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Dalle lotte

di Melfi

Cuba, Bush
e lEuropa

di Guglielmo Epifani

di Gianni Min

Da molti mesi insisto nel dire che siamo


in presenza di un disagio sociale crescente, di politiche, soprattutto messe in
campo dal Governo, che tendono ad accentuare risposte e forme di conflitto rilevante.
Se prendiamo in esame i casi pi recenti
in cui si esercitata una forte conflittualit, che in molti casi andata oltre le regole della legge, o delle consuetudini
delle forme di lotta del sindacato, come la
vertenza del rinnovo contrattuale dei lavoratori del trasporto pubblico locale, la
questione dellAlitalia, la vicenda di Melfi,
su un altro versante la lotta di Scanzano,
si avverte il bisogno di leggere bene i segni, i tratti e i paradossi di questi fenomeni. Da un lato questi processi conflittuali esprimono e mantengono un forte
segno identitario, di aziende, di professioni, di territori, e in questultimo caso
con accenti comunitari, in parte inediti.
Pi si nasconde il lavoro, il suo valore, la
sua dimensione concreta e quotidiana,
fino a negarla o a trasfigurarla in una rappresentazione puramente virtuale e immaginifica, pi la sua identit reale costretta ad esprimersi col conflitto dimostrativo.
Da un altro lato queste lotte contengono
una forte domanda di partecipazione e democrazia. Si lotta per affermare il diritto

Ogni volta che lattualit impone di riflettere su eventi inquietanti come la tortura inferta da un esercito vincitore sui poveri cristi battuti, ti domandi perch, in
questi frangenti desolanti, non solo i governi hanno taciuto, eluso, nascosto, ma
anche perch buona parte dei mezzi di informazione hanno tentennato, girato la
testa da unaltra parte, e molte volte ignorato, come se le azioni scellerate compiute
da chi detiene il potere debbano avere per
forza una giustificazione, e non essere rifiutate, anche se compiute in nome di presunti valori della nostra civilt [quale?] o
del nostro credo.
In questi giorni, per esempio, inquietante constatare come ad una stretta feroce decisa dagli Stati Uniti per affogare,
annientare definitivamente Cuba e il suo
modo di essere e governarsi, non sia corrisposta non dico una indignazione, una
dichiarazione di rifiuto di questi metodi
assolutamente incuranti del diritto di autodeterminazione dei popoli [sarebbe
chiedere troppo a un mondo ormai abituato a leccare i piedi di chi pi forte],
ma almeno il dovere di informare su questa preoccupante deriva del diritto internazionale.
Il governo di George Bush jr, evidentemente per motivi di risarcimento elettorale a chi, come gli anticastristi della
Florida, gli aveva fatto vincere le elezioni
contro Al Gore in maniera rocambolesca
e probabilmente illegale, ha dato il via, ai
primi di maggio, ad una serie di provvedimenti che non solo infrangono o ignorano i diritti di Cuba, ma di molti altri paesi
e degli stessi cittadini degli Stati Uniti. Le
misure, ha detto il presidente, hanno lo-

segue a pag. 2

sommario a pagina 3
Anno XII - N. 3 Maggio/Giugno 2004 - 5 euro
Reg. Trib. Cremona n. 355 12.4.2000
Sped. A.P. D.L. 353/2003

(con. in L. 27/02/2004 n46)art. 1 c. 1 DCB-CR

A pagina 36
Tavola rotonda con gli operai della Fiat di Melfi
A pagina 40
Congresso FIOM: intervista a Gianni Rinaldini

Melfi

Maggio - Giugno 2004

segue G. Epifani da pag. 1

a decidere, a contare nelle scelte. In


questo esprimono una carica che si
contrappone alla riduzione del processo della mediazione democratica e del ruolo dei soggetti di rappresentanza sociale.
Per sentirsi meno oggetti e pi persone, lavoratori nella pienezza dei
diritti, il conflitto viene scelto come
via risolutiva.
Infine, il paradosso pi evidente.
Quello per cui si lotta anche in maniera estrema ha un contenuto tradizionale e tipicamente sindacale:
parit di salario a parit di lavoro,
turni meno massacranti, la richiesta
di rispetto e dignit, lattuazione
delle regole contrattuali, la possibilit di decidere come istituzione locale, il rifiuto di pagare sempre per
responsabilit dei Governi e delle
imprese, la difesa delloccupazione.
Richieste normali che richiedono
scelte di lotta radicali, e che sono
il fattore del consenso sociale che
questi episodi hanno avuto, al di l
delle persone interessate.
Se questo il paradosso a cui si arriva per responsabilit delle intenzioni e delle scelte del Governo, con
noi dovrebbero interrogarsi le imprese, che dovrebbero essere interessate, nelle aree non dipendenti
da scelte di terzi, e soprattutto del
Governo, ad intervenire prima che
i fatti esplodano e a scegliere una
modalit di soluzione dei problemi
pi utile ed intelligente anche per
loro.
Spero che la nuova Confindustria
abbia lattenzione giusta a questo
aspetto, e la forza di segnare anche
qui il cambiamento necessario.
Voglio solo aggiungere che se oggi
possiamo avanzare questo ragionamento, perch le importanti vertenze che erano aperte le abbiamo
sapute indirizzare e risolvere con risultati positivi.
E il Governo? Il Governo diviso

sulle scelte da fare. Abbiamo un ministro del Lavoro quale non ci mai
capitato di vedere: io capisco che un
governo di centro destra abbia un
idea del lavoro un po diversa dalla
nostra. Ma s mai visto un ministro
del Lavoro che quando c una vertenza non solo non fa niente per risolverla ma anzi fa di tutto per aggravarla, come avvenuto per Melfi,
come avvenuto per Alitalia, come
avviene per le altre vertenze? S
mai visto un sottosegretario che, invece di dire risolviamo i contratti,
auspica e chiede che la polizia intervenga per fermare i lavoratori?
Quello stesso sottosegretario che mi
ha rimproverato perch ho difeso la
battaglia di Melfi e che dovrebbe invece interrogarsi su quello che ha
detto lui su di noi. Aveva scommesso
che avremmo perso e ci saremmo
divisi. E invece abbiamo vinto e
siamo uniti.
La vertenza di Melfi pu essere
quindi davvero considerata come
una svolta dal grande valore simbolico e paradigmatico.
Un settore in crisi, unorganizzazione del lavoro penalizzante per i
lavoratori, una condizione del lavoro insostenibile, un paternalismo
unilaterale fatto di sanzioni e richiami disciplinari, una classe di lavoratori mediamente giovani che si
riappropria di una richiesta di cambiamento, una lotta dura e lunga
per rimuovere il rifiuto a trattare, la
modifica delle forme di lotta, la trattativa e infine laccordo gestito unitariamente dalle Rsu e validato dal
voto di tutti i lavoratori con una percentuale di s assai significativa.
Un percorso gestito con coraggio
dalla Fiom e dalle nostre strutture
locali, e concluso unitariamente da
tutto il sindacato.
Se siamo oggi tutti pi forti, lo dobbiamo a questi lavoratori, e dobbiamo sapere che gli effetti di que-

sto risultato peseranno anche al di


l di quanto oggi ognuno di noi in
grado di prevedere.
Se si riflette sulla realt concreta di
quello che avviene giorno dopo
giorno nei luoghi di lavoro, nelle categorie quando rinnovano i loro
contratti, o nella gestione di vertenze, forse possibile immaginare
qualche passo di avanzamento della
nostra ricerca comune.
Daltra parte non ha senso limitare
soltanto al settore pubblico una verifica democratica della rappresentativit che abbia un valore generale. Sono passati cinque anni dalla
morte di Massimo DAntona: fra gli
ultimi atti del suo lavoro cera proprio quello teso ad estendere al
comparto del trasporto le norme
contenute nella legislazione per il
pubblico impiego. Si pu immaginare un mondo del lavoro dove esistano su questa, che una questione
generale, una presenza di regole
che ha dimostrato di funzionare per
una parte e unassenza totale di regole per laltra?
E anche sulla democrazia di mandato, sui percorsi per validare da
parte dei lavoratori piattaforme e
accordi, in realt, al di l delle distinzioni, molti passi in avanti si
sono fatti.
Nella stessa categoria dei metalmeccanici aperta una discussione
che potrebbe essere particolarmente importante nella gestione
degli accordi di secondo livello e
nella possibilit di definire, anche
attraverso questa strada, una piattaforma unitaria per il rinnovo del
biennio economico del contratto.
Il valore tra i tanti che si possono
leggere della vertenza di Melfi risiede anche nellesercizio delle regole democratiche, per validare
piattaforme e accordi, e dare forza
per questa via al rapporto fra sindacato, Rsu e lavoratori.

Maggio - Giugno 2004

Cuba

segue G. Min da pag. 1

biettivo di accelerare il giorno in cui


Cuba sar libera.
Successivamente il piano stato
spiegato, senza alcuna remora, da
Roger Noriega, sottosegretario di
stato degli affari dellemisfero occidentale e uno dei promotori, qualche anno fa, sotto Clinton, della
legge Helms-Burton, un vero manuale della pi sfacciata ingerenza
nella vita di un altro paese e di assoluto spregio delle libert politiche e commerciali di tutti i paesi desiderosi di avere rapporti con Cuba.
In 450 pagine divise in sei capitoli,
il manuale proposto al governo da
una fantomatica Commissione
daiuto a una Cuba libera identifica
come compiti strategici per riuscire
ad abbattere il governo cubano: lincremento dellappoggio alla controrivoluzione interna, laumento
delle campagne internazionali contro Cuba, linasprimento delle
azioni eversive e della disinformazione sullisola, ladozione di nuove
misure per dannegiare leconomia
cubana e colpire alla radice i piani
di successione del regime.
In un mondo normale che non vivesse di opportunismo e avesse ancora uno straccio di morale politica,
ce ne sarebbe abbastanza per una
sollevazione di tutti coloro che rispettano il diritto di un popolo a scegliere come vivere, come governarsi
e perfino come morire. Ma questo
atteggiamento, che ha a che fare
con la parola legalit, non interessa
pi, almeno in Italia, a molte delle
forze che una volta si definivano di
sinistra, e nemmeno a quelle cosiddette libertarie, tipo i radicali, che
per bocca del presidente d el
gruppo al Parlamento Europeo,
Maurizio Turco, invece di allarmarsi
per le nuove misure decise dal governo di Washington e che porteranno ulteriore sofferenza, indigenza, insicurezza a migliaia e migliaia di cubani, ha trasmesso un appello urgente ai presidenti del
Consiglio e della Commissione
Europea sottoscritta da 124 eurodeputati che chiede linvio urgente, prima della fine della legislatura, di una delegazione nelle car-

ceri dove sono detenuti i condannati nel processo sommario del 10


aprile 2003. Ai radicali che, per
esempio, non si sono mai interessati
dei 12mila prigionieri politici del
Per, o dei 200 cittadini messicani
scomparsi nellultimo anno negli
uffici di polizia di quella repubblica,
o delle 1500 esecuzioni ogni sei
mesi compiute dai paramilitari colombiani d i Carlos Castao e
Salvatore Mancuso, complici del governo Uribe, non frega nulla che,
come pubblicato da autorevoli
mezzi dinformazione nordamericani, Cuba, nella primavera del
2003 sia stata vittima di una stratagia, portata avanti dal nuovo incaricato daffari nordamericani James
Cason, che aveva prodotto quattro
dirottamenti aerei in due settimane
e il sequestro del ferry boat di Regla
[nella Baia dellAvana], sicuramente non opera di semplici dissidenti
[veri o falsi che fossero] ma di persone ingaggiate, a migliaia di dollari, per svolgere un lavoro sporco
di destabilizzazione. Questa evidenza non giustifica certo la durissima
reazione del governo dellAvana
[tre fucilazioni, dopo aver rispettato, al contrario degli Stati Uniti,
per quattro anni la moratoria sulla
pena di morte], ma spiega il contesto e da dove nasce la tensione e il
pericolo.
James Cason, per dar vita alle operazioni sopracitate e creare una opposizione consistente nellisola,
aveva avuto in dotazione pi di 53
milioni di dollari, come stato recentemente rivelato dagli stessi media nordamericani. Cosa succederebbe non dico negli Stati Uniti
[dove al primo dirottamento di un
aereo scatterebbe lo stato dassedio,
e al secondo si andrebbe a bombardare lo stato organizzatore di queste azioni], ma in Europa, in Italia,
se succedesse qualcosa di simile.
Che iniziative sarebbero prese se si
scoprissero un giorno prove cos
esplicite che il governo di un certo
paese sta tentando di abbattere, per
esempio, con sequestri e intimidazioni, il governo Berlusconi?
Il progetto messo in atto il 6 maggio

SOMMARIO

Il voto in Italia

G. Pegolo

Non lEuropa dei popoli

11

B. Steri

Re David e la resistenza irachena

15

G. Franzoni

Parigi: con il popolo iracheno

17

L. Acone

Atene: Consiglio mondiale della pace

21

S. Franchi

Sardegna: lisola americana

27

G. Fresu

Le basi NATO

31

M. Cao

I giorni di Melfi

36

tavola rotonda a cura di F. Cirigliano

Fiom: dal Congresso alla lotta

40

intervista a Gianni Rinaldini,


a cura di L. Bellina

La ragnatela del precariato

44

B. Casati

Le vecchie e le nuove povert

49

L. Vasapollo

La questione salariale

55

E. Dal Bosco

India: Congress Party e comunisti

57

S. Ricaldone

Torture e desaparecidos in Iraq

61

D. Gallo

La riforma del sistema interamericano

64

R. R. Alvarez

Imperialismo e capitale finanziario

70

V. Giacch

Lenin e le tre grandi discriminazioni

79

D. Losurdo

Comunicazione e musica

81

G. Lucini

Tu vuo fa llamericano

86

G. Livio, A. Petrini

Recensioni

90

Cuba

da Bush jr molto pi di questo, ma


ai radicali, come a molti membri
dellInternazionale socialista che a
Bruxelles non hanno avuto nessun
problema a incontrare proprio linquietante presidente colombiano
Uribe, questa realt non scalfisce
neanche un poco la famosa sensibilit democratica.
Non parliamo poi dellinformazione, che ha completamente ignorato la notizia della nuova campagna contro Cuba dellattuale amministrazione nordamericana, stigmatizzata non solo da studiosi seri
come Noam Chomsky o Wa y n e
Smith, ma perfino da quasi tutti i
leaders della dissidenza cubana,
quelli autentici e quelli contraffatti.
Gli autonominati R e p o rters Sans
Frontires, per i quali lOnu recentemente ha iniziato un processo di
espulsione del ruolo di entit consultiva per atti incompatibili con i
principi e gli obiettivi della Carta
delle Nazioni Unite a causa il loro
lavoro non sempre trasparente e
non sempre da giornalisti riguardo
a Cuba, hanno ignorato liniziativa
eversiva degli Stati Uniti, cos come
avevano fatto, nel loro rapporto annuale, riguardo alle imprese compiute dal governo Bush nel 2003.
Non hanno invece perso tempo nel
richiedere in Italia un incontro urgente con Marco Tronchetti Provera [presidente del consiglio di amministrazione di Telecom Italia],
che controlla il 29,3% del capitale
di ETECSA, lunico provider internet di Cuba. Per i Reporter Sans Frontire, attenti allesigenza di comunicazione dei dissidenti dellisola, sarebbe forse un sogno lasciare incomunicata tutta la repubblica di
Cuba? Quando dei giornalisti arri-

vano a un grado cos alto di doppia


morale, chiaro che non fanno pi
il loro mestiere, eppure, se avessero
ancora rispetto per questo lavoro,
dovrebbero, se non allarmarsi, almeno essere interessati al fatto che,
per esempio, lufficio di interessi
Usa allAvana avr altri 59 milioni di
dollari, nei prossimi due anni, per
finanziare azioni tese alla distruzione della rivoluzione o a creare un
fondo internazionale per lo sviluppo della societ civile a Cuba. O
per appoggiare quelli che chiamano sforzi in favore nella democrazia dei giovani, delle donne e dei
cubani di origine africana, che,
come i sagaci cronisti di questa associazione sanno bene, erano molto
tutelati allepoca in cui, prima della
rivoluzione, gli Stati Uniti avevano
a Cuba, come proconsoli, padrini di
razza come Vito Genovese, Frank
Costello e Lucky Luciano. E lo sono
ancor di pi in tutte le isole dei
Caraibi dove non c il socialismo,
come Haiti, Santo Domingo, Giamaica, o in quei paradisi come qualit della vita che sono Honduras,
Nicaragua, Salvador, Guatemala.
Non sono tuttavia le campagne pubbliche contro Cuba allestero [che
il governo di Washington, con 5 milioni di dollari di budget ha chiesto
di incrementare, promettendo il
cash], o il lavoro di delegittimazione, ripreso con pi veemenza dentro lisola, a spaventare chi ha a
cuore i destini finali del paese.
La limitazione del permesso di effettuare rimesse o di inviare pacchi
da parte dei parenti residenti negli
Stati Uniti, la riduzione delle possibilit di viaggiare per vedere i propri parenti, limitata, ora, a una volta
ogni tre anni, la diminuzione della

Maggio - Giugno 2004

quantit di denaro che i cubani residenti negli Usa possono portare


durante le loro visite nellisola [da
164 a 50 dollari al giorno], sono
queste le preoccupazioni maggiori
perch hanno a che fare con il possibile deterioramento della vita
quotidiana dei 12 milioni di cittadini. E, per decreto, sono considerati parenti autorizzati a viaggiare a
Cuba solo mogli, figli o nonni, che
si potranno vedere, per, come
detto, solo una volta ogni tre anni.
Sono cancellati per sempre zie, cugini, eventuali bisnonni. Non mancano le realt grottesche: le rimesse
e i pacchi non possono essere spediti a parenti che siano funzionari
del governo o anche solo membri
del partito comunista. E poich, per
scelta sincera o per conformismo, la
maggior parte dei cittadini di Cuba
iscritta al partito, in teoria nessuno
pi ricever aiuti dai familiari che
hanno scelto il capitalismo.
Sono state reiterate anche la minacce di sanzioni per investitori
stranieri che hanno interessi nellisola, mentre il progetto prevede di
neutralizzare tutte le societ cubane
in qualunque settore merceologico
che hanno attivit economica allestero. C da mettersi a ridere, se
tutto questo non fosse stato controfirmato dal presidente degli Stati
Uniti George W. Bush.

(Dalleditoriale di Gianni Min apparso


su Latinoamerica n. 86-87,in vendita
nelle librerie Feltrinelli e anche on line sul
sito www.giannimina-latinoamerica.it.
Pubblichiamo con lautorizzazione e il lavoro di sintesi dello stesso autore).

Maggio - Giugno 2004

Editoriale

Ha vinto il centro sinistra,


nella maggior parte dei casi
alleato con Rifondazione Comunista,
e ha perso la Casa delle libert

Il voto in italia:
una nuova fase
si aperta, ma non
priva di incertezze

di Gianluigi Pegolo

SIAMO AD UNA SVOLTA: IL CENTRO DESTRA IN UNA PROFONDA


CRISI, ASSEDIATO DA UN NUMERO CRESCENTE DI GOVERNI LOCALI
GUIDATI DA COALIZIONI PROGRESSISTE

l voto del 12 e 13 giugno e i successivi ballottaggi hanno sancito linizio di una svolta caratterizzata dalla
crisi del centro destra e dalla ripresa
del centro sinistra. Si tratta di un
processo, che, specialmente dopo il
risultato delle elezioni amministrative, assume un rilievo eccezionale.
Ma essa non implica che nel 2006 sia
o rmai scontata la sconfitta di
Berlusconi. Per questo bisogna interrogarsi sul che fare. In questanalisi del voto, consentita da una
puntuale elaborazione dellUfficio
elettorale nazionale di Rifondazione Comunista, si tenter di fare un
po di chiarezza sulla valutazione
del risultato elettorale e del suo significato.

VOTO

DELLE EUROPEE:

CRISI DI CONSENSI DEL


CENTRO DESTRA E
S O P R AT T U T T O D I F O R Z A

ITA L I A ,

CROLLO DEL BLOCCO

DI DESTRA AL SUD ,
S O S TA N Z I A L E PA R I T
D E I D U E S C H I E R A M E N T I,
SUCCESSO DELLA
S I N I S T R A A LT E R N AT I VA

Nel corso delle ultime settimane i


commenti sul voto in Italia sono
stati numerosi e spesso disomogenei. Fino a che punto il voto italiano

pu essere considerato unanomalia rispetto al resto dei paesi europei? Secondo Berlusconi, questanomalia evidente, essendo suffragata da una riduzione dei consensi
inferiori ad altri paesi ed evidenzia
uno stato di salute del centro destra
relativamente migliore rispetto a
compagini di governo analoghe. A
questo giudizio se ne aggiunge un
altro, che tende a porre laccento
sulla sconfitta subita dai partiti di
governo in Europa. Anche questo
elemento contribuisce a ridimensionare la portata dellinsuccesso
delle destre in Italia, riducendolo
ad una sorta di prezzo fisiologico pagato in Europa da chi ha avuto lonere di governare.
In realt, il risultato segna un passaggio di fase. A differenza delle
precedenti consultazioni degli ultimi anni, si trattato di un test elettorale sia politico (le europee) che
amministrativo (le province e i comuni). E anche questultimo, a differenza degli anni precedenti,
stato di una tale portata da assumere
il carattere di una consultazione generale, si pensi alle 63 province e ai
circa 4500 comuni in cui si votato:
pi della met del corpo elettorale.La consultazione ha quindi investito tutti i livelli istituzionali (non
si dimentichino le importantissime
elezioni regionali in Sardegna). I

dati sono a tale riguardo evidenti: ha


vinto il centro sinistra, nella maggior
parte dei casi alleato con Rifondazione
Comunista, e ha perso la Casa delle libert. Una vittoria secca, confortata, in
part i c o l a re, dal grande successo re g istrato nelle elezioni amministrative.
Nelle europee, il test pi seguito,
perch di rilievo nazionale, il confronto con il voto pi ravvicinato e
vale a dire le politiche del 2001, evidenzia un incremento del centro sinistra del +2% (dal 44,5% al
46,5%), a fronte di un calo del centro destra di ben il 5,1%. Nelle
forze residuali va conteggiato il calo
di Democrazia europea (-2,1%), la
crescita della Bonino (+0,4%), della
Fiamma (+0,5%) e della lista
Mussolini (+2,2%). Pi che di una
netta vittoria del centro sinistra si
pu quindi parlare di una sconfitta
del centro destra, che viene penalizzato anche da una perdita alla sua
destra. Il successo del centro sinistra
il prodotto di un risultato piuttosto deludente di Insieme per lUlivo
(che grosso modo perde pi del
2%) e della lista Di Pietro
Occhetto (-1,8%), cui si contrappone la crescita, di Rifondazione
Comunista (+1,02%)dei Ve r d i ,
dello SDI e dei Comunisti Italiani
(+0,7%). LUdeur difficilmente
comparabile giacch in precedenza
era assieme alla Margherita. E giu-

Maggio - Giugno 2004

Editoriale

sto quindi affermare, almeno per quanto


riguarda le europee, che la sinistra di alternativa ha sostenuto il risultato complessivo del centro sinistra e, in questo
senso, il risultato di Rifondazione stato
certamente significativo.

giusto affermare che la sinistra


di alternativa ha sostenuto
il risultato complessivo del centro
sinistra e, in questo senso,
il risultato di Rifondazione
stato certamente significativo

A destra, invece, linterpretazione


pi univoca dato che il calo attribuibile in larghissima misura a
Forza Italia che da sola ottiene un
8,4%, mentre AN ha una flessione
inferiore al mezzo punto percentuale e sono in crescita UDC
(+2,7%) e Lega (+1,1%). Mentre la
vittoria del centro sinistra ha quindi
pi padri, la sconfitta del centro destra ha, di fatto, un solo responsabile: Forza Italia. Si noti, tuttavia,
che tale risultato dovuto anche alla
frammentazione della destra, dove
le forze neo fasciste ottengono un
+4,6%. Ci troviamo, cio, di fronte di
una crisi del centro destra che alimenta
il non voto, lo spostamento elettorale
verso partiti di sinistra alternativa o
verso forze di destra che contrastano le
politiche liberiste cavalcando un ambiguo populismo.

studi) che anzich un travaso di


voti dal centro destra al centro sinistra, si sia assistito prevalentemente
a una crescita della sfiducia nei confronti di Forza Italia che ha favorito
gli alleati e altre formazioni di destra e che, soprattutto, ha incrementato lastensionismo. Il che dimostra che fra i due blocchi continua a
sussistere una sorta di parziale impermeabilit e che la competizione si gioca
in larga misura nella capacit di mobilitare il proprio elettorato.
Esaminando la distribuzione del
voto a livello territoriale, sempre
rapportandolo al 2001, lelemento
pi rilevante a sinistra la perdita
subita dalla lista Uniti nellUlivo nel
centro, mentre per il nord si ha una
debole flessione e al sud una sostanziale tenuta. Questa dinamica
indicativa perch le forze della sinistra
alternativa ottengono al centro il migliore risultato e unaffermazione al sud
a cominciare da Rifondazione Comunista, cosa che non vale per il nord, dove
le differenze sono risicate. A destra il
quadro non si modifica nelle sue
tendenze generali, solo che va notato come il risultato peggiore dellalleanza di centro destra si abbia
paradossalmente al sud per la frana
di Forza Italia. Il che pu essere spiegato, da un lato, col crescente disagio
sociale che colpisce questa parte del paese
e che alimenta unavversit diffusa nei
confronti del governo, testimoniata anche da alcune esplosioni di protesta popolare, dallaltro, da una modifica dellorientamento dei ceti politici locali che
tendono a riciclarsi in altre formazioni.

VOTO
Il secondo elemento degno di nota
che il risultato complessivo determina una sostanziale parit fra i due
schieramenti. Il sorpasso dellUlivo
(+1,1%) ha un valore simbolico, di tendenza, ma dal punto di vista dei rapporti di forza siamo di fronte a due blocchi contrapposti sostanzialmente alla
pari. Il dato, quindi, mette in luce
una crisi del centro-destra ma di
portata tale da non comportare un
crollo del suo blocco sociale.
Limpressione (suffragata da alcuni

DELLE PROVINCIALI :

N E T T O S P O S TA M E N T O
A SINISTRA DEI GOVERNI
L O C A L I , L E D I F F I C O LT
DEL

LISTONE

SONO IL FRUTTO

IN PRIMO LUOGO
D E L L I N D E B O L I M E N T O D E L L A

MA R G H E R I TA.
Alle elezioni provinciali, che tuttavia
non comprendevano come si detto tutta
lItalia, le tendenze prima richiamate
escono confermate, anzi, lo scarto fra
centro sinistra e centro destra tende ad

aumentare in virt di una maggiore


crescita del centro sinistra ma, soprattutto, di una vera e propria
frana di Forza Italia che perde da
sola pi dell11% dei voti e una flessione pi rilevante di AN (-2,24%),
cui si contrappone la debole crescita dellUDC (+0,70%) e della
Lega (+0,33%). Che la componente
squisitamente nazionale e cio lavversione al governo sia il motore
fondamentale lo dimostra il fatto
che dal voto europeo a quello provinciale il vantaggio della coalizione
di centro sinistra tende ad aumentare. Nel complesso delle forze della
Casa delle libert, escludendo altre
forze di estrema destra, si ha una
flessione di ben il 11,69%, legata
in larga misura alla crisi di Forza
Italia.
Il voto provinciale aiuta anche a
chiarire il risultato del centro sinistra. Nelle 63 province andate al
voto, lelemento che va sottolineato
il crollo della Margherita che subisce una flessione rispetto al 2001
(certamente superiore al 2%) anche se un confronto esatto impossibile dato che nel 2001
lUDEUR stava con la Margherita.
Su questo dato vale la pena soffermarsi, giacch in questo caso non vi
erano simboli equivoci che possano
spiegare la flessione, inoltre in concomitanza si ha una crescita dei DS
del 2,29%. Il risultato del Listone ripensato ex post sembra cos esprimere pi
che una carenza didentit, che c senza
dubbio stata, un disagio di fondo dellelettorato moderato che perde consensi.
Anche in questo caso, tuttavia, sembra abbastanza incauto attribuire
tale risultato negativo della
Margherita alla perdita di voti verso
le componenti moderate del centro
destra. Anche perch le scarse analisi dei flussi sembrano confermare,
semmai, da parte della Margherita
una perdita a 360 gradi a favore di
altre forze della coalizione e una
forte crescita dellastensionismo.
Forse il problema sta pi che altro
nellidentit incerta di un centro
democratico che pendola fra le ricorrenti tentazioni moderate e un

Maggio - Giugno 2004

maggiore ancoraggio ad alcune tematiche sociali. Si riconferma la crescita della sinistra di alternativa, con
Rifondazione che presenta un saldo
positivo del +0,56%, i verdi e lo SDI
assieme del +4,93% e i Comunisti
italiani del +1,03%.
Il risultato analizzato nelle sue componenti territoriali (Nord, Centro e
Sud) riconferma, in primo luogo
nel centro sinistra, il calo generalizzato della Margherita (7%) (che
per conosce il suo apice nel nord,
mentre resta sostanzialmente stabile al sud), una crescita buona dei
DS intorno al 3,5% nel centro nord
e pi modesta al sud, un successo
della sinistra di alternativa (nel caso
di Rifondazione Comunista si ha un
considerevole incremento al centro
(+1,3%), un incremento inferiore
al nord (+0,7%) e una situazione di
stabilit al sud. Nel centrodestra si
ha un vero e proprio crollo al sud di
Forza Italia, circa il -17%, che supera il pur vistoso calo (intorno al
9%) che registra nel centro nord.
Per converso, non si ha al sud la crescita simmetrica dellUDC o di AN
(che, infatti, subisce una flessione),
mentre semmai vi un aumento significativo di altre liste di centro destra, che assorbono in parte i cali di
queste forze politiche, mentre
lUdc resta al palo. E questa la vera
novit del voto: il tracollo, allinterno di
una tendenza generale, del centro destra
al sud, come si gi notato nel caso delle
europee.
Che dire di questi altri risultati se
non che essi suonano come una
conferma di alcune ipotesi prima
avanzate? Sulla base di questi riscontri, lecito dubitare che se si
fosse andato a votare alle europee
senza listoni si avrebbe ottenuto un
risultato totale diverso. In secondo
luogo, il crollo della Margherita,
concentrato soprattutto nella parte
pi ricca e politicizzata del paese, induce a pensare in un deficit di rinnovamento e di protagonismo sociale piuttosto che al prezzo pagato
per un profilo troppo sbilanciato a
sinistra. Che poi il peggior risultato

Editoriale

di Forza Italia e del centro destra si


abbia al sud fa riflettere, dato che in
questa realt, solo pochi anni fa, la
destra era fortissima. Va fatto notare
che a sinistra i DS ottengono un risultato lusinghiero e in modo particolare nelle zone pi politicizzate (e
cio al nord). Questo dato evidenzia
come sia in atto uno spostamento generale a sinistra di cui, alla fin fine, ne beneficiano tutte le sue componenti.
Trattandosi di elezioni amministrative, evidente che al di l delle tendenze espresse dallelettorato, il
vero banco di prova rappresentato
dalla conquista dei governi locali.
Va innanzi tutto puntualizzato che
le 63 province chiamate al voto vedevano gi una netta prevalenza di
quelle guidate dal centro sinistra:
circa il 70%. Dopo il primo turno
ne sono state assegnate 41. Di queste 23 sono state assegnate alle coalizioni di centro sinistra e 18 al centro destra, ma il dato finale stato
di assoluta parit: una giunta persa
e una vinta per ciascun schieramento (Cuneo e Taranto). Dal
primo turno non si avuto quindi
alcuna significativa modifica degli
equilibri di governo locali. Lunica
spiegazione possibile che si trattava di province in cui la giunta
uscente beneficiava di una tale vantaggio da non essere scalfita neppure da eventuali perdite elettorali.

Nel complesso dopo questo voto, il


centro sinistra e Rifondazione controllano 70 province su 103.
Questavanzamento nei governi locali costituisce uno dei fattori in assoluto pi rilevanti, una sorta di accerchiamento progressivo del potere centrale da parte dei poteri locali. Il che, come si vedr, trova una
corrispondenza a livello comunale.

E questa la vera novit


del voto: il tracollo, allinterno
di una tendenza generale,
del centro destra al sud,
come si gi notato
nel caso delle europee

VOTO
LA

DELLE COMUNALI:

CRISI DEL CENTRO DESTRA

G E N E R A L I Z Z ATA , T O C C A N D O
TUTTI I LIVELLI ISTITUZIONALI ,
COMPRESI I COMUNI .

NELLE

FORZE DI CENTRO

( COMPRESA
R I F O N D A Z I O N E ) S I AT T E N U A
SINISTRA

IL

D I VA R I O F R A V O T O P O L I T I C O
E V O T O A M M I N I S T R AT I V O ,
L A L L E A N Z A D I C E N T R O

Ben diverso il risultato al secondo


turno, su 22 province in ballottaggio il centro sinistra ne strappa 6 al
centro destra (Milano; Verbania,
Piacenza, LAqu ila, Chieti e
Brindisi) che a sua volta ne conquista solo una (Cuneo). Il risultato
eccellente e non solo dal punto di
vista quantitativo; infatti, la sola
conquista della provincia di Milano
costituisce un colpo durissimo alla
Casa delle libert. Nel complesso,
alla conclusione di tutte le operazioni elettorali, si ha uno spostamento di ben 8 giunte provinciali
dal centro destra al centro sinistra e
solo una dal centro sinistra al centro destra. Il saldo quindi di +7
giunte a favore del centro sinistra.

SINISTRA SI RAFFORZA
C O N Q U I S TA N D O N U O V E C I T T

Se per le elezioni provinciali vale il


confronto con le politiche certamente ci non vale per il voto comunale. Esso, infatti, espressione
di pi fattori. E per certamente
vero che se da almeno due anni nel
voto amministrativo per eccellenza
(e cio i comuni) si verifica la sconfitta del centro destra, ci in larga
misura il risultato di un discredito
generale che tocca il governo
Berlusconi perfino nelle pi piccole comunit locali. Il limite nel
quale si incorre analizzando i dati
sta nel confronto dei comuni al di
sotto dei 15000 abitanti, dove la

Editoriale

comparazione fra le liste estremamente complesso. Il confronto invece pi facile nei comuni capoluogo dove, a causa della presenza
sistematica dei partiti nazionali,
possibile rapportarsi alle precedenti amministrative.
.
Ad ogni modo, vale la pena anche
effettuare il confronto con le politiche del 2001, perch rappresentano, comunque, un appuntamento pi ravvicinato anche se meno indicativo. Nei comuni capoluoghi le
tendenze prima individuate nelle
elezioni europee e in quelle provinciali ottengono una riconferma,
almeno nelle linee essenziali: nel
confronto con le precedenti ammi-

Il risultato molto positivo dei DS


letteralmente trascinato dal nord
(+8,4%), mentre addirittura
negativo al centro dove invece
cresce Rifondazione (+0,6%)

nistrative il centro sinistra vincente; al suo interno si conferma la


flessione della Margherita (anche se
inferiore nelle provinciali) e la crescita dei DS mentre buono il risultato della sinistra di alternativa
(ad eccezione di una lieve flessione
dei Comunisti italiani). In particolare, Rifondazione Comunista ottiene circa un +1%, il che tuttaltro che disprezzabile. Piccole anomalie si registrano rispetto alle tendenze generali nelle forze minori
del centro sinistra. Per esempio la lista Di Pietro avanza di oltre l1% e
lo SDI subisce un piccolo arretramento (-1%), ma anche questi dati
vanno presi con le pinze dato che le

forze pi piccole possono concorrere a formare liste civiche od altro.


Queste tendenze se riportate a livello territoriale ci dicono qualcosa
in pi. Ad esempio, che il risultato
molto positivo dei DS letteralmente trascinato dal nord (+8,4%),
mentre addirittura negativo al
centro dove invece cresce Rifondazione (+0,6%). Per converso, Rifondazione ha una debole flessione
al nord ( 0,4%) mentre avanza al
sud (+1,9%). La Margherita, infine,
ha il risultato peggiore al nord. La
sensazione che si trae da queste tendenze
che il voto ai DS sia condizionato da
una ripresa di consenso nelle aree produttive del nord mentre Rifondazione
Comunista premiata pi per la sua riscoperta vocazione unitaria, cui si affianca il suo impegno sociale a maggior
ragione laddove le scelte del centro sinistra si rivelano particolarmente moderate.
Ne risulta un quadro nel quale a livello di comuni capoluoghi le forze
del centro sinistra acquisiscono un
vantaggio superiore che nelle precedenti consultazioni. Se poi il confronto si sposta alle politiche del
2001 il divario aumenta ancora di
pi in quanto si ha la vera e propria
debacle di Forza Italia e nel centro
sinistra, di fronte ad un calo superiore della Margherita (8,1% circa),
si ha un risultato positivo dei DS, il
cui voto comunale si attesta su percentuali uguali a quelle delle precedenti politiche e una crescita ulteriore della sinistra di alternativa
(con una leggera flessione di
Rifondazione comunista di circa
mezzo punto percentuale). Le tendenze nel centro destra vanno indagate con attenzione, presentando delle anomalie. La prima
anomalia riguarda la sostanziale stabilit di Forza Italia rispetto alle precedenti amministrative. Ma ci si
spiega perch Forza Italia ebbe il
suo boom nelle politiche del 2001
(ben il 25,17%). Per il resto si ha
una flessione sensibile di AN di circa
due punti e mezzo, mentre lUDC
resta stabile e la Lega nord ha un
piccolo arretram ento di circa

Maggio - Giugno 2004

mezzo punto percentuale. Questo


quadro non sostanzialmente modificato dal confronto a livello territoriale. Se c un particolare da
sottolineare semmai la flessione di
Forza Italia che diviene pi accentuata scendendo verso il sud.
Dato che parliamo di 30 comuni capoluogo, cio circa un terzo del totale, questi risultati vanno considerati con una certa prudenza, ma non
per questo si pu sottovalutare il
fatto che le citt registrano un successo della sinistra maggiore che
non a livello generale. Anche qui
vale il confronto fra i risultati ottenuti nei governi delle citt: i comuni
capoluogo erano per la maggior
parte governati dal centro sinistra
(per i 2/3); al primo turno ne sono
stati assegnati 24 su 30 (di cui 19
erano governati dal centro sinistra.
Tuttavia, anche qui la partita si
chiude con un sostanziale pareggio,
anche se vi una preminenza del
centro sinistra che conquista 3 citt
e ne perde 2. I comuni capoluogo
coinvolti sono: Padova, Bari, Potenza, vinti dal centro sinistra (fra i
quali ovviamente spicca il successo
di Bari) e Teramo e Brindisi vinti dal
centro destra. Ma il reale significato
di questa prova elettorale si ha a
conclusione dei ballottaggi tenuti in
4 comuni capoluogo, due dei quali
(Bergamo e Foggia) vengono conquistati dal centro sinistra. In conclusione, nei comuni capoluogo si
ha alla fine il passaggio di 3 comuni
del centro sinistra al centro destra e
di 6 dal centro destra al centro sinistra. Il saldo (+3), quindi, rafforza il
centro sinistra.
Per i restanti comuni al di sopra dei
15000 abitanti (200) lanalisi resa
molto complessa dalla difficolt del
confronto con le precedenti amministrative. Ci costringe a prendere
a riferimento le politiche del 2001.
Alcuni risultati sono evidenti e conformi a lle conclusioni prima
espresse: il centro sinistra avanza e
il centro destra regredisce. Nel centro sinistra spicca ancora una volta
il risultato negativo della Marghe-

Maggio - Giugno 2004

rita che per va ridimensionato,


dato che nel 2001 essa aveva beneficiato nelle elezioni politiche delleffetto trainante di Rutelli. Dopo
la Margherita il risultato meno brillante quello di Pietro Di che sconta uno svantaggio nel voto amministrativo. Per il resto ci che colpisce
il superamento delle percentuali
conseguite nelle politiche specie da
alcune formazioni di centro sinistra
e della sinistra di alternativa (ad eccezione di una lieve flessione di
RC), con la stabilit dei DS e un incremento significativo dellUDEUR, che in ci conferma il suo radicamento in alcune realt locali.
Nel centro destra la sconfitta non
potrebbe essere pi bruciante in
quanto la flessione rispetto alle politiche di Forza Italia clamorosa (14,66%) seguita da AN (-3,49%),
non compensata dalla crescita di altre liste di Centro Destra e dalla sostanziale stabilit di UDC e Lega.
Lanalisi per ripartizioni territoriali
conferma un centro sinistra che
conquista significative posizioni al
sud ai danni del centro destra. Ne
esce anche confermata la diversa dinamica fra DS e RC nel centro e nel
nord del paese. Data tuttavia, la parzialit rappresentata dal confronto
con le politiche, pi significativo diventa il confronto fra le giunte. Alla
fine del primo turno si ripropone
anche qui una condizione di sostanziale parit; infatti, il saldo fra
giunte conquistate e perse di appena +2 per il centro sinistra, -1 per
il centro detersa e 1 per gli altri, a
fronte si noti bene di 113 giunte assegnate, mentre 87 comuni vanno
al ballottaggio. Nel secondo turno
si ha, invece, un successo delle coalizioni democratiche e progressiste, anche sul piano dei governi locali. In conclusione considerando
solo i comuni in cui era possibile effettuare una comparazione, si constata la cessione di 11 giunte da
parte del centro destra a favore del
centro sinistra e di 5 giunte da parte
del centro sinistra a favore del centro destra. Il saldo totale a favore del
centro sinistra , quindi, di 6 giunte.

Editoriale

RI F O N D A Z I O N E C O M U N I S TA :
SUCCESSO ELETTORALE,
ALCUNI BREVI
APPROFONDIMENTI E ALCUNE
IMPLICAZIONI

E un dato acquisito che da queste


elezioni Rifondazione Comunista
esca rafforzata: nelle europee con
un +1,1% rispetto alle politiche del
2001, nelle provinciali con un
+0,6%, nei comuni capoluogo con
un 0,5% rispetto alle politiche ma
con un +0,7% rispetto alle precedenti amministrative, e per quanto
riguarda i restanti comuni sopra i
15000 abitanti, una stabilit rispetto
alle politiche e un incremento dello
0,2% rispetto alle precedenti amministrative. I dati possono prestarsi
a considerazioni sbagliate: nel voto
pi politico (europee e provinciali)
la crescita evidente, nei comuni la
difficolt dipende dalla scelta delle
elezioni da prendere a confronto.
Partiamo da un assunto e cio che
Rifondazione, come a suo tempo il
PCI, ha sempre scontato nelle elezioni un divario fra voto comunale
e voto politico, anche significativo.
In queste elezioni, la distanza fra i risultati delle diverse consultazioni si invece ridotta a tal punto che nei comuni
sopra i 15000 abitanti non capoluogo
le percentuali sono divenute identiche e
nei comuni capoluogo vi un divario di
appena lo 0,5%.
Se valutiamo leffetto del voto in termini di rappresentanze istituzionali, i dati parlano da soli: nelle provinciali passiamo da 71 a 117 (+46),
nei comuni capoluogo da 38 a 53
(+15) e nei restanti 148 comuni al
di sopra dei 15000 abitanti dove
sono possibili le comparazioni (per
la presenza di Rifondazione Comunista, da 152 a 181 (+29). Non disponiamo di dati sugli altri 4000 comuni sotto i 15000 abitanti ma del
tutto probabile una crescita ulteriore. Rifondazione vede quindi incrementare in maniera considerevole le proprie rappresentanze,
senza contare che a queste dovremo
aggiungere gli assessori, che non
dovrebbero essere un numero irri-

levante. Sul fronte degli amministratori locali si ha quindi un netto


consolidamento ed un recupero notevole sulle perdite subite con la
scissione del 98. A cosa si deve questa crescita? Essenzialmente a due
elementi: da un lato la politica unitaria che abbiamo praticato da anni
negli enti locali, e da qualche mese
anche a livello nazionale. Il merito di
questa scelta non sta solo nellaver beneficiato di una maggior rappre s e ntanza nelle province o nei comuni dove
si vinto, ma anche di aver scongelato
una parte di elettorato che si era allontanata dopo la rottura con Prodi e che
conseguentemente tornata a votare
Rifondazione. In secondo luogo, la
scelta di una collocazione antiliberista e
contro la guerra che sempre di pi incrocia con una sensibilit popolare crescente oltre che con le domande poste dai
movimenti.

