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A.A.

2005/2006

Filosofia teoretica

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A.A. 2005/2006

Filosofia teoretica

Universit degli Studi di Padova


(Dipartimento di Filosofia)
A.A. 2005/06 - LAUREA TRIENNALE
FILOSOFIA TEORETICA (M-FIL/01)
I concetti di forma e di materia in G.W. Leibniz e I. Kant.
(Prof. A.M. Nunziante)
Primo Semestre
OBIETTIVI FORMATIVI: Il corso intende analizzare i concetti di forma e di materiain
Leibniz e in Kant. Verr condotta unanalisi sui testi della Monadologia e dellAnfibolia dei
concetti della riflessione allo scopo di evidenziare le ricorrenze, gli utilizzi e i significati di
tali concetti.
Finalit generale del corso delineare i contorni teorici di un problema fondamentale del
Pensiero Moderno, offrendo agli studenti degli strumenti critici per orientarsi tra
prospettive teoretiche e interpretazioni storiche.
MODULO A I concetti di forma e di materia in G.W. Leibniz 3 crediti 20 ore
Contenuto didattico
Obiettivo del primo modulo: fornire unesposizione generale del tema del corso; proporre,
dopo unintroduzione di tipo storico-genetico, unanalisi dei concetti di forma e di
materia nel pensiero leibniziano attraverso la letture diretta delle pagine della
Monadologia.
Testi di riferimento
1. G.W. LEIBNIZ, Monadologia, ed. it. a cura di S. Cariati (con testo a fronte) Rusconi,
Milano 1997 (oppure, sempre dello stesso curatore, Bompiani, Milano 2001)
2. Dispense dalle lezioni

MODULO B I concetti di forma e di materia in I. Kant 3 crediti 20 ore


Contenuto didattico
Obiettivo del secondo modulo: passare in rassegna le critiche rivolte da Kant a Leibniz, in
merito al problema della determinazione dei concetti di forma e di materia, attraverso
una lettura diretta delle pagine dellAnfibolia dei concetti della riflessione contenute nella
Critica della ragion pura.
Testi di riferimento
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1. I. KANT, Critica della ragion pura (in una edizione italiana a scelta tra Laterza, Bompiani,
Adelphi, UTET) saranno oggetto di analisi le pagine riguardanti la Anfibolia dei concetti
della riflessione per lo scambio delluso empirico dellintelletto con luso trascendentale (Appendice
alla Analitica trascendentale), pi una selezione di altri passi indicati dal Docente nel corso
delle lezioni.
2. Dispense dalle lezioni
ALTRE INFORMAZIONI
I due moduli sono inseparabili. Oltre alla bibliografia indicata il docente si riserva di
segnalare altre letture durante lo svolgimento del corso.
La frequenza vivamente consigliata

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Filosofia teoretica

MODULO B
I concetti di forma e di materia in Kant
Parte prima.........................................................................................................................................5
1. Introduzione (Prefazioni e Introduzione)..................................................................................5
2. Estetica trascendentale ...............................................................................................................15
2.1. Definizione di estetica trascendentale: intuizioni, sensibilit, fenomeni .....16
2.2. Lo spazio come forma costante della recettivit..................................................21
2.3. Il tempo come forma reale dellintuizione interna..............................................24
3. La logica trascendentale: sulle distinzioni del concetto di logica ....................................29
4. Lanalitica trascendentale: lanalitica dei concetti ..................................................................33
4.1. concetti, funzioni, ordini architettonici.................................................................35
4.2. giudizi, fili conduttori, categorie............................................................................38
4.3. Sulla possibilit di una unificazione in generale .................................................42
4.3.1. Lunit sintetica originaria dellappercezione ..................................................45
5. Lanalitica trascendentale: lanalitica dei principi..................................................................49
5.1. regole e schemi .........................................................................................................50
5.2. I princpi dellintelletto............................................................................................53
5.3. Tra fenomeni e noumeni .........................................................................................57
Parte seconda ...................................................................................................................................59
1. Prima scansione del testo: presentazione, nota, conclusioni ............................................59
2. Architettura delle scansioni del testo: ......................................................................................61
2.1. La presentazione del problema dellAnfibolia: prima introduzione................61
2.2. Il tema di una topica trascendentale: prima esposizione sinottica ...............66
2.3. La nota al testo: ripresa di (a) e di (b)................................................................79
2.3.1. La distinzione fenomeno/noumeno come fondamento delle critiche a
Leibniz ..............................................................................................................................80
2.3.2. Leibniz intellettualizza i fenomeni? ...............................................................81
2.3.3. Fenomeni, identit, spazio, tempo......................................................................86
2.3.4. Tempo e interno: interno tempo?.............................................................92
3. Conclusione al testo: Leibniz, Kant, questioni aperte............................................................99
Riferimenti bibliografici ...............................................................................................................102

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Filosofia teoretica

Parte prima

1. Introduzione (Prefazioni e Introduzione)

Scrive Kant nella Prefazione alla prima edizione della Critica della ragion pura (dora
in poi abbreviata in KrV):
La ragione umana, in una specie delle sue conoscenze, ha il destino di essere
tormentata da problemi che non pu evitare, perch le sono posti dalla natura della
stessa ragione, ma dei quali non pu trovare la soluzione, perch oltrepassano ogni
potere della ragione umana (p. 5 ediz. it.).

Dunque: si descrive una situazione di imbarazzo. Di un imbarazzo in cui la


ragione cade senza sua colpa (ibid.).
Il motivo di questo imbarazzo dovuto, secondo Kant, alla natura propria della
ragione la quale, nel suo tentativo di spiegare le cose che la circondano, sale
sempre pi in alto, viaggiando verso condizioni sempre pi remote, ossia fino
allestremo limite in cui le sue affermazioni escono fuori dai limiti di ogni
esperienza e divengono quindi incontrollate e incontrollabili (nella misura in cui
non riconoscono pi una pietra di paragone dellesperienza).
La Metafisica rappresenta il simbolo dellattivit espressa dalla ragione: ossia, un
campo di lotte senza fine (ibid.), in cui ciascuno pu dire ci che gli pare perch
nessuno in grado di controllare la veridicit delle affermazioni proposte.

Per capire i temi esposti nella KrV pu essere importante partire proprio da queste
considerazioni.
Kant insiste molto su questo destino paradossale della ragione e della metafisica,
nel senso che, da una parte, loggetto delle ricerche metafisiche non pu mai essere
indifferente alla natura umana (e per questo una volta la metafisica era chiamata
la regina di tutte le scienze), ma, dallaltra, la sua affermazione nel campo della
storia si tradotta in una sorta di bellum omnium contra omnes, di guerra di tutti
contro ciascuno.

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A questo riguardo, sempre in sede di Prefazione, Kant tratteggia un quadro storico


a tinte fosche:
la regina di tutte le scienze, la metafisica, per limportanza capitale dei suoi
oggetti di riflessione (Dio, anima, mondo, etc.), si imposta nella storia con fare
dogmatico, in una maniera definita dispotica (p. 6). E questa imposizione
dogmatica ha prodotto poi un movimento di ribellione nei suoi confronti che ha
finito col degenerare in una completa anarchia.
Nel senso che: passata la prima fase di dominazione dispotica, nella scena storica
sono entrati gli scettici, una sorta di nomadi nemici giurati dogni stabile cultura
della terra (ibid.), ossia i rappresentanti di una contro-cultura nemica dei dogmi e
di ogni forma di assertoriet.
E poi stata la volta degli indifferenti: dopo il dispotismo dogmatico e la
reazione scettica subentrato nella storia umana un atteggiamento di fastidio
verso questo tipo di dispute inconcludenti. Ed cos che, in epoca contemporanea,
si affermato lindifferentismo, padre del caos e della notte (ibid.).
Quindi, un ritratto della storia umana addirittura drammatico.
Luomo, tradizionalmente definito come animal rationalis, si avventurato in una
serie di labirinti dai quali non pi in grado di uscire: metafisica, dispotismo,
anarchia, indifferenza, rappresentano termini molto forti impiegati da Kant per
descrivere una situazione non solo cognitiva, ma addirittura sociale e, pi
globalmente, storica.
La KrV nasce quindi da qui. Da queste considerazioni. Da una sorta di bilancio
retrospettivo di quello che il pensiero ha prodotto nella storia umana.
E, ovviamente, per fare la tara a queste affermazioni kantiane, bisognerebbe
inoltrarsi quanto meno sul terreno della storia della filosofia, in modo da
individuare i referenti del discorso di Kant.
Ma unestrema sintesi pu essere efficace.
Si pu partire proprio da Leibniz e dalla sua dottrina monadologica, la quale, se per
un verso rappresenta un tentativo grandioso di rendere ragione della realt che ci
circonda, dallaltro, rimane, agli occhi di Kant, un tentativo meramente
metafisico, nel senso deteriore del termine, ossia di una conoscenza letteralmente
non-controllabile e non-verificabile, nella misura in cui si avventura oltre i limiti
dellesperienza.
E, in effetti, sempre in sede di Prefazione, viene ricordato il tentativo del celebre
Locke di arginare le interpretazioni metafisiche del reale elaborando una fisiologia
dellintelletto, secondo lo slogan Nihil est in intellectu, quod prius non fuerit in
sensu.
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Cos, nella storia, a pensatori metafisici come Leibniz, o Descartes, o Spinoza, o


Platone, se ne sono affiancati altri che hanno proposto lempira come terreno
comune di riferimento, tra i quali quindi Locke, o Hume.

E, tuttavia, le carte dellinterpretazione storica sono molto pi sparigliate di come a


prima vista potrebbe sembrare: proprio Hume, che Kant ammira e rispetta, ha in
qualche modo dimostrato che se per conoscenza delle cose si intende una sorta di
registrazione delle impressioni sensibili, siamo costretti ad accettare conclusioni
in qualche modo paradossali, come ad es. quella riguardante la natura della
causalit.
Che il sole sorga tutti i giorni non un fatto n necessario n scontato, ma solo
unimpressione derivante da una mia abitudine.

Kant, cio, prende sul serio tutte le affermazioni fatte dai filosofi a lui
contemporanei e si interroga sui motivi per cui la conoscenza umana, piuttosto che
riuscire a spiegare le cose che ci circondano e che noi stessi siamo, si tradotta e si
traduce continuamente in un campo di lotte senza fine.

Il problema principale da cui scaturisce la KrV quindi un problema di tipo


conoscitivo. Il problema di Kant, almeno in prima approssimazione, : stabilire che
cosa la conoscenza e come essa sia possibile.
O con altre parole: quali siano le condizioni di possibilit della conoscenza.
Ancora con parole tratte dalla Prefazione del 1781:
La questione principale rimane sempre quella: che cosa e fin dove lintelletto e la
ragione, allinfuori di ogni esperienza, possono conoscere (p. 9).

Uno degli scopi complessivi dellopera quindi questo: scoprire il principio


generale che governa la ragione (p. 11).

Sempre ragionando in termini di prima approssimazione, si pu quindi dire che


Kant ha in mente un problema di metodo pi che di contenuto.
Una delle idee di fondo da cui muove la KrV proprio questa: posto che la nostra
relazione con le cose e con il mondo dellesperienza una relazione mediata da
un punto di vista conoscitivo (nel senso che sono le diverse forme di conoscenza,
sensibile, concettuale, o ideale che ci rendono accessibile il mondo delle cose), si
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tratta di capire come la conoscenza funziona, indipendentemente dal suo riferirsi


alla realt esterna.
Se la ragione, o lintelletto, o la conoscenza genericamente intesa, sono gli
strumenti tramite cui accediamo al reale, allora si tratta di capire il funzionamento
di questi strumenti, perch solo in questo modo risulter poi possibile spiegare il
perch di certi loro esiti.
Uno dei grandi temi della KrV allora quello della relazione intercorrente tra
conoscenza e esperienza.
In che misura la nostra conoscenza si basa sullesperienza, in che misura risulta
possibile unesperienza che sia priva di connotazioni cognitive, in che misura
conoscenza e esperienza si relazionano reciprocamente: queste sono alcune delle
domande fondamentali della KrV.
E allora, per risolvere questo tipo di problema, Kant pensa in primo luogo di
considerare i diversi tipi e i diversi modelli possibili di conoscenza che, di fatto, sono
risultati e risultano storicamente esistenti.

Considerata sotto questa prospettiva, la questione diviene quella di stabilire prima


facie un confronto con quelle che vengono considerate le forme di conoscenza pi
forti, ossia pi stabili: quelle, insomma, sulle quali si registra un consenso
maggiore da parte degli studiosi.
E, quindi, si considera il caso della logica, della matematica e della fisica.
Queste considerazioni vengono programmaticamente sviluppate da Kant nella
Prefazione alla seconda edizione della KrV, quella cio del 1787.
Prendiamo allora il caso della logica.
La logica, scrive Kant, prova rigorosamente le regole formali di tutto il pensiero
(p. 14): la logica, cio, studia la forma del pensiero, astraendo dai suoi contenuti
empirici e dagli oggetti della conoscenza.
La logica, cio, non ha brancolato nel buio nella definizione delle proprie
conoscenze, ma al contrario, fin dai tempi antichi si messa su un sicuro
cammino e, da Aristotele in poi, non ha dovuto fare nessun passo indietro
(ibid.).
A cosa dovuto questo vantaggio della logica?
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Secondo Kant, si tratta di un vantaggio derivante da una ben riuscita delimitazione


di ambito: la logica astrae da tutti gli oggetti della conoscenza, e astrae quindi da
tutte le loro differenze particolari.
Nella logica, scrive Kant, lintelletto non deve occuparsi daltro che di se stesso e
della propria forma (ibid.).
Caratteristica delle conoscenze logiche quindi la loro completa
autoreferenzialit: il pensiero logico studia, in qualche modo, se stesso, senza
chiedersi se gli oggetti dei propri ragionamenti esistano davvero o cose del genere.

E altrettanto vale per la matematica.


La matematica produce il proprio oggetto secondo concetti: un sapere di natura
puramente concettuale in cui gli oggetti sono dei modelli che corrispondono a una
forma categoriale.
Cos, ad es., quando in geometria si ragiona sulle propriet di un triangolo non si
ragiona sulle sue propriet sensibili, ma il discorso rimane puramente astratto.
Cio, daccapo, si tratta di una forma di sapere e di una forma di conoscenza
completamente costruite dalluomo e nelle quali, per fare un esempio, loggetto
triangolo rappresenta un modello puramente formale che poco o nulla ha a che
fare con i triangoli sensibili che si possono trovare in natura.

Analogo discorso, almeno in parte, vale per la fisica.


Scrive Kant a questo proposito:
Quando Galilei fece rotolare le sue sfere su di un piano inclinato, con un peso scelto
da lui stesso, e Torricelli fece sopportare allaria un peso, che egli stesso sapeva di gi
uguale a quello di una colonna dacqua conosciuta e, pi tardi, Stahl trasform i
metalli in calce, e questa di nuovo in metallo, togliendovi o aggiungendo qualcosa,
fu una rivelazione luminosa per tutti gli investigatori della natura (p. 16)

La fisica, cio, in epoca moderna si edificata tramite una vera e propria


rivoluzione concettuale. I Fisici moderni compresero che nellosservazione dei
fenomeni naturali si vede e si comprende solo ci che in un certo senso gi
presente nello sguardo dellosservatore. Con parole di Kant, i Fisici moderni
compresero che
la ragione vede solo ci che lei stessa produce secondo il proprio disegno, e che, con
princpi dei suoi giudizi secondo leggi immutabili, deve essa entrare innanzi e

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costringere la natura a rispondere alle sue domande; e non lasciarsi guidare da lei,
per dir cos, colle redini; perch altrimenti le nostre osservazioni, fatte a caso e senza
un disegno prestabilito, non metterebbero capo a una legge necessaria, che pure la
ragione cerca e di cui ha bisogno (p. 16) .

Detto con altre parole: lidea dellosseratore che determina la natura


dellesperimento [cfr. le osservazioni di Heidegger, contenute in Lepoca
dellimmagine del mondo, in Sentieri interrotti, pp. 77 sgg.]
Nellesperimento, il ricercatore cerca una conferma delle proprie idee, del proprio
disegno prestabilito. La legge che si ricava una formulazione, una
generalizzazione, unespressione, dellidea che vi sta a fondamento.
Lidea di Kant sembra quindi essere la seguente: laspetto decisivo nella
formulazione delle leggi fisiche , in qualche modo, il progetto complessivo che
pu essere confermato o meno dallosservazione sperimentale. Ma questultima, se
non fosse sorretta da un disegno anticipatore o se non avesse alle sue spalle
unidea precisa che ne segna la direzione, non sarebbe altro che una confusa
raccolta di dati.

Ci che quindi accomuna le conoscenze di tipo logico, matematico e fisico,


costituito dal fatto che per Kant tutti questi modelli costruiscono in qualche
modo a priori loggetto della loro stessa indagine.
Galilei che fa rotolare le proprie sfere su di un piano inclinato ha gi in mente
lidea di una legge di gravit, ossia ha gi in mente un concetto di natura rispetto
al quale lesperimento si configura come verifica empirica.
Nel caso della logica e della matematica questo del tutto evidente: ed proprio
per questo motivo che possiamo parlare di conoscenze scientifiche, ossia stabili.
Nel caso della fisica questo pi complesso nella misura in cui si tratta di
confrontarsi col mondo dellesperieza, ma lopzione metodologica di fondo rimane
invariata: luniversalit e la necessit delle leggi non un qualcosa che appartiene
ai fenomeni, ma risiede nella mente dellosservatore che li considera.

Ma nel caso della metafisica come stanno le cose?


In metafisica la relazione idea/esperienza funziona in maniera differente: manca la
controprova dellesperienza.

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L dove si parla di Dio, delle propriet dellanima, o del concetto di mondo, manca
la possibilit di una verifica sperimentale che sia in grado di garantire la
corrispondenza tra loggetto intenzionato dal conoscere e il modo in cui la
conoscenza metafisica si rapporta ad esso.

Gli oggetti della metafisica, tradizionalmente intesa, trascendono cio il campo


dellesperienza: non sono delimitati.

Nelle pagine della Prefazione dell87, Kant delinea subito il paradosso della
metafisica: da una parte inevitabile (la nostra ragione inevitabilmente tende
allideale, alla totalit, allinfinito), dallaltra, non fondabile (non si pu agganciare
alla pietra di paragone dellesperienza).
Ma allora da dove vengono fuori gli oggetti propri della metafisica e in che
misura possono essere ricondotti entro le maglie della conoscenza scientifica?

Kant assume unIpotesi metodologica fondamentale: per capire come funziona il


nesso conoscenza/esperienza bisogna invertire il percorso tradizionalmente seguito
in metafisica.
Non bisogna cio pensare che sia loggetto a determinare la natura della
conoscenza, ma che al contrario, siano gli oggetti a regolarsi sulla nostra
conoscenza: gli oggetti della conoscenza si spiegano in relazione alla forma che li
modella.
Scrive Kant a questo proposito:
Sinora si ammesso che ogni nostra conoscenza dovesse regolarsi sugli oggetti; ma
tutti i tentativi di stabilire intorno a essi qualche cosa a priori, per mezzo dei concetti,
coi quali si sarebbe potuto allargare la nostra conoscenza, assumendo un tal
presupposto, non riuscirono a nulla. Si faccia, dunque, la prova per vedere se saremo
pi fortunati nei problemi della metafisica, facendo lipotesi che gli oggetti debbano
regolarsi sulla nostra conoscenza: ci che si accorda meglio colla desiderata
possibilit di una conoscenza a priori, che stabilisca qualcosa relativamente agli
oggetti, prima che essi ci siano dati (p. 17)

E questo il fulcro della cosiddetta rivoluzione copernicana: non le stelle che


ruotano intorno allosservatore, ma lo spettatore che ruota intorno agli astri.
Per tutti questi motivi, la KrV dunque un trattato del metodo e non un sistema
della scienza stessa (p. 20) e i grandi temi che in essa vengono affrontati sono, in
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ordine sparso: quello della relazione tra il soggetto conoscente e loggetto


conosciuto; quello della relazione tra conoscenza e esperienza; quello riguardante il
concetto stesso di esperienza; quello riguardante la distinzione tra le varie facolt
conoscitive proprie delluomo (intuizione, sensibilit, immaginazione, intelletto,
ragione); e quello, infine, riguardante la considerazione fenomenica degli oggetti
conosciuti.

Da questo punto di vista, le prime parole che aprono lIntroduzione della KrV sono
in qualche modo emblematiche:
Non c dubbio che ogni nostra conoscenza comincia con lesperienza (33).

La relazione conoscenza/esperienza diviene il terreno privilegiato dellindagine


kantiana.

Ragionando in termini molto semplici, ci che una qualsiasi forma di conoscenza


empirica manifesta sembra essere questo: gli oggetti colpiscono i sensi e, per un
verso, danno origine da s a rappresentazioni; dallaltro, muovono lattivit
dellintelletto a paragonare le rappresentazioni, a separarle o unirle e quindi a
lavorare sulla materia greggia delle impressioni sensibili per produrre
conoscenza di oggetti, ossia, esperienza (pp. 33-34).
Tuttavia, il problema immediatamente successivo diventa un altro: posto che
proprio le conoscenze logiche, matematiche e fisiche ci rendono edotti del fatto che
non tutta la nostra conoscenza si riduce allesperienza sensibilmente intesa (per cui,
ad es. luniversalit e la necessit delle leggi fisiche appartengono pi allosservatore
che non alla cosa considerata), la questione diventa capire da dove provengono
quegli elementi cognitivi che non sembrano derivare dal mondo sensibile.

E Kant approfondisce immediatamente questa linea di pensiero, sottolinenando


cio il fatti che, sebbene ogni conoscenza comincia con lesperienza, non perci essa
deriva tutta dallesperienza.
Pi avanti, nel testo, Kant si richiamer proprio a Leibniz e alle sue critiche a Locke
per esprimere meglio questo giro di pensieri.
Mentre infatti Locke sosteneva, come citato in precedenza, che non c nulla nel
nostro intelletto che non abbia provenienza sensibile (Nihil est in intellectu quod
prius non fuerit in sensu), Leibniz, nei Nuovi Saggi sullintelletto umano fece una
piccola glossa a questa osservazione di Locke, scrivendo: Nihil est in intellectu
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quod prius non fuerit in sensu, excipe intellectus ipse, e cio: nellintelletto tutto ha
provenienza sensibile, tranne lintelletto stesso.
Kant sposa questa linea interpretativa leibniziana: il nostro intelletto aggiunge un
qualcosa alle conoscenze empiriche, solo che noi difficilmente riusciamo a renderci
conto dei caratteri di questa aggiunta (aggiunta che noi propriamente non
distinguiamo bene da quella materia che ne il fondamento, KrV p. 34).

Di qui la distinzione posta da Kant tra conoscenze a priori o empiriche.


Una conoscenza a priori, infatti, non significa una conoscenza semplicemente
astratta dallesperienza (io costruisco male una casa e a priori so che croller);
bens intenziona una conoscenza assolutamente indipendente dallesperienza
(forma, materia, categoria).
Non solo. Ma Kant poi distingue tra le conoscenze a priori e quelle pure, ossia
quelle assolutamente indipendenti da ogni esperienza, da quelle in cui vi una
qualche commistione con lempirico (tipo ogni cambiamento ha la sua causa,
perch il concetto di cambiamento pu essere ricavato solo dallesperienza.

Ma quali sono allora i criteri per distinguere una conoscenza o un giudizio a priori
da uno empirico?
Kant adduce due tipi di argomenti a questo riguardo.
Il primo argomento muove da una sorta di constatazione: le conoscenze a priori (o
pure), nella misura in cui non provengono dal mondo empirico, ma riflettono in
qualche modo la stessa struttura formale dellintelletto, si presentano sempre e
comunque dotate delle propriet di necessit e di universalit (p. 35).

Necessit e universalit divengono dei criteri per stabilire se una conoscenza a


priori oppure empirica, dal momento che nelle conoscenze esclusivamente
empiriche non mai possibile inferire la necessit e luniversalit del fenomeno
osservato.
Ed il caso del sole che sorge e che tramonta di cui si parlava allinizio.
Come osservato da Hume, la pura registrazione sensibile di questo fenomeno non
produce di per s alcun elemento necessitante: il sole sorto ieri, sorto oggi e,
forse, sorger domani. Lelemento di necessitazione , casomai, fornito dalla legge
fisica elaborata da Newton: nella misura in cui terra e sole fanno parte di uno stesso
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sistema retto da una gravitazione universale, allora necessario che, se si


mantengono le regole di questo sistema, domattina si assister al fenomeno
dellalba.

A chiarificazione di ci, Kant adduce esempi tratti proprio dalla fisica (ogni
cambiamento presuppone una causa: esempio lampante di aggiunta del nostro
intelletto) e dalla matematica.

Ma poco oltre, in un passaggio decisamente interessante, egli dice che, al di l degli


esempi proposti, per trovare (e provare) la reale esistenza di principi a priori nella
nostra conoscenza, sufficiente dimostrare che essi sono indispensabili per la
possibilit stessa dellesperienza (p. 36).
I principi a priori, cio, non hanno soltanto la propriet di essere universali e
necessari, ma molto di pi vengono intesi da Kant come ci che fonda la
possibilit dellesperienza.
Lapriori la possibilit dellesperienza.
Qui il discorso si fa pi interessante (e, per certi versi, anche pi decisamente
leibniziano).
La tesi di Kant questa: ogni nostra conoscenza in realt un prodotto in cui si
combinano elementi materiali (ossia, provenienti dallesperienza empirica) e
elementi formali (ossia, provenienti da strutture intellettuali): se le nostre
conoscenze fossero del tutto prive di elementi formali non sarebbe affatto
possibile rinvenire in esse alcun carattere di universalit e di necessit, ma ogni
nostra forma di conoscenza sarebbe radicalmente contingente (ossia, accidentale).
Ma di pi: senza lintervento di queste strutture di tipo formale (la priori),
lesperienza, cos come la intendiamo correntemente, non sarebbe affatto
possibile, nel senso che il mondo sensibile col quale quotidianamente ci
confrontiamo risulterebbe radicalmente diverso da come ci appare. Anzi, a rigore
non potremmo neppure rappresentarcelo. A rigore, non sarebbe neppure possibile.
Ma quali sono allora queste strutture formali che intervengono in ogni nostra
conoscenza?
Questa la delimitazione dambito proposta da Kant: il problema della conoscenza
non capire quali siano gli oggetti che possibile conoscere, ma al contrario: qual il
modo in cui il conoscere si rivolge ai propri oggetti.
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In questo senso, la KrV rappresenta una riflessione sul metodo.


Oggetto di indagine non sono gli oggetti della conoscenza, ma il modo con cui il
conoscere si rivolge ai propri oggetti.

Ebbene: ogni conoscenza che si occupa del modo di conoscere gli oggetti in quanto
questa debba essere possibile a priori viene definita da Kant trascendentale.
Chiamo trascendentale ogni conoscenza che si occupa non di oggetti, ma del nostro
modo di conoscenza degli oggetti in quanto questa deve essere possibile a priori (p.
48).

Trascendentale quindi termine tecnico del dizionario kantiano e indica (o


almeno cos pare in prima approssimazione) unindagine che si rivolge alle
modalit conoscitive a priori della nostra ragione.
E un sistema di indagini di questo tipo verrebbe di conseguenza denominato
filosofia trascendentale. La KrV rappresenta, nelle intenzioni di Kant, una sorta
di prologo a questo tipo di conoscenza.
La KrV non ancora un sistema, non ancora una dottrina, ossia una scienza
vera e propria, ma rappresenta soltanto una sorta di introduzione al sistema: una
critica trascendentale, ossia unanalisi trascendentale che riguarda gli elementi che
strutturano le nostre capacit conoscitive.
Critica della ragion pura cio sinonimo di analisi della ragione, o se si vuole,
analisi degli elementi formali che strutturano la ragione.
E la partizione fondamentale dellopera dunque la seguente:
1. dottrina trascendentale degli elementi
2. dottrina trascendentale del metodo
Per cui in 1. si analizzano quali sono, quanti sono e come funzionano gli elementi
che strutturano le nostre capacit conoscitive, e in 2. si espone il metodo che si
seguito nellindagine.

2. Estetica trascendentale

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Filosofia teoretica

Verso la fine dellIntroduzione, Kant chiarendo il senso della partizione dellopera


scrive:
Se dunque si vuol dividere questa scienza dal punto di vista generale di un sistema,
la scienza che ci accingiamo a esporre, deve comprendere, in primo luogo una
dottrina degli elementi, e in secondo luogo, una dottrina del metodo. [...] In una
introduzione o avvertenza preliminare pare che sia necessario soltanto notare che si
danno due tronchi dellumana conoscenza, che rampollano probabilmente da una
radice comune, ma a noi sconosciuta: cio, senso [Sinnlichkeit] e intelletto [Verstand];
col primo dei quali ci son dati gli oggetti, col secondo essi sono pensati (p. 50).

