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S.

AGOSTINO
LA MUSICA

INDICE:
LIBRO I
LIBRO II
LIBRO III
LIBRO IV
LIBRO V
LIBRO VI

2
21
37
50
69
84

LIBRO PRIMO
MUSICA MOVIMENTO NUMERI
Concetto di musica come arte e scienza (1, 1 - 6, 12)
Grammatica e musica e suono.

1. 1. MAESTRO - Che piede modus?


DISCEPOLO - Un pirrichio.
M. - Di quanti tempi?
D. - Di due.
M. - E bonus che piede ?
D. - Il medesimo di modus.
M. - Dunque modus e bonus sono identici.
D. - No.
M. - Perch hai detto medesimo dunque?
D. - Sono identici nel suono, non nel significato.
M. - Affermi dunque che si ha il medesimo suono nel dire modus e bonus.
D. - Noto che si differenziano nel suono delle lettere, il resto eguale.
M. - E, secondo te, nel pronunciare il verbo pone e l'avverbio pone, a parte il
diverso significato, il suono differente?
D. - Completamente differente.
M. - E perch differente se costituito dai medesimi tempi e dalle medesime
lettere?
D. - Differisce perch si ha l'accento in sillabe diverse.
M. - E a quale disciplina appartengono tali nozioni?
D. - Io di solito le odo dai grammatici e da loro le ho apprese, ma non so se
ufficio proprio di tale disciplina o preso in prestito da altra.
M. - Lo vedremo in seguito. Per il momento ti propongo una domanda. Se io
battessi due volte un timpano o una corda d'arpa cos di seguito e tanto
velocemente come nel pronunciare modus e bonus, ti accorgeresti o no che
anche in tal caso si hanno due tempi.
D. - Me ne accorgerei.
M. - Diresti dunque che un pirrichio.
D. - S.
M. - E certamente dal grammatico hai appreso il nome del piede?
D. - D'accordo.
M. - Quindi il grammatico giudicher di tutti i suoni di tal genere, ovvero hai
avvertito da te le percussioni ritmiche ma hai appreso dal grammatico la
terminologia da usare?
D. - Certo.
M. - Ed hai osato trasferire un termine, che la grammatica ti ha insegnato, ad
un contenuto che, per tua ammissione, non di competenza della
grammatica?
D. - Ma, a mio avviso, stato dato un nome al piede soltanto per indicare una
misura di tempo. E perch non dovrei, ogni volta che avverto tale misura,
usare le parole in quel senso? Ed anche se si dovesse usare una diversa
terminologia, i suoni mantengono la medesima misura e quindi non sono di
competenza dei grammatici. E allora perch preoccuparsi della terminologia se
il significato chiaro?
M. - Neanche io lo voglio. Tuttavia tu comprendi che si danno innumerevoli tipi

di suoni, nei quali si possono osservare determinate misure. Ed esse, come


riconosciamo, non si devono attribuire alla disciplina grammaticale. Non ritieni
dunque che esiste un'altra disciplina, la quale ha come oggetto tutto ci che
nelle parole un determinato ritmo dovuto all'arte?
D. - Mi sembra probabile.
M. - E quale pensi sia il suo nome? Non ti nuovo, come credo, che alle Muse
si suole attribuire un certo universale potere del canto. questa che, salvo
errore, si denomina musica.
D. - Anche io penso che lo sia.
Definizione della musica.

2. 2. M. - Ma siamo d'accordo di non preoccuparci affatto della


terminologia. Ed ora, se lo credi opportuno, indaghiamo, con la maggiore
diligenza possibile, la competenza e il metodo di questa disciplina, qualunque
essa sia.
D. - Indaghiamo pure. Desidero assai conoscere tutto quanto la riguarda.
M. - Definisci allora la musica.
D. - Non ne son capace.
M. - Riesci almeno ad accettare la mia definizione?
D. - Ci prover, se la di.
M. - La musica scienza del misurare ritmicamente secondo arte 1. Sei
d'opinione contraria?.
D. - No forse, se mi fosse evidente che cos' misura ritmica.
M. - Non hai mai sentito usare il termine misurare ritmicamente, ovvero l'hai
sentito usare con significato non attinente al canto e alla danza?
D. - Giusto. Ma io osservo che misurare ritmicamente deriva da misura, poich
la misura si deve usare in tutte le opere d'arte, ed invece molti pezzi di canto e
di danza sono assolutamente illiberali. Vorrei quindi comprendere con
esattezza che cosa significa misurare ritmicamente, questo termine, col quale
da solo, si esprime la definizione di una disciplina tanto importante. Infatti per
possederla non basta apprendere quanto sanno i vari cantori e mimi.
M. - Non ti turbi il tema sopra enunciato che anche al di fuori della musica si
deve osservare la misura in tutte le produzioni e che essa tuttavia nella musica
si dice ritmica. Non dovresti ignorare infatti che il dire si attribuisce
propriamente all'oratore.
D. - Non lo ignoro. Ma a che scopo questa affermazione?
M. - Perch anche il tuo schiavo, per quanto illetterato e popolano, quando
risponde, sia pure con una parola, a una tua domanda, dice qualche cosa. Lo
ammetti?
D. - S.
M. - Allora un oratore anche lui?
D. - No.
M. - Dunque, anche se ha detto qualche cosa, non si valso del dire oratorio.
Eppure dobbiamo ammettere che il dire oratorio si dice dal dire.
D. - D'accordo, ma anche questo concetto, chiedo, a che serve?
M. - A farti comprendere che la misura ritmica di competenza della sola
musica, sebbene la misura, da cui la parola deriva, pu trovarsi anche in altre
arti. Allo stesso modo la dizione propriamente si attribuisce agli oratori,
sebbene quando si parla, si dice qualche cosa e la dizione deriva dal dire.
D. - Comincio a capire.

Misura ritmica...

2. 3. M. - Hai poi detto che nel canto e nella danza vi sono molte produzioni
illiberali e che, se dovessimo includerle nella misura ritmica, questa nobilissima
disciplina diverrebbe illiberale. stata una osservazione molto sensata.
Esaminiamo dunque dapprima che cosa significa misurare ritmicamente, poi
che cosa significa misurare ritmicamente secondo arte perch non stato
aggiunto invano alla definizione. Infine non si deve trascurare il motivo per cui
si usata la nozione di scienza. Infatti, salvo errore, la definizione risulta di
questi tre elementi.
D. - Va bene.
M. - Ammettiamo dunque che misura ritmica detta da misura. E allora non ti
appare la difficolt che soltanto nelle azioni che si compiono mediante un
determinato movimento si pu oltrepassare o non raggiungere la misura,
oppure si pu incorrere nella difficolt che si abbia qualche cosa fuor di misura,
anche senza il movimento?.
D. - No, certamente.
M. - Quindi misura ritmica si dice non incongruamente una determinata
capacit di muovere, o almeno una capacit, con cui si ottiene che qualche
cosa si muova secondo arte. Non si pu infatti dire che qualche cosa si muova
secondo arte, se non mantiene la misura.
D. - Non si pu certamente. Ma allora bisognerebbe applicare la misura ritmica
cos intesa a tutte le produzioni artistiche. Niente, per quanto ne capisco io, si
esegue secondo arte se non col muovere secondo arte.
M. - E se tutto questo fosse dovuto alla musica? Comunque il termine di
misura ritmica pi usato, ed a ragione, per gli strumenti musicali. Tu devi
ammettere, cos almeno penso, che un conto un pezzo di legno o argento o
altro materiale passato al tornio, ed altro il movimento dell'artigiano nell'atto
di tornirli.
D. - Son d'accordo che differiscono notevolmente.
M. - E il movimento non s'intende per s, ma piuttosto per l'oggetto che si
vuole tornito?
D. - Chiaro.
M. - Ma se quegli muovesse le membra al solo scopo di muoverle con armonia
ed eleganza, non diremmo che sta eseguendo una pantomima?
D. - S.
M. - E allora, secondo te, un qualche cosa ha pi valore e pregio se intesa
per s o ad altro?
D. - Per s, che dubbio?
M. - Ed ora torna al tema gi esposto della misura ritmica. L'abbiamo
considerata come determinata capacit di muovere. Esamina se il termine ha
maggiore applicazione nel movimento, per cos dire, libero, che cio s'intende
per s e di per s genera diletto estetico, ovvero in quello che in qualche
modo illibero. Sono in certo senso illibere tutte le cose che non sono fine a s,
ma si riferiscono ad altro.
D. - Nel movimento cio che inteso per s.
M. - Quindi gi probabile che la scienza del misurare ritmicamente scienza
del muovere secondo arte, in maniera che il movimento sia inteso per s e di
per s generi diletto.
D. - S, probabile.

...secondo arte.

3. 4. M. - Perch dunque stato aggiunto secondo arte? impossibile che ci


sia misura ritmica, se non c' movimento secondo arte.
D. - Non lo so e non so neanche come mi sia sfuggito. Era proprio questo
l'intento dell'indagine.
M. - Si sarebbe anche potuto non discutere su tale termine. Espunta la clausola
" secondo arte ", potevamo definire la musica soltanto come scienza del
misurare ritmicamente.
D. - Chi ti pu seguire, se intendi svolgere cos tutto l'argomento?
M. - La musica scienza dei muovere secondo arte. Ora si pu dire mosso
secondo arte tutto ci che mosso ritmicamente con l'osservanza delle misure
di tempi e lunghezze. Infatti genera gi piacere estetico e pertanto gi si pu
considerare convenientemente misura ritmica. Pu avvenire tuttavia che la
misura ritmica generi piacere estetico, quando non dovrebbe. Supponi che un
tale canti con bella voce ed esegua la pantomima con armonia, ma finisca nello
sguaiato, quando il soggetto richiede austerit. Egli non usa con arte la misura
ritmica. Infatti esegue senza arte, cio fuori convenienza, il movimento che al
contrario si dovrebbe eseguire secondo arte per il fatto stesso che ritmico.
Quindi un conto misurare ritmicamente ed un altro misurare ritmicamente
secondo arte. La misura ritmica si pu riconoscere in qualsiasi cantante purch
non sbagli negli accordi di voci e suoni. La conveniente misura ritmica invece
appartiene a questa disciplina liberale, cio la musica. Potresti ritenere che un
movimento, in quanto sconveniente al soggetto, non secondo arte, sebbene
devi ammettere che ritmica secondo le regole dell'arte. Ma rispettiamo il
nostro criterio, valido in ogni trattazione, di non lasciarci assillare da una
polemica verbale, se il concetto sufficientemente chiaro. E non
preoccupiamoci se la musica si deve definire scienza del misurare ritmico,
ovvero del misurare ritmico secondo arte.
D. - Amo disprezzare vivamente le polemiche verbali; tuttavia codesta tua
distinzione non mi dispiace.
Musica e scienza.

4. 5. M. - Rimane da esaminare il motivo, per cui nella definizione s'implica


scienza.
D. - D'accordo. Rammento che il procedimento lo richiede.
M. - Rispondi dunque se, secondo te, a primavera l'usignolo moduli con arte la
voce. Il suo canto difatti ritmico e molto armonioso e, salvo errore,
conveniente alla stagione.
D. - D'accordo.
M. - dunque capace di disciplina liberale?
D. - No.
M. - Vedi dunque che il termine di scienza indispensabile alla definizione.
D. - Lo vedo bene.
M. - Rispondimi dunque, se vuoi. Ritieni eguali all'usignolo coloro che, mossi da
una certa sensibilit, cantano secondo arte, cio ritmicamente e
armoniosamente, sebbene interrogati sul ritmo e la successione dei suoni acuti
e gravi non sanno rispondere?
D. - Li giudico del tutto eguali.
M. - E quelli che, senza avere questa scienza, ascoltano volentieri, si devono
paragonare a certi animali? Si pu infatti vedere che elefanti, orsi e altre

specie di animali si muovono ritmicamente al canto e che gli uccelli stessi


traggono diletto dalla propria voce. Non canterebbero infatti con tanta
assiduit se, essendo escluso ogni interesse, non avessero soddisfazione.
D. - La penso cos, ma un'offesa contro quasi tutto il genere umano.
M. - Non come la pensi. Infatti uomini eccellenti, sebbene profani della
musica, vogliono talora adattarsi alla massa che non differisce molto dalle
bestie e che comprende un numero straordinario d'individui. E lo fanno con
molta liberalit e tatto. Ma qui non il caso di parlarne. Anche dopo le grandi
preoccupazioni, allo scopo di ristorare e rinfrancare lo spirito, si pu con
grande moderazione ricevere un po' di divertimento dai canti. E prenderlo
qualche volta a questa condizione segno di grande moderazione. Ma
lasciarsene prendere anche qualche volta vergognoso e indegno.
Imitazione e ragione dell'arte.

4. 6. Che te ne sembra? Coloro che suonano il flauto, la cetra e simili


strumenti si possono paragonare all'usignolo?
D. - No.
M. - Quale n' la differenza?
D. - In costoro scorgo una certa arte, in quello la natura soltanto.
M. - Esprimi un concetto probabile. Ma ti sembra che si deve considerare arte,
anche se eseguono per imitazione?
D. - E perch no? A mio avviso, l'imitazione ha tanto valore nelle arti che con
la sua eliminazione tutte potrebbero cessare. Anche gli insegnanti si offrono ad
essere imitati e questo appunto essi denominano insegnare.
M.- Ritieni che l'arte una determinata ragione e che si valgono della ragione
coloro che si valgono dell'arte, ovvero no?
D. - S.
M.- Chi dunque non pu usare la ragione, non pu usare l'arte.
D. - Anche questo concedo.
M.- Ritieni che gli animali privi di parole e che quindi sono considerati
irragionevoli possono usare la ragione?
D. - Assolutamente no.
M. - Allora o dovrai considerare animali ragionevoli le gazze, i pappagalli e i
corvi, ovvero senza criterio hai congiunto l'imitazione al concetto di arte.
Osserviamo infatti che questi uccelli cantano e fischiano molti motivi alla
maniera degli uomini e che lo fanno per imitazione. Che te ne sembra?
D. - Non comprendo ancora del tutto come hai fatto a imbastire questa
conclusione e fino a qual punto essa valida contro la mia risposta.
M. - Ti avevo chiesto se, secondo te, i citaristi, i flautisti e altri suonatori del
genere esercitano arte, anche se hanno raggiunto l'abilit nel suonare con
l'imitazione. Hai risposto che arte ed hai sostenuto che l'imitazione ha tanta
importanza da sembrare che eliminandola tutte le arti potrebbero essere
destituite. Ne pu conseguire che chi ottiene un effetto mediante imitazione, fa
arte, anche se eventualmente non ogni individuo che fa arte l'ha raggiunta con
l'imitazione. Ma se l'imitazione arte e l'arte razionalit, l'imitazione
razionalit. Ma l'animale irragionevole non usa la ragione, quindi non capace
di arte, per capace di imitazione, quindi l'arte non imitazione.
D. - Io ho affermato che molte arti si fondano sulla imitazione, non ho
considerato arte la stessa imitazione.
M. - Ma, a tuo parere, le arti che si fondano sulla imitazione, non si fondano

sulla ragione?
D. - Anzi io penso che si fondano su entrambe.
M. - Non faccio obiezioni. Ma la scienza dove la fondi, sulla ragione o
sull'imitazione?
D. - Anch'essa su entrambe.
M. - Dunque riconosci la scienza agli uccelli. Hai loro riconosciuto la capacit
d'imitare.
D. - No, perch ho affermato che la scienza sussiste in entrambe sicch
impossibile che sia nella sola imitazione.
M. - E ritieni che possa essere nella sola ragione?
D. - S.
M. - Quindi pensi che arte e scienza si differenziano. Infatti la scienza pu
sussistere nella sola ragione, l'arte invece esige l'unione di imitazione e
ragione.
D. - Non veggo la conseguenza. Io avevo affermato che molte e non tutte le
arti sono costituite da ragione ed insieme da imitazione.
M. - E considererai scienza la nozione che risulta da entrambe, ovvero le
concederai soltanto la dimensione della ragione?
D. - E che cosa m'impedisce di considerarla scienza, quando alla ragione si
unisce l'imitazione?
Scienza ed esecuzione musicale.

4. 7. M. - Stiamo trattando ora del citarista, del flautista, e cio delle


esecuzioni musicali. Dimmi dunque se al corpo, cio a una certa sua
soggezione, si deve attribuire quanto questi individui producono per
imitazione.
D. - Ma io penso che si deve attribuire allo spirito e insieme al corpo. Quando
hai detto soggezione al corpo, hai usato un termine veramente appropriato. Il
corpo infatti pu essere soggetto soltanto allo spirito.
M. - Noto che con molto discernimento hai attribuito l'imitazione non soltanto
al corpo. Ma potresti affermare che la scienza non appartiene esclusivamente
allo spirito?
D. - E chi lo potrebbe?
M. - Dunque ti assolutamente impossibile far dipendere da ragione e
imitazione una scienza consistente nei suoni delle cetre e dei flauti. Infatti,
come hai ammesso, non si d imitazione senza l'intervento del corpo. Hai
affermato anche al contrario che la scienza soltanto dello spirito.
D. - Riconosco che logica conclusione delle concessioni che ho fatte. Ma che
me ne importa? Anche il flautista potr avere scienza nello spirito. Quando
infatti si associa l'imitazione che, come ho detto, non possibile senza il corpo,
essa non sottrarr l'oggetto che egli tiene presente allo spirito.
M. - Non lo sottrarr certamente. Ma io non intendo affermare che son privi di
scienza tutti coloro che usano simili strumenti. Affermo che non tutti ne son
capaci. Stiamo trattando questo problema per intendere, se possibile, con
quanto discernimento stata posta la scienza nella definizione di musica. Che
se di essa fossero capaci tutti i flautisti, citaristi e altri suonatori del genere,
penso che nulla vi sarebbe di pi banale e volgare di tale disciplina.
Scienza, memoria e senso.

4. 8. Ma segui con tutta l'attenzione perch rimanga evidente il risultato della


nostra lunga indagine. Mi hai gi concesso che scienza soltanto nello spirito.

D. - E perch non concederlo?


M. - E il senso dell'udito lo attribuisci allo spirito, al corpo o a entrambi?
D. - Ad entrambi.
M. - E la memoria?
D. - Penso che sia da attribuire allo spirito. Anche se percepiamo qualche cosa
sensibilmente e lo affidiamo alla memoria, non per questo si deve pensare che
la memoria abbia sede nel corpo.
M. - Codesto forse un problema importante, ma non attinente all'attuale
argomento. Ma per quanto basta all'intento, non puoi negare, come penso, che
le bestie hanno la memoria. Le rondini dopo un anno tornano ai nidi. Delle
capre stato detto con verit: Ricordano la strada per tornare all'ovile anche le
stesse 2 [capre]. Ed cantato nel poema che il cane riconobbe l'eroe suo
padrone, ormai dimenticato dai familiari 3. E se volessimo, potremmo allegare
innumerevoli casi, dai quali risulta quanto sto affermando.
D. - Non lo nego, ma sto aspettando con impazienza l'aiuto che ne aspetti.
M. - E quale, secondo te? Affermo semplicemente che se si attribuisce scienza
unicamente all'essere spirituale e la si nega a tutti i bruti, viene accreditata
soltanto al pensiero e non al senso e alla memoria. Infatti il senso non sussiste
fuori del corpo ed esso e la memoria sono comuni anche alle bestie.
D. - Anche qui mi sto chiedendo a quale scopo.
M. - A questo. Vi sono individui che si arrestano alla esteriore esteticit e
affidano alla memoria quanto soddisfa il loro gusto e muovendo il corpo
secondo tale regola, vi associano una certa capacit d'imitazione. Ma essi non
hanno scienza, anche se apparentemente eseguono secondo le norme dell'arte
e della cultura, a meno che non afferrino con puro e ideale pensiero l'azione
che eseguono o esibiscono. E se ragionevolmente si potesse dimostrare che
tali sono gli attori drammatici, non avresti, a mio avviso, motivo per esitare a
negar loro la scienza, e conseguentemente a non conceder loro la vera musica,
che appunto scienza del misurare ritmicamente.
D. - Spiega un po' il concetto, vediamone il significato.
Scienza e pratica.

4. 9. M. - Penso che non accrediti alla scienza ma alla pratica la maggiore o


minore agilit delle dita.
D. - E perch lo penseresti?
M. - Perch poco fa soltanto allo spirito hai attribuito la scienza. Ora tu puoi
constatare che tale abilit soltanto del corpo, sebbene sotto il comando dello
spirito.
D. - Ma appunto perch lo spirito dotato di scienza comanda al corpo tale
abilit, questa, secondo me, si deve attribuire allo spirito, anzich alle membra
che eseguono.
M. - Secondo te, si pu dare il caso che un musicante valga per scienza pi
d'un altro, sebbene il meno informato muove con maggior facilit e agilit le
dita?
D. - S.
M. - Ma se il movimento rapido e pi agile delle dita dovesse assegnarsi alla
scienza, tanto pi si sarebbe abili, quanto pi si dotati di scienza.
D. - D'accordo.
M. - Considera anche questo caso. Penso che qualche volta hai osservato

artigiani e altri operai. Essi con l'ascia o con la scure battono sempre allo
stesso posto e menano il colpo soltanto dove la loro intelligenza indica. E talora
siamo da loro scherniti, se nel tentativo di fare altrettanto, non vi riusciamo.
D. - come tu dici.
M. - Ma quando non vi riusciamo, non sappiamo forse il punto da colpire o la
lunghezza del pezzo da staccare?
D. - Qualche volta non lo sappiamo, qualche volta s.
M. - Supponi dunque che un tale sappia tutto ci che gli artigiani debbono fare
e che lo sappia alla perfezione, sebbene sia meno capace nell'esecuzione, e
che sia perfino in grado di suggerire agli abilissimi esecutori con maggiore
competenza di quanto essi non sappiano giudicare. Puoi affermare che questa
capacit non derivi dalla pratica?
D. - No.
M. - Quindi non solo si devono attribuire all'esercizio anzich alla scienza la
celerit e l'agilit, ma anche la misura del movimento nelle membra.
Altrimenti, pi si dotati di scienza e meglio si userebbero le mani. Lo diciamo
in riferimento all'auletica e alla citaristica, in cui sono interessate le dita e le
articolazioni. Per noi un affare piuttosto difficile. Ma non per questo
dobbiamo pensare che si tratti di scienza, anzich di pratica e di assidua
imitazione ed esercizio.
D. - Non posso pi obiettare. Spesso sento dire che medici assai colti sono
superati dai meno colti nelle amputazioni e nelle incisioni di vario genere, per
quell'aspetto che richiede l'uso delle mani e dei ferri. Definiscono chirurgia
questo settore della medicina. Con tale termine si designa appunto una
determinata pratica di medicare mediante l'operazione delle mani. Quindi
passa ad altro e chiudi ormai l'argomento.
Scienza e doti naturali.

5. 10. M. - A mio parere, ci rimane da chiarire, se ne siamo capaci, un altro


argomento. Queste arti, che ci dilettano mediante l'esecuzione delle mani, per
conseguire l'efficacia della pratica, non hanno derivato dalla scienza, ma dal
senso e dalla memoria. Altrimenti tu mi potresti obiettare che in alcuni
possibile la scienza senza la pratica, e talora tanto pi eccellente che in coloro,
i quali si distinguono per la pratica, ma che tuttavia anche costoro non hanno
potuto raggiungere tanta pratica senza la scienza.
D. - Comincia; chiaro che dovrebbe esser cos.
M. - Hai mai ascoltato con interesse i mimi?
D. - Con maggior interesse di quanto vorrei.
M. - Come avviene, secondo te, che la massa profana acclama un flautista il
quale butta fuori banali accordi e poi applaude un bravo cantante ed tanto
pi profondamente emozionata, quanto pi il canto melodioso? Si deve
pensare che la massa si comporta cos per competenza nell'arte musicale?
D. - No.
M. - E allora?
D. - Penso che si deve alla natura che ha dato a tutti la facolt di udire,
competente del giudizio in materia.
M. - Pensi bene. Ma considera se anche il flautista dotato di tale facolt. Se
cos, seguendo il giudizio della facolt stessa, pu muovere le dita, mentre
soffia nel flauto, fissare e consegnare alla memoria ci che suona pi
agevolmente secondo una propria inclinazione e abituare le dita a muoversi

senza esitazione ed errore. E ci tanto nel caso che esegua la composizione di


un altro o che componga lui. E, come stato detto, la natura che agisce da
guida e da criterio. Quindi nell'atto che la memoria segue il senso, e le
articolazioni, gradualmente addestrate e rese idonee, seguono la memoria, il
musicante, quando lo vuole, suona con tanto maggior perizia tecnica, quanto
pi eccelle in quelle doti che, dianzi, l'indagine ha mostrato comuni a noi e alle
bestie, e cio la tendenza ad imitare, il senso, la memoria. Hai qualche cosa da
dire in contrario?
D. - No, non ho nulla. Ma ormai desidero udire le caratteristiche della
disciplina, che vedo negata mediante argomenti stringenti alle capacit degli
individui privi d'istruzione.
Il cantante e i suoi tifosi...

6. 11. M. - Non ancora svolto sufficientemente l'argomento e non permetter


che si passi all'argomento successivo senza una chiarifica. stato da noi
accertato che i mimi possono senza la scienza musica soddisfare il gusto della
massa. Allo stesso modo dovr essere accertato che i mimi non possono in
alcuna maniera apprendere e avere conoscenza della musica.
D. - Mi meraviglierei se ci riesci.
M. - facile, ma devi essere pi attento alle mie parole.
D. - Per quanto ne so io, non sono stato mai svagato nell'ascoltarti da quando
ha avuto inizio il nostro discorso, ma confesso che ora mi costringi a
concentrarmi maggiormente.
M. - Te ne son grato, quantunque tu lo faccia per il tuo interesse. E allora, per
piacere, rispondimi, se, secondo te, sapeva che cosa fosse un soldo aureo, quel
tizio, il quale volendo valutarlo al giusto scambio, pens che valesse dieci
sesterzi.
D. - Ma chi potrebbe pensarlo?
M. - E allora dimmi che cosa si deve stimar di pi, i contenuti di cultura della
nostra intelligenza o il riconoscimento che eventualmente ci viene accordato
dagli illetterati?
D. - Non v' dubbio che l'intelligenza superiore a tutte le altre cose che
neanche si dovrebbero considerar nostre.
M. - E puoi negare che ogni scienza contenuto della intelligenza?
D. - E chi potrebbe?
M. - Anche la musica dunque nell'intelligenza.
D. - Rilevo che consegue dalla sua definizione.
M. - E non ritieni che la popolarit e le ricompense tributate agli attori
appartengono a quell'ordine di cose, che posto nel potere della fortuna e nel
giudizio degli ignoranti?
D. - A mio avviso, non si d cosa tanto casuale, sottoposta agli accadimenti e
soggetta al dominio e all'approvazione della massa, come quelle.
M. - E a tal prezzo i mimi venderebbero i propri canti, se avessero scienza della
musica?
D. - Sono assai convinto della conclusione, ma avrei una leggera obiezione in
contrario. Non mi pare che l'individuo, il quale scambiava il soldo, si debba
paragonare al mimo. Egli infatti, col ricevere gli applausi e l'onorario
elargitogli, non perde la scienza, seppur ne in possesso, con cui ha
soddisfatto il gusto della massa. Ma se ne torna a casa pi colmo di ricchezza,
pi lieto per la popolarit e con la propria scienza incolume e integra. Sarebbe

stolto se disprezzasse questi vantaggi, perch non ricevendoli sarebbe molto


meno illustre e pi povero, ricevendoli non meno dotto.
...e i lauti guadagni.

6. 12. M. - Vedi allora se col seguente argomento otteniamo il nostro intento.


Tu ritieni, penso, che ha molto pi valore il fine, per cui agiamo, che l'azione
stessa.
D. - chiaro.
M. - Dunque chi canta o impara a cantare soltanto per ottenere l'esaltazione
dal popolo o da qualche individuo, non giudica migliore quell'esaltazione che il
canto?
D. - Mi impossibile negarlo.
M. - E chi giudica male una cosa, secondo te, ne ha scienza?
D. - Per nulla affatto, a meno che eventualmente non sia diventato in qualche
modo squilibrato.
M. - Quindi chi giudica migliore una cosa peggiore, senza dubbio privo della
conoscenza della cosa?
D. - S.
M. - Se dunque mi convincerai o dimostrerai che un mimo ha conseguito ed
esibisce la propria abilit, seppur ce l'ha, non per piacere alla massa a scopo di
lucro e di celebrit, allora ti conceder che possibile avere scienza della
musica ed essere un mimo. Ma se assai probabile che si fa il mimo soltanto
per proporsi esclusivamente come fine della professione il lucro e la celebrit,
devi ammettere o che i mimi non hanno vera conoscenza della musica, oppure
che fanno meglio essi a chiedere popolarit e altri vantaggi soggetti al caso,
che noi l'intelligenza. [E poich essi chiedono dagli altri fama e vantaggi, ma
non chiedono da noi intelligenza, quando apprezzano sconsideratamente ci
che illiberale appunto perch pi piacevole, appare che non ne hanno
scienza].
D. - Ho concesso le premesse. Veggo che devo concedere anche la
conclusione. Mi pare impossibile trovare un uomo di teatro che ami la propria
arte per se stessa e non per vantaggi estranei. A stento se ne potrebbe trovare
qualcuno dal ginnasio. Ma se qualcuno ve n' stato o ve ne sar, non sembra
che per questo si devono disprezzare i musici, ma piuttosto riabilitare una
buona volta i mimi. Quindi esponi, per favore, le caratteristiche di questa
grande disciplina, che ormai non m' pi possibile considerare illiberale.
Leggi musicali dei movimenti-numeri (7, 13 - 13, 28)
Lentezza e velocit.

7. 13. M. - Lo far, anzi lo farai tu. Io mi limiter a porti delle frequenti


domande. Tu con le risposte esporrai tutto ci che riguarda l'argomento e ci
che ti sembra di dover cercare perch attualmente lo ignori. E prima di tutto ti
chiedo se si possa correre lungamente e velocemente.
D. - possibile.
M. - E lentamente e velocemente?
D. - Assolutamente impossibile.
M. - Altro dunque " lungamente " e altro " lentamente ".
D. - Certo.
M. - Chiedo ugualmente qual , secondo te, l'opposto di una lunga durata,
come la velocit l'opposto della lentezza.
D. - Non mi viene in mente un termine in uso. Ma noto che posso opporre a

" lungamente durevole " soltanto " non lungamente durevole ". In definitiva al
termine " lungamente " opposto l'altro " non lungamente ", allo stesso modo
che se non volessi usare " velocemente " e preferissi dire " non lentamente ",
si avrebbe il medesimo significato.
M. - Giusto. Non si sottrae nulla alla verit, quando si parla cos. Infatti anche
io non ricordo se esiste questo nome che anche tu dici di non rammentare, o
perch lo ignoro o al momento non mi viene in mente. Quindi stabiliamo di
chiamare queste due coppie di contrari in questo modo: " lungamente " e " non
lungamente ", " lentamente " e " velocemente ". E prima di tutto, se vuoi,
discutiamo sul " lungamente durevole " e " non lungamente durevole ".
D. - Va bene.
Legge armonica nei rapporti numerici.

8. 14. M. - evidente per te che si dice durare lungamente ci che dura un


lungo tempo e non lungamente ci che dura un breve tempo?
D. - S.
M. - E dunque il movimento che dura, ad esempio, due ore, dura il doppio di
quello di un'ora?
D. - Che dubbio?
M. - Dunque il concetto di " lungamente " o " non lungamente " si pu ridurre a
rapporti determinati e a numeri. Cos un movimento all'altro nel rapporto di
due a uno, cio uno ha due volte una durata in rapporto a un altro che l'ha una
sola volta. Egualmente un movimento sta ad un altro nel rapporto di tre a due,
cio uno dura tre porzioni di tempo in rapporto ad un altro che ne dura due. Si
pu cos percorrere la serie dei numeri, non in lunghezze illimitate e
indeterminate, ma in maniera che due movimenti siano in rapporto mediante
un numero, o il medesimo, come uno a uno, due a due, tre a tre, quattro a
quattro, o non il medesimo, come uno a due, due a tre, tre a quattro, oppure
uno a tre, due a sei e tutti gli altri numeri che siano fra di s commensurabili.
D. - Pi chiaramente, prego.
M. - Ritorna dunque all'esempio delle ore ed applica ai singoli casi il mio
discorso su un'ora e due ore che, come pensavo, doveva bastarti. Ammetti
certamente che si pu dare un movimento di un'ora e un altro di due.
D. - D'accordo.
M. - E non l'ammetti anche per un movimento di due ore e un altro di tre?
D. - S.
M. - E non evidente anche per uno di tre e un altro di quattro, ovvero per
uno di una e un altro di tre, per uno di due e un altro di sei?
D. - S.
M. - E allora perch l'esposto non sarebbe chiaro? Affermavo proprio questo,
quando dicevo che il rapporto fra due movimenti pu essere indicato da un
numero, come uno a due, due a tre, tre a quattro, uno a tre, due a sei ed altri
che si vogliano considerare. Conosciuti questi rapporti anche possibile
determinare gli altri, come di sette a dieci, di cinque a otto e all'infinito per
ogni altro rapporto che si rinvenga fra due movimenti proporzionalmente
commensurabili. Di essi si pu dire appunto che sono proporzionali, tanto se i
due numeri sono eguali, come se uno maggiore e uno minore.
D. - Ora capisco e ammetto che possibile.
Movimenti commisurati eguali e ineguali.

9. 15. M. - E comprendi anche, suppongo, che la misura e il limite sono

giustamente da considerarsi pi perfetti della mancanza di misura e di limite.


D. - Indiscutibile.
M. - Dunque due movimenti che sono in rapporto, come gi detto, secondo una
misura numerica, sono da considerarsi pi perfetti di quelli che non l'hanno.
D. - Anche questa conseguenza evidente poich la misura ben definita
esistente nei numeri li rapporta l'uno all'altro. Quelli che ne sono privi non sono
uniti fra di s da una determinata ragione di commensurabilit.
M. - Allora possiamo appunto denominare, se sei d'accordo, razionali quelli che
sono commisurati e irrazionali quelli che sono privi di commisurazione.
D. - D'accordo.
M. - Ed ora rifletti se, secondo te, la proporzionalit esistente nei movimenti
razionali fra di s eguali maggiore che in quelli ineguali.
D. - Chi potrebbe avere un'altra opinione?
M. - Inoltre fra gli ineguali ve ne sono alcuni, dei quali possiamo dire con quale
parte proporzionale il maggiore equivale al minore o lo supera, come due a
quattro e sei a otto, ed altri, di cui non possibile dire lo stesso, come nei
seguenti numeri: tre e dieci, quattro e undici. Vedi certamente che nella prima
coppia la met del maggiore equivale al minore, nella seconda che ho fatto
seguire, il maggiore supera il minore di un quarto. Nelle due ultime coppie al
contrario, appunto tre e dieci, quattro e undici, vediamo una certa proporzione
perch le parti sono in un determinato rapporto di tanto a tanto, ma non come
nelle prime due. Non si pu assolutamente dire infatti qual la parte
proporzionale del maggiore che equivale al minore n quella con cui lo supera.
Non si pu affermare che il tre parte proporzionale del dieci o il quattro
dell'undici. Quando ti dico di considerare una parte proporzionale, intendo
parlare di una parte semplice e senza altra aggiunta, come una met, una
terza, una quarta, una quinta, una sesta parte e cos via. Non si deve cio
aggiungere una terza parte o una ventiquattresima parte d'una parte e altre
suddivisioni del genere.
D. - Adesso capisco.
Movimenti ineguali connumerati e dinumerati.

9. 16. M. - Ho proposto due tipi di movimenti razionali ineguali chiarendoli con


esempi di numeri. Tu dunque quali ritieni pi perfetti, quelli, di cui possibile
esprimere la parte proporzionale o quelli, di cui non possibile?
D. - La logica, mi pare, ci impone di considerare pi perfetti quelli, di cui, come
stato dimostrato, si pu dire, nel confronto con gli altri, in cui ci non
avviene, che il maggiore equivale o supera con una sua parte proporzionale il
minore.
M. - Bene. Vuoi anche che imponiamo ad essi un nome? Cos, quando in
seguito sar necessario richiamarli, discuteremo pi speditamente.
D. - Ben volentieri.
M. - Denominiamo quindi connumerati quelli che abbiamo dichiarato pi
perfetti e dinumerati quelli meno perfetti. Ne motivo che i primi sono
numerati non solo presi singolarmente, ma sono numericamente proporzionali
anche in quella parte, con cui il maggiore equivale o supera il minore; gli altri
invece costituiscono un rapporto numerico soltanto presi singolarmente,
mentre non sono numericamente proporzionali nella parte con cui il maggiore
si equivale o supera il minore. Di essi impossibile infatti esprimere quante
volte il maggiore contiene il minore o quante volte il maggiore e il minore

contengono quella parte, con cui il maggiore supera il minore.


D. - Accetto questi termini e, per quanto ne son capace, far di ricordarmene.
Movimenti-numeri moltiplicati e sesquati.

10. 17. M. - Ora esaminiamo una possibile classificazione dei connumerati.


Penso che sia chiara. Il primo tipo di connumerati quello, in cui il numero
minore misura il maggiore, cio il maggiore contiene un determinato numero di
volte il minore, secondo l'esempio gi addotto di due e quattro. Osserviamo
infatti che il due contenuto nel quattro due volte. Di seguito si ha il tre, se, in
rapporto col due, invece del quattro poniamo il sei, quattro, se l'otto, cinque,
se il dieci. Il secondo tipo quello, in cui la parte, con la quale il maggiore
supera il minore, li misura entrambi, cio il maggiore e il minore la contengono
un determinato numero di volte. L'abbiamo osservato nei numeri sei e otto.
Infatti la parte eccedente il minore il due, che contenuto quattro volte
nell'otto e tre nel sei. Dunque anche ai movimenti in oggetto e ai numeri, per
cui ci si chiarisce quanto vogliamo apprendere sui movimenti, diamo un nome
distintivo, poich ormai, salvo errore, la loro caratteristica evidente.
Pertanto, se a te gi chiara, quelli in cui il maggiore si ottiene moltiplicando il
minore, siano chiamati moltiplicati, gli altri, col nome consueto, sesquati. Si
dice infatti sesque un rapporto esistente fra due numeri, per cui il maggiore ha
tante parti in pi del minore, quanta la parte proporzionale, con cui lo
supera. Ad esempio, se tre a due, il maggiore supera il minore di un terzo;
se quattro a tre, di un quarto; se cinque a quattro, di un quinto, e cos via. Il
medesimo rapporto si ha anche nel sei a quattro, nell'otto a sei, nel dieci a
otto. Si pu apertamente avvertire tale rapporto anche nei numeri successivi e
nei pi alti. Non saprei dire l'etimologia del nome, a meno che sesque non
significhi se absque, cio senza di s, perch nel cinque a quattro senza la sua
quinta parte il maggiore equivale il minore. Ti chiedo che te ne sembra.
D. - A me sembra che la teoria sulle misure numeriche sia assolutamente vera.
Mi sembra che i termini da te introdotti siano adatti a significare i concetti da
noi espressi. In quanto all'etimologia del vocabolo, che hai esposto per ultimo,
non mi pare irragionevole, sebbene non sia quella tenuta presente da chi per
primo ha usato il termine.
Legge ritmica nell'illimite e...

11. 18. M. - Approvo e accetto il tuo parere. Ma tutti i movimenti razionali,


cio che sono in rapporto secondo una misura numerica, possono
numericamente andare all'infinito, se una regola esatta non li limita e li riduce
a una formula determinata. Lo vedi bene? Comincio dagli eguali. Se dico: uno
a uno, due a due, tre a tre, quattro a quattro, e cos via, non v' una fine
perch il numero stesso non ha fine. Questa appunto la legge del numero,
che determinato finito, non determinato infinito. E puoi notare che quanto
avviene per gli eguali, avviene anche per gli ineguali, tanto moltiplicati che
sesquati, connumerati o dinumerati. Se infatti cominci con l'uno a due e
persisti nella serie, dicendo uno a tre, uno a quattro, uno a cinque, e cos via,
non si avr un limite. Egualmente, se la differenza due, come uno a due, due
a quattro, quattro a otto, otto a sedici e di seguito, non si ottiene un limite. Si
va egualmente all'infinito, se tenti col tre, col quattro e qualsiasi altro numero.
Cos si comportano anche i sesquati. Infatti quando si dice: due a tre, tre a
quattro, quattro a cinque, ti accorgi di poter continuare senza incontrare limite,
anche se preferisci, rimanendo nello stesso tipo, dire due a tre, quattro a sei,

sei a nove, otto a dodici, dieci a quindici, e cos via. Dunque anche in questo
tipo, come negli altri, non s'incontra un limite. Non c' bisogno di parlare dei
dinumerati. Da quanto stato detto, ciascuno pu ben comprendere che anche
nella loro serie non si ha un limite. Non sei d'accordo?.
...legge metrica nel limite.

11. 19. D. - Niente di pi vero. Ma attendo con impazienza di conoscere la


regola che riduce tale illimitatezza a una determinata misura e stabilisce una
formula che non si pu oltrepassare.
M. - Ti accorgerai di conoscere anche questa formula, come gli altri concetti,
quando risponderai esattamente alle mie domande. Dunque giacch stiamo
trattando dei movimenti numericamente misurabili, ti chiedo prima di tutto se
dobbiamo rivolgerci ai numeri per giudicare che nei movimenti si devono
avvertire e osservare le leggi indicateci come rigidamente esatte dai numeri
stessi.
D. - Mi va, penso che sia il metodo migliore.
M. - Dunque, se vuoi, iniziamo l'indagine dal principio stesso dei numeri.
Esaminiamo, per quanto siamo capaci di conoscere con le forze della nostra
mente, quale sia la ragione per cui, quantunque il numero vada all'infinito,
come abbiamo detto, gli uomini, nel numerare, abbiano stabilito delle
partizioni, da cui tornare all'uno, che il principio dei numeri. Nel numerare
infatti progrediamo dall'uno al dieci e da l torniamo all'uno. Se si vuole
prendere la serie delle decine e si numera dieci, venti, trenta, quaranta, si
progredisce fino a cento, se quella delle centinaia, si hanno cento, duecento,
trecento, quattrocento e in mille il traguardo, da cui tornare indietro. Che
bisogno d'indagare ancora? Intendo parlare, lo vedi certamente, di quelle
partizioni, la cui prima regola imposta dal numero dieci. Infatti come dieci
contiene dieci volte l'uno, cos cento contiene dieci volte il dieci e mille dieci
volte cento. Cos di seguito, finch si vuol continuare, la serie delimitata dal
numero dieci, si svolger in tali partizioni. Ti rimane incomprensibile qualche
cosa?.
D. - Son tutti concetti chiarissimi e assolutamente veri.
Numero completo il tre...

12. 20. M. - Esaminiamo dunque, con quanta diligenza possibile, la ragione


per cui si ha l'estensione fino al dieci e indi il ritorno all'uno. Ti chiedo dunque
se ci che si denomina principio pu esserlo senza esserlo di qualche cosa.
D. - Assolutamente impossibile.
M. - Egualmente ci che si dice fine pu esserlo senza esserlo di qualche cosa?
D. - Anche questo impossibile.
M. - E pensi che si possa giungere dal principio alla fine senza attraversare il
medio?
D. - No.
M. - Dunque perch si abbia un tutto, esso deve risultare dal principio, dal
medio e dalla fine.
D. - S.
M. - Dimmi dunque in quale numero, secondo te, sono contenuti principio,
medio e fine.
D. - Intendi, come suppongo, che ti risponda tre, perch tre sono gli elementi,
su cui mi domandi.
M. - Supposizione esatta. Vedi dunque che nel tre si ha una certa perfezione

perch completo. Ha infatti il principio, il medio e la fine.


D. - Certamente.
M. - E non abbiamo appreso fin dalla fanciullezza che il numero di per s pari
o dispari?
D. - Vero.
M. - Richiama alla mente dunque e dimmi come si definisce abitualmente il
pari e come il dispari.
D. - Si dice pari quello che si pu dividere in due parti eguali, dispari quello che
non si pu.
...e il quattro, principi l'uno e il due.

12. 21. M. - Hai il concetto. Ora il tre il primo dispari completo perch, come
stato detto, consta di principio, medio e fine. Non necessario dunque che vi
sia anche un pari completo e perfetto, in cui si abbiano principio, medio e fine?
D. - Certamente.
M. - Ma esso, qualunque sia, non pu avere il medio indivisibile come il dispari.
Se l'avesse, non potrebbe esser diviso in due parti eguali, perch, come
abbiamo detto, questa caratteristica del numero pari. Medio indivisibile
l'uno, divisibile il due. E medio nei numeri quello, da cui le due parti sono fra
di s eguali. stato esposto qualche concetto oscuro, che meno comprendi?
D. - Anzi anche questi concetti sono per me evidenti. Sto cercando appunto un
numero pari completo e mi si presenta per primo il quattro. Nel due non
possibile infatti rinvenire i tre elementi, per cui il numero completo, e cio il
principio, il medio e la fine.
M. - Hai risposto proprio come volevo e come la logica esige. Riprendi
attentamente l'esame dell'uno. Vedrai che esso non ha n medio n fine,
perch soltanto principio, o meglio principio perch privo del medio e
della fine.
D. - Chiaro.
M. - Che dire del due? In esso non possiamo concepire il principio e il medio,
perch il medio si ha soltanto dove c' la fine, n il principio e la fine, perch
impossibile raggiungere la fine senza attraversare il medio.
D. - La logica mi costringe ad accettare; rimango quindi molto perplesso che
rispondere su questo numero.
M. - Esamina se anche esso possa essere principio di numeri. Intanto manca
del medio e della fine e tu stesso hai detto che la logica ti costringe ad
accettare tale conclusione. Resta che anche esso sia principio. Oppure rimani
perplesso nello stabilire due principi?
D. - S, molto perplesso.
M. - Faresti bene, se i due principi fossero costituiti per opposizione. Invece nel
caso nostro questo secondo principio deriva dal primo. Questo da nessuno,
l'altro da esso. Infatti uno e uno fanno due, ed entrambi sono principi, pur
restando che tutti i numeri derivano dall'uno. Ma poich i numeri sono originati
dalla moltiplicazione e dalla addizione, l'origine del prodotto e della somma
giustamente si attribuisce al due. Ne deriva che l'uno il principio, da cui tutti i
numeri procedono e il due il principio, per mezzo del quale tutti i numeri
sono derivati. Hai qualche cosa in contrario da obiettare?.
D. - No, nulla e sebbene sono io a rispondere alle tue domande, non riesco a
riflettere sull'argomento senza stupore.
Loro funzione nell'addizione.

