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2005/2006
Filosofia teoretica
A.A. 2005/2006
Filosofia teoretica
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Filosofia teoretica
1. I. KANT, Critica della ragion pura (in una edizione italiana a scelta tra Laterza, Bompiani,
Adelphi, UTET) saranno oggetto di analisi le pagine riguardanti la Anfibolia dei concetti
della riflessione per lo scambio delluso empirico dellintelletto con luso trascendentale (Appendice
alla Analitica trascendentale), pi una selezione di altri passi indicati dal Docente nel corso
delle lezioni.
2. Dispense dalle lezioni
ALTRE INFORMAZIONI
I due moduli sono inseparabili. Oltre alla bibliografia indicata il docente si riserva di
segnalare altre letture durante lo svolgimento del corso.
La frequenza vivamente consigliata
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MODULO B
I concetti di forma e di materia in Kant
Parte prima.........................................................................................................................................5
1. Introduzione (Prefazioni e Introduzione)..................................................................................5
2. Estetica trascendentale ...............................................................................................................15
2.1. Definizione di estetica trascendentale: intuizioni, sensibilit, fenomeni .....16
2.2. Lo spazio come forma costante della recettivit..................................................21
2.3. Il tempo come forma reale dellintuizione interna..............................................24
3. La logica trascendentale: sulle distinzioni del concetto di logica ....................................29
4. Lanalitica trascendentale: lanalitica dei concetti ..................................................................33
4.1. concetti, funzioni, ordini architettonici.................................................................35
4.2. giudizi, fili conduttori, categorie............................................................................38
4.3. Sulla possibilit di una unificazione in generale .................................................42
4.3.1. Lunit sintetica originaria dellappercezione ..................................................45
5. Lanalitica trascendentale: lanalitica dei principi..................................................................49
5.1. regole e schemi .........................................................................................................50
5.2. I princpi dellintelletto............................................................................................53
5.3. Tra fenomeni e noumeni .........................................................................................57
Parte seconda ...................................................................................................................................59
1. Prima scansione del testo: presentazione, nota, conclusioni ............................................59
2. Architettura delle scansioni del testo: ......................................................................................61
2.1. La presentazione del problema dellAnfibolia: prima introduzione................61
2.2. Il tema di una topica trascendentale: prima esposizione sinottica ...............66
2.3. La nota al testo: ripresa di (a) e di (b)................................................................79
2.3.1. La distinzione fenomeno/noumeno come fondamento delle critiche a
Leibniz ..............................................................................................................................80
2.3.2. Leibniz intellettualizza i fenomeni? ...............................................................81
2.3.3. Fenomeni, identit, spazio, tempo......................................................................86
2.3.4. Tempo e interno: interno tempo?.............................................................92
3. Conclusione al testo: Leibniz, Kant, questioni aperte............................................................99
Riferimenti bibliografici ...............................................................................................................102
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Parte prima
Scrive Kant nella Prefazione alla prima edizione della Critica della ragion pura (dora
in poi abbreviata in KrV):
La ragione umana, in una specie delle sue conoscenze, ha il destino di essere
tormentata da problemi che non pu evitare, perch le sono posti dalla natura della
stessa ragione, ma dei quali non pu trovare la soluzione, perch oltrepassano ogni
potere della ragione umana (p. 5 ediz. it.).
Per capire i temi esposti nella KrV pu essere importante partire proprio da queste
considerazioni.
Kant insiste molto su questo destino paradossale della ragione e della metafisica,
nel senso che, da una parte, loggetto delle ricerche metafisiche non pu mai essere
indifferente alla natura umana (e per questo una volta la metafisica era chiamata
la regina di tutte le scienze), ma, dallaltra, la sua affermazione nel campo della
storia si tradotta in una sorta di bellum omnium contra omnes, di guerra di tutti
contro ciascuno.
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Kant, cio, prende sul serio tutte le affermazioni fatte dai filosofi a lui
contemporanei e si interroga sui motivi per cui la conoscenza umana, piuttosto che
riuscire a spiegare le cose che ci circondano e che noi stessi siamo, si tradotta e si
traduce continuamente in un campo di lotte senza fine.
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costringere la natura a rispondere alle sue domande; e non lasciarsi guidare da lei,
per dir cos, colle redini; perch altrimenti le nostre osservazioni, fatte a caso e senza
un disegno prestabilito, non metterebbero capo a una legge necessaria, che pure la
ragione cerca e di cui ha bisogno (p. 16) .
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L dove si parla di Dio, delle propriet dellanima, o del concetto di mondo, manca
la possibilit di una verifica sperimentale che sia in grado di garantire la
corrispondenza tra loggetto intenzionato dal conoscere e il modo in cui la
conoscenza metafisica si rapporta ad esso.
Nelle pagine della Prefazione dell87, Kant delinea subito il paradosso della
metafisica: da una parte inevitabile (la nostra ragione inevitabilmente tende
allideale, alla totalit, allinfinito), dallaltra, non fondabile (non si pu agganciare
alla pietra di paragone dellesperienza).
Ma allora da dove vengono fuori gli oggetti propri della metafisica e in che
misura possono essere ricondotti entro le maglie della conoscenza scientifica?
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Da questo punto di vista, le prime parole che aprono lIntroduzione della KrV sono
in qualche modo emblematiche:
Non c dubbio che ogni nostra conoscenza comincia con lesperienza (33).
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quod prius non fuerit in sensu, excipe intellectus ipse, e cio: nellintelletto tutto ha
provenienza sensibile, tranne lintelletto stesso.
Kant sposa questa linea interpretativa leibniziana: il nostro intelletto aggiunge un
qualcosa alle conoscenze empiriche, solo che noi difficilmente riusciamo a renderci
conto dei caratteri di questa aggiunta (aggiunta che noi propriamente non
distinguiamo bene da quella materia che ne il fondamento, KrV p. 34).
Ma quali sono allora i criteri per distinguere una conoscenza o un giudizio a priori
da uno empirico?
Kant adduce due tipi di argomenti a questo riguardo.
Il primo argomento muove da una sorta di constatazione: le conoscenze a priori (o
pure), nella misura in cui non provengono dal mondo empirico, ma riflettono in
qualche modo la stessa struttura formale dellintelletto, si presentano sempre e
comunque dotate delle propriet di necessit e di universalit (p. 35).
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A chiarificazione di ci, Kant adduce esempi tratti proprio dalla fisica (ogni
cambiamento presuppone una causa: esempio lampante di aggiunta del nostro
intelletto) e dalla matematica.
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Ebbene: ogni conoscenza che si occupa del modo di conoscere gli oggetti in quanto
questa debba essere possibile a priori viene definita da Kant trascendentale.
Chiamo trascendentale ogni conoscenza che si occupa non di oggetti, ma del nostro
modo di conoscenza degli oggetti in quanto questa deve essere possibile a priori (p.
48).
2. Estetica trascendentale
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Per questo motivo, come stato chiarito, essa la prima parte di una dottrina
trascendentale degli elementi, in opposizione a quella che contiene i principi del pensiero
puro: la logica trascendentale.
Lestetica trascendentale indaga quindi, stando alla definizione di Kant, il modo con cui ci
sono dati gli oggetti.
La parola estetica viene quindi intesa da Kant secondo il suo significato etimologico
(come asthesis, come percezione sensibile) e, conformemente allimpostazione
metodologica dellopera, viene intesa come una analisinon degli oggetti della sensibilit,
ma delle condizioni a priori che strutturano la nostra attivit percipiente.
Viene quindi tematizzata la struttura della sensibilit in quanto tale, indipendentemente
dal suo riferirsi ad oggetti determinati.
E, allora, la prima operazione effettuata da Kant a questo proposito la seguente: se la
sensibilit rappresenta il modo con cui gli oggetti ci sono dati, bisogna esaminare le
concrete modalit operative con cui questo avviene.
Scrive dunque Kant:
in qualunque modo e con qualunque mezzo una conoscenza si riferisca ad oggetti,
quel modo, tuttavia, per cui tale riferimento avviene immediatamente, e che ogni
pensiero ha di mira come mezzo, lintuizione (53).
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Lintuizione, si tratta ora meglio di capire, non sembra possedere una propria capacit
rappresentativa. Lintuizione come se fosse un canale di comunicazione immediata, ma
non ha rappresentazioni.
La sensazione la capacit di produrre rappresentazioni in conformit di determinate
intuizioni.
Quindi, c la sensibiit come capacit generale di essere affetti dagli oggetti;
c lintuizione che rappresenta il modo immediato di riferirsi agli oggetti;
e c la sensazione che produce rappresentazioni corrispondenti agli oggetti intuiti.
Prosegue poi Kant: quella intuizione che si relaziona (sich bezieht) alloggetto mediante
la sensazione, si dice empirica, riferendosi con ci alla distinzione tra empiricoe a
priori.
E con questa osservazione, Kant introduce il problema specifico dellestetica
trascendentale.
Le intuizioni, infatti, sono di pi tipi, come subito si vedr.
Per ora accontentiamoci di questo: quelle intuizioni che si relazionano alloggetto tramite
la sensazione si chiamano empiriche.
Quindi: la sensibilit, per il tramite specifico delle sensazioni, attiva un certo tipo di
intuizione: quella, cio, empirica.
Ma ancora non finita. Finora, infatti, abbiamo considerato la vicenda della relazione
soggetto conoscente/oggetto conosciuto dal lato del soggetto, esaminando quindi la
struttura della sensibilit in generale e cercando di acquisire pratica con la terminologia
kantiana.
Ma come stanno le cose invece dal lato degli oggetti?
Cosa sono questi oggetti che ci circondano e che danno il via alle nostre intuizioni e alle
nostre conoscenze?
Come viene determinata la natura di questi oggetti da Kant?
Leggiamo a questo proposito:
loggetto indeterminato di una intuizione empirica si dice fenomeno (Erscheinung)
(ibid.).
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Gli oggetti, nella misura in cui rappresentano il punto di riferimento delle nostre
intuizioni si chiamano fenomeni, intendendo con ci un qualcosa di indeterminato
rispetto alla natura delloggetto considerato.
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Scrive Kant:
Mediante il senso esterno (una delle propriet del nostro spirito) noi ci
rappresentiamo gli oggetti come fuori di noi, e tutti insieme nello spazio. Qui sono
determinate, o determinabili, la loro forma, grandezza e reciproche relazioni (p. 55).
Tramite il senso esterno, quindi, ci rappresentiamo gli oggetti come fuori di noi e la
rappresentazione che abbiamo di questi oggetti che siano, fuori di noi, tutti insieme
nello spazio.
La tesi verso cui Kant propende che spazio e tempo non siano entit reali e che nemmeno
appartengano alle cose in s.
La tesi sostenuta invece questa: spazio e tempo appartengono alla forma
dellintuizione e quindi alla costituzione soggettiva del nostro spirito.
E come corollario di questa tesi si dice che: se spazio e tempo non appartenessero alla
costituzione soggettiva del nostro spirito, non potrebbero nemmeno essere riferiti ad
alcuna cosa.
