffatta interpretazione
ribaltava totalmente la tradizionale concezione marxista e liberale
secondo la quale il dominio delluomo sulluomo prende origine
dalla necessit storica di dominare la natura per mezzo del lavoro
umano, allo scopo di vincere un mondo naturale apparentemente
avaro, rapace, dal quale bisogna disserrare i segreti per
metterli poi a disposizione di tutti e creare cos una societ felice.
Nessunaltra ideologia, dai tempi di Aristotele, ha fatto di pi per
giustificare la gerarchia e il dominio di questo mito della necessit
di dominare sugli uomini per poter dominare sulla natura. Il
liberalismo, il marxismo ed altre ideologie precedenti hanno
indissolubilmente legato il dominio sulla natura alla libert umana.
Estrema ironia, il dominio sugli esseri umani, lascesa della
gerarchia, delle classi e dello Stato, sono stati visti come
presupposti per la loro successiva eliminazione.
Lopposta concezione di derivazione anarchica stata
deliberatamente definita ecologia sociale, allo scopo di sottolineare
come i principali problemi ecologici hanno radici in problemi sociali,
i quali a loro volta risalgono alle origini della cultura patriarcale.
Lascesa del capitalismo, con le sue caratteristiche di competizione,
accumulazione e crescita illimitata, ha portato la situazione
(ecologica e sociale) ad un punto critico, come mai si visto
precedentemente, in qualunque epoca della storia umana. La
145
societ capitalista, riciclando il mondo organico e trasformandolo
in un crescente, inanimato e inorganico cumulo di merci, sta
semplificando la biosfe'ra, interrompendo la sua millenaria
evoluzione verso la differenziazione e la diversit.
Affinch la tendenza venga invertita, il capitalismo deve essere
sostituito da una societ ecologica fondata su relazioni non-
gerarchiche, su comunit decentrate, su ecotecnologie come
lenergia solare, sullagricoltura organica e su industrie a misura
umana, insomma forme di insediamento veramente democratiche,
economicamente e strutturalmente coerenti con lecosistema in
cui si trovano collocate. Siffatte concezioni sono state
pionieristicamente esposte in alcuni articoli, come i miei colog1
and 5e!olutionar1 Thought (Ecologia e pensiero rivoluzionario) del
1964 e To<ard a Liberator1 Technolog1 (Verso una tecnologia
liberatoria) del 1965, qualche anno prima che venisse proclamato
lEarth Day (Giorno della Terra) e una misteriosa parola,
ecologia, cominciasse a entrare nelle discussioni di ogni giorno.
Ci che deve essere sottolineato che questa letteratura, per la
prima volta, legava la problematica ecologica alla gerarchia e non
semplicemente alle classi economiche. Veniva compiuto un serio
tentativo di superare lambientalismo settoriale per affrontare il
problema di una crisi ecologica dalle proporzioni monumentali,
mentre il rapporto tra natura e societ, precedentemente visto
sempre in termini antagonistici, veniva visto come un lungo
continuum nel quale la societ era emersa dalla natura come
risultato di un processo evolutivo complesso.
Forse era chiedere troppo ad una New Left sempre pi maoista
e ad una controcultura sempre pi commerciale (entrambe
caratterizzate da una spiccata predilezione per lazione a discapito
del pensiero) di assorbire lecologia sociale in toto. Luso di termini
come gerarchia, raramente impiegati nella retorica della New Left,
ha cominciato a comparire sempre pi frequentemente nei discorsi
dei tardi anni 60, assumendo una particolare rilevanza in seno ad
un nuovo movimento, il femminismo. Con lidea che la donna
vittima in quanto tale della civilt maschile, indipendentemente
dalla sua posizione di classe e status economico, il termine
gerarchia ha assunto un peso notevole nelle prime analisi
femministe. Lecologia sociale stata via via rimodellata dalle
prime scrittrici femministe, fino a diventare una critica non solo
delle classi, ma della gerarchia in tutte le sue forme.
In senso lato, lecologia sociale e il primo femminismo hanno
146
messo in discussione lenfasi economicistica posta dal marxismo
alla base dellanalisi e della ricostruzione sociale. Hanno reso pi
esplicito lapproccio antiautoritario della New Left, ponendo in
evidenza il problema della dominazione gerarchica. La
degradazione dello status femminile come genere e gruppo sociale
apparso chiaramente visibile di fronte alluguaglianza solo
apparente di un mondo guidato dalla disuguaglianza tra uguali
garantita dalla giustizia. Mentre la New Left si andava
decomponendo in una serie di sette marxiste e la controcultura si
trasformava in una nuova forma di business commerciale,
l'ecologia sociale e il femminismo allargavano lideale di libert
oltre i confini fino ad allora stabiliti. La gerarchia in =uanto tale,
intesa come modo di pensare, rapporti umani e sociali, oppure
come relazioni tra la societ e la natura, poteva ora essere
liberata dalla tradizionale analisi classista, che laveva nascosta
sotto un tappeto di interpretazioni economiche della societ. La
storia poteva ormai essere esaminata in termini di libert,
solidariet ed empatia per i propri simili, cio il bisogno di essere
parte dellequilibrio naturale. Tali interessi cessavano di essere
specifici di una particolare classe, genere, razza o nazionalit.
Erano interessi universali, di tutta lumanit nel suo complesso.
Non che si dovessero ignorare i problemi economici e i conflitti di
classe, ma limitarsi ad essi significava lasciare in vita una serie di
atteggiamenti e relazioni perverse che andavano affrontati e
corretti in una prospettiva sociale pi vasta.
In termini pi precisi di quanto fosse mai stato fatto negli anni
60, o prima di essi, il progetto rivoluzionario poteva ora essere
definito come 1'abolizione della gerarchia, la riarmonizzazione
dellumanit con la natura attraverso la riarmonizzazione degli
esseri umani tra loro, la costruzione di una societ ecologica
strutturata sulla base di tecnologie ecologicamente valide e di
comunit a democrazia diretta. Il femminismo ha saputo
evidenziare il significato della gerarchia in termini esisten%iali.
Facendo ampio ricorso agli scritti e al lessico dellecologia sociale,
ha reso la gerarchia concreta, visibile e drammaticamente reale,
attraverso la condizione femminile in tutte le classi, impieghi,
istituzioni e rapporti familiari. Rivelando linferiorit sofferta in
particolare dalle donne, ha demistificato le sottili forme di dominio
perpetrate nella culla, a letto, in cucina, nei giochi, a scuola, e non
solo sul posto di lavoro e in generale nella sfera pubblica. Di
conseguenza, quindi, lecologia e il femminismo si sono
147
reciprocamente influenzati e completati, in un comune processo di
demistificazione hanno reso manifesto lincubo che aveva
pervertito ogni progresso della civilt col veleno della gerarchia
e del dominio. Sono stati messi all'ordine del giorno problemi ben
pi importanti di quelli affrontati allinizio dalla New Left e dalla
controcultura, problemi che richiedevano elaborazione, oltre che
unattivit ed una organizzazione serie, per raggiungere le persone
in quanto tali, non questo o quel settore particolare della
popolazione.
Il progetto poteva essere rafforzato facendo proprie
problematiche del tutto staccate da quelle tradizionali di tipo
classista: il rovesciamento dei cicli naturali, linquinamento
crescente, lurbanizzazione incontrollata, laumento delle malattie
di origine ambientale... Larea delle persone interessate ai
problemi ambientali cominciata a crescere. I problemi dello
sviluppo e del profitto, il futuro della Terra, hanno assunto, in
modo autonomo, un carattere che si pu definire planetario: non
erano pi problemi isolati, o problemi di classe, ma problemi
umani ed ecologici. Il fatto che varie elite e classi privilegiate
continuassero a perseguire i propri interessi borghesi poteva
servire a confermare come il capitalismo in s stesse diventando
un interesse settoriale tale da non poter pi essere giustificato.
Contrariamente allopinione marxiana, diventava evidente che il
capitalismo non una forza storica universale ed ancor meno un
interesse umano universale.
La fine degli anni 60 e linizio dei 70 ha costituito un periodo
pieno di alternative straordinarie. Il progetto rivoluzionario era
tornato in piedi. Gli ideali di libert, di cui il marxismo aveva
interrotto la tendenza, si erano ripresi ed avanzavano lungo
principi anarchici ed utopici per abbracciare linteresse umano
universale, linteresse della societ nel suo complesso, non dello
Stato nazionale, o della borghesia, o del proletariato, o di
qualunque ceto sociale particolare.
Era forse possibile che dal processo di decomposizione seguito
al 68 si salvasse una parte della New Left e della controcultura in
grado di accogliere il grande progetto rivoluzionario cui lecologia
sociale e il femminismo avevano dato lavvio? Potevano le sinistre
mobilitare nuovamente energie e sentimenti tanto da pareggiare
per ampiezza e intelligenza il progetto rivoluzionario cui queste
due tendenze avevano dato vita?
Le vaghe richieste di democrazia partecipativa, giustizia
148
sociale, disarmo e simili, dovevano essere collegate insieme, in
ununica prospettiva coerente. Richiedevano un senso, una
direzione che poteva essere ottenuta soltanto attraverso
unanalisi, programmi e organizzazioni pi approfondite, pi
coerenti e meglio definite di quanto abbia saputo produrre la New
Left negli anni 60. Lappello lanciato alla SDS tedesca da Rudi
Dutsch- ke per una lunga marcia attraverso le istituzioni, che
significava poco pi che un semplice adattamento alle istituzioni
esistenti, senza sforzarsi di crearne di nuove, ha avuto come
unico risultato la perdita di migliaia di compagni nelle istituzioni.
Ci sono entrati e non ne sono pi usciti.
149
RICOSTRUIRE LA SOCIET
La porta che conduce alla New Lefit del futuro, quella che sar
capace di riassumere in s lesperienza degli anni 30, degli anni
60 e dei decenni successivi, l che sbatte avanti e indietro,
girando sui suoi cardini.
Non n aperta n chiusa. Le sue oscillazioni dipendono in
parte dalla dura realt della vita sociale di tutti i giorni,
dalleconomia in calo oppure in ascesa, dal clima politico presente
in varie parti del globo, da quel che succede nel Terzo Mondo ma
anche nel Secondo e nel Primo, dal vigore della sinistra in patria e
fuori, e dai profondi cambiamenti ambientali che aspettano
lumanit negli anni a venire.
Dal punto di vista ecologico, lumanit deve fare i conti con
rilevanti mutazioni climatiche, incremento dellinquinamento,
comparsa di nuove malattie. Ogni anno tremendi flagelli come
fame, carestie e malnutritizione impongono il sacrificio di milioni di
vite. Numeri incalcolabili di specie animali e vegetali rischiano
lestinzione in conseguenza del disboscamento e delle piogge
acide. Alterazioni del regime idrico e crescita del livello dei mari, a
causa delleffetto serra, minacciano di distruggere aree naturali
ancora relativamente incontaminate. Le modificazioni globali che
vanno degradando lambiente naturale rendendolo inabitabile
hanno una rilevanza di livello praticamente geologico e si
verificano ad un ritmo sempre pi catastrofico per tutte, o quasi, le
forme di vita.
Si poteva sperare che siffatti cambiamenti planetari avrebbero
catapultato il movimento ecologista sul proscenio del pensiero
sociale, con nuovi apporti per gli ideali di libert. Ma non andata
cos. Esso si invece diviso in diverse tendenze spesso
reciprocamente contrapposte. Alcune di queste sono improntate
ad un semplice ambientalismo pragmatico e mirano a riforme
settoriali riguardanti problemi come il controllo degli scarichi
tossici, lopposizione alla costruzione di centrali nucleari,
limitazioni allo sviluppo urbano, e simili. Certamente queste sono
lotte necessarie, che non possono essere disprezzate per il
150
semplice fatto di avere una portata limitata. Servono a rallentare
la corsa verso disastri come Chernobyl e Love Canal. Ma non per
questo rendono meno necessario andare alla radice dei problemi
ecologici. Inoltre, essendo orientati in senso meramente
riformistico, possono anche creare la pericolosa illusione che
lattuale aspetto sociale sia in grado di correggere i propri eccessi.
E' necessario invece che la distruzione dellambiente sia vista
sempre come intrinseca al capitalismo, come il prodotto
inevitabile della sua logica di funzionamento in quanto sistema
tendente allespansione e allaccumulazione illimitata. Ignorare la
natura intimamente anti-ecologica del presente assetto sociale,
sia nella forma manageriale occidentale che in quella burocratica
orientale, significa contribuire a distogliere lattenzione pubblica
dalla drammaticit della crisi e dalla necessit di risolverla.
Lambientalismo, concepito come un movimento di riforme
settoriali, cede facilmente al fascino dello Stato, cio al gusto di
partecipare alle elezioni, alla vita parlamentare e partitica. Un
gruppo di pressione che si trasforma in partito non richiede un
grande salto di
consapevolezza, e nemmeno lestensore di una petizione che
diventa deputato. Tra chi si rivolge umilmente al potere per
ottenere qualche favore e chi detiene ed arrogantemente esercita
il potere stesso esiste una sorta di sinistra e perversa simbiosi.
Entrambi ritengono che le cose possono essere cambiate solo
attraverso il potere? vale a dire attraverso quel corpo
professionale e corrotto di legislatori, burocrati e militari che
chiamiamo Stato. Fare appello a questo potere inevitabilmente
funge da' legittimazione per lo Stato, e lo rafforza, mentre
parallelamente espropria di ogni potere i popoli. Il potere non
lascia vuoti nella vita pubblica. Ogni aumento del potere statale
avviene a spese del potere popolare, ed ogni aumento del potere
popolare avviene a spese del potere statale. Legittimare il potere
statale, dunque, significa delegittimare il potere popolare, e
viceversa.
Le organizzazioni ecologiste che si volgono allattivit
parlamentare non solo legittimano lo Stato a spese del popolo, ma
sono anche obbligate a funzionare all'interno dello Stato, e
finiscono per diventare sangue del suo stesso sangue. Devono
stare al gioco, cio devono adattare le proprie priorit
allesistenza di regole predeterminate sulle quali non hanno alcun
controllo. Il che non solo d origine ad una serie infinita di
151
relazioni che equivalgono alla partecipazione vera e propria al
potere statale, ma mette anche in moto un progressivo processo
di degradazione, una continua rinuncia ai propri ideali, attivit e
strutture organizzative. Ogni richiesta per lesercizio effettivo
del potere parlamentare crea il bisogno di un ulteriore
allontanamento dai propri standard di idee e condotta.
