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Autore : Roberto Esposito

Titolo : Terza persona. Politica della vita e filosofia dellImpersonale.


Editore: Einaudi
Anno: 2007
Costo: euro 17,00

Recensione di Anna Barracco


Il presupposto di fondo che Governa lintera macchina delle scienze umane la necessit che ogni
linguaggio disciplinare possa progredire e acquisire complessit soltanto oltrepassando i suoi
confini originari per cercare fuori di s gli strumenti in grado di convalidare i propri statuti
epistemici
(R. Esposito, pag. 37)


Una delle tante realt che salta agli occhi rispetto alla molteplice complessit della societ attuale,
che aumentano e fioriscono le dichiarazioni di intenti, le carte dei diritti che proclamano la necessit
ineluttabile di estendere alle moltitudini di diseredati i diritti fondamentali, radicandoli nel
concetto di inalienabile diritto dellessere umano ,in quanto tale, a vedersi garantito laccesso al
cibo, alla sicurezza, alla libert di scelta, allistruzione.
Tuttavia, a questa moltiplicazione di carte e alla sempre pi unanime e politicamente trasversale
convergenza su questi presupposti, corrisponde limpressionante realt per cui aumentano
esponenzialmente le masse dei diseredati, degli esclusi, lo sfruttamento infantile, il commercio degli
organi, e con esso, il disorientamento delle scienze sociali, non pi in grado, con gli strumenti
tramandati dalla tradizione sociologica, antropologica, giuridica e bioetica, a interpretare e
soprattutto a indicare direzioni di cambiamento.

Lestensione sempre maggiore del concetto di diritto, che passa dal concetto di cittadino o suddito
(con ci volendo intendere lappartenenza, linclusione ad un insieme delimitato, geografico, per
esempio), al concetto di essere umano in realt non pu compiersi e si dimostra un impossibile
logico, un monstrum nelle categorie giuridiche.

Perch?
Lautore passa in rassegna il diritto romano, cristiano e moderno, mostrando con sorprendente
chiarezza che il concetto di persona non coincide affatto con quello di uomo, inteso come
singolo vivente.
Nellantica Roma, la persona (cio etimologicamente la maschera, il ruolo che ricopre il vivente),
era ben di pi dellhomo, che a sua volta si distingueva dalla res. Ma fra questi tre concetti esiste
in realt una dialettica, sempre reversibile dalluna allaltra dimensione, allinterno del diritto
privato che , in quanto tale, diritto di appropriazione, di uso e di abuso.
Cos solo il pater familias interamente persona, il figlio lo solo in divenire, mentre lo schiavo,
anche se homo, in realt assimilabile alla cosa, ancorch cosa vivente, come lanimale da
allevamento.
Tuttavia esiste una mobilit interna alla societ romana che permette allo schiavo, per volont del
padrone, di divenire libero e dunque di disporre di beni, cos come il diritto del pater familias di
disporre completamente della vita del figlio, conosce alcuni limiti (es, non pu essere uccisa la
figlia primogenita, e il figlio maschio superiore ai tre anni di et), con relative eccezioni (il figlio
anche se superiore ai tre anni, pu essere ucciso se handicappato, e la figlia se adultera).
Quello che interessante, nel meccanismo del diritto romano, e che secondo lautore passa in ogni
idea di diritto, da una parte lineliminabile dialettica fra diritto e privilegio, ovvero ogni diritto
indica una prerogativa, che implica a sua volta linclusione di alcuni soggetti e lesclusione di altri;
e dallaltra una dialettica complessa, fatta di eccezioni e di passaggi anche intermedi, che segnano
un continuum fra persona, uomo e cosa. La persona chi titolare integralmente di diritti, che pu
disporre del suo corpo e dei suoi beni (compresi i figli e gli schiavi) nel corso di tutta la vita e anche
post mortem, con la successione. Fra la categoria di persona e quella di Cosa vi sono tutta una
serie di passaggi intermedi, per cui vi lo schiavo, che per compiti pu essere assimilato alla
persona, e possono essergli dati anche temporaneamente responsabilit importanti in ambito
finanziario ,ma che non titolare di alcun diritto, vi sono poi schiavi messi in libert parziale, che
conquistano la possibilit di disporre di beni, ma non di tramandarli, ecc.

Il concetto di persona si tramanda dunque, anche nel corso della successiva riflessione sociologica,
filosofica e giusnaturalistica degli anni che vanno dal Rinascimento a fine 800, come una
dimensione strettamente legata a questa eccedenza rispetto allhomo, al puro vivente, in quanto la
persona colei che titolare di diritti.
Il concetto di persona implica un di pi rispetto allidea di uomo in quanto vivente, perch
implica il possesso del proprio corpo. La persona dunque tale solo in quanto in grado di disporre
del suo corpo animale, di assoggettarlo e di dominarlo.

