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27 marzo 1987 - 27 marzo 1997:

dieci anni di miracoli!


na data significativa: dieci anni in un
crescendo di ricordi, di esempi, di
fatti, di preghiere, che non possono
passare sotto silenzio perch hanno aiutato
tutti noi a percepire la figura di P. Giuseppe,
non ricordo passato, ma presenza viva.
U
Presenza forte, limpida, che tocca e
risveglia la nostra fede; presenza che tiene
viva la speranza della "sua" gente a
Kalongo e che riaccende continuamente la
nostra carit, s che diventano nostre le
gioie e le sofferenze dellOspedale e della
Missione, in un continuo condividere, nella
preghiera, le fatiche dei missionari e della
gente, sino a tradurre in concreta
solidariet questa attenzione verso una
realt dAfrica che, ormai, sentiamo come
parte della nostra stessa comunit
parrocchiale.
Dieci anni da ricordare, per non
dimenticare unintera esistenza fatta di
semplicit, donazione, fede genuina. Tale
stata la vita di P. Giuseppe: intrisa di santit
che gi assaporiamo, in attesa che venga
anche da tutta la Chiesa riconosciuta.
E per questo abbiamo voluto, per
loccasione, raccogliere lettere, ricordi,
testimonianze. La forza della sua solida
fede, della sua incrollabile speranza e
dellinstancabile e trasparente carit, in
questi dieci anni
sono state il miracolo pi bello che
abbiamo visto fiorire attorno a noi e sono,
in sintesi, il messaggio forte e provocatorio
di queste pagine, volute in suo ricordo.
Ci auguriamo che questo messaggio
possa diventare per tutti richiamo e invito a
raccogliere la sua preziosa eredit, per
continuare, sul suo esempio, a servire il
fratello che soffre, irradiando attorno a noi il
volto di Dio Amore.
Forse P. Giuseppe non sar molto
entusiasta di tutta questa attenzione nei
suoi confronti. Gli chiediamo scusa: ma -
diciamolo con sincerit - non lo facciamo
per lui, che, nella beatitudine del Paradiso
non abbisogna di nulla!
per noi che facciamo tutto questo:
per non dimenticare, ma soprattutto per
imparare cosa significhi vivere da cristiani,
affinch, nella terra ancora buona di
Ronago - e della Chiesa tutta -, come allora
spunt un fiore cos bello, possa oggi
fiorire, grazie alla rugiada feconda del
ricordo di P. Giuseppe, qualche altro fiore
pronto a farsi prendere per mano dal Dio
Amore al fine di portare ancora nel mondo,
in Africa o altrove, il profumo contagioso del
Vangelo.
DON SERGIO - PARROCO DI RONAGO
2
PRIMA PARTE
LA FIGURA DI PADRE GIUSEPPE
adre Giuseppe Ambrosoli nacque a
Ronago (CO) il 25 luglio 1923.
Terminato il liceo, nel 1942, si
iscrisse alla facolt di medicina e chirurgia
presso lUniversit degli Studi di Milano. La
seconda guerra mondiale lo costrinse ad
interrompere gli studi, ma non gli imped di
dare la sua collaborazione ad ebrei e
perseguitati politici per farli riparare in
Svizzera.
P
Alla fine della guerra riprese gli studi
e nel 1949 si laure a pieni voti.
Desideroso di dedicare tutto se stesso agli
altri, decise di entrare tra i missionari
comboniani. Rinunciando alla prosperosa
industria familiare del Miele Ambrosoli,
invest tutte le sue energie di medico e
sacerdote negli ammalati e nei poveri
africani. Part per lUganda allinizio del
1956. Fu assegnato alla missione di
Kalongo, dove sorse e si svilupp un
ospedale che ancora oggi tra i pi
apprezzati del Paese.
Con grande dedizione fond e
diresse una scuola per ostetriche. I suoi 32
anni di vita missionaria furono caratterizzati
da un grande amore per gli africani.
Nessuno avrebbe mai immaginato che il 7
febbraio 1987, durante la guerra civile,
sarebbe stato forzatamente allontanato
dallospedale di Kalongo e avrebbe
assistito allapparente distruzione del suo
lungo e paziente lavoro.
Provato fisicamente e moralmente
da questi avvenimenti, il 27 marzo 1987 P.
Ambrosoli moriva a Lira, pronunciando una
frase che amava ripetere nei momenti pi
difficili: "Ci che Dio vuole non mai
troppo".
Dal 1994 la sua salma riposa a
Kalongo tra la sua gente.
3
LA FIGURA DI PADRE GIUSEPPE
il segno del passaggio di Dio
adre Giuseppe Ambrosoli una di
quelle figure di missionario che
hanno lasciato il segno. Il segno del
passaggio di Dio. Tra le tantissime
testimonianze, non ce n una che si
discosti dal riconoscere la genuina santit
di questo nostro confratello.
P
Perfino chi gli e vissuto accanto per 23 anni
di seguito, come capitato al sacerdote e
medico don Palmiro Donini, fermamente
convinto dellesercizio eroico di alcune virt
come la povert, la disponibilit, lo spirito di
servizio, la fortezza, la carit, la purezza,
lobbedienza...da parte di Padre Giuseppe.
Il segreto di tanto successo nelle vie dello
spirito sta sicuramente nella grazia di Dio
prima di tutto, poi nel cuore della mamma,
donna piissima, e nel suo sforzo costante
di migliorarsi. Padre Giuseppe ha vissuto
sul serio il suo sacerdozio e con spirito di
servizio la sua professione. A questo
proposito, riporto la testimonianza di Mons.
Renato Corti, vicario generale della diocesi
di Milano.
Il Cristo di P. Ambrosoli.
"Dobbiamo riconoscere che tutta
lesistenza di padre Giuseppe stata un
possibile segno di un Altro, di Dio-Amore.
La vocazione e la missione della Chiesa
consistono in questo: svelare il volto di Dio-
amore. Le modalit fondamentali di questa
operazione sono lincarnazione, la vita
pubblica, la passione e la morte di Cristo. Il
Verbo di Dio ci salva incarnandosi,
facendosi uomo, abitando tra di noi,
avvicinandosi a noi. E cosi svela il Dio-
Amore. Padre Ambrosoli ha cominciato la
sua missione ancora prima di andare in
Africa, quando ha cominciato a capire il
cristianesimo e quando ha cominciato a
desiderare di mettersi a disposizione del
Vangelo.
I tanti anni trascorsi da Padre Ambrosoli in
Africa stanno ad indicare quella importante
modalit della missione-che lo rende simile
a Ges nella vita pubblica. decisivo
riconoscere che Cristo vive la missione
nella passione e nella morte. Anche per
Padre Ambrosoli la missione raggiunge il
culmine quando gli e domandato di
sacrificare tutto. La distruzione
dellospedale non stata, per padre
Ambrosoli, un problema, perch lavorava
solo per Dio e per la sua gente. Il suo
atteggiamento nei confronti di Dio stato
espresso con le parole: Quello che Dio
vuole non mai troppo.
Se si aggiunge poi il riferimento al Comboni
e al suo senso della croce, ai martiri
dUganda di cui si era appena celebrato il
primo centenario, siamo in pieno
nellespressione pi viva della
testimonianza.
Padre Giuseppe e una testimonianza, un
sentiero percorso, una dimostrazione che
le Beatitudini sono possibili, tanto vero
che egli le ha vissute.
Vorrei dire ai giovani di non guardarsi allo
specchio facendo di se stessi la misura, ma
di specchiarsi in coloro che probabilmente
hanno fatto un po di strada pi lunga o
sono andati pi a fondo nel Vangelo per
comprendere in quale maniera, come e
dove Dio chiama."
da un articolo di PADRE LORENZO GAIGA
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PRIMA PARTE
27 marzo 1987.
l 2 aprile 1987, alcuni giorni dopo la
morte di Padre Giuseppe, Suor
Caterina Marchetti scriveva: I
"Penso che siate gi stati informati della
morte di P. Ambrosoli, avvenuta dopo gli
eventi dolorosi dei quali pensiamo lui stesso
vi abbia fatto sapere. So che lui vi scriveva e
voi gi conoscete la sua bont, il suo calore
umano e la donazione e disponibilit
completa per aiutare qualsiasi che si fosse
presentato a lui. Sento il desiderio di
salutarvi con la sua ultima preghiera, detta
un minuto prima di morire: "Signore, sia
fatta la Tua volont".
Ecco la vita di padre Giuseppe in questa
preghiera. La sua morte ci ha lasciati
sconvolti e in un profondo dolore, non ho
parole per descrivere la sua intensit. Il
lasciare Kalongo in quel modo stato molto
doloroso, ma la perdita di padre Giuseppe
stata qualcosa di indescrivibile. In una sua
ultima lettera del 25.3.87 diceva:
"Mi sono ammalato all'improvviso ed una
nefrite peggiore di quella dell'82. Sono
addoloratissimo di non poter venire ad
Angal a darvi una mano nella parte
organizzativa. Devo partire per l'Italia e
non so se mi lasceranno tornare. Da questo
letto prego anche per voi e spero possiate
andare avanti abbastanza bene; il Signore
non mancher di assistervi nelle vostre
difficolt e pregate anche per me".
La partenza di padre Giuseppe non stata
per l'Italia, ma per il Paradiso. Credo che
padre Giuseppe abbia fatto la morte che
desiderava e secondo la sua santit: distrutta
l'opera da lui creata, via da casa, senza
nessun dottore presente e con un dolore
fisico in tutte le membra. Ma il seme
dell'Amore, Bont e Perdono da lui
seminato fiorir nel cuore del popolo
Acholi, il quale non dimenticher mai
Brugioli (Ambrosoli) cos con affetto lo
chiamavano. Non vedete in questo un po' di
Ges sulla croce, un po' di Comboni nostro
fondatore?
Vicino a lui ci sono state sempre le sorelle
di Kalongo, Sr. Romilde sua infermiera, Sr.
Annamaria e Sr. Silveria da lui conosciute e
amate, con le quali aveva speso anni di
attivit ospedaliera, partecipando le gioie e i
dolori che tale opera richiedeva con il
passare degli anni.
Vicino a lui c'erano pure i confratelli e le
consorelle della comunit di Lira.
Nonostante il suo dolore, continuava a far
coraggio a tutti. morto il 27.3.87, venerd,
alle ore 13.55. Un quarto d'ora dopo
arrivava l'elicottero per portarlo
d'emergenza a Gulu. Ma il Signore stato
pi svelto. L'assenza di un dottore al suo
capezzale stata dovuta all'insicurezza della
strada, dato lo stato di guerriglia del
distretto dove si trovava. stato seguito via
radio dal dottor Luciano Tacconi e dal dottor
Corti, mentre suor Romilde eseguiva la
terapia come dettata. Il 28 marzo in tutte le
missioni stata celebrata una S. Messa e si
pregato per lui.
Chi non conosceva Padre Ambrosoli? Una
folla immensa lo accompagnava alla sua
ultima dimora; "un vero trionfo per
Giuseppe" disse Fr. Tarcisio. stato sepolto
nel cimitero di Ngeta Lira alle ore 15.30, il
28 marzo.
Le ragazze studenti qui ad Angal, nel sapere
della morte, sono scoppiate in grida di
5
LA FIGURA DI PADRE GIUSEPPE
lamento, attirando l'attenzione della gente di
Angal che si chiesta cosa stava succedendo,
certamente qualche cosa di molto doloroso
per tutti noi. Sembra che padre Giuseppe
abbia vissuto, dopo la grande tragedia della
distruzione di Kalongo, tanto tempo quanto
stato sufficiente per trapiantare l'unico
germoglio rimasto della pianta di Kalongo ad
Angal. Questo germoglio la scuola
ostetriche. In questa scuola rimane viva
l'opera di padre Giuseppe e un giorno sar
ripiantata a Kalongo da dove stata sradicata.
Siamo qui da un mese e oggi sono arrivati i
due camion da Lira, ma senza padre
Ambrosoli.
Potete immaginare il rinnovarsi del dolore.
Noi continuiamo a sistemare i vari locali e ci
rendiamo conto che i bisogni sono molti.
Abbiamo il minimo indispensabile per portare
avanti l'opera, sicure che la provvidenza ci
aiuter e padre Giuseppe ci assister,
sentiamo la sua presenza viva in mezzo a noi.
Dopo aver messo in funzione l'ambiente,
pensiamo di prendere un gruppo di nuove
allieve, perch la scuola non muoia, ma
continui, come era desiderio di padre
Giuseppe.
Preghiamo per padre Giuseppe e ricordiamoci
a vicenda presso Ges, nostra forza; offriamo
tutti insieme questo nostro grande dolore
perch unito a quello di Ges crocifisso
redima e salvi tante anime e doni la pace a
questa terra.
SUOR CATERINA MARCHETTI
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PRIMA PARTE
il ritorno al suo ospedale: Kalongo
"Seppellitemi fra la gente che ho amato e
per cui ho lavorato tutta la mia vita"
Domenica, 10 aprile 1994
in dal mattino presto, Kalongo pronta
ad accogliere tutti. Fra poco dovrebbero
arrivare il vescovo di Gulu, Mons.
Martino Luluga, e il Nunzio Apostolico. Mentre
aspettiamo, padre Pazzaglia ci offre ulteriori
testimonianze sull'attivit dell'ospedale di
Kalongo, ma soprattutto sullo spirito evangelico
con cui padre Giuseppe ne ha portato avanti
l'attivit, insieme a tutti i suoi collaboratori,
promuovendo lo spirito di accoglienza e di
amore verso ciascun malato, creando obiettivi
di lavoro e di promozione umana e
professionale anche per la gente di qui.
F
Atterra il piccolo aereo con a bordo il Nunzio e
il Vescovo. Si fa subito loro incontro padre
Egidio e li accoglie a nome di tutta la comunit.
Di l a poco arriveranno anche l'ambasciatore, le
autorit militari, quelle politiche e governative,
tra cui la signora Betty Begombe, ministro in
carica per questa zona.
Come osserva giustamente suor Caterina, dalla
terra e dal cielo si sono mossi tutti per lui. E
tutti convergono verso il grande prato antistante
la chiesa, dove la bara stata posta. Le fa
corona una folla immensa di gente: le due ali,
riparate da una lunga tettoia di paglia, sono
riservate agli ospiti e alle delegazioni
rappresentative dei vari gruppi, compresi quelli
che animeranno la S. Messa, mentre tutto il
resto dello spazio pieno di gente semplice
(cattolici, protestanti, musulmani) che per ben
quattro ore se ne sta l, sotto il sole. Grappoli di
bambini, per poter vedere, se ne stanno
immobili sui rami degli alberi.
Comincia la S. Messa, concelebrata all'aperto
dal Vescovo, dal Nunzio e da tutti i Sacerdoti
presenti, compreso il nostro parroco, don
Sergio.
All'omelia, il Vescovo: "La liturgia che
celebriamo oggi una liturgia pasquale: Ges
non pi fra i morti, ma vive! Vogliamo perci
seppellire padre Ambrosoli con il pensiero di
Cristo Risorto. Padre Giuseppe stato
battezzato, andato a scuola, ha studiato.
diventato medico per guarire i corpi, sacerdote
per salvare le anime. Voi, anziani di Kalongo,
sapete meglio di me quello che lui ha fatto per
voi. Il suo lavoro, il suo servizio sono
conosciuti in ogni parte d'Uganda e anche fuori
dallUganda. Le capacit che aveva ricevuto dal
Signore le ha messe a servizio di tutti, dei pi
poveri, dei pi sofferenti. E l'ha fatto con
grande umilt, senza orgoglio. Le ha
semplicemente donate. Dobbiamo ringraziare il
Signore per questo dono grandissimo che ci ha
fatto. Un dono per noi, per la Diocesi, per
l'Uganda intera. Un dono che ci ha aiutato in
modo cos meraviglioso. Voi, gente di Kalongo,
dovete esserne i testimoni. Ringrazio i suoi
genitori, ringrazio Ronago - la gente e la
parrocchia - che ha mandato il suo parroco, qui,
oggi. Il loro figlio venuto in mezzo a noi e qui
ha trovato la sua casa. Noi non lo
dimenticheremo mai e vogliamo che rimanga
qui, in mezzo a noi. Qui risorger nell'ultimo
giorno. Ringrazio i Comboniani perch hanno
fatto s che padre Giuseppe venisse qui. Il
lavoro che lui ha cominciato non deve fermarsi,
ma preghiamo affinch continui e vada avanti,
non soltanto qui a Kalongo, ma in tutta la
Diocesi. Ringrazio il Papa, per la testimonianza
7
LA FIGURA DI PADRE GIUSEPPE
attraverso la presenza del Nunzio. Non
pensate che sia davvero una cosa grande?
Il suo testimone qui, per questo evento!
Questo significa l'amore che il Papa ha per
voi. Preghiamo per il Papa, preghiamo per
l'Africa, perch Dio susciti tanta fede, la
stessa fede con cui padre Ambrosoli
venuto fra noi. Ringrazio padre Tocalli per
essere qui a continuare l'opera di padre
Giuseppe. Possa il suo lavoro portare tanti
frutti, ma noi dobbiamo togliere le spine
dal nostro campo, dobbiamo arare e
preparare perch la semina trovi il terreno
giusto".
La S. Messa continua. Dopo la Comunione,
un gruppo di donne da inizio alla
tradizionale danza funebre acioli, la danza
che viene tributata ai grandi, ai re. In
tantissimi si uniscono al gruppo di donne,
manifestando cos, nella pienezza e nel
calore delle loro tradizioni, il proprio
omaggio a padre Ambrosoli. Il corteo si
avvia verso il cimitero. Per il primo tratto
abbiamo avuto l'onore di portare sulle spalle
le spoglie mortali di padre Giuseppe. Mai
avrei immaginato di poter avere questa
grazia e questo onore. Impossibile
descrivere l'emozione di quel momento. Poi
il feretro portato dai sacerdoti africani ed
europei insieme. Al cimitero, tutti si sono
stretti attorno alla tomba. Avevo portato da
casa una manciata di terra, simbolo e
presenza di tutto Ronago, dei suoi familiari,
di tutti quelli che l'hanno conosciuto e
amato. Padre Ambrogio ha spiegato in
lingua acholi questo gesto, mentre la terra di
Ronago scendeva accanto a padre Giuseppe.