Se lo Stato il regno del male, come enfaticamente diceva
Bakunin, agire nellambito dello Stato significa scegliere tra mali
minori o maggiori, e non agire eticamente in funzione di ci che
giusto ed ingiusto. Letica stessa viene radicalmente ridefinita,
dalla classica e tradizionale ricerca del bene e del male alla
contemporanea e sinistra concezione del compromesso tra mali
minori e maggiori, cio quanto ho in altra sede chiamato letica del
male. Questa fondamentale ridefinizione delletica ha avuto
conseguenze disastrose durante il corso della storia recente. Il
nazismo riuscito ad arrivare al potere in Germania, quando la
socialdemocrazia si trovata a dover scegliere tra liberali e
centristi prima, tra centristi e conservatori poi, e tra conservato- ri
e nazisti infine. Un decadimento continuo, concluso da un
presidnte conservatore, il maresciallo Hinden- burg, con
lattribuzione della carica di Cancelliere del Reicb al capo dei
nazisti, Adolf Hitler. Il fatto che questa attribuzione sia stata
tollerata da parte della classe operaia tedesca senza la minima
resistenza, nonostante i suoi grandi partiti e sindacati, un triste
evento storico solitamente dimenticato. E tale decadimento morale
non si verificato soltanto a livello statale, ma anche a livello degli
stessi movimenti popolari, presi anchessi in un processo crudele di
degenerazione politica e decomposizione etica. I movimenti
ambientalisti non hanno avuto miglior successo nelle loro relazioni
con il potere statale. Hanno dato via foreste intere in cambio di
qualche simbolica riserva di alberi. Immensi territori selvaggi sono
stati scambiati con qualche parco nazionale e grandi porzioni di
paludi costiere con pochi ettari di spiaggia intatta. Se si pensa al
numero degli ambientalisti che sono entrati nei parlamenti
nazionali come Verdi, bisogna riconoscere che hanno in genere
ottenuto ben poco oltre allattenzione con cui sono guardati i loro
deputati, e non hanno fatto molto per arrestare il degrado
ambientale. La coalizione Hesse tra Verdi tedeschi e governo
socialdemocratico, verso la met del 1980, finita
ignominiosamente. Non solo i principi pi puri del partito Verde
tedesco sono stati inquinati dai compromessi dellala realista,
152
ma il partito anche diventato pi burocratico, manipolatorio e
professionale, in una parola pi simile ai rivali che un tempo
denunciava.
Comunque, il riformismo e il parlamentarismo hanno per lo
meno una loro concretezza e affrontano problemi reali di politica e
di indirizzo sociale. Ma esiste unaltra tendenza del movimento
ambientalista, la pi recente, che del tutto evanescente e
inconsistente. Essa consiste nel tentativo di trasformare lecologia
in una religione popolando il mondo naturale di divinit, ninfe, elfi
e simili, il tutto officiato da un corpo di guru indiani
finanziariamente astuti, di loro concorrenti nostrani, di streghe di
varia connotazione e chi pi ne ha pi ne metta.
il caso di spendere due parole per dire come questa tendenza
abbia preso origine negli Stati Uniti. Questi sono attualmente il
Paese pi incolto, peggio informato e culturalmente pi illetterato
di tutto 1'Occidente. La controcultura degli anni 60 non si
limitata a rompere col passato, ma ha anche spazzato via la
conoscen%a del passato, ivi compresa la storia, la letteratura,
larte e la musica. I giovani cretini che arrogantemente rifiutavano
di credere a chiunque avesse pi di trentanni, per usare uno
slogan assai in voga allepoca, hanno tagliato tutti i loro legami
con le migliori tradizioni del passato. Fantasie inequivocabilmente
contraddittorie sono state coagulate dalle droghe e dalla musica
rock in uno squallido essudato di religioni atee, sovrannaturalismo
naturale, politica privata, progressismo reazionario, e via dicendo.
Se tale abbinamento di termini del tutto opposti appare
irrazionale, il lettore tenga a mente che siffatta amalgama era
made in 'merica, cio fatta l dove tutto ritenuto possibile e
lassurdo ne normalmente il risultato.
Lecologia una disciplina dallapproccio essenzialmente
naturalistico, e pu quindi apparire strana tale infestazine di
elementi sovrannaturali. Ma diventa spiegabile s essa viene vista
nellambito dei suoi confini americani. stupefacente, comunque,
il fatto che questo miasma si sia diffuso anche in Europa, special-
mente in Inghilterra, in Germania e in Scandinavia. Tempo
permettendo, finir per invadere anche i Paesi dellarea
mediterranea.
Questo ecologismo di natura quasi teologica viene applicato
anche alle relazioni di genere, e in questa forma di femminismo
culturale sta riscuotendo un seguito crescente in Inghilterra e in
Germania. La speranza che lecologia potesse arricchire il
153
femminismo ha assunto laspetto bizzarro di un eco-
femminismo teistico, strutturato intorno alla presunta unicit del
ruolo educativo della donna nella biosfera. Le ecofemministe
hanno essenzialmente capovolto il ruolo privilegiato che le culture
patricentriche assegnano agli uomini, attribuendolo alle donne. Le
donne sono privilegiate in seno alla natura cos come gli uomini
sono considerati privilegiati in seno alla storia, con lunico risultato
che allo sciovinismo maschile viene sostituito uno sciovinismo
femminile.
Allo stesso modo, divinit femminili presumibilmente
pacifiche sostituiscono gli dei guerrieri maschili, come se
scambiare un dio con un altro non fosse unestensione negli affari
umani della religione e della superstizione, per quanto possano
essere definite immanenti, pagane o giudaico-cristiane.
Miti di tipo femminile sostituiscono quelli a impostazione maschile,
come se i miti non fossero sempre intrinsecamente arbitrari e
ingannevoli, per naturalistici, sovranna- turalistici, terreni
o celesti che siano. Il mondo, da complessa biosfera che
dovrebbe indurre alla meraviglia e allammirazione, stimolando
una sensibilit estetica oltre che unattitudine premurosa, viene
riconcepito come un territorio fondamentalmente femminile,
occupato da gnomi, streghe e divinit varie, regolato da riti e
mistificato da miti appositi, il tutto appoggiato da una lucrativa
marea di libri, oggetti e ornamenti vari.
In siffatto teistico terreno, lattivit politica e limpegno sociale
tendono a ridursi, passando dallattivismo alla passivit, dalle
organizzazioni sociali ai gruppi di autocoscienza. Basta dare ad un
qualsiasi problema personale una riverniciatura di gepere (ad
un amore in crisi come ad un infortunio sul lavoro) ed esso diventa
subito politico. Il concetto che il personale politico viene
artificialmente esteso, fino a che il modo di presentare le idee
diventa pi importante della sostanza. La forma sostituisce
sempre pi il contenuto, e la capacit d argomentazione viene
disprezzata come capacit di manipolazione, con il risultato di
una mortale mediocrit di forma e contenuto in qualunque
discorso politico. Lindignazione morale che un tempo
sommuoveva gli spiriti attraverso le parole tonanti dei profeti
ebraici, viene denunciata come aggressivit e comportamento
maschile. Quello che conta, oggi, non ci> che si dice, ma come
lo si dice, anche se sono dichiarazioni sommamente stupide, o
immorali, o vuote. Lamore pu regredire e diventare
154
infantilismo e bamboleggiamento.
Tutto ci non vuole assolutamente negare laffermazione
femminista che la donna stata il paria di una storia
principalmente maschile, che non ha peraltro impedito ai maschi
medesimi di dominarsi, sfruttarsi, torturarsi e uccidersi fra loro, al
di l di ogni possibile descrizione. Ma vedere la donna come la
vittima-tipo della gerarchia e la sua oppressione come lorigine di
tutte le gerarchie, come pretendono alcune femministe, significa
semplificare levoluzione della gerarchia in modo rozzamente
riduttivo. La nostra comprensione di un fenomeno non si esaurisce
nellaccertamento delle origini di esso, cos come le origini del
cosmo non esauriscono la nostra comprensione della sua
evoluzione da massa compatta e indifferenziata a forme
estremamente complesse. E le gerarchie maschili sono
estremamente complesse. Esse esprimono interazioni assai
delicate tra padri, fratelli, figli, lavoratori, tipi etnici, e interessano
anche lo status culturale e le inclinazioni personali. Il padre
amorevole, con il quale la figlia ha spesso un rapporto pi stretto
che con una madre competitiva, l a ricordarci che la gerarchia
assai complicata a livello familiare, e quindi ancora di pi a livello
sociale.
N la considerazione della donna come vittima-tipo della
gerarchia inequivocabilmente provata dallantropologia. Le donne
anziane, in effetti, hanno sempre goduto di uno status privilegiato
nelle gerontocrazie primitive, insieme agli uomini anziani. N le
donne sono state le uniche vittime del patriarcato, o le pi
oppresse.
I figli maschi dei patriarchi dovevano frequentemente far fronte
a richieste estremamente impegnative, ed in molte occasioni erano
trattati dai propri padri in modo ben pi severo che le proprie
madri e sorelle. N mancavano i casi in cui il potere patriarcale era
apertamente condiviso con le mogli di et avanzata, come
testimoniato nella Bibbia dalla condizione di prestigio di Sara.
Infine, non affatto certo che le donne non tendano a costituire
gerarchie al proprio interno, o che la pura e semplice abolizione del
dominio maschile sia sufficiente a rimuovere la gerarchia come
tale. La gerarchia presente in ampi spazi della vita sociale oggi,
come le burocrazie, i gruppi etnici, le nazionalit, le classi
occupazionali, per non parlare della vita domestica in tutti i suoi
aspetti. Essa pervade linconscio umano in modi che spesso non
hanno alcuna relazione diretta (e nemmeno indiretta) con le
155
donne. Riguarda modi di guardare al mondo naturale che non
hanno assolutamente rapporto con la presunta propensione
femminile ad essere istinti!amente amorevoli e custodi della
vita in quanto tali (un atteggiamento rozzamente biologistico che
disconosce il ruolo che le donne hanno sempre avuto nella genesi
di una cultura veramente umana, dedicandosi allagricoltura e
producendo manufatti come vasellame, tessuti, vestiario).
Daltronde, sono anche esistite (e tuttora esistono) sciamane,
streghe e sacerdotesse con uno status gerarchico superiore a tutte
le altre donne facenti parte del gruppo dei fedeli e degli accoliti.
Per linteresse umano generale
Le tentazioni antirazionali, teistiche e financo antisecolari che
vanno manifestandosi in seno ai movimenti femministi ed
ecologisti pongono un problema di fonda- mentale rilevanza per la
nostra epoca. Sono il sintomo di una sinistra tendenza anti-
illuministica che si diffonde nella societ occidentale
contemporanea.
In America e in Europa, la maggior parte dei nobili ideali
illuministici vengono attualmente posti in discussione: la tensione
verso una societ razionale, la fede nel progresso, le speranze
riposte nellistruzione, lesigenza di un uso umano della tecnologia
e della scienza, lamore per la ragione e la fiducia eticamente
fondata nella capacit dell'uomo di costruire un mondo
materialmente e culturalmente vivibile. Non solo tutto ci viene
sostituito da un cieco ritorno al passato, in certi settori
dellecologismo e del femminismo, ma si va diffondendo anche
allesterno, sotto forma di un nichilismo da 1upp1 che si
autodefinisce postmoderno, di una mistificazione della natura
selvaggia presentata come realt vera, di una sociobiologia che
degenera nel razzismo, e di un rozzo neo-malthusianesimo che
puzza di fascismo.
Certamente lilluminismo del diciottesimo secolo aveva limiti
non indifferenti, dei quali erano consapevoli i suoi stessi portavoce
pi in vista. Diderot, forse uno dei pi brillanti, ha cercato di
temperare il razionalismo dellilluminismo con il sentimento (la
sensibilit/, come diceva) e ne ha criticato il meccanicismo e il
dualismo. Altri, come Rousseau, sono giunti a porre le basi del
romanticismo che poi seguito. Ciononostante lilluminismo ha
lasciato alla societ dei secoli successivi valori e ideali eroici. Ha
156
portato lintelletto umano dal cielo gi sulla terra, dal regno del
sovrannaturale a quello della natura. Ha contrapposto alloscuro
mondo mitico del feudalesimo, della religione e del dispotismo
regale, una chiara visione secolare. Ha messo in discussione il
concetto di disuguaglianza politica, di supremazia aristocratica, di
gerarchia ecclesiastica, ponendo le basi della sensibilit
antigerarchica delle generazioni seguenti.
Soprattutto, lilluminismo ha concepito lidea di un interesse
umano generale, contrapposto al provincialismo feudale, nonch
lidea di ununica natura umana che poteva sollevare lumanit al
di sopra dei particolarismi paesani, tribali e nazionalistici.
Il fatto che tali ideali siano stati sfruttati dal capitalismo per
giustificare la mercificazione del mondo, non ne inficia la validit in
s e per s. LIlluminismo ha espresso in tema di ragione, scienza
e tecnologia concezioni di gran lunga superiori a quelle oggi
dominanti. La ragione, secondo pensatori come Hegel, era una
dialettica dello sviluppo eduttivo, un processo simile a quello che si
manifesta nella crescita organica, non la semplice inferenza
deduttiva della geometria e delle altre branche della matematica.
La scienza, nel pensiero di Leibniz, si prefiggeva lo studi della
dimensione qualitativa dei fenomeni, non la definizione di modelli
cartesiani di un mondo meccanico e matematico. La tecnologia ra
intesa da Diderot da un punto di vista prevalentemente
artigianale, con particolare considerazione per labilit e la perizia,
pi che per la produzione di massa. E Fourier, il vero erede della
tradizione illuministica, avrebbe dato alla tecnologia un senso
nettamente ecologico, sottolineando limportanza dei processi
naturali nel soddisfacimento dei bisogni materiali.
Il fatto che il capitalismo abbia distorto questi ideali, riducendo
la ragione, da nobile esercizio dellintelletto, a razionalistica ricerca
dellefficienza industriale, che abbia usato la scienza per
quantificare il mondo e separare il pensiero dallessere, che abbia
usato la tecnologia per lo sfruttamento della natura, ivi compresa
la natura umana, trae le proprie origini dalla societ e dalle
ideologie che giustificano il dominio sullumanit e sulla natura.
Le attuali tendenze che disprezzano la ragione, la scienza e la
tecnologia sono forse reazioni comprensibili a queste distorsioni
borghesi degli ideali illuministici, specie se si tiene presente il
senso di esautoramento che avvertono gli individui in questepoca
di supercentraliz- zazione del potere ad opera dello Stato e delle
grandi imprese, lanonimato generato dallurbanizzazione, dalla
157
produzione di massa e dal consumo di massa, e la condizione di
fragilit in cui si trova la personalit umana, stretta tra forze
sociali misteriose e incontrollabili.
Ma queste pur comprensibili tendenze diventano profondamente
reazionarie quando i surrogati che offrono comportano la
dissoluzione dellinteresse generale umano e la sua trasformazione
in meschini particolarismi di sesso, la sostituzione dellumanesimo
empatico con il tribalismo paesano, e un cosiddetto ritorno alla
natura al posto di una societ ecologica.
Diventano rozzamente passatiste quando attribuiscono la
responsabilit della crisi ecologica alla tecnica e non alle
multinazionali o alle istituzioni statali, che della tecnica si servono.
E si ritirano nelloscurit mitica del tribalismo, quando evocano il
timore per lintruso (che pu essere il maschio, o limmigrato, o
il membro di un altro gruppo etnico) e lo presentano come una
minaccia per lintegrit del gruppo. Il diritto allidentit culturale di
questo o quel gruppo di persone non messo in discussione,
almeno se si parla di caratteri veramente culturali e non
biologici, ma necessario tenere a mente che esso un diritto
di tutta lumanit in quanto tale, non di una sola porzione di essa.
