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Il mondo della terra1

di Luca Carbone
A Giacomo Serafino

Preambolo
Comporta unambiguit irriducibile ogni cosa che ci tocca profondamente. Cos della
parola e del silenzio. Il silenzio intorno a qualcosa pu essere la conseguenza della
propensione al non volerla affrontare, oppure il pi certo segno della concentrazione,
dellintima adesione. Parlare di qualcosa spesso un modo per tenerlo a distanza, per non
commisurarsi realmente con, e a, ci di cui si parla; ma la pi condivisa e pertanto la pi
sociale delle cose umane la parola (Bachtin, 1979).
Il lato tragicomico dellesistenza sta, per noi, nel voler e dover venire a capo di qualcosa, per
quanto possibile disambiguandola. Ma non su un foglio bianco, n nella vita di ognuno,
facile disambiguare le ambiguit: non neanche facile volerlo fare. Volentieri dividiamo,
credenti e no, i nostri servigi fra dio e mammona (la robba). Nonostante i
fondamentalismi insorgenti, felicemente o infelicemente, abitiamo nel politeismo valoriale
(Weber, 1948: 31-32).
Molto poco, quasi nulla, pu uno scritto. Come gi annotava Leopardi, si sopravvive di gran
lunga alla fama effimera: dura, appunto, un giorno dei propri lavori, i quali spesso
peraltro meritano la loro sorte, perch a scriverli ci voluto meno, di quanto si impiega a
leggerli. E ancora si scrive troppo troppo si comunica (siamo una societ di emittenti,
diceva Roland Barthes), e troppo poco si rilegge. Con Borges sono fermamente persuaso che
rileggere lessenziale, in rapporto ai libri. Uno scritto, un libro, poi non sono la vita, e tanto
meno un manuale distruzioni per vivere. La scrittura si coniuga ottimamente col giornalismo
e lattualit, ma nel saggio la sua importanza sta nellessere sedimentazione dellesperienza
di processi non occasionali, n contingenti; desperienze che non siano il riflesso di crucci
personali.
Non riesco a sottrarmi alla pressione delle troppe parole che si disperdono, a livello
istituzionale e non, intorno a temi come lidentit, la tradizione e il territorio, ed al tempo
1

Le opinioni espresse sono solo dellAutore e non rappresentano necessariamente quelle dellEnte
promotore della pubblicazione. Aggiungo che per la parte riuscita della composizione, in quanto
compenetrazione di forme e contenuti, qui pi che in altri scritti, sono debitore di Angela Serafino, come le
sono debitore per le pazienti revisioni delle prime versioni. Ringrazio Carla Izzi perch alcune parti dello
scritto hanno trovato la loro giusta collocazione grazie ad una sua ulteriore revisione, di una versione quasi
completa. Sono invece lunico responsabile delle traduzioni dal francese e dallinglese. Non menzionare nei
ringraziamenti Mariano Longo e Fabio Tolledi sarebbe almeno disdicevole.

stesso, alla pressione del troppo silenzio che sembra avvolgere, soprattutto tra chi ha meno di
cinquantanni, il mondo dellagricoltura.
Pasolini era scandalizzato dalla mancanza di senso del sacro dei suoi contemporanei; anche
senza la stessa grandezza danimo o le stesse capacit, si pu restare sconcertati dalla
difficolt crescente di stare nella vicinanza delle cose e di farne vivere lesperienza in parole
condivise. Tema peraltro poco originale, gi Walter Benjamin rilevava latrofia dellesperire.
Sarebbe auspicabile non abbandonarsi a illusioni, molto diffuse in alcune aree di studio:
alcuni temi, connessi nel mondo dellagricoltura, sono fuori dallagenda-setting del dibattito
intellettual-accademico ed anche, parallelamente, dalle pratiche comuni. Fatte salve alcune
riserve, dove puri teorici, praticanti zelanti e neo-adepti si sentono e si rappresentano, a
torto o a ragione, come avanguardie del pianeta. Scriverne un modo per non perderne la
semenza.
Uno dei temi la storia. Un altro la terra. Un altro ancora la morte. Un altro il
religioso, per cos dire, senza sacramenti. Un altro, forse fra tutti il pi impopolare, la
necessit.

1 Le storie
, al meno, dalla pubblicazione della II Considerazione Inattuale di Nietzsche, Sullutilit e il
danno della storia per la vita, che si discute se di storia ve ne sia troppa o troppo poca nella
vita. Ma anche la storia, e sarebbe sorprendente cos non fosse, presenta enormi ambiguit.
Non posso non concordare con chi afferma: Luomo nella storia (De Martino, 2002:
279). Ma anche non domandare: quale storia? quale tra le molte storie?
C molta storia monumentale e museale; molta storia celebrativa ed ideologica; molta storia
analizzata e riproposta, molta immaginata dai fumetti ai film, che tutte dincanto si
dissolvono e sembra realmente come se noi fossimo fatti della stessa materia di cui sono
fatti i sogni allincombere delle emergenze. A fronte dellincalzare degli eventi, del
susseguirsi delle crisi, della rincorsa agli incrementi nella produttivit, dei conflitti per
legemonia, solo futuro prossimo e presente, contano. Innovare il verbo del non-nuovo
incantamento.
La storia o forse meglio la rappresentazione storiografica da tempo diventata sempre
pi quello che da sempre anche stata, campo di manipolazioni nellambito della
legittimazione di poteri concorrenti, mentre produzione e consumo impongono ovunque,

nella moda come nella scienza, il canone delloriginale a tutti i costi, e del superato solo
perch non gi venduto oggi: la dittatura dellattualit.
Quanto adatta questa sia a favorire un approccio libero alla storia, e alla formazione di storici
capaci, lo sottolineava gi il giovane Nietzsche, peraltro sulla scia, in certa misura, di Comte
e Spencer. Molti, ma non solo e neanche soprattutto storici, possiamo ribadire ora, scrivono
nellingenua credenza che proprio il loro tempo abbia ragione in tutte le opinioni popolari e
chiamano oggettivit il commisurare le opinioni e le azioni del passato alle opinioni
correnti del momento; in queste ultime trovano il canone di tutte le verit; il loro lavoro
quello di adattare il passato alla trivialit attuale. Per contro essi dicono soggettiva ogni
storiografia che non prenda come canoniche quelle opinioni popolari (Nietzsche, 1981:
120). Senza esercitare, ad ogni passo, in ogni piega dei concetti e dellimmaginazione, la
cautela metodologica necessaria a riconoscere e combattere quellingenua credenza, e senza
essere disposti a correre il rischio di risultare soggettivi; sarebbe preferibile astenersi da un
confronto con la storia, anche con quella del secolo appena trascorso.
Nel frattempo la dittatura dellattualit tende ad agire retroattivamente, imponendosi anche
alla tradizione, facendo del nostro legame con quel che non passa una sorta di stereotipo
del tradre. Il tradre, in quanto tramandare (tra- manum dare), soltanto uno degli aspetti
della storia, il pi intimo dellappartenenza, forse, se vero che la tradizione era la vita
stessa (Pasolini, 1976), diventa la nostra ritrovata tradizione, la nostra identit.
Concelebrata nelle sagre, riadattata nelle riscoperte, contaminata nelle neo-ritualizzazioni a
fini turistico/alberghieri, viene violata o ignorata ovunque il mercato mondiale nelle sue
dinamiche, standardizzanti dei processi e differenzianti dei prodotti e/o limitazione in
piccolo formato di modelli metropolitani, lo imponga o semplicemente lo suggerisca. La
colpa non sempre e solo del sistema: la parabola meridionale dallantico orgoglioso
fatalismo al moderno vittimismo opportunistico appare decisamente regressiva.
Peraltro, come gi annotava Gramsci la tradizione, se la percepiamo al di fuori delle
rassicuranti cornici pregiudiziali, un oggetto piuttosto complesso, in ognuno di noi
possono convivere, e convivono, il troglodita che ha per orizzonte la caverna della protocomunit, accanto al cosmopolita che ha per orizzonte le epoche e il pianeta, insieme a molti
altri tipi intermedi.
Tutto questo confluisce in quello che fanno, tra altri, notare la Connell (2007) e Chambers:
non si pu scindere, come in due fasi opposte e incomunicanti, il tempo storico in
tradizione e modernit. Per vero dire, linscindibilit era gi molto chiara anche ad un
autore, ormai fossilizzato in classico, quale Toennies, che del rapporto tra la
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prevalentemente moderna volont di ordinare tutto secondo scopi o utilit e la