Un gesto che mi stato suggerito dal cuore,
ma che laggi ha assunto un significato
molto pi grande, soprattutto agli occhi
della gente semplice.
La bara viene calata nella fossa e un canto
dolcissimo si leva:"Dio faccia riposare la
tua anima per sempre nella pace". Anche
qui, impossibile parlarne.
Una fiumana di gente si poi diretta verso
l'ospedale, dove la statua di padre Giuseppe
stata benedetta. La statua collocata nel
cortile dell'ospedale, davanti alla sala
operatoria e alla maternit, cos che tutti,
ammalati e medici, suore e sacerdoti, allieve
e infermiere lo incontrino nel loro
andirivieni quotidiano: lui guarda a loro,
loro guardano a lui, per trame forza ed
esempio. Ci siamo poi ritrovati tutti sul
sagrato, dove stata pronunciata una serie
di discorsi che hanno messo in luce le
grandi doti umane, cristiane e professionali
di padre Giuseppe. Lui, cos umile e schivo,
stato commemorato dalle diverse autorit
ecclesiastiche e governative; lui che avrebbe
teneramente disapprovato tutti questi onori,
lui che ora appartiene a Dio, a Kalongo, ma
anche alla Chiesa e al mondo intero stato
infine commemorato anche da noi, che
abbiamo capito l, fino in fondo, il
messaggio e l'eredit di questo nostro
concittadino.
ANNA BALATTI
8
SECONDA PARTE
PADRE GIUSEPPE CI PARLA
e lettere che pubblichiamo ci sono
state date spontaneamente dalle
persone di Ronago e dintorni alle
quali padre Giuseppe le aveva scritte.
L
Le lettere di padre Giuseppe sono
belle.
Tra le righe balzano fuori tutte le
sue doti: concretezza e precisione,
semplicit, dedizione ai suoi impegni,
gratitudine verso tutti, anche per le piccole
cose, e soprattutto amore a Dio e fiducia in
Lui, docilit alla sua volont cos da essere
sempre aperto alla speranza e pieno di
amore e attenzione per ogni persona.
Seguono alcune circolari, cio quei
resoconti periodici che padre Giuseppe
ciclostilava e mandava a tutti gli amici
sostenitori dell'ospedale di Kalongo.
Questi documenti riguardano gli
anni dal 1969 fino al 1987, anno
dell'evacuazione di Kalongo e della morte
di padre Giuseppe a Lira.
9
PADRE GIUSEPPE CI PARLA
lettere a Renzo Corti
L'amicizia tra Renzo Corti e Giuseppe
Ambrosoli inizia da ragazzi, si consolida in
giovent nell'Azione Cattolica, continua fino
al 1987 quando, a due mesi di distanza, Dio
chiama entrambi in Paradiso.
Le prime due lettere sono di Giuseppe ancora
studente.
Milano, 11 febbraio '43
arissimo Renzo, vengo oggi a te con
questo mio scritto dopo un po' di
tempo che non ti scrivo. Finalmente
l'altra domenica a Ronago ho visto tuo
padre di ritorno dalla Germania e sono stato
molto contento di starci un po' assieme e
udire le ultime novit dell'estero.
C
Penso con piacere che ora che arrivato tuo
padre presto vedremo anche te a Ronago,
perch spero che una licenza, anche se
breve, non te la negheranno. Avremo cos
modo di stare un po' assieme. Caro Renzo,
devi perdonarmi se per l'avvenire non potr
scriverti molto e qualche volta mi limiter a
semplici cartoline, perch ora devo
cominciare a mettermi a studiare seriamente
perch fino ad ora non ho ancora fatto
niente e gli esami si avvicinano con il loro
incubo strano. Io ti ricorder sempre lo
stesso, anzi di pi, al Signore: la mia
migliore possibilit che ho per giovarti.
Ora termino. Ricevi intanto il mio
affettuoso saluto in Cristo.
Giuseppe
Alla fine del '43 Giuseppe, per sfuggire ai
tedeschi che sospettavano il suo aiuto agli
ebrei, si rifugia in Svizzera e viene mandato
dalle autorit elvetiche in un campo vicino a
Zurigo.
Uititron, 27 gennaio '44
arissimo Renzo, alla "Casa d'Italia" a
Lugano ho ricevuto la tua carissima
lettera. Allora ero in un campo, bello, in
Lugano ed ero addetto alla cucina. Ci per
risolvere il problema del vitto, poich era molto
magra, sono riuscito ad andare in cucina. Ed
eravamo l in tre cuochi militari svizzeri (ma
delle nostre parti)...
C
Vi era molto da lavorare, ma mangiavamo in
un modo meraviglioso, come tu neppure ti
immagini. Avevo sempre in mente di
risponderti, ma quasi mi mancava il tempo. Un
giorno mi giunto l'ordine del mio
trasferimento e sono stato mandato qui a pochi
chilometri da Zurigo. Ci ho messo qualche
giorno prima di sistemarmi e poi, quando avrei
dovuto scriverti, ho cominciato ad avere un
grande pensiero. E sai a cosa pensavo?
Calcolavo tutti i pro ed i contro che favorivano
ed ostacolavano il mio ritorno in patria. E ci ho
pensato veramente tanto e finalmente sono
venuto nella determinazione che il mio ritorno
necessario. Cos ho fatto gi domanda a Berna
di essere rimpatriato, intanto che pensavo a
queste cose, non mi stato possibile scriverti.
Oggi con grande piacere ho ricevuto la tua
10
SECONDA PARTE
lettere a Renzo Corti
graditissima lettera che dopo un lungo giro
giunta qui. Sono contento che tu stai bene
e felice che abbia potuto vedere i tuoi
genitori. Ti ringrazio delle belle parole che
mi dici, soprattutto del tuo incoraggiamento
spirituale che mi ha fatto tanto bene. Caro
Renzo, proprio vero che nel dolore, nei
momenti di sconforto si sente il valore della
nostra Fede. Quando tutto ci abbandona,
quando tutti i nostri ideali umani e materiali
cadono, quando precipitano tutte le nostre
speranze ed illusioni, quando in conclusione
ci sentiamo soli, soli: allora unica la nostra
fede ci conforta, ci sta vicina facendoci
comprendere che tutto avviene per volont
di Dio, facendoci sentire, anche nel dolore,
tutta la gioia di fare la volont del Padre. Il
primo giorno che sono venuto qui, ho
proprio constatato di persona questa
consolante verit. Siamo giunti con le pi
belle speranze, siamo venuti qui in un
pomeriggio piovoso in un campo che
costituito da baracche sepolte in una pineta
dove non spunta n tramonta il sole, dove vi
una grande umidit. Caro Renzo, mi sono
sentito crollare il morale, venire un grande
nodo alla gola ed allora la mia Fede alta e
forte accanto a me mi ha salvato. Sono
ormai passati quindici giorni ed ora mi
trovo bene, anche se la pineta toglie il sole e
da umidit, non importa. La vita in baracca
non poi del tutto brutta, anzi finisce poi
col piacere. Il tempo vola perch quasi tutto
il giorno ci fanno fare mestieri interni al
campo, come tagliar legna, pulizia, pelar
patate ecc. Solo dopo cena (che alle
cinque e mezza) siamo completamente
liberi. Ma spero quanto prima di poter
tornare a casa. Ti saluter tanto i tuoi cari.
Caro Renzo, prega per me perch ho
bisogno tanta luce divina. Stammi sempre
tanto bene e allegro. Ti lascio
abbracciandoti fraternamente in Cristo.
Fortis in Fide!
Aff. Giuseppe
Giuseppe diventa medico e missionario, Renzo
si sposa, ha la sua famiglia e fa l'elettricista.
L'amicizia continua.
Kalongo, 30 agosto 70
arissimo Renzo, finalmente
arrivata da qualche settimana la
spedizione partita in marzo da
Ronago. In una cassa ho trovato la batteria
per quella lampada che mi avevi regalato. Ti
ringrazio sinceramente. Questa lampada mi
serve per studiare una mezz'ora in media
ogni sera. Il nostro gruppo elettrogeno si
ferma alle 10.20 circa. Avevo sempre usato
una lampada a petrolio, mettendomici il pi
vicino possibile. l'unico tempo che ho per
C
studiare qualche argomento, di solito di
chirurgia o maternit. Quindi ti ringrazio
ancora sinceramente per il regalo. Ti spero
bene con la tua famigliola. Spero anche tua
mamma bene, nonostante il passare degli
anni. Credo che i ricordi pi belli, di
giovent, siano ancora quelli dei nostri
ritrovi, attivit, gite ecc. dell'A.C. (Azione
Cattolica). Cos ogni tanto vi rivedo un po'
tutti. Ti prego di salutarmi un po' tutti i
vecchi amici, specie Evaristo, Egidio,
Bruno, Cechino, Arnoldo ecc. Abbiamo
perso il nostro Don Carlo Porlezza, parroco
di Ronago, morto nel 1966; ndr), per sono
certo che Don Matteo far molto bene e
punter anche in profondit, (salutamelo
tanto). Qui si
11
PADRE GIUSEPPE CI PARLA
va avanti tra tanto lavoro, cos il tempo
vola. Non sappiamo cosa il Buon Dio
riservi per queste missioni. Tutta l'Africa
in fermento (e le infiltrazioni di Pechino e
Mosca sono tremende, puntando
direttamente ai governi). Qui, lontano dai
centri, abbiamo la buona gente che ci segue
e lentamente sta formandosi ad una
tradizione cristiana. Anche a te chiedo un
ricordo nella preghiera.
Salutami tanto tua mamma, moglie e figlio.
Tanti auguri di Bene.
Tuo aff. P. Giuseppe
La corrispondenza continua fino al 1987. In
gennaio Renzo scrive l'ultima lettera all'amico
missionario, ma non ne completa l'indirizzo perch
muore improvvisamente. Padre Giuseppe lo viene
subito a sapere e l11 febbraio, prima dellesodo,
scrive ai familiari.
Kalongo, 11 febbraio '87
ent.ma Sig.ra Corti, Carissima
mamma Giulia e carissimo Carlo,
ho avuto la settimana scorsa,
completamente inattesa, la dolorosa notizia
della morte di Renzo. Ne sono tanto
addolorato..
G
Ieri ho celebrato la S. Messa a suo suffragio
e continuer a pregare per lui e per voi. Ero
legato a Renzo da forte amicizia che risale
ancora ai tempi di quando eravamo ragazzi
e mamma Giulia sa come io ero spesso per
casa, allora quando c'erano anche la zia
Carlotta ed il papa Carlin.
Abbiamo lavorato poi molti anni assieme
nell'Azione Cattolica. Andavamo assieme
alle tre giorni diocesane, alle riunioni, a
Como ecc.
Non ho nessun dubbio che il Signore gli ha
dato la meritata ricompensa. Egli nella
luce e gioia di Dio in attesa dei suoi cari.
A noi di seguire i suoi esempi di fedelt al
dovere e vita cristiana. Prego per lui e
soffro con voi. Spero che sia arrivata la mia
lettera natalizia.
Qui purtroppo la situazione molto
difficile. Siamo in piena guerra civile,
proprio nella nostra zona. Ora per di pi
stiamo facendo i bagagli per l'ordine
militare di spostarci, come ospedale, a Lira.
Ma un guaio enorme. Ma ci mettiamo
nelle mani della Provvidenza e viviamo alla
giornata.
Vi chiedo tanto di pregare per noi. Vi lascio
tutto con l'affetto che avevo e che ho per
Renzo.
Aff. P. Giuseppe
12
SECONDA PARTE
lettere all'Angioletto Merlo
Natale 1972
ille grazie per la lettera del 20
ottobre. Qui tiriamo avanti,
sperando che il Buon Dio ci aiuti
a continuare. E le medicine sono ancora a
Ronago, ma speriamo che arrivino presto.
Cercher di mandare la pelle di pitone.
M
Un carissimo augurio a tutti, anche ai clienti
del Barbiere della mutua!
aff. P. Giuseppe Ambrosoli
L'Angioletto un ronaghese da tredici
anni in Paradiso. Lavorava
all'Ambrosoli e, nel tempo libero, oltre
a fare il barbiere, ordinava e
impacchettava il materiale per i
containers destinati all'ospedale di
Kalongo. P. Giuseppe aveva sempre
una grande attenzione e gratitudine
verso il "barbiere della mutua" o "di
gran classe" come affettuosamente lo
Settembre 1977
(dopo un soggiorno in Italia)
aro Angioletto, per mantenere la
promessa ti mando due righe, le
prime che scrivo da Kalongo. Sono
arrivato qui gioved mattina con ottimo
viaggio. In aereo come essere in corriera
ed al mattino alle 7.40 ero gi sulle rive del
Lago Vittoria, perch la pista dell'aeroporto
proprio in riva al grande lago (grande
come un mare). Questa mattina, come ti
avevo promesso, ho celebrato la S. Messa
per i tuoi cari defunti e anche per quelli
C
della tua Maria. Qui ho trovato il solito
lavoro. Siamo ancora in stagione di piogge
e fa pi fresco che a Ronago. L'altro ieri ho
cominciato subito con un'urgenza chirurgica
con una donna che ha ricevuto una cornata
da un torello. Questa mattina ho fatto in
fretta a fare un taglio cesareo perch avevo
la S. Messa delle 10.30 e sono arrivato in
tempo. Caro Angioletto, grazie per tutto
quello che fai, per le nostre spedizioni,
anche a nome di tutti i nostri malati.
Tanti saluti alla tua Maria, Sandro, figlio.
Tuo aff.mo P. Giuseppe
Nel novembre del '78, insieme agli auguri,
anche l'attenzione per l'amico perch abbia
cura della sua salute:
ingrazia tanto la tua Maria per la
sua gentile lettera del 4 marzo, che
ancora qui sul mio tavolo. R
Grazie mille per il lavoro che hai fatto
anche quest'anno.
Fai per solo quando stai bene e te ne senti
la voglia.
Poi aspetta che venga la primavera, perch
il freddo di quella stanza ti fa male.
13
PADRE GIUSEPPE CI PARLA
Nel 1982 l'Angioletto
gi ammalato.
Quando muore, padre
Giuseppe scrive alla
moglie Maria.
ara Sig.ra Maria, mio fratello
Francesco mi ha mandato la
triste notizia della morte di suo
marito. Poi mi sono ammalato ed la
quarta settimana che sono a letto per
una nefrite. Sto per gi bene e comincio ad
alzarmi un po' nella stanza. Cos l'altro ieri
ho potuto celebrare la S. Messa a suffragio
dell'Angioletto. Prego per lui ed anche per
lei e tutti i loro cari. Il Signore l'aiuti in
questo momento doloroso. Partecipo col
cuore al suo dolore, anche col mio dolore,
per l'amicizia che mi legava a lui e per tutto
il lavoro che aveva fatto per preparare le
spedizioni dei medicinali per Kalongo. Non
C
so nessun particolare della sua morte, ma
spero che non abbia sofferto tanto. Ora lo
deve pensare nella luce di Dio, mentre
aspetta "la mia Maria". Quindi coraggio e
prendiamo tutto dalle mani di Dio.
La prego di estendere a suo figlio e tutti i
suoi cari la mia sincera partecipazione al
suo e loro dolore.
P. Giuseppe Ambrosoli
lettere a due giovani di Ronago
Enrico ed Enrica si sposarono nel
settembre Idei 1973
Kalongo, 6 settembre 73
arissimi, le vostre partecipazioni mi
sono giunte quando non ero pi in
tempo a scrivervi. Cos lo faccio
ora, con pi calma, approfittando di un
sabato pomeriggio. Spero che vi sarete
sposati in questo periodo... Vi sono vicino
spiritualmente, con la mia povera preghiera,
C
certo che il Buon Dio vi aiuter ad andare
avanti sereni e costruttori nella vostra nuova
famiglia. Vogliatevi bene, come "compagni
di viaggio", senza perdere di vista la grande
meta. La Madonna vi accompagni col suo
sguardo materno. Avete da seguire gli
esempi veramente grandi di un vostro Pap
e di una vostra Mamma che vi benedicono
dal Cielo. Siate degni di loro! Vi lascio
entrambi col mio fraterno sincero augurio e
sacerdotale benedizione.
Aff.mo P. Giuseppe
14
SECONDA PARTE
lettere a due giovani di Ronago
Nel 1975 Enrico si laurea in medicina. P.
Giuseppe risponde alla sua lettera,
donandogli tutta la sua esperienza e
indicandogli un cammino di seria
professionalit.
Kalongo Hospital, 27 dicembre 75
arissimo Enrico, ho ricevuto oggi la
tua graditissima lettera e l'ho appena
letta. Ti voglio scrivere subito
intanto che ho un po' di tempo di sabato
sera. Complimenti per avere fatto non solo
la laurea, ma anche l'esame di stato.
Capisco la tua perplessit sulle tue
possibilit e capacit pratiche come medico,
ora che hai appena finito. Anch'io ho avuto
la stessa impressione appena laureato. Poi
per la cosa cambia. Piano piano ci si fa un
po' di pratica e si acquista una certa
disinvoltura. Col farsi un po' l'occhio clinico
e nel rivedere casi simili ad altri visti
precedentemente, ci si sa pi in fretta
inquadrare verso una direzione diagnostica
e terapeutica. Resta sempre un margine di
casi mai visti o di emergenze difficili. In
questi casi, da voi facile mandare il
malato all'ospedale o chiedere il parere di
uno pi anziano. E poi non pensare che gli
altri sappiano tutto. Anzi, quelli che ti
sembrano i pi sicuri sono quelli che poi a
volte cascano in sbaglioni tremendi. Io
credo che dobbiamo andare avanti
riconoscendo i nostri limiti, cercando di
studiare qualcosa tutti i giorni, mettendo
tutta la cura che possiamo per i nostri malati
e pregando lo Spirito Santo che ci illumini
al momento opportuno. Pi che paura, cerca
di essere sereno. Non ti illudere di guarire
tutti i malati, soprattutto "primum non
C
nuocere" e poi avanti con serenit. Se non
facciamo cos, finiamo a farci venire delle
psicosi e poi non siamo pi utili a nessuno.