Lecologia ha un senso della complementarit, del mutualismo,
delle relazioni nongerarchiche,che completamente antitetico a
qualunque particolarismo, sia esso di natura razziale, sessuale o
nazionale. La pi preziosa delle eredit che ci sono state lasciate
dall'illuminismo la concezione dellumanit come unit in una
societ libera, unumica umanit accomunata dalla ragione e
dallempatia.
Mai come oggi necessario difendere con decisione questa
eredit, quando lirrazionalismo, lo sviluppo insensato, il potere
centralizzato, minacciano di avere il sopravvento sulle conquiste
umane del passato. Mai come oggi necessario non solo arginare
tutto ci, ma ricacciarlo indietro, rimandarlo nelle profondit della
storia demoniaca da dove emerso. Il qui che ho descritto
porta con s il peso dei molti secoli che ho rapidamente passato in
rassegna in queste pagine: il graduale comparire della societ, o
seconda natura, dallevoluzione della prima natura;
lemergere della gerarchia, inizialmente sotto forma di semplice
gerontocrazia, poi come classi, infine come Stato, specialmente
nella configurazione completa di Stato nazionale; lampliarsi dei
vincoli di sangue in legami civici, il mutare delle trib in citt,
levoluzione di una comunit paesana chiusa in una comunit di
158
cittadini, lascesa, dai resti di un mondo sociale eterogeneo che
pur limitava le incursioni dellumanit nella natura, del capitalismo,
che ha messo le merci al posto dei doni, lo sviluppo al posto del
limite, laccumulo al posto della distribuzione.
Ho cercato di dimostrare che la storia dellOccidente non stata
unavanzata unidirezionale da uno stadio allaltro, da una
precondizione allaltra, una tranquilla ascesa verso un controllo
sempre maggiore su di una prima natura cieca, avara e
intrattabile. Al contrario: la preistoria ha fornito alternative
allemergenza definitiva delle societ guerriere, e forse se tali
alternative avessero prevalso devoluzione sociale sarebbe stata
pi benigna di quella storicamente data.
Altre alternative si sono create allepoca delle citt, prima che
la comparsa degli Stati nazionali precludesse totalmente le
opportunit aperte dalle confederazioni urbane con le loro
comunit a misura duomo, con le loro tecnologie artigianali, con
lequilibrio intelligente tra citt e campagna. E pi recentemente,
appena due secoli fa, allepoca delle rivoluzioni democratiche, il
mondo occidentale precapitalistico con la sua societ ad economia
mista apparso sullorlo di un assetto sociale anarchico.
Dovunque, accanto allantico bisogno di giustizia con la sua
disuguaglianza tra uguali, sono comparsi ideali di libert basati
sulluguaglianza tra disuguali. Man mano che le consuetudini
tradizionali sono state assorbite da una morale imperativa
divenendo poi parte di unetica razionale, la libert ha cominciato
a guardare avanti invece che indietro, passando dalla nostalgia per
let delloro alla speranza fervida nellutopia.
Gli ideali di libert hanno assunto cos un carattere secolare pi
che sovrannaturale, lavorativo pi che di fiducia nella generosit
della natura o di una classe privilegiata. E sono diventati sensuali,
oltre che intellettualmente sofisticati. Il progresso tecnologico e
scientifico ha messo la sicurezza materiale ed il tempo libero
necessario per una democrazia partecipatoria allordine del giorno
di un progetto rivoluzionario radicalmente nuovo. In tale progetto
erano presenti elementi apparentemente contrastanti, e forse
anche antitetici, specialmente nelleconomia mista esistita in
Europa tra i secoli quattordicesimo e diciottesimo, sicch varie
scelte erano possibili, tra citt e nazione, tra confederazioni e
Stato, tra prodim^ne artigianale e produzione di massa.
Lanarchismo, che si espresso in modo pienamente autonomo
durante lepoca delle rivoluzioni, ha sottolineato limportanza
159
della scelta, mentre il marxismo ha creduto nellinesorabilit delle
leggi sociali. Lanarchismo rimasto sensibile alla spontaneit
dello sviluppo sociale, sia pure arricchita dalla consapevolezza e
dalle esigenze di una societ strutturata. Il marxismo si fissato
sulla teoria embrionale della societ, e ha sciaguratamente
messo a tacere per pi di un secolo tutte le altre voci
rivoluzionarie, trattenendo la storia stessa nella gelida morsa di
una teoria del dominio sulla natura e della centralizzazione del
potere.
Abbiamo notato che il capitalismo deve ancora definirsi
completamente. Non dato vedere alcun ultimo stadio di esso,
cos come lultimo stadio salutato come prossimo dai
rivoluzionari dopo la prima e la seconda guerra mondiale non
mai stato raggiunto. I limiti del capitalismo, se esistono, non sono
limiti interni, dovuti allinsorgere cronico delle crisi o al
perseguimento degli interessi specifici del proletariato. Il
socialismo operaista e la vecchia sinistra si sono affidati a questi
miti ed ora sono in briciole.
Il successo del progetto rivoluzionario, oggi, legato
allemergere di un interesse umano generale che metta da parte
qualunque interesse particolare di classe, di nazionalit, di etnia o
di genere. La New Left, nutrita dagli incredibili progressi
tecnologici successivi alla seconda guerra mondiale e dalla
soddisfazione dei bisogni ordinari resa possibile dalleccezionale
incremento produttivo, si liberata dalla presa economicista del
marxismo ed ha riportato per un momento gli anni 60 al
radicalismo etico ma sensuale dellepoca premarxista.
L'interesse generale che deve stare alla base del nuovo
programma libertario va riformulato tenendo presente il pi certo
dei limiti del capitalismo: il limite ecologico che il mondo naturale
oppone alla crescita incontrollata. E se questo interesse generale
pu incarnarsi in una richiesta non gerarchica, questa la
richiesta femminile di una sostanziale uguaglianza dei disuguali
cio lideale allargato della libert. Il problema se il movimento
ecologico e quello femminista sono in grado di farsi interpreti di
questa sfida storica. Cio, se rssi sapranno ampliarsi fino a
divenire un movimento sociale, generando una New Left anarchica
che parli di un interesse umano generale, oppure se si
frammenteranno nella molteplicit di interessi particolari che si
aggregano intorno al parlamentarismo riformista, al misticismo
nelle sue varie forme, allo sciovinismo sessuale.
160
Infine, quale possa essere stata in passato la possibilit di
raggiungere una societ libera ed ecologica; certo che essa non
pu essere raggiunta oggi se l'umanit non riesce ad abbandonare
il concetto borghese di abbondanza, proprio perch labbondanza
accessibile a tutti. Non viviamo pi in un mondo dove il dono pi
stimato dellaccumulo di beni, o dove ci sono vincoli morali che
limitano lo sviluppo. Il capitalismo ha distorto i valori del mondo
antico ad un punto tale che solo la prospetti!a dellabbondanza
pu eliminare il consumo insensato ed insieme il senso ai penuria
esistente presso i ceti meno privilegiati. Non v intersse umano
generale che possa emergere quando chi ha costituisce il
costante contrappunto della rinuncia ai beni materiali espressa da
chi non ha, e quando i nullafacenti scherniscono con la propria
stessa esistenza la vita di lavoro imposta alla classe operaia. N
possibile una democrazia partecipativa fintantoch la vita pubblica
accessibile solo a coloro che hanno tempo libero per, appunto,
parteciparvi.
Considerata la possibilit dellumanit di compiere scelte
decisive ai fini della direzione sociale da seguire, bisogna dire che
le scelte fin qui fatte sono state negative. Il risultato in genere
stato che lumanit non stata veramente umana. Essa h solo
raramente realizzato le sue potenzialit quanto a pensiero,
sentimento, giudizio etico e razionalit sociale.
Gli ideali di libert oggi non mancano, come ho gi avuto
occasione di notare, e possono essere descritti con ragionevole
chiarezza e coerenza. Abbiamo di fronte non solo lesigenza di
migliorare la societ, o modificarla; abbiamo di fronte la necessit
di ricostruirla. Le crisi ecologiche e i conflitti che ci hanno divisi in
lotte che fanno del nostro il secolo pi sanguinoso della storia,
possono essere risolti soltanto se riconosciamo che ci che viene
qui messo in discussione la civilt dominante, non
semplicemente un assetto sociale malamente organizzato.
La nostra attuale civilt non altro che un Giano bifronte, un
ammasso di ambiguit. Non possibile limitarci a criticarla come
maschilista, sfruttatrice e dominatrice, senza riconoscere anche
che ci ha almeno in parte liberato dai vincoli angusti del
tribalismo, dal senso di dipendenza collettiva spesso antitetico al
rispetto dellindividuo, dallobbedienza abbietta alla superstizione
che ci rendeva vulnerabili alla dominazione. Del pari, non
possiamo limitarci a lodarne luniversalismo crescente, la spinta
verso lautonomia individuale, il senso secolare apportato alle cose
161
umane, senza anche riconoscere che queste conquiste sono state
ottenute al prezzo della schiavit, della degradazione massificata,
del dominio di classe, del potere statale. Solo una dialettica che
riunisca la ricerca critica e la creativit sociale pu enucleare la
parte migliore del nostro decadente universo e porla al servizio
della ricostruzione di un mondo nuovo.
Ho sostenuto lurgenza di definire un interesse generale umano
che unifichi lumanit nel suo complesso. A livello minimale,
questo interesse centrato attorno allinstaurazione di un
rapporto armonico con la natura. La nostra vitalit come specie
dipende dal rapporto che sapremo creare in futuro con il mondo
naturale. Tale problema non pu essere risolto dallinvenzione di
nuove tecnologie che sappiano soppiantare i processi naturali
senza contemporaneamente rendere la societ pi tecnocratica,
pi centralizzata e in ultima analisi pi totalitaria. Sostituire i cicli
naturali che determinano il rapporto tra anidride carbonica e
ossigeno nellatmosfera, creare un surrogato dello strato di ozono
che protegge tutte le forme di vita dalle radiazioni solari letali,
mettere a punto soluzioni idroponiche da usare al posto del suolo,
tutto ci, ammesso che sia realmente possibile, richiederebbe un
disciplinatissimo sistema di controllo sociale, totalmente
incompatibile con la democrazia e la partecipazione popolare alla
vita politica.
Questo stato di cose mette in discussione il futuro dellumanit
come mai, nelle epoche passate, stato dato vedere. Le soluzioni
di tipo eco-tecnocratico, per cos dire, comportano un livello
tale di coordinazione sociale da far impallidire i pi centralizzati
dispotismi della storia. E comunque resta ancora da vedere se tale
eco- tecnocrazia abbia una base scientifica affidabile, e non
possa invece condurre, a causa della delicatezza degli equilibri che
verrebbero ad essere interessati, a catastrofici errori di
valutazione.
Ma se i processi vitali del nostro pianeta non possono essere
regolati da un sistema totalitario, la societ moderna deve seguire
alcuni fondamentali principi ecologici. In queste pagine, ho
sostenuto che larmonia con la natura non pu essere perseguita
senza perseguire anche larmonia tra gli esseri umani. Ci significa
che il nostro stesso concetto di umanit deve sottostare ad una
chiarificazione. Se continuiamo ad essere delle classi in conflitto,
dei generi o delle etnie in conflitto, o delle nazionalit in conflitto,
ovvio che non possibile alcuna armonia tra gli esseri umani.
162
Lappartenenza a classi, sessi, etnie e nazionalit non far che
restringere il senso di ci che si deve intendere per umanit, a
causa degli interessi particolari che ci mettono esplicitamente gli
uni contro gli altri.
Il messaggio ecologico un messaggio di diversit, ma anche di
unit nella diversit. La diversit ecologica, inoltre, non poggia sul
conflitto, poggia sulla differenziazione, cio su di una globalit che
viene esaltata dalla variet dei costituenti. Socialmente, questa
concezione quella espressa nellideale greco di una personalit
individuale completa e multiforme, e di una societ anchessa
completa e multiforme. Gli interessi di classe, sesso, etnia e
nazionalit hanno tutti la stessa preoccupante capacit di
restringere la visione del mondo ad una visione angusta, dove gli
interessi minori prevalgono e la complementarit si tramuta in
conflitto.
Cionondimeno gli interessi di classe, sesso, etnia e nazionalit
sono drammaticamente radicati nelle principali manifestazioni di
conflittualit. Un messaggio di mera riconciliazione sarebbe quindi
assurdo, certo. La nostra contraddittoria civilt deve fare i conti
con un passato in cui quelle che erano semplici differenze (di et,
sesso, parentela...) sono state rielaborate in senso prima
gerarchico, poi classista e infine trasformate in strutture statali.
Lorigine stessa dei conflitti di interesse deve essere affrontata e
risolta in modo rivoluzionario. La terra non pu pi essere oggetto
di possesso; deve ssere oggetto di partecipazione. I frutti di
essa, ivi compresi quelli derivanti dalla tecnologia e dallattivit
umana, non possono pi essere espropriati a vantaggio di pochi;
devono essere messi a disposizione di tutti, in funzione delle
necessit. Il potere e i beni materiali devono essere sottratti al
controllo delle elite; devono essere redistribuiti in modo da
permettere a tutti di parteciparvi. Finch questi problemi
fondamentali non saranno risolti, non potr prendere forma
linteresse generale sulla base del quale affrontare la crisi
ecologica e lincapacit di risolverla da parte della societ di oggi.
Ci che mi interessa sottolineare, comunque, che siffatto
interesse generale non pu essere perseguito con i mezzi
particolaristici tipici dei precedenti movimenti rivoluzionari.
Lattuale crisi ecologica ha una potenzialit di mobilitazione che va
ben oltre le classi, ed destinata ad accrescersi col passare del
tempo. N uneventuale sua mistificazione ad opera di movimenti
religiosi o lacch del potere economico potr rendere meno visibile
163
il rischio cui va incontro il futuro della biosfera.
Ma non dobbiamo nemmeno ignorare la storia recente del
progetto rivoluzionario e i progressi compiuti. Le rivoluzioni del
passato sono state in gran parte lotte per la giustizia, non per la
libert. Gli ideali di libert, uguaglianza e fraternit tanto
generosamente avanzati dalla Rivoluzione Francese, sono venuti
meno per mancanza di unadeguata definizione dei termini. Non
insister sul fatto che gli interessi particolari della borghesia hanno
interpretato la libert come libert di commercio, luguaglianza
come diritto ad acquistare forza-lavoro, la fraternit come
obbedienza alla supremazia capitalista. Dietro i classici slogan
repubblicani si nascondeva una concezione secondo cui la libert
era intesa quasi esclusivamente come diritto individuale di
perseguire i propri interessi, luguaglianza coincideva con il
principio di giustizia, e la fraternit alludeva, in senso letterale, ad
una societ maschile di fratelli, anche se alcuni sfruttati ed altri
sfruttatori.