In queste elezioni, la distanza


fra i risultati delle diverse
consultazioni si invece
ridotta a tal punto che
nei comuni sopra i 15000 abitanti
non capoluogo le percentuali
sono divenute identiche
e nei comuni capoluogo vi
un divario di appena lo 0,5%

Ci premesso, bisogna anche capire


quali siano stati i soggetti sociali che
ci consentono di crescere elettoralmente. Vi sicuramente una crescita rilevante della componente
giovanile, come hanno dimostrato
alcuni analisi di fluissi, vi sicuramente un incremento del voto cattolico (ne una dimostrazione il numero di preferenze raccolto alle eu-

Editoriale

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Bimestrale
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Bruno Casati, Francesco Cirigliano, Elvio Dal
Bosco, Guglielmo Epifani, Stefano Franchi,
Giovanni Franzoni, Gianni Fresu, Domenico
Gallo, Vladimiro Giacch, Gigi Livio, Domenico
L o s u rdo, Gianni Lucini, Gianni Min, Gianluigi
Pegolo, Armando Petrini, Sergio Ricaldone,
Bruno Steri, Luciano Vasapollo
Per la realizzazione di questo numero non stato richiesto alcun
compenso. Si ringraziano pertanto tutti gli autori e collaboratori.

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30 Giugno 2004
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quel mondo, anche se gi nettamente collocati a sinistra) e, ancora,
ha certamente inciso la capacit in
alcune realt di farsi interpreti di
domande locali.
Si veda il caso di Acerra, ma non
solo. E, tuttavia, ho dei dubbi che
le adesioni di questi settori costituiscano laspetto prevalente del
voto. Chiediamoci: quando i maggiori consensi elettorali in tutti gli
ordini di elezioni ci vengono dal
centro Italia, e nella fattispecie
dalle regioni rosse, o quando possiamo constatare come vi sia allinterno di una crescita generale una
particolare affermazione nei quartieri popolari delle grandi citt
(vale per Roma nelle europee,
come per Milano nelle provinciali)
a cosa si deve tutto ci? A me pare
che la risposta sia abbastanza semplice: stiamo intercettando una parte
del voto del popolo della sinistra che,
provato dalle politiche berlusconiane, ci
chiede unit e al contempo radicalit.

Questa affermazione pu prestarsi


ad equivoci che meglio chiarire.
Nel partito si sente spesso dare
uninterpretazione celebrativa del
voto per dimostrare la conferma
della linea fin qui perseguita. Certo
quando una forza vince vuol dire
che ha indovinato una serie di elementi decisivi, ma bisogna saper distinguere. Aver affrontato questioni
sociali importanti, come salari e pensioni, o esserci battuti contro la destra
o ancora aver dimostrato una disponibilit unitaria, non la stessa cosa che
aprire discussioni interminabili sulla
identit, ritornare ossessivamente sulla
lotta allo stalinismo, assumere generalizzazioni azzardate come la scelta della
non violenza. Non escludo che questi
ultimi aspetti abbiano inciso in alcuni
settori ma non credo proprio siano stato
i fattori prevalenti. Almeno per
come interpreto i dati, per quello
che posso vedere nel paese, gli interessi delle grandi masse si indirizzano verso altre questioni pi
concrete. Inoltre, non azzardiamo
commenti che rischiano di essere
schematici. Il successo al sud av-

Maggio - Giugno 2004

venuto alle europee e alle provinciali, ma non si ripetuto alle comunali, per una semplice ragione,
perch accanto a una disgregazione delle alleanze precedenti, il
voto era, anche per il tipo di consultazione, meno soggetto a fenomeni clientelari. Ben si vede che
quando si passa ai comuni il quadro cambia radicalmente a dimostrazione che c ancora molto da
fare.

Unultima osservazione. Mi rendo


conto che parliamo di piccoli numeri e non ho la pretesa di trarne
regole generali, ma anche sulla
base delle esperienze delle precedenti amministrative a me pare che
la nostra identit e cio il nostro simbolo, collegato attraverso apparentamenti a uno schieramento unitario,
rappresenti la migliore soluzione per
raccogliere consenso fra gli elettori. La
controprova viene da Alessandria
e Pordenone, dove non a caso scegliendo unaltra strada si sono subiti rovesci elettorali. N, a dire il
vero, le mini coalizioni hanno dato
risultati particolarmente buoni essendo comunque state vissute
come un elemento di divisione
senza peraltro contribuire ad esaltare il nostro profilo. Consideriamo quindi il valore, anche elettorale, che conserva unidentit e
non facciamoci ingannare dallidea che le somme degli elettorati
siano conseguibili attraverso facili
operazioni di assembramento.
Anche perch, proprio in virt di
un riconoscimento di massa che ci
viene in relazione alla disponibilit
unitaria manifestata, leffetto voto
utile si sta allentando consentendoci come partito di recuperare una
maggiore autonomia (che ci ha talvolta consentito la presentazione
da soli senza apprezzabili ripercussioni negative), di valorizzare ulteriormente le nostre proposte programmatiche e acquisire un peso
maggiore nelle relazioni politiche.
Sarebbe bene non ce ne dimenticassimo specie nelle prossime consultazioni.

Maggio - Giugno 2004

Editoriale

Buone notizie dal voto comunista.


Rifondazione Comunista avanza
al 6,1%. Il KKE greco consegue
il suo miglior risultato dal 1990 in poi
(9,5%), il Pc ceco-moravo (KSCM)
giunge al 20,3% e il Pc portoghese
al 9,2% (+2,4% sulle legislative)

Non lEuropa
dei popoli

di Bruno Steri

IL

VASTO ASTENSIONISMO NELLE ULTIME ELEZIONI EUROPEE IL PRIMO


E PI PROBANTE SEGNALE DELLA LONTANANZA DELLE POPOLAZIONI
DEL VECCHIO CONTINENTE DAL DISEGNO DI MAASTRICHT E DALLE SUE
POLITICHE LIBERISTE

numeri del nuovo parlamento europeo dicono che, su un totale di


732 seggi, continuano a prevalere i
popolari con 276 deputati sui socialisti (200 deputati), seguiti a distanza da liberaldemocratici (66),
verdi (42), comunisti e sinistra radicale (39), destre e raggruppamenti euroscettici (rispettivamente
27 e 15 deputati), pi un nutrito
lotto di non iscritti ad alcun gruppo.
Ma il dato clamoroso evidenziatosi
nel recente voto del 12/13 giugno
la sonora bocciatura di questa
Europa, del processo di costruzione
delle sue istituzioni e della sua politica: unentit che si mostra verticistica e burocratica, lontana dai popoli e dalla loro sempre pi precaria condizione sociale, incapace di
offrire concrete risposte ai milioni
di disoccupati che la abitano. Di qui
proviene innanzitutto e dilaga la disaffezione al voto: laffluenza alle
urne, gi scarsa nelle precedenti
elezioni del 1999 (49,8%), cala ancora fino a toccare in media il 45%.
Nel cuore del continente si segnalano significativi record negativi: in
Francia vota solo il 43% degli aventi
diritto, in Germania il 40%, in
Spagna il 46% (laffluenza pi bassa
di sempre). E soprattutto i paesi
dellEst Europa, appena entrati nel
consesso dellUe, manifestano il
loro scarsissimo entusiasmo facendo registrare complessivamente

un misero 28,7% di partecipazione


alla consultazione, con punte record di astensione in Slovacchia
(83%), in Polonia (79%), in Estonia
(73%), in Slovenia e nella Repubblica Ceca (72%). Con ogni evidenza,
la gente di questi paesi non si appassiona al progetto europeo; n
potrebbe essere altrimenti. K.S.
Karol menzionava recentemente
(cfr. Il manifesto del 16-6-2004) le
cinque priorit per unEuropa sociale, cos come erano state indicate
su Le Monde da alcuni dirigenti socialisti quattro giorni prima delle
elezioni: un tasso di disoccupazione inferiore al 5%, un tasso di povert inferiore al 5%, un tasso di
senza casa inferiore al 3%, un tasso
di analfabetismo allet di dieci anni
inferiore al 3%, un aiuto pubblico
allo sviluppo dei paesi del sud del
mondo superiore all1% del Pil.
Per quanti a Est stanno provando
lebbrezza del liberismo selvaggio con una disoccupazione che viaggia
su percentuali a due cifre, con assetti istituzionali devastati da corruzione e criminalit crescenti in misura esponenziale quegli obiettivi
potrebbero sembrare uninfelice
provocazione: di fatto essi rappresentano limplicita ammissione dellineluttabilit di una spaccatura
dellEuropa, di una compagine politico-istituzionale governata in politica economica sulla base di orien-

tamenti classisti e, in tal modo, destinata a vedere approfondite le polarizzazioni sociali e geografiche.
Ma lesangue appeal di questa Europa parso evidente, perfino al di l
delle intenzioni dei proponenti, nel
carattere impresso prevalentemente alle stesse campagne elettorali. In effetti, di cosa si discusso
nelle maratone mediatiche che
hanno preparato e, successivamente, commentato il voto? Quanto i temi specificamente europei
hanno concretamente occupato i
canali dellopinione diffusa? Di
fatto, va sottolineata una sostanziale
latitanza dei suddetti temi ed una
predominante attenzione per le vicende politiche interne ai singoli
paesi. Eppure, mentre scriviamo,
sono arrivate in dirittura darrivo
decisioni che riguardano limmediato futuro dellUnione - in sede
politica, istituzionale ed economica
- a cominciare da quelle concernenti la definitiva configurazione del Trattato costituzionale:
una costituzione, come stato detto, senza una vera e propria costituente che sia espressione della partecipazione popolare. Cos, al chiuso delle stanze di Bruxelles, se non
si arrivati a sancire nella carta costituzionale il riferimento confessionale alle radici giudaico-cristiane, si comunque optato per un

Editoriale

Preambolo che manca di includere


una chiara formulazione contro la
guerra, peraltro rifiutata a gran voce
dalla maggioranza della popolazione europea: silenzio questo
che esprime bene la lacerazione gi
prodottasi in occasione dellaggressione Usa allIraq. N stato modificato limpianto strutturalmente liberista della carta medesima, che
sul filo dei principi fondamentali
piega i diritti del lavoro alle supreme esigenze del mercato e dellimpresa: non deve dunque sorprendere che, in una forma appena
ammorbidita, il famigerato patto di
stabilit (vero e proprio patto-capestro per le masse popolari) continui a ispirare gli orientamenti di
fondo dellUnione. Allo stesso
modo, non un caso che sia confermata la splendida primazia della
Banca centrale e che la recente proposta di un supercommissario per le
politiche economiche venga a prospettare, quale misura prioritaria in
queste materie, lennesimo intervento restrittivo sui sistemi previdenziali dei paesi membri.

vato a suo tempo Gianni Ferrara, nel


commentare la bozza provvisoria di
costituzione che la Convenzione
presieduta da Giscard dEstaing
aveva approntato, la sovranit resta
assicurata agli Stati; anzi, agli esecutivi degli Stati, ai governi, che, dovendola esercitare nella dimensione sopranazionale, quella ove
realmente si conta, riescono con
tutto lagio possibile a sottrarla ai
singoli popoli, cui sono preposti. E
cos spiegato larcano di un modello
di Stato (quale quello federale)
senza Stato, senza nazione e senza
popolo (La rivista del manifesto,
n34, dicembre 2002). In definitiva,
nel caso delle elezioni europee, lo
stesso esercizio del voto serve a dare
solo formalm ente sovranit
allUnione, mantenendo di fatto le
leve della suddetta sovranit in
mano agli esecutivi degli stati nazionali, cos da poter collocare
scelte e orientamenti fondamentali
su di un fantasmatico livello sopranazionale e sottrarle al controllo
dellorganismo parlamentare, sia
nazionale che europeo.

Ancora pi avulse dal contesto reale


e sottratte alla comune comprensione appaiono le alchimie attorno
a cui ci si a lungo confrontati e divisi, per trovare modalit di regolazione delle procedure decisionali in
seno allorganismo esecutivo nonch un criterio condiviso per la composizione di questo stesso organismo. Il sistema di voto infine approvato votazione a maggioranza
qualificata (55% dei paesi e 65%
della popolazione europea) con
una serie di eccezioni che frenano
o bloccano la decisione e con un allargamento delle materie su cui
grava il potere di veto rappresenta
una mediazione (tra avversari e fautori della velocizzazione dei dispositivi procedurali) che, nella sostanza, rispecchia tutte le difficolt
del percorso e, segnatamente, il prevalere delle esigenze di autotutela
dei singoli stati membri. Ma ci conferma anche il carattere di incompiutezza di questa Europa e il suo
deficit di trasparenza: come ha rile-

Nelle condizioni sopra descritte


non c da sorprendersi che il voto
europeo sia stato essenzialmente un
voto contro i governi, eminentemente determinato dal drastico e
diffuso peggioramento delle condizioni di vita delle masse. Senza dubbio, una quota di consenso andata
a premiare posizioni di coerente opposizione alla guerra: il caso, oltre
che della Spagna di Zapatero, delle
forze politiche collocate in Italia
alla sinistra del cosiddetto Triciclo
o, in Germania, dei Verdi. Tuttavia
occorre aggiungere che, in generale, si assistito ad unavanzata
delle opposizioni e al contemporaneo crollo delle forze di governo, sia
di centro-sinistra che di centro-destra e comunque collocate rispetto
allintervento bellico in Iraq. In effetti, se mantengono le loro posizioni elettorali governi di recente
nomina (in Spagna e in Grecia),
ben diversa la situazione nel resto
dEuropa: in Germania, crollano al
minimo storico i socialdemocratici

Maggio - Giugno 2004

della Spd (dal 30,7% delle europee


99 al 23%), cedendo 10 dei loro 33
seggi parlamentari; in Inghilterra
scende fino al 22,3% il Labour di
Tony Blair, perdendo ulteriormente
quota rispetto alle precedenti europee (26,3%); in Francia resta al palo
la coalizione governativa di centrodestra, sopravanzata dai socialisti
che sfondano elettoralmente conquistando il 29% dei suffragi e passando da 22 a 31 deputati europei.
Analogamente, sono ampiamente
penalizzati dallelettorato il premier irlandese Bertie Ahern, quello
socialdemocratico svedese Goeran
Persson, il liberale belga Guy
Ve rhofstadt, il conservatore austriaco Wolfgang Schuessel. Questo
plebiscito contro i governi risulta
ancora pi marcato nei paesi est-europei, certamente favorito dal tasso
altissimo delle astensioni: in Estonia
lopposizione socialdemocratica
prevale ai danni del centro-destra, il
quale deve lasciare 5 dei 6 seggi attribuiti al pi piccolo dei tre paesi
baltici. Ma la legge del pendolo
funziona anche e soprattutto nellopposta direzione: in Polonia
vince il centro-destra e il centro-sinistra al governo precipita all11%
(alle politiche del 2001 aveva ottenuto il 41% dei voti), cos come in
Ungheria, Lettonia, Litua nia ,
Slovenia e Repubblica Ceca. Pi di
un campanello dallarme dovrebbe
suonare nei quartier generali delle
socialdemocrazie europee: non c
alcuna rendita di posizione che
possa garantire consenso a prescindere, quando cio le politiche
praticate dai governi di centro-sinistra risultino altrettanto impopolari
e troppo simili a quelle praticate dal
centro-destra. La crisi delle politiche di Maastricht del tutto evidente e dirompente si fatta la questione sociale. Eppure sembra che
la notte non abbia ancora portato
consiglio, visto che il numero due
dellSpd tedesca, Klaus Uwe
Benneter, allindomani della disfatta insiste a dire che rinunciare
alle riforme programmate sarebbe
da irresponsabili e che il nostro vicepresidente del Senato nonch

Maggio - Giugno 2004

esponente autorevole del centro-sinistra, Lamberto Dini, sentenzia:


Leuro si fonda e si regge su due pilastri: lindipendenza della Banca
centrale europea e il Patto di stabilit (Il Sole 24 Ore del 16-6-2004).
Cos stando le cose, se non si profila
allorizzonte alcun netto segnale di
discontinuit, perch mai i lavoratori, i disoccupati, le donne e i giovani europei non dovrebbero allora
dichiarare allunisono: Questa
Europa non la nostra Europa?
Tale sciagurata sordit mette a rischio lauspicabile prospettiva di
unEuropa di pace e svincolata dalle
avventure dellimperialismo Usa,
votata ad un modello di equit sociale e dunque diverso da quello
rappresentato dalle politiche neoliberiste. Si tratta di un rischio tanto
pi concreto in quanto il voto di
protesta - suscitato da quella medesima sordit - per definizione un
voto tuttaltro che consolidato e politicamente maturo: esso pu direzionarsi verso sinistra ma, con lincalzare della crisi, anche verso destra e assumere quindi di caso in
caso connotati reazionari, isolazionistici, populisti e xenofobi. E quel
che sta gi succedendo in diversi
contesti nazionali: in Inghilterra,
dove lUnited Kingdom Indipendent
Party (UKIP) si rende protagonista
di una clamorosa avanzata (dal 6,5
delle precedenti europee al 17%)
conquistando 12 seggi al parlamento europeo; in Svezia, con la
Junilisten (Lista di giugno), creata
nel 2003 sulla spinta del no alleuro,
che arriva al 14,4%; in Austria, dove
Jrg Haider perde terreno, ma la lista di Hans Peter Martin (noto per
le sue denunce contro le frodi degli
eurodeputati) raccoglie un buon
pezzo del voto di protesta; in Belgio,
con il Vlaams Blok che nella regione
fiamminga sopravanza il partito liberale del Primo Ministro Guy
Verhofstadt; in Polonia, dove la reazionaria Lega delle famiglie polacche
ottiene un ottimo 16%.
In questo quadro, buone notizie arrivano dal voto comunista, in cre-

Editoriale

scita quasi ovunque. Con due eccezioni negative. In Spagna, non si arresta infatti la caduta libera di
Izquierda Unida, che crolla al 4,1%,
suo minimo storico, perde lo 0,8%
rispetto alle politiche dello scorso
marzo (e l1,7% rispetto alle precedenti europee) e riesce a mantenere solo uno dei suoi quattro eurodeputati. La seconda delle eccezioni negative costituita dallarretramento in Francia della coalizione trotzkista Ligue Communiste/Lutte Ouvrire, che passa dal
5,2% del 1999 al 2,6%, perdendo
praticamente la met del milione di
voti mantenuti sino al 2004 e tutti e
cinque i parlamentari eletti nelle
precedenti consultazioni europee.
Nonostante questi due casi in controtendenza i quali meriterebbero
un ragionamento ad hoc circa i motivi peculiari che li hanno determinati si pu senzaltro dire che lesito del voto, per i comunisti, in
generale positivo. In Italia, Rifondazione Comunista avanza al 6,1%
(+1,1 sulle politiche, +1,8 sulle europee) guadagnando un seggio sui
quattro gi occupati. Questa medesima percentuale raggiunta da un
altro dei principali promotori della
Sinistra Europea (S.E.), la Pds tedesca (+1,2 sulle legislative, +0,3
sulle precedenti europee), la quale
supera lo sbarramento e porta la sua
dotazione parlamentare da 6 a 7
seggi. Tiene, seppure con un risultato non brillante, il Pcf (anchesso
facente parte del gruppo promotore della S.E., bench la sua definitiva partecipazione sia legata allesito di un referendum interno da
tenersi in questa fase postelettorale): il suo 5,2% lo porta leggermente al di sopra della percentuale
conseguita alle politiche (+0,1) ma
gli fa perdere 4 dei 6 deputati eletti
nel 99. E da segnalare che, assieme
allex responsabile esteri Francis
Wurtz, viene eletto il sindaco di
Calais Jacky Hnin, candidato della
roccaforte operaia e di matrice marcatamente identitaria, che col
6,80% ottiene il miglior risultato
per il suo partito. Molto buono il
voto dei partiti comunisti che non

hanno aderito alla S.E., sia quelli


che hanno espresso un giudizio del
tutto critico come il greco KKE,
che conferma i suoi tre seggi conseguendo il suo miglior risultato dal
1990 in poi (9,5%) sia quelli che
hanno preferito mantenere la veste
di semplici osservatori: tra questi
ultimi, segnaliamo il Pc ceco-moravo (KSCM), che con il 20,3% migliora la gi alta percentuale riportata nelle precedenti legislative diventando il secondo partito del suo
paese, e il Pc portoghese che si attesta al 9,2 (+2,4 sulle legislative)
confermando i suoi due seggi europei. Questi dati smentiscono seccamente la tesi di quanti ritengono
che, per essere elettoralmente attrattivi, debbano essere abbandonati o annacquati i connotati identitari e qualsiasi riferimento al marxismo e al comunismo. In realt,
soprattutto ai partiti comunisti - al
consolidamento del loro radicamento di classe e ad una loro complessiva intesa unitaria, ma anche
alla loro capacit di egemonia nel
quadro di un pi vasto schieramento progressista (contro la
guerra e il liberismo) che ancora
affidata la possibilit di condizionare e cambiare il cammino dell
Europa, nella prospettiva di un
Europa sociale, autonoma dagli Usa
e democratica, che vada dallAtlantico agli Urali.
Concludiamo queste note con un
rapido sguardo sul contesto italiano,
dove si registrata una buona affluenza alle urne (73%) molto probabilmente indotta dalla considerazione di problematiche prettamente interne e dalla concomitanza di consultazioni amministrative. Abbiamo ricordato il buon risultato del Prc, che cresce in percentuale e in numero di voti non
solo rispetto alle europee del 99
(4,3%) ma anche rispetto alle regionali del 2000 (5,1%) e alle politiche del 2001 (5%). Va sottolineato
che tutto linsieme delle forze politiche alla sinistra della lista Uniti
per lUlivo ottiene un buon risultato, conquistando oltre il 13% dei

Editoriale

suffragi e caratterizzandosi come un


gruppo eterogeneo ma consistente:
in particolare, il Pdci e i Verdi consolidano il proprio consenso attestandosi entrambi al 2,5%. Accanto
alla propria performance, in fondo
proprio questa la buona notizia per
il Prc: a sinistra il clima cambiato
e, sullonda dei movimenti di massa
di questi anni, si aperta una salutare dialettica dentro e fuori il triciclo, allinterno dei singoli partiti
e tra questi stessi partiti e i movimenti, che consente di affrontare la
difficile discussione programmatica
in corso sulla base di pi favorevoli
rapporti di forza. La modificazione
delle posizioni in merito alla guerra
in Iraq a questo proposito emblematica: la situazione oggi ben diversa da quella che ci vedeva manifestare praticamente da soli contro
i bombardamenti su Belgrado. In
particolare, la buona prova elettorale di Rifondazione Comunista si
prodotta fondamentalmente sulla
base di tre fattori. Certamente una
quota di consenso arrivata per la
coerente posizione mantenuta sulla
questione irachena: beninteso, tale
fattore non ha premiato solo il Prc,
ma di certo anche il Prc.
In secondo luogo, ha pesato la sempre pi profonda crisi sociale ed
economica: anche su questo punto
la nettezza e la radicalit della collocazione del partito, il suo schierarsi in appoggio alle lotte sociali e
alle vertenze dei lavoratori ha certamente convinto molti elettori circa la necessit di dare forza e potere
di condizionamento al Prc.
Ma, in terzo luogo, nessuna delle
due precedenti motivazioni avrebbe potuto esprimere appieno il suo
potenziale se non fosse stato deciso
allindomani del congresso di offrire un pi marcato profilo unitario, una chiara disponibilit al confronto per arrivare a battere il governo delle destre. Questo confronto oggi in corso e il suo esito
tuttaltro che scontato: guai se il
Prc cessasse di caratterizzarsi per la
decisione con cui tiene ferma la
barra di pochi e semplici contenuti
(pace, stop al carovita, aumento di

retribuzioni e pensioni, salvaguardia dei beni pubblici, sistema elettorale proporzionale). Ma tale confronto va perseguito con unintenzionalit che non deve lasciare
dubbi.
Senza la percezione di una volont
unitaria, la radicalit - pur necessaria - non riesce a convincere: unit
e radicalit, appunto, devono andare insieme.
Anche nel nostro paese, come nel
resto dEuropa, la principale forza
di governo subisce un netto rovescio. Rispetto al 2001, Forza Italia
cala dal 29,4 al 21%, arretrando ben
oltre la soglia minima (25%) indicata dal suo leader, il quale incassa
una secca sconfitta politica e personale. Va detto per che nel complesso la coalizione di governo regge,
grazie alla sostanziale tenuta di A.N.
e ai buoni risultati della Lega (+1%)
e, soprattutto, dellUdc (+2,7%):
tant che alla fine dei conti il bilancio tra centro-destra e centro-sinistra resta pressoch in parit. Da
un lato, evidente che la sconfitta
della forza maggioritaria della coalizione, facendo perdere a questa
una parte del suo potere di condizionamento, muta i rapporti di forza tra i partiti in questione e pu rendere pi rissosa la dialettica interna,
pi problematica la gi precaria ricerca di una linea comune. Daltro
lato, certo che la compagine governativa operer per un suo ricompattamento e non far alcuno
sconto sugli obiettivi di programma.
Significativo, a questo proposito,
leditoriale comparso sul Sole 24 Ore
il giorno immediatamente successivo le elezioni, in cui praticamente dettata la linea da seguire.
Niente risse e atti concreti: in
sintesi, nessuna mediazione al ribasso sulla riforma delle pensioni,
nuova legge sulla tutela del risparmio, eliminazione dellIrap, nuova
spinta alle liberalizzazioni (a partire
da quella energetica), riduzione
delle aliquote fiscali (primo punto
del contratto di Berlusconi con gli
italiani).
In sintonia con il nuovo corso di

Maggio - Giugno 2004

Confindustria, larticolo precisa


che tutto ci va fatto tentando di
coinvolgere lanima riformista dellopposizione, per attuare quella
modernizzazione del paese che non
appartiene n alla destra n alla sinistra (Il Sole 24 Ore del 14-6-2004).
A questo programma tuttaltro che neutrale e di chiara matrice antipopolare
deve rispondere con un proprio
p rogramma di altern a t i v a la coalizione delle forze di centro-sinistra,
di sinistra e comuniste.
E la sinistra di alternativa che non
deve essere n un partito n una
mera somma di partiti, ma un insieme composto da partiti, aree interne a partiti, sindacati, forze dellassociazionismo, movimenti ha il
delicato compito di far vivere nel
suddetto programma i contenuti
delle lotte e dei movimenti di massa
sviluppatisi in questi ultimi anni, incrociando gli interessi e i bisogni,
sino ad oggi mortificati, del popolo
della sinistra. Si tratta di un compito non facile, ma neanche impossibile.
La stessa lista unitaria del Triciclo
oggi percorsa da tensioni, anche
a seguito di un voto che certo numericamente consistente, ma che
tuttavia non fa decollare il progetto
del partito democratico: in effetti,
il numero di voti ottenuti dalla lista
Uniti per lUlivo non raggiunge
nemmeno quello raccolto nel 1999
dalla somma dei partiti che la compongono. Evidentemente, per un
verso, non tutti gli elettori moderati
gradiscono un abbraccio troppo
stretto con i Ds; e, per altro verso,
allinterno degli stessi Ds non
certo da tutti recepito con entusiasmo labbandono definitivo della
propria storia e della propria identit. Anche per questo si pu dire
con ra gione che questo voto
esprime di fatto uninsofferenza nei
confronti di quella vera e propria camicia di forza che costituita dal
modello bipolare.
In definitiva, si aperta a sinistra
una dialettica virtuosa: allinterno
di questa, il ruolo dei comunisti
oggi pi decisivo di ieri. Cerchiamo
di far fruttare questa dote.

Maggio - Giugno 2004

Lotta per la pace

Il pi grande
e colpevole silenzio
regna sul movimento di unificazione
delle componenti irachene
sia religiose che laiche.

Re David
e la resistenza
irachena

di Giovanni Franzoni
teologo comunit cristiane di base

LA LEGITTIMIT DI UNA LOTTA DI POPOLO CONTRO LINVASORE STRANIERO

otr sembrare strano iniziare un discorso politico con un riferimento


biblico ma mi sembra, da un punto
di vista antropologico-culturale,
che certe evidenze siano state chiare sempre e a chiunque.
Nella storia di re David si legge che,
a un certo punto, il re pecc gravemente di arroganza e decise di fare
un censimento dei suoi armati. Il
profeta Gad, investito di divina autorit, gli contest questa mancanza
di fiducia nel divino aiuto e lo invit
a scegliere una punizione fra le tre
che gli proponeva: una carestia, una
pestilenza o uninvasione di un esercito straniero. David non dubit e
prefer qualsiasi cosa ad un esercito
straniero sul suo paese. David rispose a Gad: non ho via di uscita;
non voglio cadere nelle mani degli
uomini, preferisco cadere nelle
mani del Signore, perch grande
la sua bont. Allora il Signore colp
con la peste (2 Samuele 24, 14-15)
A parte lastuta considerazione di
David che, mettendosi nelle mani di
Dio, tutto sommato catturava dalla
sua le autorit religiose, bisogna
dire che la sua scelta fu giusta. Loccupazione di un esercito straniero
fra laltro comporta di per s pestilenza e carestia Manzoni sarebbe
certamente daccordo ma vi aggiunge la violenza e gli stupri, la devastazione delle risorse e labbattimento delle strutture, la perdita

della libert e della sovranit.


Questo intollerabile.
Lasciando le metafore, bisogna dire
che ormai un coro universale
quello che si leva da ogni parte per
condannare la guerra anglo-americana allIraq, linvasione del paese,
il massacro degli abitanti, il saccheggio delle risorse e la pretesa di
istituire un governo liberamente
eletto ma con i fucili puntati alla
nuca. Bisogna ricordare che mentre
il presedente americano parla di restituzione della sovranit per il
2005, cio fra sei mesi, si apprende
che 4000 soldati americani verranno spostati dalla Corea allIraq e
che la sola operazione di spostamento comporta un tempo di quattro mesi. Se ne deduce che gli americani non intendono andarsene se
non dopo essersi assicurato un pilastro del loro sistema di potere geopolitico in quellarea che sostituisce
lIran, venuto meno con la caduta
dello Sci. Per rimanere a tutti i costi in Iraq bisogna inventare, di volta
in volta, un motivo di copertura.
Se la guerra era cominciata per trovare e distruggere le armi di distruzione di massa, poi si motivata con
labbattimento di una crudele dittatura, peraltro a suo tempo ampiamente sostenuta dagli USA con lo
scopo di fronteggiare la perdita
dellIran come pilastro strategico
nella regione.

Ora che la dittatura stata abbattuta


e che lincaricato delle Nazioni
Unite Brahimi ha sentenziato che
lunica dittatura che resta in Iraq
quella di Bremer, si alla ricerca disperata di una nuova copertura.
In questo momento il motivo di copertura delloccupazione il varo di
un sistema democratico , secondo
il modello occidentale. Per ottenere
il risultato bisogna peraltro fare i
conti con la resistenza irachena, che
non assolutamente riconducibile
per recente ammissione dello
stesso Bush n al terrorismo di AlQaeda, n a frange di fedelissimi del
passato regime di Saddam Hussein.
Gli ultimi accorgimenti lessicali dei
sostenitore nostrani delloccupazione e della svolta proposta dalle
Nazioni Unite ruotano quindi su
espressioni come rivalit tribali,
estremismo islamico delle milizie
di Al-Sadr, nodo duro della questione dellautonomia dei curdi ecc.
Il pi grande e colpevole silenzio regna sul movimento di unificazione delle componenti irachene
sia religiose che laiche.
Nel mese di aprile si costituita la
C o n f e renza degli studiosi contro locc u p a z i o n e che ha raccolto ladesione di imam sciiti, di ulema sunniti, di docenti universitari laici, di
autorevoli capi trib delle popolazioni del deserto, di caldei cattolici
e anche di curdi.

Lotta per la pace

La conferenza attualmente presieduta dallimam Javad Al Kalisi e minaccia con pacata fermezza di dover
ricorrere alla forza qualora gli occidentali non se ne andassero subito
senza lasciarsi dietro un governo
fantoccio sostenuto, col guinzaglio
allungato, da presenze militari attestate su basi del tipo di quelle che gli
americani hanno disseminato in
tutto il mondo che essi hanno liberato, da Giappone alla Germania e
da Guantanamo allItalia.
Compito dei pacifisti occidentali,

sostenuti, auspicabile, dalle forze


democratiche di sinistra, quello di
far conoscere i progetti, le prospettive e le risorse della resistenza irachena alloccupazione, senza farsi
ingannare dal falso problema se la
nuova risoluzione delle Nazioni
Unite rappresenti per Chirac o per
Berlusconi, o per Schroeder o per
Putin una svolta.
Se si possa considerare esaurita la
fase delloccupazione, devono dircelo i rappresentanti della resistenza irachena, dai moderati ai mi-

Maggio - Giugno 2004

litanti, dal Consiglio degli ulema alla


Conferenza degli studiosi.
Compito che solo una politica irachenocentrica e non eurocentrica
potr assolvere.
Poich prevedibile che la liberazione dellIraq dalloccupazione e il
processo di autodeterminazione in
Iraq abbia tempi lunghi, necessario muoversi a livello nazionale ed
europeo per costruire in occidente
una sponda di interlocutori che diffonda una corretta informazione ed
esprima concreta solidariet.

Maggio - Giugno 2004

Lotta per la pace

Il documento sulla cui base stata


convocata la Conferenza muove
dal riconoscimento del diritto
di resistere alloccupazione del proprio
paese, un diritto peraltro sancito dalla
Dichiarazione dellAssemblea Generale
dellOnu votata allunanimit nel 1970

Parigi:
a fianco del
popolo iracheno

di Ludmila Acone
segretaria Circolo Prc di Parigi

LO SCORSO 15 MAGGIO UNA CONFERENZA INTERNAZIONALE


DI SOLIDARIET CON IL POPOLO IRACHENO: UN IMPORTANTE EVENTO
COMPLETAMENTE RIMOSSO DALLA STAMPA ITALIANA

o scorso 15 maggio si tenuta a


Parigi, presso la sede della Casa dello studente (Fiap) e davanti a circa
400 persone, la prima Conferenza
Internazionale di Solidariet con il
Popolo Iracheno.
Liniziativa stata lanciata sulla scia
di un appello gi firmato da autorevoli rappresentanti del mondo
della cultura, di dirigenti sindacali,
di esponenti di forze politiche comuniste e di sinistra: da Ben Bella,
gi presidente algerino e primo firmatario, a Vasco Gonalves, ex premier del governo portoghese insediato con la rivoluzione dei garofani,
da Samir Amin a Michel Chossudovsky, da Emir Sader a George
Labica, da Fausto Sorini a Jaime
Ballesteros. Numerose le adesioni
anche tra gli italiani: Luciana
Castellina, Giulietto Chiesa, Valentino Parlato, Giovanni Pesce,
Giorgio Bocca, Mario Tronti, Luciano Canfora, Maurizio Zipponi,
Raniero La Valle, Domenico
Losurdo e molte altre.
Il documento sulla cui base stata
convocata la Conferenza muove dal
riconoscimento del diritto di resistere alloccupazione del proprio
paese, un diritto peraltro sancito
dalla Dichiarazione dellAssemblea
Generale dellOnu votata allunanimit nel 1970, e formula una condanna senza appello della barbarie
bellica scatenata dalle mire dellimperialismo Usa. Nonostante loppo-

sizione di una larga maggioranza


dellopinione pubblica mondiale e
di molti governi, in dispregio di
qualsiasi regola di convivenza tra i
popoli e del diritto internazionale,
stato imposto un diritto di ingerenza che autorizza a bombardare
popoli inermi e deporre manu mili tari regimi e governi non graditi. Al
di l delle menzognere attestazioni
addotte a giustificazione di tale ennesimo massacro, lattacco allIraq
ormai diffusamente percepito per
quello che in realt : in primo
luogo, controllo di risorse energetiche e imposizione dellinfluenza
statunitense in una zona strategica
dello scacchiere internazionale.
Nel corso della mattinata dopo
lintroduzione del filosofo marxista
George Labica si sono succeduti
gli interventi degli ospiti internazionali presenti, a cominciare da
quelli iracheni. Particolarmente significativo quello desordio, di Al
Kubaisi presidente dellAlleanza
Patriottica Irachena grazie al quale luditorio ha potuto apprendere
dalla voce di un diretto testimone la
drammatica condizione della popolazione irachena, sottoposta alla
spietata brutalit dellaggressione
bellica. A Falluja si contano 850 vittime civili, di cui 130 bambini e 250
donne: tra queste ultime ha specificato lesponente della resistenza
irachena una cinquantina presentavano sul loro corpo fori di proiet-

tile, chiaro segno di mirate uccisioni


a sangue freddo ad opera di cecchini. I 150 mila occupanti non sono
medici, non sono architetti n operatori
sociali: essi non costruiscono ma distruggono. Non un ospedale stato edificato, non un edificio: ospedali ed edifici sono stati distrutti. Oggi non abbiamo pi nulla da perdere, perch loro
hanno gi preso tutto quello che cera da
prendere.
In tali condizioni paradossale che
coloro i quali si sono resi responsabili di tali devastazioni nonch di
pratiche criminali quali la tortura
possano continuare a parlare di ricostruzione, di missioni umanitarie
e civilizzatrici. Altrettanto importante il sostegno espresso da un
esponente del mondo sindacale siriano e dallultimo ambasciatore di
Cuba a Bagdad, a nome di popoli a
tuttoggi nel mirino dellaggressivit Usa e primi beneficiari dellazione di resistenza in Iraq. Per lernesto intervenuto il direttore Fosco
Giannini che ha sottolineato limportanza del contributo della resistenza irachena e della sua ritrovata
unit per la causa di tutti i popoli.
I lavori della Conferenza si sono
conclusi con lapprovazione di una
risoluzione che ripropone limpegno internazionalista dei partecipanti e con linsediamento di un
Comitato di continuit incaricato di
promuovere e coordinare ulteriori
iniziative in altri paesi.

Lotta per la pace

Maggio - Giugno 2004

Con il popolo iracheno


Parigi, sabato 15 maggio 2004:
Conferenza Internazionale

APPELLO
rima dellinvasione dellIraq da parte di Stati Uniti e Gran Bretagna, il mondo intero stato percorso da grandi
manifestazioni di opposizione alla guerra. Alcuni governi si sono opposti alle pretese di Bush in seno al Consiglio
di sicurezza dellONU. Ciononostante, Washington ha fatto invadere lIraq, violando ogni legalit internazionale
e in spregio della volont dei popoli.
Per consolidare loccupazione, Washington ha designato un sedicentegoverno provvisorio, formato da personalit collaborazioniste scelte dagli occupanti. La grande disparit delle forze ha portato Bush e i suoi consiglieri
a credere che loccupazione dellIraq sarebbe stata cosa facile. Ma gli Stati Uniti hanno cozzato via via contro lestensione di una resistenza popolare sempre pi attiva e numerosa, che ha reso sempre pi difficile loccupazione del paese.
Oggi, in Iraq, la realt ci mostra due grandi forze che si fronteggiano. Da una parte, il popolo iracheno che resiste alloccupazione del suo paese, con una resistenza multiforme caratterizzata da un grande ventaglio di tendenze politiche e ideali. Dallaltra, limperialismo USA che tenta di governare il paese con lappoggio di un governo fantoccio, per lo pi formato da collaborazionisti iracheni, che ricordano altri collaborazionismi che la storia ha conosciuto, ad esempio durante le occupazioni hitleriane.
Loccupazione dellIraq un un attentato inammissibile al diritto internazionale. Bush ed il suo governo vogliono
imporre un diritto di ingerenza e condurre guerre preventive: in verit, si tratta della loro libert di ingerenza, del loro diritto a bombardare ed occupare paesi e ad eliminare governi sgraditi. Cos facendo, gli Stati
Uniti disprezzano l'opinione pubblica mondiale, inventano pericoli inesistenti, armi di distruzione di massa che
non esistono e presunte connessioni terroristiche anche dove esse non sussistono. In realt, quello che Bush e i
suoi sostenitori pensano che venuto il momento di affermare il dominio degli USA sul mondo, prima che altri paesi possano reagire e che i popoli del mondo si rendano conto del grande pericolo che corre lumanit con
la politica imperialistica degli Stati Uniti. Bush ha annunciato il suo progetto di riorganizzazione del Medio
Oriente: un Medio Oriente che andrebbe dallAtlantico sino alle frontiere della Cina, sotto il controllo degli
Stati Uniti, mentre il popolo palestinese viene massacrato e il muro di Sharon esprime il peggio della politica di
Israele.
Lanno scorso, decine di milioni di persone hanno manifestato nel mondo per condannare il bellicismo di Bush,
per difendere la pace e il diritto internazionale. Lo spirito di queste manifestazioni deve essere reso permanente.
Non bisogna tacere. tempo di dimostrare la nostra opposizione alloccupazione imperialistica USA, a questo
crimine contro lumanit. tempo di esigere luscita delle truppe di occupazione dallIraq. tempo di dire a
Bush che non siamo disposti a vendere la nostra coscienza e a sottometterci alla sua brutalit.

Maggio - Giugno 2004

Lotta per la pace

il momento di manifestare concretamente la solidariet con la resistenza irachena che, in condizioni estremamente difficili, si sta confrontando in prima linea con limperialismo. Questa resistenza nazionale composta da differenti ideologie, religioni, culture ed organizzazioni, che hanno per tutte lobbiettivo comune di espellere gli invasori dal proprio Paese. Ogni popolo ha il diritto di decidere da s le forme della propria liberazione;
ci sia consentito di auspicare che le comprensibili difficolt e asprezze della lotta non facciano prevalere azioni
che possano colpire indiscriminatamente la popolazione irachena, perch ci renderebbe pi difficile la costruzione di uno schieramento nazionale unitario, capace di rappresentare unalternativa vincente agli invasori
e al governo fantoccio che stato insediato; e renderebbe meno estesa la solidariet dei popoli del mondo, che
una campagna mediatica insidiosa e ostile cerca di incrinare.
La resistenza popolare irachena parte integrante della lotta mondiale contro lespansionismo militare degli
USA. I problemi che essa sta creando alle truppe USA e linsicurezza che ne derivata nel popolo nordamericano favoriscono la lotta dei popoli e degli Stati per la loro libert in ogni regione del mondo. Questa lotta unisce tutte le forze che sostengono la pace, la sovranit dei popoli e un ordine internazionale democratico; favorisce le lotte dei popoli contro le ingerenze USA, sostenute dalle oligarchie reazionarie locali.
Oggi sono in molti a sostenere che un altro mondo possibile: la realt ci dimostra che la resistenza irachena
costituisce un alleato importante per i popoli che lottano per un altro mondo.
I motivi che sono stati allorigine delle grandi lotte del passato contro la guerra sono ancora attuali. Oggi bisogna combattere le occupazioni militari, legemonismo sempre pi tirannico degli USA, il disprezzo della sovranit dei popoli; bisogna appoggiare quelli che anche in Iraq combattono contro questo neo-totalitarismo internazionale; bisogna sostenere la lotta del popolo iracheno.
Rivolgiamo un appello alle organizzazioni popolari, democratiche e progressiste del mondo intero, a tutte le personalit oneste. Chiamiamo tutti ad essere solidali con la lotta del popolo iracheno contro loccupazione imperialistica.
Con questo spirito annunciamo la convocazione di una Conferenza internazionale di solidariet col popolo iracheno, che avr luogo a Parigi sabato 15 maggio 2004.

