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Redazione: Paolo Aleotti, Antonio Conte, Marco Ferri, Marzia Fiordaliso, Silvia Garambois,
Michele Loporcaro, Paola Manduca, Adalberto Minucci, Roberto Morrione, Roberto Natale, Edoardo Novelli,
Comitato scientifico: Enzo Argante, Glauco Benigni, Paolo Ciofi, Vittorio Cogliati Dezza, Guido Cosenza,
Claudio Fracassi, Gianpiero Gamaleri, Antonio Gaudioso, Raniero La Valle, Massimo Loche,
Lamberto Maffei, Diego Novelli, Ennio Remondino, Luigi Sertorio, Roberto Seghetti, Gianni Silvestrini,
I sostenitori di Cometa: Lucio Barletta, Antonino Claudio Bonan, Luciano Canfora, Franco Cardini,
Arturo Di Corinto, Laura di Lucia Coletti, Giuseppe Di Pietro, Luigi Ferrajoli, don Andrea Gallo,
Domenico Gallo, Michele Gambino, Nella Ginatempo, Roberta Gisotti, Carlo Gubitosa, Giuliano Montaldo,
Roberto Savio, Elide Taviani, Maurizio Torrelalta, Annamaria Valentino, Gianni Vattimo, Ambrogio Vitali,
segreteria@lauroracomunicazione.it
Redazione:
redazione@cometa-online.it • www.cometa-online.it
Cometa - Trimestrale di critica della comunicazione - 1/2009
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Sommario
Editoriali
8 Cometa 01/09
di Giulietto Chiesa e Massimiliano Pontillo
11 Il principe criminale
di Roberto Morrione
19 L’anno di Copenhagen
di Giulietto Chiesa
Rubriche
60 La colonna infame
di Diego Novelli
63 Dispacci
di Ennio Remondino
66 Pensieri laterali
di Davide Riondino
67 Autodifesa
di Michele Loporcaro
70 Il cigno parlante
di Vittorio Cogliati Dezza
73 Con stile
di Marzia Fiordaliso
76 Frullare il mondo
di Enzo Argante
79 Altre mafie
di don Luigi Ciotti
FUOCHI
84 L’autunno del giornalismo a Gaza
di Roberto Morrione
92 La democrazia dopo la democrazia
di Antonio Ruggieri
100 La comunicazione della paura
di Edoardo Novelli
106 Chi ha ucciso l’economia
di Bankor jr.
112 La guerra dei rifiuti in Campania, tutte le bugie dell’informazione
di Guido Viale
116 Nucleare, l’ipocrisia del pensiero berlusconiano
di Ermete Realacci
120 Global warming: cosa può fare l’uomo
di Mariagrazia Midulla
126 La crisi dei media passa dalla pubblicità
di Marco Ferri
134 Una tv a misura di cittadino
di Antonio Gaudioso
138 Ultime notizie dalla crisi dell’editoria
di Silvia Garambois
144 Come uscire “puliti” dalla crisi
di Gianni Silvestrini
148 Media, democrazia, educazione
di Marco Grollo
Sommario
Cometa 01/09
di Giulietto Chiesa e Massimiliano Pontillo
Cometa 01/09
Editoriali
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Il principe criminale
Il principe criminale
di Roberto Morrione
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Editoriali
l’allarme lanciato in Febbraio dalla Corte dei Conti all’apertura del suo Anno
Giudiziario: l’immagine di un’Italia malata, in cui l’ampiezza della corruzione
– per usare le dure espressioni del Presidente Lazzaro – “investe l’organizzazione
della Repubblica e mette a rischio la vita stessa della democrazia”.
Nel 2008 l’indice di percezione della corruzione stilato da Trasparency Inter-
national, organizzazione riconosciuta nel mondo, poneva l’Italia al 55mo posto.
Nel 2007 era al 41mo. Siamo penultimi in Europa, superati solo dalla Grecia,
vicinissimi alla Namibia e indietro rispetto a Paesi non certo illuminati dalla
democrazia e dallo sviluppo, come Qatar, Botswana, Buthan. La presidente di
Trasparency International, Huguette Labelle, ha commentato così la classifica:
“Per i Paesi poveri la corruzione è un disastro umanitario che minaccia di man-
dare in fumo la lotta globale contro la povertà e fare la differenza tra la vita e la
morte per i civili, perché sottrae denaro da ospedali e acqua pulita… Per fermare
la corruzione nei Paesi civilizzati c’è bisogno di un forte controllo nell’attività
parlamentare, di applicare la legge, di media indipendenti e di una società civile
appassionata”. I primi tre punti sono da noi deficitari, investiti da polemiche e
tempestose vicende, mentre per quanto riguarda la disastrosa ricaduta sui Paesi
poveri, non è neppure lontanamente al centro della sensibilità culturale e del com-
portamento etico dello Stato e di gran parte delle imprese.
Infatti, secondo dati dell’Unione Europea, l’Italia è al quinto posto nella non
invidiabile classifica dei Paesi esportatori all’estero che ricorrono alle “stecche”
a politici, dirigenti e funzionari locali, primo Paese europeo dopo Russia, Cina,
Messico e India. Secondo calcoli desunti dai dati della Banca Mondiale, nel set-
tore statale la corruzione in Italia distrugge ogni anno risorse pubbliche per 50
miliardi di euro, che salgono a 70 miliardi in recenti analisi di istituti universi-
tari: il 2.5% del Pil. Per comprendere la portata di queste risorse sottratte agli
interessi nazionali, pensiamo a cosa lo Stato potrebbe farne, recuperandone anche
solo un quinto, per fronteggiare con investimenti la devastante crisi finanziaria
e la recessione in atto…
Fra il 2006 e il 2007, i dipendenti della pubblica amministrazione denunciati
dalla Guardia di Finanza per reati o illeciti amministrativi sono stati 6.752, di
cui il 26% in Calabria, il 13% in Sicilia, l’11% in Lombardia, con una denun-
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Il principe criminale
cia su due riconducibile al solo settore della sanità, seguito da appalti e contabilità.
La mappa tracciata dall’Alto Commissario Anticorruzione, incarico istituito nel
2003, precisava la variegata articolazione della corruzione, che va dal peculato
alla concussione, all’abuso di poteri, al traffico di influenza, all’illecito arricchi-
mento, con particolare riferimento ai reati finanziari e al riciclaggio di dena-
ro frutto di interessi criminali. L’allarme riguardava soprattutto l’intreccio fra
corruzione e mafie – si legge in un rapporto – per “la sistematica pianificazione
delle politiche pubbliche, soprattutto a livello locale, per lo stretto intreccio tra
criminalità, politica ed economia”.
Sottolineato come dal ’91 al 2006 siano stati sciolti per infiltrazioni mafiose 167
Comuni, alcuni più volte commissariati e 2 Asl, il rapporto rileva che i settori
della mano pubblica più esposti sono l’ambiente e l’edilizia, il sistema degli ap-
palti e dei lavori per la realizzazione di opere pubbliche, i finanziamenti pubblici
e dell’Unione Europea, il riciclaggio e il reinvestimento nell’economia legale e,
soprattutto, la sanità.
Fu questo peraltro uno degli ultimi rapporti dell’Alto Commissario Anticorru-
zione che, rifacendosi a quanto stabilito dalla Convenzione dell’Onu sottoscritta
da tutti i Paesi, compresa l’Italia, chiedeva più consistenti risorse economiche e di
personale per poter funzionare. Infatti nell’estate 2008, uno dei primi atti del
governo Berlusconi appena insediato, fu lo scioglimento dell’Alto Commissario,
inserito fra “gli enti inutili” da tagliare….
L’ex prefetto Achille Serra, che aveva ricoperto l’incarico, nel dicembre 2007
scriveva: “Il sistema della corruzione esce danneggiato, ma non scardinato dalle
inchieste giudiziarie degli anni ’90: secondo alcuni, dopo il primo momento, il si-
stema ha avuto la forza di reagire e riorganizzarsi secondo tecniche e modelli più
sofisticati e difficili da scoprire. Chiusa la stagione di Mani Pulite non si è pro-
ceduto alle necessarie riforme strutturali che agendo sulla prevenzione avrebbero
potuto arginare il fenomeno, intervenendo sulle opportunità di corruzione”.
Mani Pulite è rimasto per anni, anche nell’immaginario dell’opinione pubblica
oltreché nel dibattito politico, l’unico parametro di riferimento per misurare il
fenomeno della corruzione, anche sopravvalutandolo e dandogli l’eccessiva valen-
za di una “rivoluzione per via giudiziaria”, senza invece analizzare cosa fosse
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Editoriali
avvenuto prima e dopo e come e perché la corruzione si fosse negli anni ripresen-
tata più forte di prima. Un deficit di memoria e di capacità di analisi che pesa
gravemente anche sul sistema dell’informazione.
A quindici anni da quel febbraio del ’92, quando l’arresto di Mario Chiesa a
Milano diede il via a “tangentopoli”, Piercamillo Davigo, allora pm nel pool di
Mani Pulite e la docente di diritto penale Chiara Mannozzi, si sono interrogati
sugli esiti di quella stagione e sulla successiva corruzione (“La corruzione in Ita-
lia. Percezione sociale e controllo penale”, ed. Laterza) analizzando dati, sentenze
e norme, ricavandone una fotografia molto inquietante. Dopo il picco del ’92-’93
– scrivono in sostanza – il numero dei reati per corruzione e concussione è tornato
ai livelli del ’91, cioè a prima di Tangentopoli. Per di più con strane asimmetrie
nelle condanne definitive registrate negli anni esaminati, fino al 2002: su 4.454
sentenze, 882 sono state pronunciate a Milano, 588 a Torino, 538 a Napoli e solo
384 a Roma, mentre nei distretti di Caltanissetta e Reggio Calabria sono state
inferiori a 10, anzi a Reggio solo 3! A fronte di questo dato sconcertante, viene
riportato quanto l’ex sindaco di Reggio Calabria, Agostino Licandro, che si dimise
nel ’92, dichiarò pubblicamente: “ …a Reggio si vive su un sistema che, senza
mazzette nei momenti e nei punti giusti, si paralizzerebbe… non un’orgia di
arrembaggi, ma una realtà di regole, rapporti, convenzioni solide, un linguaggio
dove sfumature e sottolineature assumono la solennità della firma di un contrat-
to… La corruzione giunge a conoscenza dell’autorità in misura molto più ridotta
quando risulta “gestita” dalla criminalità organizzata”.
Se guardiamo alla Calabria di oggi, dove i politici inquisiti – quasi sempre per
ipotesi di reato attinenti alla corruzione e spesso a rapporti con esponenti e clan
della ‘ndrangheta – vanno dal presidente Loiero a 33 fra assessori e consiglieri
su un Consiglio regionale di 50 membri, comprendiamo bene a quale livello sia
cresciuto il problema.
Secondo Davigo e Mannozzi, in realtà, le responsabilità per la dirompente cre-
scita della corruzione dopo Tangentopoli si sono sommate: in particolare le insuf-
ficienze di un sistema giudiziario arcaico e burocratizzato e le prescrizioni con
tempi raccorciati, una delle leggi “ad personam” volute ed imposte da Berlusconi.
Queste leggi hanno permesso all’attuale premier di uscire indenne da numerosi
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Il principe criminale
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Editoriali
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Il principe criminale
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Editoriali
non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte
sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli
e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia di oggi, secondo noi
comunisti, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di
costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati… Bisogna agire affin-
ché la giusta rabbia dei cittadini verso tali degenerazioni non diventi un’avver-
sione verso il movimento democratico dei partiti”.
Un’analisi davvero profetica, alla luce di quanto è avvenuto nel quarto di secolo
successivo e del processo di cancrena in atto ai giorni nostri, che, se non fermato
in tempo, può rapidamente farci ritornare alla situazione della prima repubblica
o, peggio, dare vita a una ingovernabile dissoluzione istituzionale e civile dalla
quale possono partire avventure senza ritorno per la democrazia.
Perché il Principe evocato da Roberto Scarpinato “è tornato a cavalcare la storia
ed è in forma smagliante”.
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L’anno di Copenhagen
L’anno di Copenhagen
di Giulietto Chiesa
Questa rivista nasce nell’“anno di Copenhagen”. Che sarà più importante del-
l’anno di Kyoto quando, per la prima volta, la comunità mondiale cominciò a
fronteggiare il problema del riscaldamento climatico del pianeta. Erano trascorsi
due decenni circa dall’“Ipotesi di Gaia”, di James Lovelock, che aveva aperto la
strada al pensiero verde. Un decennio dopo era arrivato il Club di Roma con il
suo avvertimento sui limiti dello sviluppo. Ma la comunità mondiale arrivava
divisa a quel primo appuntamento, con la massima potenza mondiale, gli Stati
Uniti, ostile a ogni azione comune e la Cina – allora all’inizio della sua svolta
capitalistica – decisamente esterna a ogni negoziato.
Da allora molta acqua è passata sotto i ponti, troppa, tanta che cominciamo ad
accorgerci che non c’è n’è più a sufficienza. Da bere, pulita intendo dire, ché di
acqua in generale, per lo più salata, ce n’è quanta ce n’è sempre stata, nei trascorsi
cinque miliardi di anni, e sempre ce ne sarà nei prossimi cinque miliardi. Ma
questo breve accenno all’universo, che abbiamo già abbondantemente “turbato”
nei nostri immediati dintorni, è utile per farci capire meglio come le cose sono
cambiate e stanno cambiando, a velocità crescente.
Ecco perché l’anno di Copenhagen sarà un anno cruciale. Misureremo, in questi
mesi, la rapidità di reazione delle classi dirigenti e dovremo confrontarla con la
rapidità di evoluzione della crisi climatica, e delle altre crisi che si stanno svilup-
pando in parallelo e intersecandosi con essa.
La rivista Cometa nasce – come erede dei tentativi di Megachip-Democrazia
nella comunicazione, a partire da “aideM” – anche come un osservatorio, un
termometro, di questa transizione. Cominciamo il nostro lavoro anche con il pro-
gramma di rendere l’opinione pubblica italiana più sensibile all’intera tematica
della transizione a un’altra società, i cui contorni sono ancora tutti da definire.