Senso e intelletto rappresentano quindi per Kant i due tronchi in cui


suddivisa la conoscenza umana.
Il senso sembra costituire la soglia daccesso al mondo degli oggetti;
lintelletto, invece, rappresenta la possibilit di pensarli.
Lo schema sembra essere il seguente: noi accediamo agli oggetti per il tramite dei
sensi; e una volta che ci siamo formati rappresentazioni di oggetti, siamo in grado
di operare su queste rappresentazioni, e quindi di pensare gli oggetti contenuti nelle
nostre rappresentazioni.

La cosa interessante da sottolineare che per Kant senso e intelletto, pur


rimandando ad attivit differenti, rampollano probabilmente da una radice comune
ma a noi sconosciuta. La prima partizione dellopera chiara: nella dottrina
trascendentale degli elementi bisogner analizzare lelemento della sensibilit e,
successivamente, quello intellettuale del pensiero. Lanalisi dei due elementi non
deve tuttavia trascurare lipotesi di un nesso tra le due facolt, ossia lidea che ci sia
una radice comune da cui entrambi questi elementi in qualche modo si generano.
Ma per ora arrestiamoci a questa considerazione: nella misura in cui il senso
contiene le condizioni a cui ci sono dati gli oggetti, la teoria trascendentale della
sensibilit deve precedere quella riguardante lanalisi dellintelletto, poich le
condizioni a cui soltanto gli oggetti sono dati alla conoscenza umana, precedono
quelle a cui i medesimi oggetti sono pensati (ibid.).

2.1. Definizione di estetica trascendentale: intuizioni, sensibilit, fenomeni


Lestetica trascendentale viene definita da Kant come
la scienza di tutti i principi a priori della sensibilit (p. 54).

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Filosofia teoretica

Per questo motivo, come stato chiarito, essa la prima parte di una dottrina
trascendentale degli elementi, in opposizione a quella che contiene i principi del pensiero
puro: la logica trascendentale.

Lestetica trascendentale indaga quindi, stando alla definizione di Kant, il modo con cui ci
sono dati gli oggetti.

La parola estetica viene quindi intesa da Kant secondo il suo significato etimologico
(come asthesis, come percezione sensibile) e, conformemente allimpostazione
metodologica dellopera, viene intesa come una analisinon degli oggetti della sensibilit,
ma delle condizioni a priori che strutturano la nostra attivit percipiente.
Viene quindi tematizzata la struttura della sensibilit in quanto tale, indipendentemente
dal suo riferirsi ad oggetti determinati.
E, allora, la prima operazione effettuata da Kant a questo proposito la seguente: se la
sensibilit rappresenta il modo con cui gli oggetti ci sono dati, bisogna esaminare le
concrete modalit operative con cui questo avviene.
Scrive dunque Kant:
in qualunque modo e con qualunque mezzo una conoscenza si riferisca ad oggetti,
quel modo, tuttavia, per cui tale riferimento avviene immediatamente, e che ogni
pensiero ha di mira come mezzo, lintuizione (53).

Quindi, il primo step da guadagnare riguarda il concetto di intuizione (Anschauung).


Lintuizione un modo immediato di riferimento agli oggetti.
Quindi: nel mondo ci sono oggetti; ci sono conoscenze (di molti tipi); c una intenzionalit
del soggetto conoscente rivolta agli oggetti; e c un riferimento agli oggetti che avviene in
molti modi.
Quel modo per cui noi ci rivolgiamo ad essi immediatamente (unmittelbar) si chiama
Anschauung, intuizione.
Caratteristica fondamentale dellintuizione quindi limmediatezza: intuire significa avere
una percezione immediata delle cose.
Lintuizione, quindi, presuppone che sia dato un mondo di cose circostanti e rappresenta
quellaspetto per cui il soggetto conoscente e gli oggetti che gli stanno di fronte si
rapportano in una maniera immediata.

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Filosofia teoretica

Lintuizione prosegue infatti Kant possibile solo se loggetto (Gegenstand) ci viene


dato (gegeben). Quindi lintuizione, per esserci, presuppone la datit delloggetto, il suo
esserci, il suo essere disponibile.
Lintuizione, tramite la sua attivazione, modifica il nostro spirito (das Gemt).

Ora, sempre ragionando in punta di definizioni: la capacit (facolt-recettivit: Fhigkeit)


di ricevere rappresentazioni (Vorstellungen) per il modo in cui siamo modificati dagli
oggetti, si chiama sensibilit (Sinnlichkeit) (ibid.).
Ma che differenza c tra intuizione e sensibilit?
Lintuzione accede immediatamente alle cose e, facendo ci, modifica il nostro spirito.
Ma la modifica del nostro spirito possibile solo nel contesto di una pi generale capacit
di essere modificati (Sensibilit).
La sensibilit la capacit di interagire immediatamente con gli oggetti. La capacit di
accogliere questa interazione. Di strutturarla, di farla essere, di renderla effettiva: e ci
avviene tramite le rappresentazioni (Vorstellungen).
Kant non specifica ulteriormente cosa siano e come siano da intendere queste
rappresentazioni: questo pu essere un compito interessante da approfondire.
Per ora si pu dire questo: nei soggetti conoscenti c una facolt generale che si chiama
sensibilit e che si caratterizza come una capacit di essere modificati dagli oggetti;
questa facolt generale si attua e si concretizza per il tramite delle intuizioni (che sono
quindi gli strumenti adoperati dalla sensibilit per realizzarsi). Tramite le intuizioni
accediamo al mondo degli oggetti e il modo in cui gli oggetti entrano a far pare del
soggetto conoscente costituito dalle rappresentazioni.

Che le cose stiano cos, ce lo dice lo stesso Kant:


gli oggetti ci sono dunque dati per mezzo della sensibilit [nel senso che vengono
rappresentati e quindi in un certo senso fatti essere], ed essa sola ci fornisce
intuizioni [dunque la sensibilit impiega intuizioni e riceve rappresentazioni] (p. 53).

Ma ancora non finita.


Prosegue infatti Kant:
lazione (Wirkung) di un oggetto sulla capacit rappresentativa, in quanto noi ne
siamo affetti, sensazione (Empfindung) (ibid.).

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Che differenza c tra intuizione e sensazione?

Lintuizione, si tratta ora meglio di capire, non sembra possedere una propria capacit
rappresentativa. Lintuizione come se fosse un canale di comunicazione immediata, ma
non ha rappresentazioni.
La sensazione la capacit di produrre rappresentazioni in conformit di determinate
intuizioni.
Quindi, c la sensibiit come capacit generale di essere affetti dagli oggetti;
c lintuizione che rappresenta il modo immediato di riferirsi agli oggetti;
e c la sensazione che produce rappresentazioni corrispondenti agli oggetti intuiti.
Prosegue poi Kant: quella intuizione che si relaziona (sich bezieht) alloggetto mediante
la sensazione, si dice empirica, riferendosi con ci alla distinzione tra empiricoe a
priori.
E con questa osservazione, Kant introduce il problema specifico dellestetica
trascendentale.
Le intuizioni, infatti, sono di pi tipi, come subito si vedr.
Per ora accontentiamoci di questo: quelle intuizioni che si relazionano alloggetto tramite
la sensazione si chiamano empiriche.
Quindi: la sensibilit, per il tramite specifico delle sensazioni, attiva un certo tipo di
intuizione: quella, cio, empirica.

Ma ancora non finita. Finora, infatti, abbiamo considerato la vicenda della relazione
soggetto conoscente/oggetto conosciuto dal lato del soggetto, esaminando quindi la
struttura della sensibilit in generale e cercando di acquisire pratica con la terminologia
kantiana.
Ma come stanno le cose invece dal lato degli oggetti?
Cosa sono questi oggetti che ci circondano e che danno il via alle nostre intuizioni e alle
nostre conoscenze?
Come viene determinata la natura di questi oggetti da Kant?
Leggiamo a questo proposito:
loggetto indeterminato di una intuizione empirica si dice fenomeno (Erscheinung)
(ibid.).

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Filosofia teoretica

Gli oggetti, nella misura in cui rappresentano il punto di riferimento delle nostre
intuizioni si chiamano fenomeni, intendendo con ci un qualcosa di indeterminato
rispetto alla natura delloggetto considerato.

Fenomeno, in senso generale, il punto di riferimento terminale dellintuizione.


E indeterminato in questo contesto significa semplicemente generico, qualsiasi: il
fenomeno un qualsiasi oggetto di intuizione empirica. Un qualsiasi oggetto
(indeterminato) di intuizione empirica si chiama fenomeno.

Poi Kant aggiunge:


nel fenomeno io chiamo materia (Materie) ci che corrisponde alla sensazione; ci
invece per cui il molteplice del fenomeno possa essere ordinato in determinati
rapporti [nella prima ed. cera scritto intuito in determinati rapporti], chiamo
forma (Form) del fenomeno (p. 54).

Quindi: il fenomeno ha una materia e una forma. La materia corrisponde in qualche


modo al suo contenuto, la forma invece corrisponde alla sua struttura (o alla sua
architettura): la forma espressione dei rapporti sussistenti tra i vari aspetti con cui il
fenomeno si presenta (colori, odori, sapori, etc.): la forma rappresenta larchitettura del
fenomeno.
E prosegue ancora Kant:
Poich quello in cui soltanto le sensazioni si ordinano e possono essere poste in una
forma determinata, non pu essere da capo sensazione; cos la materia di ogni
fenomeno deve bens essere data solo a posteriori, ma la forma di esso deve trovarsi
per tutti bella e pronta a priori nello spirito; e per potersi considerare separata da
ogni sensazione (ibid.)

Questo un punto centrale da approfondire.


Qui come se Kant ci stesse dicendo: il contenuto (la materia) dei fenomeni lo
apprendiamo con una operazione di pura recettivit (la sensazione/intuizione empirica,
che produce le rappresentazioni); ma la forma (ossia i determinati rapporti) con cui il
fenomeno si presenta non nelle cose e quindi un elemento a priori della nostra
sensibilit (diverso tuttavia dalla sensazione).
Per forma Kant sembra quindi intendere qualcosa come un sistema di relazioni, o se si
preferisce, lelemento stesso dellinterrelazione (come sono spazio e tempo nella sua
concezione, come si vedr subito).
Allora, come se qui si dicesse: il contenuto individuale di ciascun fenomeno riguarda
la sua materia e dunque il soggetto pu apprenderlo solo passivamente;
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ma il sistema di relazioni in cui esso incardinato, ossia, la considerazione del fenomeno


sotto il profilo delle sue relazioni ad altro, questo tipo di considerazione non pu venire
dal fenomeno stesso perch qualcosa di qualitativamente diverso dalla sua materia,
dalla sua considerazione materiale.
Questo sistema di relazioni, questo modo formale di considerare le cose, o ancora:
questo modo di considerare il fenomeno sotto il suo profilo architettonico, tutto ci fa
parte del nostro modo di riferirci agli oggetti, ossia di strutturarli e di organizzarli.
Questo largomento con cui viene introdotta lintuizione pura.
Infatti, subito dopo Kant scrive:
tutte le rappresentazioni, nelle qualli non mescolato nulla di ci che appartiene
alla sensazione, le chiamo pure (in senso trascendentale). Quindi la forma pura delle
intuizioni sensibili in generale, in cui tutta la variet dei fenomeni viene intuita in
determinati rapporti (Verhltnissen) si trover a priori nello spirito (p. 54).

Lidea di Kant sembra quindi essere la seguente:


le intuizioni sono, cos come in qualche modo sosteneva Leibniz a proposito delle
percezioni, una sorta di canale daccesso immediato del soggetto al mondo delle cose.
Questo canale daccesso, tuttavia, non un qualcosa di amorfo, ma al contrario possiede
una sua forma.
Forma significa: ci che permette di ordinare il contenuto delle intuizioni empiriche
sotto determinati rapporti.
Lintuizione, cio, non ammette indiscriminatamente ogni contenuto al suo interno, ma
unattivit di ricezione che avviene secondo un ordine. Le cose e gli oggetti circostanti
vengono recepiti, ma secondo una certa forma, secondo un certo ordine.
Ora: questo elemento di ordine, questa considerazione del fatto che le intuizioni sensibili
in generale possiedono una certa forma, viene specificato da Kant dicendo che le
intuizioni pure non provengono dagli oggetti circostanti, ma riguardano semplicemente
il modo con cui la sensibilit si rapporta ad essi.
La prima conclusione parziale raggiunta da Kant che allora lintuizione pura ha luogo a
priori nello spirito, anche senza un attuale oggetto dei sensi, o una sensazione.
Lintuizione pura una semplice forma della sensibilit.

2.2. Lo spazio come forma costante della recettivit


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Scrive Kant:
Mediante il senso esterno (una delle propriet del nostro spirito) noi ci
rappresentiamo gli oggetti come fuori di noi, e tutti insieme nello spazio. Qui sono
determinate, o determinabili, la loro forma, grandezza e reciproche relazioni (p. 55).

Tramite il senso esterno, quindi, ci rappresentiamo gli oggetti come fuori di noi e la
rappresentazione che abbiamo di questi oggetti che siano, fuori di noi, tutti insieme
nello spazio.

In maniera in qualche modo analoga, il senso interno rappresenta le determinazioni


interne del soggetto sotto forma di rapporti di tempo.
Spazio e tempo rivestono unimportanza capitale nella teoria della sensibilit generale
esposta da Kant. Cerchiamo di capire perch.

La domanda che Kant si pone esplicitamente molto chiara:


che cosa sono lo spazio e il tempo? sono entit reali? o sono soltanto determinazioni
o anche rapporti delle cose, ma tali che apparterrebbero ad esse anche in s, ancorch
non intuite, oppure sono tali che appartengono soltanto alla forma dellintuizione, e
perci alla costituzione soggettiva del nostro spirito, senza la quale cotesti predicati
non potrebbero essere riferiti ad alcuna cosa? (55).

La tesi verso cui Kant propende che spazio e tempo non siano entit reali e che nemmeno
appartengano alle cose in s.
La tesi sostenuta invece questa: spazio e tempo appartengono alla forma
dellintuizione e quindi alla costituzione soggettiva del nostro spirito.
E come corollario di questa tesi si dice che: se spazio e tempo non appartenessero alla
costituzione soggettiva del nostro spirito, non potrebbero nemmeno essere riferiti ad
alcuna cosa.

Vediamo quali sono gli argomenti che Kant adduce a sostegno di questa tesi:

1. in primo luogo, si dice che lo spazio non un concetto empirico ricavato da


esperienze esterne (p. 56). E il motivo questo: per potermi rappresentare le
sensazioni esterne, ossia per poter riferire le mie sensazioni a qualcosa fuori di me,
devo gi presupporre la rappresentazione dello spazio. Lidea quindi che un
soggetto conoscente si trovi circondato da oggetti sensibili ha senso solo nella
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Filosofia teoretica

misura in cui il soggetto conoscente si percepisce come dislocato spazioalmente


rispetto a essi.
2. La rappresentazione dello spazio sta a fondamento di tutte le intuizioni esterne
(ibid.). Lo spazio rappresenta quindi la condizione della possibilit dei fenomeni
e non pu essere considerato come una determinazione dipendente da essi.
3. lo spazio unico ed unintuizione pura: lo spazio non un concetto, ossia
non in primo luogo una comparazione dei diversi rapporti sussistenti tra le cose,
ma un qualcosa di unico, dalle cui limitazioni nascono le considerazioni
riguardanti i vari spazi distinti.
Largomento forte messo in campo da Kant sembra essere il primo. E a ben guardare dal
primo argomento che egli poi trae tutta una serie di ulteriori conseguente.
Il nucleo dellargomento dice questo: la stessa rappresentazione di un qualcosa come di
esterno non sarebbe possibile se non fosse gi attiva e operante una intuizione spaziale
delle cose, nella quale rientrano tanto il soggetto che gli oggetti da lui considerati.
La possibilit che il soggetto ha di percepire se stesso come differente dalle cose che lo
circondano radicata in primo luogo nella percezione di spazi differenti.
Accettato questo principio, il resto vien da s.
E in particolare viene da s lidea che lo spazio sia condizione di possibilit delle
rappresentazioni sensibili.
Cio: se non fosse attiva e innata in ogni soggetto unintuizione pura come quella dello
spazio, questi non potrebbe nemmeno rappresentarsi un qualcosa come un mondo
esterno.

Le conseguenze che Kant tira da queste premesse sono numerose. Innanzi tutto due:
1. in primo luogo, lo spazio va considerato come la forma del senso esterno in
generale (p. 58): rappresenta cio una disposizione formale del soggetto a essere
modificato da oggetti.
2. per questo motivo, lo spazio la forma di tutti i fenomeni dei sensi esterni, cio la
condizione soggettiva, lunica, per la quale ci possibile unintuizione esterna,
della sensibilit (p. 58). (quindi e in qualche modo lo spazio una condizione di
possibilit della sensibilit stessa)

Quindi spazio e condizione soggettiva sono strettamente collegati: se uscissimo dalla


condizione soggettiva in cui possiamo venire modificati dagli oggetti lidea di spazio
non significherebbe pi nulla (p. 59).
Lo spazio viene definito come una forma costante della recettivit.
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Filosofia teoretica

Per questo allo spazio viene attribuita, allo stesso tempo, realt empirica e idealit
trascendentale: lo spazio viene comunemente inteso come un qualcosa di oggettivo nella
misura in cui esso svolge una funzione trascendentale (rappresenta, cio, il modo in cui la
sensibilit relaziona interno ed esterno: ed quindi una funzione valida per tutti i
soggetti conoscenti); e tuttavia non si pu dire che lo spazio stia nelle cose in se stesse,
perch noi non abbiamo modo di relazionarci alle cose in se stesse se non tramite un
riferimento spaziale (quindi, propriamente parlando, noi ci relazioniamo sempre e
soltanto ai fenomeni e solo indirettamente alle cose in se stesse).
Quindi: lo spazio condizione di possibilit dellesterno, di ci che fuori di noi. Questa
una delle affermazioni pi impegnative e interessanti della KrV.
Lo spazio la forma costante della recettivit.

2.3. Il tempo come forma reale dellintuizione interna

Su una linea di pensiero del tutto analoga Kant si muove per determinare la nozione di
tempo.
Il tempo non un concetto empirico, ricavato da unesperienza: poich la
simultaneit o la successione non cadrebbe neppure nella percezione, se non vi fosse
a priori a fondamento la rappresentazione del tempo (p. 61)

E ancora:
Solo se presupponiamo il tempo, possibile rappresentarsi che qualcosa sia nello
stesso tempo, o in tempi diversi p. (61).

Uno degli argomenti classici (per es. aristotelico) riguardanti la natura del tempo dice
questo: in natura ci sono mutamenti, trasformazioni e movimenti (si pensi allalternanza
delle stagioni, al movimento delle stelle nel cielo, alla ciclicit di albe e tramonti, etc.) e il
tempo rappresenta in qualche modo la misura di questi movimenti.
Tuttavia, Kant rovescia questa forma di argomentazione sostenendo che simultaneit e
successione non cadrebbero neppure nella percezione se non vi fosse a priori la
rappresentazione del tempo.
In un certo senso la rappresentazione del tempo che rende possibile la percezione di
fenomeni simultanei o successivi: non la simultaneit che rende ragione del prodursi
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del concetto di tempo, ma il tempo come intuizione pura a consentire al soggetto di


decifrare la compresenza di determinati fenomeni come simultanea.
Fenomeni come quelli della simultaneit o della successione presuppongono il tempo,
non lo fondano.

Ma vediamo meglio perch Kant arriva a sostenere che il tempo condizione di possibilit
della stessa realt dei fenomeni.
La tesi di Kant infatti questa: soltanto nel tempo possibile qualsiasi realt dei fenomeni
(p. 61).
Perch? perch il tempo fondamento della soggettivit. Ossia di quel fenomeno
originario che sono io (in senso trascendentale), senza di cui non ci sarebbe
assolutamente nulla.
Tutto il discorso di Kant, non bisogna mai dimenticare, gravita intorno alla struttura della
soggettivit.
Ora: data la soggettivit, la spazio mi rende ragione delle cose esterne;
ma la soggettivit stessa in che modo data? su cosa si fonda?
La risposta di Kant che la struttura pi profonda del soggetto conoscente riposa su una
temporalit originaria.
Kant arriva a sostenere tesi come questa:
I fenomeni possono sparire tutti, ma il tempo stesso (come condizione universale
della loro possibilit) non pu essere soppresso (p. 61).

Riprendiamo allora le argomentazioni kantiane dallinizio e chiediamoci come mai e


perch lintuizione del tempo tanto fondamentale da considerarsi condizione di
possibilit della stessa struttura soggettiva e, mediatamente, di tutti i fenomeni (interni
ed esterni).
Innanzi tutto, partiamo dalla considerazione precedente: concetti cardine come quelli di
cambiamento (Vernderung) e di movimento (Bewegung) sono possibili soltanto
mediante la rappresentazione del tempo.
Perch cambiamento e movimento sono concetti cardine?
Perch in natura, una volta introdotte le categorie di mutamento e di movimento
possibile spiegare laccadere dei fenomeni, il loro svolgersi, le loro trasformazioni, etc.

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E tuttavia mutamento e movimento sono concetti che, secondo Kant, sono in qualche
misura contraddittori, nel senso che:
la possibilit del cambiamento radicata nellunione in uno e medesimo oggetto
di predicati opposti contraddittori (per es. lessere e il non essere una stessa cosa
nello stesso luogo) (p. 62).

Ebbene, il tempo, come intuizione, riesce a rendere ragione e a accogliere questa


contraddizione, perch questultima riflette la struttura essenziale del tempo.
Il tempo, come gi insegnava Platone, una sorta di assurdo logico: un qualcosa che,
nella dimensione dellistante, e non- contemporaneamente e sotto il medesimo
rispetto.
Se consideriamo listante come cellula originaria della temporalit, allora non si pu non
vedere come nellistante siano presenti e legati indissolubilmente un non pi e un non
ancora.
Secondo Kant, quindi, proprio tramite il ricorso allintuizione del tempo che i soggetti
conoscenti riescono a spiegare la teoria generale del moto, e quindi, indirettamente, tutte
le cose.

Il tempo dunque la forma del senso interno (p. 63), cio dellintuizione di noi stessi e
del nostro stato interno.
Il tempo non pu essere determinato da fenomeni esterni, ma determina al contrario il
rapporto delle rappresentazioni del nostro stato interno.

In effetti se la sensibilit, per il tramite dello spazio, intuisce le cose esterne, altrettanto si
deve dire che la sensibilit, per il tramite del tempo, intuisce i fenomeni interni.
Ma quali sono questi fenomeni?
Detto nella maniera pi semplice possibile: secondo Kant, noi abbiamo accesso agli
oggetti e abbiamo accesso anche a noi stessi.
Nel senso che il soggetto conoscente oltre a intuire e a diversificare la propria presenza
spaziale relativamente agli oggetti, in qualche modo intuisce anche se stesso.
Ma in che modo il soggetto intuisce se stesso?
Certamente da un punto di vista spaziale.
Ma lintuizione spaziale riguarda, per cos dire, linvolucro esterno del soggetto, il suo
corpo, le determinazioni esteriori.
Lintuizione pi profonda che il soggetto ha di se stesso invece una rappresentazione di
tipo temporale: il soggetto percepisce s come un qualcosa che permane al di l del
variare dei suoi stati percettivi e degli accadimenti esteriori.
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Lautointuizione tramite cui il soggetto percepisce se stesso come identico ha dunque una
natura eminentemente temporale: la temporalit, intesa come intuizione pura, il modo
secondo Kant con cui noi abbiamo accesso a noi stessi.

Il tempo dunque condizione soggettiva della nostra (umana) intuizione (cio


fondamento di possibilit per noi stessi di intuire noi stessi). Intuizione che sempre
sensibile (altrimenti sarebbe, archetipica, costitutiva, infinita).
Uno degli elementi pi interessanti della riflessione kantiana sulla struttura della
temporalit infatti questo: il tempo, nella misura in cui intuizione, presuppone sempre
una datit originaria, cio presuppone, per attivarsi, che siano dati oggetti.
Loriginaria datit interna rappresentata, come presto vedremo, dallio. Ma questo
io non lo possiamo percepire come esso in s, ma solo e soltanto come si manifesta di
fronte allintuizione temporale. Nel senso che il soggetto pu intuire se stesso solo e
soltanto nello stesso modo in cui intuisce gli altri oggetti.
Il soggetto, quindi, intuisce se medesimo come fenomeno.
Loriginaria intuizione che abbiamo di noi stessi fenomenica.
Il tempo la forma reale dellintuizione interna (p. 65) ed quindi la forma stessa della
soggettivit.

Arrivati a questo livello di analisi, poniamoci alcune domande supplementari.


Perch spazio e tempo sono gli unici elementi dellestetica?
Perch tramite essi viene guadagnata la condizione di possibilit delle cose esterne e la
condizione di possibilit delle cose interne, ossia la condizione di possibilit della realt
fenomenica tout court.
Come scrive Kant, una volta che si siano guadagnati i concetti di realt interna, esterna e
di movimento, tutto il resto si spiega da s (p. 67).
E ancora unultima considerazione.
Verso la fine sulle Osservazioni generali sullestetica trascendentale, Kant osserva e riconosce
che degli oggetti noi non conosciamo altro che il nostro modo di percepirli (p. 68).
Questo uno dei fondamenti di tutta la Critica.

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Noi non conosciamo le cose, ma il nostro modo di percepire le cose.


Non conosciamo il mondo, ma il nostro modo di percepire il mondo.
(Qui invece Leibniz a non essere molto lontano).
Ma, ancora, a proposito della determinazione di spazio e di tempo come forma pura
dellintuizione.
Dice Kant: tutto ci che nella nostra conoscenza appartiene allintuizione
non contiene altro che semplici rapporti: di luogo in una intuizione (estensione),
cambiamento di luogo (movimento) e leggi secondo le quali questo cambiamento
determinato (forze motrici). Ma che cosa ci sia nel luogo o che cosa operi nelle cose
stesse, oltre il cambiamento di luogo, con ci non ci viene dato (p. 72).

La conclusione di Kant che: con semplici rapporti non si conosce una cosa in s (ibid.),
Lintuizione ci fa conoscere come stanno i rapporti tra le cose e soprattutto ci fa conoscere
quel rapporto di mediazione fondamentale tra il soggetto conoscente e gli oggetti che
costituito dalla spazio-temporalit.

Se noi non percepiamo il mondo, ma percepiamo solo il nostro modo di percepire il mondo,
dobbiamo concludere che noi non conosciamo il mondo in se stesso, ma conosciamo il
mondo solo attraverso le modalit spazio-temporali del nostro riferirci agli oggetti e a noi
stessi.
Se lintuizione non contiene altro che rapporti, la forma dellintuizione non pu
contenere altro che il rapporto di se a se stessa e quindi loriginaria possibilit della
relazione stessa: spazio e tempo sono condizioni di possibilit di quella originaria
relazione che il soggetto intrattiene con se stesso e con il mondo.
La forma dellintuizione - scrive Kant non rappresentando nulla se non in quanto
qualcosa posto nello spirito, non pu dunque essere altro che la maniera con la
quale lo spirito viene modificato dalla propria attivit (p. 72).

Ovviamente si tratta di una autorelazione empirica o piuttosto trascendentale e non


intellettuale: perch lo spirito intuisce se stesso non come si rappresenterebbe
immediatamente e spontaneamente [per intuizione intellettuale altrimenti soggetto e
oggetto coinciderebbero], ma come internamente viene modificato: perci come appare a
s, non come (p. 73).
Pi sotto viene specificato meglio questo pensiero: la nostra intuizione sensibile perch
non originaria, ossia non tale che gi con essa sia data lesistenza delloggetto
dellintuizione (e quale, per quanto noi arriviamo a intendere, pu appartenere soltanto
allEssere supremo), ma dipendende dallesistenza delloggetto (p. 74).
Ed perci possibile solo a un patto: che la facolt rappresentativa del soggetto sia
modificata da esso [= dalloggetto] (ibid.).
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3. La logica trascendentale: sulle distinzioni del concetto di logica


In apertura di trattazione, Kant ribadisce che la nostra conoscenza proviene da 2 fonti:
a. la facolt di ricevere le rappresentazioni (la recettivit delle impressioni)
b. la facolt di conoscere un oggetto mediante queste rappresentazioni (spontaneit dei
concetti)
La nostra conoscenza scaturisce da due fonti principali dello spirito, la prima delle
quali la facolt di ricevere le rappresentazioni (la recettivit delle impressioni), la
seconda quella di conoscere un oggetto mediante queste rappresentazioni
(spontaneit dei concetti). Per la prima un oggetto ci dato; per la seconda esso
pensato in rapporto con quella rappresentazione (come semplice determinazione
dello spirito) (p. 77).

Quindi:
- per la prima fonte, un oggetto ci dato.
- per la seconda, esso pensato.

