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Due o tre parole (brutali) su Marx e Lenin


Louis Althusser

Articolo pubblicato sull'Espresso il 24 Gennaio 1978


Tradotto e pubblicato per il MIA da Clara Statello.
Il nostro interesse per gli esiliati dei paesi dell'est non risponde ad una semplice necessit di
conoscenza, n ad una manifestazione di solidarit. Quel che accade nei paesi dell'est ci colpisce
profondamente. Ci che sta accadendo l ci pone tutti in gioco, si ripercuore sulle nostre prospettive,
la nostra teoria, l'oggetto della nostra lotta, la lotta stessa e la nostra maniera di agire.
Mi scuso sin d'ora se alcune cose che dir saranno schematiche e brutali: senza i dovuti chiarimenti.
Ma da qualche tempo a questa parte si parla di "crisi del marxismo". Niente paura: il marxismo
certamente in crisi, e questa crisi manifesta. La vedono e la sentono tutti: in primo luogo i nostri
nemici, che fanno il possibile per trarne il maggior vantaggio. In quanto a noi, non ci limitiamo a
vederla: la viviamo.
E da tempo.
Cosa intendo per crisi del marxismo? Un fenomeno contraddittorio che va pensato su scala storica e
mondiale e che ovviamente travalica il limite della semplice "teoria marxista"; un fenomeno che
concerne l'insieme delle forze che si rifanno al marxismo, i modi in cui queste forze si organizzano,
gli obiettivi, la teoria, l'ideologia, le lotte, la storia delle sue sconfitte e delle sue vittorie.
E' un fatto: gi non oggi possibile considerare come un unicum l'ottobre del 1917, la straordinaria
portata liberatoria della rivoluzione e dei Soviet, Stalingrado, e gli orrori del regime stalinista e del
sistema oppressivo di Bresnev. Gli stessi compagni di Mirafiori
dicevano: se non si pu, come prima, pensare a presente e passato come un unico fenomeno, vuol
dire che non esiste un ideale realizzato, un riferimento vivo per il socialismo. Questo fatto, in
apparenza alquanto semplice, stato recepito e tradotto dai dirigenti comunisti occidentali nella
formula "non esiste un modello unico del socialismo", ripetuta come un mantra.
Si tratta soltanto della conferma della crisi, e non della risposta alla domanda delle masse. In realt,
nella situazione attuale, non ci si pu compiacere col dire che "ci sono diversi modi per realizzare il
socialismo". Poich alla fine impossibile eludere questa domanda: chi garantisce che le altre vie
per il socialismo non conducano allo stesso risultato?
Una particolare circostanza tuttavia, pi grave della crisi che viviamo. Non solo qualcosa si
sfasciata nella storia del movimento comunista, non solo l'Unione Sovietica passata da Lenin a
Stalin e Breznev, ma i partiti comunisti, le organizzazioni di classe che si dicevano marxiste, non
riescono a spiegarsi questa drammatica storia: e questo a ventanni dal XX Congresso! Non hanno
voluto dirlo, non hanno potuto farlo. Dietro le loro reticenze e i loro rifiuti politici, dietro le formule
ridicole ripetute sino allo sfinimento ("il culto della personalit", "la violazione della legalit
socialista", il "ritardo della Russia", per non parlare dell'affermazione " l'Unione Sovietica ha le
carte in regola per la democrazia, si deve solo aspettare del tempo"), si cela qualcosa di pi grave:
l'estrema difficolt ( e questo lo sanno tutti coloro che lavorano seriamente nel campo) e a volte,
nello stato attuale, la quasi impossibilit di offrire una spiegazione marxista soddisfacente di una
storia che, nonostante tutto, si fatta in nome del marxismo. Se questa difficolt non un mito,

significa che viviamo in una situazione rivelatrice della debolezza, e forse della presenza di
elementi di crisi, della teoria marxista.
