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Creare i leader, formare i manager: la concezione del training e della

gestione delle risorse umane basata sulle competenze emotiverelazionali


Non ci sono dubbi che la new economy segna solo una delle pi recenti fasi di un cambiamento
sociale ed aziendale pi ampio e radicale. Molto tempo passato dall'epoca in cui il mondo
imprenditoriale coltivava l'illusione di una "razionalit totale" dei sistemi aziendali e della
possibilit di "ingegnerizzare le risorse umane" attraverso processi formali e oggettivamente
determinabili. Questo pensiero ha ricevuto una serie di forti scossoni (a partire dalla corrente delle
Human Relations, attraverso il pensiero sistemico, fino alle pi recenti concettualizzazioni del
management, Dilts e Goleman in primo luogo) ma continua ad esercitare un grande fascino sui
manager e sulle loro imprese. Alcuni autori argomentano che in Italia questo fascino diventa un
vero e proprio "limite culturale (di quei manager) che fanno del bilancio una religione, senza
alcuna capacit di comprendere i processi di trasformazione sociale in atto che sfuggono a chi
assume come unico ambito di riferimento le categorie tecniche dell'efficienza e della
specializzazione. ()Una trib di neocinici, sempre pi masterizzati, che sul mercato della
professione legittimano la loro quotazione con passioni fredde e saperi standard che li rendono
perfetti nella loro ovviet.()Nasce cosi la lingua dei bilanci, dei budget, l'arida mitologia del
business plan dove al pensiero preclusa ogni via d'espressione e l'identit specifica dell'azienda
interpretata dal numero." (Galimberti 2000 a proposito di Celli 1997). Non difficile
comprendere che le decisioni che possono essere sostenute da numeri sono "spersonalizzate" e
quindi scevre da rischi e responsabilit. Anche se dovessero essere sbagliate, sono state prese con
procedure standard. La "religione dell'indagine di mercato" ne uno degli esempi pi eclatanti:
enormi investimenti in indagini di mercato troppo spesso servono solo a legittimare (e
deresponsabilizzare) le decisioni autoreferenziali dei "responsabili". E' abbastanza chiaro che
(soprattutto nel contesto della new economy) l'indagine di mercato ha forti limiti. Se qualcuno vi
avesse chiesto 10 anni fa se aveste voluto avere Internet in casa probabilmente avrebbe ricevuto una
risposta negativa! Le metodologie di indagine di mercato non danno molte garanzie di "oggettivit",
considerati i limiti sia di campionatura che degli stessi metodi di indagine statistica-quantitativa e di
quella qualitativa. Ed ecco che l'indagine si trasforma in un rituale con tacito accordo tra i reparti
marketing e le aziende di indagine di mercato, in grado di "togliere la responsabilit" in caso di
fallimento, ma anche di legittimare decisioni gi prese. Non a caso gli autori moderni promuovono
una "critica ragionata" all'attuale approccio decisionale "market research based" argomentando la
necessit di "creare nuovi mercati" anzich analizzare ad oltranza quelli esistenti (Hamel, Prahalad
1999).
La situazione simile riguarda anche la gestione delle risorse umane: pensate alla pratica della
"valutazione del potenziale", anch'essa diventata un rituale in grado di legittimare le decisioni sulle
carriere gi prese. Anzich essere uno strumento per la progettazione di percorsi formativi
personalizzati ed in grado di sviluppare le risorse umane, questi rapporti rimangono nelle scrivanie
dei responsabili delle risorse umane per giustificare promozioni o licenziamenti/trasferimenti decisi
su basi molto pi "intuitive".