12. 22. M. - L'argomento si studia pi acutamente e profondamente in


aritmologia. Adesso torniamo, quanto prima possibile, all'assunto. Ti chiedo
dunque quanto fanno uno pi due.
D. - Tre.
M. - Quindi i due principi dei numeri addizionati fanno il numero completo e
perfetto.
D. - S.
M. - E nel numerare, dopo l'uno e il due quale numero poniamo?
D. - Il medesimo, tre.
M. - Dunque il medesimo numero, che si ottiene addizionando uno e due,
posto di seguito dopo entrambi, senza interposizione di altri.
D. - S, vedo.
M. - Ora opportuno che tu veda anche questo. In tutti i rimanenti numeri non
pu avvenire che nell'addizionare due numeri successivi venga di seguito,
senza interposto, quello che la somma di entrambi.
D. - Anche questo vedo. Due e tre, che costituiscono la coppia successiva,
addizionati danno la somma di cinque, ma immediatamente successivo non il
cinque, ma il quattro. Ancora, tre e quattro danno sette, ma fra quattro e sette
ci sono il cinque e il sei. E quanto pi vado avanti, tanti di pi se ne
interpongono.
M. - V' dunque grande raccordo fra i primi tre numeri. Noi numeriamo: uno,
due, tre, senza possibile interposizione, ed uno pi due fanno tre.
D. - Grande davvero.
M. - E, secondo te, non degno di considerazione che quanto pi tale raccordo
reciprocamente serrato, tanto pi tende a una certa unit e riduce i molti
all'uno?
D. - Anzi di grandissima considerazione e, non so come, ammiro e amo l'unit
che tu stai ponendo in rilievo.
M. - Molto bene. Ma qualsiasi accostamento e raggruppamento nell'ordine delle
cose allora soprattutto produce l'uno, quando i medi si equivalgono agli
estremi e gli estremi ai medi.
D. - Cos appunto deve essere.
Massima proporzione ...

12. 23. M. - Presta attenzione dunque, affinch possiamo osservare il risultato


nel seguente raggruppamento. Quando diciamo uno, due, tre, di tanto l'uno
superato dal due, di quanto il due dal tre, vero?
D. - Assolutamente vero.
M. - E dimmi quante volte in questo raggruppamento ho nominato l'uno.
D. - Una volta.
M. - Il tre?
D. - Una volta.
M. - E il due?
D. - Due volte.
M. - Dunque una volta, due volte, una volta quante volte fanno?
D. - Quattro.
M. - Logicamente quindi il quattro segue ai primi tre numeri, poich l'essere
aggiunto gli stato dato dalla suddetta proporzione. E abituati a riconoscere il
pregio della proporzione dal fatto che essa soltanto pu produrre nelle cose
disposte razionalmente l'unit che hai dichiarato di amare. Il termine greco

. I nostri l'hanno chiamata proporzione. Usiamo questo termine, se


ti piace, perch non sarei disposto a usare, salvo necessit, parole greche nel
discorso latino.
D. - A me piace, ma continua l'assunto.
M. - D'accordo. In seguito approfondiremo, nel settore pi indicato di questa
disciplina, il concetto di proporzione e il suo grande dominio nella realt. E tu
quanto pi avanzerai nella formazione culturale, tanto meglio conoscerai la sua
funzione e natura. Frattanto puoi vedere, e per il momento basta, che i primi
tre numeri, di cui hai ammirato il raccordo, nel loro raggruppamento potevano
risultare soltanto nel quattro. Esso ha ottenuto pertanto di diritto, come puoi
comprendere, di succedere ad essi in maniera da essere legato da un pi
stretto raccordo con gli stessi. Cos la serie dei numeri ha un intimo legame
non solo in uno, due, tre, ma in uno, due, tre, quattro.
D. - Pienamente d'accordo.
...nel quattro...

12. 24. M. - Ma osserva le altre propriet, affinch tu non debba supporre che
il quattro sia privo di una caratteristica, mancante a tutti gli altri numeri e che
invece valida per il raggruppamento, di cui sto parlando. Si hanno appunto
dall'uno al quattro una ben determinata numerazione e una razionale formula
di successione numerica. Infatti emerso dal nostro dialogo che allora
soprattutto dai molti si ha l'uno, quando i medi si equivalgono agli estremi e gli
estremi ai medi.
D. - S.
M. - Dimmi dunque quali sono gli estremi e quale il medio, quando numeriamo
uno, due e tre.
D. - Uno e tre sono gli estremi, due il medio.
M. - E adesso rispondi quanto fa uno pi tre.
D. - Quattro.
M. - E due, che l'unico medio, si pu addizionare soltanto a se stesso.
Pertanto dimmi quanto d due volte due.
D. - Quattro.
M. - Cos dunque il medio equivalente agli estremi e gli estremi al medio.
Pertanto come nel tre caratteristica determinante che posto dopo l'uno e il
due, poich risulta da uno pi due, cos nel quattro caratteristica
determinante che posto dopo uno, due e tre, poich risulta da uno pi tre e
da due volte due. questa l'equivalenza degli estremi col medio e del medio
con gli estremi mediante la proporzione che in greco si dice
Dimmi se hai capito.
D. - Abbastanza.

...che non si ha nelle altre proporzioni.

12. 25. M. - Prova dunque se negli altri numeri si rinvenga la suddetta


caratteristica del numero quattro.
D. - S. Se ci proponiamo due, tre, quattro, gli estremi addizionati fanno sei,
altrettanto fa il medio raddoppiato, tuttavia di seguito non si ha il sei, ma il
cinque. Mi propongo ugualmente tre, quattro, cinque; gli estremi addizionati
fanno otto, altrettanto il medio raddoppiato, per fra il cinque e l'otto veggo
interposti non soltanto uno ma due numeri, cio il sei e il sette. E quanto pi
progredisco nell'operazione, tanto pi numerose si rendono le interposizioni.

M. - Vedo che hai capito e addirittura che hai scienza di quanto stato detto.
Ma per non attardarci ancora, avverti che dall'uno al quattro avviene una
successione assolutamente razionale. Essa si ha prima di tutto grazie al
numero dispari e pari, poich il primo dispari completo il tre e il primo pari
completo il quattro. Ne abbiamo parlato poco fa. Inoltre l'uno e il due sono
principi e quasi semi dei numeri e da essi risulta il tre. Sono cos gi tre
numeri. E se essi vengono assommati secondo proporzione, appare ed
generato il quattro che ad essi giustamente si unisce. Si verifica cos fino a
questo numero quella ben definita successione che cerchiamo.
D. - Comprendo.
Il dieci numero limite.

12. 26. M. - Bene. Ma ti ricordi che cosa avevamo iniziato a cercare? Dato che
nella illimitatezza dei numeri vi sono determinati partizioni per numerare,
l'assunto era, come penso, poter trovare la ragione, per cui la prima partizione
nel numero dieci che ha un'importante funzione nel contesto degli altri
numeri, perch, cio, chi numera avanza fino al dieci e poi torna all'uno.
D. - Mi ricordo bene che a causa di questo problema abbiamo fatto parecchie
digressioni, ma non trovo che abbiamo combinato qualche cosa per risolverlo.
Tutta la lunga dimostrazione s' fermata al punto che v' razionale e ben
definita successione non fino al dieci ma fino al quattro.
M. - Non vedi proprio dunque qual il risultato della somma di uno, due, tre e
quattro?
D. - Veggo finalmente, veggo, confesso che tutto ci ammirevole e che il
problema proposto ha avuto soluzione. Uno pi due, tre e quattro fanno
proprio dieci.
M. - Dunque ragionevole che questi primi quattro numeri, la loro successione
e raggruppamento siano considerati di maggior pregio degli altri.
Rapporti di movimenti a numeri.

13. 27. tempo di tornare all'esame e alla discussione dei rapporti di


movimenti, che sono l'oggetto proprio di questa disciplina. Proprio per essi noi,
nei limiti che ci son sembrati sufficienti allo scopo, abbiamo fatto delle
considerazioni sui numeri, cio su un'altra disciplina. Per ragioni d'intelligenza
avevamo stabilito in durata di ore i movimenti che, come la logica richiedeva,
sono rapportati secondo misura numerica. Poniamo dunque che un tale corra
per la durata di un'ora e un altro di due. Ti chiedo dunque se ti possibile,
senza guardare orologio, clessidra o altro strumento di misura del tempo,
percepire che dei due movimenti uno scempio e l'altro doppio, o che per lo
meno, sebbene non puoi dir questo, avverti l'esteticit del rapporto e ne hai il
sentimento.
D. - Assolutamente impossibile.
M. - Supponi che qualcuno batta le mani ritmicamente, in modo che un suono
tenga una durata di tempo e l'altro due, quelli che appunto chiamano giambi, e
che li ripeta legandoli in un contesto. Supponi anche che un altro balli a quel
suono, muova cio le membra rispettando quel tempo. Riconosceresti allora o
esprimeresti anche la misura del tempo, cio che quei due alternano nei
movimenti un movimento scempio con uno doppio, tanto nella battuta che si
ode, come nella danza che si vede? O per lo meno percepiresti l'esteticit del
ritmo che ascolti, anche se non riesci a riconoscerne la misura ritmica?
D. - proprio come tu dici. Infatti quelli che conoscono tali ritmi li avvertono

nella battuta e nel ballo e ne riconoscono la struttura. Quelli che non li


conoscono e non riescono ad esprimerli, non negano tuttavia di provare un
diletto estetico.
La musica e i nostri sensi.

13. 28. M. - Poich la musica scienza del misurare ritmicamente secondo


arte, non si pu negare che appartengono alla sua stessa competenza di
disciplina tutti i movimenti che sono misurati ritmicamente secondo arte e
quelli soprattutto che non sono riferiti ad altro, ma hanno in s come fine la
bellezza estetica. Tuttavia se questi movimenti, come tu stesso hai detto,
rispondendo con molta precisione alla mia domanda, durano troppo tempo e
nella stessa misura, che estetica, occupano un'ora o anche di pi, non si
adattano alla capacit dei nostri sensi. [ possibile tuttavia che il medesimo
piede nel canto sia, mantenendo la struttura del rapporto, in un caso, di suoni
pi lunghi e in un altro, di suoni pi brevi]. Pertanto la musica, uscendo in
qualche modo dal suo inaccessibile recesso, ha lasciato certe impronte nei
nostri sensi e negli oggetti sensibili. Non dunque opportuno che noi dapprima
seguiamo tali impronte per poter essere, se ne saremo capaci, pi
agevolmente condotti senza errore a quello che ho chiamato il suo recesso?
D. - proprio opportuno e facciamolo subito, te ne prego.
M. - Lasciamo dunque gli intervalli di tempo che si estendono al di l della
capacit dei nostri sensi. Discutiamo, nei limiti, in cui la ragione ci far da
guida, dei brevi spazi di tempo che ci dilettano nel canto e nella danza. Ma tu
forse ritieni che possibile scoprire in altro modo le orme che, come stato
gi detto, questa disciplina ha impresso nei nostri sensi e negli oggetti che
siamo capaci di percepire.
D. - Non ritengo affatto che sia possibile in altro modo.
1 - CENSORINO, De die nat. 10, 2.
2 - VIRGILIO, Georg. 3, 316.
3 - OMERO, Odyss. 17, 291 ss.

LIBRO SECONDO
PIEDI METRICI
Piedi semplici e compositi (1, 1 - 8, 15)
Fra grammatica e musica...

1. 1. M. - Stai dunque bene attento e ascolta alfine, per cos dire, una nuova
introduzione della nostra discussione. E prima di tutto dimmi se hai bene
appreso la distinzione che i grammatici fanno fra sillabe brevi e lunghe, ovvero
se preferisci, che tu l'abbia appresa o no, continuare la nostra ricerca come se
fossimo del tutto inesperti in materia. Ci sar cos di guida solo il ragionamento
e non ci vincoleranno l'inveterata usanza e la tradizione non esaminata
criticamente.
D. - Mi stimola a preferire il secondo procedimento non solo la ragione, ma
anche l'ignoranza di codeste sillabe. Perch non dovrei confessarlo?
M. - Ebbene, dimmi almeno se tu hai mai rilevato da te che nella nostra lingua
alcune sillabe sono pronunciate rapidamente e non lungamente, altre invece
pi lentamente e lungamente.
D. - Debbo affermare che non sono stato insensibile a queste cose.
M. - Ora devi sapere che tutta quella disciplina, la quale in greco detta
grammatica e in latino letteratura, ha la funzione di difesa della tradizione, o
da sola, come insegna la pi sottile dimostrazione, o principalmente, come
ammettono anche le menti ottuse. Per esempio, se dici cano o se per caso
impieghi questa parola in un verso, in modo da allungare nella pronuncia la
prima sillaba, ovvero la collochi nel verso l dove occorrerebbe una lunga, il
grammatico, come custode della tradizione, ti riprender adducendo come
unica ragione la necessit di dover abbreviare la sillaba, soltanto perch quelli
che ci hanno preceduto, i cui libri restano e sono esaminati dai grammatici, ne
facevano una breve e non una lunga. Nel caso dunque ha valore soltanto la
tradizione. Al contrario la funzione della musica, da cui dipendono tanto la
stessa razionale misura delle parole quanto il loro ritmo, esige soltanto che sia
lunga o breve la sillaba, la quale si trova in questa o in quella sede, secondo la
regola delle loro misure. Se tu metti la parola cano l dove bisogna mettere
due lunghe e nella pronuncia allunghi la prima che breve, la musica non se
ne sdegna, poich i tempi delle parole son giunti all'udito, quali convengono a
quel ritmo. Ma il grammatico ti ordina di correggere e di mettere una parola, la
cui prima sillaba deve esser lunga secondo l'autorit degli antichi, di cui egli ha
in consegna gli scritti.
...diverso criterio di misurare le sillabe.

2. 2. Noi tuttavia abbiamo cominciato ad esaminare le regole della musica.


Dunque, anche se ignori quale sillaba debba esser breve e quale lunga,
possiamo non essere ostacolati da questa tua ignoranza e ritenere sufficiente il
fatto di avere avvertito, come hai detto, che alcune sillabe sono pi brevi, altre
pi lunghe. Pertanto ora ti chiedo se il suono di versi ti ha causato mediante
l'udito un qualche diletto.
D. - S, molto spesso, al punto che quasi sempre ascolto i versi con diletto.
M. - Se dunque in un verso, che hai ascoltato con diletto, si allungano o
abbreviano le sillabe l dove la regola del verso medesimo non richiede,
possibile che provi il medesimo diletto?
D. - Anzi non potrei ascoltarlo senza fastidio.
M. - Non v' alcun dubbio dunque che nel suono, da cui tu riconosci di esser

dilettato, la misura dei ritmi che ti diletta e se essa alterata, quel diletto
non pu offrirsi all'udito.
D. - chiaro.
M. - Dimmi allora, per quanto attiene al suono del verso, quale differenza c'
se io dico: Arma virumque cano, Troiae qui primus ab oris 1, oppure: Qui
primis ab oris.
D. - Quanto attiene alla misura, per me hanno il medesimo suono.
M. - Ma avvenuto per la mia pronuncia, cio con quel difetto che i grammatici
chiamano barbarismo; infatti primus ha una lunga e una breve, invece primis
due lunghe, ma io ho abbreviato l'ultima, cos che il tuo udito non stato
offeso. Pertanto si deve pi volte provare se senti, mentre io parlo, cosa sia
nelle sillabe il " lungamente " e il " non lungamente ", in maniera che la nostra
discussione possa continuare col dialogo, come l'abbiamo cominciata. Ripeter
dunque quello stesso verso, nel quale avevo commesso un barbarismo e
allungher, come vogliono i grammatici, quella sillaba che avevo pronunciato
breve per non offendere il tuo udito. Dimmi se la misura di questo verso
invade il tuo senso col medesimo diletto. Io pronuncerei: Arma virumque cano
Troiae qui primis ab oris.
D. - Ora non posso negare di essere infastidito per non so qual difetto del
suono.
M. - E non a torto. Sebbene non ci sia stato barbarismo, stato commesso
l'errore che tanto la grammatica quanto la musica biasimano, la grammatica,
perch la parola primis, di cui l'ultima sillaba si deve pronunciare lunga, stata
messa dove occorreva una breve, la musica, soltanto perch una lunga
qualunque si trova dove occorreva una breve e il tempo richiesto dalla misura
ritmica non stato reso. Perci se distingui abbastanza bene ci che vuole
l'udito e ci che esige la tradizione, ci rimane da esaminare perch l'udito
stesso a volte appagato e a volte urtato da suoni lunghi e brevi. ci che
attiene appunto al " lungamente " e " non lungamente ". Ricordi, credo, che
abbiamo gi iniziato a sviluppare questa parte.
D. - Ho gi ravvisato l'argomento e lo ricordo e aspetto il seguito con vivo
interesse.
Numeri e sillabe brevi e lunghe.

3. 3. M. - Quale seguito, secondo te, se non iniziare a confrontare le sillabe e


vedere quali rapporti numerici hanno fra di s, come con tanto lunga
dimostrazione stato fatto per i movimenti? Il suono infatti nel movimento.
Ora le sillabe sono suono. Puoi forse negare qualcuno di questi concetti?
D. - No, di certo.
M. - Quando dunque si rapportano fra di loro le sillabe, si rapportano
determinati movimenti, nei quali possibile mediante la misura della durata
ravvisare determinati numeri di tempo.
D. - S.
M. - Si pu dunque rapportare una sillaba a se stessa? Se non la pensi
diversamente, l'esser solo non ammette alcun confronto.
D. - La penso proprio cos.
M. - E potresti dire che non si pu rapportare una sillaba ad un'altra, ovvero
una o due a due o tre, e cos di seguito per pi sillabe?
D. - Chi direbbe il contrario?
M. - Osserva anche che una qualsiasi sillaba breve, pronunciata senza

allungamento e che cessa appena proferita, occupa tuttavia un certo spazio nel
tempo ed ha una sua pur piccola durata.
D. - Riconosco la necessit di ci che dici.
M. - Dimmi allora da dove iniziamo il numero.
D. - Naturalmente dall'uno.
M. - Ragionevolmente dunque gli antichi hanno chiamato un solo tempo
questo, per cos dire, minimo di spazio che occupa una sillaba breve. Si passa
infatti dalla breve alla lunga.
D. - vero.
M. - Pertanto devi avvertire anche quanto segue. Nei numeri il primo sviluppo
dall'uno al due; allo stesso modo nelle sillabe, in quanto si passa dalla breve
alla lunga, la lunga deve avere un tempo doppio. Perci se logicamente si
chiama un tempo lo spazio che occupa una breve, logicamente si chiamano
due tempi lo spazio che occupa una lunga.
D. - Logicamente certo, riconosco infatti che lo richiede la dimostrazione.
Piedi e numeri eguali e moltiplicati.

4. 4. M. - Ed ora esaminiamo i rapporti in se stessi. Chiedo quale rapporto,


secondo te, ha una sillaba breve ad un'altra breve e come si chiamano questi
movimenti tra loro rapportati. Se non mi sbaglio, ricordi che nel precedente
discorso abbiamo dato dei nomi a quei movimenti che hanno tra di loro un
rapporto numerico.
D. - Ricordo che li abbiamo chiamati eguali. Infatti hanno fra di s il medesimo
rapporto di tempo.
M. - Ma pensi che si debbano lasciare senza nome queste correlazioni di
sillabe, per cui esse si corrispondono in maniera da avere fra di s un rapporto
numerico?
D. - Non credo.
M. - Sappi dunque che gli antichi hanno chiamato piede questa correlazione di
suoni. Ma dobbiamo attentamente esaminare fino a qual punto la ragione
consenta l'estensione del piede. Dimmi dunque per quale ragione una sillaba
breve e una lunga sono in rapporto.
D. - Ritengo che tale correlazione derivi da quel genere di numeri che abbiamo
chiamato moltiplicati poich noto che il singolo viene rapportato al doppio, cio
il tempo di una sillaba breve rapportato ai due tempi di una sillaba lunga.
M. - E se si mettono in un ordine tale da pronunciare prima la sillaba lunga e
dopo la breve, non rimane forse la regola dei numeri moltiplicati poich l'ordine
mutato? Infatti in quel piede si va dal singolo al doppio, in questo dal doppio
al singolo.
D. - S.
M. - E in un piede di due lunghe non si rapportano due tempi con due tempi?
D. - chiaro.
M. - E da quale regola deriva questo rapporto?
D. - Ovviamente dal rapporto dei numeri detti eguali.
Quattro piedi di due sillabe.

4. 5. M. - Dimmi allora quanti rapporti di piedi abbiamo esaminato nella serie


in cui siamo giunti da due sillabe brevi a due lunghe.
D. - Quattro; infatti prima si parlato di due brevi, poi di una breve e una
lunga, in seguito di una lunga e una breve e infine di due lunghe.
M. - Ed possibile averne pi di quattro, quando si rapportano fra di loro due

sillabe?
D. - Certamente no; infatti le sillabe hanno avuto questa misura, che una
breve abbia un tempo e una lunga due, inoltre ogni sillaba breve o lunga.
Dunque in qual modo due sillabe possono congiungersi in rapporto in modo da
formare un piede, se non unendo breve e breve, breve e lunga, lunga e breve,
lunga e lunga?
M. - Dimmi anche quanti tempi ha il piede pi piccolo di due sillabe e cos pure
il pi grande.
D. - Il pi piccolo due, il pi grande quattro.
M. - E vedi che l'estensione pu andare soltanto fino al numero quattro, sia nei
piedi che nei tempi?
D. - Lo vedo chiaramente e ricordo la regola dell'estensione dei numeri e con
grande diletto spirituale noto che quella propriet presente anche in questo
caso.
M. - I piedi dunque sono formati da sillabe, cio di movimenti di suoni distinti
e, per cos dire, articolati, le sillabe invece si distendono nel tempo. Non
necessario perci, secondo te, che l'estensione del piede arrivi fino a quattro
sillabe, come noti che giunge fino al numero quattro quella degli stessi piedi e
tempi?
D. - Penso come tu stai dicendo, riconosco che ci sembra proprio di una logica
esatta e attendo la soluzione.
Piedi di tre sillabe con due brevi...

5. 6. M. - Ma prima di tutto esaminiamo dunque, come l'ordine stesso richiede,


quanti possono essere i piedi di tre sillabe, come abbiamo scoperto che son
quattro quelli di due sillabe.
D. - Va bene.
M. - Certo ricordi che abbiamo cominciato l'esame da una sillaba breve, cio di
un tempo, e che abbiamo ben compreso che cos si deve procedere.
D. - Ricordo che abbiamo stabilito di non allontanarci da quella legge del
calcolare, per cui cominciamo dall'uno che il principio dei numeri.
M. - Nei piedi di due sillabe il primo quello che formato di due brevi. La
logica ci suggeriva appunto che bisogna riunire un tempo a un tempo, prima
che a due. Quale pensi dunque che debba essere il primo nei piedi di tre
sillabe?
D. - Quale, se non quello che composto di tre brevi?
M. - E di quanti tempi ?
D. - Di tre, ovviamente.
M. - In quale rapporto sono fra di loro queste parti? necessario infatti che
ogni piede, a causa della correlazione tra i numeri, abbia due parti che si
rapportino in qualche modo fra di loro. Di ci, ricordo, abbiamo trattato prima.
Ma possibile dividere questo piede di tre sillabe in due parti eguali?
D. - Assolutamente no.
M. - Allora come si divide?
D. - Noto soltanto questi modi, che la prima parte abbia una sillaba e la
seconda due, oppure la prima due e la seconda una.
M. - Dimmi anche di quale regola dei numeri si tratta.
D. - Riconosco che del genere dei moltiplicati.
...e loro ordine.

5. 7. M. - Ed ora esamina quante volte si possono combinare tre sillabe, di cui

una lunga e le altre brevi, cio quanti piedi formano. Se lo trovi, dimmelo.
D. - Noto che si pu formare un solo piede, il quale sia composto da una lunga
e due brevi. Non ne vedo altro.
M. - Secondo te dunque ha una sola sillaba lunga su tre soltanto quel piede, in
cui la lunga messa per prima?
D. - Non potrei pensarlo poich le due brevi possono esser messe per primo e
la lunga in ultimo.
M. - Rifletti se esiste un terzo caso.
D. - S, evidentemente; infatti la lunga pu esser collocata fra le due brevi.
M. - Esamina se esiste un quarto caso.
D - Assolutamente impossibile.
M. - Potresti rispondere ora quante volte possono combinarsi tre sillabe che
hanno una lunga e due brevi, cio quanti piedi formano?
D. - S, certo; si sono combinate tre volte ed hanno formato tre piedi.
M. - Ebbene puoi ora concludere da solo come debbono esser disposti questi
tre piedi o devi esservi condotto un po' alla volta?
D. - Ma non approvi la disposizione, con cui ho scoperto le varie combinazioni?
Ho osservato per primo una lunga e due brevi, quindi due brevi e una lunga ed
infine una breve, una lunga e una breve.
M. - E a te non dispiacerebbe se si disponesse cos da andare dal primo al
terzo e dal terzo al secondo, e non piuttosto dal primo al secondo e poi al
terzo?
D. - Mi dispiace certamente, ma dimmi, scusa, se hai notato nel nostro caso un
tale errore.
M. - In queste tre combinazioni tu hai posto per primo il piede che comincia
con una lunga. Hai notato appunto che la unit stessa della sillaba lunga, dato
che qui se ne ha una sola, le conferisce la precedenza e che pertanto dovesse
iniziare la disposizione, di modo che sia primo quel piede, in cui essa viene per
prima. Ma allora avresti dovuto notare che secondo il piede, in cui essa
seconda e terzo quello, in cui essa terza. Pensi dunque di dover rimanere
nella medesima opinione?
D. - No, anzi la condanno senza esitazione. Chi non ammetterebbe che questa
la disposizione migliore, anzi la vera?.
M. - Dimmi ora con quale regola dei numeri vengono divisi anche questi piedi e
le loro parti rapportate.
D. - Osservo che il primo e l'ultimo sono divisi con la regola dell'uguaglianza,
poich quello pu esser diviso in una lunga e due brevi e questo in due brevi e
una lunga, di modo che le singole parti hanno un tempo doppio e perci sono
eguali. Nel secondo piede invece, giacch la lunga si trova in mezzo, se viene
attribuita alla prima parte, il piede diviso in tre tempi e un tempo e se viene
attribuita alla seconda parte, diviso in un tempo e tre tempi. Perci nella
divisione di questo piede vale la regola dei numeri moltiplicati.
Piedi di quattro sillabe in generale.

5. 8. M. - Vorrei che ora tu mi dicessi, da solo, se puoi, quali piedi ritieni di


dover mettere dopo quelli che sono stati esaminati. Sono stati esaminati
dapprima quattro piedi di due sillabe. La loro disposizione stata derivata dalla
disposizione dei numeri. Si cominciato cos dalle sillabe brevi. Quindi
abbiamo iniziato ad esaminare i piedi pi lunghi, cio di tre sillabe, e poich le
cose ci erano facilitate dall'esame precedente, abbiamo cominciato da tre

brevi. Non poteva venire di seguito che esaminare quante figure produceva
una lunga con due brevi. E lo abbiamo esaminato; dopo il primo piede tre altri,
come era necessario, ne sono stati disposti. Non potresti ormai da solo
esaminare quelli che seguono, allo scopo di non tirar fuori ogni concetto con
minute domande?
D. - Dici giusto; infatti chi non vedrebbe che vengono di seguito quelli in cui
sono una breve e le altre lunghe? Alla breve, per il fatto che una sola, in
base al ragionamento precedente, vien data la precedenza. Primo sar quindi
quel piede, in cui essa prima, secondo quello in cui seconda, terzo quello in
cui essa terza e anche ultima.
M. - Tu vedi, credo, anche con quali regole questi piedi si dividono, in modo
che le loro parti possano essere rapportate.
D. - Certamente. Il piede che si compone di una breve e due lunghe pu esser
diviso soltanto in modo che la prima parte, che contiene la breve e la lunga,
abbia tre tempi, e la seconda i due tempi che si trovano in una lunga. Il terzo
piede simile al precedente, in quanto ammette una sola divisione, ne
differisce in quanto quello si divide in tre e due tempi e questo invece in due e
tre tempi. Infatti la sillaba lunga che viene per prima ha una durata di due
tempi, restano una lunga e una breve, ci che forma una durata di tre tempi. Il
piede di mezzo, che ha la breve in mezzo, pu avere una doppia divisione,
poich la breve pu essere attribuita all'una o all'altra parte, pu, cio,
dividersi in due e tre tempi o in tre e due tempi. Pertanto la regola dei
sesquati che configura questi tre piedi.
M. - Abbiamo gi esaminato tutti i piedi di tre sillabe, o ne rimane un altro?
D. - Noto che ne rimane uno, quello che si compone di tre lunghe.
M. - Esamina dunque anche la sua divisione.
D. - L sua divisione una e due sillabe, oppure due e una, cio i tempi sono
due e quattro, oppure quattro e due. Dunque le parti di questo piede si
rapportano secondo la regola dei numeri moltiplicati.
Piedi di tre sillabe con due e tre lunghe.

6. 9. M. - Ora esaminiamo con procedimento logico i piedi di quattro sillabe. D


tu stesso quale di essi debba essere il primo e aggiungi anche la regola della
sua divisione.
D. - Evidentemente il piede di quattro brevi che si divide in due parti di due
sillabe, aventi due e due tempi secondo la regola dei numeri eguali.
M. - Ci sei. Continua da solo ed analizza i rimanenti. Credo che non sia pi
necessario interrogarti in particolare. sempre il medesimo procedimento di
eliminare successivamente una per una le brevi e a loro posto mettere le
lunghe, sino a che si giunga ad avere tutte lunghe, e man mano che si
eliminano le brevi e si sostituiscono le lunghe, considerare quali combinazioni
abbiano e quanti piedi producano. Rimane il criterio che a determinare la
precedenza nella disposizione la sillaba, sia essa lunga o breve, che rimane
sola fra le altre. Ti sei esercitato precedentemente in queste operazioni. Ma
dove sono due brevi e due lunghe, poich il caso non si mai presentato,
quali, secondo te, debbono avere la precedenza?
D. - chiaro anche questo dai casi precedenti. Infatti la sillaba breve, che ha
un tempo, ha maggiore unit della lunga che ne ha due. Per questo all'inizio di
ogni disposizione poniamo il piede che formato da brevi.
Piedi di quattro e tre brevi...

6. 10. M. - Niente ti impedisce dunque di esaminare tutti questi piedi, mentre


io ti ascolto e giudico senza interrogarti.
D. - Lo far, se mi riesce. Dapprima si deve togliere una delle quattro brevi del
primo piede e al suo posto in prima posizione porre una lunga in base al valore
dell'unit. Questo piede ammette due divisioni, o in una lunga e tre brevi;
oppure in una lunga e una breve e in due brevi, cio in due e tre oppure in tre
e due tempi. La lunga posta in seconda posizione forma un altro piede che pu
logicamente esser diviso in un unico modo, cio in tre e due tempi, sicch la
prima parte contenga una breve e una lunga e la seconda due brevi. Inoltre,
se, si mette la lunga al terzo posto, si forma un piede che, come il precedente,
pu logicamente esser diviso soltanto in un modo, ma in maniera che la prima
parte abbia due tempi di due brevi e la seconda parte tre tempi dati da una
lunga e, una breve. La lunga messa per ultimo forma un quarto piede che si
divide in due modi, come quello in cui la lunga in principio. Pu esser diviso
infatti in due brevi e in una breve e una lunga, oppure in tre brevi e in una
lunga, cio in due e tre, oppure in tre e due tempi. Tutti questi quattro piedi,
dove una lunga cambia di posizione con le tre brevi, hanno rapportate fra di s
le parti secondo la regola dei sesquati.
...con due brevi congiunte...

6. 11. Viene di seguito che eliminando due delle quattro brevi, le sostituiamo
con due lunghe. Esaminiamo quante combinazioni di piedi possono produrre
giacch brevi e lunghe sono a due e due. Vedo dunque che dapprima si devono
porre due brevi e due lunghe poich pi regolare l'inizio dalle brevi. Ora
questo piede consente una duplice divisione. Si divide appunto in due e quattro
oppure in quattro e due tempi, in maniera che le due brevi formano la prima
parte e le due lunghe la seconda, oppure le due brevi e la lunga la prima parte
e la lunga che rimane la seconda. Si ha un altro piede, quando le due brevi che
abbiamo posto all'inizio del piede, come la disposizione richiede, sono collocate
nel mezzo. La divisione di questo piede in tre e tre tempi; infatti una lunga e
una breve formano la prima parte e una breve e una lunga la seconda. Quando
le brevi sono poste in ultimo, giacch questa figura viene di seguito, formano
un piede che ha due divisioni: la prima parte ha due tempi con una lunga, la
seconda quattro tempi con una lunga e due brevi, oppure la prima parte
quattro tempi con due lunghe e la seconda due con due brevi. Le parti di
questi tre piedi, per quanto attiene al primo e al terzo, si rapportano secondo
la regola dei numeri moltiplicati; il mediano ha le parti eguali.
...con due brevi separate e...

6. 12. Successivamente devono esser separate le due brevi che finora abbiamo
tenuto unite. La separazione minore e da cui si deve cominciare quella in cui
vi sia tra loro una sillaba lunga, la pi grande quella in cui ve ne siano due.
Quando una sola lunga le separa, essa lo fa in duplice maniera, si producono,
cio, due piedi. La prima maniera che vi sia all'inizio una breve, quindi una
lunga, un'altra breve e la lunga che rimane. L'altra maniera che le brevi sono
in seconda ed ultima posizione, le lunghe nella prima e nella terza; si avranno
cos una lunga e una breve, una lunga e una breve. La pi grande separazione
si ha quando le due lunghe sono nel mezzo e delle due brevi una al primo
posto, l'altra all'ultimo. Questi tre piedi, in cui le brevi sono separate, si
dividono in tre e tre tempi, cio il primo in breve e lunga, breve e lunga, il
secondo in lunga e breve, lunga e breve, il terzo in breve e lunga, lunga e

breve. Cos disponendo variamente tra di loro, quanto possibile, due sillabe
brevi e due lunghe, si formano sei piedi.
...con una e nessuna breve.

6. 13. Rimane ora da togliere tre delle quattro brevi e sostituirle con tre
lunghe. Rester una sola breve e poich una sola breve posta all'inizio e
seguita da tre lunghe forma un piede, posta in seconda posizione ne forma un
secondo, in terza un terzo, in quarta un quarto. Di questi quattro piedi i primi
due si dividono in tre e quattro tempi, gli altri due in quattro e tre, ma tutti
hanno le loro parti rapportate secondo la regola dei sesquati. Infatti la prima
parte del primo piede una breve e una lunga con durata di tre tempi, la
seconda due lunghe con quattro tempi. La prima parte del secondo piede una
lunga e una breve, dunque tre tempi, la seconda due lunghe, per quattro
tempi. Il terzo ha come prima parte due lunghe, per quattro tempi ed una
breve e una lunga, cio tre tempi, occupano la sua seconda parte. Due lunghe
formano similmente la prima parte del quarto piede, di quattro tempi e una
lunga e una breve la seconda, con tre tempi. Il piede che rimane di quattro
sillabe, da cui si eliminano tutte le brevi sicch viene ad esser formato di
quattro lunghe. Esso si divide in due e due lunghe in base ai numeri eguali,
cio in quattro e quattro tempi. Ecco lo svolgimento che hai voluto da me. Ora
continua tu la ricerca mediante il dialogo.
Il quattro limite nell'estensione del piede.

7. 14. M. - S. Hai osservato per quanto vale anche per i piedi lo sviluppo fino
al quattro che stato rilevato nei numeri stessi?.
D. - S, riconosco negli uni e negli altri la medesima legge di sviluppo.
M. - E se i piedi sono stati formati da un contesto di sillabe, non si deve
ritenere anche che da un contesto di piedi possa esser formato un qualche
cosa che non ha pi n il nome di sillaba n quello di piede?
D. - Certamente, a mio avviso.
M. - E che cosa credi che sia?
D. - Il verso penso.
M. - Ma poniamo che si vogliano unire indefinitamente senza imporre loro una
determinata misura, salvo che non intervenga o la mancanza della voce,
ovvero l'interruzione dovuta ad un evento, o la decisione di passare ad altro.
Sar da te considerato verso un contesto che abbia venti, trenta o cento o
anche pi piedi, come volendo si potrebbe fare se si uniscono in una durata in
qualsivoglia modo lunga?
D. - Certamente no. Non dar il nome di verso a piedi qualsiasi che noter
uniti ad altri piedi qualsiasi o a molti piedi riuniti insieme in una serie
indefinita, ma potr mediante una qualche disciplina comprendere il genere e il
numero dei piedi, cio quali e quanti piedi formano il verso e in base ad essa
giudicare se un verso ha urtato il mio udito.
M. - Ma questa disciplina, qualunque essa sia, certamente non ha stabilito a
capriccio la regola e la misura ai versi, ma in base a un qualche criterio.
D. - Se disciplina, non doveva o poteva essere altrimenti.
M. - Allora, se vuoi esaminiamo e cerchiamo di comprendere questo criterio.
Se infatti teniamo presente la sola autorit, sar verso quello che un non so
quale Asclepiade o Archiloco, cio antichi poeti, han voluto che fosse chiamato
verso, ovvero la poetessa Saffo e altri, da cui prendono il nome certi generi di
versi, poich essi per primi li hanno configurati e composti. Si dice appunto un

verso asclepiadeo, archilocheo, saffico e i Greci hanno applicato mille altri nomi
di autori a versi di diverso genere. Pertanto non irrazionalmente si pu ritenere
che se uno disporr come vuole, quanti e quali piedi vuole, per il solo motivo
che nessuno prima di lui ha fissato ai versi quella determinata misura, con ogni
ragione potr esser chiamato creatore e propagatore di un nuovo genere di
versi. Se questa libert gli viene rifiutata, c' da chiedersi con legittimo
rammarico quali meriti infine quei poeti avessero, se senza seguire un criterio,
han fatto chiamare e considerare verso un contesto di piedi, composto da loro
a capriccio. O sei d'altro avviso?
D. - certamente come dici e sono d'accordo che il verso generato da un
criterio razionale e non dall'autorit. Studiamolo, ti prego senza indugio.
Elenco dei 28 piedi.

8. 15. M. - Esaminiamo dunque quali piedi debbono unirsi tra di loro quindi che
cosa nasce da queste combinazioni giacch non si forma il verso soltanto e
infine tratteremo tutto l'argomento del verso. Ma, secondo te, si potrebbe
utilmente ottenere questi intenti, se non conosciamo i nomi dei piedi. In verit
sono stati da noi distribuiti con tale disposizione che possono esser nominati in
base alla loro stessa disposizione. Si potrebbe quindi dire: primo, secondo,
terzo e cos sia per i rimanenti. Ma poich non si devono disprezzare le vecchie
denominazioni e non ci si deve allontanare con leggerezza dalla consuetudine,
salvo quella che vada contro ragione, si devono usare i nomi che i Greci hanno
dato ai piedi e che i nostri usano gi in luogo dei nomi latini. Usiamoli dunque
senza perderci in una ricerca etimologica. Essa comporterebbe molte parole e
scarsa utilit. Infatti adopri utilmente nella conversazione le parole pane,
albero, pietra, anche se non sai perch sono stati chiamati cos.
D. - La intendo proprio come tu dici.
M. - Il primo piede si chiama pirrichio con due brevi, di due tempi, come fuga.
Il secondo, giambo, con una breve e una lunga, come parens, di tre tempi.
Il terzo, trocheo o coreo, con una lunga e una breve, come meta, di tre tempi.
Il quarto, spondeo, con due lunghe, come aestas, di quattro tempi.
Il quinto, tribraco, con tre brevi, come macula, di tre tempi.
Il sesto, dattilo, con una lunga e due brevi, come Maenalus, di quattro tempi.
Il settimo, anfibraco, con una breve, una lunga e una breve, come carina, di
quattro tempi.
L'ottavo, anapesto, con due brevi e una lunga, come Erato, di quattro tempi.
Il nono, bacchio, con una breve e due lunghe, come Achates, di cinque tempi.
Il decimo, cretico o anfimacro, con una lunga, una breve e una lunga, come
insulae, di cinque tempi.
L'undicesimo, palimbacchio, con due lunghe e una breve, come natura, di
cinque tempi.
Il dodicesimo, molosso, con tre lunghe, come Aeneas, di sei tempi.
Il tredicesimo, proceleusmatico, con quattro brevi, come avicula, di quattro
tempi.
Il quattordicesimo, peone I, con la prima lunga e tre brevi, come legitimus, di
cinque tempi.
Il quindicesimo, peone II, con la seconda lunga e tre brevi, come colonia, di
cinque tempi.
Il sedicesimo, peone III, con la terza lunga e tre brevi, come Menedemus, di
cinque tempi.

Il diciassettesimo, peone IV, con la quarta lunga e tre brevi, come celeritas, di
cinque tempi.
Il diciottesimo, ionico minore, con due brevi e due lunghe, come Diomedes, di
sei tempi.
Il diciannovesimo, coriambo, con una lunga due brevi e una lunga come
armipotens, di sei tempi.
Il ventesimo, ionico maggiore, con due lunghe e due brevi, come iunonius, di
sei tempi.
Il ventunesimo, digiambo, con una breve, una lunga, una breve e una lunga,
come propinquitas, di sei tempi.
Il ventiduesimo, dicoreo o ditrocheo, con una lunga, una breve, una lunga e
una breve, come cantilena, di sei tempi.
Il ventitreesimo, antispasto, con una breve, due lunghe e una breve, come
saloninus, di sei tempi.
Il ventiquattresimo, epitrito I, con una breve e tre lunghe, come sacerdotes, di
sette tempi.
Il venticinquesimo, epitrito II, con la seconda breve e tre lunghe, come
conditores, di sette tempi.
Il ventiseiesimo, epitrito III, con la terza breve e tre lunghe, come
Demosthenes, di sette tempi.
Il ventisettesimo, epitrito IV, con la quarta breve e tre lunghe, come
Fescenninus, di sette tempi.
Il ventottesimo, dispondeo, con quattro lunghe, come oratores, di otto tempi.
Piedi misti (9, 16 - 14, 26)
Uguaglianza nella mistione dei piedi.

9. 16. D. - Posseggo queste nozioni. Ora spiega quali piedi si congiungono fra
di loro.
M. - Lo potrai intendere con facilit se intendi che l'uguaglianza e la
somiglianza prevalgono sulla disuguaglianza e la dissomiglianza.
D. - Ritengo che non vi sia alcuno che non la intenda cos.
M. - Bisogna dunque seguire questa regola soprattutto nella combinazione dei
piedi e non allontanarsene, se non v' una validissima ragione.
D. - Son d'accordo.
M. - Non dovrai dunque avere incertezze nell'unire fra loro pirrichi con pirrichi,
giambi e trochei, che son detti anche corei, e spondei e cos senza esitazione
potrai unire gli altri della medesima specie. V' infatti somma eguaglianza,
quando piedi del medesimo nome e genere si susseguono. Non ti sembra?
D. - Non mi pu sembrar diversamente.
M. - E non ammetti che alcuni piedi debbano essere uniti ad altri di differente
genere, rispettando la regola dell'uguaglianza? Niente infatti pi piacevole
per l'udito che essere dilettato dalla variet, senza esser privato
dell'uguaglianza.
D. - Sono d'accordo.
M. - E pensi che possano ritenersi eguali piedi differenti che non siano della
medesima misura?
D. - No, secondo me.
M. - E sono da ritenersi della medesima misura soltanto quelli che occupano il
medesimo tempo?
D. - Certamente.

M. - Allora riunirai, senza urtare l'udito, quei piedi che riconoscerai di tempi
eguali.
D. - Ne consegue, penso.
Singolarit dell'anfibraco.

10. 17. M. - Bene. Ma l'argomento implica ancora qualche difficolt. Dunque,


sebbene l'anfibraco sia un piede di quattro tempi, alcuni ritengono che non lo
si possa unire n ai dattili, n agli anapesti, n agli spondei, n ai
proceleusmatici, quantunque questi siano tutti piedi di quattro tempi. E non
solo ritengono che esso non si possa unire agli altri, ma pensano che il ritmo
non proceda normalmente e per cos dire legittimamente, se solo anfibraci
sono ripetuti e riuniti tra di loro. opportuno che esaminiamo la loro opinione
per accertare se abbia una parte di ragione che converrebbe seguire e
approvare.
D. - Desidero vivamente udire gli argomenti che adducono. Mi sorprende non
poco il fatto che essendovi ventotto piedi scoperti dalla ragione, questo solo sia
escluso da una successione ritmica, bench abbia il medesimo tempo del
dattilo e degli altri eguali, che tu hai enumerato e di cui nessuno vieta l'unione.
M. - necessario, perch tu possa comprendere, considerare come gli altri
piedi si rapportano nelle loro parti. Cos noterai che si verifica, in questo piede
soltanto, una caratteristica singolare sicch non a capriccio si ritenuto che
non si deve usare per i ritmi.
Arsi tesi e percussione...

10. 18. Ma per il nostro esame ci opportuno ricordare questi due concetti,
l'arsi e la tesi. Nel segnare la percussione infatti, dato che la mano si alza e si
abbassa, l'arsi si aggiudica una parte del piede, la tesi l'altra. Chiamo parti dei
piedi quelle di cui dianzi abbiamo sufficientemente parlato, quando li abbiamo
enumerati per ordine. Se sei d'accordo, comincia ad esaminare brevemente le
misure delle parti in tutti i piedi. Ti accorgerai cos che cosa di singolare
accaduto al piede in esame.
D. - Osservo per primo che il pirrichio ha eguale lunghezza in levare e in
battere. Anche lo spondeo, il dattilo, l'anapesto, il proceleusmatico, il
coriambo, il digiambo, il dicoreo, l'antispasto, il dispondeo si dividono
ugualmente perch la percussione in essi segna eguale durata al battere che al
levare. In secondo luogo noto che il giambo ha il rapporto di uno a due, e
ritrovo il medesimo rapporto nel coreo, nel tribraco, nel molosso e in entrambi
gli ionici. Invece il levare e il battere dell'anfibraco, giacch essi, nel raffrontarli
a piedi di egual misura, successivamente mi si presentano, si trovano nel
rapporto di uno a tre. Ma andando avanti non trovo proprio un altro piede, le
cui parti si rapportino con lunghezza cos diversa. Infatti, quando considero i
piedi composti di una breve e due lunghe, cio il bacchio, il cretico, il
palimbacchio, noto che l'arsi e la tesi avviene in essi secondo la regola dei
sesquati di due terzi. Il medesimo rapporto esiste in quei quattro piedi che
sono formati di una lunga e tre brevi che sono denominati i quattro peoni
secondo il numero ordinale. Restano i quattro epitriti, cos chiamati
ugualmente secondo il numero ordinale, ma il loro levare e battere sono
rapportati secondo il sesquato di tre quarti.
L'anfibraco nel rapporto di uno a tre.

10. 19. M. - Non ti sembra dunque che si abbia un motivo ragionevole di


escludere questo solo piede dalla serie ritmica dei suoni, dato che esso soltanto

presenta una differenza notevole fra le sue parti, al punto che una parte
semplice e l'altra tripla? Una certa somiglianza delle parti tanto pi da
apprezzarsi quanto pi vicina alla eguaglianza. E dunque, quando si ha lo
sviluppo dall'uno al quattro secondo la legge dei numeri, niente pi simile a
s che se stesso. Pertanto prima di tutto si deve apprezzare nei piedi che le
parti abbiano la medesima misura fra di loro, poi ha la precedenza l'unione del
semplice al doppio nell'uno e nel due, viene quindi l'unione sesquata di due
terzi nel due e nel tre e infine la sesquata di tre quarti col tre e il quattro.
Invece il rapporto dell'uno al tre rientra certamente nella regola dei numeri
moltiplicati, ma non ha una propria conformit nella disposizione. Infatti nella
numerazione non si va dall'uno al tre, ma si passa dall'uno al tre attraverso il
due. Questa la ragione, per cui si ritiene di dovere escludere l'anfibraco dalla
combinazione in esame. Se tu la accetti, esaminiamo gli altri temi.
D. - Certo che l'accetto; ha piena evidenza e certezza.
Difficolt per ogni ionici, il molosso e i peoni.

