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PERCH GLI DEI NON HANNO SGUARDO

Introduzione
Un oggetto riflette un disegno di luce sullocchio. La luce entra nellocchio attraverso la pupilla,
viene raccolta dal cristallino e proiettata sullo schermo che si trova nel retro dellocchio, la retina.
Questultima dotata di una rete di fibre nervose che [] filtrano la luce a diversi milioni di []
coni. La reazione dei coni [] consiste nel portare al cervello le informazioni relative alla luce e
al colore. a questo stadio del processo che nelluomo gli strumenti della percezione visiva
cessano di essere uniformi e cambiano da individuo a individuo. (Baxandall, 1972)
Con queste parole Baxandall dava avvio senza saperlo alla storia dei visual studies. Eppure non
aveva inventato nulla di cos nuovo. Stava solo raccordando le allora ben note ricerche della
Gestaltpsychologie con lapproccio storico-sociale e iconologico che allora andava per la
maggiore in Inghilterra, sede del Warburg Institute. Discorsi non molto dissimili infatti erano
fatti anche da Gombrich che, richiamandosi pure lui alla Gestalt e alla Psicoanalisi andava alla
ricerca di un pattern mentale che guida lesperienza dellartista, sebbene in un modo
storicamente socializzato e culturalizzato. Si pone cos il problema della cultura della visione. La
visione di per se stessa non coincide con lo sguardo. Anzi, in certe accezioni pu addirittura
rappresentare il suo contrario. Ad esempio, se pensiamo alla visione come a un fenomeno di
ricezione passiva della luce come in una telecamera lasciata accesa, la sua passivit si oppone
allattivit che invece il presupposto indispensabile dello sguardo. Per Didi-Huberman (2008)
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lo sguardo addirittura fallico, e quindi si andrebbe a contrapporre a una visione passiva che
verrebbe ad essere il suo corrispettivo vaginale.
I biologi svedesi Nilsson e Pelger, in una ricerca sullevoluzione dellocchio, poi resa famosa da
Dawkins, ci offrono anche un sostegno scientifico a questa opposizione che rappresenterebbe
due diverse fasi di sviluppo di esso. Secondo tale teoria inizialmente alcune parti della pelle
erano sensibili alla luce e a un certo punto queste si concentrarono creando uninfossatura nella
pelle. La prima tipologia docchio (detta ocello) quindi concava e non convessa (es. planarie).
La forma sferica dellocchio deriverebbe proprio da questaffossamento epiteliale che, una volta
assunta la forma di uno stenoscopio (es. nautilus), viene chiuso con un cristallino e riempito con
un corpo vitreo e acquista infine anche quelle capacit di movimento che sono essenziali per
parlare di sguardo. Infatti lo sguardo non indica tanto la pura visione, ma i movimenti del
recettore visivo che scansionano lambiente, lo perlustrano e lo indagano.
Ma lo sguardo va ancora pi in l, non si accontenta di perlustrare, cerca anche altri sguardi,
cerca dei feedback in altri organi della visione e nei loro movimenti o nei movimenti dei muscoli
facciali attorno ad essi, esso cio aspira non solo alla visione, ma alla comunicazione, mostrando
complicit, interesse, indifferenza. Uno dei pi tipici atti di questa complicit proprio quella
strizzatina docchio o occhiolino che per un momento inibisce la visione. Lo sguardo non si
limita a raccogliere informazioni, ma le esprime. Lo sguardo emotivo, tradisce le emozioni,
comunica agli altri anche quello che non dovrebbe comunicare. Lo sguardo quindi il correlato
inevitabile della soggettivit dellesperienza in una dimensione che per costitutivamente
intersoggettiva. In tal senso lo sguardo visione espressiva (vultus) e visione veduta (visus).

Sguardi e volumi
La visone quindi si soggettivizza nello sguardo e assume un carattere dialogico in quanto non
solo registra ma interagisce col mondo. Baxandall compie subito un primo passaggio dalla
visione allo sguardo attraverso levocazione di una cultura dellosservazione che si sviluppa nel
Quattrocento e che ci testimoniata dalla rinascita del genere dellekphrasis. Un colto
committente rinascimentale non prendeva per buono qualsiasi effetto di superficie, ma era
esigente perch aveva delle idee precise su come dovevano essere i dettagli e la fattura dellopera.