Per questa ragione le valutazioni che contraddicono le idee gi prese troppo spesso rimangono nei
cassetti, e l'investimento nella valutazione del potenziale e nell'assessment diventa capitale sprecato.
Perch allora i manager non riescono a prendere decisioni, non riescono a comunicarle, non
riescono a usare la propria creativit senza imbrigliarsi in numeri e valutazioni statistiche, perch
hanno bisogno di nascondersi dietro procedure standard e lungi dal motivare le risorse umane
facendo leva su una nuova "spiritualit nelle organizzazioni" (Dilts 1998) e sulle emozioni
(Goleman 1998) non riescono ad affrontare le persone (tranne forse quelli che lo fanno in modo
aggressivo e draconiano) senza ricorrere ad espedienti? Per quanto riguarda l'Italia potremmo
"incolpare" le culture aziendali "burocratiche" (cfr. Greiner ????), che nel nostro paese hanno un
baluardo storico nelle PA e nelle grandi imprese a partecipazione pubblica.
Ovviamente non basta - potremmo analizzare diversi fattori che influenzano un sistema di
convinzioni ed una forma mentis in cos forte contrasto con le esigenze di forte iniziativa , creativit
e coraggio, ma anche di motivazione ed empowerment a tutti i livelli delle "organizzazioni piatte"
delle imprese attuali. Forse tuttavia pi economico mettersi in un'ottica propositiva analizzando le
modalit con cui possibile dissipare questa "Illusione manageriale" (Celli 1997) ed utilizzare i
contributi della teoria sull'Intelligenza emotiva di Daniel Goleman sulla gestione delle risorse
umane e sulla concezione moderna del management.
Il sistema attuale di training formale dei manager
In effetti il manager non una figura professionale univoca e quindi non riceve un training formale
ed esplicitamente manageriale. Le uniche fonti di questo training sono i cosiddetti MBA (Master in
Business Administration) che hanno una sempre crescente fortuna in Italia (tra i pi prestigiosi
quelli della Bocconi di Milano, della LUISS Management di Roma, della FIN.E.CO di Bologna,
ecc.)., nonostante uno status dubbio del titolo Master in Italia (si tratta di un titolo che non ha
dignit prettamente accademica come nei paesi anglosassoni, ma riconoscimenti da parte delle
associazioni professionali come l'AIF). Queste (seppur importantissime) serre dei manager
producono esperti in grado di motivare le proprie decisioni con le cifre, ed in nessun modo
promuovono quelle abilit che li trasformerebbero da computer perfetti (e noiosamente prevedibili),
incapaci di comunicare sul piano umano e quindi di motivare persone e sviluppare vision attraenti.
La scarsissima attenzione dedicata da questi corsi alla gestione delle risorse umane si esaurisce nelle
conoscenze sulle strutture organizzative, sul dimensionamento dei reparti, ed in poche nozioni
(inapplicabili in quanto frutto di elucubrazioni accademiche di teorici delle HR) sulla leadership e
sulla comunicazione interpersonale.
Altra linea di training prettamente manageriale il training on the job offerto dalle diverse societ
di consulenza e che viene proposto (o imposto) al personale dirigenziale interno. Quest'area merita
qualche parola di approfondimento: assistiamo ad una "mercificazione" eccessiva del prodotto
formazione manageriale. Di fronte ad una richiesta da parte delle aziende di tipo semplicistico, i
consulenti rispondono con un pacchetto-risposta che in genere reca titoli come "tecniche di
leadership" o "strategie di management", quando non riguarda solo ed esclusivamente aspetti di
gestione economico-finanziaria o tecnologica dei sistemi produttivi.