11. 20. M. - Dunque giacch l'accetti, in qualunque modo i piedi si rapportino


nelle sillabe, purch abbiano la medesima durata nel tempo, possono essere
mescolati senza nuocere alla uguaglianza, eccetto soltanto l'anfribraco.
Pertanto ci si pu chiedere giustamente se si possano convenientemente unire
piedi che, pur avendo tempo eguale, non concordino nella percussione che
rapporta fra di loro le parti del piede con l'arsi e la tesi. Infatti il dattilo,
l'anapesto e lo spondeo non solo hanno tempi eguali ma anche eguali
percussioni, giacch in tutti l'arsi e la tesi hanno il medesimo tempo. Dunque
essi si uniscono fra di loro pi regolarmente di quanto i due ionici con gli altri
piedi di sei tempi. Ambedue gli ionici hanno appunto una percussione che va
dal semplice al doppio, rapportando cio due tempi a quattro. Per questo
aspetto con essi concorda il molosso. Gli altri di sei tempi sono nel rapporto di
altrettanto poich in essi si dnno tre tempi all'arsi e tre alla tesi. Pertanto,
quantunque tutti si dividano regolarmente, e cio i primi tre secondo il
rapporto di uno a due e gli altri quattro sono divisi in parti eguali, tuttavia,
poich questa mescolanza rende ineguale la percussione, non so se si debba
rifiutare. Tu che ne pensi?
D. - Propendo per questa idea. Infatti non so come una percussione irregolare
non possa non offendere l'udito e se l'offende pu avvenire soltanto per difetto
di questa mescolanza.
Mescolanza di ionici e dicorei e...

11. 21. M. - Or sappi che gli antichi hanno ritenuto di poter mescolare questi
piedi e hanno composto versi mediante la loro mescolanza. Ma affinch non
sembri che ti voglia convincere con l'autorit, ascolta qualcuno di questi versi e
senti se offende il tuo udito. E se non solo non ti urter, ma piuttosto ti
diletter, non vi
sar alcuna ragione di rifiutare la loro mescolanza. Sono questi i versi che
voglio farti ascoltare:
At consona/ quae sunt, nisi/ vocalibus/ aptes Pars dimidi/ um vocis o/ pus
proferet/ ex se Pars muta so/ni comprimet/ ora moli/entum Illis sonus/
obscurior/ impediti/orque Utcumque ta/men promitur/ ore semi/cluso 2.
Penso che siano sufficienti perch tu possa intendere ci che voglio. Dimmi, ti
prego, se questo ritmo non ha dilettato il tuo udito.
D. - Mi pare anzi che suoni con un ritmo sommamente dilettevole.

M. - Considera dunque i piedi. Troverai nei cinque versi che i primi due sono
formati di soli ionici e gli ultimi tre contengono anche un dicoreo, sebbene tutti
dilettano interamente il nostro senso per la loro comune eguaglianza.
D. - L'avevo gi notato e con pi facilit data la tua pronuncia.
M. - Perch allora esitiamo ad accettare l'opinione degli antichi, convinti non
dalla loro autorit ma dalla stessa ragione? Essi ritengono appunto che
possano unirsi normalmente piedi che hanno egual durata, purch abbiano
percussione regolare, anche se diversa.
D. - Mi rimetto interamente giacch quel ritmo non mi permette di contraddire.
...di ionici e digiambi.

12. 22. M. - Ascolta ancora questi versi:


Volo tandem/ tibi parcas / labor est in/ chartis Et apertum i/re per auras/
animum per/mittas Placet hoc nam/ sapienter / remittere in/terdum Aciem
re/ bus agendis/ decenter in/tentam.
D. - Anche questo basta.
M. - Soprattutto perch son versi rozzi che ho composto estemporaneamente
per l'occorrenza. Comunque anche su questi quattro vorrei il giudizio del tuo
udito.
D. - Che altro potrei dirti anche per essi, se non che sono stati pronunciati con
ritmica proporzione?
M. - Senti che i primi due sono formati di ionici minori e gli ultimi due
contengono anche un digiambo?
D. - L'ho notato perch l'hai fatto risaltare nel pronunciare.
M. - Non ti sorprende che nei versi di Terenziano il dicoreo sia unito allo ionico
detto maggiore e che nei miei invece un digiambo si unisca allo ionico detto
minore? Pensi che non abbia importanza?
D. - Secondo me, s, e credo di vederne la ragione. Lo ionico maggiore, che
comincia con due lunghe, esige di esser unito con un piede, cio il dicoreo, che
comincia con una lunga, il digiambo invece, che comincia con una breve, si
mescola pi proporzionatamente allo ionico minore che comincia con due brevi.
Mescolanza non aritmica di vari piedi di sei tempi.

12. 23. M. - Giusto. Bisogna anche sapere che tale proporzione, quando non si
ha eguaglianza di tempi, deve significare qualche cosa nella mescolanza dei
piedi, e non che significhi molto, ma pur sempre qualche cosa. Infatti puoi
intendere, dopo avere interrogato il tuo udito, che in luogo di un piede di sei
tempi, si pu porre un altro qualsiasi piede di sei tempi. Dapprima prendiamo
l'esempio del molosso virtutes, dello ionico minore moderatas, del coriambo
percipies, dello ionico maggiore concedere, del digiambo benignitas, del
dicoreo civitasque, dell'antispasto volet iusta.
D. - Li tengo presenti.
M. - Pronuncia in un contesto tutte queste parole o piuttosto ascoltale mentre
le pronuncio io, affinch il tuo udito sia pi disposto nel giudicare. Ed appunto
per farti sentir bene, senza offendere il tuo udito, l'andatura eguale del ritmo,
ripeter per tre volte tutta la frase, e non dubito che baster: Virtutes
moderatas percipies, concedere benignitas civitasque volet iusta; virtutes
moderatas percipies, concedere benignitas civitasque volet iusta; virtutes
moderatas percipies, concedere benignitas civitasque volet iusta. Forse
qualche cosa in questa serie di piedi ha offeso il tuo udito per mancanza di
uguaglianza e armonia?

D. - No, certo.
M. - Ne hai avuto diletto? Ma inutile chiederlo perch in materia consegue che
genera diletto tutto ci che non urta.
D. - Non posso dire di avere altra impressione dalla tua.
M. - Ammetti dunque che tutti questi piedi di sei tempi possono normalmente
mescolarsi in un contesto?
D. - S.
Altra mescolanza non aritmica dei medesimi.

13. 24. M. - Qualcuno potrebbe obiettare che questi piedi, i quali rapportati
con questa disposizione hanno potuto esser pronunciati tanto ritmicamente,
non potrebbero esserlo se la disposizione fosse variata. Non temi questo?
D. - La variazione comporta certamente qualche cosa, ma non difficile farne
l'esperimento.
M. - Fallo a tempo libero. Troverai che il tuo udito dilettato da una
multiforme variet e da una unitaria eguaglianza.
D. - Lo far, quantunque con tale esperimento non v' alcuno, il quale non
preveda che necessariamente si otterr quell'effetto.
M. - Hai ragione. Ma poich utile al nostro scopo, ripeter la frase con la
percussione. Cos potrai giudicare se v' qualche aritmia e insieme fare
l'esperimento sul cambiamento della disposizione che, come abbiamo previsto,
non comporter alcuna aritmia. Ora cambia la disposizione e dopo avere
collocato, a tuo piacimento, i medesimi piedi diversamente da come sono stati
collocati da me, permettimi di declamarli con la percussione.
D. - Voglio che primo sia lo ionico minore, secondo lo ionico maggiore, terzo il
coriambo, quarto il digiambo, quinto l'antispasto, sesto il dicoreo, settimo il
molosso.
M. - Volgi dunque l'udito al suono e la vista alla battuta della percussione
perch bisogna non che sia udita ma veduta la mano che batte la percussione
e avvertita attentamente la durata dell'arsi e della tesi.
D. - Sono interamente attento nei limiti della mia capacit.
M. - Ascolta dunque la tua disposizione con la percussione: Moderatas,
concedere, percipies, benignitas, volet iusta, civitasque, virtutes.
D. - Mi accorgo che la percussione non aritmica e che il levare ha la
medesima durata del battere, ma sono strabiliato dal fatto che abbiano potuto
avere tale percussione piedi che, come i due ionici e il molosso, sono divisi nel
rapporto di uno a due.
M. - Cosa avviene dunque, secondo te, dato che in essi sono dati tre tempi al
levare e tre al battere?
D. - Secondo me, non avviene altro se non che la sillaba lunga, la quale nello
ionico maggiore e nel molosso seconda e nello ionico minore terza, divisa
dalla percussione stessa. Poich essa ha due tempi, ne d uno alla prima
parte, l'altro alla seconda e cosi l'arsi e la tesi hanno ciascuno tre tempi.
L'anfibraco inconciliabile al ritmo.

13. 25. M. - Non si pu dire o pensare altro. Ma perch l'anfibraco, che


abbiamo del tutto escluso dalla ritmicit, non pu a questa condizione esser
mescolato allo spondeo, al dattilo e all'anapesto, oppure ripetuto non pu da
s produrre una certa ritmicit? Infatti pu alla stessa maniera esser divisa
dalla percussione la sillaba lunga o mediana di questo piede, in modo che
dando a ciascuno degli estremi una parte, il levare e il battere non si

aggiudichino uno e tre tempi, ma due tempi ciascuno. Hai qualche cosa da
opporre?
D. - Non ho altro da dire se non che anche l'anfibraco deve essere incluso.
M. - Pronunziamo dunque con la percussione una frase composta di piedi di
quattro tempi in cui sia inserito anche un anfibraco ed in egual modo
esaminiamo con l'udito se qualche aritmia infastidisce. Ascolta dunque questo
ritmo ripetuto tre volte con la percussione per facilitare il giudizio: Sumas /
optima, / facias / honesta; Sumas / optima, / facias honesta; / sumas /
optima, / facias / honesta.
D. - Ti supplico, risparmia il mio udito perch, anche senza la percussione, la
sequenza di questi piedi violentemente aritmica nell'anfibraco.
M. - Quale ragione si deve supporre perch non avviene in esso quel che
avviene nel molosso e negli ionici? Forse perch in essi le parti estreme sono
eguali a quella di mezzo? Fra i numeri pari appunto, il primo che si presenta
con la parte di mezzo eguale agli estremi il sei. Dunque, poich i piedi di sei
tempi hanno due tempi nel mezzo e due per ogni lato, facilmente in certo
modo quello di mezzo si estende verso gli estremi, cui congiunto
dall'eguaglianza. Ci non accade invece nell'anfibraco, in cui le parti laterali
differiscono dalla mediana poich questa ha due tempi e quelle uno. Si
aggiunge che negli ionici e nel molosso, dato che il medio assorbito dagli
estremi, si hanno tre tempi per ciascuno, nei quali a loro volta gli estremi sono
eguali al medio anche esso eguale. E ci manca all'anfibraco.
D. - proprio come tu dici e non senza ragione l'anfibraco in quella serie
offende l'udito, mentre gli altri lo dilettano.
Combinazione di piedi sesquati.

14. 26. M. - Ora tu stesso comincia dal pirrichio ed esponi quanto pi


brevemente ti possibile, secondo le ragioni sopra dette, quali piedi bisogna
mescolare con altri.
D. - Al pirrichio nessuno perch non se ne trova un altro del medesimo tempo.
Il coreo potrebbe congiungersi col giambo, ma da evitarsi per l'ineguaglianza
della percussione giacch il giambo parte da un tempo, il coreo da due.
Pertanto il tribraco pu adattarsi ad ambedue. Noto che lo spondeo, il dattilo,
l'anapesto e il proceleusmatico sono tra loro affini e possono esser combinati;
concordano appunto fra di loro non soltanto per la durata, ma anche per la
percussione. L'anfibraco, gi escluso, per nessuna ragione pu essere
riammesso perch l'eguaglianza dei tempi non ha potuto aiutarlo a causa della
discordanza tra la divisione e la percussione. Al bacchio possono essere uniti il
cretico e il peone I, II e IV; al palimbacchio invece il medesimo cretico e il
peone I, III e IV che concordano evidentemente nei tempi e nella percussione.
Dunque al cretico e al peone I e IV, giacch la loro divisione pu cominciare
con due o tre tempi, possono essere uniti, senza alcuna aritmia, tutti gli altri
piedi di cinque tempi. Abbiamo trattato abbastanza che si ha mirabile accordo
dei piedi che sono formati di sei tempi. Difatti non entrano in disaccordo con gli
altri nella cadenza neanche quelli che la condizione delle sillabe costringe a
dividere in modo diverso, tanta forza ha l'eguaglianza degli estremi col medio.
Per ci che riguarda i quattro piedi di sette tempi che sono chiamati epitriti,
trovo che il primo e il secondo possono unirsi tra loro poich la divisione
d'entrambi comincia da tre tempi e perci non discordano n per durata n per
percussione. A loro volta il terzo e il quarto si congiungono ritmicamente tra

loro giacch tutti e due nella divisione cominciano da quattro tempi e perci
hanno la medesima misura e cadenza. Resta il piede di otto tempi, chiamato
dispondeo che, come il pirrichio, non ha eguali. Hai ascoltato da me ci che hai
chiesto e son stato capace di fare. Il resto a te.
M. - Lo far. Ma dopo un dialogo cos lungo riposiamoci un po' e ricordiamo i
versi estemporanei che la stanchezza dianzi mi ha suggerito:
Voglio alfine che ti risparmi; lo studio affatica, e lascia che lo spirito voli libero
nello spazio. Piace, ed da saggi, distendere l'attenzione applicata alle attivit
liberali. D. - Certo che piace ed io obbedisco volentieri.
1 - VIRGILIO, Aen. 1, 1.
2 - TERENZIANO MAURO, De litteris 89-93: G.L. 6, 328.

LIBRO TERZO
RITMO E METRO
Teoria di ritmo verso e metro (1, 1 - 2, 4)
Ritmo e limite.

1. 1. M. - Questo terzo discorso, dato che si detto a sufficienza sull'affinit e


raccordo dei piedi, ci spinge ad esaminare che cosa ha origine da essi se sono
disposti in una sequenza. E prima di tutto ti chiedo se i piedi, che di norma
congiungere, una volta congiunti, possano produrre un ritmo ininterrotto, in cui
non appare un limite fisso. Il fatto accade allorch i musicanti battono con i
piedi gli xilofoni e i cembali con ritmi determinati e tali che si svolgono con
diletto dell'orecchio, ma con un andamento ininterrotto, in maniera che se non
odi i flauti, non potresti rilevare fino a dove vada avanti la combinazione dei
piedi n in qual punto essa ricominci daccapo. Sarebbe come se tu volessi
allineare di seguito cento pirrichi o pi, a tuo piacimento, o altri piedi che sono
tra loro affini.
D. - Comprendo e ammetto che si pu avere una certa combinazione di piedi,
in cui sia stabilito fino a quanti piedi si deve procedere e poi ricominciare.
M. - E giacch non neghi che esiste una determinata disciplina del far versi e
hai ammesso di aver sempre ascoltato versi con diletto, puoi dubitare che si
dia una combinazione di tal genere [e non ammettere che si differenzia dal
ritmo]?
D. - evidente che si d anche questa e che differisce da quella trattata
precedentemente.
Ritmo, misura e metro.

1. 2. M. - Dunque perch si deve distinguere pelle parole ci che distinto nei


concetti, sappi che i greci chiamavano ritmo il primo genere di combinazioni e
metro il secondo. In latino il primo pu esser chiamato numerus e il secondo
mensio o mensura. Ma poich queste parole hanno nella nostra lingua un
senso molto lato e ci si deve guardare dal parlare con doppi sensi, preferiamo
usare le parole greche. Tu vedi, penso, con quale precisione i due nomi sono
stati imposti ai concetti. Infatti, poich il ritmo si svolge con determinati piedi e
si commette errore nel comporlo se si mescolano piedi discordanti,
giustamente stato chiamato ritmo, cio numero, ma poich lo svolgimento in
s non ha misura e non stabilito con quale numero di piedi debba notarsi la
fine, non si doveva chiamar metro per mancanza di misura della sequenza. Il
metro appunto ha entrambe le caratteristiche giacch si svolge con piedi
determinati ed ha una fine determinata. Esso dunque non solamente metro a
causa del limite riconoscibile, ma anche ritmo per la combinazione razionale
dei piedi. Dunque ogni metro un ritmo, ma non ogni ritmo un metro. In
musica infatti il concetto di ritmo cos esteso che tutta questa parte che
riguarda il " lungamente " e il " non lungamente ", chiamata ritmo. Ma i dotti
e gli scienziati hanno insegnato che non ci si deve preoccupare della
terminologia se il concetto chiaro. Hai qualche obiezione o dubbio sulle
nozioni che ho esposto?
D. - No, sono perfettamente d'accordo.
Metro e verso.

2. 3. M. - Or dunque riflettiamo insieme se sia verso ogni metro, come metro


ogni verso.
D. - Rifletto, ma non trovo da rispondere.

M. - Perch credi che ti accada? Forse perch si tratta di parole? Infatti mentre
in un dialogo possiamo rispondere sulle idee pertinenti a una disciplina, non
cos sulle parole, appunto perch le idee sono universalmente innate nella
mente di tutti gli uomini, mentre i loro nomi sono stati imposti dall'arbitrio di
individui e il loro significato si fonda sull'uso dovuto alla tradizione. Ecco perch
vi pu essere diversit di linguaggi, ma non certo di idee che sono stabilite
nella stessa verit. Ascolta dunque da me ci che da te non potresti
rispondere. Gli antichi non hanno chiamato metro soltanto il verso. Dunque,
per ci che ti riguarda, giacch non si tratta pi di nomi, cerca di comprendere
se fra le due forme vi sia una differenza. Infatti un ritmo di piedi si chiude con
una fine cos determinata che non ha importanza dove si abbia un comma
prima di giungere alla fine, un altro invece non solo si chiude con una fine
determinata, ma prima della fine a un certo punto si avverte una partizione,
come se fosse formato da due cola.
D. - Non capisco.
M. - Fai attenzione dunque a questo esempio:
Ite igitur, / Camenae Fonticolae / puellae Quae canitis/sub antris Mellifluos /
sonores Quae lavitis / capillum Purpureum Hip/ pocrene Fonte, ubi fu/sus
olim Spumea
la/vit
almus Ora
iubis
/
aquosis. Pegasus,
in
/
nitentem Pervolatu/rus aethram.
Tu noti certamente che i primi cinque versi hanno un emistichio nel medesimo
punto, cio nel coriambo. Ad esso si aggiunge il bacchio per completare il
breve verso. Tutti gli undici versi sono formati appunto da un coriambo e da un
bacchio. Gli altri, eccetto uno, cio Ora iubis aquosis, non hanno nel medesimo
punto un comma completo.
D. - Comprendo, ma non vedo a che scopo.
M. - Ma appunto per farti capire che questo metro non ha una sede, per cos
dire, normativa, con cui si abbia un emistichio prima della fine del verso. Se
cos fosse, tutti avrebbero nel medesimo punto il comma o sarebbero rarissimi
quelli che non l'avessero. Ora su undici versi sei lo hanno e cinque no.
D. - Capisco e attendo a che mira la dimostrazione.
M. - Fai dunque attenzione a questo notissimo verso: Arma vi/rumque ca/no
Tro/iae qui/ primus ab / oris. E per non portarla alle lunghe, dato che la poesia
notissima, esamina da questo fin dove vuoi i singoli versi e vi troverai un
emistichio al quinto semipiede, cio dopo due piedi e mezzo. Infatti questi
versi son formati di piedi di quattro tempi e quindi la fine dell'emistichio, di cui
si parla, per cos dire normativa al decimo tempo.
D. - chiaro.
Verso colon e cesura.

2. 4. M. - Or dunque puoi comprendere che tra quelle due forme, che ti ho


presentato prima di questi esempi, v' una certa differenza, e cio che un
metro prima di esser chiuso non ha un comma determinato e stabilito, come
abbiamo esaminato negli undici brevi versi, mentre l'altro lo ha, come indica
chiaramente nel verso epico il quinto semipiede.
D. - Ora mi chiaro ci che dici.
M. - Or devi sapere che dagli antichi dotti, che hanno grande autorit, non
stato dato il nome di verso alla prima forma di metro, ma che da loro stato
descritto e chiamato verso quel metro che formato di due cola, riuniti in base
a misura e regola determinate. Tu comunque non darti pena per il nome, sul

quale interrogato non potresti rispondere, se non ti venisse indicato da me o


da qualcun altro. Ma presta la pi viva attenzione a ci che insegna la ragione,
come l'argomento, di cui adesso trattiamo. Ora la ragione insegna che fra
queste due forme esiste una differenza, qualunque sia il vocabolo con cui sono
indicate. Quindi adeguatamente interrogato sull'argomento, potresti rispondere
affidandoti alla stessa verit, ma non potresti rispondere sui nomi, se non dopo
aver conosciuto la tradizione.
D. - Ho conosciuto con chiarezza queste nozioni ed ora posso valutare il peso
che di alla cosa, sulla quale tanto spesso richiami la mia attenzione.
M. - Vorrei dunque che tu tenessi presenti i tre termini, che necessariamente
dovremo usare per discutere: ritmo, verso e metro. Essi si distinguono perch
ogni metro anche ritmo, ma non ogni ritmo anche metro ed ugualmente
ogni verso metro, ma non ogni metro anche verso. Dunque ogni verso
ritmo e metro. Capisci, penso, che logico.
D. - S, certamente. pi chiaro della luce.
I piedi nel ritmo (3, 5 - 6, 14)
Ritmo di pirrichi.

3. 5. M. - Dunque, se sei d'accordo, discutiamo prima di tutto, come ne siamo


capaci, del ritmo, in cui non si ha il metro, quindi del metro, in cui non si ha il
verso e infine dello stesso verso.
D. - Va bene.
M. - Prendi dunque fin dal principio dei piedi pirrichi e formane un ritmo.
D. - Anche se lo potessi fare, quale ne sar la misura?
M. - Giacch lo facciamo solo per esempio, basta che lo estendi fino a dieci
piedi poich il verso non pu andare oltre a questo numero di piedi. un tema
che sar trattato diligentemente a suo tempo.
D. - Molto giustamente non mi hai proposto di riunire molti piedi. Mi sembra
per che non ricordi di aver distinto con esattezza fra grammatico e musico,
quando ti risposi che delle sillabe lunghe e brevi non possedevo la disciplina
trasmessa dai grammatici, a meno che non mi permetti di mostrarti il ritmo
non con le parole, ma con una determinata percussione. Non nego che posso
avere la capacit dell'udito per misurare la successione del tempo, ma non so
proprio, giacch stabilito dalla tradizione, quale sillaba si deve considerare
breve e quale lunga.
M. - Riconosco che, come dici, abbiamo distinto tra grammatico e musico e che
tu hai ammesso la tua ignoranza in materia. Ascolta dunque un esempio di
questa forma: Ago/ cele/riter / agi/le quod/ ago/ tibi/ quod a/nima/ velit.
D. - Lo tengo presente.
Il pirrichio prevale sul proceleusmatico.

3. 6. M. - Ripetendo questo metro molte volte a tuo piacere, otterrai un ritmo


tanto lungo quanto vorrai, sebbene i dieci piedi siano sufficienti come saggio.
Ma se qualcuno ti dicesse che il ritmo formato non di pirrichi ma di
proceleusmatici, cosa risponderesti?
D. - Non lo so proprio, perch dove si hanno dieci pirrichi, posso scandire
cinque proceleusmatici, e il dubbio tanto pi forte perch ci si chiede di un
ritmo che si svolge senza interruzione. Infatti undici, tredici o qualsiasi altro
numero dispari di pirrichi non possono formare un numero intero di
proceleusmatici. Se dunque vi fosse un limite determinato nel ritmo in
questione, si potrebbe dire che si svolge con pirrichi, anzich con

proceleusmatici giacch non si avrebbero proceleusmatici tutti interi. Ora


invece la illimitatezza stessa rende indeciso il nostro giudizio, come pure se ci
si propongono piedi determinati in numero, ma pari, come sono appunto questi
dieci.
M. - Ma anche ci che a te sembrato evidente di un numero dispari di
pirrichi, non affatto evidente. Perch infatti non si potrebbe dire, se si
dispongono undici pirrichi, che il ritmo ha cinque proceleusmatici e un
semipiede? Che cosa si potrebbe obiettare, dato che si hanno molti versi
catalettici di un semipiede?
D. - Ti ho detto gi che non so cosa si pu dire sull'argomento.
M. - Non sai nemmeno che il pirrichio procede il proceleusmatico? Con due
pirrichi si forma un proceleusmatico e siccome uno viene prima di due e due
prima di quattro, cos il pirrichio viene prima del proceleusmatico.
D. - verissimo.
M. - Quando dunque ci imbattiamo nell'alternativa che nel ritmo si possano
scandire il pirrichio e il proceleusmatico, a quale daremo la precedenza? Al
primo, dal quale questo formato, oppure al secondo, da cui il primo non
formato?
D. - Non v' dubbio che va data al primo.
M. - Perch dunque, quando ti si richiede sull'argomento, dubiti di rispondere
che questo ritmo deve essere considerato pirrichio, anzich proceleusmatico?
D. - Ora non ho pi dubbi e mi vergogno di non aver subito compreso un
ragionamento tanto evidente.
La percussione decide.

4. 7. M. - E capisci che da questo ragionamento si deduce che si hanno piedi


che non possono formare una sequenza ritmica? Ci che stato accertato per
il proceleusmatico, al quale il pirrichio toglie la precedenza, credo, sia accertato
anche per il digiambo, il dicoreo e il dispondeo. O sei d'altra opinione?
D. - Come posso essere d'altra opinione? Avendo accettato la premessa, non
posso respingere la conclusione.
M. - Esamina anche i concetti che seguono, confronta e giudica. Sembra infatti,
quando si verifica questa indecisione, che dalla percussione si deve distinguere
con quale piede si scandisce. Quindi se vuoi scandire con un pirrichio, si deve
porre un tempo in arsi e un tempo in tesi, se col proceleusmatico due e due
tempi. Cos il piede sar evidenziato e nessun piede sar escluso dall'avere una
sequenza ritmica.
D. - Sto per questa opinione, la quale non permette che alcun piede sia escluso
dalla sequenza ritmica.
M. - Fai bene e affinch tu ne sia pi certo, considera che cosa possiamo
rispondere sul tribraco, se ci si viene a sostenere che questo ritmo si scandisce
non con pirrichi o proceleusmatici, ma con tribraci.
D. - Intendo che bisogna richiamarsi alla percussione. Se si ha un tempo in arsi
e due in tesi, cio una e due sillabe, o anche due in arsi e una in tesi, si pu
dire che un ritmo tribaco.
Non si d ritmo proceleusmatico.

4. 8. M. - Hai ben compreso. Dimmi ora se lo spondeo pu unirsi al ritmo


pirrichio.
D. - No, assolutamente. La percussione non avrebbe una sequenza eguale,
poich nel pirrichio l'arsi e la tesi occupano un tempo ciascuno, mentre nello

spondeo due tempi.


M. - Dunque al proceleusmatico si pu unire.
D. - S.
M. - Che cosa avviene quando gli si aggiunge? Interrogati se il ritmo
proceleusmatico o spondaico, che cosa risponderemo?
D. - Che cosa dire, se non dare la precedenza allo spondeo? La controversia
infatti non si compone con la percussione giacch nell'uno e nell'altro si danno
due tempi all'arsi e due alla tesi. Non resta che dare la precedenza a quello che
viene prima nell'ordine dei piedi.
M. - Noto che hai compreso il ragionamento e intendi, come credo, ci che se
ne conclude.
D. - Che cosa infine?
M. - Che nessun altro piede si pu unire al ritmo proceleusmatico. Infatti
qualsiasi altro ritmo della stessa durata gli fosse unito, altrimenti non potrebbe
essergli unito, necessariamente denominer il ritmo che si ottiene, appunto
perch tutti i piedi, che son formati dai medesimi tempi, hanno la precedenza
sul proceleusmatico. E poich gli altri sono stati scoperti prima, la logica ci
obbliga a denominare il ritmo da quel piede, cui essa, come hai visto, d la
precedenza. Non sar dunque pi un ritmo proceleusmatico, quando gli sar
unito qualche altro piede di quattro tempi, ma uno spondeo o un dattilo o un
anapesto. Si d'accordo infatti che l'anfibraco resti escluso dall'unione di
questi piedi.
D. - Ammetto che cos.
Favore per i ritmi giambici, trocaici e spondaici.

4. 9. M. - Or dunque seguendo la disposizione esamina il ritmo giambico


giacch abbiamo discusso abbastanza del pirrichio e del proceleusmatico, che
generato da due pirrichi. Pertanto vorrei che tu mi dicessi quale piede pensi
debba essere unito al giambo perch il ritmo giambico conservi il proprio
nome.
D. - Quale altro se non il tribraco che ha il medesimo tempo e la medesima
percussione e poich viene dopo non pu arrogarsi la precedenza? Anche il
coreo viene dopo ed ha i medesimi tempi, ma non la medesima percussione.
M. - Passa ora al trocheo ed anche su di esso esponi i medesimi temi.
D. - Rispondo allo stesso modo. Il tribraco pu armonizzarsi col trocheo non
solo per il tempo ma anche per la percussione. Ma chi non vedrebbe che si
deve evitare il giambo? Se ad esso appunto si desse eguale percussione, una
volta unito al trocheo, gli toglierebbe la precedenza.
M. - E infine quale piede uniremo al ritmo spondaico?
D. - Ve n' abbondanza. Vedo che gli possono essere uniti il dattilo, l'anapesto
e il proceleusmatico perch non lo impediscono n inegualit di tempi, n
difetto di percussione, n perdita della precedenza.
Ritmi commischiati e non commischiati.

4. 10. M. - Veggo ormai che puoi facilmente elencare nella disposizione tutti gli
altri ritmi. Perci senza mia interrogazione o piuttosto come se tu fossi
interrogato su tutto, dimmi con tutta la brevit e chiarezza possibili come i
piedi che restano, se mescolati normalmente ad altri, conservino il proprio
nome nel ritmo.
D. - Lo far e non sar una fatica, tanta la chiarezza delle precedenti
dimostrazioni. Nessun piede potr essere unito al tribraco perch tutti quelli

che hanno tempi eguali ai suoi hanno la precedenza. Al dattilo pu essere unito
l'anapesto perch viene dopo e scorre con egual tempo e eguale percussione.
Ad ambedue, per la medesima ragione, pu essere unito il proceleusmatico. Al
bacchio possono essere uniti il cretico e i peoni I, II e IV. Al cretico possono
unirsi tutti i piedi di cinque tempi che vengono dopo di lui, ma non tutti con la
medesima divisione. Gli uni infatti si dividono in due e tre tempi, gli altri in tre
e due tempi. Ma il cretico stesso pu esser diviso in due maniere, dato che la
breve di mezzo pu essere attribuita alla prima o alla seconda parte. Il
palimbacchio invece, per il fatto che la sua divisione inizia con due tempi e
termina con tre, ha come adatti alla unione tutti i peoni, escluso il secondo. Dei
trisillabi rimane il molosso, dal quale iniziano i piedi di sei tempi, che possono
tutti essergli uniti, in parte perch ne condividono il rapporto dell'uno al due ed
in parte per quella divisione, rilevata dalla percussione, della sillaba lunga di
mezzo che cede un tempo a ciascuno degli estremi. Nel sei appunto il medio
eguale agli estremi. Per questo motivo il molosso e i due ionici sono battuti non
solo nel rapporto di uno a due, ma anche in due parti eguali di tre tempi
ciascuna. Avviene cos che successivamente a tutti i piedi di sei tempi possono
essere uniti gli altri di sei tempi. Rimane soltanto l'antispasto, il quale non
ammette unione con alcun altro. Seguono i quattro epitriti. Il primo di essi
ammette l'unione col secondo, il secondo rifiuta l'unione con ogni altro, il terzo
si unisce col quarto e il quarto con nessuno. Resta il dispondeo che far, anche
esso, il ritmo da solo poich non trova un ritmo dopo di s, n ad esso eguale.
Cos sono otto in tutti i piedi che fanno un ritmo senza mescolanza: il pirrichio,
il tribraco, il proceleusmatico, il peone IV, l'antispasto, l'epitrito II e IV e il
dispondeo. Gli altri ammettono l'unione con quelli che li seguono in maniera da
ottenere il nome di ritmo, anche se se ne possono contare pochi in questa
serie. Questo , credo, sufficiente per l'argomento che hai voluto da me
esposto nei particolari. tuo compito ora esaminare ci che resta.
Si danno piedi con pi di quattro sillabe?

5. 11. M. - Piuttosto anche tuo assieme a me perch tutti e due stiamo


conducendo una indagine. Ma infine che cosa resta, secondo te, che possa
riguardare il ritmo? Non c' da esaminare qualche altra misura di piede che,
bench non superi gli otto tempi, compresi nel dispondeo, vada tuttavia al di l
del numero di quattro sillabe?
D. - Perch?, scusa.
M. - Perch interroghi me piuttosto che te stesso? Non ritieni che senza
inganno o offesa dell'udito, si possono sostituire due sillabe brevi a una lunga,
in attinenza tanto alla percussione e alla divisione dei piedi quanto alla
durata?.
D. - E chi lo negherebbe?
M. - Ecco perch dunque si pone il tribraco al posto del giambo e del coreo, il
dattilo, l'anapesto e il proceleusmatico al posto dello spondeo, quando si
pongono due brevi al posto della loro seconda o prima, oppure quattro brevi al
posto di entrambe.
D. - D'accordo.
M. - Fai quindi altrettanto con uno ionico qualsiasi e con qualche altro piede
quadrisillabo di sei tempi e sostituisci una loro lunga qualsiasi con due brevi.
Forse che qualche cosa della misura si perde o qualche cosa impedisce la
percussione?

D. - Niente, assolutamente.
M. - Considera dunque quante sillabe si danno.
D. - Se ne formano cinque, evidente.
M. - Vedi pertanto che pu essere superato il numero di quattro sillabe.
D. - Lo vedo bene.
M. - E se sostituisci quattro brevi alle due lunghe dello ionico, non devi
necessariamente calcolare sei sillabe in un solo piede?
D. - S.
M. - E se scomponi in brevi tutte le sillabe dell'epitrito, c' forse da dubitare
che si avrebbero sette sillabe?
D. - No, certo.
M.- E il dispondeo? Non fa otto sillabe se si pongono due brevi al posto di tutte
le lunghe?
D. - proprio vero.
Il piede con pi di quattro sillabe non ha figura.

5. 12. M. - Qual dunque la ragione per cui si costretti a scandire dei piedi
con un s gran numero di sillabe e nello stesso tempo si deve ammettere, in
base alle dimostrazioni gi esposte, che il piede usato per i ritmi non deve
superare le quattro sillabe? Non ti sembra che i due concetti si oppongono?
D. - S certamente e non so come si possano accordare.
M. - Anche questo facile. Basta che ricordi di nuovo se dianzi logicamente
emerso dal nostro dialogo che il pirrichio e il proceleusmatico debbono essere
riconosciuti nel loro schema dalla percussione. Cos soltanto il piede a divisione
normale creer il ritmo, quanto dire che da esso il ritmo prender il nome.
D. - Ricordo e non vedo perch mi debba pentire di aver accettato tali concetti.
Ma a che scopo le tue parole?
M. - Perch tutti i piedi di quattro sillabe, tranne l'anfibraco, formano un ritmo,
vale a dire, hanno la precedenza nel ritmo e lo costituiscono nell'uso e nel
nome. Al contrario molti dei piedi, che hanno pi di quattro sillabe, possono
sostituirli, ma da soli non formano un ritmo e non possono avere il nome di
ritmo. Per questo penserei di non chiamarli piedi. Pertanto la opposizione che
ci turbava, come penso, risolta ed eliminata, giacch in luogo di un piede
possiamo porre pi di quattro sillabe e tuttavia non considerare piede se non
quello con cui il ritmo si forma. Bisognava infatti che fosse stabilito al piede un
certo limite dello sviluppo in sillabe. Ora il limite, che si potuto nel miglior
modo stabilire, perch derivato dalla stessa legge dei numeri, si arrestato al
quattro. Quindi si potuto avere un piede di quattro sillabe lunghe. Quando
poi a suo posto stabiliamo otto brevi, dato che occupano la medesima durata,
si possono sostituire all'altro piede. Ma poich superano la normale estensione
cio il quattro, si vieta che siano posti di per se stessi e formino un proprio
ritmo, e non tanto per esigenza estetica dell'udito, ma per norma d'arte. Hai
qualche cosa da obiettare?
Il piede pi lungo di quattro lunghe.

5. 13. D. - S, e lo dico. Che cosa impediva che il piede potesse giungere fino
ad otto sillabe, quando vediamo che si pu accettare questo numero per ci
che riguarda il ritmo? E non mi turba il tuo assunto che il piede messo al
posto di un altro, che anzi proprio questo mi suggerisce di chiedere, anzi di
lamentare, che non sia consentito anche col proprio nome un piede che lo pu
a posto di un altro.

M. - Non c' da meravigliarsi che ti sbagli, ma facile la dimostrazione del


vero. Tralascio i molti argomenti esposti a favore del quattro e la ragione, per
cui lo sviluppo delle sillabe deve arrivare fino a questo numero. Supponi che io
mi sia arreso a te e ti abbia concesso che la lunghezza di un piede possa
essere estesa fino a otto sillabe. Potresti negare che gi sarebbe possibile un
piede di otto sillabe lunghe? Certamente se il piede giunge a un certo numero
di sillabe, vi giunge non solo quello che formato di sillabe brevi, ma anche
quello che formato di lunghe. Ne consegue che applicando quella legge, la
quale non pu essere abrogata, per cui si possono sostituire due brevi a una
lunga, si arriva a sedici sillabe. E qui, se tu volessi di nuovo ottenere
l'allungamento del piede, si arriva a trentadue brevi. Il tuo modo di ragionare ti
costringe a estendere fin l il piede e a sua volta quella legge a porre un
numero doppio di brevi a posto delle lunghe. Cos non si avr alcun limite.
D. - Accetto la dimostrazione, per cui il piede si estende fino a quattro sillabe.
Ma non ho obiezioni a che si possa porre, in luogo di questi piedi normali, piedi
di un maggior numero di sillabe, purch due brevi occupino il posto di una
lunga.
Il piede con pi di quattro sillabe non ha un proprio ritmo.

6. 14. M. - Ti facile ora capire con evidenza che si hanno alcuni piedi posti in
luogo di quelli che hanno la precedenza nel ritmo, ed altri che sono posti
assieme ad essi. Infatti nei ritmi, in cui si pongono due brevi in luogo di una
lunga, a posto del piede che d il nome al ritmo, se ne pone un altro, come un
tribraco in luogo del giambo o del trocheo, oppure un dattilo, un anapesto o un
proceleusmatico in luogo di uno spondeo. Invece nei ritmi, in cui ci non
avviene, non in suo luogo, ma insieme ad esso si pone un qualsiasi piede che
viene dopo e gli si pu unire, come l'anapesto assieme al dattilo, il digiambo e
il dicoreo assieme ai due ionici e similmente i rimanenti secondo la propria
legge con gli altri. Ti sembra poco chiaro o sbagliato?
D. - Ora capisco.
M. - Dimmi dunque se i piedi posti in luogo di altri possono anche essi di per s
formare il ritmo.
D. - S.
M. - Tutti?
D. - S.
M. - Dunque un piede di cinque sillabe pu col proprio nome formare un ritmo
poich pu esser posto in luogo del bacchio, del cretico o qualunque peone?
D. - Certamente no. Ma esso non si considera pi un piede se ben ricordo la
sua progressione fino al quattro. Quando ho risposto che tutti lo possono,
intendevo dire che i veri piedi lo possono.
M. - Lodo la tua diligenza e attenzione nel ritenere perfino il nome. Ma sappi
che molti hanno ritenuto di dover denominare piedi anche quelli di sei sillabe,
ma di pi nessuno, che io sappia. Ma anche quelli che lo hanno insegnato,
hanno affermato che non si devono impiegare piedi tanto lunghi per formare
un ritmo o metro. E cos non hanno dato ad essi neppure il nome. Pertanto
veramente esatto il limite dello sviluppo che giunge fino a quattro sillabe,
poich tutti questi piedi, congiungendosi, hanno potuto formare un piede,
sebbene divisi non ne hanno potuto formare due. Cos i dotti, che sono arrivati
fino a sei sillabe, hanno osato attribuire soltanto il nome di piede a quelli che
sorpassano le quattro sillabe, ma non hanno permesso che essi aspirassero

alla precedenza nel ritmo e nel metro. Ma quando in luogo di una lunga si
pongono due brevi, si arriva, come dimostra, la logica, fino a sette e otto
sillabe, ma nessuno ha esteso il piede fino a tal numero. Veggo dunque
risultare dal nostro dialogo che qualsiasi piede con pi di quattro sillabe,
quando si pongono due brevi in luogo di una lunga, non pu essere utilizzato
assieme a quelli normali, ma a loro posto e che non creano di per s il ritmo.
Quindi perch non vada oltre il limite ci che logicamente deve averlo e poich
penso che nel nostro dialogo si sufficientemente trattato del ritmo, passiamo,
se vuoi, al metro.
D. - D'accordo.
Ritmo e metro (7, 15 - 9, 21)
Ritmo e costituzione del metro.

7. 15. M. - Dimmi dunque se, secondo te, il metro formato dai piedi oppure i
piedi dal metro.
D. - Non capisco.
M. - Piedi congiunti formano il metro ovvero i piedi sono formati di metri
congiunti?
D. - Ho capito ci che dici e penso che il metro sia formato da piedi congiunti.
M. - E perch lo pensi?
D. - Perch hai detto che tra il ritmo e il metro vi questa differenza, che nel
ritmo la connessione dei piedi non ha alcun limite determinato, nel metro
invece lo ha; perci la connessione dei piedi propria del ritmo e del metro,
ma nel primo non ha un limite, nel secondo invece s.
M. - Un piede solo dunque non un metro.
D. - No, certamente.
M. - E un piede e un semipiede?
D. - Neppure.
M. - Perch? Forse perch il metro formato di pi piedi e non possibile
parlare di pi piedi, dove se ne hanno meno di due?
D. - S.
M. - Esaminiamo dunque quei metri da me dianzi ricordati e vediamo di quali
piedi si compongono. Non ti pi lecito ormai essere incapace di riconoscerne
la struttura. Eccoli:
Ite igitur Camenae Fonticolae puellae Quae canitis sub antris Mellifluos
sonores Credo che siano sufficienti per ci che ci proponiamo. Scandiscili e
dimmi quali piedi hanno.
D. - Non posso proprio. Ritengo che si devono scandire quelli che possibile
congiungere normalmente, e non so trarmi d'impaccio. Se infatti considero il
primo piede un coreo, si ha di seguito un giambo che ha tempo eguale, ma
cadenza differente; se lo considero un dattilo, non si ha di seguito un piede che
gli sia eguale almeno nella durata; se un coriambo, si ha la medesima
difficolt, giacch ci che rimane non gli si accorda n per durata n per
cadenza. Perci o questo non un metro, o falso quanto stato da noi
discusso sull'unione dei piedi. Non trovo altro da dire.
La funzione della pausa per terminare il metro.

7. 16. M. - evidente che un metro, sia perch pi di un piede ed ha un


limite determinato, sia anche in base alla percezione dello stesso udito. Infatti
non si pronuncerebbe con una eguaglianza cos dilettosa, non avrebbe una
cadenza con una modulazione cos proporzionata, se in esso non fosse la legge

del numero che si pu avere soltanto in questo settore della musica. Mi


meraviglio dunque del tuo parere che vi sia un errore nelle nostre
argomentazioni. Niente infatti pi certo dei numeri o pi ordinato di questa
classificazione e disposizione dei piedi. Dalla stessa legge dei numeri, che
assolutamente infallibile, stata derivata la funzione, che abbiamo discusso, di
dilettare l'udito e di occupare la precedenza nel ritmo. Ma mentre io ripeto pi
volte: Quae canitis/ sub antris e diletto con questo ritmo il tuo udito, osserva
quale differenza esiste fra questa frase ed essa stessa se aggiungessi alla fine
una sillaba breve ed ugualmente ripetessi: Quae / canitis/ sub antrisve.
D. - Entrambi i ritmi arrivano con diletto al mio udito; tuttavia sono costretto
ad ammettere che il secondo, cui hai aggiunto una sillaba breve, ha una durata
maggiore, poich divenuto pi lungo.
M. - E quando ripeto il primo: Quae canitis/sub antris, senza interporre la
pausa alla fine, giunge al tuo udito il medesimo diletto?
D. - Anzi mi disturba un non so che di zoppicante, a meno che non pronunci
l'ultima pi lunga delle altre lunghe.
M. - Dunque, a tuo avviso, il maggiore allungamento o la pausa occupano un
determinato spazio di tempo?
D. - Come potrebbe essere altrimenti?
Quando la pausa indispensabile.

8. 17. M. - Bene. Ma dimmi anche, quanto spazio , secondo te.


D. - Mi difficile misurarlo.
M. - Giusto. Ma non pensi che a misurarlo sia la sillaba breve? Dopo che
l'abbiamo aggiunta, l'udito non ha pi richiesto il prolungamento fuor del
normale dell'ultima lunga, n la pausa nella ripetizione del metro.
D. - Sono proprio d'accordo. Infatti mentre tu declamavi pi volte il primo
metro, io tra me ripetevo assieme a te il secondo. Cos mi sono accorto che
entrambi avevano la medesima durata, poich la mia ultima breve si accordava
alla tua pausa.
M. - Devi ritenere dunque che nei metri vi sono determinate pause. Perci
quando troverai che ad un piede normale manca qualche cosa, dovrai
considerare se non compensato da una proporzionata pausa ritmica.
D. - Ora ho capito. Passa ad altro.
L'astensione della pausa.

8. 18. M. - Ed ora, secondo me, dobbiamo ricercare la misura della durata


della stessa pausa. Nel metro proposto troviamo un bacchio dopo il coriambo.
E poich al bacchio manca un tempo per avere la durata dei sei tempi del
coriambo, l'udito l'ha facilmente percepito ed ha richiesto d'interporre, prima
della ripetizione, una pausa di durata eguale a quella di una breve. Ma se dopo
il coriambo si pone uno spondeo, per tornare a capo ci sar necessario
interporre una pausa di due tempi, come nel metro: Quae / canitis / fontem.
Comprendi, credo, che la pausa si deve fare perch, quando si torna a capo, la
percussione non zoppichi. Ma affinch possa riconoscere di quale lunghezza
deve esser la pausa, aggiungi una sillaba lunga. Si avr, per esempio: Quae
canitis / fontem vos. Ripeti con la percussione e ti accorgerai che la
percussione ha tanta durata, quanta nell'altra, sebbene l, dopo il coriambo,
erano state poste due lunghe e qui tre. dunque chiaro che stata interposta
una pausa di due tempi. Se dopo il coriambo si pone un giambo, come in
questo caso: Quae canitis / locos, si costretti a fare una pausa di tre tempi.