Io penso che probabilmente tu sei gi
incanalato nel tuo lavoro cio hai gi un
posto dove lavorare, magari come assistente
in ospedale ecc. Se hai una inclinazione
particolare e puoi assecondarla iscrivendoti
a quella specialit ottima cosa, perch
domani chi avr una specialit potr andare
avanti. Altrimenti ti vedrai magari soffiare il
posto da altri magari meno bravi. Non avere
fretta di metterti in proprio, vedendo la
possibilit di un buon guadagno subito. Ti
troveresti subito una buona posizione, ma
poi non la migliori pi e soprattutto non
progredirai pi nella scienza medica perch
ti mancher il tempo di studiare. Mi pare
che mi sono lasciato prendere dalla foga di
dirti qualcosa e ti ho fatto una predica. Non
prenderla come tale, ma solo come consigli
buttati a caso da un tuo fratello maggiore. In
ogni modo, ti auguro di trovare presto la tua
strada e di essere missionario nel tuo lavoro.
Pensando soprattutto prima all'ammalato.
Non riesce a me di fare sempre questo, per
importante che ci tendiamo con un certo
sforzo e che non ci lasciamo prendere in
primo piano dall'aspetto economico. Allora
addio missione medica e ne va di mezzo la
vita di tanti malati. (...)
Ho visto quest'anno un paio di volte suor
Amelia; sta bene e lavora molto. Spero che
presto potr venire anche lei un po' in
vacanza a Ronago.
A te e a tutti di casa il mio pi caro augurio
di bene per l'anno prossimo.
Ti assicuro la mia povera preghiera mentre
alla vostra pure mi raccomando.
Aff.mo P. Giuseppe
15
PADRE GIUSEPPE CI PARLA
lettera alle ragazze di II
^
e III
^
media di Ronago
1978: grazie alla sensibilizzazione di una
mamma catechista, le ragazze di seconda e
terza media scrivono a padre Giuseppe.
Ecco la sua risposta.
Kalongo, 26 dicembre 78
arissime della II e III media, mille
grazie per la vostra lettera del 26.10
e 7.12.78. Il pensiero che voi vi
interessiate dei vostri missionari lontani, mi
commuove. Quindi doppiamente grazie.
Credo che anche suor Amelia sar molto
contenta del vostro interessamento. Noi
siamo a circa 350 Km di distanza e non ci
vediamo mai; saranno forse due o tre anni.
Lei poi lavora in una trib molto pi
arretrata della mia, dove sono ancora agli
inizi di tutto. Qui invece c' gi un po' di
progresso e vi sono persone istruite. Uno
dei nostri ragazzi, che era in scuola media
quando venni io a Kalongo, proprio qui
accanto alla missione, ora professore di
universit a Kampala. Mi chiedete se la
gente ha capito il messaggio portato dai
missionari. Io direi di s. Ma non si pu
pretendere che la religione diventi subito
radicata, come da noi dopo duemila anni.
Ci vuole il passare delle generazioni, il
formarsi di una tradizione. Non pensate che
nei nostri paesi abbia fatto diverso.
Guardate quante superstizioni ci sono
ancora da noi, retaggio del paganesimo
prima di duemila anni fa. Per un fatto
che il messaggio qui stato accolto e
C
continua a spandersi come una macchia
d'olio. In questa zona i cattolici sono tra il
40 e 50%, vi sono pure molti protestanti ed
ancora un buon numero di pagani che a
poco alla volta si decidono per una
religione. Anche il cambiamento della vita
avviene, ma lentamente ed logico che sia
cos. Quello che portiamo noi tutto
contrario alle loro tradizioni. Gli stessi
ammalati, prima di venire all'ospedale,
provano la medicina e i sortilegi dello
stregone. E qui poi molti arrivano
doppiamente ammalati, perch anche
intossicati dalla medicina locale. Quanti
bambini, che guarirebbero con la cura della
malattia originale, muoiono in ospedale per
l'intossicazione avuta dalla medicina locale.
Ma non dobbiamo meravigliarci di nulla ed
aspettare che i cambiamenti progrediscano
poco alla volta. Sarebbe troppo bello e non
lo meriteremmo di cambiare tutto in un
colpo. L'importante andare avanti con
costanza, seminando la buona parola e
facendo il proprio dovere. Non importa se i
frutti altri li raccoglier: questi verranno
senz'altro e tante anime si salveranno. Ecco
perch vi sono tanto grato se voi pregate per
noi, perch i cuori la grazia di Dio che li
cambia e noi siamo solo dei servi inutili
( l'ha detto Ges nel Vangelo). Per ora
chiudo. Vi faccio tanti auguri per il
prossimo anno: che sia un anno di grazia e
di bene per tutti voi. Vi assicuro anche la
mia povera preghiera.
Aff.mo P. Giuseppe Ambrosoli.
16
SECONDA PARTE
lettere ai familiari
Nel 1977 muore la signora Palmira, mamma
di padre Giuseppe. Egli a Kalongo e subito
si unisce ai suoi fratelli e sorelle con tutto il
suo affetto, il suo dolore, la sua fede.
Kalongo, 25 novembre 77
arissimi fratelli e sorelle, ho
ricevuto il telegramma il 17
pomeriggio, proprio quando meno
me lo aspettavo, perch Don Donnini aveva
visto la mamma la settimana prima e mi
aveva detto di averla trovata abbastanza
bene. Cos sono rimasto in un certo qual
modo ancor pi addolorato. Il giorno
seguente, dovevo essere a Gulu e cos dalla
casa Corti ho potuto telefonare a Francesco
e sentire degli ultimi giorni della Mamma.
In un certo senso contento che non abbia
sofferto particolarmente, ma il dolore per la
Mamma sempre un gran dolore, anche se
in et avanzata, e convinti che tutti prima o
C
poi dobbiamo morire. Vi sono molto vicino
spiritualmente in questo periodo. Io prego
per la Mamma, ma la penso nella luce di
Dio assieme al Pap, ad Uli e Nicky, dove
aspettano anche noi per riunire un giorno la
famiglia. Penso anzi che la Mamma ci
protegga dal Cielo e mi gi capitato di
invocarla una sera, al ritorno da Gulu, in
una strada che per le piogge era diventata
un mare di fango. Peccato che anche Sandro
per combinazione sia stato assente in Cile,
cos eravate a casa appena in cinque, ma in
sostanza noi tutti vicini e tutti presenti. La
Mamma era centro di unione di tutti noi.
Ora che non pi a casa, cerchiamo di
sentirci ancora uniti, come sempre nel
comune affetto dei nostri cari Genitori. Pure
lontano, sentitemi molto vicino a voi in
questa triste occasione, che deve servirci
per ad unirci ancora di pi. Vi lascio con
un affettuoso abbraccio.
Vostro aff.mo P. Giuseppe.
Nel maggio 1978, P. Giuseppe invia una lunga
lettera ai suoi familiari. Si legge come si svolgeva
la sua vita in missione: ogni momento vissuto
pienamente e con consapevolezza, cos c' il tempo
per il lavoro e la preghiera, per l'aggiornamento e
la corrispondenza, e "riposo", anche.
Kalongo, 19 maggio 78
a un po' di tempo il lavoro
possibile, mentre nei mesi
precedenti era veramente troppo.
Siamo sempre impegnati, ma si vive.
Adesso poi abbiamo anche il venerd che
D
festa, fissato dal nostro Presidente perch i
musulmani possano avere la loro giornata di
preghiera. C' il vantaggio che al venerd,
pur guardando un po' i malati, abbiamo un
buon tempo libero, per c' l'inconveniente
di dover concentrare tutto il lavoro, specie
la chirurgia, dal marted al gioved ed
arriviamo al gioved sera veramente stanchi.
Siamo l'unico Stato al mondo con due
giorni e mezzo di festa alla settimana. A
met aprile andai a Gulu a prendere la
dott.ssa Calzia di Genova. Cos si presa
subito il reparto di pediatria e noi ci siamo
sentiti un po' sollevati.
17
PADRE GIUSEPPE CI PARLA
Dr. Donnini ora sempre in giro a curare i suoi
malati di lebbra, nei posti pi disparati, dove
visita 50-100 malati sotto una pianta per andare
a rifugiarsi alla sera in qualche missione e poi
ricominciare il giorno dopo. Poi torna a passare
con noi il week-end. Cos si rifa un po'.
Verso il 20 aprile sono andato a Kampala ad un
meeting. Dovevo andare poi a Gulu per gli
annuali esercizi spirituali, mi sono fermato due
giorni ad Aber, ospite del P. Tocalli, medico, di
Morbegno. Cos ho fatto riposo ed ho scritto un
po' di lettere...
Al sabato 29 aprile sono tornato a casa per
riprendere il solito lavoro.
Ora devo terminare, ma vi sono sempre vicino
col pensiero, anche se la corrispondenza
piuttosto povera, da parte mia.
Vi lascio con un caro abbraccio.
Aff.mo P. Giuseppe
Aprile 1986: la situazione nel nord Uganda
difficilissima a causa della guerra.
Padre Giuseppe ne consapevole,
ma nello stesso tempo impegna
tutte le sue forze per la vita,
fa progetti che danno speranza a tutti.
Lira, 13 aprile '86
arissimo Francesco e Tutti, il 4 aprile,
con la macchina che tornava da
Kampala, abbiamo finalmente ricevuto
la posta, dopo ottanta giorni in cui non abbiamo
potuto n ricevere n spedire. Ho cos ricevuto
le tue lettere del 9.1 e 10.3 ed altre lettere da
casa. Mi spiace che voi siate stati in pensiero
per me. Io non ho mai avuto alcun pericolo.
Questo era per gli altri, tutti quelli che in
ospedale non erano della trib Acholi. stata
una guerra sofferta. Abbiamo avuto momenti di
emergenza e forte tensione. Verso la fine siamo
riusciti a mettere sette persone in ospedale col
mitra giorno e notte per difendere i non-acholi e
l'ospedale stesso dai ladri e cos siamo stati pi
C
in pace. Non bastando la guerra, abbiamo
avuto, appena dopo la liberazione, nella zona
terribili incursioni di Karimojong, che hanno
seminato terrore e morte nella popolazione,
rubando animali e tutto ci che trovavano di
rubabile. L'ospedale straripava di gente
rifugiata e ne risultato che tanta gente ha
perso tutto. Nel loro ritorno, i Karimojong sono
passati vicino a Kalongo (luned di Pasqua). I
nuovi soldati hanno ingaggiato battaglia con
loro, sono riusciti a riprendere del bestiame e ne
hanno uccisi parecchi. La gente comincia ora a
tirare un po' il fiato ed a pensare a coltivare, ma
a tanti hanno rubato anche le zappe. Come
vedete, quest'anno c' stato parecchio
movimento. Ora speriamo di avere un po' di
pace. Scrivo da Lira; sono venuto qui per una
settimana per un po' di relax, dopo tanta
tensione. Gioved 18 torno a Kalongo ed
insister che anche altri prendano qualche
giorno di relax, dopo tanta tensione. Da parte
mia, vi sono molto vicino con la preghiera.
Vi lascio con un forte abbraccio.
P. Giuseppe.
18
SECONDA PARTE
lettere a Suor Augusta Della Noce
Suor Augusta era infermiera all'ospedale
Sant'Anna di Como, caposala al settimo
piano. Attualmente a Milano
25 novembre 79
ev. suor Augusta, perdoni se
rispondo solo ora alla sua lettera di
Pasqua (che arriv poi in luglio a
causa della guerra). Le mando la circolare
con le notizie di Kalongo.
R
La prego di farla leggere alle suore ed
infermiere che si interessano a raccogliere
materiale e medicine. Qui intanto andiamo
avanti e speriamo che il Buon Dio ci aiuti a
continuare. Vedo che anche da voi le
difficolt non mancano. Dobbiamo stare
sempre col cuore diritto a Dio e la
possibilit di fare del bene allora c'
sempre. A lei, alla sua superiora, a tutte le
sue consorelle un pensiero riconoscente e
tanti auguri natalizi nella preghiera.
Dev.mo P. Giuseppe Ambrosoli
26 dicembre '81
ev. suor Augusta, non so proprio
come chiedere scusa per tanto
silenzio. da tanti mesi che le
dovevo scrivere... Ho qui ancora la sua
lettera del 15.3.81. Mille grazie per quanto
mi scrive. Sono certo che lei continua a
sacrificarsi per Kalongo. Le garze (quelle
che lei lava e ci impacca) sono
preziosissime e ci servono molto. Non so
se ancora all'ultimo piano, dai pazienti
privati. Spero che il lavoro le dia un po' di
soddisfazione. Io penso che qualunque
lavoro si faccia, se si fa con amore e
dedizione, oltre ad essere meritorio, vi si
trovano sempre delle soddisfazioni. Il
lavoro qui va avanti abbastanza bene. Alle
difficolt ci si abitua. Il cielo ancora
R
pieno di nubi, ma al momento siamo calmi.
Io continuo il mio cammino nello studio e
misera ricerca di avvicinarmi un po' al De
Foucauld. Misera perch lui troppo in
alto ed io sono un povero peccatore. Mi
pare solo di pregare un po' di pi e di
essere pi contento quando c' un piccolo
sacrificio da portare. Lei preghi perch
nonostante il mio tirare indietro, la grazia
di Dio riesca a fare qualcosa in questo
pezzo di sughero. Spero che la sua
comunit vada avanti, soprattutto nello
spirito. Io sono loro vicino con la mia
povera preghiera. Tanti auguri di Buon
Natale e Nuovo Anno. Ges sia sempre
vicino a loro, presente a loro,
continuamente.
Dev.mo P. Giuseppe Ambrosoli
19
PADRE GIUSEPPE ci PARLA
24 febbraio '84
(...) Per Natale ero a letto ammalato.
Poteva venire un'altra nefrite, invece, grazie
a Dio, tutto si risolto per il meglio. Ma
stato ugualmente un Bel Natale, basta che
uno si convinca che fare la volont di Dio,
predicando o stando a letto, esattamente la
stessa cosa. Ora sto di nuovo bene e mi sento
in forma, salvo che vedo che i reni
funzionano poco, perch alla sera, anche
avendo fatto poco, sono parecchio stanco.
Sarei per gi molto contento di poter andare
avanti cos. In questo mese infatti ho tirato
avanti io il reparto chirurgico, perch il
chirurgo veneziano andato ad aiutare un
altro ospedale, dove c'era un solo medico e
che non fa chirurgia. (...) Vi sono tanto
vicino con la mia povera preghiera. Anche
alla vostra raccomando questo ospedale e noi
tutti. Ges ci aiuti ad essere sempre generosi
e a dare a Lui non quello che vogliamo noi,
ma quello che Lui vuoi prenderci.
Dev. P. Giuseppe
20 gennaio '85
ev. suor Augusta, arrivato qui il
signor Cavalieri e con tanto piacere
ho avuto notizie sue, di Como ed
anche dei lettini che sono stati spediti. Mi ha
portato anche il porta aghi per il quale
ringrazio tanto. Cos mi arrivata una
ventata di Como e di casa. Sento che lei ha
fatto tanto e oltre ai letti ha ottenuto i porta
bottiglie flebo ed un piano inclinato per
trazioni gamba, che ci sar prezioso.
Abbiamo cominciato un anno nuovo, "un
R
anno da vivere con un amore nuovo per
Lui". In questo senso le faccio tanti auguri.
Lui ci aiuti a realizzare un anno cos. Quindi
preghiamo insieme per questo scopo. Il
Natale passato calmo e bene. Sto facendo
delle belle sciatalgie. In dicembre una mi
venuta e mi passata in pochi giorni. Ora
tornata e stenta ad andarsene. Almeno cos
c' qualcosa da offrire. Ringrazi la sua
superiora, le Consorelle per il loro aiuto. A
tutte chiedo una preghiera. Ancora grazie di
tutto. La Madonna la benedica.
P. Giuseppe Ambrosoli
Suor Augusta viene trasferita in provincia
di Benevento. Padre Giuseppe, con grande
delicatezza e umanit, vuole sostenerla
in questo nuovo ambiente.
27 novembre '85
ev. suor Augusta, (...) Ho pensato a
lei in questo periodo, perch so che
nella sua nuova "missione". Prego
per lei, perch tutti gli inizi hanno le loro
difficolt. Coraggio per sempre. Se
lavoriamo per il Signore non c' mai nulla di
R
male. Tutto pu servire a gloria sua e bene
nostro. Ricordo con riconoscenza tutto il
bene che ha fatto per Kalongo, cominciando
dall'assistenza che ha avuto per me, da
quando ero suo paziente al Sant'Anna. Anche
lei preghi e faccia pregare per noi, per
l'Uganda, perch qui la situazione tutt'altro
che rosea. Ges le sia vicino e le faccia
sentire la gioia di lavorare solo per Lui.
questo l'augurio che le faccio assieme alla
mia povera preghiera.
Dev.mo P. Giuseppe Ambrosoli
20
SECONDA PARTE
lettere a Suor Augusta Della Noce
In calce alla circolare inviata a tutti gli
amici, nell'anno "il pi difficile in trent'anni
a Kalongo" scrive di suo pugno per
l'ultima volta a suor Augusta:
25 novembre '86
ede quanti guai abbiamo avuto! E non
ne siamo ancora fuori. Chieda anche
alle sue suore di pregare tanto per
noi. A loro tutte auguro ogni bene. Ges
Bambino la benedica.
V
P. Giuseppe Ambrosoli
lettere al GAM
GAM. la sigla del Gruppo Appoggio
Missionario di Ronago, nato nel 1970
proprio per essere vicini, come comunit,
spiritualmente ed economicamente,
ai missionari locali: suor Amelia Ghielmetti
e Padre Giuseppe Ambrosoli.
Kalongo, 18 maggio '82
arissimi del GAM, perdonate se non
vi scrivo mai. So da mio fratello
Francesco che tra la fine dello scorso
anno e l'inizio di quest'anno gli avete versato
150.000 e un milione per Kalongo.
C
Non ho parole per ringraziarvi di questo
grande aiuto. Vi ringrazio anche del pensiero
costante che avete per i vostri missionari.
Veramente siamo pochi, solo due, e c' un
proverbio agricolo che dice che quando il
raccolto misero cattiva anche la qualit.
Questo purtroppo vero nel mio caso. E
spero che Sr. Amelia non me ne avr a male,
perch lei fa l'eccezione, mentre io faccio la
regola. Son certo che andate avanti a trovarvi
ogni tanto per una preghiera per i missionari
e ve ne ringrazio di cuore.