prevalentemente tradizionale volont di attenersi alle regole date, tramandate, radicate, ha
scritto: noi ci accorgiamo come le tendenze empiriche possano coesistere e cooperare, anzi
favorirsi e incrementarsi, nella direzione delluna e dellaltra, e come daltra parte, in quanto
ogni specie aspira alla potenza e al dominio, esse debbano necessariamente urtarsi,
contraddirsi e combattersi (1963: 176). Senza perdere la percezione delle differenze
irriducibili, non bisogna comunque pensare che la storia fermenti in purezza, come il mosto
di negroamaro.
La nostra storia territoriale si fonda sulle pratiche agricole. Peraltro complesse e differenziate,
dalle monocolture dellolio lampante, del vino da taglio, del tabacco, alle decine di variet di
ecotipi locali di leguminose, ortaggi, alberi da frutta. Dalle centinaia di imponenti masserie,
ai ritmi interminabili e continuamente cangianti dei muretti a secco. Dal farsi la salsa in casa
tutta la famiglia, o pi famiglie insieme, tutti insieme per tutti, le bottiglie a centinaia per
tutto il fabbisogno dellanno, al saper potare e innestare, al saper pesare, con gli occhi
soltanto, il raccolto di un oliveto.
Di questimmenso, orgoglioso, faticoso mondo che tutti, qui sino allincirca un quarto secolo
di fa, ci ha cresciuti, poco si parla, al di fuori delle autocelebrazioni ombelicali. E mentre lo si
abrade dallattenzione e dalla memoria, lo si lascia andare, concretamente, in rovina nelle sue
emergenze paesaggistiche, come una passeggiata fuori dal paese mostra a chiunque abbia
occhi per guardare. Si sostituiscono con i mattoni forati in cemento, quegli altri; o li si
ricostruisce, ma senza la sapienza dellallineare illineari le pietre. Incapaci di coglierne la
bellezza (Boero, 2007), indifferenti alla cancellazione di noi: [I]l luogo occupato da un
gruppo non come una lavagna su cui si scrivono delle cifre e delle figure e poi si cancellano
Il luogo accoglie limpronta del gruppo e ci reciproco (Halbwachs, 1987, 137).

2 The silence of the land2


Disregarding the land is not just . leggermente paradossale che una sociologa
australiana, come Raewyn Connell, docente allUniversit di Sidney, una delle metropoli del
continente sostenga ignorare la terra non una scelta teorica tra le altre, ma emerge come
una tratto caratterizzante dellideologia neoliberale mentre nei dibattiti pubblici e nelle
conversazioni private la terra, per noi, ha dignit di menzione spesso solo come il comparto
economico in affanno o il posto per le vacanze. Sembriamo soffrire del complesso
tipicamente provinciale del bisogno didentificazione con le ideologie dominanti del mercato
2

Il titolo tra virgolette perch lo stesso di uno dei capitoli del volume Southern Theory di Raewyn Connell.

mondiale e della globalizzazione dallalto. Ed anche il molto parlare che si fa di glocale


sembra pi na pezza a culure che il segno di una volont di pensare e praticare una
visione/versione abitabile, e non colonizzata, dellappartenenza. Abitare il sud dal sud non
meno difficile che pensare il sud da sud.
Nel sottile e profondo godimento che riviene dallimitare (senzaltro criticamente) i modelli
culturali e cultuali dominanti, riproduciamo quella tendenza ben esemplificata dal
mainstream delle teorie sociali metropolitane: Coleman fornisce un caso estremo di un tratto
generale della moderna teoria sociale: la sua mancanza di interesse per il luogo, il contesto
materiale, e specificamente, la terra. La scienza sociale di solito preferisce generalizzazioni acontestuali (context-free). Un prestigio particolare accumula la teoria che cos astratta che
le sue tesi sembrano universalmente vere (Connell, 2007: 196).
Daltra parte una delle fonti inesauribili dellinnovazione concettuale loblio disciplinare.
Cos non sorprendente che la critica della Connell riecheggi quella avanzata, pi di
centanni fa, dal geografo Friedrich Ratzel. La maggior parte dei sociologi studiano luomo
come se si fosse formato nellaria, senza legami con il suolo (1900: 4).
Per quanto critico verso lassolutizzazione dello spazio come fenomeno sociale, propria di
posizioni quali quella di Ratzel, uno dei mai troppo mitizzati, e mai abbastanza ristudiati,
padri fondatori delle scienze sociali, Georg Simmel a scrivere dando ampio rilievo alla
componente spaziale nelle interazioni sociali, pochi anni dopo: Nella misura in cui una
formazione sociale fusa o, per cos dire, solidale con una determinata estensione del
territorio, essa presenta un carattere di unicit o di esclusivit (Simmel, 1998: 526).
Un tratto eminente del provincialismo meridionale (e peraltro anche italiano) lesterofilia. Il
meglio sta sempre altrove, soprattutto poi nella produzione intellettuale il centro francotedesco-anglicizzante. Cronofila, questa terra del sud divora i propri figli, anche quelli
adottivi. Perci non posso fare a meno di richiamare, nel merito del discorso, quanto ha
scritto, pi di un quarto di secolo fa, lamico e, se la parola non fosse fonte di abusi, maestro,
il sociologo Gianni Giannotti: linguaggio e territorio sono requisiti essenziali senza di
cui non vi comunit umana; insieme costituiscono la matrice istituzionale di tutta
lorganizzazione sociale il complesso ecologico-culturale di base. () [L]e due istituzioni
che in qualche modo costituiscono i termini dogni sistema sociale empirico sono una
lingua ed un territorio. () Lingua e territorio racchiudono, ma anche esprimono e
rappresentano, simbolicamente e materialmente la memoria (attiva e passiva) di s di tutta
lorganizzazione sociale (1982: 165-166). Queste tesi, che, nella misura in cui le
comprendo, condivido pienamente, anche se forse lasciano in ombra un terzo requisito
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essenziale, peraltro intrecciato strettamente agli e degli altri due, e che, come mostra la
polemica della Connell, sono rimaste ampiamente insondate, pensando al, nel, dal Salento
senza pensare solo per il Salento che sono state scritte.
Forse non si tratta solo di una fortunata coincidenza, importante per tutti e sempre, infatti la
terra/territorio la parte portante della nostra storia/tradizione, della nostra memoria
collettiva attiva e passiva di noi; e questa non , puramente e semplicemente,
comprensibile, anche nelle sue declinazioni attuali, senza quella. Come ribadisce la Connell
(2007: 200), per alcune societ, tra cui la nostra (il nostro sud) aggiungo io, la terra non
uninfrastruttura, ma parte dellordine sociale. E certo terra, suolo e territorio non sono
concetti equivalenti, rimandano tuttavia allo stesso plesso di fenomeni, e mettere a fuoco
teoricamente ed indagare questo plesso di fenomeni sarebbe un primo passo per
sprovincializzarsi; per concretizzare lindicazione di Cassano ad apertura del Pensiero
Meridiano: [l]a chiave sta nel ri-guardare i luoghi, nel duplice senso di aver riguardo per
loro e di tornare a guardarli (2001: 9). E, detto per inciso contro facili fraintendimenti,
lattenzione portata qui alla terra, non pensata in antitesi alla tematizzazione del mare
mediterraneo, ma piuttosto per contribuire a cogliere la qualit delle terre sconfinanti le une
nelle altre.
La mia affermazione potrebbe sembrare, ad ogni modo, apodittica, ma, in attesa di venire in
chiaro della questione con sufficiente certezza, direi che comunque meno arbitraria, del
prospettare, pianificare, programmare politiche ed interventi, dalla formazione alla
produzione, marginalizzando un intero mondo. Ed interessante, in merito, la chiosa di
Ratzel sullinversione dellordine tra determinato e determinante, in cui si pu incappare. In
politica come nella storia le teorie che fanno astrazione dal suolo prendono dei sintomi per
delle cause (1900: 13).
Senza dimenticare e senza ignorare, lo dice il fitopatologo ed agricoltore giapponese,
Masanobu Fukuoka, teorico praticante dellagricoltura non-scientifica del non-intervento, che
un pugno di terra vivo. [M]ilioni di microorganismi si concentrano in ogni singolo
grammo di terra. Nel terreno ci sono i batteri, ma vi sono anche altri batteri che li eliminano e
ancora altri che uccidono questi ultimi. Il terreno contiene batteri nocivi, ma anche molti altri
che sono innocui, o persino benefici per luomo. Un bambino che si rotola spensierato e
inconsapevole nel fango cresce pi sano e robusto. Questo significa che la conoscenza che
nel terreno ci sono i germi pi ignorante dellignoranza stessa. (1992: 61)
Senza quei milioni di batteri lagricoltura, la vita e la stessa storia sarebbero semplicemente
impossibili.
6