Ciascuna di queste due fonti si esprime attraverso una specifica funzione conoscitiva, cos
lintuizione rappresenta lelemento proprio della conoscenza sensibile, mentre i concetti
rappresentano lelemento proprio della conoscenza intellettuale.
Quindi: intuizione e concetti.
Nellestetica trascendentale si aveva a che fare con intuizioni, mentre nella logica
trascendentale si avr a che fare con concetti.
La sensazione pu dirsi, secondo Kant, la materia della conoscenza sensibile.
Mentre lintuizione pura e i concetti puri sono solamente la forma del pensiero di un
oggetto in generale.
Scrive Kant a questo proposito:
Intuizione e concetti costituiscono, dunque, gli elementi di ogni nostra conoscenza;
per modo che, n concetti, senza che a loro corrisponda in qualche modo una
intuizione, n intuizione, senza concetti, possono darci una conoscenza [...] La
sensazione si pu dire materia della conoscenza sensibile. Quindi una intuizione
pura contiene unicamente la forma in cui qualcosa intuito, e un concetto puro
solamente la forma del pensiero di un oggetto in generale (ibid.).

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Filosofia teoretica

Le categorie di forma e di materia intervengono quindi come strumento di


comprensione circa la distinzione tra le varie facolt conoscitive.
In generale, la sensazione la materia della conoscenza sensibile, mentre lintuizione
pura e i concetti sono la forma del pensiero di un oggetto in generale.

Ma torniamo a considerare la differenza specifica che Kant individua tra le funzioni della
sensibilit e quelle dellintelletto e rifacciamoci al seguente schema:
- sensibilit: recettivit del nostro spirito a ricevere rappresentazioni.
- intelletto: facolt di produrre da s rappresentazioni (spontaneit della conoscenza).
Queste due facolt scrive Kant - non possono scambiarsi le funzioni (p. 78)

Lestetica la scienza delle leggi della sensibilit in generale.


La logica la scienza delle leggi dellintelletto in generale. (p. 78).
Ora: cosa vuol dire logica?
La definizione di logica come scienza delle leggi dellintelletto in generale rappresenta
per Kant una prima definizione di carattere, per cos dire, onnicomprensivo.
Accanto a questa prima e pi generale definizione, ne troviamo infatti altre che
progressivamente specificano gli intendimenti kantiani in relazione alla logica.

Abbiamo quindi una prima partizione della logica articolata nel seguente modo:
1) logica delluso generale dellintelletto (logica generale o logica elementare):
comprende le leggi assolutamente necessarie del pensiero (senza le quali non vi
affatto uso dellintelletto): riguarda perci lintelletto, astraendo dalla diversit
degli oggetti a cui pu rivolgersi.
2) logica delluso speciale dellintelletto: comprende le leggi per pensare correttamente
una determinata specie di oggetti (pu essere un organo di tale o talaltra scienza:
come propedeutica).
Accanto a questa, troviamo una seconda partizione:
La logica generale pura o applicata (p. 79):
a) pura: fa astrazione di tutte le condizioni empiriche entro cui lintelletto viene
esercitato (azione dei sensi, immaginazione, memoria, abitudini, inclinazioni,
pregiudizi, etc.). Ha a che fare soltanto con meri principi a priori ed un canone
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Filosofia teoretica

dellintelletto e della ragione, ma solo rispetto a ci che vi di formale nel loro uso
(sia qualsivoglia contenuto empirico o trascendentale).
b) applicata: mira alle leggi delluso dellintelletto nei casi concreti, ossia nelle
condizioni soggettive empiriche (accidentali) che ci insegna la psicologia. Quindi
poggia su principi empirici, anche se riguarda luso dellintelletto in generale (tratta
dellattenzione, dei suoi ostacoli e dei suoi effetti, dellorigine dellerrore, dello stato
del dubbio, della convinzione, etc)... Non un canone dellintelletto in generale, n
un organo di scienze speciali, ma solo un catartico del comune intelletto.
Questo quindi per quanto riguarda la logica generale (che pu essere pura o
applicata e si distingue dalla logica speciale propria di ogni altra scienza.
Ma fin qui abbiamo parlato di logica generale, mentre questa parte specifica della KrV
dedicata alla logica trascendentale.
Allora, possiamo chiederci: che differenza c tra la logica generale e la logica
trascendentale?
Ecco le definizioni proposte da Kant:
distinzione tra logica generale e logica trascendentale (pp. 80-81):
i)

ii)

logica generale: astrae da ogni contenuto della conoscenza e considera solo la


forma logica del rapporto delle conoscenze fra di loro (e quindi la forma del
pensiero in generale): per questo si riferisce a conoscenze tanto empiriche
quanto pure, senza distinzione. La logica generale NON ha a che fare con
lorigine della conoscenza.
logica trascendentale: come c una distinzione tra intuizioni pure e intuizioni
empiriche, cos si distingue il pensiero puro da quello empirico (degli oggetti).
La logica trascendentale tratta dellorigine delle nostre conoscenze degli oggetti
(in quanto questa origine NON pu essere attribuita agli oggetti stessi). Essa
considera pertanto la forma intellettuale che si pu dare alle rappresentazioni.
Indaga i concetti come funzioni del pensiero. Determina quindi lorigine,
lestensione e la validit oggettiva della conoscenza razionale.

La logica generale maneggia quindi un insieme di conoscenze, per cos dire, gi pronte, nel
senso che non si interroga sullorigine e sulla provenienza delle conoscenze trattate, ma si
limita a istituire rapporti e relazioni tra esse.
La logica generale, in altri termini, non si cura della distinzione tra puro o empirico
proprio perch meramente formale, ossia rappresenta una riflessione sulla forma e non
sul contenuto delle sue conoscenze. Suo scopo definire la natura delle relazioni
intercorrenti tra le varie conoscenze prese in considerazione (identit, differenze, analogie,
uguaglianze, etc.).

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Filosofia teoretica

La logica trascendentale, invece, indaga lorigine delle nostre conoscenze. Quindi, se


come si vedr ogni nostra conoscenza si esplica in giudizi, la logica trascendentale si
chiede quali siano le condizioni di possibilit della formulazione dei giudizi.
La logica trascendentale si muove pertanto nellelemento del pensiero puro: tratta dei
concetti come delle funzioni attraverso cui il pensiero opera e tramite cui i giudizi
vegono unificati e realizzati.
Con parole di Kant, la logica trascendentale tratta dellorigine delle nostre conoscenze
degli oggetti, in quanto questa origine non pu essere attribuita agli oggetti (p. 80).

Ma ancora non basta, e Kant propone di riflettere su unaltra articolazione interna del
concetto di logica (quarta partizione) e ci invita a considerare che la logica generale
distinta in analitica e dialettica.
C tuttavia una premessa da fare.
Kant, introducendo questa nuova partizione, dice che qui viene ammessa e presupposta
lantica definizione nominale della verit come accordo della conoscenza col suo oggetto
[veritas est adaequatio mentis et rei (p. 81)]. E dice anche che il problema principale della
logica quello di stabilire un criterio generale della verit in ciascuna conoscenza.

La logica generale, in quanto espone le leggi generali e necessarie dellintelletto, fornisce


anche dei criteri di verit, nel senso che ci che li contraddice viene ritenuto falso.
Ma questi criteri riguardano solo la forma della verit (cio del pensiero in generale)
perch astraggono dal contenuto della conoscenza (mentre la verit accordo col
contenuto),
Quindi, il criterio formale della verit rappresenta la conditio sine qua non di ogni verit, la
sua condizione negativa, ma non ha una pietra di paragone nel contenuto.
La logica generale dunque:
c) risolve lintera opera formale dellintelletto e della ragione nei suoi elementi
(tramite un lavoro di analisi), e mostra come questi elementi siano la base, i principi,
di ogni valutazione logica: in questo caso si chiama quindi analitica.
d) tenta di dare a tutte le nostre conoscenze la forma dellintelletto: ossia, trasforma la
logica generale da canone di valutazione delle conoscenze a organo di effettiva
produzione di affermazioni apparentemente oggettive. In questo caso si produce
una logica dellapparenza, ossia una dialettica.

La distinzione tra analitica e dialettica risiede dunque in ci: mentre lanalitica una
mera opera di scomposizione degli elementi formali di cui lintelletto abitualmente fa uso
(quindi, ad es. i giudizi e le loro propriet), luso dialettico della logica consiste nel ritenere
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Filosofia teoretica

questi elementi solo formali come se fossero davvero oggettivi, ossia realmente riferiti alla
costituzione degli oggetti.
La dialettica, come qui viene definita, rappresenta una sorta di indebita estensione delluso
della logica. Le considerazioni formali prodotte dalla logica generale vengono
indebitamente estese agli oggetti, come se quelle considerazioni non fossero soltanto un
qualcosa di formale (che appartiene cio alla pura forma dellintelletto), ma un qualcosa
di oggettivamente reale.
Pertanto, cos come la logica generale risulta bipartita in analitica e dialettica, a
seconda dei diversi usi che viene fatto del pensiero logico, cos la logica trascendentale
risulter altrettanto divisa in una analitica trascendentale e una dialettica
trascendentale.

La logica trascendentale quindi bipartita in:


e) una parte che espone gli elementi della conoscenza pura dellintelletto e i principi
senza cui nessun oggetto pu essere pensato: lanalitica trascendentale. Si tratta di
una logica della verit proprio perch riguarda la possibilit stessa dellaccordo
tra pensiero e oggetti. E non pu essere contraddetta senza che si perda ogni
contenuto, e quindi ogni riferimento ad oggetti ed ogni verit.
f) dialettica trascendentale: uso materiale dei principi formali dellintelletto puro: di
nuovo, trasformazione del canone in organo e si fanno valere i principi formali
dellesperienza come se fossero contenuto effettivo dellesperienza (contraddicendo
cio il concetto stesso di esperienza).
Dopo questa lunga e complicata introduzione, inizia la trattazione vera e propria.

4. Lanalitica trascendentale: lanalitica dei concetti

Lanalitica trascendentale quindi la risoluzione di tutta la nostra conoscenza a priori


negli elementi della conoscenza pura intellettuale (p. 87).
In altre parole: una scomposizione di tutte le nostre conoscenze fatta con lo scopo di
individuare le strutture concettuali pure che in qualche modo sovraintendono i nostri atti
conoscitivi.
Lanalitica trascendentale si pone quindi due ordini di problemi:
1. in primo luogo, cerca di porsi su di un piano e su di un livello strutturali. Nel
senso che oggetto dindagine la struttura dellintelletto in quanto tale. Oggetto di
analisi sono le forme categoriali di cui lintelletto dispone per filtrare la massa
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Filosofia teoretica

delle informazioni sensibili provenienti dalle reti delle intuizioni. Gli atti
conoscitivi, cos come sono intesi da Kant, possono infatti essere paragonati a una
serie progressiva di filtri che, per cos dire, poco alla volta depurano il
materiale grezzo proveniente dallesterno e lo rendono digeribile o assimilabile
o meglio ancora comprensibile per il soggetto. Quindi, si tratta di capire di quanti
e di quali filtri disponiamo.
2. in secondo luogo, e proprio per questo, il problema successivo quello di elaborare
un metodo che ci consenta di esaurire la totalit dei filtri presenti e operanti nella
nostra mente. Se uno degli obiettivi principali della KrV scoprire quali siano le
condizioni di possibilit entro cui il conoscere si attua, diventa rilevante produrre
una mappatura il pi possibile completa delle forme categoriali usate dallintelletto
(cos come stato fatto nellestetica, per cui oltre spazio e tempo non si danno altre
forme di intuizioni pure possibili).
Kant pensa di risolvere il secondo dei problemi qui delineati insistendo proprio sui
concetti di totalit e di connessione sistematica.
Parlando della compiutezza di risultati a cui la KrV deve pervenire, scrive infatti Kant:
Ora, questa compiutezza di una scienza data non pu ottenersi con sicurezza col
calcolo allingrosso di un aggregato messo insieme per tentativi; quindi essa
possibile soltanto mediante una idea della totalit della conoscenza intellettuale a
priori e per mezzo della divisione dei concetti che la costituiscono, determinata in
base a cotesta idea, e quindi per mezzo della loro connessione sistematica (p. 87).

Ma in cosa si traduce questa idea della totalit?


Nel presupposto che il nostro intelletto sia uno. Ossia, nel presupposto che lintelletto
costituisca una unit effettiva e non sia, al contrario, un caos di elementi disordinati e non
cooperanti tra loro.
Il presupposto fondamentale da cui lintera analisi non pu prescindere che la struttura
dellintelletto sia quella di un tutto ordinato, ossia sia quella di una totalit in cui tra le parti
e lintero sia stabilita una relazione dordine. Una relazione, come dice Kant stesso, di tipo
architettonico.
Sulla base di questa idea, ossia presupponendo che lintelletto sia una unit e che questa
unit svolga delle funzioni correlate, diviene possibile, per Kant, capire quali sono e
come agiscono gli elementi funzionali del sistema.

Scrive Kant a questo proposito:


Lintelletto puro si distingue assolutamente, non solo da ogni elemento empirico,
ma anche da ogni sensibilit. E dunque una unit per s stante, sufficiente a se
stessa, e non suscettibile di aumento per aggiunte dallesterno.

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Filosofia teoretica

Linsieme quindi della sua conoscenza former un sistema, da essere compreso e


determinato sotto una sola idea, e la cui compiutezza e articolazione possono fornire
a un tempo una pietra di paragone per provare lesattezza e il valore di tutte le parti
di conoscenza che vi rientrano (p.87).

Lanalisi delle strutture dellintelletto va rivolta ai concetti e ai principi.


Vi sar dunque una (1) analitica dei concetti e una (2) analitica dei principi.

4.1. concetti, funzioni, ordini architettonici


Chiarita limpostazione complessiva dellanalitica trascendentale, Kant spiega che
lanalitica dei concetti non va intesa come una analisi tradizionale del contenuto dei
concetti, ma piuttosto come una scomposizione [Zergliederung] della stessa facolt
intellettiva (p. 88).
Scopo dellanalisi non quindi quello di scomporre il contenuto dei concetti che
adoperiamo abitualmente, quanto invece cercare lorigine dei concetti a priori e analizzarne
luso puro in generale.

Scrive Kant, con interessante metafora organicistica:


noi dunque seguiremo i concetti puri fino ai loro primi germi [Keimen] e alle loro
prime virtualit [Anlagen] nellumano intelletto, dove essi giacciono pronti (p. 88).

E, subito dopo, viene riproposto il problema forse fondamentale di questa parte cos
delicata dellopera: quello, cio, di disporre di un principio sicuro [Leitfaden filo
conduttore] per trovare la sistematica unit in cui sono disposti i concetti.

Lidea di base, come si tratta ora di approfondire, che lintelletto costituisca una
assoluta unit e che i concetti scaturiscano puri da esso.
Lidea di base quindi quella di unit.
Il concetto di unit rappresenta il cardine metodologico della ricerca: ossia, criterio
discriminante dellanalisi. [interessante in relazione allunum per se leibniziano].
Per rinvenire la rete delle strutture categoriali impiegate dallintelletto nei suoi atti
conoscitivi bisogna quindi preliminarmente chiedersi: che cos lintelletto?
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Filosofia teoretica

nel senso di: qual lidea che sta dietro la nozione di intelletto?
Kant, nellAnalitica dei concetti, articola una risposta a questa domanda.
Lintera Analitica dei concetti, ma anche lAnalitica dei principi e probabilmente lintera
KrV un tentativo di risposta a questa gigantesca domanda.
Lidea guida di Kant , allora, che lintelletto costituisca una unit, sia una unit attiva.
Sulla base di questa indicazione programmatica, bisogna decifrare tutte le definizioni
messe in campo da Kant.

In primo luogo, quindi, Kant ci dice che lintelletto una facolt di conoscere nonsensitiva, nel senso che svolge un complesso di operazioni differente rispetto a quelle
della sensibilit.
Lintelletto piuttosto una facolt di conoscenza per concetti (e non per intuizioni).

Ossia, una facolt di conoscenza che si avvale di altri strumenti (rispetto alle
intuizioni) per filtrare la caoticit delle rappresentazioni sensibili.

Le intuizioni, spiega infatti Kant, riposano su affezioni.


Mentre i concetti riposano su funzioni.
Cosa vuol dire? che differenza c?
La prima affermazione, alla luce delle considerazioni svolte nellestetica t., risulta
abbastanza chiara:
le intuizioni come se fossero le membrane esterne del nostro organismo, nel senso che
rappresentano il modo in cui sono strutturati i nostri organi recettori: le intuizioni sono il
collegamento dellinterno con lesterno, sono la connessione tra lelemento della
recettivit e quello causale provocato dagli oggetti.
Lintuizione affetta da qualcosa, una sorta di dispositivo che scatta in presenza di
una sollecitazione proveniente dallesterno (questo esterno pu anche essere lio, inteso
come fenomeno).
Ma la funzione, invece, che cos?
I concetti non lavorano sulle impressioni sensibili, ma piuttosto sulle rappresentazioni
provenienti dalle intuizioni sensibili.
I concetti sono dispositivi di secondo grado, nel senso che presuppongono il primo e
fondamentale lavoro di filtraggio dei dati esterni compiuto dalle intuizioni.

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Filosofia teoretica

I concetti lavorano quindi sulle rappresentazioni e la relazione sussistente tra concetti e


rappresentazioni viene descritta da Kant come una relazione di tipo funzionale, nel senso
che i concetti sono delle funzioni che organizzano le rappresentazioni.

Scrive Kant a questo proposito:


Ma io intendo per funzione lunit dellatto che ordina diverse rappresentazioni
sotto una rappresentazione comune (p. 89).

I concetti svolgono quindi delle funzioni: sono unattivit che riconduce le diverse
rappresentazioni provenienti dalla sensibilit a degli elementi di comunanza.
Un esempio potrebbe essere questo.
La nostra mente bombardata da una infinit di immagini che ci vengono trasmesse dai
sensi. Per es., nella nostra mente ci sono immagini di oggetti, di telefonini, di libri, di
cani, di video e quantaltro. Non solo, ma nella nostra mente si affacciano non solo
rappresentazioni di tipo visivo, ma anche auditive, etc., per cui dobbiamo
immaginarci come un gigantesco teatro in cui tutti vogliono entrare.
Lidea di Kant che tutte queste cose, tutti questi oggetti, tutte queste rappresentazioni,
non possono entrare tutte insieme, indiscriminatamente e individualmente in questo
teatro. Perch sono troppe. Si produrrebbe un caos micidiale in cui nulla potrebbe essere
pi distinto da nulla.
Lidea che gli ingressi vengano selezionati per tipo.
Per es. tutti i quadrupedi pelosi che abbaiano, tendenzialmente li ordiniamo sotto il
concetto di cane. In questo modo, la mente ordina le diverse rappresentazioni sensibili
dei diversi cani che nel mondo dellesperienza incontriamo, sotto una sorta di denominatore
comune. Per cui, a livello di nostre capacit conoscitive, mateniamo limmagine del cane
che vediamo, ma questa stessa immagine costituisce una sorta di file che si inscrive in una
directory precisa.
Il paragone naturalmente azzardato, ma lidea di fondo credo che corrisponda
abbastanza agli intendimenti kantiani: conoscere significa in primo luogo ordinare.
Le funzioni sono, quindi, delle attivit che ordinano diverse rappresentazioni sotto una
rappresentazione comune: fanno tanti raggruppamenti in unit.
I concetti, precisa poi Kant, si fondano sulla spontaneit (termine di derivazione
leibniziana). Nel senso che questa attivit di unificazione non deriva e non riconducibile
alle impressioni esterne provocate dal mondo degli oggetti, ma in qualche modo
indipendente da esse.
O meglio: unattivit che si esercit sulle rappresentazioni sensibili, ma che non proviene
dallesterno. Al contrario, una forma di organizzazione dellesterno.
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Filosofia teoretica

I concetti sono allora ci che consente allintelletto di pensare, ossia di giudicare, ossia di
attribuire una rappresentazione a unaltra rappresentazione.
Per es., quando dico tutti i corpi sono divisibili attribuisco una rappresentazione (un
predicato) la divisibilit- a unaltra rappresentazione (soggetto del giudizio) i corpi.

I giudizi, per Kant, come gi per Leibniz, rappresentano la forma in cui tutte le nostre
conoscenze si organizzano.

Il giudizio una conoscenza mediata. E unopera di mediazione: congiunge (o


disgiunge) rappresentazioni tra di loro.
Nellesempio proposto, i corpi (le rappresentazioni dei corpi) vengono rappresentati
per mezzo del concetto della divisibilit: mediatamente.
E proprio questopera di mediazione consente la produzione di una nuova unit, di tipo
mentale (la divisibilit funge da collante, da elemento accomunante i corpi tra loro).
I concetti, operanti su funzioni, fanno esattamente questo: unificano attivamente i dati loro
sottoposti.
E importante insistere su questo aspetto: conoscere significa in qualche modo unificare
e la conoscenza un atto di progressiva unificazione: dal molteplice allordine, dal caos
disgregato allunit.

4.2. giudizi, fili conduttori, categorie


Tutti gli atti dellintelletto possono essere ricondotti a giudizi.

Lidea messa in campo da Kant che lintelletto coincida con questa stessa attivit
unificante, o per meglio dire che lintelletto sia una funzionalit unificante.
Cos, il filo conduttore dato. E la forma stessa del giudizio (la condizione formale dellunit) a
essere condizione di possibilit della pensabilit delle cose in generale.
La strategia attuata da Kant sembra quindi essere questa:
1. lintelletto la facolt di pensare (denken)
2. pensare significa conoscere per concetti
3. i concetti sono funzioni che consentono di formulare giudizi

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Filosofia teoretica

4. conclusione: le funzioni dellintelletto possono essere trovate tutte quante se si


possono esporre completamente le funzioni dellunit dei giudizi (p. 90).
Quindi, oggetto di analisi diventano i giudizi (quali sono, quanti sono, etc.);
dai giudizi possibile risalire ai concetti (categorie, ossia alle funzioni che consentono la
formulazione dei giudizi);
dalle categorie (che come dire dalla forma dellunit, o dalle condizioni formali
dellunit), possibile risalire al criterio della pensabilit in generale.
Da questa idea di fondo, Kant ricava una topica dei giudizi in generale. Dove per topica
si intende la definizione di una griglia nella quale far rientrare tutti i giudizi possibili.
Per fare questo, Kant si ricollega, ovviamente, ai tentativi gi fatti in questo senso nella
Schulphilosophie (filosofia di scuola) del Settecento e prima ancora alla lunga tradizione
aristotelica forte anche in terra tedesca (aristotelismo protestante).

Ma come fatta allora questa topica? come viene formulata questa griglia?
Quali sono le possibili tipologie dei giudizi?
Di 4 tipi:
1.
2.
3.
4.

quantit
qualit
relazione
modalit

Sotto 1. rientrano i giudizi universali, singolari e particolari (es. tutti i corpi sono pesanti;
oppure: alcuni corpi sono duttili; oppure: Marco un mio compagno di scuola).
sotto 2. rientrano i giudizi affermativi, negativi e infiniti (ad es.: lanima non-mortale [in
questo caso ho un giudizio negativo, espresso dal non, ma anche un giudizio infinito:
dicendo che lanima non-mortale faccio rientrare lanima nel numero infinito delle
cose che restano, senza ulteriori specificazioni);
sotto 3. rientrano i giudizi categorici, ipotetici e disgiuntivi (es. rispettivamente sono:
Socrate ateniese, Se Socrate ateniese, allora nato in Grecia, il mondo esiste o per
opera del cieco caso, o per interna necessit, o per una causa esterna);
sotto 4. i giudizi problematici, assertori e apodittici (sono quelli riguardanti la modalit: ad
es. il mondo esiste per caso [si tratta di unaffermazione che esprime una possibilit],
Marco marito di Giovanna, il triangolo quella figura la cui somma degli angoli
interni pari a 180).

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Filosofia teoretica

Nei giudizi, quindi, si coglie il riflesso di una sintesi che stata effettuata, ossia di una
avvenuta connessione tra rappresentazioni differenti.
Sintesi, scrive Kant, latto di unire diverse rappresentazioni, e comprendere la loro
molteplicit in una conoscenza (p. 94).

La sintesi quindi, in generale, una funzione che viene svolta dallintelletto.


Ma allora: se lintelletto si esprime tramite funzioni (ossia, attivit unificanti), se le
funzioni, complessivamente considerate, possono intendersi come una attivit di sintesi,
se, infine, considero lattivit sintetica di per s, ossia indipendentemente rispetto alle cose
unificate, ma secondo il puro atto dellunificare, trascendendo cio i suoi contenuti
empirici, allora il concetto puro dellintelletto si sveler come attivit formalmente sintetica.
Proviamo a svolgere questo pensiero.
Lattivit di sintesi, considerata in se stessa, che si svolge nella nostra mente (e di cui sono
espressione i giudizi), rappresenta una pura attivit di unificazione.
Considerate le cose da questo punto di vista, lintelletto pu essere definito e interpretato
come una sorta di principio generatore di unit. Nel senso che lintelletto stesso il centro
(o il soggetto) di questa attivit unificante (che non pu essere ricavata da altro, ma
spontanea).
Questo ci che Kant intende quando parla di unit sintetica dellappercezione.
Lunit sintetica dellappercezione, rappresenta, in un certo senso, il centro dellattivit
mentale, ossia il centro di ci che propriamente si chiama capacit conoscitiva
intellettuale.
La capacit conoscitiva intellettuale del soggetto ruota intorno a questa unit sintetica
dellappercezione.
Ma che cos e come si definisce questa unit sintetica dellappercezione?
Lo si vedr pi nei dettagli tra breve, ma per ora possibile anticipare questo: si tratta di
una sorta di centro emanatore di unit. In un certo senso, la forma stessa dellunit. E
forma secondo un significato che non forse arbitrario paragonare a quello espresso da
Leibniz nella sua filosofia: ossia, come attivit.
Lunit, per Kant cos come per Leibniz, non originariamente un dato, ma un atto.

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Filosofia teoretica

Un dato presuppone dualit, scissione, tra colui che pone e la cosa posta, latto invece
il prototipo stesso dellunit, in cui non c differenza tra colui (o la cosa che) compie latto
e latto stesso: lio per Kant questa unit sintetica originaria dellappercezione.
(con tutte le implicazioni che lutilizzo della parola appercezione ha relativamente a
Leibniz).

Ma andiamo con ordine.


I giudizi svolgono la loro funzione unificante, in virt della presenza operante in essi di
concetti puri, categorie, cio attraverso lattivit di forme unificanti attraverso cui il
pensiero prende corpo incarnandosi nei giudizi.
I giudizi rappresentano quindi e in qualche modo lesito, la fine, dellattivit unificante
prodotta dallintelletto, mentre le categorie ne rappresentano invece la causa, sono il
motore stesso di questo processo.
La tavola delle categorie, ricalca quindi quella dei giudizi

I giudizi di quantit (1) sono possibili perch sotto di essi operano le categorie di:
- unit ( singolarit)
- pluralit ( particolarit)
- totalit ( universalit)
I giudizi di qualit (2) sono possibili sotto perch sotto di essi operano le categorie di:
- realt ( affermazione)
- negazione ( negazione)
- limitazione ( infinit)
I giudizi di relazione (3) sono possibili sotto perch sotto di essi operano le categorie di:
- inerenza/sussistenza ( substantia et accidens)
- causalit e dipendenza ( causa ed effetto)
- reciprocit ( azione reciproca fra agente e paziente)
I giudizi della modalit (4) sono possibili perch sotto di essi operano le categorie di:
- possibilit ( problematici)
- esistenza ( assertori)
- necessit ( apodittici)

Le categorie sono quindi i concetti originari primitivi dellintelletto. Da esse si possono


ricavare i predicabili (p. 97), cio ulteriori concetti puri da essi derivati. Tipo: dalla
causalit posso ricavare le nozioni (pure) di forza, azione e passione; dalla reciprocit, i
predicabili della presenza e della resistenza, etc.

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Filosofia teoretica

Unosservazione interessante svolta da Kant questa:


la totalit non altro che la molteplicit considerata come unit; la limitazione, la
realt unita con la negazione; la reciprocit la causalit di una sostanza in
vicendevole determinazione con unaltra; la necessit, lesistenza che data dalla
possibilit stessa (p. 99).

4.3. Sulla possibilit di una unificazione in generale


Una volta posta la tavola delle categorie, il lavoro, tuttavia, non ancora secondo Kant
compiuto.
Nel senso che, una volta stabilita lesistenza di forme a priori che strutturano la nostra
conoscenza intellettuale, manca ancora la spiegazione del modo in cui i concetti a priori si
possono riferire ad oggetti (p. 103).
Si tratta cio di capire e di spiegare come concretamente le categorie si applicano agli
oggetti dellintuizione sensibile.
La difficolt delloperazione risiede in questo: non possibile accontentarsi di una
deduzione di tipo empirico, mostrando cio che nel concreto delle nostre conoscenze le
categorie, di fatto, si applicano continuamente alle intuizioni sensibili. E non possibile
perch qui non in gioco una questione di fatto, ma come dice Kant, di diritto (problema
della deduzione trascendentale delle categorie, p. 103).
Ricapitoliamo i termini della situazione descritta finora.
Lesperienza costituita da due elementi diversi:
-

la materia per la conoscenza viene fornita dai sensi (per il tramite delle
intuizioni)
la forma per ordinare questo materiale proviene dalle funzioni unificanti
presenti nel pensiero (le categorie)

Ora, mentre nel caso delle intuizioni pure (spazio e tempo), la giustificazione della loro
necessit si fondava sul loro carattere condizionante nei confronti della possbilit di
rappresentarsi un mondo (nel senso che, senza spazio tempo, secondo Kant, non
possibile nessuna rappresentazione del mondo), nel caso delle categorie le cose
funzionano in maniera un p diversa.
Perch?
Perch anche senza funzioni dellintelletto, possono benissimo esserci dati
fenomeni nella intuizione (p. 105).