Per accertarsi del fatto, i tre tempi si aggiungano o per mezzo di un secondo
giambo o di un coreo o di un tribraco, ad esempio: Quae canitis / locos /
bonos; o: Quae canitis / locos / monte; o Quae canitis / locos / nemore.
Aggiungendo questi piedi la ripetizione scorre dilettosa ed egualita senza la
pausa e mediante la cadenza si avverte che ciascuno dei tre piedi ha una
durata eguale a quella, in cui si interponeva la pausa. dunque evidente che si
aveva una pausa di tre tempi. Dopo il coriambo si pu mettere una sola sillaba
lunga, in modo da avere una pausa di quattro tempi. Infatti il coriambo pu
anche dividersi in maniera che arsi e tesi siano in rapporto di uno a due.
Esempio di questo metro : Quae canitis/ res. Se ad esso aggiungeremo o due
lunghe o una lunga e due brevi o una breve, una lunga e una breve o due brevi
e una lunga o quattro brevi, si avr un piede di sei tempi che pertanto pu
essere ripetuto senza interporre la pausa. Tali sono: Quae canitis /res
pulchras, Quae canitis /res in bona, Quae canitis /res bonumve, Quae canitis
/res teneras, Quae canitis /res modo bene. Conosciuti con evidenza questi
concetti, ti sar, come penso, abbastanza chiaro che non possibile una pausa
minore di un tempo e maggiore di quattro. Questo dunque quello sviluppo
proporzionato, su cui abbiamo detto tante cose; inoltre in tutti i piedi non si
hanno arsi e tesi che occupano pi di quattro tempi.
Bastano un piede, un semipiede e la pausa a dare un metro.

8. 19. Quando si canta dunque o si declama qualche cosa che abbia una fine
determinata e pi di un piede e che per movimento naturale, ancor prima del
riconoscimento dei ritmi, diletta l'udito per una certa proporzione, si ha gi un
metro. Ma supponiamo che abbia meno di due piedi. Se comunque pi d'uno
ed esige la pausa, non senza misura, quantunque nel limite che sufficiente
a completare la durata dovuta al secondo piede. Cos l'udito percepisce come
due piedi ci che, prima di tornare a capo, ha la durata di due piedi per il fatto
che si aggiunge al suono anche una determinata pausa ritmica. Ed ora vorrei
che tu mi dica se hai conoscenza certa delle nozioni esposte.
D. - S ne ho conoscenza certa.
M. - Perch presti fede a me o perch sei certo da te che son vere?
D. - Da me son certo, sebbene le conosco come vere dietro la tua esposizione.
Il verso richiede due cola.

9. 20. M. - Or dunque, poich abbiamo scoperto il minimo che costituisce il


metro, esaminiamo anche fin dove pu essere esteso. Il metro ha come
minimo due piedi o interi mediante il loro stesso suono o aggiungendo la pausa
per completare ci che manca. Pertanto ora devi considerare lo sviluppo fino al
quattro ed espormi fino a quanti piedi si deve estendere il metro.
D. - Questo davvero facile. La ragione insegna che si estende fino ad otto
piedi.
M. - Abbiamo detto anche che i letterati hanno chiamato verso un ritmo di due
commi proporzionatamente congiunti secondo una determinata regola.
Ricordi?.
D. - Lo ricordo bene.
M. - E non stato detto che il verso formato di due piedi, ma di due cola ed
chiaro che il verso non ha un solo piede, ma pi piedi. Dunque il fatto stesso
non mostra che il colon pi lungo del piede?
D. - Certo.
M. - Ma se i due cola nel verso fossero eguali, non si potrebbero invertire di

posto in modo che indiscriminatamente la prima parte divenga ultima e l'ultima


prima?
D. - Capisco.
M. - Dunque perch questo non avvenga e perch appaia con sufficiente
distinzione che nel verso altro il colon con cui esso comincia ed altro quello
con cui si chiude, non possiamo negare la necessit che i cola siano disuguali.
D. - No, certo.
M. - Consideriamo dunque, per primo, se vuoi, il caso nel pirrichio. Puoi
vedere, penso, che in esso il colon non pu essere minore di tre tempi perch il
primo pi d'un piede.
D. - Sono d'accordo.
M. - Quanti tempi avr dunque il verso pi corto?
D. - Direi sei, se non mi trattenesse la suddetta inversione di posto. Dunque ne
avr sette, giacch un comma non pu avere meno di tre tempi e ancora non
stato scoperto un divieto che ne abbia di pi.
M. - Hai compreso bene, ma dimmi quanti pirrichi sono contenuti in sette
tempi.
D. - Tre e mezzo.
M. - Bisogna dunque aggiungere la pausa di un tempo prima di tornare a capo,
perch si possa completare la durata di un piede.
D. - Certamente.
M. - Con l'aggiunta della pausa quanti tempi si avranno?
D. - Otto.
M. - Come dunque il piede pi piccolo, che anche il primo, non pu avere
meno di due tempi, cos il verso pi corto, che anche il primo, non pu avere
meno di otto tempi.
D. - S.
M. - E il verso pi lungo, di cui non si pu avere uno pi esteso, di quanti
tempi deve essere allora? Lo capirai subito, se ci riconduciamo l'attenzione a
quello sviluppo, di cui tanto a lungo abbiamo parlato.
D. - Ora capisco che il verso non pu essere pi lungo di trentadue tempi.
L'astensione del verso e del metro.

9. 21. M. - E la lunghezza del metro? Pensi che debba superare quella del
verso, giacch anche il metro pi corto pi corto del verso pi corto?
D. - No.
M. - Dunque il metro pi corto di due piedi e il verso di quattro, o anche il
metro pi corto della durata di due piedi e il verso pi corto della durata di
quattro, pausa compresa; inoltre il metro non supera gli otto piedi. Non
necessario dunque, giacch anche il verso metro, che il verso non superi gli
otto piedi?
D. - S.
M. - Inoltre il verso non supera i trentadue tempi e il metro costituisce anche
la stessa lunghezza del verso, se non ha il congiungimento dei due cola, che
indispensabile al verso, ma si chiude soltanto con una fine determinata; infine
il metro non deve essere pi lungo del verso. Non dunque evidente che,
come il verso non deve superare gli otto piedi, cos il metro non deve superare
i trentadue tempi?
D. - Son d'accordo.
M. - Il metro e il verso avranno dunque la medesima durata, il medesimo

numero di piedi, il medesimo limite, oltre il quale entrambi non devono andare.
Tuttavia il metro ha il suo limite quadruplicando il numero dei piedi, da cui si
ha il pi corto, e il verso quadruplicando il numero dei tempi, da cui si ha il
verso pi corto. Cos nell'osservanza dell'ideale legge del quattro il metro
partecipa al verso in piedi la misura dell'espandersi e il verso al metro in
tempi.
D. - Comprendo e approvo e mi piace che esista questo reciproco
collegamento.

LIBRO QUARTO
CLASSIFICAZIONE E REGOLE DEL METRO
Classificazione dei metri (1, 1 - 12, 15)
Indifferenza se l'ultima sillaba del metro breve o lunga.

1. 1. M. - Torniamo dunque all'esame del metro. Soltanto a motivo del suo


sviluppo in lunghezza sono stato costretto ad esporre qualche nozione sul
verso. Ma l'occasione di trattarne viene in seguito. Per prima cosa ti chiedo se
respingi l'opinione dei poeti e dei loro critici, i grammatici, che non ha alcuna
importanza se l'ultima sillaba, la quale chiude il metro, sia lunga o breve.
D. - La rifiuto decisamente perch non mi sembra ragionevole.
M. - Dimmi, scusa, qual il metro pi corto in pirrichi?
D. - Tre brevi.
M. - Quale pausa dunque si deve osservare, mentre si torna a ripeterlo?
D. - Un tempo che la durata di una breve.
M. - Batti dunque questo metro non con la voce, ma con la percussione.
D. - Fatto.
M. - Batti anche in questo modo l'anapesto.
D. - Fatto anche questo.
M. - Secondo te, in che cosa differiscono?
D. - In nulla, proprio.
M. - E puoi dirmene il motivo?
D. - Mi pare abbastanza chiaro. Il tempo, che nel pirrichio dato alla pausa,
nell'anapesto dato alla lunghezza dell'ultima sillaba, poich allo stesso modo
nel primo si batte l'ultima breve e nel secondo la lunga e dopo il medesimo
intervallo si ritorna a capo. Ma nel primo si fa una pausa fino a completare la
durata del piede pirrichio, nel secondo la durata della sillaba lunga. Cos la
pausa uguale nelle due parti e dopo averla interposta si ritorna.
M. - Dunque non irrazionalmente i grammatici vollero che non avesse
importanza se l'ultima sillaba lunga o breve. Quando si termina, segue
appunto una pausa sufficiente perch il metro sia completo. Ovvero pensi che
al caso avrebbero dovuto tener conto della ripetizione o del ritorno a capo e
non solamente del fatto che il metro terminato, come se non ci fosse altro da
dire?
D. - Ora riconosco che l'ultima sillaba va considerata senza distinzione di lunga
o breve.
M. - Bene. Il fatto avviene per motivo della pausa, giacch il termine viene
considerato, come se chi ha terminato non abbia altro da aggiungere. Inoltre in
considerazione di questa durata assai lunga nella pausa indifferente quale
sillaba sia posta in fine. Non ne consegue dunque che l'alterna possibilit,
consentita alla sillaba finale a causa della lunga durata, abbia per risultato che,
sia essa breve o lunga, l'udito la percepisca come lunga?
D. - Capisco chiaramente che consegue.
Il metro pi breve il pirrichio di quattro tempi.

2. 2. M. - Ma quando si dice che il metro pi corto il pirrichio di tre sillabe


brevi, sicch si ha la pausa di una sola breve mentre si torna a capo, capisci
anche che non ha importanza se si ripete questo metro o piedi anapesti?
D. - Me ne sono accorto poco fa con quella percussione.
M. - Non ritieni dunque che con una determinata regola si debba conferire

ordine a simile anomalia?


D. - S, lo ritengo.
M. - E dimmi se conosci altra regola la quale dia ordine alle nozioni in parola,
se non quella che il metro pirrichio pi corto non , come tu credevi, di tre
brevi, ma di cinque. Infatti l'analogia con l'anapesto, come stato gi detto,
non ci consente dopo un piede e un semipiede di fare la pausa di quel
semipiede che si richiede per completare il piede e cos tornare al principio e
stabilire che questo il metro pirrichio pi corto. Dunque, se si vogliono
evitare confusioni, occorrono due piedi e un semipiede per fare la pausa di un
solo tempo.
D. - Ma perch non due pirrichi sono il metro pi corto in pirrichi, o magari
quattro sillabe brevi, dopo le quali non sia necessario far la pausa, piuttosto
che cinque che la richiedono?
M. - Sei sveglio, eh! Per non badi che te lo pu vietare il proceleusmatico,
come l'anapesto nell'altro caso.
D. - vero.
M. - Ammetti dunque il limite minimo in cinque brevi e nella pausa di un
tempo?
D. - S.
M. - Mi pare che tu abbia dimenticato ci che abbiamo detto sul modo di
giudicare se si scandisce col pirrichio o col proceleusmatico.
D. - Me ne avvisi opportunamente. Abbiamo stabilito che questi metri devono
esser distinti con la percussione. Pertanto non temo pi in questo caso il
proceleusmatico che mediante la percussione potr distinguere dal pirrichio.
M. - Perch dunque non ti sei accorto che bisognava usare la percussione per
distinguere l'anapesto dalle tre brevi, cio un pirrichio e un semipiede, dopo il
quale occorreva la pausa di un tempo?
D. - Ora capisco e torno sulla via giusta. Confermo che il metro pirrichio pi
corto di tre sillabe brevi che con la pausa occupano il tempo di due pirrichi.
M. - Il tuo udito gradisce dunque questo schema ritmico: Si aliqua/ bene vis,/
bene dic,/ bene fac,/ Animus, / si aliquid/ male vis, / male vic, / male fac,/
Animus/ medium est. D. - Assai, soprattutto perch ho ricordato in qual modo
bisogna segnar la percussione per non confondere piedi anapesti col metro
pirrichio.
L'ultima sillaba del metro nella norma e nella licenza poetica.

2. 3. M. - Esamina anche questi: Si aliquid es,/ age bene./ Male qui agit,/ nihil
agit/ et ideo/ miser erit. D. - Anche essi si ascoltano con gradimento, tranne
nel punto in cui la fine del terzo si incontra con l'inizio del quarto.
M. - proprio questo che mi aspettavo dal tuo udito. Non senza motivo il
senso contrariato quando attende un solo tempo di tutte le sillabe senza
interposizione di pausa. Invece l'incontro delle due consonanti t ed n, che
rendono lunga la sillaba precedente e le danno la durata di due tempi,
ingannano simile attesa. questa la forma che i grammatici chiamano sillaba
lunga per posizione. Ma a causa dell'indeterminatezza dell'ultima sillaba
nessuno trova difettoso questo metro, bench un udito rigidamente disciplinato
lo condanna anche senza accusatore. Infatti puoi osservare quanta sia la
differenza se invece di Male qui agit,/nihil agit, si dica: Male qui agit,/homo
perit.
D. - Questo metro veramente genuino.

M. - Custodiamo dunque a causa della purezza della musica ci che i poeti


trascurano per facilitare la composizione poetica. Ad esempio, ogni volta che ci
sia indispensabile porre in un contesto metri, in cui non richiesto un
compenso al piede mediante la pausa, si devono porre per ultimo le sillabe che
richiede la legge di quel ritmo, per non tornare dalla fine all'inizio con fastidio
dell'udito e contaminazione della misura. Si d tuttavia licenza ai poeti di
terminare i metri come se non dovessero dire altro di seguito e perci di porre
indifferentemente come ultima sillaba tanto una lunga che una breve. Essi
infatti nella sequenza metrica saranno avvertiti dal giudizio dell'udito di porre
in ultimo la sillaba che si deve porre in base alla norma logica del metro
stesso. La sequenza regolare si ha appunto quando al piede non manca
qualche cosa, per cui si costretti alla pausa.
D. - Capisco e ti son grato perch mi stai promettendo esempi, in cui l'orecchio
non subisce alcun fastidio.
Quattordici esempi di metri pirrichi e...

3. 4. M. - Ed ora dimmi la tua opinione sui seguenti pirrichi, l'un dopo l'altro:
Quid e/rit ho/mo Qui amat/ homi/nem, Si amet/ in e/o Fragi/le quod/
est? Amet/ igi/tur Ani/mum homi/nis, Et e/rit ho/mo Ali/quid a/mans. Che te
ne sembra?
D. - Debbo ammettere che si svolgono con una perfezione che piace.
M. - E questi?
Bonus/ erit/ amor, Ani/ma bo/na sit, Amor/ inha/bitat Et a/nima/
domus. Ita/ bene ha/bitat, Ubi/ bona/ domus, Ubi/ mala,/ male. D. - Anche
questi ascolto con diletto nella loro sequenza.
M. - Ed ora ascolta metri con tre piedi e mezzo:
Ani/mus ho/minis/ est Mala/ bona/ve agi/tans. Bona/ volu/it ha/bet, Mala/
volu/it habet. D. - Anche essi, mediante la pausa di un tempo, sono
esteticamente ben fatti.
M. - Seguono quattro pirrichi completi. Ascoltali e giudica:
Ani/mus ho/minis/ agit Ut ha/beat/ ea/ bona, Quibus/inha/bitet/ homo, Nihil/
ibi/ metu/itur. D. - Anche in essi la misura esatta e dilettosa.
M. - Ascolta ora nove sillabe brevi; ascolta e giudica:
Homo/ malus/ amat/ et e/get, Malus/ete/nim ea/ bona a/mat, Nihil/ ubi/
sati/at e/um D. - Declama ora cinque pirrichi.
M. - Levi/cula/ fragi/lia/ bona, Qui amat/ homo/ simi/liter/ habet. D. -
sufficiente e li giudico buoni. Ora aggiungi un semipiede.
M. - S.
Vaga/ levi/a fra/gili/a bo/na, Qui amat/ homo/ simi/lis e/rit e/is. D. - Proprio
bene. Aspetto ora sei pirrichi.
M. - Ascoltali:
Vaga/ levi/cula/ fragi/lia/ bona, Qui ada/mat ho/mo si/milis/erit/ eis. D. -
sufficiente, aggiungi un semipiede.
M. - Flui/da le/vicu/la fra/gili/a bo/na Quae ada/mat a/nima/ simi/lis e/rit
e/is. D. - sufficiente e va bene. Componi ora sette pirrichi.
M. - Levi/cula/ fragi/lia/ graci/lia/ bona, Quae ada/mat a/nimu/la si/milis/ erit/
eis. D. - Sia aggiunto un semipiede. Dona al buon gusto.
Vaga flui/da le/vicu/la fra/gili/a bo/na Quae ada/mat a/nimu/la fit/ ea/ simi/lis
e/is. D. - Penso che restino soltanto gli otto piedi per uscire da questi
particolari. E sebbene l'udito trovi belli per la genuina misura ritmica i metri

che hai declamati, non vorrei tuttavia che ti affanni a cercare tante sillabe
brevi. Se non sbaglio, trovarle riunite in una frase pi difficile che se si
avesse licenza di mescolarvi delle lunghe.
M. - Non sbagli proprio e per provarti la mia gioia perch ci si permette di
proseguire oltre, comporr il restante metro di questa forma con un pensiero
pi felice:
Soli/da bo/na bo/nus am/at et/ea/ qui amat/ habet Ita/que nec/ eget/ amor/
et e/a bo/na De/us est.
D. - Ho in abbondanza i metri composti del pirrichio. Seguono i metri giambici.
Di essi mi son sufficienti due esempi per ciascuno. Mi piacerebbe ascoltarli
senza intermissione.
...giambici...

4. 5. M. - Ti accontenter. Ma quanti sono i metri che abbiamo gi esaminato?


D. - Quattordici.
M. - E quanti pensi che siano i giambici?
D. - Quattordici egualmente.
M. - Ma se volessi sostituire il tribraco al giambo, le varie forme non sarebbero
pi numerose?
D. - chiaro, ma io desidero ascoltare esempi soltanto in giambi, per non
portarla troppo alle lunghe. facile apprendimento che in luogo di ogni sillaba
lunga si possono porre due brevi.
M. - Far ci che vuoi e gradisco che alleggerisci la mia fatica con la docilit
dell'intelligenza. Ma rendi attento l'udito ai metri giambici.
D. - Son pronto, comincia.
M. - Bonus/ vir bea/tus. Malus/ miser sibi est/ malum. Bonus/ bea/tus, Deus/
bonum e/ius. Bonus/ bea/tus est, Deus/ bonum e/ius est. Bonus/vir est/
bea/tus, videt/ Deum/ bea/te. Bonus/ vir et/ sapit/ bonum videns/ Deum/
bea/tus
est. Deum/
vide/re
qui/
cupi/scit, bonus/que
vi/vit,
hic/
vide/bit. Bonum/ vide/re qui/ cupit/ diem, bonus/ sit hic/, vide/bit et/
Deum. Bonum/ vide/re qui/ cupit/ diem il/lum, bonus/ sit hic/, vide/bit et/
Deum il/lic. Bea/tus est/ bonus/, fruens/ enim est/ Deo, malus/ miser/, sed
i/pse poe/na fit/sua. Bea/tus est/ videns/ Deum/, nihil/ cupit/ plus, malus/
bonum/ foris/ requi/rit, hinc/ ege/stas. Bea/tus est/ videns/ Deum/, nihil/ boni
am/plius, malus/ bonum/ foris/ requi/rit, hinc/ eget/ miser. Bea/tus est/
videns/ Deum/, nihil/ boni am/plius/ vult, malus/ foris/ bonum/ requi/rit, hinc/
ege/nus, er/rat. Bea/tus est/ videns/ Deum/, nihil/boni am/plius/ volet,
malus/ foris/ bonum/ requi/rit, hinc/ eget/ miser/ bono.
...trocaici...

5. 6. D. - Segue il trocheo, componi metri trocaici; i precedenti trocaici sono


perfetti.
M. - Lo far, e nello stesso modo che per i giambici.
Opti/mi non e/gent. Veri/tate non e/getur. Veri/tas sat/ est, semper/ haec
ma/net. Veri/tas vo/catur ars De/i su/premi. Veri/tate/ factus/ est mundus/
iste/
quem
vi/des. Veri/tate/
facta/
cuncta quaequel
gigni/er
vi/demus. Veri/tate/
facta/
cuncta/
sunt
omni/umque/
forma/
veri/tas. Veri/tate/
cuncta/facta/
cerno, veri/tas
ma/net,
mo/ventur/
ista. Veri/tate/
facta/
cernis/
omni/a veri/tas
ma/net,
mo/ventur/
omni/a. Veri/tate/ facta/ cernis/ ista/ cuncta, veri/tas ta/men ma/net,
mo/ventur/ ista. Veri/tate/ facta/ cuncta/ cernis/ opti/me, veri/tas ma/net,

mo/ventur/
haec
sed/
ordi/ne. Veri/tate/
facta/
cuncta/
cernis/
ordi/nata, veri/tas ma/net, no/vans mo/vet quod/ inno/vatur. Veri/tate/ facta/
cuncta/ sunt et/ ordi/nata/ sunt, veri/tas no/vat ma/nens, mo/ventur/ ut
no/ventur/ haec. Veri/tate/ facta/ cuncta/ sunt et/ ordi/nata/ cuncta, veri/tas
ma/ nens no/vat, mo/ventur/ ut no/ventur/ ista.
...spondaici...

6. 7. D. - Capisco che viene lo spondeo; il trocheo ha soddisfatto l'udito.


M. - Questi sono i metri dello spondeo:
Magno/rum est liber/tas. Magnum est/ munus liber/tatis. Solus/ liber/ fit qui
erro/rem vi/cit. Solus/ liber/ vivit qui erro/rem iam/ vicit. Solus/ liber/ vere/
fit qui erro/ris vinclum vi/cit. Solus/liberl vere/ vivit qui erro/ris vin/clum iam/
vicit. Solus/ liber/ non fal/so vi/vit qui erro/ris vin/clum iam/ devi/cit. Solus/
liber/ iure ac/ vere/ vivit qui erro/ris vin/clum ma/gnus de/vicit. Solus/ liber/
iure ac/ non fal/so vi/vit qui erro/ris vin/clum fu/nestum/ devi/cit. Solus/ liber/
iure ac/ vere/ magnus/ vivit qui erro/ris vin/clum fu/nestum/ iam
de/vicit. Solus/ liber/ iure ac/ non fal/so ma/gnus vi/vit qui erro/ris vin/clum
fu/nestum/ prudens/ devi/cit. Solus/ liber/ iure ac/ non fal/so se/curus/
vivit qui erro/ris vin/clum fu/nestum/ prudens/ iam de/vicit. Solus/ liber/ iure
ac/ non fal/so se/curus/ iam vi/vit qui erro/ris vin/clum te/trum ac fu/nestum/
prudens/ devi/cit. Solus/ liber/ iure ac/ non fal/so se/curam/ vitam/ vivit qui
erro/ris vin/clum te/trum ac fu/nestum/lprudens/ iam de/vicit.
Ventuno esempi di metri tribraci.

7. 8. D. - Anche sullo spondeo non ho nulla da chiedere. Passiamo al tribraco.


M. - S. Ma poich i quattro piedi precedenti, di cui stato parlato, hanno dato
origine a quattordici metri ciascuno, che nel totale divengono cinquantasei, dal
tribraco ce n' da aspettarsene di pi. Nei precedenti infatti, poich in pausa
soltanto la durata di un semipiede, non si richiede la pausa di pi d'una sillaba.
Nel tribraco invece, quando si richiede la pausa, essa, secondo te, deve durare
soltanto lo spazio di una sola breve, oppure possibile protrarla nella sosta di
due brevi? Non si ha dubbio appunto che di esso si ha una duplice divisione,
cio o comincia da una breve e si termina con due, o viceversa se ha inizio da
due, si termina con una. Sarebbe necessario dunque comporre ventuno metri.
D. - proprio vero. Essi infatti cominciano da quattro brevi cos da avere due
tempi di pausa, poi si hanno cinque brevi, in cui la pausa di un tempo, al
terzo posto sei, in cui non si ha pausa, al quarto sette, in cui di nuovo si deve
la pausa di due tempi, al quinto otto con un tempo di pausa, al sesto nove, in
cui non si ha pausa. E cos aggiungendo via via una sillaba fino ad arrivare a
ventiquattro, che sono otto tribraci, si compongono in tutto ventuno metri.
M. - Con molta celerit hai eseguito il computo. Ma, secondo te, dobbiamo
proprio presentare esempi per ciascuno, oppure quelli presentati per i primi
quattro piedi si devono ritenere sufficienti a lumeggiare anche gli altri?
D. - A mio giudizio bastano.
M. - E io non chiedo altro che il tuo giudizio. Ma tu sai bene che, cambiando la
cadenza, nei metri pirrichi si possono scandire dei tribraci. Vorrei sapere
dunque se il primo metro del pirrichio pu contenere anche un metro del
tribraco.
D. - No, perch il metro deve essere maggiore di un piede.
M. - E il secondo?
D. - S, perch quattro brevi formano due pirrichi, cio un tribraco e un

semipiede, quindi non si ha pausa nel pirrichio e due tempi di pausa nel
tribraco.
M. - Cambiando dunque la cadenza hai nei pirrichi anche esempi di metri
tribraci fino a sedici sillabe, cio a cinque tribraci e un semipiede. Devi
contentarti. Gli altri li puoi svolgere da solo o con la voce o con la percussione,
se ritieni ancora di dover esaminare simili metri con l'udito.
D. - Far ci che riterr opportuno. Esaminiamo i rimanenti.
Dopo il dattilo la pausa di due tempi.

8. 9. M. - Segue il dattilo che pu essere diviso in un solo modo. O non sei


d'accordo?
D. - S, certamente.
M. - Quanta sua parte dunque pu essere in pausa?
D. - Mezza, naturalmente.
M. - E se ponendo un trocheo dopo il dattilo, si vuole fare la pausa di un tempo
che si richiede come sillaba breve per avere un dattilo completo, che cosa
potremo obiettare? Infatti non possiamo dire che la pausa non deve essere
inferiore a un semipiede. La dimostrazione esposta dianzi al contrario ci aveva
convinto che si deve evitare la pausa non inferiore ma superiore ad un
semipiede. Infatti si ha una pausa inferiore a un semipiede nel coriambo, se
dopo il coriambo stesso posto un bacchio, come in questo esempio:
Fonticolae/puellae. Puoi renderti conto che facciamo la pausa della durata di
una sillaba breve, quanto si richiede per completare i sei tempi.
D. - vero.
M. - Se dunque si pone il trocheo dopo il dattilo, sar lecito anche fare la pausa
di un solo tempo?
D. - Son costretto a dir di s.
M. - Nessuno ti costringerebbe, se tu ricordassi quanto stato detto. Ci ti
accade perch hai dimenticato quanto stato esposto sulla indeterminatezza
dell'ultima sillaba e sul motivo per cui l'udito richiede che la sillaba finale sia
lunga, se rimane lo spazio in cui divenir lunga, anche se breve.
D. - Capisco. Dunque se l'udito percepisce come lunga l'ultima sillaba breve,
qualora si abbia la pausa, come abbiamo appreso dalle precedenti
dimostrazioni e dagli esempi, non ha importanza alcuna se dopo il dattilo si
pone un trocheo o uno spondeo. Pertanto quando il ritorno a capo deve essere
marcato dalla pausa, bisogna porre dopo il dattilo una sillaba lunga per avere
la pausa di due tempi.
M. - E se dopo il dattilo si pone il pirrichio, pensi che fatto bene?
D. - No, perch non fa differenza se un pirrichio o un giambo. E bisognerebbe
proprio considerarlo un giambo a causa dell'ultima che l'udito richiede lunga,
giacch si ha la pausa. E chi non capirebbe che il giambo non deve essere
posto dopo il dattilo a causa della diversit del levare e del battere che non
possono, n l'uno n l'altro, avere nel dattilo tre tempi?
Il bacchio e gli altri sesquati meno adatti alla poesia.

9. 10. M. - Segui con molta intelligenza. Ma che ne pensi dell'anapesto? il


medesimo discorso?
D. - S, certamente.
M. - Ma passiamo orinai al bacchio, se vuoi. Dimmi qual il suo primo metro.
D. - Di quattro sillabe, penso, e cio una breve e tre lunghe, di cui due
appartengono al bacchio e l'ultima all'inizio del piede che pu essere unito al

bacchio, sicch ci che manca sia in pausa. Vorrei tuttavia esaminarlo con
l'udito mediante un esempio.
M. - facile presentare degli esempi; non penso per che ne sarai dilettato
come dai precedenti. I piedi di cinque tempi, come quelli di sette, non hanno la
sequenza ritmica di quelli che si dividono in parti eguali o nel rapporto di uno a
due o di due a uno. grande appunto la differenza tra i movimenti sesquati e i
movimenti eguali o moltiplicati, di cui abbiamo abbastanza discorso nel primo
libro. Pertanto come i poeti considerano questi piedi di cinque e sette tempi
con grande disprezzo, cos ben volentieri li usa la prosa. Lo potrai rilevare pi
facilmente negli esempi che hai richiesto. Eccone uno: Laborat/ magister/
docens tar/dos. Ripetilo interponendo una pausa di tre tempi. Per fartela
percepire meglio, ho posto dopo i tre piedi una lunga che l'inizio di un
cretico, il quale pu essere congiunto al bacchio. Non ho dato un esempio per il
primo metro che di quattro sillabe, ritenendo che un solo piede non fosse
sufficiente per avvertire il tuo udito della durata che la pausa deve avere dopo
di esso ed una lunga. Ora li compongo e li ripeter in modo che nella pausa tu
possa percepire tre tempi: Labor nul/lus, // Amor ma/gnus.
D. - chiaro che questi piedi sono pi adatti per la prosa ed inutile elencare
gli altri con esempi.
M. - Dici bene. Ma, a tuo avviso, quando si deve osservare la pausa, si pu
mettere soltanto una lunga dopo il bacchio?
D. - No, certamente, ma anche una breve e una lunga, che costituiscono il
primo semipiede di un bacchio. Ci stato permesso cominciare con un cretico
perch pu essere congiunto con un bacchio, a pi forte ragione dunque ti sar
permesso di farlo col bacchio, soprattutto perch non abbiamo posto tutta la
seconda parte del cretico, che eguale in tempi alla prima parte del bacchio.
Metri pausa ed uguaglianza dei tempi.

10. 11. M. - Ed ora, se sei d'accordo, mentre io ascolter per giudicare, tu da


te passa in rassegna gli altri ed esponi per tutti i rimanenti piedi che cosa si
pone dopo un piede completo, quando la parte mancante di un altro si
completa con la pausa.
D. - La esposizione che chiedi, secondo me, assai breve e facile. Intanto ci
che stato detto del bacchio pu dirsi anche del peone II. Dopo un cretico pu
esser posta una sillaba lunga, un giambo o uno spondeo, si avr cos una
pausa di tre tempi, di due e di un tempo. Ci che si detto del cretico vale
anche per il peone I e IV [a causa delle due divisioni]. Dopo il palimbacchio
pu esser posta una lunga o uno spondeo, pertanto anche in questo metro si
avr la pausa di tre e un tempo. il medesimo caso del peone III. Certo in
ogni caso, in cui si pone lo spondeo, di norma pu esser posto anche
l'anapesto. Dopo il molosso, in attinenza alla sua divisione, si pone o una lunga
con pausa di quattro tempi, o due lunghe con pausa di due tempi. Ma dall'udito
e dal ragionamento stato verificato che si possono porre in sequenza con il
molosso tutti i piedi di sei tempi. Di seguito ad esso dunque vi posto per un
giambo, e si avranno tre tempi di pausa, o per un cretico, e si avr pausa di un
tempo, e alla stessa condizione per il bacchio. Ma se si scomporr in due brevi
la prima lunga del cretico e la seconda del bacchio, si potr porre anche il
peone IV. Quanto ho detto per il molosso vale anche per gli altri piedi di sei
tempi. Il proceleusmatico, secondo me, deve essere rapportato agli altri piedi
di quattro tempi, salvo quando dopo di esso si pongono tre brevi. Ed lo

stesso che porre un anapesto a causa dell'ultima sillaba che con la pausa di
solito si considera lunga. All'epitrito I normalmente son posti di seguito il
giambo, il bacchio, il cretico e il peone IV. Ci valga anche per l'epitrito II e la
pausa sar di quattro e due tempi. Lo spondeo e il molosso possono
normalmente seguire gli altri due epitriti, a condizione che sia lecito scomporre
in due brevi la prima dello spondeo e la prima o la seconda del molosso. In
questi metri si avr dunque la pausa di tre o un tempo. Resta il dispondeo. Se
dopo di esso si porr uno spondeo, si deve stare in pausa quattro tempi, se un
molosso, due, con la possibilit di scomporre in due brevi una lunga,
eccettuata l'ultima, tanto nello spondeo che nel molosso. Ecco quanto tu hai
voluto che io passassi in rassegna. Trovi delle mende?
Metri con piedi di sei tempi...

11. 12. M. - Non io, ma tu, se porgi attento l'orecchio a giudicare. Ti chiedo
appunto, mentre io pronuncio con la percussione questi tre metri: Verus
opti/mus,/ Verus opti/morum,/ e Veritatis/inops, se il tuo udito percepisce
quest'ultimo con la medesima ritmicit degli altri due. Li potrai giudicare
facilmente ripetendoli e usando le percussioni con le dovute pause.
D. - Percepisce ritmici i primi due, aritmico l'ultimo, chiaro.
M. - Dunque di norma non si pone il giambo dopo il dicoreo.
D. - No.
M. - Si deve ammettere al contrario che pu regolarmente esser posto dopo
tutti gli altri piedi, se i seguenti metri si ripetono con la norma delle dovute
pause:
Fallacem/ cave Male castum/ cave. Multiloquum/ cave. Fallaciam/ cave. Et
invidum/ cave. Et infirmum/ cave. D. - Intendo ci che dici e son d'accordo.
M. - Esaminiamo anche se ti infastidisce il metro seguente, poich con
l'interposizione della pausa di due tempi, nel ritorno a capo si svolge con
cadenza aritmica. Pu esso esser ritmico come i seguenti?
Veraces/
regnant. Sapientes/
regnant. Veriloqui/
regnant. Prudentia/
regnat. Boni in bonis/ regnant. Pura cuncta/ regnant..
D. - No, questi si svolgono con cadenza ritmica regolare, l'altro aritmico.
M. - Terremo presente dunque che nei metri di sei tempi il dicoreo si chiude
irregolarmente con il giambo e l'antispasto con lo spondeo.
D. - S, certamente.
...e con piedi di tre tempi in fine.

11. 13. M. - Ti accorgerai senz'altro della ragione, se terrai presente che il


piede diviso in due parti dall'arsi e dalla tesi, sicch, se si ha qualche sillaba
di mezzo, una o due, viene attribuita o alla prima o alla seconda parte, oppure
si divide nell'una e nell'altra.
D. - Lo so ed vero, ma a che proposito?
M. - Fai attenzione a ci che ti dico e allora comprenderai pi facilmente ci
che chiedi. Ti chiaro, penso, che alcuni piedi sono senza sillabe di mezzo,
come il pirrichio e i rimanenti di due sillabe, ed altri in cui il medio eguale per
durata o alla prima parte o all'ultima o a entrambe o a nessuna delle due, alla
prima come nell'anapesto, nel palimbacchio, nel peone I, all'ultima come nel
dattilo, nel bacchio, nel peone IV, ad entrambe come nel tribraco, nel molosso,
nel coriambo e nei due ionici, a nessuna delle due come nel cretico, nel peone
II e III, nel digiambo, nel dicoreo e nell'antispasto. Infatti nei piedi che
possono essere divisi in tre parti eguali, la parte media eguale alla prima e

all'ultima, in quelli invece che non possono essere divisi cos, la parte media
eguale soltanto o alla prima parte o all'ultima o a nessuna delle due.
D. - So anche questo, ma vorrei sapere cosa sta ad indicare.
M. - Ma a farti capire che il giambo posto irregolarmente con la pausa dopo il
dicoreo, perch esso costituisce la parte mediana del dicoreo stesso, ma non
eguale n alla prima n all'ultima e pertanto discorda nell'arsi e nella tesi. Ci
s'intende anche per lo spondeo che egualmente non vuole esser posto con la
pausa dopo l'antispasto. Hai da esporre qualche difficolt contro queste
nozioni?
D. - No, nessuna. Tuttavia il fastidio che si verifica nell'udito, quando i piedi
suddetti sono posti con quella disposizione, si verifica nel confronto con quella
euritmia che diletta l'udito, quando i medesimi piedi sono posti con la pausa
dopo gli altri piedi di sei tempi. Infatti se tu mi chiedessi, dopo aver presentato
degli esempi, come suonano, per tacere di altri, il giambo dopo il dicoreo e lo
spondeo dopo l'antispasto con relativa pausa, ti dico lealmente che forse li
approverei e loderei.
M. - Non ti contraddico. A me basta che tale disposizione, nel confronto con tali
ritmi, ma pi euritmici, come tu dici, ti d fastidio. Ed essa tanto pi da
riprovarsi perch non avrebbe dovuto essere in aritmia con quei piedi che,
essendo della medesima forma, si svolgono, come dobbiamo ammettere, tanto
ritmicamente se chiusi da quei semipiedi. E non ti pare che, in base alla
medesima regola, neanche dopo l'epitrito II pu esser posto un giambo con la
pausa? Infatti anche di questo piede il giambo costituisce la parte mediana, ma
in modo che non si eguaglia n ai tempi della prima n a quelli della seconda.
D. - Questa dimostrazione mi convince.
I piedi da due a cinque tempi danno 250 metri regolari...

12. 14. M. Ed ora, se vuoi, dimmi il numero di tutti i metri che abbiamo
trattato finora, cio di quelli che cominciano con i relativi piedi completi e sono
chiusi invece, alcuni con i relativi piedi completi e quindi senza interposizione
della pausa, mentre si torna a capo, ed altri che sono chiusi con piedi
incompleti e quindi con la pausa. Ovviamente, come la dimostrazione ha
accertato, gli incompleti devono essere in euritmia con i completi. La
numerazione inizia da due piedi incompleti fino a otto completi, senza che
siano oltrepassati i trentadue tempi.
D. - faticoso ci che mi imponi, ma ne vale la pena. Ma ricordo che poco fa
eravamo gi arrivati a settantasette metri dal pirrichio al tribraco. Infatti i piedi
di due sillabe ne formano quattordici ciascuno, che nel totale sono
cinquantasei, e il tribraco, a causa della duplice divisione, ne forma ventuno. A
questi settantasette dunque si aggiungono quattordici metri dattilici e anapesti.
Infatti se i piedi si pongono completi e senza pausa, giacch il metro comincia
da due e arriva fino a otto piedi, essi formano sette metri ciascuno. Se poi si
aggiungono un semipiede e la pausa, giacch il metro comincia da un piede e
mezzo e arriva fino a sette e mezzo, se ne hanno altri sette ciascuno. E sono
gi in tutti centocinque metri. Il bacchio non pu estendere il proprio metro
fino agli otto piedi per non oltrepassare i trentadue tempi, e cos ogni altro
piede di cinque tempi, ma possono arrivare fino a sei piedi. Il bacchio dunque e
il peone II, che gli eguale per tempi e divisione, partendo dai due fino ai sei
piedi, se completi e disposti senza pausa, formano cinque metri ciascuno;
invece con la pausa, cominciando da uno fino a cinque semipiedi, formano altri

cinque piedi ciascuno se dopo viene posta una lunga ed ugualmente cinque
ciascuno se dopo si pongono una breve e una lunga. Formano dunque quindici
metri ciascuno che addizionati divengono trenta. In tutti dunque sono gi cento
trentacinque metri. Il cretico e i peoni I e IV, che sono divisi egualmente,
essendo ammesso porre dopo di essi una lunga, un giambo, uno spondeo e un
anapesto, giungono a formare settantacinque metri. Infatti, giacch sono in
tre, formano senza pausa cinque metri ciascuno e con la pausa ne formano
venti ciascuno che nel totale divengono, come ho detto, settantacinque.
Aggiungendoli alla somma precedente si arriva a duecentodieci. Il palimbacchio
e il peone III, che gli simile nella divisione, se completi senza pausa, danno
cinque metri ciascuno, e con la pausa cinque ciascuno con una lunga, cinque
ciascuno con uno spondeo, cinque ciascuno con un anapesto. Essi si
aggiungono al totale maggiore e si avranno in tutto duecento cinquanta metri.
...e da sei a otto tempi altri 321, in tutto 571 meno tre.

12. 15. Il molosso e gli altri piedi di sei tempi, in tutti sette, se completi,
formano quattro metri ciascuno; con la pausa invece, giacch si pu porre
dopo ciascuno di essi una lunga, un giambo, uno spondeo, un anapesto, un
bacchio, un eretico e il peone IV, formano ventotto metri ciascuno, in tutti
cento novantasei che, addizionati con i precedenti quattro per ciascuno, danno
la somma di duecento ventiquattro. Bisogna per sottrarne otto poich il
giambo posto irregolarmente dopo il dicoreo e lo spondeo dopo l'antispasto.
Rimangono duecento sedici metri che aggiunti all'altra somma fanno in tutti
quattrocento sessantasei metri. Non si potuto rilevare la regola del
proceleusmatico con i piedi con cui in euritmia a causa dei numerosi
semipiedi che dopo di esso si possono porre. Si possono aggiungere infatti una
lunga con pausa come dopo il dattilo e gli altri di egual durata, di modo che si
hanno due tempi di pausa, oppure tre brevi con un tempo di pausa, la quale fa
s che l'ultima breve sia considerata lunga. Gli epitriti, se completi, formano tre
metri ciascuno, giacch il metro inizia da due piedi e arriva fino a quattro. Si
supererebbero appunto i trentadue tempi, ed inammissibile, se si
aggiungesse un quinto piede, Con la pausa, gli epitriti I e II formano tre piedi
ciascuno, se seguiti dal giambo, tre ciascuno se dal bacchio, tre ciascuno se dal
eretico e tre ciascuno se dal peone IV. E fanno trenta con i tre per ciascuno
senza pausa. Gli epitriti III e IV ne formano tre ciascuno prima della pausa, tre
ciascuno con lo spondeo, tre ciascuno con l'anapesto, tre ciascuno col molosso,
tre ciascuno con lo ionico minore, tre ciascuno con il coriambo. E sono,
compresi quelli senza pausa, trentasei. Gli epitriti formano dunque in totale
sessantasei metri che con ventuno proceleusmatici, addizionati alla somma
precedente, fanno cinquecento cinquantatr metri. Resta il dispondeo che, se
completo, produce anche esso tre metri, e aggiunta la pausa ne forma tre con
lo spondeo e altrettanti con l'anapesto, il molosso, lo ionico minore e il
coriambo. Ed essi, addizionati ai tre che si formano se completi, fanno diciotto
metri. Sono dunque in tutti cinquecento settantuno metri.
Regole della pausa e cesura (13, 16 - 15, 29)
I semipiedi possono trovarsi all'inizio del metro...

13. 16. M. - Sarebbero tutti questi, se non si dovesse sottrarne tre giacch si
detto gi che il giambo non pu esser posto dopo l'epitrito II. Comunque la tua
esposizione buona. Ed ora dimmi come suona al tuo udito questo metro:
Triplici vides ut ortu Triviae rotetur ignis 1

D. - Molto ritmicamente.
M. - Puoi anche dirmi di quali piedi composto?
D. - No, e non trovo, mentre li scandisco, come sono in rapporto fra di loro. Se
pongo all'inizio un pirrichio o un anapesto o un peone III, quelli che seguono
non s'accordano ad essi. Posso ravvisare dopo il peone III un cretico e la
sillaba finale lunga che il cretico non rifiuta, se posta dopo. Questo metro
per non pu essere formato regolarmente da questi piedi, se non viene
interposta la pausa di tre tempi, ma qui non si ha pausa perch il metro
soddisfa l'udito col ritorno a capo.
M. - Esamina dunque se deve cominciare da un pirrichio, poi si scandisce un
dicoreo e poi uno spondeo, che completa i sei tempi, di cui due sono all'inizio.
Si pu avere all'inizio anche un anapesto, poi essere scandito un digiambo in
modo che la finale lunga con i quattro tempi dell'anapesto completi i sei tempi
corrispondenti al digiambo. Da ci puoi comprendere che sezioni di piedi
possono esser posti non solo alla fine, ma anche all'inizio dei metri.
D. - Adesso capisco.
...e il piede compiuto alla fine.

13. 17. M. - E se io tolgo una sola sillaba lunga finale, cos da avere questo
metro: Segetes meus labor, non avverti che si ha il ritorno a capo con la pausa
di due tempi? Da ci chiaro che si pu porre una parte del piede all'inizio del
metro, un'altra alla fine ed un'altra in pausa.
D. - S, anche questo chiaro.
M. - Ed ci che accade se in questo metro si scandisce un dicoreo completo.
Se invece un digiambo e si pone all'inizio un anapesto, si pu osservare che la
parte del piede posta in principio ha gi quattro tempi e gli altri due richiesti
sono in pausa alla fine. Da questa constatazione apprendiamo che il metro pu
iniziare con una sezione del piede e finire con un piede completo, ma non
senza pausa.
D. - Anche questo evidente.
Si d anche la pausa non finale o cesura.

13. 18. M. - E puoi scandire il metro seguente e dire di quali piedi formato?
Iam satis/ terris nivis/ atque dirae Grandinis misit Pater et rubente Dextera
sacras iaculatus arces 2.
D. - Posso porre all'inizio un cretico e poi scandire altri due piedi di sei tempi,
uno ionico maggiore e un dicoreo e fare la pausa di un tempo che si aggiunge
al cretico per completare i sei tempi.
M. - Al tuo esame mancato qualche cosa. Il dicoreo alla fine e, data la
pausa, la sua ultima sillaba che breve passa per lunga. Dici di no?
D. - Anzi dico di s.
M. - Non bisogna dunque porre in fine un dicoreo, salvo che non vi sia la pausa
nel ritorno a capo, altrimenti l'udito non percepirebbe un dicoreo, ma un
epitrito II.
D. - chiaro.
M. - Come lo scandiremo dunque questo metro?
D. - Non lo so.
14. 18. M. - Poni attenzione dunque se il metro suona bene quando, nel
pronunciarlo, dopo le prime tre sillabe faccio la pausa di un tempo. Cos alla
fine non sar richiesto alcun tempo di modo che vi pu esser regolarmente un
dicoreo.

D. - Suona con molta euritmia.


Cesura mediana e finale.