forse anche per questa conoscenza che nella coscienza del contadino che paga prezzi
assurdi per un pezzo di terra non possibile alcuna equivalenza tra la terra e qualsiasi altro
valore economico; essi sono reciprocamente incommensurabili. La terra un valore unico e
nessuna somma di denaro pu essere troppo grande per pagarla (Thomas e Znaniecki,
1968: 158). Non un mistero che nel Salento, spesso ancora oggi, al contadino possedere e
coltivare la terra costi pi di quanto si spenderebbe acquistando i prodotti finali dal mercato.
La terra non ha valore di scambio.
Le scienze sociali, al contrario, riflettono e rafforzano, la tendenza sociale generale incarnata
dai modernizzatori piccolo-borghesi, una volta fascisti, poi progressisti ed ora spesso soltanto
catodizzati, che hanno guardato con disprezzo, e solitamente ancora guardano con sufficienza
e degnazione, al mondo contadino, pur fruendone a volte volentieri dei prodotti; come se
listruzione scolastica fosse garanzia dellevoluzione sociale, e non solo di una piccola
ascesa incerta ed onerosa nella scala cetuale. Ascesa peraltro, qui nel Sud, interamente
interna a reti di patronage, ibridatesi con le organizzazioni moderne, ma le cui radici, anche
nelle citt, sono sempre ancora quelle pre-industriali (Luhmann, 1998).
Nella mentalit piccolo-modernizzatrice interamente sinvera quanto affermava Pasolini di
quella borghese. Tutti i borghesi sono razzisti, sempre, in qualsiasi luogo, a qualsiasi
partito essi appartengano (Pasolini, 1976: 153). Certo, buona educazione, esercizi di
simulazione della democrazia, patina di mondo rendono il razzismo sfumato, persino
compiacente nel disprezzo ma in nulla ne modificano il fondo: la scissura resta, lignoranza
cresce.
Di avviso diverso stato, tra gli altri, uno dei pi importanti filosofi del ventesimo secolo,
accusato, oltrech di simpatie naziste (sangue e suolo), di nostalgie arcadiche, il tedesco
Martin Heidegger. Ma, quando racconta del legame tra la propria elaborazione teorica ed il
mondo contadino, Heidegger parla di lavoro, contrapponendolo allidillio vacanziero:
Lelaborazione di ogni pensiero diviene necessariamente dura e incisiva. La fatica di coniare
il linguaggio simile alla resistenza degli svettanti abeti contro la tempesta. E il lavoro
filosofico non si svolge come occupazione solitaria di un eccentrico. Esso appartiene
integralmente al lavoro dei contadini. Come il giovane contadino trascina su per il pendio la
pesante slitta cornuta per riportarla poi, carica di ciocchi di faggio, in pericolose discese, gi
alla propria fattoria; come il pastore spinge con passo lento e meditabondo il suo gregge su
per il pendio; come il contadino nella sua stanza appronta con cura le innumerevoli scandole
per il tetto, cos il mio lavoro dello stesso tipo.

Questappartenenza alla terra nelle modalit del lavoro, contesta di paesaggio Il


dispiegarsi del lavoro rimane immerso nellaccadere del paesaggio; e di silenzio, come tutte
le attivit che impegnano insieme la mano e la mente. Ed Heidegger non manca di rilevarlo,
anche del tempo del riposo: [I]l cittadino ritiene di andare tra il popolo quando si degna di
condurre un lunga conversazione con un contadino. () Quando alla sera, nel momento della
pausa del lavoro, siedo con i contadini sulla panca attorno alla stufa o al tavolo nellangolo
del Signore, per lo pi noi non parliamo affatto. Fumiamo in silenzio le nostre pipe.
(Heidegger, 1992).
Il ponderare filosofico una modalit del coltivare, si potrebbe arguire. Ci cui, nel
racconto della propria esperienza, Heidegger rimanda il contatto diretto con lambiente
naturale limmersione in esso. Infatti non si tratta di valorizzare intellettualmente i beni
naturali, di concepirli con una loro dignit morale, quanto di viverli da dentro (Pellizzoni e
Osti, 2003: 34). La possibilit anche mediante il lavoro di vivere da dentro lambiente
naturale, con parole pi classicamente filosofiche Marx lo definisce il suo originario essere
inestricabilmente intrecciato con le sue condizioni oggettive (1977: 499).
Nella scrittura teorica un ruolo preminente sembrano assumere gli aggettivi e gli avverbi;
dallappropriatezza nel loro uso, mi pare, si possano misurare lo spessore e la gittata di un
pensiero. Certo qui li leggiamo in traduzione e potrebbero non esser stati resi alla lettera;
per laggettivo originario e lavverbio inestricabilmente, questultimo soprattutto, indicano
la dimensione nella quale il lavoratore non pu, appunto, essere districato dalle condizioni
oggettive del e nel lavoro; condizioni, si potrebbe dire, esattamente opposte a quelle subite
in regime di flessibilit, nelle quali il lavoratore quasi solo un prestatore dopera e quasi del
tutto fungibile (come risulter chiaro, dal resto di questa esposizione, ci su cui dissento da
Marx la definizione delle condizioni del lavoro come oggettive). La formazione della
classe lavoratrice, dalle manifatture ai call-center, si basa sul processo di districamento dei
lavoratori dalla condizione originaria.
Ed in proposito ed, al tempo stesso, a proposito delluso degli aggettivi, ricordo una
confronto con Gianni Giannotti, durante la revisione di un suo testo tratto dalla registrazione
delle sue lezioni, le prime tenute dopo la grave malattia che laveva colpito. Alla mia
domanda se pensava andasse bene la ripetizione, per ben tre volte, dello stesso aggettivo nel
giro di un unico breve periodo, la sua risposta, dopo qualche secondo di riflessione
silenziosa, stata che, cos comera stata trascritta (senza alcuna variazione rispetto alla
registrazione), andava bene. Un elemento essenziale, da dover sempre tenere presente, che
anche il pilastro essenziale su cui si fonda il modo di produzione capitalistico, e quindi un
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elemento essenziale del capitalismo, per lappunto lavvenuta riduzione del lavoro e della
forza lavoro a merce e la nascita del mercato del lavoro (Giannotti, 2001-2002: 214-215).
Proprio in quanto il modo di produzione capitalistico non potrebbe, secondo questa tesi, fare
a meno di districare la forza-lavoro dai suoi legami di appartenenza, il pi forte dei quali
quello con la terra, proprio per questo come ha scritto Rosa Luxemburg il capitalismo
conduce sempre e ovunque una preventiva campagna di annientamento contro leconomia
naturale [inclusa] leconomia contadina patriarcale. Questo non pu non accadere in
quanto: [l]a comunit contadina a tipo comunista o il feudo si basano, nella loro
organizzazione economica, sul vincolo del principale mezzo di produzione il suolo e delle
forze-lavoro, in virt del diritto e della consuetudine (Luxemburg, 1968: 364).
Mi chiedo da anni se non sia maturo il tempo di guardare agli intrichi della forza lavoro con
le sue condizioni, dovunque ancora si manifesti, con uno sguardo meno annientante di quello
modernizzatore.
Mentre la lotta contro leconomia naturale continua nelle periferie della modernit, al centro
si intanto consolidata la societ dello spettacolo, nella quale, anche lavorare diventato un
evento. Il lavoro, come saper fare, nelle priorit socioculturali, stato sostituito in certa
misura, lo osservava gi Braverman negli anni settanta, dal consumo. La pressione che si
esercita su ogni nuova generazione, attraverso lo stile di vita, la moda, la pubblicit e il
processo educativo ha come effetto, di svalutare le cose fatte in casa e di esaltare quelle
prodotte in fabbrica o comprate in negozio (1978). Poter comprare conferisce status
pi che saper fare.
E sulla coercizione al, e incanto del, consumo sono state scritte alcune delle migliori pagine
della critica sociale, pagine che si tende ad obliare, quando non sono riciclate come editoriali
illuminati, misconoscendo il fatto che i processi divisati, dalle avanguardie elitarie sono
emigrati nelle merci le pi a buon mercato. Ci che nella critica teorica appare superato,
in offerta e ci travolge nella pratica coatta.
La passione ipnotica e stregata che spinge a consumare, di volta in volta, gli ultimi ritrovati
della tecnica, non rende solo indifferenti nei confronti di ci che viene propinato, ma torna
anche a vantaggio della conservazione delle porcherie abituali e delle programmazione
sistematica dellidiozia. Essa conferma e ribadisce il vecchio kitsch, in sempre nuove
variazioni, come haute nouveaut (Adorno, 1995: 136)
Tutto questo non comporta per solo lelevazione del kitsch a standard, per i funzionalisti
una conseguenza tutto sommato accettabile, anzi accettata, ha altre due conseguenze ben pi

profonde, anchesse individuate da Braverman, il deterioramento delle abilit manuali e la


connessa atrofia della competenza; non casualmente gi rilevate da Walter Benjamin.
Dellomologazione globale dei prodotti e dei servizi si discute molto, ma anche se la
produzione industriale riuscisse a de-standardizzare i prodotti, differenziandoli uno ad uno,
ed a personalizzare i servizi sino alla pura corrispondenza col desiderio, questo non
cambierebbe in nulla il nostro diventare sempre pi dipendenti dal mercato e dalle
organizzazioni, e sempre pi inabili ad interagire con cose non preconfezionate, in relazioni
non predisposte.
Andiamo quindi comunque perdendo quella possibilit, attuabile soltanto quando siamo
assorbiti dentro la cosa, quando nel lavorare non siamo pi coscienti di noi stessi, neppure
di noi stessi come corpi, in quanto nel lavoro siamo diventati la cosa su cui stiamo lavorando
(Sennett, 2008: 170). Quando siamo intricati nelle condizioni oggettive del lavoro. Essendone
sempre pi districati stiamo sempre pi diventando incapaci di cogliere il solo e medesimo
nesso tra anima, occhio e mano, che reciprocamente influenzandosi determinano una
prassi, nel contadino come nel pensatore (Benjamin, 1982: 273). Per il pensiero della prassi
scissa dalla terra, la prassi del pensare si fa intrasparente.