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Filosofia teoretica

Cio: mentre dalle intuizioni non possibile prescindere, perch senza di esse il mondo
nemmeno apparirebbe, nel caso delle categorie le cose sono un p pi complicate perch
quandanche il mondo non venisse da noi pensato sarebbe comunque dato.

Ma allora, se un mondo oggettivo sarebbe comunque dato, in che modo possiamo dire
che le condizioni soggettive del pensare abbiano validit oggettiva? (p. 105).

Il problema della deduzione riguarda allora il criterio della pensabilit in generale.

Meglio ancora: si tratta di stabilire perch un qualcosa come la pensabilit necessaria


per garantire la possibilit di un mondo di conoscenze oggettive.
La tesi di Kant infatti questa: la pensabilit degli oggetti non rappresenta una condizione
soltanto soggettiva della conoscenza, ma al contrario proprio la presenza ordinatrice
delle strutture categoriali che rende pienamente oggettive le nostre conoscenze e
pienamente oggettivo il mondo che conosciamo.
Infatti: vero che i concetti puri dellintelletto sono soggettivi nel senso che
appartengono alla capacit conoscitiva propria del soggetto, tuttavia non sono arbitrari
(nel senso che possono essere validi per una persona e non per unaltra), bens necessari
(nel senso che rappresentano la struttura stessa dellintelletto).
Le funzioni unificanti espresse dalle categorie rappresentano la forma del pensiero in
quanto tale (p. 107).
Ma allora cosa vuol dire pensare? e perch la pensabilit degli oggetti necessaria per
la costituzione di un mondo oggettivo?
Andiamo con ordine.
Conoscere, in generale, secondo Kant, vuol dire unificare.
Spazio e tempo rappresentano, da questo punto di vista, una prima forma di unificazione
generale che avviene a livello di sensibilit: le intuizioni sensibili generano infatti
rappresentazioni e la rappresentazione, in quanto tale, costituisce gi una prima forma
di ordine.
Le rappresentazioni sensibili tuttavia sono immediate, ossia istantanee, e vanno perci
considerate come una serie di fotogrammi puntuali che ci provengono dalla realt.
Le intuizioni quindi ci danno accesso alle cose, ci danno accesso al mondo, ossia fanno s
che il mondo sia per noi dato, ma si tratta di un mondo privo di continuit, privo di un
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Filosofia teoretica

legame tra le parti, di un mondo fatto di istanti separati gli uni dagli altri e in cui le
rappresentazioni corrispondenti risultano semplicemente giustapposte, o accatastate le une
sulle altre.
Le intuizioni senza concetti, dice Kant, sono cieche (p. 78), nel senso che non ci fanno
vedere il mondo cos come effettivamente lo conosciamo.
Per vedere il mondo c bisogno di una unificazione pi ampia, ossia di una
unificazione che non avvenga unicamente nellistante della temporalit, ma che si realizzi
al di l e oltre le condizioni spazio-temporali entro le quali i fenomeni ci sono dati.
Affinch un mondo concreto o oggettivo ci sia, necessario che le rappresentazioni
fornite dai sensi siano connesse tra di loro e che questa connessione avvenga in maniera
ordinata, cio precisa, cio secondo un filo logico. Ecco perch lattivit del pensiero
necessaria. E questo anche il motivo per cui lordine istituito dalle categorie non si
appiattisce sullo spazio-tempo, ma un ordine pi alto, pi generale, che pu
addirittura astrarre dalle condizioni spazio-temporali.

Ecco cosa scrive Kant a questo proposito:


Ma lunificazione (coniunctio) di un molteplice in generale non pu mai venire in
noi dai sensi, e nemmeno perci essere contenuta immediatamente nella pura forma
dellintuizione sensibile; perch essa un atto della spontaneit dellattivit
rappresentativa (p. 109).

E ancora:
Noi non possiamo rappresentarci nulla come unificato nelloggetto, senza prima
averlo unificato gi noi (p. 110).

Lunificazione compiuta dallintelletto va intesa, secondo Kant, non come un qualcosa che
possa essere rappresentato, ma solo e soltanto come una attivit che esprime una unit
qualitativa (p. 110). Lintelletto va cio pensato come una unit sintetica. Detto meglio:
lintelletto una unit sintetica (p. 111).
Ecco allora il senso della deduzione (giustificazione) trascendentale delle categorie:
loggettivit del mondo tale nella misura in cui non semplicemente data, ma pensata.
Possiamo parlare di oggetti e riferirci ad oggetti non solo se sono calati in un contesto
relazionale come quello fornito dalle intuizioni spazio/temporali, ma solo e soltanto se
questo contesto relazionale viene assunto come uno, ossia solo e soltanto se il
contesto relazionale stesso viene pensato e cio attuato.

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Filosofia teoretica

La situazione di relazionalit degli oggetti, espressa a livello sensibile dalle intuizioni


spazio/temporali, trova allora nel pensiero la sua condizione di possibilit ultima, nel
senso che il carattere dellessere-posto-in-relazione presuppone, per esser dato, un
punto di riferimento attivo: lunit sintetica originaria dellappercezione (p. 110).

4.3.1. Lunit sintetica originaria dellappercezione


Scrive Kant:
LIo penso (das Ich denke) deve poter accompagnare tutte le mie rappresentazioni
(p. 110):

Altrimenti, prosegue ancora, ogni rappresentazione sarebbe impossibile, o, almeno per


me, non sarebbe (ibid.).
Cosa vogliono dire queste affermazioni kantiane?
Ovviamente, difficile dare una risposta univoca, tant che questi passi della KrV sono
tra quelli che hanno conosciuto il maggior numero di intepretazioni teoriche.
In linea generale, e senza voler complicare troppo la nostra lettura del testo, si pu dire
che se la conoscenza degli oggetti che sono nel mondo va decifrata secondo Kant come
gesto di progressiva unificazione nei confronti del materiale fornito dai sensi, e se
questa unificazione avviene tramite una rete di funzioni formali (le categorie) che
organizzano le diverse rappresentazioni sensibili, lIo penso pu essere inteso come il
principio che presiede a questa attivit di organizzazione.
Si tratta, ovviamente, di un principio formale, nel senso che, sebbene abbia bisogno della
materia delle rappresentazioni per esercitarsi, tuttavia non coincide con essa, ma al
contrario ci che, letteralmente, d forma alla materia, ossia la rende una.
E lIo penso in grado di in-formare di s la materia proprio perch una unit, un
principio di unit, un principio generatore di unit, la foma stessa dellunit che si
diffonde a partire da se stessa.
Questo il motivo per cui lIo penso viene denominato da Kant col termine di unit
sintetica originaria: originario perch non deriva da altro che da se stesso. Facendo
uso del vocabolario leibniziano precedentemente incontrato, si potrebbe dire che lIo
penso un unum per se e non per accidens.
Lunit, secondo Kant, deriva originariamente da un atto: non un qualcosa di
dato, ma piuttosto un darsi, ossia un qualcosa che esprime unattivit.
Detto con altre parole: lunit sintetica dellappercezione non una rappresentazione
che sta accanto ad altre rappresentazioni, ma viene caratterizzata da Kant come
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Filosofia teoretica

lelemento attivo che collega e connette le molteplici rappresentazioni presenti nella nostra
mente.
In questo senso, lIo penso non un dato, perch se cos fosse, se fosse un dato della
nostra mente che si pone accanto agli altri dati rappresentativi, ci si troverebbe di nuovo
di fronte al problema di stabilire una connessione tra questi dati. Un qualcosa per essere
dato deve sottostare a un principio di unit, dove in questo caso lunit non oggetto,
bens soggetto: a rigore rappresenta la condizione di possibilit degli oggetti.
Scrive Kant:
Lunificazione non dunque negli oggetti, e non pu essere considerata come
qualcosa di attinto da essi per via di percezione (...); ma soltanto una funzione
dellintelletto, il quale non altro che la facolt di unificare a priori, e di sottoporre
allunit dellappercezione il molteplice delle rappresentazioni date (p. 112).

Ecco perch questattivit viene indicata da Kant col termine spontanea.

Ma leggiamo le parole di Kant:


Ogni molteplice, dunque, della intuizione ha una relazione necessaria con lIo
penso, nello stesso soggetto in cui questo molteplice si incontra. Ma questa
rappresentazione un atto della spontaneit [Actus der Spontaneitt], cio non pu
essere considerata come appartenente alla sensibilit ( 16, p. 111).

E ancora:
Le molteplici rappresentazioni che sono date in una certa intuizione non sarebbero
tutte insieme mie rappresentazioni, se tutte insieme non appartenessero ad
unautocoscienza; cio, in quanto mie rappresentazioni (sebbene io non sia
consapevole di esse come tali), debbono necessariamente sottostare alla condizione
in cui soltanto possono coesistere in una universale autocoscienza
[Selbstbewusstsein], poich altrimenti non mi apparterrebbero in comune (ibid.).

E ancora: lappercezione rappresenta una originaria unificazione [ursprngliche


Verbindung] e la sua unit
la chiamo pure unit trascendentale dellautocoscienza, per indicare la possibilit
della conoscenza a priori che ne deriva (ibid.).

Lappercezione ci che conferisce identit comune alle rappresentazioni contenute


nella mente ed ci che fa s che queste rappresentazioni siano considerate mie
rappresentazioni. Senza questo collante io dice Kant dovrei avere un Me stesso
variopinto, diverso, al pari delle rappresentazioni delle quali ho coscienza (p. 112).
La coscienza empirica, secondo Kant, ossia la coscienza considerata indipendentente
dallautocoscienza, in s dispersa e senza relazione con lidentit del soggetto. Cio:
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Filosofia teoretica

lunit analitica della coscienza [empirica] possibile solo a patto che si presupponga una
unit sintetica.
Questa relazione non ha luogo ancora per ci che io accompagno con la coscienza
ciascuna delle rappresentazioni, ma perch le compongo tutte luna con laltra, e
sono consapevole della loro sintesi (ibid.)

E ancora:
lunit sintetica dellappercezione il punto pi alto, al quale si deve legare tutto
luso dellintelletto, tutta la logica stessa e, dopo di questa, la filosofia trascendentale,
anzi questa facolt lo stesso intelletto (p. 111-112).

E questo, per Kant, il principio supremo di tutta la conoscenza umana (p. 112).

Lintelletto, quella che oggi definiremmo la mente umana, nella sua essenza secondo
Kant deve essere intesa come una facolt di unificare a priori.
Ossia, unattivit di unificazione che si esercita sugli oggetti, ma non deriva da essi.
E questa considerazione consente a Kant di tracciare una distinzione tra pensare e
conoscere.
Il pensare rappresenta la pura attivit di unificazione considerata indipendentemente
dalle rappresentazioni che vengono unificate. Il pensare, cio, rappresenta il lato della
pura spontaneit dellintelletto.
Conoscere, viceversa, rimanda allattivit di unificazione che si esercita sulle molteplici
rappresentazioni presenti nellintelletto e presuppone quindi lattivit svolta
dallintuizione.
In altre parole: conoscere significa unificare rappresentazioni provenienti dalle
intuizioni, mentre pensare significa semplicemente esercitare questa attivit di
unificazione indipendentemente dalle intuizioni sensibili date.
Per cui, dice Kant, noi possiamo dire di conoscere una cosa quando siamo in grado di
esibire una corrispondenza tra concetti (le categorie) e intuizioni.
Viceversa, se ci muoviamo sul terreno dei puri concetti, facendo a meno delle intuizioni
(per es. quando parliamo di Dio, di mondo o di anima, ossia di idee prive di una
corrispondenza a livello intuitivo), in quel caso stiamo semplicemente pensando a una
cosa, ma senza conoscerla.

Quindi, Kant riflette su una conseguenza delle sue affermazioni.


LIo penso, questa appercezione originaria che rappresenta la nostra stessa autocoscienza,
pu facilmente generare dei paradossi nel nostro modo che abbiamo di descrivere noi
stessi, ossia nel nostre modo che abbiamo di rapportarci a noi stessi.
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Filosofia teoretica

LIo penso, abbiamo capito (per cos dire), fa da collante delle nostre rappresentazioni
ed proprio in virt della sua presenza attiva che noi arriviamo a riconoscere le
rappresentazioni come nostre e a riconoscere noi stessi come un soggetto di identit.
Tuttavia, qual il modo in cui noi appariamo a noi stessi?
In che modo, cio, io mi rapporto a me stesso?
Qui Kant produce delle osservazioni molto acute, perch, rimanendo fedele alla logica che
ha ispirato fin qui le sue argomentazioni, egli osserva che la nostra coscienza di s una
coscienza non gi di come siamo, ma soltanto di come appariamo (p. 121).

Nel senso che, quando il nostro sguardo mentale si rivolge su noi stessi, noi, ossia quello
che siamo, diventiamo a nostra volta un oggetto, ossia un fenomeno sottoposto allo
sguardo dellosservatore.
Il paradosso che in questo caso noi siamo i guardanti e i guardati e tuttavia, per
come strutturata la nostra attivit mentale, noi non possiamo mai guardare noi stessi per
quello che effettivamente siamo. Lattivit del guardare non pu a sua volta essere
guardata, ossia fatta oggetto di conoscenza, perch perch per essere guardata si
presupporrebbe di nuovo la presenza in atto del guardare: la conoscenza funziona sui
dati, ma il guardare in questo caso un atto e non un dato. Non solo, ma il
guardare quellatto che rende possibile il dato, ossia il guardato. Quindi non
possibile che sia loggetto guardato a guardare quellatto che lo rende possibile.
Questo sarebbe il caso di una intuizione intellettuale, ossia di una intuizione che non
lavora sui dati come fa la nostra, ma che fa un tuttuno con la cosa intuita.
Ma leggiamo le parole di Kant:
per ci che riguarda lintuizione interna, noi conosciamo il nostro proprio soggetto
solocome fenomeno, ma non gi per quello che esso in se stesso (p. 123).

Noi abbiamo una intuizione di noi stessi che ci data dal nostro senso interno (che
avviene tramite rapporti di tempo), ma si tratta di una intuizione empirica e come tutte le
intuizioni empiriche il suo oggetto viene considerato come un fenomeno: noi possiamo
intuire noi stessi soltanto come fenomeni.
Giocando un p con le parole, si potrebbe dire che noi non siamo solo soggetti dei nostri
pensieri, ma in un certo senso siamo soggetti ai nostri pensieri, nel senso di subordinati
ad essi: lIo penso non potr mai diventare oggetto di conoscenza.
Scrive Kant:
In che modo lIo che pensa differisca dallIo che intuisce se stesso (...), pur
formando con questo tuttuno come lo stesso soggetto; in che modo perci io possa
dire: io, come intelligenza e soggetto pensante, conosco me stesso come oggetto
pensato in quanto io sono anche dato a me nellintuizione, solo come gli altri
fenomeni, cio non come io sono innanzi allintelletto, ma come apparisco a me

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Filosofia teoretica

un problema che non presenta in s n maggiori, n minori difficolt, che non ne


presenti il come io possa essere a me stesso un oggetto in generale, e un oggetto di
intuizione, e precisamente di percezioni interne (p. 123).

Il punto messo in evidenza da Kant che io conosco me stesso secondo il modo in cui il mio
conoscere funziona.
Quindi, lintuizione che ho di me stesso avviene secondo il senso interno e quindi secondo
rapporti di tempo i quali sono diversi dai concetti dellintelletto. Quindi io rappresento
me stesso fenomenicamente e non per intuizione intellettuale.
[ appena il caso di sottolineare come questa dialettica tra guardante e guardato sia
per molti versi simile a quella leibniziana di specchiante e specchiato].

5. Lanalitica trascendentale: lanalitica dei principi

Lanalitica dei principi un canone per la facolt del Giudizio: insegna ad applicare ai
fenomeni i concetti dellintelletto, che contengono la condizione per le regole a priori.
Quindi e propriamente si tratta di una dottrina del Giudizio (p. 132).
Dice infatti Kant:
1. lintelletto , in generale, la facolt delle regole.
2. il giudizio la facolt di sussumere sotto regole, cio di distinguere se qualche cosa
stia o no sotto una regola data (casus datae legis) (p. 133)
La logica, in generale, non ha bisogno di prescrizioni: perch essa astrae da ogni contenuto
della conoscenza, nella misura in cui essa tratta della semplice forma della conoscenza.
Viceversa, qui si tratta di applicare delle regole e il Giudizio, scrive Kant, un talento
particolare, che non si pu insegnare, ma soltanto esercitare (ibid.)
La capacit di fare corretto uso del Giudizio deve appartenere allo stesso scolaro, nel
senso che qui si tratta di applicare una regola generale ai casi specifici che di volta in volta
si presentano (la mancanza di giudizio propriamente quello che si chiama
stupidit...[Dummheit])
Si tratta cio viene citato lesempio del medico o delluomo di legge non solo di
comprendere luniversale in abstracto, ma di decidere se un caso particolare, in concreto, vi
rientri oppure no.
Per affinare la capacit di giudizio si possono al massimo portare degli esempi concreti,
ma nulla di pi.

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Filosofia teoretica

Ma la filosofia trascendentale pu indicare a priori il caso a cui la regola si pu applicare:


essa infatti espone le condizioni in cui gli oggetti possono essere dati in accordo con i
concetti.
La dottrina trascendentale del giudizio si divide in due capitoli:
1. il primo tratta della condizione sensibile in cui soltanto possono essere adoperati i
concetti puri dellintelletto (dottrina dello schematismo dellintelletto puro)
2. il secondo tratta di quei giudizi a priori che derivano sotto queste condizioni dai
concetti puri dellintelletto e che sono perci la base di tutte le altre conoscenze a
priori: ossia tratta dei principi dellintelletto puro. (p. 135)

5.1. regole e schemi


Il problema affrontato da Kant nello schematismo si pu riassumere nel seguente modo:
in ogni sussunzione di un oggetto sotto un concetto ci deve essere una omogeneit tra il
primo e il secondo.
Detto altrimenti: siccome gli oggetti si danno a noi sotto forma di rappresentazioni, ci deve
essere una omogeneit tra rappresentazioni: il concetto deve contenere ci che
rappresentato nelloggetto da sussumere sotto di esso (p. 136).
Per es.: nella rappresentazione di un qualsiasi oggetto sensibile compresa anche la
rappresentazione del concetto di forma (Kant fa lesempio del piatto e del circolo),
o di quantit, etc.
Il problema, ovviamente, si pone nella misura in cui concetti puri e intuizioni
empiriche paiono essere elementi del tutto eterogenei. Come possibile quindi mettere
assieme (sussumere) elementi che hanno caratteristiche diverse?
Cio, detto con altre parole: il problema stabilire come si pu applicare concretamente il
mondo delle categorie a quello dei fenomeni.
Nel senso che ci avviene quotidianamente e in una maniera che per noi
semplicemente presupposta, ma resta da spiegare come forma e materia vadano
daccordo.

Il giudizio mostra esattamente questo: come possibile applicare le categorie ai fenomeni.


Dice Kant: posto che categorie e fenomeni sono eterogenei, deve esserci un terzo termine
che funga da elemento di mediazione tra i due.
Ossia: deve esserci nel nostro apparato conoscitivo una capacit di rappresentazione
intermediaria che sia cio pura (senza niente di empirico), ma che al tempo stesso sia, da un
lato, intellettuale e, dallaltro, sensibile.

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Filosofia teoretica

Questo terzo termine lo schema trascendentale (p. 136).


Lo schema la determinazione trascendentale del tempo.
Il tempo, infatti, da una parte omogeneo alle categorie ( un apriori, e costituisce una
unit, ossia esprime una funzione unificante); ma dallaltra, omogeneo ai fenomeni (nella
misura in cui il tempo contenuto in ciascuna rappresentazione empirica del molteplice).
Di pi: lintelletto, abbiamo visto, rappresenta lunit sintetica pura del molteplice in
generale.
Il tempo condizione formale del molteplice del senso interno: ossia, elemento di
connessione formale di tutte le rappresentazioni e proprio per questo in grado di
contenere a priori la molteplicit.
In qualche modo il tempo identit di unit e molteplicit (listante che permane
uno sotto il variare dei fenomeni; listante come connessione dinamica tra il non
ancora e il non pi).
Nella misura in cui il tempo attivit di pura connessione, rappresenta un elemento
omogeneo allintelletto e alle sue funzioni categoriali (cio una struttura di tipo
formale).
Ma questa sua formalit ci che rende possibile la sua determinazione del molteplice,
ossia di infiniti contenuti sussunti sotto una medesima forma.
Se non ci fosse questa forma non ci apparirebbe nemmeno il molteplice: non lo
riconosceremmo come molteplice. La molteplicit si d insieme allunit (Platone,
Parmenide). Questo uno dei momenti chiave dellintera Critica (su cui Heidegger ha
fondato la propria interpretazione).
Questa determinazione della temporalit, questa considerazione del doppio volto della
temporalit ci che Kant chiama schema.
Lo schema un prodotto dellimmaginazione (p. 137).
Detto meglio: lo schema di un concetto la rappresentazione del procedimento generale
tramite cu limmaginazione porge a esso concetto la sua immagine (p. 138).
Ossia: il modo in cui il concetto si rende, per cos dire, sensibile.
Cio: lo schema il procedimento attraverso cui giungiamo a formarci immagini sensibili.
(osserva Kant: il concetto di triangolo di per s non rappresentabile - diverso dai
triangoli sensibili che ci rappresentiamo -; per renderlo sensibile, necessario uno
schema, ossia una regola di determinazione rispetto alle figure nello spazio).
Lo schema ci che rende sensibili i nostri pensieri.
Tipo: il concetto di cane. Ci che mi consente di riconoscere un cane sensibile
determinato.
Il concetto del cane designa una regola, secondo la quale la mia immaginazione pu
descrivere la figura di un quadrupede in generale, senza limitarla ad una forma
particolare che mi offra lesperienza (p. 138).

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Filosofia teoretica

Dice poi Kant:


questo schematismo del nostro intelletto rispetto ai fenomeni e alla loro semplice
forma unarte celata nel profondo dellanima umana, il cui vero maneggio noi
difficilmente strapperemo mai alla natura per esporlo scopertamente innanzi agli
occhi (ibid.).

Quindi: limmagine il prodotto finale della facolt dellimmaginazione produttiva


(considerata nel suo versante empirico), mentre lo schema come un monogramma
dellimmaginazione produttiva (considerata nel suo versante a priori).
Quindi, Kant fornisce degli esempi:
1. schema della quantit il numero [ci che ci fa rappresentare come un quantum ogni
realt un rapporto dalla realt alla negazione: e lo schema di una realt, come
quantit di un qualcosa, in quanto questa riempie il tempo, appunto questa
continua e uniforme produzione di essa nel tempo. Passando cio dalla sensazione che
ha un certo grado nel tempo al suo dileguarsi, oppure dalla negazione salendo
gradatamente alla quantit di essa] (p. 139).
2. schema della sostanza la permanenza del reale nel tempo [non il tempo che scorre,
ma in esso scorre lesistenza del mutevole. Al tempo, che immobile e permanente,
corrisponde nel fenomeno ci che non muta nellesistenza, cio la sostanza e
soltanto in essa pu essere determinata la sucessione e la simultaneit dei fenomeni
nel tempo.
3. schema della causa e della causalit la connessione del molteplice sotto una regola
(prima/dopo).
4. schema della reciprocit la simultaneit di determinazioni secondo una regola.
5. schema della possibilit laccordo di diverse rappresentazioni con le condizioni del
tempo in generale (per es.: lopposto di una cosa non pu essere contemporaneo,
ma solo successivo).
6. schema della realt lesistenza in un determinato tempo [Heidegger: esistenza come
fattore della temporalit]
7. schema della necessit lesistenza in ogni tempo.
Gli schemi non sono dunque altro che determinazioni a priori del tempo secondo regole.
Ovviamente, alle categorie rimane un valore logico anche indipendentemente dalla loro
applicazione in schemi: per questo che a noi data la possibilit di andare oltre
lesperienza, di trascenderla. Cos, ad es., la sostanza pensata indipendentemente dal
suo riferimento al tempo, significa semplicemente qualcosa che pu essere pensato come
soggetto (senza essere predicato di altro) (p. 141). Cio: ho una funzione a cui non
corrisponde nessun elemento empirico particolare.
La sensibilit realizza lintelletto ma, al tempo stesso, lo restringe.

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Filosofia teoretica

Il principio supremo di tutti i giudizi analitici il principio di non contraddizione (che


deve essere sottratto alla indicizzazione temporale) (p. 144).
Il principio supremo di tutti i giudizi sintetici dice questo: ciascun oggetto sottost alle
condizioni necessarie dellunit sintetica del molteplice dellintuizione in unesperienza
possibile (p. 147).

5.2. I princpi dellintelletto

I principi dellintelletto sono dunque regole per luso oggettivo delle categorie.
Dalla tavola delle categorie dunque possibile dedurre tutti quanti i principi
dellintelletto.
Essi sono:
1.
2.
3.
4.

Assiomi dellintuizione
Anticipazioni della percezione
Analogie dellesperienza
Postulati del pensiero empirico in generale

1. Assiomi dellintuizione: il loro principio : tutte le intuizioni sono quantit estensive


(p. 149)
Lidea che, nella misura in cui tutti i fenomeni contengono, per la forma, unintuizione
nello spazio e nel tempo, come condizione della loro possibilit, allora tutti i fenomeni
sono quantit estensive (p. 150).
Dice Kant: chiamo estensiva quella quantit nella quale la rappresentazione delle parti
rende possibile la rappresentazione del tutto (e perci necessariamente la precede).
[per Leibniz questo ci che caratterizza gli enti di natura, rispetto a quelli ideali]
[per Kant, invece, ci valido anche per la linea e per il tempo]
Tutti i fenomeni vengono intuiti come aggregati (molteplicit di parti precedentemente
date).
Su questa sintesi dellimmaginazione produttiva (secondo la quantit), si fonda la
matematica dellestensione (la geometria).
Questo principio, inoltre, rende applicabile la matematica pura agli oggetti di esperienza.

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Filosofia teoretica

2. Anticipazioni della percezione: il loro principio : in tutti i fenomeni il reale che


oggetto della sensazione ha una quantit intensiva, cio un grado. (p. 152)
Percezione la coscienza empirica, ossia quella coscienza in cui c insieme una
sensazione.
Allora: i fenomeni come oggetti di percezione, non sono intuizioni pure, poich essi
contengono in s oltre lintuizione (il lato formale), anche la materia (p. 152).
La materia rappresenta il reale della sensazione e, naturalmente, non pu essere
conosciuta a priori.
Ora, poich la sensazione non una rappresentazione oggettiva (perch sono spazio e
tempo a conferirle oggettivit), ma una rappresentazione soltanto soggettiva, ad essa, dice
Kant, non spetter una quantit estensiva (propria dello spazio e del tempo, come abbiamo
visto), ma una quantit intensiva.
In corrispondenza di questultima, a tutti gli oggetti della percezione, deve essere
attribuito un grado, che va dal niente (dallo zero) a una misura data.
In sostanza: la sensazione unapprensione della materia. Ora, se consideriamo questa
apprensione semplicemente di per se, ossia indipendentemente dalle sue condizioni
formali di realizzabilit, lunica cosa che possiamo dedurre che essa si svolga tra due
estremi dallo 0 al qualcosa. Questa fluttuazione tra estremi il grado della percezione.
Quindi: ogni realt fenomenica ha una quantit intensiva, cio un grado.
Il grado designa la quantit di apprensione istantanea.
La conclusione che tutte le sensazioni, come tali, vengono date a posteriori, ma la loro
propriet di avere un grado si pu conoscere a priori (p. 158).

