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Giovanni Romano

Bacchin

A PROPOSITO DI META FISICI "CLASSICI",


E DI "VETEROPARMENIDEI"

"NEOCLASSICI"

Risposta ad un critico

Intendo esaminare i punti nei quali C. Scilironi, esponendo e in


parte criticando la posizione di E. Severino', si mostra seriamente
convinto che le obiezioni mosse da E. Berti e da me a Severino appunto! sono non pi che vani tentativi di resistere alla "sottile ma
ferrea logica severiniana"? e formula sulla scuola di M. Gentile,
alla quale Berti ed io apparteniamo, un giudizio di fondamentale
inadeguatezza nei confronti dei "neoclassici" della scuola di G.
Bontadini dalla quale Severino proviene.
Scilironi cosi si esprime: "tra le varie strutturazioni dell' ontologia la dimensione neoclassica costituisce la posizione pi rigorosa?",
si che "la dissoluzione di essa operata da Severino riguarda anche
tutte le altre riprese della metafisica'". Egli invero non dedica molto spazio alla nostra critica, n all'impostazione filosofica che la
sostiene, ma soprattutto non articola i propri giudizi con quella
compiutezza di argomentazioni che essi esigerebbero, anche se si
L

C. Scilironi,

Ontologia e storia nel pensiero d Emanuele Severino, Abano Terme

1980, e "Coerenza
verino",
2.

"Coerenza

sintattica

e insignificanza

semantica

nel pensiero

Verifiche 3 (1980), pp. 253-289.


... n, cit., pp. 263-265.

3. Ontologia. .., cit., p. 52.


4 ...

Coerenza

, cit., p. 278.

5. "Coerenza ", cit., p. 278.


Giornale di Metattstco - Nuova Serie - VI (1984), pp. 411-430.

di Emanuele

Se-

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Govann Romano Bacchin

deve riconoscere che ha saputo raccogliere - se non cogliere -le


tesi capitali del nostro discorso".
L'importanza effettiva dei temi in questione, valutazioni e raffronti tra due scuole filosofiche e la recente pubblicazione del mio
lavoro Teoresi metafisica 7, in cui tratto la medesima tematica, mi
inducono ad una risposta anche breve, ma non brevissima, come
quella che sto per dare, nella speranza che precisazioni e chiarimenti possano tornare utili e non solo a Scilironi.
Berti ed io - ma non siamo i soli - siamo convinti che "tanto
l'oggettivazione dell'essere quanto l'apparire del nulla sono impensabili". Per noi, dunque, tutto il discorso severiniano nonch la
sua matrice neoclassica cadono". Per Scilironi, invece, vero che
l'essere inoggettivabile, ma ci non comporta che non sia pensabile e, cosi, per lui, la caduta non c'. Egli scrive:
E' da dire che non vi sono dubbi in proposito perch se l'essere fosse
oggettivabile, sarebbe con ci stesso ridotto all'ente. Ma il fatto che
sia inoggettivabile
non significa che l'essere non possa venire pensatolO.

Osservo che l'inoggettivabilit

dell'essere tutt'altro

che ovvia:

una impossibilit, la quale risulta e risulta da un processo, che


il tentativo frustrato di oggettivare l'essere alla stregua dell'ente.
Questo tentativo non un'illusione o lo anche ci che con esso
risulta: esso funzionale alla dimostrazione che appunto l'essere
non oggettivabile. N basta dire che - oggettivato - sarebbe "un
ente", bisogna dire che - oggettivato l'essere - nessun ente sarebbe, perch l'essere verrebbe sottratto ad ogni altro da esso.
Ora, lo stesso tentativo di oggettivare l'essere non appare come
"tentativo" se non in quanto l' oggettivazione tentata si converte
in contraddizione. La contraddizione qui - ovvero l'oggettivazione dell' essere - consiste nel considerare, ossia pensare, l'essere alla stregua dell' ente, come accade nella proposizione "l'essere ".
In questa proposizione (alla quale, come si sa, Severino non pu ri6.
7.
8...
9.
10_

"Coerenza ... ", cit., pp. 263-264.


G.R. Bacchin, Teoresi m e tafisic a , Edizioni Nuova Vita, Padova 1984.
Coerenza .;." , cit., p. 264.
"Coerenza...", ci., p. 263.
"Coerenza ... ", cit., p. 264.

Metaruici

"classici",

"neoclassici" e "oeteroparmenidei"

nunciare senza far crollare tutto il proprio pensiero) l'essere viene


"semantizzato" appunto come ente, poich, nonostante ogni volont contraria, la parola "ente" significa ci che "".
Allorch, per differenziare l'essere dall' en te od anche per dire
che esso inseparabile dall'ente, si ricorre ad espressioni come
"presenza", "totalit semantica", "verit dell'essere" e cos via,
non si fa che sostituire e riprodurre la parola "essere", mantenendon e l' oggettivazione. Voglio dunque richiamare Scilironi a quella
"coerenza sintattica" che egli tanto ammira, perch, una volta
concesso - come egli si mostra pronto a fare - che l'essere
inoggettivabile, egli ha gi accettato, lo voglia o no, la critica mia
e di Berti a Severino nonch a tutti coloro che parlano di "sernantizzazione dell' essere".
Scilironi, invece, concede bens che l'essere non possa venire oggettivato, ma non concede che non possa venire pensato. Gli domando: che cosa significa "pensato"? Significa "oggetto di pensiero", ancora "oggetto"; ed anzi la sua argomentazione (oggettivare l'essere sarebbe ridurlo a ente) poggia proprio su questo: che
l'ente, ossia ci-che-, appunto oggetto e certamente oggetto di
pensiero, dunque un pensato.
Nella proposizione "l'essere " - in cui dell'essere si dice ""accade appunto che l'essere divenga un pensato e, se si pretende di
dire che esso la totalit dei pensati, si pensa questa "totalit", la
quale diventa eo ipso un pensato, ossia uno dei pensati dei quali
totalit. L'espressione "oggetto del pensare" (o, se si vuole, "pensato") sensata se e solo se il pensare non esso stesso "oggetto".
Cosi, l'identit di essere e pensare - quella identit che Scilironi
riscontra alla base del pensiero di Severino" - in quanto venga
pensata non quella identit che si intende con tale espressione.
Ma "come si pu escludere la pensabilit dell' essere senza pensare
l'cssere?" - mi domanda Scilironi'" -. Rispondo subito. E rispondo ripetendo ci che ho scritto in libri che Scilironi conosce.
Con il semantema "essere" - ma non in virt di esso - indico
appunto l'impossibilit che l'essere sia un pensato. Per dire che
l'essere non pu venire pensato, uso il semantema "essere", che
11. "Coerenza
12. "Coerenza

", cit., p. 256.