3 dalle foglie del cuore


La trionfale marcia del progresso soffoca i moroloja (Imbriani, 2008). I moroloja, uno dei cui
versi d il titolo a questo paragrafo, sono le nenie rituali con cui, nella Greca Salentina si
celebrano i morti, e i vivi liberano il proprio dolore. Valanghe di parole sono state scritte sul
senso della morte e sulla sua rimozione, nella cultura e nella prassi della modernit
occidentale. Avere la presunzione di venire a capo del dibattito ridicolo, ma ci che qui
conta che il fenomeno della morte il richiamo pi irrevocabile al senso del limite. La
condizione umana una condizione, intrinsecamente ed estrinsecamente, limitata. La vita
umana intrecciata con la morte. La nostra vita possibile nelle forma in cui si esprime,
solo sulla base del sapere che la morte sar e del non sapere quando sar. () La morte
nella vita si pone nella nostra coscienza come un limite ad un tempo fisso e mobile.
(Simmel, 1938: 120-121).
LArca originaria terra, come la definisce Husserl, il suolo di tutti i suoli, ed unica, e le
sue innumerabili risorse sono, in gran parte, irrinnovabili, mentre quelle rinnovabili
perdono tale capacit, quando lungamente sovrautilizzate. Il tema stato ed centrale in una
giovane ma dignitosa ed agguerrita sub-disciplina: la sociologia dellambiente. La ridotta

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disponibilit di sicure risorse dalle quali la vita umana e le attivit sociali dipendono potrebbe
essere inesorabile nel causare gravi cambiamenti sociali (Catton, 1983: 8-9).
Attraverso gli apparati tecnologici di cui disponiamo individualmente e collettivamente (dai
quali, per, siamo anche dipendenti), ognuno di noi impone un carico sulle risorse
rinnovabili e non-rinnovabili del pianeta che molte volte pi grande del carico pro-capite
imposto dai nostri antenati (Ivi: 9).
Per sintetizzare questo mutamento, William Catton, uno dei fondatori della sub-disciplina, ha
coniato

una

suggestiva

immagine

cognitiva,

che

riecheggia

peraltro,

penso

inconsapevolmente, i pirandelliani giganti della montagna: [l]a tecnologia moderna ha


convertito lHomo sapiens in quello che io chiamo lHomo colossus(Ivi: 10). Su cento
uomini si stima che quindici allincirca siano Colossi: consumano da soli lottanta per cento
delle risorse, lasciando solo il venti restante agli altri ottantacinque. Per una coincidenza
degna di nota il Paese dei Colossi sembra un aggiornamento del Paese dei Balocchi. In questo
paese, per quanto meschinamente e vilmente qualcuno si conduca negli affari quotidiani,
dal punto di vista dellinterazione col pianeta, un Colosso; come lo , in eguale e anche
maggiore misura, chi si conduce onestamente e laboriosamente. Il disincantamento del
mondo si compie tra ombre di strani titani.
Non posso che concordare pienamente e ribadire con Catton che senza una pi ampia
prospettiva temporale il senso dei mutamenti sociali in atto ci sfugge, che dobbiamo pertanto
esercitarci sulle varianze diacroniche nello studio dei processi storico-sociali; ma
questesercizio deve renderci, in linea col rilievo di Nietzsche, non meno avvertiti delle
diacronie concettuali.
La nuova disciplina si venuta peraltro articolando proprio attraverso una discussione sui
paradigmi, definibili come quelle nostre perception-guiding idee intorno al modo in cui
le cose vanno che possono guidare i nostri sguardi piuttosto che semplicemente risultare
da ci che abbiamo visto (Ivi: 4). Il paradigma , secondo Catton, che sintetizza forse troppo
liberamente il dibattito, una concezione underlying cio: fondamentale, originale,
primaria, principale, essenziale della natura del nostro oggetto [disciplinare] che fa s
che certi tipi di questioni rispetto ad esso siano indagabili ed altre inindagabili, che fa s che
certi tipi certi di indagine sembrino legittimi e promettenti ed altri tipi sembrino irrilevanti,
impossibili, innecessari, o improduttivi (Ivi). Ed abbiamo visto come tra questi ricadano le
indagini sul plesso terra/suolo/territorio.
La definizione, proposta da Catton, di paradigma non manca certo dincisivit, singolare
tuttavia, che, pur ripetendola quasi alla lettera, Catton sembri non fare riferimento ad una
11

definizione sostanziale di idea-guida fondamentale, antecedente quella pi nota di Khun, ma


in compenso elaborata e proposta da un sociologo, Charles Wright-Mills e, forse anche per
questo, pi appropriata per la comprensione di processi ampiamente sociali e non solo
scientifico-disciplinari.
Per la comprensione di unepoca e di una societ pi importanti delle elaborazioni
simboliche del filosofo, del teologo, del pubblicitario, dello scienziato e dellartista sono
quelle dottrine che non sembrano affatto dottrine, ma piuttosto dei dati di fatto. Tali nondottrine, nellesperienza di chi attua i ruoli tipici della propria situazione storica, sembrano
categorie inevitabili della mente umana. Gli uomini pertanto non le considerano
semplicemente come opinioni corrette, perch esse sono entrate talmente nella mentalit,
hanno radici cos profonde, che in realt essi non ne sono affatto consci: non le vedono,
bens vedono altre cose attraverso di esse. E sono queste non-dottrine, queste idee astratte
che costituiscono il nucleo centrale; sono le cose che gli uomini danno per scontate quelle
che caratterizzano unepoca (corsivi miei) (Giannotti, 1976: 214-215).
Non basta criticare gli assunti di fondo di una disciplina condensati in un paradigma,
proponendo nuovi paradigmi, per essere sicuri di aver definito lambito dinfluenza di quelle
dottrine ed idee astratte che esercitano uninfluenza, pretendendo cogliere dati di fatto,
come fossero innate categorie della mente.
Non certo possibile qui, in questa sede, dirimere una tale questione, ma, si pu osservare
come, se relativamente semplice comprendere e criticare lidea centrale, base dello
sviluppo occidentale, che le risorse naturali siano illimitate o illimitatamente utilizzabili
o, grazie alla tecnologia, illimitatamente differenziabili, e se rimane meno semplice
affrontare il problema del limite, che significherebbe aprire una fase culturale nuova e
difficile (Cassano, 2001: 76) ancor meno semplice ancora comprendere che lo stesso
concetto di risorsa solo la conseguenza di una dottrina funzionalista, estesa, ai fini del
dominio sulla natura, al di fuori della sfera dei mezzi. Soltanto nel medium della tecnologia
luomo e la natura diventano oggetti fungibili di unorganizzazione () (Marcuse, 1967:
181).
Un albero di pero non solo risorsa, non solo funzionale, mai; cos come qualunque altro
organismo vivente (e, in certo misura, anche qualunque altro elemento inorganico). La sua
semplice presenza, o assenza, irriducibile alla sola funzione; perch, presumibilmente, lo
anche al solo concetto. [I]l vivente non subisce la signoria del concetto alla stessa stregua
che linorganico il concetto posteriore alla realt dellorganico (corsivo mio) (Simmel,
1938: 191).
12

