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Proverbio calabrese (Savelli – Verzino)

A LEGGE E’ A SCOLA E OURTU

Quando ancora esistevano i proverbi e i detti popolari,


circa 80 anni fa, nei paesetti sperduti e dimenticati da quello
chiamato stato italiano, nella poco amata Calabria dai c.d.
italiani e c.d. istituzioni, uno di questi recitava:
"a lègge è a scòla e ourtu".
Per chi conosce questo dialetto (anche laggiù esistono i dialetti) non è difficile
comprendere l'esatto significato,
per chi non lo conosce, qualche giorno lo tradurrò
in maniera che tutti lo comprendano, perchè calza benissimo con riferimento alla
giustizia e alla c.d. "interpretazione della legge".
Il problema giustizia non è sorto adesso come si vuol far credere, è sempre esistito e
mai risolto.
Un po' di storia anche dei paesetti sperduti e dimenticati dai politici bisognerebbe
saperla o impararla, anche successivamente attraverso qualche doposcuola, o
scuola serale.
Oltre all'insegnamento dei soli dialetti bisognerebbe anche insegnare le culture
popolari e forse i politici finalmente imparerebbero a governare un po' meglio, se
umilmente imparassero da chi nei secoli già ci aveva sbattuto la testa
nelle problematiche.
Il problema giustizia è vecchio come il mondo, sta di fatto
che tutti se la sono fatta sotto e nessuno si è mai ribellato,
e così si ereditano e si tramandano porcherie di generazione in generazione, senza che
nessuno si vergogni.
Le opere d'arte dei vecchi saggi tramandate anche
verbalmente si vogliono tenere nascoste.
Bella Italia, patria dell'ipocrisia e della falsità perpetua, riciclata e rimpastata e
sbattuta in faccia alle future generazioni.
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POL - *Giudici legislatori e democrazia giudiziaria, il monito di Fini


--IL VELINO OREDICIANNOVE--

Roma, 25 gen (Velino) - Nel sistema-giustizia venutosi a determinare nel nostro


paese “il Pubblico ministero e il Giudice hanno un margine di discrezionalità troppo
ampio rispetto alla scelta di come qualificare giuridicamente un fatto. Come
giustamente sottolinea Violante, giudici diversi e, molte volte, lo stesso giudice dopo
un breve lasso di tempo (per esempio, la stessa sezione della Cassazione o del
Consiglio di Stato) forniscono interpretazioni diverse e qualificazioni giuridiche
differenti dello stesso fatto. L'ampiezza della discrezionalità porta all'incertezza del
diritto, che è una minaccia reale per i diritti dei cittadini”. È uno dei passaggi
dell’intervento del presidente della Camera, Gianfranco Fini, alla presentazione del
libro “Magistrati” di Luciano Violante. Fini trae spunto dal libro di Violante -
“espressione del grande processo di trasformazione politico-culturale che è in corso nel nostro Paese e di cui l'autore è uno dei
più lucidi interpreti” - per mettere in guardia da un eccesso di discrezionalità nell’interpretazione degli atti normativi da parte dei
magistrati. Fini segnala che “da tempo, in tutto l'Occidente si assiste alla crescita del ruolo del potere giudiziario che, essendo
ormai molto lontano dall'immagine stilizzata da Montesquieu di ‘potere nullo’ o di semplice ‘bocca della legge’, si erge, sempre di
più, com'è scritto nel ‘Federalista’ di Hamilton, come il ‘terzo gigante’ tra Potere legislativo e Potere esecutivo”.

La terza carica dello Stato avverte che “tornare al giudice ‘bocca della legge’ è assolutamente impossibile perché è la complessità
dei sistemi giuridici contemporanei ad aver determinato l'aumento delle funzioni del potere giudiziario; ciò è avvenuto in base a
due principali fattori. Il primo attiene alle caratteristiche assunte dal diritto nelle società contemporanee. Il pluralismo,
l'integrazione sovranazionale, la globalizzazione, i processi di ‘deterritorializzazione’ dell'autorità politica hanno accresciuto
enormemente gli atti qualificabili come fonti del diritto, creando un sistema giuridico articolato, policentrico, frammentato.
Ciascun atto normativo, da parte sua, diventa sempre più complesso, ambiguo, esposto a molteplici interpretazioni. Da qui -
sottolinea Fini - la rilevante attività di interpretazione ermeneutica devoluta ai magistrati che, quando applicano il diritto al caso,
in parte lo creano, attribuendogli un significato normativo tra i tanti in astratto possibili”. Fini avverte che “questa delicata
funzione, se esercitata in modo eccessivamente discrezionale, attribuisce però all'organo giudiziario un potere che, per certi
aspetti, è simile a quello del Potere legislativo. ‘Giudici legislatori’, ‘Governo dei giudici’ e ‘democrazia giudiziaria’ diventano,
pertanto, espressioni ricorrenti nel dibattito pubblico e non solo in Italia”.