14. 19. M. - Aggiungiamo anche questa regola all'arte poetica, e cio che,
quando si richiede, si osservi la pausa non soltanto alla fine, ma anche prima
della fine. E si richiede quando, a causa dell'ultima breve, irregolare alla fine
la pausa in sostituzione dei tempi dei piedi, come nel caso citato, oppure
quando si pongono due piedi incompleti, uno all'inizio, l'altra alla fine, come in
questo metro:
Gentiles nostros// inter oberrat equos 3//.
Hai percepito, penso, che ho osservato la pausa di due tempi dopo le cinque
sillabe lunghe e che si deve fare una pausa della medesima durata alla fine,
mentre si torna a capo. Se infatti si scandisce questo metro con la regola dei
sei tempi, si ha per primo uno spondeo, secondo un molosso, terzo un
coriambo e infine un anapesto. Allo spondeo dunque e all'anapesto mancano
due tempi per completare un piede di sei tempi. Pertanto si fa una pausa di
due tempi dopo il molosso prima della fine e di due dopo l'anapesto alla fine.
Se invece si scandisce con la regola dei quattro tempi, vi sar una lunga
all'inizio, poi si scandiscono due spondei e due dattili e infine chiuder una
lunga. Si fa dunque una pausa di due tempi dopo entrambi gli spondei prima
della fine e di due alla fine, in maniera da completare i due piedi, le cui mezze
parti sono state poste una al principio e una alla fine.
Metri senza cesura nei quali...

14. 20. Talora tuttavia l'intervallo che si deve ai due piedi incompleti posti in
principio e in fine dato soltanto dalla pausa finale, se essa tale che non
ecceda un semipiede, come in questi due versi:
Silvae la/borantes/ geluque Flumina/ constiterint/ acuto 4.
Il primo metro infatti comincia da un palimbacchio, continua con un molosso e
termina con un bacchio. Si hanno quindi due tempi di pausa. E se ne viene
attribuito uno al bacchio, l'altro al palimbacchio, si avranno tre piedi di sei
tempi ciascuno. Il secondo metro comincia al contrario con un dattilo, continua
in un coriambo e si chiude con un bacchio. Si dovr dunque osservare una
pausa di tre tempi. Di essi uno sar dato al bacchio, due al dattilo; cos in tutti
i piedi si avranno i sei tempi.
...la pausa va a completare il piede finale.

14. 21. Prima dunque si accorda il tempo che si richiede a completare il piede
finale, poi a quello posto all'inizio. L'udito non permette proprio che avvenga
diversamente. E non c' da meravigliarsene, giacch nel ritornare a capo si
riporta all'inizio ci che alla fine. Ora nel metro gi citato: Flumina/
constiterint/ acuto, mancano tre tempi per completare i sei di ciascun metro e
se non si vogliono dare con la pausa ma col suono, possono essere impiegati
con un giambo, un trocheo e un tribraco, giacch tutti hanno tre tempi.
Tuttavia l'udito stesso non tollera proprio che essi siano dati mediante il
trocheo perch in esso la prima lunga e l'altra breve. Bisogna al contrario
che prima si percepisca ci che richiesto dal bacchio finale, cio una sillaba
breve e non una lunga che richiesta dal dattilo iniziale. Il fatto si pu
verificare con questi esempi:
Flumina/
constiterint/
acuto/
gelu. Flumina/
constiterint/
acute/
gelida. Flumina/ constiterint/ in alta/ nocte. Nessun dubbio che i primi due si
svolgono ritmicamente e il terzo no.

La pausa di due tempi va distribuita fra i piedi incompiuti...

14. 22. Ed ugualmente quando piedi incompleti richiedono un tempo ciascuno,


se si vuol rendere con il suono, l'udito non tollera e due tempi siano ridotti a
una sola sillaba. Ed giustizia degna di ammirazione. Non conviene infatti che
ci che deve esser dato separatamente, non sia posto anche separatamente.
Pertanto nel metro: Silvae la/borantes/ geluque, se aggiungi alla fine una
lunga in luogo della pausa, come in Silvae la/borantes/ gelu du/ro, l'udito non
lo ammette, come al contrario ammette se si dice: Silvae la/borantes/ gelu et
fri/gore. Lo percepirai con piena soddisfazione se li ripeterai uno per volta.
...e di essi il pi piccolo va all'inizio.

14. 23. Cos, quando si pongono due piedi incompleti, quello dell'inizio non
deve essere pi grande di quello della fine. L'orecchio lo rifiuta, come nel
metro: Optimum/ tempus adest/ tandem, in cui il primo piede un cretico, il
secondo un coriambo, il terzo uno spondeo. Si hanno dunque tre tempi di
pausa, di cui due vanno allo spondeo posto in fine perch si abbiano i sei
tempi, ed uno va al cretico posto all'inizio. Se invece si dice: Tandem/ tempus
adest/ optimum, introducendo la medesima pausa di tre tempi, ognuno pu
percepire che il metro torna a capo ritmicamente. Conviene pertanto che il
piede incompleto alla fine abbia la medesima lunghezza di quello dell'inizio,
come in questo: Silvae la/borantes/ geluque, oppure che il pi corto sia in
principio e il pi lungo alla fine, come in Flumina/ constiterint/ acuto. E non a
torto, perch da un lato se si ha l'uguaglianza non v' disaccordo, e dall'altro
se il numero diverso, ma si va dal pi piccolo al pi grande, come si fa nella
serie dei numeri, l'ordine stesso ristabilisce l'accordo.
Pausa mediana e finale.

14. 24. E si ha un altra conseguenza. Quando si impiegano i piedi catalettici, di


cui stiamo trattando, se si fa pausa in due punti, cio prima della fine e alla
fine, la pausa prima della fine duri il tempo che dovuto a completare l'ultimo
piede e la pausa alla fine duri il tempo che si deve a completare il primo piede,
giacch il mezzo tende alla fine e dalla fine si deve tornare al principio. E se a
completare l'uno e l'altro piede dovuto un tempo eguale, non v' dubbio che
si deve osservare una pausa eguale prima della fine e alla fine. E la pausa deve
cadere dove termina un comma. Nei ritmi che si fanno senza parole, con degli
strumenti a percussione o a fiato, oppure con suoni inarticolati, non fa
differenza dopo quale suono o battuta di tempo si fa la pausa. Basta che si
interponga la pausa regolare in base alle norme citate. Perci il metro pi corto
pu essere di due piedi catalettici purch la loro durata complessiva non sia
inferiore ad un piede e mezzo. Abbiamo appunto detto dianzi che si possono
disporre due piedi incompiuti, se ci che si deve a completare entrambi non
superi in durata mezzo piede. Ecco un esempio: Montes/ acuti. In esso si
osserva una pausa di tre tempi alla fine, oppure di un tempo dopo lo spondeo
e di due alla fine. Altrimenti questo metro non si potrebbe scandire come si
deve.
Non si d pausa mediana dopo sillaba breve.

15. 25. Si aggiunga anche alla nostra conoscenza che, quando si fa pausa
prima della fine, non si deve avere in quel punto una parola che termina con
sillaba breve. Altrimenti, secondo la regola spesso ricordata, l'udito, data la
pausa che seguirebbe, la percepirebbe come lunga. Pertanto in questo metro:
Montibus/ acutis, non si pu fare la pausa di un tempo dopo il dattilo, come si

poteva nel metro precedente dopo lo spondeo. In effetti non si percepirebbe un


dattilo, ma un cretico e conseguentemente non sarebbero pi due piedi
incompiuti, come stiamo osservando, ma sembrerebbe un metro formato da un
dicoreo completo e da uno spondeo finale, con una pausa di due tempi da porsi
in fine.
Mobilit della pausa cesura...

15. 26. Si deve notare anche che se si pone un piede catalettico in principio, o
si restituisce in quel punto stesso mediante la pausa ci che dovuto a
completarlo, come in Iam satis// terris nivis atque dirae, oppure alla fine, come
in Segetes/ meus labor//. Invece a un piede catalettico posto alla fine o si
restituisce con la pausa in fine ci che dovuto a completarlo, come in Ite
igitur/ Camoenae//, ovvero in uno dei punti mediani, come in questo: Ver
blandum// viget arvis//, adest hospes hirundo 5//. Infatti il tempo dovuto a
completare il bacchio finale, si pu trascorrere in pausa o alla fine del ritmo, o
dopo il primo piede che un molosso, o dopo il secondo che uno ionico
minore. E ci che si deve a completare piedi incompiuti posti in mezzo deve
essere restituito in quello stesso punto, come in Tuba terribilem sonitum//
dedit aere curvo 6//. Se infatti si scandisce questo metro in modo da
considerare il primo piede un anapesto, il secondo uno dei due ionici con
cinque sillabe, dopo aver scomposto, s'intende, la lunga del principio o della
fine in due brevi, il terzo un coriambo e l'ultimo un bacchio, tre saranno i tempi
da restituire, uno in fine al bacchio, due in principio all'anapesto, in modo che
si abbiano sei tempi ciascuno. Ma l'intera durata dei tre tempi pu essere posta
in pausa alla fine. Se invece si comincia da un piede intero, scandendo cinque
sillabe per uno dei due ionici, di seguito si ha un coriambo e poi non si trover
altro piede compiuto. Perci si dovr osservare la pausa per la durata di una
lunga e, inseritala nel ritmo, si avr un altro coriambo. A chiudere resta un
bacchio, il cui tempo mancante si restituisce con la pausa in fine.
...secondo i vari modi di scandire.

15. 27. Dall'esposto risulta evidente, secondo me, che, quando si fa la pausa
in punti mediani, si restituiscono tempi richiesti alla fine o tempi richiesti dove
si fa la pausa. Ma talora non normativo fare la pausa in mezzo al metro,
quando il metro pu essere scandito in varie maniere; come nell'esempio
citato. Qualche altra volta invece normativo, come in questo: Vernat
temperies, aurae//, tepent//, sunt deliciae//. Intanto chiaro che questo ritmo
pu scorrere con piedi di sei e quattro tempi. Se di quattro tempi, si deve far
pausa di un tempo dopo l'ottava sillaba e di due alla fine. Si pu scandire per
primo uno spondeo, secondo un dattilo, terzo uno spondeo, quarto un dattilo
se si inserisce nel ritmo una pausa dopo la lunga poich non possibile dopo la
breve, quinto uno spondeo, sesto un dattilo, l'ultima lunga con cui si chiude il
ritmo e che si completa con due tempi di pausa alla fine. Se invece si
scandiscono piedi di sei tempi, si avr per primo un molosso, secondo uno
ionico minore, terzo un cretico che diviene un dicoreo per l'aggiunta della
pausa di un tempo, quarto uno ionico maggiore, l'ultima lunga, dopo la quale si
ha una pausa di quattro tempi. Si potrebbe scandire anche in altro modo. Si
pone all'inizio una lunga, alla quale fanno seguito uno ionico maggiore, un
molosso e un bacchio che diviene un antispasto; per l'aggiunta della pausa di
un tempo, in ultimo un coriambo chiude il metro, sicch la pausa di quattro
tempi alla fine va a completare la lunga sola posta all'inizio. Ma l'udito rifiuta

questo sistema di scandire, giacch una parte di piede posta in principio, a


meno che non superi il semipiede, non si completa regolarmente dopo un
piede completo con la pausa finale nel punto dovuto. Noi sappiamo
certamente, grazie agli altri piedi, il tempo che le dovuto, ma non percepita
dal senso una pausa di determinata durata, se non minore il tempo che si
trascorre in pausa di quello che occupato dal suono. Quando la voce infatti
ha enunciato la parte pi lunga d'un piede, la pi corta che rimane si rileva
facilmente dovunque.
Pause normative e facoltative.

15. 28. Pertanto v' una scansione normativa, che abbiamo esposto, del metro
presentato con l'esempio: Vernat temperies//, aurae// tepent//, sunt
deliciae//; e si ha quando si fa pausa di un tempo dopo la decima sillaba e di
quattro in fine. Ma ve n' un'altra facoltativa, se si vuole osservare una pausa
di due tempi dopo la sesta sillaba, di uno dopo l'undicesima e di due alla fine.
Si avrebbe cos all'inizio uno spondeo, cui fa seguito un coriambo, al terzo che
uno spondeo deve essere aggiunta la pausa di due tempi, sicch diventa un
molosso o uno ionico minore, al quarto posto c' un bacchio che con l'aggiunta
della pausa di un tempo diviene un antispasto, con il coriambo al quinto posto
si chiude il ritmo come suono, ma con due tempi in fine restituiti mediante la
pausa allo spondeo collocato all'inizio. E vi un'altra scansione. Se si vuole, si
osserver una pausa di un tempo dopo la sesta sillaba, di uno dopo la decima
e l'undicesima e di due alla fine. Si ha cos per primo uno spondeo, secondo un
coriambo, terzo un palimbacchio che diviene antispasto inserendo nel ritmo la
pausa di un tempo, quarto uno spondeo che diviene dicoreo con
l'interposizione della pausa di un tempo, cui fa seguito un'altra pausa di un
tempo, e ultimo il coriambo chiude il ritmo, di modo che si ha la pausa di due
tempi dovuti allo spondeo iniziale. Esiste una terza scansione, se si osserva la
pausa di un tempo dopo il primo spondeo e si mantiene il resto come nel
sistema precedente. Alla fine per si avr la pausa di un solo tempo, poich lo
spondeo, posto all'inizio, con la pausa di un tempo che lo segue divenuto un
palimbacchio, di modo che la pausa finale che serve a completarlo di un solo
tempo. Da ci comprendi ormai che nei metri sono interposte delle pause, di
cui alcune normative, altre facoltative. Sono normative quando richiesto
qualche cosa per completare il piede, facoltative quando i piedi sono
regolarmente compiuti.
Variet delle pause facoltative.

15. 29. Quanto si detto dianzi, che cio non si deve pausa superiore ai
quattro tempi, stato detto delle pause normative, poste nei punti in cui si
devono completare i tempi richiesti. Al contrario in quelle che abbiamo definito
pause facoltative anche permesso enunciare un piede e percorrerne in pausa
un altro. E se si far con intervalli eguali, non si avr pi un metro, ma un
ritmo, poich non appare un limite determinato, da cui ricominciare. Pertanto
se, ad esempio, si vuole mediante pause ottenere una certa variet fino a fare
in pausa dopo il primo piede i tempi del secondo, non si pu tuttavia
continuare cos all'infinito. Ma permesso con qualsiasi variazione, inserendo
nel ritmo le pause, estendere il metro al numero stabilito di tempi, come in
questo: Nobis// verum in/ promptu est//, tu si/ verum/ dicis. Si ha facolt di
fare in esso, dopo il primo spondeo, una pausa di quattro tempi e di altri
quattro dopo i due seguenti, ma non si avr la pausa dopo i tre spondei finali

perch sono compiuti i trentadue tempi. Per molto pi conveniente e in


certo senso anche pi giusto far pausa soltanto alla fine, oppure nel mezzo e
alla fine. E questo si pu ottenere sopprimendo un piede, cos da avere:
Nobis// verum in/ promptu est//, tu dic/ verum//. Dunque anche nei metri
degli altri piedi si deve osservare la seguente regola. Con le pause normative
tanto alla fine che nel mezzo, si attribuiscono i tempi richiesti a completare i
piedi, ma non si deve fare una pausa superiore alla parte del piede occupata
dall'arsi e dalla tesi. Con le pause facoltative al contrario concesso passare in
pausa parti di piedi o piedi compiuti, come abbiamo dimostrato con gli esempi
presentati dianzi. Ma a questo punto si chiuda l'argomento della interposizione
delle pause.
Metri misti (16, 30 - 34)
Tradizione e teoria nell'arte poetica.

16. 30. Ora esponiamo qualche nozione sulla mescolanza dei piedi e sulla
strofa metrica. Sono stati gi esposti molti concetti quando abbiamo esaminato
quali piedi si devono mescolare fra di loro. Per quanto attiene alla strofa
metrica si dovranno esprimere alcuni concetti quando cominceremo a trattare
del verso. In definitiva i piedi si uniscono in un contesto secondo le regole
trattate nel secondo libro. Si deve sapere a proposito che tutte le forme di
metro, che sono state rese celebri dai poeti, hanno i loro creatori e
perfezionatori e che da essi sono state dettate leggi ben definite che proibito
abrogare. Dal momento infatti che le hanno stabilite con metodo razionale, non
conveniente derogare da esse, quantunque si potrebbe sempre nel rispetto
della razionalit e senza offesa dell'estetica uditiva. La conoscenza di questo
argomento non affidata all'arte ma alla tradizione, quindi anzich avere
conoscenza si accetta l'autorit. Non possiamo neanche avere scienza, se non
saprei quale poeta di Falerii ha composto i metri che suonano cos:
Quando flagel/la ligas, ita/ liga, Vitis et ul/mus uti simul/ eant 7.
Possiamo soltanto accettare la tradizione ascoltandoli e leggendoli. invece
compito, che ci riguarda, dell'arte poetica esaminare se questo metro si
compone di tre dattili e di un pirrichio finale, come suppongono molti inesperti
di musica. Essi non hanno capacit d'intendere che il pirrichio non pu esser
posto dopo il dattilo o che piuttosto, come la teoria insegna, il primo piede in
questo metro deve essere un coriambo, il secondo uno ionico con una lunga
divisa in due brevi e l'ultimo un giambo, dopo il quale si avr una pausa di tre
tempi. Gli individui non del tutto incolti potrebbero constatarlo se il metro fosse
pronunciato e cadenzato da un grammatico secondo i due modi citati. Cos con
gusto naturale e proprio di tutti giudicherebbero che cosa prescrive la regola
dell'arte.
Metri variabili, invariabili e semivariabili.

16. 31. Comunque si deve rispettare la norma voluta dal suddetto poeta, che
cio, quando si usa questo metro, i ritmi rimangono invariabili. Infatti questo
metro non delude l'udito. Non lo deluderebbe comunque, anche se si ponesse
al posto del coriambo un digiambo o lo stesso ionico senza scomporre la lunga
in brevi o qualunque altro fosse in euritmia. Dunque non si dovr variare nulla
in questo metro, non perch si deve evitare la mancanza di proporzione, ma
perch si rispetta la tradizione. La teoria insegna che sono istituiti metri
invariabili, ai quali, cio, non bisogna cambiare nulla, come quelli di cui
abbiamo gi parlato abbastanza, altri invece variabili, nei quali si possono

usare piedi in luogo di altri, come in questo: Troiae/ qui pri/mus ab o/ris,
ar/ma virum/que cano. Infatti in esso possibile sostituire in qualsiasi posto
uno spondeo con un anapesto. Ve ne sono altri n totalmente invariabili n
totalmente variabili, come questo:
Pendeat/
ex
hume/ris
dul/cis
chelys, Et
nume/ros
e/dat
vari/os
quibus Assonet/ omne vi/rens la/te nemus, Et tor/tis er/rans qui/ flexibus 8.
Puoi osservare che in esso si possono ovunque porre spondei e dattili, tranne
che all'ultimo piede che l'autore del metro ha voluto fosse sempre un dattilo. E
puoi osservare che in queste tre forme di metri la tradizione ha il suo peso.
Piedi misti conciliabili e inconciliabili...

16. 32. Per quanto riguarda, nella commischianza dei piedi, la competenza
della facolt razionale che sola pu giudicare del dato sensibile, si deve tener
presente ci che segue. Le parti dei piedi che, quando si ha la pausa, sono
poste aritmicamente dopo certi piedi, come il giambo dopo il ditrocheo o
l'epitrito II, lo spondeo dopo l'antispasto, si collocano irregolarmente anche
dopo altri piedi che ad essi sono mescolati. Infatti chiaro che il giambo
posto regolarmente dopo il molosso, come indica il seguente metro se ripetuto
pi volte con pausa finale di tre tempi: Ver blandum/viret/ floribus. Ma se in
luogo del molosso posto un ditrocheo al principio, come in questo caso: Vere
terra/ viret/floribus, l'udito lo rifiuta decisamente. Ed facile mediante il
giudizio dell'udito far la prova anche con altri metri. E se ne ha una
motivazione evidente. Quando piedi fra loro congiungibili vengono congiunti, si
devono aggiungere alla fine parti che si accordano con tutti i piedi collocati in
quel contesto perch non nasca in qualche modo un contrasto fra i piedi
commischiati.
...secondo il genere dattilico o dell'uguale...

16. 33. Il fatto che meraviglia di pi che, quantunque lo spondeo chiuda


ritmicamente il digiambo e il ditrocheo, tuttavia quando entrambi questi piedi
si trovano in una serie o soli o comunque mescolati con altri congiungibili ad
essi, lo spondeo non pu seguirli con il benestare dell'udito. Non v' dubbio che
l'udito percepisce con diletto questi due metri ripetuti ad uno ad uno e
separatamente: Timenda res/ non est e Iam timere/ noli, ma se li congiungi
cos: Timenda res/ iam timere/ noli, non vorrei ascoltarli che in prosa. Non
meno aritmico il metro, se si congiunge in un punto qualsiasi un altro piede,
come un molosso in questo modo: Vir fortis/, timenda res /, iam timere/ noli;
o cos: Timenda res /, vir fortis/, iam timere/ noli; o anche cos: Timenda res/,
iam timere/, vir fortis/, noli. E causa dell'aritmia che il digiambo avrebbe
anche la percussione del due e uno, mentre il ditrocheo dell'uno e due. Ora lo
spondeo eguale in tempi alle loro parti che hanno il due, ma poich il
digiambo attrae lo spondeo verso la propria parte iniziale e il ditrocheo a quella
finale, ne nasce un certo contrasto. E in tal modo il ragionamento elimina la
nostra meraviglia.
...o giambico ossia del doppio.

16. 34. Non minore stupore desta l'antispasto. Se nessun altro piede gli si
unisce o il solo digiambo in un determinato modo, permette che il metro si
chiuda col giambo, ma niente affatto se accompagnato da altri piedi. Unito al
dicoreo rifiuta il giambo a causa dello stesso dicoreo. E fin qui non me ne
stupisco affatto. Ma non so proprio perch congiunto con altri piedi di sei tempi
rifiuta alla fine il giambo che di tre tempi. forse una cagione pi nascosta di

quanto sia possibile a noi scoprirla con evidenza. Ma dimostro il fatto con
questi esempi. Non si mette in dubbio che questi due metri: Potestate/placet e
Potestate/potentium/placet, con una pausa di tre tempi alla fine si enunciano
entrambi ritmicamente. Ma aritmicamente con la medesima pausa questi:
Potestate/ praeclara/ placet, Potestate/ tibi multum/ placet, Potestate/ iam tibi
sic/ placet, Potestate/ multum tibi placet, Potestate/ magnitudo/ placet. Per ci
che attiene alla facolt percettiva, essa ha adempiuto alla propria funzione nel
problema in parola e ha indicato ci che ha accettato e ci che ha rifiutato, ma
sulla cagione del fenomeno bisogna consultare la facolt razionale. E la mia in
tanta oscurit non pu che vederla in questi termini. L'antispasto ha la sua
prima parte eguale a quella del digiambo poich entrambi cominciano con una
breve e una lunga, la seconda parte invece con un dicoreo perch sono chiusi
entrambi da una lunga e una breve. Perci l'antispasto posto da solo ammette
alla fine del metro il giambo che corrisponde alla sua prima parte e lo
ammette, anche se unito al digiambo col quale ha questa parte eguale.
Ammetterebbe il giambo finale anche col dicoreo, se col dicoreo si accordasse
tale chiusura. Unito con gli altri invece non lo ammette perch il giambo
contrasta in tale congiungimento.
Considerazioni sulle strofe (17, 35 - 37)
Strofe differenti per tempi e per piedi...

17. 35. Per quanto attiene alla strofe metrica, basta tener presente per ora
che in essa si possono congiungere metri differenti purch convengano nella
percussione, cio nell'arsi e nella tesi. E i metri possono esser differenti per
lunghezza, se metri lunghi si congiungono con metri pi corti, come in questo
esempio:
Iam satis terris nivis atque dirae Grandinis misit Pater et rubente Dextera
sacras iaculatus arces Terruit ur/bem 9.
Puoi vedere infatti quanto l'ultimo di questi, conchiuso da un coriambo e da
una sillaba lunga finale, sia pi corto dei tre precedenti eguali fra loro. Inoltre i
metri sono differenti per i piedi, come questi:
Grato/ Pyrrha sub an/tro, Cui fla/vam religas/ comam 10.
Puoi osservare che il primo di questi due versi formato da uno spondeo e un
coriambo, ed una sillaba lunga in fine che richiesta dallo spondeo per
completare i sei tempi. Il secondo invece si compone di uno spondeo e un
coriambo e le due ultime brevi che con lo spondeo iniziale completano i sei
tempi. Sono dunque eguali nei tempi ma nei piedi hanno. qualche cosa di
diverso.
...e per la presenza o assenza della pausa.

17. 36. Esiste un'altra differenza delle strofe metriche. Alcuni metri sono messi
insieme in modo da non richiedere fra l'uno e l'altro la pausa, come negli ultimi
due, altri invece richiedono che fra l'uno e l'altro si faccia una determinata
pausa, come questo:
Vides ut alta stet nive candidum Soracte, nec iam sustineant onus Silvae
laborantes, geluque Flumina constiterint acuto 11.
Infatti se si ripetono ad uno ad uno, i primi due metri richiedono la pausa finale
di un tempo, il terzo di due, il quarto di tre; ma se sono recitati l'uno dopo
l'altro obbligano alla pausa di un tempo nel passare dal primo al secondo, di
due dal secondo al terzo, di tre dal terzo al quarto. Se si torna dal quarto al
primo, si far la pausa di un tempo. Ma la norma che vale nel tornare al primo

vale anche nel passare ad altra strofa. Giustamente noi latini chiamiamo
questa forma di unione dei metri circuito che in greco si dice
. Il
circuito non pu essere pi piccolo di due membri, cio due metri, ed hanno
convenuto che non sia maggiore di quello che giunge fino a quattro membri. Si
pu dunque chiamare bimembre il pi piccolo, trimembre quello di mezzo e
quadrimembre l'ultimo. I greci li chiamano appunto

. Giacch tratteremo, come ho detto, il problema pi


accuratamente nel discorso che terremo sui versi, per ora basta.
Infinita possibilit di metri.

17. 37. Comprendi certamente, penso, che si hanno innumerevoli forme di


metri. Noi ne abbiamo trovate cinquecento sessantotto. Per sono stati
presentati modelli con le sole pause finali e non sono state considerate la
commischianza dei piedi e la scomposizione delle lunghe in due brevi che
prolunga il piede oltre le quattro sillabe. Ma se si volesse, usando tutte le
possibili interposizioni di pausa, ogni possibile commischianza di piedi e
scomposizione delle lunghe, calcolare il numero dei metri, esso risulta cos
grande da non potersi forse trovare il nome. E sebbene il poeta usandoli e
l'universale facolt estetica ascoltandoli rendano validi i modelli da noi
presentati e tutti gli altri che possibile comporre, tuttavia se non li affidasse
all'udito la recitazione di un individuo colto ed esercitato e se il sentimento
estetico di chi ascolta fosse pi ottuso di quanto richiede la cultura letteraria,
non possibile considerare come vere le nozioni che abbiamo trattato. Ma ora
riposiamoci per un po' di tempo e del verso trattiamo in seguito.
D. - S.

1 - PETRONIO, attr. Terenziano, De metris 2862-63: G. L. 6, 409; MARIO


VITTORINO, Ars gramm. G. L. 6, 153, 34.
2 - ORAZIO, Odi 1, 2, 1-3.
3 - TERENZIANO, De metris 1796; G.L. 6, 379.
4 - ORAZIO, Odi 1, 9, 3-4.
5 - VARRONE, Sat. Men. fr. 89.
6 - TERENZIANO, De metris 1913; G.L. 6, 382.
7 - SETTIMIO SERENO, attr. Terenziano, De metris 2001; G.L. 6, 385;
MARIO VITTORINO, Ars gramm., in G.L. 6, 122, 16-17; SERVIO, In Verg.
Aen. 4, 291.
8 - POMPONIO, attr. Terenziano, De metris 2135-41: G.L. 6, 389; MARIO
VITTORINO, Ars gramm., in G.L. 6, 115, 15-17.
9 - ORAZIO, Odi 1, 2, 1-4.
10 - ORAZIO, Odi 1, 5, 3-4.
11 - ORAZIO, Odi 1, 9, 1-4.

LIBRO QUINTO
TEORIA DEL VERSO
Teoria generale del verso (1, 1 - 3, 4)
Il verso si distingue dal metro...

1. 1. M. - Fra i letterati antichi si discusse con accesa polemica sulla natura del
verso e il buon esito non mancato. Ne fu specificato il concetto che,
trasmesso mediante la letteratura alla conoscenza dei posteri, stato
convalidato non solo dalla tradizione ma anche da una teoria scientificamente
autorevole. Gli antichi dunque hanno rilevato che tra metro e ritmo esiste
questa differenza, che ogni metro un ritmo, ma non ogni ritmo un metro.
Infatti ogni regolare contesto di piedi numeroso e poich il metro lo ha, esso
non pu non essere numero, cio non essere ritmo. Ma non la medesima
cosa essere svolto con piedi, sia pure regolari, ma senza un limite determinato
ed avere sviluppo, sempre con piedi regolari, ma esser conchiusi in un limite
determinato. Quindi le nozioni dovevano essere distinte anche col nome, in
modo che il primo fosse chiamato con significato proprio soltanto ritmo e il
secondo fosse tanto ritmo da essere chiamato anche metro. D'altra parte, tra i
ritmi che hanno un determinato limite, cio i metri, ve ne sono alcuni, nei quali
non si ha la regola di una divisione verso il mezzo ed altri, nei quali si ha
costantemente. Si doveva dunque segnalare con dei nomi anche questa
differenza. Perci quella forma di ritmo, in cui non si ha questa regola, prende
propriamente il nome di metro, hanno invece chiamato verso quel metro in cui
si ha. Il ragionamento stesso ci mostrer forse l'etimologia di questa
denominazione mentre avanziamo nell'esame. Ma non pensare che la norma
sia cos tassativa da non permettere di chiamare versi anche altri metri. Per
un conto l'abusare di una parola sul fondamento di una somiglianza e altro il
significare un oggetto col proprio nome. Ma basta con la terminologia. In
materia hanno valore determinante, come abbiamo appreso, l'accordo dei
dialoganti e la tradizione dell'antichit. Col nostro metodo esaminiamo dunque,
se vuoi, queste altre strutture con l'udito che le fa percepire, con la teoria che
ne fa avere conoscenza. Riconoscerai cos che gli antichi non hanno stabilito le
nozioni in parola, come se esse non esistessero gi interamente e
compiutamente nelle cose, ma che le hanno soltanto scoperte col
ragionamento e designate con un nome.
...perch proporzionalmente divisibile in due cole.

2. 2. Dunque ti chiedo prima di tutto se un piede diletta l'udito per una ragione
diversa da quella che in esso le due parti, poste una in levare ed una in
battere, si implicano con ritmica proporzione.
D. - Ho avuto gi in precedenza una conoscenza certa del tema.
M. - E si dovrebbe supporre che il metro, il quale evidentemente formato da
un insieme di piedi appartiene alla categoria delle cose indivisibili? Intanto
l'indivisibile non potrebbe estendersi nel tempo e del tutto irrazionalmente si
penserebbe che indivisibile ci che formato di piedi divisibili.
D. - Non posso non ammettere questa divisibilit.
M. - E tutte le cose divisibili non sono forse pi belle se le loro parti, anzich
essere discordi e dissonanti, si armonizzano in una determinata proporzione?
D. - Senza dubbio.
M. - E quale numero operatore di una divisione proporzionale? Il due?
D. - S.

M. - Abbiamo accettato allora che il piede si divide in due parti proporzionali e


proprio per questo diletta l'udito. Se troviamo dunque un metro di tale fattura,
non dovr esser considerato giustamente pi perfetto di quelli che non lo
sono?.
D. - Son d'accordo.
Differenza e non invertibilit dei due cola.

3. 3. M. - Bene. Ed ora rispondimi sul tema seguente. In tutte le cose che si


misurano secondo una porzione di tempo, ve n' una che precede, una che
segue, una che d inizio ed una che pone fine. Ora secondo te, esiste una
differenza fra la porzione che precede all'inizio e quella che segue alla fine?
D. - S, credo.
M. - Dimmi dunque quale differenza esiste fra questi due emistichi, dei quali
uno : Cornua velatarum e l'altro: Vertimus antennarum 1. Noi non usiamo,
come il poeta, la parola obvertimus. Se dunque il verso si enuncia cos: Cornua
velatarum vertimus antennarum, ripetendolo pi volte non diviene incerto
forse quale sia il primo e quale il secondo emistichio? Infatti il verso si regge
ugualmente se si pronuncia cos: Vertimus antennarum cornua velatarum.
D. - Secondo me, proprio incerto.
M. - E pensi che si debba evitare?
D. - S.
M. - Osserva se in quest'altro verso stato sufficientemente evitato. Il primo
comma: Arma virumque cano e il secondo: Troiae qui primus ab oris. Essi
differiscono fra loro a tal punto che se cambi la disposizione e li pronunci cos:
Troiae qui primus ab oris, arma virumque cano, bisogna scandire piedi diversi.
D. - Capisco.
M. - Esamina se tale proporzione stata osservata nei seguenti. Puoi avvertire
infatti che la scansione del comma: Arma vi/rumque ca/no// la medesima di:
Itali/am fa/to//, Littora/ multum il/le et//, Vi supe/rum sae/vae//, Multa
quo/que et bel/lo//, Infer/ retque de/os//, Alba/nique pa/tres//. Per non farla
lunga, esaminane altri finch vorrai e troverai che questi commi iniziali hanno
la medesima misura, cio costituiscono un comma al quinto semipiede. Assai
raramente si d l'eccezione, sicch non meno proporzionali sono fra di loro i
commi che seguono ai precedenti: Tro/iae qui/ primus ab/ oris, Profu/gus
La/vinaque/ venit, Ter/ris iac/ tatus et/ alto, Memo/rem Iu/nonis ob/iram,
Pas/sus dum/ conderet/ urbem, Lati/o genus/ unde La/tinum, At/que altae/
moenia/ Romae 2.
D. - chiarissimo.
Etimologia del termine verso.

3. 4. M. - Dunque cinque e sette semipiedi dividono in due cola il verso epico


che, come ben noto, si compone di sei piedi di quattro tempi ciascuno. E non
si d verso senza una proporzione, questa o altra, fra i due cola. E in tutti i
versi, come la nostra argomentazione ha verificato, si deve osservare questa
norma che non si pu mettere il primo emistichio a posto del secondo n il
secondo a posto del primo. Altrimenti, non si chiamer verso, se non con
abuso del nome. Sar un ritmo o un metro, come quelli che qualche rara volta
si interpongono in lunghe composizioni poetiche e non son privi di bellezza, ad
esempio il metro che ho ricordato poco fa: Cornua velatarum vertimus
antennarum. Pertanto non sono d'opinione che sia chiamato verso, cio volto,
dal fatto che, come molti ritengono, da una fine determinata si torna a ripetere

il medesimo ritmo. Il nome deriverebbe cos dall'atto di chi si volge per tornare
indietro sulla via. evidente per che questa propriet gli comune con metri
che non sono versi. Piuttosto forse per opposizione ha avuto il nome, allo
stesso modo che i grammatici hanno chiamato deponente il verbo che non
depone la lettera finale r, come lucror e conqueror. Cos il metro che si
compone di due commi, dei quali l'uno non pu essere messo a posto
dell'altro, nel rispetto della legge dei ritmi, chiamato verso perch non pu
subire l'inversione. Ma anche se tu accetti l'una o l'altra etimologia o le riprovi
tutte e due e ne cerchi un'altra, o se disprezzi, come me, tutte le questioni di
questa portata, per ora non ha alcuna importanza. Giacch evidente il
concetto stesso che significato dal nome, non ci si deve affannare a cercarne
l'etimologia, a meno che non hai da dire qualche cosa in proposito.
D. - Io no, ma passa al resto.
Teoria dei cola e della scansione (4, 5 - 6, 12)
Senso e teoria...

4. 5. M. - Segue la trattazione sulla conclusione del verso. I letterati, o meglio


la ragionevolezza, hanno voluto che essa fosse distintamente caratterizzata da
una qualche differenza. Non meglio dunque, secondo te, che la fine, in cui lo
svolgimento del ritmo si arresta, si distingua senza violare l'eguaglianza dei
tempi, anzich confondersi con le altre parti che non chiudono?
D. - Non v' dubbio che da preferirsi ci che si distingue di pi.
M. - Considera dunque se con ragione taluni hanno voluto che lo spondeo fosse
la chiusura distintiva del verso epico. Infatti nelle altre cinque sedi consentito
porre esso o il dattilo, ma alla fine soltanto lo spondeo. E il fatto che alcuni lo
considerano un trocheo si verifica a causa dell'indifferenza dell'ultima sillaba,
sulla quale si sufficientemente parlato trattando dei metri. Per a voler
sentire costoro, il senario giambico non sar un verso o lo sar senza questa
nota distintiva della fine. Ma l'una e l'altra spiegazione assurda. Infatti
nessuno dei pi dotti ed anche di quelli che sono in possesso d'una media e
perfino infinita cultura ha mai dubitato che questo sia un verso: Phaselus ille
quem videtis hospites 3, o ogni altra composizione poetica col medesimo ritmo.
Eppure i letterati pi autorevoli perch pi dotti hanno ritenuto che un ritmo
senza finale riconoscibile non si deve considerare verso.
...e nota distintiva di fine verso.

4. 6. D. - vero. Suppongo dunque che si deve cercare un'altra nota distintiva


della sua chiusura e che non si debba accettare quella posta nello spondeo.
M. - E puoi dubitare che, qualunque essa sia, non consista nella differenza o
del piede o del tempo o di tutti e due?
D. - E come potrebbe altrimenti?
M. - Ma infine quale di queste tre ammetti? Il finire il verso affinch non vada
oltre il richiesto riguarda soltanto la misura del tempo. Io penso dunque che la
nota distintiva deve esser desunta dal tempo. O tu la pensi diversamente?
D. - Anzi son d'accordo.
M. - Ora il tempo pu avere in questo caso la sola differenza che uno sia pi
lungo ed un altro pi breve, perch quando si pone termine al verso, si ottiene
che non sia pi lungo. Non comprendi dunque che la nota distintiva della fine
consista in un tempo pi breve?
D. - S che lo capisco. Ma a che allude la tua precisazione " in questo caso "?
M. - A questo: non intendiamo dire che in tutti i casi la differenza di tempo

consiste nella sola brevit o lunghezza. Tu non puoi affermare che la differenza
dell'estate e inverno non appartiene al tempo, ma d'altra parte non la puoi far
consistere in una durata pi o meno lunga, anzich nella violenza del freddo e
caldo, dell'umidit e siccit o altro fenomeno del genere.
D. - Ora capisco e ammetto Che questa nota distintiva della chiusura deve
esser desunta dalla brevit del tempo.
I due cola tendono ad eguagliarsi.

4. 7. M. - Ascolta dunque questo verso: Roma/, Roma/, cerne/ quanta/ sit


de/um be/nigni/tas. detto trocaico. Tu scandiscilo e dimmi che cosa rilevi sui
cola e sul numero dei piedi.
D. - Sui piedi posso rispondere agevolmente. chiaro che sono sette piedi e
mezzo. L'argomento dei cola invece non cos elementare. Mi accorgo che un
comma pu esser chiuso in pi punti, suppongo per che la divisione si abbia
all'ottavo semipiede. Cos il primo colon sarebbe: Roma, Roma, cerne quanta,
e il secondo: sit deum benignitas.
M. - E quanti semipiedi ha?
D. - Sette.
M. - proprio la ragione che ti ha guidato. Niente da preferirsi
all'eguaglianza e la si deve ottenere nel dividere. E se non la si pu ottenere,
se ne deve cercare l'approssimazione per non allontanarsene troppo. Pertanto
poich questo verso ha quindici semipiedi, non pu essere diviso in maniera
pi equa che in otto e sette; infatti la medesima approssimazione si avrebbe in
sette o otto. Ma cos non si otterrebbe la nota distintiva della fine mediante la
maggiore brevit di tempo, mentre la ragione stessa ci induce ad osservarla.
Infatti se il verso fosse cos: Roma/, cerne/ quanta/ sit // tibi/ deum/
beni/gnitas, si avrebbe all'inizio il colon di sette semipiedi: Roma/, cerne/
quanta/ sit, e alla fine l'altro con questi otto: tibi/ deum/ beni/gnitas. Ma non si
avrebbe un semipiede a chiudere il verso, poich otto semipiedi fanno quattro
piedi compiuti. E si avrebbe inoltre l'altra irregolarit, che non si scandirebbero
nel secondo comma i piedi scanditi nel primo e che sarebbe chiuso con la nota
distintiva del tempo pi breve, cio un semipiede, il primo comma anzich il
secondo, cui spetta per diritto di chiusura. Infatti nel primo si scandiscono, tre
trochei e mezzo: Roma/, cerne/ quanta/ sit e nel secondo quattro giambi: Tibi/
deum/ beni/gnitas. Nell'altro invece si scandiscono trochei in ambedue i commi
e il verso si chiude con un semipiede, in modo che la chiusura mantenga la
nota distintiva del tempo pi breve. Infatti nel primo ve ne sono quattro:
Roma/, Roma/, cerne/ quanta e nel secondo tre e mezzo: sit delum
be/nigni/tas. Hai in mente qualche obiezione?
D. - No, nessuna, son proprio d'accordo.
Quattro norme sui cola.

4. 8. - M. - Teniamo dunque, se vuoi, come inderogabili le seguenti leggi. Una


partizione che tenda all'eguaglianza dei due commi non manchi al verso, come
manca a questo: Cornua velatarum obvertimus antennarum. Per inverso
l'eguaglianza dei commi non renda, per cos dire, convertibili le parti, come fa
in questo: Cornua velatarum vertimus antennarum. Ancora quando si evita
tale inversione, i commi non differiscano troppo fra di loro, ma per quanto
possibile tendano ad eguagliarsi in riferimento ai numeri pi vicini in modo da
non ritenere che il verso citato pu essere diviso in un primo colon di otto
semipiedi e cio: Cornua velatarum vertimus e in un secondo di quattro:

antennarum. Infine il secondo colon non abbia semipiedi in numero pari, come
: Tibi deum benignitas, perch il verso, chiuso con un piede completo, non
avrebbe la fine caratterizzata da un tempo pi breve.
D. - Capisco queste leggi e per quanto ne son capace le affido alla memoria.
Esempio di scansione e cola nell'esametro.

5. 9. M. - Poich dunque sappiamo che il verso non deve esser chiuso con un
piede completo, come pensi che si debba scandire il verso epico, in modo che
siano rispettate la legge dei due cola e la nota distintiva della fine?
D. - Vedo dunque che sono dodici semipiedi. Ora per evitare la inversione i
cola non possono avere sei semipiedi, inoltre non devono tra di loro differire
troppo, come tre a nove o nove a tre, infine non si deve dare all'ultimo colon
semipiedi in numero pari, come otto e quattro e quattro e otto, perch il verso
non finisca con un piede completo. Quindi la divisione va fatta in cinque e sette
o sette e cinque. Sono infatti i numeri dispari pi vicini e certamente i commi si
avvicinano di pi di quanto si avvicinerebbero con quattro e otto. Per
considerare la norma inderogabile, ritengo che un emistichio, sempre o quasi
sempre, compiuto al quinto semipiede, come nel primo verso di Virgilio:
Arma virumque cano, nel secondo: Italiam fato, nel terzo: Littora multum ille
et, nel quarto: Vi superum saevae, e cos di seguito in quasi tutto il poema.
M. - vero. Ma devi esaminare quali piedi scandisci per non violare alcuna
parte delle leggi che abbiamo gi stabilito come inderogabili.
D. - Sebbene l'argomento mi sia chiaro, tuttavia sono in imbarazzo per la
novit. Infatti siamo soliti scandire in questo verso soltanto lo spondeo e il
dattilo e non vi quasi nessuno, per quanto ignorante, che non l'abbia sentito
dire, sebbene non lo sappia fare. Ora se voglio seguire questa diffusissima
consuetudine, si deve abrogare la legge della chiusura perch il primo colon si
chiuderebbe con un semipiede e il secondo con un piede compiuto, mentre
deve essere il contrario. Ma troppo irregolare abolire la legge della chiusura e
d'altronde ho appreso che nei ritmi pu accadere di cominciare da un piede
incompiuto, Resta dunque da considerare che in questo verso con lo spondeo
non si pone il dattilo ma l'anapesto. Cos il verso comincer da una sillaba
lunga, e poi due piedi, spondei o anapesti, oppure alternati, rendono compiuto
il primo colori; poi altri tre piedi anapesti o lo spondeo in qualsiasi posto o
anche in tutti e in fine una sillaba, con cui il verso si termina regolarmente,
completano il secondo colon. Accetti questa scansione?.
La scansione nella tradizione e nella teoria.

5. 10. M. - Io la ritengo la pi regolare, ma non facile convincerne la massa.


E cos grande la forza della consuetudine che, se inveterata e proveniente da
una falsa opinione, la peggiore nemica della verit. Comprendi infatti che per
comporre un verso poco importa se si pone con lo spondeo l'anapesto oppure il
dattilo. Ma per scandirlo razionalmente, che non compito dell'udito ma della
mente, si deve ricorrere a vera e innegabile argomentazione e non a una
opinione priva di fondamento. E questa scansione non stata ideata per la
prima volta da me, ma stata scoperta molto prima di questa antica
consuetudine. Pertanto coloro che leggessero gli autori, i quali nella lingua
greca e latina furono eruditissimi in questa disciplina, non si meraviglieranno
troppo se eventualmente s'imbatteranno in questa notizia. C' da vergognarsi
tuttavia della nostra pochezza nel ricorrere all'autorit degli uomini per
convalidare la ragione giacch niente dovrebbe esser pi eccellente

dell'autorit della pura ragione che superiore a ogni individuo. Infatti in


materia non esaminiamo soltanto l'autorit degli antichi, come si deve fare nel
considerare breve o lunga una sillaba. In tal caso noi dobbiamo usare nella
medesima forma con la quale le hanno usate loro le parole, con cui anche noi
ci esprimiamo, poich in materia proprio della trascuratezza non seguire
alcuna regola ed proprio dell'arbitrio introdurne una nuova. Cos nello
scandire un verso si deve prendere in considerazione l'antica istituzione umana
e non la legge eterna delle cose. Infatti prima spontaneamente con l'udito si
percepisce la proporzionata durata del verso e poi essa si convalida con la
razionale riflessione dei numeri. Cos pure si ritenga che il verso da chiudersi
con una fine caratteristica se si ritiene che deve esser chiuso in forma pi
determinata degli altri metri. Ed chiaro anche che la chiusura si deve
distinguere dal tempo pi breve, giacch limita e contiene in certo senso la
durata del tempo.
Commi e scansione nel senario giambico, trocaico...

6. 11. Stando cos le cose, come avviene che il secondo colon del verso
termina con un piede incompiuto? Bisogna appunto che il principio del primo
colon sia o un piede intero, come nel trocaico: Roma, Roma, cerne quanta sit
deum benignitas, oppure una parte di piede, come nell'epico: Arma virumque
cano, Troiae qui primus ab oris. Pertanto eliminando ogni esitazione, scandisci,
se vuoi, anche il verso seguente e indicamene i cola e i piedi: Phaselus ille
quem videtis, hospites.
D. - Scorgo che i suoi cola sono composti di cinque e sette semipiedi. Il primo
Phaselus ille, il secondo quem videtis, hospites, e scorgo che i suoi piedi son
giambi.
M. - Scusa, ma non badi a non chiudere il verso con un piede compiuto?
D. - Hai ragione, non so dove ero col pensiero. Chi infatti non vedrebbe che si
deve cominciare da un semipiede come nell'epico? E quando s'usa tale criterio
per questo genere, non si scandisce pi a giambi ma a trochei in modo che lo
chiuda regolarmente un semipiede.
...e nell'asclepiadeo minore.