Gli slogan della Rivoluzione Francese non sono mai arrivati a
toccare il campo della libert. Da qualunque punto di vista venga
osservata, essa stata un progetto in sintonia con la
disuguaglianza degli uguali, non un tentativo di raggiungere
luguaglianza dei disuguali. La rivoluzione spagnola del 1936-37,
pur tragicamente abortita, ha tentato di andare oltre questo
progetto limitato, ma rimasta isolata. Gli elementi pi
rivoluzionari di essa, gli anarchici, non sono mai riusciti ad
ottenere dal Paese quellappoggio di cui avrebbero avuto bisogno
per realizzare i propri obiettivi emancipatori.
Negli anni seguiti allepoca del socialismo operaio, il capitalismo
cambiato. Dai tempi della rivoluzione industriale, il suo impatto
sulla societ e sulla natura diventato anche pi devastante. Il
progetto rivoluzionario moderno, iniziato negli anni 60 con
lappello della New Left per una maggiore partecipazione
democratica, andato oltre la dimensione particolaristica delle
rivoluzioni tradizionali. Il concetto di popolo, che nel
diciottesimo secolo, quando la societ stava cominciando a
differenziarsi in classi chiaramente definibili, poteva essere un
concetto fuorviante, ha preso un significato nuovo oggi che le
classi tradizionali si stanno decomponendo, mentre emergono temi
di natura trans-classista, come lecologia, il femminismo e un
senso di responsabilit civica e comunitaria. Movimenti come i
Verdi, in Germania e altrove, e i gruppi di iniziativa civica che
164
vanno sorgendo in un numero crescente di citt e piccoli centri,
affrontano problemi di portata umana pi ampia che quelli
strettamente salariali o sindacali. Con lascesa dei movimenti
ecologisti, femministi e dei gruppi di iniziativa civica, si vanno
creando nuove possibilit per una generali%%a%ione degli ideali di
libert, per un loro ampliamento in senso umano e popolare.
Parlare genericamente di popolo, comunque, senza tenere
presente i rapporti tra il comune cittadino e gli obiettivi da
raggiungere, rischia di riprodurre il tipo di astrazioni che hanno
caratterizzato il marxismo per pi di un secolo. Al di l e al di
sopra dellesigenza di condividere la terra, di distribuire i frutti
secondo i bisogni e di dar vita al senso di un interesse generale
umano capace di superare i particolarismi del passato, il progetto
rivoluzionario de!e prendere le mosse da un fondamentale
principio anarchico: ogni essere umano normale ha la competen%a
per gestire i problemi della societ e, pi specificamente, della
comunit di cui membro.
Questo principio una sfida ad astrazioni come il popolo dei
giacobini o il proletariato dei marxisti, postulando la necessit
che la societ sia popolata da esseri vivi e reali, liberi di
decidere i destini propri e della comunit in cui vivono. Esso mette
in discussione il parlamentarismo come surrogato di unautentica
democrazia, con la classica osservazione di Rousseau: La
sovranit, per la ragione stessa che la rende inalienabile, non pu
essere rappresentata. Essa risiede essenzialmente nella volont
generale, e la volont non ammette rappresentazione: o la
stessa, o unaltra, non v possibilit intermedia. I deputati del
popolo, quindi, ne sono solo gli incaricati e non possono prendere
decisioni in sua vece. Ogni legge che non sia stata ratificata dal
popolo in persona nulla e vuota, cio non una legge. Il popolo
dInghilterra si considera libero: ma si sbaglia grossolanamente;
libero solo durante le elezioni dei membri del parlamento. Appena
questi sono stati eletti, diviene preda della schiavit e non pi
nulla.
Qualsivoglia interpretazione possa essere attribuita alla
volont generale di Rousseau, il senso fondamentale della frase
costituisce un ideale inalterabile e non negoziabile di libert
umana. Implica che non esiste democrazia sostanziale e vero
autogoverno se il popolo non partecipa in assemble aperte, faccia
a faccia, alla definizione della politica sociale. Nessuna politica
legittima sul piano democratico se non stata proposta, discussa
165
e decisa direttamente dal popolo, non attraverso rappresentanti,
deputati o surrogati di qualunque tipo. La gestione di tale politica
pu essere poi lasciata a consigli, commissioni o collettivi di
persone qualificate ed elette che, sotto stretto controllo pubblico e
in piena aderenza alle delibere delle assemblee, curano
lesecuzione del mandato popolare.
Tale distinzione tra decisionalit politica e gestione (sfuggita a
Marx, nei suoi scritti sulla Comune ai Parigi del 1871) decisiva.
Le assemblee popolari sono la mente di una societ libera; gli
amministratori ne sono il braccio. Quelle possono in qualunque
momento revocare questi e porre fine alla loro attivit, in caso di
necessit, insoddisfazione e simili. Questi si limitano ad eseguire
ci che quelle decidono e restano totalmente dipendenti dalla loro
volont.
Grazie a questa distinzione, lassemblea popolare non pone
problemi strutturali, ma solo problemi essenzialmente funzionali di
procedura democratica. In linea di principio, le assemblee possono
funzionare in ogni situazione demografica e urbana, a livello di
stabile, di quartiere o di citt. Necessitano soltanto un opportuno
coordinamento confederale per diventare forme di autogoverno.
Con i moderni mezzi di comunicazione e di trasporto, non v
emergenza tanto grande da impedire che le assemblee possano
essere rapidamente indette per prendere a maggioran%a
importanti decisioni politiche, che verranno poi attuate dalle
commissioni addette, indipendentemente dalle dimensioni della
comunit o dalla complessit dei suoi problemi.
' maggioran%a, dicevo. Dobbiamo infatti abbandonare lidea di
dover sempre raggiungere lunanimit in larghi consessi. La
minoranza non ha il diritto di impedire una decisione della
maggioranza. Certo, se la volont generale di Rousseau si
trasformasse in volont generali%%ata, se cio si potesse pensare
che persone razionali, che non hanno altro interesse se non quello
della comunit, non possano fare a meno di pensarla allo stesso
modo su questioni chiare e precise, lunanimit non potrebbe
mancare.
Ma un simile risultato non necessariamente desiderabile. La
tirannia segreta della consuetudine , in effetti, un passo indietro
verso epoche in cui la pubblica opinione aveva un potere
altrettanto coercitivo della violenza aperta (la quale, almeno,
aveva il vantaggio di essere appunto aperta). Una tirannia
dellunanimit degrada una societ libera, tende a uccidere
166
lindividuo in nome della comunit e il dissenso in nome della
solidariet. E quando lespressione individuale impedita dalla
disapprovazione altrui, quando le idee de- vianti vengono
normalizzate dalla pressione dellopinione pubblica, non c n
vera comunit n solidariet.
Dietro lo sviluppo di assemblee dirette e autogestite esiste un
certo numero di problemi etici ed educativi che riguardano la
formazione di individui competenti. Lassemblea ha raggiunto la
sua forma pi sofisticata nella polis ateniese, che era vista dalla
maggior parte degli antichi come una plebocrazia ed ha
mantenuto tale cattiva reputazione fino i nostri giorni. Che i
progressisti di oggi, che guardano ad essa da una distanza di pi
di duemila anni, si sentano autorizzati a denunciarne il carattere di
tirannia perch opprimeva donne, schiavi e stranieri residenti,
fa un poco sorridere. Stanti gli eccessi raccapriccianti del mondo
antico per quanto concerne patriarcato, schiavit e dispotismo, la
democrazia ateniese emerge come un faro luminoso. Lidea che la
democrazia occidentale debba essere rigettata senzaltro, perch
tradizione maschile, e che si debba ritornare alle tradizioni
tribali, quali che siano, profondamente retrograda. Nella polis,
la natura bifronte della civilt occidentale (quella orientale, credo
di poter aggiungere, non offre alcun particolare miglioramento
sotto tale riguardo) mostra realmente il suo volto migliore nella
storia della libert.
E il caso dunque di chiedersi quali siano state le basi etiche
dellassemblea e i suoi tradizionali modelli di competenza. Nel
primo caso si tratta dellideale di solidariet, o amicizia &phili(,
secondo il quale la lealt verso la comunit veniva nutrita dalle
intense relazioni esistenti tra i membri di essa. Tra molti dei
membri della polis ateniese, delle gilde medievali, delle infinite
societ esistenti nei centri urbani del modo precapitalista, esisteva
un rapporto vivo e vitale, e profondamente sentito. Il simposio
greco, in occasione del quale gruppi di amici si riunivano a cenare,
bere e discutere, aveva qualcosa di simile alla intensa vita di
caff di molte citt francesi, spagnole e italiane. La comunit nel
suo insieme risultava dallunione di comuni pi piccole, e ci ha
dato origine, grazie alla controcultura degli anni 60, a vere e
proprie forme di vita comunitaria. Lideale di una Comune di
comuni stato apertamente formulato nel 1871 durante la breve
esistenza della Comune di Parigi. Le societ popolari si sono
raggruppate intorno alle sezioni parigine del 1793, fornendo modi
167
associativi che hanno trasformato la rivoluzione in un esercizio di
affinit civica.
Un altro aspetto etico era limportanza attribuita alla
completezza. I greci avevano in sospetto gli specialisti, nonostante
lidea favorevole che ne aveva Platone, perch leccesso di
esperienza in qualcosa sembrava una distorsione del carattere
individuale verso un interesse particolare. Conoscere un po di
tutto e non troppo di un unico argomento era considerato sintomo
di una personalit completa che, in caso di bisogno, poteva
esprimere idee intelligenti con cognizione di causa. Siffatta
propensione per il dilettantismo, che pura non ha impedito ai
greci di porre i fondamenti della filosofia, della scienza, della
matematica e dellarte drammati ca dellOccidente, ha
continuato a rappresentare un i deal e anche nei secoli a
venire, dopo che la polis scomparsa dalla scena storica.
La completezza implicava anche una certa dose di mi
tosufficienza. Essere luomo non daltri che di se stesso
indicava ad un tempo completezza ed indipendenza. Allinizio, si
supponeva che una persona di questo genere fosse libera da
rapporti clientelari. Un interesse specifico poteva rendere
lindividuo vulnerabile, mentre chi era in grado di svolgere
diverse mansioni era considerato capace di comprendere un
ampio spettro di problemi. Chi era indipendente materialmente,
ad esempio un agricoltore proprietario in grado di far fronte alla
maggior parte dei propri bisogni grazie al proprio lavoro ed
abilit, era verosimilmente capace di giudicare obiettivamente,
senza essere influenzato dalle opinioni altrui. I greci credevano
nella propriet non perch fossero avidi: al contrario, la
generosit verso amici e concittadini era oggetto di grande
considerazione nella societ greca. Ma il possesso di un
pezzetto di terra che potesse garantire al proprietario e alla sua
famiglia il necessario per vivere lo liberava dalle manipolazioni
dellaristocrazia terriera e dei mercanti.
Impiegare il proprio tempo libero al servizio della polis era un
altro ideale, che spesso conduceva a sforzi agonistici per
ottenere il pubblico riconoscimento, una caratteristica greca che
stata frequentemente biasimata ma anche scarsamente
compresa. Lo zelo con cui i greci servivano le proprie comunit,
in effetti, era idealizzato come una forma nobile di dedizione
civica. Ottenere il riconoscimento di tale impegno spesso
richiedeva notevole sacrificio personale, peraltro affrontato
168
volentieri nella speranza di raggiungere limmortalit sociale.
Distruggere una citt greca significava distruggere la memoria,
e quindi limmortalit, dei suoi personaggi, pi eroici, cio
lidentit stessa dei suoi abitanti.
Per evitare che leccesso di ambizione civica potesse
compromettere lequilibrio relativamente delicato di una societ
divisa in classi che poteva facilmente cedere alle tentazioni
insurrezionali, i greci avevano formulato il concetto di limite,
la media aurea secondo la quale nulla doveva essere in
eccesso, che sarebbe poi entrato profondamente a far parte
delletica occidentale. La nozione di limite ricompare infatti nelle
citt medievali, fino al Rinascimento. Nelle citt-Stato italiane
del tardo Medio Evo erano presenti regole non scritte di
comportamento civico che limitavano leccesso di ambizione e le
tendenze frazionistiche, nonostante lemergere finale di
oligarchie e signorie.
Come ha sottolineato M.I. Finley, la polis ateniese (ed anche
molte citt democratiche che lhanno seguita, vorrei
aggiungere) ha messo a punto un sistema di deontologia civica
atta a tenere sotto controllo leccesso di ambizione. Le citt
italiane del Medio Evo, ad esempio, avevano creato un equilibrio
che impediva che alcuni interessi interni potessero prevalere su
altri, un equilibrio che gi prima era stato attuato dallantica
polis greca. Autolimitazione, dignit, cortesia e unintensa
dedizione alla moralit civica erano tra gli attributi psicologici
che molte citt precapitaliste a struttura assembleare
trasferivano nelle loro istituzioni, dando origine ad un sistema di
controllo che produceva armonia, per quanto incompleta possa
sembrare. Il potere veniva spesso diviso e suddiviso, sicch
lesistenza d forze contrastanti impediva il prevalere di questo o
quellorganismo e dei suoi interessi.
Nel suo complesso, questo insieme di attributi etici si
personificato in un individuo di nuovo tipo, il cittadino. Egli non
era membro di una trib n di un gruppo di parentela,
nonostante nelle citt precapitaliste esistessero intense relazioni
familiari e i vincoli di sangue giocassero un ruolo non
secondario nei conflitti politici. Per essere un cittadino nel senso
tradizionale bisognava essere qualcosa di pi che un parente
di qualcuno. Il legame principale del cittadino era quello con la
sua polis, citt o comune, almeno fino a che lascesa degli Stati
nazionali non ha trasformato lidentit civica in. una parodia del
169
suo significato originale.
I cittadini, inoltre, diventavano tali attraverso una sorta di
addestramento, un processo di costruzione del carattere che i
greci chiamavano paideia, traducibile con qualche
approssimazione dal termine istruzione. Bisognava imparare
le responsabilit civiche, saper presentare le proprie ragioni con
scrupolosa precisione, controbattere le argomentazioni contrarie
con chiarezza, e con modelli di alto valore etico. In pi, un
cittadino doveva imparare le arti marziali, lavorare con altri
cittadini in seno alle truppe della milizia, spesso doveva sapersi
comportare correttamente nel corso delle campagne militari.
Il cittadino di una citt democratica precapitalista, dunque, non
era il smplice membro di una rappresentanza o un
contribuente, per usare il gergo civico moderno. Era invece, in
genere, un essere umano consapevole, civicamente impegnato,
attivo e capace di autogovernarsi, il quale con grande
autodisciplina aveva fatto del benessere della comunit, e non del
proprio tornaconto personale, il centro dei propri interessi.
Tutti questi principi etici formavano una unit senza la quale la
democrazia civica e le assemblee popolari non sarebbero state
possibili. Limportante notazione di Rousseau, che sono i cittadini
che fanno le citt, non verr mai ripetuta abbastanza. Senza i
cittadini intesi nel senso classico, le citt sarebbero stati meri
agglomerati di edifici con la tendenza a degenerare in oligarchie
o ad essere assorbite negli Stati nazionali.