", cir., p. 264.

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Giovanni Romano Bacchin

semantema imprescindibile, n ritengo che esso non abbia significato (come ritengono i neopositivisti ai quali Berti ed io veniamo
da Scilironi incautamente assimilati'P], o che semantema sarebbe?
Ma che un semantema sia imprescindibile non dice se non questo:
esso imprescindibile come semanterna; ed appunto come semantema che lo tratto, ossia per il "significato" nel quale mi riferisco a ci che . Ci che (o l'essente, l'ente) viene inteso nella semantizzazione,
che poi lo stesso "parlare", se e solo se il
pensiero che la usa non si identifica con essa.
Questo intendere usa del semantema "essere" per dire che la semantizzazione (ancora una volta, pi semplicemente e pi efficacemente il "dire") concerne solo ci che pu incontraddittoriamente venire sernantizzato. Ebbene, proprio perch semantizzare riferire ad altro - come i "neoclassci" e Severino giustamente ripetono - diciamo che sernantizzare anche l'essere impossibile (e la parola "essere" dice questa impossibilit). I due semantemi "essere" e "pensare" non possono venire incontraddittoriarnente riferiti ad altro da essi (l'altro, infatti, deve essere ed essere pensato), dunque non possono venire semantizzati se non per ci che
con essi si indica e che non si identifica con essi o ci che si indica non viene indicato affatto.
Scilironi per scrive:
il concetto di essere [ ...] quel concetto trascendentale
che esprime la
totalit semantica, la cui differenziazione
data solo da ci che al di
l dell'essere, ovvero dal nulla; che, proprio perch non , un concetto idealel4

Qui, anche lasciando correre le imprecisioni come "concetto dell'essere" e le inutili sostituzioni linguistiche come "totalit sernantica", mi basta svolgere il suo discorso: se la differenziazione del
"concetto di essere" data solo (e da che altro se no?) da ci che
al di l dell'essere, ossia dal nulla, che sarebbe "concetto ideale",
tutta la 'differenza del "concetto di essere" da ogni (altro) concetto resta, comunque, "ideale" e nel senso che Scilironi d a questa
parola, quello di non essere reale, di non essere semplicemente.
13. "Coerenza...", cit., p. 264.
14. Ibidem,

Metafisici

"classici", "neoclassici" e "ueteroparmenidei"

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Che come dire che quella semantizzazione non "".


E' vero che le espressioni "reale" e "ideale" appartengono al vocabolario di Scilironi, pi che a quello di Severino, ma anche vero che non alterano la sostanza del discorso dei "neoclassici" e di
Severino. Che per semantizzare l'essere vi sia bisogno del "nulla"
fuori contestazione. Che di questo bisogno si siano lucidamente accorti i "neoclassici" va a loro onore. Ma - qui il punto - Severino ne trae la conclusione che non si pu non pensare il nulla e
Bontadini che la semantizzazione dell' essere si compie "in funzione del negativo" (ed la medesima conclusione), mentre noi - e
ci viene giudicato mancanza di rigore da Scilironi - ne traiamo
la conclusione che pensare l'essere in quel senso, ossia mediante il
nulla, contraddittorio.
Quando poi Boccanegra dichiara di condividere il criterio "secondo il quale l'essere si semantizza, cio' si notifica quoad nos, solo nella originaria opposizione al non essere"! s, con il quoad nos al quale Scilironi non d alcun peso - si trova a condividere, invece, il nostro criterio, poich quoad nos vuoi dire questo: non
l'essere in se (le due espressioni scolastiche vanno insieme) che viene cos semantizzato; e lo in se degli Scolastici non ha - come
noto - il significato gnoseologico che avr nel pensiero moderno.
Con ci l'obiezione che, usando le parole "essere", "ente",
"non essere", siamo gi in piena semantizzazione de li'essere - obiezione che cavallo di battaglia di Severino'" - si mostra del
tutto inconsistente. Queste parole, infatti, anche se fossero insostituibili, lo sarebbero per il loro "significare", il quale resta incontraddittorio
solo a condizione di non venire disgiunto dallo ""
con cui si dice qualcosa. Ebbene, proprio questo "" indisgiungibile dalla domanda "che cosa ?", la quale domanda filosofica o,
come noi diciamo, "problernaticit
pura"; ed domanda irriducibile alla domanda "che cosa significa?" perch la investe e interamente: che cosa significare?
Il luogo in cui affondano le loro indagini i "neoclassici" e nel
quale concresce la "verit dell'essere" di Severino quello della ri15. "Coerenza...", cit., p. 263.
16. Si veda, in modo particolare, E. Severino, Essenza del nihilismo, Brescia 1972, p.
147.