Credo che sia questo il punto a cui dobbiamo arrivare. A condizione di prendere il concetto di
"teoria marxista" nel sendo pi lato, pieno: non nell'accezione astratta e limitata del termine, ma nel
suo senso materialista, marxista, secondo cui la "teoria" impone di assumere principi e conoscenze
nell'attuazione della pratica politica, nelle sue dimensioni strategiche e organizzative, nei suoi
obiettivi e mezzi. Nel senso in cui, otto anni fa, Fernando Claudn parlava di crisi teorica, per
indicare la crisi del movimento comunista internazionale; nel senso in cui Bruno Trentin evoca
alcuni problemi organizzativi come questioni di dimensioni e portata teorica. E' in questo senso,
profondamente politico, che mi sembra inevitabile parlare oggi di crisi del marxismo. Lo
sgretolamento delle certezze ereditate da una lunga tradizione, quella della II e della III
Internazionale, gli effetti ideologici e teorici della crisi manifesta (scissione tra Cina e URSS) e di
quella nascosta ( tra i partiti comunisti occidentali e l'Urss), l'abbandono solenne o silenzioso di
principi (come la "Dittatura del proletariato") senza una ragione teorica confessabile, la diversit
delle domande e delle risposte, la confuzione di linguaggi e riferimenti; tradiscono ed enunciano
l'esistenza di difficolt critiche proprie della teoria marxista, una crisi teorica del marxismo.
In questa situazione, lasciando stare le speculazioni degli avversari, si possono distinguere tre tipi di
reazioni.
La prima, caratteristica di alcuni partiti comunisti, consiste nel chiudere gli occhi per non vedere e
tappare le bocche: ufficialmente il marxismo non conosce crisi alcuna, la crisi se la sono inventata i
nemici. Altri partiti intendono salvare il salvabile, pragmaticamente prendono le distanze da certi
punti specifici, abbandonano questa o quella "imbarazzante formula", ma salvano le apparenze: non
chiamano la crisi col suo vero nome. La seconda forma consiste nel patire il logorio della crisi, la
vivono e soffrono mentre continuano la ricerca di motivi reali di speranza nelle forze del
movimento operaio e popolare. Nessuno di noi scappa a questa reazione, accompagnata da grandi
dubbi e inquietudini. Ma non possibile vivere molto tempo senza un minimo di prospettiva e
senza riflettere su un fenomeno storico di tale importanza: esiste la forza del movimento operaio, ed
esiste realmente, ma non pu da sola supplire alla mancanza di prospettiva e di interpretazione.
La terza forma di reagire davanti alla crisi affrontarla con una prospettiva storica, teorica e politica
sufficiente per tentare di scoprirne, cosa non certo facile, il carattere, il senso, e la portata. Qualora
ci avvenisse, allora si potrebbe anche cambiare linguaggio. Invece di comprovare che "il marxismo
in crisi", dire " alla fine il marxismo entrato in crisi, la crisi visibilmente manifesta e nella crisi
e dalla crisi pu scaturire una nuova e vitale possibilit!"
Non un paradosso, n un modo arbitrario di rigirare le carte. Penso che la crisi del marxismo non
sia un fenomeno recente degli ultimi anni, ma anteriore alla crisi del movimento comunista
internazionale, inaugurata pubblicamente con la rottura tra Cina e URSS e aggravata dalle
"iniziative" dei partiti comunisti internazionali. Persino al XX Congresso del Pcus. Sebbene sia
stata resa evidente dalla fine dell'unit del movimento comunista, in realt la crisi teneva radici
molto lontane.
Se esplosa, se si resa visibile, perch si nascondeva da tempo sotto forme che le impedivano di
esplodere. Era una sorta di crisi "bloccata" sotto il mantello dell'ortodossia, da parte di un
impressionante apparato politico e ideologico. Con l'eccezione dei brevi anni del Fronte Popolare e
della Resistenza, si pu dire, molto schematicamente, che per noi la crisi del marxismo si
condensata ed stata completamete soffocata negli anni trenta. E' in questi anni, quando una linea e
una pratica vennero imposte dalla direzione storica, che il marxismo fu bloccato e fissato nelle
formule "teoriche" dello stalinismo. Per contenere i problemi del marxismo a modo suo, Stalin
spinse verso "soluzioni" che ebbero come risultato quello di bloccare la crisi che provocavano e
rafforzavano. Col fare violenza a ci che era il marxismo, con la sua apertura e anche con le sue
difficolt, Stalin provoc di fatto una profonda crisi nella teoria, crisi che poi blocc impedendole di
venire alla luce.