Vediamo quali sono gli argomenti che Kant adduce a sostegno di questa tesi:
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Le conseguenze che Kant tira da queste premesse sono numerose. Innanzi tutto due:
1. in primo luogo, lo spazio va considerato come la forma del senso esterno in
generale (p. 58): rappresenta cio una disposizione formale del soggetto a essere
modificato da oggetti.
2. per questo motivo, lo spazio la forma di tutti i fenomeni dei sensi esterni, cio la
condizione soggettiva, lunica, per la quale ci possibile unintuizione esterna,
della sensibilit (p. 58). (quindi e in qualche modo lo spazio una condizione di
possibilit della sensibilit stessa)
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Per questo allo spazio viene attribuita, allo stesso tempo, realt empirica e idealit
trascendentale: lo spazio viene comunemente inteso come un qualcosa di oggettivo nella
misura in cui esso svolge una funzione trascendentale (rappresenta, cio, il modo in cui la
sensibilit relaziona interno ed esterno: ed quindi una funzione valida per tutti i
soggetti conoscenti); e tuttavia non si pu dire che lo spazio stia nelle cose in se stesse,
perch noi non abbiamo modo di relazionarci alle cose in se stesse se non tramite un
riferimento spaziale (quindi, propriamente parlando, noi ci relazioniamo sempre e
soltanto ai fenomeni e solo indirettamente alle cose in se stesse).
Quindi: lo spazio condizione di possibilit dellesterno, di ci che fuori di noi. Questa
una delle affermazioni pi impegnative e interessanti della KrV.
Lo spazio la forma costante della recettivit.
Su una linea di pensiero del tutto analoga Kant si muove per determinare la nozione di
tempo.
Il tempo non un concetto empirico, ricavato da unesperienza: poich la
simultaneit o la successione non cadrebbe neppure nella percezione, se non vi fosse
a priori a fondamento la rappresentazione del tempo (p. 61)
E ancora:
Solo se presupponiamo il tempo, possibile rappresentarsi che qualcosa sia nello
stesso tempo, o in tempi diversi p. (61).
Uno degli argomenti classici (per es. aristotelico) riguardanti la natura del tempo dice
questo: in natura ci sono mutamenti, trasformazioni e movimenti (si pensi allalternanza
delle stagioni, al movimento delle stelle nel cielo, alla ciclicit di albe e tramonti, etc.) e il
tempo rappresenta in qualche modo la misura di questi movimenti.
Tuttavia, Kant rovescia questa forma di argomentazione sostenendo che simultaneit e
successione non cadrebbero neppure nella percezione se non vi fosse a priori la
rappresentazione del tempo.
In un certo senso la rappresentazione del tempo che rende possibile la percezione di
fenomeni simultanei o successivi: non la simultaneit che rende ragione del prodursi
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Ma vediamo meglio perch Kant arriva a sostenere che il tempo condizione di possibilit
della stessa realt dei fenomeni.
La tesi di Kant infatti questa: soltanto nel tempo possibile qualsiasi realt dei fenomeni
(p. 61).
Perch? perch il tempo fondamento della soggettivit. Ossia di quel fenomeno
originario che sono io (in senso trascendentale), senza di cui non ci sarebbe
assolutamente nulla.
Tutto il discorso di Kant, non bisogna mai dimenticare, gravita intorno alla struttura della
soggettivit.
Ora: data la soggettivit, la spazio mi rende ragione delle cose esterne;
ma la soggettivit stessa in che modo data? su cosa si fonda?
La risposta di Kant che la struttura pi profonda del soggetto conoscente riposa su una
temporalit originaria.
Kant arriva a sostenere tesi come questa:
I fenomeni possono sparire tutti, ma il tempo stesso (come condizione universale
della loro possibilit) non pu essere soppresso (p. 61).
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E tuttavia mutamento e movimento sono concetti che, secondo Kant, sono in qualche
misura contraddittori, nel senso che:
la possibilit del cambiamento radicata nellunione in uno e medesimo oggetto
di predicati opposti contraddittori (per es. lessere e il non essere una stessa cosa
nello stesso luogo) (p. 62).
Il tempo dunque la forma del senso interno (p. 63), cio dellintuizione di noi stessi e
del nostro stato interno.
Il tempo non pu essere determinato da fenomeni esterni, ma determina al contrario il
rapporto delle rappresentazioni del nostro stato interno.
In effetti se la sensibilit, per il tramite dello spazio, intuisce le cose esterne, altrettanto si
deve dire che la sensibilit, per il tramite del tempo, intuisce i fenomeni interni.
Ma quali sono questi fenomeni?
Detto nella maniera pi semplice possibile: secondo Kant, noi abbiamo accesso agli
oggetti e abbiamo accesso anche a noi stessi.
Nel senso che il soggetto conoscente oltre a intuire e a diversificare la propria presenza
spaziale relativamente agli oggetti, in qualche modo intuisce anche se stesso.
Ma in che modo il soggetto intuisce se stesso?
Certamente da un punto di vista spaziale.
Ma lintuizione spaziale riguarda, per cos dire, linvolucro esterno del soggetto, il suo
corpo, le determinazioni esteriori.
Lintuizione pi profonda che il soggetto ha di se stesso invece una rappresentazione di
tipo temporale: il soggetto percepisce s come un qualcosa che permane al di l del
variare dei suoi stati percettivi e degli accadimenti esteriori.
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Lautointuizione tramite cui il soggetto percepisce se stesso come identico ha dunque una
natura eminentemente temporale: la temporalit, intesa come intuizione pura, il modo
secondo Kant con cui noi abbiamo accesso a noi stessi.
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La conclusione di Kant che: con semplici rapporti non si conosce una cosa in s (ibid.),
Lintuizione ci fa conoscere come stanno i rapporti tra le cose e soprattutto ci fa conoscere
quel rapporto di mediazione fondamentale tra il soggetto conoscente e gli oggetti che
costituito dalla spazio-temporalit.
Se noi non percepiamo il mondo, ma percepiamo solo il nostro modo di percepire il mondo,
dobbiamo concludere che noi non conosciamo il mondo in se stesso, ma conosciamo il
mondo solo attraverso le modalit spazio-temporali del nostro riferirci agli oggetti e a noi
stessi.
Se lintuizione non contiene altro che rapporti, la forma dellintuizione non pu
contenere altro che il rapporto di se a se stessa e quindi loriginaria possibilit della
relazione stessa: spazio e tempo sono condizioni di possibilit di quella originaria
relazione che il soggetto intrattiene con se stesso e con il mondo.
La forma dellintuizione - scrive Kant non rappresentando nulla se non in quanto
qualcosa posto nello spirito, non pu dunque essere altro che la maniera con la
quale lo spirito viene modificato dalla propria attivit (p. 72).
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Quindi:
- per la prima fonte, un oggetto ci dato.
- per la seconda, esso pensato.
Ciascuna di queste due fonti si esprime attraverso una specifica funzione conoscitiva, cos
lintuizione rappresenta lelemento proprio della conoscenza sensibile, mentre i concetti
rappresentano lelemento proprio della conoscenza intellettuale.
Quindi: intuizione e concetti.
Nellestetica trascendentale si aveva a che fare con intuizioni, mentre nella logica
trascendentale si avr a che fare con concetti.
La sensazione pu dirsi, secondo Kant, la materia della conoscenza sensibile.
Mentre lintuizione pura e i concetti puri sono solamente la forma del pensiero di un
oggetto in generale.
Scrive Kant a questo proposito:
Intuizione e concetti costituiscono, dunque, gli elementi di ogni nostra conoscenza;
per modo che, n concetti, senza che a loro corrisponda in qualche modo una
intuizione, n intuizione, senza concetti, possono darci una conoscenza [...] La
sensazione si pu dire materia della conoscenza sensibile. Quindi una intuizione
pura contiene unicamente la forma in cui qualcosa intuito, e un concetto puro
solamente la forma del pensiero di un oggetto in generale (ibid.).
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Ma torniamo a considerare la differenza specifica che Kant individua tra le funzioni della
sensibilit e quelle dellintelletto e rifacciamoci al seguente schema:
- sensibilit: recettivit del nostro spirito a ricevere rappresentazioni.
- intelletto: facolt di produrre da s rappresentazioni (spontaneit della conoscenza).
Queste due facolt scrive Kant - non possono scambiarsi le funzioni (p. 78)
Abbiamo quindi una prima partizione della logica articolata nel seguente modo:
1) logica delluso generale dellintelletto (logica generale o logica elementare):
comprende le leggi assolutamente necessarie del pensiero (senza le quali non vi
affatto uso dellintelletto): riguarda perci lintelletto, astraendo dalla diversit
degli oggetti a cui pu rivolgersi.
2) logica delluso speciale dellintelletto: comprende le leggi per pensare correttamente
una determinata specie di oggetti (pu essere un organo di tale o talaltra scienza:
come propedeutica).
Accanto a questa, troviamo una seconda partizione:
La logica generale pura o applicata (p. 79):
a) pura: fa astrazione di tutte le condizioni empiriche entro cui lintelletto viene
esercitato (azione dei sensi, immaginazione, memoria, abitudini, inclinazioni,
pregiudizi, etc.). Ha a che fare soltanto con meri principi a priori ed un canone
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dellintelletto e della ragione, ma solo rispetto a ci che vi di formale nel loro uso
(sia qualsivoglia contenuto empirico o trascendentale).
b) applicata: mira alle leggi delluso dellintelletto nei casi concreti, ossia nelle
condizioni soggettive empiriche (accidentali) che ci insegna la psicologia. Quindi
poggia su principi empirici, anche se riguarda luso dellintelletto in generale (tratta
dellattenzione, dei suoi ostacoli e dei suoi effetti, dellorigine dellerrore, dello stato
del dubbio, della convinzione, etc)... Non un canone dellintelletto in generale, n
un organo di scienze speciali, ma solo un catartico del comune intelletto.
Questo quindi per quanto riguarda la logica generale (che pu essere pura o
applicata e si distingue dalla logica speciale propria di ogni altra scienza.
Ma fin qui abbiamo parlato di logica generale, mentre questa parte specifica della KrV
dedicata alla logica trascendentale.
Allora, possiamo chiederci: che differenza c tra la logica generale e la logica
trascendentale?
Ecco le definizioni proposte da Kant:
distinzione tra logica generale e logica trascendentale (pp. 80-81):
i)
ii)
La logica generale maneggia quindi un insieme di conoscenze, per cos dire, gi pronte, nel
senso che non si interroga sullorigine e sulla provenienza delle conoscenze trattate, ma si
limita a istituire rapporti e relazioni tra esse.
La logica generale, in altri termini, non si cura della distinzione tra puro o empirico
proprio perch meramente formale, ossia rappresenta una riflessione sulla forma e non
sul contenuto delle sue conoscenze. Suo scopo definire la natura delle relazioni
intercorrenti tra le varie conoscenze prese in considerazione (identit, differenze, analogie,
uguaglianze, etc.).
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Ma ancora non basta, e Kant propone di riflettere su unaltra articolazione interna del
concetto di logica (quarta partizione) e ci invita a considerare che la logica generale
distinta in analitica e dialettica.
C tuttavia una premessa da fare.
Kant, introducendo questa nuova partizione, dice che qui viene ammessa e presupposta
lantica definizione nominale della verit come accordo della conoscenza col suo oggetto
[veritas est adaequatio mentis et rei (p. 81)]. E dice anche che il problema principale della
logica quello di stabilire un criterio generale della verit in ciascuna conoscenza.