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sposta a questa domanda: significare - o semantizzare - fondamentalmente opporsi di positivo e negativo. Non abbiamo mai preteso di opporci a questa risposta, mentre la manteniamo nel suo
luogo originario, che appunto il significare, il dire. E, mantenendola nel suo luogo originario, dimostriamo che la domanda "che
cosa l'essere?" contraddittoria. E' contraddittoria perch come domanda ("che cosa ?") non pu disgiungere lo "" da se
stessa e come domanda intorno allo "" lo disgiunge da se stessa,
riducendolo a pensato su cui si domanda.
Qui si snodano due importantissimi rilievi. Il primo concerne
l'impossibilit di asserire qualcosa dell' essere ("l'essere ", "l'essere la totalit semantica", "l'essere sintesi dell'essere e delle
determinazioni dell'essere" e cosi via) senza che questo asserire
non si ponga come risposta - lo si sappia o no, lo si voglia o no,
lo si voglia o no sapere - ad una domanda sottesa, la quale domanda in questo caso contraddittoria:
"che cosa l'essere?".
Proprio perch ogni asserto intorno all'essere presuppone l'asserto "l'essere ", tale asserto viene considerato dai "neoclassici" e
da Severino in discutibile , mentre esso, come asserto, risposta ad
una domanda e, come asserto "l'essere ", risposta ad una domanda contraddittoria, questa: "l'essere o non ?".
Che la risposta suoni "l'essere e non pu non essere", "l' essere ,negazione della negazione dell'essere" non la sottrae all'essere risposta e, dunque, a quella dmanda. E quella domanda
(l'essere o non ?) appunto la struttura non vista dai "neoclassici", i quali non si accorgono che il "negativo", il "non" da loro
valorizzato appunto originariamente nell'alternativa che costituisce il domandare ( o non ? cos o altrimenti da cos?). Per
asserire, ossia per rispondere, "", " cosi" bisogna negare rispettivamente "non ", " altrimenti da cosi ", Allora il senso in cui
l'affermazione negazione della sua negazione quello stesso in
cui si pone la domanda, anzi trascrizione assertoria della struttura della domanda.
Che se poi i "neoclassici" volessero considerare "soggettiva" e
teoreticamente irrilevante la domanda - come hanno sempre mostrato di fare - dovrebbero coerentemente considerare "soggettiva" e teoreticamente irrilevante quella opposizione di positivo e di
negativo, ossia di "" e "non " - cosa che giustamente si rifiuta-

M~tlJfisici "classici", "neoclassici" ~ "ueteroparmenidei"

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no di fare.
Ci che allora si impone - ed parola cara a Severino - , dunque, che non vi pu essere affermazione immediata del Logo (nelle note forme "l'essere ", "l'essere appare", "l'essere si manifesta") perch non vi pu essere "affermazione" immediata: l'immediatezza dell'affermazione , piuttosto, la pretesa affermazione
dell'Imrnediatezza!", Qui "immediatezza" non ha, n pu avere,
il significato ristretto che le d Severino, perch ogni eventuale
"mediazione" o "negazione" sarebbe eo ipso immediata se venisse
pensata od oggettivata, sernantizzata nell'unica forma che di tutto,
anche del tutto o intero dice: "".
E mi basta che Severino dica "l'intero ", per sapere che quello
non l'intero, stante che lo "" comunque oggettivante nel senso proprio della parola, ossia "affermante" e affermante di contro
all'opposto in cui si trascrive la domanda " o non ?". E l'intero
- di certo - anche per Severino non pu domandare di se stesso se
sia O non sia. Dico anche per Severino, il quale parla di "autosignificazione", che vuoi dire "venire significato da se stesso", espressione con cui si pu intendere che l'intero non pu venire significato da altro (e siamo d' accordo), ma con la conseguenza che nessuna parola dice l'intero, ossia che il significare - e la struttura di
questo - non la struttura dell'intero, bensi dell'affermazione
con cui si dice l'impossibilit che l'intero non sia.
Lo "" di ci-che- non pu venire separato da ci che . Al di
l della pletorica esposizione della Struttura originaria (opera che
stupisce anche per la giovane et del suo autore, ma che, nei prestiti di linguaggio pseudomatematico, porta tutte le tracce della ingenuit giovanile) e al di l dell' enfasi delle opere pi recenti, questo il centro - se non l'unica idea - che muove il suo pensiero.
Ebbene, proprio questo - non altro - la scuola di M. Gentile fa
valere nei suoi confronti: che proprio questa separazione impossibile egli la subisce. La subisce perch essa gi avvenuta alle sue
spalle, affinch possa affermare - ossia negare la negazione di ci
che afferma - "l'essere ", "l'intero ", che sono altrettante risposte (meglio: varianti linguistiche di un'unica risposta) alla dornan17. G.R. Bacchia, L'immediato e la sua negazione, Perugia 1967, e Teoresi metafisica,
cit., p. 44.

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Govanni Romano Bacchin

da " o non ?", la quale domanda impossibile perch suppone


strutturalmente
che l'essere possa non essere.
L'equivoco in cui si cade qui nel considerare - senza mediazione effettiva - l'impossibilit di dire "l'essere " come se fosse
negazione dell'essere, ossia come "l'essere non "lS. E' equivoco
che deriva dal non vedere che entrambi gli asserti (entrambi inseparabili dalla domanda " o non ?") sono bens opposti tra loro,
ma nessuno dei due pu opporsi alla domanda in cui si pongono
entrambi e senza della quale non sorgono. Cosi, obliando questa
domanda, o procedendo senza tenerne conto, ben vero che dichiarare impossibile "l'essere " equivale a far valere - almeno implicitamente - il suo opposto, ossia "l'essere non ", laddove - ed
ecco il senso del nostro discorso - per quella domanda (obliabile,
ma innegabilmente fungente) i due asserti opposti si equivalgono
tra loro, nel senso che entrambi sono contraddittori.
Considerati fuori della domanda, essi sono contraddittori l'uno
nei confronti dell'altro, ma considerati nella domanda (che la loro stessa posizione) sono contraddittori ciascuno in se stesso. In altre parole, l'asserto "l'essere " bensi negazione dell' asserto opposto "l'essere non " ed incontrovertibile, e qui siamo d'accordo. Qui, per la significazione che appunto asserzione, possiamo
anche accettare la formulazione pi sintetica - ma non pi chiara - che ,Severino ne d, ossia che l'essere negazione della negazione dell' essere o che "cosa ogni non-niente" (che poi vuoi dire: cosa o ente ogni non non-ente o non-cosa). Si tratta appunto
della stru ttura del significare o asserire. Qui, anzi, l'accordo con i
"neoclassici" totale, con la conseguenza che riconosciamo la fragilit delle obiezioni loro mosse da altri metafisici a questo riguardo. Ma ecco che cosa ci distanzia radicalmente dai "neoclassici" e
da Severino: questa bensi struttura dell'asserire o significare, ma
non struttura originaria dell'asserire o-significare, n, tanto meno, struttura originaria simpliciter.
Non struttura originaria dell'asserire, perch quest'ultimo intelligibile ("") solo a condizione di restare in separato dalla domanda " o non ?", che il suo luogo originario: asserire , infatti, rispondere. Non pu essere struttura originaria simpliciter, per18. G.R. Bacchin, Su l'autentico nel filosofare, Roma 1963.