Siamo convinti che la svolta, sicuramente drammatica, che ci attende, richieda
un vero e proprio soprassalto di qualità intellettuale, scientifica ed etica delle classi
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Editoriali
dirigenti. Altrove, in queste stesse pagine – che assumono tutte assieme la valenza
di un manifesto programmatico – diciamo che, se siamo giunti a questa svolta,
in condizioni così precarie, è anche perché c’è stata e c’è tuttora, da superare, la
“quarta crisi”: quella del sistema informativo-comunicativo che non solo non ha
saputo raccontare l’insostenibilità dello sviluppo indefinito, ma ha trasformato i
cittadini in consumatori compulsivi, attori inconsapevoli del disastro. Abbiamo
bisogno di un mainstream che produca conoscenza per i molti, poiché riteniamo
che il tornante stretto in cui ci troviamo non sia affrontabile senza la partecipa-
zione dei molti. Non basteranno menti illuminate, l’azione di pochi governanti,
nemmeno se fossero probi e dediti alla comunità, permeati di solidarietà uma-
na, rispettosi delle leggi e della Costituzione. Perché le decisioni che dovranno
prendere saranno così dure e difficili che, per essere eseguibili, richiederanno un
ampio consenso popolare. E questo potrà essere il risultato solo di una vasta opera
di educazione. Essa potrà venire realizzata soltanto facendo muovere, in ordine
inverso a quello finora usato, il sistema della comunicazione. Saranno, quegli
stessi media che hanno distribuito illusioni, gli unici in grado di raggiungere i
molti per aiutarli a capire che si trattava appunto di illusioni. E a liberarsene.
Che siano capaci di farlo o che lo vogliano è cosa ancora da vedere. Ma il compito
di svegliarli, di sottoporli a una critica stringente, di fornire loro materiali di
riflessione, è anche nostro. Per questo nasce Cometa.
A Kyoto il riscaldamento climatico era niente più che una nuvola. Per quanto
minacciosa, tuttavia isolata in un cielo limpido e sterminato di entusiasmi globa-
lizzatori e globalizzati. Eravamo tutti impregnati della indefettibile certezza di
una crescita indefinita del Prodotto Interno Lordo. Convinti ormai fukuiama-
mente di essere entrati non solo nella fine della storia, ma anche nel “regno della
Tina (There Is No Alternative). Il capitalismo mondiale era ormai divenuto, per
i suoi quattro quinti di ricchezza accumulata (virtuale ma tremendamente con-
creta nei suoi effetti politici e sociali), finanza pura, ineffabile astrazione. Il va-
lore di una collettività qualunque, di una società economica, di un individuo, in-
somma di ogni cosa naturale o prodotta, era ormai definito esclusivamente in base
alla sua capacità di aumentare il valore del capitale finanziario già accumulato.
Non solo: essenziale era la velocità del tasso di crescita di questa capacità. Era,
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L’anno di Copenhagen
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Editoriali
vedere con l’insieme delle risorse naturali che compongono l’ecosistema globale.
Il denaro non è natura. Il denaro è invenzione dell’uomo, è artificiale. Il nostro
sviluppo, lo sviluppo di una specie anomala quale noi siamo, è effetto della combi-
nazione del denaro con le risorse naturali. Ma questo connubio muove la Natura
in direzioni che sono, per la stessa Natura, estranee, insostenibili. Il denaro è un
“klinamen” distruttivo per la Natura. Ecco perché l’“impronta umana” si sta
rivelando devastante per la Natura e per l’Uomo stesso, che della Natura è parte
integrante. Ce ne stiamo accorgendo proprio in questa fase. Quando, al posto del-
l’illusione di una crescita illimitata del Pil, cominciano ad apparire – e appaio-
no tutti insieme, sebbene con diversa intensità – tutti i limiti: quello delle ri-
sorse energetiche fossili, organiche e inorganiche, petrolio, gas, carbone, uranio;
quello dell’acqua potabile; quello delle possibilità di alimentazione di sterminate
e crescenti masse umane; quello della crescita demografica; quello della disloca-
zione e dello smaltimento degli scarti, ormai divenuti giganteschi e anch’essi in
crescita esponenziale. Limiti all’input dei processi produttivi-riproduttivi, limiti
all’output, che poi significa ineliminabilità degli scarti, che è una delle epifanie
attraverso cui si manifesta il fantasma dell’entropia, la seconda legge della ter-
modinamica.
Ed è proprio qui che cade l’asino della seconda illusione – o scommessa, o azzardo
che dir si voglia – : quella nella fede della “soluzione tecnologica”. Secondo cui,
prima o dopo, si troverà una soluzione che consentirà di superare tutti i limiti.
E sarà la tecnologia ad aprire, prima o dopo, altri infiniti e indefiniti orizzonti.
Che equivale ad affermare, ad esempio, che sarà la tecnologia a darci quanta
energia ci servirà per la nostra ulteriore crescita indefinita, non appena sbrigate
le faccende delle crisi multiple in cui siamo impelagati. Mentre dovrebbe già esse-
re evidente che l’era del petrolio a basso prezzo è ormai cosa che bisogna mettere in
archivio e che non tornerà più. Oppure, altro esempio, che sarà sempre la tecno-
logia a correggere niente meno che l’immenso ciclo dell’acqua, che noi stiamo ora
allegramente distruggendo. Senza tenere conto, nel primo esempio, che la quan-
tità di energia che riceviamo, per irraggiamento, dal sole e dalle viscere profonde
della Terra è un flusso costante da 5 miliardi di anni e tale resterà per sempre.
E che è a un flusso costante che dovremo ricondurci, ci piaccia o non ci piaccia,
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L’anno di Copenhagen
quando sarà stato raggiunto il “picco del petrolio”. Il che avverrà una sola volta
nella storia dell’Uomo, e non si ripeterà mai più. E senza tenere conto, nel secondo
esempio, che non disponiamo, né potremo mai disporre, delle capacità di risolvere
l’infinita quantità di equazioni differenziali a numero infinito di incognite che
comporterebbe il ricalcolo della complessità dei cicli.
Quindi il discorso della tecnologia, che arriverà indefettibilmente “prima o dopo”,
non ha alcun senso perché, nel frattempo, l’“impronta umana” sta invece con-
cretamente modificando, adesso, il clima del pianeta. Il “quando” è già arrivato
e noi dovremmo saltare subito sul treno per Copenhagen. Siamo in grado di
farlo? E quanto costa il biglietto? Questo è il punto. Nel dicembre di quest’anno
si potrà misurare la “temperatura della comprensione” che la comunità umana
ha raggiunto circa lo stato dell’arte del proprio sviluppo. Ma, certo, qualcosa sta
cambiando. Negli ultimi anni, specie nell’ultimo biennio, c’è stata una forte ac-
celerazione della presa di coscienza internazionale di alcuni di questi problemi,
grazie agli sforzi dell’Onu (attraverso i lavori del Panel Intergovernativo sui
Cambiamenti Climatici - Unpcc). È emersa una maggiore consapevolezza dei
pericoli che la specie (le specie) sta correndo a causa della situazione di overshoo-
ting in cui si trova il pianeta. È cresciuta e cresce l’inquietudine delle opinioni
pubbliche sui pericoli incombenti, anche se pochi hanno chiaro il quadro delle ri-
percussioni che scelte sbagliate, o il ritardo nelle scelte, potranno provocare.
I materiali che in questo primo numero di Cometa cominciamo a pubblicare, a
partire dal “Global Warning” lanciato da Mikhail Gorbaciov nel corso dell’in-
contro di Bosco Marengo e dal “From Global Warning to Media Alert” di Vene-
zia San Servolo, testimoniano di questo sussulto intellettuale, insieme a decine di
altre iniziative analoghe che muovono dalla comunità scientifica mondiale.
Effetto di questa graduale emersione del problema del cambiamento climatico
è stata l’istituzione, nel 2007, della Commissione Temporanea del Parlamento
Europeo (Tccc), che ha accompagnato l’iniziativa strategica della Commissione
Europea sul programma cosiddetto del “20-20-20”, che ha accelerato il dibattito
mondiale verso il “dopo Kyoto”, ponendo l’Europa nella chiara posizione di leader
mondiale su queste questioni con una proposta, entro il 2020, di riduzione del
20% del consumo di energia da fonti non rinnovabili e di incremento del 20%
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Editoriali
dell’efficienza energetica, insieme con una riduzione del 20% delle emissioni di
Co2. Il tutto con l’obiettivo globale di contenere l’aumento della temperatura
dell’atmosfera entro i limiti dei 2 gradi centigradi.
Attraverso le tappe di Bali (2007) e di Poznan (2008), è stato predisposto il ter-
reno per un’intesa mondiale. Un terreno dove, dopo la lunga fase di rifiuto sta-
tunitense, che ha caratterizzato le due presidenze di George Bush Junior, si sta
inserendo la nuova Amministrazione di Barack Obama, e su cui convergono
– seppure con diversi approcci – sia la Cina, che l’India, che il Brasile e il Messico,
oltre alla Russia, che del resto aveva mantenuto un atteggiamento positivo anche
nella fase precedente, di Kyoto.
Ma l’intesa è ancora molto lontana e non può essere considerata scontata. Anche
perché la tabella di marcia non finisce al 2020. Dieci anni dopo, al 2030, l’obiet-
tivo di massima dovrà essere di raggiungere il 30% di energie rinnovabili, per
raggiungere il 70% alla metà del secolo. E si deve considerare che ai grandi paesi
in via di sviluppo non si può chiedere di rallentarlo proprio adesso, dopo avere
chiesto loro, nei decenni trascorsi, in ogni modo, lecito e meno lecito, di aprire i
loro mercati e di integrarsi nel galoppo sfrenato della cosiddetta crescita globale. È
chiaro che l’eventuale intesa di Copenhagen sarà raggiungibile solo consentendo
a Cina e India, in primo luogo, condizioni speciali e offrendo loro, simultanea-
mente, gl’ingenti investimenti di cui hanno bisogno per il passaggio il più rapido
possibile alle rinnovabili, per la riduzione dell’incremento dei tassi di produzione
di gas a effetto serra. Ma è comunque evidente che, per i prossimi vent’anni, toc-
cherà a Stati Uniti, Europa e Giappone, i maggiori inquinatori in cifra assoluta
e percentuale, di ridurre il loro tremendo imprinting negativo sull’atmosfera
terrestre. Ed è questo il passaggio più complesso cui dovranno sottoporsi le società
ricche dell’Occidente capitalistico.
Poiché, se sarà difficile spiegare all’ex contadino cinese o indiano – da poco inur-
bato, da poco giunto a contatto con la civiltà industriale, proteso verso il benessere
consumistico ormai a portata di mano – che è indispensabile “rallentare” la corsa,
o cambiare il suo percorso rettilineo, è del tutto evidente che sarà molto più diffi-
cile non solo riorganizzare e trasformare i colossali apparati industriali energi-
vori dell’Occidente ricco, ma anche spiegare alle opinioni pubbliche del “miliardo
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L’anno di Copenhagen
d’oro” che, per restare tutti all’interno di una crescita massima della temperatura
di 2 gradi centigradi, si dovrà ridurre il loro tenore di vita di una cifra percen-
tuale non indifferente. Questo non lo si dice, e forse nemmeno lo si pensa, ma è
implicito e inevitabile.
Resistenze tenaci, fortissime, sono già visibili su tutti i fronti di quella che si
annuncia una battaglia drammatica. Le trasformazioni da fare sono imponenti.
Si tratta, in sostanza, di avviare una rivoluzione industriale, organizzativa,
economica, finanziaria, sociale, culturale che non ha precedenti nell’intera storia
delle società moderne. Interessi consolidati di intere classi sociali dovranno essere
toccati e, in molti casi, compromessi prima di essere sostituiti da soluzioni sosteni-
bili. Abitudini radicate, ormai secolari, di costumi e di relazioni umane saranno
modificate e perfino sconvolte.
Questo è ciò che si dovrebbe tentare. Ma di fronte a questi compiti le classi po-
litiche appaiono in affanno e in ritardo. Molti faticano a capire la portata delle
decisioni che devono prendere. Coloro che hanno compreso, a loro volta, sono im-
pauriti dalle reazioni dei loro elettorati; temono di essere travolti dalla protesta di
milioni, che non sanno, perché non è stato detto loro cosa stava accadendo e, anzi,
cominciano ora a capire di essere stati spinti a vivere sempre più al di fuori dei
confini della sostenibilità da una forsennata corsa a consumi che ora si rivelano
impossibili. I gruppi sociali privilegiati, a loro volta, reagiscono ciascuno a difesa
del proprio “particulare”, rifiutandosi di vedere – ma quale educazione collettiva
è mai stata organizzata perché lo vedessero? – il Bene Comune come il valore
primo su cui poggiare le regole delle comunità.
Ecco perché gli obiettivi fissati dall’Europa per Copenhagen – i più realistici, date
le condizioni, quelli che appaiono coraggiosi, dato il livello di comprensione del
problema, perfino audaci se confrontati con lo stato della politica mondiale, con il
livello intellettuale della comunità internazionale – sono comunque molto al di
sotto delle necessità. Si sono fissate le asticelle ai livelli minimi sulla base dell’as-
sunto che, porle più in alto avrebbe comportato il rischio di un rifiuto pregiudizia-
le, con conseguenze ancora più catastrofiche di quelle che si possono ipotizzare.
Ma l’esigenza di cominciare a ridurre, in termini assoluti, la produzione di Co2
che l’Uomo sta immettendo nell’atmosfera non consente tattiche dilatorie. Le cur-
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Editoriali
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L’anno di Copenhagen
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DOSSIER
Fare la pace con l’acqua
Le politiche applicate negli ultimi venti anni per far fronte alla grave “cri-
si dell’acqua”, sempre più mondiale, non hanno permesso di ridurre lo
spessore e la gravità della crisi stessa, che non ha fatto che aggravarsi ed
estendersi. Le misure individuate non impediranno un peggioramento
delle condizioni nei prossimi anni: anzi, gli stessi poteri dominanti an-
nunciano che il XXI° sarà il secolo delle guerre dell’acqua.
Questa evidenza é stata uno degli insegnamenti maggiori emersi dalla
conferenza “Fare la pace con l’acqua” tenutasi a Bruxelles, al Parlamento
europeo, sotto la presidenza di Mikail Gorbaciov, organizzata nei giorni
12 e 13 febbraio di quest’anno dal World Political Forum, su iniziativa
dello Ierpe (Institut Européen de Recherche sur la Politique de l’Eau),
con il sostegno dei vari gruppi politici del Parlamento europeo e le auto-
rità federali e regionali del Belgio.