La distinzione tra analitica e dialettica risiede dunque in ci: mentre lanalitica una
mera opera di scomposizione degli elementi formali di cui lintelletto abitualmente fa uso
(quindi, ad es. i giudizi e le loro propriet), luso dialettico della logica consiste nel ritenere
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questi elementi solo formali come se fossero davvero oggettivi, ossia realmente riferiti alla
costituzione degli oggetti.
La dialettica, come qui viene definita, rappresenta una sorta di indebita estensione delluso
della logica. Le considerazioni formali prodotte dalla logica generale vengono
indebitamente estese agli oggetti, come se quelle considerazioni non fossero soltanto un
qualcosa di formale (che appartiene cio alla pura forma dellintelletto), ma un qualcosa
di oggettivamente reale.
Pertanto, cos come la logica generale risulta bipartita in analitica e dialettica, a
seconda dei diversi usi che viene fatto del pensiero logico, cos la logica trascendentale
risulter altrettanto divisa in una analitica trascendentale e una dialettica
trascendentale.
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delle informazioni sensibili provenienti dalle reti delle intuizioni. Gli atti
conoscitivi, cos come sono intesi da Kant, possono infatti essere paragonati a una
serie progressiva di filtri che, per cos dire, poco alla volta depurano il
materiale grezzo proveniente dallesterno e lo rendono digeribile o assimilabile
o meglio ancora comprensibile per il soggetto. Quindi, si tratta di capire di quanti
e di quali filtri disponiamo.
2. in secondo luogo, e proprio per questo, il problema successivo quello di elaborare
un metodo che ci consenta di esaurire la totalit dei filtri presenti e operanti nella
nostra mente. Se uno degli obiettivi principali della KrV scoprire quali siano le
condizioni di possibilit entro cui il conoscere si attua, diventa rilevante produrre
una mappatura il pi possibile completa delle forme categoriali usate dallintelletto
(cos come stato fatto nellestetica, per cui oltre spazio e tempo non si danno altre
forme di intuizioni pure possibili).
Kant pensa di risolvere il secondo dei problemi qui delineati insistendo proprio sui
concetti di totalit e di connessione sistematica.
Parlando della compiutezza di risultati a cui la KrV deve pervenire, scrive infatti Kant:
Ora, questa compiutezza di una scienza data non pu ottenersi con sicurezza col
calcolo allingrosso di un aggregato messo insieme per tentativi; quindi essa
possibile soltanto mediante una idea della totalit della conoscenza intellettuale a
priori e per mezzo della divisione dei concetti che la costituiscono, determinata in
base a cotesta idea, e quindi per mezzo della loro connessione sistematica (p. 87).
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E, subito dopo, viene riproposto il problema forse fondamentale di questa parte cos
delicata dellopera: quello, cio, di disporre di un principio sicuro [Leitfaden filo
conduttore] per trovare la sistematica unit in cui sono disposti i concetti.
Lidea di base, come si tratta ora di approfondire, che lintelletto costituisca una
assoluta unit e che i concetti scaturiscano puri da esso.
Lidea di base quindi quella di unit.
Il concetto di unit rappresenta il cardine metodologico della ricerca: ossia, criterio
discriminante dellanalisi. [interessante in relazione allunum per se leibniziano].
Per rinvenire la rete delle strutture categoriali impiegate dallintelletto nei suoi atti
conoscitivi bisogna quindi preliminarmente chiedersi: che cos lintelletto?
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nel senso di: qual lidea che sta dietro la nozione di intelletto?
Kant, nellAnalitica dei concetti, articola una risposta a questa domanda.
Lintera Analitica dei concetti, ma anche lAnalitica dei principi e probabilmente lintera
KrV un tentativo di risposta a questa gigantesca domanda.
Lidea guida di Kant , allora, che lintelletto costituisca una unit, sia una unit attiva.
Sulla base di questa indicazione programmatica, bisogna decifrare tutte le definizioni
messe in campo da Kant.
In primo luogo, quindi, Kant ci dice che lintelletto una facolt di conoscere nonsensitiva, nel senso che svolge un complesso di operazioni differente rispetto a quelle
della sensibilit.
Lintelletto piuttosto una facolt di conoscenza per concetti (e non per intuizioni).
Ossia, una facolt di conoscenza che si avvale di altri strumenti (rispetto alle
intuizioni) per filtrare la caoticit delle rappresentazioni sensibili.
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I concetti svolgono quindi delle funzioni: sono unattivit che riconduce le diverse
rappresentazioni provenienti dalla sensibilit a degli elementi di comunanza.
Un esempio potrebbe essere questo.
La nostra mente bombardata da una infinit di immagini che ci vengono trasmesse dai
sensi. Per es., nella nostra mente ci sono immagini di oggetti, di telefonini, di libri, di
cani, di video e quantaltro. Non solo, ma nella nostra mente si affacciano non solo
rappresentazioni di tipo visivo, ma anche auditive, etc., per cui dobbiamo
immaginarci come un gigantesco teatro in cui tutti vogliono entrare.
Lidea di Kant che tutte queste cose, tutti questi oggetti, tutte queste rappresentazioni,
non possono entrare tutte insieme, indiscriminatamente e individualmente in questo
teatro. Perch sono troppe. Si produrrebbe un caos micidiale in cui nulla potrebbe essere
pi distinto da nulla.
Lidea che gli ingressi vengano selezionati per tipo.
Per es. tutti i quadrupedi pelosi che abbaiano, tendenzialmente li ordiniamo sotto il
concetto di cane. In questo modo, la mente ordina le diverse rappresentazioni sensibili
dei diversi cani che nel mondo dellesperienza incontriamo, sotto una sorta di denominatore
comune. Per cui, a livello di nostre capacit conoscitive, mateniamo limmagine del cane
che vediamo, ma questa stessa immagine costituisce una sorta di file che si inscrive in una
directory precisa.
Il paragone naturalmente azzardato, ma lidea di fondo credo che corrisponda
abbastanza agli intendimenti kantiani: conoscere significa in primo luogo ordinare.
Le funzioni sono, quindi, delle attivit che ordinano diverse rappresentazioni sotto una
rappresentazione comune: fanno tanti raggruppamenti in unit.
I concetti, precisa poi Kant, si fondano sulla spontaneit (termine di derivazione
leibniziana). Nel senso che questa attivit di unificazione non deriva e non riconducibile
alle impressioni esterne provocate dal mondo degli oggetti, ma in qualche modo
indipendente da esse.
O meglio: unattivit che si esercit sulle rappresentazioni sensibili, ma che non proviene
dallesterno. Al contrario, una forma di organizzazione dellesterno.
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Filosofia teoretica
I concetti sono allora ci che consente allintelletto di pensare, ossia di giudicare, ossia di
attribuire una rappresentazione a unaltra rappresentazione.
Per es., quando dico tutti i corpi sono divisibili attribuisco una rappresentazione (un
predicato) la divisibilit- a unaltra rappresentazione (soggetto del giudizio) i corpi.
I giudizi, per Kant, come gi per Leibniz, rappresentano la forma in cui tutte le nostre
conoscenze si organizzano.
Lidea messa in campo da Kant che lintelletto coincida con questa stessa attivit
unificante, o per meglio dire che lintelletto sia una funzionalit unificante.
Cos, il filo conduttore dato. E la forma stessa del giudizio (la condizione formale dellunit) a
essere condizione di possibilit della pensabilit delle cose in generale.
La strategia attuata da Kant sembra quindi essere questa:
1. lintelletto la facolt di pensare (denken)
2. pensare significa conoscere per concetti
3. i concetti sono funzioni che consentono di formulare giudizi
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Ma come fatta allora questa topica? come viene formulata questa griglia?
Quali sono le possibili tipologie dei giudizi?
Di 4 tipi:
1.
2.
3.
4.
quantit
qualit
relazione
modalit
Sotto 1. rientrano i giudizi universali, singolari e particolari (es. tutti i corpi sono pesanti;
oppure: alcuni corpi sono duttili; oppure: Marco un mio compagno di scuola).
sotto 2. rientrano i giudizi affermativi, negativi e infiniti (ad es.: lanima non-mortale [in
questo caso ho un giudizio negativo, espresso dal non, ma anche un giudizio infinito:
dicendo che lanima non-mortale faccio rientrare lanima nel numero infinito delle
cose che restano, senza ulteriori specificazioni);
sotto 3. rientrano i giudizi categorici, ipotetici e disgiuntivi (es. rispettivamente sono:
Socrate ateniese, Se Socrate ateniese, allora nato in Grecia, il mondo esiste o per
opera del cieco caso, o per interna necessit, o per una causa esterna);
sotto 4. i giudizi problematici, assertori e apodittici (sono quelli riguardanti la modalit: ad
es. il mondo esiste per caso [si tratta di unaffermazione che esprime una possibilit],
Marco marito di Giovanna, il triangolo quella figura la cui somma degli angoli
interni pari a 180).
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Nei giudizi, quindi, si coglie il riflesso di una sintesi che stata effettuata, ossia di una
avvenuta connessione tra rappresentazioni differenti.
Sintesi, scrive Kant, latto di unire diverse rappresentazioni, e comprendere la loro
molteplicit in una conoscenza (p. 94).
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Un dato presuppone dualit, scissione, tra colui che pone e la cosa posta, latto invece
il prototipo stesso dellunit, in cui non c differenza tra colui (o la cosa che) compie latto
e latto stesso: lio per Kant questa unit sintetica originaria dellappercezione.
(con tutte le implicazioni che lutilizzo della parola appercezione ha relativamente a
Leibniz).
I giudizi di quantit (1) sono possibili perch sotto di essi operano le categorie di:
- unit ( singolarit)
- pluralit ( particolarit)
- totalit ( universalit)
I giudizi di qualit (2) sono possibili sotto perch sotto di essi operano le categorie di:
- realt ( affermazione)
- negazione ( negazione)
- limitazione ( infinit)
I giudizi di relazione (3) sono possibili sotto perch sotto di essi operano le categorie di:
- inerenza/sussistenza ( substantia et accidens)
- causalit e dipendenza ( causa ed effetto)
- reciprocit ( azione reciproca fra agente e paziente)
I giudizi della modalit (4) sono possibili perch sotto di essi operano le categorie di:
- possibilit ( problematici)
- esistenza ( assertori)
- necessit ( apodittici)
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la materia per la conoscenza viene fornita dai sensi (per il tramite delle
intuizioni)
la forma per ordinare questo materiale proviene dalle funzioni unificanti
presenti nel pensiero (le categorie)
Ora, mentre nel caso delle intuizioni pure (spazio e tempo), la giustificazione della loro
necessit si fondava sul loro carattere condizionante nei confronti della possbilit di
rappresentarsi un mondo (nel senso che, senza spazio tempo, secondo Kant, non
possibile nessuna rappresentazione del mondo), nel caso delle categorie le cose
funzionano in maniera un p diversa.
Perch?
Perch anche senza funzioni dellintelletto, possono benissimo esserci dati
fenomeni nella intuizione (p. 105).