Laver restituito il diritto alla dimensione universale, per cui ogni uomo , per ci stesso, cio per il
fatto di vivere e di esistere un individuo, non ha affatto risolto il problema, in realt.

Infatti se per la filosofia classica la dimensione personale era un attributo giuridico, sempre
suscettibile di essere perduto, se per la filosofia cristiana il concetto di persona si triplica nella
concezione trinitaria, e mostra lineliminabile relazione fra la componente spirituale, animale e
sociale di cui luomo fatto, se nella concezione moderna e liberale la persona ci che eccede il
vivente nella sua dimensione animale, e lo possiede, e lo governa, si nota molto bene che il filo
rosso che attraversa la riflessione filosofica rimane ancorato allidea che il corpo vivente sia in
quanto tale assimilato alla cosa, nel senso che appartiene a qualcuno, che sia Dio, o il soggetto
stesso, ma sempre in questo sdoppiamento fra lindividuo che possiede e il corpo che posseduto,
vi una cosificazione del vivente.

Il corpo vivente dunque passa indenne oltre venti secoli di storia, e anche grazie alla distinzione
cartesiana, si rimane sempre nel rischio, e nel paradosso, per cui il corpo vivente res extensa,
esattamente come il corpo organismo, il corpo del tavolo anatomico, mentre il soggetto di diritto
solo la parte pensante e volitiva. Lidea che gli individui siano dotati di volont e
autodeterminazione, e che tali funzioni superiori siano estraibili e differenziabili dalla complessit
delle funzioni del corpo, in quanto vivente, anche ci che ha permesso, con il rovesciamento dei
termini, la tanatopolitica del Nazismo.

Lautore infatti, con coraggio e straordinaria chiarezza, recupera gli studi antropologici e di
patologia medica che da Bichat conducono a Gobineau, mostrando come il nazismo non fosse un
fiore emerso dal nulla, ma di come serrata fosse la ricerca sul vivente, di come nella riflessione
filosofica, ben prima di Freud e Lacan (peraltro decisamente assenti nel libro, cosa che alquanto
stupisce), si misurasse con la dualit della dimensione vitale. Da una parte la vita organica,
vegetativa, che mira alla riproduzione e alla sussistenza del singolo organismo, dallaltra la vita
animale, che in relazione con lambiente e che si modifica in relazione ad esso. La lotta continua
fra la parte organica e la parte animale, che si ritrova annodata con lambiente, si risolve infine nella
morte, e nel lasciar posto alle nuove generazioni. Ci che pi interno in contatto con ci che
pi esterno, per esempio il linguaggio, funzione sociale per eccellenza, in gran parte inconscio e
molti studi antropologici, linguistici e di grammatica comparata, lo studiavano come un fenomeno
naturalistico, classificandolo alla stessa stregua delle famiglie vegetali.
In questi studi comparati di razze, abitudini e lingue, il filo conduttore era quello di individuare la
linea di demarcazione fra lanimalit e lumanit, distinguendola dallo sguardo ingenuo, potremmo
dire, per cui alcuni animali domestici, pi vicini alluomo e in grado di condividerne la complessit
relazionale, sono pi vicini in questo continuum di quanto non lo siano i popoli selvaggi.

Dunque allinterno di questo quadro di riferimento, lumanit perfetta idealizzata dal nazismo, si
realizza attraverso il superamento e la riduzione del corpo vivente alla dimensione animale,
considerata imperfetta, in una logica che fa, appunto del vivente, una res vivente, e dunque
allevabile, modificabile, e per ci stesso eliminabile.
Oggi i genitori possono scegliere fra far vivere o sopprimere la loro prole solo nel caso in cui
uneventuale anomalia venga scoperta durante la gravidanza. Non esiste nessun motivo logico per
limitare la facolt decisionale dei genitori solo a questo genere di anomalie (Singer scritti per
una vita etica, cit. in Esposito, pag. 120). Quando il rapporto fra la presunta qualit della vita e il
costo che la loro cura richiederebbe giudicato diseconomico, i familiari stessi potranno decidere di
mettere fine alla vita di un anziano irreversibilmente malato, e perci uscito dal recinto della
persona, o di un bambino difettoso non ancora entratovi. i neonati non sono esseri in grado di
vedere se stessi come esseri pi o meno capaci di avere un futuro, e quindi non possono desiderare
di continuare a vivere. Per lo stesso motivo, se un diritto alla vita si deve basare sulla capacit di
voler continuare a vivere, o sulla capacit di vedere se stessi come soggetti mentali continui, un
neonato non pu avere un diritto alla vita (Singer, ibidem, cit. in Esposito, pag. 121.