Metafisici

"classici",

"neoclassici'

e "ueteroparmenidei'

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ch la opposizione di "" e "non " - originariamente nella


domanda " o non ?" - non essa quello intelligibile che la
domanda stessa intende, perch l'asserto come tale, dunque ogni
asserto, insorge intendendo di non esserlo, o non insorge affatto:
esso, infatti, insorge rispondendo "" o "non ", ossia intendendo
di escludere quell'opposizione e, quindi, di escludere che essa sia
originaria.
Scilironi, per, ripete: "l'essere non esclude, alcunch, ma solo
il non essere, donde l'opposizione di positivo e negativo'''9. Osservo: dopo avere detto che l'essere non esclude alcunch del
tutto pleonastico che si aggiunga "esclude solo il non essere", ch
se, invece, si fa valere, come i "neoclassici" fanno, questo pleonasmo, allora non si tratta pi di pleonasmo, ma di non senso. E'
un non senso perch, in quanto si tiene fermo che "esclude", si
tiene fermo che esclude "qualcosa" e in quanto si tiene fermo che
non esclude "alcunch" si lascia cadere che escluda. Cos, l'essere
che per i "neoclassici" si oppone al nulla di cui sarebbe esclusione,
per noi il semantema con cui diciamo che l'esclusione non originaria e, in questo senso, l'essere non esclude nulla perch non
esclusione affatto. Le espressioni che non possiamo non usare, "essere", "non essere", "non esclusione", "non si oppone" sono costrutti con i quali, ma non in virt dei quali pensiamo e cos il pensare non vi si identifica o. con essi, non si intende pi.
Scilironi scrive ad ulteriore chiarimento:
La posizione di un significato sempre la posizione di un limite semantico, che la stessa significanza del significato considerato,
tranne nel
caso in cui questo sia lo stesso intero semantico, ossia la totalit dell' essere. Ma anche per il semantema infmito la struttura di fondo non cambia: esso (l'essere) posto nella misura in cui significa la negazione del
suo al tra (il nulla) 20.

Non capisco come riescano a stare insieme le due espressioni "tranne nel caso" e "la struttura di fondo non cambia" (la severiniana
"struttura originaria"), ma anche senza capire questo sono in grado di capire che se la "struttura di fondo" non cambia, ossia
quella stessa degli "enti", allora l'essere (o "totalit dell'essere")
19. "Coerenza
20. "Coerenza

", cit., pp. 2611-266.


", cit., pp. 262-263.

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Giovanni Romano Bacchin

strutturalmente un ente.
Proprio perch, cosi, esso strutturalmente "ente", dal quale lo
"" inseparabile, Scilironi, anche pi scopertamente di Severino,
destina l'essere a negare il suo opposto per essere e ad essere per
poterlo negare, o non esso che lo nega. E proprio perch, cosi,
l'essere strutturalmente ente, gli sembra indiscutibile che esso,
dovendo negare, neghi il nulla come suo "altro".
Scilironi, per, non aveva cominciato con il dare per scontato
che l'essere non "ente", tanto da oppormi su questa base che esso bensi inoggettivabile, ma pensabile? Come pu ora dire che,
per l'essere e per l'ente la struttura di fondo la medesima? Qui
lo devo richiamare al suo autore, il quale, se dicesse che la struttura la medesima per l'uno e per l'altro (dunque "altri" tra loro),
con ci stesso riconoscerebbe una identit non originaria tra ente
(ci che ) e essere (lo ""), minando, con ci, la base stessa dci
proprio pensiero.
Comunque, per Severino, "il 'non essere' appartiene allo stesso
significato 'essere' "11, come Scilironi puntualmente ricorda'P. Bene, proprio per questo - concludo - il significato "essere" (o, meglio, l'essere nel semantema "essere") contraddittorio. E' contraddittorio nel senso che la negazione, insopprimibile dal significato "essere", originariamente nella domanda " o non ?",
la quale insorge perch " e non " impossibile, o non insorge affatt, ossia il suo stesso insorgere l'impossibilit di " e non ".
Cosi, quell'asserto di Severino - come ogni asserto - risposta
alla domanda " o non ?", " cosi o altrimenti da cosi?", e, dunque, intende che non possa insieme essere e non esserei ma ci che
esso asserisce , invece, che il "non " appartiene allo stesso "",
si che esso - e proprio come asserto - si contraddice.
In altre parole, quell'asserto di Severino insorge come asserto
per rispondere alla domanda sottesa "che cosa l'essere?" (la quale, come ho detto, presuppone l'asserto "l'essere ", che, a sua
volta, risposta alla domanda sottesa "l'essere o non ?"), ma
non risponde affatto: non risponde perch - lo veda o no Severi21. "Coerenza .,;" , cit., p. 263. Scilironi cita Stnltlura originaria, Brescia 1958, p. 84.
22. Sarebbe stato opportuno, per, che indugiasse sull'uso severiniano dci verbo "appartenere", uso che dice da solo il carattere "scolastico" dell'impianto deU'opera.