Un albero di pero, inoltre, non mai solo quellalbero di pero: questalbero qui, davanti a
me e radicato nella terra, e nessun altro, ed , insieme nello stesso tempo, parte vivente di un
habitat, che parte di una comunit ecologica, che parte di un ecosistema, parte a sua volta
della biosfera.
Queste prospettive ecologiche, di cui Catton indica la carenza nelle scienze sociali, sono
presenti e operanti entrambe nel pensiero e nella pratica contadini.
E, per noi, come uomini che fanno esperienza del mondo, la percezione e luso di
questalbero di pere petrucine insieme immediata nel legame, o non legame, che abbiamo
con la sua presenza, e mediata dai millenni di memorie collettive che hanno elaborato il
rapporto e la percezione della comunit umana cui apparteniamo (che ci ha formati quali
siamo) con questalbero, questhabitat, questecosistema.
Ogni albero, ogni grossa pietra, ogni buca, ogni prato, ogni campo ha una propria
individualit e spesso un nome. La stessa tendenza si manifesta nellindividualizzazione e
spesso anche nella antropomorfizzazione dei periodi di tempo. Almeno un terzo dei giorni
dellanno sono individualmente distinti e il contadino non usa mai numeri, ma sempre nomi
individuali per indicare queste date per la pressione del cristianesimo sostituendo, poi, i
santi ai giorni (Thomas e Znaniecki, 1968: 171). E gli animali, le piante, i corpi celesti, la
terra, lacqua, il fuoco vivono tutti ed anche i campi e i prati individualizzati i giorni e i
periodi dellanno hanno una specie di esistenza (ivi: 172).
Nello stesso tempo: [t]utto questo mondo di esseri animati e pi o meno coscienti
connesso ad una solidariet generale che ha un carattere mistico ma le cui manifestazioni
esprimono un principio morale identico alla solidariet della famiglia e della comunit (ivi:
177).
Il pensare contadino si fonda sul riconoscimento dellindividualit di ogni organismo
vivente/senziente; e nel riconoscimento della comune appartenenza ad una totalit,
spazialmente limitata ma inesauribile, se inviolata. In questa sfera il concetto di risorsa
afono.
certamente insensato aspettarsi che gli anziani contadini di oggi percepiscano e pensino la
natura in questi stessi termini, il pi delle volte sono portatori ignari (ma non ingenui) di
tali legami; lagricoltura stata industrializzata e chimichizzata soprattutto, e questo ha
comportato che molte piante siano state bollate come nocive, nemiche della comunit e
vengano sterminate; tuttavia non meno insensato credere che retaggi esperienziali
istituzionalizzati nei secoli e nei millenni siano stati interamente cancellati nellarco dei
cinquantanni, e poco pi, della modernizzazione dirompente.
13

Il processo di individualizzazione del tempo, per fare un solo esempio, ancora chiaramente
leggibile nei dittri, i proverbi: mprestame do giurni, frate marzu, e bbidi a sta vecchia ce
li fazzu. Ci si rivolge a fratello marzo, come gi San Francesco a frate foco, e la
vecchia sono gli ultimi, e pi freddi, giorni di febbraio; o udibile ancora in sentenze
icastiche. LAcqua il secondo Dio.
Si cancelleranno se saranno lasciati a stessi, come in ogni forma non si stancato di far
sentire e comprendere Pasolini. Le sue opere hanno questa valenza emotivo/cognitiva
fondamentale: di indicare con nettezza la possibilit di mutamenti irreversibili e, forse,
catastrofici. Vivere con i contadini anziani, lavorare con loro, ascoltarli, discutere su un piano
di parit per quanto difficile sia non irritarsi e non irritare permette di scorgere, ancora
oggi, le trame millenarie che hanno tessuto e tessono le loro vite sin dentro la
modernizzazione.
Avendo presente che per la comunicazione in quel mondo, tenero e rude a un tempo, nel
quale la scrittura inutile, vale, come chiave ermeneutica, un esempio riportato da Uspenskij,
tratto da Odoevskij. Perch lesempio sia traslabile al nostro Sud, sufficiente sostituire a
soldato, contadino, e limprecazione aggiornarla alle pi consuete nel proprio dialetto. Il
soldato, che incontra un vecchio amico, non dice: salve, fratello, o qualcosa del genere, come
si legge nei nostri romanzi, ma questo: Ehi! Ehi! Fermatelo! Eccolo! Ah! Fotti tua madre [in
Russo: mat] e si abbracciano (1988: 52). I rapporti pi confidenti sono ritmati dalle
varianti del turpiloquio amoroso. [L]oscenit () nelle conversazioni scherzose e gradevoli
rappresenta il sale, il condimento, la sostanza del discorso (Ivi). In generale mi pare che
pochi studiosi di altri paesi riescano a compenetrarsi dello spirito popolare come quelli Russi.
La semantica dellespressione mat, una delle bestemmie pi stigmatizzate nella Russia antica,
anche a causa della sua enorme diffusione, ci riconduce indirettamente al tema principale di
questa parte, la morte. Nelle permutazioni semantiche lespressione infatti connessa, nella
cultura popolare russa, alla Terra e alla Madonna. Le due Madri si coappartengono ed un
unico interdetto le protegge. E quando si rischia la morte in combattimento bisogna indossare
abiti puliti per non recare, morendo sporchi, offesa alla Terra. Anche nel trapasso bisogna
essere in armonia con la terra, perch la terra sentita come il luogo in cui abitano gli
antenati (Ivi: 70) . Il trapasso non conosce eternit. Il mondo contadino circolare, com
noto, e in un senso peculiare; ed proprio riguardo al rapporto alla Madre Terra che la
dottrina moderna della morte si rivela circoscritta, in quanto in questo rapporto non solo
la morte nella vita, ma la vita nella morte. Alcuni legami si strutturavano, e spesso
strutturano, quasi in maniera pura presso i popoli che non hanno goduto pienamente
14

dellevoluzione universale di stampo euro-occidentale. Ricorro, per questo motivo, ad


unesposizione etno-antropologica.
La terra in realt appartiene in senso assoluto al gruppo sociale nel suo complesso, vale a
dire allinsieme dei vivi e dei morti. La propriet del suolo dice il padre van Wing
collettiva. Ma complessa ne la definizione. Solo il clan, o la stirpe, possiede il suolo
indiviso; ora il clan, ovvero la stirpe, non composto soltanto dei viventi, ma anche e
soprattutto dai morti . () Anche presso gli Ashanti, gli antenati sono i veri padroni del
suolo. Anche se morti da molto tempo, essi continuano a portare un vivo interesse alla terra
ove sono nati e che una volta hanno posseduto (Levy-Bruhl, 1948: 122-123).
La solidariet tra i vivi ed i morti, si manifesta nel fatto che, secondo queste concezioni
dominanti, i morti sono costantemente presenti allo spirito dei vivi, nel fatto che i vivi non
fanno niente senza consultarli, nel fatto che benessere, prosperit, e lesistenza del gruppo
sociale dipendono dal buon volere dei morti. Si manifesta come vita nella morte,
profondamente e intimamente, poich i morti vivono con i membri del loro gruppo che
vengono al mondo in quanto pur restando nel loro soggiorno sotterraneo o celeste, i morti
sono tuttavia presenti, nello stesso tempo, poich i morti sono i nomi ed in un certo senso
le anime dei bambini stessi (Ivi: 381).
Aver presente i conflitti intrafamigliari nella scelta del nome del nascituro di quale dei
nonni deve assumere il nome? sarebbe sufficiente per comprendere limportanza della
compresenza dei morti nel mondo contadino e meridionale, se non fosse stato il primo teorico
della comunit, una delle cui forme empiriche quella contadina, Ferdinand Toennies ad
aver affermato che il tratto fondante della comunit, quel tratto cio venendo meno il quale
soltanto la comunit viene meno, il legame di continuit tra i vivi e i morti. La convivenza
comunitaria ha, infatti, come la famiglia, radici invisibili, metafisiche, per cos dire
sotterranee, in quanto deriva da antenati comuni. I viventi sono uniti dalla successione delle
generazioni che sono state e che saranno, dal presente e dal futuro (1963: 297).
In questa dimensione la morte individuale, pur sempre temuta, non ha nulla dirreversibile;
come non irreversibile il tempo, in quanto esiste solo il presente, ma un presente molto
capace e ampio, che non si riduce al momento ma comprende passato e futuro e non
separato da essi da alcun netto confine (Gurevi, 1983: 103).
Tutto questo sembra lontano ed estraneo, ma cosaltro sono, in fondo, i paradigmi se non la
persistenza dei pensieri dei nostri morti, dei nostri antenati, nelle nostre vite?