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Cio: mentre dalle intuizioni non possibile prescindere, perch senza di esse il mondo
nemmeno apparirebbe, nel caso delle categorie le cose sono un p pi complicate perch
quandanche il mondo non venisse da noi pensato sarebbe comunque dato.
Ma allora, se un mondo oggettivo sarebbe comunque dato, in che modo possiamo dire
che le condizioni soggettive del pensare abbiano validit oggettiva? (p. 105).
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legame tra le parti, di un mondo fatto di istanti separati gli uni dagli altri e in cui le
rappresentazioni corrispondenti risultano semplicemente giustapposte, o accatastate le une
sulle altre.
Le intuizioni senza concetti, dice Kant, sono cieche (p. 78), nel senso che non ci fanno
vedere il mondo cos come effettivamente lo conosciamo.
Per vedere il mondo c bisogno di una unificazione pi ampia, ossia di una
unificazione che non avvenga unicamente nellistante della temporalit, ma che si realizzi
al di l e oltre le condizioni spazio-temporali entro le quali i fenomeni ci sono dati.
Affinch un mondo concreto o oggettivo ci sia, necessario che le rappresentazioni
fornite dai sensi siano connesse tra di loro e che questa connessione avvenga in maniera
ordinata, cio precisa, cio secondo un filo logico. Ecco perch lattivit del pensiero
necessaria. E questo anche il motivo per cui lordine istituito dalle categorie non si
appiattisce sullo spazio-tempo, ma un ordine pi alto, pi generale, che pu
addirittura astrarre dalle condizioni spazio-temporali.
E ancora:
Noi non possiamo rappresentarci nulla come unificato nelloggetto, senza prima
averlo unificato gi noi (p. 110).
Lunificazione compiuta dallintelletto va intesa, secondo Kant, non come un qualcosa che
possa essere rappresentato, ma solo e soltanto come una attivit che esprime una unit
qualitativa (p. 110). Lintelletto va cio pensato come una unit sintetica. Detto meglio:
lintelletto una unit sintetica (p. 111).
Ecco allora il senso della deduzione (giustificazione) trascendentale delle categorie:
loggettivit del mondo tale nella misura in cui non semplicemente data, ma pensata.
Possiamo parlare di oggetti e riferirci ad oggetti non solo se sono calati in un contesto
relazionale come quello fornito dalle intuizioni spazio/temporali, ma solo e soltanto se
questo contesto relazionale viene assunto come uno, ossia solo e soltanto se il
contesto relazionale stesso viene pensato e cio attuato.
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lelemento attivo che collega e connette le molteplici rappresentazioni presenti nella nostra
mente.
In questo senso, lIo penso non un dato, perch se cos fosse, se fosse un dato della
nostra mente che si pone accanto agli altri dati rappresentativi, ci si troverebbe di nuovo
di fronte al problema di stabilire una connessione tra questi dati. Un qualcosa per essere
dato deve sottostare a un principio di unit, dove in questo caso lunit non oggetto,
bens soggetto: a rigore rappresenta la condizione di possibilit degli oggetti.
Scrive Kant:
Lunificazione non dunque negli oggetti, e non pu essere considerata come
qualcosa di attinto da essi per via di percezione (...); ma soltanto una funzione
dellintelletto, il quale non altro che la facolt di unificare a priori, e di sottoporre
allunit dellappercezione il molteplice delle rappresentazioni date (p. 112).
E ancora:
Le molteplici rappresentazioni che sono date in una certa intuizione non sarebbero
tutte insieme mie rappresentazioni, se tutte insieme non appartenessero ad
unautocoscienza; cio, in quanto mie rappresentazioni (sebbene io non sia
consapevole di esse come tali), debbono necessariamente sottostare alla condizione
in cui soltanto possono coesistere in una universale autocoscienza
[Selbstbewusstsein], poich altrimenti non mi apparterrebbero in comune (ibid.).
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lunit analitica della coscienza [empirica] possibile solo a patto che si presupponga una
unit sintetica.
Questa relazione non ha luogo ancora per ci che io accompagno con la coscienza
ciascuna delle rappresentazioni, ma perch le compongo tutte luna con laltra, e
sono consapevole della loro sintesi (ibid.)
E ancora:
lunit sintetica dellappercezione il punto pi alto, al quale si deve legare tutto
luso dellintelletto, tutta la logica stessa e, dopo di questa, la filosofia trascendentale,
anzi questa facolt lo stesso intelletto (p. 111-112).
E questo, per Kant, il principio supremo di tutta la conoscenza umana (p. 112).
Lintelletto, quella che oggi definiremmo la mente umana, nella sua essenza secondo
Kant deve essere intesa come una facolt di unificare a priori.
Ossia, unattivit di unificazione che si esercita sugli oggetti, ma non deriva da essi.
E questa considerazione consente a Kant di tracciare una distinzione tra pensare e
conoscere.
Il pensare rappresenta la pura attivit di unificazione considerata indipendentemente
dalle rappresentazioni che vengono unificate. Il pensare, cio, rappresenta il lato della
pura spontaneit dellintelletto.
Conoscere, viceversa, rimanda allattivit di unificazione che si esercita sulle molteplici
rappresentazioni presenti nellintelletto e presuppone quindi lattivit svolta
dallintuizione.
In altre parole: conoscere significa unificare rappresentazioni provenienti dalle
intuizioni, mentre pensare significa semplicemente esercitare questa attivit di
unificazione indipendentemente dalle intuizioni sensibili date.
Per cui, dice Kant, noi possiamo dire di conoscere una cosa quando siamo in grado di
esibire una corrispondenza tra concetti (le categorie) e intuizioni.
Viceversa, se ci muoviamo sul terreno dei puri concetti, facendo a meno delle intuizioni
(per es. quando parliamo di Dio, di mondo o di anima, ossia di idee prive di una
corrispondenza a livello intuitivo), in quel caso stiamo semplicemente pensando a una
cosa, ma senza conoscerla.
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LIo penso, abbiamo capito (per cos dire), fa da collante delle nostre rappresentazioni
ed proprio in virt della sua presenza attiva che noi arriviamo a riconoscere le
rappresentazioni come nostre e a riconoscere noi stessi come un soggetto di identit.
Tuttavia, qual il modo in cui noi appariamo a noi stessi?
In che modo, cio, io mi rapporto a me stesso?
Qui Kant produce delle osservazioni molto acute, perch, rimanendo fedele alla logica che
ha ispirato fin qui le sue argomentazioni, egli osserva che la nostra coscienza di s una
coscienza non gi di come siamo, ma soltanto di come appariamo (p. 121).
Nel senso che, quando il nostro sguardo mentale si rivolge su noi stessi, noi, ossia quello
che siamo, diventiamo a nostra volta un oggetto, ossia un fenomeno sottoposto allo
sguardo dellosservatore.
Il paradosso che in questo caso noi siamo i guardanti e i guardati e tuttavia, per
come strutturata la nostra attivit mentale, noi non possiamo mai guardare noi stessi per
quello che effettivamente siamo. Lattivit del guardare non pu a sua volta essere
guardata, ossia fatta oggetto di conoscenza, perch perch per essere guardata si
presupporrebbe di nuovo la presenza in atto del guardare: la conoscenza funziona sui
dati, ma il guardare in questo caso un atto e non un dato. Non solo, ma il
guardare quellatto che rende possibile il dato, ossia il guardato. Quindi non
possibile che sia loggetto guardato a guardare quellatto che lo rende possibile.
Questo sarebbe il caso di una intuizione intellettuale, ossia di una intuizione che non
lavora sui dati come fa la nostra, ma che fa un tuttuno con la cosa intuita.
Ma leggiamo le parole di Kant:
per ci che riguarda lintuizione interna, noi conosciamo il nostro proprio soggetto
solocome fenomeno, ma non gi per quello che esso in se stesso (p. 123).
Noi abbiamo una intuizione di noi stessi che ci data dal nostro senso interno (che
avviene tramite rapporti di tempo), ma si tratta di una intuizione empirica e come tutte le
intuizioni empiriche il suo oggetto viene considerato come un fenomeno: noi possiamo
intuire noi stessi soltanto come fenomeni.
Giocando un p con le parole, si potrebbe dire che noi non siamo solo soggetti dei nostri
pensieri, ma in un certo senso siamo soggetti ai nostri pensieri, nel senso di subordinati
ad essi: lIo penso non potr mai diventare oggetto di conoscenza.
Scrive Kant:
In che modo lIo che pensa differisca dallIo che intuisce se stesso (...), pur
formando con questo tuttuno come lo stesso soggetto; in che modo perci io possa
dire: io, come intelligenza e soggetto pensante, conosco me stesso come oggetto
pensato in quanto io sono anche dato a me nellintuizione, solo come gli altri
fenomeni, cio non come io sono innanzi allintelletto, ma come apparisco a me
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Il punto messo in evidenza da Kant che io conosco me stesso secondo il modo in cui il mio
conoscere funziona.
Quindi, lintuizione che ho di me stesso avviene secondo il senso interno e quindi secondo
rapporti di tempo i quali sono diversi dai concetti dellintelletto. Quindi io rappresento
me stesso fenomenicamente e non per intuizione intellettuale.
[ appena il caso di sottolineare come questa dialettica tra guardante e guardato sia
per molti versi simile a quella leibniziana di specchiante e specchiato].
Lanalitica dei principi un canone per la facolt del Giudizio: insegna ad applicare ai
fenomeni i concetti dellintelletto, che contengono la condizione per le regole a priori.
Quindi e propriamente si tratta di una dottrina del Giudizio (p. 132).
Dice infatti Kant:
1. lintelletto , in generale, la facolt delle regole.
2. il giudizio la facolt di sussumere sotto regole, cio di distinguere se qualche cosa
stia o no sotto una regola data (casus datae legis) (p. 133)
La logica, in generale, non ha bisogno di prescrizioni: perch essa astrae da ogni contenuto
della conoscenza, nella misura in cui essa tratta della semplice forma della conoscenza.
Viceversa, qui si tratta di applicare delle regole e il Giudizio, scrive Kant, un talento
particolare, che non si pu insegnare, ma soltanto esercitare (ibid.)
La capacit di fare corretto uso del Giudizio deve appartenere allo stesso scolaro, nel
senso che qui si tratta di applicare una regola generale ai casi specifici che di volta in volta
si presentano (la mancanza di giudizio propriamente quello che si chiama
stupidit...[Dummheit])
Si tratta cio viene citato lesempio del medico o delluomo di legge non solo di
comprendere luniversale in abstracto, ma di decidere se un caso particolare, in concreto, vi
rientri oppure no.
Per affinare la capacit di giudizio si possono al massimo portare degli esempi concreti,
ma nulla di pi.
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I principi dellintelletto sono dunque regole per luso oggettivo delle categorie.
Dalla tavola delle categorie dunque possibile dedurre tutti quanti i principi
dellintelletto.
Essi sono:
1.
2.
3.
4.
Assiomi dellintuizione
Anticipazioni della percezione
Analogie dellesperienza
Postulati del pensiero empirico in generale
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Lapprensione della materia che avviene con la sensazione riguarda, per cos dire, la
constatazione di unesistenza posta di fronte a noi, ma non comprende una
rappresentazione della necessit di questa esistenza (p. 159).