PRIMI FIRMATARI:
Ahmed Ben Bella, gi presidente dellAlgeria Vasco Gonalves, generale, gi Premier del governo portoghese (Portogallo)
Samir Amin, direttore del Forum del Terzo mondo, presidente Forum mondiale delle alternative (Senegal) James Petras,
politologo, docente universitario (Usa) Heinz Dietrich, politologo (Messico) Michel Chossudovsky, docente di economia Universit di Ottawa (Canada) International Action Center (Usa) Partito comunista del Sudafrica-SACP
Partito comunista di Cuba Partito comunista portoghese Ernesto Gomez Abascal, ex Ambasciatore di Cuba in
Iraq (Cuba) Jorge Beinstein, economista e direttore di Enfoques Alternativos (Argentina) Emil Sader, sociologo, coord. Laboratorio Politiche Pubbliche dellUniversit di Rio de Janeiro (Brasile) Tarik Ali, storico e scrittore (Gran Bretagna)
Jeremy Corbyn, deputato laburista (Gran Bretagna) Communist Party of Britain (Gran Bretagna) Georges
Labica, filosofo, docente Universit di Parigi (Francia) Yves Vargas, filosofo (Francia) Consiglio Mondiale della
Pace Partido comunista do Brasil-PcdoB Partito dei Comunisti di Catalogna (Spagna) Mari Pere i Lizandara,
segret. gen. Partito dei comunisti di Catalogna (Spagna) Iraq Patriotic Alliance (Iraq) Subhi Toma, dirigente comunista (Iraq) Marta Harnecker, scrittrice (Cile) Luis Britto Garcia, scrittore (Venezuela) Edmington Rodriguez,
sindaco di Belm (Brasile) Carlos Lozano, direttore periodico Voz (Colombia) Centre of Indian Trade UnionsCITU (India) Romesh Chandra, presidente onorario del Consiglio mondiale della pace (India) Federazione Generale
dei Sindacati (Siria) Gyula Thurmer, presidente del Partito del Lavoro Munkaspart (Ungheria) Luciana Castellina,
direzione della Rivista del Manifesto, gi presidente della Commissione cultura del Parlamento europeo (Italia) Gianni
Min, giornalista, direttore della rivista Latino America (Italia) Giulietto Chiesa, giornalista (Italia) Valentino
Parlato, giornalista (Italia) Giovanni Pesce, medaglia doro della Resistenza antifascista (Italia) Mario Tronti, filosofo (Italia) Giorgio Bocca, giornalista e scrittore (Italia) Lucio Manisco, deputato al Parlamento europeo (Italia)
Costas Alissandrakis, deputato al Parlamento europeo (Grecia) Mauro Bulgarelli, deputato al Parlamento nazionale
(Italia) Maurizio Zipponi, segretario generale FIOM Milano (Italia) Piero Bernocchi, COBAS (Italia) Giorgio
Riboldi, Coordinamento nazionale Slai Cobas (Italia) Don Andrea Gallo e Comunit S. Benedetto al Porto-Genova

Lotta per la pace

Maggio - Giugno 2004

(Italia) Luciano Canfora, docente universitario (Italia) Angelo Del Boca, storico (Italia) Fosco Giannini, direttore della rivista lernesto (Italia) Fausto Sorini, direzione nazionale Partito della Rifondazione Comunista (Italia)
Bruno Steri, dipartimento esteri Partito della Rifondazione Comunista (Italia) Riccardo Bellofiore, docente universitario (Italia) Domenico Losurdo, docente universitario (Italia) Partito Svizzero del Lavoro (Svizzera) Susanna
Maranaho, direttivo Federazione mondiale donne democratiche Carlos Taibo, docente universitario (Spagna) Pascual
Serrano, giornalista Rebelion (Spagna) Jos Maria Garcia-Maurino, s e g ret. generale Cristiani per il Socialismo
(Spagna) Hisao Fujita Yashima, docente universitario (Giappone) Michel Collon, giornalista (Belgio)
Comunidades Fe y vida, COFEVI Chiesa del Salvador Reverendo Roberto Pineda, Chiesa Luterana del Salvador
Reverendo Cornejo, Chiesa Luterana del Salvador Reverendo Alex Orantes, Chiesa Luterana del Salvador Angel
Guerra, giornalista de La Jornada, Rete Internaz. Difesa Umanit (Messico) Efraim Davidi, sindacalista, Comitato esec.
Histadrut- Conf. Lavoratori di Israele Jihad Akel, sindacalista, Comitato esec. Histadut - Conf. Lavoratori di Israele
Pierre Galand, senatore (Belgio) Antonio Pessoa, colonnello delle Forze Armate portoghesi (Portogallo) Isabel Monal,
filosofa e scrittice (Cuba) OSPAAAL (Cuba) Humberto Hernandez, segretario generale OSPAAAL (Cuba) Unione
Araba (Cuba) Jaime Ballesteros, presidente OSPAAAL (Spagna) Foro Social Mundial di Albacete (Spagna)
Jean Pierre Page, sindacalista (Francia) Emiliano Brancaccio, docente universitario (Italia) Alberto Burgio, resp.
settore Giustizia di Rifondazione comunista (Italia) Massimo Raffaeli, critico letterario (Italia) Andrea Catone, associazione Most za Beograd (Italia) Alessandra Riccio, condirettrice di Latino America (Italia) Manlio Dinucci, giornalista (Italia) Bassam Saleh, presidente Comunit palestinese Roma e Lazio (Italia) Enzo Santarelli, storico (Italia)
Luigi Cortesi, direttore della rivista Giano (Italia) Giancarlo Lannutti, giornalista, esperto di Medio Oriente (Italia)
Guglielmo Simoneschi, avvocato del lavoro, consulente nazionale FIOM (Italia) Iraklis Tsavdaridis, Comitato per la
pace e la distensione internazionale (Grecia) Comitato universitari tunisini per il sostegno alla Resistenza palestinese ed irakena (Tunisia) Sindacato generale dellInsegnamento Superiore (Tunisia) SOS Iraq (Belgio)
Georges Mavrekos, vice-presidente Federazione Sindacale Mondiale Rete dei Comunisti (Italia) Contropiano, redazione (Italia) Aldo Bernardini, docente universitario (Italia) Wadson Ribeiro, presidente Unione Giovent SocialistaUJS (Brasile) Gustavo Petta, presidente Unione Nazionale Studenti-UNE (Brasile) Marcelo Gaviao, presidente UBES
(Brasile) Ana Maria Prestes Rabelo, vice-presidente Federazione Mondiale Giovent Democratica per lAmerica Latina e
il Caribe Unione dei Giovani Socialisti (Brasile) Renato Rabelo, Presidente do Partido Comunista ddo Brasil (PCdoB)
Jos Reinaldo Carvalho, giornalista, Vice-presidente e segretario alle Relaciones Internacionales del PCdoB Joo Pedro
Stedile, del coordinamento nazionale del Movimiento de los Trabajadores Rurales Sin Tierra (MST Brasil) Max Altman,
giornalista e membro del gruppo di politica internacional del Partido de los Trabajadores, PT Partito dei Comunisti del
Messico Nines Maestro, Corriente Roja (Spagna) Patricia Latour, vice-sindaco di Aubervilliers (Francia) Mariano
Abalo, portavoce nazionale Frente Popular Galega (Spagna) Vittorio Tanzarella, Comitato per Pace giusta in Palestina
(Italia) Enrico Vigna, portavoce Partigiani della Pace di Torino e Piemonte (Italia) Redazione www.siporcuba.it
(Italia) Giustino Di Celmo, presid. onorario Comitato Solidariet con Cuba Fabio Di Celmo (Italia) Omar Minniti,
Consigliere provinciale Reggio Calabria (Italia) Assemblea nazionale anticapitalista (Italia) Nicola Quatrano, magistrato (Italia) Claudio Del Bello, docente universitario (Italia)... seguono centinaia di adesioni provenienti da ogni
parte del mondo.

Maggio - Giugno 2004

Lotta per la pace

Lincontro di Atene segna


un passo avanti nel coordinamento
internazionale e continentale
delle componenti antimperialiste del
movimento contro la guerra. Le nostre
priorit in Italia e in Europa. No alla
militarizzazione dellUnione europea

Armi nucleari
e basi straniere:
per una campagna
mondiale

di Stefano Franchi
Forum contro la guerra

SI SVOLTA IN MAGGIO AD ATENE LASSEMBLEA GENERALE


DEL CONSIGLIO MONDIALE DELLA PACE.
UN CUBANO ELETTO NUOVO PRESIDENTE

al 6 al 9 maggio 2004 si svolta ad


Atene lAssemblea generale (quadriennale) del Consiglio Mondiale
della Pace1 (WPC): un organismo
che, pur vantando una storia gloriosa di mobilitazioni per la pace e
il disarmo in questo dopoguerra,
era entrato in crisi profonda nel
corso degli anni 80, in concomitanza con la crisi dellUrss e del
campo socialista (a cui era fortemente legato); e che dopo un difficile e tormentato travaglio riuscito solo in questi ultimi anni a
dare alcuni segni tangibili di ripresa. Ci grazie soprattutto alliniziativa di alcuni partiti comunisti
come quello greco (KKE), portoghese, cubano, vietnamita, dei due
PC indiani, e di una serie di
Comitati e movimenti antimperialisti nei vari continenti che pur dentro una discussione tuttaltro che
unanimistica e scontata hanno
scelto di lavorare per un suo rilancio, che tenesse conto ovviamente
delle lezioni del passato e di un quadro mondiale radicalmente mutato
rispetto a quello bipolare.
Erano presenti allincontro diAtene
134 delegati, rappresentanti di 62
organizzazioni che operano in 47
diversi paesi. Per lItalia, in veste di
osservatore, era presente il Forum
contro la guerra 2 .
Cerano delegazioni da tutto il mon-

do: Asia, Africa, Europa occidentale


ed orientale, America Latina e Stati
Uniti. Alcune di esse rappresentavano piccoli movimenti e organizzazioni che cercano, nei rispettivi
Paesi, di portare dentro il pi complessivo movimento per la pace un
orientamento antimperialista; altri
come il caso ad esempio di Comitati provenienti da India, Cuba,
Siria, Vietnam, Egitto, Congo, Corea, Francia, Grecia, Cipro, Portogallo, Germania, Giappone, Messico,
Namibia, Palestina, Serbia, Finlandia, Zimbabwe erano invece
espressione diretta di veri e propri
movimenti di massa capaci di mobilitare complessivamente decine di
milioni di persone.
Da non sottovalutare la presenza di
ufficiali ed ex-ufficiali di vari Paesi
(Russia, Grecia, Portogallo, Bulgaria, Germania) che hanno dato
vita ad una Conferenza che si propone di costruire un coordinamento europeo di militari per la
pace, per la distensione, per lamicizia tra i popoli, contro le basi militari straniere, sulla funzione di difesa nazionale e non imperialista e
aggressiva degli eserciti.
Significativo anche il collegamento
che il Consiglio mondiale della pace
venuto ristabilendo con importanti
organizzazioni internazionali, che
hanno partecipato e aderito
allAssemblea di Atene, come la

Federazione mondiale della giovent dem o c r a t i c a , la Federazione sindacale


mondiale, la Federazione mondiale democratica delle donne: organizzazioni
che, poco influenti nei paesi capitalistici pi sviluppati, esprimono
invece una forza organizzata ragguardevole di decine e decine di milioni di giovani, di lavoratori, di
donne, soprattutto nei Paesi del Sud
del mondo (la sola Federazione giovanile conta circa 70 milioni di
iscritti, senza contare le organizzazioni giovanili cinesi ad essa affiliate).
E non un caso che, dopo il Forum
Sociale Mondiale (WSF) di Mumbai, che ha visto emergere una piattaforma sempre pi marcatamente
antimperialista (fino alla esplicita
solidariet con la resistenza irakena), tali organizzazioni siano
entrate a far parte del Consiglio
Internazionale del Forum, cio del
suo massimo organismo mondiale
di coordinamento, contribuendo a
rafforzarne le componenti antimperialiste.
In questo contesto pi generale,
lassemblea di Atene ha rappresentato un momento importante e un
passo avanti nel processo di riorganizzazione e di coordinamento su
scala mondiale e continentale delle
componenti che operano su basi antimperialiste allinterno del movimento per la pace, che per sua na-

Maggio - Giugno 2004

Lotta per la pace

tura (e giustamente) assai eterogeneo sul piano politico e ideologico. In molti casi (non sempre)
sono stati proprio i comunisti (esemplare il caso dellIndia) a operare unitariamente come la forza
pi propulsiva, pi determinata, pi
consapevole del movimento stesso,
con ripercussioni positive sullorientamento generale del movimento su scala mondiale, come appunto si visto a Mumbai.

UN

FRONTE

A N T I N P E R I A L I S TA

Non per caso in tutti gli interventi


del meeting di Atene si sottolineata lesigenza e la possibilit di costruire, nel mondo del 21 secolo,
un ampio fronte anti-imperialista
che veda la convergenza di popoli,
organizzazioni politiche e sociali,
governi, Stati, che in sinergia col variegato movimento mondiale per la
pace sappia opporsi allegemonismo USA e ai rischi che esso rappresenta per lintera umanit.
Gi al WSF di Mumbai3 qualcosa si
era mosso in questa direzione, anche se in Italia la parentesi indiana
del movimento dei movimenti
stata frettolosamente archiviata.
Nella partecipazione si era passati
dai 20.000 delegati del 2003 a Porto
Alegre agli oltre 100.000 delegati
provenienti da 154 Paesi. Se in
Brasile il 73,4% dei partecipanti
erano studenti universitari e intellettuali4, ledizione indiana stata
caratterizzata da unimponente partecipazione popolare, con lapertura del Forum affidata a un paria,
rappresentante della parte pi povera della societ indiana. Nel documento finale si parlato di lotta
al neoliberismo e allimperialismo,
di diritto allautodeterminazione
per il popolo iracheno e di chiusura
delle basi militari americane in tutto
il mondo: temi questi quasi assenti
nelle precedenti edizioni. E sempre
in India, a distanza di pochi mesi dal
W S F, le ultime elezioni hanno
creato un terremoto politico. Nel
voto stato sconfitto il governo

Vajpayee (liberista e filo americano) e ha prevalso lalleanza elettorale tra il Partito del Congresso di
Sonia Gandhi e i due Partiti comunisti5.
Questo dato ha suscitato forti preoccupazioni nei mercati finanziari e
nei gruppi dirigenti dellimperialismo USA, tanto da far scrivere al
Corriere della Sera che a far passare
un brivido nella spina dorsale di ogni
investitore stata una dichiarazione di
Prakash Karat, un membro importante
del Partito Comunista dell'India (marxista), una delle formazioni che saranno
decisive nel sostegno al governo che il
partito del Congresso e Sonia stanno cercando di formare. Il ministero delle privatizzazioni ha detto Karat non
pi necessario, questa la posizione del
partito. E anche il rapporto con gli Stati
Uniti, che Vajpayee aveva consolidato
come contrappeso a Pakistan e Cina,
cambier certamente: il Congresso ha nel
suo Dna l'opposizione allimperialismo
americano e il non allineamento. In
pi, entrer in coalizione con due partiti comunisti nettamente antiWashington. Lo stesso vale per Israele,
verso il quale Vajpayee aveva un occhio
di riguardo6.
Non superfluo sottolineare che in
India vivono pi di 1 miliardo di persone e che, insieme alla Cina, uno
dei paesi in grado di sfidare la supremazia USA nel 21 secolo7. Un dato
questo che pi volte riecheggiato
negli interventi dei numerosi delegati indiani presenti allassemblea
di Atene. Nel documento finale del
WPC si plaude alle recenti iniziative
di India e Pakistan volte alla normalizzazione delle relazioni bilaterali e a
p ro m u o v e re unatmosfera di pace nel
sub-continente indiano e si contestano le pressioni esercitate dagli Usa
sul Bangladesh per ottenere un accordo
militare bilaterale per poter impiantare
una base militare USA nella Baia del
Bengala. Si esprime solidariet al popolo di Corea che lotta contro legemonia
USA e si chiede il ritiro delle truppe
USA dalla penisola coreana, nel contesto di una soluzione pacifica dei problemi nucleari tra Corea del Nord e Usa,
tramite negoziati. La svolta dellIndia
avr positive influenze sullintera si-

tuazione geopolitica del continente


asiatico.
Ma lIndia non sola. Nelle recenti
elezioni politiche in Sud Africa
lANC (African National Congress)
ha ottenuto il 70% dei seggi parlamentari, dei quali quasi la met
sono andati ai comunisti o a deputati vicini alle posizioni del partito:
un voto che rafforza la possibilit di
emancipazione economica e geopolitica di quel paese e, con esso,
dellintero continente africano8.
Tutte le delegazioni provenienti
dallAmerica Latina hanno sottolineato laggressivit dellimperialismo nord-americano e le politiche
di rapina e militarizzazione rappresentate dal NAFTA e dallALCA, cui
si accompagna per anche la tenuta
e lo sviluppo delleconomia di Cuba
e la crescita dei movimenti anti-imperialisti, senza i quali sarebbero impensabili esperienze di governo
come quelle di Chavez in Venezuela
o di Lula in Brasile. Ci indica la possibilit concreta che da questo continente venga un contributo decisivo alla sconfitta dellegemonismo
USA. Nel documento finale si saluta
l a l t e rnativa bolivariana per le Americhe come proposta sovrana alternativa
al progetto neo-liberista dellimperialismo e il fermo sostegno a Cuba.

LA

RESISTENZA IRACHENA

I popoli dellAsia, Africa e America


Latina, fino a ieri terra di conquista
dei principali imperialismi di tutto
il mondo, sono oggi attori potenziali di un fronte anti-imperialista in
grado di dire no allo strapotere
delle multinazionali e di opporsi ai
processi di neo-colonizzazione portati avanti dai principali paesi capitalisti, anche quando essi sono corazzati con il pi potente esercito
del mondo. La stessa cronaca di
questi mesi dovrebbe far riflettere.
In Medio Oriente, in seguito allaggressione e alloccupazione militare
dellIraq e della Palestina, stanno
crescendo movimenti di liberazione nazionale la cui importanza, unitamente alla resistenza del popolo

Maggio - Giugno 2004

iracheno e al suo valore universalistico, stata sottolineata da tutti i


delegati presenti alla riunione di
Atene.
Per i popoli arabi, insieme a quello
iracheno, significa mantenere
aperta una prospettiva di emancipazione e indipendenza nazionale:
se gli USA non hanno ancora dichiarato guerra allIran e alla Siria,
ci dovuto in primo luogo alla
mancata stabilizzazione dellIraq.
Lintero progetto di grande Medio
Oriente americano vede oggi in
questa resistenza il suo principale
ostacolo.
Paesi come Francia e Germania,
sempre inclini alle sirene della pi
cinica re a l p o l i t i k, difficilmente
avrebbero resistito alla solidariet
atlantica e allaccettazione delloccupazione irachena senza questa
novit epocale. Lo stesso dibattito
allinterno alle classi dirigenti nordamericane ne ha risentito: se oggi
lunilateralismo dei conservatori ha
meno consensi e una parte dellamministrazione Bush chiede con
pi forza un coinvolgimento
dellONU (Powell) lo si deve alle
difficolt incontrate sul campo dagli eserciti liberatori. E se oggi si
pu parlare in modo non velleitario
di crisi del progetto unipolare per
la supremazia USA nel 21 secolo,
di crisi della strategia della guerra
preventiva, ci lo si deve innanzitutto alla resistenza del popolo iracheno.
Ma gli effetti benefici vanno oltre la
sfera delle diplomazie: lo stesso movimento pacifista oggi ancora in
campo, dopo la crisi di sconforto e
di riflusso che lo aveva attraversato
allindomani delloccupazione militare dellIraq, grazie aifratelli e alle
sorelle irachene che resistono9. Nel documento finale del WPC si esprime
solidariet con la resistenza del popolo
irakeno contro loccupazione e si chiede
limmediato e completo ritiro delle forze
di occupazione affinch sia concesso agli
iracheni di autodeterminarsi. E si conferma pieno sostegno alla causa palestinese.
Altro tema discusso nella sessione di

Lotta per la pace

Atene del WPC stata la militarizzazione delle relazioni internazionali che spinge i principali paesi del
mondo verso una nuova corsa al riarmo, alla militarizzazione dello
spazio e alla proliferazione delle
armi nucleari10.

A RMI

NUCLEARI

E BASI STRANIERE

Nel documento finale si afferma


che gli USA hanno adottato la strategia dellattacco preventivo nucleare abbandonando laccordo stipulato da tutti
i paesi con armi nucleari di non utilizzare per primi queste armi. Gli USA e la
Francia hanno programmato di sviluppare nuovi tipi di armi nucleari da util i z z a re in scenari di guerra urbana.
Una situazione che, accompagnata
dalla rivalit tra i diversi poteri per assicurarsi il controllo e la spartizione delle
sfere di influenza e dei mercati, crea una
intensificazione dello stato di guerra e in
pi la probabilit di conflitti generalizzati, che portano in prospettiva ad un
impatto globale. stato inoltre discusso e approvato il lancio di una
campagna mondiale per la messa al
bando di tutte le armi di distruzione
di massa, a partire da quelle nucleari. L8 Agosto 2005 ricorrer il
60 anniversario di Hiroshima e
Nagasaki: sar probabilmente in
quella data che tale campagna prender il via nei principali paesi del
mondo, con lobiettivo di raccogliere centinaia di milioni di firme in
tutti i continenti.
Ma militarizzazione delle relazioni
internazionali significa anche basi
militari USA e Nato, soprattutto per
noi europei. un punto sollevato
da diverse delegazioni e sul quale
lintero movimento pacifista dovrebbe aprire una riflessione. Dopo
il crollo dellURSS, principale contrappeso internazionale allegemonismo USA, anzich essere superata
la Nato stata rafforzata, allargandone gli orizzonti e il campo di
azione11. la Nato che gestisce loccupazione di parti della Jugoslavia.
la Nato che gestisce loccupazione
dellAfganistan. E anche in Iraq, so-

prattutto a fronte di una crisi della


strategia dei neoconservatori americani, il coinvolgimento della Nato
potrebbe rappresentare il punto di
mediazione tra gli interessi USA e
quelli del rinascente imperialismo
europeo.
Richard Perle, uno dei principali
teorici della guerra preventiva, in
una recente intervista al Corriere della
Sera ha affermato : Io sono contrario
a un ruolo dellONU in Iraq perch complicherebbe soltanto la situazione. Sono
invece favorevole a un ruolo della Nato,
quindi a una presenza dei suoi soldati.
LONU condizionata dalla Cina e
dalla Russia. Sarebbe come fare entrare
cinesi e russi nella Nato, che non mai
stata subordinata allONU12.
Lo stesso John Kerry, candidato democratico alle prossime elezioni
presidenziali americane, parla
esplicitamente della Nato come
possibile soluzione al disastro iracheno (escludendo quindi un ritiro
degli eserciti occupanti). Nella recente riunione del G8 in Georgia gli
USA e la Gran Bretagna hanno proposto un maggior coinvolgimento
della Nato in Iraq, ipotesi contrastata da Russia e Cina insieme, almeno fino ad ora, a Francia e
Germania. C da scommettere
per che nei prossimi mesi le sirene
dellatlantismo si faranno sentire su
tutta lEuropa.
Nel documento finale di Atene si rileva che se la Jugoslavia stato il
campo per lapplicazione della nuova
dottrina preventiva della NAT O ,
lAfghanistan e lIraq sono state le prime
vittime della nuova terrificante dottrina
della guerra preventiva; e si afferma
che la politica delle alleanze militari
(Nato, Trattato Usa- Giappone sulla sicurezza, e altri) stata ulteriormente intensificata allo scopo di coinvolgere pi
alleati nella strategia USA e, lungo questa linea, le basi militari in USA e allestero sono state rafforzate e riorganizzate
in tutto il mondo13. Il documento
esprime la sua solidariet al popolo jugoslavo nella sua lotta contro loccupazione Nato di parte del territorio serbo,
del Kossovo e la sua trasformazione in
un protettorato Nato e denuncia il cosiddetto tribunale dellAja come esempio

Lotta per la pace

di manipolazione della verit e tentativo


di legittimazione dei crimini e dellaggressione degli Usa e della Nato.
La chiusura delle basi militari americane, la fuoriuscita dellItalia e
dellEuropa dalla Nato, la battaglia
contro lEsercito europeo e i processi di
rapida militarizzazione reazionaria dellUE14 dovrebbero diventare obiettivi e priorit dellintero movimento
pacifista, sui quali incalzare il
mondo della politica.

CONTRO LA

N AT O
UE

E L E S E R C I T O

Chiedere allEuropa di rompere


con la guerra preventiva e assumere
la Pace come pratica politica significa innanzitutto chiedere, unitamente allinserimento dellart. 11
della Costituzione italiana in quella
europea, il superamento dei vincoli
atlantici: oggi la Nato rappresenta
unautentica camicia di forza per
una possibile Europa autonoma e di
pace.
Se qualche anno fa questa poteva
sembrare una battaglia testimoniale, oggi vi sono segnali pi che
incoraggianti. Per rimanere in
Italia, le iniziative del gennaio 2003
contro i treni della morte hanno
iniziato a segnalare il problema.
Qualche mese fa lintera popolazione sarda si mobilitata per la chiusura della base americana della
Maddalena: una mobilitazione talmente forte che ha spinto la maggioranza del consiglio regionale a
chiedere a sua volta la chiusura di
tale base. In Toscana, Emilia Romagna, Puglia, Liguria, Sicilia, Campania vi sono comitati di lotta sorti in
prossimit di basi americane e Nato
che ne chiedono la chiusura. Le
stesse carovane della pace, che in preparazione del 20 marzo hanno girato in lungo e in largo tutta lItalia,
hanno svolto le principali iniziative
davanti a questi luoghi simbolo
delle guerre di aggressione, a dimostrazione che questo un tema
molto sentito nei vari territori e dai
movimenti locali. Anche la manifestazione nazionale del 4 giugno a

Roma, nonostante si sia svolta in un


giorno feriale e in un clima terroristico organizzato ad arte da
Governo e mass-media, ha visto la
presenza di 200.000 persone, in
gran parte giovani, scese in piazza
per dire che lItalia non il 51 stato
USA.
Quello che stupisce, semmai, che
tali problematiche non siano ancora diventate priorit del movimento e della politica. Anche se alcuni passi in avanti sono stati fatti.
A gennaio del 2004, nella storica
sede dellANPI di Milano, si svolta
la prima assemblea nazionale del
Forum Contro la Guerra (www.forumcontrolaguerra.org) nel cui appello
costitutivo si legge che l'intera
struttura degli automatismi, dei vincoli
e dei condizionamenti alla nostra sovranit connessi all'adesione alla Nato
che va rivista radicalmente. Non pi
accettabile che un paese venga coinvolto
in una guerra sulla base di trattati siglati cinquanta anni fa e mai verificati
democraticamente. Lo smantellamento
delle basi militari che ospitano armi nucleari, bombe, aviogetti statunitensi,
deve costituire un obiettivo prioritario
della politica ed un significativo passaggio di qualit dell'ampio e unitario
movimento che si oppone alla guerra in
Italia, in Europa, nel mondo.
A tale Forum hanno aderito esponenti della cultura, del mondo del
lavoro e di organizzazioni sindacali
come Fiom, Rdb, sinistra Cgil, di associazioni laiche e cattoliche, del
Prc, Pdci, Verdi e sinistra DS. In diverse citt italiane si sono costituiti
o sono in via di costituzione Forum
contro la guerra territoriali. Sempre
qualche mese fa, allindomani della
riuscita manifestazione del 20 Marzo a Roma, si costituito il Comitato nazionale per il ritiro delle truppe italiane dallIraq. Tale comitato,
insieme al lancio di una petizione
popolare15 in cui si chiede il ritiro
delle truppe italiane, il taglio delle
spese militari e laumento delle
spese sociali, ripropone a livello di
massa il tema delle basi militari USA
e Nato in Italia.
Il 15 febbraio di un anno fa 110 mi-

Maggio - Giugno 2004

lioni di persone si sono mobilitate


in tutto il mondo per dire no al progetto di guerra preventiva, che ha visto nellaggressione allIraq uninquietante dimostrazione. Oggi quel
movimento si mobilita per chiedere
il ritiro di tutte le truppe di occupazione. Ma opporsi alla guerra preventiva significa anche, in Italia, far
crescere un fronte politico e sociale
che al ritiro dei militari italiani
dallIraq associ la difesa della nostra
sovranit nazionale, il rispetto rigoroso dellart. 11 della Costituzione
e la lotta al liberismo. Per dirla con
le parole che Gino Strada ha usato
al recente congresso nazionale della
Fiom: non c pace senza democrazia,
non c democrazia senza giustizia sociale, non c giustizia sociale se non si
elimina lo sfruttamento delluomo sulluomo. Nel mondo del lavoro e nel
movimento pacifista italiano vi sono
le risorse, le energie e le disponibilit per una trasformazione democratica e sociale che, mettendo al bando la
guerra, cominci anche ad indicare una
alternativa di societ tesa ad impedire
che lumanit sia nuovamente vittima
delle guerre e della competizione globale
tra le maggiori potenze capitaliste16. Si
tratta di dare sostanza organizzata
a questo lavoro. Ce lo chiede la futura Europa di pace e giustizia sociale.

CO N S I G L I O

EUROPEO

D E L L A PA C E

Durante la riunione di Atene vi sono


anche stati gli incontri delle delegazioni continentali. Ho preso
parte a quello europeo. I temi discussi sono stati tanti, e sarebbe
lungo elencarli tutti. Mi limito ad alcuni dati. Innazitutto la partecipazione: vi erano delegazioni di Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Finlandia, Francia,
Germania, Grecia, Ungheria, Inghilterra, Italia, Portogallo, Federazione Russa, Serbia-Montenegro,
Spagna, Svizzera. Gi questo fatto fa
riflettere. Poche settimane fa vi
stato lallargamento ad est della
Nato e della stessa UE. Credo sia
unesigenza ormai matura pro-

Maggio - Giugno 2004

durre un analogo allargamento anche nei confronti di quei movimenti


che lottano contro la guerra, contro
la militarizzazione dellEuropa e
contro il liberismo. Proprio su questo punto stato deciso di convocare almeno una volta lanno la riunione del Consiglio Europeo della
Pace e farne un luogo di confronto
e coordinamento di tali movimenti,
dal Portogallo alla Russia.
stato anche deciso un calendario
minimo di iniziative. A giugno, in
Germania, si svolger una conferenza sulla militarizzazione europea. A settembre, anniversario dellinizio della seconda Intifada, saranno promosse iniziative contro il
muro della vergogna davanti alle
ambascia te israeliane di tutta
Europa, nella consapevolezza che la
questione palestinese, insieme a
quella irachena, centrale per tutto
il Medio Oriente. Vi sar la partecipazione al contro-vertice della
NATO che si svolger ad Istambul il
28-29 giugno: in tale occasione, oltre a mobilitazioni e iniziative di
piazza, lAssociazione per la Pace
della Turchia organizzer una conferenza internazionale sul Nuovo
ruolo della Nato nel futuro scenario imperialista: come fermarla?.
Vi sar la partecipazione del Consiglio Europeo della Pace al Forum
Sociale Europeo che si svolger a
Londra dal 15 al 17 ottobre. Dopo
la positiva esperienza di Mumbai,
sottolineata da molti delegati, anche questo appuntamento sar un
utile occasione per rilanciare la mobilitazione contro la guerra e contro i processi di militarizzazione che
stanno investendo lUE. Londra vedr la partecipazione di tutte le organizzazioni presenti ad Atene.

NUOVI ORGANISMI
DEL

WPC

Nellultima giornata sono stati rieletti gli organismi dirigenti del


WPC. Nel Comitato Esecutivo, organismo rappresentativo dei principali movimenti, sono presenti
nove membri dallAsia, otto dal-

Lotta per la pace

lEuropa, dieci dalle Americhe, cinque dal Medio Oriente e sette dallAfrica. stato confermato nel ruolo di segretario generale Thanassis
Pafilis, membro del Comitato greco per la pace e la distensione internazionale, il Comitato che ha promosso e organizzato lassemblea
mondiale di Atene. stato eletto
presidente Orlando Fundora Lopes, esponente del Movimento cubano per la pace e la sovranit dei
popoli. stata eletta una segreteria esecutiva di cui faranno parte anche i coordinatori regionali17: per
lEuropa il Consiglio portoghese
per la pace e la cooperazione, per
le Americhe il Movimento messicano per la pace e lo sviluppo, per
lAsia il Comitato per la pace del
Vietnam, per il Medio Oriente il
Comitato per la pace egiziano, per
lAfrica il Comit ato per la pace del
Congo.
Sono stati confermati Presidenti
onorari Evangelos Mahairas, presidente del Comitato Greco, e Romesh Chandra, figura storica del
WPC di cui stato segretario generale dal 1966 al 1977 e presidente
dal 1977 al 1990.
Il WPC si concluso con la partecipazione di tutti i delegati alla riuscitissima manifestazione di apertura delle Olimpiadi della pace, con
una Maratona popolare in cui sono
confluiti i delegati del WPC, conclusasi davanti alla sede dellAmbasciata USA di Atene, completamente circondata e protetta dalle forze
di polizia.
Atene, insieme ai suoi colori e alle
sue bellezze artistiche, mi ha lasciato limpressione che nel 21 secolo, iniziato allinsegna della
guerra preventiva e delle aggressioni allAfganistan e allIraq, vi sia
un complessivo risveglio dei movimenti anti-imperialisti di tutto il
mondo, dallAsia allAfrica, dallAmerica Latina agli stessi Stati Uniti.
Risveglio che pu dare un contributo decisivo alla costruzione di un
nuovo ordine mondiale non americano.
E che per noi europei, attori e protagonisti di una possibile Europa di
pace, un rapporto con tali movi-

menti una via obbligata. Laugurio


che nel prossimo Forum Sociale
Europeo di Londra, cos come successo a Mumbai, possano riecheggiare le parole finali del meeting di
Atene che esortano tutte le organizzazioni e i movimenti a livello nazionale,
regionale e internazionale a lottare per
difendere la pace contro i piani imperialisti e ad unire le loro voci e le loro
azioni per un mondo di pace, uguaglianza, giustizia e solidariet.

Note
1 Il WPC unorganizzazione nata allindomani della seconda guerra mondiale. Tenne
il suo primo congresso mondiale a Parigi, nellaprile 1949, presieduto da Pietro Nenni e
Joliot-Curie (famoso fisico nucleare francese
che partecip alla costruzione della prima
bomba atomica). Promosse una campagna
mondiale per la messa al bando delle armi nucleari (il famoso appello di Stoccolma), raccogliendo 600 milioni di firme in tutto il mondo.
Solo in Italia ne furono raccolte otto milioni,
in Francia sette. Tale campagna ebbe molto seguito anche negli Stati uniti: 4.000 intellettuali americani promossero un appello, sostenuto da diverse confessioni religiose di vari
Stati americani.
Laffermarsi negli anni 70-80 della coesistenza pacifica, basata essenzialmente sullequilibrio delle capacit militari e nucleari tra
URSS e USA, ebbe ripercussioni sullunit e il
prestigio del WPC. In questo periodo, soprattutto in occidente, si sviluppano movimenti
per la pace e contro la corsa al riarmo nucleare
che assumono unequidistanza tra i due blocchi, e nei quali il WPC non svolge pi un ruolo
propulsore. Il crollo dellUrss ne acuisce la
crisi.
Per maggiori informazioni si veda il sito del
WPC, www.wpc-in.org. Sul sito www.forumcontrolaguerra.org si pu consultare il
documento integrale approvato alla riunione
di Atene insieme alla lista completa di tutte le
organizzazioni presenti.
2 Il 27 Marzo 2004, in veste di osservatore,
il Forum contro la guerra ha partecipato a
Lisbona alla riunione del Consiglio Europeo
della Pace, in preparazione del meeting di
Atene.
3 Vedi larticolo di Francesco Maringi La

Iraq/Lotta per la pace

svolta di Mumbai, uscito sul n. 1 de lernesto 2004, nel quale si analizzano pi in dettaglio le novit emerse nella IV edizione del
WSF.
4 Studio condotto dalla IBASE di Rio de
Janeiro. Cfr: La rivista del manifesto, 22
gennaio 2004.
5 Il Partito comunista indiano (CPI) e il Partito comunista indiano-marxista (CPIm).
Contano oltre 1 milione e 500 mila iscritti militanti, dirigono organizzazioni di massa di
contadini, operai, giovani e donne i cui iscritti
superano i 50 milioni. Oltre a governare tre
Stati la cui popolazione si aggira sui 120 milioni di persone, nelle recenti elezioni politiche
hanno aumentato i loro consensi passando da
37 a 54 parlamentari (10% del Parlamento),
indispensabili al Partito del Congresso per la
formazione del nuovo governo, nel quale peraltro i comunisti hanno deciso di non entrare
per incompatibilit programmatiche. il risultato elettorale pi alto ottenuto dai comunisti dallindipendenza dellIndia (1947).
6 Articolo di Danilo Taino, Corriere della
Sera del 15 maggio 2004.
7 In un recente articolo-inchiesta su Cina e
India uscito sul Corriere della Sera del 5
Maggio 2004 a firma di G. Caprara si legge
LIndia dispone di vettori aereospaziali concorrenti di americani, cinesi e russi nel trasporto di satelliti civili. Ma Lindia, culla di
matematici, anche il paese che esprime i migliori softwaristi del mondo, ed in grado di
produrre supercomputer con potenze di elaborazione analoghe a quelle americane. grazie
a questi strumenti che New Dalhi ha potuto
varare le Aree di ricerca ad alta priorit che
riguardano nanotecnologie, neuroscienze, ricerca climatica.
8 Il Sud-Africa il paese pi industrializzato
del continente africano. ricchissimo di minarali come oro, diamanti, platino, ferro e carbone. Ha un industria metalmeccanica, chimica e tessile in continua crescita. Con la fine
dellappartheid e lavvento al potere dellANC,
del quale i comunisti sono una delle componenti maggioritarie, ha lavorato per costruire
progetti di cooperazione con altri paesi dellAfrica australe quali il Monzambico, Zimbabwe
e il Congo Zaire, questultimo ricchissimo di
minerali preziosi. Negli ultimi anni stato protagonista della vittoriosa battaglia per labbassamento del prezzo dei farmaci anti-AIDS,
vincendo le resistenze delle principali multi-

nazionali farmaceutiche occidentali. Nel documento finale approvato ad Atene si denuncia le interferenze straniere negli affari interni dei paesi africani e condanna
limposizione di sanzioni da parte dei governi USA e britannico a carico dello
Zimbabwe. Il Sud Africa rappresenta il volano per una possibile indipendenza economica e geopolitica dellintera Africa australe.
9 La seconda superpotenza mondiale, dopo
le imponenti manifestazioni del 15 febbraio (3
milioni solo a Roma), non era riuscita a produrre ulteriori mobilitazioni per tutto il 2003.
Senza lappello finale di Mumbai difficilmente
vi sarebbe stato il 20 marzo in Italia. Le stesse
mobilitazioni di queste settimane, compre s a
quella del 4 giugno a Roma, hanno ricevuto
un importante impulso dallemergere in Iraq
di una diffusa resistenza popolare alloccupazione. Il testo finale dellappello di Mumbai lo
si pu trovare sul sito www.forumcontrolaguerra.org.
10 Proprio questo era uno dei temi mancanti
nel documento finale di Mumbai. Nella piattaforma costitutiva del Forum contro la guerra
si legge che una nuova corsa agli armamenti non la strada giusta per la prospettiva di un mondo multipolare, non
pi dominato dalla supremazia della superpotenza statunitense. Tale prospettiva va perseguita con una linea di disarmo progressivo e bilanciato, di riequilibrio al ribasso, che tuteli la sicurezza di
ognuno e punti a un Trattato internazionale per la effettiva messa al bando di
tutte le armi di sterminio, a partire da
quelle nucleari. una delle proposte che il
Forum contro la guerra ha portato al WSF.
Sul sito www.forumcontrolaguerra.org potrete
trovare un resoconto dettagliato della nostra
presenza a Mumbai.
11 Una particolare importanza ha avuto il
vertice di Praga della Nato, novembre 2002.
Vedi : La Nato a Praga di Fausto Sorini n. 8 de lernesto 2002, in www.lernesto.it
12 Corriere della Sera, 10 aprile 2004. Va
riconosciuto ai teorici della guerra preventiva
il pregio della schiettezza: lo stesso allargamento a est della Nato, oramai arrivata ai confini della Russia, non sarebbe comprensibile se
non in questottica. Del resto il grande Medio
Oriente americano solo un tassello di un
pi complessivo progetto (la guerra preventiva) che vede nella Russia e nella Cina potenziali concorrenti globali da abbettere. E

Maggio - Giugno 2004

del quale le aggressioni allAfganistan e


allIraq sono state inquietanti dimostrazioni.
13 Una riflessione particolare andrebbe fatta
sullItalia e sul ruolo che il nostro paese svolge
in questa ristrutturazione della Nato. In un
articolo uscito sul Manifesto del 5 giugno
Manlio Dinucci osserva come Nei piani di
Washington ci sia il trasferimento del comando delle forze navali USA in Europa
da Londra a Napoli. Allo stesso tempo la
Sesta Flotta non dovrebbe muoversi dallItalia. Prima delle elezioni in Spagna i
ragionieri del Pentagono sostenevano
che era pi economico spostare tutto
fuori dalle Colonne DErcole. Evidentemente la vittoria di Zapatero stata determinante nel ridisegnare i progetti
americani per limmediato futuro. Il
ruolo dellItalia e la sua collocazione geografica a ridosso del calderone mediorientale semmai motivo per ulteriori investimenti. Limportanza della posta in
gioco autorizza a pensare che nel vertice
di Roma tra Bush e Berlusconi sia stata
messa in agenda la questione del potenziamento della presenza militare a stelle
e striscie in italia. Consiglio anche la lettura dellarticolo del 5 giugno 2004 di Alessandro Marescotti (Presidente di PeaceLink)
La nuova mappa delle basi militari dietro i
colloqui di Roma- www.indymedia.org .
14 quanto si legge nel documento finale dellassemblea di Atene del WPC, consultabile sul
sito www.forumcontrolguerra.org
15 Tutto il materiale inerente il Comitato nazionale per il ritiro delle truppe italiane dallIraq, compresa la petizione popolare, lo si pu
t ro v a re sul sito w w w. f o r u m c o n t r o l a guerra.org . In diverse citt iniziata la campagna di raccolta firme: lobiettivo raccoglierne centinaia di migliaia nei luoghi di lavoro, di studio e nel territorio. Gi a fine giugno si depositeranno le prime 100.000 firme
raccolte in tutta Italia. Per qualsiasi info viadalliraqora@libero.it.
16 Dalla piattaforma costitutiva del Forum
contro la guerra.
17 Una delle novit introdotte alla riunione
di Atene linserimento dei coordinatori regionali nella segreteria esecutiva, per garantire un pi stretto rapporto tra il WPC e i movimenti anti-imperialisti di tutti i continenti
e favorirne la riorganizzazione e il coordinamento.