3. Analogie dellesperienza: il loro principio : lesperienza possibile soltanto mediante la


rappresentazione di una connessione necessaria delle percezioni
Lesperienza, scrive Kant, una conoscenza empirica (p. 158), ossia una conoscenza che
determina un oggetto per mezzo di percezioni.
Lesperienza dunque una sintesi di percezioni e, proprio in quanto tale, un qualcosa
che non contenuto direttamente nella percezione, ma essa stessa che contiene lunit
sintetica del molteplice.
Quindi: c conoscenza in quanto c unit; e lunit una sorta di portato dal nostro
apparato conoscitivo.
Ora: nellesperienza le percezioni sono connesse tra di loro in modo accidentale: nel senso
che, sulla base delle percezioni stesse, non risulta la necessit della loro connessione.
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Filosofia teoretica

Lapprensione della materia che avviene con la sensazione riguarda, per cos dire, la
constatazione di unesistenza posta di fronte a noi, ma non comprende una
rappresentazione della necessit di questa esistenza (p. 159).
Il fatto che nellesperienza si debbano trovare percezioni che siano necessariamente
connesse (altrimenti non vi affatto esperienza) deriva allora dallapplicazione delle
categorie ai fenomeni per il tramite del tempo.
I tre modi del tempo sono permanenza, successione, simultaneit: quindi, queste 3 regole
precederanno ogni esperienza e la renderanno originariamente possibile.
Chiarificazione sul termine analogia:
in matematica le analogie sono formule che esprimono luguaglianza di due rapporti
quantitativi; e sono sempre costitutive, nel senso che, dati 3 membri della proporzione,
conosciuto anche il quarto.
In filosofia, invece, lanalogia lugugaglianza di due rapporti non quantitativi, ma
qualitativi, in cui, dati 3 membri, pu essere conosciuto e dato a priori solo il rapporto a un
quarto, ma non questo quarto membro stesso (p. 161). Conosco cio semplicemente una
regola per cercarlo nellesperienza.
Unanalogia dellesperienza sar dunque semplicemente una regola secondo cui lunit
dellesperienza deve risultare da percezioni, e deve valere come principio degli oggetti
(dei fenomeni), non costitutivo, ma soltanto regolativo.
Queste analogie cio riguardano le modalit dellesistenza (i modi in cui lesistenza, la
materia si presenta alle nostre percezioni).
A. Prima analogia: principio della permanenza della sostanza
La permanenza esprime in generale il tempo come correlato costante di ogni esistenza
fenomenica, di ogni cambiamento e di ogni concomitanza (p. 163).
I fenomeni mutano nel tempo: il tempo di per se non muta e non pu nemmeno essere
percepito. Noi ci rappresentiamo lidea di un sostrato presente nei fenomeni (sostanza)
proprio come il permanente ossia come una raffigurazione del tempo.
B. Seconda analogia: principio della serie temporale secondo la legge della causalit
Tutti i cambiamenti, scrive Kant, avvengono secondo la legge del nesso di causa ed effetto,
e questa non altro che una determinazione temporale secondo lantecedente (ci che
viene prima) e il conseguente (ci che viene dopo).
Lelemento della connessione quindi un elemento in primo luogo temporale.
La cosa interessante che ogni nostra percezione comporta una necessaria interconnessione con le altre percezioni.
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Filosofia teoretica

Dunque: percepire stabilire un nesso di relazioni. (p. 169)


E ci pu accadere secondo Kant e a differenza di Leibniz proprio per la
determinazione a priori del tempo secondo lo schema, in questo caso, della successione.

C. Terza analogia: principio della simultaneit secondo la legge dellazione vicendevole


o reciprocirt
La simultaneit lesistenza del molteplice el medesimo tempo (p. 179)
Ancora: le cose sono simultanee quando, nellintuizione empirica, la percezione delluna
pu seguire dalla percezione dellaltra e reciprocamente.

Queste, dunque, le analogie dellesperienza, le quali non sono altro, dice Kant, che principi
della determinazione dellesistenza dei fenomeni nel tempo, secondo i suoi tre modi:
i.
ii.
iii.

rapporto al tempo stesso (quantit dellesistenza, cio durata)


rapporto nel tempo come serie (successione)
rapporto nel tempo come insieme di tutta lesistenza (simultaneit)

Considerate retrospettivamente le analogie rappresentano la struttura formale stessa


della natura, nel senso che questa struttura formale determina le stesse modalit empiriche
attraverso cui ci rapportiamo alla natura materialiter spectata: qui la dialettica
forma/materia si fa particolarmente impegnativa, perch la materia delle sensazioni
risulta, di fatto, strutturata dalla forma attraverso cui ci appare. La forma risulta in
qualche modo condizionante rispetto alla materia stessa.

4. I postulati del pensiero empirico in generale

a. Ci che si accorda con le condizioni formali dellesperienza (per lintuizione e per i


concetti) possibile
b. Ci che si connette con le condizioni materiali dellesperienza (della sensazione)
reale
c. Ci la cui connessione col reale determinato secondo le condizioni universali
dellesperienza (esiste) necessariamente
Le categorie della modalit, dice Kant, hanno questo di peculiare: che non accrescono il
concetto al quale sono unite come predicati, ma esprimono soltanto il rapporto con la
facolt conoscitiva.

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A.A. 2005/2006

Filosofia teoretica

Quando il concetto di una cosa gi del tutto completo, posso chiedermi se questoggetto
sia solamente possibile o reale o, in questo caso, anche necessario (p. 184).
Quindi: se il concetto di una cosa legato solo nellintelletto con le condizioni formali
dellesperienza si dice possibile; se poi legato con la percezione si dice reale; se infine
determinato dalla connessione delle percezioni secondo concetti si dice necessario (p. 195).

5.3. Tra fenomeni e noumeni


Scrive Kant:
Nel nostro concetto, quando denominiamo certi oggetti come fenomeni, esseri
sensibili (phaenomena), distinguendo il nostro modo di intuirli dalla loro natura in s,
c gi che noi, per dir cos, contrapponiamo ad essi o gli oggetti stessi in questa loro
natura in s (quantunque in essa noi non li intuiamo), o anche altre cose possibili, ma
che non sono affatto oggetti dei nostri sensi, come oggetti pensati semplicemente
dallintelletto, eli chiamiamo esseri intelligibili (noumena). Ora si domanda se i nostri
concetti puri dellintelletto rispetto a questi ultimi non abbiano un valore, e se di essi
non possano essere una specie di conoscenza (p. 208).

Il noumeno quindi: un concetto affatto indeterminato di un essere intelligibile, come


qualcosa in generale al di l della nostra sensibilit.
Noumeno, inoltre, viene caratterizzato da Kant anche secondo un senso negativo, ossia
come una cosa in quanto essa non oggetto della nostra intuizione sensibile (ibid.).
Viceversa, secondo la sua caratterizzazione positiva, il noumeno va inteso come una
cosa in quanto oggetto di una intuizione intellettuale (chimera).
La teoria della sensibilit dunque insieme teoria dei noumeni in senso negativo, cio di
cose che lintelletto deve pensare senza questa relazione con la nostra maniera di intuire,
quindi non semplicemente come fenomeni, ma come cose in s.
Kant a questo proposito fa unosservazione interessante: se a una conoscenza empirica
sottraggo ogni pensiero, non mi rimane pi nessuna conoscenza di nessun oggetto
perch con la sola intuizione nulla viene pensato e il fatto che in me c questa affezione
della sensibilit non costituisce relazione di sorta di tale rappresentazione con un qualsiasi
oggetto; ma se invece a una conoscenza empirica vi sottraggo ogni intuizione, mi rimane
ancora la forma del pensiero. Le categorie quindi si estendono pi in l dellintuizione
sensibile, poich pensano oggetti in generale, senza guardare alla maniera speciale
(sensibilit), nella quale gli oggetti ci possono essere dati (p. 209).

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Filosofia teoretica

Dice Kant: chiamo problematico un concetto che non contiene contraddizione e che si
connette con altre conoscenze, ma la cui verit oggettiva non pu essere in alcun modo
conosciuta (p. 210).
Il concetto di noumeno non contraddittorio: come cosa che deve essere pensata non
come oggetto dei sensi, ma come cosa in s.
Non possiamo infatti asserire che la sensibilit sia lunica forma possibile di intuizione.
Il concetto di noumeno dunque solo un concetto limite (Grenzbegriff): circoscrive le
pretese della sensibilit ed di uso solo negativo. (ibid.)
Il concetto di noumeno non solo ammissibile, ma inevitabile come concetto che limita la
sensibilit (p. 211).

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Filosofia teoretica

Parte seconda

1. Prima scansione del testo: presentazione, nota, conclusioni


La prima operazione di approccio al testo dellAnfibolia riguarda la sua collocazione
sistematica. Ossia: la considerazione del luogo, allinterno della trattazione svolta nella
KrV, in cui essa risulta inserita.
La KrV, come si visto finora, rappresenta un testo estremamente articolato e ricco di
partizioni interne (come risulta dallo stesso indice dellopera). E allora chiediamoci: dove
viene inserito questo testo e quali possono essere stati i motivi che hanno indotto Kant a
inserire questo testo qui e non altrove?
Rispondere alla prima domanda semplice, mentre pi complicata, a prima vista, appare
la questione legata alla seconda domanda, per rispondere alla quale probabilmente
necessario attendere di avere qualche indicazione in pi proveniente dalla lettura del
testo.
Cominciamo, quindi, dalle considerazioni pi esteriori riguardanti la collocazione
sistematica.
Questo punto della trattazione inserito allinterno della prima parte dellopera (la
Dottrina trascendentale degli elementi), dopo che Kant ha affrontato una serie di
questioni.
Quali?
Quelle inerenti lEstetica trascendentale, la quale rappresenta il primo momento in cui si
concretizza la trattazione della Dottrina trascendentale degli elementi, e quelle inerenti la
Logica trascendentale.
Ma cerchiamo di essere pi precisi: la trattazione della Logica trascendentale, risulta a sua
volta articolata. Finora abbiamo ripercorso le argomentazioni prodotte da Kant nella
Analitica trascendentale, ossia quelle riguardanti la Analitica dei concetti e la Analitica dei
principi.
LAnalitica trascendentale costituisce la prima parte della Logica trascendentale, la quale
risulta complessivamente divisa in una Analitica trascendentale e in una Dialettica
trascendentale.
Quindi, possiamo dire che, a questo livello della nostra considerazione del testo kantiano,
abbiamo esaurito la prima parte della Logica trascendentale. Terminata la quale, Kant
inserisce una Appendice intitolata appunto: Anfibolia dei concetti della riflessione per lo
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Filosofia teoretica

scambio delluso empirico dellintelletto con luso trascendentale. E questa Appendice risulta
quindi collocata esattamente a cerniera tra lAnalitica trascendentale e la Dialettica
trascendentale: dal punto di vista della collocazione sistematica, si tratta quasi di una
terra di nessuno, in cui cio la trattazione vera e propria dellAnalitica terminata e
quella della Dialettica deve ancora incominciare.
Kant sceglie quindi questo luogo per inserire alcune sue riflessioni riguardanti lo
scambio (Verwechselung) delluso empirico dellintelletto con luso trascendentale.
E anche il titolo risulta piuttosto complesso: il termine anfibolia finora non lo avevamo
incontrato nel testo della KrV e lintero titolo risulta piuttosto complesso.
Per fare un es., la stessa traduzione italiana del titolo originale kantiano non cos
semplice. La traduzione classica di G. Gentile e di G. Lombardo-Radice (rivista da
Mathieu) riporta infatti la traduzione appena citata (Anfibolia dei concetti della riflessione per
lo scambio delluso empirico dellintelletto con quello trascendentale), mentre quella, ad es., di
Giorgio Colli, suona in maniera un p diversa e cio: Sullanfibolia dei concetti di riflessione,
dovuta alla confusione delluso empirico dellintelletto con luso trascendentale.
Cio: nel primo caso si parla di scambio tra uso empirico e uso trascendentale
dellintelletto e, nel secondo, di confusione.
Ovviamente: una cosa non esclude laltra e una confusione pu anche essere ingenerata
da uno scambio, ma se le parole hanno un significato, gi questa piccolissima, quasi
insignificante vicenda di traduzione, ci deve rendere avvertiti del fatto che ci troviamo di
fronte a un testo di natura particolare.

Venendo poi alle scansioni che il testo dellAnfibolia presenta, anche qui verrebbe da dire
che le sorprese non mancano.
In primo luogo, il testo presenta una prima parte piuttosto sintetica (quasi cinque pagine
in tutto) nella quale Kant presenta (1) il problema che intende discutere e (2) lo schema a
cui si affida per esporre le proprie argomentazioni.
Quindi, si apre una Nota, che tuttavia non collocata a pi di pagina, ma ha un suo
titolo (Nota allanfibolia dei concetti della riflessione) e risulta quindi inserita, caso unico
nellopera, nel corpo della trattazione.
In questa Nota, Kant riprende esatamente gli stessi temi esposti sinteticamente nella
prima parte dellAnfibolia e cio, daccapo, espone (1) il problema che intende discutere e
(2) scandisce le sue argomentazioni secondo una serie di punti progressivi.
Verrebbe quasi da dire che Kant si ripete e, in particolare, sembra quasi che la prima parte
dellAnfibolia costituisca una sorta di sommario e la Nota rappresenti, invece, lo
svolgimento vero e proprio di quei contenuti indicati nel sommario.

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Filosofia teoretica

Nel testo della Nota, dopo qualche pagina in cui Kant sembra aver esaurito la questione,
viene poi saltata appositamente una riga, per indicare probabilmente una nuova cesura
del testo (la fine della Nota? la ripresa del testo dellAppendice?) e poi la trattazione
riprende: di nuovo sugli stessi temi, daccapo sulle stesse questioni, per la terza volta nel
giro di poche pagine, quasi finora non si fosse scritto nulla.
Infine, poco prima della conclusione, nuovo salto di riga, nuova cesura, nuovo
disorientamento sistematico (dove ci troviamo? nellAppendice? nella Nota? o ci
troviamo dopo di esse?) e questa volta Kant introduce (almeno cos appare, ma vedremo che
ci sono forti ragioni per dubitare di ci...) un argomento nuovo: nelle righe finali del testo
si ragiona sui concetti di possibile e di impossibile, sul concetto di oggetto come
identico a qualcosa oppure a niente e viene prodotta una tavola riguardante le
suddivisioni del concetto di Niente (Nichts). Le battute si possono quindi sprecare a
proposito di un testo che parte dalla confusione e conclude al niente..

Questo, dunque, per quanto riguarda larchitettura esterna del testo. Quanto al
contenuto, invece, non credo di sbagliare di molto dicendo che si tratta di alcune tra le
pagine pi difficili di tutta la KrV. Ed proprio per questo motivo che la considerazione
della collocazione sistematica e dellarchitettura esterna sono importanti: nei momenti di
pi ardua comprensione del testo, bisogner ricorrere anche a questi riferimenti
apparentemente accidentali per non perdere di vista lobiettivo preciso di queste pagine.
Gi: qual lobiettivo di queste pagine?

2. Architettura delle scansioni del testo:


2.1. La presentazione del problema dellAnfibolia: prima introduzione
Iniziamo la lettura delle prime pagine del testo dellAppendice.
Scrive Kant:
La riflessione (reflexio) non mira agli oggetti stessi, per acquistarne direttamente i
concetti, ma quello stato dello spirito, in cui cominciamo a disporci a scoprire le
condizioni soggettive, nelle quali possiamo arrivare ai concetti (p. 214; B 316; Colli
334)
[NOTA BENE: la numerazione delle pagine indica dora in avanti: ledizione
Lombardo Radice/Mathieu; ledizione originale tedesca (contrassegnata con la sigla
B); e ledizione Colli del testo kantiano]

Si comincia, quindi, con una definizione. Un p oscura a dire il vero.


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Filosofia teoretica

Si parla della riflessione e si dice che questa non mira agli oggetti stessi, ma viene
piuttosto descritta come uno stato dello spirito nel quale ci disponiamo a scoprire le
condizioni soggettive sotto le quali possiamo giungere a concetti.
E poi di seguito, con un linguaggio pi preciso:
Essa [la riflessione] la coscienza della relazione tra rappresentazioni date e le
nostre varie fonti di conoscenza: solo mediante tale coscienza pu essere determinata
correttamente la relazione di queste rappresentazioni tra di loro.

La riflessione sta allora a indicare una relazione (Verhltniss) o, meglio ancora, la


coscienza della relazione che sussiste tra le rappresentazioni date e le nostre fonti di
conoscenza.
Con altre parole: in noi, nella nostra mente, ci sono delle rappresentazioni (di vario
genere, di qualsiasi genere: pensiamo alla rappresentazione sensibile del viso di un amico,
o di un oggetto posto di fronte a noi, oppure alla rappresentazione puramente mentale di
unoperazione matematica, di unequazione, di un teorema, o di un sogno totalmente
irreale): queste rappresentazioni, indipendentemente dal nostro grado di consapevolezza,
intrattengono una relazione con la fonte dalla quale provengono (i sensi, lintelletto,
limmaginazione, etc.).
Ebbene, la riflessione, a questo primo livello di definizione, sembra essere quella presa
di coscienza la quale si interroga sulla relazione sussistente tra le rappresentazioni presenti
nel teatro della nostra mente e le fonti dalle quali esse provengono.
In questo senso, la riflessione non mira agli oggetti, ma ci fa scoprire le condizioni
soggettive attraverso le quali ci riferiamo agli oggetti (tramite la formazione di
concetti nella nostra mente).
Kant, cio, sembra porre in primo piano lesigenza di una distinzione.
La nostra mente affollata da miriadi di rappresentazioni e per noi per lo pi
indifferente capire da dove queste rappresentazioni provengano (se bevo un bicchiere di
vino non penso allattivit svolta dai miei organi percettori e, altrettanto, se mi fermo a
osservare un quadro non faccio caso alla natura intellettuale delle mie impressioni).
E invece, sembra dirci Kant, bisogna farci attenzione, bisogna riflettere sulla relazione che
lega le rappresentazioni alle loro fonti: quindi, in primo luogo, una questione di
chiarezza.
Prosegue infatti Kant:
Prima di ogni ulteriore trattazione sulle nostre rappresentazioni, la prima domanda
che si pone la seguente: a quale facolt di conoscenza appartengono tutte quante?
lintelletto (Verstand) o sono i sensi (Sinne) a collegarle o compararle? (ibid.).

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Filosofia teoretica

Se la nostra facolt conoscitiva , come Kant ritiene, bipartita in due ambiti, ossia in
sensibilit e intelletto, risulta appena evidente che qualsiasi nostra rappresentazione
contrassegnata da un determinato territorio di provenienza: ogni nostra rappresentazione,
quanto alla sua fonte, pu essere sensibile oppure intellettuale.
S, ma: siamo sempre sicuri di sapere, posti di fronte a una determinata rappresentazione,
da quale dei due territori questa provenga?
E cos il problema che a Kant interessa discutere comincia a prendere forma: quali criteri
abbiamo per distinguere le nostre rappresentazioni tra di loro? davvero cos scontato
collocarle al posto giusto? e che tipo di conseguenze comporta una collocazione sbagliata
da parte nostra delle nostre stesse rappresentazioni?
Di molti nostri giudizi prosegue infatti Kant non ci curiamo di stabilire da dove
provengano e siccome si tratta di giudizi che accogliamo per abitudine o per
inclinazione, per lo pi ci troviamo a dire che questi giudizi sono propri dellintelletto,
ma senza che sia stata effettuata alcuna riflessione a questo riguardo.
E a questo punto Kant, forse con una punta di soddisfazione dovuta al fatto di sollevare
un problema sul quale evidentemente si era prestata finora poca attenzione, introduce una
prima, vera e propria, definizione.
Latto col quale io raccosto il paragone delle rappresentazioni in generale con la
facolt conoscitiva in cui esso ha luogo, e col quale io distinguo se esse sono fra di
loro confrontate come appartenenti allintelletto puro o alla intuizione sensibile, io lo
chiamo riflessione trascendentale (p. 214; B 317; Colli 334-335).

La riflessione trascendentale sembra quindi essere unattivit che svolge due funzioni
precise:
a. istituisce un paragone tra le rappresentazioni e la facolt conoscitiva in cui
esse hanno luogo;
b. distingue se il loro confronto sta avvenendo a livello di intelletto puro o di
sensibilit.

Una volta stabilito questo, rimane tuttavia da affrontare un problema preliminare: in base
a quali criteri posso mettere in relazione le rappresentazioni presenti nella mia mente tra
di loro?
Ma il problema ancora un p pi sottile: io posso anche pensare di prendere due
qualsiasi mie rappresentazioni mentali e confrontarle tra di loro a mio piacimento, ma
come faccio a stabilire con sicurezza se queste appartengono alla sfera della sensibilit
piuttosto che a quella dellintelletto e viceversa?
E possibile mettere a punto una sorta di test a cui poter sottoporre le nostre
rappresentazioni?
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Filosofia teoretica

Secondo Kant s e lAnfibolia che stiamo leggendo rappresenta, per cos dire, la messa a
punto di questo test.

Secondo Kant, cio, le nostre rappresentazioni possono essere fatte passare attraverso una
griglia che, rispetto ad esse, rappresenta una sorta di cartina di tornasole del loro
comportamento.
Se infatti analizziamo il comportamento delle nostre rappresentazioni sulla base delle
quattro relazioni di:
1.
2.
3.
4.

identit e diversit
concordanza e opposizione
interno ed esterno
materia e forma

scopriremo che esso d luogo a risultati diversi a seconda che la rappresentazione


considerata venga assunta come proveniente dallintelletto oppure dalla sensibilit.
Ma prima di vedere cosa succede nellattraversamento di tale griglia, svolgiamo ancora
alcune osservazioni supplementari sulla base del testo kantiano.

Scrive infatti Kant a proposito della presentazione di questa sua tavola:


Per questa ragione, pare, noi dovremmo chiamare questi concetti, di paragone
(conceptus comparationis). Ma poich, quando non si tratta della forma logica dei
concetti, bens della loro materia, cio di sapere se le cose stesse siano identiche o
diverse, in accordo o in opposizione, etc., le cose possono avere una doppia relazione
con la nostra facolt di conoscere, cio con la sensibilit e con lintelletto, e il modo in
cui si collegano luna con laltra dipende dal posto in cui esse rientrano (p. 215; B
319; Colli 335).

Kant, cio, propone una sottile distinzione: quando paragono tra loro due o pi concetti,
devo essere sempre avvertito del livello cognitivo entro cui il paragone si sta giocando.
Facciamo un esempio. Immaginiamo di essere dei progettisti che stanno lavorando al
disegno di una imbarcazione. Nei nostri appunti, nei nostri schemi, avremo a che fare con
un sacco di dati riguardanti la forma dello scafo, il peso, la potenza del motore, etc. Non
solo, ma molto probabilmente, per mettere a punto la soluzione migliore, disporremo sul
nostro tavolo di diversi progetti di imbarcazioni possibili. E quindi avremo progetti
riguardanti scafi diversi, con pesi diversi, materiali diversi, misure diverse, etc.
Quando, tuttavia, dalla fase di progettazione si passa a quella dellesecuzione materiale, le
cose cambiano.
Nel senso che, in teoria, limbarcazione costruita dovrebbe corrispondere perfettamente
al modello disegnato su carta, ma, in pratica, ci saranno sempre delle inevitabili
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Filosofia teoretica

variazioni. Per es. potrebbe capitare di accorgersi che le prestazioni nautiche effettive non
sono pari a quelle immaginate nel progetto, e che magari questo dipende dal fatto che la
dislocazione dei pesi a bordo se poteva sembrare razionale nella teoria, si rivela invece
difettosa nella pratica, e cos via.

Cosa significa tutto ci? Che la forma logica dei nostri progetti differisce sempre e
inevitabilmente almeno questa lopinione di Kant dal suo contenuto materiale. E
cio, in questo caso, le imbarcazioni disegnate su carta (o progettate al pc) differiscono
necessariamente da quelle uscite dal cantiere.
Allora, lidea di Kant la seguente: quando paragoniamo diverse rappresentazioni tra
loro, dobbiamo preliminarmente stabilire se ci stiamo occupando della loro forma logica
(logische Form) o del loro contenuto (Inhalt), perch le nostre osservazioni varieranno a
seconda del livello argomentativo (o cognitivo) che si decide di adottare.
E questo il senso per cui quando si tratta di sapere se le cose siano identiche oppure
diverse, bisogna preliminarmente capire quale relazione intrattengono queste cose con
la nostra facolt di conoscere, perch la risposta sar diversa a seconda che il paragone si
svolga a livello intellettuale piuttosto che sensibile.
Con parole di Kant:
se le cose siano identiche o diverse, concordanti o discordanti, ecc., non si pu
stabilire senzaltro in base ai concetti stessi, col semplice paragone (comparatio), ma
soltanto distinguendo le specie di conoscenza, a cui appartengono, mediante una
riflessione trascendentale (reflexio) (ibid.).

E in questo modo, Kant pu dunque distinguere la riflessione logica dalla riflessione


trascendentale:

la riflessione logica , infatti, un semplice paragone tra rappresentazioni, nella


misura in cui essa astrae completamente dalla concreta provenienza delle
rappresentazioni e le considera come se fossero tra loro omogenee.
la riflessione trascendentale, invece, contiene la ragione della possibilit del paragone
oggettivo delle rappresentazioni (ibid.).

Cio, daccapo, la distinzione tra logico e trascendentale viene fatta ricadere in una
questione di oggettivit: la riflessione trascendentale garantisce un paragone oggettivo
tra le rappresentazioni, ossia un paragone non astratto, ma concretamente calato nel
contesto del gesto cognitivo che lo considera.
Le rappresentazioni non sono mai neutre: questa sembra essere una prima linea
argomentativa dellAnfibolia kantiana.

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Filosofia teoretica

2.2. Il tema di una topica trascendentale: prima esposizione sinottica


Se queste sono le coordinate complessive entro cui Kant incardina il problema riguardante
una anfibolia dei concetti di riflessione, cerchiamo ora di scendere pi nei dettagli
dellanalisi kantiana.
E allora riferiamoci alla griglia formulata da Kant e vediamo come concretamente si
comportano le nostre rappresentazioni rispetto ad essa.

1. Identit e diversit (Einerlheit und Verschiedenheit)


Leggiamo per esteso il testo di Kant:
Quando un oggetto ci si presenta pi volte, ma ogni volta appunto colle medesime
determinazioni interne (qualitas et quantitas), allora esso, se si considera come oggetto
dellintelletto puro, sempre esattamente il medesimo; non pi cose ma una sola
(numerica identitas); invece, se si considera come fenomeno, non si tratta pi di
paragonare dei concetti, ma, quantunque possa essere tuttuno rispetto ai concetti,
pure la diversit dei luoghi del fenomeno in uno stesso tempo una ragione
sufficiente della diversit numerica delloggetto (dei sensi).
Cos in due gocce dacqua si pu bens astrarre del tutto da ogni differenza interna
(di qualit e di quantit), ma basta che esse siano intuite simultaneamente in luoghi
differenti per ritenerle numericamente diverse.
Leibniz prese i fenomeni per cose in s, quindi per intelligibilia, ossia oggetti
dellintelletto puro (sebbene egli li designasse col nome di fenomeni, a causa della
confusione delle loro rappresentazioni); e cos il suo principio degli indiscernibili
(principium identitatis indiscernibilium), non poteva per nessun verso essere attaccato.
Ma, poich essi sono oggetti della sensibilit, e lintelletto rispetto a loro non di uso
puro, ma di uso meramente empirico, cos la molteplicit e diversit numerica gi
data dallo spazio stesso come condizione dei fenomeni esteriori. Una parte dello
spazio, difatti, per simile ed eguale che sia ad unaltra, tuttavia fuori di questa, e
appunto perci diversa da essa, che le si aggiunge per formare uno spazio pi
grande; e questo deve quindi valere di tutto ci che contemporaneamente in vari
punti dello spazio, per quanto in s sia simile ed uguale (p. 216; B 319-320; Colli
336-337).

Cosa dice Kant in questo lungo periodo?


Come possiamo cominciare a decifrare questo testo kantiano?
Facciamo una premessa metodologica innanzi tutto. Ricordiamoci, cio, in primo luogo
che lo scopo complessivo di Kant in queste pagine la messa a punto di una appropriata
riflessione trascendentale.

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Filosofia teoretica

Ossia, di un metodo che ci possa consentire di distinguere le rappresentazioni in base alla


loro forma logica e al loro contenuto materiale.
Ogni concetto, cio, ossia ogni nostra rappresentazione di un concetto, per quanto detto
finora, conster di due elementi distinti: la sua forma logica e il suo contenuto materiale.
Riprendiamo allora il testo di Kant e, visto che si parla di identit e di diversit,
chiediamoci:
i. qual la forma logica dellidentit?
ii. qual il contenuto materiale dellidentit?
Analizziamo (i).
Nel testo si dice che:
Quando un oggetto ci si presenta pi volte, ma ogni volta appunto colle medesime
determinazioni interne (qualitas et quantitas), allora esso, se si considera come oggetto
dellintelletto puro, sempre esattamente il medesimo; non pi cose ma una sola
(numerica identitas).

Quando un oggetto ci si presenta pi volte con le medesime determinazioni interne, ossia


con le medesime determinazioni qualitative e quantitative, allora lo consideriamo come
identico.
Se noi consideriamo un quaderno e supponiamo che abbia delle determinazioni
qualitative e quantitative, se queste determinazioni si ripetono nel tempo, allora
consideriamo il quaderno che vediamo oggi come identico al quaderno che vedevamo ieri.
Lidentit, in questo caso, sembra essere il risultato di una collezione di determinazioni
quantitative e qualitative, ovverosia una sorta di somma di tutte queste determinazioni.
Questa, secondo Kant, la forma logica dellidentit. E sotto questo profilo, ossia sotto un
profilo puramente logico, la definizione di identit risulta inattaccabile.