6. 12. M. - come tu dici. Ma cosa pensi di dover rispondere su questo verso


che chiamano asclepiadeo: Maece/ nas atavis// edite re/gibus 4? In esso un
emistichio si chiude alla sesta sillaba e non eventualmente, poich ci accade
in quasi tutti i versi di questa forma. Dunque il primo colon Maecenas atavis
e il secondo edite regibus. Ma possono insorgere dubbi sul motivo per cui ci
avviene. Se infatti scandisci in esso piedi di quattro tempi ciascuno, si avranno
cinque semipiedi nel primo colon e quattro nel secondo, ma la regola vieta che
il secondo colon sia formato di semipiedi in numero pari affinch il verso non
termini con un piede compiuto. Resta che vi si considerino piedi di sei tempi
ciascuno. Ne consegue che ambedue i colon siano formati di tre semipiedi
ciascuno. Infatti affinch il primo colon si chiuda con un piede compiuto, si
deve cominciare con due lunghe, quindi un coriambo compiuto entra a
comporre il verso, in modo che il secondo colon cominci con un altro coriambo
e un semipiede di due sillabe brevi chiude il verso. Questi due tempi con lo
spondeo collocato in principio rendono compiuto un piede di sei tempi. Hai
qualche cosa da dire in proposito?
D. - Proprio nulla.
M. - Ti va dunque che i due cola siano formati di semipiedi in egual numero.

D. - E perch no? Infatti in questo caso non si deve temere la inversione,


poich se si mette il secondo colon a posto del primo, in maniera che il primo
divenga secondo, non si avr l'eguale disposizione di piedi. Perci non v'
motivo di negare in questo caso ai cola un egual numero di semipiedi. Tale
eguaglianza infatti pu rimanere senza pericolo di inversione e con adempienza
anche della chiusura pi segnalata giacch il verso finisce con piede
incompiuto. Ed regola da osservarsi sempre.
Eguaglianza dei cola nei vari schemi (7, 13 - 9, 19)
Singolare eguaglianza dell'uno.

7. 13. M. - Hai proprio colto nel segno. La ragione allora ha dimostrato che si
danno due forme di versi, uno in cui il numero dei semipiedi nei cola eguale e
un altro in cui diverso. Dunque esaminiamo accuratamente, se vuoi, in che
modo questa non proporzione dei semipiedi si riconduce ad una certa
proporzione in base a una propriet numerica un tantino oscura ma profonda.
Ti chiedo quindi quanti numeri indico, quando dico due e tre.
D. - Due, naturalmente.
M. - Dunque anche il due uno come numero e il tre e qualsiasi altro si possa
dire.
D. - S.
M. - Non ti sembra perci che il numero uno si pu non irrazionalmente
rapportare a qualsiasi altro numero? Sebbene infatti non si potrebbe dire che
uno due, tuttavia in certo senso, senza errore, si pu dire che due un uno e
cos tre e quattro.
D. - D'accordo.
M. - E ancora, dimmi quanto fa due per tre?
D. - Sei.
M. - E sei pi tre fanno altrettanto?
D. - Assolutamente no.
M. - Ora moltiplica tre per quattro e dimmi il prodotto.
D. - Dodici.
M. - Vedi che ugualmente dodici superiore a quattro.
D. - E di molto.
M. - Per non farla lunga, si deve fissare la seguente regola. Dal due in poi,
prendendo due numeri qualsiasi, il minore moltiplicato per il maggiore
necessariamente lo sorpassa.
D. - Che dubbio? Il due il pi piccolo numero plurale, ma se lo moltiplico per
mille, sorpassa il mille del doppio.
M. - vero. Ma prendi l'uno e qualsiasi altro numero superiore e poi moltiplica,
come stato fatto per gli altri numeri, il minore per il maggiore. Forse che il
prodotto sar egualmente superiore al numero maggiore?
D. - Certamente no. Il minore ci sar tante volte quante il maggiore. Infatti
uno per due due, uno per dieci dieci, uno per mille mille, e per qualsiasi
altro numero lo moltiplicher, l'uno ci sar necessariamente tante volte tanto.
M. - Dunque il numero uno ha una certa propriet d'eguaglianza con tutti gli
altri numeri e non solo perch un numero come un altro, ma anche perch
d un prodotto eguale alle volte per cui moltiplicato.
D. - chiarissimo.
Versi con commi riducibili o no all'eguaglianza.

7. 14. M. - Ed ora volgi l'attenzione ai numeri dei semipiedi con cui sono

formati nel verso cola ineguali e troverai, in base alla legge che abbiamo
discusso, una mirabile eguaglianza. Infatti, secondo me, il verso pi corto con
numero ineguale di semipiedi in due cola ed ha quattro e tre semipiedi, come
in questo: Hospes ille// quem vides. Il suo primo colon, che Hospes ille, pu
esser diviso con eguaglianza in due parti di due semipiedi ciascuno. Il secondo
invece, che quem vides, si divide in modo che la prima parte abbia due
semipiedi e l'altra uno, ma come se fossero due e due in base a quella
propriet di eguaglianza che l'uno ha con tutti gli altri numeri. Ne abbiamo gi
trattato sufficientemente. Ne deriva che con questa divisione il primo colon in
certo senso eguale al secondo. Perci il verso, in cui sono quattro e cinque
semipiedi, come in: Roma, Roma//, cerne quanta sit, non cos regolare. Sar
quindi un metro piuttosto che un verso, poich i cola hanno una ineguaglianza
tale che con nessuna divisione possono essere ricondotti ad un rapporto di
eguaglianza. Vedi bene, come penso, che i quattro semipiedi del primo colon:
Roma, Roma, si possono dividere in due e due, ma i cinque seguenti: cerne
quanta sit, si dividono in due e tre semipiedi. Ed in essi l'eguaglianza non si
manifesta assolutamente. Cinque semipiedi appunto, a causa del due e tre,
non possono assolutamente equivalere a quattro. Invece abbiamo visto dianzi
nel verso pi corto che tre semipiedi, con l'uno e il due, equivalgono a quattro.
Vi qualche concetto che non hai compreso o non approvi?
D. - Anzi tutti i concetti sono chiari e da me accettati.
Applicazione facile alla tetrapodia giambica...

7. 15. M. - Ed ora consideriamo un verso di cinque e tre semipiedi, qual


questo abbreviato: Phaselus ille// quem vides ed esaminiamo in che senso
questa ineguaglianza retta da una certa propriet d'eguaglianza. Infatti tutti
son d'accordo nel riconoscere che questa forma non solo un metro ma anche
un verso. Si divide dunque il primo colon in due e tre semipiedi e il secondo in
due e uno. Si riuniscono le suddivisioni che risultano eguali nell'uno e nell'altro,
giacch nel primo colon si ha un due e un due nel secondo. Restano due
suddivisioni, una di tre semipiedi nel primo e un'altra di uno nel secondo. Li
congiungiamo in quanto facilmente unibili poich l'uno ha rapporto con tutti i
numeri. Nella somma uno pi tre fanno quattro, che tante volte quante il due
pi due. In base a questa divisione dunque cinque e tre semipiedi sono
ricondotti alla proporzione. Ma dimmi se hai compreso.
D. - S, e sono perfettamente d'accordo.
...difficile al senario giambico ed esametro...

8. 16. M. - Ed ora dobbiamo parlare dei versi di cinque e sette semipiedi, come
sono i due molto noti, che sono l'epico e quello che chiamano comunemente
giambico, anche esso senario. Infatti Arma virumque cano//, Troiae qui primus
ab oris si divide in modo che il primo colon Arma virumque cano abbia cinque
semipiedi, e il secondo Troiae qui primus ab oris sette. Anche Phaselus ille//
quem videtis, hospites ha un primo colon Phaselus ille di cinque semipiedi ed
un altro di sette: quem videtis, hospites. Ma tanta elevatezza si trova in
imbarazzo nell'applicazione della legge dell'eguaglianza. Infatti quando saranno
divisi i primi cinque semipiedi in due e tre e gli altri sette in tre e quattro, le
due suddivisioni di tre semipiedi si corrisponderanno, ma a condizione che
anche le altre due si corrispondano in modo tale che una sia di un semipiede e
l'altra di cinque. E si potrebbe congiungere in base alla legge per cui l'uno pu
unirsi ad ogni altro numero e farebbero anche nella somma sei che equivale a

tre pi tre. Ma nel nostro caso si hanno due e quattro che, sebbene diano la
somma di sei, tuttavia per nessuna propriet di eguaglianza due e quattro si
corrispondono cos da congiungersi, per cos dire, con un vincolo tanto stretto.
Ma qualcuno potrebbe dire che sufficiente per una certa regola di proporzione
che, come tre pi tre fanno sei, cos anche due pi quattro. Non credo di dover
ribattere l'argomentazione perch una certa eguaglianza c'. Ma non vorrei
affermare che cinque e tre semipiedi siano in rapporto di maggiore
corrispondenza che cinque e sette. La notoriet della tetrapodia giambica non
tanto grande come quella di questi due. Eppure tu puoi constatare che in essa,
addizionando uno e tre non solo si trovata la somma eguale a due pi due,
ma anche che addizionando uno a tre, a causa del raccordo dell'uno con tutti
gli altri numeri, le parti si corrispondono di pi che nell'unione di due pi
quattro, come in questi. Ti rimane oscuro qualche concetto?
D. - No, certamente. Ma, non so come, mi d fastidio che questi senari, pur
essendo pi usati delle altre forme e pur affermandosi che hanno una certa
prevalenza sugli altri, abbiano nel raccordo dei cola una minore efficienza dei
versi di pi oscura fama.
M. - Sta' di buon animo. Io ti sveler in essi quel raccordo che soli fra tutti
hanno meritato di possedere perch tu capisca che non ingiustamente sono
stati preferiti. Ma la discussione, sebbene pi gradita, anche pi lunga e si
deve rimandare alla fine. Cos, quando avremo discusso degli altri fino a che ci
sembrer sufficiente, ormai liberi da ogni preoccupazione, torneremo ad
esaminare attentamente la loro struttura interna.
D. - A me va bene, ma vorrei che fossero sviluppati i concetti che abbiamo
intrapreso a trattare. Ascolter l'altro argomento con maggiore distensione.
M. - A paragone dei concetti gi trattati, divengono pi graditi quelli che
attendi.
...difficile anche per il senario ipercatalettico...

9. 17. Ora esamina se in due cola, l'uno che presenta sei semi-piedi e l'altro
sette, si trovi un'eguaglianza tale che si abbia regolarmente un verso. Tu
capisci che di seguito al verso di cinque e sette semipiedi si deve esaminare
questo. Eccone un esempio: Roma, cerne quanta // sit deum benignitas 5.
D. - Osservo che il primo comma pu essere diviso in parti che hanno tre
semipiedi ciascuna e il secondo in tre e quattro. Congiungendo le suddivisioni
eguali si hanno sei semipiedi, ma tre pi quattro fanno sette e non si
raccordano al numero sei. Ma si considerino due e due nella parte in cui se ne
hanno quattro e due e uno dove se ne hanno tre. Addizionando le parti che ne
hanno due ciascuna, si ha la somma di quattro. Addizionando per quelle di
due semi-piedi in una e di uno nell'altra, se si considerano quattro in base al
rapporto dell'uno con gli altri numeri, fanno otto e, sorpassano la somma di sei
pi che se fossero sette.
...facile per il tetrametro catalettico...

9. 18. M. - S, hai ragione. Escluso dunque questo tipo di congiungimento della


legge dei versi, considera ora, come esige la successione dei numeri, quei cola,
di cui il primo ha otto semipiedi e il secondo sette. Questo congiungimento
presenta ci che cerchiamo. Congiungendo la met del primo comma con la
parte pi grande del secondo, che vicina alla met, poich sono quattro
semipiedi ciascuna, ho la somma di otto. Restano dunque quattro semipiedi del
primo e tre del secondo colon. Unendone due da una parte e due dall'altra,

fanno quattro. Restano due da una parte e uno dall'altra che, uniti, secondo la
legge di quella corrispondenza per cui l'uno eguale agli altri numeri, sono
considerati in certo senso quattro. Si ha dunque un otto che equivale al primo
otto.
D. - Ma perch non ne posso ascoltare un esempio?
M. - Ma perch l'abbiamo enunciato tante volte. Comunque perch tu non
abbia a pensare che sia stato omesso proprio dove occorreva, sempre quello:
Roma, Roma, cerne quanta // sit deum benignitas, oppure: Optimus beatus ille
// qui procul negotio.
...e per quello non catalettico.

9. 19. Osserva ora il congiungimento di nove e sette semipiedi. Ne esempio:


Vir Optimus beatus ille // qui procul negotio.
D. - elementare individuare in esso la corrispondenza. Il primo colon si divide
in quattro e cinque semipiedi e il secondo in tre e quattro. La parte minore del
primo unita alla maggiore del secondo fa otto e la maggiore del primo con la
minore del secondo fa ugualmente otto. Il primo congiungimento appunto di
quattro e quattro semipiedi e il secondo di cinque e tre. Inoltre se si dividono
ulteriormente i cinque semipiedi in due e tre e i tre in due e uno, appare
un'altra corrispondenza di due con due e di uno con tre, poich l'uno si
rapporta con tutti i numeri secondo la legge gi ricordata. E se il calcolo non mi
sfugge, non resta da cercare altro nel congiungimento dei cola. Si giunti
appunto agli otto piedi e sappiamo bene che non lecito far superare al verso
questo numero. Ed ora svelami la vera struttura dei senari epico, giambico e
trocaico. A questo obiettivo tu hai stimolato e trattenuto ad un tempo il mio
interesse.
Perfezione del senario giambico ed epico (10, 20 - 13, 28)
I piedi migliori per il verso...

10. 20. M. - Lo far, o meglio lo far lo stesso pensiero che comune a me e a


te. Ma ricordi, scusa, il giorno in cui abbiamo trattato dei metri? Abbiamo detto
e con l'udito abbiamo verificato che i piedi, le cui parti sono in rapporto di
sesquati, o di due a tre come il cretico e i peoni, o di tre a quattro, come gli
epitriti, esclusi dai poeti per la loro inferiore ritmicit, abbelliscono pi
convenientemente, se usati nelle clausole, l'austerit della prosa.
D. - Me ne ricordo. Ma a che cosa hanno attinenza le tue parole?
M. - Perch dobbiamo comprendere per prima cosa che, esclusi tali piedi dalla
trattazione poetica, non restano che i piedi, le cui parti si rapportano secondo
parit, come lo spondeo, oppure del due a uno, come il giambo, oppure
secondo l'uno e l'altro, come il coriambo.
D. - S.
M. - Ma se essi sono il dato sensibile della poesia e se la prosa esclude i versi,
ogni verso deve essere composto di questi piedi.
D. - Son d'accordo. Capisco che la composizione poetica diviene pi alta con
questi versi che con quelli usati dai poeti lirici; ma non so a che mira questo
ragionamento.
...son quelli di genere eguale o doppio...

10. 21. M. - Non essere impaziente. Stiamo gi parlando della superiorit degli
esametri. Voglio prima di tutto mostrarti se ne sono capace, che gli esametri
pi qualificati possono essere soltanto delle due figure seguenti, che sono
anche le pi note. Una il verso epico, come: Arma virumque cano, Troiae qui

primus ab oris, che l'opinione corrente scandisce con spondei e dattili e una pi
sottile teoria con spondei e anapesti. L'altro detto senario giambico, ma in
base alla medesima teoria si scopre che trocaico. Ora ti rimane evidente,
come credo, che se non si alternano sillabe brevi alle lunghe, la successione
dei tempi diviene in certo senso troppo lenta e se al contrario non si alternano
sillabe lunghe alle brevi, la successione diviene troppo rapida e quasi vibrata.
Nessuna delle due dunque proporzionata, anche se entrambe soddisfano
l'udito con l'eguaglianza dei tempi. Per questo i versi che hanno sei pirrichi o
sei proceleusmatici non possono aspirare alla dignit dell'esametro epico n
quelli che hanno sei tribraci alla dignit del senario trocaico. Inoltre se in questi
versi che la ragione stessa reputa pi perfetti si cambia la disposizione dei
cola, tutto il verso sar sconvolto al punto che si dovranno scandire piedi
diversi. Sono dunque pi invertibili, per cos dire, di quelli che son formati o di
tutte brevi o di tutte lunghe. Perci non ha rilevanza se in questi schemi pi
omogenei si dispongono i cola con cinque e sette semipiedi oppure con sette e
cinque. Con nessuna delle due il verso varia con un mutamento tale che
sembri svolgersi con altri piedi. Negli altri invece se la composizione poetica
cominciasse con versi, in cui il comma all'inizio ha cinque semipiedi, non
bisognerebbe mischiarvi versi che hanno sette semipiedi all'inizio. Altrimenti
sarebbe possibile invertire tutti i cola perch non si darebbe diversificazione di
piedi che liberi dall'invertimento. Tuttavia concesso agli epici, molto
raramente, di allineare tutti spondei. Ma questa nostra ultima epoca non ha
approvato il fatto. Sebbene nei senari giambici ossia trocaici sia consentito
porre in qualsiasi sede il tribraco, tuttavia stato considerato molto brutto che
in queste composizioni poetiche il verso sia scomposto in tutte brevi.
...ed hanno parit di brevi e lunghe.

10. 22. Sono esclusi dunque dalla composizione in esametri gli epitriti, non
solamente perch sono pi adatti alla prosa, ma anche perch se sono sei,
come pure i dispondei, superano i trentadue tempi. Sono esclusi anche i piedi
di cinque tempi perch la prosa li impiega soprattutto come clausole. Sono
esclusi inoltre dal computo di tempi, di cui stiamo parlando, i molossi e gli altri
piedi di sei tempi, sebbene conferiscano alle composizioni poetiche grande
bellezza. Restano i versi di tutte sillabe brevi, cio quelli che hanno pirrichi,
proceleusmatici e tribraci, o di tutte lunghe, cio quelli che hanno spondei. E
sebbene essi rientrino nella dimensione dell'esametro, devono cedere tuttavia
alla dignit e proporzione di quelli che sono variati con brevi e lunghe e che
perci hanno minore possibilit di subire invertimento.
L'uso ha consacrato questi schemi.

11. 23. Ma ci si pu chiedere perch sono stati giudicati pi perfetti i senari, in


alcuni dei quali una sottile teoria scandisce anapesti, e in altri scandisce
trochei, anzich nel primo caso dattili e nel secondo giambi. Non si pu
anticipare la soluzione del problema perch si tratta di numeri. Ma se il verso
fosse: Troiae qui primus ab oris arma virumque cano, e per il giambico: Qui
procul malo pius beatus ille, sarebbero ugualmente tutti e due senari,
ugualmente equilibrati nella proporzione di sillabe brevi e lunghe, egualmente
invertibili, e nell'uno e nell'altro i cola sono egualmente disposti in modo che
l'emistichio si chiuda al quinto e settimo semipiede. Perch dunque son
considerati migliori se sono cos: Arma virumque cano, Troiae qui primus ab
oris, e: Beatus ille qui procul pius malo? In proposito io sarei propenso a dire

che per una eventualit essi sono stati ravvisati e usati per primi. Ma non
stata una eventualit, credo, che si sia preferito finire il verso epico con due
lunghe piuttosto che con due brevi e una lunga poich l'udito rimane pi
soddisfatto delle lunghe, e che il trocaico avesse nel semipiede, finale una
sillaba lunga anzich una breve. Il fatto sta che gli schemi scelti per primi
dovevano necessariamente escludere gli altri che potevano essere composti dei
medesimi cola, ma scambiati di posto. Se si dunque giudicato migliore
l'esametro con questo schema: Arma virumque cano, Troiae qui primus ab
oris, invertendolo si sarebbe avuto un altro schema a danno dell'estetica,
come: Troiae qui primus ab oris, arma virumque cano. Altrettanto si deve
intendere per lo schema trocaico. Infatti se pi bello: Beatus ille qui procul
negotio 6, non opportuno ottenere lo schema che si ha invertendolo cos: Qui
procul negotio beatus ille. Tuttavia se qualcuno ne avesse il coraggio e
componesse versi simili, ovvio che compone sempre esametri, ma con
schemi diversi. Gli altri per sono pi perfetti.
Gli esametri e la licenza poetica.

11. 24. Dunque i due senari, i pi belli di tutti, non hanno potuto conservare la
loro purezza contro l'arbitrio degli uomini. Nello schema trocaico, e non solo
senario, ma dalla quantit minore di piedi fino alla lunghezza maggiore che ha
otto piedi, i poeti hanno ritenuto di poter mescolare tutti i piedi di quattro
tempi che si usano nella poesia. I greci poi li pongono alternativamente al
primo e terzo posto e cos di seguito, se il verso comincia con un semipiede, se
invece comincia con un trocheo completo, i piedi pi lunghi sono posti al
secondo e quarto posto e cos di seguito rispettando la quantit dei piedi. Per
rendere tollerabile la contaminazione, non hanno diviso con la percussione
ciascun piede in due parti, di cui una in arsi e una in tesi, ma dando un piede
intero all'arsi e un altro alla tesi e considerando quindi l'esametro come un
trimetro, hanno ricondotto la percussione alla divisione degli epitriti. Ora
quantunque gli epitriti siano propri pi della prosa che della poesia e
quantunque non si abbia pi un esametro ma un trimetro, se almeno questo
schema si osservasse regolarmente, non sarebbe completamente turbata la gi
trattata eguaglianza dei ritmi. Ma ora, purch i piedi di quattro tempi siano
posti nelle sedi indicate, ammesso porli in tutte quelle sedi ma anche
dovunque e tutte le volte che si vuole. I nostri antichi poeti poi, nell'interporre
piedi di tal genere, non hanno potuto conservare nemmeno la quantit
richiesta. Perci nello schema trocaico i poeti, con questa contaminazione
arbitraria, hanno ottenuto ci che si deve supporre volessero ottenere, e cio
che le composizioni drammatiche fossero il pi possibile vicine alla prosa. Ma si
detto abbastanza sul motivo per cui i versi trocaici e dattilici sono stati
preferiti fra i senari. Vediamo ora perch gli esametri sono stati ritenuti versi
pi perfetti di altri versi con un altro qualsiasi numero di piedi. A meno che tu
non abbia qualche difficolt in proposito.
D. - No, sono d'accordo. Ma attendo con impazienza di conoscere, se adesso
almeno possibile, quella eguaglianza di commi, alla quale dianzi mi hai
profondamente interessato.
Arsi e tesi vere dimensioni del senario.

12. 25. M. - Sii attento dunque e dimmi se, secondo te, possibile dividere la
lunghezza in parti all'infinito.
D. - I concetti mi sono evidenti. Ritengo sia impossibile dubitare che la

lunghezza, cio la linea, ha una sua met e pu dunque esser divisa con una
trasversale in due linee. E poich le due linee ottenute dalla divisione sono
senza dubbio linee, chiaro che anche di esse si pu fare altrettanto. Perci,
per quanto piccola, ogni lunghezza pu esser divisa in altre parti all'infinito.
M. - Hai risposto prontamente e bene. Ed ora dimmi se esatta l'affermazione
che la linea da tracciarsi per ottenere la superficie, che da essa ha origine,
genera una superficie corrispondente al proprio quadrato. Se infatti si traccia in
superficie meno o pi di quanto lunga la linea con cui si traccia, non si ha il
quadrato, se tanto quanto la linea, non si ha altro che il quadrato.
D. - Capisco e ne ho certezza; che cosa infatti di pi vero?
M. - Capisci, penso, che cosa se ne conclude. Se invece di una linea si pongono
delle pietruzze eguali disposte in lungo, questa lunghezza non giunge al
quadrato se le pietruzze non sono moltiplicate per lo stesso numero. Se, ad
esempio, si allineano due pietruzze, non si avr il quadrato se non
aggiungendone altre due in larghezza, se tre, bisogna aggiungerne sei, ma tre
e tre distribuite nelle due dimensioni in senso di larghezza, giacch se sono
disposte in lunghezza, non si ottiene alcuna figura. Infatti la lunghezza senza
larghezza non figura. E cos proporzionalmente si possono considerare gli
altri numeri. Infatti come due, per due e tre per tre sono quadrati nei numeri,
cos quattro per quattro, cinque per cinque, sei per sei e cos all'infinito negli
altri numeri.
D. - Anche questi concetti sono veri ed evidenti.
M. - Ed ora rifletti se esiste la lunghezza di tempo.
D. - Non v' dubbio; non si ha tempo senza lunghezza.
M. - E il verso pu non occupare una certa lunghezza di tempo?
D. - Anzi necessario che l'abbia.
M. - E che cosa invece delle pietruzze poniamo pi convenientemente in questa
lunghezza? I piedi che sono divisi necessariamente in due parti, una in arsi e
una in tesi, o piuttosto gli stessi semipiedi che sono uno in arsi e uno in tesi?
D. - Penso che pi convenientemente invece delle pietruzze si pongono i
semipiedi.
Perfetta eguaglianza fra i commi dei senari.

12. 26. M. - Ed ora ricorda quanti semipiedi ha il comma pi breve del verso
epico.
D. - Cinque.
M. - Fa' un esempio.
D. - Arma virumque cano.
M. - E desideri altro se non conoscere come gli altri sette semipiedi siano in
rapporto di eguaglianza con questi cinque?
D. - No, niente altro.
M. - E i sette semipiedi possono formare da soli un verso completo?
D. - S. Il primo e pi breve verso ha proprio questo numero di semipiedi, con
l'aggiunta al ritmo della pausa in fine.
M. - Dici bene, ma perch possa essere verso, come si divide in due cola?
D. - In quattro e tre semipiedi, naturalmente.
M. - Moltiplica dunque ciascuna di queste due parti secondo il quadrato e d
quanto fa quattro per quattro.
D. - Sedici.
M. - E tre per tre?

D. - Nove.
M. - Ed insieme?
D. - Venticinque.
M. - Dunque sette semipiedi possono contenere due cola. Se ciascuno dei due
cola si riporta alla legge del quadrato, danno assommati il numero venticinque.
Ed una parte del verso epico.
D. - S.
M. - Ora il primo emistichio che ha cinque semipiedi non pu essere diviso in
due cola e deve corrispondere con una determinata eguaglianza all'altro. Non
deve dunque essere moltiplicato tutto intero secondo il quadrato?
D. - Non la penso diversamente e scopro finalmente la singolare eguaglianza.
Infatti cinque per cinque fanno ugualmente venticinque. E per questo non
immeritatamente gli esametri sono divenuti pi noti e perfetti. A mala pena
pu esprimersi la differenza che esiste fra la loro eguaglianza, sebbene con
commi ineguali, e quella di tutti gli altri versi.
Diverse eguaglianze nel verso.

13. 27. M. - La mia promessa non ti ha deluso, o meglio non ci ha deluso la


teoria che entrambi seguiamo. Ed ora, tanto per chiudere una buona volta
questo discorso, puoi notare che si danno metri, per cos dire innumerevoli.
Tuttavia non si d verso senza due cola rapportati fra di loro o con un numero
eguale di semipiedi compiuti ma non invertibili, come in: Maecenas atavis//
edite regibus, oppure con un numero ineguale di semipiedi, ma congiunti con
una determinata eguaglianza, come quattro e tre, cinque e tre, cinque e sette,
sei e sette, otto e sette, sette e nove. Il verso trocaico pu appunto cominciare
con un piede compiuto, come in: Optimus beatus ille qui procul negotio,
oppure con un piede incompiuto, come in: Vir optimus beatus ille qui procul
negotio, ma non pu terminare che con un piede incompiuto. Ma tutti i piedi
incompiuti, sia che abbiano un semipiede intero, come nell'ultimo che ho
citato, o meno di un semipiede, come le due brevi finali del verso coriambico:
Maecenas atavis edite regibus, o pi di un semipiede, come al principio del
medesimo verso le due lunghe o il bacchio alla fine di un differente verso
coriambico, come: Te domus Evandri, te sedes celsa Latini 7, tutti questi piedi
incompiuti dunque si considerano semipiedi.
Sistemi strofici o periodici.

13. 28. Inoltre non si fanno composizioni poetiche soltanto con versi, in cui si
mantiene il medesimo schema, come quelle dei poeti epici e anche comici, ma i
poeti lirici costruiscono anche sistemi strofici, che i greci chiamano
,
non soltanto con metri che sfuggono alle regole del verso, ma anche con versi.
Ad esempio questo di Orazio:
Nox erat, et caelo fulgebat luna sereno Inter minora sidera 8
un sistema di due cola ed formato di versi. Ma questi due versi non
potrebbero essere uniti nel sistema, se l'uno e l'altro non si rapportassero a
piedi di sei tempi. Infatti lo schema del verso epico non si rapporta con quello
del giambico e del trocaico, poich i piedi del primo si dividono in parti eguali e
quelli degli altri nel rapporto di due a uno. I sistemi strofici si compongono
dunque o unicamente di metri, senza versi, come quelli, di cui abbiamo parlato
precedentemente quando abbiamo trattato dei metri o unicamente di versi,
come quelli di cui si sta parlando o in modo da essere contemperati di versi e
metri, come questo:

Diffugere nives, redeunt iam gramina campis, Arboribusque comae 9.


Ha poca importanza all'estetica uditiva l'ordine con cui sono disposti i versi con
gli altri metri e i cola pi lunghi con i pi corti, purch il sistema strofico non
abbia meno di due cola e non pi di quattro. Ma se non hai obiezioni, si ponga
fine a questa discussione. Come continuazione dell'argomento attinente a
questa parte della musica che consiste nei ritmi dei tempi, da queste sue orme
sensibili dobbiamo giungere, con la capacit di cui disponiamo, alla sua dimora
segreta, in cui essa spoglia del dato sensibile.

1
2
3
4
5
6
7
8
9

VIRGILIO, Aen. 3, 549.


VIRGILIO, Aen. 1, 1-7.
CATULLO, Carm. 4, 1.
ORAZIO, Odi 1, 1, 1.
MARIO VITTORINO, Ars gramm., in G.L. 52, 34.
ORAZIO, Epod. 2, 1.
ENNIO, Ann. fr. inc. sedis.
ORAZIO, Epod. 15, 1-2.
ORAZIO, Odi 4, 7, 1-2.

LIBRO SESTO
RITMOLOGIA
Premessa a quattro categorie di lettori.

1. 1. M. - Troppo a lungo e direi proprio in uno studio da fanciulli, per cinque


libri, abbiamo fatto pausa sulle orme di ritmi appartenenti alle pause dei tempi.
Ma forse l'utilit dell'opera render scusabile presso gli uomini cortesi la nostra
frivolezza. Abbiamo appunto pensato di intraprenderla perch adolescenti o
anche individui di ogni et, che Dio ha dotato di intelligenza, con la guida della
ragione siano distolti, non tutto a un tratto ma a gradi, dalle opere letterarie
consegnate al mezzo sensibile, per le quali loro difficile non provare
attaccamento. Cos potranno nell'amore della verit che non diviene sentire
attaccamento al solo Dio e Signore di tutte le cose che regge la mente umana
senza la mediazione di alcun essere diveniente. Chi legger dunque i libri
precedenti riscontrer che ci siamo intrattenuti con lo spirito di grammatici e
poeti, non con l'intenzione di rimanere assieme a loro, ma per necessit di
rinnovarne la conoscenza. Ma il lettore giunto a questo libro, se come spero e
prego umilmente, Dio Signore nostro guider il proposito della mia volont e la
far giungere alla meta voluta, capir che pu essere di poco valore la via che
conduce a una conquista di grande valore. Ed ora abbiamo preferito
incamminarci su di essa con individui pi deboli, noi non del tutto forti, anzich
precipitare, forniti di ali troppo fragili, per cieli pi liberi. Cos penso che egli,
se appartiene al numero degli uomini spirituali, giudicher che abbiamo
peccato poco o nulla. La schiera poi di coloro che fanno un gran chiasso sulle
disquisizioni linguistiche e che si rallegrano per volgare leggerezza allo strepito
di coloro che li applaudono, se per caso si imbatter in questi scritti, o li
disprezzer tutti interi o riterr che i primi cinque libri son sufficienti per loro e
getter via come inutile quest'ultimo che contiene il frutto degli altri, oppure
come superfluo lo rimander a pi tardi. Ci sono altri che non sono stati istruiti
a comprendere questi concetti, ma essendo educati ai misteri della
purificazione cristiana e tendendo verso Dio uno e vero col pi grande amore,
hanno oltrepassato a volo tutte le nozioni per fanciulli. E affinch non
ridiscendano verso queste conoscenze e trovandovi difficolt non si lamentino
della propria incapacit, io fraternamente avviso costoro che, pur non
conoscendo vie difficili e faticose ai loro piedi, possono oltrepassarle volando
anche se le ignorano. Vi potrebbero essere anche dei lettori che, avendo il
passo malfermo e privo di allenamento, non possono camminare per questa
via e non hanno le ali della piet per oltrepassare queste nozioni trascurandole.
Costoro non s'impiccino in una faccenda che non adatta per loro, ma con gli
insegnamenti di una religione salutare e nel nido della fede cristiana rafforzino
le ali, da cui sollevati possano evitare la fatica polverosa di questo cammino,
ardendo di amore per la patria stessa che per queste vie tortuose. Questi libri
infatti sono stati scritti per coloro che, dediti alle lettere profane, incorrono in
gravi errori e consumano il loro buon ingegno con delle inezie, senza sapere
che cosa li diletta in esse. Che se se ne accorgessero, vedrebbero per quale via
fuggire le trappole e qual il luogo della sicurezza che d felicit.
I ritmi sensibili e il corpo (2, 2 - 4, 7)
Il ritmo sensibile nel suono...

2. 2. Pertanto, amico mio, col quale ora sto ragionando per passare dalle cose
materiali a quelle spirituali, rispondimi, se vuoi. Quando noi pronunciamo

questo verso: Deus creator omnium 1, dove pensi che siano i quattro giambi,
di cui formato, e i dodici tempi, cio soltanto nel suono che si ascolta, o
anche nell'udito di chi lo ascolta e anche nell'azione di chi lo pronuncia?
Oppure, essendo questo verso conosciuto, bisogna ammettere che questi ritmi
sono anche nella nostra memoria?
D. - In tutti questi luoghi, penso.
M. - E anche in altri?
D. - Altro non ne vedo, a meno che forse non vi sia una qualche facolt
interiore e superiore, da cui questi ritmi derivano.
M. - Io non chiedo che cosa si possa supporre. Perci se questi quattro modi ti
sembrano tali che non ne vedi un altro ugualmente evidente, distinguiamoli, se
ti va, gli uni dagli altri ed esaminiamo se se ne pu avere uno senza gli altri.
Non potrai negare infatti, credo, la possibilit che in qualche luogo si verifichi
un suono, il quale percuota l'aria con frequenza uniforme e di brevi pause, ad
esempio per stillicidio o qualche altro urto di corpi e che non vi sia alcuno che
ascolti. Quando ci avviene, si pu avere, oltre il primo modo, cio che il suono
stesso ha i ritmi, un altro dei quattro modi?
D. - Nessun altro, secondo me.
...nell'udito...

2. 3. M. - E il ritmo che nell'udito di chi ascolta si potrebbe avere, se non vi


fosse alcun suono? Non chiedo se l'udito ha la facolt di percepire un suono
reale, poich non ne privo anche se manca il suono ed anche quando vi
silenzio, esso differisce da quello dei sordi. Chiedo se esso percepisce dei ritmi
anche se non vi suono. Poich una cosa avere dei ritmi e un'altra poter
percepire un suono ritmico. Se infatti si tocca con un dito un punto sensoriale
del corpo, il ritmo percepito con l'atto del toccare ogni volta che si tocca e
quando percepito, chi percepisce non ne privo. Non si domanda quindi se
rimane la sensazione, ma il ritmo anche se nessuno tocca.
D. - Io non direi con tanta disinvoltura che, anche prima che si produca un
suono, il senso sia privo di tali ritmi sussistenti in lui. Altrimenti non potrebbe
godere della loro ritmicit o essere infastidito dalla loro dissonanza. Ed io
chiamo ritmo dell'udito stesso questo qualche cosa, con cui per attivit
spontanea e non riflessa si gradisce o si rifiuta un suono reale. Infatti la facolt
di gradire o rifiutare non si produce nel mio udito nell'atto che odo il suono
poich l'udito ugualmente disposto per i suoni gradevoli e per quelli
sgradevoli.
M. - Piuttosto cerca di capire che le due cose non si devono confondere. Se
infatti si pronuncia un verso qualsiasi, ora pi rapidamente, ora pi
lentamente, esso necessariamente non conserva la medesima durata di tempo,
anche se si impiega il medesimo schema di piedi. dunque la facolt con cui si
gradiscono i suoni ritmici e si rifiutano quelli aritmici a far s che il verso diletti
l'udito nella figura che gli propria. Al contrario il fatto che il verso sia
percepito in tempo pi breve se declamato pi velocemente di quanto
declamato pi lentamente ha rilevanza soltanto quando l'udito stimolato dal
suono. Dunque la modificazione dell'udito quando stimolato dal suono non
certamente la medesima di quando non stimolato da alcun suono. Come
appunto l'udire differisce dal non udire, cos differisce udire un suono o udirne
un altro. Dunque la modificazione non si prolunga al di l e non si restringe al
di qua, poich la durata del suono che la produce. Quindi altra nel giambo,

altra nel tribraco, pi lunga nel giambo pronunciato pi lentamente e pi breve


nel giambo pronunciato pi celermente, e non si ha nella pausa. E se la
modificazione prodotta da una frase ritmica, anche essa necessariamente
ritmica. E non pu aversi se non si ha il suono come sua causa. simile in
definitiva alla figura delineata nell'acqua; essa non si ha prima che il corpo vi
venga immerso e non rimane quando il corpo viene allontanato. In realt la
spontanea facolt, per cos dire, capace di giudizio, che presente nell'udito,
non cessa di esistere nel silenzio e non ce l'apporta il suono che gradevole o
sgradevole viene da essa ricevuto. Pertanto questi due primi modi, se non mi
inganno, devono essere considerati come distinti. Si deve quindi riconoscere
che i ritmi presenti nella modificazione stessa dell'udito, quando si ha lo
stimolo uditivo, sono apportati dal suono e tolti dal silenzio. Ne segue che i
ritmi presenti nel suono stesso possono aversi senza quelli che si hanno
nell'atto dell'udire, mentre questi ultimi non si possono avere senza i primi.
...nella dizione e nella memoria...

3. 4. D. - Son d'accordo.
M. - Considera dunque il terzo modo che nella stessa tecnica e azione di chi
pronuncia. Esamina se questi ritmi si possono dare senza quelli che sono nella
memoria. Infatti, anche restando in silenzio, possiamo svolgere in noi stessi
certi ritmi rappresentandoceli con la durata di tempo con cui sarebbero svolti
mediante la dizione. Evidentemente questi ritmi si hanno in una determinata
azione della coscienza che non proferisce alcun suono e non produce
modificazione nell'udito. Quindi tale azione prova che questo modo pu
aversi senza i primi due, di cui uno nel suono, l'altro in chi ascolta. Ma noi
cerchiamo se si avrebbe senza che intervenga la memoria. Ora se l'anima
produce i ritmi che troviamo nel pulsare delle vene, il problema risolto,
poich essi evidentemente si hanno mediante un'azione e per averli non siamo
aiutati dalla memoria. E se per quanto li riguarda si rimane dubbiosi che
derivino da un'attivit dell'anima, riguardo a quelli invece che produciamo
aspirando e respirando non v' dubbio che siano ritmi per gli intervalli di tempo
e che l'anima li produce in maniera tale che con l'intervento della volont pu
variarli in molti modi e tuttavia perch siano prodotti non v' alcun bisogno
della memoria.
D. - A me sembra che questo modo pu aversi senza gli altri tre. E sebbene io
non metta in dubbio che le pulsazioni delle vene e la frequenza della
respirazione variano in rapporto alla condizione fisica dei corpi, non si pu
negare tuttavia che il fenomeno avviene per azione dell'anima. Ed anche se
questo dinamismo, in rapporto alla diversit dei corpi, in alcuni pi veloce, in
altri pi lento, non si avrebbe tuttavia se non fosse l'anima che lo attiva.
M. - Considera allora anche il quarto modo, cio di quei ritmi che sono nella
memoria. Infatti se li riscopriamo col ricordo, e quando ci portiamo ad altre
rappresentazioni, li abbandoniamo di nuovo come riposti nei loro nascondigli,
evidente, come penso, che si possano avere senza gli altri.
D. - Non dubito che si possono avere senza gli altri, tuttavia se essi non
fossero stati uditi o rappresentati, non sarebbero affidati alla memoria. Perci,
anche se restano quando gli altri cessano, sono in noi impressi da essi che li
precedono.
...e un quinto nel giudizio dell'udito...

4. 5. M. - Non mi oppongo e vorrei chiederti ormai quale di questi quattro modi

giudichi il pi eccellente. Senonch sto pensando che nell'esaminare quei modi


ne venuto fuori, non so da dove, un quinto che nello stesso giudizio
spontaneo dell'udito, quando si prova diletto nella eguaglianza dei ritmi, o se
v' qualche difetto si rimane infastiditi. Io non respingo la tua opinione che il
nostro udito, senza certi ritmi, di cui ha l'abito, non potrebbe formulare tale
giudizio. O pensi che una facolt cos alta appartenga a uno di questi quattro
modi?
D. - Penso che questo modo deve esser distinto da tutti gli altri. Una cosa
infatti produrre suoni, che si attribuisce ai corpi, altro udire che una
modificazione subita dall'anima nel corpo mediante i suoni, altro attivare dei
ritmi pi lentamente o pi velocemente, altro ricordarli, altro infine
pronunciare, come per un diritto nativo, una sentenza su tutti questi dati o
gradendoli o rifiutandoli.
...che superiore agli altri.

4. 6. M. - Ed ora dimmi quale di questi cinque modi il pi eccellente.


D. - Il quinto, secondo me.
M. - Hai ragione. Infatti non potrebbe giudicare gli altri, se non fosse superiore
ad essi. Ma torno a chiedere quale degli altri quattro ritieni di maggior pregio.
D. - Certamente quello che nella memoria, poich vedo che in essa i ritmi
permangono pi a lungo di quando son prodotti come suono, di quando sono
uditi e di quando derivano dall'azione.
M. - Tu dunque giudichi gli effetti superiori alle cause. Hai detto poco fa che
questi ritmi sono impressi nella memoria dagli altri.
D. - Non vorrei, ma d'altronde non vedo perch non dovrei giudicare cose che
permangono pi a lungo superiori a cose che permangono di meno.
M. - Questa costatazione non influisca su di te. Le cose eterne si devono
ritenere superiori a quelle temporali, ma non per questo le cose che
deperiscono in un tempo pi lungo si devono giudicare superiori a quelle che
fluiscono pi velocemente. La salute di un sol giorno vale certamente di pi
della infermit di molti giorni. E tanto per limitarci al confronto di oggetti
egualmente desiderabili, vale di pi il leggere di un giorno che lo scrivere di pi
giorni, se il testo scritto in pi giorni pu esser letto in un sol giorno. Cos i
ritmi che si hanno nella memoria permangono pi a lungo di quelli, da cui sono
impressi, tuttavia non bisogna considerarli pi perfetti di quelli che si hanno
nell'azione derivante dall'anima e non dal corpo. In realt entrambi tendono al
non essere, gli uni per inattivit, gli altri per oblio. Sembra per che i ritmi
derivanti dall'azione, anche prima che si cessi di agire, siano fatti scomparire
da quelli che seguono, nell'atto che succedendosi i primi lasciano il posto ai
secondi, i secondi ai terzi e cos di seguito quelli che vengono prima a quelli
che vengono dopo fino a che l'inattivit pone fine agli ultimi. Con l'oblio invece
vengono cancellati insieme, anche se a poco a poco, molti ritmi, poich anche
essi non rimangono a lungo nella loro compiutezza. Ad esempio, un ricordo che
dopo un anno non esiste pi nella memoria gi indebolito anche dopo un sol
giorno. Questo indebolimento per non avvertito. Tuttavia non erroneamente
si pu dedurlo dal fatto che il ricordo non svanisce tutto all'improvviso il giorno
prima che si completi l'anno. Se ne pu dedurre che comincia a sfuggire dal
momento che impresso nella memoria. Da ci quel comune modo di dire:
" Ricordo vagamente ", quando dopo un po' di tempo si richiama col ricordo
qualche cosa, prima che svanisca completamente. Perci l'uno e l'altro modo di

essere del ritmo ha una fine. Tuttavia giustamente le cause si antepongono


agli effetti.
D. - Capisco e son d'accordo.
Maggiore e minore corporeit dei ritmi.

4. 7. M. - Esamina ora gli altri tre modi di essere dei ritmi ed esponi anche di
essi quale sia il pi perfetto e da considerarsi superiore agli altri.
D. - Non facile. Da quella regola, per cui bisogna anteporre le cause agli
effetti, sono costretto a dare la palma ai ritmi nella fonte sonora. Infatti noi li
percepiamo con l'udito e percependoli ne siamo modificati. Essi dunque
producono quelli che sono nella modificazione dell'udito nell'atto di udire. A
loro volta questi ritmi che si hanno con la percezione ne producono altri nella
memoria e sono ragionevolmente da considerarsi pi perfetti di essi perch li
producono. E fin qui, giacch percepire e ricordare sono propri dell'anima, non
provo indecisione se devo reputare una facolt dell'anima pi perfetta di
un'altra che egualmente in essa. Mi rende indeciso il dover considerare i ritmi
della fonte sonora, che certamente del corpo o in qualche modo nel corpo,
pi elevati di quelli che si riscontrano nell'anima nell'atto del percepire. Ma qui
di nuovo mi rende indeciso il non doverli considerare pi elevati, dal momento
che essi producono, gli altri sono da essi prodotti.
M. - Meravigliati piuttosto del fatto che il corpo pu agire sull'anima. Forse non
lo potrebbe se il corpo, che l'anima informava e dirigeva ai fini senza alcuna
pena e con somma facilit, volto al peggio dal primo peccato, non fosse
sottoposto alla concupiscenza e alla morte. Ma esso conserva tuttavia una
bellezza nell'ordine del sensibile e perci stesso fa risaltare la dignit
dell'anima, la cui ferita e malattia non meritarono di rimanere senza l'onore di
una certa nobilt. La somma Sapienza di Dio si degnata, per un mirabile e
ineffabile mistero, di prendere su di s questa ferita, quando ha assunto l'uomo
senza peccato ma non senza la condizione di peccatore. Infatti voluto
nascere, soffrire e morire come uomo, non per averlo meritato ma per infinita
bont, affinch evitassimo pi la superbia, per cui meritatamente siamo caduti
in questi mali, che gli oltraggi che egli ha ricevuto immeritatamente, affinch
noi scontassimo con animo sereno la morte dovuta, se egli non dovuta ha
potuto sostenerla per noi. Si aggiunga ogni altro concetto relativo, in tale
mistero, all'interiore purificazione che dai santi e dai pi buoni si possa
pensare. E dunque non cosa da meravigliarsi se l'anima, agendo nella carne
mortale, subisca la soggezione del corpo. E non perch essa pi perfetta del
corpo, bisogna pensare che tutto ci che avviene in essa sia pi perfetto di ci
che avviene nel corpo. Ritieni, penso, che il vero da ritenersi pi perfetto del
falso.
D. - Chi ne dubiterebbe?
M. - forse vero l'albero che si vede nel sogno?
D. - Certo no.
M. - Ma ora la sua immagine si ha nell'anima e invece l'immagine di quello che
ora vediamo riprodotta nel corpo. Ora sebbene il vero pi perfetto del falso
e l'anima pi perfetta del corpo, il vero che nel corpo pi perfetto del
falso che nell'anima. E come il vero pi perfetto perch vero e non perch
si ha nel corpo, cos il falso forse meno perfetto perch falso e non perch
si ha nell'anima. A meno che tu non abbia da obiettare.
D. - Proprio niente.