La situazione che viviamo oggi presenta quindi questo vantaggio: dopo le lunghe e drammatiche
vicessitudini, la crisi finalmente esplosa, ed esplosa in modo tale da permettere al marxismo una
nuova vitalit. Non nel senso che, di per s, la crisi porta con s la promessa di un futuro e della
liberazione. Sotto questo aspetto sarebbe falso imputare l'esplosione della crisi soltanto al tragico
processo che prese il via dalla rottura del movimento comunista internazionale. Guardiamo pure
all'altro aspetto: la capacit di un movimento di massa operaio e popolare senza precedenti, che
dispone di forza e potenzialit storiche nuove. Se possiamo parlare oggi di crisi del marxismo in
termini di possibile liberazione e rinnovamento, per la forza e la potenzialit storica di questo
movimento di massa.
Per questa liberazione del marxismo ci costringe a trasformare il modo in cui ci relazioniamo con
questo movimento e, di conseguenza, con ci che accade all'interno del marxismo stesso.
Non possiamo per alcuna ragione accontentarci di risolvere tutto imputando ogni responsabilit
della crisi a Stalin. Non possiamo considerare la nostra tradizione storica, politica e anche teorica
come eredit pura, deformata da un individuo di nome Stalin o dal periodo storico in cui egli ha
dominato - e che pertanto basterebbe tornare alla "purezza" teorica precedente.
Nel corso di questa grande prova, durante gli anni sessanta, ogni volta che qualcuno di noi ritornava
alle "fonti", quando rileggevamo Marx, Lenin, e Gramsci per ritrovare il marxismo vivo che le
formule e le pratiche staliniste avevano soffocato, ognuno di noi, quale che fosse la sua maniera e
con le dovute differenze, si dovuto arrendere davanti ad una evidenza. Davanti al fatto che la
nostra tradizione teorica non "pura". Che, contrariamente alla definizione sbrigativa di Lenin, il
marxismo non un "blocco di acero", che contiene contraddizioni, difficolt, lacune che a loro volta
hanno contribuito alla delineazione della crisi.
Per questi motivi sarei tentato di dire: oggi noi ci troviamo di fronte alla necessit di rivedere l'idea
che abbiamo costruito nel corso della storia e delle lotte; l'idea su Marx, Lenin e Gramsci - un'idea
basata sull'esigenza di unit ideologica dei nostri partiti, con cui abbiamo vissuto per tanto tempo e
con cui, tuttavia, continueremo a vivere. I nostri autori ci hanno fornito un insieme di elementi
teorici senza precedenti, inestimabili; per dobbiamo ricordare le lucide parole di Lenin: Marx "ha
soltanto posto le pietre angolari". Ci che ci ha fornito non un sistema totale, unitario e finito, ma
un'opera che contiene principi teorici e analitici solidi assieme a difficolt, contraddizioni e lacune.
Non c' di che meravigliarsi. Abbiamo ricevuto le basi di una teoria delle condizioni e delle forme
di lotta di classe nella societ capitalista, sarebbe insensato credere che queste basi possano essere
"pure" e complete dalle loro origini.
D'altra parte: che significa per un materialista una teoria "pura e completa"? E come potrebbe una
teoria delle condizioni e delle forme di lotta di classe, fuggire alla lotta di classe, alle forme
ideologiche dominanti entro le quali stata prodotta e al contagio, nel corso della lotta politica e
ideologica?
Questa teoria pu soltanto essere liberata sotto una condizione di lotta senza fine.
E infine, i nostri autori, che si addentrarono in un terreno sconosciuto, erano uomini come noi:
cercavano, dubitavano, erano esposti ad equivoci, ripensamenti, avanzamenti ed errori nella loro
investigazione.
E' molto importante che oggi si prenda coscienza di tutti questi fatti e che la si assuma pienamente e
lucidamente, per estrarre le conseguenze che stanno alla nostra portata, per illuminare aspetti della
crisi in cui viviamo, per riconosce la sua natura liberatrice, e misurare l'occasione storica che ci si
offre se riusciamo ad arrivare ad una rettifica. Giacch alcune delle difficolt di Marx, Lenin e
Gramsci rimandano ad alcuni paradossi della crisi che viviamo.
Molto schematicamente porter qualche esempio.