La pittura non solo il frutto di unattenta osservazione in senso attivo, perch essa anche un
corpo che si espone in senso passivo allo sguardo altrui, ed quella la sua prova del fuoco,
perch per sostenere questo regime di osservazione che viene prodotta.
Nel Rinascimento in effetti tutto ruota intorno ad osservazioni e sguardi. La tecnica di cui si
serve il maestro rinascimentale anchessa basata sullassunzione di un punto di vista
particolare che la rende particolarmente verosimigliante. In tal senso la prospettiva allinizio era
di per se stessa una vera e propria attrazione, un po come lo fu poi il cinema 3D, rispetto alla
piattezza degli usuali dipinti bizantinenggianti.
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La scoperta dello sguardo e la scoperta del volume allora sono due facce della stessa medaglia e
non un caso che Giotto che considerato come colui che ha aperto la strada del Rinascimento,
sia colui che da una parte ha introdotto i volumi nello spazio pittorico e dallaltra sia il pittore
degli sguardi.
Lo sguardo nel momento in cui rende concreto losservatore indivualizzandolo, rende concreta
anche la sua realt individuandola nei volumi delle cose e degli spazi.

Sguardi vs immagini
Se lo sguardo arriva persino ad opporsi alla semplice visione nella dualit attivo/passivo,
maschile/femminile esso si oppone a maggior ragione ben pi drasticamente allimmagine.
Infatti quando si parla di immagine allora sguardo e visione stanno da una stessa parte e cio
dalla parte del soggetto, mentre limmagine sta dalla parte delloggetto o cos sembrerebbe.
Un altro dei background di Baxandall era la cultura dellempirismo. Lempirismo anglosassone
si contrappone tradizionalmente al razionalismo francese e allidealismo tedesco, in quanto
rivendica la priorit dellesperienza su qualsiasi tentazione della mente di chiudersi in un mondo
totalmente spirituale. Anche questo il senso del termine experience usato da Baxandall in
Painting and Experience in Fiftheenth Century Italy (che gli italiani da bravi storicisti hanno
rifiutato, trasformandolo in esperienze sociali).
Lidealismo pensava di poter spiegare larte completamente in base alla forma e di radicare
lartistico nello spirituale, conferendogli cos anche unautonomia da qualsiasi altro ambito
sociale o teorico. Parlare di esperienza invece significa riportare larte tra i comportamenti
empirici umani insieme a tanti altri e perci larte non ha altro motivo di differenziarsi da un
altro genere di comportamenti e di esperienze se non per il fatto di relazionarsi allocchio, alla
visione e allo sguardo.
Da questo punto di vista gli anglosassoni hanno sempre tenuto a rimarcare le distanze che li
separavano dai continentali, sia quando si parlava di storia dellarte sia oggi che si parla di
visioni ed immagini.
Cos quando Belting parl di Bildwissenschaft o di Bildanthropologie, i suoi colleghi doltre
oceano o doltre manica che parlavano di visual culture prima ancora di vedervi delle analogie vi
hanno colto delle differenze che sono stati prontissimi a stigmatizzare. Scrive ad esempio
Matthew Rampley: Altrove, in Francia e Germania per esempio, il legame tra gli i visual studies
e limmagine viene reso esplicito attraverso lascesa della cosiddetta image theory o scienza
dellimmagine. Gli autori di questo libro tuttavia ritengono che questo sia un obiettivo troppo
limitato (Exploring Visual Culture, 2005).
Evidentemente il diretto riferimento allimmagine stato inteso oltremare come una sorta di
ritorno a un sostanzialismo premoderno in cui le cose valgono per se stesse e non in relazione al
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soggetto percettore. In un certo senso forse dietro alla Kehre heideggeriana pu essere colta una
vena di nostalgia per la scolastica, sebbene rifiutando la sostanza come semplice presenza.
Daltronde lontologia si occupa di cose sconfinando nella direzione del procedere verso le
cose stesse dal recinto del soggettivismo trascendentale.