Questa la cosa pi importante. Abbiamo
gran bisogno che il Signore della messe ci
aiuti specialmente in questo periodo.
L'Uganda sta attraversando un periodo
critico di assestamento, un periodo di dopo-
guerra. E tutte le guerre favoriscono le
vendette, la delinquenza, la malavita. La
grande ferita della guerra del '79 stata qui
la coscienza di tutti. una ferita che non si
rimargina da sola e per la quale ci vuole
molto tempo. Quindi voi pregate e questo
sar il pi grande aiuto che potete darci.
Termino assicurandovi che anch'io vi ricordo
nella mia povera preghiera. Vi mando la mia
benedizione, anche se di povero prete.
Vostro aff.mo P. Giuseppe
21
PADRE GIUSEPPE ci PARLA
L'anno seguente, il 1983, padre
Giuseppe a Ronago e, per esaudire
una richiesta, scrive al GAM ci che
ha nel cuore.
arissimi del GAM, sono a casa per
un breve periodo. Dovendo il
ciclostilato del GAM uscire a
giorni, mi hanno chiesto di rivolgervi un
pensiero.
C
Comincio col ringraziarvi per quello che
fate per i vostri missionari, soprattutto per i
vostri incontri di preghiera. Abbiamo tanto
bisogno di aiuto di Dio, pi che di mezzi
materiali.
I missionari che vanno ad annunciare il
Vangelo e piantare la Chiesa, sentono oggi
pi che mai la provvisoriet della loro
permanenza nei paesi in cui lavorano.
Basta una ragione politica, l'adesione ad
una ideologia atea o semplicemente
l'improvviso e irragionevole gesto di un
dittatore per trovarsi a fare le valigie in
poche ore. Questo non riduce n
infiacchisce il lavoro dei missionari, che
anzi proprio per questo sentono il bisogno
di intensificare ed affrettare
l'evangelizzazione e capiscono meglio
l'importanza di lavorare cercando solo la
gloria di Dio, senza attaccarsi a persone,
cose o a posizioni di favore.
Per tutto questo per occorre fortemente la
loro e nostra costante preghiera. Solo Dio,
datore di ogni bene, pu compiere il
miracolo di far continuare e fecondare il
loro apostolato in terra di Missione.
Per la cronaca: a Kalongo in questi ultimi
anni il lavoro andato avanti abbastanza
regolarmente. L'ospedale ha lavorato a
pieno ritmo, la sua zona di influenza e
fiducia si andata estendendo. Nonostante
la crisi economica del paese, grazie a Dio
le medicine essenziali non ci sono mai
mancate. Speriamo che anche l'influenza
spirituale dell'ospedale missionario non
venga mai meno.
Non mancano le quotidiane difficolt ed
acuta la necessit di medici (al momento
solo tre, con 280 posti letto ed un
ambulatorio per esterni molto affollato),
ma si lavora in un clima abbastanza sereno
e di fiducia nell'aiuto di Dio.
Termino ringraziandovi ancora ed
assicurando che quello che fate in
preghiera e opere per i vostri missionari e
le nostre missioni non a fondo perso:
dall'Africa c' un ritorno di grazia a voi, di
rimbalzo, via satellite divino ed eterno, una
restituzione naturale, ma centuplicata,
come fu promesso dal Signore Ges. La
Madonna, Regina Africae, vi benedica!
Vostro P. Giuseppe Ambrosoli
22
SECONDA PARTE
lettera a Don Antonio
Nel 1986, a causa della guerra, la
missione bloccata per quasi tre mesi.
Appena possibile, in aprile scrive ai
familiari, agli amici e al nostro Parroco
di allora, Don Antonio Fraquelli.
Kalongo, 15 aprile '86
arissimo Don Antonio, (...) ora pare
che tutto sia finito, ma c' tanta
sofferenza e miseria intorno a noi.
l'esercito della nostra trib che ha perso.
Prima avevano il comando del paese
(ingiusto!), ora hanno perso tutto. Abbiamo
avuto tanti feriti da curare in questi mesi.
Ora speriamo di riprendere un lavoro
regolare, ma abbiamo tanto bisogno dall'alto
e chiedo a te ed alla parrocchia uno speciale
ricordo nella preghiera.
C
Ho avuto la notizia della morte di Don Carlo
Ghielmetti. Si dovrebbe dire che andato in
Paradiso colle scarpe. Credo che Ronago e
Ponte Chiasso abbiano un nuovo protettore.
Spero che tu sia stato bene in questi primi
mesi dell'anno, periodo di intenso lavoro
pastorale. La Pasqua conclude un periodo
forte. Noi a Pasqua eravamo completamente
"per aria" tra l'occupazione dei nuovi militari
e le incursioni Karimojong. La gente, che era
sbattuta di qua e di l, ha ugualmente
partecipato in massa alla festa religiosa. In
quei giorni, a ondate l'ospedale si riempiva
di gente che veniva a rifugiarsi. Ad ogni
modo siamo vivi e ne ringraziamo il Signore.
Questo dovrebbe farci pensare alla fragilit
della nostra vita e quanto dobbiamo stare
uniti al Signore e lavorare per lui, il che
l'unica cosa che conta!
Con questo pensiero ti lascio fraternamente.
P. Giuseppe Ambrosoli
23
PADRE GIUSEPPE ci PARLA
lettera ad Angelo Bedetti
Angelo Bedetti di Albiolo,
un amico di giovent, del Cenacolo,
catechista in parrocchia.
Kalongo, 2 luglio '85
arissimo Angelo, perdonami se
rispondo solo ora al tuo scritto di
Natale. Mille grazie per il tuo
fraterno pensiero. Mi parli di acciacchi.
Dobbiamo andare avanti dando gloria a
Dio anche con i nostri acciacchi. Io ho i
reni che funzionano poco, dopo la nefrite
di tre anni fa. Riesco per ancora a
lavorare discretamente. Sar nel mese di
settembre a Ronago per fare un po' di
esami sulla funzionalit renale e vedere
quello che mi permetteranno di fare. Spero
anche di vederti. Intanto teniamoci uniti
nella preghiera. Ti prego di salutarmi tanto
Felice e tutti gli altri vecchi amici. La
Madonna benedica te con i tuoi ragazzi di
catechismo.
C
Aff.mo P. Giuseppe
L'anno seguente, pur in mezzo alla
guerra, non perde la speranza nella
Pace che solo Dio pu concedere.
Kalongo, 4 marzo '86
(...) Qui siamo in piena guerra da quasi due
mesi. Il fronte sta venendo dalle nostre
parti, ma qui siamo cos fuori mano che
speriamo non verranno a combattere.
Ad ogni modo, abbiamo tanti soldati feriti
in ospedale. Abbiamo tempi molto duri.
Speriamo che il Buon Dio ci aiuti ad avere
presto la pace. A te e ai tuoi ragazzi chiedo
di pregare per questa povera Uganda
travagliata. Si avvicina la Pasqua. A te,
(anche a Felice e ai vecchi amici) e a tutti i
tuoi ragazzi faccio tanti auguri. Ges
Risorto vi benedica e vi aiuti nella vostra
strada. Con molto affetto, P. Giuseppe
Per la S. Pasqua:
(...) Ieri sono finalmente arrivati i
"liberatori". Ora speriamo nella pace.
24
SECONDA PARTE
lettera a Elisabetta Bernasconi Pastori
Padre Giuseppe le rivolge un pensiero
riconoscente, sempre ricordando quello che
lei ha fatto per lui nel periodo della
malattia, nel 1982 e la mette al corrente di
come va la salute.
Kalongo, 8 settembre '84
arissima Elisabetta, da tempo che
pensavo di scriverle e rispondere
alla sua lettera del 2.12.83. Mi
perdoni il tanto ritardo. Grazie per quello
che mi ha scritto allora. Ma se ha tanto
incenso, non lo usi per me, ma lo porti in
chiesa, a gloria di Dio! (...) Io sono qui
ormai da poco pi di un anno. Sto bene,
senza essere brillante. Posso per fare
meno di una volta. Ogni tanto mi salta
addosso qualche male e devo fare qualche
giorno a letto. Considero per una grande
C
grazia gi il fatto di poter essere qui e
tenere le redini di questo ospedaletto, con
tutti i suoi problemi. Per il mangiare, la
suora della cucina ha molta attenzione per
me. Mi manda 1a minestra senza sale, poi
sempre un po' di patate bollite, a ci
aggiungo io un po' di cipolla cruda per
darci un po' di sapore. Prendo un pezzetto
di carne a mezzogiorno ed un uovo pi o
meno sodo alla sera. Cos le ho detto tutto
il mio men. Grazie della torta che mi
avrebbe volentieri mandato e io la gradisco
come se l'avessi gi ricevuta. Spero anche
Angelo bene. Me lo saluti tanto. Quando
lei si ricorda, le chiedo una preghiera per
me e Kalongo.
Anch'io le assicuro di pregare per lei.
Aff.mo P. Giuseppe
lettera a Serafino
Serafino Cavalieri un falegname di
Prestino.
Questa breve lettera una delle ultime
scritte da Kalongo, occupata gi dai
militari.
arissimi Serafino e Pietro, ho
appena sentito alla radio che
arriverete fra due giorni a Kampala. C
Sono tanto contento di sapervi presto vicini
a Gulu. Quest'anno per non ci potremo
vedere. Noi siamo praticamente bloccati
qui dalla guerriglia. Spero che abbiate
ricevuto la mia lettera natalizia. Se no,
dovreste trovarla da leggere a Lacor. Vi
spero bene, voi e le vostre famiglie.
Teniamoci uniti nella preghiera.
Con affetto.
Vostro P. Giuseppe Ambrosoli
25
PADRE GIUSEPPE ci PARLA
corrispondenze con Suor Matilde
Suor Matilde era assegnata al reparto di
traumatologia. Continua, dopo la partenza
di Suor Augusta, i rapporti con l'ospedale di
Kalongo a nome delle suore e delle
infermiere dell'ospedale di Sant'Anna a
Como.
A lei P. Giuseppe spedisce le circolari con le
notizie di Kalongo nell'86 e 87, e pur
nell'emergenza della guerra aggiunge d suo
pugno ci che pu interessarla, chiedendo
con insistenza di pregare.
25 novembre '86
lla la Madre Superiora e a tutte le
suore. Abbiamo tanto bisogno
delle vostre preghiere. Vi auguro
ogni bene nell'amore di Ges Bambino.
A
20 dicembre 1986
l Dott. Carlo Marino tornato
portandoci la sua gradita lettera. Mille
grazie. Ringrazio in particolare per il
loro aiuto di raccolta.
I
20 dicembre 1986
bbiamo ottenuto ospitalit per la
scuola convitto all'ospedale
missionario di Angal nel nord-
ovest dell'Uganda. Cercheremo di mandare
avanti questa scuola nell'attesa di tornare a
Kalongo! A lei, alla Madre Superiora, a
tutte chiedo di pregare tanto per noi. Con
riconoscenza.
A
P. Giuseppe Ambrosoli
26
SECONDA PARTE
lettere circolari
Ogni anno, per gli auguri di buon Natale,
Giuseppe scriveva una lettera circolare
che mandava a tutti gli amici e sostenitori,
con le notizie riguardanti l'andamento
dell'ospedale, le necessit piccole e grandi
e, negli ultimi anni, la difficile e tragica
situazione politica e militare.
Fa eccezione la lettera circolare del luglio
1980, scritta dopo un periodo di carestia,
che caus nell'Uganda fame e morte.
20 luglio '80
arissimi, sono gi passati dieci
giorni dal mio ritorno a Kalongo.
Penso a tutto quello che avete fatto
per me e vi ringrazio di cuore. Qui c'
molta pi calma, ma non certo il pensiero
di riposarsi, perch c' il lavoro che
incalza. Al momento siamo praticamente in
due medici, ancora per una settimana, poi
saremo almeno in tre.
C
Ho trovato una situazione molto pesante di
fame e di colera. Qui si aspettano i raccolti
fra qualche settimana, e quindi la
situazione si risolver. Ma intanto si
accentuata in modo tragico. Gente sparuta,
che sta in piedi a malapena e che arriva alla
missione chiedendo qualcosa da mangiare.
Quando arrivai, il nostro camion era fermo
per un guasto alla frizione: ma a Kampala
mi avevano dato i pezzi da cambiare (non
nuovi). Cos hanno subito rimesso a posto
il motore e questa settimana il camion ha
fatto tre viaggi a Gulu a prendere farina ed
un po' di olio. Cos oggi si sono potuti
distribuire pi di 100 quintali di farina di
granoturco nella zona dove la fame pi
terribile. Ma abbiamo intorno a noi, nel
giro di 30 km, una popolazione di 30.000
abitanti. A Gulu arrivata tanta farina, ma
non hanno i mezzi di trasporto per
mandarla qui e nelle zone vicine a noi,
perch c' un'area vasta di 100.000 persone
negli Acioli con gran fame. In tutto il
Karamoja poi, muoiono di fame. L
dovrebbero arrivare aiuti per altra via, ma
siamo poco al corrente.
Mercoled scorso sono stato a 30 km da
qua a vedere i bambini e ne ho portati a
casa 35 con la Land Rover. Ma avrei
potuto portarne pi di cento. Le loro coste
potrebbero servire da corde di violino.
Faceva impressione vedere le mamme che
supplicavano di portarli via, perch sanno
che qui diamo loro da mangiare ed in un
po' di tempo ritornano a parvenze umane.
Di questi bambini ne abbiamo portati a
scaglioni 200. Vorremmo cercare di fare
dei turni per riportarli a casa loro in
condizioni di poter resistere ancora qualche
settimana e cos prendiamo gli altri pi
brutti. Certo che una cosa molto penosa.
E vederli con che avidit prendono i primi
pasti di polenta.
Su tutto questo quadro gi triste imperversa
il colera. Qui sono state distribuite in un
paio di giorni circa 200.000 capsule di
tetraciclina, ed il male si quasi fermato,
per poi riprendere con pi calma, ma
inesorabile. Abbiamo adibito un repartino
di 20 letti con una tela cerata sulla rete
metallica ed un lenzuolo sopra l'ammalato.
Li ho visti arrivare con un filo di vita,
disidratati al massimo, con gli occhi
infossati che pare vogliano uscire dietro la
testa. Basta mettere un ago in una vena e
gettare dentro un litro di acqua e sali a gran
velocit, e si vede il polso tornare e la vita
riprendere. Poi, cura con tetraciclina ed in
tre giorni molti sono gi in grado di
lasciare l'ospedale. Su 150 di questi
ricoverati, ne
27
PADRE GIUSEPPE ci PARLA
abbiamo persi tre, morti proprio mentre
entravano, e tre per complicazioni. Ieri una
donna morta lungo la strada e ci hanno
portato il suo bambino di quattro mesi da
tenere qua. Vari casi si sentono di malati
morti nei loro villaggi. Moltissimi malati
arrivano in ospedale per diarrea, che in
questo caso sarebbe una forma frusta di
colera. Le epidemie di colera tendono ad
esaurirsi da sole. Speriamo che il buon Dio
aiuti questa nostra gente ad uscire fuori da
una prova cos pesante.
In verit bisogna dire che le organizzazioni
mondiali stanno lavorando per questa
emergenza.
Il difficile fare arrivare il cibo sul posto.
A Kampala un italiano della CEE mi aveva
assicurato di mandare un camion con 90
quintali di biscotti-gallette, prodotti 15 anni
fa in Olanda, ma ancora buoni. Purtroppo
questo camion non ancora arrivato, ma ci
sar molto utile. Cos pure io penso che
questo il momento per noi di essere il pi
utile possibile a questa nostra gente, cos
provata.
P. Giuseppe Ambrosoli.
Le circolari dell'84 e 85 ci mostrano
i molteplici aspetti della vita dell'ospedale
di Kalongo, a cui P. Giuseppe doveva
pensare
oltre alla cura dei malati:
l'avvicendamento
dei medici, gli apparecchi e il materiale
sanitario, i lavori per l'ampliamento
dell'ospedale,
i rapporti con le autorit e gli organismi
25 novembre '84
ospedale di Kalongo, senza tanto rumore,
ha fatto un altro anno di cammino,
lavorando per queste nostre popolazioni
africane del nord Uganda. Molti hanno trovato
qui la salute, molti sono tornati alle loro capanne
migliorati nella loro malattia, alcuni purtroppo
sono morti in ospedale, nonostante le cure: tutti
per vorremmo che avessero lasciato l'ospedale
con il ricordo della nostra fraterna comprensione
e simpatia e ... amore. questo il lato umano,
tanto importante ovunque, ma soprattutto in un
ospedale missionario. Purtroppo dobbiamo
riconoscere i nostri limiti e le nostre mancanze
anche in questo campo.
L
... In marzo abbiamo ricevuto due containers con
materiale ospedaliero e medicine. Altri due
containers sono arrivati in settembre dopo ben
sei mesi di viaggio e tante difficolt, qui, per lo
sdoganamento. Cos parecchio materiale e
medicine raccolte a casa mia sono gi in uso. Un
altro container in viaggio e ci porta, tra l'altro,
un apparecchio radiologico portatile,
amplificatore di brillanza, che ci stato ceduto
di seconda mano dall'ospedale San Paolo di
Milano. Ci sar di notevole aiuto in sala
operatoria, soprattutto per la chirurgia
ortopedica. Durante quest'anno i lavori per
costruzioni sono andati un po' a rilento. Il reparto
bambini malnutriti gi a buon punto e potr
entrare in funzione a gennaio. Siamo in difficolt
per trovare cemento ed altri materiali di prima
necessit per le costruzioni, impianti idrici, ecc.
Gli impianti elettrici, invece, ci sono stati
completamente rinnovati e messi in ordine dal
signor Mario Mazzoleni di Ardesie (BG), che
venuto qui a lavorare tre volte per un mese e ci
ha procurato molto materiale elettrico.
... Io ringrazio il buon Dio di aver potuto fare
anche quest'anno la mia parte di lavoro, sia pure
ridotta, a causa della insufficienza renale. Cerco
di mantenermi nei giusti limiti, mentre considero
gi una grande grazia il poter essere ancora in
missione e fare qualcosa per questi nostri
ammalati.
A tutti i miei migliori auguri di buon Natale,
assicurandovi della mia preghiera, perch il
Signore benedica voi, le vostre famiglie ed il
vostro lavoro.