M. - Ascolta un altro esempio che avrebbe, come penso, maggiore somiglianza


che perfezione. Non potrai negare infatti che ci che conviene pi perfetto di
ci che non conviene.
D. - Anzi lo affermo.
M. - Chi potrebbe mettere in dubbio che una donna convenientemente
vestita con un abito, col quale un uomo indecentemente vestito?
D. - Anche questo chiaro.
M. - C' dunque da meravigliarsi tanto se questo modo di ritmi conveniente
nei suoni che giungono all'udito ed sconveniente nell'anima, quando li ha in
s percependoli e subendone la soggezione?
D. - Non credo.
M. - Perch dunque esiteremo a reputare i ritmi di una fonte sonora corporea
pi perfetti di quelli che ne sono l'effetto, anche se questi si hanno nell'anima
che pi perfetta del corpo? In realt noi reputiamo alcuni ritmi migliori di
altri, quelli che li producono di quelli prodotti, e non il corpo dell'anima. Infatti i
sensibili sono tanto pi perfetti quanto pi sono ritmici da tali ritmi. L'anima
invece diviene pi perfetta con la privazione dei ritmi che riceve dal corpo,
quando si allontana dal sensibile e si trasforma con i ritmi divini della sapienza.
Si dice infatti nella Sacra Scrittura: Sono andato in giro per conoscere,
esaminare e cercare la sapienza e il ritmo 2. E non bisogna certamente
supporre che il detto riguarda quei ritmi, di cui risuonano anche gli spettacoli
scandalosi, ma, credo, di quelli che l'anima non riceve dal corpo ma che essa
piuttosto imprime sul corpo dopo averli ricevuti dal sommo Dio. Ma qualunque
sia l'argomento, non si deve esaminarlo qui.
I ritmi sensibili e l'anima (5, 8 - 8, 22)
L'anima non ha dal corpo come la materia dall'agente.

5. 8. Ci si potrebbe obiettare che la vita dell'albero pi perfetta della nostra


perch non riceve ritmi dal corpo con la sensazione, in quanto non ha alcun
senso. Ma si deve considerare attentamente se veramente ci che si chiama
sentire un qualche cosa che si produce dal corpo nell'anima. per molto
irragionevole assoggettare l'anima in certo senso materia al corpo come causa
agente. L'anima infatti non mai meno perfetta del corpo e la materia meno
perfetta della causa agente. Dunque l'anima non in senso assoluto soggetta
come una materia al corpo come causa agente. Lo sarebbe invece, se il corpo
producesse in essa qualche ritmo. E dunque nell'anima non si producono,
nell'atto dell'udire, ritmi per influsso di quelli che si percepiscono nei suoni. Hai
qualche cosa in contrario?
D. - Che cosa avviene dunque in chi ascolta?
M. - Qualunque sia questo dato che forse si incompetenti a scoprire e
spiegare, sar da tanto da farci dubitare che l'anima pi perfetta del corpo?
Ovvero pur ammettendo questa incompetenza, si potr assoggettarla al corpo
che agirebbe su di lei e le imporrebbe dei ritmi, come se il corpo fosse causa
agente e l'anima una materia, con cui e in cui si produrrebbe qualche cosa di
ritmico? E se questo si ammette, si deve anche ammettere che essa meno
perfetta. E che cosa di pi banale e abominevole si potrebbe ammettere?
Stando cos le cose, tenter certamente, per quanto Dio si degner di aiutarmi,
di spiegare con parole i punti oscuri dell'argomento. Ma se per la debolezza di
entrambi o di uno di noi due si otterr un risultato inferiore al desiderio, o noi
stessi con maggiore serenit indagheremo in altra occasione, o affideremo

l'indagine a persone pi intelligenti, o accetteremo con animo sereno che


l'argomento rimanga oscuro, ma non per questo dobbiamo lasciarci sfuggire
dalle mani i concetti pi chiari, di cui ho detto.
D. - Nei limiti del possibile non defletter dal tuo ammonimento, e tuttavia
vorrei che questa oscurit non rimanesse impenetrabile.
Sensazione come avvertenza nell'anima...

5. 9. M. - Dir subito la mia opinione. E tu seguimi o anche precedimi, se ti


riuscir, quando vedrai che io indugio ed esito. Io ritengo dunque che il corpo
sia animato dall'anima soltanto mediante mozione al fine di causa agente. E
ritengo che essa non sia modificata affatto dal corpo, ma che agisce su di esso
e in esso, in quanto provvidenzialmente soggetto al suo dominio e che talora
influisce con facilit e talora con difficolt; a seconda che, in vista della sua
dignit, l'essere corporeo le pi o meno sottomesso. Dunque tutti i sensibili
che o sono introdotti nel corpo o si presentano come oggetti esterni producono
non sull'anima ma sul corpo una reazione che o ostacola o favorisce l'influsso
dell'anima stessa. Perci quando essa resiste all'oggetto che la ostacola e
spinge a forza con difficolt in direzione del proprio influsso la materia che le
soggetta, essa a causa della difficolt si rende pi cosciente nell'azione. E
questa difficolt, quando in virt della coscienza avvertita, si dice avere
sensazione, e in questo caso si chiama dolore o fatica. Quando invece l'oggetto
che si introduce o si presenta al di fuori in corrispondenza, l'anima con
facilit lo muove o tutto o la parte necessaria in direzione della sua mozione. E
questa azione, con cui essa mette a contatto il proprio corpo con un corpo
esterno confacente, avvertita, perch compiuta con maggiore coscienza a
causa dello stimolo esterno; e data la convenienza dell'oggetto si ha una
sensazione di piacere. E quando vengono meno i sensibili, con cui pu riparare
l'indebolimento del corpo, si ha il bisogno. E poich resa pi cosciente dalla
difficolt di provvedere e avverte questa sua attivit, si hanno la fame, la sete
e simili. E quando i cibi ingeriti sono in pi del bisogno e dalla loro pesantezza
sorge la difficolt di digestione, anche questo fenomeno non si verifica senza
coscienza e poich anche questa azione avvertita, si ha la sensazione di
indigestione. L'anima agisce con coscienza anche quando smaltisce il superfluo
cibo, se con facilit provando sollievo, se con difficolt provando fastidio.
Influisce coscientemente anche sulla perturbazione proveniente dalla malattia
del corpo, poich tende a soccorrerlo nella sua prostrazione e spossatezza, e
poich cosciente di questa sua azione, si dice che sente la malattia e gli
acciacchi.
...della modificazione del corpo...

5. 10. E per non farla lunga, mia opinione che quando l'anima sente
mediante il corpo non ne subisce la modificazione, ma agisce con maggiore
coscienza nelle modificazioni del corpo e che queste funzioni, facili quando si
ha congruenza dell'oggetto, difficili quando si ha l'incongruenza, sono
avvertite. E tutto questo ci che si chiama avere sensazione. Ma il senso, che
sussiste anche quando non si ha sensazione, un organo del corpo che l'anima
muove mediante una complessione organica tale da essere pi disposta
mediante esso a influire coscientemente sulle modificazioni del corpo stesso, a
congiungere l'omogeneo con l'omogeneo e a respingere l'oggetto nocivo.
Dunque, secondo la mia opinione, muove l'elemento luminoso nella vista,
l'elemento aereo molto secco e mobile nell'udito, l'elemento umido tenebroso

nell'odorato, umido nel gusto, terreno e per cos dire crasso nel tatto. Ma sia
che i quattro elementi siano implicati con questa distribuzione o con un'altra,
l'anima li muove in uno stato d'incoscienza, se quelli che concorrono al fine
unitario del benessere fisico sono coordinati in un accordo per cos dire
amichevole. Ma quando sono implicati elementi che influiscono sul corpo con
una certa forza, per cos dire, di alterazione, l'anima adempie funzioni pi
coscienti, applicate ciascuna agli organi periferici. Si dice allora che essa ha
percezione visiva, uditiva, olfattiva, gustativa e tattile. Con queste funzioni
essa si assicura gli oggetti confacenti con piacere e con pena reagisce a quelli
non confacenti. mia opinione che l'anima con la sensazione offre alle
modificazioni del corpo queste funzioni, ma che non le subisce.
...nello stimolo uditivo o suono...

5. 11. Ma poich per il momento il problema riguarda i ritmi dei suoni ed


posto in discussione il senso dell'udito, non bisogna divagare pi a lungo su
altri concetti. Ritorniamo dunque al nostro argomento e vediamo se il suono
produce qualche effetto sull'udito. Tu lo neghi?
D. - No certo.
M. - E non ammetti che l'udito una parte animata del corpo?
D. - S.
M. - Dunque dal suono prodotto nell'aria mosso ci che in questo organo
omogeneo all'elemento aereo. Ma si deve ammettere per questo che l'anima,
la quale prima di questo suono con movimento vitale informava nel silenzio
l'organo dell'udito, o possa sospendere la propria funzione di muovere ci che
vivifica, o che continui a muovere l'elemento aereo del proprio udito, stimolato
dal di fuori, come lo muoveva prima che si producesse quel suono?
D. - Sembra che lo debba muovere diversamente.
M. - E non si deve ammettere che questo muovere diversamente influire
sull'essere senza esserne modificati?
D. - S.
M. - Non irrazionalmente quindi si ritiene che l'anima nel sentire cosciente
dei suoi movimenti o azioni o funzioni o altro termine con cui si possono
significare con maggiore propriet.
...in quanto reazione dell'anima.

5. 12. E queste funzioni si applicano ai fenomeni sensibili che le precedono,


come quando le immagini sensibili si interpongono alla luce della nostra vista o
il suono si introduce nell'udito, o quando gli odori giungono dal di fuori
all'odorato, i sapori al gusto, i vari oggetti solidi e afferrabili al resto del corpo,
o quando un oggetto si sposta o passa da un punto all'altro del corpo, o
quando tutto il corpo si muove in virt del peso proprio o di un altro corpo.
Queste sono le funzioni che l'anima esercita sulle modificazioni del corpo che
precedono. Ed essi generano piacere in lei se li fa propri e disagio se deve loro
resistere. E quando modificata da queste sue funzioni si modifica da s e non
dal corpo, ma ovviamente nell'adattarsi al corpo, a se stessa meno perfetta,
poich il corpo sempre meno perfetto di essa.
Non soggezione dell'anima alla passione...

5. 13. Dunque l'anima voltasi dal suo padrone al suo schiavo necessariamente
diviene meno perfetta e allo stesso modo voltasi dal suo schiavo al suo
padrone necessariamente si perfeziona ed offre al suo schiavo una vita molto
facile e perci non dedita al lavoro e alla fatica. A tal genere di vita appunto

non si volger alcun atto di coscienza, data la profonda tranquillit, come lo


stato fisico che si chiama salute. Esso non ha bisogno di un nostro atto di
coscienza, non perch in quello stato l'anima non influisce sul corpo, ma
perch le molto facile. Infatti in tutte le nostre attivit si agisce con tanto
maggiore coscienza quanto pi difficile agire. Ma questa salute sar
veramente sicura quando questo corpo in un determinato tempo
provvidenzialmente stabilito sar reso alla immutabilit di una volta. Ma prima
di avere conoscenza di questa sua resurrezione si ammette per fede che salva.
Bisogna infatti che l'anima sia dominata dall'essere superiore e domini l'essere
inferiore. A lei superiore solo Dio, inferiore solo il corpo, se si comprende
ogni e tutta l'anima. E come essa non pu essere tutta senza il padrone, cos
non pu eccellere senza il suo schiavo. E come il suo padrone pi perfetto di
lei, cos il suo schiavo meno perfetto. Pertanto fissa al padrone ha
conoscenza dei valori eterni di lui e diviene pi perfetta e da lei diviene pi
perfetto nel proprio ordine anche il suo schiavo. Ma trascurando il padrone e
attratta verso lo schiavo dalla concupiscenza carnale da cui mossa, ha la
sensazione delle proprie funzioni che offre a lui e diviene meno perfetta, ma
non tanto quanto lo schiavo, anche quando questo nel grado sommo del
proprio essere. E per questa prevaricazione della padrona esso molto meno
perfetto di quel che era quando lei prima della prevaricazione era pi perfetta.
...sua libera attivit e memoria.

5. 14. Perci essendo il corpo mortale e fragile, l'anima lo domina con un


difficoltoso atto di coscienza. Ne deriva per lei l'errore di considerare di pi il
piacere del corpo perch diviene oggetto della sua coscienza che l'assenza
della passione, per cui non si ha bisogno di coscienza. E non c' da
meravigliarsi se s'impiglia negli affanni giacch stima di pi l'affanno che la
serenit. E per lei nasce una pi grande preoccupazione quando si volge al
padrone, cio di non volgersi in altra parte, fino a che si plachi l'impeto delle
opere carnali, reso indomabile dalla lunga abitudine, che con ricordi
sconvolgenti si inserisce nel suo esser volta a lui. E cos placati i suoi
movimenti, dai quali portata all'esteriorit, esercita nella interiorit una libera
attivit spirituale, significata dal sabbato. Riconosce allora che Dio solo il suo
padrone perch soltanto di lui si schiavi nella pi vera libert. Ed essa eccita i
desideri carnali quando vuole, ma non li reprime quando vuole perch il
peccato in suo potere, ma non la pena del peccato. Ed anche se l'anima in s
una grande cosa, non rimane disponibile a s nel reprimere i propri
movimenti passionali. In definitiva pi energica nel peccare, ma dopo il
peccato divenuta pi inerte per divina disposizione, si rende meno capace di
strappar da s ci che ha fatto. Me infelice, chi mi liberer dal corpo di questa
morte? La grazia di Dio, per Ges Cristo nostro Signore 3. Dunque il
movimento dell'anima, che mantiene il proprio impulso e non ancora cessato,
si dice che nella memoria, e quando lo spirito volto ad altro, il movimento
di prima come se non fosse pi in esso e in realt diminuito, a meno che
prima di cessare non sia rinnovato da una certa somiglianza con altri
movimenti.
Vita sensitiva.

5. 15. Ma vorrei sapere se su questi concetti hai qualche difficolt che ti turba.
D. - Mi pare che esponi una teoria probabile e non oserei opporre nulla.
M. - Dunque la sensazione consiste nel far reagire il corpo alla modificazione

che in esso stata prodotta. Non ritieni dunque che per questo motivo non si
ha sensazione quando si tagliano ossa, unghie o capelli? E il motivo non che
queste parti non hanno vita in noi, giacch non altrimenti potrebbero entrare
nella complessione fisica, nutrirsi, crescere e mostrare la propria vitalit nel
riprodursi. Ma essi sono stimolati da un'aria, elemento mobile, meno attiva
sicch la reazione non pu essere tanto rapida quanto la modificazione con cui
si reagisce quando si ha quella che si dice sensazione. Poich si ha scienza che
tale vita si ha anche negli alberi e nelle altre piante, non lecito considerarla
migliore non solo della nostra vita, superiore anche per il pensiero, ma
nemmeno di quella delle bestie. Altro infatti non avere sensazione a causa di
una radicale insensibilit ed altrui non averne per una perfetta salute fisica.
Infatti nel primo caso mancano gli organi che reagiscono alle modificazioni del
corpo, nell'altro mancano le modificazioni stesse.
D. - Capisco e ne sono certo.
I cinque modi di ritmi nell'anima.

6. 16. M. - Ritorna dunque all'argomento e dimmi quale dei tre modi di ritmi,
di cui uno nella memoria, uno nella sensazione e un altro nel suono ti sembra
pi perfetto.
D. - Pongo quello del suono dopo gli altri due che sussistono e in certo senso
vivono nell'anima ma sono incerto quale di questi due giudicare pi perfetto.
Avevamo detto per che quelli che sono nell'azione si devono considerare pi
perfetti di quelli che sono nella memoria per il solo motivo che i primi sono
causa, gli altri effetti. Dunque per lo stesso motivo bisogna considerare anche
questi ritmi, che si hanno nell'anima nell'atto di udire, pi perfetti di quelli che
si formano nella memoria, come del resto ritenevo dianzi.
M. - Penso che la tua risposta non sia irragionevole. Ma poich si discusso
che anche i ritmi che sono nel dato sensibile sono operazioni dell'anima, come
li distingui da quelli che sono nell'atto di sentire dell'anima, quando anche
senza suono e senza intervento della memoria essa produce un movimento
ritmico nella successione di tempo? Forse dal fatto che i primi sono dell'anima
nel rapporto col corpo e gli altri dell'anima che reagisce, nell'atto di udire, alle
modificazioni del corpo?
D. - Accetto questa distinzione.
M. - Ebbene, secondo te, si deve rimanere nell'opinione che i ritmi relativi al
corpo sono pi perfetti di quelli che si hanno nella reazione alle modificazioni
del corpo?
D. - Quelli che si producono nel silenzio mi sembrano pi autonomi non solo di
quelli che si hanno in relazione al corpo, ma anche di quelli che si hanno in
relazione alle sue modificazioni.
M. - Vedo che abbiamo distinto e ordinato secondo gradi di perfezione cinque
modi di ritmi. Diamo loro, se vuoi dei nomi adatti affinch non sia necessario
nella rimanente parte del discorso usare pi nomi che concetti.
D. - S.
M. - Siano chiamati del giudizio estetico i primi, in formazione i secondi,
espressi i terzi, del ricordo i quarti, dell'evento sonoro i quinti.
D. - D'accordo, user volentieri questi termini.
Il valore extratemporale dei ritmi giudiziali...

7. 17. M. - Stai attento allora e dimmi quali di essi ti sembrano non divenienti,
o pensi che tutti vengano a cessare fluendo nel succedersi dei propri tempi?

D. - Penso che solo quelli di giudizio siano non divenienti, vedo che gli altri
trascorrono nell'atto che si formano o si cancellano nella memoria con l'oblio.
M. - Sei ugualmente certo del non divenire dei primi come lo sei del divenire
degli altri, o piuttosto bisogna esaminare pi attentamente se quelli di giudizio
veramente non sono nel divenire?
D. - S, esaminiamo.
M. - Dimmi dunque, quando pronuncio un verso un po' pi velocemente o pi
lentamente, purch rispetti la legge per cui i piedi si rapportano dell'uno a due,
inganno forse il giudizio del tuo udito?
D. - No, certamente.
M. - E il suono che si diffonde con sillabe pi rapide e quasi precipitose pu
riempire un tempo maggiore di quello in cui si effonde?
D. - Come possibile?
M. - Se dunque i ritmi di giudizio fossero contenuti da limite di tempo in una
durata eguale a quella in cui si propagano i sonori, potrebbero arrogarsi il
giudizio di ritmi sonori che fossero proferiti un po' pi lentamente con lo
schema giambico?
D. - No, assolutamente.
M. - dunque evidente che i ritmi precostituiti a giudicare non sono soggetti al
limite dei tempi.
D. - proprio evidente.
...viene discusso...

7. 18. M. - Fai bene ad approvare. Ma se non fossero contenuti in alcun limite,


per quanto lentamente pronunciassi dei giambi nella lunghezza di regola, i
ritmi in parola sarebbero ugualmente impiegati per l'esame critico. Ora se
pronunciassi una sillaba con la durata con cui si compiono tre passi, per non
esagerare, di uno che cammina e un'altra con un tempo doppio e di seguito
disponessi una serie di giambi di eguale lunghezza, sarebbe nondimeno
rispettato lo schema dell'uno a due e tuttavia non potremmo impiegare questo
giudizio spontaneo per ritener valide queste misure ritmiche. Non ti sembra?.
D. - S, non lo posso negare. Per me il concetto evidente.
M. - Dunque anche i ritmi di giudizio sono soggetti ai limiti della misura dei
tempi che nell'esaminare criticamente non possono superare e non hanno
competenza a giudicare tutto ci che non rispetta le misure stabilite. E se ne
sono soggetti, non vedo in che modo siano indefettibili.
D. - E io non vedo che cosa devo rispondere. E sebbene sia meno disposto ad
ammettere la loro indefettibilit, non capisco tuttavia in che senso da ci che
hai detto si concluda che sono defettibili. Pu accadere che per quanto lunghe
siano le misure ritmiche che possono esaminare criticamente, lo possono
sempre. Non posso dire infatti che, come gli altri, o possano essere cancellati
dall'oblio, oppure che hanno durata e lunghezza eguali al tempo, in cui si
effonde il suono, e alla lunghezza in cui si estendono i ritmi espressi o con cui
sono formati e pronunziati quelli che abbiamo chiamato in formazione. Gli uni e
gli altri appunto hanno fine col tempo dell'evento che li costituisce. Al contrario
i ritmi di giudizio, quantunque variano da una determinata brevit a una
determinata lunghezza, rimangono invariati, non so se nell'anima ma
certamente nella stessa natura umana, allo scopo di esaminare criticamente i
ritmi composti approvandone l'euritmia e condannando la disritmia.
...e ricondotto nei limiti dell'esperienza.

7. 19. M. - Almeno mi concederai che alcuni individui sono infastiditi pi


prontamente dai ritmi manchevoli, altri pi lentamente, e che i pi non
riconoscono quelli difettosi se non nel confronto con quelli perfetti, dopo aver
ascoltato quelli regolari e quelli irregolari.
D. - S, lo concedo.
M. - E da che si ha, secondo te, questa differenza se non dalla natura o
dall'esercizio o da tutte e due?
D. - Da tutte e due, penso.
M. - Ti chiedo dunque se un individuo pu giudicare e approvare intervalli
ritmici pi lunghi, mentre un altro non lo pu?
D. - Credo di s.
M. - E quello che non pu, se si esercita convenientemente e non sia tanto
stupido, non ci riuscir forse?
D. - S, certo.
M. - E potrebbero questi individui far progressi nel percepire intervalli pi
lunghi fino a potere, sebbene siano interrotti per lo meno dal sonno,
rappresentarsi con la loro sensibilit critica intervalli, nel rapporto di uno a due,
di ore, giorni e perfino mesi e anni e batterli come giambi con movimenti
cadenzati?
D. - No.
M. - E non possono perch ad ogni vivente nella propria specie stata data, in
proporzione col tutto, soltanto l'intuizione sensibile di spazio-tempo. Quindi
come il suo essere esteso in proporzione al tutto dello spazio finito perch ne
una parte e come la sua esistenza in proporzione al tutto del tempo finita
perch ne una parte, cos la sua intuizione sensibile deve essere
commisurata al movimento che compie in proporzione col movimento del tutto,
di cui questa parte. Allo stesso modo questo mondo, che spesso nella Sacra
Scrittura designato col termine di cielo e terra, contenendo l'intero dei
fenomeni, ha una lunga durata. Ma se tutte le sue parti fossero di meno in
proporzione al pi, esso finito e se fossero di pi in proporzione al meno,
esso nondimeno finito. Nelle dimensioni spazio-temporali infatti un essere
non ha una lunga durata di per s ma in rapporto a un altro che ha durata pi
breve e a sua volta un essere non ha breve durata di per s ma in proporzione
a un altro che ha durata pi lunga. Ora all'essere fisico dell'uomo stata data
una intuizione sensibile tale che con essa non pu percepire lunghezze di
tempo pi grandi di quel che richiede la lunghezza competente all'esperienza di
una tale vita. Dunque poich l'essere fisico dell'uomo defettibile, anche
questa intuizione, secondo me, defettibile. Infatti non senza ragione si dice
che l'esperienza quasi una seconda natura dell'uomo, per cos dire aggiunta.
Osserviamo appunto che con l'esperienza sono state formate come delle
facolt sensitive nuove per giudicare gli oggetti sensibili in parola e che esse
vengono a cessare con una esperienza diversa.
Essi giudicano l'eguaglianza dei ritmi in formazione...

8. 20. Ma comunque siano i ritmi di giudizio, hanno certamente una prevalenza


per il fatto che vaghiamo nell'incertezza e indaghiamo con difficolt se sono
defettibili. Sugli altri quattro modi invece il problema se sono defettibili non si
pone nemmeno. E sebbene i ritmi di giudizio non abbiano come oggetto alcuni
di loro perch questi hanno una lunghezza superiore al loro potere di giudizio,
tuttavia rivendicano i loro schemi al proprio esame. Anche i ritmi in formazione

infatti, quando tendono a produrre un evento ritmico nel sensibile, hanno la


loro misura da un comando inespresso dei ritmi di giudizio. Ci che inibisce e
trattiene da passi ineguali nel camminare, da intervalli ineguali di colpi nel
battere, da movimenti ineguali delle mascelle nel mangiare o bere, da tratti
ineguali delle unghie nel grattare, e per non elencare molte altre operazioni,
ci insomma che ci inibisce e trattiene da movimenti ineguali e ci impone
tacitamente una determinata concordanza nell'attendere a compiere un'azione
con le membra, appunto una non so quale facolt di giudizio. Ed essa ci
inculca che Dio creatore dell'essere vivente e che egli quindi si deve ritenere
autore di ogni armonizzata concordanza.
...suggeriscono agli spazi esatti agli espressi...

8. 21. I ritmi espressi poi, che certo non si producono spontaneamente ma


sono operati in relazione alle modificazioni del corpo, sono sottoposti alla
valutazione dei ritmi di giudizio e valutati per il tempo in cui la memoria pu
conservare lo schema delle loro lunghezze ritmiche. Infatti un ritmo formato di
lunghezze di tempo non pu essere esaminato se non si aiutati dalla
memoria. Perfino di una sillaba breve, sebbene termina nell'atto che inizia, si
ode in un tempo il suo inizio e in un altro la sua fine. Anche essa dunque si
estende in una lunghezza di tempo, per quanto breve, e tende dal suo inizio
per il suo mezzo alla fine. La ragione ha dimostrato che le lunghezze, tanto di
luogo che di tempo, sono divisibili all'infinito e perci di nessuna sillaba si ode
la fine assieme all'inizio. Pertanto anche nell'ascoltare la sillaba pi breve, se
non ci soccorre la memoria in modo che nell'attimo, in cui se ne ode non pi
l'inizio ma la fine, rimanga nell'anima la modificazione prodotta quando si
udito il suo inizio, non si pu dire di aver udito qualche cosa. Da ci deriva che
spesso, presi da un altro pensiero, ci sembra di non avere udito persone che
parlano in nostra presenza. E il fenomeno si verifica non perch l'anima in quel
momento non percepisce quei ritmi espressi perch indubbiamente il suono
giunto all'udito. E l'anima d'altronde non pu rimanere in quiete durante una
modificazione del suo corpo e non pu essere mossa in modo diverso, come se
quella modificazione non esistesse. Avviene dunque perch l'impulso del
movimento cade a causa dell'attenzione ad altro, ma se rimanesse, rimarrebbe
certamente nella memoria di modo che noi lo troveremmo e ci accorgeremmo
di avere udito. Che se riguardo a una sillaba breve una intelligenza pi tarda
non pu capire ci che la ragione teoretizza, di due certamente nessuno dubita
che l'anima non le pu udire simultaneamente. La seconda non si ha come
suono se la prima non cessata. Ora ci che non si ha come suono
simultaneamente, come pu essere udito simultaneamente? Come dunque ad
intuire le dimensioni dello spazio ci aiuta l'effondersi dei raggi che dalle piccole
pupille si riflettono nei luoghi illuminati e sono del nostro corpo al punto che
sono vivificati dalla nostra anima anche se sono negli oggetti lontani da noi
visti, come dunque, ripeto, siamo aiutati dal loro effondersi a intuire le
dimensioni dello spazio, cos la memoria, che quasi luce dello spazio di
tempo, quanto pi tenendo conto della sua specifica funzione, viene in certo
senso fatta spaziare fuori, tanto maggiori spazi intuisce. Talora invece colpisce
troppo a lungo l'udito un suono non distinto da interruzioni e quando una
buona volta si avuta la fine, in serrata continuit si emette un altro suono di
doppia o anche uguale lunghezza. In tal caso il movimento dell'anima, che si
verificato con l'attenzione al suono passato e svanito nell'atto che passava,

viene impedito dall'attenzione al suono che si succede senza interruzione,


quanto dire che non rimane cos nella memoria. Pertanto i ritmi di giudizio
possono fra i ritmi costituiti in lunghezze di tempo valutare soltanto quelli che
loro presenter, quasi addetta al servizio di mensa, la memoria. Si fa
eccezione quindi per i ritmi in formazione, dei quali i ritmi di giudizio regolano
perfino il formarsi. Non si deve ritenere dunque che i ritmi di giudizio si
estendono in una determinata lunghezza di tempo? Ma quel che importa la
lunghezza di tempo, in cui l'oggetto che giudicano svanisca o si possa
rievocare. Infatti non si possono discriminare e perfino percepire neanche le
figure visibili, rotonde o quadre o di altro volume o figura, se non si osservano
attentamente con la vista. Mentre infatti si guarda una parte, se sfugge ci che
stato osservato in un'altra, viene reso vano il guardare di chi li esamina
perch anche esso si verifica in un periodo di tempo. Quindi mentre il guardare
varia, si ha bisogno di rendere attenta la memoria.
...la disposizione dei memoriali e sonori.

8. 22. poi evidente che con i ritmi di giudizio sono valutati esteticamente
quelli di memoria perch la stessa memoria a presentarli. Infatti se i ritmi
espressi sono valutati soltanto perch la memoria li presenta, a pi forte
ragione ci si convince che i ritmi ricordati vivono nella memoria perch ad essi,
in quanto conservati, siamo richiamati dopo altre rappresentazioni dalla
memoria. Infatti quando si richiama qualche cosa alla memoria non si fa altro
che riscoprire ci che vi era stato depositato. Inoltre una impressione
dell'anima non ancora cancellata ritorna al pensiero nel presentarsi di
impressioni simili. E questo ci che si dice ricordo. Si riproducono cos o
soltanto nel pensiero o anche nel gesto ritmi che sono stati prodotti
precedentemente. Da ci si conosce che essi non vengono per la prima volta
ma tornano al pensiero perch, mentre venivano affidati alla memoria, erano
richiamati con difficolt e si aveva anche bisogno di qualche raffigurazione per
fissarli. Eliminata questa difficolt, quando essi stessi in forma adatta si
presentano alla volont di seguito nella loro successione temporale, noi
avvertiamo con tale prontezza che non sono nuovi, sicch quelli fissati pi
fortemente, anche se noi pensiamo ad altro, si riproducono quasi da soli. Vi
anche qualche altra cosa da cui noi sentiamo, secondo me, che una
impressione presente nell'anima gi vi stata, che il riconoscere. Si ha
quando con una specie di luce interiore si mettono in confronto impressioni
nuove proprie dell'azione che si compie mentre si ricorda, e quindi pi vivaci,
con ricordi ormai impalliditi. Questa forma di conoscenza il riconoscimentoricordo. Anche i ritmi di memoria sono dunque valutati esteticamente da quelli
di giudizio, mai soli ma sempre congiunti con quelli in formazione o espressi o
con entrambi, che li mettono in luce quasi strappandoli al loro nascondiglio e li
richiamano al ricordo dopo averli ravvivati mentre stavano scomparendo. Cos
mentre i ritmi espressi possono essere giudicati soltanto perch la memoria li
presenta ai ritmi di giudizio, a loro volta i ritmi di memoria possono essere
valutati se sono presentati dai ritmi espressi, ma con questa differenza. Perch
siano valutati i ritmi espressi, la memoria mostra, per cos dire, le orme
fresche lasciate mentre essi fuggivano. Invece quando valutiamo, udendoli, i
ritmi di memoria, per cos dire, le medesime orme sono rinfrescate dal
passaggio dei ritmi espressi. E infine che bisogno si ha di parlare dei ritmi
sonori dal momento che se si odono, sono valutati nei ritmi espressi? Se poi

l'evento sonoro si ha dove non si pu udirlo, chi pu dubitare che non possono
essere giudicati da noi? Per quanto poi attiene al ritmi di tempo che si hanno
nelle danze e nella mimica in genere, vale ci che si detto dei suoni che si
odono dall'organo dell'udito. Li giudichiamo con i ritmi di giudizio sempre con
l'aiuto della memoria.
I ritmi razionali (9, 23 - 11, 33)
I ritmi sensibili e razionali.

9. 23. Stando cos le cose, tentiamo, se ci possibile, di trascendere questi


ritmi di giudizio e indaghiamo se ce ne sono altri superiori. E sebbene in essi
non si notano pi lunghezze di tempo, si usano soltanto per valutare eventi
che si hanno in lunghezze di tempo, e non tutti ma solo quelli che sono
distribuiti nel ricordo. Hai qualche difficolt da esporre in proposito?
D. - Lo straordinario potere dei ritmi di giudizio mi impressiona assai, mi
sembra infatti che sono essi ai quali sono ricondotte tutte le funzioni dei sensi.
Non so dunque se fra i ritmi se ne pu trovare qualcuno pi eccellente di essi.
M. - Non si perde nulla a indagare pi diligentemente. Infatti o ne troveremo di
pi perfetti nell'anima umana, o confermeremo che quelli di giudizio sono in
essa i pi perfetti, se tuttavia si evidenzier che in essa non se ne hanno di pi
elevati. Altro infatti che non ci siano ed altro che non si possano scoprire da
nessuno o da noi. Ma io penso che quando si canta il verso proposto come
esempio: Deus creator omnium, lo ascoltiamo con i ritmi espressi, lo
riconosciamo con quelli di memoria, lo formuliamo con quelli in formazione, ne
siamo dilettati esteticamente in virt dei ritmi di giudizio e lo valutiamo con
non so quali altri ritmi. Ma sul fondamento del diletto estetico, che quasi la
sentenza dei ritmi di giudizio palesi, noi pronunciamo mediante ritmi pi
nascosti una sentenza pi consaputa. Oppure, secondo te, lo stesso esser
dilettati dal senso e valutare con la ragione?
D. - Ammetto che son due cose diverse. Ma prima di tutto mi sento turbato dal
nome stesso per il fatto che non siano chiamati ritmi di giudizio quelli in cui
presente la ragione, anzich quelli in cui presente il diletto estetico. Temo poi
che la valutazione della ragione non sia altro che un giudizio approfondito dei
ritmi su se stessi. Non vi sarebbero, cio, ritmi nel fatto estetico e ritmi nella
ragione, ma sarebbero gli stessi e medesimi ritmi che giudicano in maniera
diversa i ritmi sensibili quando li presenta la memoria, come stato
dimostrato, e giudicano se stessi nella pi pura sfera sovrasensibile.
Sesto genere: ritmi estetici.

9. 24. M. - Non ti preoccupare dei nomi; un affare che dipende da noi poich
i nomi sono imposti dall'arbitrio e non dalla natura. Se dunque ritieni che i due
ritmi sono identici e non vuoi accettare due diversi modi di ritmo, ti confonde,
salvo errore, il fatto che una medesima anima produce gli uni e gli altri. Ma
devi riflettere che anche nei ritmi in formazione la medesima anima muove il
corpo o mossa verso il corpo, che negli espressi questa medesima anima
reagisce alle modificazioni del corpo e che in quelli di memoria essa stessa si
muove sulle onde dei ricordi fino a quando non si placano. Quindi noi nel fare i
ritmi e distinguerne i diversi modi prendiamo in considerazione movimenti e
stati diversi di un solo essere, cio dell'anima. Or dunque altro esser mossa
verso gli oggetti che modificano il corpo, che si ha nella sensazione, altro
muoversi al corpo che si ha nel produrre ed altro conservare l'effetto prodotto
nell'anima da questi movimenti, che ricordare. Allo stesso modo altro

accettare o rifiutare movimenti ritmici nell'atto che son prodotti o quando sono
rievocati dal ricordo, e questo si ha nel diletto della concordanza di tali
movimenti o stati diversi e nel fastidio della loro discordanza; e altro valutare
se danno diletto estetico secondo una norma razionale o no, e questo si ha con
un atto di ragione. Dobbiamo dunque ammettere che sono due modi distinti,
come tre son quelli detti di sopra. Se dunque ammettiamo ragionevolmente
che qualora il sentimento estetico non fosse compenetrato esso stesso di alcuni
ritmi, non potrebbe certamente approvare le misure regolari e rigettare le
discordanti, dobbiamo anche ammettere che la ragione, la quale trascende il
sentimento estetico, non potrebbe assolutamente senza dei ritmi pi duraturi
giudicare dei ritmi che le sono inferiori. E se questo vero, evidente che
sono stati trovati nell'anima cinque modi di ritmi, e se vi aggiungerai i ritmi
corporei, che abbiamo chiamato sonori, riconoscerai che ne sono stati
classificati e disposti in ordine sei modi. Ora, se vuoi, siano chiamati sensibili i
ritmi che si sono introdotti quasi di nascosto per avere la precedenza nella
trattazione ed abbiano il nome, perch pi dignitoso, di ritmi di giudizio
estetico questi ultimi che sono stati riconosciuti pi eccellenti. Penserei di
cambiare nome anche ai ritmi sonori perch, chiamandoli corporei,
designeranno anche pi apertamente i ritmi della danza e della mimica.
Sempre che tu approvi i concetti esposti.
D. - Certo che li approvo perch mi sembrano veri ed evidenti, accetto anche
questa rettifica dei termini.
La ragione nel costituire la musica...

10. 25. M. - Ed ora rifletti sul potere dialettico della ragione nei limiti in cui
possiamo intuirlo dalle sue opere. Infatti per parlare soprattutto di ci che
concerne l'assunto di questa opera, prima di tutto ha considerato in che cosa
consiste la misura ritmica secondo arte e ha stabilito che consiste in un certo
movimento libero e volto al fine della propria bellezza. Quindi essa ha
compreso che nei movimenti sensibili altro l'essere variato mediante brevit
e lunghezza di tempo, secondo che si ha maggiore o minore lunghezza, ed
altro esser variato mediante la percussione nello spazio secondo certi gradi di
velocit o di lentezza. Fatta questa distinzione, essa ha compreso come la
variazione, che nella successione di tempo mediante lunghezze misurate e
adattate all'udito, ha dato origine con diversi congiungimenti ai vari ritmi e ha
descritto i loro schemi e distribuzione fino alle misure dei versi. Infine ha
considerato quale funzione nel misurare i ritmi, formarli, ascoltarli e ricordarli
esercita l'anima, di cui essa stessa la parte superiore, ha distinti questi che
son dell'anima da quelli del corpo ed ha conosciuto che neanche essa potrebbe
percepire questi ritmi, distinguerli e conferire loro ritmicit secondo arte senza
certi suoi ritmi e li ha considerati pi perfetti di quelli di ordine inferiore con
una sua valutazione estetica.
...nel valutare i piedi e...

10. 26. A questo punto, quando l'anima agisce cos con un proprio diletto
estetico, il quale pondera la successione dei tempi ed esprime il proprio
giudizio per misurare i ritmi suddetti, che cosa che apprezziamo nei ritmi
sensibili? Soltanto una determinata consonanza e le lunghezze misurate con
eguaglianza. Il pirrichio, lo spondeo, il dattilo, l'anapesto, il proceleusmatico, il
dispondeo, non produrrebbero diletto se non rapportassero una delle loro parti
all'altra con divisione quantitativamente equivalente. Il giambo, il trocheo e il

tribraco hanno di bellezza che con la loro parte minore dividono con
eguaglianza la parte maggiore in due parti di eguale quantit. Inoltre i piedi di
sei tempi suonano con leggiadra finezza soltanto perch hanno divisione
secondo l'uno e l'altro schema, cio in due sedi eguali di tre tempi, oppure in
una parte di un tempo e un tempo e in un'altra di due e due tempi. In questo
modo la maggiore contiene due volte la minore e a sua volta divisa con
equivalenza dalla minore che con i due tempi scompartisce i quattro in misure
di due tempi ciascuna. E i piedi di cinque e sette tempi sembrano pi adatti alla
prosa che al verso soltanto perch la loro parte minore non divide la maggiore
in parti uguali. Ma sono ammessi secondo il loro schema a dare la ritmicit dei
tempi perch nei piedi di cinque tempi la parte minore ha costantemente due
tempi primi mentre la maggiore tre tempi primi, e nei piedi di sette tempi la
parte minore ha costantemente tre tempi primi mentre la maggiore quattro.
Cos in tutti i piedi non v' mai la parte pi piccola caratterizzata con la
divisione da una determinata misura, se ad essa le altre non concordano nella
massima eguaglianza possibile.
...l'eguaglianza nei ritmi e nel verso.

10. 27. Nella combinazione dei piedi, sia che essa si svolga in una libera
successione, come nei ritmi, sia che ritorni a capo da una fine ben
determinata, come nei metri, sia anche che si distingua in due cola, i quali si
corrispondano con un determinato schema, come nei versi, un piede si
congiunge ad un altro soltanto in base al fattore della eguaglianza. E proprio
per questo la sillaba di mezzo del molosso e degli ionici, che lunga, pu
essere divisa in due tempi eguali non scindendola ma a facolt di chi recita con
la percussione, sicch il piede rientra nel rapporto di tre a tre, quando
combinato con quelli che hanno il medesimo rapporto fra le parti. E questo si
ha soltanto per la validit del principio d'eguaglianza perch, cio, la sillaba di
mezzo equivalente alle due laterali che sono di due tempi ed anche essa di
due tempi. Ma non si pu ottenere nell'anfibraco, quando unito ad altri piedi
di quattro tempi, appunto perch in esso non si trova una simile eguaglianza,
dato che la sillaba di mezzo di due tempi e le laterali di un tempo. Per lo
stesso motivo con le pause non si froda l'udito, perch il debito viene pagato al
diritto d'eguaglianza non in suono ma in lunghezza di tempo. Cos una sillaba
breve seguita dalla pausa viene considerata lunga non per convenzione ma per
un connaturato criterio che regola l'udito, soltanto perch vietato dal
medesimo principio d'eguaglianza restringere in limiti pi stretti un suono
posto in una quantit di tempo maggiore. Pertanto il significato stesso di udire
e tacere consente di prolungare una sillaba oltre i due tempi in modo che sia
occupata dal suono la quantit di tempo che si pu occupare con la pausa. Al
contrario se la medesima sillaba occupa meno di due tempi e rimane un po' di
tempo per un movimento senza suono delle labbra, si ha una violazione della
eguaglianza perch eguaglianza non si ha fra meno di due cose. Infine nella
eguaglianza dei cola, con la quale si hanno i vari sistemi, che i greci chiamano
, e si pongono versi di schema diverso, si torna con un
approfondimento al concetto di eguaglianza per il semplice fatto che il colon
pi breve si raccorda nella percussione col pi lungo mediante l'equivalenza dei
piedi. Nel verso poi in un approfondito esame dei ritmi, si scopre che i commi
in esso congiunti, sebbene ineguali, conservano la dinamica dell'eguaglianza.
Limiti del sentimento estetico.

10. 28. La ragione continua l'indagine e sottopone a interrogatorio il


sentimento estetico che si attribuisce le mansioni della critica. Gli si chiede se,
mentre lo diletta l'eguaglianza nei ritmi delle lunghezze di tempo, due sillabe
brevi, che abbia sentito, sono veramente eguali, oppure se possibile che una
delle due sia pronunciata pi lentamente, non fino alla quantit di una lunga,
ma un po' meno, tanto da superare comunque la sua compagna. Non si pu
negare che possibile, sebbene il sentimento estetico non percepisce queste
sfumature e riceve godimento da tempi ineguali come se fossero eguali. E
niente v' di pi sgradevole di tale errore e ineguaglianza. Dal fatto si
ammoniti a volgere il godimento estetico in altro senso da questi ritmi che
sono imitazioni della eguaglianza e non si pu avere certezza se ci danno la
pienezza. Anzi si certi forse che non ne danno la pienezza, e tuttavia non si
pu negare, proprio perch ne sono imitazioni, che sono belli nel loro ordine e
in virt d'una loro finalit.
Godimento superiore, eguaglianza e...

11. 29. Non abbiamo dunque un cattivo concetto delle cose che ci sono
inferiori e con l'aiuto del Dio e Signore nostro ordiniamoci al fine fra le cose che
sono sotto di noi e quelle che sono sopra di noi per non essere ostacolati dalle
inferiori ed essere dilettati soltanto dalle superiori. Il godimento appunto
quasi la legge di gravitazione dell'anima. Il godimento dunque muove l'anima
al fine. Dove infatti sar il tuo tesoro, ivi sar anche il tuo cuore 4; dove il
godimento, ivi il tesoro; dove il cuore, ivi la felicit o l'infelicit. E cose
superiori son quelle in cui permanente la sovrana, stabile, non diveniente,
eterna eguaglianza. In essa non v' il tempo perch non v' divenire e da essa
i tempi hanno origine, sono diretti al fine e regolati come imitazioni
dell'eternit attraverso i periodi in cui il moto circolare del cielo torna
all'identico, riconduce all'identico i corpi celesti e obbedisce alle leggi
d'eguaglianza, armonia e finalit con i giorni, i mesi, gli anni, i lustri e gli altri
movimenti orbitali delle stelle. Cos le cose terrene sottomesse a quelle celesti
fondono in una ritmica successione i movimenti orbitali dei propri tempi in un
quasi poema dell'universo.
...bellezza che si manifesta...

11. 30. Molte di queste cose ci sembrano senza e contro finalit, poich siamo
inseriti, secondo i nostri meriti, nel loro ordinamento al fine, senza conoscere
quale opera di bellezza la divina Provvidenza sta compiendo nei nostri
confronti. Se qualcuno, ad esempio, fosse collocato come una statua in un
angolo di una sala molto spaziosa e bella, non potrebbe percepire la bellezza
della costruzione perch ne fa parte. Cos un soldato in una schiera non pu
cogliere la disposizione di tutto l'esercito. E se in qualche composizione poetica
le sillabe si animassero a percepire solo per il tempo in cui si ode il loro suono,
non potrebbero certamente godere della ritmicit e bellezza dell'opera nella
sua interezza, perch non potrebbero valutarla in una visione unitaria, sebbene
sia stata condotta a termine per mezzo di ognuna di esse nel loro susseguirsi.
Cos Dio ha ordinato l'uomo che pecca, e quindi fuori dell'ordine, ma non
contro l'ordine. Infatti si posto fuori dell'ordine per sua volont col perdere la
tendenza all'uno che possedeva finch ha obbedito ai precetti di Dio ed stato
ordinato al fine soltanto in parte, in modo che non avendo voluto condurre al
fine la legge condotto al fine dalla legge. Ora tutto ci che si fa secondo
legge, si fa con giustizia e tutto ci che si fa con giustizia, non si fa contro

l'ordine, poich anche nelle nostre opere malvagie le opere di Dio sono giuste.
Infatti l'uomo in quanto uomo un bene, l'adulterio invece in quanto adulterio
necessariamente un male, ma spesso dall'adulterio nasce un uomo, cio
dall'opera cattiva, dell'uomo l'opera buona di Dio.
...nei ritmi sensibili...