Metafisici "classici", "neoclassici" e "ueteropcrmenidei"

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no - trascrive in termini assertori la domanda, appunto quella in


cui sono posti in alternativa lo "" e il "non ". Con ci ho gi
detto anche a proposito del preteso "apparire del nulla", ma non
superfluo che mi soffermi a richiamare Scilironi ed altri a ci che
sottende tale costrutto severiniano.
Il "nulla", che per i "neoclassici" da solo non fa contraddizione, espressione linguistica che economizza lo " e non ", appunto la contraddizione, si che il semantema "nulla" (o niente, non
ente) trascrive quello " e non " in cui il "non" si colloca a condizione che sia posto lo "" e, insieme, appunto contraddittoriamente, nega lo "" senza di cui, per usare espressione severiniana,
non "appare" e con cui non pu "apparire".
La differenza - in discutibile per i "neoclassici" - tra "pensare
il nulla" e "non pensare" un equivoco. L'equivoco per appartiene all'intera impostazione in cui esso non viene riconosciuto perch ne costituisce parte integrante. E per dissipare l'equivoco - ossia l'intera impostazione - pongo una domanda; questa: quando si
dice "la contraddizione appare" si intende dire che essa appare come tale o no? Il senso della domanda questo: se la contraddizione appare come tale, allora la parola "apparire" significa qui "riconoscimento della contraddizione", che riconoscimento della sua
impensabilit, si che dire "contraddittorio"
lo stesso che dire
"impensabile".
A questo punto, chi sostiene la pensabilit della contraddizione
si trova costretto a dire che essa non appare come tale (o - ed lo
stesso - che il suo apparire non tutt'uno con il suo riconoscimento), ma allora come pu sapere che la contraddiz.ione che
gli appare? Lo sa, ma non dalla semantizzazione, la quale arriva,
per cosi dire, a cose fatte, ossia per dire o formulare l'incontraddittoriet del riconoscere la contraddizione ed in questo dire o
formulare che essa pone la contraddizione e pone il suo toglimento, come visibile nella parola "in -contraddittorio".
Per dire che
impensabile un "porsi" che "togliersi" costruisce - e senza
contraddirsi - il semantema "incontraddittoriet".
In altre parole, se si riconosce la contraddizione come tale, se
ne riconosce eo ipso l'impensabilit e se, invece, si divide - come
fanno i "neoclassici" -lo "apparire della contraddizione" dal riconoscimento che essa altra parola per dire "impensabile", si ritie-

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Giovanni Romano Bllcchin

ne bensi di pensare la contraddizione (o che la contraddizione "appare"), mentre ci che effettivamente pensabile ci che il semantema "contraddizione" indica e nel quale, per poterlo indicare, non si pu risolvere.
Cosi, lo "apparire della contraddizione" inseparabile dal sapere che "contraddizione"
altra parola per dire "impensabile"
e, quindi, pretendere di pensare la contraddizione tutt'uno con
il pretendere di separare l'inseparabile, di separare, cio, il pensiero dal pensiero.
A proposito di "inseparabili", per, deve venire portata qui
un'altra precisazione. V' una separazione dell'apparire dall'apparire che Severino vede. E' quella per la quale si ritiene di poter
dire - e sulla base dell' apparire - "questo non pi", invece di
dire correttamente "questo non appare pi", ed illazione indebita. Per spiegare a Bontadini e ad altri che questa separazione
impossibile, Severino ha faticato non poco e ancora continua a
faticare. Per dimostrarne l'impossibilit, egli ha coniato la formula
"qualcosa pu apparire solo se appare il suo apparire'P", che non
formula chiara, n sin tatticamente corretta, ma suscita l'entusiasmo di Scilironi. Non chiara, perch certamente non intende fare dell'apparire una cosa; non sin tatticamente corretta, perch
lo "appare" o ripete il significato di "apparire" di cui lo si dice o
lo contraddice; suscita l'entusiasmo di Scilironi, il quale ritiene
che on essa Severino abbia confutato incontrovertibilmente i suoi
critic'" .
Non , per, la separazione dell'apparire dall'apparire confutata da Severino che - a differenza di altri critici - ho mai contestato, ma un'altra, quella di cui sto parlando e che Severino non
vede. Essa pi radicale e, quindi, pi fatale: la separazione tra
il cosiddetto "apparire della contraddizione" e il riconoscimento
in atto che "contraddizione" parola che dice tutto e solo ci che
dice la ,parola "impensabile". Ebbene, nello spazio fittt'zio che si
venuto a creare con questa separazione si colloca la pretesa di pensare anche la contraddizione, anche il "nulla" e, quindi, si colloca
tu tta l' ap oretica severiniana della Stru aura originaria.
23. "Coerenza
24. "Coerenza

", cit., p. 277.


", cit., p. 278.

M~lafisici "classici", "neoclassici" e "ueteroparmenidei"

423

Che come dire: se Severino non riesce a dimostrare che tale


spazio - vitale per la sua "struttura originaria" - non fittizio,
tutta la sua opera inconsistente. E, certo, per dimostrarlo non
pu far valere la semantizzazione, perch proprio essa in questione,
, n pu obiettarmi, come mi ha obiettato'", che sono costretto
anch'io ad usare il sernantema "nulla", perch non ho bisogno di
non usarlo per sapere che "nulla" altra parola per dire "impensabile" .
Ed ancora, per tale sua dimostrazione - ossia che quello spazio
non fittizio - non pu far valere la sua pur corretta assunzione
dello "apparire", perch questo - come Severino ben sa - effettivo apparire solo nel suo lasciar essere ci che e cos com' , si
che l'apparire del "nulla" non pu dire "il nulla " pi di quanto
non lo dica il suo apparire, il quale non pu non dire tutto e solo
ci che del "nulla" riconoscibile, ossia il suo essere semantema
che economizza la "contraddizione", ovvero lo "impensabile". Questo - non altro - intendevo in quel passo di L'Immediato e la sua
negazione con cui Scilironi si cimen ta (e mi costringe ad usare questa parola), ossia che "se il niente fosse veramente niente, il suo apparire consisterebbe nell'apparire del suo essere niente, del suo
non essere"26.
Ci che pi importa, per, - alla radice del discorso che sto
svolgendo - questo: poich il semantema "contraddizione" non
dice niente che non dica il semantema "impensabile", il riconoscimento in atto che la contraddizione impensabile - riconoscimento inseparabile, come si visto, dal cosiddetto "apparire della contraddizione" - inseparabile dal riconoscimento che "contraddizione" (o impensabile) un semantema.
Con questo riconoscimento si impone una necessit: che lo ""
con cui si dice "la contraddizione " resti indiviso, come ogni ""
(e Severino qui non pu non trovarsi d'accordo), da ci di cui lo si
dice. E nella espressione "la contraddizione ", lo "" non pu venire diviso da "contraddizione"
e, quindi, non pu venire diviso
dall'essere semantema della contraddizione (per esteso, infatti, l'e25. Si veda il Poscritto a "Ritornare a Parmenide", in Essenza de! nihilismo ; cit., p. 147.
26. "Coerenza ...", cit., p. 265. li passo di L 'imm~diato e la sua n~gazion~, cit., a p.
132.