Aff.mo P. Giuseppe.
28
SECONDA PARTE
lettere e circolari
25 novembre '85
arissimo Serafino, siamo partiti
all'inizio dell'anno con molti
programmi e molte speranze. Ora
siamo alla fine di questi dodici mesi e
rileviamo una volta ancora come i progetti
umani patiscano il gioco di avvenimenti
imprevedibili. Cos stato per i programmi di
lavoro e sviluppo dell'ospedale di Kalongo.
C
In luglio cominciata l'emergenza politico-
militare che ha portato alla caduta del governo
di Obote. stato un mese di incertezze,
tensioni, impossibilit di muoversi a causa
delle strade pericolose o bloccate. Ci stata di
notevole aiuto la radio interna tra i nostri
ospedali, la Procura dei Comboniani e
l'Ambasciata Italiana di Kampala. Questi
impianti radio sono stati realizzati dal governo
italiano dopo l'esperienza della guerra di
liberazione da Amin del 1979.
In agosto sembrava che tutto potesse
riprendere per il meglio, ma i partigiani che
occupano una buona parte del sud-ovest
dell'Uganda non hanno accettato la nuova
situazione, volendo anche loro avere parte
attiva nel nuovo governo. I primi tentativi di
trattative sono falliti. Ora stanno discutendo,
ma non c' ancora un accordo e non sappiamo
a quali conclusioni approderanno. Abbiamo
cos avuto un periodo di incertezze con alcuni
fatti di guerriglia al sud e un paese
praticamente paralizzato. Sentiamo il dovere di
dare il nostro apporto perch il paese che ci
ospita approdi alla pace; non vediamo
contributo migliore che chiederne l'intervento
al Buon Dio.
Di conseguenza abbiamo avuto un lungo
periodo con mancanza quasi assoluta di malati
che vengono da lontano. Molta chirurgia di
guerra per soldati feriti. Anche il lavoro fuori
dall'ospedale ha subito forti rallentamenti.
Abbiamo potuto fare solo due giri completi di
29
PADRE GIUSEPPE ci PARLA
vaccinazioni invece di tre.
L'assistenza ambulatoriale che prestiamo ad
Alekan (70 km da Kalongo, vicino al Sudan),
zona completamente priva di assistenza
sanitaria, ha subito varie interruzioni.
Nonostante queste difficolt, l'attivit sempre
continuata. Per quella edilizia: degli 11
appartamenti per 20 infermiere qualificate, 5
sono finiti ed abitati; gli altri 6 sono gi in fase
di avanzata costruzione.
Ha dovuto invece segnare il passo la
costruzione del reparto bambini malnutriti. Per
lungo tempo infatti il cemento era introvabile;
alla fine si dovuto ricorrere a quello molto
pi costoso proveniente da 1400 km
(Mombasa, Kenya). Tuttavia questo piccolo
reparto stato realizzato temporaneamente
nella corsia gi adibita al morbillo. Questa,
con 10 lettini, era praticamente chiusa dato che
le vaccinazioni a tappeto nella zona avevano
ridotto quasi a zero l'incidenza della malattia
che in passato era la prima causa di mortalit
infantile. Per quanto riguarda le attrezzature,
abbiamo ricevuto in febbraio due apparecchi
produttori di ossigeno. Ci resta ancora il
problema di poter immagazzinare questo
prezioso gas per usarlo nelle ore (circa 18 al
giorno) in cui non abbiamo la corrente
elettrica. Ci sono grosse difficolt tecniche, ma
spero che ci venga incontro la Vestal Chimica
Italiana di Trieste. arrivato anche
l'apparecchio radiologico con televisore che ha
gi permesso di eseguire con immediato
controllo operazioni ortopediche e riduzioni di
fratture. Da maggio in funzione il secondo
anemometro (misuratore del vento), per
studiare la possibilit di sfruttare questa
energia per corrente elettrica. Occorrono
dodici mesi per una valutazione globale
corretta.
Nel corso dell'anno sono arrivati tre container
con quasi 100 quintali di carico ognuno. Anche
se non tutta merc per Kalongo, sono ogni
volta un forte apporto di materiale, medicine,
ecc. per l'ospedale.
Nei primi quattro mesi dell'anno sono partiti, a
fine del loro contratto, i Dott. Bl, Cosulich e
Squillaci. Sono arrivati per uguale contratto i
Dott. Carlo Marino (ortopedico), Giuliano
Rizzardini e Romano Linguerri con le loro
mogli. I medici invece che sono venuti a dare
un aiuto per un mese circa sono stati pochi a
causa della situazione politica del Paese. Io ho
potuto fare un periodo in Italia, da met agosto
a fine ottobre. Mi sono sottoposto a vari esami
sulla funzionalit renale. Ne risultata una
insufficienza moderata, non peggiorata, che
dovrebbe permettermi di continuare a lavorare,
purch con discrezione. Non sono invece
riuscito a contattare tutte quelle persone che
desideravo e dovevo, perch il tempo mi
sfuggito di mano rapidamente. Ho potuto in
ogni modo risolvere problemi e combinare
acquisti per l'ospedale, trovando anche aiuti
economici da amici e conoscenti.
Gli altri medici, Dott. don Donini, Dott.
Tacconi, Dott. Angelucci; le Suore
Comboniane (di cui una da poco arrivata,
messicana, dentista), le Suore ugandesi ed il
personale infermieristico continuano il loro
lavoro con la dedizione di sempre.
Vorremmo che questo ospedale fosse il centro
dove i malati possano ricuperare salute fisica,
trovare un pensiero cristiano e serenit
spirituale.
Ci sta molto a cuore pure la ripresa morale ed
economica del Paese: ma queste sono imprese
che sfuggono alle nostre possibilit; pertanto
chiediamo la vostra collaborazione di richiesta
al Buon Dio. Anche a nome dei nostri
ammalati e di tutto il personale, ringrazio tutti
coloro che hanno cooperato a raccogliere
materiale ed aiuti per l'ospedale. A tutti
inviamo il nostro pi sincero augurio di buon
Natale: Ges che rinnova la sua venuta in
mezzo a noi, ci faccia accogliere i suoi
desideri di bene e ci aiuti a realizzarli.
Fraternamente, P. Giuseppe.
30
SECONDA PARTE
esodo da Kalongo
20 febbraio '87
stata chiusa la missione di Kalongo dopo
53 anni di lavoro missionario di
evangelizzazione, di promozione umana
a tutti i livelli, in particolare in campo
educativo, sanitario e nella preparazione di
ostetriche qualificate.

Fu questo l'epilogo di lotte politiche e sociali


che hanno travagliato il nord Uganda e tutto il
Paese dal luglio 1985, quando le truppe di Tito
Okello occupavano la capitale. Il suo governo
durava solo sei mesi, fino al 27.1.86, quando
l'esercito di Resistenza Nazionale (N.R.A.) con
a capo Museveni, attuale presidente,
conquistava il potere e dava inizio a questa
nuova pagina della storia d'Uganda.
A Kalongo le truppe N.R.A. arrivarono alla
vigilia di Pasqua 1986, accolte dalla
popolazione con timore e speranza.
Noi continuavamo a mantenerci neutrali e a
garantire aiuto sanitario umano a tutti, secondo
lo spirito missionario.
All'inizio la loro presenza ed i loro rapporti
con il popolo Acioli sembravano dimostrare
che un cammino assieme era possibile al di
sopra del tribalismo. Invece, nei mesi seguenti,
focolai di guerriglia cominciavano a sorgere
qua e l nella nostra zona. Il 28 agosto le
truppe N.R.A. lasciavano Kalongo. Il giorno
dopo arrivavano i guerriglieri, ai quali pure per
due mesi abbiamo dato il nostro servizio con
lo stesso spirito e la stessa disponibilit di
sempre. stato questo un periodo difficile per
tutti noi, perch avevamo il fronte nella vicina
Patongo: molti erano i feriti che arrivavano,
molte le voci allarmanti, molta la tensione e
l'incertezza.
Il 21 ottobre 1986, alla notizia che il fronte di
Patongo era crollato e che le truppe N.R.A.
stavano ritornando, in pochi minuti, pazienti e
civili hanno lasciato l'ospedale e il villaggio,
rifugiandosi nella savana. Il giorno seguente
dette truppe entravano di nuovo a Kalongo.
Abbiamo subito notato come il loro
atteggiamento nei nostri confronti fosse
cambiato. Appena arrivati ci hanno tolto la
radio trasmittente. In seguito, diverse sono
state le accuse spesso infondate ed assurde
rivolteci, due le minuziose perquisizioni in
ospedale e in tutte le nostre case, costante il
disturbo ai pazienti dell'ospedale e la presenza
armata dei soldati nelle corsie. Nonostante il
clima di tensione, il nostro atteggiamento
sempre stato improntato alla ricerca di un
dialogo.
Il 7.2.87 alle ore 18.00 tutti noi europei
venivamo invitati a presentarci entro sette
minuti ad un incontro con il comandante di
brigata. In poche parole ci ha detto che
dovevamo lasciare Kalongo e trasferirci a Lira
portando via tutto il possibile. Per qualche
minuto nessuno di noi riuscito a trovare
parole. Ancora increduli, ci siamo ritrovati
qualche minuto dopo per la messa vespertina
del sabato. Alla preghiera dei fedeli c' stato
un unico grido: "Signore aumenta in noi la
fede, donaci forza per compiere la tua volont,
proteggi il nostro popolo, donaci la pace". La
notte stessa abbiamo cominciato a preparare i
nostri bagagli.
Luned 9.2.87 partiva un primo convoglio di
quattro camion, due suore, un padre ed il Dott.
Tacconi e famiglia. Dopo cinque ore di strada
a passo d'uomo veniva l'ordine di rientrare a
Kalongo: i guerriglieri si erano appostati nel
villaggio di Patongo per impedire che il
convoglio proseguisse per la sua strada.
L'ordine di evacuazione per non veniva
cambiato e ci invitavano a continuare i
preparativi. Per quattro giorni siamo rimasti
con il dubbio di quale sarebbe stato il nostro
destino. Volevano che preparassimo
specialmente cibo e medicinali, che, se lasciati
in loco, avrebbero aiutato i guerriglieri.
Il 13.2.87 alle 4.00 del mattino arrivavano
31
PADRE GIUSEPPE ci PARLA
sedici camion ed un battaglione di soldati. Ci
veniva ordinato di caricare immediatamente
quanto avevamo preparato, poich subito dopo
saremmo partiti. Abbiamo lavorato
ininterrottamente fino alle 3.00 pomeridiane in
mezzo ad una confusione indescrivibile, tra le
lacrime e la profonda tristezza nel vedere il
preludio di quella che poteva essere la
distruzione di Kalongo. Verso le 15.00 sulla
strada che da Kalongo porta a Patongo
cominciava a formarsi una lunga fila di
automezzi pronti a partire (34 autovetture e
camion, 1500 tra soldati e civili). Mentre il
convoglio lungo due km incominciava a
muoversi, alle nostre spalle vedevamo salire
una colonna di fumo nero; erano sacchi di
miglio e granoturco, fagioli, ecc., comperati in
vista della fame e rimasti l per mancanza di
mezzi di trasporto, che bruciavano nei
magazzini e contenitori. E cos pure le
medicine rimaste. Era l'ultima "operazione"
dei soldati prima di lasciare Kalongo.
Lentamente, a singhiozzo, la carovana a
serpente si snodava sulle difficili strade della
savana. In noi c'era il nodo alla gola insieme
alla tensione e paura per eventuali imboscate
da parte dei guerriglieri. Questa tensione era
accresciuta dal fatto che le nostre macchine
erano alternate ai camion militari carichi di
soldati e dalle sparatorie che qua e l venivano
fatte dai soldati stessi con lo scopo di
spaventare i guerriglieri. Saremmo poi venuti a
sapere che un forte gruppo di questi, appostati
a Patongo, non avevano attaccato il convoglio
per non fare del male a noi. Dopo dieci ore
arrivammo a Patongo; si sperava di poter fare
una breve sosta per dissetarci, ma questo ci fu
negato. I Padri di Patongo, che dovevano
aggregarsi al nostro convoglio, venivano
lasciati nella loro missione: sarebbero partiti il
giorno dopo.
Alle 3.30 del mattino, sotto il cielo illuminato
dalla luna piena, mentre eravamo fermi a causa
di un camion carico di donne e bambini che
rischiava di rovesciarsi, ci furono degli spari
verso di noi dalla savana. Nell'infernale
rumore della risposta difensiva, molti di noi si
sono buttati a terra sperando di salvarsi e di
potersi rialzare. Un soldato veniva colpito per
sbaglio da un suo compagno e moriva in pochi
minuti. Dopo circa mezz'ora, ancora impauriti,
ricominciavamo a muoverci. Venivamo a
sapere che sotto a un camion una donna, che
aveva gi incominciato il suo travaglio a
Kalongo, partoriva una bella bambina che
veniva chiamata "Caterina Convoglio". Vita e
morte continuavano anche in questo viaggio.
Dopo ventuno ore di polvere, sete, angoscia,
paura e tanta stanchezza, finalmente
arrivavamo a Lira. Non era per ancora finita:
dovevamo preoccuparci di recuperare i camion
con medicine e materiale, che qualche soldato
aveva tentato di dirottare, dovevamo
preoccuparci degli ammalati che avevamo
portato con noi, pensare a scaricare e
riordinare tutto. Quello che ci consolava e ci
aiutava a continuare era il vedere la grande
bont e carit di tutti nell'accoglierci ed
aiutarci.
Dopo una notte di riposo, il mattino veniva
dedicato a degli incontri per decidere il futuro
di ognuno di noi. Molti missionari venivano
rimpatriati per qualche mese di vacanza, alcuni
di noi venivano invece mandati ad aiutare in
altre missioni ed ospedali.
Per il momento il nostro problema prioritario
di poter continuare la scuola ostetriche, per
non interrompere i corsi. Pensiamo di
trasferirla in un ospedale missionario che ci
ospiti, probabilmente Angal, nel nord-ovest
dell'Uganda (West Nile).
Preghiamo e speriamo che la pace torni presto
in Uganda, perch solo cos il popolo ugandese
trover la sua libert di vita ed il benessere
fisico e morale cui ha diritto.
P. Giuseppe.
32
SECONDA PARTE
fax all'A.V.S.I. (organismo di aiuto di Cesena)
P. Giuseppe alla fine di febbraio riesce a
sistemare ad Angal la scuola ostetriche e ne
da notizia con un fax agli organismi che
aiutavano l'ospedale. l'ultimo viaggio in
terra d'Africa prima di ritornare in aereo e
poi in camion a Lira. l'estrema "fatica" di
P. Giuseppe che permette alla scuola
ostetriche di continuare, anche oggi, la
promozione umana e sociale della donna
africana.
tt.ne: Sig. Dall'Ara. Grazie per
telefonata di ieri. Angal Hospital
(West Nile, Distretto Nebi, 100
km a sud di Arua) ospita temporaneamente
la scuola ostetriche di Kalongo, che
mantiene la sua identit e continua i corsi
regolari. Questo trasferimento
riconosciuto dal Ministry of Realth. Ci
A
stato offerto il centro catechistico non
ancora ultimato. Mancano: impianto luce,
mobilio (tavoli, sedie, ecc.), recinzione con
rete metallica e accessori vari. Il personale
insegnante deve seguire la scuola:
comprende il medico (io) due suore e due
ostetriche. Le studenti sono ora 42.
Presumo che il costo di mantenimento
delle studenti e personale (46 persone) sia
di Lit. 1.500 a testa. Occorrer anche
materiale didattico.
Le spese di trasferimento dell'ospedale da
Kalongo a Lira e della scuola da Lira a
Kampala ed Angal sono rilevanti. Si
aggirano a circa Lit. 1.500.000.
Segue lettera.
Ringrazio e saluto.
P. G. Ambrosoli.
33
PADRE GIUSEPPE ci PARLA
"testimoni della Resurrezione di Ges"
Nel 1983 a Pasqua P. Giuseppe fu tra noi,
a Ronago. All'omelia ci ha "donato" questa
riflessione che spiega la sua vita di fede
S. Pasqua 1983
due fatti pi importanti su cui si
impernia la nostra religione sono la
passione di Ges e la sua resurrezione.
Due fatti che sono cos collegati per cui uno
non pu stare senza l'altro. Ges ha dato la
sua vita per noi e attraverso la sua morte
arrivato alla resurrezione.
I
Una delle tante applicazioni pratiche che
possiamo fare questa: se vogliamo
risorgere con Cristo dobbiamo prima morire
con Lui, cio accettare le nostre sofferenze, i
dispiaceri, le malattie, le incomprensioni: in
una parola, la croce. Dobbiamo portare la
nostra croce dietro a Ges, accanto a Lui ed
allora saremo sicuri che con Lui divideremo
la gioia di risorgere ad una vita nuova, la vita
di Dio. Quante volte ci sentiamo stanchi per
le troppe contrariet, sofferenze ecc.; la
croce ci sembra troppo pesante, ci pare che
Ges ci chieda troppo e vorremmo voltargli
le spalle e lasciarlo solo nella sua via del
Calvario. il momento di fissare il nostro
sguardo su Ges in croce, nella sofferenza
fisica e spirituale, la pi grande che si possa
pensare. Allora vedremo che la nostra croce
diventa piccola cosa in confronto alla sua e
per di pi con la differenza che noi siamo la
causa di molte delle nostre croci, mentre Lui
invece ha sofferto tutto solamente per noi,
per pagare per i nostri peccati. Proprio nella
Sua morte ha vinto la morte e ci ha ottenuto
la vita. La Pasqua ci porta ad essere felici
con Ges, anche qui, nonostante le croci. La
resurrezione di Ges il punto fondamentale
della nostra fede. Gli Apostoli lo avevano
capito pienamente e la loro predicazione era
imperniata sulla resurrezione di Ges.
Possiamo dire che non hanno predicato altro.
Hanno battuto sul punto che loro erano i
testimoni della resurrezione e l'accettare la
loro testimonianza significava diventare
seguaci di Ges.
Anche la nostra fede deve rifarsi alla
testimonianza degli Apostoli, che ci stata
trasmessa integralmente dalla Tradizione
cristiana. A nostra volta la nostra vita, con
l'esempio di una gioiosit serena, perch
viviamo uniti a Ges e sicuri di risorgere con
Lui, deve diventare una testimonianza
vivente della resurrezione di Ges.