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Dossier
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Fare la pace con l’acqua
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Fare la pace con l’acqua
“Salvare l’acqua”, nel senso di “Fare pace con l’acqua”, implica una forte
istituzionalizzazione politica della responsabilità comune planetaria ri-
guardo all’acqua fonte di vita.
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Fare la pace con l’acqua
Con 325 marche e 192 fonti, il made in Italy detiene la posizione leader
nel mercato mondiale dell’acqua minerale. Un’industria importante che
dà lavoro a 7.000 addetti e imbottiglia 12 miliardi di litri di cui oltre 1
miliardo esportato, pari al 10 per cento della produzione. Basta pensare
che americani e canadesi sono grandi consumatori di note marche italia-
ne. Nel mondo si consumano 120 miliardi di litri di acqua imbottigliata
con un mercato che vale circa 80 miliardi di dollari. L’Europa Occidentale
consuma 1/3 del totale pur avendo solo il 6 per cento della popolazione
mondiale e produce circa 38 miliardi di litri (33,7 acque minerali e 4,1 di
acque di sorgente). La corsa al consumo di acqua minerale sembra dunque
inarrestabile. Grazie anche alla quasi assenza di informazione critica. I
programmi televisivi sono “controllati” dai produttori che riversano sulle
reti milioni di euro in pubblicità (secondo Nielsen, circa 300 milioni di
euro). Pochi giornali osano spiegare davvero che cosa si nasconde dietro
le bollicine. Fanno eccezione alcuni coraggiosi programmi radiofonici e
televisivi, come quelli messi in onda da Radio Vaticana (che non ha pub-
blicità…), Radio Rai 1, con la trasmissione La Radio a colori di Oliviero
Beha, un programma sospeso da tempo forse proprio a causa del modo
in cui affrontava temi scomodi, come il grande business delle acque mi-
nerali. Nel florido mercato globale dell’acqua in bottiglia, al primo posto
troviamo l’onnipresente Nestlè. Il gruppo svizzero detiene il 17 per cento
del mercato mondiale.
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Dossier
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Dossier
La bollicina inutile
Sono tanti i messaggi ingannevoli di cui si è occupata l’Autorità garante
della concorrenza e del mercato. A volte si tratta di vera e propria pubbli-
cità occulta. L’Autorità, per esempio, ha pizzicato un settimanale che in
un articolo si dilungava sulle proprietà della San Pellegrino.
Il titolo: “Il fresco sapore dell’acqua”. Il sottotitolo: “Liscia, gassata, effervescen-
te naturale. E con gusti diversi. Come succede per il vino, anche la minerale può
avere diversi accostamenti con il cibo”. E che dire delle proprietà medicamen-
tose al limite del magico contenute in un articolo pubblicitario dell’acqua
Rocchetta presentata sull’inserto “Salute” del quotidiano la Repubblica?
L’articolo, dopo aver sottolineato le qualità idratanti delle acque minerali
(“il corpo umano ha bisogno di essere costantemente irrigato e solo con
la circolazione continua di liquidi – dall’esterno all’interno e viceversa – si
può assicurare una costante idratazione”), evidenzia alcuni effetti benefici
propri dell’acqua Rocchetta sulla pelle, in particolare si legge che: “L’ac-
qua Rocchetta presenta caratteristiche analoghe ad alcune acque termali
di cui si conoscono i poteri antiinfiammatori in generale e, più in partico-
lare, gli effetti terapeutici nei confronti di alcune affezioni della pelle; un
effetto depurativo che favorisce il lavaggio interno dell’organismo; acqua
cosmetica; acqua amica della pelle”.
Molti spot giocano sull’equivoco. Una sfumatura che sfugge alla stragran-
de maggioranza dei consumatori: “Le proprietà salutari, vantate dalle ac-
que minerali, sono altra cosa rispetto alle proprietà terapeutiche”, spiega
Vincenzo Riganti, docente di chimica merceologica all’Università di Pavia.
“Non è più previsto che le acque minerali naturali siano dotate di attività
terapeutica, bensì più semplicemente di “proprietà favorevoli alla salute”.
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Fare la pace con l’acqua
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Dossier
Quando la sete
diventa un affare
A Bruxelles si parla dell’acqua
di Francesco De Carlo
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Fare la pace con l’acqua
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Dossier
nel breve e nel lungo termine: serve insomma un nuovo diritto mondiale
dell’acqua che la faccia tornare ad essere bene pubblico e non merce, un
diritto mondiale da riaffermare nei prossimi meeting internazionali, uno
su tutti Copenhagen 2009.
Responsabilità, condivisione, sicurezza collettiva diventano così le parole
d’ordine di un’iniziativa politico-sociale che deve innanzitutto fare i conti
con un modello di consumo insostenibile, impiantato nelle abitudini di
nuove generazioni ancora tutte da formare e informare.
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Fare la pace con l’acqua
sabilità. Gli stili di vita degli “occidentali” sono peraltro basate su scelte
irrazionali, dettate da un mainstream comunicativo che consiglia a colpi
di spot di consumare acqua e di consumare acqua in bottiglia, perché fa
bene, perché è conveniente. “Bene”, non sempre è vero, soprattutto in
Italia: le associazioni dei consumatori hanno dimostrato come l’acqua che
esce dai rubinetti italiani (esclusa qualche provincia) è di qualità deci-
samente superiore a quella acquistata al supermercato, che – per giunta
– ha un costo sociale medio che oscilla dai 20 ai 50 centesimi litro (più lo
smaltimento della plastica), contro l’euro scarso che vengono a costare
100 litri d’acqua del rubinetto!
È evidente che in questo l’informazione, ma soprattutto la pubblicità, han-
no giocato un ruolo determinante nel plasmare le abitudini dei consuma-
tori, ignari non solo del profilo etico dei loro comportamenti, ma anche
delle svantaggiose conseguenze che gli stessi subiscono sui loro portafogli.
Sarebbe molto auspicabile un controllo severo sui messaggi pubblicitari,
che continuano a condizionare le scelte di consumo del pubblico anche
attraverso informazioni false; e magari introdurre regole restrittive per la
pubblicità di merci (o beni comuni mercificati) dannose per l’ambiente e
le specie che lo abitano, come successo per tabacco e alcolici.
Il caso italiano
Proposte che hanno il sapore dell’utopia, soprattutto in un paese dove le
privatizzazioni dei beni comuni avvengono e sono avvenute senza troppo
informare i fruitori dei diversi servizi. Se la pubblicità continua a battere
sul tamburo della crescita irresponsabile, l’informazione si tiene a distan-
za di sicurezza dalla realtà. Oltre a millantare con marchette redazionali
le improbabili doti dei prodotti dei più grandi inserzionisti che la finan-
ziano, non fa altro che riportare i comunicati stampa dei governanti che
la controllano, senza lasciare alcun spazio all’inchiesta e all’approfondi-
mento giornalistico.
E quando quel poco di racconto obiettivo dell’attualità lascia definitiva-
mente il posto alle facezie estive il potere politico coglie l’attimo e fa
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Dossier
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Fare la pace con l’acqua
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Dossier
Imbottigliata, farinosa,
o impastata al cemento
di Fabrizio Bottini
1
L’intervento dell’architetto è tratto dall’opuscolo Premium Retail, Nuovo Complesso San Pellegrino Terme [2008]
scaricabile in pdf dal sito www.premiumretail.it
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Fare la pace con l’acqua
po’ di gas e rivenderla a caro prezzo sui tavolini della creative class globale,
ma anche e sempre più per sublimarla in un ancora più lucroso e immate-
riale brand di rilevanza tanto ampia quanto più si allargano le onde della
comunicazione. Spinte da una classica strategia di impresa: si cercano e si
trovano “radici” nei territori locali, radici genuine, che poi impacchettate
e transustanziate si rivendono, localmente ma non solo, cavandoci lauti
profitti. Il che non sarebbe nulla di male se non avvenisse quasi sempre a
spese esclusive (ambientali, sociali, e con consumo di risorse non rinno-
vabili, come il territorio stesso) delle popolazioni e degli ambienti inseriti
nel “pacchetto”. Guardando con un po’ di attenzione in più, insomma, il
progetto dell’archistar internazionale calato sulla valle del fiume Brembo,
a fare da ciclopico sfondo alle tradizionali terme di San Pellegrino, giusto
di fronte all’imponente mole del Grand Hotel sull’altra sponda, racconta
benissimo a modo suo l’idea di sviluppo locale a partire dall’acqua. Siamo
in una delle tante articolazioni territoriali del sistema padano, e precisa-
mente in una delle valli immediatamente affacciate verso la megalopoli
delle pianure. Il fiume Brembo inizia a raccogliere le sue acque dai ver-
santi più alti, su in direzione del passo San Marco (passaggio a nord-ovest
mitico simbolico della Lega Nord), e poi si fa strada attraverso le seconde
case delle stazioni turistiche, fino a sfociare in quella specie di escrescenza
milanese che è l’area metropolitana di Bergamo. La megalopoli spinge,
e risale il fiume insinuando da lustri fra le montagne la sua materia co-
stitutiva: asfalto, cemento, e tempi rapidi di messa in opera. Poco più su
dell’imbocco bergamasco della valle, il ridente borgo di San Pellegrino,
col suo appeal turistico un po’ appannato e in cerca di rilancio attraver-
so la promozione pubblico-privata del territorio, come usa oggi. I fatti,
riassunti in poche battute2, sono: un accordo di programma fra vari sog-
getti per la riqualificazione delle strutture termali, che comporta corpo-
2
Desumo le informazioni generali sull’accordo di programma per lo sviluppo locale da un articolo pubblicato
dal quotidiano locale L’Eco di Bergamo, “S. Pellegrino, via all’accordo per Grand Hotel e Terme”,
il 22 novembre 2006, in occasione dell’assenso della Regione Lombardia; e dal numero unico di un gruppo
di opposizione in consiglio comunale, Il Ponte News, febbraio 2008 scaricabile dal sito www.nicolabaroni.it
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Dossier
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Fare la pace con l’acqua
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Entrambe le citazioni da: a.b., “Gruppo Percassi: con Premium Retail verso nuovi investimenti immobiliari”,
http://www.fashionmagazine.it 12 Giugno 2008
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Dossier
L’acqua di Napoli
di Consiglia Salvio
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Fare la pace con l’acqua
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Dossier
Sull’acqua non si fanno affari. L’acqua serve per la vita, è un bene di tutti,
e di tutti deve restare.
Innanzitutto l’acqua è un diritto, ed è su questi principi che nasce il
Coordinamento regionale campano per la gestione pubblica dell’acqua.
Un coordinamento che vede insieme tutti i comitati e le realtà locali che
condividono e si battono per questo concetto, interagendo con essi. Il
coordinamento aderisce ed agisce congiuntamente col forum Italiano dei
Movimenti per l’Acqua, e con la Rete europea per l’acqua, andando oltre
i propri territori perché l’acqua non ha confini.
L’Unione europea non sancisce alcun obbligo di liberalizzazione del Sii
né la messa a gara della gestione/erogazione, anzi prevede la possibilità di
adempiere ai compiti di interesse pubblico direttamente mediante propri
strumenti e senza obbligo di affidamento all’esterno (Corte di Giustizia
CE 11-1-’05 in C26/ 03; Parlamento Europeo Ris. 2006/2010-INI del
27/9/06; Libro Verde della Commissione Europea).
Un bell’esempio ci viene da Parigi, il cui sindaco ha deciso di ripubbliciz-
zare la sua acqua, proprio a seguito della gestione fallimentare affidata alla
Veolia Spa, la gigantesca multinazionale europea.
Buone pratiche
La prima e grande battaglia in Campania è iniziata il 23 novembre 2004,
quando si voleva privatizzare la gestione dell’acqua di Ato2 Napoli-Caser-
ta. Una battaglia che è riuscita a mettere “La nostra acqua non si tocca! È
un diritto, un bene comune e non merce su cui lucrare!”
Questa affermazione ha fatto eco a Napoli, in Campania, in tutt’Italia, ed
oltre, fino a Bruxelles (v. lettera sull’acqua, Bruxelles 2007).
La vera eccezionalità sta nel fatto che non si era mai avuto così tanto in-
teresse, tanta attenzione e tanta passione da parte del popolo napoletano
per la difesa di un suo diritto, un suo bene, un sua risorsa svenduta agli
affaristi. Non l’avrebbe mai permesso anche perché consci di quanto era
accaduto con la privatizzazione dell’acqua in Cochabamba (Bolivia) e in
Uruguay alla fine degli anni Novanta. Aumenti delle bollette, mercato
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Fare la pace con l’acqua
nero dell’acqua, privatizzazione persino della pioggia (il cui gestore aveva
persino vietato di raccoglierla), gente che non riusciva a pagare le bollette
dell’acqua, o morta per difendere il diritto alla vita costato tante vite. Si
aveva ben chiaro cosa significasse il privato nella gestione dei beni comuni
e quanta valenza avesse nell’Amministrazione la voce del privato (l’am-
ministratore delegato viene infatti scelto dal privato), sicuramente più
preoccupato di produrre profitti che migliorare un servizio a costo equo.
La storia ci sta dando ragione, prova ne sia, ad esempio, che la Corte
Costituzionale, con sentenza 335/08, ha dettato che la depurazione non
andasse pagata al gestore quando non fornisce il servizio o è momenta-
neamente sospeso. E intanto l’utenza ha pagato e continuava a pagare per
un servizio mai ricevuto! Utenza che oggi richiede il maltolto, ma che sta
subendo ancora una volta, a causa di ciò, aumenti esorbitanti delle tarif-
fe. Tante le bollette pazze che i cittadini stanno ricevendo. Il gestore ha
motivato tali aumenti dichiarando che, a seguito del mancato introito del-
le tariffe sulla depurazione, è obbligato ad aumentare, ovvero guadagna
troppo poco, e quindi… non solo il cittadino non riceve la depurazione,
ma deve anche pagare di più la sua acqua.
A Napoli a seguito della decisione dell’assemblea dei sindaci di privatizza-
re l’acqua, e grazie all’ impegno continuo e democraticamente partecipato
da parte dei movimenti, dei tecnici, dei geologi, degli artisti, delle realtà
territoriali, del mondo cattolico e laico, caso unico in Italia sino a questo
momento, la delibera venne annullata il 30 gennaio 2006.