D'altra parte la risposta semplificata e "troppo facile" frutto di una profonda incapacit da parte
dei vertici aziendali e dei responsabili delle Human Resource di comprendere che il valore del
manager non pu risiedere nelle conoscenze tecniche (troppo mutevoli per poterle considerare una
risorsa durevole) o quelle sulla gestione dei processi e flussi economici (altrimenti i migliori teorici
sarebbero anche i migliori manager). Senza dover sottovalutare eccessivamente questi campi
possiamo dire che la loro importanza deve avere il "giusto peso". Da molto tempo ormai ci si
accorti che l'azione del manager consiste per la stragrande maggioranza del tempo in pi o meno
sofisticate azioni di comunicazione interpersonale (cfr. ad es. Mintzberg ????), che presuppongono
una complessa gestione della comunicazione, dell'immagine personale, delle proprie emozioni, il
tutto unitamente alla consapevolezza delle proprie emozioni e capacit di non incappare in
"sequestri emotivi", di creare una vision e di mantenere i propri ed altrui livelli motivazionali, ecc.
Questo insieme di risorse psicosociali viene definito "Intelligenza emotiva" nell'omonima opera di
Daniel Goleman (1997, 1998) che offre una lunghissima lista di ricerche ed argomenti a favore di
una profonda trasformazione dell'idea del manager come mero esecutore di "procedure e tecniche
gestionali".
Bisogna anche dire che il concetto di risorse personali e l'idea dell'Intelligenza Emotiva rappresenta
un'acquisizione molto recente e che nonostante la crescente consapevolezza delle risorse
psicoemotive e della loro importanza, gli autori (compreso Goleman) non hanno fornito molti spunti
pratici su come sviluppare queste risorse e come implementare sistemi e protocolli di training
adeguati. La questione delicata: da questi training si richiede una trasformazione degli elementi
della personalit, cosa spesso difficile da ottenere anche con lunghe psicoterapie. La soluzione
ovviamente non quella di trasformare il training aziendale in discorsi da "lettino psicoanalitico"
(seppure la consulenza psicologica e la psicoterapia rappresentano percorsi sinergici e quindi molto
auspicabili ai fini dell'affinamento delle risorse psicoemotive).
Intelligenza emotiva: davvero rivoluzione?
E' difficile riassumere il dibattito sul lavoro di Goleman. I critici sottolineano l'aspetto ancora molto
fumoso e poco operativo del concetto di "Intelligenza emotiva". Pi che una teoria coerente, il
lavoro di Goleman rappresenta una specie di compilation di studi e contributi teorici provenienti da
ambiti eterogenei ed "incollati" su un termine che rappresenta una "chimera concettuale". Questo ha
favorito una serie di improvvisazioni metodologiche e la nascita di sedicenti esperti un po'
dappertutto.
Tuttavia il lavoro di Goleman va considerato nel proprio aspetto euristico: ha posto un'enorme
attenzione su un tab - le emozioni in azienda! La gestione dei propri ed altrui livelli emotivi come
asse portante della flessibilit comunicativa e della motivazione aziendale, il sequestro emotivo
come causa di blocchi nei processi organizzativi, l'immagine di s e la self-awareness emotiva come
aspetto cruciale dei leader, ecc., sono solo alcuni degli esempi di fenomeni che, nonostante sotto gli
occhi di tutti non potevano essere prese in considerazione da consulenti aziendali, i quali si
scontravano con un vero e proprio muro di gomma con cui i dirigenti aziendali respingevano
(terrorizzati?) i tentativi di affrontare il tema. Molte organizzazioni hanno sviluppato nella propria
cultura aziendale dei processi (convinzioni, valori, procedure, ecc.) a supporto della maggiore
flessibilit emotiva interna. Queste compagnie, in genere dei leader nel settore, usano questi
processi per comunicare una cultura emotivamente intelligente, nel tentativo di rendere la stessa
cultura aziendale un potente asset aziendale (Cerovic, Simoni, Di Girolamo 1999).

Le implicazioni sulla gestione delle Risorse Umane


La teoria investe tutta la strategia di gestione delle Risorse Umane nelle aziende. In modo
particolare bisogna considerare 2 aree: processi di selezione/assessment/valutazione e processi di
training. Inoltre importante considerare la necessit di una cultura aziendale EI-based per
promuovere in modo adeguato la creativit e la flessibilit del sistema aziendale, la motivazione, la
ledership efficace, ecc. A proposito della trasformazione della cultura aziendale e degli elementi che
la influenzano rimandiamo a Cerovic, Simoni, Di Girolamo (1999).
La metodologia di valutazione e dell'assessment dell'Intelligenza Emotiva allo stato attuale non
dispone di strumenti adeguatamente validati (in modo particolare su campioni di riferimento
europei ed italiani) da fornire la base per il loro uso nei processi di selezione ufficiale (concorsi
pubblici ad es.). Tuttavia forniscono indicazioni di particolare utilit per la vlautazione del
potenziale manageriale e processi di assessment. In mano agli esperti di risorse umane
rappresentano strumenti di grande utilit. Anche in assenza di questi strumenti possibile valutare
abilit dell'area "emotiva" con un'attenta campionatura di metodi e test gi esistenti e collaudati.
Un training di Intelligenza Emotiva ampiamente giustificato dai riscontri dei padri del concetto
(Mayer, Caruso e Salovey 1997 cit. in Goleman 1998) e confermata da Reuven Bar-On (1997)
conferma la sua natura fortemente soggetta ad incrementi durante la vita (diversamente
dall'Intelligenza cognitiva che viene determinata in ampia parte da fattori genetici e che raggiunge il
suo apice nell'adolescenza senza essere soggetta ad importanti variazioni nell'arco della vita). Le
abilit cognitive quindi, possono (e devono) essere apprese, ma le metodologie non possono essere
quelle sviluppate per il training classico. Citiamo Goleman:
"Poich l'apprendimento intellettuale differisce in modo fondamentale dalla modificazione di
comportamento, i modelli di educazione sono significativamente diversi nei due casi. Per le
capacit intellettuali l'aula scolastica un ambiente adatto la semplice lettura - o il semplice
ascolto - di un concetto, anche una sola volta, pu essere sufficiente ad impadronirsene. Il pensiero
strategico e la programmazione dei computer possono essere insegnati in questo modo con profitto,
estraniandosi da tutti quegli scambi che hanno luogo nella vita lavorativa reale. Nel caso della
modificazione comportamentale, invece, la vita stessa a rappresentare l'autentica arena
dell'apprendimento, che richiede un prolungato esercizio. L'apprendimento scolastico consiste,
essenzialemnete, nell'aggiungere informazioni e conoscenze alle banche della memoria ()Ma
l'apprendimento di una competenza emozionale comporta questo e altro: richiede anche il
coinvolgimento dei circuiti emotivi, nei quali immagazzinato il repertorio di abitudini sociali ed
emotive. () L'apprendimento emotivo richiede un cambiamento pi profondo a livello
neurologico. (1998, p.290). L'ambiente della formazione professionale (ed in particolare
manageriale), continuando ad ignorare questi aspetti e continuando ad impostare la formazione
comportamentale in modo "classico" commette l'errore da un "miliardo di dollari" secondo lo stesso
Goleman.