Qual invece il contenuto materiale dellidentit?


Analizziamo (ii).
Nel testo si dice che:
invece, se [loggetto] si considera come fenomeno, non si tratta pi di paragonare
dei concetti, ma, quantunque possa essere tuttuno rispetto ai concetti, pure la
diversit dei luoghi del fenomeno in uno stesso tempo una ragione sufficiente della
diversit numerica delloggetto (dei sensi).

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Filosofia teoretica

Vale a dire: sotto il profilo materiale dellla questione, lidentit degli oggetti piuttosto
un fatto di coordinate spazio-temporali.
Nellesempio del quaderno prima proposto, noi possiamo dire che quel determinato
quaderno identico a se stesso (ed diverso quindi da altri possibili quaderni sparpagliati
sul tavolo) perch occupa una determinata regione spazio-temporale della realt.
Vale a dire: il quaderno pu essere concretamente identificato in base alla sue coordinate
spazio-temporali, nel senso che nessun altro oggetto fisico, per la legge della
impenetrabilit dei corpi fisici, pu occupare al tempo stesso e sotto il medesimo
riguardo la medesima collocazione spazio-temporale.
Il fatto che quel quaderno occupi una determinata porzione dello spazio fisico gi una
ragione sufficiente a ritenerlo distinto da un altro quaderno simile a lui, e tuttavia posto in
uno spazio diverso.
(Che le coordinate spazio-temporali fossero individuative di un ente era uno dei grandi
temi della cosmologia del Seicento. E, in particolare, uno dei grandi temi del pensiero
newtoniano).

Questa, dunque, limpostazione data da Kant (in termini di riflessione trascendentale) al


problema della identit/diversit.
Segue un esempio:
Cos in due gocce dacqua si pu bens astrarre del tutto da ogni differenza interna
(di qualit e di quantit), ma basta che esse siano intuite simultaneamente in luoghi
differenti per ritenerle numericamente diverse.

Se consideriamo la forma logica dellidentit di due gocce dacqua, dobbiamo ricorrere alla
somma delle loro propriet qualitative e quantitative; ma se consideriamo il medesimo
problema dal lato del suo contenuto materiale, allora sufficiente dire che due gocce
dacqua sono diverse tra di loro (numericamente diverse) perch occupano spazi
reciprocamente differenti.
Queste, dunque, in una prima approssimazione, sono le argomentazioni kantiane. Quando
le nostre rappresentazioni hanno a che fare con lidentit o la diversit, dobbiamo
distinguere se si tratta di una identit intellettuale (logica) o se ci si sta riferendo ad
oggetti fisici.
Lidentit logica ha una valenza solo intellettuale. Lidentit materiale riguarda invece
gli oggetti.

A questo punto, entra in scena Leibniz:


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Filosofia teoretica

Leibniz prese i fenomeni per cose in s, quindi per intelligibilia, ossia oggetti
dellintelletto puro (sebbene egli li designasse col nome di fenomeni, a causa della
confusione delle loro rappresentazioni); e cos il suo principio degli indiscernibili
(principium identitatis indiscernibilium), non poteva per nessun verso essere attaccato.

La posizione leibniziana viene citata polemicamente. Nel senso che, secondo Kant, le sue
argomentazioni devono essere confutate. E devono essere confutate perch ingenerano
confusione.
Di Leibniz si dice che prese i fenomeni per cose in s, ossia, secondo il vocabolario
kantiano, trascur la differenza tra intelletto e sensibilit. Meglio ancora:
intellettualizz, per cos dire, la sensibilit.
Nel senso che, per Leibniz, come si ricorder, la questione dellidentit di un oggetto
riguarda esclusivamente fattori di tipo logico.
Un oggetto identico a s e distinto dagli altri perch definito da una serie infinita di
predicati e se due oggetti condividessero lintera infinita serie di predicati, i due oggetti,
non diponendo di una qualsivoglia determinazione ulteriore per affermarsi, giocoforza
coinciderebbero.
La questione dello spazio/tempo tutta interna alla serie dei predicati inerenti
alloggetto.

La differenza con Kant quindi ragguardevole e, se si volesse ridurre allosso la questione,


dovremmo dire che il confronto teoretico tra i due filosofi verte proprio sulla definizione
dello spazio/tempo.
Meglio ancora: la discussione sullidentit di un oggetto o, sempre per rimanere ancorati
al lessico kantiano, la determinazione della oggettivit di un ente implica, in primo luogo,
una chiarificazione dei concetti di spazio e di tempo.
E infatti Kant conclude questo passaggio ribadendo le proprie idee circa la natura
intuitiva ed immediata dello spazio-tempo.

Per noi lettori di questo testo, le argomentazioni qui sollevate chiamano in causa tutta una
serie di approfondimenti particolari.
Vale a dire: al nostro livello di comprensione del testo, se volessimo saperne di pi,
dovremmo approfondire una rete di concetti.
Dovremmo cio capire meglio che cosa davvero si debba intendere per spazio,
intuizione, sensibilit, identit, oggetto, forma, materia.

Unanalisi su questi temi costituirebbe il terreno di una ricerca storicamente e teoricamente


interessante.
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A.A. 2005/2006

Filosofia teoretica

2. Concordanza e opposizione (Einstimmung und Widerstreit)


Consideriamo il secondo caso della griglia kantiana:
Quando la realt viene rappresentata solo dallintelletto puro (realitas noumenon),
non possibile pensare fra le cose alcuna opposizione (Widerstreit), cio nessun
rapporto tale che delle realt congiunte nel soggetto ciascuna sopprima leffetto
dellaltra, e si abbia 3 3 = 0.
Al contrario, il reale fenomenico (realitas phaenomenon) pu indubbiamente contenere
opposizioni, e, riunite nello stesso soggetto, pu una realt annullare in tutto o in
parte leffetto dellaltra, come due forze agenti sulla medesima linea retta, in quanto
tirano o spingono un medesimo punto in direzione opposta, o come anche un
piacere che contrabbilanci un dolore (p. 216; B 320-321; Colli 337).

Daccapo: se si parla di concordanza e di opposizione, chiediamoci:


iii. qual la forma logica di una concordanza (e di una opposizione)?
iv. Qual il contenuto materiale di una concordanza (e di una
opposizione)?
Analizziamo (iii).
Rileggiamo il testo di Kant:
Quando la realt viene rappresentata solo dallintelletto puro (realitas noumenon),
non possibile pensare fra le cose alcuna opposizione (Widerstreit), cio nessun
rapporto tale che delle realt congiunte nel soggetto ciascuna sopprima leffetto
dellaltra, e si abbia 3 3 = 0.

Dunque: se ci riferiamo ai concetti del nostro intelletto, non mai possibile almeno
questo sembra essere il senso delle parole di Kant che due rappresentazioni intellettuali
si annullino a vicenda.
Come mai?
Pensiamo al caso di concetti matematici (come sembra fare qui Kant): possiamo dire che
una determinata operazione aritmetica, che si svolge allinterno di un contesto di
definizioni da essa stessa implicate, sempre e necessariamente vera.
Cio, da un punto di vista matematico, se 3 3 = 0, allora non possibile produrre un
insieme di concetti numerici che accettando le regole di quel mondo aritmetico in cui 3
3 = 0 possa opporsi a quella determinata operazione aritmetica, senza cadere con ci in
una completa insignificanza.
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A.A. 2005/2006

Filosofia teoretica

I concetti, tra di loro, e per cos dire, non si annullano mai a vicenda. Se un concetto
definito, come Kant sembra fare, dalla sua universalit e necessit, allora valido in
tutti i mondi possibili. Ma se valido in tutti i mondi possibili, allora non pu essere
azzerato da un concetto opposto.
Questo tipo di opposizione avrebbe un mero significato intellettuale, non sarebbe cio
reale.
Analizziamo invece (iv).
Scrive Kant:
Al contrario, il reale fenomenico (realitas phaenomenon) pu indubbiamente
contenere opposizioni, e, riunite nello stesso soggetto, pu una realt annullare in
tutto o in parte leffetto dellaltra, come due forze agenti sulla medesima linea retta, in
quanto tirano o spingono un medesimo punto in direzione opposta, o come anche
un piacere che contrabbilanci un dolore.

Nel caso della realt fenomenica abbiamo invece il riscontro di vere e proprie
opposizioni, perch se consideriamo ad esempio il mondo delle forze, non possiamo
tardare ad accorgerci che forze opposte, agenti idealmente sulla stessa direzione ma aventi
verso differente, possono concretamente annullarsi.
Cio Kant sembra pensare che concordanza e opposizione siano possibili solo se ci si
riferisce al livello del loro contenuto materiale, ossia solo se si considerano fenomeni
concreti, ossia concrete determinazioni dinamiche.
Viceversa, sul piano della forma logica, non possibile dire che i concetti tra di loro si
azzerino.
La questione messa in campo da Kant molto complicata: un po perch le carte delle
argomentazioni vengono mescolate ad elementi fisici e matematici. Un po perch si parla
di soggetti (e curiosamente manca nel testo la parola oggetti) o, pi globalmente, di
realt (fenomeniche e noumeniche).
Daccapo, il riferimento a Leibniz abbastanza implicito.
Nel senso che, nel pensiero di Leibniz, i concetti di opposizione e di concordanza
vengono definiti in maniera per certi versi analoga, ma per certi versi sottilmente
differente.
Per es. vero anche per Leibniz che concetti veri (ossia validi in tutti i mondi possibili)
non possono essere tra di loro opposti (perch ci implicherebbe contraddizione).
Ma non altrettanto vero, o almeno non cos immediatamente vero, che, nel campo della
fisica, forze opposte si azzerino del tutto.
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A.A. 2005/2006

Filosofia teoretica

Forza, abbiamo visto, ha pi di un significato per Leibniz. Per es., a livello di


considerazioneentelechialedella realt, non di certo possibile dire o pensare che due
monadi opposte possano azzerarsi tra di loro.
Ma, pi in generale, se la forza va intesa come attivit, non possibile pensare che
lattivit si annulli per opera di un qualcosa di esterno ad essa: per Leibniz non c un
reale influsso fisico delle sostanze tra di loro, ma le loro attivit piuttosto si
combinano, coesistono, si trasformano: nulla si crea nulla si distrugge.
Questa idea del mancato influsso fisico dei corpi rappresenta, nelle intenzioni di Kant, un
totem da confutare: proprio perch intenziona un concetto di realt del tutto diverso da
quello reale.
Del tutto di passaggio, possiamo soffermarci ad analizzare anche lalro esempio proposto
da Kant sul terreno fenomenico: quello cio riguardante un piacere che pu
controbilanciare (ossia annullare) un dolore.
E davvero calzante lesempio qui proposto da Kant?
E proprio vero che un piacere in grado di azzerare un dolore? Forse Kant aveva in
mente il lato fisico della questione: ma, anche in questo caso, stanno davvero cos le
cose? O potremmo pensare a dei casi in cui tutto ci non sia vero?
Gli spunti di analisi forniti da questo secondo blocco di argomentazioni di Kant sono
dunque molti.
Possiamo concentrarli nella definizione di una serie di parole-chiave: opposizione,
possibilit, necessit, forza, fisica, matematica, realt.
Nel senso che un approfondimento delle tesi kantiane in relazione a Leibniz (e viceversa)
dovrebbe riguardare anche la definizione di tali concetti.

3. Interno ed esterno (das Innere und ussere)


Passiamo al terzo gruppo di argomentazioni proposte da Kant:
In un oggetto del puro intelletto interno solamente ci che non ha alcuna
relazione (per lesistenza) a qualcosa di diverso.
Al contrario, le determinazioni interiori di una substantia phaenomenon nello spazio
non sono se non rapporti ed essa stessa non altro che un complesso di semplici
relazioni.
Noi conosciamo la sostanza nello spazio soltanto mediante forze che operano in esso,
sia attirandone altre (attrazione), sia impedendo alle altre dentrare (repulsione e
impenetrabilit); altre propriet non conosciamo, che costituiscano il concetto della
sostanza, che fenomenicamente nello spazio, e che chiamiamo materia.

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A.A. 2005/2006

Filosofia teoretica

Come oggetto dellintelletto puro, al contrario, ogni sostanza deve avere


determinazioni interne e forze relative alla realt interna. Se non che, quali posso io
pensare che siano gli accidenti interni, se non accidenti quali quelli che mi vengono
presentati dal mio senso interno? Ossia o un pensiero o pure qualcosa di analogo?
Quindi Leibniz di tutte le sostanze, poich se le rappresentava come noumeni, e
perfino degli elementi costitutivi della materia, dopo averne tolto via nel pensiero
tutto ci che poteva significare relazione esteriore e quindi anche la composizione,
ne fece soggetti semplici, dotati di forza rappresentativa, in una parola monadi (p.
217; B 322; Colli 337-338).

Il nostro schema per entrare nel testo kantiano deve essere sempre lo stesso, e quindi
daccapo e di nuovo, visto che siamo sempre allinterno di una riflessione trascendentale
che indaga gli oggetti della riflessione, dobbiamo chiederci:

v.
vi.

qual la forma logica di ci che si pu definire interno (o esterno)?


Qual il contenuto materiale che definisce linterno (o lesterno) di un
oggetto?

Analizziamo (v).
Riprendiamo le parole di Kant:
In un oggetto del puro intelletto interno solamente ci che non ha alcuna
relazione (per lesistenza) a qualcosa di diverso.

Interno solamente ci che non ha alcune relazione, per la sua esistenza, a qualcosa di
diverso.
Linterno quindi ci che non ha alcuna relazione a qualcosa di diverso (per la sua
esistenza).

Viceversa, se analizziamo (vi):


Al contrario, le determinazioni interiori di una substantia phaenomenon nello spazio
non sono se non rapporti ed essa stessa non altro che un complesso di semplici
relazioni.

Cio: le determinazioni interiori di una sostanza che si d nello spazio, non riguardano
altro stante la validit di quanto affermato in 1. (ossia in Identit e diversit) che
semplici relazioni.
Che come dire: delle sostanze fenomeniche noi non conosciamo altro che le loro
relazioni spaziali. Come dice infatti Kant:
73

A.A. 2005/2006

Filosofia teoretica

altre propriet non conosciamo, che costituiscano il concetto della sostanza, che
fenomenicamente nello spazio, e che chiamiamo materia.

Cosa significa tutto ci?


Significa che se proviamo a definire linterno o lesterno delle sostanze, si configura
una situazione di questo genere:
Come oggetto dellintelletto puro, al contrario, ogni sostanza deve avere
determinazioni interne e forze relative alla realt interna. Se non che, quali posso io
pensare che siano gli accidenti interni, se non accidenti quali quelli che mi vengono
presentati dal mio senso interno? Ossia o un pensiero o pure qualcosa di analogo?

Vale a dire: la determinazione logica di ci che significa interno non riscontrabile negli
oggetti esterni della realt fenomenica, perch in questo caso la mia unica possibilit
sarebbe quella di estendere agli oggetti esterni una serie di propriet che invece, e per
definizione, non possono avere alcuna relazione a qualcosa di diverso.
E reciprocamente, lesterno, dal canto suo, non pu essere fatto rientrare in un concetto
dellintelletto, perch sono semplici relazioni ci che lo definiscono.
Lentrata in scena di Leibniz, a questo punto, inevitabile:
Quindi Leibniz di tutte le sostanze, poich se le rappresentava come noumeni, e
perfino degli elementi costitutivi della materia, dopo averne tolto via nel pensiero
tutto ci che poteva significare relazione esteriore e quindi anche la composizione,
ne fece soggetti semplici, dotati di forza rappresentativa, in una parola monadi.

Leibniz considera linterno delle cose (come ci che non ha relazione a qualcosa di
diverso) e traspone questa definizione di interiorit alle cose esterne, facendo di esse
delle sostanze piuttosto che degli oggetti, e chiam queste cose monadi.
Qui lattacco frontale: Kant ritiene che Leibniz si rappresentasse le cose
noumenicamente, ossia le considerasse unicamente sotto il profilo intellettuale,
prescindendo cio dal fatto che il nostro unico modo di rapportarci allesterno delle cose
quello di determinare le reciproche relazioni spazio-temporali degli oggetti. E il
ragionamento per analogia che Leibniz sembra impiegare, non sembra essere
considerato valido per Kant.
Ovviamente, pi ci inoltriamo nella lettura del testo e pi ci rendiamo conto che il
confronto instaurato con Leibniz radicale.
Nel senso che Kant mette in discussione lintero sistema di Leibniz e lo fa partendo, per
cos dire, dai suoi fondamenti.
Ma, per noi che veniamo da un precedente percorso di studio su Leibniz, possiamo dire
che stiano effettivamente cos le cose in relazione a Leibniz? Quanto Kant sta forzando il
suo pensiero per sostenere la validit delle proprie tesi? E quanto queste tesi possono
davvero essere considerate convincenti?
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A.A. 2005/2006

Filosofia teoretica

Sono del tutto convincenti le argomentazioni proposte da Kant?


Qui il terreno di un approfondimento dovrebbe essere dissodato tramite lanalisi di
concetti quali quelli di: interno, esterno, relazione, sostanza, noumeno,
monadi.

4. Materia e forma (Materie und Form)


La questione affrontata in questo blocco probabilmente quella pi spinosa per Kant.
Nel senso che rappresenta uno dei fuochi dellintera vicenda della sua controversia con
Leibniz.
E, altrettanto, per il lettore (ma questa, ovviamente, una mia opinione del tutto
personale) la pi difficile da leggere e da comprendere.
Leggiamo il lungo passaggio kantiano:
Questi due sono concetti, che sono posti a fondamento di ogni altra riflessione,
tanto inseparabilmente sono legati con ogni uso dellintelletto.
Il primo significa il determinabile in generale, il secondo la determinazione di esso
(luno e laltro in senso trascendentale, facendo astrazione da ogni differenza di ci
che viene dato, e dal modo della determinazione).
I logici una volta chiamavano il genere materia, e la differenza speficica forma. In
ogni giudizio si pu chiamare materia logica (per il giudizio) i concetti dati, e forma del
giudizio la loro relazione (mediante la copula).
In ogni essere i suoi elementi essenziali (essentialia) sono la materia e il modo in cui tali
parti sono connesse in una cosa sola, ossia la forma essenziale.
Ed anche rispetto alle cose in generale la realt illimitata stata considerata come la
materia di ogni possibilit, ma la limitazione (negazione) di essa come quella forma
per cui una cosa differisce da unaltra in virt di concetti trascendentali.
Lintelletto, cio, esige, prima di tutto, che qualche cosa sia dato (almeno nel
concetto) per poterlo determinare in una certa maniera.
Quindi, nel concetto dellintelletto puro la materia precede alla forma, e Leibniz
perci ammise prima le cose (monadi) e interna ad esse una forza rappresentativa,
per fondarvi su la loro relazione esterna e la reciprocit dazione tra i loro stati (cio
le rappresentazioni).
Quindi spazio e tempo divenivano possibili, il primo soltanto per il rapporto delle
sostanze, laltro soltanto per il collegamento tra loro delle determinazioni di esse
come princpi e conseguenze.
E cos infatti dovrebbe essere, se lintelletto puro potesse riferirsi immediatamente
agli oggetti, e se spazio e tempo fossero determinazioni delle cose in s.
Ma, se essi non sono altro che intuizioni sensibili, in cui determiniamo tutti gli
oggetti esclusivamente come fenomeni, la forma dellintuizione (come disposizione
soggettiva della sensibilit) precede a ogni materia (alle sensazioni), - e quindi spazio
e tempo a tutti i fenomeni e a tutti i dati dellesperienza.
Il filosofo intellettualista non poteva ammettere che la forma dovesse precedere alle
cose stesse, anzi determinarne la possibilit; censura questa del tutto giusta, una
volta che egli assunse, che noi intuiamo le cose quali sono (sebbene con
rappresentazione oscura).

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A.A. 2005/2006

Filosofia teoretica

Ma poich lintuizione sensibile una condizione soggettiva affatto particolare, che


sta a priori a fondamento di tutte le percezioni, e la cui forma originaria; cos la
foma data soltanto per se stessa, e, lungi dal dover la materia (o le cose stesse che
appaiono) essere di fondamento (come parrebbe a giudicare secondo semplici
concetti), la possibilit di essa presuppone piuttosto come data una intuizione formale
(tempo e spazio) (p. 217-218; B 322-324; Colli 338-340. Corsivi miei. Traduzione in
alcuni punti leggermente modificata).

Qui sembra che siamo arrivati al dunque.


Lesposizione di questo punto da parte di Kant cos dettagliata e cos puntuale che si
capisce bene, probabilmente per la prima volta da quando si cominciata la lettura
dellAnfibolia, che il ruolo giocato da Leibniz assolutamente centrale per la definizione
delle argomentazioni kantiane.
Nel senso che, da capo, Leibniz e la sua filosofia vengono assunti come un prototipo
negativo di ci che si vuole qui dimostrare.
Ma, ovviamente, trattandosi in questo caso delle determinazioni di forma e di
materia, la contesa si fa pi delicata.

Basti pensare allapplicazione del nostro schema derivato dalla definizione di riflessione
trascendentale.
Proviamo a chiederci, per lultima volta:
vii.
viii.

qual la forma logica di ci che ci rappresentiamo come forma o come


materia?
qual il contenuto materiale di ci che ci rappresentiamo come forma o come
materia?

Qui, come si vede, gi limpostazione della domanda risulta piuttosto complicata.


Analizziamo (vii).
Qual la forma logica di ci che ci rappresentiamo come forma?
O di ci che ci rappresentiamo come materia?
Proviamo a vedere se troviamo qualche indicazione utile nel testo di Kant.
Il primo [il concetto di materia] significa il determinabile in generale, il secondo [il
concetto di forma] la determinazione di esso (luno e laltro in senso trascendentale,
facendo astrazione da ogni differenza di ci che viene dato, e dal modo della
determinazione).

Dunque, sotto il profilo logico (o intellettuale) la materia viene intesa come il


determinabile (das Bestimmbare), mentre la forma la determinazione (Bestimmung)
della prima.
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A.A. 2005/2006

Filosofia teoretica

Per es. nella logica, dice Kant:


In ogni giudizio si pu chiamare materia logica (per il giudizio) i concetti dati, e
forma del giudizio la loro relazione (mediante la copula).

Cio: i concetti dati sono la materia del giudizio e la loro relazione simboleggiata dalla
copula rappresenta la forma del giudizio.
Ovviamente, gi qui i problemi sono molti: cosa intende dire Kant asserendo che nel
giudizio i concetti sono dati (gegebene)? a quali concetti si sta riferendo? Se i concetti
corrispondono alle categorie (secondo la definizione tecnica del dizionario kantiano),
possiamo dire che le categorie sono date?
Pi semplicemente, forse Kant sta parlando di concetti logici in generale (e tuttavia non
viene incontro al lettore perch non viene fornito nessun esempio specifico di ci).
Mentre la relazione tra concetti viene chiamata forma del giudizio. E forse lecito
pensare che le categorie corrispondano a questa relazione, nella misura in cui
istituiscono una connessione tra le rappresentazioni, conferendo a queste ultime maggiore
unit.
Quindi: gi ad un primo livello di analisi le cose si presentano come molto complicate.

Ma proviamo ad analizzare (viii).


In ogni essere i suoi elementi essenziali (essentialia) sono la materia e il modo in cui tali
parti sono connesse in una cosa sola, ossia la forma essenziale.

E ancora:
Ed anche rispetto alle cose in generale la realt illimitata stata considerata come la
materia di ogni possibilit, ma la limitazione (negazione) di essa come quella forma
per cui una cosa differisce da unaltra in virt di concetti trascendentali.

La realt illimitata la materia di ogni possibilit.


La limitazione di essa invece la forma per cui una cosa differisce da unaltra.
La forma allora rappresenta il limite della materia, ossia la sua determinazione: ma se
cos, la definizione di forma non pu che rimandare allattivit esercitata dallintelletto
stesso nei confronti degli oggetti.
Gli oggetti dati sono la materia. Mentre lintelletto la forma che li determina
(ossia, li ordina, li organizza, li unifica, li rende oggetti di conoscenza possibile).
E allora, se le cose stanno cos, la materia deve sempre precedere la forma: prima
devono essere dati gli oggetti, deve essere data la materia, quindi possibile la sua
determinazione da parte dellattivit formale svolta dallintelletto.

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A.A. 2005/2006

Filosofia teoretica

Dal punto di vista logico (Kant dice dellintelletto puro) la materia deve quindi
precedere la forma:
Quindi, nel concetto dellintelletto puro la materia precede alla forma.

E a questo punto, torna in campo Leibniz.


E Kant dice:
e Leibniz perci ammise prima le cose (monadi) e interna ad esse una forza
rappresentativa, per fondarvi su la loro relazione esterna e la reciprocit dazione tra
i loro stati (cio le rappresentazioni).

E quindi, dal punto di vista di Kant: Leibniz prima ammise le cose, ossia la materia, ossia le
monadi, e quindi ammise la presenza di una forza rappresentativa che doveva
costituire il lato formale della vicenda, ossia il lato della loro determinazione interna.
Ma, ovviamente, noi lettori a questo punto andiamo in tilt perch ci si dice che le monadi
sono materia e la forza rappresentativa forma, mentre per Leibniz sembra essere tutto
il contrario.
Nel senso che in Leibniz le monadi non sono materia: n sotto il profilo fisico, n
tantomeno sotto il profilo logico-ontologico.
Le monadi, verrebbe da dire, ma probabilmente travisando quello che Kant aveva a cuore
di dire, rappresentano il prototipo stesso del formale per Leibniz.
E, altrettanto, che cosa questa forza rappresentativa citata da Kant?
Qui vengono mescolati insieme due elementi distinti della filosofia leibniziana: il concetto
di forza e quello di rappresentazione, sebbene collegati, non paiono coincidere del
tutto in Leibniz.
Nel senso che la forza rappresenta per Leibniz lintimo sostrato fisico degli enti ed
un qualcosa di difficile definizione, perch se per un verso la forza non-materiale (nel
senso che non esperibile direttamente e sensibilmente in quanto tale), dallaltra, ci che
struttura le determinazioni materiali degli enti e delle sostanze.
La questione, come si pu vedere da questi semplici accenni, molto spinosa.
Nel senso che qui Kant veramente porta alle estreme conseguenze il suo confronto con
Leibniz: la discussione infatti si concentra sui due concetti che sono posti a fondamento di
ogni altra riflessione (per usare lespressione di Kant stesso).
Ossia, qui sembra essere in gioco davvero una questione di carattere fondazionale, nel
senso che, a seconda di come si intendono i concetti di forma e di materia, ne derivano
conseguenze ontologiche imponenti.
Non forse del tutto sbagliato dire che il testo dellAnfibolia racchiude una parte
importante delle questioni fondazionali che si riverberano sullintera KrV.
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A.A. 2005/2006

Filosofia teoretica

In un certo senso, si potrebbe dire che il confronto serrato con Leibniz costituisca una delle
radici profonde della KrV.

2.3. La nota al testo: ripresa di (a) e di (b)


Nella Nota che segue il testo finora esposto, Kant riprende uno per uno gli argomenti citati
e si confronta a tutto campo con Leibniz.
In apertura di trattazione, per ribadire il contesto sistematico al cui interno ci si sta
muovendo, vengono date un paio di definizioni riguardanti i concetti di luogo
trascendentale ( luogo logico) e di topica trascendentale.
Per luogo logico, dice Kant, si deve intendere:
ogni concetto, ogni titolo, sotto il quale si raccolgono molte conoscenze (p. 218; B
325; Colli 340).

Per luogo trascendentale:


Il posto che noi assegnamo ad un concetto nella sensibilit o nellintelletto puro
(ibid.).

E per topica trascendentale si intende ci che


non contiene altro che i citati quattro titoli di ogni paragone e distinzione, i quali si
distinguono dalle categorie per questo, che per essi non viene rappresentato
loggetto in ci che ne costituisce il concetto (quantit, realt), ma solo il paragone
delle rappresentazioni, che precede al concetto delle cose, in tutta la sua variet (pp.
218-219; B 325-326).

E questo paragone, conclude Kant, richiede lattivazione di una riflessione


trascendentale ritornando cos al primo punto di definizione da cui lAnfibolia ha preso
le mosse.

Subito dopo, a coronamento di questo giro di definizioni, Kant ricorda che la trascuratezza
di tutto ci ingenera una anfibolia trascendentale, ossia uno scambio delloggetto puro
dellintelletto col fenomeno (ibid.).
E da qui, daccapo, viene citato Leibniz.
La filosofia leibniziana rappresenta quindi, agli occhi di Kant, il prototipo stesso dellidea
di anfibolia: nel suo pensiero, Leibniz scambia loggetto puro dellintelletto col
fenomeno.

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A.A. 2005/2006

Filosofia teoretica

E questa, quindi, laccusa principale che pende sul capo di Leibniz.