Con questo per non possiamo insinuare che Belting seguisse una via heideggeriana di
considerazione ontologica dellimmagine. A questo riguardo significativo notare che quando fu
invitato al College de France egli present un expose dal titolo Per uniconologia dello sguardo,
in cui trascurava completamente i suoi passati studi sullarte dellet bizantina e premoderna in
generale, per dedicarsi invece allarte delle avanguardie storiche, alla fotografia di Man Ray etc.
Fotografia, sguardo, iconologia sono tutti temi cari ai visual studies anglosassoni. Sembra cos
che abbia tenuto a rimarcare non la sua distanza, ma al contrario la sua prossimit al tenore
teorico dei visual studies attraverso proprio il tema dello sguardo che ha un valore
epistemologico inequivocabile.
Possiamo allora affermare che ci troviamo di fronte a due paradigmi nettamente distinti e cio
da una parte un paradigma percettivista che persiste nellidea tipica della modernit di
ricondurre ogni aspetto delle attivit dello spirito al soggetto empirico o trascendentale;
dallaltra parte un paradigma ontologico e per certi versi neoclassico, che spodesta il soggetto e
riparte dalle cose. Questo spartiacque chiaramente un divisorio molto generico che mette dalla
stessa parte cose molto diverse tra loro. Infatti in opposizione al soggettivismo moderno
troviamo dalla parte delle cose lontologia heideggeriana, loggettivismo scientifico (che
Heidegger ha sempre avversato), il realismo, e infine il materialismo (sia quello storico di
Marx, sia quello della volont di potenza di Nietzsche). Daltronde anche il soggettivismo
altrettanto eclettico confluendo in esso razionalismo cartesiano, empirismo, scetticismo,
trascendentalismo, idealismo, psicologismo, percettivismo scientifico. Per su un fatto tutti
questi gruppi sono coerenti: e cio il pensiero che parte dalle cose si colloca nei suoi fondamenti
teorici prima o dopo la modernit, mentre il pensiero che parte dal soggetto coincide in massima
parte con la modernit con la sola eccezione dello scetticismo antico.
Da questo punto di vista lopposizione sguardo / immagine coincide con quella tra modernit e
non-modernit.
Sotto questo aspetto anche significativo che vari autori tra cui anche Negri, facciano
principiare la modernit nel tardo medioevo e cio con lopera di filosofi come Duns Scoto che
mettono per la prima volta laccento sulla singolarit positiva dellente attraverso il concetto di
haecceitas.
Ora Duns Scoto era un contemporaneo di Giotto, linventore dello sguardo in pittura, tanto che
si correvano solo due anni, e cos lorigine pi remota della modernit come pensiero del
soggetto e dellindividuo verrebbe a coincidere con lorigine della cultura pittorica dello sguardo.
Unorigine tra laltro che sta sotto il segno di San Francesco dal momento che il primo era
francescano e il secondo introdusse lo sguardo proprio nella Basilica di Assisi. E a questo
riguardo potremmo aggiungere che anche San Francesco linventore di una spiritualit
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soggettiva ed individuale. Ma non possiamo procedere oltre in questa direzione perch non
possiamo fare in questa sede una genealogia che cerchi nel cristianesimo le radici del
soggettivismo e dellindividualismo moderno.
Resta il fatto che questonda che parte dal medioevo giunge fino al cuore dei visual studies che si
spacciavano come espressione della cultura postmoderna. I visual studies per erano
postmoderni nelleclettismo disciplinare ma non nelle premesse saldamente soggettiviste che
invece di essere scalfite sono state riaffermate da ricerche genealogiche o archeologiche come
quella di Crary sulla storia dellosservatore. anche significativo che i visual studies siano
animati in gran parte da un sospetto di fondo verso limmagine, fonte di idolatria, sorgente di
seduzioni arcane e incontrollabili contro cui essi rivolgono lamuleto della scrittura, della sua
testualizzazione che ha leffetto di unimbrigliatura dellimmagine o peggio di una sua
ospedalizzazione nel linguaggio asettico della riflessione accademica. Possiamo dire, senza avere
la presunzione di svelare un mistero, che i visual studies servono a difendersi dalle immagini,
secondo unidea ereditata dalla scuola di Francoforte e dal situazionismo, secondo cui le
immagini sono forme dellindustria culturale e della societ dello spettacolo attraverso cui il
capitalismo aliena la produzione della vita sociale stessa. Ci che sorprende in queste analisi non
tanto che limmagine possa essere strumento di propaganda, ma la presunzione implicita che
invece il linguaggio verbale non lo sia, che sia il suo opposto. Cos bisogna fare un gigantesco
quanto inutile sforzo di testualizzazione di tutta lenorme panoplia di immagini della societ
contemporanea comprese quelle in movimento, riannodandole alla volont strumentale di un
soggetto che se ne serve e alla vulnerabilit di un soggetto che ne vittima.