Grandi festeggiamenti, tante le presenze significative alla manifestazione
del febbraio 2006 che vide la presenza di Alex Zanotelli (motore e promo-
tore della difesa dei diritti umani), di Beppe Grillo (ormai quasi il testimo-
nial indiscusso delle iniziative su acqua e rifiuti in Campania), di Riccardo
Petrella del Comitato italiano per un Contratto mondiale dell’acqua (da
sempre a difesa del diritto all’acqua), di sindaci, di artisti, e di tantissima
gente, che si riappropriava (ma non ancora definitivamente, purtroppo)
di un bene tanto prezioso. A seguito del ritiro della delibera e nonostante
l’Assemblea dei 136 sindaci avesse dato mandato di avviare subito le pro-
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Dossier
cedure per la costruzione dell’in house, cos’è accaduto? Che oggi, a distan-
za di tre anni, non solo non è stato fatto quanto si era deliberato ma l’Ato2
è stato suddiviso in due Ato: Ato2 che ha al suo interno i 36 comuni di
Napoli e Provincia, e Ato5 che ha al suo interno i 100 comuni di Caserta
e provincia. Quest’ultimo è un Ato fantasma, che ancora una volta svela
progetti affaristi sull’acqua, primo fra tutti, lo scopo di creare un nuovo
consiglio d’amministrazione, che avrà dei costi salati, ricadenti ancora una
volta sui cittadini. Con un ciclo integrato inesistente, si è voluto prendere
dalla legge Galli solo ciò che si è voluto o che ha fatto comodo? Ma senza
fonti idriche e quindi senza ciclo integrato un Ato può essere costituito?
Queste e tante domande ancora ci danno modo di riflettere, consci di non
essere soli perché la legge Galli, a livello nazionale – dando origine alla
privatizzazione dell’acqua – ha dato vita in tutt’Italia a situazioni negative
come quelle della Toscana, Aprilia, Abruzzo, Sicilia, Puglia, tutte accomu-
nate dalla presenza dei soliti nomi di imprese e multinazionali dell’acqua,
che vivono gli stessi disagi e ora chiedono la ripubblicizzazione della ge-
stione idrica.
Le Spa, anche se pubbliche, sono un’anomalia in quanto vedono insieme
amministrazioni pubbliche, a cui fa obbligo chiudere i bilanci in pari, con
un margine di guadagno che non superi il 7%, e le Spa, che essendo disci-
plinate dal diritto privato, sono obbligate a fare profitti.
Come Forum Italiano dei Movimenti per l’acqua, nel 2007, abbiamo rac-
colto circa 407.000 firme, e proposto una legge d’iniziativa popolare per
un governo pubblico e partecipato dell’acqua e per la sua ripubblicizza-
zione (www.acquabenecomune.org), oggi in Commissione Ambiente del-
la Camera. Purtroppo la legge 133/08 sulla “stabilizzazione della finanza
pubblica”, obbliga gli Enti a privatizzare, a meno che non gestiscano in
economia la loro acqua, dichiarandola priva di rilevanza economica e af-
fidandola a consorzi fra comuni, aziende speciali o aziende speciali con-
sortili. Su come attuare tutto questo si sta discutendo ampiamente, par-
ticolarmente a Napoli. Un primo passo potrebbe essere la modifica degli
Statuti comunali, in cui venga dichiarato che l’acqua è un bene comune,
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Fare la pace con l’acqua
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RUBRICHE
La colonna infame
di Diego Novelli
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La colonna infame
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Rubriche_ La colonna infame di Diego Novelli
Atto II. Nel novembre del 2003 il marito di Virginia viene promosso a
funzionario del Sisde, ma nel 2004 divorzia dalla moglie entrando in forte
conflitto con lei per l’affidamento del figlio minore. Secondo la denuncia
dell’Armati la moglie lo minaccia “di farlo rovinare”, di ridurlo sul lastrico
per “farlo diventare così povero da non poter più accudire e tenere con sé
il bambino”.
Atto III. Un anno dopo l’Armati dopo vari “maltrattamenti, vessazioni e
azioni di mobbing” inflittegli – secondo la sua denuncia – dai superiori su
pressione del premier, viene improvvisamente trasferito dal Sisde al Mini-
stero della Giustizia, con la riduzione di un terzo dello stipendio. L’agente
segreto minaccia di denunciare tutto alla magistratura e alla stampa. Sia-
mo in piena campagna elettorale (2006) con Berlusconi in svantaggio su
Romano Prodi.
Atto IV. Il 1° aprile del 2006 il trasferimento viene revocato di corsa e
Armati viene assegnato al Cesis (dove tuttora presta servizio) per rafforza-
re improvvisamente gli organici allo scopo di “affrontare nuove minacce
terroristiche” con l’apporto di “professionalità maggiormente operative”,
più che dal timore della denuncia dell’Armati e della “volontà del premier
di evitare lo scandalo”.
Ciò che abbiamo scritto non è frutto di maldicenze: apparteniamo alla
scuola dei giornalisti curiosi, ma non pettegoli. Siamo andati a vedere le
carte, a leggere la denuncia dell’Armati e la sentenza del Tribunale dei
Ministri che pur decidendo per l’archiviazione, negando l’accusa di “abu-
so d’ufficio e maltrattamenti commessi da soggetto investito da autorità”
conferma le doti di tombeur de femmes del nostro Presidente del Consiglio
e del suo satrapismo.
Ne abbiamo riferito su queste colonne anche per i lettori del “Corriere
della Sera”, de “La Stampa” e di tutti gli altri quotidiani italiani, che in
omaggio al dovere dell’informazione che guida i rispettivi direttori, sono
stati privati della notizia dell’archiviazione del caso Sanjust-Berlusconi,
venendo meno a un doveroso servizio.
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Rubriche
Dispacci
di Ennio Remondino
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Rubriche_ Dispacci
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di Ennio Remondino
o studiamo), oppure sono quelli di chi ha tanti soldi e potere per possede-
re o controllare radio e televisioni, stampare giornali e decidere quali libri
fare uscire e quali nascondere nel cassetto?
Al servizio di chi dovrebbe essere oggi il giornalismo e la televisione? Al
servizio di tutti noi che la guardiamo, oppure degli interessi di qualche
ricco imprenditore che la possiede, o di non la possiede ma la controlla
politicamente? La verità e l’onestà, sono un obbligo professionale, o un
fastidioso accessorio di cui una televisione, pubblica o privata che sia, può
fare a meno? Con queste domande volutamente lasciate senza risposta
siamo davvero (e finalmente) alla fine della lezioncina. Un semplice ap-
punto per un’ipotetica lezione di giornalismo da parte di un vecchio gior-
nalista tentato a dedicarsi a qualche cosa di più serio.
Smentendo me stesso, ho ripetuto per trent’anni di avere avuto la fortuna
di praticare il mestiere più bello del mondo. È stato in gran parte vero.
Sino ad un certo giornalismo, sino ad una certa televisione. Poi lo scivo-
lare nel dubbio che tanto altro giornalismo che sta gradualmente preva-
lendo stia per trasformare quel mio lontano privilegio, quel “mestiere più
bello del mondo” nel meno nobile “mestiere più antico del mondo”.
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Rubriche
Pensieri laterali
di Davide Riondino
Reportage futurista
Walter Zap! Fufù! (Katà-Strofè)
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Rubriche
Autodifesa
di Michele Loporcaro
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Rubriche_ Autodifesa
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di Michele Loporcaro
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Rubriche
Il cigno parlante
di Vittorio Cogliati Dezza
L’ambientalismo interpretato
Da noi vige un’immagine di comodo dell’ambientalismo, che si pre-
senta con tre sfaccettature principali, e molteplici varianti tutte ri-
conducibili a quelle tre matrici. Gli ambientalisti annunciatori di
catastrofi, gli ambientalisti che difendono gli uccellini, gli ambien-
talisti che si oppongono allo sviluppo.
È inevitabile, c’è un repertorio di luoghi comuni a cui ciascuno di
noi attinge per orientarsi nella vita quotidiana e dare un senso sod-
disfacente alle cose che accadono. Per pigrizia mentale, il più delle
volte, ma anche perché si è sempre più soli quando si cerca una
bussola originale per interpretare le cose del mondo negli infini-
ti accadimenti quotidiani. Un peccato veniale, ma non per questo
meno foriero di conseguenze nefaste e pericolose, se lo compiono
le persone senza specifiche responsabilità e competenze, quella che
ormai da un secolo va sotto il nome di “massa”. Un po’ più grave se
il peccato lo compiono gli addetti ai lavori, i professionisti dell’in-
formazione e della comunicazione, perché quasi mai è un peccato
innocente. C’è la volontà di ridurre l’ambientalismo a macchietta
degna di pietoso sarcasmo.
Nell’ultimo anno e mezzo questo meccanismo è stato messo al ser-
vizio di un progetto politico. È stata coniata l’immagine e la for-
mula degli ambientalisti del No (a cui poi per riequilibrare è stata
contrapposta la formula degli ambientalisti del fare, quelli disposti
a qualunque compromesso). Costoro sono stati additati all’opinio-
ne pubblica come i responsabili del ritardo nelle opere pubbliche,
del tracollo campano sul fronte dei rifiuti, dell’esorbitante costo
dell’energia, del blocco dell’innovazione tecnologica della ricerca
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Il cigno parlante
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Rubriche_ Il cigno parlante di Vittorio Cogliati Dezza
delle nostre proposte per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici e
trovare un’uscita efficace dalla crisi economica. Piuttosto che rovesciare i
luoghi comuni profusi in abbondanza in questi anni e conseguentemente
riconoscere i meriti, si è voluto affermare, su alcuni quotidiani nazionali,
che gli ambientalisti sono ormai inutili!
Un paradosso su cui varrebbe la pena ragionare.
A noi rimane l’obbligo di essere più bravi e provare a scalfire il muro dei
luoghi comuni. Come Legambiente stiamo lavorando con le forze sinda-
cali ed imprenditoriali per condividere misure concrete che sappiano ri-
spondere alla crisi climatica e siano immediatamente praticabili per uscire
dalla crisi e creare occupazione. Abbiamo costruito il primo tassello con la
Cgil, forse il piano più serio prodotto fin qui in Italia, con misure concrete
ed immediatamente comunicabili. Spazio sui mass media?
Nulla da fare, il potere mediatico continua a nutrirsi di quei luoghi co-
muni e attraverso questi occhiali rimanda al paese un’immagine sfocata e
controproducente dell’ambientalismo, non rendendosi conto del danno
che crea al paese perché ne rallenta la reattività nell’assumere decisioni e
misure che possono rimetterci in pista.
Noi insistiamo, in fin dei conti anche Pier Capponi quando suonò le sue
trombe sapeva di stare dalla parte giusta e di difendere gli interessi reali
della sua gente. E non aveva nessuna certezza che i loro cannoni si sareb-
bero ritirati.
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Rubriche
Con stile
di Marzia Fiordaliso
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Rubriche_ Con stile
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di Marzia Fiordaliso
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Rubriche
Frullare il mondo
di Enzo Argante
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Frullare il mondo
Come è e come non è, adesso ci hanno spiegato (ma forse riusciamo a capir-
lo anche da soli) che quel modello lì (sempre lo stesso del lavoro per compra-
re, per fuggire dal lavoro, per rientrare al lavoro e comprare…) è una balla più
che una bolla. Qui ci hanno cartolarizzato la vita, non solo il denaro: con i
fondi sovrani, i presidenti giullari, i finanziari creativi, i nani e le ballerine
della politica, gli oppositori in cerca d’autore, gli autori in cerca di share; i
testamenti biologici, il turismo sessuale, le intercettazioni impossibili e gli
assalti alla Costituzione. Insomma, ci siamo un po’ persi via… Anche grazie
a quelli che stanno sopra di noi (altro che a destra o a sinistra!).
Per esempio.
Il Grande Fardello. La Borsa, meglio nota con il nome di Piazza Affari.
Sede: Milano. Funzione: soggiogare gli italiani ai criteri e ai valori (?)
finanziari! L’indice della nostra vita, il faro che guida le nostre azioni; il
semaforo dello sviluppo; il cerino custode dei nostri risparmi e di quelli
(più consistenti) dei capitani coraggiosi… l’indice di Borsa che brinda alla
guerra (o al massacro, a secondo dei punti e degli editoriali di vista…) di
Gaza, quella che rimbalza e crolla un giorno sì e un giorno no. Il Gran-
de Fardello delle montagne russe dell’immaginario collettivo. Ma perché
qualcuno non spiega (o più semplicemente non scrive) che la Borsa va in-
terpretata da chi si occupa di finanza e non è esattamente un problema dei
pensionati, precari, salumieri, operatori ecologici che invece di stipendio
campano o perlomeno ci provano?
Un altro esempio.
Gli ecodebiti. Che altro sono gli incentivi per acquistare auto? Il colpo
di genio che arriva dall’alto funziona più o meno così: c’è crisi e le fab-
briche di automobili (improvvisamente!) rischiano il fallimento… allora
gli diamo un bell’incentivo… che ne sono tipo 1.500 euro… che così gli
italiani cambiano tutti la macchina, la Fiat si salva e inquiniamo di meno
perché in linea di massima sono modelli più evoluti, così ci risolleviamo
dalla crisi per… qualche settimana. Nel frattempo agli italiani restano le
rate da pagare per… qualche decina di mesi. Geniale! Altro che G4, 8 e
20. G1 ça suffit!
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Rubriche_ Frullare il mondo di Enzo Argante
Non bastasse.
Senza parole. La “solidal” card (ma c’è ancora? C’è mai stata o ne abbia-
mo solo parlato?) prevede 40 euro mese. Obama ha stanziato 75 miliardi
di dollari per aiutare dai tre ai quattro milioni di famiglie americane a
pagare il mutuo per non farsi pignorare la casa.
Chi siamo, da dove veniamo, dove stiamo andando. Ma soprattutto: chi
cavolo ci sta informando e che cosa ci stanno dicendo!
Che differenza c’è tra quello che è e quello che riescono a farci capire – in
buona e cattiva fede – editori e soprattutto giornalisti? Qual è a questo
punto la mappa dei sistemi di potere a cominciare da quelli dei tele – audio
spettatori – lettori – navigatori – un giorno e per sempre elettori? Questi cosa
vogliono? Lasciatevi consigliare da quelli che la sanno lunga, quelli delle
tre esse: sesso, sangue, soldi.