Maggio - Giugno 2004

Lotta per la pace

La presenza militare in Sardegna,


con il suo 66,7% rispetto all'intero
territorio nazionale, detiene l'inquietante
e non certo invidiabile primato
assoluto in Italia per le installazioni
militari della Nato, degli USA e del
sistema di difesa nazionale ed europeo

Lisola americana

di Gianni Fresu

LA QUESTIONE MILITARE IN SARDEGNA OGGI:


LA CENTRALIT DELL'ISOLA NEI NUOVI SCENARI DELLA COMPETIZIONE
INTERIMPERIALISTICA TRA USA E UE

e escludiamo la parentesi dei


Giudicati medievali tra l'VIII e i X
secolo, la Sardegna - per via della sua
posizione strategica al centro del
mediterraneo - dal I millennio a. C.
fino ai giorni nostri, sempre stata
terra di conquista o pedina di scambio tra le potenze che si sono succedute nel dominarla ed asservirla:
fenici, carteginesi, romani, pisani,
aragonesi, piemontesi, italiani e
americani, tutti hanno sempre occupato e sfruttato la Sardegna anzitutto come avamposto militare.
Persino Horatio Nelson scelse la
Sardegna quale base privilegiata
della sua flotta nel mediterraneo.
Non forse questa la sede per trattare il tema dell'identit culturale,
storica e nazionale da sempre misconosciuta a un popolo come
quello sardo, tuttavia il dato dal
quale necessario partire in queste
considerazioni che la Sardegna
continua ancora oggi ad essere soggetta ad un dominio che ha tutte le
caratteristiche dello sfruttamento
semi-coloniale, in virt del quale
buona parte del suo territorio
stato interdetto a qualsiasi uso civile
e trasformato in servit ad uso e consumo non solo delle forze armate,
ma anche di fabbriche come Alenia,
Thom son, Aerospatiale, Fiat,
Meteor, CSM e tante altre, che in
Sardegna testano le loro produzioni
belliche e allestiscono immensi

Show room dimostrativi all'aperto per


la vendita chiavi in mano dei loro
gioiellini a possibili acquirenti che
vanno dalle stesse potenze occidentali ai "dittatorelli" e "signori della
guerra" del terzo e quarto mondo.
La rivista l'ernesto ha da tempo avviato un interessantissimo dibattito
sul processo di unificazione europea contestualmente al definirsi
sempre pi chiaro di una profonda
divaricazione strategica di interessi
tra l'Unione Europea e gli USA1 .
L'unificazione economica, monetaria, politica e militare dell'Europa,
la sua volont di assumere un ruolo
autonomo e di primo piano sullo
scacchiere mondiale non hanno
alla loro base soltanto scelte di natura politica, ma sono in gran parte
la conseguenza di necessit affermatesi sul piano della produzione
economica e dello sviluppo delle
forze produttive, riguardano cio
un processo scaturito dalla competizione economica internazionale e
dalla volont del capitalismo europeo di garantirsi un suo spazio di penetrazione ed espansione economica non subalterno agli USA.
In tal senso i segnali sono tanti: anzitutto l'integrazione tra i due paesi
che costituiscono la locomotiva europea, che un'integrazione di interessi economici e di scelte strategiche sul piano internazionale, che
trova una proiezione fondamentale

nel rapporto privilegiato con la


Russia e nelle relazioni sempre pi
strette con l'estremo oriente; ma anche le dinamiche del conflitto in
Jugoslavia e la stessa guerra in Iraq:
tanto nelle motivazioni a sostegno
d e l l ' i n t e rvento da parte di USA,
Gran Bretagna, Spagna e Italia;
quanto in quelle contrarie alla
guerra, di Francia e Germania, che
avevano alla loro base non certo un
rifiuto politico e morale della
guerra, o la volont di salvaguardare
il rispetto del diritto internazionale,
ma la necessit di tutelare ben determinati interessi economici.
Tuttavia il segnale pi evidente delle
contraddizioni sempre pi acute tra
il polo imperialistico degli USA e
quello della UE, lo ritroviamo proprio nel fronteggiarsi delle due diverse opzioni sul sistema di difesa:
da un lato abbiamo la proposta della
"Forza europea di reazione rapida"
avanzata dall'asse franco-tedesco un modello militare autonomo
dalla NATO che gi nel nome indica
la volont di creare un sistema di difesa che consenta all'UE di intervenire a livello internazionale per tutelare i propri interessi economici e con esso il proposito di colmare il
deficit qualitativo e quantitativo tra
il potenziale bellico americano e
quello europeo, attraverso l'aumento delle spese militari dei paesi
membri. Un progetto tanto ambi-

Lotta per la pace

zioso da proporsi lo scorporo delle


spese militari dai bilanci statali per
aggirare i rigidi parametri del Patto
di Stabilit. Contrapposta a questa
ipotesi la posizione di Gran
Bretagna e Italia, talmente favorevole a mantenere i progetti di difesa
integrata europea nell'ambito della
NATO, da sostenere apertamente
l'offensiva americana, che risponde
all'estensione ad est dell'UE attraverso l'allargamento dei paesi membri della NATO fino ai confini con
la Russia, e soprattutto con la creazione e l'ampliamento di proprie
basi militari - non soggette al "Patto
Atlantico" - sia nell'est europeo che
nel cuore del Mediterraneo, come
appunto il caso della Sardegna.
In questo contesto va dunque collocata la questione della presenza
militare in Sardegna, che - con il suo
66,7% rispetto all'intero territorio
nazionale - detiene l'inquietante e
non certo invidiabile primato assoluto in Italia per le installazioni militari della Nato, degli USA e del sistema di difesa nazionale ed europeo2 .
L'attuale configurazione delle servit militari in Sardegna trae la sua
origine nel varo della dottrina
Truman nel 1947, e il suo principio
negli accordi bilaterali tra Italia e
USA nella met degli anni cinquanta, gestiti e attuati dai rispettivi
servizi segreti militari del SIFAR e
della CIA; in base a questi accordi
l'isola diviene l'arsenale di retrovia
rispetto alla "cortina di ferro" e un
fondamentale centro del sistema
dell'Alleanza atlantica in Europa
per l'addestramento e le esercitazioni militari, ma anche un potenziale campo di concentramento destinato, in base all'operazione "Staybehind", ad essere il punto di raccolta della deportazione coatta di
politici della sinistra, sindacalisti,
giornalisti, uomini di cultura ed oppositori in genere, nella ipotesi in
cui l'avanzata del PCI si fosse spinta
fino alla vittoria elettorale.
cos che la Sardegna ha assunto
nuovamente il ruolo che per essa
volle Mussolini nella seconda
guerra mondiale, vale a dire una

formidabile portaerei naturale sul


mediterraneo nella quale impiantare basi militari e sofisticati sistemi
di rilevamento e telecomunicazioni. L'imponente processo di ricolonizzazione militare ha potuto
avvalersi, a costo zero, delle terre
che l'Ente di Riforma Agraria della
Sardegna aveva espropriato per favorire un diverso modello di sviluppo nelle campagne, ma ha anche
proceduto ad espropriarne altre
per proprio conto, pagandole con
somme ridicole o non indennizzandole per nulla. La presa di possesso
dell'isola da parte dei militari nel secondo dopoguerra si abbattuta
come una calamit su alcune comunit rurali spazzate via con la
stessa drammatica virulenza che la
"legge delle chiudende" ebbe nella
prima parte dell'ottocento, vale a
dire migliaia di famiglie di pescatori, contadini e pastori, cacciate
dalle loro terre e costrette ad emigrare; in questo caso per, la sopraffazione arrogante dei nuovi padroni stata accuratamente occultata dietro l'opera "umanitaria" del
piano Marshall negli anni della ricostruzione post-bellica. La sottrazione ai sardi di porzioni significative della propria terra, in gran
parte dei casi avvenuta in base ad
accordi segreti di dubbia validit costituzionale mai ratificati dal
Parlamento, e contro essa a nulla
valse la lotta organizzata dal PCI tra
gli anni cinquanta e sessanta e i tentativi di resistenza posti in essere.
Con il crollo del Patto di Varsavia e
la fine della guerra fredda inizi a
diffondersi tra i sardi la speranza di
un possibile ridimensionamento
della presenza militare nell'isola in
ragione del mutato scenario mondiale e della necessit di ridisegnare
le stesse funzioni della NATO, ma
ben presto il rapido processo di integrazione europea, e il formarsi di
un polo imperialistico distinto dagli
USA, ha di colpo reso nuovamente
il mar Mediterraneo assolutamente
centrale, specie in relazione alla
lotta per l'egemonia sul vicino e medio oriente.
Attorno al "sistema dei Tre mari"3 -

Maggio - Giugno 2004

Caspio, Nero e Mediterraneo ruotano le principali risorse di gas e petrolio del pianeta e soprattutto i corridoi energetici4 su cui si basa, ed
destinato a basarsi sempre di pi in
futuro, gran parte del sistema di approvvigionamento mondiale; tutte
le recenti guerre a guida americana
(Jugoslavia, Afghanistan e Iraq) e
molte delle frizioni che contrappongono gli USA da una parte ed
Europa, Russia e Cina dall'altra,
sono proprio riconducibili alla lotta
per controllare questi corridoi energetici, ed fin troppo chiaro come
il dominio sul "sistema dei Tre mari"
passi anzitutto attraverso il controllo del mar Mediterraneo. Non
sono necessari troppi giri di parole
per spiegare per quale ragione le
postazioni militari della Sardegna
siano tornate ad essere centrali e
perch il Governo Berlusconi e il
Ministro Martino abbiano dato via
libera al raddoppio della base americana per sommergibili nucleari di
La Maddalena, vale a dire alla costruzione di 52.000 metri cubi di cemento armato in una base sulla
quale vige una extraterritorialit totale, che vanno ad aggiungersi alle
precedenti installazioni militari; il
tutto in un parco naturale con vincolo di inedificabilit assoluta, e con
il parere contrario espresso da un
Consiglio Regionale messo alle
strette dall'indignazione dell'opinione pubblica e dalle lotte popolari.
Lo stesso discorso vale poi per il
Poligono Permanente per le esercitazioni terra aria di Capo Teulada,
settemila ettari sul mare e venti chilometri di costa nel sud ovest della
Sardegna gestiti dall'Esercito e
messi a disposizione della NATO,
sui quali per dieci mesi all'anno si
svolgono imponenti esercitazioni
militari. Tutto questo si traduce nell'interdizione verso qualsiasi uso civile che abbia una minima ricaduta
economica sul territorio: non possibile l'agricoltura, il turismo, la pesca. La lotta che contrappone la popolazione locale alla presenza della
base arrivata fino al punto che il 3
giugno un corteo di pescherecci

Maggio - Giugno 2004

Lotta per la pace

Maggio - Giugno 2004

Lotta per la pace

che protestava per il mancato pagamento degli indennizzi per il fermo


della pesca, stato bersaglio di undici cannonate provenienti dal poligono militare, ed appena una settimana prima, nel corso delle esercitazioni, un missile giunto in
piena mattina nel bagnasciuga di
una spiaggia pubblica fortunatamente deserta in quel momento.
Anche in questo caso alle proteste
della popolazione e delle due amministrazioni locali sul cui territorio
ricade il poligono militare, fa da
contraltare l'intenzione raddoppiare la base da parte delle autorit
militari e del Governo Nazionale.
E che dire del Poligono di addestramento e sperimentale di Quirra
Capo S.Lorenzo. Qui l'Aeronautica
gestisce per conto del Ministero
della difesa una zona con un poligono a terra, uno spazio aereo ad
interdizione assoluta e un poligono a mare che si estende dalle
vallate interne sino alle acque internazionali per un area sconfinata.
Si tratta di un'immensa area messa
a disposizione della NATO, di paesi
stranieri e delle fabbriche di armi
per l'addestramento, ma anche per
la sperimentazione e il collaudo di
missili, esplosivi e materiali bellici di
ogni genere, tra le quali verrebbero
sperimentate anche le famigerate
armi all'uranio impoverito.
Le conseguenze di un tale uso del
territorio sono ben visibili nel fatto
che in esso si registra un'insorgenza
altissima di leucemie, tumori al sistema emolinfatico e nascita di bambini con malformazioni talmente
gravi da non consentirne la sopravvivenza, il tutto su una popolazione
che nei due centri di Escalaplano e
Quirra non supera i 2800 abitanti, e
tra militari e civili che hanno prestato servizio i questa base. Anche in
questo caso tutte le lotte per recuperare la piena sovranit su un'area
naturale di rara bellezza quotidianamente violentata da un uso criminale che la sta avvelenando irrimediabilmente, si scontrano con il
muro di gomma eretto dai vertici
militari e dal Governo che, per "segreto militare" e "ragion di Stato",

nascondono o manipolano i dati rilevati all'interno del Poligono militare e non lasciano trapelare alcuna
informazione sul tipo di armi sperimentate.
Ma al di l di questi singoli esempi
- ai quali andrebbero aggiunti anche
i casi di altre basi come quella aerea
di Decimomannu, la fabbrica di
armi di Domusnovas, e la stessa citt
di Cagliari - il dato significativo che
emerge dall'intera vicenda uno
solo: nonostante in Sardegna insista
una percentuale di territorio occupata da basi militari di gran lunga
superiore alla stessa regolamentazione legislativa nazionale, e senza
alcun altro esempio in Italia, la prospettiva di riqualificazione del sistema di difesa italiano e americano
orientata verso l'ulteriore espansione (si parla in molti casi di raddoppio) delle basi.
In termini politici tutto ci significa
che la Sardegna e il suo popolo,
dopo aver subito gi nel corso di
tutta la guerra fredda una sopraffazione rispetto alla quale lo Statuto
Autonomistico di Regione Speciale
ha avuto - per Governi Nazionali,
classe politica locale e autorit militari - la stessa capacit vincolante
della carta igienica, si trovano oggi
a dover pagare in misura ancora
maggiore le conseguenze nefaste di
una nuova fase di acute contraddizioni interimperialistiche tra USA e
UE.
Di fronte ad un quadro tanto drammatico va per registrato un risveglio sempre pi consapevole dell'opinione pubblica in Sardegna, un risveglio che rafforzato dal recupero orgoglioso della propria identit culturale e che si sta traducendo
in lotte sempre pi significative. Su
tutto questo bisogna segnalare il
merito indiscusso del Comitato Sardo
Gettiamo le Basi che dal 1996 ad oggi
(spesso anche in assoluta solitudine), ha avuto la forza di sviluppare
con forza, coerenza e continuit le
lotte contro la presenza militare nell'isola, tra le quali spicca senz'altro
quella che ha fatto scoppiare lo
scandalo dell'uranio impoverito
che proprio questo comitato per

primo a condotto quando ancora


nessuno in Italia ne parlava. Ma oltre alle lotte, il Comitato ha avuto
l'intelligenza di indagare e scavare
negli archivi militari, raccogliere
dati ed elaborare dossier, fino a realizzare un lavoro d'inchiesta e documentazione che costituisce oramai un patrimonio enorme per
tutte le lotte antimperialiste del popolo sardo. Ci parso quindi logico
articolare questo approfondimento
chiedendo al Comitato Sard o
Gettiamo le Basi un contributo importante in termini di documentazione tecnica, storica e politica della
questione militare in Sardegna,
come quello che potete leggere qui
di seguito.

Note
1 In part i c o l a re mi riferisco ai saggi Per

un'Europa neutrale, scritto da Andre a


Catone nel numero 5 del 2003, e Tra Impero
e Re di Prussia, scritto da Sergio Cararo nel
numeo 6 del 2003.
2 "Il demanio militare, permanentemente impegnato, ammonta a 24.000 ettari a fronte
dei 16.000 ettari di tutto il restante territorio
della penisola italiana. A questa cifra si sommano i 12.000 ettari di terra gravati da servit militare. In mare le Zone Interdette o
Dichiarate Pericolose per la Navigazione

superano in estensione la superficie dellintera isola, kmq 23.812. Solo una delle
zone di mare annesse al Poligono Interforze
Salto di Quirra si estende per kmq 28.400.
Il volume degli spazi aerei sottoposti a interdizione o restrizione incommensurabile.
(Vedi schede e mappe sui poligoni e sulle zone
interdette o pericolose per la navigazione AEREA e MARITTIMA)". Comitato Sardo
Gettiamo le Basi
3 Il quarto mare, Margherita Paolini

Limes, n. 4 / 2002, ed anche La Serbia


serbata, Limes n.5/2000.
4 in questa scheda non possibile trattare in
dettaglio l'argomento, per un appro f o n d imento si rimanda saggio, molto ben documentato, di Raffaella Coletti L'ottavo corridoio energetico e la scacchiera eurasiatica, in Il mondo dopo Manhattan, La
citt del Sole, Napoli 2002.

Maggio - Giugno 2004

Lotta per la pace

Se si vuole la pace, se si vuole


disarmare il neoliberismo,
conseguente porsi come
obiettivo prioritario la lotta
per espellere le basi militari,
basi in cui si testano sistemi di morte
e si affinano le tecniche di sterminio

Guerra e basi
della guerra:
unisola contro

di Mariella Cao
Comitato sardo Gettiamo le basi

NELLATTUALE SCENARIO STRATEGICO-MILITARE LA SARDEGNA

venti di guerre infinite e preventive


che soffiano impetuosi rendono indilazionabile l'impegno per sottrarre alle politiche di guerra le sue
fabbriche, i suoi poligoni, le sue
basi, imprescindibili strumenti di
qualsiasi attivit bellica e di esercizio della deterrenza convenzionale
e nucleare per tenere sottomessi i
Sud del pianeta. Se si vuole la pace,
se si vuole disarmare il neoliberismo, conseguente porsi come
obiettivo prioritario la lotta per
espellere le basi militari, basi in cui
si testano sistemi di morte e si affinano le tecniche di sterminio, basi
da cui partono le aggressioni "umanitarie" contro altri popoli perpetrate per garantire la rapina delle risorse, il controllo dell'area e delle
rotte del petrolio.
Costruire la pace significa anche garantire la pace per i popoli condannati a vivere sotto l'impatto della
presenza militare che sottrarre alla
collettivit l'uso sostenibile delle risorse naturali, nega il diritto al controllo democratico del territorio e,
sopratutto, il diritto fondamentale
alla sicurezza, alla salute e alla vita.
L'oppressione militare che penalizza la Sardegna in misura abnorme
e iniqua ha trasformato la felice posizione di centralit mediterranea
in una maledizione per il popolo
sardo e i popoli dell'altra riva. Dagli

ACQUISISCE NUOVI COMPITI CHE LA INCHIODANO ANCORA PI


SALDAMENTE AL RUOLO DI CASERMA E SCUOLA DI GUERRA

anni '50, nel quadro della strategia


militare Nato-Usa, usata come immensa base di addestramenti e sperimentazioni, deposito di armi, munizioni e carburanti, sede di potenti
impianti radar di spionaggio, teatro
di guerre simulate condotte con
munizionamento vivo, "life fire",
esplosivi da guerra.
Nell'isola il demanio militare permanentemente impegnato ammonta a
24.000 ettari; in tutta la penisola italiana raggiunge i 16.000 ettari. A questa cifra vanno sommati i 12.000 ettari
gravati da servit militare. Gli spazi aerei e marittimi sottoposti a schiavit mil i t a re sono di fatto incommensurabili,
solo uno degli immensi tratti di mare annessi al poligono Salto di Quirra con i
suoi 2.840.000 ettari supera la superficie dell'intera isola (kmq 23.821).
Nellattuale scenario strategico-militare la Sardegna acquisisce nuovi
compiti che la inchiodano ancora
pi saldamente al ruolo, stabilito al
tempo della guerra fredda dalle potenze egemoni, di caserma e scuola
di guerra, sempre pi isolata dal resto del mondo dalle sterminate interdizioni militari del suo cielo e del
suo mare. Oggi l'isola la chiave per
il controllo dell'intero bacino del
Mediterraneo allargato che passando per il Mar Rosso arriva al
Golfo Persico. E il perno del sistema politico militare di Nato/Usa

per affrontare i "nuovi nemici" dell'altra sponda, del vicino e medio


Oriente.
A partire dagli anni novanta i vertici
militari annunciano, ripetutamente
e con estrema chiarezza, che limportanza strategica dellisola potenziata e destinata a crescere.
Alle parole si accompagnano i fatti,
tutti i poligoni sono interessati da
opere sempre pi imponenti di ammodernamento e riqualificazione. I
segni forti e palesi del rafforzarsi
della schiavit militare non sono
colti n dalle istituzioni, n dalla
classe dirigente arroccate nella tradizionale politica del non vedo,
non sento, non parlo e distratte
dalla contestuale massiccia campagna pubblicitaria che batte su un
ampio processo di dismissioni e favoleggia su esigenze militari asservite alle esigenze civili e poligoni
verdi, oasi di tutela ambientale.
Sono colti, invece, dalle popolazioni costrette, loro malgrado, a
convivere con le devastanti attivit
militari.
Il progetto eterodiretto imposto alla
Sardegna, lentamente, produce nel
popolo sardo gli anticorpi. L i nsofferenza popolare, fortemente radicata nonostante da mezzo secolo
si tenti di soffocarla e di anestetizzarla, sembra scuotersi dallatavica
rassegnazione. Il giro rapido di vite
costringe anche chi opta per lat-

Lotta per la pace

tuale Modello di sicurezza e per il


futuro assegnato alla Sardegna
nelle alte sfere internazionali ad affrontare il problema, sempre eluso,
delliniquit degli esorbitanti gravami che penalizzano lisola e la
condannano alla monocoltura militare incrementando i meccanismi
di sviluppo distorto.
Lotte frammentate e isolate vanno
man mano aggregandosi e coordinandosi. Acquistano forza la protesta e le iniziative delle associazioni
di base, non solamente comitati che
esprimono la loro opposizione alle
politiche di guerra e alle basi della
guerra, ma soprattutto aggregazioni dal basso di lavoratrici/lavoratori, cittadine/i preoccupate/i
del pericolo che le attivit militari
rappresentano per il loro lavoro, la
loro incolumit e la loro salute

U N I S O L A I N L O T TA C O N T R O
L'URANIO IMPOVERITO
Nel settembre 1999, la leucemia che
ha ucciso Salvatore Vacca, in servizio in Bosnia, e Giuseppe Pintus, in
s e rvizio nel poligono di Capo
Teulada, spinge la Sardegna a interrogarsi e a chiedere chiarezza sull'utilizzo di uranio impoverito, sia
nelle zone teatro di massacri "umanitari", sia negli immensi poligoni
che l'isola costretta a mettere a disposizione di Usa, Nato e Italia.
Il comitato sardo Gettiamo le Basi
ostacola la rimozione della strana
morte dei due militari sardi denunciando ripetutamente che l' uranio,
non solo uccide indiscriminatamente irakeni, somali, bosniaci,
serbi, kosovari, afgani e militari italiani, ma espone ad alto rischio anche le popolazioni residenti nei
pressi degli sterminati poligoni terrestri, aerei e navali che mortificano
la Sardegna. Con lavoro da formica
raccoglie indizi e prove, promuove
convegni e petizioni popolari, organizza manifestazioni di piazza e
volantinaggi davanti alle caserme,
incalza la stampa e la classe politica.
L'attenzione si mantiene alta.
Te u l a d a, impegnata da tempo im-

memorabile in una dura vertenza


per ottenere un monitoraggio sanitario e ambientale acuisce la conflittualit permanente contro le
FFAA accusate dalla popolazione,
ormai apertamente, di contaminazione radioattiva. Nel settembre
2000, quando in Italia quasi nessuno parlava di uranio, interroga
formalmente i vertici delle FF.AA.
sull'uso dell'uranio impoverito nei
7.200 ettari del suo territorio espropriato e nel suo mare off limits.
Lesigenza dinformazione e di controlli ambientali trasparenti si lega
strettamente alla denuncia della sottrazione del lavoro e dei danni pesanti alla pastorizia, alla pesca e al
turismo causati dalle attivit del poligono. Le paradossali, confuse e
contraddittorie "rassicurazioni" di
generali, ministri e sottosegretari
producono un effetto boomerang:
l'allarme si generalizza e si acuisce
l'attenzione di tutte le popolazioni
residenti in prossimit delle zone
militarizzate dell'isola.
Nel dicembre 2000, nonostante la
cronica latitanza della sua classe politica, la Sardegna infrange definitivamente la coltre di silenzio sul "metallo del disonore" e impone la discussione a livello nazionale e internazionale. La stampa locale trascina
tutti i media nazionali nella ricerca
di chiarezza sulla sindrome dei
Balcani.
La sindrome Quirra si delinea
contemporaneamente all'emergere della "sindrome dei Balcani" e
alle ammissioni sul criminale uso di
DU da parte Nato-Usa, sia nelle zone teatro di guerra, sia nei normali addestramenti nei poligoni di
Francia, Gran Bretagna, Germania,
Grecia, Spagna.
Nel gennaio 2001 la coraggiosa denuncia di un medico di base e del
sindaco- medico di Villaputzu, dr
Antonio Pili, fa emergere i dati da
brivido sullincidenza di tumori al
sistema emolinfatico (leucemia, linfoma Hodgkin, mieloma) che devasta la piccola frazione di Quirra situata tra la zona a mare e la zona interna del Poligono Interforze Salto

Maggio - Giugno 2004

di Quirra (PISQ).
Nellisola non riesce n a distrarre
n tantomeno a convincere il bizzarro verdetto dinnocenza delluranio impoverito emesso dalla commissione Mandelli nominata dal ministero della Difesa nel doppio
ruolo di indagato e indagatore, giudice e parte in causa allo stesso
tempo. Un meticoloso lavoro dindagine dal basso porta alla luce anche la drammatica situazione di
Escalaplano, paese confinante con
il lato sud ovest del poligono. Le
cupe dicerie che hanno sempre
aleggiato intorno al poligono protetto dal segreto militare e dal segreto industriale sono superate in
orrore dalla realt. Ad oggi i dati accertati sono i seguenti: sei militari uccisi dalla leucemia, cinque in lotta contro il male; Quirra, 150 abitanti, 20 persone divorate da tumori al sistema emolinfatico; Escalaplano, 2.600 abitanti,
14 bambini nati con gravi malformazioni genetiche
Questi sono solo i casi documentati,
sappiamo di famiglie che non intendono rendere pubblici i loro
drammi, sappiamo di casi di aborti
e deformit genetiche tra gli animali, sappiamo di altri paesi coinvolti dalla contaminazione prodotta
dal poligono.
La stampa sarda, per anni, grida in
prima pagina lagghiacciante realt
di morte e sofferenza. I media a diffusione nazionale rispondono con
un tombale silenzio (poche le eccezioni: Liberazione, Metro, Enzo
Biagi, Sigfrido Ranucci). Lo scandalo tragico della contaminazione
prodotta dai giochi di guerra rimane a lungo relegato nellisola. Le
istituzioni e i parlamentari sardi, stanati dalla pressione popolare, si rifugiano in generiche dichiarazioni
di principio e preannunci di lotte
future. Strati crescenti di popolazione rivendicano con sempre maggiore determinazione il diritto di sapere quale uso hanno fatto della
terra e del mare della Sardegna le
Forze Armate e le multinazionali
produttrici/trafficanti di armi.
Naufragano uno per uno i depi

Maggio - Giugno 2004

staggi e i tentativi delle varie Autorit politiche, militari e sanitarie, di


assolvere le devastanti attivit del poligono della morte propinando tranquillizzanti e strampalate verit
scientifiche di Stato. Si radica nella
comune percezione la certezza
della contaminazione prodotta dai
giochi di guerra. Persino lArma
dei carabinieri, con discrezione e
senza clamori, si attiva per stare alla
larga dai poligoni e individua strutture pi sicure, anche se meno idonee, per svolgere le sue esercitazioni. Alcuni sindacati della Polizia
portano avanti pubblicamente la
vertenza per porre fine alle loro
esercitazioni nei poligoni alluranio. I sospetti si allargano, si focalizza lattenzione anche sullinquinamento prodotto dalle normali
attivit militari, i sistemi radar, i sistemi missile-anti-missile, i giochi di
guerra elettronica, lo smaltimento/stoccaggio dei rifiuti nocivi e pericolosi, lo smaltimento, se smaltimento c stato, delle armi chimico
batteriologice messe al bando con i
trattati internazionali del 1972.

Lotta per la pace

La richiesta iniziale - informazione


e verit sulle cause delle alterazioni
genetiche e dei tumori al sistema
emolinfatico che imperversano tra
militari e civili si trasforma in lotta
per la sospensione di tutte le attivit
del poligono della morte.
Acquista forza e spessore la rivendicazione dei diritti umani violati: il
diritto al controllo democratico del
territorio, il diritto alla salute, allincolumit, alla vita.
Considerata la portata degli interessi economici e militari in gioco,
non stupisce che rimanga confinata
nellisola la lotta contro luranio impoverito e contro la contaminazione prodotta dalle Forze Armate
Nato-Usa e dalle multinazionali
delle armi che usano abitualmente
i poligoni sardi per sperimentare
nuovi e sconosciuti sistemi darma.
Nonostante la lotta della Sardegna
stenti a superare il mare che la isola,
sappiamo bene di non essere soli, i
crimini Nato-Usa non conoscono
confini. I forti sospetti di contaminazione gravano, non solo nei poligoni sardi di Capo Teulada, Salto di

Quirra, Capo Frasca, La Maddalena, ma anche nelle basi del Tr iveneneto, Puglia, Nettuno, Cecina.
E una certezza nei poligoni di
Semipalatinks, Moronvillers,
Halifax, Vieques e molti altri.

P E S C AT O R I D I

TEULADA

Lesproprio delle risorse naturali e


il conseguente strangolamento
della fragile economia provocato
dallingombrante e minacciosa presenza militare suscita ondate ricorrenti di opposizione popolare.
Pastori e pescatori di volta in volta
si mobilitano in ostinata difesa del
poco lavoro che stato loro concesso di svolgere, dei pochi pascoli
devastati dai giochi di guerra, delle
ristrette zone di un mare saturo di
ordigni bellici.
Nella seconda met degli anni novanta la lunga e vincente lotta dei
pescatori del Sulcis costringe la
Sardegna a vedere il mare proibito e i danni subiti dalla collettivit
a causa della sottrazione delle ri-

Lotta per la pace

sorse naturali. Con determinazione


impongono il riconoscimento del
diritto al risarcimento danni per le
giornate lavorative perdute a causa
del fermo di guerra, diritto che si
fonda nei principi codificati nel lontano '76 dalla l.898 e ribaditi dalla
l.104/90.
Oggi, nel 2004, la lotta prosegue, ha
compiuto un salto di qualit, va oltre la richiesta del risarcimento economico e pone con determinazione
il diritto al lavoro in sicurezza.
La voce decisa Rivogliamo il mare
dei nostri padri rimette in discussione lusurpazione della terra e denuncia la sistematica distruzione
delle risorse naturali, della fauna e
dellhabitat marino.
La decennale battaglia per il monitoraggio del territorio si rafforza,
esige la bonifica immediata del
mare usato da mezzo secolo come
discarica incontrollata di ordigni
bellici esplosi e inesplosi. Dal novembre scorso la lotta non conosce
tregua: assemblee permanenti, presidi del porto, occupazione delle
aree militari interdette e blocco
delle esercitazioni militari. La richiesta profondamente materiale:
il diritto al lavoro e la bonifica del
mare che costituisce appunto la loro
fonte di vita
Permane la resistenza di vasti settori
a prendere atto dei danni arrecati,
non solo ai pescatori ma anche a
tutta la popolazione, dagli enormi
tratti di mare e cielo off limits. Si
cerca di rimuovere il pesante danno
subito dalla collettivit in termini di
restrizioni e divieti alla navigazione
da diporto, mancato sviluppo dei
trasporti, voli radenti, inquinamento acustico, frequenti incendi
con le stellette, rischi sempre pi
frequenti di esplosioni di ordigni
bellici fuori dalle aeree del poligono (a Teulada lultimo episodio
risale al primo giugno, lo scorso
anno il poligono Salto di Quirra nellarco di tre mesi ha perso un radiobersaglio e cinque missili, uno
esploso in un vigneto, uno sulla
spiaggia, un altro stato ritrovato
nei pressi di un ovile, altri sulla battigia di spiagge pubbliche).

LA SARDEGNA
US N AV Y

CONTRO LA

Agli inizi del 2001 la decisione unilaterale degli Stati Uniti di costruire
una NUOVA imponente base a terra
a Santo Stefano e a La Maddalena,
truffaldinamente mascherata da
Progetto Migliorie, incontra lostacolo istituzionale della Regione
(maggioranza centrodestra) che
formalmente respinge il progetto. Il
Parlamento, scippato ancora una
volta delle sue prerogative, appare
ben felice di non vedersi appioppare la patata bollente del mettere
in discussione i diktat del potente
Alleato-Padrone. Rimane a lungo
isolata la voce di Elettra Deiana che
puntuale si ostina ad interrogare i
ministri sul rafforzamento della
schiavit militare che opprime lisola e sui danni inferti al popolo
sardo. Lentamente lopposizione
popolare incomincia ad esplicitarsi
e organizzarsi. Passo dopo passo si
sventa il gioco di relegare la costruzione della NUOVA base, definita raddoppio dai critici pi timidi o meno informati, nellambito
delle problematiche locali che non
oltrepassano i confini comunali, si
sventano i tentativi di ridurla e appiattirla ad un mero calcolo di volumetrie e metri cubi di cemento.
Si apre un dibattito sempre pi serrato e allargato sulla pesante subordinazione delle esigenze civili agli
interessi militari di una potenza
straniera. Si rimettono discussione
gli esorbitanti gravami militari che
mortificano la Maddalena e lintera
Sardegna, lattenzione si focalizza
sul costo pagato dalla collettivit,
non solo in termini economici, ma
anche e soprattutto in termini di rischio e di salute. Si rompe il potente
muro di silenzio omertoso sulla mostruosit di un Parco Naturale istituito dal governo ulivista - che ha
come fulcro una base atomica di
una potenza straniera, un Parco
dove si impongono drastiche restrizioni al traffico di gitanti e al numero di bagni di turisti e residenti
mentre si consente e si potenzia lincontrollato andirivieni di sommer-

Maggio - Giugno 2004

gibili nucleari saturi di armi atomiche, un Parco dove gli Usa si arrogano il diritto di sommergere le coste con devastanti colate di cemento. Frange crescenti del mondo
ambientalista riacquistano la voce.
Riemerge il groviglio di misteri, bugie, abusi e illegalit che circonda la
base nucleare degli Stati Uniti.
Lincidente del sommergibile nucleare Hardford dello scorso ottobre tenuto segreto per oltre un
mese dai vertici militari e politici
mette brutalmente a nudo il rischio
dellolocausto nucleare che incombe sulla Sardegna e rende palese linadeguatezza e la noncuranza delle varie Autorit competenti a garantire la sicurezza del territorio e i basilari diritti umani allincolumit, alla salute, alla vita.
Asl, sindaco, prefetto, sottosegretari
e ministri tentano invano di minimizzare e tranquillizzare unopinione pubblica sempre pi allergica
alle vecchie favole e allanestetico
delle verit ufficiali. Si ricorre al
nuovo narcotico: la scienza di Stato
e le verit scientifiche di Stato. Il
narcotico, gi dimostratosi del tutto
inefficace nelladdormentare lopinione pubblica e far dimenticare la
sindrome di Quirra-Escalaplano,
neanche questa volta produce leffetto sperato. La credibilit delle
autorit sanitarie e del ministero
della Difesa, gi pesantemente compromessa dalla gestione del caso
Quirra, tocca lo zero assoluto.
Anche la vicina Corsica si mobilita
e si unisce a lla Sardegna .
Organizzazioni ecologiste sardocorse affidano unindagine ambientale al laboratorio indipendente francese CRIIRAD. I risultati
sono sconcertanti nella loro prevedibilit: documentano nelle acque
dellarcipelago maddalenino una
strabiliante concentrazione, 400
volte superiore alla norma, di torio
radioattivo 234, un componente
della miscela del combustibile che
alimenta il reattore nucleare dei
sommergibili Usa.
La lotta per bloccare la costruzione
della nuova base dellUS Navy si radicalizza diventando lotta per le-

Maggio - Giugno 2004

spulsione della base esistente.


Anche le istituzioni sono costrette a
prendere atto di una realt ormai
intollerabile. Il 28 gennaio 2004 il
Consiglio regionale incalzato dalla
pressione popolare, dopo due
giorni di dibattito serrato, boccia
clamorosamente la linea filogovernativa della Giunta e delibera formalmente che la base statunitense
deve essere smantellata in tempi ragionevoli e prestabiliti.
Il comitato "Firma po Firmai sa
bomba nato nel novembre 2003,
formato dai vari comitati locali "No
Scorie" (comitati spontanei sorti nel
maggio dello stesso anno nella lotta
preventiva contro il famigerato progetto del generale Jean e del governo Berlusconi di stoccare in
Sardegna le scorie nucleari), Rete
Lilliput, Gettiamo le Basi, Sardigna Natzione e molte persone
non direttamente legate ad alcuna
appartenenza organizzata porta
avanti il referendum consultivo regionale che pone il quesito: "Siete
contrari alla presenza in Sardegna
di basi militari straniere, comunque
istituite, atte ad offrire punti di approdo e di rifornimento anche a
navi e sommergibili a propulsione
nucleare o con armamento nucleare?". Nonostante il silenzio
stampa e lassenza delle grandi
forze politiche e sindacali, le 10.000
firme necessarie sono raggiunte e
ampiamente superate.
La lotta continua, adesso aspettiamo di verificare le iniziative del

Lotta per la pace

Governatore recentemente eletto e


dei neoconsiglieri regionali che nel
corso della campagna elettorale
hanno aderito alla campagna Tre
Firme per la Verit sottoscrivendo
limpegno di: battersi con ogni
mezzo nonviolento, giuridico, politico, legislativo amministrativo per il
ritiro di tutte le truppe e i mezzi militari
di Paesi stranieri presenti in Sardegna,
per la messa al bando dell'uranio impoverito e per la sospensione di ogni tipo di
esercitazione nei poligoni militari della
Sardegna fino a quando non sar chiarita la causa dei tumori e delle malformazioni che colpiscono civili e militari

L I S O L A

DI

PA C E

Strati crescenti di popolazione


vanno acquisendo una sempre maggiore consapevolezza del ruolo che
le basi militari giocano nelle politiche militari interventiste portate
avanti dallItalia.
La lotta contro loccupazione militare della Sardegna per i diritti
umani negati, il diritto alluso sostenibile delle risorse, il diritto al
controllo democratico del territorio, il diritto a vivere senza lincubo
dellolocausto nucleare, delluranio impoverito, della morte lenta
per leucemia e la lotta contro la
guerra di aggressione in Irak si
vanno lentamente intrecciando e
rafforzando a vicenda dando spessore alla consapevolezza che ripudiare la guerra comporta il ripu-

diare le basi e i poligoni della


guerra.
Diventa sempre pi profondo e visibile labisso che separa il ruolo di
lugubre scuola di guerra, aggressivo
bastione armato del Mediterraneo
imposto alla Sardegna nelle alte
sfere internazionali- e il progetto di
futuro deciso dalla Sardegna, dal
suo popolo e dalle sue istituzioni
di ospitale crocevia di popoli e culture delle due rive del Mediterraneo. La Sardegna nel corso della
sua storia millenaria non ha mai
mosso guerre di aggressione ad altri popoli.
sempre stata Isola di Pace e intende essere Isola di Pace. La lotta
vincente di Vieques conferma che
non c' Stato n Forza Armata che
non possano essere sconfitti da un
popolo quando il popolo ha la ragione e la volont di lottare per far
prevalere i suoi diritti e le sue esigenze.
In Gettiamo le Basi lavoriamo per liberare la Sardegna dalla presenza
militare con l'obiettivo che tutto
l'apparato che sostiene e fomenta la
guerra, cos come schiavit, razzismo, ingiustizia sociale, finisca al
pi presto nell'archeologia della
storia. Crediamo che la Sardegna
possa dare un enorme contributo
perch enorme il peso dell'oppressione militare che la mortifica.
Liberandosi del ruolo di vittima si libera del ruolo di complice e concorre a liberare l'umanit dallincubo della guerra.

Lavoro

Maggio - Giugno 2004

Melfi innanzitutto la lotta di classe


di una nuova generazione
di lavoratori che rifiuta la ghettizzazione
sociale e geografica in cui essa
relegata; la lotta di una nuova
generazione di lavoratori che chiede
diritti e tutele al pari dei loro padri

I giorni
di Melfi

a cura di Francesco Cirigliano


segretario Circolo Prc Valle del Noce (Potenza)

LA VERTENZA, LE CARICHE DELLA POLIZIA, IL PUNTO DI VISTA OPERAIO


SULLE ORGANIZZAZIONI SINDACALI E SULLA GUERRA: I TEMI DI UNA
TAVOLA ROTONDA CON ALCUNI DEGLI OPERAI DELLA FIAT CHE SONO
STATI ALLA TESTA DELLE LOTTE

l dibattito apertosi in Italia a partire


dal referendum dello scorso anno
sullarticolo 18 dello Statuto dei lavoratori, sino ad arrivare allaccordo raggiunto con la Fiat dagli
operai di Melfi dopo 21 giorni di
picchetti, ha rivelato la centralit
che oggi continua a conservare la
contraddizione capitale/lavoro.
Una centralit che si configura
come questione salariale, come
questione dei diritti e delle tutele
del lavoro, come questione della
rappresentanza sociale e politica
del lavoro.
Riemerge in sintesi una centralit
operaia che non solo ha posto fine
a quella lunga fase di silenzio cui
sembravano essere caduti i metalmeccanici dopo la sconfitta del
1980, ma che ribalta anche le tesi di
chi, in questi anni a destra come a
sinistra ha ritenuto di dover mandare in paradiso tanto la classe operaia quanto lo stesso lavoro inteso
come valore universale e come garante
del modello democratico.
Ma accanto alla centralit della questione operaia, Melfi la fabbrica integrata fiore allocchiello dellindustria automobilistica italiana, il
giardino verde della Famiglia dove nata la nuova figura antropologica del metalmezzadro ha messo in
risalto la centralit di unaltra questione da troppi anni abbandonata
negli scantinati della modernit:

la questione meridionale.
I 21 giorni di lotta, affrontati con
grande determinazione da parte
delle operaie e degli operai della
Piana di San Nicola, hanno dimostrato che in quel Mezzogiorno da
sempre culla dei soprusi dei potenti,
ed in cui la Fiat arrivata (sotto le
vesti della Sata) a riscuotere
quelle gabbie salariali e quelle politiche di precarizzazione regalategli
dai governi succedutisi negli ultimi
quindici anni, qualcosa sta cambiando. Quei 21 giorni hanno dimostrato che i figli, i nipoti di coloro che negli anni 50 e 60 avevano
dovuto lasciare le terre dei padri per
andare a lavorare nelle fabbriche
del nord, dopo aver accettato per
dieci anni turni di lavoro massacranti, angherie di ogni genere
(duemilacinquecento i provvedimenti disciplinari dellultimo anno) e salari ridotti, non accettano
pi di essere lavoratori di seconda
categoria.
Nei giorni di Melfi si parlato
spesso anche della vicenda Scanzano e di come questa sia stato il vero
motore della conflittualit operaia
della Fiat-Sata. Certo, Scanzano ha
rappresentato un momento importante per la ripresa della conflittualit nel Mezzogiorno, cos come da
Seattle in poi la nascita del cosiddetto movimento dei movimenti ha
rappresentato un elemento fonda-

mentale per la ripresa della conflittualit e dellopposizione mondiale


al neoliberismo. In questa direzione
Scanzano ha rappresentato una novit sul piano della riacquistata capacit di mobilitazione di una intera
popolazione, ma rimane una battaglia trasversale, lontana dal carattere classista proprio della vertenza
operaia apertasi a Melfi. Come dicevamo Melfi innanzitutto la lotta
di classe di una nuova generazione
di lavoratori che rifiuta la ghettizzazione sociale e geografica in cui essa
relegata; la lotta di una nuova generazione di lavoratori che chiede
diritti e tutele al pari dei loro padri
e della loro stessa generazione che
risiede nel Nord del paese. Se un
parallelo della stessa portata si vuole
trovare, bisogna ritornare a quellondata di mobilitazione straordinaria rappresentata dalla occupazione delle terre, e che ebbe vita
proprio nel Mezzogiorno e nella
Basilicata allindomani della seconda guerra mondiale. Allora
come oggi una generazione di lavoratori cerc di creare un blocco democratico che si contrapponesse al
quadro dominante, ieri rappresentato dai latifondisti della terra, oggi
dallimpero Fiat.
Ed con questo impero che dobbiamo fare i conti: con la sua arroganza e con laggressivit di un
blocco sociale economico e poli-

Maggio - Giugno 2004

tico, garantito oggi dalle destre al


governo. Ma Melfi ha dimostrato
che contro di esso si pu e si deve
resistere; contro di esso si possono
conquistare vittorie importanti. Da
qui la necessit, per la sinistra e per
i comunisti, di analizzare, conoscere e, conseguentemente agire.
Da qui la necessit di questo dialogo
con tre operai di Melfi, tutti e tre
protagonisti delle giornate di mobilitazione e della vertenza, in
quanto tutti e tre delegati Fiom che
per anni si sono imbattuti nella difesa delle istanze dei loro compagni
e che per anni hanno subito le discriminazioni e le ripercussioni
messe in campo dallazienda. A
Dino MINISCALCHI, a Pietro ORLANDI e ad Angelo COVELLA rivolgiamo le seguenti domande.