15

4 Religiosit e complessit
La spettacolarizzazione della vita ha i suoi lati intriganti chi potrebbe negarlo? ma
senzaltro difficilmente conciliabile con il senso del religioso.
Nel mondo contadino, cio nella quasi totalit delle societ conosciute prima dellirrompere
del processo di industrializzazione, e per molto tempo anche dopo che il processo s diffuso,
ed in metamorfosi rituali inesplorate, ancora oggi, anche latto pi semplice di usare i doni
della natura assume un carattere religioso tutti gli atti che comportano un consumo di
prodotti naturali erano o sono accompagnati da cerimonie religiose, ringraziamenti,
benedizioni ed azioni espiatorie (Thomas e Znaniecki, 1968: 182).
Le risorse mancano perch nessuno vorrebbe e potrebbe percepirle e definirle come tali:
sarebbe empio.
Nel pensare e nelle pratiche contadine, nei luoghi strutturati da e attraverso tali pratiche, a
volte anche quando segnate dallo sfruttamento e in gran parte meccanizzate, tangibile la
persistenza di quanto affermava uno dei primi grandi ricercatori empirici nelle scienze
sociali, che ha studiato le famiglie lavoratrici europee, dagli Urali al Portogallo, Frederic Le
Play: Esse [le pratiche agricole] stabiliscono tra la famiglia, il suolo, le piante e gli animali
dei legami armoniosi ed intimi che completano il piacere del focolare domestico e creano,
con lamore della patria, i pi nobili sentimenti della vita sociale. Nel fornire agli uomini i
mezzi di produrre gli oggetti necessari allesistenza, assicurano loro la vera indipendenza, ed
in questo modo li mettono al riparo dalla corruzione che proviene, in certe epoche, dalle
classi dirigenti(1947). A queste affermazioni di un conservatore illuminato, fanno eco le tesi
lapidarie del progressista Durkheim, sulla genesi e sullordine delle societ umane,: 1)
Dans le principe tout est religieux In principio tutto religioso. (1897) 2) come essa
(cfr. la societ) non tuttavia che la forma pi alta della natura, dentro e attraverso la societ
la natura tutta intera che prende di se stessa una pi alta coscienza (1910).
I fenomeni sociali fondamentali non sono equiparabili ad ideologie, siano esse di destra o
di sinistra, e mai dipendono unilateralmente dai processi economici.
Negli aprichi meridiani marghi quella tensione religiosa s assimilata la Chiesa, quasi pi
chesserne assimilata; ed soltanto in omaggio ad un illuminismo e positivismo ridotti a
formule stereotipe, che non siamo pi, e non siamo ancora, in grado di riconoscere e
partecipare di questi legami al punto da non avvertirne la confidenza intrinseca e
dogmatica. Lidea che le tradizioni siano riducibili ad una miscela di superstizioni e
repressioni una banalit imperdonabile (Cassano, 2005: XV).

16

Legami che sacralizzano, silenziosamente, i luoghi. Un fatto questo che caratterizza i nostri
territori, quello di Zollino non meno di tanti altri. Come scrive Imbriani: sebbene esistano
angoli riservati a pratiche puramente laiche, tuttavia quasi impossibile, ancora adesso, nei
paesi dellItalia meridionale rintracciarne scevri e lontani da strutture, suoni, immagini che
richiamano la presenza costante della chiesa: nei campi come nelle piazze, edicole, edifici,
campane li segnano e caratterizzano (2008: 87).
Non si tratta affatto di restaurare una qualche condizione passata; ma, come gi accennato,
rescindere, sotto le bandiere dellinnovazione, una parte dellesperienza possibile del mondo
non meno unilaterale ed arbitrario del volere che le cose, le relazioni, le istituzioni si fissino
in configurazioni immodificabili. I conflitti, come gi sapeva Toennies, sono inevitabili, ma
un dialogo tale quando li affronta e trascende dallinterno. Il punto , non negandone a
priori la consistenza, confrontarsi col pensare contadino, senza precludersi alle questioni del
presente. Il punto che poche cose sono pi cariche di potere degli sguardi, poche cose
naturalizzano e neutralizzano le gerarchie pi di essi. Coltivare la metamorfosi nellocchio
non quindi unoperazione onirica (Cassano, 2005: XXIII).
La storia si modula in polarizzazioni dialettiche. Quanto precede pu indurre nella
tentazione di pensare che i giardini dellEden, magari con biglietto dingresso ridotto, siano
agevolmente visitabili in comitiva, su questa terra, oggi.
Una pagina weberiana espunta dallacerrima disputa sul metodo nelle scienze storicosociali, pu, da sola, far cadere i timori dincontrare Aminta, al canto sei piace, ei lice.
In modo che siano comprensibili anche ai non senzienti, Weber elenca la molteplicit
dinteressi che, prescindendo del tutto dagli infiniti conflitti di interessi tra allevatori di
bestiame, ingrassatori di bestiame, coltivatori di grano, consumatori di grano, distillatori di
acquavite e cos via potevano essere sussunti, gi un secolo fa, nel concetto agricoltura
mediante lespressione interessi dellagricoltura. Lelenco comprende gli interessi di
agricoltori che vogliono vendere il proprio podere; quello contrapposto di quelli che
intendono comperare, accrescersi, affittare; linteresse di coloro che vogliono conservare il
podere per lasciarlo in eredit ai successori, e mirano alla stabilit; linteresse contrapposto di
quelli che vogliono si movimenti la propriet. Ed ancora: linteresse puramente economico
del padrone pi capace, nel senso delleconomia privata, alla libert di movimento
economico; linteresse antagonistico di determinati strati dominanti alla conservazione della
tradizionale posizione sociale ed economica del proprio ceto ; linteresse sociale degli
strati di agricoltori non dominanti al declino di quegli strati superiori , ma anche

17

linteresse di questi stessi agricoltori che talvolta risulta in collisione col precedente, di
possedere in quegli strati una guida politica (1974: 130-131).
Ma oltre agli interessi degli agricoltori nellagricoltura, interessi, aggiungiamo, spesso
perseguiti con caparbiet pari solo allastuzia, in spregio di qualunque regolamentazione
formale, caratterizzati da forme di parsimonia sconfinanti nellavarizia, segnati da orgogliose
avversioni intra/inter-famigliari che si ereditano per generazioni, vi sono gli interessi sociali
generali che gravitano sulla produzione agricola. Ancora con Weber: interessi produttivi,
derivanti dallinteresse in una nutrizione pi a buon mercato della popolazione, che non
sempre coincide [oggi possiamo dire: quasi mai] con quello, in una nutrizione
qualitativamente migliore, a cui possono contrapporsi in varia maniera gli interessi della citt
e della campagna mentre non c alcuna garanzia [e qui Weber anticipa straordinariamente
anche se a rovescio uno dei temi dominanti dellagenda politica attuale: lo sviluppo
sostenibile] che linteresse della generazione presente sia identico con il probabile interesse
di quelle future. Questi interessi sociali allagricoltura sono ancora quelli che, in forme
mutate e complicate, determinano le politiche agricole nazionali ed internazionali. Lelenco
degli interessi per lesempio, a detta di Weber, grossolano e semplificato da lui scelto,
continua con quelli demografici, quelli socioculturali, quelli statali (Ivi; 132-133); e
sappiamo, anche se forse non conosciamo ancora con la necessaria chiarezza, quanto
questultimo intreccio sia stato determinante nella vessata questione meridionale. Mentre
linarrestato processo di burocratizzazione ha portato alla proliferazione di agenzie,
associazioni di categoria, enti di certificazione, promozione, controllo, ricerca; alla
moltiplicazione di vincoli procedurali, alla legiferazione ai pi diversi livelli di governo, dalla
Commissione Europea alle Province e dai pi diversi punti di vista (tutela del suolo, delle
acque, uso di sostanze chimiche, sussidi a coltivazioni, protezione degli habitat e delle specie,
brevetti e cos via); e la crescita del comparto industriale agro-alimentare ha portato alla
formazione di monopoli a scala mondiale sugli alimenti (es.: Nestl), le sementi e gli erbicidi
(es.: Monsanto), e coinvolge agronomi, consorzi agrari, grossisti, grande distribuzione,
strategie di marketing, intere economie di produttori di materie prime e una miriade di
organizzazioni che lavorano per contrastare i grandi monopoli: la selva dinteressi in gioco
non ha oscurit da invidiare a quella dantesca.
Non sorprende, allora, che alcune dinamiche innovative appaiono pi praticabili in territori
marginali che non dentro i confini dellimmateriale impero occidentale. Cos sono scienziati,
ecologi tra altri, quelli che, per potenziare e raffinare le tecniche di gestione nella
conservazione di ecosistemi preziosi e minacciati, elaborano ambiti concettuali quali la
18