In mancanza di una tale topica trascendentale, e sviato quindi dalla anfibolia dei
concetti della riflessione, il celebre Leibniz costru un sistema intellettuale del mondo,
ossia credette di conoscere addirittura linterna natura delle cose, confrontando tutti
gli oggetti solo con lintelletto e con i concetti formali astratti del suo pensiero (p.
219; B 326; Colli 340-341).

Ma non finita. Perch:


La nostra tavola dei concetti di riflessione ci procura linatteso vantaggio di mettere
in chiaro i caratteri distintivi del sistema di Leibniz, in tutte le sue parti, e al tempo
stesso il principio direttivo fondato solo su di un fraintendimento di questo
peculiare modo di pensare (ibid.).

Kant non fa sconti e ci spiega, una volta di pi, su cosa poggia questo fraintendimento
nel quale Leibniz incappato:
Egli confront tra di loro tutte le cose semplicemente mediante concetti, e trov
comera naturale, che non cerano differenze, tranne quelle per cui lintelletto
distingue luno dallaltro i suoi concetti puri.
Le condizioni della intuizione sensibile, che portano con s la loro speciale
differenza, egli non le consider come originarie; poich la sensibilit era per lui
soltanto una specie di rappresentazione confusa, e non gi una fonte speciale di
rappresentazioni;
il fenomeno era per lui la rappresentazione della cosa in s (Ding an sich);
tuttavia, tale rappresentazione differente, quanto alla forma logica, dalla
conoscenza mediante lintelletto, poich il fenomeno, con la sua abituale mancanza
di analisi, introduce nel concetto della cosa una certa mescolanza di rappresentazioni
collaterali, che lintelletto in grado di eliminare.
In una parola: Leibniz intellettualizz i fenomeni, come Locke, col suo sistema di
noogonia (se mi lecito servirmi di questa espressione), aveva sensibilizzato tutti i
concetti dellintelletto, riducendoli a nientaltro che a concetti empirici o astratti della
riflessione (pp. 219-220; B 326-327; Colli 341-342).

Leibniz, quindi, intellettualizz i fenomeni.


Questa la grande critica di Kant portata a Leibniz.
Gi: ma cosa vuol dire?

2.3.1. La distinzione fenomeno/noumeno come fondamento delle


critiche a Leibniz

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A.A. 2005/2006

Filosofia teoretica

Ci che Leibniz svilisce, secondo Kant, sono le condizioni dellintuizione sensibile: la


sensibilit non viene considerata come originaria e non rappresenta una fonte speciale
di rappresentazioni (Quell der Vorstellungen).
Quello che in Leibniz fa difetto riguarda quindi la trattazione della sensibilit e la
considerazione del suo ruolo nella genesi della nostra conoscenza.
Egli cio trascura la differenza della forma logica tra le rappresentazioni sensibili e
quelle intellettuali e per questo motivo le rappresentazioni sensibili vengono trattate come
rappresentazioni intellettuali.
Le rappresentazioni sensibili, cio, vengono considerate non come qualcosa di
fenomenico, ma come se rappresentassero delle cose effettive: delle cose in s, ossia
considerate indipendentemente dalle loro determinazioni fenomeniche.
I fenomeni vengono trattati da Leibniz come se fossero noumeni: ecco la radice dello
scambio, della confusione e dellerrore: Leibniz scambia gli oggetti della sensibilit
con gli oggetti dellintelletto: ci gli impedisce di distinguere il fenomeno dal
noumeno, e ingener cos un equivoco colossale che Kant stesso a denunciare.
La critica che Kant muove a Leibniz presuppone quindi la distinzione tra fenomeno e
noumeno: perch solo e soltanto muovendo da questa distinzione che possibile
riflettere sullequivoco in cui caduto Leibniz.

Punto centrale della nostra analisi, a questo livello di considerazione, deve allora essere la
distinzione posta da Kant tra fenomeno e noumeno.
Che senso ha questa distinzione?
Come viene argomentata?
E argomentata in maniera convincente da Kant?
Procediamo con ordine e iniziamo a porci alcune domande.

2.3.2. Leibniz intellettualizza i fenomeni?


La tesi che Kant intende sostenere relativamente a Leibniz, oramai, non lascia pi spazio
ad ambiguit eccessive:
(I)

Leibniz intellettualizza i fenomeni.

Ma come valutare questa tesi di Kant?


La prima osservazione da fare che questa tesi si inquadra allinterno di un contesto
argomentativo in cui Kant distingue i fenomeni dai noumeni.
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A.A. 2005/2006

Filosofia teoretica

Cio: se valida la distinzione tra fenomeno e noumeno, allora questa distinzione pu


essere fatta valere anche relativamente a Leibniz e si pu sostenere che questultimo si
confondesse a tale riguardo.
Ma la distinzione fenomeno/noumeno valida? Su quali basi argomentative poggia?
Proviamo a concentrarci sul lato del fenomeno e chiediamoci, a questo punto della
nostra lettura della KrV, che cosa un fenomeno per Kant, ossia quali caratteristiche
possiede.
Una prima affermazione potrebbe essere questa: il fenomeno, per quanto visto finora,
rappresenta il modo in cui gli oggetti ci appaiono.
Secondo la dottrina dellestetica trascendentale, sappiamo che la nostra sensibilit non ci
consente di accedere direttamente alle cose, bens alle cose cos come esse appaiono o
si manifestano alle nostre intuizioni. E, in particolare, questa apparenza mediata dalla
forma spazio/temporale delle nostre intuizioni.
Quindi: se da una parte le intuizioni si rivolgono agli oggetti in maniera immediata,
dallaltra, anche vero che questo riferimento immediato avviene secondo una
determinata modalit formale: ogni intuizione sensibile possiede infatti un aspetto
formale (lintuizione pura) e questultimo determina il modo della nostra ricezione di
oggetti.
Quindi: la sensibilit, stando allestetica trascendentale esposta da Kant, la facolt tramite
la quale gli oggetti ci sono dati.
Di pi: tramite la sensibilit accediamo a un mondo di oggetti fenomenici, ossia a un
mondo di oggetti che appaiono e si manifestano alla nostra sensibilit (e quindi gli
oggetti non sono cose in s).

Ma il punto ora questo: che cosa sono questi oggetti fenomenici di cui parla Kant?
Questi oggetti che ci sono dati tramite la sensibilit: che cosa sono?
Che cosa ci dato dalla sensibilit?
Questa domanda, a mio modo di vedere, piuttosto delicata e complessa. Evitiamo di
trarre conclusioni affrettate e procediamo un passo dopo laltro.
Gli oggetti ci vengono dati nella sensibilit come intuizioni immediate.
Gli oggetti sono per noi delle intuizioni immediate che si danno secondo la forma di
spazio e di tempo.

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A.A. 2005/2006

Filosofia teoretica

Il darsi degli oggetti un darsi immediato che avviene secondo le modalit dettate dalla
forma delle nostre intuzioni.
Il darsi degli oggetti avviene secondo le linee direttrici imposte dalla forma della nostra
recettivit (se non ci fossero intuizioni pure, gli oggetti esterni non potrebbero neppure
essere rappresentati).
Ma allora il darsi degli oggetti un darsi che non pu prescindere da questo
riferimento formale, anche perch proprio questo aspetto di formalit che
rappresenta, secondo Kant, loggettivit delloggetto.
Le intuizioni pure, infatti, garantiscono secondo Kant, un primo e fondamentale grado di
oggettivit alle nostre conoscenze: gli oggetti sono nello spazio e nel tempo.
Vale a dire: gli oggetti sono oggettivamente nello spazio e nel tempo.
Quindi: i contenuti delle intuizioni empiriche sono variabili, ma la loro forma no. E proprio
la forma delle intuizioni empiriche consente alla nostra sensibilit di riferirsi ad oggetti
in quanto tali. Ossia consente di pensare loggetto nella sua, per dir cos, radice
oggettiva.
Ma allora, per quanto detto finora, non sembra arbitrario dire che il darsi degli oggetti
per Kant un darsi che ha una natura eminentemente formale.
Ossia: vero che gli oggetti si danno nella nostra sensibilit, ma si danno in modo
eminentemente formale.
Gli oggetti si danno formalmente.
In qualche modo, loggetto ci che si d allinterno di una struttura formale.
E proprio questo costituisce lelemento trascendentale della vicenda: proprio perch
gli oggetti vengono recepiti secondo una determinata forma che possibile una loro
fondazione trascendentale.
Quindi: lelemento della trascendentalit degli oggetti costituito in qualche modo dalla
stessa trascendentalit della forma.
Voglio dire: a questo livello di analisi sembra quasi che i concetti di trascendentale e di
formale risultino in qualche modo interscambiabili.
Il trascendentale , propriamente parlando, una struttura di tipo formale.
Il trascendentale non , ovviamente, un oggetto di intuizione empirica, ma rinvia, per la
sua definizione, allattivit formale che esso svolge in relazione agli oggetti.

83

A.A. 2005/2006

Filosofia teoretica

E fin qui, se tutti i passaggi argomentativi delineati tengono (e non affatto scontato che
tengano), possiamo dire di aver conseguito un primo risultato di fondamentale
importanza:
gli oggetti che ci vengono dati nella nostra sensibilit rappresentano un quid che si
manifesta per una struttura di tipo formale.
loggetto trascendentale, che pu essere il fondamento di questo fenomeno da noi
chiamato materia, un semplice qualcosa, riguardo a cui non sapremmo neppure
comprendere che cosa sia, anche se qualcuno potesse dircelo (p. 223; B 334; Colli
347).

Ma allora, daccapo, loggetto fenomenico, ossia loggetto in quanto fenomeno


dintuizione, viene da noi considerato tale proprio in virt di quella forma grazie alla quale
si manifesta.
Voglio dire: la distinzione tra fenomeno e noumeno, e quindi tra oggetto
fenomenico e oggetto di tipo noumenico, una distinzione che Kant fonda non sulla
natura delle cose, ma sul modo in cui gli oggetti ci appaiono. Solo che il modo in cui
gli oggetti ci appaiono un modo eminentemente formale, nel senso che gli oggetti delle
nostre intuizioni sono propriamente delle forme spazio-temporali: loggettivit del nostro
intuire fa tuttuno col suo inquadrarsi entro una struttura di tipo formale.
Cosa ne consegue?
Ne consegue che la fenomenicit degli oggetti una fenomenicit determinata dalla
forma con cui gli oggetti ci appaiono (tant che al di l e oltre questa forma si apre per noi il
terreno dellignoto): ma allora per parlare di fenomeni dobbiamo presupporre un
mondo operante di forme, nel senso che se non ci fossero forme non ci sarebbero
neppure fenomeni.
Ma allora loggetto non ci dato dalla sensibilit, ma ci dato e appare e si
manifesta per le forme presenti nella nostra sensibilit. E per la presenza attiva e
operante di queste forme (le intuizioni pure) che gli oggetti ci sono veramente ed
effettivamente dati. Senza di esse, non ci sarebbe dato alcunch.
Ma allora, tornando a bomba alla questione iniziale, quando Kant dice che Leibniz
intellettualizza i fenomeni, da una parte dice una cosa vera, nel senso che per lontologia
di Leibniz le sostanze sono definite dai loro concetti completi, ma dallaltra, omette una
questione fondamentale: e cio che anche nella trattazione della KrV i fenomeni vengono
intellettualizzati.
I fenomeni, dice Kant nellAnfibolia, vanno tenuti distinti dai noumeni.
Ma dicendo ci si finisce con lammettere implicitamente la noumenicit di questa
distinzione, perch fenomeni e noumeni non sono semplici oggetti o
rappresentazioni che possano essere paragonate tra di loro o essere messi luno accanto
allaltro indifferentemente.
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A.A. 2005/2006

Filosofia teoretica

La distinzione fenomeno/noumeno non evidentemente affare della nostra sensibilit


(nel senso che non un fatto che riguardi le nostre intuizioni sensibili), bens del nostro
intelletto. Ossia, questa distinzione , tipicamente, una distinzione di tipo intellettuale, o
se vogliamo di tipo concettuale, o ancora di tipo formale:
Cio, daccapo: allinterno di una struttura puramente formale che questa distinzione
prende corpo e assume un senso.
Ma se le cose stanno cos, ne deriva che il fenomeno, piuttosto che essere il dato di
una intuizione sensibile, piuttosto un qualcosa di natura concettuale.
Quindi, quando Kant parla di fenomeni in realt si riferisce sempre al concetto di
fenomeno. Tant che se prescindessimo da questo riferimento formale, quel qualcosa
chiamato fenomeno non ci apparirebbe neppure.
Il fenomeno piuttosto un concetto che non un dato della nostra sensibilit.
Tant che la deduzione delloggettivit degli oggetti (la quale in qualche modo stabilisce il
fondamento della loro fenomenicit) avviene a livello trascendentale, ossia tramite un
riferimento al mondo delle forme.
Lelemento della concreta conoscibilit di un qualsiasi oggetto fenomenico consiste nel
fatto che questo oggetto appunto un fenomeno, ossia rientra sotto la categoria di
fenomeno.
Non vero allora che gli oggetti ci sono comunque dati dalla nostra intuizione sensibile,
anche indipendentemente dalle categorie, ossia dalla loro pensabilit.
Un oggetto propriamente dato quando si manifesta come fenomeno, ma per
manifestarsi come fenomeno deve necessariamente essere strutturato formalmente e
questa attivit di strutturazione formale compito non solo delle forme pure presenti nelle
nostre intuizioni, ma anche e soprattutto delle forme presenti nel nostro intelletto.
Un oggetto propriamente dato quando assume una certa forma.
E la prima forma che loggetto deve assumere per essere oggetto di conoscenza la
forma del fenomeno.
Loggetto deve innanzi tutto presentarsi ai nostri sensi secondo la forma di fenomeno.
Solo se si presenta ai nostri sensi con questa forma, allora pu essere da noi catturato
e conosciuto.
Il fenomeno quindi e in primo luogo una struttura di tipo formale.
E la stessa distinzione fenomeno/noumeno ricalca la formalit della definizione del
concetto di fenomeno, nel senso che se il concetto di fenomeno viene definito per
85

A.A. 2005/2006

Filosofia teoretica

opposizione a quello di noumeno, appena evidente che il concetto di noumeno


risulta essenziale affinch si possa parlare di fenomeni, etc.
La distinzione tra fenomeno e noumeno, credo allora che si possa concludere, una
distinzione di tipo noumenico.

2.3.3. Fenomeni, identit, spazio, tempo


In relazione alle critiche avanzate da Kant a Leibniz, e in particolare in relazione alla critica
secondo cui Leibniz intellettualizza i fenomeni, abbiamo quindi raggiunto un primo
importante risultato.
Al di l del fatto che Leibniz intellettualizzi o meno i fenomeni, tuttavia questo tipo di
critica pu essere rivolta allo stesso Kant.
Nel senso che: la critica di Kant a Leibniz presuppone una distinzione tra fenomeno e
noumeno, la quale tuttavia essa stessa di tipo noumenico, nel senso che posta
dallintelletto. Di pi: lo stesso fenomeno in quanto tale pi un elemento di tipo
concettuale che non un derivato dellintuizione sensibile. Il fenomeno in primo luogo
un concetto e la sua apprensione, nel mondo della sensibilit, presuppone che sia attivo ed
operante un intero apparato categoriale di tipo intellettuale (ovverosia di tipo formale).
Allora, questa prima grande critica rivolta a Leibniz nelle pagine dellAnfibolia si dimostra
piuttosto problematica da sostenere.
E tuttavia c un lato positivo di questa vicenda: proprio il ripercorrimento degli
argomenti messi in campo da Kant per criticare Leibniz ci ha consentito di penetrare molto
pi in profondit nel testo e negli intendimenti complessivi della KrV.
E, ovviamente, il fatto che questa critica a Leibniz in qualche modo cada non implica la
caduta, con ci stesso, delle altre critiche che Kant muove a Leibniz. In particolare, la
seconda grande critica mossa alla filosofia leibniziana riguarda la natura e la
determinazione dello spazio/tempo.
Anche in questo caso, ripercorrere gli argomenti kantiani contra Leibniz pu essere di
enorme utilit per comprendere, non solo se gli argomenti messi in campo siano
effettivamente efficaci, ma anche e forse soprattutto per riuscire a penetrare sempre di pi
nei problemi profondi contenuti nel testo della KrV.
E allora, come al solito, cerchiamo di procedere con ordine.

In primo luogo, visto che abbiamo parlato a lungo di fenomeni, di oggetti e di


noumeni, proviamo a ricordarci qual era la definizione leibniziana di fenomeno (o
quanto meno il suo significato generale).

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A.A. 2005/2006

Filosofia teoretica

Fenomeno in Leibniz non si definisce, e la cosa ovvia, in opposizione a noumeno.


Piuttosto i fenomeni si oppongono alle realt sostanziali: la dicotomia sembra essere
pi del tipo sostanza versus fenomeno, che non quella del tipo sensibilit versus intelletto.
Cio: lelemento forse predominante della concezione leibniziana dei fenomeni rimanda
alla dimensione dellapparenza o della contingenza.
Esempi di fenomeni per Leibniz sono larcobaleno, le cataste di legno, gli eserciti
schierati in battaglia, insomma quelli che egli definisce aggregati, ossia strutturazioni di
elementi che risultano prive di unit, nel senso che possiedono una unit derivata da
altro (e in particolare derivata dalla mente dello spettatore che li considera).
Quindi, fenomeni sono aggregazioni di tipo accidentale, privi di unit e,
conseguentemente, privi di identit.
Ecco, la grande differenza tra sostanze e aggregati accidentali (fenomeni) consiste proprio
in questo: le sostanze (come gli spiriti e, in parte, gli animali) sono dotate di identit,
mentre i fenomeni no.
Il fenomeno nellontologia di Leibniz un qualcosa che, se genericamente inteso, risulta
privo di identit.
Infatti: mentre le sostanze sono definite da un concetto completo che contiene e specifica
tutti gli attributi e i predicati del soggetto sostanziale, viceversa i fenomeni come
larcobaleno, etc., sono privi di una qualsiasi forma di identit.
Questa, quindi, sembra essere una grande differenza rispetto a Kant: per Leibniz la
sostanza ha identit (ossia unidentit), mentre i fenomeni no.
In Kant, invece, come stanno le cose?
Se ci riferiamo alla distinzione fenomeno/noumeno, quale dei due possiamo dire che
possiede identit? Ammesso che questo tipo di domanda possa avere senso in relazione
a Kant.
Ma, per amore di argomentazione, poniamocela lo stesso.
Ovviamente, per rispondere, dovremmo prima stabilire cosa vuol dire identit in Kant,
e tuttavia proviamo preliminarmente ad assumere questo concetto secondo un senso
generale: identit come identificazione, come ci che consente di identificare, ossia di
determinare individualmente un oggetto.
Allora chiediamoci daccapo: i fenomeni per Kant possiedono una propria identit?
Il fenomeno in grado di specificare di per s lindividualit singolare delloggetto
rappresentato?

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Filosofia teoretica

Queste domande implicano la discussione sullo spazio e sul tempo.


E qui, daccapo, le tesi di Leibniz e quelle di Kant divergono radicalmente (almeno in
prima apparenza).
Concentriamoci innanzi tutto sulla discussione riguardante la natura dello spazio.
Secondo Kant, loggetto rappresentato dai sensi possiede una sua individualit, o quanto
meno una sua specifica singolarit, nella misura in cui lo spazio (che rappresenta laspetto
formale delle nostre intuizioni sensibili esterne) svolge una funzione identificativa nei
confronti dei fenomeni.
Le coordinate spaziali, secondo Kant, sono sufficienti per permetterci di individuare un
oggetto.
E se per ipotesi due oggetti condividessero le medesime coordinate essi certamente
coinciderebbero, e tuttavia questa ipotesi possibile solo da un punto di vista concettuale
(noumenico), perch nella realt fenomenica due oggetti non possono mai condividere
interamente lo stesso spazio. Anzi: il fatto che due oggetti occupino spazi differenti gi di
per s una prova della loro diversit e della loro reciproca differenza.
La tesi di Kant quindi che lo spazio sia in qualche modo definitorio della identit di un
oggetto (intendendo per identit la determinazione della singolarit delloggetto
considerato).
Scrive Kant:
La differenza di luogo, senza altre condizioni, gi di per s rende non solo possibile,
ma anche necessaria la molteplicit e distinzione degli oggetti come fenomeni.
Quella apparente legge dunque [Kant si riferisce al principio degli indiscernibili di
Leibniz] non una legge della natura. Essa unicamente una regola analitica, o
paragone delle cose per via di semplici concetti (p. 220; B 329; Colli 343).

La tesi di Kant va quindi articolata nel modo seguente: da una parte


i luoghi fisici sono del tutto indifferenti riguardo alle determinazioni interne delle
cose, e un luogo b pu accogliere una cosa, tanto nel caso che essa sia perfettamente
simile ed uguale ad unaltra che nel luogo a, quanto nel caso che ne sia
intrinsecamente assai diversa (ibid.).

ma dallaltra, come si ricordava nella prima di queste due citazioni, la differenza di


luogo rende gi di per s necessaria la molteplicit e distinzione degli oggetti.
Quindi: lo spazio non ci mette in grado di identificare le determinazioni interne delle
cose (innere Bestimmungen der Dingen), ma semplicemente di rendere ragione della loro
diversit.
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Filosofia teoretica

Se io dico che una cosa si trova in uno spazio a, mentre unaltra cosa si trova in uno spazio
b, secondo la tesi sostenuta da Kant, io non so nulla quanto alle determinazioni interne di
queste due cose, ma so tuttavia che sono distinte: o meglio, so che sono necessariamente
distinte luna dallaltra.

Tiriamo allora una prima conclusione da queste prime osservazioni.


Lo spazio, per Kant, definisce lidentit esterna di un oggetto.
Non definisce, cio, lidentit piena delloggetto, nel senso che non ci dice assolutamente
niente delle determinazioni interne delloggetto considerato.
Lo spazio consente piuttosto un percorso di oggettivazione delle cose.
Nel senso che consente di identificare la cosa, non nella pienezza delle sue determinazioni
individuali, ma in quanto essa oggetto.
Essere un oggetto significa occupare uno spazio.
Fissiamo quindi questa prima conclusione relativamente a Kant e concentriamoci invece
ora su Leibniz.
Come stanno le cose in relazione a Leibniz?
Cos lo spazio per Leibniz?
E che relazione c tra spazio, identit e fenomeni?

Come si ricorder, per Leibniz il concetto di spazio indica soprattutto e in primo luogo un
astrazione. Nel senso che concetto derivato dalla nozione di estensione e questa, a sua
volta, derivata astraendo dalle molteplici sostanze concretamente estese.

Per Leibniz, quindi, da un punto di vista ontologico, esistono prima le sostanze estese e,
successivamente, lo spazio pu essere considerato come lordine (o la relazione)
intercorrente tra molteplici sostanze estese.
Ma cosa significa che la sostanza individuale concretamente determinata estesa?
Da dove deriva lestensione?
Questo un punto molto delicato della filosofia leibniziana: quello di riuscire a spiegare,
cio, come da una struttura formale come quella entelechiale possa generarsi il
fenomeno dellestensione.
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A.A. 2005/2006

Filosofia teoretica

Ricorderemo che le monadi sono costituite da entelecha e materia prima. E altrettanto


ricorderemo che lestensione fa la sua comparsa soltanto a livello di materia seconda
(ossia, di corpo organico).
Ma come si genera lestensione a partire da una cosa inestesa come la monade?
La risposta di Leibniz (molto difficoltosa) che la monade, pur priva di dimensione
spaziale, tuttavia ha una posizione nello spazio (al pari di un punto matematico). Il
che vale a dire, usando altri termini, che lattivit percipiente della monade nella misura in
cui esprime un punto di vista sul mondo, pu essere intesa come il punto generatore di
una prospettiva. E proprio questultima sembra essere la caratterizzazione pi
appropriata per comprendere la relazione intercorrente tra monade, identit e
spazio.
La monade una prospettiva sul mondo, ed tale perch possiede una sua identit.
La sua capacit prospettica (da cui, in qualche modo, Leibniz ricava lestensione e la
spazialit) quindi un risultato della sua identit individuale.
Se prendiamo les. di Socrate, possiamo ricordare che, secondo Leibniz, la sua identit
fornita dalla intera collezione dei predicati e degli stati percettivi che gli competono
(quindi, ateniese, filosofo, marito di Santippe, maestro di Platone, etc.): lintera sostanza
Socrate, definita dalla pienezza di tutti i suoi stati, deve allora essere considerata come
un mondo che esprime una determinata prospettiva.
In ultima analisi, e diversamente rispetto a Kant, proprio la pienezza delle
determinazioni interne di una sostanza che genera anche la sua prospettiva e quindi
anche la spazialit.
E tuttavia le cose non sono poi cos semplici neppure in Leibniz, perch le relazioni
intercorrenti tra i mondi individuali e le prospettive che essi esprimono potrebbero
anche leggersi nel senso di una loro reversibilit, secondo una direzione che non va solo
dal mondo alla prospettiva, ma anche al contrario, dalla prospettiva (che in questo
caso verrebbe prima) al mondo individuale. Ma lasciamo correre questo aspetto.

La discussione sul concetto di spazio rappresenta, quindi, un terreno di analisi molto


delicato per quello che riguarda le relazioni intercorrenti tra i due filosofi. E uno dei motivi
principali di questa delicatezza riguarda proprio la problematicit della definizione di
tale concetto tanto in Leibniz quanto in Kant.
Se volessimo provare a enucleare le affinit e le divergenze della riflessione kantiana e
leibniziana sullo spazio, potremmo forse dire questo:
1. per Leibniz lo spazio non definisce lidentit di una sostanza, ma al contrario ci
che viene espresso dallidentit di una sostanza (in questo senso, lo spazio un

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A.A. 2005/2006

2.

3.

4.

5.

Filosofia teoretica

qualcosa di relativo, ossia un qualcosa che presuppone dei punti di riferimento


costituiti appunto dalle infinite monadi).
per Kant lo spazio una condizione che rende ragione in maniera sufficiente della
diversit dei fenomeni considerati. Tuttavia, anche per Kant, come gi per
Leibniz, lo spazio non definitorio in senso pieno dellidentit di un ente. Lo
spazio rappresenta un fondamento di oggettivit dei fenomeni e, tuttavia, riesce
ad assolvere questa funzione proprio perch, in ultima analisi, una intuizione
pura, ossia un qualcosa che non nelle cose, bens un qualcosa che riflette il
nostro modo di intuire le cose. Lo spazio, propriamente parlando, rappresenta per
Kant la forma delle nostre intuizioni: la sua capacit di individuare oggetti
dovuta proprio a questo suo aspetto legato alla dimensione della forma. Lo
spazio non individua mai la piena identit di un ente, ma semplicemente garantisce
la possibilit della sua oggettivazione. Dove bisogna naturalmente ricordare che
loggetto di cui parla Kant non coincide con la sostanza leibniziana: loggetto
fenomenico la materia indeterminata di una intuizione empirica (KrV, p. 53).
in Kant, quindi, bisogna distinguere un doppio livello di discorso. Da una parte,
infatti, Kant ritiene che lo spazio (e il tempo) non vada pensato come un concetto,
ma piuttosto come una condizione di possibilit dei fenomeni. E per questo
motivo egli pensa di criticare Leibniz (che invece ha commesso lerrore di trattare lo
spazio come un concetto, ossia come un qualcosa di astratto). Ma dallaltra, il
discorso kantiano molto pi complicato di come a prima vista si presenta. In
primo luogo perch lo spazio, in quanto forma dellintuizione non un qualcosa
che faccia parte del mondo delle cose, ma piuttosto rappresenta una capacit
della sensibilit del soggetto conoscente. E, in secondo luogo, perch questa
capacit, questo aspetto per cui la sensibilit spazializza i suoi oggetti, viene
definita da Kant stesso come una capacit formale, ossia come un qualcosa che
non proviene dalla materia dei sensi, ma che al contrario ci che da forma alla
materia sensibile.
da questo punto di vista, se vero che Leibniz intellettualizza i fenomeni,
altrettanto si deve dire che Kant intellettualizza i fenomeni e che intellettualizza la
stessa nozione di spazio. Cos come in precedenza si ragionava sulla dimensione
noumenica del fenomeno in quanto tale, altrettanto si deve dire a proposito dello
spazio. In effetti, e a ben vedere, la capacit oggettivante dello spazio dovuta
proprio alla sua dimensione formale. Lo spazio non ci mette in contatto con
lindividualit concreta di una cosa ma ce ne mostra solo il suo lato esteriore:
quellaspetto per cui la cosa oggetto, ossia ci appare.
Le cose quindi appaiono come oggetti, ossia come fenomeni. E lo spazio, a ben
ragione viene dichiarato da Kant come la condizione di possibilit dei fenomeni
(esterni): dire questo, significa infatti dire che i fenomeni ci appaiono e si
manifestano solo e soltanto di fronte a una forma noumenica. Ricorderemo, infatti,
che la distinzione stabilita da Kant tra fenomeno e noumeno era piuttosto
problematica da accettare, stando il quadro di riferimento logico intenzionato dalla
KrV. E, una volta di pi, le argomentazioni kantiane intorno allo spazio sembrano
confermare questa interpretazione. Il fenomeno, ossia loggetto, la cosa come ci
appare, come si manifesta per la nostra sensibilit, un qualcosa che risulta
determinato solo dalla forma in cui inscritto. E la forma che ci rende visibile
loggetto, non viceversa! Loggetto appare e si manifesta dinanzi a delle
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A.A. 2005/2006

Filosofia teoretica

forme che lo considerano, come lo sono lo spazio e il tempo. Quando Kant


dice che noi non conosciamo le cose cos come esse sono, ma che abbiamo a che
fare solo con oggetti delle nostre rappresentazioni, in realt come se dicesse che
noi conosciamo solo e soltanto la forma delle nostre rappresentazioni. E la forma delle
nostre rappresentazioni che ci rende accessibili i fenomeni. E allora, daccapo, i
fenomeni sono piuttosto dei concetti che non il dato di unintuizione sensibile.
E tutto ci trova conferma nella trattazione kantiana dello spazio nella misura in
cui, come si diceva prima, la capacit oggettivante dello spazio dovuta alla sua
dimensione formale.
Considerate da questo punto di vista, le differenze tra la trattazione leibniziana dello
spazio e quella kantiana, credo che si possa dire che si attenuino parecchio. Lo spazio non
nelle cose, ma riguarda una considerazione delle cose istituita dal soggetto conoscente.
Spazio e tempo, in qualche modo, appartengono allo sguardo del soggetto
conoscente e proprio in esso fondano la loro oggettivit.