Diciannove giorni di picchettaggio,


unadesione alla lotta con punte del
98%, quattro cariche della polizia il
cui coordinamento stato assunto direttamente da un commissario straordinario inviato da ministro degli interni e larrivo di molti leader politici del centro sinistra. Sul piatto della
bilancia una vertenza sindacale che
aveva tra i suoi obiettivi la parit di
trattamento tra tutti i lavoratori dellazienda: eliminazione della doppia
battuta, miglioramento delle condizioni dei lavoratori, aumento salariale. Come si arrivati a questa
straordinaria vertenza?
Dino. Credo che la data di nascita
della straordinaria mobilitazione di
Melfi e dei 21 giorni di lotta deve essere necessariamente collocata nel
lontano luglio del 93, ossia nella
data in cui un accordo sindacale
inaugurava, insieme alla lunga fase
della concertazione, linsediamento del pi grande stabilimento
Fiat in Europa. Un accordo che non
posso non individuare come il vero
precursore delle varie leggi in favore della precarizzazione estrema
del lavoro, sino ad arrivare alla legge
30.
Ovviamente collocare in quella data
la nascita di quello che successo,

Lavoro

per 21 giorni, nella Piana di San


Nicola, deve servire a anche da ricostruzione a quel fenomeno decennale che rappresentato dal
modello Melfi, ossia a quel fenomeno che ha portato nel cuore del
Mezzogiorno la pi grande ed efficiente fabbrica dellindustria automobilistica (multi)nazionale. Deve
servire a capire perch si decideva
di portare, in una regione da sempre vocata allagricoltura, la cui popolazione nulla aveva mai avuto a
che fare con un qualsiasi modello
industriale (se non per mezzo delle
emigrazioni degli anni 60). Ovviamente la risposta a tale domanda
immediata: il motivo per cui la Fiat
decideva di trasferire gran parte
della sua produzione automobilistica in Basilicata era dovuta alla
presenza di una immensa manodopera disponibile e che, per la sua disponibilit e per ragioni storiche precise, non conosceva da decenni
forme conflittuali con i grandi sistemi di potere. Una forza lavoro
che, inserita appieno nella fine del
sogno contadino e nella disperazione della disoccupazione ormai
strutturale, sarebbe stata di per s
flessibile e disposta ad ogni condizione, purch lavorasse. Ovviamente a fare da cornice dovevano
esistere accordi sindacali ben precisi: ecco il significato dellaccordo
del luglio del 93. Una cintura,
quella dellaccordo, che ha permesso un dominio assoluto da parte
dellazienda, la quale trovava, nelle
forze politiche e istituzionali,
grande disponibilit. Un dominio
volto alla cancellazione di qualsiasi
diritto sindacale, come apparso subito chiaro sin dalla frequentazione
dei corsi formativi a Torino, quando
era fatto divieto agli aspiranti operai di partecipare alle assemblee che
si svolgevano nella fabbrica di
quella citt.
Il ritorno a Melfi ha visto subito impegnata lazienda in un lavoro di ricatto antisindacale attraverso lo
strumento del mancato rinnovo del
contratto. Sono gli anni in cui bastava la semplice partecipazione ad
unassemblea per venire iscritto nel

libro nero dellazienda. Ma a questo moderno ricatto, reso praticabile dalla nuova legislazione dei
contratti di formazione, sono subito seguiti i ricatti tradizionali
(come ricorda il caso Arese degli ultimi anni 80) quali i cambi forzati
di turno o ancora peggio di reparto. Questo fino al 96-97, gli
anni in cui larrivo di un nuovo staff
dirigenziale da Torino, finalizzato
alla formazione di nuovi quadri intermedi, ha portato alla vera e propria divisione dei lavoratori attraverso le promesse degli avanzamenti di carriera.
Pietro. Nellindividuare il percorso
che ha portato a quei 21 giorni di
mobilitazione bisogna precisare
che, pur nella spontaneit del carattere della mobilitazione, gi negli ultimi mesi si notava un cambiamento negli atteggiamenti dei lavoratori: al clima di sfiducia che in
questi anni si era insinuato allinterno dello stabilimento si andava
sostituendo una presa di coscienza
tra tutti i lavoratori. Il tentativo sistematico da parte dellazienda
di eliminare lattivismo sindacale,
accompagnato dal clima repressivo
che si esteso anche a quegli operai sino ad allora tranquilli, ha
portato ad una esasperazione tale
da estendere le frustrazioni accumulatesi per anni. Di l alla straordinaria adesione alla lotta il passo
stato breve. Oggi si tratta per il sindacato di capitalizzare il consenso
ottenuto, ascoltando le istanze dei
lavoratori.
Angelo. I ventuno giorni davanti i
cancelli nascono in modo spontaneo. Per noi sindacalizzati stata
una sorpresa, anche se frutto di un
lavoro durato anni. Anni in cui noi
rappresentanza della Fiom, insieme
ad altre sigle minori, abbiamo sempre cercato di denunciare e sollevare i gravi problemi che esistevano
allinterno della fabbrica. Da anni
assistiamo a centinaia e centinaia di
provvedimenti disciplinari, di discriminazioni, di isolamento. In ogni
caso questa lotta ci ripaga ampia-

Lavoro

mente di questo lungo lavoro che


sembrava non dare frutti; invece alla
fine i frutti sono arrivati e la vittoria
ottenuta con questa vertenza diventa storica.
Laccordo ha rappresentato un vero
spartiacque, e storico rimane il suo
valore: sia sul piano strettamente
sindacale che su quello politico. Nei
giorni della lotta abbiamo registrato
una forte solidariet da parte delle
forze politiche di sinistra, soprattutto da parte del PrcUn parlamentare di questo partito, Nicki
Vendola, stato presente dal primo
momento, dimostrando interesse
vero per lotta delle lavoratrici e dei
lavoratori. Anche la manifestazione
nazionale convocata nella Piana di
San Nicola ha registrato una partecipazione straordinaria ed inaspettata. Purtroppo non abbiamo per
avuto la stessa attenzione da parte
del Presidente della Regione Filippo Bubbico. Credo che dopo cariche della polizia ingiustificate come
quelle verificatesi a Melfi, un presidente regionale democratico debba
i n t e rvenire con forza nella condanna degli avvenimenti.

Tra lazienda ed alcuni sindacati un


accordo separato era gi stato raggiunto: un accordo che aveva escluso la
Fiom. Ma la vostra lotta ha dimostrato
da un lato che un accordo senza il consenso dei lavoratori non un vero accordo; dallaltro che la Fiom continua
a rappresentare il sindacato che maggiormente incarna le aspirazioni dei lavoratori (dimostrato anche dalladesione alla lotta della base delle altre sigle sindacali). Cosa sta cambiando allinterno delle relazioni sindacali a
Melfi e in tutto il paese?
Angelo. Le relazioni sindacali dopo
la vertenza sono cambiate nettamente ed in positivo, almeno apparentemente. Un cambiamento che
avviene in due direzioni: tra i lavoratori, molti dei quali ci chiedono
spontaneamente la tessera della
Fiom, pur non avendo mai avuto tessere sindacali o avendo avuto quella
di altri sindacati. Oggi sono i lavo-

ratori e le lavoratrici che ci chiamano anche a casa per chiedere di


iscriversi con noi. Inoltre un cambiamento di clima si registra nelle
relazioni tra rappresentanti sindacali e responsabili dellazienda.
Fino ai giorni della lotta era per
noi Rsu praticamente impossibile
riuscire ad avere colloqui con capireparto e responsabili, oggi ti invitano magari a bere un caff insieme.
Almeno oggi possiamo dire di aver
recuperato quella dignit di esseri
umani, oltre che di lavoratori, che
fino a ieri lazienda ci negava.
Pietro. Ha ragione Covella quando
descrive un cambiamento multidirezionale delle relazioni sindacali interne alla fabbrica. Innanzitutto
cambiano le relazioni tra sindacati:
un esempio valga per la vicenda
delle ferie di agosto. Alle richieste
della Fiom, protagonista insieme ai
sindacati di base nei giorni della vertenza, si sono associate tutte le altre
sigle, finora restie ad accogliere le
richieste dei lavoratori. Si prodotta di fatto una unit di azione,
anche se indotta dalla grande egemonia dei sindacati vicini ai bisogni
degli operai. Quanto al miglioramento dei rapporti tra sindacato e
azienda, stato visibile sin dal
giorno dopo la firma dellaccordo.
Aspettiamo per che questo cambiamento di relazioni non rimanga
solo una questione di facciata o di
gentilezza. Aspettiamo le Commissioni, dalle quali ci aspettiamo un
annullamento dei gravi provvedimenti disciplinari che lazienda ha
emanato a danno di lavoratori. Tra
questi ricordiamo le decine e decine di recidive, ossia preavvisi di licenziamento.
Infine registriamo uno straordinario aumento delle iscrizioni alla
Fiom: gi il primo giorno di rientro
in fabbrica abbiamo aumentato il
numero di iscritti con lentrata in
Fiom di 100 lavoratori.
Dino. Anche parlare di relazioni sindacali oggi significa parlare della
storia sindacale di Melfi. Dicevamo
che larrivo della Fiat a Melfi era fa-

Maggio - Giugno 2004

vorito dallassenza di una classe lavoratrice sindacalizzata. Le prime


rappresentanze di fabbrica erano
giovani ed inesperte, con laggravante degli accordi del 93 che rendevano qualsiasi azione sindacale
inefficace. Nessuna agibilit era permessa a noi giovani sindacalisti che,
anche per la richiesta di unora di
sciopero, dovevamo aspettare diverse settimane. Unazione sindacale resa ancora pi difficile dallisolamento in cui si sono venute a
trovare le Rsu sia da parte delle centrali sindacali, sia da parte delle centrali politiche, entrambe convinte
che gli elementi positivi di questo
modello sarebbero arrivati e che dovessero essere valutati in un arco di
tempo medio-lungo: un arco di
tempo che ha permesso alla Fiat di
violare i pi bassi parametri della dignit delle persone e dei lavoratori.
Tale isolamento ha portato spesso
ad un divario nello stesso sindacato:
abbiamo assistito allisolamento di
sindacalisti che, abbandonati a se
stessi, erano costretti ad assumere
comportamenti molto radicali, a
volte inefficaci, ma la cui responsabilit risiedeva in quei comportamenti che si erano annidati nelle
aree pi moderate del sindacato, le
quali mantenevano comportamenti
che andavano al di l della gi antidemocratica pratica della concertazione. Tutto questo ha rappresentato una gabbia, che non permetteva relazioni sindacali capaci di intraprendere azioni efficaci nella difesa del diritto dei lavoratori.
Ma allisolamento delle rappresentanze pi avanzate si accompagnato lostracismo dellazienda, la
quale, come hanno ricordato anche
gli altri compagni, era tesa ad una
costante e scientifica soppressione
di qualsiasi diritto e della stessa dignit. Basti dare unocchiata al numero di provvedimenti disciplinari
che ha contraddistinto Melfi.
Oggi chiediamo alle forze politiche
di sinistra e progressiste, oltre allabrogazione della legge 30, una
legge sulla rappresentanza sindacale che miri a rendere obbligatoria
una consultazione tra i lavoratori al

Maggio - Giugno 2004

fine di convalidare democraticamente gli accordi sottoscritti dai delegati. Senza una tale legge, ogni miglioramento delle relazioni sindacali reso monco ed inefficace.

A Melfi sono arrivati molti leader del


centro sinistra. Per Rutelli, solo poche
setimane fa, si mostrato disponibile a
dialogare con il governo sulle questioni
sociali e sulle politiche di precarizzazione del lavoro, a partire dalle pensioni sino ad arrivare alle gabbie salariali. Ma non solamente sui temi sociali abbiamo registrato una opposizione a tratti inadeguata: penso alla
posizione tenuta per mesi dal triciclo
sulla guerra in Iraq e sulla presenza del
contingente italiano in quel paese.
Come si pongono oggi gli operai nei
confronti della guerra?
Pietro. Noi lavoratori continuiamo
a mantenere una forte criticit nei
confronti della guerra in Iraq. Cos
come ribadiamo il nostro disappunto per i ritardi con cui il centro

Lavoro

sinistra, nella sua anima moderata,


arrivato alla richiesta di ritiro del
contingente italiano dallIraq.
La nostra opposizione continua a
tradursi nella richiesta di rispetto
dellart. 11 della Costituzione, e
nella condanna della violenza, compresa quella esercitata dagli Stati.
Dino. Netto il giudizio di contrariet che gli operai sono venuti maturando sulla disponibilit, da parte
di esponenti del centrosinistra, di
dialogare col governo sulle questioni sociali. I 21 giorni di Melfi
hanno inequivocabilmente espresso unassoluta contrariet alle politiche neoliberiste espresse da questo governo. Altrettanto netta rimane la nostra posizione di contariet alla guerra in Iraq che, come
tutte le guerre e cito, parafrasandolo, Brecht sono fatte nellinteresse dei potenti e a discapito della
povera gente, sia dei paesi vinti che
dei paesi vincitori. Oggi chiara ed
evidente la matrice imperialista di
questa guerra: da un lato il tentativo

di appropriarsi di ingenti quantit


di petrolio da parte degli Usa, dallaltro quella di completare il proprio controllo militare in unarea
molto calda del pianeta.
Angelo. Il tema della guerra stato,
sin dal primo momento, molto sentito tra le lavoratrici e i lavoratori,
anche se nei giorni della lotta e della
vertenza esso ha un po comprensibilmente perso centralit. In ogni
caso gli operai continuano ad esprimere grande opposizione nei confronti di una guerra che, dopo aver
mancato il suo obiettivo propagandistico (le armi di distruzione di
massa), ha reso chiari gli interessi
economici che la animano.
Una considerazione a parte merita
il fatto che, mentre il governo Berlusconi taglia sullo stato sociale ed
agevola lestrema precarizzazione
del mondo del lavoro, contemporaneamente decide di spendere migliaia e migliaia di euro per una
guerra illegale ed illegittima.

Maggio - Giugno 2004

Lavoro

Non c dubbio che Melfi


abbia rappresentato una svolta
anche dal punto di vista del rapporto
democratico con i lavoratori
perch la vertenza si conclusa
con le assemblee e con
il referendum tra i lavoratori

FIOM:
dal Congresso
alla lotta

a cura di Lella Bellina

CENTRALIT DEL

l 3 giugno, nella tua relazione al


C o n g resso nazionale della Fiom, hai
dichiarato: il voto assumer inevitabilmente il valore del giudizio sullattuale compagine governativa.
Due giorni dopo le elezioni, cosa pensi
dellItalia che esce dalle urne?
I risultati elettorali hanno confermato il giudizio negativo da parte
degli elettori nei confronti del governo di Berlusconi e delle scelte
che ha compiuto in questi anni, sia
per quanto riguarda la politica internazionale, con la partecipazione
alla guerra e linvio delle truppe italiane in Iraq, sia per quanto riguarda la politica economica e sociale.
Il quadro emerso dalle urne indica
una sconfitta del centro destra, soprattutto nelle amministrative.
Questo pone alle forze di opposizione, che escono complessivamente rafforzate dalla competizione elettorale, il problema di
come mettere in campo una ipotesi
programmatica alternativa al governo Berlusconi per voltare pagina
rispetto alle vicende politiche di
questi anni.
A Livorno avete ribadito la vostra
scelta di indipendenza e autonomia dai
governi e dai partiti e, contemporaneamente, avete espresso critiche e
avanzato richieste alla politica.

LAVORO, DEMOCRAZIA SINDACALE, BATTAGLIA


PER I DIRITTI E PER IL SALARIO, RELAZIONI SINDACALI, ALTERNATIVA:
INTERVISTA A GIANNI RINALDINI, SEGRETARIO GENERALE DELLA FIOM

Cosa chiede la Fiom alla sinistra e al


centro sinistra? Quali sono i vostri paletti, cio i punti irrinunciabili da inserire nel programma di chi si candida
a guidare il paese in alternativa al centro destra?
Un programma composto da
tante cose, ma considero punti programmatici decisivi: il rifiuto della
guerra come strumento di regolazione dei rapporti internazionali
(cos come recita la nostra
Costituzione) e una diversa politica
industriale, intendendo per politica
industriale anche la politica del lavoro.
In questo senso chiediamo alle
forze politiche oggi allopposizione
di considerare come nodi prioritari
del proprio programma la totale
abrogazione della legge 30, che ha
come fulcro la precarizzazione, e
della legge Bossi-Fini.
Il terzo aspetto, assolutamente decisivo, una legge sulla rappresentanza sindacale che renda validi ed
efficaci gli accordi solo quando
sono votati dalla maggioranza dei
diretti interessati.
Rispetto alla legge sulla rappresentanza si pronunciato di recente il segretario generale della Cisl: non ci facciamo certo dire da una legge come regolare i nostri rapporti, ha dichiarato.
Pensi sia possibile stabilire con le altre

organizzazioni sindacali regole democratiche che possano evitare gli accordi


separati?
Noi crediamo che soltanto la certezza sul piano legislativo possa affermare il diritto democratico (perch di diritto democratico si tratta)
dei lavoratori di votare su accordi
che riguardano il merito della loro
condizione. Questo un obiettivo
che continueremo a perseguire.
Nello stesso tempo, evidente che
non possiamo semplicem ente
aspettare un atto legislativo che
apra sul terreno della democrazia.
Per questo al Congresso abbiamo
deciso di proporre a Fim e Uilm di
definire insieme delle regole che,
pur tenendo conto delle differenze,
ci permettano di affermare, anche
in riferimento alle prossime scadenze nazionali, un percorso democratico che affermi il potere decisionale ai lavoratori.
Sono due le cose che perseguiamo:
la legge, che per noi rimane un
obiettivo, e un accordo pattizio con
le altre organizzazioni sindacali che
escluda gli accordi separati e consenta una gestione democratica di
questa fase.
Mi pare che la vicenda di Melfi abbia
segnato una svolta nei rapporti con le
altre organizzazioni sindacali e con la
stessa Cgil,.

Maggio - Giugno 2004

Ricordo che prima della vittoria dei lavoratori persino allinterno della Cgil
non era inusuale sentire il ritornello:
basta con questi della Fiom, stanno tirando un po troppo la corda, devono
tornare ad essere un po pi ragionevoli!.
La musica poi un po cambiata..
Non c dubbio che Melfi abbia rappresentato una svolta anche dal
punto di vista del rapporto democratico con i lavoratori perch la
vertenza si conclusa con le assemblee e con il referendum tra i lavoratori. La vertenza della Fincantieri
si chiusa, dopo quasi cento ore di
sciopero, con lo stesso meccanismo
democratico.
Le vicende di Melfi e della
Fincantieri hanno visto conclusioni
gestite unitariamente.
Proprio per questo credo ci possano
essere le condizione per assumere
quelle esperienze come metodo di
lavoro nel rapporto tra le diverse organizzazioni sindacali e in rapporto
con i lavoratori.
Torno sul prima e dopo Melfi, perch
una cosa mi ha impressionato: nel giro
di poche ore, le pesanti critiche (anche
in casa Cgil) su come la Fiom stava gestendo quella lotta si sono trasformate
in una sorta di ode a Melfi, alla democrazia, alla Fiom,
E p p u re si continuano serenamente a
firmare accordi (come quello degli artigiani, dei call center e, ultimo in ordine di tempo, quello del settore della
gomma plastica) che in sintonia con la
legge 30 (quella che la Cgil tutta considera una sciagura) aumentano la
precariet, la flessibilit, gli orari di
lavoro e cancellano i diritti.
Come giudichi questo scarto tra parole
e prassi?
Non esprimo giudizi sul comportamento e sulle scelte delle altre categorie.
Per ribadisco che quella della democrazia non una specificit di
categoria, ma assume un valore universale, segna lidentit del sindacato. Noi meccanici la pratichiamo,
come peraltro stato deciso dal-

Lavoro

lultimo congresso della Cgil, basta


leggere il documento conclusivo
unitario di quel congresso, la dove
si afferma: la Cgil continua a non
considerare come pratica democratica lidea che siano le organizzazioni a decidere per conto di tutti e
quindi a sottrarre ai lavoratori il giudizio su una attivit loro destinata
e, ancora, per la Cgil la valutazione
certificata elemento costitutivo
dellidentit democratica dellorganizzazione.
Tra la lotta contro la precarizzazione e la pura e semplice attuazione della legge 30 noi crediamo
sia necessaria una coerenza contrattuale, perch un sindacato non
pu permettersi di chiedere alle
forze politiche di abrogare o comunque modificare sostanzialmente la legge e contemporaneamente attuare una prassi contrattuale che va in direzione opposta.
Per un soggetto sindacale la identit si definisce a partire dalla prassi
contrattuale .
Confindustria ha un nuovo leader. La
relazione di investitura di
Montezemolo stata accolta positivamente anche dai vertici sindacali e sulle
bocche di molti tornata la paro l a
concertazione.
Io ho trovato francamente eccessiva lapertura di credito verso un presidente
degli industriali che ha comunque
scelto tra i suoi collaboratori pi stretti
proprio il sostenitore degli accordi separati dei metalmeccanici.
Tu che ne pensi e, soprattutto, su cosa
d o v re b b e ro essere improntati i rapporti tra le organizzazioni sindacali e
il mondo dellimpresa per essere positivi?
Sugli aspetti che attengono al
gruppo dirigente di Confindustria,
ovviamente, non esprimo un parere, dal momento che riterrei improprio che Confindustria o
Federmeccanica lo facessero nei
confronti della Fiom.
Mi sento invece di dire che
Montezemolo si presentato con
una lettura che rappresenta una discontinuit rispetto alla gestione

DAmato.
Dopo di che, le verifiche staranno
nei fatti. E sulla base degli atti concreti che giudicheremo i nuovi vertici confindustriali.
A breve avremo un incontro sulla
Fiat, e dal mom ento che
Montezemolo anche presidente
di Fiat, vedremo con quali proposte
di presenter.
Vorremmo poi capire se
Confindustria considera conclusa
oppure no la fase degli accordi separati. Perch evidente che qualsiasi confronto per stabilire relazioni sindacali normali non pu che
partire dal dato che la strada degli
accordi separati non venga considerata percorribile neppure dagli
industriali.
Nel vostro congresso avete rilanciato la
proposta del contratto dellindustria,
che nasce dalla necessit di ricostruire
la catena del lavoro per combattere
frammentazione e precariet.
Ci sono per vicende come quelle dei
lavoratori di Omnitel che avevano il
contratto dei metalmeccanici e che, contro la volont dei delegati, vengono spostati in unaltra categoria. Non trovi
che tra le due cose ci sia una certa contraddizione?
La contraddizione c ed evidente.
Noi abbiamo posto la questione
della necessit, a fronte dei processi
di trasformazione in atto, di ridefinire la struttura sindacale, cio i
confini delle stesse categorie ed i
contratti.
Si tratta di decidere, in sintesi, se accettare la frantumazione del ciclo
lavorativo imposta dallimpresa, oppure se muoversi con lobiettivo
della riunificazione del lavoro nella
sua filiera produttiva.
Quello che non si pu fare procedere senza una adeguata direzione cui devono corrispondere
chiare scelte, perch le scelte organizzative discendono dalla linea
contrattuale che si intende perseguire.
Questo il nodo che abbiamo sottolineato, proponendo il contratto
dellindustria con la precisa volont

Lavoro

di aprire una discussione ed un confronto con le altre categorie e la confederazione.


La cosa peggiore che si possa fare
procedere, peraltro secondo criteri
abbastanza confusi, a processi di accorpamento ed a passaggi dalluna
allaltra categoria senza avere un disegno complessivo e generale per
quanto riguarda il futuro del sindacato, perch a quel punto le scelte
vengono compiute secondo logiche
perlomeno oscure.
Democrazia, autonomia e indipendenza, improponibilit dellaccordo
del 23 luglio, obiettivi rivendicativi
chiari, una pratica contrattuale senza
sbavature: con questo patrimonio comune che la Fiom si presenta allesterno. Con quali strumenti intendete
portare avanti la vostra azione?
Con il Congresso abbiamo messo a
punto anche la strumentazione di
cui la Fiom si dovr dotare per affrontare una fase tanto difficile.
Abbiamo sentito la necessit di dotarci di nuove strutture per adeguare la nostra lettura dei processi
in atto e rendere pi efficace la nostra azione: dalla scuola sindacale
come momento di formazione per
i delegati e i gruppi dirigenti; alla
consulta giuridica con il compito di
approfondire le questioni poste
dalla nuova legislazione sul lavoro,
fino alla consulta economico-sociale che si avvarr del contributo di
persone esterne alla Fiom che
hanno comunque un interesse a lavorare con la nostra organizzazione.
Queste sono scelte interne alla vita
dellorganizzazione.
Contemporaneamente nelle prossime settimane apriremo un confronto con le altre organizzazioni
sindacali per verificare la possibilit
di definire delle regole democratiche.
Spesso siete stati dipinti come la categoria pi vetero della Cgil. Eppure
siete stati i primi ad entrare in rapporto
con i movimenti che rifiutano la guerra
e la globalizzazione liberista e lottano
contro la precariet.

Eravate a Genova, quando non cera


ancora la Cgil. Avete detto no alla
guerra del Kossovo, mentre tanta parte
del movimento sindacale la considerava una contingente necessit. I giovani metalmeccanici, determinati e
combattivi, sono stati i pro t a g o n i s t i
delle mobilitazioni degli ultimi anni.
In sintesi: le vostre scelte hanno creato
un legame tra la Fiom e un universo
giovanile che spesso si sentito un po
respinto dal sindacato. Non pensi che
una parte di questi giovani debba essere coinvolta maggiormente nellorganizzazione?
Questa una delle scelte che abbiamo compiuto quando abbiamo
parlato di rinnovamento.
Anche se bisognerebbe sfatare lidea che la Fiom e i movimenti siano
corpi in qualche modo estranei: alla
Fincantieri di Monfalcone, se uno ci
fa un giro, scopre che la stragrande
maggioranza dei lavoratori sono
giovani. Intendo dire che i giovani
lavoratori protagonisti delle lotte,
spesso fanno parte del movimento
contro la guerra e il liberismo e viceversa.
In realt noi della Fiom abbiamo
fatto parte della costruzione del movimento contro questa globalizzazione fin dallinizio, dal primo appuntamento di Porto Allegre.
Questo non elimina per il problema pi generale di come il sindacato, che come qualsiasi organizzazione contiene elementi di burocrazia e autoconservazione molto
forti e potenti (al di l di quello che
si afferma), sia in grado di operare
effettivamente un rinnovamento
che liberi spazio e dia possibilit di
crescita allespressione delle nuove
soggettivit che abbiamo coltivato
in questi ultimi anni di lotta.
Rispetto al fatto che alcuni ci considerano vetero, massimalisti, e tutte
le cose belle che dicono di noi: un
segno dei tempi che attraversiamo.
Nel senso che a chi considera estremista la richiesta che i lavoratori
possano votare sui contratti che parlano della loro condizione, del loro
orario, del loro salario rispondo che
me questo pare banalmente un di-

Maggio - Giugno 2004

ritto democratico. Prendo atto che


per alcuni esprimere un diritto democratico significa essere massimalisti. Anche questo un segno dei
tempi.
Poco fa individuavi l autoconservazione e la burocrazia come ostacoli ad
un auspicato rinnovamento del gruppo
dirigente della Fiom. Nella tua relazione al Congresso declini come caratteristiche indispensabili per fare il sindacalista il senso di militanza e la passione.
Quanto le vostre scelte degli ultimi anni
hanno inciso sui meccanismi burocratici della Fiom, immettendo un po di
quella passione che era andata scemando?
Credo che gli ultimi due anni,
quando la posta in gioco era fare
fuori i meccanici e la Fiom, abbiano
in qualche modo costretto tutta lorganizzazione, non solo una sua
parte, a fare i conti con la logica dei
rapporti di forza. E, quindi, con la
necessit di costruire la nostra verifica nel rapporto diretto con i lavoratori.
Questo stato lelemento che ha
maggiormente messo in crisi la burocrazia tradizionale, quella che
considera il ruolo di dirigente della
Fiom come un mestiere qualunque.
Io continuo a pensare che quello
del sindacalista non possa essere un
lavoro qualsiasi ma una forma di militanza a tempo pieno, sorretta da
forti motivazioni e passione nel rapporto con i lavoratori.
Altrimenti si possono verificare le
sorprese di sindacalisti che, dalloggi al domani, passano da un mestiere allaltro, dalla parte opposta.
Rinnovamento per me vuol dire anche questo: aver ben chiaro cosa significa essere un sindacalista della
Fiom.
La scelta di agire sempre in rapporto stretto con i lavoratori ha
avuto ripercussioni positive anche
rispetto al Congresso: 210.000 i lavoratori metalmeccanici hanno discusso e scelto con il voto tra le due
tesi su cui ci siamo confrontati. Se
penso a tutte le titubanze che ce-

Maggio - Giugno 2004

rano nel fare il congresso! Il fatto


che la partecipazione sia stata maggiore che nei precedenti appuntamenti dimostra la giustezza della
nostra scelta.
Alla fine il passaggio pi faticoso
stato quello di convincere linsieme
del gruppo dirigente che era necessario andare ad una discussione
esplicita con i lavoratori.
Credo che oggi la giustezza di quella
decisione sia diventata il sentire comune della grande maggioranza
dellorganizzazione. Anche perch
quelli che pensavano fosse un errore impegnare lorganizzazione
semplicemente a fare le assemblee
congressuali mentre cerano le lotte
sono stati smentiti dai fatti.
E successo lopposto di quanto alcuni temevano: in realt il congresso ha incrociato vicende come
quelle di Terni, di Melfi, della
Fincantieri e la nostra discussione
ha tratto linfa dal rapporto con
quelle lotte.
Radicalit e durata delle lotte: mi
viene da pensare che il rapporto di fiducia tra sindacato e lavoratori non sia
un elemento irrilevante.
Mi spiego. Ristrutturazioni e riorganizzazioni aziendali, mobilit, licenziamenti sono allordine del giorno in
quasi tutti i settori.
E allora come mai le resistenze pi de-

Lavoro

terminate, gli scioperi e le mobilitazioni che si protraggono per giorni avvengono solo nel settore metalmeccanico?
Cosa c di diverso?
Parlo solo dei meccanici. I meccanici sono fatti cos. Non sono un
problema facilmente risolvibile per
nessuno.
Cio tu sostieni che i metalmeccanici
hanno una sorta di dna part i c olare.?
No, ma parlo solo dei metalmeccanici.
E vero, la Fiom ha appoggiato le
mobilitazioni dei lavoratori, ma
guarda che lelemento fondamentale di queste lotte lemergere di
un pesante disagio sociale: Terni o
in Melfi sono diventate un simbolo
proprio perch hanno incrociato
un malessere diffuso.
Questo ha prodotto risvolti inaspettati, come dimostra la vicenda della
Polti Sud di Cosenza ad esempio.
In una realt dove il sindacato era
debolissimo, dove abbiamo sempre
avuto difficolt ad organizzare le
mobilitazioni, 200 lavoratori hanno
scioperato per 15 giorni consecutivi
contro la decisione dellazienda di
licenziare un delegato sindacale e
due iscritti alla Fiom che si batte-

vano per condizioni di lavoro pi


umane.
Hanno bloccato lo stabilimento
giorno e notte ed alla fine hanno ottenuto il ritiro dei licenziamenti.
Come vedi, c un elemento di disagio diffuso e, comunque, lotte di
questo genere le possono deciderle
solo i lavoratori, non le pu decidere la Fiom.
Le lotte dei lavoratori, quando non
sono eclatanti, vengono sistematicamente oscurate dai media.
Dipende da una vostra incapacit di
comunicazione, oppure il non parlare
dei lavoratori e della Fiom una scelta
dei mezzi di informazione?
Forse c anche la nostra incapacit,
ma certo i mezzi di informazione
hanno compiuto una scelta. Basta
pensare alla vicenda relativa allaccordo separato sul contratto nazionale: attraverso i mezzi di informazione nessuno ha capito che la posizione della Fiom alla fine si riduceva alla richiesta che i lavoratori votassero sullaccordo. Limmagine
che hanno dato stata quella di un
sindacato massimalista che non firmava mentre le altre organizzazioni, pi ragionevoli e realistiche
siglavano lintesa.
E chiaro che c un utilizzo tutto
politico dei mezzi di informazione.

Maggio - Giugno 2004

Lavoro

sicuramente difficile proporci


di catalogare un mondo che
si cos scomposto e che,
se non la nuova classe operaia
e oggi non lo ancora pi difficile
dire cosa rappresenta

La ragnatela
del precariato

di Bruno Casati

FABBRICA E SOCIET AVVOLTE NELLA MODERNA TELA


DELLO SFRUTTAMENTO

Il Primo Maggio di Milano stato


uno straordinario evento, nazionale
ed europeo. Al mattino, ma non
questo che costituisce novit, sono
scesi in piazza i lavoratori, i sopravvissuti, del tempo indeterminato. Al
pomeriggio levento: che si autorappresentato con la galassia del
tempo determinato, in testa i
CHAINWORKERS, lavoratori
delle grandi catene, e poi centomila
precari e pi, un mondo che la legge
30 sta portando a crescita esponenziale, che il mondo dei flessibili
senza diritti, dei centauri del nuovo
lavoro met occupati met disoccupati. Una flora sociale interessantissima. Il sociologo li guarda
con una avida curiosit, simile a
quella con cui lentomologo studia
le api o le formiche. Ma non ci basta. Sono, domandiamocelo, le
avanguardie di una nuova classe
operaia che si annuncia, o sono
nuovi lumpen, proletariato senza
futuro, miserable, come li snobbava Marx? Avesse visto passare quel
corteo, Antonio Gramsci che gi
osservava con sospetto quelle manifestazioni in cui gli operai issavano
gli striscioni, ognuno della propria
fabbrica, e auspicava che tutti, dai
metallurgici alle sartine, si collocassero sotto la stessa bandiera, rossa e
unica, del proletariato, ebbene, sarebbe rimasto scosso nel vedere
come questi equilibristi del lavoro si

definissero secondo un lessico ermetico, un codice: dai CO.CO.CO


agli schiavi del part-time, dagli interinali ai free-lance, dagli stagisti perenni a quegli intermittenti resi popolari dalle lotte francesi. Ma chi
sono? Ma che alfabeto mai il loro?
E, soprattutto, cosa vogliono e dove
vanno, sospingendo addirittura la
statua di un santo, San precario?
sicuramente difficile proporci di
catalogare un mondo che si cos
scomposto e che, se non la nuova
classe operaia e oggi non lo
ancora pi difficile dire cosa rappresenta? forse allora un nuovo
esercito di riserva del proletariato?
Ma qui mi fermo con gli interrogativi. Se gi complicato descrivere i
soggetti dellEuro May Day Parade,
figuriamoci quant difficile proporci di organizzarli. complicato
perch: non hanno una categoria e,
quindi, un contratto collettivo di riferimento; molti sono allocati in
prestito a tempo presso unimpresa ma dipendono da altri, sono
in pratica nel serbatoio di unagenzia, e cos quella organizzazione del
lavoro a matrice che aveva ben studiato Galbraith per la fabbrica,
viene adattata al territorio; non risiedono conseguentemente, se non
per brevi periodi, in un luogo fisso
in cui crescere competenze, conoscere, tessere relazioni; sono lavoratori provvisori e sospesi in tutto e

per tutto e ridotti ad essere competitivi con chi sta loro a fianco; e ancora, proprio per lintercambiabilit e la temporaneit delle prestazioni (loro) richieste, evidentemente offerto loro solo il lavoro a
basso contenuto tecnologico o del
quale non vedono lo scopo e, del resto e infine, essendosi impostata
limpresa italiana solo per reggere
alla competizione di prezzo e,
quindi, solo sulla committenza delle
sub-forniture di un lavoro povero
per acquisire la quale si comprime
il fattore costo, ebbene, questi lavoratori (usa e getta) diventano del
tutto funzionali, anzi organici, perch sempre sostituibili in prestazioni sempre interrompibili, a questa economia che sta declinando.
Sono funzionali e organici al declino. A questo ci sta portando la libert di impresa che prevarica sulla
cultura dei diritti e della sicurezza
sociale.
2. La formazione scolastica pertanto
non serve per il lavoro povero, anzi,
le eccellenze che pure lUniversit
sforna ogni anno, almeno finora,
poi andr a regime la Moratti per
vivere (questi laureati di qualit)
sono costretti a fare i centralinisti
nei call-center a 700 euro al mese.
Per vivere alla giornata per, perch
poi, domandiamocelo, come faranno questi giovani a pagarsi unas-

Maggio - Giugno 2004

sicurazione per garantirsi una pensione o a sostenere un mutuo, e se


decidessero di mettere su casa?
Anche questo precariato: se il lavoro precario, la societ lo diventa.
E per combattere questa precariet
che, in causa ed effetti, ha questi
due volti speculari, dobbiamo proporci di escludere lesclusione nei
due ambiti in cui essa si manifesta:
nel lavoro e nella societ. E se il lavoro cambiato, partiamo da qui,
proporci di cambiare il lavoro cambiato, coscienti che oggi la precariet diventata il fondamento del
rapporto di lavoro stesso. Mi spiego
meglio: se negli anni 80 andava di
moda parlare di scomparsa della
classe operaia, era uno dei miti ideologici indotti dallera del neoliberismo assunti anche da certa sinistra,
oggi di converso si fanno i conti con
la crescita dei salariati, ma crescono
i salariati precari, crescono i nuovi
poveri. Insomma il lavoro salariato
si estende ma, insieme, si degrada:
cresce declinando. Se non ci si
mette mano, quel che avanza non
sicuramente lannuncio di una
nuova classe operaia, ma solo lavanguardia della retrocessione sociale. Che non si sa dove vada. In
ogni caso quei soggetti oggi ci
hanno detto che ci sono, quei precari si sono resi visibili. C per una
massa che ancora non manifesta.
Sono gli immigrati. Se i precari possono essere gi catalogati scolasticamente come lesercito di riserva
del proletariato del lavoro certo, gli
immigrati, con lo stesso metro, possono essere definiti come lesercito
degli invisibili che di riserva al precariato stesso. Sono i pi sfruttati,
tanto non si possono ribellare in
quanto il licenziamento incorporato nel permesso di soggiorno,
sono i pi esposti al lavoro pesante
nelledilizia e nei campi e al lavoro
nocivo delle concerie e della chimica. Eppure utilissimi: si pensi al
lavoro di cura delle badanti per gli
anziani. Se non c qualcuno che
impugna la bandiera delle loro condizioni e dei loro diritti, della loro
cittadinanza insomma, una bandiera che, in quanto ricattabili, non

Lavoro

possono impugnare loro stessi, ebbene il pericolo che lesercito di riserva del precariato diventi esercito
politico di riserva (magari per le
destre) assai concreto. il pericolo che venga fatta impugnare loro
la bandiera sbagliata. Laggancio
con questa massa che in espansione perch se le merci, nella globalizzazione, in questa globalizzazione, vanno laddove il lavoro costa
meno, gli uomini si muovono verso
i luoghi in cui sia, pensano, migliore
la speranza di vita e il loro cammino,
pur contrastato, inarrestabile
pu avvenire (laggancio) solo con
il riconoscimento pieno del loro diritto ad essere cittadini, avere diritti,
votare, poter difendere la dignit,
uscire insomma dallinvisibilit opprimente del precariato di riserva.
E questo, il renderli visibili, un
tratto della nostra battaglia. Il considerare che dietro i precari spinge
insomma un esercito di tutte le
razze del pianeta, ma un esercito
di disperati che non ha nulla da perdere. E a questo esercito va dato un
obiettivo, un piano. Perch senza
obiettivo, se non quello degli interessi vitali, questo esercito pu andare ovunque e al seguito di chiunque.
3. Ma la precariet non si sviluppata solo fuori dalla fabbrica e,
quindi, non si moltiplicata solo nel
mondo dei servizi esterni del commercio, dei trasporti, dei lavori stagionali nei campi o sul mare, nella
scuola come nellindustria diffusa
dei capannoni o nei sottoscala, dove
si confezionano scarpe ed abiti,
come negli studi di ingegneria o negli atelier della moda pi raffinata
del made in Italy. La precariet
entrata in fabbrica. Anche la fabbrica, lantica caserma del proletariato, quando rimane, cambia
volto. Quando non stata delocalizzata in Romania, o in un altro altrove dove il lavoro pagato 40 centesimi di euro lora, oppure quando
il padrone non decide di chiudere
baracca del tutto e si mette a fare
limmobiliarista sulle aree lasciate
dismesse dalla deindustrializa-

zione, aree che lEnte locale, si capisce, gli deve prima bonificare e
poi infrastrutturare. In questi due
casi, delocalizzazione e chiusura, si
gettano sul lastrico lavoratori che,
se non anziani il precario se cinquantenne vive la peggiore delle
condizioni hanno il destino segnato: diventare artigiani, ma come
professionisti poveri; consegnarsi
in ostaggio alle agenzie private di
collocamento che, ogni tanto, li
smisteranno qua e l; partecipare in
eterno ai corsi di formazione senza
sbocco che Regione e Provincia organizzano per preparare questi
esuberi ad un lavoro che non ci
sar. Questi sono i precari consegnati al territorio. questa, domandiamoci, la cultura delle opportunit dentro la societ della conoscenza, ove c chi capace e chi,
per colpa sua, si taglia fuori? Ma anche la fabbrica, nel caso rimanga,
genera precari interni. Li genera,
ancora, in due direzioni: con le
esternalizzazioni, questa volta di
funzioni e personale. la prima direzione, in quanto la fabbrica viene
esplosa sul territorio in tanti frammenti. Un solo esempio: se una
volta per fermare la Fiat bastava
bloccare le fosse di convergenza
perch erano lincrocio di tutto il lavoro dentro, oggi devi bloccare la
tangenziale perch da l che arrivano dentro i componenti costruiti fuori. Seconda direzione:
con la frantumazione dei contratti.
Esempio: laddove 1000 operai facevano, in quella fabbrica, riferimento ad un solo contratto collettivo di lavoro meccanico, chimico,
tessile o altro oggi appaiono 5/6
contratti ma, attenzione, questi contratti insistono solo su parte di quegli operai, perch laltra parte si
venuta via via a comporre di precari,
la new entry del tempo determinato
nelle 32 tipologie che la legge 30 offre allimpresa e che ha preso il posto, appunto in parte, degli anziani
del tempo indeterminato fatti scivolare fuori, prepensionandoli. La
fabbrica diventata cos duale:
dentro (frantumata e concentrata)
ed fuori (frantumata e diffusa).