)l municipalismo libertario
Da quanto precedentemente detto, risulta chiaro che linsieme
del popolo ha trovato la propria realizzazione nella citt, o meglio
in citt molto speciali. Il carattere bifronte della civilt occidentale
ci obbliga a tener separati gli elementi negativi della citt (laver
legittimato la propriet privata, le classi e lo Stato) dai grandi
progressi segnati a favore della civilt come nuovo ambiente per
una humanitas universale.
Oggi, in unepoca in ci tendenze antiurbane hanno gettato
sulla citt stessa una pessima luce sociale, pu essere opportuno
notare il grande progresso che essa ha rappresentato fornendo un
ambito comune a gente con background etnico, con occupazione e
status diversi. La civilt, termine che trae la propria etimologia
dalla parola latina che significa ,citt, appunto, non stata
170
soltanto un banco da macellino, per dirla con Hegel. Come lo
stesso Hegel sapeva fin troppo bene, stata bifronte nel senso
letterale del termine, guardando da una parte nella prospettiva
dellumanit e contemporaneamente dallaltra verso barbarie da
giustificare in nome del progresso.
Certamente la democrazia partecipativa e le assemblee popolari
hanno avuto origine nelle comunit tribali e di villaggio. Ma non
sono diventate, ivi, forme consapevoli di associazione, viste come
fini in se stesse. Ci avvenuto con la nascita della citt. Pare che
siano esistite fin dai tempi dei Sumeri, nelle citt della Meso-
potamia. E' stata comunque la polis greca e pi tardi i comuni
medievali a rendere siffatte democrazie consapevoli di
rappresentare un modo di !i!ere, non una semplice tecnica di
gestione, e che andavano quindi costituite secondo principi etici e
ra%ionali conformi a ideali di giustizia e benessere, non semplici
istituzioni sancite dalla consuetudine. Le citt hanno costituito un
passo avanti decisivo nella vita sociale nonostante tutti i loro
limiti ci hanno tramandato opere come la 5epubblica di Platone e
la Politica di Aristotele, che per secoli sono state una presenza
costante nellimmagina- rio occidentale.
La coscienza di s ha fatto della citt unistituzione umana
praticamente unica e significativamente creativa. Per Aristotele la
citt, o per meglio dire la polis, doveva adeguarsi a certi modelli
strutturali al fine di assolvere alia propria funzione etica. Doveva
essere di dimensioni tali da consentire ai cittadini il
soddisfacimento della maggior parte dei propri bisogni, ma non
doveva contemporaneamente superare i limiti di ampiezza che
permettevano agli abitanti di avere reciproca familiarit e
prendere decisioni in modo assembleare diretto. Struttura ed
etica, funzioni e ideali di libert erano inseparabili. Pur con tutti i
suoi errori, Aristotele, insieme a molti ateniesi del suo tempo, ha
cercato di mettere la forma al servizio del contenuto, opponendosi
sempre ad ogni separazione tra i due, anche in progetti dettagliati
di varie citt.
Tale approccio diventato la chiave di volta della tradizione
democratica occidentale. Era gi forse nella mente di personaggi
come i fratelli Gracchi dellantica Roma, Cola di Rienzo nella Roma
medievale e Etienne Marcel nella Parigi del quattordicesimo secolo,
tutti uomini che hanno guidato le masse urbane in aspre rivolte
per la confederazione tra citt e per la democrazia civica. Era
presente tra le citt spagnole che nel sedicesimo secoio si sono
171
ribellate al potere centrale e anche nella Rivoluzione Francese e
nella Comune di Parigi del 1871. Esiste ancor oggi nelle assemblee
delle citt del New England, alcune delle quali custodiscono vigili i
propri diritti locali.
Si pu dire che la citt abbia aperto alla gestione della societ
una dimensione dove non necessario il ricorso alle istituzioni
statali, e che pure non lambito stretta- mente privato costituito
da casa, posto di lavoro, scuola, chiesa e cerchia di amici. La citt
ha creato la politica (termine che deriva appunto da polis) cio un
mondo unico dove i cittadini si riuniscono per discutere
razionalmente i problemi della comunit e amministrare i propri
affari in modo diretto.
Che una municipalit possa essere amministrata da ununica
assemblea di tutti i cittadini, o debba venir suddivisa in un certo
numero di assemblee confederate tra loro, dipende in gran parte
dalle dimensioni di essa. Di qui la raccomandazione aristotelica
che una polis non dovesse essere tanto grande che un grido di
allarme dalle mura non potesse essere udito. A divello di
caseggiato, quartiere o piccolo centro, le assemblee possono
funzionare come reti di collegamento, ma quando le citt dove si
tengono sono decentrate assolvono pienamente agli ideali
tradizionali di democrazia civica. La concezione anarchica di
comunit decentrate, unite in libere confederazioni o reti di
collegamento per il loro coordinamento a livello regionale, la
versione moderna di questi antichi ideali di democrazia
partecipativa.
Oggi, in una realt sociale dominante che getta unombra
sinistra sul futuro della nostra epoca, stiamo perdendo di vista
lidea stessa di citt e di politica intesa come autogestione
municipale. Le citt vengono confuse con vaste cinture urbane che
potrebbero essere meglio definite come processi apparentemente
illimitati di urbanizzazione. Le entit a misura duomo che un
tempo erano citt sono oggi soffocate dal cemento e vanno
diramandosi fin dentro la campagna.
Allo stesso modo, i cittadini vengono ridotti allo status di
anonimo elettorato per i loro rappresentanti. La loro funzione
principale di pagare le tasse, lavorare tutti i giorni per il
mantenimento della societ, riprodursi e astenersi decorosamente
da ogni tipo di attivit politica, perch questo oggi compito
riservato allo Stato e ai suoi apparati. Nel lessico distorto di oggi le
distinzioni fondamentali tra citt e agglomerato urbano,
172
cittadinanza ed elettorato, impegno politico e sotto- missione
allo Stato, tendono a svanire.
La citt intesa come municipalit a misura umana,
autogovernantesi, liberamente federata con altre municipalit
altrettanto umane ed emancipate, si va dissolvendo nelle
gigantesche cinture urbane. Il cittadino inteso come operatore
politico attivo viene ridotto a passivo contribuente, a utente dei
servizi forniti da agenzie burocratiche. La politica stata
degradata a statalismo, alla cinica attivit di professionisti del
potere ai danni del popolo.
Il tutto gestito come unimpresa commerciale, che viene
considerata attiva se produce surplus e fornisce i servizi
richiesti, passiva se va incontro a deficit e funziona in modo
caotico. Il significato etico della vita cittadina, la sua funzione
di addestrare al culto delle virt civiche e della responsabilit
sociale, viene semplicemente cancellato, ed al suo posto si
instaura una mentalit imprenditoriale che privilegia il gettito
fiscale, le spese, lo sviluppo, loccupazione.
Contemporaneamente, il potere si va intimamente
burocratizzando, centralizzando e concentrando nelle mani di
gruppi sempre pi ristretti. Il potere che potrebbe venire
reclamato dal popolo viene preventivamente svuotato dallo Stato
e da organizzazioni economiche semi-monopolistiche. La
democrazia, ben lungi dall'assumere un carattere partecipatorio,
diviene puramamente formale. In effetti, la New Left stata
lespressione di un desiderio profondo di riappropriazione
proseguito anche dopo gli anni 60, un desiderio di riconquistare il
senso civico della politica, sottraendola allo Stato.
Tali problemi continuano ad essere allordine del giorno ancor
oggi. La comparsa dei movimenti di iniziativa civica in Germania,
dei movimenti municipalisti negli Stati Uniti, i tentativi di
ripristinare gli ideali civici in diverse citt europee, anche la
riscoperta francese di parole come decentramento, sono tutti
sintomi della volont popolare di riappropriarsi della vita sociale.
In molti Paesi lo Stato, in seguito ai tagli apportati ai servizi
pubblici, ha lasciato un vuoto che le citt non possono fare a meno
di colmare, se solo vogliono restare funzionali. Accade che una
porzione sempre maggiore di servizi come i trasporti, labitazione,
la previdenza sociale sia garantita da organismi locali, ben pi che
nel passato. Gli abitanti delle citt, obbligati a provvedere per
proprio conto, stanno reimparando larte del lavoro associato e
173
della cooperazione.
Una frattura ideologica, oltre che pratica, divide sempre pi lo
Stato nazionale, vieppi anonimo, burocratico e lontano, dalle
municipalit, ormai lunico ambito oltre a quello della vita privata
in cui lindividuo sia in grado di agire in modo diretto. Non ci
rivolgiamo allo Stato per trovare una scuola per i nostri figli,
lavoro, cultura e luoghi decenti ove vivere. Che piaccia o no, la
citt ancora lambiente pi accessibile con cui avere a che fare,
oltre alla sfera della famiglia e degli amici, allo scopo di soddisfare
i nostri bisogni di esseri sociali.
Potenzialmente, il senso di espropriazione che si diffuso come
unepidemia potrebbe dare origine ad un potere parallelo nei
grandi Stati nazionali del mondo occidentale. Ancora non sono
sorti movimenti consapevoli che cerchino di muoversi da un qui
statizzato e centralistico verso un l civico, decentrato e
federativo, movimenti che possano porre la richiesta anarchica di
una confederazione di comuni come alternativa popolare allattuale
centralizzazione del potere. A meno di coltivare (futilmente, credo)
miti di insurrezioni proletarie, in un impari scontro con le armi
nucleari degli Stati nazionali moderni, non possiamo far altro che
cercare contro.istitu%ioni che possano contrapporsi al potere
nazionale.
Comuni, cooperative e collettivi vari costituiscono certamente
scuole eccellenti dove imparare lamministrazione di imprese
autogestite. Ma sono anche progetti marginali, di durata spesso
estremamente breve e dotati pi di valore esemplare che di vera
funzionalit. Nessuna cooperativa rimpiazzer mai una gigantesca
catena di supermarket mettendosi in concorrenza con essa, per
quanto possa essere redditizia, e nemmeno una Banca popolare
in stile proudhoniano potr sostituire le grandi istituzioni
finanziarie, per quanto numerosi possano essere i suoi clienti.
Sono altre le cose che possiamo imparare da un Proud- hon, il
quale ha visto nella municipalit un centro importante di attivit
popolare. Non esito ad usare qui la parola politica nel suo senso
ellenico originario, e cio intendendo lamministrazione di una
comunit (polis( per mezzo di assemblee popolari e non per mezzo
dello Stato e di attivit parlamentari. Ogni societ contiene
vestigia del suo passato, delle antiche e spesso libertarie istituzioni
che si sono poi trasformate in quelle attuali. La Repubblica
americana, ad esempio, contiene ancora elementi di democrazia
come i raduni cittadini descritti da Tocqueville nel suo libro
174
4emocra%ia in 'merica. Le citt italiane possiedono tuttora
quartieri molto vitali, che potrebbero costituire la base per nuove
relazioni comunitarie. Lo stesso pu dirsi di tanti esempi di
comunit in tutto il mondo, la cui solidariet apre la prospettiva di
una nuova politica fondata sul municipalismo libertario, che
potrebbe infine porsi come contropotere agli Stati nazionali.
Voglio sottolineare che, perch ci sia possibile, necessario
che si produca un movimento, non semplici casi isolati di qualche
municipalit amministrata attraverso assemblee di quartiere; un
movimento capace di modificare una comunit dopo laltra, dando
origine ad un sistema di relazioni federative tra municipalit s da
formare un potere a livello per lo meno regionale. La portata
pratica di una simile impostazione libertaria e municipalista
impossibile da giudicare senza conoscere in dettaglio le tradizioni
autentiche di una regione, le risorse civiche possedute, f problemi
che ha da affrontare. Stante lesperienza di chi scrive, in materia
di controllo locale negli Stati Uniti si pu dire questo: niente come
la domanda di controllo locale, una volta avanzata, stata accolta
con tanta resistenza dallo Stato. Lo Stato sa (assai pi dei suoi
avversari nei movimenti di sinistra) quanto il controllo locale
possa essere destabilizzante per la sua autorit.
Lidea del municipalismo libertario risale allepoca delle
rivoluzioni americana e francese e della Comune di Parigi, quando
il confederalismo era una proposta accolta con favore da larghi
strati della popolazione. Per quanto i tempi siano cambiati da
allora, non v ragione di dubitare che quella medesima idea
possa risorgere oggi, quando movimenti di s=uatters,
organizzazioni di quartiere e gruppi comunitari continuano a
prodursi testimoniando lesistenza cronica di una tensione che lo
Stato nazionale non mai riuscito ad esorcizzare.
Tecnologia e decentramento
Allesigenza di un movimento municipalista libertario lecologia
sociale ha portato una dimensione originale e nel contempo
imperativa. La necessit di ridimensionare le comunit umane in
modo da adeguarle alle risorse naturali del territorio in cui si
trovano e di instaurare un nuovo equilibrio tra citt e campagna
(temi tradizionali del pensiero utopico ed anarchico del secolo
scorso) diventata oggi ecologicamente imprescindibile. Non
rappresenta soltanto il perdurare dellutopismo di ieri, i sogni e i
desideri di pensatori solitari. E' diventata la condizione perch la
175
specie umana possa continuare ad esistere, in armonia con un
mondo naturale complesso, minacciato di distruzione. In effetti
lecologia ha posto nettamente lalternativa: o ci volgiamo alle
soluzioni solo apparentemente utopiche basate sul decentramento,
su di un nuovo equilibrio con la natura e sullinstaurazione di
rapporti armonici nella societ, o dovremo affrontare lo
sconvolgimento delle basi materiali e naturali della vita umana su
questo pianeta.
Lurbanizzazione minaccia anche la campagna, non solo la citt.
Il famoso contrasto tra citt e campagna che tanto rilievo ha avuto
nella storia del pensiero sociale, oggi del tutto privo di senso,
superato dall invasione del cemento, anche in aree a vocazione
agricola e in comunit rurali di grande valore storico.
Lomogeneizzazione delle culture rurali ad opera dei mass media,
del diffondersi dei modelli esistenziali urbani e di una penetrante
mentalit consumistica, minaccia non solo di distruggere modi di
vivere unici e interessanti, ma di devastare completamente il
panorama naturale. Ci che lagribusiness non ha ancora
avvelenato con i suoi pesticidi, fertilizzanti e macchinari, viene
distrutto dalle piogge acide, dallalterazione climatica di origine
sociale, dal disboscamento e dallaridit. Lurbanizzazione del
pianeta va semplificando ecosistemi complessi eliminando strati di
suolo che hanno richiesto millenni per formarsi, riducendo ad una
finzione la vita selvaggia e alterando in senso peggiorativo, anche
se a volte indirettamente, il clima ai interi territori.
La tecnologia ereditata dalle precedenti rivoluzioni industriali,
luso insensato di veicoli a motore individuali la concentrazione di
strutture industriali gigantesche vicino ai corsi d'acqua il continuo
ricorso a combustibili fossili e nucleari e un sistema economico che
ha per unica lgg lo sviluppo, tutto ci non mancher di produrre
in pochi decenni un degrado ambientale mai vistp prima. Quasi
tutti i nostri corsi dacqua sono fogne insopportabili. Anche negli
oceani sono state scoperte zone morte che si estendono per
centinaia di miglia. Non il caso di insistere con questa fosca
litania delle continue e forse mortali ferite inflitte ovunque al
nostro pianeta. I danni perpetrati nellatmosfera allo strato
protettivo di ozono sono risaputi, e anche quelli chp colpiscono le
aree pi remote del globo, come lArtico e lAntartide o le antiche
foreste equatoriali.