Traditional Ecological Knowledge o, anche, la Local Knowledge. La prima, Berkes la


definisce come: un corpo cumulativo di conoscenza, pratica e credenza, che si evolve
mediante processi adattivi e trasmessi tra le generazioni, attraverso la trasmissione culturale,
riguardanti le relazioni tra gli esseri viventi (includenti gli umani) gli uni con gli altri e con il
loro ambiente. Si discute, a livello internazionale, se traditional sia sempre e/o soltanto
local, ma il meno che si possa dire in questo contesto, assecondando lo stile acronimico
anglo-sassone, che meglio sarebbe unificare lapproccio in un nuovo conio: TLEK:
Traditional Local Ecological Knowledge (Carbone Izzi, 2008). Perch tempo e spazio sono
categorie scindibili quando teoretiche ma inscindibili quando storico-esperienziali
(Magnaghi, 2000). Ma la TLEK non individuabile e riconoscibile solo in societ esotiche,
forma invece il nucleo del sapere e saper fare contadino ancora oggi, in molteplici e
differenziate enclave agricole europee e meridionali in particolare. Ricordando quanto
affermato da Durkheim e Le Play, non apparir casuale, che Berkes abbia intitolato uno dei
suoi libri, in cui delimita lambito della TEK, The Sacred Ecology. Quali altre forze sociali,
se non quelle religiose, avrebbero potuto perpetuare il mondo contadino, nella sua singolare
autonomia, nonostante lenorme pressione sociale esogena ed endogena cui stato, ed ,
sottoposto?
Per fugare limpressione, inevitabile in post-illuministi quali siamo, che si vogliano
enfatizzare aspetti spiritualisti ed inconcreti sottolineiamo con Bachtin che per la religiosit
contadina e popolare tutti i fenomeni vitali, incluse la morte e la tomba: sono immersi in un
evento unitario e caratterizzano i vari aspetti di una sola totalit: la crescita, la fecondit, la
vita, intesa sotto il segno della crescita e della fecondit. La vita della natura e la vita umana
sono fuse in questo complesso; il sole nella terra, nel prodotto consumato, e lo si mangia
e lo si beve. Gli eventi della vita umana sono grandiosi quanto quelli della vita naturale (per
essi si usano le stesse parole, gli stessi toni, in un senso tuttaltro che metaforico). E tutti i
membri del vicinato (tutti gli elementi del complesso) hanno pari dignit. Il mangiare e il
bere hanno, in questa serie, la stessa importanza della morte, della procreazione e delle fasi
solari (Bachtin, 1979: 358).
Il bios cosmico e sacro.

19

5 Del necessario
[I]o sono sempre pi scandalizzato dallassenza di senso del sacro nei miei
contemporanei, dice, come accennavo allinizio, Pasolini, nellintervista-saggio Il sogno del
centauro (Cassano, 2001: 127).
Ma quasi pi scandalosa del sacro senza sacramenti, la categoria della necessit.
Di necessit sembra non si possa pi parlare, soprattutto sul piano individuale: chi pu
decidere che cosa sia necessario per chi? Solo lindividuo, la risposta unanime. La necessit
si declina nella rivendicazione dellaver diritto a qualcosa, al riconoscimento di qualcosa,
allaccesso a qualcosa; allinclusione di tutti nel sistema sociale, ma in quanto individui.
Ma una necessit declinabile solo sul piano individuale?
Supponendo che lindividualismo sia, oggi, unideologia, quella dominante; che peraltro si
concretizza non di rado nelle pratiche di un io prigioniero del suo etnocentrismo
istantaneo, che ha orrore di qualsiasi vincolo, anche delle promesse fatte agli altri e a se
stesso appena ieri (Cassano, 2005: XXX-XXXI); possiamo chiederci, come sempre con le
ideologie, da che cosa, per cos dire, ci distragga.
Una sola valutazione, espressa in un linguaggio scientificamente anodino, indica che storia e
storiografia non coincidono, indica lirruzione dellaccadere storico come necessit:
durante lintero corso della storia dellumanit, in nessun periodo si assistito ad
uninterferenza con gli ecosistemi terrestri di proporzioni simili a quelle che si testimoniano
nella seconda met del XX secolo (Board del Millennium Ecosystem Assessment, 2005).
Le societ umane non hanno interferito con eufemismo che, innumerabili volte, sta per
infierito su lArca Terra mai come nellultimo mezzo secolo o poco pi.
Tra molto altro anche in conseguenza dellindustrializzazione dellagricoltura. Tratto questo,
in cui anche la pratica dellagricoltura mostra la sua attuale insostenibile ambiguit. Basti
pensare che dal 1945 si sono convertite ad uso agricolo pi foreste, savane e praterie che nei
secoli diciottesimo e diciannovesimo e che di pari passo c stato un enorme incremento
dellutilizzo di fertilizzanti artificiali a base di azoto e fosforo. Per dare una misura della
smisuratezza del processo possono bastare due soli dati: Dal 1960 al 1990 quasi triplicato
lutilizzo di fertilizzanti a base di fosforo. [E] dal 1985, stata utilizzata pi della met di
tutti i fertilizzanti a base di azoto prodotti nella storia dellagricoltura (creati nel 1913) (Ivi,
13).
Pasolini, in non grande compagnia, allora come ora, attento alle varianze diacroniche, viveva
nella piena consapevolezza di quanto veniva accadendo e le sue poche parole sono pi

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penetranti di molti saggi teorici: Mi pare che in fondo tutti questi movimenti di
contestazione, studenteschi o altro, non siano che semplici parentesi nella storia dellumanit.
Oggigiorno, la storia determina il suo orientamento in funzione di uno scopo unico:
lindustrializzazione totale del pianeta lumanit, considerata dallalto, tende in modo
uniforme a questa industrializzazione totale e al dominio universale della tecnologia sul
pianeta (1999: 1464-1465).
Nel mezzo di nel mezzo di e non davanti a, perch noi, volens nolens, siamo dentro
questo processo, quale necessit sovrindividuale emerge, almeno agli occhi di alcuni, sempre
pi nettamente?
La necessit dellelaborazione di un modello di societ interamente differente da quelli
tendenzialmente dominanti a livello planetario nella modernit, fondato su un rapporto
interamente differente tra societ occidentalizzate e natura.
Ancora in una dura e tagliente formulazione pasoliniana, in una sorta di poema in prosa
dallimprobabile titolo Appunti per una poesia in lappone, cogliamo il nucleo della
questione: Il modello di sviluppo quello voluto dalla societ capitalistica che sta per
giungere alla massima maturit. Proporre altri modelli di sviluppo, significa accettare tale
primo modello di sviluppo. Significa voler migliorarlo, modificarlo, correggerlo. No: non
bisogna accettare tale modello di sviluppo. E non basta neanche rifiutare tale modello di
sviluppo. Bisogna rifiutare lo sviluppo (1999).
Se questa istanza, rifiutare lo sviluppo, non verr assimilata e coltivata con la debita
determinazione ritengo che ancora per molto ci consegneremo alle dinamiche distruttive in
atto. Daltro canto la domanda chiave stata gi posta, con decisione, anche proprio da
Catton, pochi anni dopo le parole di Pasolini. Per linerzia radicale delle dinamiche di
mutamento disciplinare (la morsa dei paradigmi non tutto giustifica), ignorando la domanda
(lunica libert che le domande danno), si continua a ritenere, che le tematiche ambientali
siano marginali per le dinamiche sociali, mentre sempre pi rapidamente, in realt, in quello
che dalla e della realt ci dato cogliere, sembra stia accadendo lesatto opposto:
determinanti centrali dei temi sociali ed economici sono le dinamiche ecologico/ambientali.
[L]a grande questione che i sociologi dovrebbero cominciare a porsi questa: quanto a
lungo pu questo pianeta tollerare una civilizzazione industriale? () tempo di
domandare se lindustrialismo sia il culmine dellevoluzione culturale o sia semplicemente
uno temporaneo spasmo nella saga culturale della nostra specie (corsivo mio) (Catton, 1982:
12). Ignorando queste questioni, o disambiguandole unilateralmente in affermazioni come lo
spazio intero del pianeta coincide ormai con il sociale, la disciplina, in una solo apparente
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neutralit scientifica, contribuisce a perpetuare la cecit alla necessit; inclusa la necessit di