Basta intendersi sui termini e sull’universo circoscritto, che non è lette-
rale. A cominciare dal sangue. Provate a immaginare qualcosa che a una
delle tre esse relazionato non sia.
Nella confusione si sono dimenticati il valore e i valori, religiosi e non.
Per esempio che differenza c’è tra i programmi di Piero Angela (scompar-
si dal prime time) e I Raccomandati? E fra Gente e l’Internazionale? Cos’è
più navigato Facebook o il museo virtuale del Louvre? Quali sono le paro-
le più frequentemente usate – che ne so – negli ultimi due mesi: riutilizzo
e riciclo, protezione dell’ambiente, alternative economiche, formazione
ai nuovi mestieri? Oppure: stupro, migranti, crollo, disastro (va bene per
finanziario, stradale, ambientale), razzismo, giustizialismo, fanatismo.
Comunque va bene così.
Sappiamo bene che l’importante è comunicare.
E tutto sommato, anche a chi.
Ma la crisi/cambiamento ci sta togliendo il dizionario dei consumi sotto i
piedi e non sappiamo più che cosa…
Al tempo.
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Rubriche
Altre mafie
di don Luigi Ciotti
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Rubriche_ Altre mafie
esplorare la zona grigia di chi, non affiliato, era stato però complice o in-
termediario, si era lasciato corrompere e condizionare, o semplicemente
aveva finto di non vedere. Un zona grigia fatta di compiacenze politiche ed
economiche anche ad alti livelli, ma al tempo stesso alimentata da un più
generale deficit di senso civico, da quelle piccole forme di illegalità tanto
diffuse quanto “depenalizzate” nelle coscienze di chi le commette.
Sedici anni dopo, è bello per me constatare come in questo lasso di tem-
po siano tante le esperienze di valore maturate in questo campo. Riviste,
pubblicazioni, siti web gestiti con passione e competenza, affrontando le
difficoltà e non di rado i pericoli che, soprattutto in certi territori, parlare
di mafie comporta. Esempi di un’informazione libera, che non stravolge
la realtà attraverso la menzogna o la copre con l’omissione e il silenzio.
Un’informazione che, non dimenticando il costo delle parole, ha potuto
così preservarne il significato.
Pensiamo ad esempio alla parola “legalità”. Quante strumentalizzazioni in
suo nome! Col risultato di fare della legalità non la garanzia della giustizia,
ma il nome abusivo dato a misure che mirano a tutelare poteri e preserva-
re privilegi. Per questo, piuttosto che di “legalità”, preferisco parlare oggi
di “responsabilità”. E sentirmi parte di una “società responsabile”, visto
che “società civile” è un’altra espressione abusata, che arranca ormai per
nascondere il vuoto di pratiche troppo spesso annunciate e mai realizzate.
Tutti siamo cives, ma per riempire di senso questa generica “qualifica” di
cittadinanza sono necessarie scelte e pratiche quotidiane mai scontate.
L’importanza delle parole, poi, oggi è quasi sempre affiancata alla potenza
evocativa delle immagini: la comunicazione di massa passa in primo luogo
attraverso la televisione. Anche in questo caso dobbiamo stare attenti a
non considerare con leggerezza i criteri usati per confezionare e “vende-
re” certi contenuti. Penso ad esempio all’ormai fiorente industria delle fic-
tion televisive sulla mafia. È vero che di questi argomenti è sempre meglio
parlare che tacere, tanto più se il prodotto è capace di arrivare a pubblici
di milioni di persone. Come è vero che alcune di queste produzioni sono
costruite con cura, preparate attraverso un serio lavoro di documenta-
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di don Luigi Ciotti
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Rubriche_ Altre mafie di don Luigi Ciotti
ricerca, dall’amore per la verità. Giornalisti non solo col talento dell’in-
chiesta, l’intuito che individua la pista giusta e la testimonianza cruciale,
ma animati da una grande passione civile, dal dovere di studiare, docu-
mentarsi, aggiornarsi, non dare mai nulla per scontato, verificare la cor-
rettezza dei dati e l’attendibilità delle fonti.
Ecco, tradotte in storie e scelte di persone, le premesse sulle quali co-
struire un’informazione di qualità, capace di allargare gli orizzonti senza
gettare veli sulla realtà, svincolata dalle gabbie dell’indice di gradimento
e dell’offerta di largo consumo. Un’informazione che senta la responsa-
bilità educativa dell’essere finestra sul mondo, e che si metta davvero al
servizio di quella libertà di pensiero sancita dall’articolo 21 della nostra
Costituzione.
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FUOCHI
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Roberto Morrione
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Fuochi_ L’autunno del giornalismo a Gaza
L’informazione a rimorchio
Il grande sistema dell’informazione non è stato il protagonista di questa
fase, rivelando invece la sua debolezza e il declino di quel ruolo di testi-
mone della realtà, di libero osservatore degli eventi e delle loro cause,
di autonomo analizzatore di responsabilità, di portatore innanzi tutto di
umana solidarietà verso vittime innocenti e indifese, indipendentemente
da posizioni precostituite o scelte politiche di campo, che dovrebbe essere
alla base del patto di lealtà e trasparenza con i lettori e gli ascoltatori. Sia
pure e a maggior ragione per l’assenza forzata degli inviati e delle teleca-
mere nelle strade di Gaza, il quadro di ciò che stava avvenendo, da parte
della quasi totalità dei media italiani e con poche eccezioni (per il servizio
pubblico della Rai è giusto citare i servizi del Tg3) è stato per settimane
a rimorchio delle posizioni assunte dai governi, colmo di analisi politiche
e di ideologismi che si rifacevano allo schierarsi pregiudiziale delle aree
politiche “di riferimento”, in gran parte allineato con le ragioni di Israele,
sordo a un dialogo che, per essere tale fra contendenti impegnati in com-
battimenti, non poteva che essere costruito con ambedue le parti.
Il generale allineamento preventivo sulle posizioni di Israele, bersaglia-
to dal continuo lancio dei missili da Gaza, non ha corrisposto peraltro
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Roberto Morrione
a una seria analisi su Hamas, esorcizzata per gli atti terroristici e per la
sua volontà di dissoluzione dello Stato ebraico, ma con la cui piattaforma
politica e influenza sociale, dopo il successo elettorale e la breve guerra
civile vinta contro Abu Mazen e Al Fatah, non si può evitare di fare i con-
ti. Così nell’informazione del nostro Paese è risultata inesistente, o solo
sfiorata, una qualsiasi analisi sulle luci e le ombre del governo di Hamas,
che all’efficiente organizzazione civile unisce pesanti aspetti repressivi e
censori, denunciati fra l’altro dalle stesse emittenti arabe attive nella Stri-
scia di Gaza, mentre non si è andati a fondo sulla consistenza della tesi
israeliana degli “scudi umani” per coprire i lanci missilistici contro Israele,
probabile concausa degli spietati bombardamenti contro edifici pubblici
e abitazioni civili. Dunque una complessiva deriva informativa a più vol-
ti, aggravata dalla superficialità, da carenze professionali e dall’assenza di
approfondimenti dei contesti degli eventi, quanto di peggio cioè il cattivo
giornalismo possa produrre…
Nella tragedia vissuta dalla popolazione, le stesse immagini dei bambini
morti o feriti, le macerie, lo strazio di famiglie rimaste senza casa, costret-
te al buio, alla fame e alla sete, sono state sottovalutate, come “incidenti
collaterali” di un conflitto di cui si giustificava quasi sempre la genesi e le
modalità, per di più senza analizzare e prevedere le catastrofiche conse-
guenze sull’intero Medio Oriente e nel complesso rapporto fra islamismo,
mondo arabo e occidente. La desolante contabilità dei morti, nella quo-
tidiana litania dei tg e dei giornali perdeva così ogni significato fuorché il
sapore statistico di una progressione aritmetica senza spiegazioni, come se
si trattasse di vittime di incidenti della strada o di un eccezionale maltem-
po. Quanti, fra i giornali e i tg italiani, hanno riflettuto sul significato e
l’orrore dell’asimmetria, fin dall’inizio e crescente sistematicamente ogni
giorno, fra le 13 vittime israeliane e i 1340 morti palestinesi, destinati pur-
troppo a crescere via via che si sgombrano le innumerevoli macerie, fra i
quali almeno 418 bambini e centinaia di donne? O sugli oltre 5.300 feriti,
molti dei quali destinati a morire o a restare mutilati per sempre e sulle
4.000 case distrutte, fra cui decine di edifici pubblici, scuole, moschee,
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Fuochi_ L’autunno del giornalismo a Gaza
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Roberto Morrione
Un sistema al disastro
La commistione fra realtà e propaganda era peraltro apparsa in tutta la
sua portata nel corso del conflitto in Iraq, quando la favola del possesso
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Fuochi_ L’autunno del giornalismo a Gaza
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Roberto Morrione
il grigio opaco della palude, non sta finora avvenendo neppure questo
tentativo.
Il vuoto, i conformismi, le amnesie, i condizionamenti dell’informazione
nella sostanziale subordinazione editoriale e professionale alla morsa della
pubblicità, ai poteri e ai potenti, sono parte integrante della crisi di pro-
spettiva e di fiducia in cui siamo immersi, in pace come in guerra.
Sottraendosi ai suoi caratteri fondanti di conservazione della memoria e
di sviluppo della conoscenza, che si traducono nel mantenere ogni giorno
verità, onestà intellettuale, libertà d’espressione, confronto delle idee, ri-
cerca di nuovi linguaggi, l’informazione si rende pesantemente correspon-
sabile, prima ancora che dell’ assenza di nuovi modelli di sviluppo basati
sul principio di eguaglianza finora negato da un neo-liberismo selvaggio,
dell’inadeguatezza morale e culturale con la quale stiamo affrontando un
disastroso presente per cercare di costruire un più accettabile futuro.
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Fuochi
La democrazia
dopo la democrazia
di Antonio Ruggieri
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Antonio Ruggieri
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Fuochi_ La democrazia dopo la democrazia
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Antonio Ruggieri
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Fuochi_ La democrazia dopo la democrazia
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Antonio Ruggieri
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Fuochi_ La democrazia dopo la democrazia
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Antonio Ruggieri
denza elettronica, non abbiano mai utilizzato una web cam e ignorino
le potenzialità rivoluzionarie della social communication. In questo “gap
culturale” dal profilo inquietante e ancora sfrangiato, consiste la trasver-
sale e sostanziosa inadeguatezza della nostra classe dirigente. La rete ha
già mutato irreversibilmente l’universo della comunicazione e il mestiere
di chi comunica. Lavora senza sosta e sotto i nostri occhi a rivoluzionare
la forma della democrazia, così come l’abbiamo conosciuta fino a questo
momento. Lo studioso americano Philip Meyer, nel suo “The vanishing
newspaper”, preconizza la scomparsa dell’informazione cartacea quoti-
diana entro il primo trimestre del 2043.
Per quella data, dice Meyer, tutta l’informazione passerà sul web, acqui-
standone in economicità e attualità; d’altronde questa prospettiva è assai
più che annunciata. La rete ha reso obsoleta e anche un po’ patetica la
censura, anche a suffragio della sua naturale propensione alla trasparenza,
come sostiene De Kerckhove. La rete sta trasformando la sua attuale, an-
cora generalista e monocratica antagonista, la televisione, che da essa sarà
veicolata con sempre maggiore efficienza e definizione. La rete realizza
l’esortazione europeista di “agire localmente ma pensare globalmente”
perché è fisiologicamente “glocale”, valorizzando entrambi i termini di
quest’ossimoro stimolante. È locale fino alla valorizzazione del singolo
individuo che però ha una via “connettiva” (meglio ancora che “colletti-
va”) per confrontarsi e connettersi (per l’appunto) con infiniti gruppi che,
per approssimazione, alludono all’intera umanità. È globale perché, come
s’è detto, è implosiva e mette nella disponibilità di ognuno quello che è
accaduto e quello che accade, per orientare ciò che accadrà, in un sistema
planetario di relazioni. La rete lavora, senza eclatanza, a una strategia che
mette in mora l’assetto di rappresentanza della nostra democrazia, apren-
do prospettive sempre più concrete e praticabili a un sistema di governo
interattivo e orizzontale, del tutto sottovalutato dagli analisti della crisi
(ormai comatosa) della politica.
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Fuochi
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Edoardo Novelli
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Fuochi_ La comunicazione della paura
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Edoardo Novelli
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Fuochi_ La comunicazione della paura
Trovare le parole
Ed ora le parole. Un soggetto che fa della novità un elemento caratteriz-
zante della propria proposta politica dovrebbe trovare il modo di raffor-
zarla anche tramite il linguaggio. Ebbene quali sono le parole nuove del
Pd, quali i termini sui quali si è realizzata la convergenza e la confluenza
delle due principali storie e culture politiche del Paese? Incanalati nello
stesso letto il fiume democristiano e quello postcomunista hanno conti-
nuato a scorrere parallelamente senza mischiarsi più di tanto. Se ti man-
cano le parole vuol dire che non hai nulla da dire, dice un vecchio adagio.
È una semplificazione eccessiva, ma la semplicità in alcuni casi non è un
difetto. Alle prese con una crisi economica di dimensioni mondiali che
coinvolge il principale modello di sviluppo, di fronte alla svolta ambien-
talista non di uno sparuto gruppo di ecologisti, ma della presidenza degli
Stati Uniti, possibile non lavorare per trovare parole amiche, espressioni
nuove e favorevoli da imporre nell’agenda della politica, sulle quali com-
pattare il proprio schieramento e rafforzare la propria identità?
Non avallare con imbarazzati silenzi e non accettare come dati di fatto gli
slogan della maggioranza. Il governo Prodi non è stato disastroso, è stata
critica la sua gestione, ma molti dei suoi provvedimenti sarebbero da di-
fendere e da rivendicare. Fare una opposizione dura e risoluta al governo
è sacrosanto diritto dell’opposizione non segno della sua immaturità e
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Edoardo Novelli
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Fuochi
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Bankor Jr.
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Fuochi_ Chi ha ucciso l’economia
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Bankor Jr.