Quali sono dunque le basi per impostare una metodologia didattica in grado di sviluppare le
competenze di questo tipo. Alcune raccomandazioni metodolgiche fornisce lo stesso Goleman:
1. Valutare il lavoro dei partecipanti (i bisogni didattici in termini di competenze emotiverelazionali da sviluppare)
2. Valutare l'individuo (partire dai profili di competenze individuali e costruire obiettivi
personalizzati, invece di proporre degli interventi standard - uguali per tutti.)
3. Presentare le valutazioni con delicatezza (il feedback ai partecipanti ha valenze emotive)
4. Valutare la preparazione in modo esatto
5. Fare in modo che il cambiamento sia auto-guidato (promuovere impegno e partecipazione
personale attraverso la messa a disposizione dei partecipanti degli strumenti per il cambiamento)
6. Concentrarsi su obiettivi chiari e raggiungibili (chiarire la natura della competenza da
raggiungere e i passi necessari per farlo)
7. Evitare le ricadute (fornire una continuit di supporto per prevenire e gestire ricadute
fisiologiche, aiutare la persona ad automonitorare la prestazione ed affrontare ricadute)
8. Offrire un feedback sulla prestazione.
9. Incoraggiare l'esercizio.
10. Organizzare forme di sostegno (autonomo rispetto ai trainer, peer-counselling, gruppi di
sviluppo nell'ambiente di lavoro, ecc)
11. Fornire modelli (individui di grande efficienza e capacit possono essere modelli in grado di
ispirare il cambiamento)
12. Incoraggiare (l'ambiente istituzionale deve fornire supporto e fornire un ambiente non ostile a
questo tipo di cambiamento)
13. Rinforzare (usare i riconoscimenti appositi per promuovere il cambiamento)
14. Valutare (stabilire i metodi di valutazione per valutare l'impatto nel tempo)
Ulteriori osservazioni di grande rilevanza metodologica sono fornite dal Consortium for Emotional
Intelligence in Organizations (CEIO), il quale insiste soprattutto sulla necessit di impostare in
termini scientifici l'intervento formativo (presenza di strumenti di misura adeguati, campioni di
controllo, campionatura casuale) in modo da valutare l'impatto costi/benefici.