Dallaltra parte invece si d un atteggiamento potenzialmente opposto e cio non si vuole che le
parole servano a disinnescare il potere delle immagini attraverso la loro decodifica, ma al
contrario che esse servano a riattivare le immagini, riempiendo quello iato culturale che ci
separa da esse o riscoprendo nessi che erano stati stravolti nel tempo.
Secondo i visual studies il soggetto under attack; secondo questa diversa prospettiva il vero
problema invece quello di unesperienza impoverita e resa sciatta proprio dal regime moderno
delluso strumentale delle immagini, rispetto al quale occorre riscoprire il mistero dellimmagine.
Daltronde molti storici dellarte si avviano allo studio delle immagini proprio attratti da questo
mistero per poi ritrovarsi invece ancora una volta a parlare di soggetti, strumenti, plagi e
manipolazioni o a dover dissezionare le immagini sul tavolo operatorio della filologia fino a
quando di esse non rimanga altro che una serie di descrizioni impeccabili, cos da distruggere
ancora una volta il loro potere magari evocandolo nel racconto di una socialit ormai
irrimediabilmente perduta.
Lo sguardo allora non proprio il passo estremo, il compimento di questa riduzione
dellimmagine alla modalit del soggetto?
In termini heideggeriani infatti lo sguardo si pone come una prerogativa dellEsserci, quasi una
sorta di esistenziale. Lo sguardo riporta la spazialit dellimmagine alla temporalit dellatto del
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guardare, a quella temporalit che fondamento dellEsserci e che per lui il principium
individuationis. Inoltre il suo essere connesso necessariamente a una tonalit emotiva, il suo
essere spinto sempre verso qualcosa, il suo carattere implicitamente dinamico lo legano al
soggetto fenomenologico. E non un caso allora che i vari visual theorists si ritrovino sempre a
dover fare i conti con la fenomenologia sia essa quella di Husserl o ancor pi quella di MerleauPonty? N un caso che si trovino a cercare limmagine nella visione, la visione nello sguardo e
lo sguardo infine in un vissuto psicofisico tra mente e corpo? Cos invece di procedere
allincarnazione dellimmagine per via del supporto vi si perviene per via del soggetto. Se per il
mondo classico limmagine era la cosa, lidolo che si contrapponeva allastrattezza dei processi
mentali dellio, con la fenomenologia le parti si sono invertite e limmagine divenuta solo un
fantasma nella mente di un soggetto corporeo. Cos limmagine ha perso il suo supporto fisico
nel materiale e lo ha ritrovato nel corpo vivente del soggetto che secondo anche Belting vivifica
perci limmagine stessa.
Qual per lalternativa a questa riduzione dellimmagine a chi la guarda (spettatorialit) o a chi
la fa (autorialit)?
Lalternativa in un certo senso ce la suggerisce Heidegger. Intanto non si pu comprendere
limmagine in quanto tale restando in un paradigma gnosoeologico-epistemologico. Le
alternative vanno cercate dunque in altri regimi di verit che possono essere molto diversi tra
loro come lontologia, la metafisica, la riflessione sul sacro (sia essa la teologia cristiana o la
teosofia islamica o il neoplatonismo), o infine in una rinnovata antropologia culturale.
La prima strada dunque quella percorsa da Heidegger e in questo senso possiamo dire che lo
sguardo sta allEsserci come limmagine sta al linguaggio. Limmagine ha un rapporto con ci
che rappresenta o con il senso sacrale che essa racchiude e che prescinde dai sentimenti di chi la
guarda e dal modo in cui la guarda. Limmagine non solo ha una propria oggettivit fisica, ma ha
anche una propria oggettivit linguistica o simbolica, che prescinde dallosservatore e dalla
singolarit della sua condizione esistenziale.