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Fuochi_ Chi ha ucciso l’economia
chs, J.P. Morgan, Morgan Stanley, Merrill Lynch, insomma il Gotha della
finanza mondiale: avrebbero fatto crescere tutti e garantito tutti con il
proprio nome, la propria storia, l’indiscussa bravura. Un esempio per tut-
ti. Il fatto straordinario è che di questi passaggi, delle iniziative legislative
con le quali Gramm, ma potremmo dire anche Bill Clinton, smontarono
il sistema dei controlli che fino ad allora avevano fatto degli Stati Uniti
uno dei paesi più trasparenti e sicuri dal punto di vista finanziario, tranne
poche eccezioni, non ne parla nessuno. Se ne trova qualche traccia negli
articoli di Luciano Gallino su Repubblica, in un articolo di Roberto Se-
ghetti su Panorama e appena una citazione in un paginone pubblicato da
La Stampa (ma Gramm è l’unico ad essere citato senza foto) con la lista di
tutti i possibili colpevoli.
La ragione? Ve ne sono diverse. Sicuramente, pesa un po’ di ignoranza. È
più semplice parlare delle persone più conosciute, di coloro sui quali trovi
montagne di ritagli negli archivi. Uno di questi è Alan Greenspan, gover-
natore della Federal Reserve, altro colpevole, certamente, ma appunto più
conosciuto perché è stato in primo piano sul palcoscenico mondiale ed è
un personaggio che i giornali di tutto il mondo hanno amato o odiato. Un
altro motivo può essere la mancanza di teatralità, si potrebbe dire di colo-
re, di un eventuale articolo su uno sconosciuto senatore texano.
Ma forse c’è qualcosa di più. Forse ha giocato un ruolo decisivo anche il
comodo appoggiarsi alla vulgata dei più togati commentatori, economi-
sti, banchieri, grandi industriali, esperti di vario genere, tutti d’accordo
in fondo che non occorra dar troppo fastidio a coloro che fanno affa-
ri. Perché prendersela con Gramm o con Bill Clinton, se per tutti resta
necessario lasciare ai banchieri, ai finanziari, agli industriali mani libere?
Leggete bene i nostri quotidiani: guai a coloro che pensano di reintrodur-
re controlli veri, ficcanti, sui movimenti di denaro. Di che cosa si discute
nei fondi e negli editoriali dei principali quotidiani nazionali in mezzo
alla crisi provocata dalla voracità e dalle malefatte dei finanziari e dei ban-
chieri di mezzo mondo, crisi che stiamo pagando tutti? Della riforma dei
contratti di lavoro, della riforma delle pensioni, della flessibilità del mer-
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Bankor Jr.
cato del lavoro e della necessaria protezione per coloro che, per salvare le
imprese, bisognerà buttare fuori dall’impiego. Il ministro dell’Economia,
Giulio Tremonti, in altri momenti fautore di una politica considerata dal-
l’opposizione fantasiosa, oggi cita regole, controlli, ritorni a un’occhiuta
vigilanza, e se la prende con i banchieri e i finanziari. I giornali ne riporta-
no le dichiarazioni, con enfasi. Ma poi si fermano lì, non vanno a fondo.
Come dire, nella stampa italiana, controllata dai maggiori gruppi bancari,
finanziari e industriali del paese, così come sui mezzi dei principali paesi
ricchi, sembra che sia disdicevole proporre di rendere gli affari davvero
trasparenti. Pensosi fondi avvertono i rischi di un’eventuale nazionalizza-
zione delle banche (che priverebbe gli azionisti dei loro poteri) e invocano
invece la salvezza con un esborso massiccio di risorse sottratte ai contri-
buenti. Si continuano a sparare titoli a tutta pagina contro la criminalità
organizzata. Ma si continua anche a guardare con comprensiva parteci-
pazione l’industriale o il banchiere che ha aggirato le regole (notizia che
finisca a pagina 35).
È in questo contesto, insomma, che nasce il sospetto di un’omissione e di
una superficialità voluta. Raccontare come Gramm o Bill Clinton, hanno
contribuito a smontare le regole, permettendo una crescita esponenziale
della ricchezza finanziaria a favore di pochi e a danno di molti, non ha ap-
peal. Parlare di controllo sui movimenti di denaro fa storcere il naso. Vuoi
mettere invece il plauso che puoi ottenere dai principali azionisti del tuo
giornale se, proponendo l’estensione della cassa integrazione ai giovani
precari, come si conviene a chi ha buon cuore, ipotizzi pure il superamen-
to dello statuto dei lavoratori?
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Fuochi
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Guido Viale
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Fuochi_ La guerra dei rifiuti in Campania
dei propri territori e della propria salute. Sono state sospese le principali
norme a difesa della salute e dell’ambiente, come quelle che vietano di
conferire rifiuti pericolosi e percolato tossico a impianti di smaltimento
dei rifiuti urbani e di depurazione di scarichi civili. È stato eliminato il
principio costituzionale del giudice naturale, attribuendo la gestione di
tutti i procedimenti relativi ai rifiuti a un tribunale ad hoc, riuscendo con
ciò, per lo meno finora, a preservare il Sottosegretario di Stato dall’incri-
minazione per reati per i quali sono sotto processo tutti i suoi principali
collaboratori di un tempo.
L’asservimento dell’informazione
Che cosa ha reso possibile tutto ciò? La gestione distorta e asservita del-
l’informazione. È stato fatto credere che la situazione drammatica in cui
versa la Campania è dovuta all’inciviltà della sua popolazione che si rifiu-
terebbe di fare la raccolta differenziata, mentre è dimostrato che dove i
sindaci si sono adoperati per organizzarla, anche in Campania sono stati
raggiunti risultati di eccellenza. È d’altronde provato che a ostacolare
la raccolta differenziata è stata la decisione della società Impregilo, che
aveva in appalto la gestione di tutti i rifiuti della regione, di produrre la
maggior quantità possibile di rifiuto indifferenziato per massimizzare i
guadagni dell’inceneritore di Acerra, grazie a incentivi che sono vietati in
tutto il resto d’Europa.
È stato fatto credere che gli impianti di trattamento e smaltimento dei
rifiuti non sono mai entrati in funzione per l’opposizione degli ambienta-
listi e della popolazione, mentre – come dimostra Paolo Rabitti nel libro
Ecoballe, scritto sulla base degli atti giudiziari della Procura di Napoli – è
stata la ditta assegnataria che, sempre per accrescere i ricavi del futuro in-
cenerimento, ha scientemente boicottato il funzionamento degli impian-
ti di trattamento intermedio (Cdr) di cui la Campania ha la dotazione più
ricca tra tutte le regioni italiane.
È stato fatto credere che gli sversamenti illegali di rifiuti tossici che con-
tinuano ormai da decenni sono dovuti all’omertà, se non alla complicità
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Guido Viale
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Fuochi
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Gianni Silvestrini
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Fuochi_ Come uscire “puliti” dalla crisi
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Fuochi
Global warming:
cosa può fare l’uomo
di Maria Grazia Midulla
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Maria Grazia Midulla
L’impronta umana
L’impatto del clima nella storia della civiltà umana è sempre stato enor-
me, anche in presenza di fenomeni periodici e naturali. L’affermarsi e
la scomparsa di intere civiltà sono state determinate dall’andamento del
clima. Per clima si intende l’insieme delle condizioni atmosferiche medie
ottenute da rilevazioni omogenee dei dati per lunghi periodi di tempo.
Niente a che fare con i singoli episodi meteorologici. Il clima di una re-
gione geografica determina la flora e la fauna, influenzando le attività
economiche, le abitudini e la cultura delle popolazioni che vi abitano.
Gli esseri umani hanno sempre percepito le condizioni climatiche come
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Fuochi_ Global warming: cosa può fare l’uomo
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Maria Grazia Midulla
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Fuochi_ Global warming: cosa può fare l’uomo
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Fuochi
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Marco Ferri
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Fuochi_ La crisi dei media passa dalla pubblicità
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Marco Ferri
Il pubblico si adegua
Se i governi appaiono frastornati, a maggior ragione disorientate sono le
opinioni pubbliche. Alla crisi ambientale, alla crisi energetica e alla crisi
economica, si è aggiunta una quarta crisi: è la crisi dell’informazione. Il
mondo dei mass media è in crisi in tutto il mondo. E con i mass media è
di conseguenza andata in crisi la pubblicità. Sir Martin Sorrell fondatore
e chief executive officer di Wpp, colosso britannico della pubblicità mon-
diale, sostiene che “nel giro di un paio d’anni assisteremo a un radicale
cambiamento rispetto agli attuali equilibri. Sempre meno giornali, sempre
più internet e broadcaster televisivi “tradizionali” che cederanno via via
terreno nei confronti di nuovi modelli d’ intrattenimento e informazio-
ne audiovisiva”. Le previsioni che riguardano i grandi giornali americani
sono brutte. Il New York Times per ripianare i bilanci in rosso ha dovuto
vendere il grattacielo disegnato da Renzo Piano, che ospita la redazione a
New York; il Wall Street Journal, divenuto di proprietà di Rupert Murdo-
ch, ha annunciato tagli e licenziamenti pari al 50 per cento degli addetti.
Se questi eventi fanno pensare a una caduta più ampia della stampa ame-
ricana, anche dall’Europa non giungono buone notizie. In particolare in
Spagna, dove alcuni editori di giornali e tv italiani hanno forti interessi, la
crisi ha colpito duramente: il crollo della raccolta pubblicitaria rasenta il
30 per cento, mentre cinquecento giornalisti spagnoli sono stati allonta-
nati dal lavoro e le previsioni parlerebbero di circa tremila licenziamenti
entro la fine del 2009. In Italia c’è stata la messa in stato di crisi nel grup-
po Rcs. Il Gruppo Espresso registra cali di diffusione pari al 9,6 per La
Repubblica, del sei per L’espresso (dati Ads).
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Fuochi_ La crisi dei media passa dalla pubblicità
È fosco lo scenario futuro del rapporto tra pubblicità e media. Nei paesi
sviluppati la tv rimarrà ancora dominante, ma dall’attuale quota di merca-
to attorno al 30-35% scenderà al 20-25%. Internet, oggi attorno al 12%
salirà anch’essa al 20-25%. E quanto alla carta stampata, vede anche qui
una riduzione al 20-25%. Giornali e riviste sono i più esposti alla concor-
renza dei media via internet.
Secondo l’ultima rilevazione di Nielsen, azienda americana specializzata
nelle ricerche di mercato, lo scenario italiano sembrerebbe in linea con le
previsioni di decrescita mondiale: il confronto fra dicembre 2008 e dicem-
bre 2007 registra un calo del -10% della pubblicità italiana. Nel confronto
mensile il calo interessa tutti i mezzi tranne internet che cresce dello 0,9%
sul dicembre 2007. L’analisi per mezzo vede nell’anno un calo dell’1,2%
della televisione e del 7,1% della stampa.
Certo è, comunque che dovremo prepararci a significativi cambiamenti,
spinti dalla crisi globale che ha impattato su un sistema dei media e della
pubblicità già in evoluzione, ben prima che la crisi economica si facesse
sentire con tutta la sua potenza. Una volta la pubblicità era “ospite gradi-
to” dei giornali, poi della radio, poi della tv e poi di internet. Ma la forza
economica conquistata dalle grandi holding finanziarie, quotate in Borsa
ha capovolto i rapporti di forza economici, a tutto vantaggio della comu-
nicazione commerciale.
Oggi sembrerebbe quasi che tv, stampa e internet siano diventati loro gli
“ospiti fissi” della pubblicità, ospiti che devono piegarsi, nel bene e nel
male, alle esigenze del padrone di casa e degli inserzionisti globali e locali.
La cosa è molto evidente su scala globale, anche se ha delle serie ripercus-
sioni su un mercato locale come quello italiano. Secondo Nielsen Media
Research, in Italia gli investimenti pubblicitari nel totale anno 2008 am-
montano a 8.587 milioni. La variazione dicembre 2008 su dicembre 2007
è del -10,0%. Nel confronto mensile il calo interessa tutti i mezzi tranne
internet che cresce dello 0,9% sul dicembre 2007. L’analisi per mezzo
vede nell’anno un calo dell’1,2% della televisione e del 7,1% della stampa,
mentre la radio segna +2,3% superando i 487 milioni di raccolta.
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Marco Ferri
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Fuochi_ La crisi dei media passa dalla pubblicità
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Fuochi
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Antonio Gaudioso
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Fuochi_ Una tv a misura di cittadino
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Fuochi
Ultime notizie
dalla crisi dell’editoria
di Silvia Garambois
Corriere della Sera, meno 9%. Libero, meno 7%. I dati della diffu-
sione di gennaio 2009 – dopo la caduta libera delle vendite di fine
2008 – hanno gli stessi pesanti segni meno delle maggiori aziende
del Paese. E le previsioni per i primi mesi del 2009 indicano addirit-
tura, rispetto all’anno precedente, un crollo del 20-25% delle vendi-
te da edicola. C’è solo una barchetta di carta che, pur sballottata tra
i marosi, resta a galla mentre si sente scricchiolare il fasciame delle
grandi navi ammiraglie: è infatti più o meno questo il rapporto, in
tempo di crisi, tra la “fragile” free press e i grandi giornali venduti in
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Silvia Garambois
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Fuochi_ Ultime notizie dalla crisi dell’editoria
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Silvia Garambois
relative alla stampa, anche per quel che riguarda congressi e manifesta-
zioni – spiega Ignacio Gil, editore di free press spagnolo ma soprattutto
promotore e direttore del Congresso –. È arrivato il momento che anche
la free press abbia i suoi rappresentanti, visto che ormai supera la stampa a
pagamento in diffusione, tiratura, lettori e spesso anche qualità”.
E con un’ambizione “alta”: il “Manifesto di Madrid”, un decalogo della
free press in cui gli editori si impegnano con i loro lettori, “al servizio
della diffusione della lettura, della democrazia e della difesa della liber-
tà di espressione”. “È una dichiarazione di principio rivolta alla società
mondiale – spiega ancora Gil – in cui la free press esprime i suoi valori.
Noi chiediamo agli editori di stampa gratuita di adottarli e di metterli in
pratica nel loro lavoro quotidiano”.
Tre giorni densissimi di relazioni, dibattiti, focus, una raffica di interventi.