Per sopravvivere, anche senza pretendere di voler applicare
176
pienamente i nostri principi libertari, bisogna non solo che venga
rivisto il nostro concetto di urbanizzazione, il rapporto tra le citt
e il loro substrato ecologico, ma la tecnologia e i beni che essa
produce, insomma tutta la nostra idea della natura.
Abbiamo bisogno di citt pi piccole, per realizzare le nostre
concezioni libertarie ma anche per garantire le esigenze pi
elementari di unesistenza che sia in qualche modo in equilibrio
con la natura. I giganteschi agglomerati urbani generano
omogeneit culturale, anonimato individuale e potere
centralizzato, e inoltre danneggiano insostenibilmente le risorse
idriche, laria che respiriamo e tutte le caratteristiche naturali
delle aree che occupano. Congestione, rumore e lo stress prodotto
dalla vita urbana doggi stanno diventando sempre pi
intollerabili, a livello psichico oltre che fisico. Le citt che un
tempo servivano a riunire individui di background differenti sotto
legida di una medesima solidariet comunitaria, oggi atomizzano
i propri abitanti. La citt moderna un luogo nel quale
nascondersi# non loccasione per ricercare la vicinanza degli altri
esseri umani. La paura tende a sostituirsi alla socialit, la
scortesia inghiotte la solidariet, rammassarsi della gente in
abitazioni, mezzi di trasporto, uffici e negozi sovraffollati, sovverte
il senso dellindividualit e produce indifferenza alla condizione
umana.
Quindi il decentramento delle grandi citt in comunit a misura
umana non n la mistificazione romantica di un solitario amante
della natura, n un remoto ideale anarchico. invece una
realizzazione indispensabile per una societ ecologicamente
stabile. Bisogna scegliere tra uri ambiente in rapida degradazione,
che finir per compromettere lintegrit e la complessit delle
forme di vita del pianeta, e una societ che viva in equilbrio con
la natura.
Lo stesso pu dirsi dellesigenza di riconsiderare la base
tecnologica della societ moderna. La produzione non pu pi
essere vista come una fonte di profitto o la realizzazione di
interessi personali. I beni di cui gli esseri umani necessitano per la
propria sopravvivenza, oltre che per il proprio benessere fisico e
culturale, sono pi importanti dei feticci mistificati delle varie
religioni e culti superstiziosi. Il pane, se volete, pi sacro di
una benedizione pretesca, come i vestiti delle persone comuni
sono pi sacri dei paramenti ecclesiastici; le abitazioni personali
hanno maggior significato spirituale delle chiese e dei templi;
177
vivere bene su questa terra pi santificante che andare in
paradiso. I mezzi di sussistenza devono essere considerati per
quello che sono realmente, strumenti senza i quali la vita
impassibile.
Negarli al popolo pi che un furto (per usare lespressione di
Proudhon), omicidio. Nessuno ha il diritto di possedere beni dai
quali dipende la vita altrui, moralmente, socialmente o
ecologicamente. N ha il diritto di adottare o imporre alla societ
tecnologie che danneggino la salute umana e del pianeta.
Ecco che lecologia si compenetra totalmente con la societ, per
diventare ecologia sociale, sottolineando la stretta interdipendenza
tra problemi sociali ed ecologici. La tecnologia (che dovrebbe
essere usata per sostenere la vita umana e planetaria e che invece
mette in pericolo entrambe) uno dei luoghi pi importanti
dove i valori sociali ed ecologici si incontrano. In unepoca di
degradazione ecologica diffusa, non ulteriormente possibile
mantenere tecniche che danneggiano spudoratamente gli esseri
umani e il pianeta tutto.
La tragedia della nostra epoca che la tecnica non affrontata
da un punto di vista etico. Nel pensiero greco la produzione di
oggetti di alta qualit artistica era considerata un fatto morale
comportante una speciale relazione tra lartista e loggetto
prodotto. Per molti
popoli tribali, la manifattura di un oggetto corrisponde alla messa
in atto delle potenzialit insite nel materiale grezzo, dando cio
alla pietra, al marmo, al bronzo, una voce attraverso cui
vengono espresse le latenti capacit estetiche della materia prima.
Il capitalismo ha completamente eliminato questo modo di
pensare. Ha separato il produttore dal consumatore, eliminando
ogni senso di responsabilit etica di quello nei confronti ai questo,
mettendo da parte ogni altro tipo di considerazioni morali. Lunica
dimensione morale ammessa nella produzione capitalistica la
presenza della cosiddetta mano invisibile del mercato che guida
linteresse individuale in modo che la produzione a scopo di
profitto finisca per generare il bene comune.
Ma anche tale miserabile giustificazione del tutto scomparsa
oggi. Un egoismo illimitato, altro esempio della presenza di
unetica del male, ha sostituito ogni rispetto per il bene pubblico.
Sebbene possa apparire facile dare alla tecnologia colpe che sono
invece dellinteresse borghese, bisogna comunque ammettere che
anche la tecnica pu diventare demoniaca sotto il capitalismo
178
liberata da ogni limitazione di tipo morale. Una centrale nucleare,
ad esempio, intrinsecamente male, non ha alcuna giustificazione
della sua esistenza.
Anche le operazioni industriali convenzionali stanno diventando
problematiche a causa del progressivo degrado ecologico.
Lagribusiness, che un tempo era unattivit marginale nellazienda
agricola di tipo familiare, si talmente diffuso negli ultimi tempi
da provocare seri problemi legati alluso ai pesticidi e fertilizzanti
sintetici. La continua emissione di fumi industriali e luso
sconsiderato delle autovetture stanno modificando lintero
equilibrio ecologico naturale, in particolare quello dellatmosfera.
Basta un rapido esame dellattuale panorama tecnologico per
rendersi conto di quanto sia acuta la necessit di una sua
ristrutturazione. Interessi non solo ecologici, ma anche di pura
sopravvivenza umana, impongono il ricorso a tecnologie
ecologiche che rendano il nostro rapporto con la natura creativo e
non distruttivo.
Mi sia concesso ripetere ancora una volta che tale cambiamento
non pu prodursi senza che una simile mutazione tocchi anche i
rapporti umani con la elaborazione di un interesse generale che
superi gli interessi particolari di gerarchia, classe, sesso, etnia e
Stato. I presupposti di un rapporto armonico con la natura sono
di tipo sociale, cio l'instaurazione di armonici rapporti tra gli
esseri umani. Ci postula labolizione della gerarchia in tutte le sue
forme (anche psicologiche e culturali, oltre che sociali), labolizione
delle classi, della propriet privata, dello Stato.
Il passaggio da qui a l non sar certo unimprovvisa
esplosione, senza alcun preludio di preparazione intellettuale ed
etica. Il mondo deve essere educato il pi approfonditamente
possibile se la gente deve cambiare la propria esistenza, in prima
persona, non per leffetto dellopera di elite autonominatesi ch
tendono a trasformarsi in oligarchie che aspirano al potere. La
sensibilit, letica, il modo di vedere la realt, il senso di' s
devono cambiare, per mezzo di strumenti educativi, di ragione, di
sperimentazione, mettendo nel conto la possibilit di imparare dai
nostri stessi errori, se davvero lumanit in grado di
raggiungere la coscienza necessaria per la propria autogestione. I
movimenti rivoluzionari non possono pi trastullarli
irriflessivamente con azioni fini a se stesse. Mai come oggi
abbiamo avuto bisogno di approfondimento teorico e di studio,
perch lincultura politica ha raggiunto proporzioni spaventose e
179
lazione feticizzata come un fine in s. E abbiamo anche bisogno
di organizzazione, non il caos nichilista dove ogni tipo di struttura
criticata come elitaria e centralistica. La pazienza, il lavoro
duro e quotidiano per la costruzione di un movimento servono
assai pi che le azioni teatrali di certe prime donne che aspirano
a morire sulle barricate di una lontana rivoluzione, ma si
sentono troppo intelligenti per dedicarsi al tran-tran di diffondere
le idee e tenere in piedi unorganizzazione.
Passare da qui a l un processo, non unazione
esemplare. Sar sempre segnato da incertezze, fallimenti,
deviazioni e polemiche, prima di trovare il senso della sua
direzione. N detto che lo spazio di una vita sia sufficiente
perch una mutazione radicale si verifichi.
I rivoluzionari di oggi devono trarre la propria ispirazione dai
grandi idealisti del passato, come certi personaggi della storia
francese o russa, che avevano ben poche probabilit di poter
assistere ai sommovimenti menti da loro auspicati, ai quali
peraltro hanno contribuito con lesempio, limpegno personale, il
convincimento.
La volont rivoluzionaria non solo un impegno per cambiare il
mondo; anche un imperativo interiore a salvaguardare la
propria identit dalla corruzione di una societ che degrada la
personalit umana con la promessa di guadagno e status in un
mondo totalmente privo di senso.
Bisogna creare una nuova politica che sappia sfuggire alla
trappola del parlamentarismo. Movimenti come i Verdi tedeschi
sono gi saturi di !edettes che inseguono il successo personale,
distruggendo lintegrit, letica e lo slancio dei loro tempi pi
eroici. Bisogna che i programmi politici vengano elaborati tenendo
presenti le condizioni ambientali degli individui, i problemi della
casa, del quartiere, dei trasporti, linquinamento, il luogo di lavoro.
Il potere deve continuamente essere restituito ai quartieri e alle
municipalit, sotto forma di centri sociali, cooperative, centri per
loccupazione, e soprattutto assemblee cittadine.
Il successo non da misurarsi in funzione del favore immediato
che un movimento di questo tipo riesce ad ottenere. Inizialmente
solo un numero relativamente ridotto di persone lavorer con un
simile movimento, e pochi parteciperanno alle assemblee di
quartiere e alle confederazioni municipali, eccetto forse nel caso di
temi di particolare rilevanza pubblica. Le vecchie idee e i metodi
interiorizzati nella vita di tutti i giorni sono lenti a morire; e i
180
nuovi, lenti a crescere.
Pu accadere che gruppi di iniziativa civica compaiano
allimprovviso con fervore, perch una comunit si trova ad
affrontare problemi come, ad esempio, linstallazione di una
centrale nucleare o la scoperta di una discarica di materiale
tossico. Ma un movimento municipalista ad orientamento ecologico
non deve mai illudersi che tali iniziative di massa siano
necessariamente destinate a durare. Possono svanire altrettanto
rapidamente come sono cominciate. Lunica speranza che
vadano a costituire una tradizione cui far riferimento in futuro e
che lattivit educativa cos svolta resti patrimonio della comunit.
Contemporaneamente, i membri pi impegnati di un tale
movimento devono offrire una visione di ci che la societ dovr
diventare in futuro. Devono saper guardare
lontano, in modo che altri siano spinti a realizzare quegli obiettivi.
Il movimento deve avere un nucleo di persone capaci di fornire
soluzioni storicamente valide, oltre che pratiche. E' sempre la
societ a dettare le regalo del gioco, alle quali anche i ribelli
meglio intenzionati devono attenersi. Se ci non viene tenuto
presente, saranno inevitabili compromessi moralmente debilitanti,
portatori di unetica del male basata sulla ricerca del male minore,
che conduce invece al male peggiore. Nessun movimento
rivoluzionario pu perdere di vista la sua concezione finale di
societ ecologica se non vuole. perdere, un pezzetto alla volta,
tutti gli elementi della, sua stessa identit.
Tale concezione deve essere espressa in modo chiaro e
inequivocabile, in modo da non poter mai essere oggetto di
compromessi. La fumosit degli scopi ultimi socialisti e marxisti ha
apportato danni irreparabili permettendo che tali scopi potessero
essere sottomessi alle esigenze di una politica pragmatica, fino
alla rinuncia della stessa ragion dessere del movimento. Un
movimento deve dare aipropri ideali un carattere visivamente
esplicito, in modo che essi possano entrare a far parte di un nuovo
immaginario politico e non di mere dichiarazioni programmatiche.
Questo tipo di tentativi stato fatto in passato, con discreto
successo, da gruppi come Peoples Architecture (Architettura
popolare) che si preso la briga di ripianificare interi quartieri di
Berkeley, in California, dimostrando praticamente come potevano
essere resi pi abitabili, comunitari ed esteticamente attraenti.
181
La societ ecologica
Oggi abbiamo uno splendido repertorio di nuove idee, progetti,
concezioni tecnologiche e dati operativi che possono fornirci la
rappresentazione visiva di una comunit ecologica e di una
democrazia partecipatoria. E' un materiale particolarmente valido
al fine di dimostrare che possibile creare comunit in grado di
sostentarsi con risorse rinnovabili, e non dovrebbe essere visto
semplicemente come un insieme di tecniche volte a porre la
societ in equilibrio con un determinato ambientale naturale.
Tutto questo repertorio ha anche implicazioni etiche di grande
portata, che possono essere ignorate solo a patto di voler dare
impulso ad una mentalit eco-tecnocratica per lelaborazione di
quelle che si usa definire come tecnologie appropriate,
unespressione troppo ambigua per essere accettabile in un
contesto ecologico pi ampio. Che lorticoltura organica possa
esaudire le nostre richieste di cibo non trattato chimicamente,
fornirci una pi vasta gamma di alimenti, e migliorare il suolo
invece di distruggerlo, sono le argomentazioni con cui
convenzionalmente viene giustificato labbandono dellagribusiness
a favore di unagricoltura ecologica.
Ma lorticoltura organica contiene in s molto pi di questo. Ci
porta a contatto della colti!a%ione del nostro cibo, invece che del
suo semplice consumo. Ci introduce nellintimo della catena
alimentare che prende inizio nel suolo, della quale siamo noi stessi
componenti e attivi partecipanti. Ci riporta dunque vicino al mondo
naturale da cui ci siamo allontanati, coinvolgendoci in un
balletto ecologico, per cos dire, assai pi benefico del jogging
su strade asfaltate e marciapiedi di cemento. In quanto
occupazione praticabile a livello individuale nel corso della
giornata, secondo il consiglio di Fourier, lorticoltura organica
arricchisce la diversit della nostra vita quotidiana, attiva la nostra
sensibilit per i cicli biologici e ci mette in sintonia con i ritmi
naturali. Quindi lorticoltura organica, tanto per limitarci a questo
singolo esempio, pu avere nella societ ecologica un ruolo pi
importante che risolvere i nostri problemi nutrizionali. Pu
diventare parte integrante della nostra stessa esistenza di individui
culturalmente, socialmente e biologicamente consapevoli.