Come questi testi destituiscano di senso lidea dei diritti umani come legati allumano in quanto
singolo individuo vivente, fin troppo palese. Ma ci che qui si vuole mettere in luce il valore
attribuito alla macchina decidente della persona. E questa che decide cosa, del vivente, possa
essere confermato e cosa no, in virt della sua superiorit ontologica. Che un bioetico liberale come
Singer senta il bisogno di differenziare la propria concezione della vita degna di essere vissuta da
quella tristemente nota dei manuali eugenetici nazisti, sintomatico, dice Esposito, di una
contiguit avvertita, che gli autori si sforzano di negare con lunico effetto di rafforzarla.
Anche i nazisti affermavano come loro che la non dignit non era definita dalla societ, ma dai
candidati stessi alla soppressione, appunto perch non-persone, sotto-persone, anti-persone.

Chi ha visto con assoluta limpidezza il sopruso sullumano che la concezione tramandata dal diritto
Romano immetteva nelloccidente, stata secondo lautore Simone Weil.

Al di l degli aspetti pi strettamente bioetici e sociologici, consiglio la lettura di questo libro agli
psicoanalisti soprattutto per la terza e pi complessa parte, quella appunto che si riferisce
allapprofondimento del concetto di terza persona ovvero luso del neutro e il suo significato nella
dottrina giuridico-filosofica.

Lanalisi che viene fatta del linguaggio e delle sue strutture dialogiche, limportanza della
dimensione impersonale che rimanda a ci che sacro, e dunque alla dimensione trascendente del
vivente, anche qui, penso, manca dellancoraggio alla psicologia strutturalista che di questo il y a
di questo ca parle ne ha fatto ben qualcosa!

Leggendo il testo di Esposito certamente si comprende anche meglio da cosa Lacan ricavi il suo
interesse per questa dimensione del terzo della parola, nonch tutta lattenzione alla macchina
significante e allo studio del linguaggio come organismo, che esiste indipendentemente dai parlanti,
anche se si modifica grazie ai parlanti.

La dimensione dellinconscio, nella sua accezione pi complessa e strutturale, appunto questo ca
parle questa linea di intersezione fra ci che pi fuori del fuori, e ci che la vita organico-
vegetativa, non animale,e dunque non consapevole.

Questo tipo di approccio, la lettura dunque del vivente in quanto individuo vivo che il suo corpo
vivente e non tanto che lo possiede, ci permette di comprendere che lesclusione di questa
dimensione dal dibattito politico, ma anche dalletica medica e dal discorso sulla salute, nonostante
i buoni propositi e la retorica del benessere, si trasforma in quelle scandalose riduzioni della
malattia alla sofferenza del corpo-cosa, e agli interventi sui corpi che sono trattati come allevamenti.
Lintervento sui corpi, e il dubbio si pone, caso mai, quando non chiaro a chi appartenga il
corpo, o parti di esso, come nel caso della vendita o alienazione degli organi.

In ambito psichiatrico pi che mai, la rinuncia alla messa in tensione della dialettica fra persona,
intesa come istanza desiderante e in grado di disporre della parte animale e lanimalit invece
eccedente e debordante nellanti-persona (alla base per es. del concetto di ricovero coatto), si pone
come un paradosso ineludibile. Mai come in psichiatria evidente che la cura ridotta
allallevamento di polli, segregati, nutriti e chimicamente trattati con protocolli standard, porta di
per s alla reificazione della dimensione soggettiva e allespulsione, alla forclusione, direbbe certo
Lacan, del reale del corpo come vivente.


Il diritto, che tende a negare la terza persona e a riavvicinare la maschera al volto, a ridurre cio la
persona come portatrice di diritti allUomo in quanto tale, mostra un impossibile, perch il diritto
nasce da una dimensione conflittuale, diritto privilegio, prerogativa di alcuni verso lesclusione di
altri. Il diritto infatti oggi, come nellantica Roma o in epoca moderna, si scontra con le categorie
continue dellinclusione e dellesclusione; cittadinanza, libera circolazione, che per ci stesso
continuano a indicare gradi successivi della possibilit di accedere alle risorse, che spesso, per
coloro che si trovano spinti ai margini del sistema, possono essere attinte, paradossalmente, solo
con linfrazione della legge, con il crimine. Attraverso il crimine, la non-persona accede allo statuto
di reo, e con ci viene incluso nel sistema degli scambi.

Al diritto dunque, che instaura il concetto di persona, distinguendolo dalla dimensione del vivente,
si oppone la possibilit di guardare alla giustizia, come dimensione terza impersonale.
La giustizia che discende dallamore ma non si riduce ad esso, il principio trascendente che
riguarda la legge come divieto, pi che come privilegio e prerogativa, la dichiarazione degli
obblighi, pi che quella dei diritti. Dietro a questo concetto ben si intravede, ma non citata, la
ricerca del terzo come donatore morto, ossia la dinamica del padre di Totem e Tab, in una
lettura, appunto, linguistico- strutturale non mitico/ antropologica.

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