Il fatto che nellesperienza si debbano trovare percezioni che siano necessariamente
connesse (altrimenti non vi affatto esperienza) deriva allora dallapplicazione delle
categorie ai fenomeni per il tramite del tempo.
I tre modi del tempo sono permanenza, successione, simultaneit: quindi, queste 3 regole
precederanno ogni esperienza e la renderanno originariamente possibile.
Chiarificazione sul termine analogia:
in matematica le analogie sono formule che esprimono luguaglianza di due rapporti
quantitativi; e sono sempre costitutive, nel senso che, dati 3 membri della proporzione,
conosciuto anche il quarto.
In filosofia, invece, lanalogia lugugaglianza di due rapporti non quantitativi, ma
qualitativi, in cui, dati 3 membri, pu essere conosciuto e dato a priori solo il rapporto a un
quarto, ma non questo quarto membro stesso (p. 161). Conosco cio semplicemente una
regola per cercarlo nellesperienza.
Unanalogia dellesperienza sar dunque semplicemente una regola secondo cui lunit
dellesperienza deve risultare da percezioni, e deve valere come principio degli oggetti
(dei fenomeni), non costitutivo, ma soltanto regolativo.
Queste analogie cio riguardano le modalit dellesistenza (i modi in cui lesistenza, la
materia si presenta alle nostre percezioni).
A. Prima analogia: principio della permanenza della sostanza
La permanenza esprime in generale il tempo come correlato costante di ogni esistenza
fenomenica, di ogni cambiamento e di ogni concomitanza (p. 163).
I fenomeni mutano nel tempo: il tempo di per se non muta e non pu nemmeno essere
percepito. Noi ci rappresentiamo lidea di un sostrato presente nei fenomeni (sostanza)
proprio come il permanente ossia come una raffigurazione del tempo.
B. Seconda analogia: principio della serie temporale secondo la legge della causalit
Tutti i cambiamenti, scrive Kant, avvengono secondo la legge del nesso di causa ed effetto,
e questa non altro che una determinazione temporale secondo lantecedente (ci che
viene prima) e il conseguente (ci che viene dopo).
Lelemento della connessione quindi un elemento in primo luogo temporale.
La cosa interessante che ogni nostra percezione comporta una necessaria interconnessione con le altre percezioni.
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Queste, dunque, le analogie dellesperienza, le quali non sono altro, dice Kant, che principi
della determinazione dellesistenza dei fenomeni nel tempo, secondo i suoi tre modi:
i.
ii.
iii.
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Quando il concetto di una cosa gi del tutto completo, posso chiedermi se questoggetto
sia solamente possibile o reale o, in questo caso, anche necessario (p. 184).
Quindi: se il concetto di una cosa legato solo nellintelletto con le condizioni formali
dellesperienza si dice possibile; se poi legato con la percezione si dice reale; se infine
determinato dalla connessione delle percezioni secondo concetti si dice necessario (p. 195).
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Dice Kant: chiamo problematico un concetto che non contiene contraddizione e che si
connette con altre conoscenze, ma la cui verit oggettiva non pu essere in alcun modo
conosciuta (p. 210).
Il concetto di noumeno non contraddittorio: come cosa che deve essere pensata non
come oggetto dei sensi, ma come cosa in s.
Non possiamo infatti asserire che la sensibilit sia lunica forma possibile di intuizione.
Il concetto di noumeno dunque solo un concetto limite (Grenzbegriff): circoscrive le
pretese della sensibilit ed di uso solo negativo. (ibid.)
Il concetto di noumeno non solo ammissibile, ma inevitabile come concetto che limita la
sensibilit (p. 211).
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Parte seconda
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scambio delluso empirico dellintelletto con luso trascendentale. E questa Appendice risulta
quindi collocata esattamente a cerniera tra lAnalitica trascendentale e la Dialettica
trascendentale: dal punto di vista della collocazione sistematica, si tratta quasi di una
terra di nessuno, in cui cio la trattazione vera e propria dellAnalitica terminata e
quella della Dialettica deve ancora incominciare.
Kant sceglie quindi questo luogo per inserire alcune sue riflessioni riguardanti lo
scambio (Verwechselung) delluso empirico dellintelletto con luso trascendentale.
E anche il titolo risulta piuttosto complesso: il termine anfibolia finora non lo avevamo
incontrato nel testo della KrV e lintero titolo risulta piuttosto complesso.
Per fare un es., la stessa traduzione italiana del titolo originale kantiano non cos
semplice. La traduzione classica di G. Gentile e di G. Lombardo-Radice (rivista da
Mathieu) riporta infatti la traduzione appena citata (Anfibolia dei concetti della riflessione per
lo scambio delluso empirico dellintelletto con quello trascendentale), mentre quella, ad es., di
Giorgio Colli, suona in maniera un p diversa e cio: Sullanfibolia dei concetti di riflessione,
dovuta alla confusione delluso empirico dellintelletto con luso trascendentale.
Cio: nel primo caso si parla di scambio tra uso empirico e uso trascendentale
dellintelletto e, nel secondo, di confusione.
Ovviamente: una cosa non esclude laltra e una confusione pu anche essere ingenerata
da uno scambio, ma se le parole hanno un significato, gi questa piccolissima, quasi
insignificante vicenda di traduzione, ci deve rendere avvertiti del fatto che ci troviamo di
fronte a un testo di natura particolare.
Venendo poi alle scansioni che il testo dellAnfibolia presenta, anche qui verrebbe da dire
che le sorprese non mancano.
In primo luogo, il testo presenta una prima parte piuttosto sintetica (quasi cinque pagine
in tutto) nella quale Kant presenta (1) il problema che intende discutere e (2) lo schema a
cui si affida per esporre le proprie argomentazioni.
Quindi, si apre una Nota, che tuttavia non collocata a pi di pagina, ma ha un suo
titolo (Nota allanfibolia dei concetti della riflessione) e risulta quindi inserita, caso unico
nellopera, nel corpo della trattazione.
In questa Nota, Kant riprende esatamente gli stessi temi esposti sinteticamente nella
prima parte dellAnfibolia e cio, daccapo, espone (1) il problema che intende discutere e
(2) scandisce le sue argomentazioni secondo una serie di punti progressivi.
Verrebbe quasi da dire che Kant si ripete e, in particolare, sembra quasi che la prima parte
dellAnfibolia costituisca una sorta di sommario e la Nota rappresenti, invece, lo
svolgimento vero e proprio di quei contenuti indicati nel sommario.
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Nel testo della Nota, dopo qualche pagina in cui Kant sembra aver esaurito la questione,
viene poi saltata appositamente una riga, per indicare probabilmente una nuova cesura
del testo (la fine della Nota? la ripresa del testo dellAppendice?) e poi la trattazione
riprende: di nuovo sugli stessi temi, daccapo sulle stesse questioni, per la terza volta nel
giro di poche pagine, quasi finora non si fosse scritto nulla.
Infine, poco prima della conclusione, nuovo salto di riga, nuova cesura, nuovo
disorientamento sistematico (dove ci troviamo? nellAppendice? nella Nota? o ci
troviamo dopo di esse?) e questa volta Kant introduce (almeno cos appare, ma vedremo che
ci sono forti ragioni per dubitare di ci...) un argomento nuovo: nelle righe finali del testo
si ragiona sui concetti di possibile e di impossibile, sul concetto di oggetto come
identico a qualcosa oppure a niente e viene prodotta una tavola riguardante le
suddivisioni del concetto di Niente (Nichts). Le battute si possono quindi sprecare a
proposito di un testo che parte dalla confusione e conclude al niente..
Questo, dunque, per quanto riguarda larchitettura esterna del testo. Quanto al
contenuto, invece, non credo di sbagliare di molto dicendo che si tratta di alcune tra le
pagine pi difficili di tutta la KrV. Ed proprio per questo motivo che la considerazione
della collocazione sistematica e dellarchitettura esterna sono importanti: nei momenti di
pi ardua comprensione del testo, bisogner ricorrere anche a questi riferimenti
apparentemente accidentali per non perdere di vista lobiettivo preciso di queste pagine.
Gi: qual lobiettivo di queste pagine?
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Filosofia teoretica
Si parla della riflessione e si dice che questa non mira agli oggetti stessi, ma viene
piuttosto descritta come uno stato dello spirito nel quale ci disponiamo a scoprire le
condizioni soggettive sotto le quali possiamo giungere a concetti.
E poi di seguito, con un linguaggio pi preciso:
Essa [la riflessione] la coscienza della relazione tra rappresentazioni date e le
nostre varie fonti di conoscenza: solo mediante tale coscienza pu essere determinata
correttamente la relazione di queste rappresentazioni tra di loro.
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Filosofia teoretica
Se la nostra facolt conoscitiva , come Kant ritiene, bipartita in due ambiti, ossia in
sensibilit e intelletto, risulta appena evidente che qualsiasi nostra rappresentazione
contrassegnata da un determinato territorio di provenienza: ogni nostra rappresentazione,
quanto alla sua fonte, pu essere sensibile oppure intellettuale.
S, ma: siamo sempre sicuri di sapere, posti di fronte a una determinata rappresentazione,
da quale dei due territori questa provenga?
E cos il problema che a Kant interessa discutere comincia a prendere forma: quali criteri
abbiamo per distinguere le nostre rappresentazioni tra di loro? davvero cos scontato
collocarle al posto giusto? e che tipo di conseguenze comporta una collocazione sbagliata
da parte nostra delle nostre stesse rappresentazioni?
Di molti nostri giudizi prosegue infatti Kant non ci curiamo di stabilire da dove
provengano e siccome si tratta di giudizi che accogliamo per abitudine o per
inclinazione, per lo pi ci troviamo a dire che questi giudizi sono propri dellintelletto,
ma senza che sia stata effettuata alcuna riflessione a questo riguardo.
E a questo punto Kant, forse con una punta di soddisfazione dovuta al fatto di sollevare
un problema sul quale evidentemente si era prestata finora poca attenzione, introduce una
prima, vera e propria, definizione.
Latto col quale io raccosto il paragone delle rappresentazioni in generale con la
facolt conoscitiva in cui esso ha luogo, e col quale io distinguo se esse sono fra di
loro confrontate come appartenenti allintelletto puro o alla intuizione sensibile, io lo
chiamo riflessione trascendentale (p. 214; B 317; Colli 334-335).
La riflessione trascendentale sembra quindi essere unattivit che svolge due funzioni
precise:
a. istituisce un paragone tra le rappresentazioni e la facolt conoscitiva in cui
esse hanno luogo;
b. distingue se il loro confronto sta avvenendo a livello di intelletto puro o di
sensibilit.
Una volta stabilito questo, rimane tuttavia da affrontare un problema preliminare: in base
a quali criteri posso mettere in relazione le rappresentazioni presenti nella mia mente tra
di loro?
Ma il problema ancora un p pi sottile: io posso anche pensare di prendere due
qualsiasi mie rappresentazioni mentali e confrontarle tra di loro a mio piacimento, ma
come faccio a stabilire con sicurezza se queste appartengono alla sfera della sensibilit
piuttosto che a quella dellintelletto e viceversa?
E possibile mettere a punto una sorta di test a cui poter sottoporre le nostre
rappresentazioni?