Editori venuti dai punti più disparati del globo, piccoli rappresentanti di
“editoria di prossimità” (giornali di quartiere, di nicchia, con target molto
definiti) o editori di giornali, come il dominicano Diario Libre, che ven-
gono considerati un “caso” per la loro diffusione così capillare (tre milioni
di lettori in un paese che non arriva a dieci milioni di abitanti) da far con-
correnza, in quanto a numero di copie, ai colossi nordamericani.
Un Congresso considerato tanto autorevole in Spagna – dove la free press
è una realtà consolidata, con una propria Federazione di editori – che per
l’apertura dei lavori è intervenuta la vice di Zapatero, donna Teresa Fer-
nandez De La Vega, con un discorso sul valore democratico della stampa
libera, di quelli che allargano il cuore ai giornalisti. E tra gli oratori c’era
anche il ministro dell’Industria spagnolo, Miguel Sebastian (considerato
il consigliere economico più vicino a Zapatero nella segreteria e nel go-
verno), mentre la chiusura dei lavori se l’era riservata la presidente del-
la Regione di Madrid, Esperanza Aguirre, nei saloni della monumentale
Casa de la Villa.
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Fuochi_ Ultime notizie dalla crisi dell’editoria
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Silvia Garambois
Il caso Italia
Mister Bakker, raccontando ai congressisti spagnoli come va il mondo del-
l’editoria free, si è soffermato nell’analisi del nostro Paese non solo perché
è considerato un “mercato saturo” per la pubblicità, insieme a Danimarca,
Spagna, Francia, Olanda e Corea, ma già a ottobre lo studioso delineava in
particolare il dato negativo relativo all’economia in recessione nel nostro
Paese. Addirittura difficile dunque, secondo questa analisi, la convivenza
in Italia di tante testate nazionali. Anche se poi i nostri quotidiani gratuiti
hanno storie – culturali e industriali – assai diverse: Leggo e Metro che
seguono il modello “venti minuti di lettura sulle subways e il giornale è
pronto per il cestino della spazzatura”; Epolis e Dnews, che al contrario
si pongono come free di seconda generazione, cioè puntano sulla stessa
completezza e qualità dei giornali da edicola; City (La Stampa) e 24mi-
nuti (Il Sole24 ore) dove bilanci e pubblicità si intrecciano con quelli dei
gruppi di appartenenza. Ma Bakker non ci va leggero: non c’è posto per
tutti. Secondo lui, il futuro darà spazio solo a 3-4 titoli. Notizia che gli
spagnoli (dove sono addirittura 33 le testate free riunite in Federazione)
hanno accolto per primi con una certa freddezza.
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Fuochi
Nucleare, l’ipocrisia
del pensiero berlusconiano
di Ermete Realacci
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Ermete Realacci
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Fuochi_ Nucleare, l’ipocrisia del pensiero berlusconiano
l’avvio. Non è un caso che negli Stati Uniti le aziende private di produ-
zione di energia elettrica dalla seconda metà degli anni ‘70, ben prima di
Chernobyl e del referendum antinucleare italiano, non avviano la costru-
zione di un nuovo impianto. E neanche i generosi contributi (18,5 milioni
di dollari in crediti agevolati) della vecchia amministrazione Bush hanno
cambiato questa situazione.
Il Pd su questo tema ha una posizione diversa e precisa. Noi riteniamo
che l’Italia debba fare i conti con l’opzione nucleare, ricostruire un siste-
ma istituzionale e tecnico in grado di sostenerla, e impegnarsi con forza
nella ricerca per arrivare a tecnologie nucleari sicure, la cosiddetta IV
generazione che vede la presenza in Italia di eccellenti centri di ricerca.
Ma pensiamo che oggi sarebbe un errore imbarcarci in un programma
di centrali nucleari che a fronte di un costo rilevantissimo – non meno
di 20 miliardi per realizzare 4 impianti – darebbe assai pochi vantaggi.
I “nuovi” impianti, “comprati” dalla Francia, nuovi per dire visto che si
basano su tecnologie destinate a essere presto superate, comincerebbero a
funzionare non prima di quindici anni, e da quel momento coprirebbero
meno del 5% del fabbisogno energetico nazionale; nel frattempo questa
scelta sottrarrebbe inevitabilmente risorse, sia pubbliche che private, a
obiettivi quanto mai urgenti – investire in efficienza energetica, sviluppo
delle fonti rinnovabili a cominciare dal solare, promuovere l’innovazione
tecnologica dall’idrogeno al carbone pulito – che in tempi enormemente
più brevi consentirebbero di abbattere le emissioni che alimentano i mu-
tamenti climatici, di ridurre sensibilmente la nostra dipendenza energeti-
ca dall’importazione di petrolio, di accrescere la competitività delle nostre
imprese (più efficienza vuol dire che l’energia pesa di meno sui costi di
produzione), di alleggerire le bollette a carico delle famiglie. Questa è la
vera frontiera dell’innovazione in campo energetico, una frontiera che
rappresenta un’opportunità tanto più grande in questa fase di dramma-
tica crisi economica: come insegnano le strategie anti-crisi dei principali
Paesi industrializzati, dall’Europa agli Stati Uniti di Obama, incentivare
l’efficienza energetica, incentivare lo sviluppo delle fonti energetiche pu-
146
Ermete Realacci
lite, sono vie molto efficaci per sostenere l’economia, i consumi, per far
nascere nuove imprese innovative, per promuovere la creazione di posti di
lavoro. Il Presidente Obama ritiene di poter creare negli Stati Uniti nel-
l’ambiente 5 milioni di posti di lavoro e la Cancelliera Merkel di portare
gli attuali 1 milione e 800 mila occupati “verdi” a tre milioni. In nostro
paese non deve essere da meno. E sono vie decisive perché, finita la crisi,
l’Italia non si ritrovi sempre più ai margini dell’economia globale.
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Fuochi
Sappiamo che i media non solo fanno parte del nostro quotidiano,
ma lo costituiscono, lo creano. Basti pensare a quanto internet e il
telefonino hanno trasformato il modo di comunicare, di lavorare, di
relazionarsi in famiglia, di trascorrere il tempo libero, negli ultimi
dieci anni. Anche grazie a queste ultime tecnologie “di massa” il
flusso di messaggi e di stimoli che quotidianamente ci arrivano è au-
148
Marco Grollo
1
Cfr. Todd Gitlin, Sommersi dai media,ETAS, 2003; Wilem Flusser, La cultura dei media, Mondadori, 2004;
Giovanni Sartori, Homo Videns, Laterza, 2004
2
Todd Gitlin, op. cit., pag. XXIV
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Fuochi_ Media, democrazia, educazione
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Marco Grollo
3
Piercesare Rivoltella, Media education, Carocci, 2001, pag. 25
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Fuochi_ Media, democrazia, educazione
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Marco Grollo
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Fuochi
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Gianni Spallone
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Fuochi_ Il linguaggio dei piedi in tv
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Gianni Spallone
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Fuochi_ Il linguaggio dei piedi in tv
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Gianni Spallone
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Fuochi
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Giuseppe Onufrio
mese intervistato dal Sole24Ore la cifra citata era nel frattempo cresciuta
a 4 miliardi. Eppure, nel mese di maggio, il suo omologo della tedesca
E.On intervistato dal Times Online, dichiarava l’interesse dell’azienda a
costruire reattori nel Regno Unito che potevano costare “fino a 6 mi-
liardi” (esclusi i costi per smantellare i vecchi reattori da sostituire con i
nuovi Epr). A fine febbraio 2009 apprendiamo dal quotidiano finanziario
finlandese Kauppalehti che, a causa dei ritardi nella costruzione dell’Epr
a Olkiluoto (un altro cantiere è in Francia a Flamanville) il costruttore
francese Areva minaccia l’azienda finlandese Tvo di citarla per danni per
2 miliardi di euro perché non ha messo in pratica un accordo per acce-
lerare i lavori, sottoscritto nel 2008. La Tvo da parte sua, accusa Areva
dei ritardi e minaccia di chiedere danni per 2,4 miliardi di euro. Il quoti-
diano finanziario conservatore aggiunge che, a causa dei maggiori costi,
graveranno sui consumatori di energia circa 3,5 miliardi di euro in più
del previsto. Questi ritardi sono poi accompagnati da tentativi di tagliare
tempi e costi, cosa che ha con ogni probabilità influito molto sulle oltre
2.100 “non conformità” riscontrate in cantiere dall’Autorità di sicurezza
nucleare finlandese Stuk, alcune delle quali relative a parti molto impor-
tanti del reattore.
La propaganda del Governo italiano e di Enel su quanto converrebbe eco-
nomicamente il nucleare che ha accompagnato l’accordo per fare 4 Epr
in Italia, è stata accompagnata da una stampa prevalentemente favorevole
che però non risulta abbia mai chiesto né a Conti né a Scajola come mai le
cifre sui costi dei reattori citate in altri Paesi siano così diverse dalle loro.
Infatti anche negli Usa le cifre che circolano, pur se relative alla tecnolo-
gia statunitense, sono più che doppie di quelle presentate da Enel (e dai
francesi) alla stampa. Per determinare il costo industriale del nucleare,
infatti, il costo di capitale è importante perché pesa per il 70 per cento e
oltre. Il Wall Street Journal Europe del 30 maggio commentava con tono
divertito le affermazioni di Berlusconi sul nucleare, avendo l’Italia il terzo
debito pubblico del pianeta. Guardano alla questione della sicurezza, poi,
tre rapporti tecnici, di cui uno commissionato da Edf, resi noti in queste
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Fuochi_ Aspetti del nucleare (quasi) dimenticati
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Giuseppe Onufrio
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SPECIALE
SPECIALE
S.
World Servolo
Political Forum
San Servolo, 10-11 ottobre 2008
M. Gorbaciov _ M. Less
Speciale
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Speciale
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World Political Forum
nicyn, dicendo che se non fosse stato per via della Glasnost’, chissà dove
si sarebbe ancora trovato Aleksandr Isaevič al tempo in cui pronunciò le
sue parole. Francamente, penso che io magari sarei ancora potuto essere
in carica come Segretario Generale, dato che l’età me lo permetterebbe.
Ho occupato varie posizioni nella scala gerarchica del partito sino a quelle
più alte. Sono frutto di quella nomenclatura, ma il destino ha voluto che
le sopravvivessi.
Sarebbe forse più giusto dire che è stata la nomenclatura a sopravvivere
a Chrushev e come con Chrushev ha tentato di sbarazzarsi di me. Ma,
come potete vedere, sono qui con voi, sano e salvo per poterne parlare. E
così, dissi per l’appunto: “Io, probabilmente avrei ancora occupato qual-
che posizione, ma per quanto riguarda Aleksandr Isaevič, beh, penso che
si sarebbe trovato da qualche parte nel Wyoming a fare scorta di legna per
l’inverno…” La mia risposta fu così tagliente perché ritenni che, sottova-
lutando l’importanza della Glasnost’, venisse automaticamente sottovalu-
tata l’importanza della libertà di parola, di stampa e dell’uomo in genera-
le, senza le quali è impensabile che la società possa mettere in moto i suoi
meccanismi, affrontare con successo le proprie problematiche e sentirsi
pienamente libera.
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Speciale
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World Political Forum
L’inadempienza ecologica
Ci ritroviamo a parlare di ecologia in una situazione come quella odierna.
È persino difficile iniziare a farlo anche per me, che 15 anni fa ho fondato
e sinora diretto l’organizzazione Green Cross International e mi sono
occupato di problemi ecologici.
Potrei quindi dilungarmi a piacimento sull’argomento ecologico, ma il
compito di sensibilizzazione ritengo sia stato egregiamente assolto dagli
organi di stampa e dagli scienziati nel corso degli ultimi anni.
Ma qual è stato nel corso di questi ultimi anni il risvolto pratico di tale
comprensione? Dovremmo concentrare la nostra attenzione e quella degli
esperti affinché il nostro Forum dia un contributo importante, sia sotto
forma di proposte costruttive che di azioni da intraprendere perché questi
processi tornino ad essere sotto controllo.
È doveroso sottolineare come, purtroppo, le proposte avanzate e che
avrebbero potuti dare ottimi risultati, frutto dell’impegno di moltissimi
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Speciale
intellettuali, non abbiano fin qui dato i risultati sperati. Rimane un insa-
nabile gap tra teoria e pratica da colmare.
Prendete ad esempio i forum dedicati all’acqua, sono stati tutti accanto-
nati! Prendete Kyoto o Johannesburg e gli impegni del Millennium per i
prossimi 15 anni. Sono stati presi accordi per revisioni quinquennali dei
progetti, proprio perché non accadesse quanto occorso ai precedenti pro-
getti di simile natura.
Si è tenuta una prima conferenza all’Onu, è stata effettuata un’analisi e
di nuovo si è creata la situazione di inadempienza del piano ecologico da
parte di alcuni stati. Il problema è che da un lato ci sono molte dichiara-
zioni di responsabilità e di volontà politica, ma tutto sembra regolarmente
scivolare di mano.
I meccanismi che avrebbero potuto portare a una soluzione o a un aiuto,
i meccanismi mirati al libero sviluppo di ogni nazione non hanno funzio-
nato o addirittura non sono mai esistiti. Come risultato di tutto ciò, si ha
un inutile dispendio di energie in un momento storico in cui, a elencare
tutti gli aspetti che riguardano la situazione ecologica, ci sarebbe da essere
ben più che allarmati.
L’azione che andrebbe intrapresa in primis da parte di noi esperti, espo-
nenti dell’opinione pubblica, sarebbe quella di coinvolgere la classe poli-
tica e il mondo del business in modo che venga realizzato nella pratica ciò
che è quanto mai necessario che sia realizzato immediatamente.
In secondo luogo, la crisi finanziaria ha dimostrato l’inadeguatezza dei
metodi attualmente applicati rispetto a quanto necessario al mondo e al
sistema finanziario globalizzato, in una situazione di totale mancanza di
controllo e di responsabilità per quanto riguarda lo sperpero di enormi
risorse finanziarie. L’Iraq ha richiesto un dispendio di 3.000 miliardi, per
non parlare poi dell’Afghanistan e di situazioni dello stesso genere.
La marmaglia vincente
Sono questi gli argomenti che vanno portati a conoscenza della società.