Lavoro

Come cambiare il lavoro cambiato


se cambiato cos? Come combattere la precariet che gi nella fabbrica, dentro e fuori, e nel territorio? Ci rassegniamo, ancora domandiamoci, al processo che, nella
catena del valore del prodotto, vede
lindustria ridursi alla sola fabbricazione e montaggio, e tutto il resto
diventa NIDIL, territorio, telecomunicazioni, commercio, o proviamo invece a ridurre le disuguaglianze profonde che questo processo sta comportando? Belle domande. La risposta indaga sulla ricomposizione dellunit della
classe.

Sintesi: cultura laburista,


contratto di sito, contratto unico,
patto tra lavoratori certi e incerti.
Questo il progetto

4. Dobbiamo, a mio modo di vedere,


proporci almeno tre cose, sempre
relativamente alla fabbrica test descritta:
a) proporci, gi culturalmente e innanzi tutto, di girare pagina rispetto
allidea, fatta propria anche dai riformisti ulivisti, che nei momenti di
difficolt economica, per superarli,
sia giusto tagliare le ali deboli del
mercato del lavoro: sui giovani in ingresso, quindi, e sugli immigrati.
Oltretutto, taluno aggiunge, la flessibilit libert individuale, ragione
per cui i giovani la desidererebbero.
Per ora tagliamo, perci sostenevano, poi, passata la nuttata, si vedr. Risultato: si tagliato ma la
nuttata non passata.
b) Proporci, sul sito, di riunificare
in uno tutti i contratti e, nello stesso
contratto unico collettivo e nazionale, lottare per portarci tutti i lavoratori del sito, strappando gli in-

determinati alle 4/5 diverse condizioni contrattuali in cui sono stati


scomposti artatamente e, insieme,
strappare i determinati dalla tastiera lunga delle tipologie della
legge 30. Questo il primo ineludibile passo: il contratto unico di sito
o di filiera. Ma se dobbiamo dotarci
di una strategia, questo primo
passo che ci deve anche indicare
dove andare: e dobbiamo andare a
un contratto unico dellindustria in
Italia e ai contratti unici di categoria in Europa. Questa la proposta:
un unico contratto, ad esempio, dei
metalmeccanici europei. Pi si simili, pi si forti. Si sappia che,
per, gi il federalismo contrattuale
di Treu e il contratto degli artigiani
si muovono in direzione opposta.
Non si usciti da quella cultura capitolarda
c) Proporci appunto una strategia
di riunificazione ricomporre laddove il capitale ha diviso ma anche
una tattica per penetrare, con progetti fattibili, nella torre di Babele
dei 100 linguaggi non comunicanti
che diventata la fabbrica del terzo
Millennio, dove , oggi, gi difficile
tenere unassemblea che parli a
tutti, avanzare una richiesta generale, respingere insieme un sopruso. E ci entri solo con la vertenzialit e con un patto. A ben guardare le lotte di Melfi, o dei cantieristi navali di Fincantieri o di NCA, o
dei tranvieri di Milano sono importanti perch toccano proprio questo nervo scoperto della ricomposizione, dove, in antitesi alla riedizione del patto concertativo tra i
produttori che avanza la nuova
Confindustria, si sostiene un altro
patto, la FIOM lo dice nel suo XXIII
Congresso: un patto di classe tra garantiti (brutto termine) e precari,
un patto leonino Con quellobiettivo, lunit della classe stessa. E
il patto lo fai avanzare vertenza per
vertenza.
S i n t e s i: cultura laburista, contratto
di sito, contratto unico, patto tra lavoratori certi e incerti. Questo il
progetto. Ma un Partito politico
non pu lasciare questo progetto

Maggio - Giugno 2004

nelle sole mani di un Sindacato. Il


primo obiettivo che questo Partito
deve porsi quello di cancellare
questa jattura della legge 30, lubrificare il cammino del patto e, parallelamente, far avanzare una Legge
sulla democrazia sindacale. C questa volont?
5. Nel passato non cera questa volont gi tra i riformisti, in quanto
si sosteneva tuttaltra analisi. Si sosteneva, gi vi facemmo cenno, lapologetica del sottosalario per i giovani quale condizione unica per rilanciare la possibilit di competere
per limpresa e per dare lavoro ai
giovani stessi. Si cos legittimata la
contrapposizione dei padri opposti
ai figli, ai quali legoismo dei padri
precludeva il futuro. Era la menzogna della Confindustria di DAmato, che per si potuta accreditare
solo con il consenso dei chierici sindacali e degli yes-man ulivisti. Cos i
precari del pacchetto Treu, con
Maroni, sono diventati milioni e milioni. E se oggi questo Governo repellente calpesta leggi e diritti in
materia di lavoro, lo pu fare si abbia il coraggio di ricordarlo perch
i lavoratori non siano ancora imbrogliati solo perch il Governo
precedente non ha portato al voto,
pur avendone i numeri, quella
Legge sulle rappresentanze che
avrebbe oggi impedito il dissesto, il
massacro del mercato del lavoro.
Ma, almeno, aumentata loccupazione? Il gioco, insomma, valso la
candela? Neanche per sogno: la riduzione di salario e diritti e lesplosione della flessibilit, ovvero della
precariet, non hanno creato un posto di lavoro in pi, si solo regalato
un risparmio allimpresa. Anzi i posti di lavoro, veri e pieni, sono addirittura calati, anche se ci non viene
fatto apparire, in quanto la frantumazione di ogni prestazione lavorativa in pi spezzoni consente a
Berlusconi di mentire: di non dire
cio che la disoccupazione stata
solo spazzata sotto il tappeto di una
falsificazione statistica. E si aderito
riformisti in testa (Berlusconi ha
tante colpe, ma non tutte) si ade-

Maggio - Giugno 2004

rito alla mistica dellimpresa nana


che, secondo DAmato e il creativo
Tremonti, avrebbe portato lItalia in
Europa. Risultato: a uneconomia
che chiedeva il balzo in avanti con
la programmazione, la ricerca, linnovazione anche nei prodotti, la
formazione continua, il lavoro ricco
e certo, ebbene il padronato italiano, nano anchesso, rispondeva
con il salto indietro dello scontro sociale prima sullarticolo 18, contro
lestensione della giusta causa, poi
sulla legge 30, questo manifesto
della modernit neoliberista italiana. Un salto mortale accolto dal
silenzio assordante dei riformisti.
Il silenzio continua anche oggi,
quando lo stesso Luca di Montezemolo che si accorge che qualcosa
nel sistema non va e capisce che, per
salvaguardare direttamente i propri
interessi, deve tornare in prima linea la grande borghesia. E pone
cos questioni come il rilancio della
grande industria e (udite udite) la
presenza dello Stato in economia
che, per, paradosso, sono temi assenti nellagenda di Treu e Bersani.
Bisogner per vedere se le aperture, o detto meglio, la discontinuit rispetto a DAmato, del Montezemolo, Presidente della Confindustria, verranno ascoltate dal Montezemolo presidente della Fiat.
Torniamo agli ulivisti che permangono nel campo scivoloso di quella
cultura che ha portato Berlusconi al
Governo e lItalia al dissesto. E, anzi,
insistono, proponendosi oggi di trasferire i risparmi dei tagli alla previdenza su assistenza e ammortizzatori, aderendo alle ipotesi neo concertative che ancora Montezemolo
adombra laltra parte della sua
proposta nellidea che, si rilanci
certo la grande industria, ma solo
con il sostegno del Governo che
sar, nel silenzio concertato e permanendo il quadro di flessibilit
della mano dopera al quale si arrivati.
6. Il problema della precariet pu
essere, invece e a nostro modesto avviso, affrontato con 5 punti di approccio:

Lavoro

a) Il primo la sintesi di cose gi


dette: la riunificazione dei trattamenti sullo stesso sito e, quindi, tutti
i lavoratori del sito o filiera, indeterminati e determinati, da assorbire nello stesso contratto collettivo nazionale, che altra cosa, si
sappia, dal contratto di territorio,
che invece la gabbia federalista
che la Lega sostiene e che Treu pare
apprezzare. Unico contratto di sito,
unico contratto nazionale e, in prospettiva, unico contratto nazionale
dellindustria e contratti europei di
categoria (in Germania i lavoratori
industriali sono in soli tre contratti
collettivi). Salario e diritti europei
perci, non della Brianza!
b) Il secondo la cancellazione
della Legge 30 e lapprovazione di
una legge sulle rappresentanze. Per
la Legge 30 si aperto, con il voto
ultimo di giugno, uno spazio importante nei Comuni e nelle
Province, conquistate o confermate. Non aspettiamo perci che
Berlusconi sia cacciato, cominciamo a tagliargli lerba sotto i piedi,
intervenendo proprio negli enti locali contro la precariet e per lunit dei lavoratori, disattiviamo
prima la legge 30: riqualificando i
centri per limpiego, proponendosi
il controllo delle mille agenzie del
moderno caporalato, strumentando lanagrafe della disoccupazione,
affermando il collocamento pubblico almeno per le aziende pubbliche. Insomma smontando la
legge 30 gi negli Enti Locali prepariamo la sua cancellazione abrogativa
c) Il terzo, sul quale non solo i riformisti sono in ritardo ma lo anche la sinistra di alternativa, un
progetto economico e sociale per il
paese: quale industria, quale credito, quali consumi, quali settori,
quali distretti, dove investire, cosa
importare e cosa esportare. Ma se i
riformisti scelgono di non avere un
programma altrimenti che riformisti sarebbero? inconcepibile
che la sinistra di alternativa in
nuce non si proponga di affron-

tare il tema dellalternativa di sinistra che un progetto , un contenuto, il contenuto. E se non c un


progetto, ma che sinistra di alternativa sarebbe mai? E, poi, su che
base sfidi Montezemolo e la sua
svolta che , allo stesso tempo, interessante ed insidiosa? A meno che
si pensi di fare i grilli parlanti che
criticano i riformisti restando sul
loro terreno.
d) Il quarto la formazione, che
pu essere solo in raccordo al progetto. Oggi la formazione , pi di
ieri, un volto della democrazia.
Raccordata al progetto (e alla lotta
per sostenerlo) la via duscita principale dalla dimensione della precariet, mentre il mondo della formazione disegna to da Letizia

La via duscita passa


per le conoscenze, senza le quali
i precari restano tali e, quindi,
in condizione semi-servile,
emarginati e costretti ad essere
per sempre, intermittenti

Moratti si configura, allopposto,


quale palestra di addestramento
alla precariet permanente. La via
duscita passa per le conoscenze,
senza le quali i precari restano tali
e, quindi, in condizione semi-servile, emarginati e costretti ad essere
per sempre, intermittenti o, comunque, prigionieri del lavoro debole che, in ogni caso, li punisce ma,
nel contempo, li ricatta.
e) Il quinto ed ultimo punto risiede
in quella constatazione che la precariet avvolge a ragnatela, in un
tuttuno, la fabbrica ed il territorio.
Se sei precario nella tua condizione
di lavoro, o semi-lavoro, lo sei anche
come cittadino nellaccesso ai ser-

Lavoro

vizi che ti impedito: sei un cittadino a met. Pertanto il conflitto in


fabbrica per unificare, come a
Melfi, non esaurisce affatto la lotta
alla precariet se non diventa lotta
per la casa, per un buon servizio sanitario, per trasporti, per la cultura.
Bisogna raccordare fabbrica a territorio e, gi nella fabbrica, bisogna
cominciare a dissuadere la flessibilit convincendo il padrone e non
lo convinci con un convegno o
unintervista a sborsare una quota
si salario aggiuntiva verso la collettivit, per finanziare il sostegno economico nei periodi di intermittenza
lavorativa. Va tenuto insomma dispiegato, aperto, il ragionamento sul
cosiddetto salario sociale, che
per limpresa che deve sostenere,
perch limpresa che ha, sempre,
una responsabilit sociale. Chi impugna e sviluppa questi punti, o altri, si muove verso la conquista del
mondo del precariato e delle masse
silenti del sottoprecariato. Se un
partito politico, esso lega il suo futuro al futuro di questo mondo in
evoluzione continua. Ma, ancora, se
un partito, esso deve avere progetti, proposte e deve sostenerli facendo il proprio mestiere di partito, che non si esauriscono aderendo solo alla Euro May Day Parade, come hanno fatto bene a aderire alcuni partiti. Non basta, il partito non un corteo, se il corteo non
sviluppa una politica e non si propone una cultura e una egemonia.
7. C un ultimo punto: quel corteo
del 1 Maggio marcia per affermare
i propri interessi i precari che vogliono il lavoro e diritti certi in fabbrica e nel territorio ma non ancora il corteo della nuova classe operaia. Lavoriamo perch lo diventi.
Sempre che la classe non quella
che segue una esercitazione pedissequa noi continuiamo ad intenderla come collettivo vasto di soggetti sociali che battendosi per i propri interessi immediati il salario,
lorario, laffitto giusto, i prezzi equi
matura nella lotta, il convincimento che, per garantirsi una risposta duratura e di qualit a quegli

interessi e bisogni bisogna conquistare pi potere nel sistema in


leggi e contratti a rappresentare degli interessi fino alla conquista del
sistema stesso, nellidea che il
mondo che noi vogliamo diventa
possibile solo se, in quel mondo, il
lavoro sar centrale politicamente,
conti e pesi con i suoi soggetti e non
resti a gridare e a protestare, pur
nella sua impotente centralit sociale. La lotta e la protesta siano finalizzati alla ricomposizione dello
iato tra centralit sociale (del lavoro) e centralit politica. La coscienza degli interessi diventa coscienza di classe solo se entra in questa connessione virtuosa. Il Partito
indica la strada che il Sindacato con
la sua autonomia e con la lotta persegue nei luoghi fabbriche, servizi,
scuole, territorio in cui il salto di
coscienza pu avvenire avanzando,
con la lotta, la saldatura precari-garantiti, avanzando quel patto. Con
una possibile novit: se oggi in Italia
pu ritornare il lavoro industriale
della grande fabbrica, opzione che
dobbiamo sostenere anche con la
formazione, si sappia che in quella
fabbrica riprender consistenza anche il lavoro, e il lavoratore industriale, che potr cos attrarre, sciogliendola, sia la precariet delle
esternalizzazioni che quella dispersa sul territorio. Ma non lasciamo il progetto in mano a Montezemolo. I protagonisti della battaglia di Melfi, di Fincantieri, dellAlfa
di Arese, della Polti di Cosenza, di
Mirafiori, dellATM di Milano diventino i protagonisti della trasformazione radicale economico-sociale del Paese. Dobbiamo far conoscere questa consapevolezza di
classe aprendo un fronte dialettico
con quanti, dentro il movimento,
pensano invece che:
- il precariato debba restare tale, restare lumpenproletariat e mai entrare nella dimensione superiore
fabbrica, ufficio, scuola perch dimensione opprimente e quindi
deve limitarsi, questo il precariato,
a rivolgersi a un Governo o a un Comune (e non a un padrone) per avere garantito un salario sociale e

Maggio - Giugno 2004

non solo per le intermittenze.


Questo adattamento alla fase, non
ricerca del suo superamento. Non
va in direzione di quel patto;
- il movimento non debba misurarsi
con il progetto di una societ e uneconomia diversa ma solo disubbidire al governo di questa societ.
Ma la disubbidienza lascia le cose
come stanno, lascia sopra chi sta sopra e sotto chi sta sotto. Si resta nella
dimensione rassegnata del non c
niente da fare ma almeno diciamo
di no, che non dovrebbe essere
propria delle giovani generazioni
che non hanno introiettato il senso
della sconfitta delle generazioni
precedenti. I giovani debbono essere ribelli non disobbedienti;
- si debba cambiare il mondo senza
perdere il potere secondo uno slogan del movimento che un partito
deve trattare con cautela. Un partito, se cerca di essere organico a
quel patto e a un progetto di trasformazione, deve sempre proporsi di
portare al livello pi alto possibile la
difesa degli interessi di quanti giovani, anziani, donne, uomini, lavoratori, precari, malati, immigrati
ripongono fiducia in quel partito.
il problema alto del conquistare legemonia, intellettuale e morale,
nella testa della gente. Berlusconi
nel 2001 ha vinto perch ha fatto
questa operazione. Se non si fa questa operazione e la pu fare in
Italia solo la sinistra di alternativa
che sar allora si appalesa il rischio
Inghilterra, che visto non come rischio nelle teste duovo riformiste.
Lo rappresento con le parole che
Gianni Rinaldini ha usato nella relazione congressuale della FIOM:
lo schema che c la Tatcher che fa
il lavoro sporco, lo scasso sociale e
poi subentra Tony Blair, non lo
schema auspicabile.
Ben detto, facciamo perci maturare nella lotta unaltra condizione
che, in metafora, porti al prossimo
primo Maggio dove, unito, torni in
piazza il lavoro riconquistato come
certo per tutti. Sfili il patto e, per
riconciliarci con Gramsci, sfili sotto
lunica e rossa bandiera del proletariato.

Maggio - Giugno 2004

Lavoro

La nuova condizione del lavoro


diventa sempre pi
privata dei diritti, degli ammortizzatori
sociali, della democrazia stessa;
il tutto diventa precario,
senza alcuna sicurezza di continuit

Le vecchie e
le nuove povert

di Luciano Vasapollo
Universit La Sapienza di Roma - Dir.Scient.CESTES e
della rivista PROTEO

UNIONE EUROPEA, CAPITALISMO SELVAGGIO

P O V E RT

E L AV O R O N E G AT O

In passato la povert stata quasi del


tutto associata ai paesi meno industrializzati, meno sviluppati, pi
emarginati dal moderno sistema
economico di sviluppo e si tendeva,
quindi, ad allontanare il problema
dai paesi a capitalismo maturo che
sembravano essere ricchi. Ma ormai
negli ultimi anni questa non assolutamente la situazione reale.
In realt molte analisi e ricerche anche da parte di istituti e centri studi
legati ad organismi internazionali,
quali lONU, la Banca Mondiale,
ecc, hanno accertato che la disoccupazione, le disuguaglianze distributive anche legate alla crescita smisurata dei prezzi alla produzione e
al consumo e la sempre maggiore
precarizzazione di un gran numero
di persone nel mercato del lavoro
hanno fatto s che il problema nuova
p o v e rt sia diventato sempre pi
grave e in continua crescita.
La globalizzazione neoliberista,
linternazionalizzazione dei processi produttivi si accompagnano
alla realt di centinaia e centinaia di
milioni di lavoratori disoccupati e
precari in tutto il mondo.
Il sistema fordista ci aveva abituato
al lavoro a tempo pieno e di durata
indeterminata, ora invece un

E MISERIA SOCIALE DI MASSA

grande numero di lavoratori ha un


contratto di breve durata o con orario breve, i nuovi lavoratori possono
essere impegnati per poche ore al
giorno per cinque giorni a settimana, oppure per molte ore al
giorno ma solo per due o tre giorni
a settimana.
Contratti di formazione lavoro,
borse di dottorato, apprendistato,
piani di inserimento professionale,
borse di lavoro, contratti temporanei di anziani in possesso dei requisiti per il pensionamento, lavori socialmente utili e lavori di pubblica
utilit , contratti atipici nella pubblica amministrazione, sono solo alcune delle decine di forme e combinazioni dei lavori atipici. Se guardiamo la situazione dal punto di vista dei lavoratori si hanno insicurezza economica, totale mancanza
di prospettive, difficolt di conciliazione dei tempi, precariet in ogni
fase della propria esistenza, ecc.
E necessario ricordare che laumento della precarizzazione del lavoro porta con s una crescita dellinstabilit del reddito da lavoro; a
ci si aggiunge il graduale abbattimento del welfare soprattutto in
campo previdenziale e sanitario.
Tutto questo fa si che la situazione
peggiori incessantemente e determini uno stato di precariet per-

manente nel e del vivere sociale.


Ed proprio con la flessibilit imposta dalle regole di efficienza di
impresa che si arriva alle condizioni
di lavoro precarie, non continuative
e temporanee nelle quali il lavoratore lasciato a se stesso e si trova
solo davanti allimprenditore con il
quale deve trattare le condizioni
economiche e di tempo del proprio
lavoro.
La nuova condizione del lavoro diventa sempre pi privata dei diritti,
degli ammortizzatori sociali, della
democrazia stessa; il tutto diventa
precario, senza alcuna sicurezza di
continuit.
Tutto ci si aggiunge e non si va a
sostituire alle cosiddette vecchie
forme di povert. I dati ufficiali continuano a segnalare che nei vari Sud
del mondo sono pi di 100 milioni
i bambini che vivono sulla strada,
sono 250 milioni di bambini che lavorano, pi di 300 milioni di bambini sono soldati e pi di un milione
di donne giovani sono obbligate a
prostituirsi. E tali dati non considerano il profondo Sud dove qualsiasi stima impossibile. Basta ricordare solo che l80% della popolazione del mondo vive nei paesi del
Terzo mondo ed ha a sua disposizione meno del 20% della ricchezza
mondiale ed ogni anno oltre 14 mi-

Maggio - Giugno 2004

Lavoro

lioni di bambini muoiono prima di


arrivare a 5 anni.

2. LA

DISINFORMAZIONE

S TAT I S T I C A E L A P O V E RT
D A L AV O R O

Ma come misurare la povert? Chi


viene ritenuto povero e perch, in
base a quali criteri?
Come convezione allinterno della
Unione Europea si adottato come
limite soglia della povert un valore pari al 50% del reddito medio
europeo pro capite, e quindi viene
considerato povero colui che perc e p i s c e
annualmente una quota di denaro pari
o inferiore al 50% del reddito annuale
medio pro capite europeo.

Tab.1. Diffusione della povert nei principali paesi europei (anno 1997)
Paesi

Soglia 50% reddito


medio europeo

Germania
Olanda
Francia
Regno Unito
Italia
Spagna
Grecia

9%
8%
10%
14%
22%
32%
38%

stenti allinterno della classe dei


soggetti al di sotto del 50% di reddito medio pro capite.
Inoltre non va sottovalutato un altro elemento: la crescita del reddito
pro capite medio in Europa, ad
esempio, sinonimo di una maggiore ricchezza o piuttosto dovuto
ad una diminuzione delle nascite e
quindi della popolazione totale? Ed
ancora : per misurare la povert il
conteggio deve essere fatto su base
individuale o familiare?
Ad oggi comunque non vi un indicatore generale valido in assoluto
per la misurazione della povert;
non sussiste un limite fisso e valido
entro cui collocare una persona tra
i poveri o meno; non vi neppure
una unit di base sicura sulla quale
lavorare (che sia reddito o che sia
consumo)1 .
Tra le ipotesi studiate per misurare
la povert vi lindicatore dello svi-

luppo umano HDI (Human


Development Index), che si basa
sulla speranza (o aspettativa) di vita;
sul livello di alfabetizzazione raggiunto
dal paese considerato, sul tasso di
iscrizione alla formazione scolastica; ed
infine dal reddito pro capite. Con questo indicatore si calcola (in percentuale o in valori relativi da 0 a 1) il
valore di ogni singola voce, poi si fa
una media aritmetica per ogni
paese considerato, per avere lindice di sviluppo umano richiesto.
E interessante notare nella tabella
seguente lapplicazione di questo
indicatore HDI nei paesi industrializzati per lanno 1997.
LItalia e la Gran Bretagna raggiungono una percentuale pi alta di poveri rispetto anche a paesi come
Repubblica Ceca , Ungheria e
Polonia. I motivi della povert in
Europa secondo il rapporto - sono

Tab. 2. Indice della speranza di vita al momento della nascita, dei risultati scolastici, del tenore di vita e valore dellindice di sviluppo umano HDI nel 1997 nei
paesi industrializzati

Indice
Paesi industrializati

della speranza dei risultati


di vita
scolastici

del tenore
di vita

di sviluppo
umano
(HDI)

0,90
0,95
0,92
0,92
0,91
0,88
0,89
0,89
0,90
0,89
0,89
0,89
0,91
0,86
0,89
0,89
0,85

0,932
0,927
0,927
0,924
0,923
0,923
0,922
0,921
0,918
0,918
0,913
0,906
0,905
0,901
0,900
0,900
0,894

Fonte Eurostat 1997

Nel Primo "Rapporto sulla povert


in Europa" dellanno 2002 emerge
che, dato come indicatore della soglia della povert la met del reddito medio, tra gli Stati membri
dell'Unione la percentuale pi elevata della popolazione povera tra il
1987 e il 1997 si registra in Italia
(14,2%) e nel Regno Unito
(13,4%).
In realt per questo metodo analizza solo in modo aritmetico il problema in quanto stabilendo la percentuale di coloro che sono al di
sotto del 50% del reddito medio pro
capite si ha una estesa generalizzazione della situazione e non si comprende quale siano le differenze esi-

Canada
USA
Norvegia
Giappone
Belgio
Svezia
Australia
Paesi Bassi
Francia
Regno Unito
Finlandia
Germania
Danimarca
Nuova Zelanda
Italia
Irlanda
Spagna
Fonte: UNDP, 1999

0,90
0,86
0,89
0,92
0,87
0,89
0,89
0,88
0,89
0,87
0,86
0,87
0,84
0,87
0,89
0,86
0,88

0,99
0,97
0,98
0,94
0,99
0,99
0,99
0,99
0,97
0,99
0,99
0,95
0,96
0,98
0,93
0,95
0,95

Maggio - Giugno 2004

da attribuirsi alle ripercussioni geopolitiche del crollo dell'Unione


Sovietica e del blocco dell'Est, che
ha causato la nascita di oltre 150 milioni di "nuovi poveri".
A ci si aggiunge la "recrudescenza
dei conflitti nel mondo - compresa
l'Europa orientale" che ha causato
un aumento del numero di rifugiati,
richiedenti asilo e immigrati. Da ultimo ma non ultimo come importanza si aggiunge l'accelerazione
del processo di globalizzazione neoliberista, "occasione per una pi
grande ingiustizia", denuncia il
Rapporto. Infatti si sono globalizzati anche "la tratta di esseri umani,
il traffico di stupefacenti e il terrorismo internazionale"2.
Si evidenzia ancora la sproporzionata distribuzione delle risorse ; ad
esempio nel Regno Unito il 20%
dei ricchi gode del 43% delle risorse
disponibili mentre il 20% dei poveri
utilizza soltanto il 6,6%.
Tra i nuovi poveri ci sono poi i disoccupati, i lavoratori poveri , gli anziani, le famiglie numerose.
Non ci sono indicatori statistici che
riescono a misurare con un livello
certo linsieme di queste condizioni
di povert, che evidenziano in tutta
Europa un appiattimento verso il
modello USA, con la vecchia povert che si accompagna a lle
nuove forme di povert da lavoro.

3. LA

VIA EUROPEA AL

C A P I TA L I S M O S E LVA G G I O :
C O N V I V E R E C O N L A P O V E RT
D A L AV O R O

E molto importante evidenziare


quanto riferito mercoled 17 dicembre 2003 nella sede dellUE a
Bruxelles:
- BRUXELLES, 17 DIC - In tutta
l'Unione europea a rischio povert il
15% della popolazione con grandi differenze tra paese e paese: dal 10% della
Svezia al 21% dell'Irlanda. Per l'Italia
invece il rischio, secondo i dati del 2001,
riguarda una percentuale del 19%, cos
come per la Spagna. Ma il dato sale al
25% per la fascia di et dai 18 ai 24

Lavoro

anni: un giovane su quattro in Italia,


cos come in Spagna e in Portogallo, e'
a rischio povert. E' quanto rileva un
rapporto della Commissione europea, in
base al quale seppure la percentuale di
poveri negli ultimi anni sia progressivamente diminuita, pi di 55 milioni
di persone e un bambino su cinque sono
minacciati dalla povert.. L'esecutivo
europeo indica che la strada da seguire
per raggiungere l'obiettivo di Lisbona,
di sradicare totalmente la povert entro
il 2010, e' un impegno coordinato tra
gli Stati, la societ civile e le autorit locali e regionali 3.
In sostanza negli anni che vanno dal
1995 al 2001 pur essendo diminuita
la percentuale di persone a rischio
completa povert (si passati dal
17% al 15%) restano comunque oltre 55 milioni le persone minacciate. Tra queste i giovani e i minori
sono tra le categorie pi a rischio
anche perch pesa molto labbandono scolastico (lItalia ha una percentuale del 29% a fronte di una
media europea del 18,5%).
Uno studio della Commissione europea evidenzia che i paesi che investono maggiormente nella protezione sociale (come quelli del Nord
Europa) registrano i pi bassi livelli
di povert (ad esempio la Svezia ha
solo il 10%).
Il Patto di Stabilit e Crescita approvato nel 1997 ha cominciato la
sua verifica nel 1998, anno in cui i
criteri del trattato di Maastricht
sono stati attuati nei paesi dellUE.
I dati dellEuro Panel (ECHP), dellanno 1997 (ultimo anno disponibile) evidenziano che il reddito netto
mediano familiare equivalente rilevato
nei 14 Paesi dellUnione Europea era di
circa 11.623 unit standard di potere
dacquisto; rispetto a questo valore si possono distinguere due gruppi di Paesi:
Austria, Belgio, Danimarca, Francia,
Germania, Olanda e Regno Unito caratterizzati da livelli di reddito superiori
alla media europea; Finlandia, Grecia,
Irlanda, Italia, Portogallo, Spagna e
Svezia, con livelli di prosperit al di sotto
della media 4.
Negli anni che vanno dal 1994 ed il
1997 Italia si avuto un aumento del
divario tra i livelli di reddito fami-

liari nazionali da quelli medi europei, diversamente dalla Grecia,


Portogallo e Spagna paesi nei quali
questa differenza diminuita.
Di solito nei paesi UE con bassi livelli di reddito vi sono disuguaglianze distributive maggiori e viceversa; gli unici due paesi che non rispondono a questi criteri sono il
Regno Unito e il Belgio che hanno
alti livelli del reddito familiare nonostante gli alti valori dell indice di
Gini, che descrive il livello delle disuguaglianze distributive.
Tra i paesi con una migliore distribuzione del reddito vi sono la
Finlandia, la Danimarca, la Svezia e
lIrlanda mentre Grecia, Italia,
Portogallo e Spagna sono quelli con
la peggiore redistribuzione.
Nei paesi dellUnione la percentuale di popolazione che risulta essere povera per pi di due anni consecutivi raggiunge una percentuale
dell11%. Questo valore arriva
all8% per persone povere da pi di
3 anni e al 7% per persone povere
per oltre 4 anni. Il Portogallo risulta
essere il paese con la pi alta percentuale di povert persistente, in
quanto l11,8% della popolazione
resta in condizione di povert mediamente per 4 anni consecutivi. Il
paese invece con la minore diffusione di povert risulta essere la
Danimarca.
Per quanto riguarda invece le retribuzioni nei paesi dellUnione
Europea lo sviluppo dei principi di
flessibilit occupazionale e ladesione al Trattato di Maastricht
hanno portato ad un progressivo
impoverimento dei salari con una
conseguente diminuzione del peso
dei redditi da lavoro sul PIL. Anche
per la struttura e landamento del
salario indiretto le condizioni europee tendono ad avvicinarsi sempre
pi alle determinanti del capitalismo selvaggio anglosassone. Infatti
se si analizzano i sistemi di protezione sociale evidente che negli
ultimi 20 anni si avuto un progressivo deterioramento di ogni sicurezza e di welfare. Infatti in tutti
i paesi dellUE sono stati avviati processi di riforma anche radicale dei

Lavoro

precedenti sistemi di protezione sociale e nei mercati del lavoro, fino a


giungere ad intensi processi di privatizzazione della sanit, della previdenza, dellassistenza. A risentire
sono ovviamente le fasce pi deboli
della societ, quelle prive di lavoro
e quelle sempre pi numerose dei
lavoratori intermittenti, precari e
atipici in genere. La tabella seguente evidenzia la percentuale
delle persone a rischio povert in
ogni paese dellUnione Europea
per gli anni 1995 e 2001.
Tab. 3. Persone a rischio povert nei
paesi UE (anni 1995 e 2001)5
Paesi
Ue
Italia
Belgio
Danimarca
Germania
Grecia
Spagna
Francia
Irlanda
Lussemburgo
Olanda
Austria
Portogallo
Finlandia
Svezia
Gran Bretagna

1995

2001

20
20
16
10
15
22
19
15
19
12
11
13
23
//
//
20

19
19
13
11
11
20
19
15
21
12
11
12
20
11
10
17

Ma il precedente dato va supportato


e analizzato in funzione della potenzialit di povert derivante anche dalla disoccupazione e dal lavoro precario in genere.

4. L A S I T U A Z I O N E I TA L I A N A :
L E C O N O M I A D E L L A
PRECARIZZAZIONE

In Italia (anno 2001), una famiglia


di due persone con una entrata
pari a 559,6 euro mensili considerata appartenente allultima soglia di povert, ossia quella della
povert assoluta; il nord del paese
evidenzia una percentuale dell1,3
%, il centro del 2,3% mentre il

Mezzogiorno del 9,7%.


Vi sono poi i casi di povert estrema
rappresentati da coloro che vivono
senza fissa dimora, dai nomadi, i
clandestini,ecc..
Tale situazione convive con le mille
forme di nuova povert da lavoro.
Una peculiarit del mercato del lavoro italiano fino ai primi anni 90
stata quella di una determinata
struttura soggettiva di una disoccupazione a carattere per lo pi
congiunturale. Infatti la stragrande
maggioranza dei disoccupati rientravano nella classe delle forze di
lavoro pi giovani e potevano
quindi essere considerati inoccupati pi che disoccupati. Questo
portava ad una situazione di relativa sicurezza familiare in quanto
in ogni nucleo familiare vi era almeno un adulto in grado di sostenere la disoccupazione del giovane.
In questi ultimi anni invece la situazione molto cambiata; la
nuova struttura del mercato del lavoro con lintroduzione della flessibilit , dei lavori temporanei e cosiddetti atipici ha diversificato la
composizione per et della disoccupazione6 .
Se si guarda alle tipologie del lavoro i dati ISTAT del 2001 segnalano che le famiglie con almeno
un componente impiegato nel lavoro atipico sono aumentate da
una percentuale del 9,2% nel 1993
ad una del 15,5% nel 2001
Inoltre va ricordato che i lavoratori
atipici sono difficilmente classificabili in quanto offrono una prestazione lavorativa regolamentata in
forma non tradizionale e quindi
non inclusa in un modello di regolare classificazione.
Ci determina che anche le statistiche sulla povert, quella da lavoro, da lavoro povero, siano falsate e non capaci di fotografare la
drammaticit del vivere quotidiano
di milioni di famiglie.
I dati dellISTAT relativi allanno
2001 basati sulla spesa media mensile pari a 814,5 euro, indicano che
una famiglia di due persone viene
classificata povera se spende meno

Maggio - Giugno 2004

di questa cifra al mese per i consumi mensili. Se si considerano le


famiglie con 5 persone il 25% delle
famiglie italiane sono da considerarsi povere. Se si parla di povert
relativa ed il dato arriva al 36% nel
Mezzogiorno. La povert relativa
ovviamente molto connessa alla
disoccupazione e al lavoro precario. Infatti aumenta il numero dei
lavoratori che non riescono ad arrivare alla fine del mese con il loro
salario. E quindi a garantire condizioni di vita minimamente dignitose per s e per la propria famiglia. Negli USA questi lavoratori
sono chiamati working poors ossia
i lavoratori poveri, ai quali pur
avendo un lavoro sono molto vicini
alla soglia di povert assoluta e comunque costituiscono la schiera
dei nuovi poveri da lavoro. In Italia
il numero di questi lavoratori in
continua crescita. I nuovi poveri
sono oggi coloro che non possono
accedere allinformazione, alla cultura, alle garanzie di reddito, sono
coloro che stentano ad arrivare
alla fine del mese; oggi il problema povert riguarda quindi una
larga fascia di persone che lavorano, ma che percepiscono redditi
bassi, non adeguati.
LISTAT osserva che nel 2002 il
22,4% delle famiglie residenti nel
Sud dItalia sono povere mentre al
Nord la percentuale scende al 5%;
al Centro la percentuale del 6,7%.
LISTAT rileva che l11% delle famiglie residenti (ossia 7 milioni 140
mila individui, pari al 12,4% dellintera popolazione) vive in condizioni (stabili o temporanee) di
povert relativa, ossia non hanno
una possibilit di spesa in grado di
garantire loro le normali necessit
della vita quotidiana.
Si calcola che come media un nucleo familiare pu disporre di
meno di 823 euro al mese per sopravvivere. Questo valore rappresenta la linea di povert relativa calcolata su una famiglia composta da
due persone. Questa cifra impiegata per l85% nei bisogni primari
(ossia alimentazione, casa, trasporti, vestiti); solo il 2,8% della

Maggio - Giugno 2004

spesa di un mese impiegato per


listruzione e le spese mediche7 .
Tra le spese pi rilevanti si trovano
senza dubbio la casa e lalimentazione che risultano rappresentare
ben il 31,1% della spesa media
mensile di una famiglia povera, ossia un terzo del totale; questa percentuale per le famiglie pi ricche
invece del 18,3%.
Sempre nellanno 2002 si calcola
che pu considerarsi sicuramente
povero il 5,1% delle famiglie residenti (ossia 1 milione 137 mila famiglie), mentre viene definito appena povero il 5,9%, (ossia 1 milione
318 mila famiglie). La dicitura di
quasi povero per l8% delle famiglie (1 milione 772 mila famiglie).
Quindi ci sono 2 milioni 916 mila
cittadini (5,1% della popolazione)
che sopravvivono in condizioni di
p o v e rt assoluta, ossia che non
hanno la possibilit di nutrirsi adeguatamente, non hanno abitazioni
stabili o comunque confortevoli e
non possono viaggiare, leggere o
comunicare in modo consono.
Va evidenziato che la mancanza di
lavoro influenza molto la condizione di povert dal momento che
pi di un quinto delle famiglie con
un componente in cerca doccupazione povero. Il valore cresce
ad oltre un terzo (37,3%) se i componenti in cerca di lavoro sono due
o pi . La povert relativa incide
molto pi significativamente se ci
si trova nella posizione di lavoratore dipendente rispetto allautonomo e supera il 32% per i soggetti
in cerca di occupazione.
Tre milioni di lavoratori con un salario netto compreso tra i 600 e gli
800 euro, altri tre milioni circa con
una busta paga un po' pi consistente, ma che raggiunge a malapena i 1.000 euro.
I "lavoratori poveri", coloro che
pur lavorando tutti i giorni gravitano intorno alla soglia di povert,
sono oltre sei milioni. Tanti. Dallo
studio emerge un fatto nuovo, particolarmente inquietante: se vero
che il "lavoratore povero" nasce
come prodotto dei contratti atipici,

Lavoro

della flessibilit, del sommerso diffuso, altrettanto vero che oggi il


fenomeno ha ormai raggiunto "anche categorie storiche del cosiddetto "made in Italy", del pubblico
impiego e degli altri servizi, della
piccola e media impresa, dell'edilizia, dell'artigianato. Milioni di lavoratori che sono poveri ma che lavorano, perch hanno un livello di
vita che poco sopra quello di un
disoccupato.
La situazione attuale mostra che la
condizione di disagio e povert riguarda soprattutto i lavoratori precari, i giovani in cerca di occupazione e i pensionati. Ma come si
spiega tutto ci?
In primo luogo va evidenziato che
si avuto un deciso rallentamento
della produzione industriale in
concomitanza ad un forte aumento
dei prezzi ed aumenti salariali che
non hanno rispettato neppure lincremento dellinflazione programmata; si pensi che linflazione reale
ufficiale secondo i dati ISTAT si attesterebbe in media intorno al
2,7% ma gi linflazione cosiddetta
percepita almeno il doppio, e
quella misurata effettivamente sui
beni di consumo quotidiano da
parte di tali categorie di cittadini
pu considerarsi certamente al di
sopra del 15%. Si consideri poi
quanto si perso in termini di salario indiretto con i continui tagli
allo Stato sociale ed anche con il
continuo inasprimento fiscale generale in termini non solo di tassazione dei redditi ma anche dei consumi di prima necessit. In ultimo
non si dimentichino gli incrementi
di produttivit che non sono tornati in alcun modo al fattore lavoro.
Il problema molto serio anche
perch lItalia oltre a registrare
solo il 3,3% di restituzione al lavoro
della crescita di produttivit il resto
stato quasi tutto destinato a rendite e profitti e non ad investimenti
produttivi o ricerca.
Ma occorre chiarire che a risentire
della situazione non sono solo i giovani lavoratori precari o i pensionati al minimo, o i ceti sociali meno

abbienti ma anche e soprattutto gli


appartenenti al ceto medio il
Rapporto Italia dellEurispes del
2004 segnala che il 96,7% degli italiani ha molto risentito nellanno
2003 dei rincari dei prezzi soprattutto nei settori alimentari, dellabbigliamento, ma anche della riduzione complessiva del potenziale salariale.
Il modello produttivo capitalistico
produce ricchezza che si diffonde
per a pelle di leopardo ed caratterizzato dalla scomparsa della
stabilit del lavoro, della sicurezza
economica. I nuovi poveri sono i
professionisti di mezza et, il cosiddetto ceto medio, che molto
spesso non parla e si nasconde per
una sorta di vergogna.
In un sistema sociale in cui vengono rappresentate le varie forme
di esclusione economica diventa
ancora pi evidente la marginalizzazione di settori sempre maggiori
di popolazione a partire dai disoccupati.
Di qui l'urgenza di tornare a parlare a partire dalle condizioni reali
dei lavoratori e non pi in termini
di "media statistica". Riaprire, dunque, la questione salariale, attraverso una nuova politica dei redditi
che passi per la retribuzione completa a salari degli aumenti di produttivit, per il ripristino dellindicizzazione dei salari agli aumenti
del costo della vita, quindi per incrementi reali del salario diretto,
indiretto e differito con rilancio
del sistema pensionistico pubblico,
per una occupazione buona a
pieno salario e pieni diritti per tutti
i cittadini, per la riduzione dellorario di lavoro, per uno Stato sociale di nuova cittadinanza con il riconoscimento immediato di un
Reddito Sociale per disoccupati,
precari, pensionati al minimo.

Note
1 In Italia ci sono 2 fonti principali dei dati
a riguardo: lindagine campionaria sulle famiglie della Banca dItalia e lindagine
ISTAT annuale sui bilanci delle famiglie.

Lavoro

2 Per approfondimenti sulle condizioni sociali dei diversi paesi europei e della modalit di costruzione dellEuropa si veda anche
Arriola J, Vasapollo L. , La dolce maschera
d e l l E u ropa, Jaca Book, 20 04; Cfr.
www.Caritas.it ; Caritas Europa , studio statistico e descrittivo della condizione sociale
nel continente grazie ai contributi di 43
Caritas nazionali.

4 Consiglio Nazionale dellEconomia e del


Lavoro CNEL Commissione per lInformazione Commissione Politica economica SESTO
RAPPORTO CNEL SULLA DISTRIBUZIONE E REDISTRIBUZIONE DEL REDDITO IN EUROPA 2000 2001, Luglio
2002, pag. 9.