424

Giovanni Romano Bacchin

spressione "la contraddizione " suona: "il semantema 'contraddizione' ").


Se ora, come accade a Severino, si divide contra mentem "contraddizione" dal suo essere semantema, ci si trova nella situazione
di dire bensi "la contraddizione ", ma di attribuire questo ""
(indivisibile da "il semantema 'contraddizione' ") a contraddizione simpliciter. Poich, come si detto, "contraddizione" - per il
riconoscimento in atto - altra parola per dire "impensabile", l'espressione equivalente "l'impensabile " si trova nella situazione
di attribuire lo "" che proprio del semantema allo impensabile
simpliciter. Per questo "" si dice - come dice Severino - che
"contraddizione" (o nulla) pensabile, mentre ci che pensabile, per questo "" che suo, ancora e solo il semantema. E il semantema qui per esteso dice che "contraddizione" e "impensabile" sono lo stesso.
Cos, con il semantema "nulla" non si pensa il nulla, non si
pensa, cio, l'impensabile e pensare l'impensabile contraddire
cio che si ritiene di pensare e, dunque, contraddirsi. Questo, pertanto, il senso preciso con cui diciamo - ma non senza fiducia
nel! 'intelligenza del lettore - che pensare il nulla non pensare.
Ed questo il senso in cui, nel mio lontano articolo Intero metafisico e problematicit pural7, scrivevo che il pensiero tiene presente se stesso "nel suo limite". Nel contesto del mio discorso, "limite" ha il significato classico della determinatezza di ci che .
Appunto perch lo "" di ci che non pu venire separato da ci
che , non si pu dividere il pensiero da ci che il pensiero "" o, impropriamente parlando, dal suo essere -. Ora, un pensiero,
come quello di Severino, che pensa l'impensabile (la contraddizione, il nulla) appunto diviso da se stesso, ossia da ci che esso "".
Il "pensiero" di Severino diviso da se stesso. E' diviso da se
stesso in quanto riconosce - almeno implicitamente - che la contraddizione impensabile e, infatti, si articola come "toglimento
della contraddizione" e, insieme, pensa la contraddizione ed anzi
dimostra di doverla pensare per poterla togliere e, insieme, procede
a togliere la contraddizione nella forma severiniana del "risolvimento dell'aporia".
27.

Rv. di filoso neo-scolastica 57 (1965), pp. 305-321.

Mttafisici "classici", "neoclassici"

"ueteroparmenidei"

425

L'argomento con cui Severino ha creduto di potermi "liquidare" ( la parola), ossia che quel "limite" appunto il nulla28, era
eccentrico rispetto al mio discorso quanto lo appunto il pensare
di cui parlano i "neoclassici" dal pensare per il quale la nostra
scuola parla di "metafisica classica" e segna, anzi, l'effettiva distanza tra le due scuole. Che come dire che quello non un argomento, ma l'imposizione di uno statuto linguistico sul senso di un
discorso che si pretende di confutare.
Il senso, infatti, in cui i "neoclassici" dicono che l'essere viene
pensato quello stesso in cui dicono - esplicitamente con Severino - che si pensa anche il nulla e, dunque, essi non vedono la contraddizione della "semantizzazione dell' essere". Il senso in cui noi
diciamo che l'essere non pu venire pensato che, per pensarlo semantizzandolo, bisogna pensare anche il non essere, ma - ed ecco
il punto decisivo - per pensare il non essere o la contraddizione
bisogna separare l'inseparabile, ossia bisogna separare il pensiero
dal riconoscimento che "contraddizione" (o non essere) altra parola 'per dire "impensabile", appunto separare il pensiero dal pensiero.
Ed ancora questo che sinteticamente indicavo con l'espressione "residuo gnoseologistico", espressione che Scilironi - ma evidentemente non solo lui - considera del tutto impropria per connotare la posizione di Severino'": Devo precisare intanto che non
ho mai detto che Severino ed i "neoclassici" ritengono di essere
"gnoseologisti" e, pertanto, non ha senso oppormi che intendono
di non esserlo o che ritengono di avere superato, con l'identit
semantizzata di pensiero ed essere, ogni alterit nel "rapporto"
del pensiero con l'essere.
Se per gnoseologismo, per, si intende correttamente e fondamentalmente ogni posizione per la quale "pensabile" non equivale
a "intelligibile", per una posizione come quella che discuto in cui
viene considerato pensabile anche il non-intelligibile, appunto il
"nulla", quell'espressione appropriata. Anzi, di pi, il modo in
28. Essenza del nihilismo, cit., p. 147. La superficialit con la quale Severino, allora astro in ascesa, ha considerato le mie osservazioni mi ha dissuaso dal continuare a
discu tere con lui.
29. "Coerenza ...", cit., pp. 264265. Ontologia ... , cito, p. 52.