Conclusioni
Dalla maggior parte dei contributi e delle esperienze emerge una grande potenzialit delle
tecnologie di gestione delle risorse umane emotionally-based ed importanti prospettive per il loro
sviluppo nel futuro. In modo particolare viene confermato il grande interesse della teoria dell'IE per
l'area management (selezione e formazione). L'applicazione di quest' ultime impone di riservare una
grande attenzione ad alcuni accorgimenti metodologici prima di avventurarsi in applicazioni
superficiali e "meccanicistiche".
Oltre a quelli, gi citati, proposti dal CEIO, vogliamo sottolineare che interventi del genere non
possono essere affidati al personale che non sia altamente qualificato e che non abbia a sua volta
alle spalle un training analogo (al livello advanced o trainer). La grande attenzione a metodologie
avanzate, la gestione avanzata della comunicazione con i partecipanti, la capacit di creare
motivazione e di cambiare convinzioni, sono solo alcuni dei requisiti necessari. Per questa ragione
si consiglia l'uso del personale altamente qualificato e con una provata esperienza nel campo della
gestione dei training aziendali e con spiccate capacit di comunicazione interpersonale
(possibilmente psicologi o di formazione analoga).
Il contributo di Goleman ed altri pone l'attenzione dei teorici su livelli che venivano
sistematicamente trascurati: emozioni, immagine del S, modulazione delle proprie ambizioni e
motivazioni, ecc. Capire che alcune di queste aree possano rappresentare un nucleo stabile di
competenze di grande interesse per la prestazione, assume un'importanza ancor maggiore in questi
tempi in cui le conoscenze ed i saperi sono cos mutevoli da rendere vano qualsivoglia tentativo di
valutazione a priori della prestazione professionale. Inoltre la possibilit di svil.uppare questo tipo
di "intelligenza" con opportuni training ci permette di intervenire, creando attivamente una
maggiore qualit delle risorse umane. Le potenzialit di queste idee sono tutte ancora da scoprire.
Appendice A:
Strumenti di indagine e di misura dell'Intelligenza Emotiva
Uno dei principali problemi nell'implementazione di una concezione dello Human Resource
Management basata sull'intelligenza emotiva la definizione oggettiva del concetto e quindi la sua
misurazione e valutazione. Non essendoci un accordo nella comunit scientifica tra i vari autori che
si occupano del concetto, anche i vari modelli statistici di riferimento variano da caso in caso. La
polemica sulla consistenza statistica (coerenza interna del costrutto?) del modello di Goleman,
avanzata da Mayer, Salovey e Caruso (1999?) esula dai fini di questo articolo. Basti dire che
secondo la concezione di quest'ultimi Goleman fa rientrare troppe cose all'interno del costrutto (in
particolare gli AA. criticano aspetti legati alla motivazione, allo stato di"flow", all'ottimismo ed alla
perseveranza).

Lasciando questa polemica di taglio particolarmente accademico, ci concentriamo su aspetti


operativi. Descriveremo o semplicemente elencheremo gli strumenti e le metodologie di misura
costruite per misurare il concetto di Intelligenza emotiva (espresso in termini di Quoziente Emotivo,
oppure pi facilmente in termini di sottoscale relative alle varie sottoparti - abilit singole), oppure
ai vari strumenti che misurano costrutti che in modo pi o meno ragionevole sono da considerare
come suddivisioni della IE (ad es. "il concetto di S"). Nomineremo anche i casi in cui vengono
utilizzati alcuni strumenti di misura che non trattano direttamente la IE, ma delle misure che si
ipotizza siano correlate con essa o con le sue sottoparti.

Il WPQ ha una serie di versioni che sono spesso usate nell'assessment delle risorse umane. La
versione WPQ-ei si avvale di 84 item che formano seguenti sottoscale:
A. Innovation. lo stile di creativit e la capacit di creare risposte creative ai problemi di lavoro
individualmente
ed
attraverso
altri.
B. Self-Awareness. Conoscere i propri limiti e le proprie risorse unitamente alla motivazione al
miglioramento
delle
proprie
capacit.
C. Intuition. Essere guidati nelle decisioni anche dale sensazioni ed "istinto" oltre ai fatti ed alle
informazioni
(ragionamenti).
D. Emotions. Riconoscere e capire le proprie emozioni e gestire l'impatto che esse hanno sugli altri.
E.
Motivation.
Achievement,
iniziativa
e
perseveranza.
F. Empathy. Manifestare interesse per le persone, ascoltare I loro punti di vista, problemi e
preoccupazioni.
G. Social Skills. Capacitit di creare relazioni interpersonali e di comunicare efficacemente
Per ulteriori informazioni vedere il sito dell'editore CIM Publishers: www.cimtp.com/page8.htm.
b. Strumenti che misurano costrutti ipoteticamente correlati con l'IE.
Diversi concetti possono essere ritenuti come ipoteticamente correlati con l'Intelligenza Emotiva:
ottimismo, flessibilit (adattabilit), capacit di leadership, ecc. Tuttavia questi possono essere usati
solo come ausilio nella progettazione e valutazione degli interventi aziendali, ma non permettono di
trarre conclusioni scientifiche e quindi non sono appropriati per ricerche psicosociali
sull'Intelligenza Emotiva.
b.1. Seligman Attributional Styles Questionnaire (misura ottimismo e coping skills ed stato
utilizato
nel
famoso
protocollo
di
training-e
ricerca
all'American
Express)
b.2. Learning Skills Profile, (usato nella valutazione del Weatherhead MBA Program - Case

Western
Reserve
Univeristy)
b.3.
Learning
Style
Inventory,
(Weatherhead
MBA)
b.4.
Adaptive
Style
Inventory,(Weatherhead
MBA)
b.5. Behavioral Event Interview (BEI) della Hay/McBer ed usato nei suoi programmi di training e
consulenza.
b.6. Critical Incident Interview usato sempre nel Weatherhead MBA.

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