un ripensamento della disciplina a partire dalla sua configurazione originaria.
Certo, allo stato dellarte, questa, pi che una necessit pu apparire come dissennatezza. Ma
non il caso di trascurare la tesi formulata da Max Weber in una delle sue ultime e pi note
conferenze, La politica come professione: perfettamente esatto, e confermato da tutta
lesperienza storica, che il possibile non verrebbe raggiunto se nel mondo non si ritentasse
sempre limpossibile (1948: 120-121))
Il fatto che un obiettivo appaia, e sia, impossibile non , in alcun modo, un motivo valido
per rinunciarvi: non realizzeremmo nemmeno il possibile se non ritentassimo sempre ci che
eccede il consueto. A questaffermazione si pu rispondere con una scrollata di spalle, forse
con un sorriso di sufficienza; con questo atteggiamento per, pensarlo facile, asservendosi a
quella, che appare, stato Georg Simmel ad averlo detto molto per tempo, come la nostra
sorte immutabile, e cio limpotenza e, soprattutto, laccettazione del dato (1985: 99).
Onorato laltare del fattibile, torniamo alla questione teorico-esperienziale; tra le molte e
continue formulazioni che ne sono state, e vengono continuamente, proposte, ricorro ancora
ad unaltra delle poesie in prosa di Pasolini, dal titolo Appunti per una poesia in terrone:
Cos non si pu pi andare avanti () Bisogner tornare indietro e ricominciare daccapo.
() Perch la nostra ansia, se giusto che non sia pi ansia di miseria, sia ansia di beni
necessari.() Torniamo indietro e ricominciamo daccapo. Non vi troverete pi di fronte
al fatto compiuto di un potere borghese ormai destinato ad essere eterno. Il vostro problema
non sar pi il problema di salvare il salvabile. Nessun compromesso. Torniamo indietro.
Viva la povert. Viva la lotta per i beni necessari (1999)3.
Pasolini stigmatizza qui il progressismo ad ogni costo, quello che affermava nei suoi
slogan Il progresso il nostro pi importante prodotto (Catton, 1982: 7), e che, nonostante
tutte le critiche intercorse, tacitamente orienta la storia in quanto borghese, cio, nel
linguaggio delle scienze sociali, la modernit e tutti i suoi post-. La cultura/civilt occidentale
borghese quella metropolitana, determinata dal, e condeterminante il processo di
industrializzazione totale del pianeta. Un tratto distintivo di quella compagine
ideologico/culturale , secondo Pasolini, una sorta di paradigma, unidea conduttrice
sinceramente o insinceramente comune a tutti: lidea cio che il male peggiore del mondo sia
3

Chi ancora frequenta questi versi pasoliniani potrebbe trovare arbitrario che io abbia espunto dalle citazioni
ogni riferimento al comunismo. Le motivazioni della scelta richiederebbero un altro saggio; mi limito a rilevare
come comunismo, sia un concetto troppo mistificato nellambito della sfera pubblica, per poter essere
richiamato senza precisazioni e delimitazioni, tediose in questa sede. Lomissione non rende, a mio avviso, le
parole meno appropriate.

22

la povert e che quindi la cultura delle classi povere deve essere sostituita con la cultura della
classe dominante. E la colpa, storica, della sua generazione sarebbe stata nel credere che la
storia non sia e non possa essere che la storia borghese (1976).
Nella visione borghese del mondo, assolutizzatasi in quella piccolo-borghese in chi cio
spesso proprio nella dignitosa povert contadina cresciuto e si formato la necessit si
coniuga solo con la povert, se non con la miseria. La povert appare solo come uno stato di
privazione. questa, ci domandiamo, lunica possibilit?
Dalle pagine in cui Camus racconta della sua infanzia vissuta in Africa, Franco Cassano, ne
Il pensiero meridiano, riprende, contrapponendosi implicitamente allidea conduttrice
comune a tutti, il tema della povert felice, riportando queste parole dello scrittore: il bel
caldo che regnava sulla mia infanzia mi ha privato di ogni risentimento. Vivevo in strettezze,
ma anche in una specie di godimento. Mi sentivo forze infinite: si trattava soltanto di trovar
loro un punto di applicazione. La povert non ostacolava queste forze: mare e sole in Africa
non costano niente (2001: 99).
Moltissime infanzie meridionali sono state felici, e colme di forze che spesso hanno dato i
loro frutti altrove, perch il sole la terra e, non per tutti, il mare, non costavano niente,
sebbene di poco daltro fossero prodighe le stagioni. E quella felicit parte grande della
memoria dei viventi, non solo dei morti.
Forse, allora, il prezzo pi alto del benessere diffuso, da cui sono esclusi comunque
miliardi di nostri simili, lo stiamo pagando, perdendo la misura (Cassano, 2005) del
necessario, dei beni necessari. Quei beni di cui troviamo la misura solo nel rapporto
religioso con la terra, con il bios. Ed forse la perdita di questo rapporto, al di qua delle
distruzioni crescenti ed eclatanti, il depauperamento esiziale che ci tocca, e cui siamo ciechi.
Ed per cercare nuovamente quella misura, e la terra vivente, per coltivare una crescita, che
non neghi la modernit e la rifugga, ma che nemmeno le ceda incondizionatamente e alla
lettera, il campo, al di l di edulcorate nostalgie e tetre ideologie, che possiamo, prima che il
passo, volgere lo sguardo allindietro.
Allincirca negli stessi anni in cui scriveva Pasolini, il pi grande antropologo italiano di
quegli anni, Ernesto De Martino componeva una sorta di zibaldone, per un progetto rimasto
incompiuto, riordinato da Clara Gallini e pubblicato postumo col titolo La Fine del Mondo.
Contributo allanalisi delle apocalissi culturali.
Per una di quelle, sempre pi rare, corrispondenze (non coincidenze) tra poesia e teoria, da
cui si genera la conoscenza, delle centinaia di frammenti scritti e trascritti da De Martino ce

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n uno in particolare dedicato ai beni necessari, o meglio, al pi necessario, ed insieme al


pi religioso dei beni, quello che simboleggia, almeno per noi, tutti gli altri, il pane.
Certo! Quale immagine pi idillica e sfruttata? Dal Bianco Mulino ai gialli campi di grano
vangoghiani nei Sogni di Akira Kurosawa. Come ha scritto, nelle sue Satire, il grande
pittore e poeta napoletano Salvator Rosa: Le metafore il sole han consumato,/ e, convertito
in baccal, Nettuno/ Fu nomato da un certo il Dio salato (1833: 110). Quale metafora pi
logora che quella del pane? Quale retorica pi scontata? Non meno scontata appare per
lidea che il pane sia una rappresentazione, e non quello che , che innanzitutto
percepiamo: una cosa, fatta con le mani e con la storia.
Il frammento di De Martino, composto grazie alla penetrazione di uno sguardo volto
allindietro, attento alle varianze diacroniche, fa emergere processi millenari nel presente e ad
essi commisura le conquiste della modernit. La sua ricchezza lo rende, per cos dire,
incommentabile. Ci che ho scritto sinora, sulla storia, la morte, la terra, il religioso, la
necessit, pu esser letto come un tentativo di spostare lattenzione verso questi temi troppo
volentieri marginalizzati, ma pu esser riletto anche come un tentativo, pi o meno destro, di
rendere percepibili nel gioco delle risonanze e dei contrappesi le stratificazioni,
desperienza e di conoscenza, che lo compongono e che attraversa.
Se una minaccia la fame, una minaccia anche mangiar da soli: ch il pane come cibo che
nutre si pu perdere anche quando si spegne la sua valorizzazione di cibo da mangiarsi in
comune. Nel simbolo eucaristico il pane si assottigliato nell'ostia, perdendo qualsiasi
significato nutritivo corporeo, per l'esclusivo vantaggio di un nutrimento di altro genere che
distingue l'uomo dall'animale. Giustamente il mondo moderno volge la mente a coloro che
non hanno pane, ai milioni che patiscono la fame: ma, d'altra parte, attenzione
all'imbanditissimo self service delle nostre metropoli, dove si rischia di perdere il pane in
altro senso [pi radicale ancora]4, perch malgrado la folla di individui solitariamente
masticanti e deglutenti, non c pi n banchetto n commensale. Occorre ricordare che
quando mangio il pane, mangio sempre, in un certo senso, il corpo del Signore: perch il
pane tale per l'uomo in quanto racchiude molteplici memorie culturali umane, la invenzione
della agricoltura, della domesticazione degli animali, della cerealicultura, sino a giungere al
lavoro di contadini e di fornai che hanno realizzato questa pane che sto mangiando: un
progetto comunitario dell'utilizzabile, con tutti i suoi echi di immani fatiche umane, di
decisioni, di scelte, di gusti socializzati, sostiene e assapora questo pane qui ed ora, e ne
condiziona l'appetibilit e il nutrimento. Senza dubbio il mio senso storico moderno mi rende
4

Il passo tra parentesi quadre compare in altre due versioni precedenti del frammento, e non in questa.

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avvertito che io non mangio il corpo del Signore ma il pane: ma ci vero solo nel senso
che siamo giunti in un'epoca in cui dobbiamo demistificare il pane, riconducendo lostia del
banchetto eucaristico al pane dell'ultima cena, e il pane dell'ultima cena alla vicenda
operativa umana che, attraverso la fondazione delle civilt cerealicole, giunge sino ai
contadini e ai fornai che resero possibile il pane dell'ultima cena. Se per ci rendiamo conto
delle ragioni che fecero occultare nel corpo del Signore il pane generato dalla fatica e
destinato alla nutrizione del corpo, resta il problema di ritrovare il pane del banchetto, e di
comunicare in tal modo, attraverso il suo diretto significato umano che accenna a contadini e
a fornai, con la comunit intera e reale, davanti a cui testimoniare per l'uomo (2002: 616617).
Galatina, 2008
Luca Carbone

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