3 http://www.ueitalia2003.it/ITA/Notizie

6Cfr. Ministero del Lavoro e delle Politiche


Sociali; Commissione di indagine sullesione

/Notizia_12171735236.htm

5http://www.didaweb.net/fuoriregistro/leg

gi.php?a=4040

Maggio - Giugno 2004

sociale, Rapporto sulle politiche contro la poverta e lesclusione sociale, anno 2003,
Commissione di indagine sullesclusione sociale (istituita ai sensi dell'art. 27 legge 8 novembre 2000, n. 328) , pagg.13-19
7 Cfr. Ministero del Lavoro e delle Politiche
Sociali; Commissione di indagine sullesclusione sociale, Rapporto sulle politiche contro
la poverta e lesclusione sociale, anno 2003,
Commissione di indagine sullesclusione sociale (istituita ai sensi dell'art. 27 legge 8 novembre 2000, n. 328.

Maggio - Giugno 2004

Economia

Nellinsieme dei paesi capitalistici


sviluppati la quota del reddito
da lavoro dipendente
calata di 4 punti percentuali
nellarco di ventanni

La questione
salariale

di Elvio Dal Bosco


Economista

LA RIDUZIONE DEL

a questione salariale fa parte di una


questione molto pi grossa: lattacco al mondo del lavoro sferrato
dalla strategia neoliberista avviata
allinizio degli anni 80 del secolo
scorso, dapprima negli Stati Uniti e
in Gran Bretagna e poi diffusasi in
tutta larea capitalistica sviluppata,
con lobiettivo di annullare le
grandi conquiste strappate dal movimento operaio in materia di condizioni di lavoro e di vita delle
grandi masse lavoratrici fra il 1945
e la fine degli anni 70. Questo attacco si concretizzato nella fine
della piena occupazione e dei salari
reali relativamente alti, che erano
stati i pilastri dello stato sociale, soprattutto nellEuropa occidentale,
ma anche negli Stati Uniti della
Grande Societ di Lyndon Johnson.
Nellultimo ventennio del secolo
scorso la disoccupazione salita fortemente nei paesi che oggi fanno
parte dellarea delleuro e che avevano goduto del pieno impiego o
quasi, mentre in altri lincremento
pi contenuto della stessa da attribuire a trucchi statistici o a metodi di calcolo inaccettabili, come
negli Stati Uniti dove non fanno
parte dei disoccupati coloro che lavorano almeno unora alla settimana; adottando questo metodo,
nellItalia del lavoro sommerso non
ci sarebbe un solo disoccupato.
Nonostante tutte le chiacchiere che

SALARIO COME PARTE DELLATTACCO COMPLESSIVO


AL MONDO DEL LAVORO

si fanno sul nuovo lavoro autonomo, nellinsieme dei paesi capitalistici la quota dei lavoratori dipendenti sul totale degli occupati
aumentata da quasi l83 per cento a
oltre l85 fra il 1979 e il 1999. peggiorata per la qualit di questo tipo
di lavoro, in conseguenza del forte
incremento delle varie forme di lavoro precario: alla fine del periodo
in discorso il lavoro precario ha rappresentato il 50 per cento dei nuovi
occupati in Germania, Francia e
Italia. Sebbene il lavoro a tempo indeterminato si sia ridotto solo di
poco se misurato sulla base non dei
flussi annuali ma delle consistenze,
la richiesta di sempre maggiore flessibilit dei lavoratori invocata dalla
propaganda padronale e governativa ha avuto effetti deleteri sui lavoratori. Da uninchiesta condotta in
Gran Bretagna risulta che il grado
di incertezza sulle prospettive di lavoro fra i lavoratori balzato dal 25
per cento alla fine degli anni 80
all81 per cento nella seconda met
degli anni 90.
Loffensiva neoliberista contro i lavoratori si dispiegata anche nella
distribuzione del reddito fra salari e
profitti; come si ricava dalla tabella
riportata, nellinsieme dei paesi capitalistici sviluppati la quota del reddito da lavoro dipendente calata
di 4 punti percentuali nellarco di
ventanni, a favore del residuo lordo

di gestione, che costituisce una misura approssimata dei profitti. Nei


due paesi in cui la quota invece salita sensibilmente, ci dipeso da
due cause differenti: in Giappone
il risultato della depressione in atto
in quasi tutti gli anni 90, la quale
colpisce di norma maggiormente i
profitti; in Spagna laumento della
quota si ridimensiona fortemente,
se la si depura dellelevato incremento degli occupati dipendenti
sul totale degli occupati, restando di
5 punti percentuali inferiore a
quella raggiunta nel 1979. La forte
diminuzione registrata nellUnione
europea dipesa anche dalla forte
espansione del lavoro parziale, particolarmente marcata nei Paesi bassi, Belgio e Gran Bretagna. Trattandosi di dati lordi, questi sottovalutano la perdita netta dei salari, che
sono stati particolarmente colpiti
dallaumento delle imposte rispetto
ai redditi da impresa, come stato
documentato in uno studio specifico della Banca dItalia che ha interessato i sei principali paesi capitalistici. (Maria Rosaria Marino e
Roberto Rinaldi, Tassazione e costo
del lavoro nei paesi industriali in Temi
di discussione della Banca dItalia,
n.373, 2000 )
Comunque, non si tratta solo di un
andamento sfavorevole del monte
salari, al lordo e ancor pi al netto,
ma emerge anche una forte divari-

Economia

cazione fra i salari bassi e i salari alti,


che si era gi verificata negli anni
80 negli Stati uniti e in Gran Bretagna, paesi antesignani delle politiche neoliberiste con i governi Reagan e Thatcher, ma che ora investe
la generalit dei paesi considerati.
Negli Stati uniti, addirittura, mentre i salari reali del decile pi elevato sono aumentati in misura significativa negli anni 90, quelli del
decile pi basso sono diminuiti.
Secondo i sostenitori del modello
americano, questo sarebbe il risultato della diversa capacit professionale, ma tale interpretazione
contraddetta dal fatto che non si
allargato il divario salariale fra i lavoratori non qualificati e quelli
compresi nella fascia mediana del
reddito, bens quello fra questi ultimi e i lavoratori ad alto reddito.

Quota del reddito da lavoro dipendente


nei maggiori paesi capitalistici
1979

1989

1999

Stati Uniti
65,5
Giappone
57,7
Germania
64,0
Francia
62,8
Italia
51,0
Gran Bretagna 67,5
Canada
61,0
Spagna
54,5
Paesi bassi
65,2
Belgio
64,6
Unione Europ. 63,3
Paesi
capitalistici
62,7

62,7
57,1
61,0
59,9
49,6
63,6
62,2
49,5
57,3
56,9
58,4

61,5
61,9
59,1
61,0
47,6
64,0
60,8
55,7
57,6
58,1
56,3

59,8

59,0

Fonte: elaborazioni da OECD, National


Accounts.

Paul Krugman, in un lungo editoriale sul supplemento del New York


Ti m e s del 20 ottobre 2002, mostra
quanto sono cambiati gli Stati Uniti
negli ultimi trentanni. Egli ricorda
gli anni 50 e 60 della sua giovinezza
in una societ costituita in larga
parte dalla classe media, a seguito
degli impulsi egualitari del New
Deal e del dopoguerra. Nel 1970 lo

0,01 per cento pi ricco aveva un


reddito superiore di 70 volte quello
medio; nel 1998 questo divario
balzato a 300 volte. Quando si affronta questo tema , continua lautore, ci si espone al sospetto di rivangare la lotta di classe o di essere
preda della politica dellinvidia.
Gli economisti ortodossi cercano di
spacciare questa evoluzione per un
portato del processo di modernizzazione, ma in realt un ritorno
allOttocento. Un autorevole sociologo francese, Robert Castel, lo mette bene in evidenza: Lavventura
del lavoro salariato, partito da situazioni miserabili e indegne socialmente, ma poco per volta diventato una situazione relativamente confortevole e relativamente
ben protetta, porta a pensare che
non si debba svendere, abbandonare quella che stata una vittoria
straordinaria sulla vulnerabilit di
massa. Per una buona parte della
popolazione, per secoli la vita era
vissuta alla giornata, per finire a crepare allospizio. Il compromesso sociale degli anni 60-70 ha pi o
meno vinto questo. un progresso
sociale che merita di essere conservato. (il manifesto, 25 marzo 1995)
La caduta dei salari stata imposta
dalle politiche di riduzione del costo del lavoro, spacciate per necessit inderogabili volte a sostenere la
cosiddetta competitivit globale. In
realt, tali politiche oltre che essere
antisociali sono anche un suicidio
dal punto di vista dellefficienza capitalistica, come affermato dal pi
noto studioso di innovazione tecnologica in Germania , Alfred
Kleinknecht, in unintervista concessa a un autorevole settimanale liberale tedesco: I bassi salari impediscono quella che Schumpeter
chiama la distruzione creativa,
giacch le imprese che praticano la
politica dei bassi salari sopravvivono
senza sviluppare nuovi prodotti, togliendo potere dacquisto ai veri imprenditori nel senso schumpeteriano.
Dal punto di vista economico il contenimento dei salari agisce come un
premio per le imprese che non in-

Maggio - Giugno 2004

novano, a scapito delle imprese


pronte al rischio, che creano lavoro
non soggetto a crisi e aperto al futuro. Non solo, ma il veleno dei bassi
salari deprime anche la domanda,
in quanto un debole livello dei consumi impedisce lintroduzione di
nuovi e migliori prodotti. (Die Zeit,
n. 47, 12 novembre 1998).
I paladini dei bassi salari affermano
che il modello americano ha consentito un grande aumento dei posti di lavoro nel periodo in discorso,
rispetto a quanto avvenuto nei
paesi dellUnione europea, dimenticando che in primo luogo cresciuto il numero dei working
poors, cio dei lavoratori che non
guadagnano un salario sufficiente a
vivere al di sopra della soglia di povert. A costoro si pu replicare che
questa non una grande novit: nel
800 la stragrande maggioranza dei
lavoratori si trovava in questa condizione, tanto che veniva definita
"aristocrazia operaia quella esigua
minoranza di lavoratori che avevano un salario dignitoso nei paesi
capitalistici pi progrediti. Grave
la circostanza che a questa pratica si
faccia oggi sempre pi ricorso anche in Europa: in Germania il governo socialdemocratico ha varato
delle leggi che mirano a creare un
secondo mercato del lavoro, costringendo i percettori dei sussidi di
disoccupazione o degli assegni sociali ad accettare lavori con salari inferiori del 30 per cento rispetto a
quelli stabiliti dal contratto nazionale, pena la perdita dei benefici assistenziali.
Il gi citato settimanale ha criticato
di recente la filosofia che sta dietro
a questi provvedimenti governativi,
sostenendo che se unimpresa riduce i salari pu anche migliorare i
suoi conti, ma se lo fa lintera economia nazionale ci non avviene,
perch a questo livello i costi di alcuni sono sempre i redditi di altri.
In questo momento, quindi, tale politica di compressione dei salari sarebbe particolarmente deleteria, in
quanto dal 2001 i consumi delle famiglie stanno calando in termini
reali.

Maggio - Giugno 2004

Internazionale

Sebbene il partito di Sonia Gandhi


rimanga il primo e pi grande partito,
mai prima dora il peso
della sinistra e dei comunisti
era stato cos determinante
nella formazione di un governo
del Paese

India:
Congress Party
e comunisti

di Sergio Ricaldone

LA GRANDE AVANZATA DELLE FORZE DI SINISTRA E DEI COMUNISTI


INDIANI ALLE ULTIME ELEZIONI ASSUME UN SIGNIFICATO CHE OLTREPASSA
LINDIA DIVENENDO POSSIBILIT DI POSITIVO CAMBIAMENTO GEOPOLITICO

el giro di pochi mesi, dopo i risultati di Spagna e Francia, le elezioni


politiche in India confermano la
scarsa credibilit dei sondaggi.
Smentendo tutte le previsioni,
Sonia Gandhi, la ragazza di
Orbassano che 36 anni fa spos
Rajiv ( ucciso nel 91 da un fanatico
Tamil ), bench marchiata dai nazionalisti del BJP come una straniera, incompatibile con la tradizione ind uista, ha guidato il
Congress Party alla vittoria, riuscendo a compiere un impresa
che in molti giudicavano impossibile.
Ma il risultato pi straordinario e
negletto dai media stato la consistente avanzata della sinistra indiana: i due partiti comunisti, il PCI
(m) ed il PCI, ottengono il risultato
pi alto dal 1952 e conquistano 64
seggi al parlamento di Delhi (ne
avevano 41 nel 1998).
Complessivamente i partiti collocati
a sinistra del Congress Party ottengono quasi un centinaio di deputati.
Negli Stati del Bengala occidentale,
Kerala e Tripura (circa 80 milioni di
abitanti) la sinistra si ulteriormente confermata come forza politica maggioritaria.
Sebbene il partito di Sonia Gandhi
rimanga il primo e pi grande partito, mai prima dora il peso della sinistra e dei comunisti era stato cos
determinante nella formazione di

un governo del paese.


Per poter valutare appieno lentit
di questo risultato e la sua incidenza
nel quadro geopolitico internazionale, occorre tenere ben presente le
dimensioni del subcontinente indiano che si estende dagli 8000 metri. della catena himalayana agli
atolli equatoriali delle Laccadive,
che a stento galleggiano sul mare,
ed abitato da oltre un miliardo di
persone.
Queste elezioni hanno visto in competizione quasi 200 partiti disseminati nei 25 stati che compongono
lUnione indiana, nei quali si parlano 18 lingue principali, 1600 minori e pi di 20mila dialetti e con
una percentuale di analfabeti vicina
al 50% della popolazione.
Per giunta lIndia un paese regolarmente sconvolto da enormi contraddizioni di casta, etniche e religiose che lascesa al potere della destra comunalista del BJP hanno reso
ancora pi laceranti.
Il Bharatya Janata Party (partito del
popolo indiano), nato in origine
come braccio politico di gruppi oltranzisti nazi-fascisti, ha cercato in
questi sei anni di governo di ammorbidire la propria immagine di
partito settario ultra nazionalista, riassunta nella parola Hindutva (identit ind) e nello slogan di ispirazione hitleriana, una nazione, un
popolo, una cultura, riciclandosi

come partito ecumenico di centro


destra e tentando di sedurre la piccola e media borghesia dei grandi
centri urbani a partire dalla propria
piattaforma comunalista. Ma dietro
il rassicurante fair-play oxfordiano
del suo leader, Atal Bihari Vajpayee,
apparso in realt uno spietato programma neoliberista infarcito di populismo fascistoide, basato sul dominio totalizzante dellinduismo, il
rifiuto del carattere multietnico, religioso e culturale dellIndia e la formazione di uno stato fortemente
centralizzato.
Insomma, un impasto micidiale che
ha fatto leva sullintegralismo religioso, il nazionalismo esasperato e
lesibizione delle armi nucleari.
Loperazione di marketing della destra ha offerto una immagine mediatica esterna che presenta lIndia
come un paese in pieno boom economico, diventato uno dei centri
mondiali di software e di tecnologie
informatiche. Il messaggio stato
prontamente raccolto e amplificato
dai media occidentali. Simbolizzata
dalla Electronic City di Bangalore (
una sorta di Silicon Valley asiatica),
questa immagine virtuale e patinata
di una lite di quadri scientifici, di
sicura fama e valore, ma pur sempre
una lite, viene sventolata come un
fiore allocchiello dellIndia moderna, ma sono le multinazionali

Internazionale

americane a trarne i maggiori vantaggi: le migliaia di programmatori


e di web designer indiani che lavorano per la Microsoft di Seattle e negli altri giganti informatici della
West Coast ricevono meno di un
quarto dello stipendio dei loro colleghi americani, ma servono ad occultare il completo disastro socioeconomico e politico che ha reso
ancor pi intollerabili le disuguaglianze abissali della societ indiana: 44 indiani su 100 ancora vivono (e muoiono) con un dollaro
al giorno, 35 su 100 sono al di sotto
di questa miserabile soglia.
Le conseguenze di questa politica di
destra sono note: privatizzazioni
portate alle estreme conseguenze,

Sonia Gandhi non ha nascosto


lintenzione di ridare al suo partito
lo slancio delle origini
e nuova forza propulsiva
sul piano sociale
totale deregulation, diminuzione drastica degli aiuti allagricoltura ( due
terzi della popolazione ), distruzione del welfare, apertura selvaggia
al capitale straniero.
Non che queste scelte politiche
della destra, siano state molto difficili: il BJP non ha fatto altro che
spingere allestremo una linea neoliberista gi cavalcata in precedenza
dal governo di Narashima Rao per
conto del Congress Party.
Dunque un deja v accompagnato,
il giorno dopo la sconfitta elettorale
della destra dal puntuale richiamo
dei mercati finanziari ai vincitori
per dimostrare chi comanda chi.
La repentina caduta della borsa di
Bombay, pesantemente ricattatoria
contro la nomina di Sonia Gandhi
a capo del nuovo governo, fa pensare che le pesanti critiche circolate
allinterno del suo partito contro la
spericolata gestione neoliberista
precedente siano state sincere ed

abbiano concorso al cambiamento


di rotta auspicato anche dai partiti
della sinistra ed abbiano perci allarmato i poteri forti dellindustria
e della finanza.
Sonia Gandhi non ha nascosto lintenzione di ridare al suo partito lo
slancio delle origini e nuova forza
propulsiva sul piano sociale. Ed anche se, dicono i comunisti, a dirigere il nuovo governo non ci sar
Sonia Gandhi ma il Dott. Manmohan Singh, non cambia di molto la
situazione. Il sostegno dei partiti di
sinistra al governo non basato sulla
scelta delle persone ma sui programmi e sui principi ispiratori
della sua politica.
Lofferta di collaborazione dei comunisti al nuovo governo unapertura di credito che tiene ovviamente conto dellimpegno manifestato dal Congress di superare le ragioni sociali e politiche del suo
preoccupante declino.
A scanso di equivoci il segretario del
PC indiano (m),compagno Harkishan Singh Surjeet ricorda ai dirigenti del Congress che oltre al comunalismo ed alla corruzione, sono
state soprattutto le politiche economiche che hanno portato alla sconfitta della destra BJP-NDA, persino
in uno stato come lAndhra Pradesh
che era la sua roccaforte.
Ma ricorda anche che una storia
simile si ripetuta nel Karnakata,
dove le politiche economiche adottate non dalla destra ma dal
Congress Party non sono state diverse da quelle del governo centrale, causando perdite elettorali al
partito in questo stato. chiaro che
se centralmente il nuovo governo
seguir le stesse politiche, ormai
screditate, ci offrir alle forze comunaliste nuova linfa vitale, e ci
non deve pi accadere.
Nel momento in cui consegniamo
alla stampa queste note ha proseguito Surjeet il Congress impegnato nella definizione di un programma minimo comune, ed ha
espresso lintenzione di consultare
i partiti amici (). Noi possiamo
solo assicurare al nostro popolo che
ci comporteremo come sentinelle

Maggio - Giugno 2004

dei suoi autentici interessi, che vigileremo affinch il programma concordato rifletta le legittime aspirazioni di chi ci ha votato, per impedire che le potenze imperialiste e le
loro istituzioni possano spadroneggiare. Cercheremo di assicurare
una lotta senza quartiere contro la
corruzione che intacca le condizioni di vita del nostro popolo, assorbendo risorse che potrebbero essere destinate allo Stato Sociale.
Abbiamo anche lintenzione di garantire che la nostra passata e sperimentata politica di non allineamento venga ristabilita in tutti i suoi
aspetti. Insomma, questa non la
fine del viaggio ma il suo inizio ed
una lotta lunga e ardua ci attende.
Mentre alcuni partiti di sinistra parteciperanno direttamente al governo di Manmohan Singh, il comitato centrale del PC indiano (m) ha
deciso formalmente in che modo
garantire il suo sostegno : far parte
dellalleanza diretta dal Congress
che former il governo e, al fine di
garantire un esecutivo stabile e vitale, gli conceder il suo appoggio
esterno.
Il Pci (m) insieme alla sinistra, nellappoggiare il governo, continuer
comunque a svolgere un ruolo indipendente nella difesa di un assetto laico e nellopposizione alla
penetrazione imperialista nella nostra societ . Il Comitato Centrale ha
apprezzato il giudizio espresso da
molti intellettuali ed eminenti personalit, secondo cui la sinistra potrebbe avere una responsabilit diretta nel governo. Il partito intende
assicurare loro che non verr meno
alle sue responsabilit, facendo in
modo che, con un nuovo governo,
le forze democratiche e laiche possano rafforzarsi ed impedire una rivincita delle forze comunaliste.
Il Comitato Centrale del PCI (m) ha
inoltre indicato i punti salienti di
una piattaforma minima che permetta di isolare le forze comunaliste, di avviare politiche economiche
che tutelino gli interessi di tutti i lavoratori e di attuare una politica
estera indipendente:
a) Porre un limite alla penetrazione

Maggio - Giugno 2004

comunalista nelle istituzioni dello


stato, nellistruzione, nella ricerca e
nella cultura.
b) Sviluppare una politica estera indipendente, in linea con le tradizioni di non allineamento dellIndia. Tale politica deve promuovere il multilateralismo e buone relazioni con i nostri vicini, stimolando il dialogo con il Pakistan
c) La politica economica deve
orientarsi a dare priorit alla gente
pi umile, a creare occupazione, a
dare impulso allagricoltura ed a migliorare le condizioni dei contadini
poveri. Il settore pubblico deve
avere un ruolo propulsore e non devono essere privatizzati i settori pi
redditizi.
d) Il sistema pubblico di ridistribuzione deve essere rivitalizzato, con
leliminazione dei programmi previsti che priverebbero larghi strati
della popolazione di prodotti alimentari a basso costo. Deve essere
accresciuta la spesa nella sfera sociale, per promuovere listruzione,
lassistenza sanitaria, il welfare, in
particolare per le classi pi umili.
Unattenzione particolare deve essere assegnata a misure di tutela
della condizione femminile, deve
essere sradicata la legislazione antioperaia vigente.
e) Nellambito delle relazioni tra il
centro e gli Stati devono essere reperite risorse adeguate per gli Stati,
assicurando interessi pi bassi ed
una sostanziale esenzione dal debito.
Non superfluo ricordare che le
proposte dei comunisti indiani al
nuovo governo centrale poggiano,
non su improvvise folgorazioni di
qualche dirigente superdotato, ma
su di unesperienza pluridecennale
di governo alla guida di tre Stati
dellUnione: Kerala,Bengala Occidentale, Tripura.
Sebbene puniti, spesso, dagli investitori, assediati dalle pretese del padronato, del FMI e della BM, e
spesso ostacolati da leggi centrali
inique, leconomia ed il mondo del
lavoro di questi tre Stati hanno potuto compiere progressi neanche

Internazionale

paragonabili ai disastri sociali avvenuti altrove. Non a caso i comunisti


continuano ad essere, dopo pi di
venti anni, i due partiti pi votati e
possono portare in dote al governo
centrale un patrimonio di idee collaudato da concrete realizzazioni
sociali e politiche.
Il richiamo dei comunisti indiani ad
una politica estera indipendente,
diversa da quella praticata dalla destra induista del BJP, merita qualche
nota aggiuntiva.
Innanzitutto occorre rilevare la loro
coerenza con le decisioni assunte a
gennaio a Bombay dal Social Forum Mondiale, in una edizione che
ha visto irrompere nel movimento
antiglobal i grandi movimenti asiatici ed i pi grandi partiti comunisti
del mondo, con tutto quel che ne
consegue in termini di forza e di
prospettiva. La lotta per la pace era
e resta limpegno prioritario del
Social Forum Mondiale che nel documento di Bombay viene titolato,
non casualmente, Il nostro impegno contro limperialismo.
Qualche mese dopo la sinistra comunista indiana avanza e ripropone
come linea di governo, la piattaforma del WSF di Bombay. Non sembra, fatte le debite eccezioni, che ci
stia succedendo in molte altre parti
del mondo.
Ricordando lo sprezzante giudizio
apparso su Liberazione contro i comunisti indiani durante la trasferta
di gennaio al Social Forum Mondiale di Bombay ( sono in questo mondo ma non di questo mondo), viene spontaneo domandarsi con
quanta lungimiranza i saccenti inviati di Liberazione abbiano speso la
loro trasferta cercando di capire se
per caso non esiste qualche similitudine tra le scelte dei comunisti indiani e quelle che Rifondazione,
dopo molte esitazioni, si decisa a
compiere in Italia per battere la destra.
Pur continuando a prospettare il socialismo come passaggio storico inevitabile, la lotta per la pace, concepita nei suoi contenuti antimperia-

listi, rimane oggi uno degli obiettivi


dei comunisti indiani in questa importante tappa della loro marcia in
avanti.
Il richiamo dei comunisti indiani ad
una politica estera indipendente,
sottintende il rilancio di iniziative
politiche e diplomatiche in grado di
restituire allIndia il suo status di
non allineamento.
Non a caso, profittando della destra
al potere a Delhi, Washington ha
cercato di scardinare la tradizionale
politica di equidistanza dellIndia,
arruolandola, senza troppi distinguo, nel proprio disegno strategico
per evitare di trovarsi a dover fare i
conti a breve con un altro gigante
asiatico di dimensioni economiche
e militari simili a quello cinese.

La destra indiana ha,


senza dubbio, accentuato
nei sei anni di governo
il carattere filoimperialista
delle sue relazioni estere

La destra indiana ha, senza dubbio,


accentuato nei sei anni di governo
il carattere filoimperialista delle sue
relazioni estere, aprendo spazi di
collaborazione con limperialismo
americano che hanno inquinato la
politica di non allineamento dei decenni precedenti, ma ha giudicato
altres opportuno evitare ogni gesto
ostile nei confronti di Pechino con
il quale ha mantenuto rapporti di
buon vicinato.
Per quanto paradossale possa sembrare, sono state invece alcune contraddizioni interimperialiste ad impedire che le caute aperture della
destra indiana alle pretese di
Washington assumessero proporzioni allarmanti.
1 ) Laperto sostegno degli Stati
Uniti al Pakistan, nemico dellIndia, ha mantenuto, e persino aggra-

Internazionale

vato, il pericoloso stato di instabilit


alle frontiere del nord-ovest.
Dopo la proclamazione della guerra infinita e linvasione USA dellAfghanistan, il Pakistan diventato
la testa di ponte militare pi avanzata degli Stati Uniti in Asia, ma,
malgrado le pressioni di Wa s h i ngton, i venti di guerra tra i due stati
confinanti, entrambi dotati di armi
nucleari, non hanno mai cessato di
soffiare, alimentati da due integralismi religiosi contrapposti: quello
induista e quello islamico.
Difficile pensare che la destra indiana potesse obbedire a chi sostiene il suo peggior nemico senza
perdere la faccia.
Superare questo latente stato di
guerra che insanguina da decenni
le regioni frontaliere indo-pakistane uno dei punti centrali ri-

chiesti dai comunisti al nuovo governo, che deve riaprire il dialogo e


perseguire una vera pace con il
Pakistan.
2) LIndia titolare di un arsenale
nucleare e missilistico di tutto rispetto e, forse, anche di altre armi
di distruzione di massa (attualmente in costruzione un sommergibile nucleare di grosso tonnellaggio).
Il nucleare stata una scelta del
Congress fin dagli anni 70, dettata
dal bisogno di salire in fretta la scala
gerarchica delle grandi potenze e
come gesto di sfida al sostegno militare di Washington al Pakistan.
La pi grande democrazia del
mondo e la culla della non violenza gandhiana cos diventata
una tigre con i denti al plutonio, e

Maggio - Giugno 2004

la destra del BJP non ha esitato a servirsene come propellente ad uso interno per accrescere, con una dose
di sciovinismo induista, il legittimo
sentimento nazional-patriottico del
popolo indiano.
Ed questo lelemento che, ancor
pi dellinadempienza al trattato di
non proliferazione, irrita la Casa
Bianca, che constata quanto sia difficile mettere il guinzaglio alla tigre
indiana.
Il nuovo governo di centro sinistra
pu dunque rilanciare la sfida del
disarmo nucleare, senza peraltro limitarsi a quello bilaterale IndiaPakistan, ma riproponendo una
trattativa globale, in sede ONU, che
coinvolga tutti gli stati, grandi e piccoli, e senza rilasciare franchigie a
nessuno, tanto meno alle superpotenze.

Maggio - Giugno 2004

Internazionale

Fin quanto non sar fatta chiarezza


sulla sorte dei 42 iracheni
(pi i sette arrestati il 21 maggio)
che gli italiani hanno consegnato
alle forze di coalizione,
noi ci troveremo in presenza
dei primi desaparecidos italiani

Torture
e desaparecidos
in Iraq

di Domenico Gallo

LE RESPONSABILIT DEL GOVERNO ITALIANO

a vicenda del ricorso massiccio e


spregiudicato alluso della tortura
da parte delle forze di occupazione
angloamericane in Irak stata rapidamente metabolizzata dal sistema
politico italiano, dopo che, con rituali dichiarazioni di biasimo, i vertici politici hanno apparentemente
preso le distanze da notizie di cui
(il Governo italiano) era completamente alloscuro relative a fatti
inimmaginabili ed imprevedibili
che fermamente condanna,1 senza
assumere nessun comportamento
conseguente, come se la vicenda
non ci riguardasse.
Invece la vicenda ci riguarda da vicino, a cagione della cooperazione
del contingente militare italiano,
dislocato a Nassiriya, con la CPA
(lAutorit Provvisoria di Coalizione).
La questione non emersa con la
dovuta chiarezza in quanto il dibattito sulla missione militare italiana
in Irak si arrestato sulla soglia dei
profili di legittimit/illegittimit,
opportunit/inopportunit, lasciando in ombra ogni approfondimento sullattivit concretamente
svolta dai militari italiani, in cooperazione con il Comando della CPA.
Al riguardo importante interrogarsi sulle modalit di attuazione
dellattivit di polizia militare
svolta dai Carabinieri e destinata
per forza di cose a realizzare una-

zione di contrasto agli atti di ostilit


nei confronti della Coalizione e del
contingente militare italiano.
bene precisare che si tratta di una
attivit doverosa e necessaria perch, fin quanto c un contingente
di militari italiani (non importa se
inviato legittimamente o illegittimamente), occorre contrastare ogni
possibile attentato.
Qualche giorno dopo la battaglia
del 15 e 16 maggio, nel corso della
quale morto il Caporale Vanzan,
la stampa ha dato notizia che i
Carabinieri hanno fermato sette
persone, sorprese vicino alla rete di
recinzione della Base aerea di Tallil,
dove ospitato anche il grosso del
contingente italiano, che detenevano armi e munizioni da guerra.
Quelle persone probabilmente stavano preparando un attacco contro
postazioni italiane. Bene hanno
fatto, pertanto, i Carabinieri ad arrestarli, sventando possibili atti aggressivi. Tali azioni, dal punto di vista del diritto, si presentano come
delitti contro la personalit dello
Stato italiano, per il quale lart. 7 del
codice penale prevede la punibilit
secondo la legge italiana, dovunque
siano commessi.
Peccato, per, che tali persone non
saranno mai sottoposte ai rigori ma
soprattutto alle garanzie della legge
penale e processuale italiana, in
quanto una norma provvidenziale,

inserita nel decreto legge relativo


alla missione militare italiana in
Iraq, ha legato le mani ai giudici, impedendo loro di procedere, se non
richiesti dal Ministro della Giustizia
e da quello della Difesa.
E allora c da chiedersi che fine
fanno coloro che commettono atti
di ostilit contro le forze della coalizione quando vengono arrestati
dalla polizia militare italiana.
Il mistero stato svelato dal Ministro
della Difesa, on. Martino, che, intervenendo al question time della
Camera, il 12 maggio scorso, ha dichiarato: i dati che attengono alla consegna di soggetti fermati dal nostro contingente alle forze della coalizione ed alla
polizia locale riguardano 573 cittadini
iracheni: di questi 112 sono stati direttamente rilasciati a seguito dei primi accertamenti, 419 sono stati consegnati
alla polizia locale per lulteriore denunzia alla autorit giudiziaria irachena
perch sospettati di reati comuni, 42 sono
stati consegnati al Comando della
Coalizione che esercita il controllo operativo delle forze per aver commesso atti
ostili contro di essa.
A questi soggetti ha precisato il
Ministro deve essere garantito il trattamento previsto dallart. 3 comune alle
Convenzioni di Ginevra: questo precetto
del diritto umanitario stato puntualmente indicato nelle direttive impartite
per la missione Antica Babilonia, richiamando le Convenzioni internazio-

Internazionale

nali e le previste sanzioni.


() I responsabili di attacchi contro le
forze della Coalizione vengono fermati
per non pi di 48 ore e sottoposti ad un
primo accertamento. Ove le indagini
debbano protrarsi, i sospettati vengono
consegnati al comando alleato.
Al riguardo stato firmato un memorandum di intesa con il Regno Unito per
disciplinare il trasferimento dei fermati
e losservanza delle norme del diritto internazionale applicabili in materia di
trattamento dei catturati.
Adesso sappiamo che, mentre da
noi si discute ancora del cosiddetto
mandato darresto europeo, cio
di una procedura semplificata di
estradizione fra gli Stati membri
dellUnione, in Irak le forze della
coalizione hanno gi realizzato, senza tanti fronzoli, una sorta di mandato darresto iracheno.
Per lItalia il mandato darresto iracheno si concretizza nel Memorandum dIntesa con il Regno Unito cui
ha fatto cenno il Ministro Martino.
Tuttavia se tale Accordo disciplina
anche losservanza delle norme del diritto umanitario applicabili ai catturati, occorre fare chiarezza su quali
siano le norme effettivamente applicabili ai catturati, in quanto il richiamo allart. 3 comune alle quattro Convenzioni, per quanto utile,
insufficiente a chiarire lo status
giuridico delle persone arrestate
dalle forze della Coalizione.
Infatti, le persone in questione non
sono n feriti o malati delle forze armate in Campagna (situazione disciplinata dalla I Convenzione) n
naufraghi delle forze armate sul
mare (situazione disciplinata dalla
II Convenzione), n prigionieri di
guerra (situazione disciplinata dalla
III Convenzione), in quanto secondo il Ministro della Difesa
Martino, lItalia in Irak non sta combattendo alcuna guerra.
Di conseguenza lo status giuridico
di tali persone ricade nella dettagliata disciplina prevista dalla IV
Convenzione di Ginevra, che regola
la condizione delle persone che vivono nei territori soggetti ad occupazione militare da parte di una
Potenza belligerante.

assolutamente pacifico, ed stato


ribadito in pi occasioni dal Consiglio di Sicurezza dellONU (in particolare con la Risoluzione n. 1483
del 21 maggio 2003) che le Potenze
occupanti ed i Paesi alleati che collaborano con le forze della Coalizione debbano rispettare scrupolosamente tutte le obbligazioni nascenti
dalla IV Convenzione di Ginevra e
dagli altri strumenti internazionali
che regolano la condizione dei territori occupati.
La IV Convenzione, com noto,
detta delle norme stringenti a tutela
delle persone che vivono nei territori occupati che, proprio per tale
motivo, sono considerate persone
protette. La Convenzione consente soltanto due misure privative
della libert personale delle persone protette: linternamento e limprigionamento.
Ai sensi dellart. 78, linternamento
pu essere disposto dalla Potenza (o
dalle Potenze occupanti) soltanto
per imperiosi motivi di sicurezza.
Il provvedimento che dispone linternamento deve essere adottato in
conformit ad una procedura che
preveda il diritto dappello degli interessati. Qualora lorgano di appello
confermi la decisione di internamento, tale decisione non vale per
leternit, in quanto deve essere sottoposta ad una revisione periodica
possibilmente semestrale, a cura di un
organismo competente (vale a dire un
organo giudiziario) istituito dalla
Potenza occupante.
La seconda misura privativa della libert consentita limprigionamento attuato nellesercizio del potere di perseguire penalmente le
persone protette che commettano infrazioni alle norme penali
che la Potenza occupante ha il potere di emanare, nei limiti di cui allart. 64, a tutela della regolare amministrazione del territorio e dei
membri delle proprie forze armate.
Tale potere di esercizio dellazione
penale regolato da una serie di
norme (gli articoli da 68 a 77), che
prevedono che ai catturati debbano
essere applicati i principi del giusto processo.

Maggio - Giugno 2004

In particolare la Convenzione prevede che ogni imputato debba essere informato senza indugio dei
capi daccusa addebitatigli e che la
sua causa debba essere istruita il pi
rapidamente possibile (art. 71).
Il dibattimento deve essere pubblico, salvo imperiosi motivi di sicurezza, mentre ogni imputato ha il diritto di essere assistito da un difensore che pu scegliere liberamente
e che ha facolt di visitarlo liberamente.
Tali disposizioni, a differenza di analoghe normativa in materia di diritti
delluomo, non possono essere derogate per ragioni di emergenza, in
quanto il diritto umanitario disciplina proprio situazione di emergenza e quindi non ammette deroghe.
Sono queste le norme del diritto internazionale dei conflitti armati al
cui rispetto vincolato il contingente militare italiano, come le
forze delle altre Potenze occupanti.
A questo punto c da chiedersi se
una Potenza occupante, sulla quale
gravano specifici obblighi relativi al
trattamento delle persone in suo
potere, si pu scaricare di tali obblighi, trasferendo tali persone ad
altre Potenze alleate.
Anche questa situazione prevista
dal diritto bellico, che consente una
sorta di estradizione extragiudiziaria, sottoponendola, per, a delle rigorose condizioni restrittive.
Lart. 45 della IV Convenzione (e
lanalogo art. 12 della III), infatti,
prevede che:Le persone protette non
potranno essere trasferite dalla Potenza
detentrice ad una Potenza partecipante
alla Convenzione, se non dopo che la
Potenza detentrice si sia assicurata che
la Potenza di cui si tratta, desidera ed
in grado di applicare la Convenzione.
Quando le persone protette siano, in tal
modo trasferite, la responsabilit dellapplicazione della Convenzione incomber alla Potenza che ha accettato di
accoglierle per il tempo durante il quale
le saranno affidate.
A questo punto occorrerebbe accertarsi se il Memorandum dIntesa stipulato fra lItalia ed il Regno Unito
contenga le necessarie assicurazioni

Maggio - Giugno 2004

e garanzie che lInghilterra e gli Stati Uniti (nelle cui mani i detenuti finiscono dopo essere transitati attraverso gli Inglesi) desiderano e sono
in grado di applicare le norme della
Convenzione (che, come abbiamo
visto, non si esauriscono nellarticolo 3).
Purtroppo questo accertamento
non possibile, in quanto il testo del
Memorandum non stato divulgato, sebbene, rientrando nella categoria degli Accordi internazionali
(di natura semplificata) avrebbe dovuto essere pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, ai sensi della legge 11 dicembre 1984 n. 839.
Le autorit italiane, anche a prescindere dalla conoscenza o meno
della pratica della tortura, non potevano ignorare che nessuna disposizione delle autorit di occupazione americane assicura ai detenuti, sospettati di attivit ostili, il diritto ad un giusto processo, con le
garanzie della difesa, come previsto
dalla III e IV Convenzione di Ginevra.
In questa vicenda non ci sono avvocati, non ci sono imputazioni da cui
difendersi, non ci sono dibattimenti
pubblici innanzi a giudici imparziali. chiaro che le Convenzioni internazionali non consentono la
consegna dei catturati se questi

Internazionale

sono destinati ad un trattamento di


tipo Guantanamo. Del resto, ove i
detenuti siano privati di ogni diritto
e sottoposti ad un potere incondizionato ed illimitato da parte della
Potenza detentrice, la tortura non
pu essere pi un accidente, ma
diventa unistituzione.
Per questo motivo la consegna alle
autorit militari inglesi (e per tramite di esse agli americani) delle
persone catturate dal contingente
italiano fallisce i criteri di ammissibilit indicati dallart. 45 della IV
Convenzione (e 12 della III), con la
conseguenza che lItalia, di fronte
al diritto internazionale e di fronte
al suo stesso diritto interno, rimane
responsabile del trattamento che
queste persone subiscono o hanno
subito.
A questo punto occorre accertare
che fine hanno fatto le persone che
noi abbiamo consegnato alle altre
Potenze occupanti. Occorre domandarsi se siano ancora in vita o
siano stati sottoposti a torture o ad
altri trattamenti inumani, o sia stata
applicata nei loro confronti la pena
di morte, magari in via preventiva,
com successo ad un numero imprecisato di detenuti iracheni torturati dagli americani.
In realt proprio la possibilit che
venisse applicata la pena di morte,

rendeva la consegna dei catturati


iracheni giuridicamente impossibile, anche in presenza di precise garanzie. Ha statuito, infatti, la Corte
Costituzionale con la nota sentenza
relativa al caso di Pietro Venezia 2
che: nel nostro ordinamento, in cui il
divieto della pena di morte sancito
dalla Costituzione, la formula delle
sufficienti assicurazioni, ai fini della
concessione dellestradizione per fatti in
ordine ai quali stabilita la pena capitale dalla legge dello Stato richiedente,
non costituzionalmente ammissibile. Il
divieto contenuto nell'art 27, quarto
comma, Cost.. ed i valori ad esso sottostanti, primo fra tutti il bene essenziale
della vita, impongono, infatti, una garanzia assoluta.
Fin quanto non sar fatta chiarezza
sulla sorte dei 42 iracheni (pi i sette
arrestati il 21 maggio) che gli italiani hanno consegnato alle forze di
coalizione, noi ci troveremo in presenza dei primi desaparecidos italiani.
Note
1 Dalle dichiarazioni del Ministro della
Difesa, on. Martino, alla Camera dei
Deputati, seduta del 12 maggio 2004.
2 Corte Costituzionale, sentenza n. 223 del

27 giugno 1996

Maggio - Giugno 2004

Internazionale

C da sperare che il corso


bolivariano in Venezuela
e lelezione del presidente Lula
in Brasile segnano linizio
di una nuova fase
della storia latinoamericana

La riforma
del sistema
interamericano

di Roberto Regalado lvarez


Comitato Centrale del PC cubano

AMERICA LATINA E CARIBE NEL NUOVO ORDINE MONDIALE

uesto articolo intende sintetizzare i


risultati, parziali, di una ricerca sulla
riforma del sistema interamericano
nella sua qualit di sotto-processo
nellimposizione del cosiddetto
nuovo ordine mondiale, il cui obiettivo listituzionalizzazione di un
cambiamento qualitativo nei rapporti di potere continentale che
acuisce la crisi politica, economica
e sociale nellAmerica Latina e nel
Caribe. Questa analisi abbraccia gli
ultimi quattro decenni del XX secolo. Lipotesi esposta che tale periodo, il pi recente della storia contemporanea latinoamericana, si
possa suddividere in tre fasi.
La prima inizia con la vittoria della
Rivoluzione cubana nel gennaio
1959 ed caratterizzata dallacuirsi
della crisi economica, politica e sociale dovuta allesaurimento dellaccumulazione "sviluppista" basata sullampliamento del mercato
interno dei paesi della regione, dallintensificarsi delle lotte popolari
provocate dalla crisi compreso lestendersi dei movimenti armati sorti
nel calore dellesperienza cubana ,
e dalloffensiva imperialista controrivoluzionaria e controinsurrezionale che raggiunge lapice con i
colpi di stato in Cile, Uruguay e Argentina.
La seconda si apre nel luglio del
1979 con la vittoria della Rivoluzione popolare sandinista in

Nicaragua, e rappresenta la localizzazione nellAmerica Centrale del


vortice della lotta fra le forze rivoluzionarie e linterventismo imperialista lotta gi decisa a sfavore degli interessi popolari nella maggior
parte dellAmerica meridionale e
nellisola-stato di Grenada , sul cui
sfondo si svolge un conflitto fra laffermazione della sovranit di tutta
lAmerica Latina e lintenzione di
sottometterla ad un grado qualitativamente superiore di dominazione
esterna.
La terza inizia nel 1990 con il lancio dellIniziativa Bush, il cui intento di fondo listituzionalizzazione di un nuovo sistema di dominio continentale da raggiungere attraverso la riforma della Carta
dellOrganizzazione degli Stati
Americani (OSA), gli accordi dei
Vertici delle Americhe e i negoziati
dellArea di Libero Commercio
delle Americhe (ALCA).
Bench sia pi facile analizzare il
passato che valutare il presente o
predire il futuro, c da sperare che
il corso bolivariano in Venezuela e
lelezione del presidente Lula in
Brasile segnano linizio di una
nuova fase della storia latinoamericana, nel quale, se pure non si risvegliano le forze di una rivoluzione
sociale in grado di trovare soluzioni
di fondo ai problemi della regione,
almeno frenino il processo di trans-

nazionalizzazione e di denazionalizzazione.