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Filosofia teoretica
Secondo Kant s e lAnfibolia che stiamo leggendo rappresenta, per cos dire, la messa a
punto di questo test.
Secondo Kant, cio, le nostre rappresentazioni possono essere fatte passare attraverso una
griglia che, rispetto ad esse, rappresenta una sorta di cartina di tornasole del loro
comportamento.
Se infatti analizziamo il comportamento delle nostre rappresentazioni sulla base delle
quattro relazioni di:
1.
2.
3.
4.
identit e diversit
concordanza e opposizione
interno ed esterno
materia e forma
Kant, cio, propone una sottile distinzione: quando paragono tra loro due o pi concetti,
devo essere sempre avvertito del livello cognitivo entro cui il paragone si sta giocando.
Facciamo un esempio. Immaginiamo di essere dei progettisti che stanno lavorando al
disegno di una imbarcazione. Nei nostri appunti, nei nostri schemi, avremo a che fare con
un sacco di dati riguardanti la forma dello scafo, il peso, la potenza del motore, etc. Non
solo, ma molto probabilmente, per mettere a punto la soluzione migliore, disporremo sul
nostro tavolo di diversi progetti di imbarcazioni possibili. E quindi avremo progetti
riguardanti scafi diversi, con pesi diversi, materiali diversi, misure diverse, etc.
Quando, tuttavia, dalla fase di progettazione si passa a quella dellesecuzione materiale, le
cose cambiano.
Nel senso che, in teoria, limbarcazione costruita dovrebbe corrispondere perfettamente
al modello disegnato su carta, ma, in pratica, ci saranno sempre delle inevitabili
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Filosofia teoretica
variazioni. Per es. potrebbe capitare di accorgersi che le prestazioni nautiche effettive non
sono pari a quelle immaginate nel progetto, e che magari questo dipende dal fatto che la
dislocazione dei pesi a bordo se poteva sembrare razionale nella teoria, si rivela invece
difettosa nella pratica, e cos via.
Cosa significa tutto ci? Che la forma logica dei nostri progetti differisce sempre e
inevitabilmente almeno questa lopinione di Kant dal suo contenuto materiale. E
cio, in questo caso, le imbarcazioni disegnate su carta (o progettate al pc) differiscono
necessariamente da quelle uscite dal cantiere.
Allora, lidea di Kant la seguente: quando paragoniamo diverse rappresentazioni tra
loro, dobbiamo preliminarmente stabilire se ci stiamo occupando della loro forma logica
(logische Form) o del loro contenuto (Inhalt), perch le nostre osservazioni varieranno a
seconda del livello argomentativo (o cognitivo) che si decide di adottare.
E questo il senso per cui quando si tratta di sapere se le cose siano identiche oppure
diverse, bisogna preliminarmente capire quale relazione intrattengono queste cose con
la nostra facolt di conoscere, perch la risposta sar diversa a seconda che il paragone si
svolga a livello intellettuale piuttosto che sensibile.
Con parole di Kant:
se le cose siano identiche o diverse, concordanti o discordanti, ecc., non si pu
stabilire senzaltro in base ai concetti stessi, col semplice paragone (comparatio), ma
soltanto distinguendo le specie di conoscenza, a cui appartengono, mediante una
riflessione trascendentale (reflexio) (ibid.).
Cio, daccapo, la distinzione tra logico e trascendentale viene fatta ricadere in una
questione di oggettivit: la riflessione trascendentale garantisce un paragone oggettivo
tra le rappresentazioni, ossia un paragone non astratto, ma concretamente calato nel
contesto del gesto cognitivo che lo considera.
Le rappresentazioni non sono mai neutre: questa sembra essere una prima linea
argomentativa dellAnfibolia kantiana.
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Vale a dire: sotto il profilo materiale dellla questione, lidentit degli oggetti piuttosto
un fatto di coordinate spazio-temporali.
Nellesempio del quaderno prima proposto, noi possiamo dire che quel determinato
quaderno identico a se stesso (ed diverso quindi da altri possibili quaderni sparpagliati
sul tavolo) perch occupa una determinata regione spazio-temporale della realt.
Vale a dire: il quaderno pu essere concretamente identificato in base alla sue coordinate
spazio-temporali, nel senso che nessun altro oggetto fisico, per la legge della
impenetrabilit dei corpi fisici, pu occupare al tempo stesso e sotto il medesimo
riguardo la medesima collocazione spazio-temporale.
Il fatto che quel quaderno occupi una determinata porzione dello spazio fisico gi una
ragione sufficiente a ritenerlo distinto da un altro quaderno simile a lui, e tuttavia posto in
uno spazio diverso.
(Che le coordinate spazio-temporali fossero individuative di un ente era uno dei grandi
temi della cosmologia del Seicento. E, in particolare, uno dei grandi temi del pensiero
newtoniano).
Se consideriamo la forma logica dellidentit di due gocce dacqua, dobbiamo ricorrere alla
somma delle loro propriet qualitative e quantitative; ma se consideriamo il medesimo
problema dal lato del suo contenuto materiale, allora sufficiente dire che due gocce
dacqua sono diverse tra di loro (numericamente diverse) perch occupano spazi
reciprocamente differenti.
Queste, dunque, in una prima approssimazione, sono le argomentazioni kantiane. Quando
le nostre rappresentazioni hanno a che fare con lidentit o la diversit, dobbiamo
distinguere se si tratta di una identit intellettuale (logica) o se ci si sta riferendo ad
oggetti fisici.
Lidentit logica ha una valenza solo intellettuale. Lidentit materiale riguarda invece
gli oggetti.
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Leibniz prese i fenomeni per cose in s, quindi per intelligibilia, ossia oggetti
dellintelletto puro (sebbene egli li designasse col nome di fenomeni, a causa della
confusione delle loro rappresentazioni); e cos il suo principio degli indiscernibili
(principium identitatis indiscernibilium), non poteva per nessun verso essere attaccato.
La posizione leibniziana viene citata polemicamente. Nel senso che, secondo Kant, le sue
argomentazioni devono essere confutate. E devono essere confutate perch ingenerano
confusione.
Di Leibniz si dice che prese i fenomeni per cose in s, ossia, secondo il vocabolario
kantiano, trascur la differenza tra intelletto e sensibilit. Meglio ancora:
intellettualizz, per cos dire, la sensibilit.
Nel senso che, per Leibniz, come si ricorder, la questione dellidentit di un oggetto
riguarda esclusivamente fattori di tipo logico.
Un oggetto identico a s e distinto dagli altri perch definito da una serie infinita di
predicati e se due oggetti condividessero lintera infinita serie di predicati, i due oggetti,
non diponendo di una qualsivoglia determinazione ulteriore per affermarsi, giocoforza
coinciderebbero.
La questione dello spazio/tempo tutta interna alla serie dei predicati inerenti
alloggetto.
Per noi lettori di questo testo, le argomentazioni qui sollevate chiamano in causa tutta una
serie di approfondimenti particolari.
Vale a dire: al nostro livello di comprensione del testo, se volessimo saperne di pi,
dovremmo approfondire una rete di concetti.
Dovremmo cio capire meglio che cosa davvero si debba intendere per spazio,
intuizione, sensibilit, identit, oggetto, forma, materia.
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Filosofia teoretica
Dunque: se ci riferiamo ai concetti del nostro intelletto, non mai possibile almeno
questo sembra essere il senso delle parole di Kant che due rappresentazioni intellettuali
si annullino a vicenda.
Come mai?
Pensiamo al caso di concetti matematici (come sembra fare qui Kant): possiamo dire che
una determinata operazione aritmetica, che si svolge allinterno di un contesto di
definizioni da essa stessa implicate, sempre e necessariamente vera.
Cio, da un punto di vista matematico, se 3 3 = 0, allora non possibile produrre un
insieme di concetti numerici che accettando le regole di quel mondo aritmetico in cui 3
3 = 0 possa opporsi a quella determinata operazione aritmetica, senza cadere con ci in
una completa insignificanza.
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I concetti, tra di loro, e per cos dire, non si annullano mai a vicenda. Se un concetto
definito, come Kant sembra fare, dalla sua universalit e necessit, allora valido in
tutti i mondi possibili. Ma se valido in tutti i mondi possibili, allora non pu essere
azzerato da un concetto opposto.
Questo tipo di opposizione avrebbe un mero significato intellettuale, non sarebbe cio
reale.
Analizziamo invece (iv).
Scrive Kant:
Al contrario, il reale fenomenico (realitas phaenomenon) pu indubbiamente
contenere opposizioni, e, riunite nello stesso soggetto, pu una realt annullare in
tutto o in parte leffetto dellaltra, come due forze agenti sulla medesima linea retta, in
quanto tirano o spingono un medesimo punto in direzione opposta, o come anche
un piacere che contrabbilanci un dolore.
Nel caso della realt fenomenica abbiamo invece il riscontro di vere e proprie
opposizioni, perch se consideriamo ad esempio il mondo delle forze, non possiamo
tardare ad accorgerci che forze opposte, agenti idealmente sulla stessa direzione ma aventi
verso differente, possono concretamente annullarsi.
Cio Kant sembra pensare che concordanza e opposizione siano possibili solo se ci si
riferisce al livello del loro contenuto materiale, ossia solo se si considerano fenomeni
concreti, ossia concrete determinazioni dinamiche.
Viceversa, sul piano della forma logica, non possibile dire che i concetti tra di loro si
azzerino.
La questione messa in campo da Kant molto complicata: un po perch le carte delle
argomentazioni vengono mescolate ad elementi fisici e matematici. Un po perch si parla
di soggetti (e curiosamente manca nel testo la parola oggetti) o, pi globalmente, di
realt (fenomeniche e noumeniche).
Daccapo, il riferimento a Leibniz abbastanza implicito.
Nel senso che, nel pensiero di Leibniz, i concetti di opposizione e di concordanza
vengono definiti in maniera per certi versi analoga, ma per certi versi sottilmente
differente.
Per es. vero anche per Leibniz che concetti veri (ossia validi in tutti i mondi possibili)
non possono essere tra di loro opposti (perch ci implicherebbe contraddizione).
Ma non altrettanto vero, o almeno non cos immediatamente vero, che, nel campo della
fisica, forze opposte si azzerino del tutto.
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Il nostro schema per entrare nel testo kantiano deve essere sempre lo stesso, e quindi
daccapo e di nuovo, visto che siamo sempre allinterno di una riflessione trascendentale
che indaga gli oggetti della riflessione, dobbiamo chiederci:
v.
vi.
Analizziamo (v).
Riprendiamo le parole di Kant:
In un oggetto del puro intelletto interno solamente ci che non ha alcuna
relazione (per lesistenza) a qualcosa di diverso.
Interno solamente ci che non ha alcune relazione, per la sua esistenza, a qualcosa di
diverso.
Linterno quindi ci che non ha alcuna relazione a qualcosa di diverso (per la sua
esistenza).
Cio: le determinazioni interiori di una sostanza che si d nello spazio, non riguardano
altro stante la validit di quanto affermato in 1. (ossia in Identit e diversit) che
semplici relazioni.