Se hanno fatto cos gli Apostoli, devono fare
cos anche i missionari: portare l'annuncio
della resurrezione con la testimonianza che,
non potendo essere diretta, deve essere
quella della loro vita, che ne dimostra tutta la
fede. Proprio anche la gente pi semplice ha
bisogno di una testimonianza viva per
credere. Una nostra Pasqua quindi, se vuole
essere anche missionaria, non pu tralasciare
una preghiera particolare, perch Ges aiuti i
suoi missionari ad essere veramente dei
testimoni della Sua resurrezione.
Ricordo la Pasqua del 1979. Ero andato al
mattino a dire la S. Messa a Wol, un
villaggio a 20 km da Kalongo. La gente era
ancora spaventata, perch la sera del
mercoled santo i soldati di Amin erano
passati, in ritirata, ed avevano sparato
raffiche di mitra vicino alle loro capanne.
Tutta la gente era scappata a rifugiarsi nella
savana per quella notte. Ora i cattolici
venivano alla messa sentendo il bisogno che
la fede nella resurrezione di Ges li
sostenesse in tutte le situazioni, anche le pi
difficili.
34
TERZA PARTE
CI PARLANO DI PADRE GIUSEPPE
Ronago lo ricorda cos
Il ricordo di P. Giuseppe, nel commosso e
vivace racconto di Cherubina Galli, classe
1915, spazia dagli anni dell'infanzia a quelli
oltre la morte.
io fratello Olivio del '23,
quindi coscritto di P. Giuseppe e
giocavano spesso insieme. Per
questo ho dei ricordi anche della sua
fanciullezza. Era un ragazzo semplice, che
amava unirsi alla compagnia dei suoi
coetanei e che cercava di familiarizzare
con tutti. Portava le caramelle, perch gli
altri lo accettassero come uno di loro e non
lo escludessero solo per il fatto che era di
famiglia benestante. Era sempre ordinato e
pulito, ma vestiva in modo molto semplice.
M
Circa otto anni fa, Olivio ha dovuto essere
operato al cuore. L'intervento era uno di
quelli a rischio altissimo e le probabilit di
successo erano molto ridotte. Mi sono
allora privata della "mia" fotografia di P.
Giuseppe e l'ho data a mia cognata,
raccomandandole di metterla sotto il
guanciale di Olivio. Subito egli sent come
una specie di sollievo morale ed affront
sereno l'operazione, superandola bene
malgrado le nere previsioni.
Quando P. Giuseppe tornava dalla
missione, la Irma, donna di servizio,
rientrava solitamente per un breve periodo
a casa sua, vicino a Udine. In quei giorni la
sostituivo io. Mi ricordo che P. Giuseppe si
arrangiava da solo a prepararsi la
colazione, per non farmi perdere tempo. Mi
diceva: "Tu pensa alla mamma, che qui mi
arrangio io". Appena finito, ritirava la sua
tazza e ripuliva la tavola. Metteva le
stoviglie nel lavello, lasciando scorrere un
po' d'acqua per risparmiare fatica a chi
doveva lavarle.
Per me stare a contatto con P. Giuseppe era
come essere in Paradiso. Aveva una grande
umilt in tutto quello che faceva. Cercava
di risparmiarmi lavoro per mandarmi a
casa pi presto dalle mie bambine. Io
abitavo al Serafino e lui si preoccupava per
il lungo tratto di strada solitaria che dovevo
percorrere. Gli rispondevo che non avevo
paura perch mi sembrava che lui stesso mi
accompagnasse. Ed era vero, perch
sentivo la sua vicinanza e io, la Cherubina-
Serafina-Teresina come lui scherzosamente
mi chiamava, non mi sono mai sentita sola
sul sentiero verso casa.
Al mattino, quando si alzava mi diceva:
"Non entrare a fare niente nella mia
camera: ci penso io". E infatti: metteva
persino "a mollo" la biancheria personale o
addirittura la lavava e la stendeva, perch
gli sembrava che fosse umiliante, per la
donna di servizio, dovergliela lavare.
Ogni volta che tornava dalla missione mi
mandava a chiamare. Sono stata a trovarlo
anche quando era ammalato, portandogli
un pacchetto di biscotti. Lui non li voleva
"perch non me li merito" ma, alla fine, per
farmi contenta mi disse che li avrebbe
mangiati volentieri con il t. Anch'io,
quattro anni fa, quando sono
35
Ci PARLANO DI PADRE GIUSEPPE
caduta durante la camminata del GAM
fratturandomi bacino e costole, ho pensato
a lui e l'ho pregato. Ed stato sicuramente
il suo aiuto a darmi la forza di guarire bene
e presto. Mi ha aiutato a camminare...
come sul sentiero del Serafino.
Ronago, 8 febbraio'97
Le parole di Maria, classe 1921,
rispecchiano frammenti di vita che,
seppur rapidamente, ci aiutano
a riflettere sui piccoli, grandi passi che
P. Giuseppe ha compiuto
per giungere al suo ideale.
iuseppe voleva bene ai poveri.
Malgrado la sua posizione sociale era
desideroso di avvicinarsi alle famiglie
pi povere, di aiutare i contadini, di
condividere la vita dei semplici. Era molto
attento ai disagi del prossimo e alle situazioni
di bisogno. Aveva saputo della situazione della
G
signora Giulia Corti, il cui marito era sotto le
armi e che quindi doveva portare avanti da
sola la casa, l'orto ed il piccolo campicello.
Inoltre, doveva accudire alla cognata Carlotta,
inferma. Ecco che allora arrivava lui, a mietere
il frumento e a zappare le patate.
La sua cotta era grigiastra e consunta. Le
scarpe coi buchi (perch quelle nuove le aveva
regalate) si erano viste solo quando si era
prostrato davanti all'altare per l'ordinazione
sacerdotale.
Un fatto molto significativo quello del suo
"patto segreto" con il Santino Bernaschina di
Faloppio, operaio Ambrosoli e barbiere
ufficiale della famiglia. Forse proprio per il
fatto di averlo conosciuto pi da vicino,
Giuseppe era arrivato ad uno strano accordo
con lui. A quel tempo, Giuseppe aveva gi
conseguito la laurea in medicina, ma
proseguiva indefesso i suoi studi per conoscere
le malattie tropicali. La sua mamma non
vedeva di buon grado che egli si alzasse di
mattino presto per studiare, perch avrebbe
preferito lasciarlo riposare un po' di pi. Ecco
allora a quale accorgimento era ricorso lui: si
era legato una corda al piede, lasciandone
penzolare il capo dalla finestra della sua
camera. Il Santino, che arrivava per il turno
delle 5.00 alla mattina, senza farsi accorgere
da nessuno dava uno strattone alla corda. Lui
entrava in fabbrica e Giuseppe, all'insaputa di
tutti, si alzava per studiare. La Maria
Ambrosina e io eravamo a quei tempi addette
alla pulizia della chiesa. Ogni volta che ci
andavamo, lo trovavamo l, in ginocchio, da
solo, a fare la Via Crucis. Quando si rialzava,
ripuliva accuratamente i pantaloni, per non
creare lavoro in pi alle persone di servizio.
Un altro piccolo particolare quello che mi ha
riferito la sua stessa mamma. P. Giuseppe,
giovane missionario, si era tagliato la barba
perch, quando visitava i bambini, faceva loro
il solletico.
Ronago, 26 gennaio '97
36
TREZA PARTE
Ronago lo ricorda cos
Dalla testimonianza di Bruno Quadranti,
classe 1923, emerge in prevalenza il ritratto
giovanile di P. Giuseppe. Un ritratto
partecipe e anche molto concreto, ma
soprattutto ricco di quei risvolti che
l'amicizia riesce sempre a cogliere.
iuseppe non vedeva il male, era
sempre fiducioso e contento.
Anche se veniva da una famiglia
in vista, non lo faceva pesare. Era come
uno di noi.
G
Negli anni '40, a suo padre venne proposto,
da parte delle autorit, il titolo di conte. Da
persona riservata qual'era, in
quell'occasione scort nel suo giardino gli
emissari della Prefettura, che erano venuti
a notificargli la notizia e, indicando loro un
ragazzo (Giuseppe) tutto intento a
"regolare" i conigli, giustific il suo
diniego con una semplice frase: "Vi sembra
che quel ragazzo sia il figlio di un conte?".
Giuseppe non fece il militare perch gi
due suoi fratelli erano sotto le armi. L'8
settembre 1943 lui era in Svizzera e la
Repubblica di Sal richiam quelli del
1923 con la minaccia che, se non si fossero
presentati, avrebbero deportato i loro
genitori. Giuseppe torn immediatamente,
pensando per che lo avrebbero fatto uscire
dal confine di Novazzano. Invece, il
passaggio avvenne in una localit fra Ponte
Tresa e Luino, da una specie di cunicolo
sotterraneo. Proprio nei pressi dell'uscita
c'era la caserma della Milizia e Giuseppe
venne preso, insieme ad un altro giovane di
Albiolo, Mattiroli. Proprio quest'ultimo,
dal convoglio in partenza per Fossoli
(centro di smistamento per la successiva
deportazione in Germania) riusc a vergare
un biglietto: "Avvertite la mia mamma che
io e l'amico Giuseppe stiamo andando in
Germania". Una ragazza raccolse il
messaggio e in bicicletta lo port fino ad
Albiolo. Subito si mobilit Carlo
Ambrosoli, intervenendo presso il
comando tedesco e precipitandosi a
Fossoli, dove riusc a riprendere suo
fratello Giuseppe. Mattiroli purtroppo era
gi stato fatto partire per la Germania e non
ne avrebbe pi fatto ritorno.
Per salvare suo padre e sua madre dalla
deportazione, Giuseppe si arruol e venne
destinato alla Sanit. Il 26 aprile 1945 fece
ritorno a casa.
Era religiosissimo, ma semplice, non
fanatico. Molto cordiale, sempre pronto a
dare una mano. Un uomo profondamente
buono e caritatevole.
Noi coetanei siamo rimasti colpiti dalla sua
scelta: un figlio di industriali, un medico
che aveva davanti a s una brillante
carriera, sceglieva la via del servizio totale.
Ma avevamo comunque intuito che il suo
obiettivo, il suo ideale di vita era gi dentro
di lui, da sempre.
Negli anni 50-60, in occasione di qualche
suo rientro da Kalongo si pronunci cos:
"Laggi sono all'et della pietra, ecco
perch necessario andare a vivere in
mezzo a loro. Non sufficiente mandare le
offerte, bisogna proprio condividere la loro
vita e donare la propria esperienza. Non
puoi limitarti ad annunciare il Vangelo
quando non hanno di che sfamarsi e come
curarsi. Gli Acioli sono di animo buono e
se tu gli insegni, ti seguono e ti ascoltano."
L'idea del Comboni: salvare l'Africa con
l'Africa. Da Ronago intanto, partiva tutto il
materiale di cui Kalongo aveva bisogno.
Anche l'ondulato, anche le lamiere, anche i
pezzi pi strani che P. Giuseppe chiedeva
per far nascere il suo ospedale, dal niente.
Anche noi coscritti lo chiamavamo Padre
Giuseppe, ma lui si scherniva: "Ma va,
siamo della stessa et. Giuseppe va bene, e
datemi del tu".
37
Ci PARLANO DI PADRE GIUSEPPE
Medico e missionario. Grande in tutte e
due le cose.
Suo padre, di idee liberali, ha sempre
rispettato le scelte dei figli e, anche nel
caso di Giuseppe, si pronunci con un
"Non discuto la tua scelta, basta per che
tu la segua fino in fondo".
Sua madre era una donna di saldissimi
principi religiosi e di grandissima fede. Io
fui assunto in Ditta Ambrosoli nel 1937 e
nel '38 venni assegnato all'ufficio. Mi
ricordo che le paghe degli operai venivano
sempre distribuite alla presenza della
signora Palmira che intendeva con questo
sottolineare la dignit del lavoro e
valorizzare l'operato dei dipendenti. Per
suo desiderio, alle 15.00 del Venerd Santo,
bisognava fermare il lavoro per dare spazio
a una meditazione.
La vocazione di Giuseppe era come gi
connaturata in lui e cresceva insieme a lui,
ma non ce l'ha mai fatta pesare. Noi
pensavamo alla "morosa" e lui era
responsabile dell'Azione Cattolica.
Scherzava, parlava, rideva, ma quando
arrivava ad esprimere un giudizio, era
molto profondo.
Dopo la guerra gli venne proposto di
entrare in politica, perch era un giovane
promettente. Lui rifiut, accettando solo -
perch ne fu quasi costretto - di fare il vice
Sindaco per un breve periodo. Ma lui non
era un politico. Il suo mondo era gi
altrove, molto oltre.
Non disdegnava per le discussioni e il
confronto con gli amici, e ne aveva tanti
anche fuori paese: Evaristo Corti, Casimiro
Scacchi, le famiglie Peduzzi e Roncoroni
di Olgiate.
Dopo la malattia renale che l'aveva colpito,
il suo amico Dott. Teruzzi gli aveva detto:
"Tu, tornando in Africa, rischi la vita". Ne
ebbe questa risposta: "La mia casa
laggi, non pi qui".
38
TERZA PARTE
Ronago lo ricorda cos
La sua santit se l' guadagnata sul campo.
Dalla vita poteva avere tutto, ma lui ha
scelto il Tutto.
Il 27 marzo 1987 ero in ufficio e, quel telex
dall'Uganda, l'ho visto arrivare. Subito ho
chiamato il signor Paolo ed insieme
abbiamo letto il messaggio man mano che
le parole scorrevano sul foglio: "Si
comunica che oggi il caro Padre Giuseppe
ha cessato di vivere...".
Colui per il quale aveva vissuto, l'aveva
ripreso con s.
Ronago, 7 febbraio '97
Ancora un coetaneo, Francesco Grisoni, ci
offre la bellissima immagine di un'amicizia
profonda. Spontanea fin dai tempi della
scuola, complice nei giochi e nei piccoli
impegni, solidale in tempo di guerra,
presente nei momenti importanti. Sempre
nutrita, anche solo attraverso le lettere. Con
l'ultima di esse, P. Giuseppe ritorner a
Francesco quegli attimi che entrambi non
hanno mai dimenticato.
ravamo compagni di classe ai tempi
delle elementari. Malgrado il mio
carattere piuttosto riservato, abbiamo
sempre "legato". Giuseppe veniva
abitualmente a casa mia e spesso si fermava a
cena da noi, condividendo polenta e latte.
Talvolta ci trovavamo a casa sua, andavamo in
giardino e l giocavamo fino a tardi. La sua
mamma era molto attenta a che non sudasse
troppo o non si esponesse a pericoli.
E
Il mio papa aveva un asino che, a seconda
delle circostanze, attaccava al carretto o al
calessino. L'asino aveva un nome singolare. Si
chiamava "maestro" ed facile immaginare
chi glielo avesse affibbiato. Giuseppe,
naturalmente, e senz'altro con l'intento di
riscattare la condizione umile di questo
animale, capovolgendone completamente il
senso che generalmente gli veniva attribuito.
L'amore per gli animali sempre stata una sua
caratteristica. Entrambi condividevamo la
passione per i conigli. Nel giardino di casa sua
c'era un bellissimo allevamento, con elementi
anche di razza pregiata. Io lo aiutavo ad
accudirli e, quando lui doveva assentarsi per
periodi di studio, me ne affidava la cura.
Quand'era gi studente di medicina e
succedeva che qualche coniglio morisse,
faceva personalmente l'autopsia, per capire,
per scoprire, per poter poi curare.
Era una persona di assoluta semplicit e di
grande umilt. Quando Chiara ed io ci siamo
sposati, l'abbiamo chiamato ad essere
testimone alle nostre nozze. Lui ha accettato,
non senza esprimere per con un
imprevedibile e disarmante " un incarico
molto importante. Ne sar degno?" tutta la
ricchezza della sua anima.
capitato che un paio di volte l'abbiamo
trattenuto a cena, scusandoci se il men era
troppo semplice. Lui condivideva tutto con
gioia, come ai tempi della polenta e latte.
A scuola cercava di aiutare un po' tutti. Amava
confondersi con i compagni, con tutti gli altri,
con semplicit e naturalezza.
I suoi amici non li ha mai dimenticati, anche
quand'era soldato in Germania. Un giorno mi
sono visto arrivare un pacco e quale fu la mia
sorpresa nel vederne il contenuto: era pieno di
sigarette, (di quelle che gli passavano al campo
militare e che lui metteva da parte, anche per i
suoi camerati). Preziosissima merce di
scambio per pane e beni di prima necessit in
tempo di guerra. Chiss quanto ne avrebbe
avuto bisogno anche lui per poterci barattare
un po' di cibo in pi. Ma me le aveva spedite
perch sapeva che anche a noi avrebbero
potuto essere utili. E fu cos,
39
Ci PARLANO DI PADRE GIUSEPPE
perch le sue sigarette, in quei tempi
difficilissimi, si trasformarono anche per
noi e per gli amici in pane e cure sanitarie.
Non si mai espresso esplicitamente sulla
sua vocazione. La nostra amicizia era fatta
di poche parole, per si capiva che lui
aveva un qualcosa in pi.
Da Kalongo ha continuato a scrivermi con
regolarit. Nel dicembre 1986 ricevetti la
sua ultima lettera, con accluse alcune foto
della nostra giovinezza: quella sul
calessino trainato dal "maestro", quella in
barca con don Carlo Porlezza, quella dei
coscritti, quella della prima messa con a
fianco don Costantino e don Carlo
Ghielmetti. Me le ritornava adesso,
accompagnandole con una piccolissima
frase in fondo alla lettera: "Ho trovato una
vecchia foto". Aggiungeva la sua
benedizione per le nostre famiglie e il
nostro lavoro, insieme agli auguri di
Natale. Il suo ultimo quaggi.
Ronago, 8 febbraio '97
Antonietta Somaini, classe 1932. Ha
potuto e saputo "cogliere" i momenti
pi alti e pi intensi nella vita di P.
Giuseppe. Quelli del colloquio con Dio.
o ricordo giovane studente, .
quando tornava dall'universit alle
2.00 o alle 3.00 del pomeriggio:
andava in chiesa, accendeva le candele e
don Carlo Porlezza gli dava la Comunione
(e a quei tempi bisognava essere digiuni
dalla mezzanotte).