2.3.4. Tempo e interno: interno tempo?


Unindagine di tipo analogo deve essere condotta sullaltra grande critica che Kant muove
a Leibniz.
Secondo Kant, infatti, Leibniz con il suo sistema filosofico
credette di conoscere addirittura linterna natura delle cose (p. 219; B 326; Colli
341)

Abbiamo gi visto in sede di introduzione come questo problema riguardante la


determinazione interna delle cose rappresenti un punto dincontro (o di mancato
incontro) molto difficile per i due pensatori.
Kant sembra essere convinto del fatto che esiste una differenza piuttosto netta tra
linterno e lesterno delle cose, ma ovviamente il suo punto di vista critico pi
difficile da sviscerare di quanto appaia a prima vista.
In primo luogo, perch noi non conosciamo cose, bens oggetti fenomenici e questo
ci riporta ai problemi gravitanti intorno alla distinzione fenomeno/noumeno.
In secondo luogo, perch linterno ha un significato diverso a seconda che si attribuisca
agli oggetti fenomenici oppure a noi stessi.
Nel primo caso, nella misura cio in cui ci riferiamo ad oggetti, linterno sembra essere
un qualcosa di non determinabile perch noi accediamo al mondo degli oggetti esterni
tramite le nostre intuizioni e in particolare tramite lintuizione spaziale.
92

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Filosofia teoretica

Da questo punto di vista, ci che degli oggetti effettivamente intuiamo riguarda il


complesso di relazioni spaziali con il quale loggetto fenomenico ci si presenta. Ma ci
preclusa la possibilit di gettare uno sguardo al di l o oltre questo reticolo di relazioni
esterne. E allora, nota Kant, se ci riferiamo ad un interno degli oggetti dobbiamo in
qualche misura sapere che ci stiamo muovendo per analogia.
Vale a dire: cos come in noi intuiamo un interno e un esterno, per analogia
estendiamo questa distinzione anche agli altri oggetti fenomenici, senza tuttavia che
questa analogia possa fondarsi su alcunch di concreto (nel senso che si tratta di una
astrazione compiuta dallintelletto, visto che linterno degli oggetti fenomenici non per
noi oggetto di intuizione sensibile).
E, in questo senso, prende corpo il riferimento a Leibniz, il quale proprio muovendosi per
analogia fu indotto a credere di poter conoscere linterno degli oggetti, facendo di essi un
qualcosa di simile a noi. Ma cos facendo, evidentemente, scavalc la distinzione tra
fenomeni e noumeni e fece degli oggetti fenomenici delle cose in s.
Quindi, linterno delle cose non ci dato conoscere. E nemmeno degli oggetti
fenomenici, se non come un complesso di relazioni che rimangono esteriori.
Tuttavia, il problema ancora pi complicato nella misura in cui esterno e interno
non rimandano soltanto al mondo degli oggetti o delle cose, ma anche e forse
soprattutto a noi stessi, ovverosia al soggetto conoscente.
Nel senso che: la distinzione interno/esterno, come si ricorder dalla lettura dellEstetica
trascendentale, anche in primo luogo una distinzione che prende corpo a partire dallo
sguardo che il soggetto conoscente rivolge verso se stesso.
In questo caso, si ricorder, Kant ammette lesistenza di un senso interno (contrapposto
a un senso esterno) e questultimo dotato di una propria intuizione.
Il nostro senso interno quindi oggetto di unintuizione possibile e lunica intuizione
che ci fa, per cos dire, accedere a noi stessi ha la forma del tempo.
Il tempo rappresenta, in un certo senso, il nostro interno. Detto meglio, il tempo ci
tramite cui accediamo ai nostri stati interni, nel senso che attraverso il tempo noi
percepiamo noi stessi modificati, ossia percepiamo un qualcosa come un s che
permane identico nel variare delle sue modificazioni.
Questa struttura di identit nella diversit, agli occhi di Kant, rappresenta il cuore stesso
della temporalit, nel senso che il tempo, come si dice nellEstetica trascendentale, ha
questo di assolutamente peculiare: di coniugare insieme unit e molteplicit (o identit e
differenza).
Detto con altre parole: quella che in altri contesti ci apparirebbe come una contraddizione
insanabile (ossia lidea di un ente che, al tempo stesso e sotto il medesimo rispetto, si
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A.A. 2005/2006

Filosofia teoretica

presenti come identico e diverso rispetto a s), rappresenta secondo Kant la definizione
pi appropriata del tempo stesso. Tant che la stessa definizione di identit (come un
qualcosa che, al tempo stesso e sotto il medesimo rispetto si mantiene invariata) implica un
riferimento imprescindibile (o almeno apparentemente imprescindibile) alla sfera della
temporalit.
Tuttavia, ferma restando limpostazione complessiva che Kant assegna alla propria Critica,
il tempo, in quanto intuizione, presuppone che un qualcosa sia dato: le intuizioni
infatti hanno questo di fondamentale secondo Kant: operano e si attivano nei confronti di
qualcosa che dato.
Affinch vi sia intuizione, vi deve quindi essere qualcosa di preliminarmente dato.
Stabilito ci (e tutto ci pu effettivamente sembrare che abbia un valore assiomatico),
allora lintuizione si caratterizza come apprensione immediata del dato .
Se le cose stanno cos, allora noi dobbiamo riflettere su due fattori:
-

in primo luogo, sarebbe interessante riflettere sui caratteri di questa


immediatezza.
in secondo luogo, ragionando sullinterno di noi stessi, stabilire che cosa
preliminarmente dato.

Lidea di Kant, ripetuta pi volte nel corso della KrV e dellAnfibolia, sembra essere
questa: posto che tutto ci che dato si manifesta con sembianze fenomeniche (ossia,
risulta ignoto per come esso in s, ma conosciuto solo dal lato per cui appare e si
manifesta alla nostra sensibilit), allora anche il nostro io interiore ripeter le
caratteristiche di un dato fenomenico.
In altre parole, noi intuiamo noi stessi come fenomeni e non come noumeni.
Tant che il tempo viene inteso da Kant come una forma della sensibilit e non
dellintelletto.
Il nostro io ha dunque la forma sensibile di un io temporale. Ossia, si manifesta a noi
stessi, appare a noi stessi, si fenomenizza, come io temporale.
Cio, daccapo, noi non possiamo conoscere noi stessi come effettivamente siamo, ma
soltanto come appariamo a noi stessi.
Il nostro stesso in s rimane del tutto indeterminato, al pari delle cose esterne.
Ma proprio vero che le cose stiano cos?
Kant, in effetti, pone una distinzione tra io empirico e io trascendentale e ricorderemo
come lappercezione trascendentale (io penso) rappresenti, in un certo senso, la radice
noumenica dellio empirico, nel senso di una sua condizione di possibilit.
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A.A. 2005/2006

Filosofia teoretica

Lio penso, come forma logica che accompagna le nostre rappresentazioni, in qualche
modo rappresenta la forma logica di ci stesso che si pu pensare come io.
Proprio nel testo dellAnfibolia, abbiamo visto come Kant metta a punto una griglia di
concetti a cui sottoporre le nostre rappresentazioni (al fine di distinguere se esse rientrino
nella sensibilit oppure nellintelletto).
Ricorderemo che ogni concetto di questa griglia poteva essere trattato o secondo la sua
forma logica oppure secondo il suo contenuto materiale.
Ebbene, questo tipo di distinzione effettivamente si pu applicare a quella che la
rappresentazione dellio.
Al nostro io, o alla rappresentazione di un io in generale, ci si pu infatti rapportare
considerando il lato della sua forma logica o del suo contenuto materiale:
Il contenuto materiale dellio evidentemente si riferisce alle determinazioni dellio
empirico (e al nostro livello di analisi dovremmo cercare di capire quali siano queste
determinazioni);
la forma logica dellio rappresenta, invece, la sua condizione formale: ossia, da un punto di
vista logico o concettuale, quali sono le condizioni che rendono possibile parlare di un
qualcosa come di un io.
E proprio qui, a mio avviso, il discorso si fa molto complicato da seguire: tanto dal lato
delle determinazioni dellio empirico, quanto dal lato della sua definizione formale.
Proviamo a dare un ordine ai nostri pensieri e analizziamo questi due punti
separatamente.
I.

Il contenuto materiale dellio.

Stabilito che il tempo ci che ci fa accedere (immediatamente) a quel dato preliminare


che noi stessi siamo, cosa possiamo dire a proposito delle caratteristiche di questo dato?
Evidentemente, se questo dato si rende a noi accessibile solo e soltanto attraverso la
forma del tempo, le sue caratteristiche non potranno che contenere determinazioni di
tempo. E la caratterizzazione fondamentale del tempo, secondo Kant, risiede nel fatto
che il tempo un qualcosa di immobile:
Non il tempo che scorre, ma in esso scorre lesistenza del mutevole. Al tempo,
dunque, che immobile e permanente, corrisponde nel fenomeno ci che non muta
nellesistenza, cio la sostanza, e soltanto in essa pu essere determinata la
successione e la simultaneit dei fenomeni nel tempo (pp. 139-140; B 183; Colli 223).

Qui Kant dice almeno due cose che meritano di essere sottolineate:
in primo luogo, dice che non il tempo che scorre, ma che in esso che scorre
lesistenza del mutevole:
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A.A. 2005/2006

Filosofia teoretica

e, in secondo luogo, che ci che corrisponde al tempo, nel fenomeno, ci che non
muta nellesistenza, e cio la sostanza.
Cosa vuol dire qui Kant?
La prima affermazione si pu forse sciogliere nel modo seguente:
nellEstetica trascendentale ( 5 Esposizione trascendentale del concetto del tempo) Kant
scriveva che il concetto di movimento e, pi in generale, il concetto di mutamento
(Vernderung) possibile solo mediante la rappresentazione del tempo (p. 62; B 49;
Colli 88).
Perch?
Perch nessun altro concetto potrebbe rendere intelligibile la possibilit di un
mutamento e cio:
dellunione in uno e medesimo oggetto di predicati opposti contraddittori (per es.
lessere e il non essere una cosa nello stesso luogo). Due determinazioni contrapposte
contraddittoriamente possono ritrovarsi in un medesimo oggetto unicamente entro il
tempo, cio luna dopo laltra (nach einander) (ibid.).

Il tempo, cio, ha la forma, o laspetto, di una struttura contraddittoria nel senso che,
tecnicamente, contiene la possibilit di riferire a un medesimo oggetto dei predicati
opposti contraddittori. Per es., se analizziamo il fenomeno del mutamento locale (il
movimento), dobbiamo dire che se frazioniamo il movimento in istanti, nel singolo istante
loggetto considerato si trova in una sorta di condizione assurda: non pu essere in una
condizione di stasi (ossia, fermo), perch in quel caso loggetto rimarrebbe fisso sullo
stesso luogo e quindi non si renderebbe ragione del suo passare da un luogo allaltro (il
movimento un passaggio di luogo); ma dallaltra, nella misura in cui viene considerato in
movimento, ci significa che loggetto, considerato nellistante esatto in cui viene
fotografato si trova e non si trova nel medesimo luogo.
Il movimento, cio, si pu rendere intelligibile soltanto tramite il riferimento al tempo,
perch proprio del tempo contenere la struttura delluno-dopo-laltro (nacheinander)
nellistante.
Il tempo, cio, esso stesso una struttura contraddittoria e proprio per questo noi siamo in
grado di comprendere i fenomeni relativi al mutamento e al movimento: il
movimento un mutamento di luogo che si effettua nel tempo. E mutare luogo
significa passare da un luogo allaltro, quindi, per ipotesi, passare da A e B, assumendo A
e B come luoghi diversi.
Nel momento esatto del passaggio, quindi nellistante preciso in cui ci si muove da A verso
B, ebbene in questo istante loggetto considerato ha la propriet di essere sia in A sia in B
nonostante A e B siano e rimangano luoghi distinti.

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A.A. 2005/2006

Filosofia teoretica

Ecco lidea dellunione in uno e medesimo oggetto di predicati opposti contraddittori: il


tempo , per cos dire, una produzione continua di istanti che contengono questa
contraddizione, perch ogni istante rappresenta e contiene in s la struttura dellunodopo-laltro (nacheinander): ogni istante, cio, si manifesta come un non-pi che
insieme un non-ancora. Il tempo questa contraddizione e per questo immobile:
listante infatti una continua attivit negativa che, per sussistere, si nega e che, tuttavia,
rimane costantemente e compiutamente se stesso attraverso e oltre questattivit di
negazione.
In questo senso, dunque, Kant scrive che il tempo non scorre, ma in esso scorre
lesistenza del mutevole: il tempo non scorre perch esso stesso la pura forma dello
scorrimento. Il tempo immobile e permanente, cio non scorre e non invecchia:
permane costantemente identico a s proprio perch la sua forma quella di una struttura
contraddittoria: il tempo, in qualche modo, si definisce contraddicendosi.
Ma con ci siamo arrivati alla seconda delle nostre questioni e cio che ci che
corrisponde al tempo, nel fenomeno, ci che non muta nellesistenza, e cio la
sostanza.
Se il fenomeno, cio, rappresenta il contenuto per cos dire mobile del tempo: ossia, la
sua manifestazione esteriore come continuo avvicendamento di istanti, ci che corrisponde
al lato della sua immobilit e della sua permanenza invece la sostanza e soltanto
in essa, scrive Kant, pu essere determinata la successione e la simultaneit dei fenomeni
nel tempo.
II.

La forma logica dellio

Kant distingue quindi il tempo, da ci che in qualche modo contenuto nel tempo.
Contenuti nel tempo sono i suoi istanti e quindi gli stati contraddittori, i quali, a livello di
manifestazione sensibile, corrispondono ai fenomeni del movimento, del mutamento, e
quindi anche a tutti quei fenomeni riguardanti il cambiamento dei nostri stati danimo, le
variazioni della nostra identit empirica, etc.
Di per s considerato, invece, il tempo non muta e non cambia: proprio perch, in un certo
senso, il tempo la contraddizione stessa, ovvero il manifestarsi di una identit attraverso la
contraddizione.
Questo dunque laspetto formale del tempo: il lato per cui esso pura forma. E per questo
motivo il tempo rappresenta, secondo Kant, linterno del soggetto conoscente.
Ricorderemo che Kant definisce linterno nellAnfibolia come ci che non ha alcuna
relazione (per lesistenza) a qualcosa di diverso. Ebbene, il tempo esattamente questo:
ci che, quanto alla sua esistenza, non ha alcuna relazione a qualcosa di diverso.
Nella misura in cui il tempo unattivit negativa, una struttura contraddittoria che si
manifesta, si attua, si definisce contraddicendosi, la relazione a qualcosa di diverso
97

A.A. 2005/2006

Filosofia teoretica

completamente inglobata al suo interno: la diversit (intesa come differenza con s)


assimilata come momento della propria identit.
Da questo punto di vista, per Kant il tempo si manifesta come la forma stessa
dellautorelazione.
Ma allora, se il tempo rappresenta la forma dellintuizione interna, ossia la forma di
quellatto immediato tramite cui cogliamo noi stessi, ne dobbiamo concludere che, da una
parte, il contenuto empirico (o fenomenico) di questa intuizione formale corrisponde al
variare dei nostri stati percettivi, che possono essere considerati come la manifestazione
esteriore di quel nacheinander (luno-dopo-laltro) che rappresenta, per cos dire, il
contenuto della temporalit.
Ma se le cose stanno cos, dobbiamo inevitabilmente concludere che i nostri stati percettivi
variano proprio perch in noi c una sorta di identit profonda che non varia e che
corrisponde alla forma invariabile di quel contenuto empirico.
In noi, cio, accanto al lato per cui siamo in un certo senso oggetto di noi stessi (vale a
dire: possiamo coglierci solo come oggetti fenomenici), c anche ed necessario che ci
sia il lato per cui siamo soggetti, ossia e in qualche modo sostrati delle determinazioni
fenomeniche: Io-penso.
Qui le analisi di Kant sul tempo e la sua descrizione dellIo penso (come correlato
noumenico dellIo empirico) arrivano finalmente a intrecciarsi e a coincidere.
Se noi soggetti conoscenti cogliamo noi stessi solo e soltanto attraverso intuizioni
temporali, appena evidente che il tempo, ossia quella struttura formale pura che rende
possibile questa intuizione di s che il soggetto possiede, rappresenta la forma stessa della
soggettivit.
E questa una grande conclusione della KrV che, forse e per qualche verso, eccede le
stesse intenzioni kantiane: la temporalit, il tempo, rappresenta una sorta di radice
originaria dellesserci del soggetto conoscente ( appena evidente linteresse da parte di
Heidegger verso questo tipo di esito del discorso kantiano): tempo e io-penso in qualche
modo pare che siano luno il riflesso dellaltro.
La cosa interessante da sottolineare pu essere questa: il tempo, al di l e oltre i suoi
riflessi irraggiati a livello di sensibilit, nella sua radice noumenica (per cui il tempo non
un fenomeno, ma una forma) rappresenta, per cos dire, il modo di manifestarsi a se stessa
della soggettivit. Ossia, il modo in cui la soggettivit in qualche modo e appare a se
stessa.
E proprio questa compresenza di essere e modo di apparire a sua volta un riflesso di
quella contraddittoriet che caratterizza in profondit lessenza del tempo.
Se il tempo, infatti, di per se considerato, contiene e si manifesta attraverso gli estremi di
una struttura che Kant stesso indica come contraddittoria, altrettanto (e di riflesso e
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Filosofia teoretica

necessariamente) deve dirsi della soggettivit: la dicotomia io-empirico/io-penso in


qualche modo ripete in s i caratteri di questa struttura contraddittoria, e lio-penso (come
pura forma) rappresenta in qualche modo lesplicitazione pi compiuta di essa.
LIo-penso, in qualche modo, rappresenta la forma del pensiero, ossia quel lato per cui
lassolutamente interno, lio, si configura come autorelazione conchiusa: autorelazione
che si presenta come escludente nei confronti di tutto ci che diverso da s (lio penso
non pu essere reso oggetto e nemmeno intuito) e, tuttavia, rappresenta una forma di
esclusione solo apparente, nella misura in cui ciascun atto della sensibilit (intuizioni,
sensazioni, rappresentazioni, etc.) e dellintelletto in realt imbevuto della sua forma.
Daccapo una contraddizione, daccapo una tensione, la quale per e questo sembra essere
un grande pensiero di Kant su cui riflettere presente in tutto ci che appare, nel senso
che lapparenza stessa (il fenomeno come manifestazione di qualcosa) sembra che si
possa manifestare solo e soltanto attraverso una struttura contraddittoria e il tempo, alla
fine della lettura, sembra essere il simbolo di questa vicenda.

3. Conclusione al testo: Leibniz, Kant, questioni aperte


Questo ultimo giro di argomentazioni riferito a Kant, naturalmente, aveva lo scopo di
provare a far vedere come siano possibili molti livelli di lettura del testo kantiano.
Basti pensare che, di l a poco, con la pubblicazione della Critica della Capacit di Giudizio,
Kant stesso in qualche modo rimescoler le carte delle sue definizioni e la struttura del
Giudizio (che un prodotto della facolt dellimmaginazione) diventer preponderante
rispetto tanto ai concetti dellintelletto quanto alle intuizioni della sensibilit.
Anzi, la Critica della Capacit di Giudizio (KdU), in buona parte conterr una riscrittura
dellintera parte riguardante lestetica trascendentale (e, quindi, la sensibilit in generale).
Ricordiamo che, se vero che intelletto e sensibilit rappresentano per Kant i due
tronchi dellumana conoscenza, altrettanto vero che probabilmente questi due
tronchi rampollano da una radice comune e che questa radice viene indicata da Kant
stesso gi nella KrV nella immaginazione.
La KdU verr quindi interamente dedicata da Kant allo studio dellimmaginazione e
proprio questi sviluppi impressi da Kant al proprio stesso pensiero autorizzano a pensare
che la parte riguardante la temporalit nella KrV sia una delle pi profonde e
significative.
Ma come stanno le cose relativamente a Leibniz?
Che cosa dire delle critiche mosse a Leibniz nellAnfibolia e, in particolare, di quelle
riguardanti lo spazio e il tempo.

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Ovviamente, un terreno tutto da approfondire e, anche se pu sembrare paradossale


dirlo, ma lintero contenuto di questo corso rappresenta in qualche modo una sorta di
introduzione a questo tema.
Una delle idee (o delle ipotesi) di fondo che si possono ricavare dallattraversamento di
questa vicenda che Kant, nonostante le critiche mosse, sia in realt molto pi vicino a
Leibniz di quanto egli stesso sia intenzionato a far credere. E cos troverebbe anche senso
quellindicazione svolta da Kant stesso e per la quale la KrV costituirebbe in fondo la vera
apologia del pensiero di Leibniz.
In ogni caso, se da una parte Kant sembra essere ingeneroso nei riguardi di Leibniz e se
alcune delle sue critiche, ad unattenta lettura, paiono mostrare qualche sottile
discrepanza, interessante riflettere sul fatto che proprio mettendo un occhio dentro
questo discrepanze risulta possibile avere degli squarci complessivi sullintera architettura
dellopera, forse altrimenti impensabili.
Non solo, ma: al di l dei dubbi riguardanti leffettiva tenuta delle distinzioni tra
fenomeni noumeni, interno e esterno, oggetti e cose, etc., lapprofondimento
del tema riguardante la struttura stessa della soggettivit e il suo intreccio profondo con i
temi della contraddizione e della temporalit, rappresenta un elemento importante di
riflessione anche e soprattutto in relazione a Leibniz.
Anche in Leibniz, in effetti, possibile rintracciare delle forme di questo tipo, ossia delle
forme decisive che si manifestano con i caratteri di una struttura contraddittoria.
Pensiamo, ad es., al concetto di evanescente impiegato da Leibniz in matematica e
continuamente risorgente nel suo pensiero (manifestandosi sotto diverse forme): lidea cio di
una grandezza che, al tempo stesso, nulla e non nulla. E altrettanto alla dialettica tra
punto infinitesimale e limite che lo determina (come funzione).
Queste strutture puramente formali per Leibniz, com a questo punto conosciuto, non
sono delle semplici astrazioni, ma al contrario sembrano rappresentare lessenza pi
intima delle cose.
E altrettanto per quanto riguarda la relazione tra identit e alterit, per cui la
definizione individuale della sostanza Socrate coincide con la definizione di un mondo.
Il che, tra laltro, comporta un vorticoso cambio di prospettive tra colui che guarda e la
cosa che viene guardata: la metafora dello specchio e il gioco dei reciproci
rispecchiamenti tra mondi e sostanze qualcosa di pi di una semplice metafora per
Leibniz, ma in qualche modo simboleggia il modo di manifestarsi della stessa realt.
Cos, daccapo, anche per Leibniz, al di l e oltre tutti i problemi gravitanti intorno alle
interpretazioni del suo pensiero fornite da Kant, sembra riconoscere che la struttura
profonda della soggettivit (o, nel suo caso, di quella sostanzialita particolare
rappresentata dagli spiriti), sia costituita da strutture limite e dal modo in cui queste
forme-limite si rifrangono in ogni tipo di manifestazione (che riguardi il mondo della
natura piuttosto che il mondo delle sostanze e dei soggetti).
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Daccapo: lapparenza stessa di ci che , il modo del suo manifestarsi, a tutti i livelli,
che viene esperito sotto la forma del limite.

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Riferimenti bibliografici
Edizioni critiche:
Kants gesammelte Schriften, hrsg. Von der Kniglich Preussischen (poi: Deutschen)
Akademie der Wissenschaften, Berlin-Leipzig 1900-.
Riviste:
"Kant-Studien" (KS), edita a partire dal 1897 (a partire dal 1969 il quarto numero di ogni
annata pubblica una bibliografia kantiana)
"Studi kantiani" (1988-) [fornisce indicazioni bibliografiche e notizie sulle attivit connesse
allo studio del pensiero di Kant]
Lessici:
EISLER R., Kant Lexicon, Georg Olms Verlag, Hildesheim-Zrich-New York 1994.
CAYGILL H., A Kant Dictionary, Blackwell, Oxford 1995.
Biografie:
BOROWSKI L.E. JACHMANN R.B. WASIANSKI E.A.Ch., La vita di Immanuel Kant
narrata da tre contemporanei, Editori Laterza 1969.
DE QUINCEY Th., Gli ultimi giorni di I. Kant, Adelphi, Milano 1983.
Introduzioni:
GUERRA A., Introduzione a Kant, Editori Laterza, Roma-Bari 1980.
RICONDA G., Invito al pensiero di Kant, Mursia, Milano 1987.
Studi complessivi sul pensiero kantiano:
The Cambridge Kant Companion, edited by Paul Guyer, Cambridge University Press,
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BARALE M., Kant e il metodo della filosofia, ETS, Pisa 1988.
CAMPO M., La genesi del criticismo kantiano, Editrice Magenta, Varese 1953.
CASSIRER E., Vita e dottrina di Kant, La Nuova Italia, Firenze 1984.
LA ROCCA C., Strutture kantiane, ETS, Pisa 1990.
MARCUCCI S., Kant e le scienze, Padova 1977.
MELCHIORRE V., Analogia e analisi trascendentale. Linee per una nuova lettura di Kant,
Milano 1991.
WEIL E., Problemi kantiani, Urbino 1980.
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Filosofia teoretica

Studi sulla ricezione del pensiero di Leibniz nel Settecento:


BARONE F., Logica formale, logica trascendentale. Da Leibniz a Kant, Unicopli, Milano
1999.
TONELLI G., Da Leibniz a Kant. Saggi sul pensiero del Settecento, a cura di C. Cesa, Napoli
1988.
TONELLI G., Kant's "Critique of pure reason" within the tradition of modern logic. A
commentary on its history, Olms 1994.
WILSON C., The Reception of Leibniz in the Eighteenth Century, in The Cambridge Companion
to Leibniz, ed. N. Jolley, Cambridge University Press, 1994, pp.442-474.
WUNDT M., Die deutsche Schulphilosophie im Zeitalter der Aufklrung, Olms, HildesheimZrich-New York 1992
Commentari al testo della KrV:
CIAFARDONE R., La "Critica della ragion pura" di Kant. Introduzione alla lettura, La Nuova
Italia Scientifica, Roma 1996.
MANCINI I., Guida alla Critica della ragion pura, 2 voll., QuattroVenti, Urbino 1981-87.
MARCUCCI S., Guida alla lettura della Critica della ragion pura di Kant, Laterza, Roma-Bari
1997.
RAVERA M. - GARELLI G., Lettura della Critica della ragion pura di Kant, UTET, Torino
1997.
Ancora sulla KrV:
HENRICH D., Identitt und Obiektivitt. Eine Untersuchung ber Kants transzendentale
Deduktion, Winter Universittaverlag, Heidelberg 1976.
PIPPIN R.B., Kant's Theory of Form. An Essay on the Critique of the Pure Reason, Yale
University Press, 1982.
STRAWSON P.F., Saggio sulla Critica della ragion pura, Laterza, Roma-Bari 1985.
Sulla relazione Kant-Leibniz:
LA ROCCA C., Contro Eberhard. La polemica sulla Critica della ragion pura, Giardini editori,
Pisa 1994.
Altri testi:
MORETTO A., Dottrina delle grandezze e filosofia trascendentale in Kant, Il Poligrafo, Padova
1999.
PROCURANTI L., Il problema della costituzione della materia nella filosofia di Immanuel Kant,
Pubblicazioni di Verifiche, Trento 2004.
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