Visio vs Apparitio
Un secondo approccio quello filosofico-religioso. Un esempio molto chiaro di questa differenza
in termini di culto cristiano ci viene offerto dallopposizione di visio e apparitio. La visio o
visione pu anche essere un evento soprannaturale, ma che ha come epicentro il soggetto e
questo soggetto spesso il santo. Il santo pu vedere Ges che gli parla, ma pu anche avere una
visione semplicemente allegorica, o una previsione del futuro.
Lapparizione viceversa ha come epicentro il nume, lentit o la persona sovrannaturale che si
manifesta ai fedeli indipendentemente da chi essi siano, alla stessa stregua di un fenomeno
naturale. Sarebbe poi da riflettere sul fatto che spesso i Santi che hanno visioni sono maschi e le
donne sante o beate invece si limitano ad assistere ad apparizioni. Chiaramente apparizione e
visione possono anche incontrarsi a met strada e persino confondersi in casi come quello in cui
il personaggio divino si manifesta a un singolo individuo. In questo caso infatti si pu dire, sia
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che lindividuo ha avuto una visione dellente divino, sia che lente divino si manifestato
allindividuo. Proprio in questa sfera intermedia tra il divino e lumano tra apparizione e visione
si pone anche la riflessione islamica di Sohravard relativa a ci che egli chiama 'alam al-mithal
e che lo studioso francese Corbin ha reso con la celebre espressione mundus imaginalis.
Una problematica affine a questa deriva anche dalla tradizione neoplatonica. Infatti molto
spesso si sente ripetere che il platonismo contro le immagini per le celebri parole espresse da
Platone nel decimo libro della Repubblica, in cui accusa i pittori e gli scultori di realizzare copie
di copie. Tuttavia questa non una critica contro le immagini ma contro la mimesi e il realismo
empirico. Non a caso il cuore dellarte rinascimentale si muover su basi platoniche. Alla fine del
mondo antico quando i cristiani ormai avevano un potere dilagante, una delle ultime
argomentazioni in difesa del politeismo venne proprio dai neoplatonici in una chiave che ha dei
punti di contatto con la questione del mundus imaginalis (che tra laltro deriva dal platonismo
attraverso Avicenna). Largomentazione era che gli di e le storie mitiche avevano una verit
simbolica, e lo stesso valeva per le immagini che li rappresentavano. Questa condizione di verit
intermedia (in quanto essa stessa manifestazione mediatrice) permetteva allora di pensare gli
di stessi non come tanti iddii supremi, n come semplici personaggi da favola, ma come enti
imaginali, e cio in una collocazione che, fatte le dovute proporzioni, esattamente quella che
poi sar attribuita allangelo nella tradizione islamica.

Gli di non hanno sguardo


E veniamo a concludere quindi con la terza di queste opzioni. Infatti le prime due si erano gi
diffuse nei lontani anni Ottanta, prima che il testimone passasse al culturalismo angloamericano, in cui la cultura concepita come lespressione di dinamiche interne alla societ
pensata a sua volta come somma di individui. Questo non significa che, soprattutto nellambito
del funzionalismo e della teoria dei sistemi, siano mancati anche in ambito anglosassone
studiosi che siano andati oltre questa reductio ad unum che alla fine riporta tutto
ideologicamente allindividuo. Tuttavia questo funzionalismo era spesso limitato da strettoie
dettate dallempirismo e infine stato definitivamente attaccato e travolto, perch esso
fondamentalmente incompatibile sia con il soggettivismo individualista sia con lo scientismo
professato della filosofia analitica e al suo posto assistiamo allaffermarsi di visioni ispirate alle
scienze cognitive e alla sociobiologia (che oggi si chiama psicologia evoluzionista) che
propongono un approccio neo-darwinista popolazionale. Ora, con popolazionale si intende il
riferimento a dinamiche proprie di una serie numericamente limitata di individui.
Per dallo stesso neodarwinismo viene anche un approccio che ha lindiscusso merito di
ribaltare completamente la prospettiva a favore delle immagini, e cio la prospettiva memetica.