L
Sempre, prima di inginocchiarsi, estraeva
un fazzoletto che metteva sotto le
ginocchia, una sua delicatezza per non
essere di peso.
Mi ha sempre colpito il suo modo di
pregare che, nel raccoglimento, esprimeva
tutta la sua vita interiore. Un episodio che
mi ha fatto molto riflettere avvenne in
occasione del suo rientro in Italia per
essere operato di ernia al disco: era sera,
subito dopo il turno di lavoro, verso le
18.00. Mi sentivo stanca e mi sono seduta
nell'ultimo banco. Dall'altra parte sento
entrare una persona, capisco che si
inginocchia. Dopo circa un quarto d'ora -
non sentendo il pi piccolo rumore -
guardo e... vedo P. Giuseppe inginocchiato
in profondo raccoglimento. Sapevo che era
tornato dall'ospedale lo stesso pomeriggio
e che aveva il tronco dritto perch
ingessato. Per me fu come una
folgorazione: ho sentito tutta la mia
pochezza davanti al suo grande amore per
Ges, un amore che lo spingeva a tanto
sacrificio. Un esempio che valso molto
pi di una predica, un modo di pregare che
trascina e coinvolge.
Era innamorato di Dio e del prossimo, per
era anche un tipo allegro, sempre pronto
alla battuta scherzosa. So per certo, perch
lui stesso me l'ha
40
TERZA PARTE
Ronago lo ricorda cos
detto, che da quando stato ordinato
sacerdote non ha pi assaggiato una
caramella. Me ne sono chiesta il perch e
sono giunta a questa conclusione: era il suo
"fioretto" per sottolineare il distacco da tutto
ci che aveva deciso di lasciare, il suo modo
di dare un taglio netto fra la vita a cui aveva
rinunciato e quella che aveva scelto.
Ronago, 8 febbraio '97
Dalle parole di Celestina, classe 1925,
affiora tutta la riconoscenza per un piccolo
gesto, delicatamente
e ripetutamente offerto.
i mio padre Antonio, detto Talin,
era alle dipendenze della famiglia
Ambrosoli, come uomo tuttofare e
noi figli siamo nati e cresciuti l.
G
Quando il vecchio stabile adiacente alla
fabbrica fu demolito, ci siamo trasferiti nel
piccolo appartamentino sottostante i nuovi
uffici della Ditta. Eravamo l come custodi e,
quando qualcuno doveva passare con la
macchina, cercavamo di essere pronti ad
aprire e chiudere il cancello. P. Giuseppe non
voleva assolutamente che ci scomodassimo
per lui. Se cercavamo di prevenirlo, ci
sarebbe rimasto male. Non voleva crearci
disturbo.
Riusciva perfino ad eluderci, gi quand'era
un giovanotto e aveva la moto per i suoi
spostamenti di Azione Cattolica. Spingeva la
moto fuori dal cancello, richiudeva e solo
allora accendeva il motore. Cos anche
quando rientrava, specialmente se era tardi,
per non svegliare nessuno.
Anche dopo, che aveva la macchina, ci ha
sempre raccomandato di non stare a
disturbarci. Al cancello ci avrebbe pensato
lui.
Ronago, 26 febbraio '97
41
Ci PARLANO DI PADRE GIUSEPPE
I ricordi di Sandro Merlo, classe 1941, sono
legati all'ospedale, alla malattia,
alla sofferenza. Il "terreno" a cui
P. Giuseppe ha dedicato la sua vita.
el luglio 1972 venni ricoverato
all'ospedale S. Anna per una colica
renale e l rimasi per venti giorni.
Proprio in quel periodo P. Giuseppe,
durante una delle sue famose "vacanze" da
Kalongo, frequentava regolarmente il
reparto di ortopedia (diretto mi pare dal
Prof. Fiorani) per acquisire tecniche e
metodologie di cura in questo campo. Tutte
le volte, prima di andare a casa, passava a
vedere come stavo dicendomi: "Va che i
tuoi colleghi in ditta ti aspettano di ritorno
presto, Merlett". Si interessava del mio
stato di salute e, poich non mi era stato
ancora detto niente di preciso, si era recato
lui stesso da una diplomata del reparto per
saperne di pi. Conoscendolo, non avr
certamente "imposto dall'alto" la sua
posizione di chirurgo, primario e guida di
un intero ospedale e il suo abito
sacerdotale, cos dimesso, non gli avr
certamente accattivato le simpatie
dell'infermiera. Sta di fatto che lei deve
averlo preso per una persona del tutto
incompetente in materia, accennandogli
solo bruscamente che dai miei esami
risultava qualcosa di scuro e che comunque
la cosa non lo riguardava. poi venuta a
lamentarsi da me per il fatto che "mi
facevo raccomandare dai preti" e, a quel
punto, le ho chiarito chi fosse e cosa
riuscisse a fare "quel" prete. P. Giuseppe
dal canto suo non ne ha neanche parlato,
preoccupandosi solo di rassicurarmi sul
mio stato di salute. Al mio accenno
all'incidente con l'infermiera, ha subito
"smontato" tutto con un sorriso.
N
Negli ultimi giorni di quella mia degenza
stato l ricoverato, in pediatria, anche mio
figlio Tiziano, idrocefalo, di sedici mesi,
ma non hanno potuto risolvere il suo
problema. Ci hanno mandati al Policlinico
di Milano dove, dopo averlo visitato, il
Dott. Cabrini mi disse che era necessario
un intervento, delicato e difficile, che
poteva essere effettuato solo l a Milano o
Bologna. Chiesi consiglio a P. Giuseppe il
quale mi rispose: "In Africa no, non
sarebbe nemmeno pensabile, ma qui, in
Italia, con l'esperienza e le tecniche che ci
sono, ci sono anche buone probabilit di
successo. Del resto, se non lo fai operare,
non ha speranza. Devi tentare, se vuoi
salvarlo". Sulla base di queste sue parole
mia moglie e io prendemmo quella
decisione per cui, ancora oggi, ogni giorno,
dobbiamo ringraziarlo. Tiziano fu operato a
Milano e, solo verso gli otto anni, si rese
necessario un secondo intervento per
rimuovere un'ostruzione che si era formata
con la crescita. Oggi ha 26 anni, deve
sottoporsi a dei controlli periodici, ma sta
bene.
Nel 1982, P. Giuseppe era a casa per la sua
malattia renale. Io affiancavo mio zio
Angioletto nella sua attivit di barbiere.
Avrebbe avuto tutti i motivi per
convocarmi a casa sua quando doveva
tagliare i capelli. Ma, per non creare
disturbo n in casa n a me, veniva lui in
bottega, approfittando magari del fatto di
essere per un'altra volta riuscito ad andare
in chiesa a celebrare la Messa perch si
sentiva un po' meglio e... allora, dato che
era gi per strada...
Ronago, 26 febbraio '97
Ha sempre voluto bene ai bambini, a tutti i
bambini, in Africa li ha in braccio
e qui, per mano. Sentiamo Onorino
Balatti Pintonello, 1932.
42
TERZA PARTE
Ronago lo ricorda cos
o lavorato per vent'anni in Ditta
Ambrosoli. Mi ricordo che P.
Giuseppe era sempre cordiale e
gentile con noi operai.
H
Durante i suoi rientri dalla missione, era
sempre circondato da bambini e ragazzi.
Erano i primi anni '70, quando i miei due
figli Luca e Francesco facevano i
chierichetti e lo incontravano a messa. P.
Giuseppe trovava il modo di coinvolgerli,
insieme ai loro amici: il Paolo Gandola,
l'Eligio Lupis, ecc. All'uscita di scuola o
nel tempo libero andavano gi in Ditta, da
lui, per aiutarlo a confezionare le medicine
da mandare a Kalongo.
Mi ricordo anche della sua disponibilit e
competenza come medico, quel giorno del
1972, quando lo "bloccai" in sacrestia per
mio figlio Lorenzo, che aveva un serio
problema alle unghie delle mani, poi
felicemente risolto.
Ronago, 27 febbraio 97
Elisabetta Bemasconi-Pastori. Il grazie
bellissimo che le nasce dal cuore per aver
potuto accudire P. Giuseppe durante la
malattia, ci dice gi tutto.
evo dire che ero molto
preoccupata quando, a fine 1982,
mi chiesero di dare una mano in
casa perch doveva arrivare P. Giuseppe
dall'Uganda ed era molto malato. Pensavo
di non essere all'altezza di accudire ad un
personaggio cos speciale, come lo
giudicavo io per averlo visto in altre
occasioni. Ma tutto si appian in pochi
giorni. Non gi perch io fossi alla sua
altezza, ma era lui cos alla mano da farmi
sentire a mio agio: tutto andava sempre
D
bene, anche il cibo che doveva sapere di
poco, senza sale per via della sua
insufficienza renale. Anzi, diceva che era
buonissimo. Mi diceva sempre "Basta,
basta", facevo sempre troppo, per lui.
Quante volte al giorno mi diceva "Grazie"
per ogni cosa che gli facessi! E non solo,
trovava anche il modo di darmi una mano,
specialmente quando qualche persona che
era venuta a trovarlo si fermava anche a
pranzo. Dopo che gli ospiti erano ripartiti,
lui mi aiutava ad asciugare i piatti, quasi
scusandosi per il lavoro supplementare. Per
comodit, la sua camera era al primo
piano, ma mi accorgevo che lui ogni tanto
"spariva" al piano di sopra, nella sua
cameretta da giovanotto, dove c'era il suo
inginocchiatoio...
rimasto a casa nove mesi, fino al luglio
1983 e lo stato dei suoi reni non era
certamente risolto, per ha voluto ripartire
lo stesso per la sua missione.
Nel 1985 rientrato di nuovo per controlli
e cure sanitarie, fermandosi giusto il tempo
necessario, circa un paio di mesi. In
quell'occasione, so che era pronto per lui
un abito nuovo e anche un paio di scarpe,
acquistate nel negozio del Sergio Bagatt.
Ma, al momento di ripartire, ha voluto
indossare il vestito che aveva quand'era
arrivato e... per quanto riguarda le scarpe,
naturalmente quelle vecchie, che mi aveva
raccomandato di far riparare. L'Andrea
Talett aveva senz'altro fatto un buon
lavoro, ma non fu certamente quello il
motivo per cui P. Giuseppe lasci Ronago
indossando i suoi vecchi indumenti.
Pareva che il solo pensiero di ritornare a
Kalongo gli mettesse le ali ai piedi, anche
se sapeva benissimo di non illudere
neanche se stesso. "Laggi
43
Ci PARLANO DI PADRE GIUSEPPE
hanno bisogno. Vuoi dire che la prossima
volta che torner a casa sar per fare la
dialisi". Ma non pi tornato.
Carissimo P. Giuseppe, devo ringraziarla
per avermi dato l'opportunit e la grazia di
viverle accanto, per aver potuto apprezzare
la sua infinita bont, cos semplice eppure
cos grande.
Ronago, 25 febbraio '97
Dopo aver appreso telefonicamente dalla
Cherubina quanto ci apprestavamo a fare
per commemorare il decimo anniversario
della morte di P. Giuseppe, la signora Irma
Domenis, di 83 anni, residente a Bassano
del Grappa, ci ha scritto la sua
testimonianza. Ecco i brani pi significativi
della sua lettera del 6 febbraio 1997.
on molto piacere sentii la tua lunga
telefonata con la bella notizia su P.
Giuseppe. Sono molto contenta che
lo fanno santo. Sarebbero tantissime cose
da dire, ma difficile descriverle. Era
sempre felice e contento. Sembrava gi un
santo che camminava per la casa. La sua
amata mamma, signora Palmira, diceva che
P. Giuseppe andr, anche con gli scarponi,
in paradiso. Ci raccontava, a noi in cucina,
anche le barzellette per tenerci allegre. Era
molto umile e non ci dava soggezione,
tutto gli andava bene, anzi pi che bene,
diceva sempre. Si alzava per primo da
tavola, poi sparecchiava e ci portava la
mela pi grossa. Io sono orgogliosissima di
essere stata per trent'anni nella sua
famiglia, dove tutti mi volevano e mi
vogliono ancora bene.
C
44
TERZA PARTE
il ricordo di un amico
onobbi Giuseppe negli anni 39-43;
avevo allora 14-18 anni, ero iscritto
all'Azione Cattolica ed ero
responsabile nella conduzione delle sezioni
giovanili maschili della mia parrocchia.
Organizzavo, con l'aiuto di altri giovani, le
adunanze, le presiedevo e ne animavo le
diverse iniziative esterne. Allora non c'era
l'oratorio per cui ci si arrangiava in chiesa, in
sacrestia, presso qualche casa privata o , come
mi capitato, in mezzo a qualche prato, a fare
lezione di catechismo (dottrina, si diceva
allora). Non c'erano campi da gioco ( ad
eccezione di quello comunale riservato ai
balilla e agli avanguardisti). Io nacqui da padre
contadino che, per sbarcare il lunario, aveva
assunto l'incarico di custode giardiniere in una
villa del paese. Si viveva con poco, anche se
dignitosamente, e la mentalit che andai
acquisendo era quella di sottomissione al
padrone. Tutto questo l'ho detto per far capire
l'ambiente di allora e anche per far capire cosa
sia stato per me l'incontro con Giuseppe. Io ero
il figlio del servitore degli A..(i nostri padroni),
Giuseppe invece era il figlio dell'industriale
Ambrosoli, quello delle caramelle, di Ronago
e il nostro accostamento non mi permetteva di
dargli del tu.
C
Per sua scelta, l'apostolato tra i ragazzi e i
giovani, di Azione Cattolica o no, ebbe una
priorit assoluta. Lasciate le comodit della
casa paterna, percorreva tutta la zona,
spingendosi fino a Saltrio (allora pieve di
Uggiate) per parlare di Ges e dei valori
religiosi a tutti i ragazzi che incontrava. Spesso
le sue visite e i suoi incontri finivano in partite
al pallone o in intrattenimenti vari. Arrivava su
una moto Guzzi 500 e creava subito un alone
di curiosit tra i vari ragazzi che, attirati dalla
novit (allora le moto erano molto rare)
accorrevano numerosi. Poi l'adunanza:
Giuseppe non era un grande oratore, parlava
semplice, un po' arruffato, per le sue parole
erano sempre ben .ascoltate. La sua ansiet di
bene e di far conoscere Ges lo spingeva ad
andare sempre pi spesso dove poteva
incontrare dei ragazzi. Penso oggi che era lo
stesso spirito che lo avrebbe portato, in anni
futuri, tra i pi derelitti e bisognosi dell'Africa.
Questi ragazzi li trovava a Caversaccio,
Bizzarone, Concagno: quando arrivava, per
tutti era sempre una festa. Nel tempo, essendo
impegnato negli studi mi preg di sostituirlo:
lo feci, per soggezione a lui (non era possibile
dirgli di no). In bicicletta ( non avevo altri
mezzi) percorsi le sue stesse strade e cos mi
capitava di incontrarlo. Capitava anche di
trovarci assieme nello stesso posto e allora
vedevi i ragazzi andargli incontro
festosamente, lasciando me in disparte, con
non malcelato disappunto. Ma tra noi si era
formata un'amicizia vera, sicura e sincera,
anche se lo scambio di esperienze si limitava
ai progressi della nostra sezione aspiranti.
L'unica volta che entrai a casa sua fu sei mesi
prima che morisse e una sola volta lui venne a
casa mia, per una fugace visita a mio figlio
Carlo, studente comboniano.
Quando nel 1943 si form la Repubblica
Sociale Italiana, egli, studente in medicina, si
arruol nella Divisione Monterosa d'Italia.
Dicono i suoi commilitoni che lui lavasse
spesso le gavette dei suoi compagni, lui,
studente in medicina... ma la sua modestia, la
sua disponibilit non potevano non
permetterglielo. Nel 1946 don Silvio Riva
istituisce, nell'ambito dell'Azione Cattolica,
45
Ci PARLANO DI PADRE GIUSEPPE
il Cenacolo, un gruppo di giovani con lo scopo
di animare di pi l'organizzazione. Vi
aderiamo una ventina come inizio, tra questi
anche Giuseppe. Laureatosi in medicina, ecco
la grande scelta: sar missionario e sar
medico chirurgo missionario. Portare Cristo
alle anime attraverso la cura dei corpi e
realizzare il suo sogno tra i pi derelitti e
diseredati. E il suo sogno, attraverso l'opera
persuasiva di don Silvio, si fa realt. Entra
nell'ordine dei Comboniani, studia e si
specializza, a Londra, in malattie tropicali.
Nel frattempo io mi sono sposato e, tra i figli
che il Signore mi ha donato, Carlo ha scelto di
diventare missionario comboniano come padre
Giuseppe. Si sono incontrati pi volte, ma di
sicuro un filo conduttore invisibile collega
certe scelte. Pensandoci: mio figlio Carlo
nasce il 9 dicembre 1955; padre Giuseppe
viene ordinato sacerdote il 17 dicembre 1955...
come non ci pu essere un filo conduttore?
Durante il noviziato, lo incontrai pi volte a
Venegono, scambiando con lui ricordi ed
esperienze. Lo trovai sempre sereno, sempre
deciso nella sua scelta, schivo, sempre, ad
elogi e costatazioni per lui ovvie e inutili.
Ritorn dall'Uganda anni dopo, per
un'operazione di ernia al disco. Si ricover al
S. Anna, in camera comune, rifiutando la
privata, come desideravano i familiari. Mia
moglie con Carlo andarono a trovarlo:
rimasero colpiti dalla sua serenit.
Congedandosi, augur a Carlo di ritrovarlo
presto in Africa. Quando nell'86 venne a casa
per curare la nefrite, andai pi volte a trovarlo.
Lo implorai di rimanere in Italia, dicendogli
che qui un ammalato trova sempre un ospedale
per le cure, in Uganda invece non cos. Mi
rispose che chi comanda Quello lass e in
Lui egli poneva la sua fiducia. Cos ripart e
sei mesi dopo mio figlio Carlo mi telefona da
Thiene che padre Giuseppe morto. In quel
momento ho avuto l'impressione che fosse
venuto a mancare qualcuno che cominciai a
pensare come santo.
Sei anni dopo, il 23 marzo 1993, arrivavo con
mia moglie a Lusaka, nello Zambia.