Che come dire: delle sostanze fenomeniche noi non conosciamo altro che le loro
relazioni spaziali. Come dice infatti Kant:
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altre propriet non conosciamo, che costituiscano il concetto della sostanza, che
fenomenicamente nello spazio, e che chiamiamo materia.
Vale a dire: la determinazione logica di ci che significa interno non riscontrabile negli
oggetti esterni della realt fenomenica, perch in questo caso la mia unica possibilit
sarebbe quella di estendere agli oggetti esterni una serie di propriet che invece, e per
definizione, non possono avere alcuna relazione a qualcosa di diverso.
E reciprocamente, lesterno, dal canto suo, non pu essere fatto rientrare in un concetto
dellintelletto, perch sono semplici relazioni ci che lo definiscono.
Lentrata in scena di Leibniz, a questo punto, inevitabile:
Quindi Leibniz di tutte le sostanze, poich se le rappresentava come noumeni, e
perfino degli elementi costitutivi della materia, dopo averne tolto via nel pensiero
tutto ci che poteva significare relazione esteriore e quindi anche la composizione,
ne fece soggetti semplici, dotati di forza rappresentativa, in una parola monadi.
Leibniz considera linterno delle cose (come ci che non ha relazione a qualcosa di
diverso) e traspone questa definizione di interiorit alle cose esterne, facendo di esse
delle sostanze piuttosto che degli oggetti, e chiam queste cose monadi.
Qui lattacco frontale: Kant ritiene che Leibniz si rappresentasse le cose
noumenicamente, ossia le considerasse unicamente sotto il profilo intellettuale,
prescindendo cio dal fatto che il nostro unico modo di rapportarci allesterno delle cose
quello di determinare le reciproche relazioni spazio-temporali degli oggetti. E il
ragionamento per analogia che Leibniz sembra impiegare, non sembra essere
considerato valido per Kant.
Ovviamente, pi ci inoltriamo nella lettura del testo e pi ci rendiamo conto che il
confronto instaurato con Leibniz radicale.
Nel senso che Kant mette in discussione lintero sistema di Leibniz e lo fa partendo, per
cos dire, dai suoi fondamenti.
Ma, per noi che veniamo da un precedente percorso di studio su Leibniz, possiamo dire
che stiano effettivamente cos le cose in relazione a Leibniz? Quanto Kant sta forzando il
suo pensiero per sostenere la validit delle proprie tesi? E quanto queste tesi possono
davvero essere considerate convincenti?
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Basti pensare allapplicazione del nostro schema derivato dalla definizione di riflessione
trascendentale.
Proviamo a chiederci, per lultima volta:
vii.
viii.
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Cio: i concetti dati sono la materia del giudizio e la loro relazione simboleggiata dalla
copula rappresenta la forma del giudizio.
Ovviamente, gi qui i problemi sono molti: cosa intende dire Kant asserendo che nel
giudizio i concetti sono dati (gegebene)? a quali concetti si sta riferendo? Se i concetti
corrispondono alle categorie (secondo la definizione tecnica del dizionario kantiano),
possiamo dire che le categorie sono date?
Pi semplicemente, forse Kant sta parlando di concetti logici in generale (e tuttavia non
viene incontro al lettore perch non viene fornito nessun esempio specifico di ci).
Mentre la relazione tra concetti viene chiamata forma del giudizio. E forse lecito
pensare che le categorie corrispondano a questa relazione, nella misura in cui
istituiscono una connessione tra le rappresentazioni, conferendo a queste ultime maggiore
unit.
Quindi: gi ad un primo livello di analisi le cose si presentano come molto complicate.
E ancora:
Ed anche rispetto alle cose in generale la realt illimitata stata considerata come la
materia di ogni possibilit, ma la limitazione (negazione) di essa come quella forma
per cui una cosa differisce da unaltra in virt di concetti trascendentali.
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Dal punto di vista logico (Kant dice dellintelletto puro) la materia deve quindi
precedere la forma:
Quindi, nel concetto dellintelletto puro la materia precede alla forma.
E quindi, dal punto di vista di Kant: Leibniz prima ammise le cose, ossia la materia, ossia le
monadi, e quindi ammise la presenza di una forza rappresentativa che doveva
costituire il lato formale della vicenda, ossia il lato della loro determinazione interna.
Ma, ovviamente, noi lettori a questo punto andiamo in tilt perch ci si dice che le monadi
sono materia e la forza rappresentativa forma, mentre per Leibniz sembra essere tutto
il contrario.
Nel senso che in Leibniz le monadi non sono materia: n sotto il profilo fisico, n
tantomeno sotto il profilo logico-ontologico.
Le monadi, verrebbe da dire, ma probabilmente travisando quello che Kant aveva a cuore
di dire, rappresentano il prototipo stesso del formale per Leibniz.
E, altrettanto, che cosa questa forza rappresentativa citata da Kant?
Qui vengono mescolati insieme due elementi distinti della filosofia leibniziana: il concetto
di forza e quello di rappresentazione, sebbene collegati, non paiono coincidere del
tutto in Leibniz.
Nel senso che la forza rappresenta per Leibniz lintimo sostrato fisico degli enti ed
un qualcosa di difficile definizione, perch se per un verso la forza non-materiale (nel
senso che non esperibile direttamente e sensibilmente in quanto tale), dallaltra, ci che
struttura le determinazioni materiali degli enti e delle sostanze.
La questione, come si pu vedere da questi semplici accenni, molto spinosa.
Nel senso che qui Kant veramente porta alle estreme conseguenze il suo confronto con
Leibniz: la discussione infatti si concentra sui due concetti che sono posti a fondamento di
ogni altra riflessione (per usare lespressione di Kant stesso).
Ossia, qui sembra essere in gioco davvero una questione di carattere fondazionale, nel
senso che, a seconda di come si intendono i concetti di forma e di materia, ne derivano
conseguenze ontologiche imponenti.
Non forse del tutto sbagliato dire che il testo dellAnfibolia racchiude una parte
importante delle questioni fondazionali che si riverberano sullintera KrV.
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In un certo senso, si potrebbe dire che il confronto serrato con Leibniz costituisca una delle
radici profonde della KrV.
Subito dopo, a coronamento di questo giro di definizioni, Kant ricorda che la trascuratezza
di tutto ci ingenera una anfibolia trascendentale, ossia uno scambio delloggetto puro
dellintelletto col fenomeno (ibid.).
E da qui, daccapo, viene citato Leibniz.
La filosofia leibniziana rappresenta quindi, agli occhi di Kant, il prototipo stesso dellidea
di anfibolia: nel suo pensiero, Leibniz scambia loggetto puro dellintelletto col
fenomeno.
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Kant non fa sconti e ci spiega, una volta di pi, su cosa poggia questo fraintendimento
nel quale Leibniz incappato:
Egli confront tra di loro tutte le cose semplicemente mediante concetti, e trov
comera naturale, che non cerano differenze, tranne quelle per cui lintelletto
distingue luno dallaltro i suoi concetti puri.
Le condizioni della intuizione sensibile, che portano con s la loro speciale
differenza, egli non le consider come originarie; poich la sensibilit era per lui
soltanto una specie di rappresentazione confusa, e non gi una fonte speciale di
rappresentazioni;
il fenomeno era per lui la rappresentazione della cosa in s (Ding an sich);
tuttavia, tale rappresentazione differente, quanto alla forma logica, dalla
conoscenza mediante lintelletto, poich il fenomeno, con la sua abituale mancanza
di analisi, introduce nel concetto della cosa una certa mescolanza di rappresentazioni
collaterali, che lintelletto in grado di eliminare.
In una parola: Leibniz intellettualizz i fenomeni, come Locke, col suo sistema di
noogonia (se mi lecito servirmi di questa espressione), aveva sensibilizzato tutti i
concetti dellintelletto, riducendoli a nientaltro che a concetti empirici o astratti della
riflessione (pp. 219-220; B 326-327; Colli 341-342).
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Punto centrale della nostra analisi, a questo livello di considerazione, deve allora essere la
distinzione posta da Kant tra fenomeno e noumeno.
Che senso ha questa distinzione?
Come viene argomentata?
E argomentata in maniera convincente da Kant?
Procediamo con ordine e iniziamo a porci alcune domande.
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Filosofia teoretica
Ma il punto ora questo: che cosa sono questi oggetti fenomenici di cui parla Kant?
Questi oggetti che ci sono dati tramite la sensibilit: che cosa sono?
Che cosa ci dato dalla sensibilit?
Questa domanda, a mio modo di vedere, piuttosto delicata e complessa. Evitiamo di
trarre conclusioni affrettate e procediamo un passo dopo laltro.
Gli oggetti ci vengono dati nella sensibilit come intuizioni immediate.
Gli oggetti sono per noi delle intuizioni immediate che si danno secondo la forma di
spazio e di tempo.
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Il darsi degli oggetti un darsi immediato che avviene secondo le modalit dettate dalla
forma delle nostre intuzioni.
Il darsi degli oggetti avviene secondo le linee direttrici imposte dalla forma della nostra
recettivit (se non ci fossero intuizioni pure, gli oggetti esterni non potrebbero neppure
essere rappresentati).
Ma allora il darsi degli oggetti un darsi che non pu prescindere da questo
riferimento formale, anche perch proprio questo aspetto di formalit che
rappresenta, secondo Kant, loggettivit delloggetto.
Le intuizioni pure, infatti, garantiscono secondo Kant, un primo e fondamentale grado di
oggettivit alle nostre conoscenze: gli oggetti sono nello spazio e nel tempo.
Vale a dire: gli oggetti sono oggettivamente nello spazio e nel tempo.
Quindi: i contenuti delle intuizioni empiriche sono variabili, ma la loro forma no. E proprio
la forma delle intuizioni empiriche consente alla nostra sensibilit di riferirsi ad oggetti
in quanto tali. Ossia consente di pensare loggetto nella sua, per dir cos, radice
oggettiva.
Ma allora, per quanto detto finora, non sembra arbitrario dire che il darsi degli oggetti
per Kant un darsi che ha una natura eminentemente formale.
Ossia: vero che gli oggetti si danno nella nostra sensibilit, ma si danno in modo
eminentemente formale.
Gli oggetti si danno formalmente.
In qualche modo, loggetto ci che si d allinterno di una struttura formale.
E proprio questo costituisce lelemento trascendentale della vicenda: proprio perch
gli oggetti vengono recepiti secondo una determinata forma che possibile una loro
fondazione trascendentale.
Quindi: lelemento della trascendentalit degli oggetti costituito in qualche modo dalla
stessa trascendentalit della forma.
Voglio dire: a questo livello di analisi sembra quasi che i concetti di trascendentale e di
formale risultino in qualche modo interscambiabili.
Il trascendentale , propriamente parlando, una struttura di tipo formale.
Il trascendentale non , ovviamente, un oggetto di intuizione empirica, ma rinvia, per la
sua definizione, allattivit formale che esso svolge in relazione agli oggetti.
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E fin qui, se tutti i passaggi argomentativi delineati tengono (e non affatto scontato che
tengano), possiamo dire di aver conseguito un primo risultato di fondamentale
importanza:
gli oggetti che ci vengono dati nella nostra sensibilit rappresentano un quid che si
manifesta per una struttura di tipo formale.
loggetto trascendentale, che pu essere il fondamento di questo fenomeno da noi
chiamato materia, un semplice qualcosa, riguardo a cui non sapremmo neppure
comprendere che cosa sia, anche se qualcuno potesse dircelo (p. 223; B 334; Colli
347).