426

Giovanni Romano Bacchin

cui Severino - insistentemente - sottolinea che Aristotele nel De


interpretatione
(21 a, 32-33) avrebbe eluso l'aporetica del nulla,
trattata, invece, da Severino stesso nel capitolo IV della Struttura
originaria'? non pu ottenere qualificazione diversa.
Se, infatti, Aristotele vi dice che "conoscere il niente" conoscere che il niente non e Severino osserva - come osserva - che,
appunto per conoscere che il niente non , bisogna conoscere "il
nien te" ed affrontarne l' aporetica", ci che Severino rimprovera
ad Aristotele ed a tutta la metafisica classica che Aristotele e tutta la metafisica classica non hanno separato - come lui fa - il pensiero dal pensiero, ossia non hanno disgiunto "pensabile" da "intelligibile" .
Bisogna individuare, per, anche il punto in cui l'attenzione dei
"neoclassici" al semantizzare - incluso lo iter di Severino che in
quel semantizzare si fonda - si spiega nelle proprie ragioni, ed
quello che pi volte affiorato nel presente discorso a proposito
del semantema come tale. Si tratta di una preoccupazione.
La
preoccupazione questa: l'ambito del linguaggio - nella sua effettiva accezione - non pu venire considerato se non nella interezza
- o integralit - della intenzionalit conoscitiva. Per questa interezza non v', infatti, alternativa al "linguaggio". E qui si ristablisce il nostro accordo con i "neoclassici", nel senso che, per loro
come per noi, l'ambito del filosofare non pu essere quello del
\
preteso "ineffabile".
Comune anche il convincimento che lo essere semantemi di
"essere" e "pensare" non comporti un' alterazione di ci che i semantemi stessi indicano, perch non possibile istituire un confronto tra lo "essere" e il semantema "essere", tra il "pensare" e il
semantema "pensare", senza riprodurre all'InfinitoIa semantizzazione dell'uno e dell'altro. Sotto questo aspetto non si pu parlare di "gnoseologismo"
a proposito dei "neoclassici", cosi come
non si pu parlare di "gnoseologismo" per noi.
Il semantema - o linguaggio - non tale, per, se non viene inteso e, dunque, inseparabilmente riconosciuto come ci che il pensare non pu subire. Per indicare questo intendere o "riconosce30. E. Severino, Destino della Necessit, Milano 1980, pp. 151-152, nota.
31. E. Severino, Destino della Necessit, cit., p. 152, nota.

M~tafisici "classici",

"neoclassici", e "ueteroparmenidei''

427

re", il quale non pu risolversi in ci attraverso cui si intende, n


coincidere con l'asserzione (come tale sistematica e, in tal senso,
"razionale"), M. Gentile usa - come si sa - la parola classica "intelligenza'r'". Esso non pu venire disgiunto da ci che la sua scuola denomina, con lui, "problematicit
pura".
Siamo cos al punto in cui Scilironi - come ogni attento lettore, inclusi gli autori sui quali egli scrive - pu misurare, per cos
dire, con cognizione di causa, il livello di profondit, o grado di approfondimento,
richiesto per non prendere abbagli. Non appena si
dice "", si risponde ad una domanda e si intende dire "che " e
"che cosa ". Con ci la domanda la richiesta di intelligibilit.
La domanda " o non ?" richiesta di intelligibilit perch lo "
e non " (concrescenti semanticamente in "essere" e "non essere")
il non intelligibile che la domanda indica come ci che essa non
intende che "" e, pertanto, non intende che la opposizione di ""
e "non " sia originaria.
Con ci, la richiesta di intelligibilit suscitata dallo intelligibile stesso e non pu valere - essa - come una messa in questione
dell'intelligibile come tale, cos come essa - sottesa ad ogni affermazione - mette in questione ogni asserzione in cui, come risposta, si faccia valere non altro che l'opposto di ci che essa intende:
appunto, che l'opposizione di "" e "non " (o di positivo e negativo) sia originaria.
Dire "che " e "che cosa ", volenti o nolenti, "definire". Ma
- a differenza della descrizione che fenomenologica, o constalativa, o semantica - la definizione non tale se si fa valere in essa,
immediatamente
o mediatamenre,
in qualsivoglia modo lo si faccia, con pi o meno di coerenza formale, qualcosa del plesso che
si intende di definire. Questa che, prima di essere una regola,
condizione intrinseca del "definire", il senso profondo del "domandare tutto" che costituisce il concetto classico di filosofia.
Il "domandare tutto", cos inteso, svolto nella sua portata teoretica, impone proprio ci che viene - e proprio dai "neoclassici"
- disatteso: che nessun dato (che dato d'esperienza), n, dunque, l'esperienza come "totalit" di esperiti (o, come Severino dice, "totalit semantica", cos traducendo la bontadiniana "unit
32. M. Gentile, Breve trattato aifilosofia, Padova 1974.

428

Govanni Romano Bacchin

dell' esperienza") pu venire fatto valere per definire l'esperienza


come tale, ossia di ci che ne assicura, senza circolo vizioso, l'intelligibilit.
Per indicare questo - non per "definire" l'esperienza - diciamo
che essa si converte integralmente in "domanda del principio", di
un principio che sussista indipendentemente
da essa e senza di cui
essa non "". Poich "fisica" vuoi dire classicamente e fondamentalmente esperienza, l'espressione pi indicata - non ostanti le
ambiguit che ne accompagnano uso e storia - ancora quella di
"m eta fisica ".
Se il pensiero di Severino dissolve una metafisica (e la cosa corre il rischio di costituire un episodio interno a quella "neoclassica") non la metafisica che intendiamo che possa venire dissolta
dal suo pensiero. Scilironi pu, dunque, capire perch non posso
accettare il suo verdetto che vede Severino trionfatore su tutti i
suoi critici'", ma pu capire anche un' al tra cosa - ed pi importante -, ossia che la opposizione di positivo e negativo, costitutiva
del semantizzare, che i "neoclassici" considerano originaria, non
pu venire coerentemente
mantenuta per l'esperienza come tale.
Ed un eufemismo per dire che vi si infrange.
Vi si infrange perch lo "altro dell'esperienza",
coerentemente
richiesto per semantizzarla, in quanto "altro" strutturalmente
esperienza e cosi l'esperienza non mediata, ma presupposta e presupposte vi restano tutte le sue mediazioni interne, e in quanto
"altro dall'esperienza"
appunto ci di cui non v' esperienza.
Che come dire, in termini di "problematicit pura", l'impossibilit di far valere nella definizione qualcosa di ci che si intende di
definire.
Per quanto concerne Severino - poich il discorso qui verte direttamente su di lui - da precisare ancora questo: il ricorso severiniano all' apparire (quello che anche Scilironi ritiene originale rispetto .alla matrice "neoclassica")
geneticamente e strutturalmente vincolato alla semantizzazione
del divenire nei termini di
"essere" e "non essere" e, quindi, ne segue le sorti.
Con quel ricorso ali 'apparire - destinato, soprattutto come "ap33. l quali avrebbero comunque "mancato il segno". Si veda Ontologa.. .. , cit., pp. 5054.