11. 31. Ma torniamo all'argomento, giacch per chiarirlo abbiamo fatto queste
considerazioni. I ritmi della ragione eccellono in bellezza. Se ci separassimo da
essi, nel piegarci verso il corpo, i ritmi in formazione non darebbero la misura a
quelli del senso. Questi a loro volta conducono la bellezza sensibile dei tempi ai
corpi da muovere, e cos si formano anche i ritmi espressi nel loro incontro con
i sonori. L'anima, ricevendo tutte queste impressioni, le moltiplica, per cos
dire, in se stessa e produce i ritmi del ricordo. E questo dinamismo dell'anima
chiamato memoria, grande aiuto nelle attivit molteplici della esperienza
sensibile.
...nei fantasmi estetici...

11. 32. Dunque tutti gli oggetti conservati dalla memoria e derivanti dai
movimenti dell'anima, che sono reazioni alle modificazioni del corpo, sono detti
in greco
. Non trovo come vorrei chiamarli in latino. Ritenere
come conoscenze certe tali rappresentazioni adesione allo scetticismo che
portinaio dell'errore. Ma quando questi movimenti si scontrano e divengono,
per cos dire, un mare agitato per i diversi e contrastanti venti dell'atto di
coscienza, si ha un generarsi di movimenti da altri movimenti, ma non di quelli
che si hanno dall'irrompere delle modificazioni del corpo impressionato
nell'organo sensoriale, ma simili, quasi immagini di immagini. Hanno insegnato
a chiamarli fantasmi. In un modo infatti mi rappresento mio padre che ho visto
spesso e in un altro mio nonno che non ho mai visto. Il primo dato
rappresentazione, l'altro fantasma. Quello lo trovo nella memoria, l'altro in
quel movimento dell'anima che sorto dagli oggetti conservati nella memoria.
difficile scoprire e spiegare come abbiano origine i fantasmi. Penso
comunque che se non avessi mai visto corpi umani, non potrei in alcun modo
rappresentarmeli al di dentro con forma visibile. Ora ci che mi figuro da un
oggetto visto, me lo figuro con la memoria, e tuttavia altro trovare nella
memoria la rappresentazione del fantasma e altro trar fuori il fantasma dalla
memoria. Ma lo pu il dinamismo dell'anima. Per assai grande errore
considerare come oggetto di conoscenza i fantasmi anche se veri. Comunque
nell'uno e nell'altro caso v' ci che non irragionevolmente possiamo
considerare l'aver coscienza, cio avere rappresentato o immaginato quegli
oggetti. Infatti non sono uno sconsiderato se dico di avere avuto un padre e un
nonno, ma sarei proprio pazzo se dicessi che sono quelli che la mia coscienza
conserva nella immaginazione o nel fantasma. Ma alcuni accettano i propri
fantasmi con tanta sconsideratezza che unico contenuto di tutte le false
filosofie quello di considerare come oggetti di conoscenza derivati dal senso
le immaginazioni e i fantasmi. Opponiamoci dunque a questi oggetti e non
commisuriamo ad essi la mente al punto di ritenere che mentre se ne ha una
rappresentazione comprensiva, essi siano oggetto di puro pensiero.
...verso una bellezza superiore.

11. 33. Se dunque tali ritmi, che si hanno nell'anima nel suo applicarsi ad
azioni poste nel tempo, hanno una loro bellezza, anche se essi la realizzano
attimo per attimo nel loro divenire, perch la divina Provvidenza

disapproverebbe tale bellezza? vero che si configura dalla nostra soggezione


al divenire, dovuta alla pena che abbiamo meritato per giusta legge di Dio.
Tuttavia egli non ci ha abbandonato in essa al punto che non possiamo tornare
sui nostri passi ed essere distolti dal piacere dei sensi della carne per la
misericordia di lui che ci tende la mano. Infatti questo piacere infigge
profondamente nella memoria ci che essa deriva dai sensi che son causa di
cadute. E l'esperienza dell'anima nella carne, a causa della soggezione alla
carne, chiamata nella Sacra Scrittura carne. Essa lotta contro la mente,
quando si pu applicare il detto dell'Apostolo: Con la mente son soggetto alla
legge di Dio, con la carne alla legge del peccato 5. Ma se l'anima si solleva
stabilmente alle cose spirituali e vi rimane, l'assalto dell'esperienza carnale si
frange e respinto un po' alla volta cessa. Infatti era pi forte quando non
opponevamo resistenza, non cessa mai del tutto comunque, ma diminuisce
quando resistiamo. Cos tutta la nostra esistenza, mediante un consaputo
regredire da ogni movimento che allenta ogni freno e nel quale consiste il
deperire dell'essere dell'anima, riottenendo il godimento dei ritmi razionali, si
volge a Dio, mentre d al corpo i ritmi dell'assenza dalle passioni e non ne trae
diletto. Ci si compir con la distruzione dell'uomo esteriore e la sua
trasformazione in un essere pi perfetto.
Ritmi ideali (12, 34 - 17, 59)
La sede del ritmo ideale.

12. 34. La memoria non conserva soltanto i movimenti carnali dell'anima, e di


questi ritmi abbiamo gi parlato, ma anche i movimenti spirituali, di cui parler
brevemente. Infatti quanto pi sono semplici, tanto meno parole richiedono,
ma il massimo di puro pensiero. Lo spirito non desidererebbe l'eguaglianza che
non trovavamo pura e non diveniente nei ritmi sensibili, ma che tuttavia
riconoscevamo, sebbene posta nella copia e nel divenire, se non fosse oggetto
di conoscenza in qualche luogo. Ma questo luogo non si trova nelle lunghezze
di spazio e di tempo, perch quelle sono solide e queste divenienti. Rispondimi
dunque dove, se lo sai. Tu non pensi certo che esista nelle figure sensibili che
ad un sereno esame non puoi considerare eguali, n nelle lunghezze di tempo,
perch non sappiamo se in esse ve ne sia qualcuna pi lunga o pi breve di
quanto sia richiesto che sfugge all'udito. Io domando dunque dove si trova,
secondo te, l'eguaglianza ideale, giacch, avutane l'idea, desideriamo che certi
dati e movimenti sensibili siano eguali, ma dopo un'approfondita teoresi su di
lei, non osiamo pi credere che esista in essi.
D. - Io penso che si trovi in qualche luogo pi nobile del mondo sensibile ma
non so se nell'anima stessa o anche al di sopra dell'anima.
Ritmi sensibili e apprendimento, intelligibili e interiorit.

12. 35. M. - Supponi che stiamo indagando sull'arte ritmica e metrica, usata
da coloro che compongono versi. Pensi che essi abbiano in s alcuni ritmi, sul
cui modello compongono i versi?
D. - Non posso ritenere diversamente.
M. - Quali che siano questi ritmi, ritieni che siano nel divenire con i versi o che
permangano?
D. - Permangono, certamente.
M. - Devi dunque ammettere che certi ritmi divenienti sono formati con altri
non divenienti?
D. - La ragione mi costringe ad ammetterlo.

M. - E, secondo te, questa arte non altro che un'attitudine della coscienza
dell'artista?
D. - S.
M. - E credi che questa attitudine si trovi anche in chi profano in questa arte?
D. - No, certo.
M. - E in chi l'ha dimenticata?
D. - Neanche in lui, perch anche egli profano, anche se una volta ne era
intenditore.
M. - E pensi che se qualcuno in un dialogo gli fa ricordare, i ritmi passeranno
dalla coscienza del dialogante alla sua, oppure che egli interiormente nella
propria coscienza si muova verso qualche cosa da cui gli viene restituito quel
che aveva perduto?
D. - Penso che egli ricordi in se stesso.
M. - E pensi che col dialogo possa esser mosso a ricordare, se l'ha
completamente dimenticato, quale sillaba breve e quale lunga, sebbene a
causa di una umana antica precettistica e convenzione sia stata data ad alcune
sillabe una lunghezza maggiore e ad altre minore? Infatti se ci fosse
stabilmente deciso dalla natura o dall'arte, alcuni grammatici pi vicini a noi
non avrebbero considerato lunghe alcune sillabe che gli antichi hanno
considerato brevi o e considerato brevi altre che quelli han considerato lunghe.
D. - Credo che possibile perch qualsiasi cosa venga dimenticata pu tornare
alla memoria in un dialogo che induce a ricordare.
M. - Mi stupisci se pensi che mediante dialogo con qualsiasi individuo tu puoi
ricordare ci che hai mangiato a pranzo un anno fa.
D. - Confesso che non mi possibile e non penso pi che si possa mediante un
dialogo far ricordare a quel tizio sillabe, di cui ha dimenticato completamente
le lunghezze.
M. - Ma cos, soltanto perch nella parola Italia la prima sillaba era
considerata breve per decisione di alcuni individui e ora per decisione di altri
considerata lunga. Ma nessuno dei morti ha potuto, nessuno dei viventi pu e
nessuno dei posteri potr fare che uno pi due non facciano tre e che il
rapporto fra due e uno non sia due.
D. - Niente pi evidente.
M. - Ma supponi che, come abbiamo fatto noi espressamente per l'uno e il due,
quel tizio fosse interrogato su tutte le regole riguardanti i numeri
dell'aritmetica, che non conosce non perch se n' dimenticato ma perch non
le ha mai apprese. Non ritieni che, salvo le sillabe, potrebbe apprendere nello
stesso modo l'arte poetica?
D. - Che dubbio?
M. - Dunque a quale oggetto, secondo te, egli volger l'atto del pensiero
affinch i numeri della ritmica siano partecipati alla sua mente e vi producano
quell'attitudine che si chiama arte? Oppure ritieni che a lui almeno li
comunicher il dialogante?
D. - Penso che anche egli come l'altro dialogante rifletter su se stesso per
conoscere intellettivamente, mentre. risponde, che son veri i concetti trattati
nel dialogo.
Dio sede fontale dei ritmi ideali.

12. 36. M. - Ed ora dimmi se, secondo te, i ritmi, sui quali si indaga in questi
termini, sono nel divenire?

D. - No, assolutamente.
M. - Dunque non neghi che sono eterni.
D. - Al contrario, lo affermo.
M. - E potrebbe insinuarsi il timore che si dia una loro ineguaglianza e che essa
ci sfugga?
D. - Per me non v' assolutamente nulla di pi immune da timore della loro
eguaglianza.
M. - Da chi dunque si deve credere che venga partecipato all'anima l'essere
eterno e non diveniente se non da Dio il solo eterno e non diveniente?.
D. - Non vedo che si possa credere altro.
M. - Infine non forse evidente che chi nel dialogo con un altro muove
nell'interiorit l'atto del pensiero a Dio per avere pura intellezione del vero non
diveniente, se non conserva questo suo atto nella memoria, non pu tornare
ad avere pura conoscenza di quel vero, senza che qualcuno lo faccia ricordare?
D. - Chiaro.
Prudenza come scelta del bene superiore.

13. 37. M. - Chiedo ora a quale oggetto si volger costui nell'allontanarsi dalla
pura intellezione del mondo ideale perch vi debba essere richiamato dalla
memoria. O si deve forse pensare che la coscienza volta ad altro ha bisogno di
un nuovo ritorno?
D. - Penso che sia cos.
M. - Consideriamo, se vuoi, qual l'oggetto, al quale egli si pu volgere per
distogliersi dalla pura intellezione della non diveniente e somma eguaglianza.
Non ne vedo pi di tre modi. La coscienza dunque, quando se ne distoglie, o si
volge a un essere di egual valore ma altro o superiore o inferiore.
D. - Non riconosco esseri superiori all'eterna eguaglianza, quindi si deve
indagare sugli altri due casi.
M. - Ma conosci, scusa, qual essere si possa dare di egual valore, ma altro da
lei?
D. - No, non lo conosco.
M. - Resta dunque da cercare che cosa le inferiore. Ma non ti si presenta
prima di tutto l'anima stessa appunto perch ammette decisamente che l'ideale
eguaglianza non diviene, mentre avverte che lei diviene per il fatto stesso che
ha pura conoscenza in maniera diversa dei vari oggetti? Avendo dunque
conoscenza di oggetti diversi l'uno dall'altro, attua la successione del tempo
che non esiste negli oggetti eterni e non divenienti.
D. - Son d'accordo.
M. - E questa attitudine o movimento dell'anima, con cui essa conosce
intellettivamente le cose eterne e che le temporali, anche se sono in essa
stessa, sono loro inferiori, e sa che si deve tendere alle superiori anzich alle
inferiori, secondo te, non la prudenza?.
D. - Non altro, secondo me.
Bellezza nel mondo e amore disordinato...

13. 38. M. - E credi che si debba esaminare di meno il fatto che nell'anima
l'aderire alle cose eterne non si verifica nell'atto stesso che in essa si ha la
conoscenza che bisogna aderirvi?
D. - Al contrario chiedo insistentemente che lo esaminiamo e desidero sapere
da che cosa deriva.
M. - Lo capirai facilmente se considererai a quali oggetti di solito si volge

intensamente l'atto della coscienza e per i quali si mostra particolare interesse,


perch, secondo me, son quelli che si amano assai. O tu pensi diversamente?
D. - No, certo.
M. - Dimmi, ti prego, che altro si pu amare se non le cose belle? Infatti anche
se alcuni, che i greci nella loro lingua chiamano
sembrano
amare le cose deformi, importa tuttavia vedere quanto siano meno belle di
quelle che piacciono ai pi. chiaro appunto che non si amano le cose, della
cui bruttezza il senso rimane offeso.
D. - Hai ragione.
M. - Dunque le cose belle, di cui stiamo parlando, dilettano col ritmo, nel
quale, come abbiamo gi mostrato, si ricerca l'eguaglianza. Essa infatti non si
trova soltanto nella bellezza che riguarda l'udito e che si ha nei movimenti
sensibili, ma anche nelle forme visibili. Anzi ad esse ormai si applica pi
comunemente il concetto di bellezza. Tu pensi che si abbia altro che ritmica
eguaglianza, quando le parti si rapportano a coppia, proporzionalmente eguali,
e che quelle che non hanno la corrispondente siano poste nel mezzo in maniera
che ad esse da entrambi i lati siano riservate lunghezze eguali?
D. - No, la penso cos.
M. - E nella luce visibile da cui traggono origine tutti i colori? appunto il
colore che ci diletta nelle forme sensibili. Che cosa dunque nella luce e nei
colori si cerca se non ci che conveniente alla nostra vista? Infatti si distoglie
lo sguardo dalla luce abbagliante e non si vuole guardare oggetti male
illuminati. Cos per quanto riguarda i suoni, si frastornati da suoni assordanti
e non si gradiscono quelli, per cos dire, ridotti a un bisbiglio. Il fenomeno non
consiste nelle lunghezze di tempo, ma nello stesso suono che come la luce
dei ritmi e al quale opposto il silenzio come le tenebre ai colori. Dunque noi
tendiamo a cose convenienti secondo il modo di essere della nostra natura e
respingiamo le cose non convenienti che, come esperimentiamo, sono
convenienti ad altri animali. Anche per questo aspetto quindi noi ricaviamo
godimento grazie a un determinato diritto d'eguaglianza, quando notiamo che
in modi misteriosi cose eguali son poste proporzionalmente a cose eguali. Il
fenomeno si pu constatare anche negli odori, nei sapori e nella sensazione
tattile. Sarebbe lungo esporre questi fatti con precisione ma assai facile
sperimentarli. Infatti ogni dato di questi oggetti sensibili ci d piacere soltanto
in virt della eguaglianza e somiglianza. E dove si hanno eguaglianza e
somiglianza, si ha la categoria del numero. Niente infatti tanto eguale e
simile come il rapporto di uno a uno. Hai da fare qualche osservazione?
D. - Sono perfettamente d'accordo.
...come culto della vuota forma...

13. 39. M. - La nostra precedente discussione non ha forse accertato che


l'anima attua questi fenomeni nei sensibili e che non li subisce dai sensibili?
D. - S.
M. - Dunque l'amore di reagire al succedersi delle modificazioni del proprio
corpo distoglie l'anima dalla pura intellezione delle cose eterne, giacch tale
amore svia il suo interesse a causa della sollecitudine per il piacere sensibile.
Compie questo atto con i ritmi espressi. Anche l'amore di dar forma mediante i
sensibili la distoglie e la pone in movimento. Compie questo atto con i ritmi in
formazione. La distolgono anche le rappresentazioni dei fantasmi e compie

questo atto con i ritmi del ricordo. La distoglie anche l'amore della vuota
conoscenza di simili nozioni e compie questo atto con i ritmi del senso, i quali
si valgono di determinate norme, per cos dire, che traggono diletto dalla
imitazione dell'arte. Da esse nasce perci la curiosit pedantesca, nemica della
serenit, come appare perfino dalla etimologia, e per vuotezza incapace della
pienezza del vero.
...come orgoglio e fuga da interiorit...

13. 40. L'amore in genere dell'attivit che distoglie dall'intellegibile ha origine


dalla superbia. Con questo vizio l'anima ha scelto di imitare Dio anzich essere
soggetta a Dio. Giustamente perci stato scritto nei libri santi: Primo atto
della superbia umana distaccarsi da Dio 6, e ancora: Primo atto di qualsiasi
peccato superbia 7. E non si pu meglio chiarire il concetto di superbia che in
questo passo del medesimo testo: Perch insuperbisce la terra e la cenere per
aver fatto getto durante l'esistenza della propria interiorit 8? Infatti l'anima
per s un non essere, altrimenti non sarebbe nel divenire e non subirebbe
l'andare verso il nulla dal proprio essere ideale. Poich dunque per s un non
essere e tutto ci che in lei essere le viene da Dio, quando si conserva nella
sua dignit, dalla presenza di Dio stesso viene vivificata nella coscienza di
essere pensante. Dunque ha la perfezione dell'essere nella interiorit. Perci
dilatarsi con la superbia versarsi nella esteriorit e, per cos dire, svuotarsi,
cio essere per nientificarsi. Versarsi nella esteriorit appunto far getto della
propria interiorit, cio rendere Dio lontano da s, non con lo spazio ma con la
disposizione del pensiero.
...come dominio sugli altri e...

13. 41. E questa tendenza dell'anima avere sotto di s altre anime, non di
bruti perch permesso dall'ordinamento divino, ma anime ragionevoli, cio
dei propri simili, unite a un medesimo destino sotto una legge comune.
L'anima superba tende ad agire su di esse e questa azione le sembra tanto pi
alta di quella sui corpi, quanto l'anima in generale pi perfetta del corpo. Ma
solo Dio, non per mezzo del corpo ma da s, pu agire su anime ragionevoli.
Tuttavia per la nostra condizione di peccatori avviene che sia consentito a certe
anime influire su altre agendo mediante i corpi delle une o delle altre con
segni, o naturali come l'espressione del viso o il cenno, o convenzionali come le
parole. Infatti agiscono con segni coloro che usano il comando o la persuasione
o altro mezzo, se v' oltre il comando e la persuasione, con cui ottengono
l'effetto mediante o assieme ad altre anime. Ne conseguito giustamente che
le anime, le quali han voluto eccellere per superbia sulle altre, non riescano, in
parte perch insipienti in s, in parte perch asservite all'essere fisico destinato
a morire, a dominare senza difficolt e dolori neanche le attivit del proprio
corpo. Essi dunque mediante questi ritmi e movimenti, con cui anime
influiscono su altre, si distolgono col tendere a onori e lodi dalla visione della
pura e ideale verit. Infatti Dio solo onora l'anima rendendola felice nel
segreto, se vive alla sua presenza nella giustizia e nella piet.
...ricerca di prestigio sociale.

13. 42. Dunque i movimenti che un'anima mostra esteriormente per mezzo di
altre anime, di persone aderenti o soggette, sono simili ai ritmi in formazione
perch essa li compie come se li compisse mediante il proprio corpo. I
movimenti poi che mostra esteriormente, quando desidera rendere aderenti o
soggette altre anime, sono annoverati fra gli espressi. Muovendo in questa

maniera infatti essa agisce come mediante i sensi in modo da rendere uno con
s ci che si accoglie come dal di fuori e da respingere ci che non pu. E la
memoria riceve entrambi questi movimenti e li rende oggetto di ricordo,
gonfiandosi, quale un mare in tempesta, come avviene nelle immaginazioni e
fantasmi di tal genere di attivit. Non mancano movimenti come i ritmi di
giudizio per valutare ci che in tale attivit si ottiene con vantaggio o
svantaggio. Non dispiaccia considerarli propri del senso, perch sono sensibili i
segni con cui le anime in questo modo influiscono su altre. Non c' da
meravigliarsi dunque se l'anima, presa da tanti e cos pressanti interessi, si
distoglie dalla pura intellezione della verit. Certamente, per poco che ha
tregua da essi, ha visione di lei, ma poich non li ha ancora superati, non le
permesso di fissarsi nella verit. Da ci deriva che l'anima non abbia insieme il
conoscere dove si deve trovar quiete e il poter trovarla. Ma avresti forse
qualche obiezione?.
D. - Non v' nulla che osi obiettare.
Amore purificato a Dio e al prossimo...

14. 43. M. - Che resta dunque? Ma forse, dopo aver considerato, come ci
stato possibile, la contaminazione delle passioni e la caduta dell'anima,
dobbiamo esaminare quale pratica le sia comandata per legge divina perch
resa pi leggera mediante la turificazione torni a salire dove non c'
movimento ed entri nel godimento del suo Signore?.
D. - Va bene.
M. - Non pensare che ne parli troppo a lungo, giacch le divine Scritture con
tanti libri forniti di grande autorit e santit, non inculcano altro che di amare il
Dio Signore nostro con tutto il cuore, tutta l'anima e tutta la nostra mente e di
amare il prossimo nostro come noi stessi 9. Se dunque volgiamo a questo fine
tutti i movimenti e ritmi dell'azione umana, senza dubbio saremo purificati. O
pensi diversamente?
D. - No, certo. Ma quanto questo precetto breve a udirsi, tanto veramente
difficile a praticarsi.
...e retto amore del mondo...

14. 44. M. - Ma che cosa facile? Forse amare i colori, i suoni, i piaceri del
gusto, il profumo delle rose e i corpi piacevoli al tatto? Ed forse facile per
l'anima amare questi oggetti, giacch in essi ricerca soltanto la proporzione di
eguaglianza, ma se li esamina un po' pi attentamente, vi scorge solo una
copia e impronta lontana?. E le sarebbe difficile amare Dio, giacch
rappresentandoselo nel pensiero, per quanto le possibile quando ancora
ferita e macchiata, non pu concepire in lui alcunch di ineguale, di dissimile in
s, di diviso nello spazio, di mutato nel tempo? Ovvero le d forse godimento
costruire grandi monumenti e perpetuarsi nelle opere d'arte, poich in esse le
son graditi i ritmi? Altro io non vi scorgo. Eppure niente vi si pu scorgere di
proporzionalmente eguale che i principi dell'arte pura non possono sottoporre a
critica. E se cos, perch dall'alto edificio della intelligibile eguaglianza crolla
tanto in basso e innalza edifici terreni con i propri rottami? Questo non stato
promesso da colui che non sa ingannare. Il mio giogo, ha detto, leggero 10.
Dunque l'amore di questo mondo presenta maggiori difficolt. Infatti l'anima
non trova in esso quel che cerca, cio l'essere fuori del movimento
nell'eternit, poich la bellezza infima ha la sua compiutezza nel movimento
dei sensibili e ci che in essa imitazione dell'essere posto fuori del

movimento le viene partecipato da Dio sommo mediante l'anima. E per questo


la forma, mobile soltanto nel tempo, viene prima di quella che mobile nel
tempo e nello spazio. Come dunque dal Signore stato comandato alle anime
ci che devono amare, cos dall'apostolo Giovanni ci che non devono amare:
Non amate, ha detto, il mondo, poich tutte le cose che sono nel mondo sono
concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e desiderio smodato della
vita che passa 11.
...come virt civile...

14. 45. Ma come giudichi l'individuo che riferisce non al piacere sensibile ma
soltanto alla salute fisica tutti i ritmi che si compiono mediante il corpo o come
reazione alle modificazioni del corpo e che sono conservati nella memoria? O
se riconduce non a personale prestigio sociale ma al bene delle anime stesse
tutti i ritmi che si ottengono mediante le anime di persone a lui legate o che si
compiono per legarle e che si conservano nella memoria?. O se usa i ritmi che
nell'una e nell'altra categoria hanno nell'udito funzioni di critica e ricerca degli
altri nel loro succedersi, non a scopo di una vuota e dannosa pedanteria ma di
una indispensabile approvazione o disapprovazione? Costui non forma forse
tutti questi ritmi senza incappare nelle loro reti? Infatti ha come fine la salute
fisica, ch non sia compromessa, e riconduce tutte queste azioni al bene del
prossimo che ha il dovere di amare come se stesso in virt del vincolo naturale
del rapporto civile.
D. - Stai parlando di un uomo grande e veramente pieno di umanit.
...come rientro nella eticit e fini...

14. 46. M. - Dunque non i ritmi inferiori alla ragione, nel loro genere belli, ma
l'amore della bellezza inferiore macchia l'anima. Se in essi infatti ama non
solamente l'eguaglianza, di cui abbiamo gi sufficientemente parlato nei limiti
del nostro assunto, ma li ama anche come fine, l'anima ha perduto il proprio
fine. Non uscita tuttavia dalla finalit delle cose poich si trova nel grado e
dignit in cui, per universale ordinamento, esse si trovano. Altro infatti
disporsi al fine ed altro esser disposto al fine. Essa si dispone al fine amando
con tutta se stessa ci che al di sopra di lei, cio Dio, e come se stessa le
anime dei propri simili. Con questa forza dell'amore essa dispone al fine le
cose, senza esserne contaminata. E ci che la contamina non cattivo, poich
anche il corpo una creatura di Dio ed ornato di una sua bellezza anche se
infima, ma che in confronto alla dignit dell'anima ha poco valore, come il
pregio dell'oro contaminato dall'unione con l'argento anche il pi puro.
Pertanto non escludiamo dall'azione della divina provvidenza i ritmi, quali che
siano, anche se formati dalla nostra soggezione alla morte, pena del peccato,
poich essi nel loro genere sono belli. Ma non li amiamo come se, godendo di
essi, trovassimo la felicit. Ce ne libereremo, giacch sono nel tempo, come di
una tavola nel naufragio, cio non buttandoli come zavorra e non
aggrappandoci ad essi come se non andassero a fondo, ma usandone bene. E
dall'amore del prossimo praticato nella sua pienezza parte per noi la scala
sicura per unirci a Dio e per non essere conservati nel fine soltanto dal suo
ordinamento, ma per conservare, stabile e definitivo, il nostro fine.
...anche mediante la cultura umana...

14. 47. Ma l'anima ama la disposizione al fine giacch lo provano gli stessi
ritmi sensibili. E proprio da questa Disposizione il primo piede il pirrichio,
secondo il giambo, terzo il trocheo e cos di seguito gli altri. Giustamente

potresti osservare che qui l'anima ha seguito piuttosto la ragione che il senso.
Ma bisogna accreditare ai ritmi sensibili il fatto che sebbene, ad esempio, otto
sillabe lunghe hanno la medesima quantit di sedici brevi, tuttavia nella
lunghezza di un piede le brevi richiedono di essere unite alle lunghe. E quando
la ragione valuta il senso e i piedi proceleusmatici le vengono presentati come
eguali agli spandei, essa trova che nel caso ha valore soltanto la funzione di
una ordinata disposizione, poich le sillabe lunghe sono lunghe soltanto nel
confronto con le brevi e le brevi sono brevi soltanto nel confronto con le
lunghe. E perci un verso giambico, sebbene pronunciato pi lentamente,
purch si rispetti il rapporto dell'uno a due, non perde il suo nome. Al contrario
un verso formato di piedi pirrichi, se gradualmente gli si aumenta la lunghezza
nel pronunciarlo, diviene all'improvviso un verso spondaico, se ci si attiene
ovviamente alla musica e non alla prosodia. Ma se il verso formato di dattili e
anapesti, poich le lunghe sono percepite nel confronto con le brevi, quale che
sia la lunghezza con cui si pronuncia, conserva il suo nome. Cos le aggiunte di
un semipiede non vanno applicate all'inizio col medesimo schema che alla fine
e non tutte si devono usare, anche se si accordano nella percussione.
Egualmente si ha la collocazione in fine di due brevi anzich di una lunga. E
tutti questi fenomeni sono misurati dal senso. E in essi non in discussione il
ritmo dell'eguaglianza, che non ha nulla da perdere tanto se quello o un
altro, ma il legame della disposizione nell'unit. Sarebbe troppo lungo
percorrere gli altri casi attinenti alla medesima funzione nei ritmi di tempo. Ma
ovviamente il senso biasima anche le figure visibili quando sono chinate oltre il
conveniente o rovesciate o simili. In esse non in discussione l'eguaglianza
poich la proporzione delle parti rimane, ma la cattiva disposizione. Infine in
tutte le nostre sensazioni e azioni, quando gradualmente adattiamo al nostro
desiderio oggetti insoliti e perci sgraditi, li accettiamo dapprima con
sopportazione e poi con soddisfazione. Cos ci costruiamo il piacere con una
disposizione finalizzata e sentiamo avversione se gli oggetti precedenti non
sono legati a quelli di mezzo e questi ai seguenti.
...in vista del bene superiore.

14. 48. Pertanto non riponiamo il nostro godimento nel piacere della carne,
negli onori e lodi degli uomini e nella ricerca delle cose che stimolano il corpo
dal di fuori, giacch possediamo nella nostra interiorit Dio, in cui tutto ci che
amiamo stabile e immutabile. Accade cos che, pur avendo questi beni
temporali, non se ne rimane irretiti, che senza provar dolore possono mancar i
beni esterni e che senza provar dolore alcuno o per lo meno non grave il corpo
stesso sia tolto a noi e restituito dalla morte alla natura per essere
trasformato. Infatti il riferirsi dell'anima alla sola porzione di tempo in cui vive
la limita ad attivit che turbano. Altrettanto fa, nella non considerazione della
legge universale, l'amore di una determinata attivit limitata all'individuale,
che tuttavia non pu rendersi altra dal tutto che Dio ordina al fine. Dunque
soggetto alle leggi chi non ama le leggi.
Purificazione e virt morali...

15. 49. Ma se meditiamo abitualmente le realt spirituali, che sono sempre


medesime a se stesse e se per caso nel medesimo tempo formiamo dei ritmi di
tempo con un movimento qualsiasi del corpo, ma che sia molto facile a divenir
abitudine, come camminare o cantare, essi si svolgono a nostra insaputa,
bench non esisterebbero senza la nostra azione. Cos se siamo intenti alle

nostre vuote fantasticherie, questi ritmi scorrono con la nostra azione, ma


senza che ce ne accorgiamo. Quanto pi dunque e con quanto maggiore
immobilit, quando questo essere corruttibile avr indossato l'incorruzione e
questo essere mortale avr indossato l'immortalit 12, cio, per parlate pi
chiaramente, quando Dio dar vita al nostro corpo di morte, come dice
l'Apostolo, in considerazione dello spirito che rimane in noi 13, quanto pi
dunque allora, avendo visione, come stato detto, faccia a faccia 14, del Dio
Uno e della Verit nella sua trasparenza, intuiremo senza disporci nell'alterit i
ritmi, secondo cui moviamo i corpi, e ne avremo godimento. A meno che non si
debba credere che potendo l'anima godere delle cose che mediante lei sono
buone, non possa godere delle cose da cui essa buona.
...nella specifica competenza.

15. 50. Ma la pratica per cui l'anima, con l'aiuto di Dio suo Signore, si libera
dall'amore della bellezza inferiore, combatte per debellare la propria abitudine
in lotta contro di lei e con questa vittoria trionfer in se stessa sulle potenze di
questa aria e poich esse la contrastano e tendono ad impedirglielo, sale a Dio
che la rende immobile e forte, non , secondo te, la virt che si chiama
temperanza?
D. - La ravviso e capisco.
M. - Inoltre l'anima progredisce in questo cammino e non l'atterriscono la
perdita dei beni temporali o la morte stessa mentre pregusta e quasi afferra i
godimenti eterni e ha la forza di dire ai propri compagni a lei inferiori: Per me
bene scioglier la vela ed esser con Cristo, ma a voi necessario che io
rimanga nella carne 15.
D. - cos, credo.
M. - Ma questa disposizione dell'anima per cui essa non teme avversit o
morte, non si deve forse chiamarla fortezza?
D. - Anche questo conosco.
M. - E la legge che l'anima si data, per cui non si assoggetta ad alcuno se
non a Dio solo, non desidera essere eguagliata ad alcuno se non agli spiriti pi
puri e non dominare su alcuno salvo i bruti e i corpi, quale virt pensi che sia?
D. - Chi non capisce che la giustizia?.
M. - Comprendi bene.
Rimangono dopo la vita le virt contemplative?

16. 51. Ti propongo un altro quesito. Dianzi emerso dal nostro dialogo che la
prudenza una virt con cui l'anima conosce il luogo in cui trovar quiete. Vi si
eleva con la temperanza, cio col volgersi dell'amore a Dio, che detto carit,
e col volgersi in altro senso dall'amore del mondo e a questo si accompagnano
fortezza e giustizia. Chiedo dunque la tua opinione sul tempo, in cui l'anima
giunger alla maturazione del proprio amore ed elevazione dopo aver compiuto
la propria santificazione e compiuto anche il ritorno a nuova vita del proprio
corpo. Eliminate dalla memoria le perturbazioni dei fantasmi, comincer a
vivere in Dio stesso a Dio solo, quando avr avuto compimento ci che ci si
promette in questi termini: Dilettissimi, ora siamo figli di Dio e non si ancora
manifestato che cosa saremo. Ma sappiamo che quando si manifester, saremo
simili a lui, perch lo vedremo come 16. Ti chiedo dunque se, secondo te, le
virt che abbiamo elencato esisteranno anche allora.
D. - Io non vedo, quando saranno passate le contrariet, contro cui si lotta,

come potrebbe esservi la prudenza, la quale non sceglie che cosa seguire se
non nelle contrariet, o la temperanza, la quale non distoglie l'amore se non
dalle cose che le sono contrarie, o la fortezza, la quale non sopporta che le
contrariet, o la giustizia la quale desidera di essere eguale alle anime pi felici
e dominare la natura inferiore soltanto nelle contrariet, cio quando non ha
ancora raggiunto ci che vuole.
Rimangono prudenza...

16. 52. M. - La tua risposta non del tutto irragionevole e a certi dotti cos
sembrato, lo ammetto. Ma nel leggere i libri, che sono i pi autorevoli di tutti,
vi trovo scritto: Gustate e vedete che il Signore soave 17. L'apostolo Pietro ha
espresso cos il medesimo concetto: Se tuttavia avete gustato che il Signore
buono 18. E ci si avvera, secondo me, in queste virt che purificano l'anima
con la conversione stessa. Infatti l'amore delle cose temporali non sarebbe
debellato se non con l'attrattiva delle cose eterne. Ma quando si giunti al
passo che dice: E i figli degli uomini si rifugeranno sotto la copertura delle tue
ali, saranno inebriati dall'abbondanza della tua casa e tu li disseterai al
torrente del godimento di te, perch la sorgente della vita presso di te 19, il
testo non dice pi che il Signore sar soave ad esser gustato. Puoi osservare
per quale scaturire e scorrere della sorgente eterna viene indicato, giacch se
ne ha come conseguenza una specie di ebbrezza. E con questo termine, mi
pare, mirabilmente significato l'oblio dei vuoti fantasmi posti nel divenire. Il
testo soggiunge di seguito altri concetti e dice: Nella tua luce avremo visione
della luce. Continua ad offrire la tua misericordia a coloro che hanno scienza di
te 20. Nella luce si deve intendere in Cristo che la Sapienza di Dio ed tante
volte chiamato luce. Non si pu dunque negare che si avr la prudenza nel
luogo dove si dice Avremo visione, e: A coloro che hanno scienza di te. Non si
potrebbe infatti avere visione e scienza del bene ideale dell'anima dove non si
ha la prudenza.
D. - Ora capisco.
...giustizia, temperanza e...

16. 53. M. - E i retti di cuore possono essere senza giustizia?


D. - Ammetto che con questo termine assai spesso si designa la giustizia.
M. - E di che altro vuole avvertirci il medesimo Profeta in seguito, quando
canta: E la tua giustizia a coloro che sono di cuore retto 21?
D. - evidente.
M. - E allora ricorda, per favore, che ne abbiamo abbastanza trattato poco fa, e
cio che per la superbia l'anima scende in basso verso certe attivit in suo
potere e che nella non considerazione della legge universale caduta a
compiere azioni limitate all'individuale, e questo un distaccarsi da Dio.
D. - Me ne ricordo bene.
M. - Quando dunque essa fa in modo che ci in seguito non le dia pi piacere,
secondo te, non fissa il suo amore in Dio e vive immune da macchia nella pi
grande temperanza, castit e libert dal timore?
D. - S, certamente.
M. - Osserva anche che il Profeta aggiunge anche questo concetto col dire: Non
mi venga il piede di superbia 22. Col termine di piede designa infatti l'andar
lontano o lo scivolare. Ma usando contro di esso la temperanza, vive
nell'eterno a Dio unita.

D. - Capisco e son d'accordo.


...fortezza...

16. 54. M. - Resta dunque la fortezza. Ma come la temperanza virt


contraria alla caduta che dipende dalla libera volont, cos la fortezza virt
contraria alla violenza con cui si pu essere illiberamente condizionati, se si
meno forti a fronteggiare gli eventi da cui si abbattuti e lasciati a terra nella
pi grande infelicit. Questo tipo di violenza di solito nella sacra Scrittura
convenientemente designato col termine di mano. Soltanto i peccatori dunque
tentano di imporla. Ma l'attitudine per cui allora l'anima attraverso questa
stessa esperienza si premunisce ed difesa dal sostegno di Dio, affinch
l'assalto non le possa venire addosso da alcuna parte, comporta un potere
stabile e, per cos dire, impassibile. Ed esso, salvo un tuo disparere,
ragionevolmente si pu chiamare fortezza e, secondo me, designata quando
si aggiunge: E la mano dei peccatori non mi getti a terra 23.
...per lo meno sublimate.

16. 55. Ma sia che nelle parole citate si deve intendere questo o altro, potresti
negare che l'anima, posta nella felicit della perfezione morale, ha visione
diretta dell'intelligibile, rimane stabilmente senza macchia, non pu subire
alcuna contrariet, si assoggetta a Dio solo e si eleva al di sopra di tutti gli
esseri?
D. - Anzi non vedo come altrimenti sarebbe nella piena perfezione e felicit.
M. - Dunque la sua pura intellezione, santificazione, impassibilit e
adeguazione alla legge o sono le quattro virt nel loro grado pi perfetto e
alto, ovvero, per non affaticarci invano con i nomi se si d'accordo sui
concetti, in luogo di queste virt, di cui l'anima si serve nella vita terrena, essa
deve sperare facolt corrispondenti nella vita eterna.
Dio produce gli esseri e...

17. 56. Noi ricordiamoci soltanto un concetto che il pi attinente al nostro


argomento. stabilito dunque dalla provvidenza di Dio, con cui egli ha creato e
dirige al fine tutte le cose, che anche un'anima peccatrice e piena di mali
mossa al fine da ritmi ideali e ne muove fino alla infima manifestazione della
sensibilit. Ovviamente questi ritmi possono essere sempre meno belli ma non
possono mancare del tutto di bellezza. E Dio sommamente buono e giusto non
condanna la bellezza tanto se prodotta dalla defezione dal fine dell'anima
quanto dal suo ritorno e stabilit in esso. Il ritmo-numero inizia dall'uno ed
espressione di bellezza in virt della proporzione d'eguaglianza e si congiunge
l'uno all'altro in una serie unitaria. Si viene ad ammettere perci che ogni
essere, per essere ci che , si muove all'unit, tende, quanto gli possibile, a
rimanere simile a se stesso, mantiene, con un determinato equilibrio, come
auto-conservazione il proprio ordinamento nello spazio, nel tempo, nella
materia. Bisogna anche ammettere dunque che da un principio uno, per mezzo
di una persona a lui eguale in essenza e perfezione, con la ricchezza della sua
bont, con cui in carit, per cos dire, altamente unitiva, si uniscono fra di loro,
che sono uno e uno da uno, sono state prodotte originariamente tutte le cose
nell'ordine del loro essere.
...dal nulla ha fatto il mondo...

17. 57. Perci questo verso che ci siamo proposto come esempio: Deus
creator omnium, molto gradito non solo all'udito per il suono ritmico ma
anche all'anima per la razionalit e verit del pensiero. Potrebbe turbarti per

la pigrizia mentale, per parlare con indulgenza, di coloro i quali affermano che
non si pu produrre l'essere dal nulla, sebbene detto nella Scrittura che Dio
onnipotente l'ha fatto 24. Ma l'artigiano con i ritmi razionali propri della sua arte
pu produrre i ritmi sensibili propri della sua tecnica, inoltre con i ritmi sensibili
pu produrre i ritmi in formazione con cui muove le membra nell'agire e ai
quali competono gi lunghezze di tempo, e infine pu costruire dal legno forme
visibili disposte razionalmente nello spazio. E la natura, che obbedisce agli
ordini di Dio, non potrebbe produrre il legno stesso dalla terra e dagli altri
elementi ed egli gli stessi elementi primi senza che preesistessero?
necessario anzi che un muoversi ordinato nel tempo preceda il disporsi
ordinato dell'albero nello spazio. Infatti ogni genere di piante in determinate
quantit di tempo, a seconda del seme, attecchisce, germoglia, spunta fuori,
mette le foglie, si irrobustisce e produce o il frutto o di nuovo la vigoria del
seme in un misterioso avvicendarsi di ritmi. A pi forte ragione ci avviene per
i corpi degli animali, in cui la disposizione delle membra offre allo sguardo
assai di pi una ritmica proporzione. Ora sarebbe possibile che mediante gli
elementi siano prodotti questi esseri e sarebbe stato impossibile che gli
elementi fossero prodotti dal nulla? Come se fra di essi ve ne sia qualcuno pi
imperfetto e basso della terra. Ma essa ha inizialmente la forma elementare di
corpo, giacch si d'accordo che esistano in essa una determinata unit, valori
numerici e l'ordinamento al fine. Infatti qualsiasi sua particella, per quanto
piccola, da un punto indivisibile si estende necessariamente nella linea, riceve
per terza la superficie e per quarto il volume con cui il corpo completo. Da chi
proviene dunque questa progressione aritmetica dalla prima alla quarta? Da chi
anche l'eguaglianza delle parti, che si trova nella linea, superficie e volume?.
Da chi questo rapporto razionale (ho voluto cos tradurre analogia), per cui il
rapporto che ha la linea indivisibile, lo ha anche la superficie alla linea e il
volume alla superficie? Da chi dunque, scusa, tutto ci se non dalla somma
eterna principialit dei valori numerici, della proporzione, della eguaglianza e
della finalit? Ma se si toglieranno queste dimensioni alla terra, diverr un
nulla. Perci Dio onnipotente ha prodotto la terra, e la terra stata prodotta
dal nulla.
...e l'armonia sovrana del tutto.

17. 58. Ed inoltre la stessa struttura qualitativa, per cui la terra si distingue
dagli altri elementi, non mostra forse l'uno nel limite con cui l'ha ricevuto?
Infatti nessuna delle sue parti manca di proporzione col tutto e nel
congiungimento organico di esse tiene nel suo genere la sfera pi bassa ma la
pi adatta alla sua conservazione. Le si riversa sopra l'elemento acqua, che
tende anche essa all'unit perch pi ornata e pi penetrata dalla luce a causa
della maggiore proporzione delle parti e che occupa la sfera conveniente alla
propria finalizzazione e conservazione. Che dire dell'elemento aria che tende
all'unit mediante un'organicit molto pi agevole, che tanto pi ornata
dell'acqua quanto questa lo della terra e tanto pi sicura
nell'autoconservazione? Che dire infine della sfera pi alta del cielo, in cui ha
limite il tutto dei corpi visibili, in cui si hanno l'ornamento pi grande del
mondo visibile e il grado pi alto dell'autoconservazione? Certamente le sfere,
di cui percepiamo il muoversi nel tempo con la funzione dei nostri sensi, e tutti
gli esseri che in esse esistono possono ricevere e conservare la disposizione
nello spazio che appare con l'essere in un luogo, soltanto se li precede, fuori

dello spazio e del tempo, una successione di tempi che sono nel movimento.
Allo stesso modo un movimento animatore precede e misura in una
successione di tempi gli esseri posti nello spazio nel loro formarsi. E questo
movimento esegue l'ordinamento del Signore creatore di tutte le cose e non ha
in s in atto le lunghezze dei tempi della propria successione secondo numero,
ma in potenza che distribuisce i tempi. E sopra di questa potenza i ritmi
razionali e intelligibili delle anime costituite stabilmente nella felicit
trasmettono senza riceverlo da altri esseri, fino all'ordine costituito sulla terra e
sotto di essa, lo stesso ordinamento di Dio al fine, senza di cui non cade una
foglia dall'albero e per cui i capelli del nostro capo hanno il loro numero 25.
L'opera di Agostino e la polemica antiereticale.

17. 59. Ho trattato con te dei concetti che ho potuto e come l'ho potuto, io
tanto piccolo di cose tanto grandi. Ma se qualcuno legge questo nostro discorso
una volta pubblicato, sappia che stato scritto per individui molto pi deboli di
quelli che seguendo l'autorit dei due testamenti adorano la consustanziale e
incommutabile Trinit dell'uno sommo. Dio, principio ordinatore e fondamento
del tutto, e la onorano in fede speranza e carit. Infatti essi non sono purificati
dal freddo bagliore delle filosofie umane ma dal grande e ardente fuoco
dell'amore. Ma non riteniamo che si devono trascurare coloro che gli eretici
ingannano con la promessa fallace del pensiero e della scienza, e per questo
nell'esame delle vie procediamo pi lentamente degli uomini santi che, volando
al di sopra di esse, non si degnano di prenderle in considerazione. Ma non
oseremmo farlo se non vedessimo che molti figli devoti della ottima madre la
Chiesa cattolica i quali, avendo conseguito, quanto richiesto, la capacit
dialettica con gli studi del periodo scolastico, lo hanno gi fatto per necessit di
ribattere gli eretici.
1 - AMBROGIO, Hymn. 4, 1.
2 - Qo 7, 26.
3 - Rm 7, 24-25.
4 - Mt 6, 21.
5 - Rm 7, 25.
6 - Sir 10, 14.
7 - Sir 10, 15.
8 - Sir 10, 9-10.
9 - Dt 6, 5; Mt 22, 37-39; Mc 12, 30; Lc 10, 27.
10 - Mt 11, 30.
11 - 1 Gv 2, 15-16.
12 - 1 Cor 15, 53.
13 - Rm 8, 11.
14 - 1 Cor 13, 12.
15 - Fil 1, 23-24.
16 - 1 Gv 3, 2.
17 - Sal 33, 9.
18 - 1 Pt 2, 3.
19 - Sal 35, 8-10.
20 - Sal 35, 10-11.
21 - Sal 35, 11.

22
23
24
25

Sal 35, 12.


Sal 35, 12.
Gn 1, 1; Sap 2, 2; 2 Mac 7, 28.
Mt 10, 30.

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