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Se io dico che una cosa si trova in uno spazio a, mentre unaltra cosa si trova in uno spazio
b, secondo la tesi sostenuta da Kant, io non so nulla quanto alle determinazioni interne di
queste due cose, ma so tuttavia che sono distinte: o meglio, so che sono necessariamente
distinte luna dallaltra.
Come si ricorder, per Leibniz il concetto di spazio indica soprattutto e in primo luogo un
astrazione. Nel senso che concetto derivato dalla nozione di estensione e questa, a sua
volta, derivata astraendo dalle molteplici sostanze concretamente estese.
Per Leibniz, quindi, da un punto di vista ontologico, esistono prima le sostanze estese e,
successivamente, lo spazio pu essere considerato come lordine (o la relazione)
intercorrente tra molteplici sostanze estese.
Ma cosa significa che la sostanza individuale concretamente determinata estesa?
Da dove deriva lestensione?
Questo un punto molto delicato della filosofia leibniziana: quello di riuscire a spiegare,
cio, come da una struttura formale come quella entelechiale possa generarsi il
fenomeno dellestensione.
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presenti come identico e diverso rispetto a s), rappresenta secondo Kant la definizione
pi appropriata del tempo stesso. Tant che la stessa definizione di identit (come un
qualcosa che, al tempo stesso e sotto il medesimo rispetto si mantiene invariata) implica un
riferimento imprescindibile (o almeno apparentemente imprescindibile) alla sfera della
temporalit.
Tuttavia, ferma restando limpostazione complessiva che Kant assegna alla propria Critica,
il tempo, in quanto intuizione, presuppone che un qualcosa sia dato: le intuizioni
infatti hanno questo di fondamentale secondo Kant: operano e si attivano nei confronti di
qualcosa che dato.
Affinch vi sia intuizione, vi deve quindi essere qualcosa di preliminarmente dato.
Stabilito ci (e tutto ci pu effettivamente sembrare che abbia un valore assiomatico),
allora lintuizione si caratterizza come apprensione immediata del dato .
Se le cose stanno cos, allora noi dobbiamo riflettere su due fattori:
-
Lidea di Kant, ripetuta pi volte nel corso della KrV e dellAnfibolia, sembra essere
questa: posto che tutto ci che dato si manifesta con sembianze fenomeniche (ossia,
risulta ignoto per come esso in s, ma conosciuto solo dal lato per cui appare e si
manifesta alla nostra sensibilit), allora anche il nostro io interiore ripeter le
caratteristiche di un dato fenomenico.
In altre parole, noi intuiamo noi stessi come fenomeni e non come noumeni.
Tant che il tempo viene inteso da Kant come una forma della sensibilit e non
dellintelletto.
Il nostro io ha dunque la forma sensibile di un io temporale. Ossia, si manifesta a noi
stessi, appare a noi stessi, si fenomenizza, come io temporale.
Cio, daccapo, noi non possiamo conoscere noi stessi come effettivamente siamo, ma
soltanto come appariamo a noi stessi.
Il nostro stesso in s rimane del tutto indeterminato, al pari delle cose esterne.
Ma proprio vero che le cose stiano cos?
Kant, in effetti, pone una distinzione tra io empirico e io trascendentale e ricorderemo
come lappercezione trascendentale (io penso) rappresenti, in un certo senso, la radice
noumenica dellio empirico, nel senso di una sua condizione di possibilit.
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Lio penso, come forma logica che accompagna le nostre rappresentazioni, in qualche
modo rappresenta la forma logica di ci stesso che si pu pensare come io.
Proprio nel testo dellAnfibolia, abbiamo visto come Kant metta a punto una griglia di
concetti a cui sottoporre le nostre rappresentazioni (al fine di distinguere se esse rientrino
nella sensibilit oppure nellintelletto).
Ricorderemo che ogni concetto di questa griglia poteva essere trattato o secondo la sua
forma logica oppure secondo il suo contenuto materiale.
Ebbene, questo tipo di distinzione effettivamente si pu applicare a quella che la
rappresentazione dellio.
Al nostro io, o alla rappresentazione di un io in generale, ci si pu infatti rapportare
considerando il lato della sua forma logica o del suo contenuto materiale:
Il contenuto materiale dellio evidentemente si riferisce alle determinazioni dellio
empirico (e al nostro livello di analisi dovremmo cercare di capire quali siano queste
determinazioni);
la forma logica dellio rappresenta, invece, la sua condizione formale: ossia, da un punto di
vista logico o concettuale, quali sono le condizioni che rendono possibile parlare di un
qualcosa come di un io.
E proprio qui, a mio avviso, il discorso si fa molto complicato da seguire: tanto dal lato
delle determinazioni dellio empirico, quanto dal lato della sua definizione formale.
Proviamo a dare un ordine ai nostri pensieri e analizziamo questi due punti
separatamente.
I.
Qui Kant dice almeno due cose che meritano di essere sottolineate:
in primo luogo, dice che non il tempo che scorre, ma che in esso che scorre
lesistenza del mutevole:
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e, in secondo luogo, che ci che corrisponde al tempo, nel fenomeno, ci che non
muta nellesistenza, e cio la sostanza.
Cosa vuol dire qui Kant?
La prima affermazione si pu forse sciogliere nel modo seguente:
nellEstetica trascendentale ( 5 Esposizione trascendentale del concetto del tempo) Kant
scriveva che il concetto di movimento e, pi in generale, il concetto di mutamento
(Vernderung) possibile solo mediante la rappresentazione del tempo (p. 62; B 49;
Colli 88).
Perch?
Perch nessun altro concetto potrebbe rendere intelligibile la possibilit di un
mutamento e cio:
dellunione in uno e medesimo oggetto di predicati opposti contraddittori (per es.
lessere e il non essere una cosa nello stesso luogo). Due determinazioni contrapposte
contraddittoriamente possono ritrovarsi in un medesimo oggetto unicamente entro il
tempo, cio luna dopo laltra (nach einander) (ibid.).
Il tempo, cio, ha la forma, o laspetto, di una struttura contraddittoria nel senso che,
tecnicamente, contiene la possibilit di riferire a un medesimo oggetto dei predicati
opposti contraddittori. Per es., se analizziamo il fenomeno del mutamento locale (il
movimento), dobbiamo dire che se frazioniamo il movimento in istanti, nel singolo istante
loggetto considerato si trova in una sorta di condizione assurda: non pu essere in una
condizione di stasi (ossia, fermo), perch in quel caso loggetto rimarrebbe fisso sullo
stesso luogo e quindi non si renderebbe ragione del suo passare da un luogo allaltro (il
movimento un passaggio di luogo); ma dallaltra, nella misura in cui viene considerato in
movimento, ci significa che loggetto, considerato nellistante esatto in cui viene
fotografato si trova e non si trova nel medesimo luogo.
Il movimento, cio, si pu rendere intelligibile soltanto tramite il riferimento al tempo,
perch proprio del tempo contenere la struttura delluno-dopo-laltro (nacheinander)
nellistante.
Il tempo, cio, esso stesso una struttura contraddittoria e proprio per questo noi siamo in
grado di comprendere i fenomeni relativi al mutamento e al movimento: il
movimento un mutamento di luogo che si effettua nel tempo. E mutare luogo
significa passare da un luogo allaltro, quindi, per ipotesi, passare da A e B, assumendo A
e B come luoghi diversi.
Nel momento esatto del passaggio, quindi nellistante preciso in cui ci si muove da A verso
B, ebbene in questo istante loggetto considerato ha la propriet di essere sia in A sia in B
nonostante A e B siano e rimangano luoghi distinti.
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Kant distingue quindi il tempo, da ci che in qualche modo contenuto nel tempo.
Contenuti nel tempo sono i suoi istanti e quindi gli stati contraddittori, i quali, a livello di
manifestazione sensibile, corrispondono ai fenomeni del movimento, del mutamento, e
quindi anche a tutti quei fenomeni riguardanti il cambiamento dei nostri stati danimo, le
variazioni della nostra identit empirica, etc.
Di per s considerato, invece, il tempo non muta e non cambia: proprio perch, in un certo
senso, il tempo la contraddizione stessa, ovvero il manifestarsi di una identit attraverso la
contraddizione.
Questo dunque laspetto formale del tempo: il lato per cui esso pura forma. E per questo
motivo il tempo rappresenta, secondo Kant, linterno del soggetto conoscente.
Ricorderemo che Kant definisce linterno nellAnfibolia come ci che non ha alcuna
relazione (per lesistenza) a qualcosa di diverso. Ebbene, il tempo esattamente questo:
ci che, quanto alla sua esistenza, non ha alcuna relazione a qualcosa di diverso.
Nella misura in cui il tempo unattivit negativa, una struttura contraddittoria che si
manifesta, si attua, si definisce contraddicendosi, la relazione a qualcosa di diverso
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Daccapo: lapparenza stessa di ci che , il modo del suo manifestarsi, a tutti i livelli,
che viene esperito sotto la forma del limite.
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Riferimenti bibliografici
Edizioni critiche:
Kants gesammelte Schriften, hrsg. Von der Kniglich Preussischen (poi: Deutschen)
Akademie der Wissenschaften, Berlin-Leipzig 1900-.
Riviste:
"Kant-Studien" (KS), edita a partire dal 1897 (a partire dal 1969 il quarto numero di ogni
annata pubblica una bibliografia kantiana)
"Studi kantiani" (1988-) [fornisce indicazioni bibliografiche e notizie sulle attivit connesse
allo studio del pensiero di Kant]
Lessici:
EISLER R., Kant Lexicon, Georg Olms Verlag, Hildesheim-Zrich-New York 1994.
CAYGILL H., A Kant Dictionary, Blackwell, Oxford 1995.
Biografie:
BOROWSKI L.E. JACHMANN R.B. WASIANSKI E.A.Ch., La vita di Immanuel Kant
narrata da tre contemporanei, Editori Laterza 1969.
DE QUINCEY Th., Gli ultimi giorni di I. Kant, Adelphi, Milano 1983.
Introduzioni:
GUERRA A., Introduzione a Kant, Editori Laterza, Roma-Bari 1980.
RICONDA G., Invito al pensiero di Kant, Mursia, Milano 1987.
Studi complessivi sul pensiero kantiano:
The Cambridge Kant Companion, edited by Paul Guyer, Cambridge University Press,
Cambridge 1992.
BARALE M., Kant e il metodo della filosofia, ETS, Pisa 1988.
CAMPO M., La genesi del criticismo kantiano, Editrice Magenta, Varese 1953.
CASSIRER E., Vita e dottrina di Kant, La Nuova Italia, Firenze 1984.
LA ROCCA C., Strutture kantiane, ETS, Pisa 1990.
MARCUCCI S., Kant e le scienze, Padova 1977.
MELCHIORRE V., Analogia e analisi trascendentale. Linee per una nuova lettura di Kant,
Milano 1991.
WEIL E., Problemi kantiani, Urbino 1980.
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A.A. 2005/2006
Filosofia teoretica