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Mttafisic,

"classici",

"neoclassici" e "ueteroparmenidei'

429

parire dell'eterno"
a colpire la fantasia, la quale, a sua discolpa,
non pretende di essere rigorosa - Severino intende, come si sa, assicurare l'autentica interpretazione
dell'esperienza, ossia che questa attesta che qualcosa appare e scompare, di contro alla interpretazione scorretta, che egli, complicando non poco il discorso, denomina "alienata", ossia nascere e morire dell'ente.
on mi occorre discutere qui la legittimit di tale ricorso, anche
se va osservato che, all'apparire di qualcosa, non si dice immediatamente che essa "appare", ma che essa "" e si passa ad esplicitare
il suo apparire ad una condizione: che essa si mostri diversa da come "", ossia in ci che denominiamo esperienza dell'errore, ed
in cui, per riconoscere l'errore, si discute appunto lo apparire della
cosa e, ancora per riconoscere l'errore, l'esperienza, che lo riconosce e, quindi, discute l'apparire, non pu essere erronea, n coincidere con l'apparire. Ci che, invece, va qui sottolineato che ogni
"interpretazione"
dell' esperienza - corretta o fallace che essa sia ancora "esperienza", nel senso che vi appartiene di diritto. E vi
appartiene addirittura come costitutiva dell'esperienza
di cui intende valere come "interpretazione"
legittima.
Ora, il senso in cui ogni "interpretazione"
dell'esperienza
intende valere come autentica "esperienza" accredita bensi l'impossibilit di scindere l'esperienza interpretata dalla sua interpretazione, ma questa stessa impossibilit non eccede in alcun modo l'ambito dell'esperienza stessa. Che come dire questo: rispetto alla
metafisica nel senso che ho indicato sopra, ogni interpretazione
dell'esperienza e, quindi, l'esperienza interpretata, ancora "fisica".
Cosi, una metafisica che crolli perch l'interpretazione
dell'esperienza sulla quale essa poggiava fallace non "metafisica" nel
senso proprio, ma prolungamento
di quella interpretazione.
Nei
confronti di metafisiche cosi concepite l'ermeneutica ha, infatti, il
gioco facile. Ed gioco che consiste nello riappropriarsi di quelle
meta fisiche, che sono gi sue di diritto. Con la metafisica "neoclassica" - che di certo non intende cedere all'ermeneutica - il gioco
facile di Severino, ma con questa differenza: che, questa volta,
Severino ad essere suo di diritto. Non solo, infatti, egli non mette in questione la semantizzazione "neoclassica", ma poggia interamente su di essa. E, dunque, ne dipende non solo geneticamen-

430

Giovanni Romano Bacchin

te, ma anche strutturalmente.


Se non si tiene ferma la semantizzazione bontadiniana
del divenire in termini di "" e "non " e,
quindi, la necessit di togliere la contraddizione, che senso pu avere il ricorso allo "apparire del!' eterno"?
E, pi radicalmente, come possibile tenere ferma la sernantizzazione bontadiniana del divenire senza dividere contra mentem
l'esperienza
in esperienza di quel divenire in cui compare la "contraddizione"
e n eli' esperienza che riconosce la contraddizione
e
progetta di toglierla? Proprio perch Severino strutturalmente
vincolato alla semantizzazione bontadiniana, anche per il suo "apparire" essa si infrange. Per semantizzare lo apparire come tale,
infatti, occorre lo altro dall'apparire. L'altro dall'apparire come
tale deve essere altro come tale dall' apparire.
L'altro dali 'apparire non lo scomparire, come ben sa Severino,
ch lo scomparire appartiene alla struttura dell'apparire, non lo
"sfondo intramontabile"
di ci che appare, come il cielo d'agosto
per l'astro filante, ch questo appunto struttura stessa dell'apparire, ma lo altro come tale dall'apparire, il quale dunque, non pu
apparire: di esso da dire - juxta Severino - non solo che l'apparire tace, ma anche che non pu non tacere per sempre.
Scilironi si preoccupa anche di dimostrare che Severino appartiene ad una tradizione di pensiero'", ma chi non appartiene ad
una tradizione di pensiero, anche senza saperlo? Ci, comunque,
conforta il mio pi che ventennale convincimento (sono, infatti,
uno dei primi lettori di Severino, come visibile dalla bibliografia
su di lui), ossia che Severino appartiene alla schiera degli epigoni.
Grandi, come si meritano talune tradizioni, ma epigoni. Gli epigoni
non aprono nuovi orizzonti, chiudono i vecchi e - ci che peggio - vi restano dentro.

34. "Coerenza ...", cit., pp. 253-260.

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GIORNALE

di METAFISICA

Nuova Serie

INDICE GENERALE

DELL'ANNO

VI (1984)

Fascicolo
Giovanni Romano BACCHIN
A proposito
di metafisici "classici", "neoclassici"
e di "veteroparmenidei ", Risposta ad un critico.
.
Angelo CRESCINI
La prospettiva
epistemologica
di Francesco Barone
_
.
Romeo CRIPPA
L'uomo tra immortalit
e futura.
Klaus DUSING
Identitt und Widerspruch. Untersuchungen
ZUr Entwicklungsgeschichte
der Dialektik Hegels
_
.
Enrico GARULLI
II problema della dialettica e la
filosofia ermeneutica
'.'
_ ..
Maria GIORDANO
Per una critica del modello di
razionalit scientifica della pedagogia
.
Nunzio INCARDONA
L'''ontodologie''
di Claude
Bruaire
_
.
Marco IV ALDO
La struttura della filosofia fichtiana. Analisi della Wissenschaftslehre 1804
.
. Jean-Luc MARION
Descartes et l'onto-thologie
..
Pietro PALUMBO
La storia della metafisica in Gilson e in Heidegger
.
Luigi PAREYSON
Dal personalismo
esistenziale
ali 'antologia della libert
.
Xabier PIKAZA
Amor Ruibal y et pensamiento
cristiano espaol del siglo XX
.
Daniele ROLANDO
Faith and Repentance.
Giustificazione per fede e ragionevolezza
della fede in
Locke
_
.

Pagine

411-430

1-2
1-2

223-234
51-58

315-358

1-2

59-92

1-2

201-222

397-410

3
1-2

359-396
3-50

1-2

165-200

283-314

1-2

93-140

1-2

141-164

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