Nello stesso Marx - nel Capitale , iniziamo a scoprire molto chiaramente che l'unit teorica
imposta dall'ordine dell'esposizione in gran parte fittizia. Uno degli effetti pi sensibili di questa
unit manifestamente imposta nel capitale dall'idea molto determinata che Marx aveva, in parte
sotto l'influenza di Hegel ma non solo per questo, dell'unit che deve presentare una teoria per
essere vera , deriva da quella che pu chiamarsi la presentazione contabile del plusvalore (la
famosa equazione: V = c + v + p, dove V significa valore, c capitale costante, v capitale

variabile e p plusvalore) che venne interpretata come una teoria finita e dall'esposizione completa.
Questa interpretazione contabile della teoria del plusvalore - come la teoria quasi ricardiana del
valore della forza lavoro- ha costituito nella storia del movimento operaio un ostacolo teorico e
politico per giungere alla giusta concezione delle condizioni e delle forme di sfruttamento.
Queste interpretazioni (del plusvalore e del valore della forza-lavoro) hanno contribuito, da una
parte, alla separazione, nella lotta di classa, tra lotta economica e lotta politica. Dall'altro a una
condizione restrittiva di entrambe, che a partire da un determinato momento ha frenato e continua a
frenare l'ampliamento delle forme di lotta operaia e popolare.
Marx, naturalmente, contiene altre difficolt. Nessuna pu essere affrontata senza imbattersi nel
problema della filosofia marxista, che io preferisco denominare il problema della posizione
marxista in filosofia. Tutti sanno che Marx non lasci nulla di esplicito a riguardo, che le
formulazioni di Engels non furono sempre felici e che a Lenin dobbiamo il meglio e il peggio;
comunque sia, la questione venne bloccata nelle tesi del dogmatismo ufficiale durante gli anni
trenta.
Un altro esempio. In Marx e Lenin si trovano due grandissime lacune: una sullo stato e l'altra
sull'organizzazione della lotta di classe. Va detto: "Non esiste una teoria Marxista dello Stato". Ci
non significa che Marx e Lenin non avevano visto il problema: esso costituisce il centro del loro
pensiero politico. Ma quel che si incontra nei loro scritti, e prima di tutto in quel che tocca la
relazione tra stato, lotta di classe e dominazione di classe, un invito ripetuto a rifiutare
categoricamente la concezione borghese dello stato: una delimitazione e una definizione "negativa".
Ad esempio, nella conferenza "Sullo Stato" pronunciata da Lenin l'11 luglio del 1919 all'univesit
Sverdlock, Lenin insiste: "E' un problema molto difficile, molto intricato"; lo ripete venti volte, lo
Stato una macchina speciale, un apparato speciale: usa continuamente l'aggettivo "speciale" per
sottolineare con insistenza che non una macchina o un apparato come gli altri, ma senza riuscire a
dire sotto quale aspetto sia speciale. Oppure si rivedano da questa angolazione le piccole equazioni
di Gramsci dal carcere (Stato= coercizione+egemonia; dittatura+egemonia;forza+consenso, etc),
che esprimono non tanto la ricerca di una teoria dello stato, quanto piuttosto la definizione di una
linea politica possibile per la conquista del potere da parte della classe operaia. La difficolt di
Lenin e Gramsci sta nel tentativo di superare la definizione classica attraverso la via della
negazione, senza giungere ad alcun esito.
Il problema dello stato oggi diventato di vitale importanza per il movimento operaio e popolare.
Vitale per comprendere la storia e il funzionamento dei paesi dell'est, in cui stato e partito formano
un meccanismo unico; vitale quando si tratta per le forze popolari di accedere al potere e di attuare
la prospettiva di una trasformazione democratica e rivoluzionaria dello stato, in vista della sua
sparizione.
Allo stesso modo non esiste nell'eredit marxista una vera teoria dell'organizzazione della lotta di
classe e men che mai del partito e del sindacato. Sicuramente esistono tesi politiche, conseguenza
della prassi politica e sindacale, ma nulla che permetta di comprenderne a pieno il funzionamento, e
pertanto la disfunzione e le sue forme. Il movimento operaio costitu organizzazioni di lotta
sindacale e politica, sulla base delle sue tradizioni ma anche delle istituzioni borghesi (incluso il
modello militare). Queste forme furono conservate o trasformate. Ad est come ad occidente, ci
troviamo dinnanzi al grave problema della relazione tra queste organizzazioni e lo stato; al
problema della loro fusione con lo stato ad est - fusione aperta e manifestatamente nefasta, per non
dire peggio - e da noi col problema del rischio di una complicit di fatto tra lo stato borghese e le
organizzazioni della lotta di classe, che lo stato cerca di integrare, a volte con esito, all'interno del
proprio funzionamento.