Lo stesso pu valere per lacquacoltura, specialmente i sistemi
auto-riproducentisi messi a punto presso il pionieristico Institute
for Social Ecology (Istituto di Ecologia sociale) del Vermont, dove
182
le deiezioni di pesci erbivori vengono riciclate attraverso piante
acquatiche in modo da fornire cibo ai pesci medesimi, creando cos
un ciclo ecologico chiuso e autosufficiente, in grado di produrre
proteine per una comunit umana. L'uso dell' energia solare, una
tecnologia che ha raggiunto ormai una sofisticazione straordinaria,
pu essere considerato ecologico non solo in quanto energia
rinnovabile, ma anche perch porta il sole, il mutare delle stagioni,
insomma il cielo per cos dire, nella nostra vita quotidiana in modo
palpabile. E ci pu dirsi anche dellenergia eolica,
dell'allevamento del bestiame, dellagricoltura mista, delle tecniche
di compostaggio che riciclano i rifiuti di una comunit
trasformandoli in concime, insomma di un complesso modello
ecologico dove ogni componente interagisce con gli altri
producendo un ecosistema a misura umana che soddisfa i bisogni
umani e nel contempo arricchisce lambiente naturale.
Una societ ecologica, strutturata come confederazione di
comuni, ciascuna plasmata in modo da adattarsi allecosistema nel
quale si trova allocata, attuerebbe questo ventaglio di tecnologie
in modo artistico, ricorrendo alle risorse locali, molte delle quali
vengono oggi abbandonate a causa delle tecniche di produzione di
massa.
Che ne sarebbe della propriet, in tale societ? Storicamente le
sinistre hanno sempre messo laccento sulla nazionalizzazione
della terra e delle industrie, o sul controllo operaio di esse. Ma
uneconomia nazionalizzata presuppone, come hanno da tanto
tempo fatto notare gli anarchici, lesistenza dello Stato, e questo
dovrebbe essere sufficiente a giustificarne il rifiuto. Inoltre
leconomia nazionalizzata la culla di burocrazie parassite, che
hanno lasciato anche gli Stati cosiddetti socialisti dellEst in un
limbo di perpetua crisi economica. La responsabilit delle
nazionalizzazioni come fonte di statizzazione ed anche di
totalitarismo quindi fuori discussione e gli stessi sostenitori di
esse le vanno abbandonando, ironia del caso, per soluzioni di
libero mercatoto.
Anche il controllo operaio, tanto apprezzato dalle tendenze
sindacaliste in contrapposizione alle economie nazionalizzate, ha i
suoi limiti. Ad eccezione che nella Spagna rivoluzionaria, dove un
sindacato libertario come la CNT ha mantenuto uno stretto
controllo su tutte le imprese che potevano assumere un indirizzo
favorevole agli interessi capitalisti, in genere una fabbrica
collettivizzata non una comune, n ha unimpostazione
183
necessariamente comunitaria. Non poche imprese a controllo
operaio hanno funzionato in modo capitalistico, facendosi
concorrenza per quanto riguarda materie prime, commesse,
privilegi ed anche profitti. Molte cooperative si trasformano
frequentemente in corporazioni oligarchiche, come ha ormai
dimostrato l'esperienza scandinava e americana. Questo tipo di
imprese diventano sede di un interesse particolare, anche se non
eccessivamente aggressivo. Non sono diverse da quelle
tipicamente capitalistiche e la pressione cui vengono assoggettate
dal mercato nel quale si trovano a dover funzionare la
medesima. Siffatto particolarismo non manca di farsi sentire,
alterando sempre pi i contenuti etici dei fini originari, in genere in
nome dell' efficienza, della necessit di crescere per
sopravvivere, cedendo alla tentazione di ottenere maggiori
profitti. Il municipalismo libertario ha un approccio olistico per
quanto concerne leconomia ecologicamente orientata. Le decisioni
e i programmi relativi allagricoltura e alla produzione industriale
sarebbero il risultato di assemblee cittadine, i cui partecipanti si
esprimono in quanto cittadini e non-semplicemente come operai,
agricoltori, professionisti o altro, e svolgerebbero comun=ue
attivit produttive diverse a rotazione, indipendente dalla loro
specifica competenza. In quanto cittadini agirebbero al loro livello
pi elevato, il livello umano, non a quello di esseri socialmente
ghettizzati , ed esprimerebbero quindi non interessi particolari ma
un interesse generale umano.
Invece di nazionalizzare o collettivizzare terra, fabbriche,
officine, centri di distribuzione, una comunit ecologica
ricorrerebbe alla municipali%%a%ione della propria economia, e si
unirebbe ad altre municipalit in modo da integrare le proprie
risorse in un sistema federativo su base regionale. Terra e
industrie sarebbero controllate dalle assemblee popolari delle
libere comunit, non da uno Stato nazionale, o da lavoratori-
produttori che potrebbero finire per nutrire interessi da
proprietari. Qgni persona della comunit un cittadino, non un
individuo egoista e nemmeno il membro di un collettivo
particolare. E questo ideale di cittadino razionale, di persona
legata alle altre persone della comunit attraverso relazioni dirette
e rapporti personali , acquisterebbe solidit economica e finirebbe
col permeare ogni aspetto della vita pubblica. Un tale tipo di
persona, scevro da interessi particolari perch vive in un ambiente
dove tutti contribuiscono al bene della comunit, dando il meglio
184
di se stessi e prendendo dal fondo comune quanto necessitano,
darebbe alla condizione di cittadino una solidit materiale senza
precedenti , superiore a quella ottenibile con la propriet privata.
Non eccessivamente fantasioso pensare che una societ
ecologica matura dovrebbe essere costituita di municipalit di
dimensioni contenute, ciascuna delle quali formata da una
comune di comuni pi piccoli, individuali o collettivi,
perfettamente sintonizzati con lecosistema in cui si trovano. La
decisione se vivere in comunit o individualmente non pu che
essere lasciata alla scelta delle generazioni future.
La familiarit tra le singole comuni deve essere deliberatamente
favorita. Nessuna municipalit dovrebbe essere tanto distante
dalle altre da non poter essere raggiunta a piedi. I trasporti
dovrebbero essere fondati sull uso di veicoli collettivi, quali che
siano (monorotaie, treni, autovetture...) e non di veicoli
individuali, che riempiono le grandi reti autostradali con macchine
mezze vuote.
Il lavoro dovrebbe ruotare tra citt e campagna e tra incarichi
giornalieri. Lideale di Fourier di una giornata lavorativa costituita
di attivit diversificate potrebbe trovare applicazione devolvendo
parte della giornata allorticoltura, alla manifattura di oggetti, alla
lettura, allistruzione, e una parte cospicua alle installazioni
edilizie. La terra verrebbe usata in modo ecologico, sicch le
foreste sarebbero lasciate alle aree pi idonee alla fiora arborea e
le coltivazioni alimentari (in coltura mista) alle zone pi adatte a
tale impiego. Frutteti e filari di alberi sarebbero abbondanti/s aa
fornire nic chie e ricetto ad unampia variet di esseri viventi,
evitando il ricorso ai pesticidi grazie agli equilibri biolo gici che si
verrebbero a instaurare.
Grandi territori, anche pi estesi di quelli attuali, verrebbero
lasciati alla vita selvaggia. Verrebbe pro mosso lirrobustimento del
corpo e latletismo, grazie alla diversificazione del processo
lavorativo. Grande uso verrebbe fatto dellenergia solare ed eolica,
i rifiuti verrebbero raccolti e compostati, oppure riciclati. La
produzione attribuirebbe maggior importanza alla qua lit che alla
quantit: case, mobilia, utensili e vestiario verrebbero fabbricati
per durare anni, o anche genera zioni. Questo modello municipale
verrebbe adeguato con grande cura al caso specifico di ogni
regione, in modo da conservare le caratteristiche naturali di essa
nel maggior rispetto possibile delle forme di vita non umane degli
equilibri naturali.
185
Gli impianti industriali sarebbero basati su macchi nari di piccole
dimensioni e polivalenti, sulle pi avan zate tecnologie a misura
umana, sulla produzione di beni di qualit con il maggior
risparmio energetico possibile, e verrebbero posizionati in modo
da poter servire il maggior numero possibile di comunit, evitan
do la moltiplicazione dello stesso prodotto che si verifica nelle
economie mercantili.
Mi sia concesso affermare, anche, che particolare im portanza
verrebbe attribuita agli strumenti che permet tono di risparmiare
lavoro (computer o macchinari auto matici o altro...) in modo da
liberare gli esseri umani da fatiche non necessarie e lasciar loro
tempo libero da dedicare a coltivare se stessi come individui e
cittadini. La simpatia che di recente, e particolarmente negli Stati
Uniti, il movimento ecologista ha dimostrato per le tecnologie a
lavoro intensivo, che dovrebbero risparmia re energia a spese del
lavoro operaio, unaffettazione scandalosa, tipica da ceto medio.
La pletora di accade mici, studiosi, professionisti che hanno
espresso simili opinioni, costituita di persone che non hanno
mai fatto unora di vero lavoro manuale in vita loro, che non
sanno nemmeno cosa sia una fonderia o una catena di
montaggio. Le attivit di lavoro manuale intensivo di questa gente
si riducono generalmente ad hobby tipo jogging, sport o rilassanti
passeggiate nei parchi e nelle foreste nazionali. Qualche
settimana in fonderia, destate, li farebbe rapidamente ricredere
circa le virt delle indu strie e delle tecnologie a lavoro intensivo.
Tra il qui irrazionale e prodigo dei giganteschi quartieri
industriali e urbani, dellagribusiness chimico, del potere
burocratico e centralizzato, della produ zione di terrificanti
armamenti, dellinquinamento ge neralizzato, dellattivit manuale
insensata, e il l della societ ecologica che ho cercato di
descrivere nelle pagine precedenti, trova posto una zona
indefinibile di complesse transizioni nella quale si sviluppa una
nuova sensibilit e una nuova politica. Nulla pu sostituire la
consapevolezza e il sostegno della storia, al fine di mediare tale
transizione. Nessun deus e6 machina pu essere invocato per
farci compiere il salto da qui a l, n il caso di desiderarlo.
Ci che le persone non riescono a costruire da sole, non riescono
nemmeno a controllare. Pu essere loro tolto con la stessa facilit
con cui viene loro concesso.
In ultima analisi, ogni progetto rivoluzionario poggia sulla
speranza che la gente sappia generare una nuova consapevolezza,
186
una volta esposta alle idee che manife stamente concordano con i
loro bisogni, una volta che la realt oggettiva (la storia, o la
natura, o entrambe...) lha resa suscettibile allesigenza di una
mutazione so ciale decisiva. Senza circostanze oggettive favorevoli
alla creazione di una nuova consapevolezza e senza i mezzi per
proporla in pubblico, non c possibilit di cambiamenti radicali, e
nemmeno di evoluzione control lata. Ogni progetto rivoluzionario
, prima di tutto, un progetto educativo. Il resto viene dalla realt
in cui la gente vive e dalle trasformazioni cui essa va incontro.
Qualunque processo educativo che non si tenga in contatto con
la realt, con le tradizioni e con la vita di tutti i giorni, in grado
di assolvere solo met del suo compito. Ogni individuo ha il suo
background libertario, come ho gi avuto modo di sostenere, e i
suoi sogni libertari, per quanto confusi dalla propaganda dei media
e da immagini che li distorcono.
Il sogno americano tanto in voga oggi, ad esempio, ha
componenti anarchicheggianti, oltre che borghesi, ed ha assunto
molti aspetti diversi. Una di queste pu essere fatta risalire ai
rivoluzionari puritani, che hanno attraversato loceano per creare
una Nuova Gerusalem me quasi comunista. Nonostante tutti i loro
difetti, costoro hanno dato origine a comunit unite e fonda
mentalmente ugualitarie, che si autogovernavano per mezzo di
raduni cittadini a democrazia diretta. Unaltra porzione del sogno
americano stata modellata dalla vita di frontiera del Far West,
dove il focolare domesti co del New England era sostituito dal
bivacco solitario nella prateria. Gli eroi di tale epopea erano i
pistoleri ferocemente individualisti celebrati dagli spaghetti
western di Sergio Leone, come linternazionalmente famoso il
buono, il brutto, il catti!o. E un altro sogno americano emerso
al volgere del secolo scorso stato quello degli emigranti che
sognavano unAmerica la stricata doro, cio il mito delle
illimitate possibilit di miglioramento offerte dagli Stati Uniti, terra
dove tutto possibile.
Cito queste visioni semi-utopiche, alle quali possibi le
sostituire altri sogni equivalenti dei Paesi europei, allo scopo di
sottolineare che in un modo o nellaltro il progetto rivoluzionario
deve restare in contatto con queste aspirazioni popolari e trovare il
modo di rimodel larli sulla base di ideali attuali di libert.
Lanarchismo non il prodotto delle ricerche di un genio che ha
passato la vita nel Museo di Londra, imponendo alla propria epoca
una visione scientifica del socialismo.
187
Se non un prodotto sociale, certamente affinato da persone
assai abili sul piano teorico, ma comunque generato dalle pi
profonde aspirazioni libertarie di un popolo, lanarchismo non
nulla. Cos stato per lanar chismo spagnolo tra la fine del
diciannovesimo secolo e gli anni 30 di quello successivo, o per
lanarchismo italiano e russo prima dellavvento di Mussolini e Sta
lin, quando gli scritti di Bakunin, Kropotkin e Malate sta
esprimevano in sede teorica le aspirazioni profonda mente sentite
del popolo oppresso. Dovunque lanarchi smo ha preso piede
stato perch ha saputo letteral mente diventare la voce libertaria
del popolo, traducen do nella lingua di questo i suoi ideali e le sue
pi fervide speranze. E per la sua natura profondamente popolare,
per i suoi legami con la vita sociale dei popoli e delle comunit che
lanarchismo tanto ecologico, e i pensato ri anarchici possono a
buon diritto essere considerati i veri fondatori dellecologismo
rivoluzionario dei nostri tempi.
8na natura libera
Lanarchismo e lecologia sociale (cio, leco-anarchismo) devono
contare sulla possibilit che la gente nor male sia in grado di
ragionare ad un livello non dissimile da quello dei pi brillanti
personaggi dellumanit. Leco-anarchismo deve partire dallidea
che lumanit nel suo complesso sia qualcosa di assai peculiare.
Essa occupa infatti una posizione praticamente unica nelle
voluzione, anche se ci non giustifica affatto lidea che debba (o
possa) dominare la natura. Ci che differen zia gli esseri umani
da tutte le altre forme di vita la loro straordinaria capacit di
pensiero concettuale, di comunicazione verbale strutturata
nellambito di un meraviglioso corpo di concetti, e di alterazione
del mondo naturale in modo sia disastrosamente distrutti vo che
magnificamente creativo.
Possiamo rigettare tali capacit come puramente accidentali,
meri incidenti dellevoluzione naturale? Non possibile confutare
la famosa opinione di Ber trand Russel che la coscienza umana sia
il prodotto fortuito di circostanze imprevedibili, una rapida scintil
la nelloscurit di un cosmo privo di vita e di significato, emersa
dal nulla e destinata a ritornarvi senza lasciare tracce. Forse
cos, ma ogni approccio filosofico al problema del significato
dellumanit sempre fonda to su presupposti postulati, non
provati. Nel secolo scorso, la fisica ha postulato limportantissimo
188
concetto che il moto sia un attributo della materia ed ha co
struito su tale ipotesi non provata un assetto teorico altamente
sofisticato. La migliore prova della validit di tale presupposto
sta nella sua attitudine a chiarire il funzionamento della realt.