E se fossero invece le immagini che si organizzano evolutivamente secondo dinamiche
altrettanto popolazionali colonizzando le menti degli individui? Se cos fosse lo sguardo non
sarebbe altro che lingresso usato dalle immagini per penetrare negli individui ed evolversi
tramite loro e quindi per organizzarsi in un certo senso a insaputa degli individui stessi. Questo
ci dovrebbe spingere a cercare un principio di autorganizzazione allinterno delle immagini che
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si perfeziona in una deriva evolutiva agendo sugli artisti ma ancor pi sul loro pubblico che ne
seleziona la fitness.
In conclusione allora prendiamo limmagine arcaica o classica di un dio greco od etrusco.
Purtroppo molte sculture greche del periodo classico e severo ci sono pervenute con gli occhi
cavi, perch la pasta vitrea che veniva incollata a loro interno per simulare realisticamente
locchio si staccata. Noi per non vogliamo dire che gli di non hanno sguardo perch hanno le
orbite vuote. Prendiamo allora il caso di una statua come lapollo di Veio che invece in
terracotta e ha gli occhi dipinti.
Gli di arcaici e classici hanno gli occhi completamente spalancati eppure non hanno sguardo e
ci per tre ordini di motivi diversi. Primo, essi sono sottratti alla temporalit, sono eterni, e
quindi i loro occhi eternamente spalancati annullano la temporalit vivente che necessaria allo
sguardo. Non pu esserci sguardo se non c movimento, vita, storicit. Gli di sono il simbolo
stesso dellessere che si cela nel linguaggio e che si distingue nettamente dallesserci. Ma allo
stesso tempo non rappresentano neanche quel caso limite del dio cristiano che pretende di
identificare lessere con un super-ente. Gli di simboleggiano lessere ma non pretendono di
coincidere con esso.
Il dio, secondo la filosofia antica del divino perfetto, e lidolo la rappresentazione di tale
condizione di perfezione nella materia. La serenit o beatitudine divina imperturbabile perch
gode di se stessa, in quanto la pi alta condizione possibile rispetto alla quale non ce ne una
migliore. Come ebbe ad osservare anche Epicuro: che senso avrebbe per un ente cos perfetto
interessarsi degli affari altrui? Che cosa deve ancora cercare che gi non ha? Quindi il volto del
dio pura autorappresentazione che non rivolta ad altro che a se stessa. Essa unapparizione.
E in quanto tale non guarda fuori, ma si limita a manifestare il suo essere. Inoltre un qualunque
sguardo opera come un faro che illumina alcune cose precludendosene altre, ma questo non
potrebbe essere uno sguardo divino. Uno sguardo divino incompatibile con una tale
limitazione e perci il dio incompatibile con lo sguardo.
Infine lidolo classico si pone come un punto di arrivo dellorganizzazione culturale arcaica di cui
rappresenta limmagine autorganizzata al suo livello pi alto, un livello che non raggiunger mai
pi in futuro. Infatti dopo di allora limmagine divina e la forma divina prenderanno due strade
divergenti: limmagine divina diventer troppo umana e scadr a livello di un comune
personaggio mitico perdendo la sua sacralit rituale e la forma divina diventer astratta e
irrappresentabile, sottraendosi cos al dominio del sensibile. Ma ci che ci lascia lindicazione
di uno statuto dellimmagine che non solo relativamente autonomo da quello del soggetto, ma
che anche superiore ad esso. Esso infatti il modello memetico della costituzione delluomo in
soggetto, in un ribaltamento di prospettiva, che in questa sede possiamo solo accennare, e che va
non dal soggetto umano allimmagine ma dallimmagine autorganizzata alle funzioni di
soggettivazione umana.
Limmagine, in conclusione, opus, dotato di uneffettivit propria ex opere operato. Non ,
invece, come lintendono i visual studies, una semplice opera operata da un soggetto altro, in un
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senso meramente tecnologico e cio nel senso che la sua ragion dessere strumentale giace
comunque in un ente esterno ad essa che ancora una volta il soggetto umano. La sua effettivit
cio non ex opere operantis, ma giace in se stessa nella sua capacit di adattamento al suo
ambiente socio-neurale tramite la deriva delle forme gi a suo tempo vagamente intuita da
Focillon con lidea di una vita delle forme e da Warburg attraverso il concetto di Pathosformel.

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