La società comincia a essere irrequieta, mentre fino a pochi giorni fa si
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Speciale
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Speciale
Le sfide da affrontare
Evidentemente, ciò implica che noi del Club di Roma riteniamo che il
percorso attuale dello sviluppo mondiale ci stia portando incontro a dei
problemi molto seri. Oltre alle minacce evidenti alla stabilità del siste-
ma finanziario mondiale, ci troviamo a fronteggiare impegnative sfide sul
clima, sul degrado degli ecosistemi in tutto il mondo, sulla questione del
petrolio, sull’impoverimento dei terreni, sulla disponibilità di acqua in
tutto il mondo, e ovviamente sulla povertà durevole e sulla crescente ine-
guaglianza. Esse sono, prima di tutto: la trasformazione della comunità
mondiale, la fine dell’era delle risorse energetiche a poco prezzo, la vul-
nerabilità del sistema finanziario, il degrado ambientale e, ovviamente, il
cambiamento climatico.
Partendo dalle trasformazioni della comunità mondiale, possiamo affer-
mare che una nuova struttura politica ed economica sta emergendo in
tutto il mondo e che la rapida crescita delle economie emergenti sta cam-
biando gli equilibri del potere politico ed economico. Basti prendere ad
esempio la Cina, che attualmente ha riserve di moneta pari a circa 1.8
miliardi di miliardi di dollari, e che ha raddoppiato la sua economia negli
ultimi dieci anni e farà lo stesso nei prossimi dieci. Questo significa avere
tre nuove economie cinesi in vent’anni.
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World Political Forum
un meeting del Club di Roma tenutosi a Berlino nel novembre del 2007,
se il processo di globalizzazione continuerà lungo questo percorso, demo-
lirà l’intero sistema.
La seconda questione riguarda la fine dell’era delle risorse a basso prezzo.
La nostra società è basata sulla disponibilità di petrolio poco costoso, ma
quest’epoca sta per finire. Questo non significa che non ci sia più petrolio,
c’è molto petrolio. Il problema è che le industrie non riescono a produrre
abbastanza velocemente da rispondere alla crescente domanda, e c’è un
notevole divario tra la domanda e i rifornimenti.
Alla crescita della popolazione mondiale, che dagli attuali 6.7 miliardi di
persone arriverà a 9 miliardi nel 2050, si aggiunge la crescita della classe
media in tutto il mondo; probabilmente 2 miliardi di consumatori in più
metteranno una pressione ancora più forte sui prezzi delle provviste e delle
merci di tutti i generi. E la sicurezza energetica è, come si sa, una priorità
nelle politiche di sicurezza nazionale. Abbiamo già visto l’impatto dell’au-
mento dei prezzi dell’energia e degli alimenti sui poveri in tutto il mondo.
La terza questione, lampante, è la vulnerabilità del sistema finanziario.
Sappiamo che l’attuale sistema della finanza internazionale è in difficoltà,
e ciò non è solo il risultato di quello che Greenspan ha chiamato “esu-
beranza irrazionale”, né dell’irresponsabilità dei prestiti sub-prime, o di
quello che è chiamato il “toxic debt”. È anche il risultato di profondi squi-
libri e di crescenti debolezze che sono stati evidenti per anni. Le dimen-
sioni e la complessità dei mercati finanziari sono ormai giunte aldilà della
capacità di comprensione e di gestione da parte delle strutture preposte
alla loro supervisione e regolamento.
Voglio darvi un dettaglio per capire la portata di ciò che sta avvenendo:
nel 2007, 1.8 miliardi di miliardi si sono spostati dai paesi che importano
petrolio a quelli che lo esportano. Se questo avvenisse ogni anno, l’impat-
to sugli equilibri finanziari mondiali sarebbe spettacolare.
La quarta questione che vorrei sollevare è il degrado e lo sfruttamento
ambientale. L’umanità utilizza ogni anno circa il 125% della produzione
biologica del pianeta, stiamo vivendo sulla base del nostro capitale biolo-
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Speciale
e la società civile in uno sforzo comune per far sì che i migliori cervelli al
mondo si concentrino sulle questioni che determineranno le prospettive
delle generazioni presenti e future. È un programma aperto, e i contribu-
ti dei singoli e delle organizzazioni saranno i benvenuti all’interno della
struttura prevista dal Club.
Lasciatemi concludere dicendo che i media giocheranno un ruolo fonda-
mentale nel determinare il futuro. E vorrei evidenziare tre ambiti specifici
in cui il loro ruolo potrebbe essere vitale.
Prima di tutto contenere i rischi e l’impatto del cambiamento climatico
richiede un’azione rapida e forte, abbiamo meno tempo di quanto pen-
sassimo per risolvere questo problema. È possibile che i media contribui-
scano a costruire una coscienza pubblica più profonda della serietà del
rischio che corriamo, cosicché la società sostenga l’azione in tempo utile
per evitare l’imminente cambiamento climatico?
Seconda domanda: consolidati modelli di consumo e crescita sono basa-
ti sulla creazione della domanda e questa è fortemente influenzata dalla
pubblicità, ma le valutazioni ambientali ed ecologiche ci impongono di
trovare un nuovo corso per il progresso sociale ed economico, che sia
meno devastante per l’ambiente. In che modo possono i media incorag-
giare cambiamenti nello stile di vita, nei comportamenti e nei valori, che
sono alla base dei consumi e quindi dell’economia?
Infine, la transizione verso le “low-carbon economies”, che è considerata
vitale dalla comunità scientifica, è ora in corso in tutto il mondo. Essa
imporrà comunque dei costi ai maggiori interessi dell’ economia attuale.
Come possono i media facilitare questa transizione, chiarendo che l’uso
responsabile di energia e risorse porterà notevoli benefici ed opportunità
alla nuova economia?
Concludendo, mi congratulo con il World Political Forum e con la Pro-
vincia di Venezia per la visione dimostrata nell’organizzare questa confe-
renza unica e sono sicuro che produrrà risultati concreti ed innovativi.
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Dichiarazione di Venezia
su cambiamento climatico
e giornalismo ambientale
Considerazioni generali
Il mondo è entrato in una fase in cui la portata, la complessità e la velocità
dei cambiamenti causati dalle attività umane mettono in serio pericolo i
fragili sistemi ambientali ed ecologici del pianeta da cui dipendiamo.
Mentre gli scienziati continuano a discutere sui probabili futuri sviluppi
del riscaldamento globale e su quali misure dovrebbero essere adottate
per rallentarne o addirittura invertirne gli effetti, è generalmente accetta-
to il fatto che il cambiamento climatico abbia gravi risvolti a livello eco-
nomico e politico.
Per molti anni gli scienziati hanno lanciato allarmi sugli impatti negativi,
ma i governi, le élites politiche e la società civile non sono stati in grado
di prevenirli.
È perciò urgente che la comunità mondiale – gli stati nazionali, le or-
ganizzazioni governative e non governative internazionali – trovino un
accordo sulle strategie e le azioni da adottare per evitare danni irrever-
sibili agli ecosistemi mondiali causati dall’acceleramento del processo di
riscaldamento globale. Tale crisi comprende l’impoverimento delle risor-
se energetiche, la diminuzione di acqua potabile, il degrado degli ecosi-
stemi mondiali, l’estinzione delle specie, carestie, la persistente povertà,
le emergenze sanitarie e così via. Per di più, la popolazione globale si
trova in fase di transizione da una crescita esplosiva e incontrollata, ad un
nuovo paradigma di sviluppo e sostenibilità mai sperimentato prima d’ora
dal genere umano. Questi elementi, sommati ai loro risvolti ambientali,
aumentano il potenziale di un violento conflitto politico.
Abbiamo comunque motivo di essere ottimisti, se si agisce da subito. Le
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Speciale
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World Political Forum
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Speciale
Questioni di fonti
I giornalisti dovrebbero concentrarsi sui loro rapporti con gli esperti
scientifici di cambiamenti climatici e sul modo di migliorarli. Finora, il
giornalismo su questo argomento è stato dominato dai politici e dagli
“esperti” sia nell’industria che nei movimenti ambientalisti, molti dei qua-
li rivelano ovvi o percepibili conflitti di interessi. Tali parti hanno deter-
minato l’agenda della pubblica discussione, e i media hanno ampiamente
seguito quell’agenda.
I giornalisti che diventano sostanzialmente esperti di reportages ambien-
tali dovrebbero essere incoraggiati a sviluppare ulteriormente le loro
competenze e ad applicarle alla scelta di storie e fonti. Cosa più impor-
tante, i giornalisti che sono esperti di cambiamento climatico non dovreb-
bero esser considerati come non obiettivi o di parte, quando usano quella
competenza per guidare il loro articolo. Un giornalista obiettivo non è
neutrale rispetto alla verità e all’esattezza.
I giornalisti non dovrebbero basarsi su una singola fonte o “esperto” nello
scrivere di questioni scientifiche legate al cambiamento climatico. Inoltre,
dovrebbero integrare quello che apprendono da tutte le fonti. Esiste un
consenso generale su quello che un esperto dice, oppure la fonte fornisce
una visione contraria al consenso scientifico? E in tal caso, può tale visio-
ne dissenziente essere considerata scientificamente credibile?
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Accesso all’informazione
I media internazionali dovrebbero fare pressione sulle istituzioni scientifi-
che e di ricerca perché forniscano una banca dati elettronica di dati scien-
tifici ad uso pubblico e professionale, in modo che giornalisti e organiz-
zazioni medianiche che vogliano sviluppare competenze sul giornalismo
sul cambiamento climatico possano ampliare il materiale a disposizione e
i propri collegamenti alle banche dati esistenti,
I giornalisti dovrebbero promuovere i propri informali networks di infor-
mazione sul cambiamento climatico, fornendo così un forum per lo scam-
bio di opinioni, fonti e competenze giornalistiche. Ad esempio, la Società
di Giornalismo Ambientale (Society of Environmental Journalists, www.
sej.org), negli Stati Uniti fornisce un archivio consultabile di idee, articoli,
aggiornamenti, eventi e altre informazioni incentrati sulla libertà di infor-
mazione, di interesse per giornalisti ambientali sia negli Stati Uniti che
in Canada. Essa pubblica inoltre guide per giornalisti, su temi che vanno
dagli accertamenti di rischio ambientale alle tossine ambientali. La SGA
pubblica anche materiale informativo scientifico sul cambiamento climati-
co specificatamente per giornalisti (http://www.sej.org/resource/index18.
htm). È necessario rendere noto un tale sforzo a livello internazionale
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Speciale
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World Political Forum
lo più concordano sul fatto che i sempre più forti e frequenti uragani,
desertificazioni, siccità, carestie ed epidemie possano tutti essere legati al
riscaldamento globale.
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Speciale
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Notizie sugli autori
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Notizie sugli autori
Mikail Gorbaciov. Nobel per la pace, ha legato il suo nome ai processi di riforma del-
l’Unione Sovietica. È stato l’ultimo segretario del Pcus. È presidente di Green Cross
International e del World Political Forum.
Marco Grollo. Esperto di media education, è responsabile del settore Scuola e Forma-
zione e membro della Segreteria Nazionale dell’associazione Megachip.
Martin Lees. È Segretario Generale del Club di Roma dal 2007. È stato Rettore del-
l’Università per la Pace delle Nazioni Unite in Costa Rica. È consulente del governo
cinese sul tema del climate change.
Michele Loporcaro. Insegna Linguistica romanza all’Università di Zurigo. È autore di
molti saggi di linguistica e ha pubblicato con Feltrinelli Cattive notizie.
Maria Grazia Midulla. Responsabile clima ed energia Wwf Italia. Da sempre si è occu-
pata di temi sociali e comunicazione ambientale.
Roberto Morrione. Ex-direttore di Rainews24. È Presidente della Fondazione Liberain-
formazione e direttore dell’Osservatorio per l’informazione antimafia.
Diego Novelli. Politico e giornalista. È stato sindaco di Torino, deputato e parlamenta-
re europeo. Ha promosso la nascita del settimanale Avvenimenti. È direttore della rivista
Nuovasocietà.
Edoardo Novelli. Ricercatore universitario, insegna comunicazione politica all’Univer-
sità degli Studi RomaTre. Sul tema ha pubblicato: Turbopolitica (Bur, 2006), Le elezioni del
’48 (Donzelli, 2008).
Giuseppe Onufrio. Direttore esecutivo di Greenpeace Italia. Fisico e ricercatore presso
enti e istituzioni italiane e internazionali. Consigliere d’amministrazione dell’Agenzia
per l’ambiente.
Riccardo Petrella. Economista politico. Fondatore dello Ierpe (Institut Européen de Re-
cherche sur la Politique de l’Eau), è uno dei maggiori esperti mondiali del diritto all’acqua.
Massimiliano Pontillo. Editore e comunicatore, soprattutto in ambito no profit. Gior-
nalista pubblicista. Amministratore delegato Editoriale Nuova Ecologia, Presidente L’
Aurora Comunicazione e Segretario Generale Pentapolis.
Ermete Realacci. Ambientalista e politico italiano, presidente onorario di Legambiente
e responsabile ambiente del Partito Democratico.
Ennio Remondino. È stato inviato di guerra in Iraq, Bosnia, Kosovo, Medioriente,
Afghanistan. Oggi è corrispondente Rai per i Balcani.
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David Riondino. Cantautore, attore, regista, comico e scrittore. Da sempre uno dei più
brillanti verseggiatori satirici della cultura e della controcultura italiana.
Antonio Ruggieri. Giornalista professionista, ex-direttore del sito Megachip.info. Fon-
datore e direttore della rivista culturale il Bene Comune. È autore di saggi su comunica-
zione, antropologia e politica.
Consiglia Salvio. Membro del Comitato Acqua Napoli, del Nodo Napoli di Rete Lil-
liput e del Forum Italiano dei Movimenti per l’acqua. Referente del Comitato cittadino
di San Giorgio a Cremano.
Gianni Silvestrini. Dal 2003 è direttore scientifico del Kyoto Club e dirige la rivista
QualEnergia. Autore di saggi e numerosi articoli scientifici, è stato Direttore generale
presso il ministero dell’Ambiente.
Gianni Spallone. Docente di letteratura spagnola. Si occupa prevalentemente del Siglo
de oro (teatro e narrativa) e della poesia del ‘900. Ha redatto oltre duecento voci per la
Grande Enciclopedia De Agostini.
Guido Viale. Membro del comitato tecnico-scientifico dell’Agenzia nazionale per la prote-
zione dell’ambiente (Anpa). Si occupa di politiche attive del lavoro in campo ambientale.
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