Anche lecologia moderna, e in particolare lecologia sociale,
necessita di presupposti, se vuole diventare una teoria coerente,
in grado di spiegare il posto dell'umanit nel mondo naturale.
Esiste un certo numero di teorie ecologiche che tendono a negare
lunicit della colloca zione umana nella natura. Tale modo di
pensare ha un nome (biocentrismo) e sostiene che gli esseri
umani non abbiano pi valore di una lumaca nel mondo natu rale
(da ci il mito di una cosiddetta democrazia biocen trica).
Uomini e molluschi sarebbero semplicemente diversi. Questa
una constatazione piuttosto ovvia, che per non ci dice nulla circa
la natura di tale diversit e il significato che essa riveste in seno al
mondo naturale.
Negli Stati Uniti, dove questa concezione ha largo seguito, le
idee semplici vengono sempre preferite a quelle che richiedono
una certa dose di riflessione. Forse la funzione attribuita al
biocentrismo quella di con testare lidea che il mondo sia
stato fatto per essere sfruttato dalla specie umana. Ma ci
presuppone che il mondo sia stato fatto, cio creato da una
qualche entit soprannaturale, e rende qualunque diatriba sul
biocentrismo forse teologicamente interessante, ma socialmente
irrilevante.
Il problema importante invece un altro. Qual il posto
dellumanit nella natura? La risposta non pu venire dalla
considerazione della natura come uno stati co insieme di forme di
vita. La natura in realt qualco sa di dinamico, un fenomeno di
processi evolutivi che coinvolgono forme di vita tanto umane
quanto non umane. La natura non mai statica. E nemmeno
avara o regno della necessit, come vorrebbe farci credere
Marx, nel suo sforzo di giustificare lemergere delle classi, lo Stato,
e la necessit di dominare il mondo naturale come
presupposto per la liberazione di quello sociale.
Guardando indietro, anche intuitivamente, allevolu zione
delluniverso, possiamo constatare (come nessun altro animale
pu) resistenza di una tendenza general della materia attiva a
svilupparsi dal semplice al com plesso, dal relativamente
omogeneo al relativamente eterogeneo, dal semplice al variegato
e al differenziato. Lattributo pi straordinario della sostanza
189
(termine che mi sembra giusto usare in senso dinamico e creati
vo, in contrapposizione ad una materia statica e mor ta) la
sua capacit di evoluzione. Non intendo qui un semplice cambio di
posto, quanto lo svolgersi delle pos sibilit latenti di un fenomeno,
la messa in atto di ci che esiste in potenza, lo sviluppo di ci che
non compieta mente sviluppato. In seno alla sostanza, al suo
livello pi primitivo, presente in modo implicito il dispiegar si di
diversi gradi di sviluppo, ciascuno dei quali contie ne il germe di
unulteriore differenziazione, di una ten denza ad una sempre
maggiore soggettivit e flessibili t. Non parlo di teleologia
preordinata, di uno scopo che imprima una direzione in qualche
modo inesorabile allo sviluppo. Mi riferisco invece allintrinseca
tendenza verso una crescente differenziazione, complessit, indi
vidualit (che diventa intelligenza solo nel caso degli esseri
umani) e adattabilit fisica.
Ad un certo punto, la tendenza dello sviluppo inorga nico verso
la complessit raggiunge un livello chiara mente visibile, in
corrispondenza del quale emerge la vita. La linea di separazione
tra i due ambiti risiede nel fenomeno detto metabolismo, cio
nella capacit delle proteine, formatesi dagli aminoacidi, di
automantenersi in maniera atti!a e di acquisire
conseguentemente un vago senso di identit. I minerali e
lacqua che vi scorre sopra e li erode sono passivi. Lacqua
semplicemente discioglie i costituenti inorganici dei minerali. Al
confronto, anche la pi semplice delle amebe intensa mente
attiva. Essa quello che in quanto mantiene un equilibrio
dinamico tra i processi costruttivi e distrutti vi che ne determinano
lesistenza. Non ha un rapporto solo passivo con lambiente: un
s incipiente, un essere identificabile, impegnata
immanentemente nel la difesa di tale identit. Manifesta un certo
senso di auto-orientamento che gi una forma embrionale di
quella volont, intenzionalit, che si ritrova via via pi sviluppata
nelle forme di vita degli stadi successivi dellevoluzione.
Lulteriore differenziazione di organismi unicellulari come
lameba in organismi pluricellulari come le spu gne, fino ad esseri
complessi come i mammiferi, compor ta una sempre maggiore
specializzazione degli organi e dei gruppi di organi. Ad un certo
punto del processo assistiamo alla formazione di fasci di nervi,
sistemi nervosi automatici, strati cerebrali, ed infine esseri
coscienti di s, nel corso di un lungo processo evolutivo che altro
non se non la testimonianza di una tendenza insita nella natura
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stessa, che parte dalla capacit degli atomi di interagire formando
molecole complesse, ami noacidi e proteine. La vita acquista una
maggiore flessi bilit con lo sviluppo di forme di vita a sangue
caldo, pi adattabili a climi diversi. Le specie interferiscono le une
con le altre e con lambiente nel quale vivono, dando origine ad
ecosistemi sempre pi diversificati, molti dei quali aprono nuove
vie allevoluzione e allo sviluppo della coscienza soggettiva, la
quale a sua volta comincia a scegliere, sia pur a livello
elementare, nuovi percorsi evolutivi. La vita, a tali livelli di
complessit, comincia a svolgere nella sua stessa evoluzione un
ruolo che va facendosi sempre pi attivo. Non un oggetto del
tutto passivo della selezione naturale: partecipa allevolu zione,
sicch la terminologia dei tempi di Darwin deve essere modificata
in quella di evoluzione partecipati va.
Se passiamo in rassegna i diversi aspetti di questo processo
evolutivo, nel quale le varie forme di vita riproducono nel proprio
sviluppo manifestazioni degli sviluppi precedenti (reti di nervi che
ricoprono la pelle, gangli nervosi che formano il midollo spinale e
simili), risulta rafforzata lipotesi di una tendenza da parte della
natura a dirigere la sua stessa evoluzione, un impulso verso uno
sviluppo cosciente nel quale la pre senza di scelte, per quanto
limitate, rivela che levolu zione biotica contiene in s i germi della
libert. Parlare della natura come del regno della necessit
significa trascurare la fecondit, la spinta alla diversificazione, la
capacit sia pur rudimentale di soggettivit, identit, scelta e
volont, in breve significa trascurare la poten ziale attitudine alla
libert che si realizza nella compar sa della vita intesa come base
della coscienza e dellau todeterminazione. Nella specie umana
tale tendenza trova la sua piena attualizzazione, almeno
nellambito della vita sociale e deHorientamento razionale degli
affari umani. Lumanit la voce potenziale della natu ra che si fa
cosciente di s e si autodetermina.
E cos possibile parlare della natura pre-umana come di una
natura prima in cui il senso di s, la coscienza e le basi della
libert sono ancora troppo rudimentali per poter funzionare in
senso attivamente autodiretti vo. Incontriamo gi molte
approssimazioni di coscienza, specie tra i primati, ma solo con la
comparsa degli esseri umani che le potenzialit presenti
acquistano una dimensione sociale, generando la seconda
natura che tende alla sua propria realizzazione: un prodotto
dellevoluzione dotato di intelligenza, di straordinarie doti di
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comunicazione, di associazione consapevole, nonch di capacit di
cambiare deliberatamente se stes so e il mondo che lo circonda.
Negare questi straordinari attributi umani, che si manifestano
nella vita di tutti i giorni, affondarli in concezioni come quella di
una de mocrazia biocentrica che vorrebbe umani e molluschi
uguali quanto a valore intrinseco (quale che possa essere)
semplicemente folle.
Inoltre, lapproccio biocentrico persegue significati vamente lo
scopo di sminuire quello che il tratto pi caratteristico
dellumanit, la sua capacit di atti!it !olontaria. Si vuol negare il
potere dellumanit di cambiare il mondo, cio in gran parte di
cambiare se stessa, disarmandola con un appello mortificante alla
passivit e alla recettivit. Udiamo richiami quietistici che
provengono dal Taoismo o dalle filosofie occidentali dellessere,
dalle visioni statiche di Parmenide a quel le di Martin Heidegger, di
cui non sarebbe difficile dimo strare la conformit agli ideali del
partito nazista, cui Heidegger ha aderito per pi di un decennio.
I grandi pensatori rivoluzionari, da Owen, Fourier, Bakunin,
Marx fino ai giorni nostri, hanno invece posto sempre laccento
sullintervento atti!o che lumanit deve espletare nel mondo. E
questi principi stanno alla base dei progetto rivoluzionario e degli
ideali di libert. Lemergere in seno al movimento ecologista di
varie correnti che predicano la necessit di un rapporto passi vo
tra umanit e natura, cio di una totale sottomissio ne di quella
alle leggi di questa, dove leventualit di carestie accettata
come strumento di controllo della popolazione, pu guadagnare
allecologia una reputa zione anche peggiore di quella di cui gode
leconomia. Se leconomia si fatta il nome di scienza triste,
lecolo gia, in questa sua accezione reazionaria, pu ben meri tare
quello di scienza crudele.
Come ho gi avuto occasione di notare, lumanit non ancora
completamente umana. Stante la natura com petitiva, divisa e
insensibile dellattuale societ, ha ancora molta strada da
percorrere per arrivare a realiz zare appieno le sue potenzialit di
ragione, amore e comprensione. Cionondimeno, tali potenzialit si
espri mono in mille modi che non hanno uguali presso le altre
forme di vita, e la loro completa attualizzazione dipende da
fondamentali trasformazioni sociali che devono anco ra compiersi.
Il pi odioso misfatto di certi ecologisti la facilit con cui hanno
tolto la considerazione della condi zione sociale umana dal novero
dei propri interessi. Questa abitudine di trattare le persone come
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una spe cie rende tutti gli esseri umani ugualmente complici
non solo della propria degradazione ad opera di elite, classi e
Stati, ma anche della degradazione della natura ad opera di una
societ che deve crescere o morire.
Se ci poniamo nella prospettiva di ci che lumanit pu> essere,
vediamo emergere un rapporto tra gli esseri umani, e tra questi e
la natura, che trascende sia la prima natura primitiva che la
seconda natura socia le, per aprire la via ad una natura libera
radicalmente nuova, dove unumanit emancipata sar la voce, le
spressione, di unevoluzione naturale divenuta coscien te di s.
Grazie alla razionalit dellintervento umano, la natura acquister
decisionalit, potere di sviluppare forme di vita pi complesse e
una capacit di autodiffe renziarsi che in precedenza stata solo
parziale.
Sorge a questo punto il problema, di grande portata, di definire
unetica ecologica. Lintervento umano nel mondo naturale non
una perversa aberrazione evolu tiva. Gli esseri umani non possono
rinunciare alla natu ra e alla loro animalit pi di quanto le
lumache possano fare a meno della propria epidermide. Lanimale
umano un prodotto dellevoluzione naturale non solo perch ha
dei caratteri fisici da primate, ma anche perch esprime e
attualizza una radicata tendenza evolutivi verso la coscienza e la
libert. E in ci risiede la base di unetica autenticamente
oggettiva, concepita come una filosofia della potenzialit e
dellattualizzazione, e non come una meccanica relazione di causa
ed effetto, o come lagnosticismo causale di Hume e dei positivisti
moderni che lo seguono.
La realt ; sempre "ormati!a. Non un semplice qui ed ora
che non va al di l di quanto siamo in grado di percepire con gli
occhi o con il naso. Concepita come formativa, la realt sempre
un processo di attualizza zione di potenzialit. Ci che pu> essere
altrettanto reale e oggettivo di ci che in un momento
dato.
Concepita secondo questo concetto di causalit dialettica,
lumanit quindi pi di quanto oggi; anche ci che pu
essere, ci che forse sar, domani o tra cento anni. Nella misura
in cui'esiste una tendenza, una potenzialit, verso la libert e la
coscienza, la libert e la coscienza non sono meno reali (o
attuali, nella pi precisa terminologia hegeliana) nella societ di
quanto siano potenziali nella natura.
Ci che fa dellanimale umano un prodotto della natura ,
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oltre alla voce che egli fornisce alla natura stessa, anche il fatto
di poter intervenire in questa proprio come un suo prodotto,
cffie quafcosa che si organizzato attraverso millenni di
sviluppo organico s da poter fare quanto gli permette il posto
che ha nel mondo naturale.. Laspetto negativo della condizione
umana non il fatto di intervenire nella natura e di modificarla,
quanto piuttosto di intervenire attivamente per distruggerla, a
causa dellevoluzione distorta subita dalla societ. Rea gire
irriflessivamente di fronte a tale distorsione socia le, postulando
una minimizzazione dellintervento umano in natura o
addirittura una sua abolizione, come sostengono molti
ecologisti, un atteggiamento infanti le, come prendere
furiosamente a calci la sedia in cui siamo inciampati.
Il messaggio dellecologia sociale non solo il messag gio di
una societ senza gerarchia e atteggiamenti ge rarchici. E' anche
il messaggio di unetica che attribuisce alla specie umana in seno
alla natura il compito di rendere levoluzione (sociale e naturale)
pienamente consapevole e il pi possibile libera, attraverso la
capa cit di far coincidere nel modo pi razionale possibile le
necessit umane e non umane. Non sto predicando una sorta di
ingegneria del mondo naturale, una sua rico struzione
artificiale. Come ho detto pi volte in altri scritti, il mondo
naturale troppo complesso per essere controllato dall'ingegno
umano, dalla scienza, dalla tecnologia. Le mie propensioni
anarchiche mi portano ad apprezzare di pi la spontaneit, nel
comportamen to umano come nello sviluppo della natura.
Limmagi nazione ha un posto importante accanto alla ragione.
Lintuizione, il senso estetico, la meraviglia, apparten gono agli
esseri umani tanto quanto lintelletto. Levolu zione naturale non
pu disconoscere la propria sponta neit, fecondit, complessit e
capricciosit, pi di quan to non possa farlo levoluzione sociale.
Ma non possiamo nemmeno disconoscere il ruolo del la
razionalit nella vita, dimenticando che essa un prodotto
dellevoluzione naturale, oltre che dello svilup po umano. Siamo a
un bivio: o arrenderci ad un irrazio nalismo idiota, che mistifica
levoluzione sociale attra verso miti, divinit e atteggiamenti
particolaristici nel nome di questo o quel sesso o di elite
misteriose (renden do levoluzione sociale muta e cieca, con
lugubri effetti per la vita tanto umana quanto non umana) oppure
ridare un senso allattivit umana, oggi contestata, e trasformare
il mondo nel regno sempre pi grande della libert e della
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razionalit. Ci comporta una nuova forma di razionalit, una
nuova tecnologia, una nuova scienza, una nuova sensibilit e,
soprattutto, una socie t veramente libertaria.
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