Queste lacune della teoria marxista delineano alcuni problemi per noi decisivi. Qual la natura
dello Stato e dello Stato imperialista attuale? Qual la natura, come funzionano il partito e il
sindacato? Come fuggire il rischio di fare il gioco dello stato borghese e pi tardi al rischio di
fusione tra stato e partito? Come pensare sin da ora alla necessit della distruzione dello stato
borghese e della sparizione dello stato rivoluzionario, per poterne indicare la via? Come vedere e

cambiare la natura e il funzionamento delle organizzazione della lotta di classe? Come cambiare
l'idea che tradizionalmente il partito comunista ha di s, sia in quanto partito della classe operaia
che come partito della classe dirigente, cio dire la sua ideologia, affinch sia riconosciuta in pratica
l'esistenza di altri partiti e movimenti?
E sopratutto, una domanda per il presente e per il futuro: come stabilire con le masse relazioni che
siano al di l della classica distinzione sindacato e partito e che garantiscano la diffusione delle
iniziative popolari? Perch in ogni momento vediamo nascere sempre pi movimenti di massa
esterni al sindacato e al partito, capaci o suscettibili di dare alla lotta una nuova e insostituibile
qualit. In una parola, come rispondere realmente alle esigenze e alle aspettative delle masse
popolari? In forma diversa, negativa o positiva, come vuoto o come emergenza, in forma oggettiva
o soggettiva, ci troviamo innanzi agli stessi problemi: a proposito dello Stato, del partito, del
sindacato, dei movimenti e delle iniziative di massa. Su tutti questi punti siamo obbligati a contare
soltanto sulle nostre forze.
Non si tratta di un problema nuovo. Gli altri marxisti, gli altri rivoluzionari, cercarono di risolverlo
in altre fasi critiche della storia. Oggi per, si presentano su una scala senza precedenti e, questione
decisiva, si presantano nella pratica su larga scala, come si vede in Italia, Spagna e in altri luoghi.
Possiamo dirlo: senza il movimento delle masse e senza la sua iniziativa, non avremmo potuto
nemmeno esporre apertamente questi interrogativi; grazie ai movimenti, la questione diventata un
problema politico attuale. E senza l'esplosione della crisi del marxismo, non avremmo potuto porre
la questione con la chiarezza dovuta.
Naturalmente la questione non si risolver da un giorno all'altro. Il blocco della crisi del marxismo,
sotto forma pi o meno visibile, potr continuare per lungo tempo in questo o quel partito, in questo
o quel sindacato. L'essenziale non che qualche intellettuale, venuto dall'Est o dall'Occidente, dia
un grido dall'allarme: si tratterebbe di una voce nel deseto.
L'essenziale che, anche se diviso, anche se pu temporaneamente trovarsi davanti ad una strada
in salita, il movimento operaio e popolare mai fu tanto ampio, mai propose tante inizianive e mai
dispose di tanti mezzi.
L'essenziale che nella pratica, seppur ancora tentennando, si inizia a prendere coscienza della
gravit e della portata della crisi del movimento comunista internazionale e del marxismo:
comprendendo la gravit dei suoi rischi ma anche lo spessore e l'occasione storica che presenta. Il
marxismo ha conosciuto nella sua storia una lunga serie di crisi e trasformazioni. Si pensi alle
trasformazioni a seguito della rivoluzione d'ottobre, dopo la rovina del marxismo della II
Internazionale nella sacra Unione.
Ci ritroviamo nel cuore dell'attuale crisi, dinnanzi a una nuova trasformazione, gi in gestazione
nelle lotte di massa: pu rinnovare il marxismo, dargli una nuova forza teorica, modificarne
l'ideologia, l'organizzazione e la pratica, per aprire un vero futuro di rivoluzione sociale, politica e
culturale della classe operaia e dei lavoratori. Nessuno pretende che l'impresa non sia estremamente
difficile: ma nonostante le difficolt, un'impresa possibile.
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Ultima modifica 14.02.2008

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