Andavamo a trovare nostro figlio; era la prima
volta che vedevamo l'Africa. L'impatto stato
sconvolgente. Appena ho visto l'ambiente ho
detto a mio figlio:" Carlo, ma chi te lo fa fare
di rimanere qui?". Quattro giorni dopo, il 27,
ricorreva l'anniversario della morte di padre
Giuseppe. L'abbiamo ricordato nella S. Messa
celebrata da Carlo; l'abbiamo ricordato in
Africa, nella sua terra, tra la sua gente che ha
tanto amato. Egli sepolto nella sua Uganda,
nella sua Kalongo, tra i suoi Acholi. Medico
chirurgo, una famiglia solida e sicura, un
ambiente di stima, un avvenire brillante, lascia
tutto e va dove il Signore lo chiama e l
realizzer la sua vita e concretizzer la sua
santit. Si avverer cos il suo sogno di
ragazzo: far conoscere Ges e farlo amare,
dando tutto, anche la vita.
E tutto questo l'ho capito dopo aver costatato
che cos' l'Africa.
FELICE CASTELLI
(nato ad Albiolo il 13.3.1925,
un amico del Cenacolo)
46
TERZA PARTE
1955-1980: ricordo dei 25 anni di sacerdozio
adre Giuseppe a Ronago quando,
nel 1980, ricorre il 25 anniversario
della sua ordinazione sacerdotale.
La nostra comunit aveva organizzato un
triduo di preparazione alla S. Messa
solenne di domenica 25 maggio 1980. La
tre-sere prevedeva incontri con i sacerdoti
ronaghesi don Costantino Stefanetti, don
Albino Bernasconi e padre Giuseppe.
"Abbiamo pregato e trepidato per padre
Giuseppe soprattutto lo scorso anno,
quando in Uganda era in corso la guerra.
Ora siamo contenti di averlo un po' di
tempo tra noi e vogliamo assicurarlo che
gli saremo sempre vicini con la nostra
preghiera ed il nostro aiuto " (dal
giornalino parrocchiale).
P
Anche suor Amelia ha fatto pervenire una
sua lettera proprio per questa occasione.
"Voglio dirvi la mia unione in questo
tempo in cui padre Giuseppe con voi.
Sapete meglio di me che quest'anno ricorre
il suo 25 di sacerdozio... ho sentito che in
Parrocchia farete qualcosa per lui ed io non
voglio essere assente. Se non altro, vi
mando il mio sostegno e il mio contributo
per tutto ci che vorrete fare, tramite il mio
vivo ricordo nella preghiera per voi e per
lui. Voi conoscete l'umilt di padre
Giuseppe perci innanzitutto dovete
organizzare una bella festa spirituale che
riuscir tanto bene quanto pi sar la vostra
partecipazione viva e sentita. Sono
convinta che questo sar il regalo che
gradir di pi. Poi, siccome sapete quanto
si da e ami la sua gente, penso sia giusto
che pensiate pure a loro. Sono certa avrete
gi sentito dell'attuale situazione
ugandese... vi chiedo tanta preghiera per
padre Giuseppe e per tutti i missionari
perch sappiano superare questi duri
periodi con quella Fede che luce per loro
e per coloro che avvicinano".
Kacheliba, 11 maggio '80
47
Ci PARLANO DI PADRE GIUSEPPE
uniti nello spirito della missione
ella vita di ognuno di noi ci sono
degli incontri che ci hanno
segnato, o nel bene o nel male.
Anche l'Evangelista Giovanni si ricorder
per sempre quel pomeriggio in cui incontr
Cristo e ne fu incantato. Vide Ges che
passava e gli chiese: "Maestro, dove abiti?
Vieni e vedi. Lo segu e pass quel
pomeriggio in casa sua. Erano circa le
quattro pomeridiane". (Gv 1,38).
N
Anch'io ricordo il pomeriggio del 1959 in
cui incontrai la prima volta P. Giuseppe.
Ero studente seminarista di seconda liceo a
Carraia (Lucca) presso i padri Comboniani
e quel giorno P. Giuseppe, di ritorno da
Londra e in viaggio per l'Uganda, fece una
breve visita al nostro Seminario.
Con poche parole - era di fretta per
prendere l'aereo a Pisa - ci tracci il quadro
della sua vita di missionario medico in
Uganda.
Presenti al suo incontro eravamo 140
seminaristi delle tre classi di liceo, e alla
fine del suo colloquio uno dei miei
compagni gli chiese: "Senta, P. Giuseppe,
se uno di noi volesse un giorno farsi
medico come lei, che cosa ci suggerisce?".
"Vi consiglio - disse - di finire gli studi di
teologia e poi di chiedere il permesso ai
Superiori di studiare medicina".
Quelle parole entrarono nel mio cuore
come un piccolo seme e sparirono fino al
1967. Durante il quarto anno di teologia a
Verona, non so come, riaffiorarono e mi
fecero pensare molto. Decisi di parlarne
coi Superiori. Ci furono molte settimane di
attesa e poi giunse la risposta: "Dopo
l'ordinazione sacerdotale potrai studiare
medicina". Ho saputo solo dopo vari anni
che, durante quell'importante delibera dei
superiori, fu appunto il gruppo dei Padri
provenienti dall'Uganda, testimoni
quotidiani del suo servizio di amore con i
malati e del bene immenso che stava
compiendo, che pesarono positivamente
sulla decisione. Altri missionari invece
erano del parere che un missionario debba
essere o prete o medico, ma non vedevano
assolutamente possibile conciliare queste
due vocazioni cos totalizzanti.
Dopo la laurea e un anno presso un
ospedale a Londra, mi recai a Kalongo nel
marzo 1976 e rimasi nove mesi assieme a
P. Giuseppe per imparare da lui la chirurgia
tropicale.
Fu la base della nostra amicizia spirituale,
che crebbe specialmente nei mesi della sua
malattia. Imparai a conoscere la sua
giovialit e mitezza, il suo abbandono a
Dio e alla Vergine Maria, il suo spirito di
preghiera. Alla sua morte, avvenuta il 27
marzo 1987, -nelle circostanze tragiche che
ben conosciamo - fummo in tanti a pensare
che anche per Kalongo Hospital era
suonata la campana morte.
E invece era solo una pausa che Dio
concede alle opere dei suoi santi, prima di
farle rifiorire. Ges morto abbandonato dai
suoi sul Calvario, nel pi totale insuccesso
esterno, inaugur questa legge divina: "Se
il grano di frumento caduto in terra non
muore, non porta frutto alcuno. Ma se
muore porta molto frutto...".
Quando nel maggio del 1989 i miei
Superiori in Uganda mi dissero di andare a
Kalongo per riaprirlo ebbi paura per le
enormi difficolt che sapevo ci avrebbe
48
TERZA PARTE
uniti nello spirito della missione
implicato: insicurezza della guerriglia,
mancanza di medici, mancanza di mezzi
finanziari, assenza delle Suore
Comboniane, assenza della Scuola di
Ostetricia portata da P. Giuseppe al di l
del Nilo a 300 km. Tentai di rifiutare. Poi
intervenne P. Giuseppe con un fatto
straordinario che qui non vi racconto... E
cos dissi al mio Superiore: "Va bene. Ora
accetto perch ho capito che P. Giuseppe
sar sempre con me a Kalongo, nelle gioie
e nei dolori, a portare avanti assieme
quest'Opera frutto del suo
amore e dell'amore di tanti figli e figlie di
Daniele Comboni e di tantissimi
benefattori".
Mi commuovo sempre a ripensare alla
gioia indescrivibile del popolo di Kalongo,
a cui va il merito meraviglioso di aver
salvato la Missione e l'Ospedale per ben
due anni e mezzo contro gli attacchi dei
"Ribelli" che volevano fare terra bruciata...
Nella santa Messa il loro rappresentante
disse: "Quando sentimmo che il nostro P.
Giuseppe, il nostro medico di Dio, era
morto a Lira, (una cittadina a 120 km)
abbiamo pianto lacrime amare, sentendoci
come abbandonati da Dio nella nostra
sventura. Ma subito abbiamo sentito una
forza nuova e cominciammo a pregare la
Madonna di avere piet di noi. Oggi
ricevendo te, P. Egidio, sacerdote e medico
come il nostro caro P. Giuseppe, ci sembra
di sognare e cantiamo di gioia e capiamo
che Dio ama Kalongo pi di tutti gli altri
Ospedali Missionari qui in Uganda, perch
tu sei stato mandato da noi, ad essere un
altro medico di Dio..."
Concludo con questa preghiera che include
me e tutti voi:
Grazie o Signore per il tuo amore per noi
tutti. Grazie per il dono della vita di P.
Giuseppe fatto alla sua famiglia, alla nostra
Congregazione, a Como e all'Uganda tutta.
Fa che le sue parole del testamento scritte
sulla sua tomba siano vissute anche da noi
oggi l dove hai collocato ognuno di noi:
"Dio amore e io sono il suo servo per i
figli che soffrono. Amen".
P. EGIDIO TOCALLI
Missionario del Beato Daniele Comboni
e Confratello di P. Giuseppe
Regoledo di Cosio (SO), 16 febbraio '97
49
QUARTA PARTE
UNA PRESENZA VIVA
algrado la guerra e ci che
successo, si pu dire che quasi
un miracolo che l'ospedale di
Kalongo sia rimasto parzialmente in piedi: la
sala operatoria e tutte le altre attrezzature
sono intatte.
M
Dopo tre anni salta fuori la speranza
di vedere questo ospedale rinascere. I
Comboniani, con P. Egidio Tocalli, pensano
di riaprire all'inizio del 1990, gradualmente,
dando tempo alla gente di riabituarsi. Prima
la maternit, poi, con un paio di medici, fare
le operazioni pi urgenti.
Ci sono molte persone che forniscono
aiuti. Noi a Ronago mandiamo dei containers
con tanta roba, non solo per l'ospedale di
Kalongo.
Una buona parte va per la Scuola
Ostetriche, fondata da nostro fratello e
portata avanti da suor Caterina Marchetti. I
governanti attuali dell'Uganda hanno
riconosciuto che stato veramente un delitto
la chiusura forzata dell'ospedale, che era un
servizio per tutta la popolazione del nord.
Io sono andato tre volte in Uganda:
l'ultima volta, percorrendo la strada da
Kampala a Kalongo (abitualmente occorreva
una giornata di tempo) abbiamo incontrato
dieci posti di blocco.
Bastava una carretta in mezzo alla
strada. Mio fratello frenava, diceva: "C' un
posto di blocco". Noi eravamo sul chi va l,
pensando: chiss cosa succede? Saltavano
fuori gli ugandesi, 15 anni, col mitra, ci
guardavano, leggevano sulla jeep: Kalongo
Hospital e allora cominciavano a parlare
nella loro lingua con mio fratello e a un certo
momento si vedevano i loro visi aprirsi e
andavano a chiamare la gente nascosta nella
savana. La jeep veniva accerchiata da tutti
perch avevano scoperto che il guidatore era
P. Ambrosoli. Si ripartiva.
Dopo sette o otto volte dissi: "Senti,
falla un po' pi breve, altrimenti non
arriviamo pi a Kalongo!" Ogni volta si
mettevano a parlare per un quarto d'ora, poi
noi chiedevamo a mio fratello: che cosa ti
hanno raccontato? Rispondeva: "Sai, la
mamma di quel ragazzo li mi ha raccontato
che l'ho operata io, che stava bene... l'altro
era lo zio, l'altro era il nonno che ancora in
vita..." Era tutta gente che era passata, in
tanti anni, nell'ospedale di Kalongo, meta di
tanti per la sua efficienza, per l'attenzione e
la cura che avevano.
Ancora oggi noi siamo a disposizione
per dare l'aiuto, in memoria di nostro
fratello".
PAOLO AMBROSOLI
50
QUARTA PARTE
Kalongo oggi
Dr. Ambrosoli
memorial Hospital
Finch P. Giuseppe visse, l'Ospedale era
chiamato Kalongo Hospital. Nel momento
di riaprirlo, nel 1989, fu naturale intitolarlo
alla sua memoria. Anche la sua salma
stata riportata nel cimitero di Kalongo (10
aprile 1994), accolta da un trionfo di gioia,
di canti e danze tipiche della cultura
africana.
Oggi nell'Ospedale, di fronte alla sala
operatoria - dove P. Ambrosoli pass gran
parte del suo tempo - c' anche una statua
di bronzo: ritrae P. Giuseppe mentre
sorregge con tenerezza un bambino malato,
salutato da un saggio africano che lo
guarda con venerazione. Tra i reparti pi
importanti dell'Ospedale ricordiamo:
- il reparto di malnutrizione:
la fame, dovuta a povert e a guerre, oltre
che alle scarse piogge, colpisce ogni anno
centinaia di bambini. Essi vengono raccolti
in un reparto specializzato per cure
intensive e dieta appropriata.
- il reparto di maternit:
ogni anno si registrano circa duemila parti.
A motivo delle grandi distanze, la maggior
parte delle mamme non riesce ancora a
raggiungere l'Ospedale. E cos un numero
elevato di esse muoiono a causa di
emorragie e infezioni varie.
Inoltre, da non dimenticare il reparto per i
malati di AIDS; la pediatria e il sempre
affollato dispensario.
Campagna di vaccinazioni
Oltre all'attivit "curativa" dentro
l'ospedale, Kalongo promuove la medicina
di base sul territorio, vasto quanto la
Valtellina e abitato da circa 150.000
abitanti. Grazie a campagne capillari di
vaccinazioni, sono state debellate epidemie
di morbillo e meningite che hanno mietuto
migliaia di vittime nel passato.
51
KALONGO OGGI E... DOMANI?
la scuola
di Ostetricia
una scuola professionale della durata di tre
anni. Fu voluta e fondata da P. Giuseppe nel
1967 con l'aiuto delle suore comboniane. Essa
contribuisce in modo validissimo alla
formazione ed elevazione della donna africana,
assicurando una adeguata assistenza alle
mamme africane, prima, durante e dopo il
parto.
Gi pi di seicento ragazze, provenienti da
tutta l'Uganda, appartenenti per lo pi a
famiglie povere, si sono diplomate a Kalongo.
Tali ostetriche, oltre che assicurare il servizio
dentro l'Ospedale, rendono possibile il servizio
alle mamme nelle zone pi isolate e
periferiche.
Tre anni fa ricominciato anche il corso
aggiuntivo di diciotto mesi per ostetriche capo-
sala.
...e non solo:
KALONGO ..
- la missione (case dei Padri e delle Suore
Comboniane), la chiesa, i laboratori e le
officine....
- la "Ambrosoli Memorial School" gestita
dalle Suore Africane e i loro bambini dalle
divise gialle-blu...
- infine il piccolo cimitero dove riposa e
"veglia" la salma di Padre Giuseppe: sulla
lapide della tomba vi sono scolpite le parole
che lo hanno ispirato e sorretto in tutta la sua
vita: "Dio Amore e io sono il suo servo per la
gente che soffre".
questo il messaggio che P. Giuseppe, il
Medico di Dio, ci ha consegnato come il suo
testamento pi prezioso.
52
QUARTA PARTE
anche tu, insieme!
gni anno spendiamo pi di
300.000.000 di lire per mandare
avanti questo Ospedale dotato di
350 posti letto e della sua Scuola di
Ostetricia con pi di 80 studenti divise in tre
anni di corso...
O
Tutto questo con offerte che sono dono della
Provvidenza...
Anche quest'anno 1996 stato molto
difficile a motivo dell'insicurezza delle
strade: bande armate hanno continuato a
creare imboscate e a mettere mine nella
notte.
Con tanta pazienza e fede in Dio, la vita
dell'Ospedale continuata e di questo
desidero ringraziare il Signore e P. Giuseppe,
assieme a tutti voi. Trovare medici, Ugandesi
e non, diventa sempre pi difficile proprio a
causa dell'isolamento che si produce attorno
a noi. Nei momenti di gioia e in quelli di
dolore sono ormai abituato a fare la mia
visita al Cimitero, presso la tomba di P.
Giuseppe. La sua foto sorridente ispira
fiducia. Ci guardiamo negli occhi, ci
parliamo...
A Lui - ormai felice con Dio - affido tutte le
difficolt che mi pesano sul cuore, certissimo
che poi lui trover una soluzione.
Ogni giorno io affido a Dio tutti voi che ci
sostenete con la preghiera e le vostre offerte.
Grazie ancora per quanto ci avete donato
e ci potrete ancora donare, per mantenere
aperto questo Ospedale e questa Scuola di
Ostetricia, che grazie al vostro dono,
diventano anche "vostri".
Vostro aff.mo P. Egidio Tocalli
(lettera per il Natale 1996)
53
invito alla lettura
27 marzo 1987 - 27 marzo 1997:
dieci anni di miracoli! pag. 2
1. LA FIGURA DI PADRE GIUSEPPE
- il segno del passaggio di Dio pag. 4
- 27 marzo 1987 pag. 5
- il ritorno al suo ospedale: Kalongo pag. 7
2. PADRE GIUSEPPE CI PARLA
- lettere a Renzo Corti pag. 10
- lettere all'Angioletto Merlo pag. 13
- lettere a due giovani di Ronago pag. 14
- lettere alle ragazze di II e III media pag. 16
- lettere ai familiari pag. 17
- lettere a suor Augusta Della Noce pag. 19
- lettere al G.A.M. pag. 21
- lettera a don Antonio pag. 23
- lettera ad Angelo Sedetti pag. 24
- lettera a Bernasconi Elisabetta Pastori pag. 25
- lettera a Serafino pag. 25
- corrispondenze con suor Matilde pag. 26
- lettere circolari pag. 27
- esodo da Kalongo pag. 31
- fax all'A.V.S.I. pag. 33
- "testimoni della resurrezione di Ges" pag. 34
3. CI PARLANO DI PADRE GIUSEPPE
- Ronago lo ricorda cos pag. 35
- il ricordo di un amico pag. 45
- ricordo dei 25 anni di sacerdozio pag. 47
- uniti nello spirito della missione pag. 48
4. UNA PRESENZA VIVA
- Kalongo oggi pag. 51
- Anche tu, insieme! pag. 53
La comunit parrocchiale
di Ronago ringrazia tutti
coloro che in forme diverse
hanno collaborato rendendo
possibile la realizzazione di
queste pagine
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