Fini segnala poi che è “giusto interrogarsi sull'esigenza di garantire in modo stabile un funzionale equilibrio democratico tra i
poteri. Certamente, in questa costante ed essenziale ricerca va mantenuto il valore irrinunciabile dell'indipendenza della
magistratura, sia giudicante che requirente, ma va anche evitato l'avvento di una ‘democrazia giudiziaria’”. Secondo il presidente
della Camera, “per realizzare tutto ciò, occorre, da un lato, porre un argine alle tentazioni della politica di condizionare
l'indipendenza della magistratura con norme che mirino alla sua sottoposizione politica e, dall'altro, occorre valorizzare, con
riferimento ai magistrati, il principio di responsabilità, che consiste nell'adempiere ai doveri di ufficio con imparzialità e rigore
deontologico. Anche questi sono aspetti costituzionali, che, come prospetta Violante nelle sue conclusioni, potrebbero essere i
valori ispiratori dell'agire della magistratura in questa fase storica. Le conclusioni di Violante sono assai stimolanti e per molti
versi condivisibili e la sfida che abbiamo di fronte investe un duplice terreno. Da una parte, vi è quello - dice il presidente di
Montecitorio - delle riforme da fare in modo equilibrato e condiviso, e, dall'altra, vi è il terreno culturale, perché la ricerca di un
nuovo equilibrio democratico tra i poteri dello Stato passa, in larga misura, attraverso un profondo cambiamento che deve
riguardare sia la sfera della magistratura che quella della politica. Solo così potremo dire di aver fatto un passo in avanti in
direzione di quella ‘normalizzazione’ istituzionale di cui il Paese ha certamente un grande bisogno”.

Nel dibattito innescato dall’intervento di Fini, il Csm è finito nel centro del mirino. È Angelino Alfano ad attaccare per primo
l’organo di autogoverno della magistratura: "Il tema oggi – precisa subito il Guardasigilli - non e' quello dell'autonomia e
dell'indipendenza della magistratura dai poteri esterni, ma dell'indipendenza interna, cioè del rapporto fra ciascun magistrato e le
correnti organizzate del Csm". Alfano ha sottolineato che "la necessità è quella di rendere più liberi e autonomi i singoli
appartenenti all'ordine giudiziario dai condizionamenti interni". "Un tema urgente - ha aggiunto il Guardasiglilli - su cui la
magistratura dovrebbe interrogarsi". Parole pienamente condivise da Oreste Dominioni: “è necessario riformare in profondita' il
Csm - dice il presidente dell'Ucpi - nella sua composizione, nelle sue funzioni e nei suoi compiti". Per Dominioni il Csm ha
"assunto competenze che non gli sono proprie e fra le competenze del Csm in base a quanto stabilisce la Costituzione "non c'e'
quella di dare pareri, ma solo funzioni di alta amministrazione e governo della magistratura".

Il presidente dell'Ucpi concorda con Alfano sul fatto che non si deve parlare di "indipendenza della magistratura nel suo
complesso, ma di indipendenza dei singoli magistrati" dalle logiche correntiste del Csm. "C'e' un grandissimo malessere dentro i
singoli magistrati - ha detto Dominioni - che non sono stati rigorosamente allineati con le posizioni comportamentali dell'Anm".
"Bisogna rilanciare il tema dell'indipendenza dei singoli magistrati nei confronti del Csm ribadisce Dominioni - che, momento di
tramite, condiziona la vita dei singoli magistrati". Il vicepresidente del Csm Nicola Mancino ribatte ai rilievi di Alfano con un
battuta ai giornalisti a margine della presentazione: ''Chiedete voi ai magistrati se si sentono condizionati'', ha detto il
vicepresidente del Csm. Ma nel corso del suo intervento, tuttavia, non ha escluso che si possa, secondo quanto suggerito da

http://www.ilvelino.it/articolo_stampa.php?isEnglish=&Id=1046251[27/01/2010 23.40.04]
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Violante nel suo libro, “lavorare ad una diversa composizione del Csm” proprio per eliminare il problema della dipendenza
‘interna’ del magistrato. Mancino ha poi difeso la prerogativa del Csm di dare pareri: “Il Csm – ha detto – non boccia, dà pareri.
Ma chi ha paura dei pareri? – domanda Mancino –. Si ha paura quando nei governi non c’è sintonia. E non parlo di questo
governo in particolare ma di tutti governi”. Mancino ha quindi ribadito la sua contrarietà alla separazione delle carriere: “Sono
per la netta separazione delle funzioni – ha detto – ma non per la separazione delle carriere: è difficile parlare di autonomia,
anche nelle indagini, se il pm è separato nella carriera rispetto al magistrato. Io sono per conservare all’interno della
magistratura la figura del Pm”. Anche Violante, riconosce che nel Csm "c'e' un problema di gestione morale”. Un problema di cui
tuttavia “ la magistratura si sta facendo carico" avendo di recente presentato un documento sulla "moralizzazione
nell'assegnazione degli incarichi ai magistrati". Violante ha poi ribadito le sue perplessità sulla separazione delle carriere,
ponendo il "problema delle garanzie": "Un corpo di pm autogestiti - ha detto Violante - mi preoccupa. Prima di fare il pm capo
dello polizia e titolare delle indagini - ha insisto - ci penserei due volte".
(chi) 25 gen 2010 19:05

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