IL

NUOVO ORDINE MONDIALE

Nel passaggio fra gli anni sessanta


e settanta del XX secolo, limperialismo aveva la necessit di ristrutturare il sistema delle relazioni internazionali. Esaurita la crescita economica del dopoguerra e saturati i
mercati dei "Primo mondo", i monopoli transnazionali si vedevano
costretti ad assumere direttamente
il controllo delle principali risorse
naturali, industrie, servizi e mercati
in Asia, Africa e America Latina, che
sino ad allora erano stati considerati
di facile accesso o catalogati come
secondari e che, di conseguenza, venivano conservati come propriet
da parte degli stati e delle borghesie nazionali di queste regioni. Tale
espansione obbligava ad imporre signorie economiche, politiche, giuridiche ed ideologiche universali, al
fine di creare condizioni uniformi
per la riproduzione del capitale in
qualsiasi punto del pianeta. Tuttavia, prima di prendere il comando
di questa ristrutturazione di tutto il
sistema di relazioni internazionali
del dopoguerra, limperialismo
nordamericano doveva risolvere le
contraddizioni intestine sorte allinterno del proprio ambito di po-

Maggio - Giugno 2004

tere, soffocare le proteste sociali che


scrollavano il proprio paese e scegliere fra una politica estera conciliatrice o aggressiva.
Lavvio del nuovo ordine mondiale
ha inizio con londata generale del
neoliberismo scatenata subito dopo
le vittorie elettorali di Margaret
Tatcher in Inghilterra (1979) e di
Ronald Reagan negli stati Uniti
(1980). Non sar tuttavia che con la
scomparsa dellUnione Sovietica e
la fine del bipolarismo che limperialismo trover le condizioni per
istituzionalizzarlo. Nel nuovo sistema di dominio limperialismo
esercita direttamente quote fondamentali di potere politico ed economico che precedentemente gestiva con la mediazione delle borghesie del "Terzo Mondo", e questo
implica leliminazione dei margini
di sovranit, autodeterminazione
ed indipendenza di cui queste lite
subordinate potevano disporre.
Tale mutamento si manifesta con
ladozione di funzioni e poteri
transnazionali da parte delle grandi
potenze imperialiste e in particolare da parte dellimperialismo
nordamericano; con la trasformazione degli organismi internazionali e regionali, delle alleanze militari e delle istituzioni finanziarie sovrannazionali in strumenti incaricati di svolgere un ruolo complementare allazione diretta delle
grandi potenze; e con il mutamento
di funzione degli stati dipendenti
perch agiscano come ingranaggi
di una macchina di potere al cui interno essi svolgono ruoli politici locali ma di fattura transnazionale.
Il disegno di societ che corrisponde al nuovo ordine mondiale
quello della "democrazia neoliberista". Questa caratterizzata da un
culto della democrazia rappresentativa, definita nei suoi aspetti formali (pluripartitismo, elezioni periodiche, voto segreto, alternanza
governativa e cos via), ma operante
in uno stato nazionale sprovvisto
delle capacit di esercitare un potere politico reale, e pertanto incapace di confrontarsi alle richieste
sociali, in particolare alle richieste

Internazionale

di ridistribuzione della ricchezza; e


inoltre caratterizzata da un complementare concetto di diritti
umani che enfatizza le libert civili
destinate a legittimare questo esercizio antidemocratico, ma che
esclude anche quando lo accetta
a parole il soddisfacimento dei diritti economici e sociali e con la trasformazione dello stato dipendente
in un agente del trasferimento della
ricchezza allestero.

LA

RISTRUTTURAZIONE

DEL SISTEMA INTERAMERICANO

Per risorse naturali, infrastrutture,


forza lavoro qualificata e mercati di
relativa importanza, lAmerica
Latina una delle regioni verso le
quali si protende la voracit dei monopoli transnazionali, avidi di appropriarsi dei mercati di capitali,
dei beni e dei servizi creati dagli stati
e dalle borghesie nazionali nel
corso della fase di sviluppo. Nonostante tale concentrazione transnazionale della propriet e della produzione avanzi mediante lassorbimento e la distruzione dei capitali
locali (in altre parole, bench il processo di transnazionalizzazione provochi lannichilamento della classe
capitalistica latinoamericana), le
lite della regione vi si sottomettono grazie ad un misto di imposizioni e di complicit.
Per la sua vicinanza geografica con
la principale potenza imperialista,
in America Latina il radicamento
del nuovo ordine mondiale si produce in primo luogo per mezzo
della riforma del sistema interamericano. Questo significa che non
solo la regione deve sottomettersi
agli ordini dellimperialismo "in generale", come sono imposti a tutti i
paesi dipendenti, ma anche agli specifici ordini dellimperialismo statunitense. Se certamente a partire
dagli anni sessanta che le amministrazioni nordamericane di John F.
Kennedy e di Lyndon B. Johnson si
accorgono della crisi del dominio
continentale, non che dal 1991
che George Bush (padre) riesce a

mettere insieme tutte quelle premesse che permettono di istituzionalizzare il nuovo sistema.

GLI

A N N I S E S S A N TA
E S E T TA N TA

Francisco Zapata individua la vittoria della Rivoluzione cubana nel


gennaio 1959 e il colpo di stato in
Brasile del marzo 1964 come gli avvenimenti che segnano cronologicamente quel che oggi, del tutto
propriamente, si pu definire linizio della periodizzazione pi recente della storia contemporanea
dellAmerica Latina1. A partire dagli anni cinquanta, i progressi della
ricostruzione europea provocavano mutamenti fondamentali nel
contesto internazionale e nella situazione interna latinoamericana.
Lesaurirsi dello schema "sviluppista" di accumulazione causato
dalla riduzione della domanda
mondiale di beni primari distruggeva gli equilibri sociali e politici
consolidatisi a partire dalla crisi del
19292. La situazione dei mercati statunitense ed europei spingeva i monopoli transnazionali a competere
per la conquista di quelli latinoamericani. Uno sguardo retrospettivo evidenzia come limperialismo
nordamericano si sentisse obbligato a distruggere le organizzazioni
della sinistra in grado di prendere
la guida della resistenza contro la
nuova penetrazione monopolistica,
a disarticolare le alleanze sociali e
politiche consolidatesi durante il
periodo "sviluppista" ed a trasformare lo stato latinoamericano
sino allora dedito alla protezione e
alla crescita del mercato interno
nel principale agente di un processo di transnazionalizzazione e
denazionalizzazione.
La tappa della "pacificazione sociale" dellAmerica Latina stata caratterizzata, nella sua prima fase, dai
pi diretti propositi di distruggere
la Rivoluzione cubana e, in tutto il
suo corso, dal faccia a faccia fra le
forze politiche e sociali prodotte
dalla crisi da una parte compresi

Internazionale

i movimenti polito-militari che sispiravano allesperienza cubana e


la repressione con la quale limperialismo vi si opponeva. Repressione
che non si limit a combattere la
lotta armata, ma che si spinse sino
alla distruzione dei partiti politici e
delle organizzazioni sociali della sinistra e, in molti casi, anche di centro e di destra, perch comprensibilmente non si trattava solo di scongiurare la "minaccia del comunismo" ma piuttosto di servirsi di questa per azzerare ogni rimanenza
dello "sviluppismo".
Lostilit contro la Rivoluzione cubana e gli avvenimenti compresi fra
la fase finale della dittatura di
Trujillo e limposizione del governo

Il punto culminante
delle dittature militari
quello che ha inizio
con i colpi di stato in Cile (1973)
e in Argentina (1976)

di Balaguer nella Repubblica


Dominicana, furono utilizzati per
consolidare il ruolo del sistema interamericano in quanto meccanismo di ingerenza e interv e n t o .
Questo avvenne grazie allaffermarsi dellappoggio collettivo alla
"democrazia rappresentativa", la
cui difesa verr convertita anni pi
tardi nel pilastro della dottrina di sicurezza dellintero emisfero, ed
inoltre per giungere alla creazione
di un Comitato Consultivo di
Sicurezza per mezzo del quale si mirava allintento sino ad oggi tuttavia infruttuoso di creare una forza
militare interamericana, e di trasform are, con la complicit
dellOSA, linvasione statunitense
della Repubblica Dom inicana
(1965) in unoccupazione militare
e in una iniziatica "panamericana".
Nonostante i progressi nellutilizzo

dellOSA come meccanismo di dominio, non stato tuttavia il sistema


interamericano a svolgere il ruolo
principale nella "pacificazione"
dellAmerica Latina. La strategia
anti-inserruzionale punt invece
tutto sulla preparazione, fornitura
di consiglieri ed equipaggiamento
delle forze armate attraversi il
Programma di Assistenza Militare
degli Stati Uniti, congiuntamente
agli aiuti forniti dai servizi speciali
di questo paese ai corpi latinoamericani pi repressivi.
Il punto culminante delle dittature
militari quello che ha inizio con i
colpi di stato in Cile (1973) e in
Argentina (1976). bene sottolineare che, nel caso del Cile, non esisteva affatto la "giustificazione" di
una lotta armata rivoluzionaria per
dare fondamento allazione militare, ma che il golpe si fatto contro un governo costituzionale e grazie ad una campagna di destabilizzazione diretta dal governo Nixon3.

GLI

A N N I O T TA N TA

Il decennio degli anni ottanta


stato caratterizzato da unintensificazione senza precedenti delle contraddizioni fra limperialismo nordamericano e i circoli politici ed economici dominanti in America
Latina. Lallineamento del governo
degli Stati Uniti con quello della
Gran Bretagna nella guerra delle
Malvine (Falkland) mentre tutta
lAm erica Latina appoggiava
lArgentina rivelava che il Trattato
Interamericano di Assistenza
Reciproca (TIAR) funzionava unicamente a beneficio degli interessi
imperialistici e nella logica della
guerra fredda. Linvasione di
Grenada dimostrava poi lintenzione statunitense di tornare al ricorso dellinterventismo militare
nella regione. Lappoggio alle dittature entrava in contraddizione
con i settori borghesi che avendo
pur appoggiato e tollerato i colpi di
stato non avevano potuto sottrarsi
alle loro conseguenze e ora invocavano la "democratizzazione". Nella

Maggio - Giugno 2004

nazioni in cui vigeva la democrazia


liberale, le classi dominanti temevano che un intervento militare straniero in Nicaragua potesse fare catalizzare unondata di proteste capace di acuire gli squilibri politici e
sociali. In questo contesto, inoltre,
la crisi del debito estero si convert
nella principale minaccia alla stabilit latinoamericana.
La politica di Reagan non badava a
"sottigliezze" che potessero aggravare la situazione della borghesia latinoamericana. La "nuova destra" di
cui era espressione si proponeva di
distruggere le rivoluzioni cubana,
nicaraguense e di Grenada, di puntare allintensifica zione della
guerra controinsurrezionale in El
Salvador, Guatemala e Columbia, di
utilizzare la lotta contro il narcotraffico come pretesto per aumentare la presenza militare statunitense in America Latina, e di criminalizzare la sinistra e di bandire
qualsiasi ipotesi di alternativa al
neoliberismo.
Le contraddizioni fra i governanti
statunitensi e latinoamericani finirono con lannullare ogni effettiva
capacit del sistema interamericano
per tutti gli anni ottanta, e spinsero
alla creazione del Gruppo di
Contadora e del Gruppo di appoggio a Condadora fusi pi tardi nel
Gruppo degli Otto quale strumento di concertazione politica latinoamericana, estraneo dallinoperante OSA, per promuovere una
soluzione politica del conflitto centroamericano che servisse ad evitare lintervento militare degli Stati
Uniti in Nicaragua diventato ormai il tema ossessivo delle relazioni
interamericane, al quale si aggiunse
poi quello della politica draconiana
con cui lamministrazione Reagan
reagiva alla crisi del debito estero.
Tale crisi del sistema interamericano port allordine del giorno la
riforma della Carta dellOSA, originariamente concepita per gettare
delle basi che permettessero ai governi latinoamericani di comporre
i propri diversi punti di vista con
quelli degli Stati Uniti su un piede
duguaglianza. In analoga dire-

Maggio - Giugno 2004

zione puntavano le richieste al reintegro di Cuba nellOSA, con lintento di aumentare il peso del
blocco latinoamericano nellorganizzazione. Alla fine degli anni ottanta e allinizio degli anni novanta
le relazioni interamericane vennero tuttavia scosse sotto limpatto
della rottura dellordine mondiale
bipolare.
La crisi terminale dellUnione
Sovietica si ripercuoteva nellindebolimento dellappoggio esterno
alla Rivoluzione popolare sandinista, che soccombeva nelle elezioni
del novembre 1990, dopo la firma
degli Accordi di Esquipulas. In un
breve lasso di tempo si produceva
lintegrazione negoziata nella vita
politica legale del FMLN di El
Salvador e della URNG del Guatemala. Inoltre erano in molti a dubitare che la stessa Rivoluzione cubana potesse sopravvivere senza gli
aiuti dellUnione Sovietica. In questo contesto, il Gruppo degli Otto,
vedendosi obbligato a riconoscere
gli effetti della politica del "doppio
binario" degli Stati Uniti nellAmerica Centrale4 riconosceva pure
i limiti verso cui era disposto a portare le proprie divergenze con limperialismo. Tale strumento di concertazione adottava il nome di
Gruppo di Rio, e si proponeva di
dare spazio a nuovi membri e di
trarre profitto dellesperienza accumulata in funzione della difesa degli interessi delle borghesie latinoamericane assediate dalla penetrazione monopolistica. Esso tuttavia
vedeva la luce al momento dellunipolarismo mondiale e dellondata neoliberista.

GLI

A N N I N O VA N TA

A partire dalla fine degli anni ottanta, il Piano Brady istituzionalizzava la conversione del debito
estero latinoamericano in un nuovo
meccanismo di dominio e di penetrazione, pur facendolo con unapparente flessibilit in confronto alla
politica imposta precedentemente
sotto la presidenza Reagan. In tale

Internazionale

contesto, il lancio nel 1990 dellIniziativa Bush, e in particolare il progetto di creare unArea di Libero
Commercio delle Americhe (AL
CA), si convertiva nel volano per una
svolta a 180 gradi nellatteggiamento dei governi latinoamericani
nei confronti dellimperialismo. A
partire dallabbozzo dellALCA, lillusione del libero accesso al mercato
nordamericano non solo port i governi latinoamericani a sotterrare le
proprie differenze rispetto a
Washington e ad aggregarsi alla riforma del sistema interamericano,
ma anche a vincere le proprie resistenze a pagare i costi della ristrutturazione neoliberista.
Con la "disattivazione" del conflitto
in America Centrale, linvasione
che rovesci il governo del generale
Manuel Antonio Noriega a Panama
(1991) e linizio di una nuova campagna di isolamento contro Cuba,
limperialismo completava linsieme delle necessarie premesse per
imporre una riforma del sistema interamericano basata su tre pilastri:
far passare la difesa collettiva della
democrazia rappresentativa quale
pietra angolare della dottrina di sicurezza dellemisfero, limposizione dellALCA come meccanismo
di istituzionalizzazione dellintegrazione in posizione dipendente
dellAmerica Latina, e laumento
della subordinazione delle forze armate latinoamericane, congiuntamente allincremento della presenza militare statunitense nella regione.
Mediante lapprovazione dellImpegno di Santiago per la democrazia rappresentativa da parte dellAssemblea
Generale dellOSA tenutasi in Cile
nel 1991, il governo degli Stati Uniti
otteneva di poter avviare conformemente ai suoi propositi il processo di riforma della Carta
dellOSA. Una volta affermato il carattere della democrazia rappresentativa come "unica forma legittima di governo" nel continente,
limperialismo avrebbe promosso
e i governi latinoamericani avrebbero fatto propria linclusione
della "clausola democratica" in tutti

gli organismi, assemblee e accordi


regionali, subregionali e bilaterali.
Dopo aver stabilito le regole del
nuovo sistema di dominio continentale con la riforma della Carta
dellOSA, al primo Vertice delle
Americhe limperialismo riusciva a
fare un nuovo passo verso la sua istituzionalizzazione. I rappresentanti
de 34 paesi del continente (tutti, ad
eccezione di Cuba) stipulavano pi
di centoventi accordi e deliberazoni
che dettavano le norme della sua attuazione in tutti gli ambiti della vita
politica sfera militare e della sicurezza comprese , economica, sociale e culturale; fissavano lobbligatoriet della realizzazione di tali
accordi e deliberazioni, soggetti a

La crisi terminale
dellUnione Sovietica
si ripercuoteva nellindebolimento
dellappoggio esterno alla
Rivoluzione popolare sandinista,
che soccombeva nelle elezioni
del novembre 1990
meccanismi sovrannazionali di controllo e dimposizione di sanzioni, e
davano inizio alla fase di applicazione, in particolare con il negoziato dellALCA fissado lobiettivo
di fine lavori nel 2005. Un ulteriore
passo in avanti di grande rilevanza
si sarebbe verificato nel momento
di isteria scatenata dallimperialismo in occasione degli attentati terroristici dell11 settembre del 2001.
Dopo mesi di duro negoziato, solo
poche ore dopo la distruzione delle
Torri gemelle, veniva approvata a
Lima la Carta Democratica dellOSA,
che riafferma la deliberazione da
parte dei governi del continente a
proposito della democrazia neoliberale e ufficializza la creazione di
meccanismi di ingererenza e dintervento per garantire la sua stretta
osservanza. La funzione di garante

Maggio - Giugno 2004

Internazionale

degli interessi imperialistici di tale


accordo dimostrata dalla complicit della maggioranza dei suoi firmatari con il fallito colpo di stato
contro il presidente del Venezuela
Hugo Chavez.
I propositi di un simile reticolo di
accordi in difesa della democrazia
rappresentativa sono, nellordine:
stimmatizzare, discriminare e isolare Cuba, per il suo essere lunico
paese in cui non domina il sistema
capitalistico; mettere in opera e legittimare un meccanismo dintervento in grado di render vana la vittoria di futuri processi di orientamento popolare in America Latina;
e di evitare che le forze armate di
qualche paese della regione, per
propri interessi, possano essere protagoniste di un colpo di stato non
autorizzato, che metta in peicolo il
nuovo sistema di dominio.
In relazione allALCA, bench i negoziati siano ancora in corso, prevedibile che limperialismo nordamericano non raggiunga con la
sperata firma degli accordi nel 2005
il cento per cento dei suoi obiettivi.
Essendo obbligato a demandare
allOrganizzazione Mondiale del
Commercio (WTO) la soluzione
della definizione dei termini relativi
alle spese governative, alla propriet intellettuale e alla protezione
in ambito agricolo, sembra che il governo degli Stati Uniti dovr rinunciare allidea che lALCA sia unaccordo d"un solo pezzo" che le sue
controparti latinoamericane siano
obbligate ad acettare in blocco.
Tuttavia questaccordo istituzionalizzer uno schema di dominio e di
subordinazione politica ed economica che presuppone la rinuncia ad
unintegrazione latinoamericana
indipendente e che rafforzer il
processo di disintegrazione dei legami produttivi nazionali.
Sul piano militare, bench limperialismo statunitense non sia riuscito a vincere le resistenze alla
creazione di una forza interamericana di difersa, esso vi supplisce con
lincremento del controllo sulle
forze armate della regione e con
laumento della sua diretta pre-

senza militare con il pretesto della


lotta contro il marcotraffico e la
"narcoguerriglia", che hanno sino
ad ora raggiunto il loro massimo sviluppo con il Piano Colombia e la
Iniziativa Andina. Un ulterriore impulso, che serve da chiusa al nuovo
schema di sicurezza interamericano, poi rappresentato dallattuale isteria della "lotta al terrorismo", destinata a criminalizzare la
resistenza e la lotta popolare.

CO N S I D E R A Z I O N I

FINALI

A distanza di poco pi di un secolo


dalla Conferenza panamericana di
Washington, limperialismo nordamericano riuscito ad ottenere,
nellessenziale, listituzionalizzazione di un sistema integrale politico, economico, militare ed ideologico di dominio e subordinazione dellAmerica Latina, basato
sul fatto che i governi dominati e
subordinati e le classi che essi rappresentano fanno propri, un po
per imposizione e un po per complicit, i fondamenti della propria
dominazione e subordinazione.
Il sistema interamericano ora non
solo, e nemmeno in prima istanza,
lOSA; e tantomeno istituzioni obsolete come il Consiglio Interamericano di Difesa (JID), il Trattato
Interamericano di Assistenza
Reciproca (TIAR) e la Banca Interamericana di Sviluppo (BID). Ora
al di sopra di essi stanno i Vertici
delle Americhe e il negoziato-imposizione dellALCA. Ma non solo.
Tutti gli organismi, meccanismi ed
accordi continentali, regionali,
subregionali o bilaterali preesistenti o messi in atto a partire dal
1991, siano o meno essi in relazione
con il sistema interamericano, assumono le basi del nuovo dominio
transnazionale mediante leufemistico impegno rituale per la "democrazia rappresentativa", i "diritti
umani" e l"economia di mercato".
Si pu essere certi e a buona ragione, tuttavia, che questo sistema
"quasi perfetto" un gigante dai
piedi di fango.

Basandosi sullintegrazione transnazionale esclusiva, verticale e frammentata di quei segmenti delle economie e delle lite tecnocratiche latinoamericane che limperialismo
ha interesse ad incorporare nel movimento complessivo del capitale,
questi segmenti e queste lite rimangono tuttavia circoscritti dal resto della "nazione" cui fisicamente
appartengono. Questa "integrazione disgregante" finisce col distruggere la struttura e il sistema di
alleanze sociali e di classe anteriormente esistenti in America Latina,
senza per riuscire a sostituirli con
altri in grado di stabilire un nuovo
equilibrio sociale.
Senza nulla togliere alle contraddizioni antagonistiche inerenti alla
sua natura capitalistica, alle quali si
deve il suo carattere dipendente, lo
stato latinoamericano "a sviluppo
nazionale" si fondava su una struttura e su un sistema di alleanze sociali e di classe borghesia industriale, borghesia esportatrice, ceti
medi e proletariato che, a seconda
del paese e con minori o maggiori
difficolt, svolgevano due funzioni
basilari: la ridistribuzione di quote
di potere fra i vari settori delle borghesie nazionali, e la cooptazione di
una parte dei gruppi sociali subordinati destinata a facilitare il controllo e la repressione del resto.
Queste sono le funzioni che lo stato
neoliberista risulta incapace di gestire.
Lo stao neoliberista latinoamericano non pu ridistribuire quote di
potere per superare le contraddizioni interne ad una borghesia polazizzata fra i settori dediti alla finanza, i servizi e il commercio internazionale che cercano di convertirsi in appendice del capitale finanziario transnazionale e i settori
produttivi e dei servizi orientati al
mercato interno, che ora sono "specie in via destinzione". Tantomeno
pu garantire lo status che occupano i ceti medi urbani, principali
beneficiari dei servizi pubblici dello
stato "sviluppista", il cui posto oggi
occupato da unlite di tecnocrati
che lavora per i monopoli transna-

Maggio - Giugno 2004

zionali e che riproduce il moello di


vita e lideologia del "Prim o
Mondo" di cui si sentono parte.
Ancor meno pu cooptare settori
popolari, poich gli operai, in
modo irrimediabile, nutrono le file
dei disoccupati, dei sottooccupati e
dei lavoratori informali, mentre i
contadini scompaiono e crescono i
lavoratori rurali senza terra.
assai pi facile fare la diagnosi
della situazione mondiale e, in
questa, della situazione dellAmerica Latina che trovarle soluzioni.
Dal nuovo sistema di dominio deriva una contraddizione la cui soluzione attende un nuovo parto della
storia: limperialismo contemporaneo depreda, con intensit senza
precedenti, leconomia, la societ e
lo stesso ambiente di vita al punto
da far nascere dubbi sulla stessa sopravvivenza della specie umana , e
pure disarticola le fondamenta
dello stato nazionale, che costituisce lo scenario storico delle lotte popolari, sia di quelle orientate alle riforme sia quelle orientate alla distruzione e sostituzione dello stato
borghese. Questa una delle ragioni per cui oggi esiste un maggior
sviluppo della resistenza sociale
piuttosto che della costruzione di alternative politiche popolari, sia su
scala mondiale che continentale. A
questo si deve il fatto che la
Rivoluzione cubana sia oggi bloccata dagli Sati Uniti e ostracizzata
dallUnione europea, che il corso
bolivariano in Venezuela debba far
fronte alla reazione interna ed
esterna, e che un governo di orientamento popolare come quello di
Lula in Brasile non riesca a procedere con la rapidit che, senza dubbio, desidererebbe. Tuttavia le soluzioni nascono dalla crisi, e la crisi
gi sta "toccando il fondo".
La profetica frase di Rosa Luxen-

Internazionale

burg, "socialismo o barbarie", acquisisce oggi una rinnovata e drammatica attualit, obbligandoci a riaffermare il nostro impegno per il
socialismo, e lascia tuttavia prospettata linquietante possibilit che,
per lomissione, i tentennamenti o
lo sviamento nella lotta per costruirlo, il mondo possa cadere, in
modo definitivo, nella "barbarie".
Ma questo tema va oltre la posta di
questo articolo.

NOTE
1 Francisco Zapata, Ideologa y poltica en
Amrica Latina, El Colegio de Mxico,
Centro de Estudios Sociolgicos, Mxico D.F.,
2002, p. 217.
2 Lo "sviluppinsmo" consistito nello "sforzo

per rompere i lacci della dipendenza verso il


mercato internazionale e dalla realizzazione
di investimenti locali che perm e t t e s s e ro di basare la dinamica economica sul mercato int e rno. Durante la maggior parte degli anni
trenta e quaranta i successi politici ebbero a
che vedere con lattivazione di questo nuovo
modello di sviluppo. Quel che sino a quel momento era stata una industria manifatturiera
incipiente, legata allambiente minerario o
agroindistriale, si converti nel settore primario. () Allo stesso tempo imprenditori, frequentemente immigrati, creavano nuove imprese in settori come il tessile e il metallurgico,
che rapidamente si trasform a rono nella fonte
principale di rifornimento di prodotti manufatturieri per il mercato interno. Gli investimenti si concentrarono nelle citt, cosa che
contribu a spostare il centro economico dalle
miniere, piantagioni e possedimenti agricoli
verso i centri di consumo. Si intensific lurbanizzazione e crebbe la popolazione attiva dedita a lavori non agricoli. Francisco Zapata,

op, cit. p 142.


3 Ci sarebbe da chiedersi se sia corretto in-

cludere in questa tappa di "pacificazione" il


periodo di relativa moderazione della politica imperialista verso la regione compreso fra
i governi di Gerald Ford e di James Carter.
Certo che, una volta privato di guida e disarticolatao il movimento rivoluzionario, di
sinistra e popolare nella maggior part e
dellAmerica Latina ma anche come risultato della pressione internazionale generata
dalle violazioni dei diritti umani lamministrazione Carter torn alla vecchia pratica
imperialista di pro m u o v e re in America
Latina il ristabilimento di quel che Lenin
aveva definito come la forma pi perfetta di
dominazione e subordinazione imperialista:
la democrazia liberale. Nondimeno, con lappoggio ricevuto dai prededenti pre s i d e n t i
(Johnson e Nixon) e con quello che continuavano a ricevere dalla "nuova destra" statunitense, le dittature latinoamericane non
solo hanno continuato ad esercitare il loro potere durante il mandato di Carter, ma pure
come anticipazione di quel che si sarebbe prodotto negli stessi Stati Uniti il governo militare cileno avvi nel 1976 la ristrutturazione neoliberista, seguito un anno pi tardi
dal governo militare argentino.
4 La politica del governo Reagan verso

lAmerica Centrale si fondava su un "app roccio a dobbio binario" (two attack


aproach), consistente nel simultaneo utilizzo
della guerra (controrivoluzionaria e controinsurrezionale) a seconda del caso diretta
a vincere direttamente il nemico o ad obbligarlo ad accettare una "soluzione negoziata"
nei termini imposti dallimperialismo. Il ricorso alla politica del "doppio binario" fu
una delle principali raccomandazioni della
Commissione Nazionale Bipartisan (detta
anche Commissione Kissinger) riguard o
allAmerica Centrale, la quale svolse un
ruolo decisivo nel fondare quello che oggi
viene chiamato "consenso bipartizan", che
altro non se non limposizione dellideologia dellultra destra a tutto lo spettro politico
degli Stati Uniti.

Imperialismo

Maggio - Giugno 2004

"I capitalisti", osserva Lenin,


"si spartiscono il mondo non
per la loro speciale malvagit,
bens perch il grado raggiunto
dalla concentrazione li costringe
a battere questa via,
se vogliono ottenere dei profitti

Imperialismo e
capitale finanziario

di Vladimiro Giacch

SISTEMA

Per gli storici futuri il fatto saliente


della finanza del xx secolo sar il rapido declino del potere del banchiere - vale a dire il ruolo sempre
meno importante dell'intermediario finanziario. I banchieri sono celebrati mediatori, conduttori di
flussi di capitale. Nel corso del XX
secolo hanno progressivamente ceduto il loro potere ai fornitori di capitale (piccoli investitori o investitori istituzionali) da un lato e agli
utilizzatori di capitale (principalmente grandi societ multinazionali) dall'altro, e in questo processo
il loro ruolo di intermediari all'interno del rapporto finanziario andato declinando. 1
Cos scriveva qualche anno fa Ron
Chernow, l'autore di due rinomate
monografie sulle dinastie di banchieri dei Warburg e dei Morgan.
Credo sia difficile trovare un'antitesi pi netta alle tesi sostenute dal
marxista austriaco Rudolf Hilferding ne Il capitale finanziario (1910).
In quest'opera viene esplicitamente
tematizzata la centralit delle banche nel capitalismo di inizio
Novecento. Hilferding individua
una tendenza ineluttabile alle concentrazioni monopolistiche (quindi la fine del cosiddetto capitalismo
concorrenziale), vede un nesso inscindibile tra concentrazione dell'industria e concentrazione delle
banche, e attribuisce un ruolo ege-

BANCARIO, CONCENTRAZIONE E CENTRALIZZAZIONE


DEL CAPITALE

monico al capitale finanziario


(nella forma specifica del dominio
delle banche del credito industriale sull'industria) sul capitale
industriale. In altri termini: sono le
banche, determinanti per la sopravvivenza stessa dell'industria, ad
accelerare le dinamiche di concentrazione monopolistica dell'industria stessa. Le stesse dinamiche di
concentrazione valgono secondo
Hilferding per le banche stesse, che
diventano sempre minori di numero e sempre pi grandi e potenti.
Hilferding si spinse a sostenere che
questa tendenza alla concentrazione delle banche avrebbe presto
condotto ad un'unica superbanca
che avrebbe assunto il controllo dell'intera economia.2 A questo punto
la socialdemocrazia avrebbe potuto
prendere, non il Palazzo d'inverno, ma il "Forziere d'inverno", e
conquistare tutto il potere, orientandolo verso principi socialisti.
Come sappiamo, le cose non sono
andate cos: e giustamente, a questo
proposito, Giulio Pietranera ha parlato di riformismo utopistico. 3
La teoria di Hilferding ha ricevuto
molte critiche. Su un punto per
non sono possibili discussioni o
dubbi: la sua teoria rifletteva la particolare situazione storica e l'importanza reale che le banche avevano assunto nei primi anni del
Novecento. E' in questi anni, infatti,

che trionfa in Germania (ma, come


vedrem o subito, non solo in
Germania) il modello della cosiddetta Banca mista. Per seguire le
vicende del capitale finanziario nel
secolo XX bisogna partire proprio
di qui.
2. 1900-1929:
" BA N C A
M I S TA"

IL TRIONFO DELLA

La Banca mista, detta anche banca


omnibus, o universale (oggi si preferisce quest'ultima definizione) assomma in s tre diverse funzioni: a)
raccoglie il risparmio dai risparmiatori
(ad esempio tramite i depositi); b)
esercita il credito, in due distinti sensi:
fa credito commerciale (a breve termine) e credito industriale (a medio-lungo termine); c) svolge attivit
di banca di investimento, ossia assume
partecipazioni azionarie nelle imprese (quotate e non).
Questa era la banca che Hilferding
vide all'opera in Germania nel 1910.
Ma possiamo ampliare il raggio di
validit del modello, sia nel tempo
che nello spazio.
Per quanto riguarda lo spazio, facile constatare che il modello della
Banca mista si afferm in nazioni ed
aree economiche differenti: lo troviamo non solo nel Reich tedesco,
ma anche in Austria, Ungheria,
Svizzera, Svezia, Italia; ed anche

Maggio - Giugno 2004

con qualche variante non essenziale


negli Stati Uniti.
In quest'ultimo caso l'integrazione
tra banca commerciale e banca d'investimento (o d'affari), che a sua
volta conduce ad uno stretto rapporto tra banca e industria, funziona in maniera formalmente un
po' diversa, essenzialmente a causa
del maggiore sviluppo delle attivit
borsistiche, ma il punto di approdo
lo stesso: il controllo di fatto dell'industria da parte della banca.
Questa, in sintesi, la variante americana: i pi grossi banchieri d'affari
(a cominciare da Pierpont Morgan,
della banca omonima) rappresentavano gli investitori (in titoli azionari o in obbligazioni emesse dalle
imprese) e in tale veste creavano
sindacati azionari che di fatto gestivano le imprese (ad es. assumendo il controllo della maggioranza azionaria e imponendo ristrutturazioni in caso di crisi): e in
tal modo non si limitavano a finanziare le imprese, ma finivano per
controllare le aziende che finanziavano. Sostanzialmente lo stesso avveniva in Germania, dove i banchieri facevano credito e acquisivano partecipazioni dirette nelle
imprese finanziate, sedevano nei
consigli di amministrazione e ne
orientavano la gestione.
Aveva quindi ragione Paul Sweezy
quando osservava che, al di l delle
differenze di forma, il risultato, sia
in Germania che negli Stati Uniti,
...fu essenzialmente il medesimo. I
finanzieri ebbero la parte principale
nella promozione e, per tal via, conseguirono una posizione molto importante e, per un certo tempo, predominante nella struttura della societ.4 Il successo del modello della
Banca mista dur piuttosto a lungo:
si afferm tra la fine dell'Ottocento
e i primi anni del Novecento, sopravvisse alla Prima Guerra
Mondiale, ed entr in crisi negli
anni Trenta, con il pieno dispiegarsi
della Grande Crisi iniziata nel 1929.
3. L A G R A N D E D E P R E S S I O N E
E LA CRISI DELLA

BANCA

M I S TA

Imperialismo

Non questa la sede, ovviamente,


per un'analisi dettagliata della crisi
del '29. Mi limiter a citare un passo
tratto da un libro di Napoleone
Colajanni, che ne riassume con efficacia le dinamiche e le conseguenze: L'espansione senza precedenti dell'economia americana era
stata alimentata da un indebitamento progressivo delle imprese e
da un boom di Borsa che alimentava
la speculazione. Ingenti capitali monetari venivano rastrellati dall'Europa, attraverso le banche, e cos
il vecchio continente ristagnava. La
bolla infine scoppi e le quotazioni
delle azioni crollarono. Le banche
che avevano anticipato fondi assumendo in garanzia i titoli furono
colpite e cercarono di incassare i
propri crediti verso altre banche.
Cos si mise in moto una reazione a
catena che attraverso i rapporti finanziari internazionali provoc l'estensione della crisi in tutto il
mondo.5
Si ebbe, di fatto, una crisi bancaria
generalizzata, con fallimenti bancari a catena sia in America che in
Europa. Le conseguenze sugli assetti del mondo della finanza furono di tre tipi. In primo luogo, si
ebbero massicci processi di s a l v ataggio delle banche in crisi da parte
dello Stato. In secondo luogo, a
causa del fallimento di molte banche si ebbe un processo di ulteriore
concentrazione del sistema bancario.
Infine, e soprattutto, i rapporti tra
banche e imprese cominciano ad essere visti come incestuosi (il banchiere Mattioli parl di mostruosa
fratellanza siamese tra banca e industria): come spesso accade, la
crisi a rivelare che le cose non funzionano, e a questo punto si sprecano i sermoni sullimmoralit di
quelle stesse regole su cui in precedenza nessuno aveva nulla da eccepire.6 Ad ogni modo, si decise di tagliare il nodo del rapporto tra banche e industria, separando l'attivit
creditizia da quella di investimento.
Questo avvenne, pressoch contemporaneamente, sia negli Stati
Uniti che in Europa.
Negli Stati Uniti abbiamo lo Steagall-

Glass Act del 1933, una legge che separa le banche commerciali (che
detengono depositi e fanno prestiti) da quelle d'affari o di investimento industriale (le i n v e s t m e n t
banks, che creano, trattano e distribuiscono titoli).
In parallelo, lo Stato si assume l'onere di svolgere le funzioni di investment banker: lo fa attraverso la
"Reconstruction Finance" (che gi
nel nome si ispira all'Istituto per la
Ricostruzione Industriale, creato da
poco in Italia) e poi, molto pi incisivamente, con i programmi di riarmo.7
D'altra parte le imprese, passata la
fase acuta della crisi (durata sino
alla fine anni Trenta), riescono ad
autofinanziarsi in misura significativa: basti pensare che l'autofinanziamento giunge nel 1950 al 60%
del fabbisogno di capitale (si tratta
di una percentuale che oggi sarebbe
ritenuta addirittura favolosa...). Per
conseguenza, per molti anni dopo
la Seconda Guerra Mondiale le banche di investimento USA hanno capitalizzazione e dimensioni molto
modeste: si pensi che la Morgan
Stanley nel 1962 aveva appena 7 milioni di dollari di capitale - e si confronti questa cifra con i 12 miliardi
di dollari ed i 10.000 dipendenti del
1995...8
Il potere delle banche viene infine
ridotto anche attraverso l'introduzione di obblighi di maggiore trasparenza relativamente ai titoli collocati presso la clientela: il provvedimento di legge relativo (il
Securities Exchange Act) viene assunto
nel 1934; esso per era destinato a
dispiegare i suoi effetti solo dopo la
Seconda Guerra Mondiale, anche
perch solo nel dopoguerra i volumi trattati tornarono ad essere
confrontabili con quelli anteriori al
crollo del 1929 la Borsa di Wa l l
Street.9
Anche in Italia la crisi, esplosa nel
1930, investe direttamente il rapporto banca-industria: infatti, in
presenza di fallimenti industriali a
catena, l'immobilizzazione di capitali delle banche nelle imprese si ri-

Maggio - Giugno 2004

Imperialismo

vela eccessiva e provoca una crisi


bancaria sistemica. Il Banco di
Roma in crisi sin dalla fine degli
anni Venti. Nel 1930 il Credito
Italiano a trovarsi sull'orlo del fallimento. Nel 1931 la volta della
Banca Commerciale. La crisi delle
banche tale che rischia di travolgere la stessa Banca d'Italia. Anche
in Italia si decide perci di recidere
il legame tra banca e industria.
Viene creato l'Istituto di Ricostruzione Industriale (IRI), che rileva le
3 banche in crisi; queste cedono
allIRI tutti i titoli di propriet e i
crediti immobilizzati nelle imprese,
ricevendo in cambio le somme necessarie a ricostituirne la liquidit.
Per d'ora in avanti sono vincolate
ad esercitare solo il credito ordinario (cio non il credito industriale,
e neppure l'attivit di banca d'investimento).
A questo nuovo assetto fu data una
sistemazione di lungo (anzi lunghissimo) periodo con la Legge
bancaria del 1936. Questa legge prevedeva: a) separazione tra banca e
industria (divieto di assumere partecipazioni azionarie nelle imprese); b) specializzazione funzionale delle banche, ossia la distinzione tra il credito ordinario (credito a breve termine) e il credito industriale (a medio-lungo termine):
in concreto, una banca che esercitasse il credito ordinario non poteva
esercitare quello industriale, e viceversa; c) la regionalizzazione delle
banche stesse.10
Si afferma cos il modello della banca specializzata, che prevede una
netta separazione: da una parte, tra
attivit di prestito e attivit in titoli;
dall'altra tra prestito a breve e prestito a medio-lungo termine.
L'attivit di prestito a medio-lungo
termine viene attribuita allIstituto
Mobiliare Italiano (IMI). Ad esso
dopo la Seconda Guerra Mondiale
si aggiunse il sistema dei Mediocrediti regionali, che aveva il suo fulcro nell'Istituto centrale per il credito a medio termine alle medie e
piccole industrie (Mediocredito
Centrale), fondato nel 1952.11
Per quanto riguarda l'attivit in ti-

toli (ossia l'assunzione di partecipazioni azionarie dirette in grandi imprese), a tale scopo nel 1947 viene
fondata Mediobanca, creata d'intesa tra le tre banche di interesse
nazionale, cio la Banca Commerciale, il Credito Italiano ed il Banco
di Roma.
E' importante osservare che questo
modello durato per quasi 60 anni.
Poi, negli anni Novanta, la banca
universale risorta. Anche in questo caso, si tratta di un processo avvenuto contemporaneamente in
Europa e negli Stati Uniti.

4. G L I

ANNI

N O VA N TA:

L A R I V I N C I TA
DELLA

BANCA

M I S TA

In Europa le acque cominciano ad


agitarsi alla fine degli anni Settanta.
Nel 1977 viene emanata la Prima direttiva bancaria della CEE. In essa
viene affermato il carattere di imprenditorialit dell'attivit bancaria (contro la natura pubblicistica
degli istituti di credito, che caratterizzava all'epoca gran parte delle
banche europee).
Anche per lItalia, questa direttiva
a porre le premesse per processi di
despecializzazione operativa (convergenza tra le diverse funzioni che
erano state separate dalla Legge
Bancaria del 1936), di aumento
della concorrenza (contro la regionalizzazione e le limitazioni al numero di sportelli) e di privatizzazione delle banche, allora quasi
tutte in mano pubblica.
Questi processi conoscono una
prima accelerazione con la Legge
Amato del 1990. Questa Legge ha
tre principali effetti sul sistema bancario: a) opera la trasformazione
delle banche pubbliche in societ
per azioni ( il primo passo verso la
loro p r i v a t i z z a z i o n e), pur mantenendo il vincolo della propriet
pubblica al 51%; b) prevede agevolazioni fiscali per le operazioni di fusione tra le banche, promuovendo
cos il processo di concentrazione del
s e t t o re; c) introduce nellordinamento il gruppo polifunzionale.

Con il gruppo polifunzionale la


"banca mista" rientra, sia pure in
maniera dapprima incerta e sotto
mentite spoglie, nel nostro ordinamento. Questo chiaro gi leggendo la definizione che del
gruppo polifunzionale stata data:
istituzione finanziaria composta da
una pluralit di aziende, sottoposte
a una direzione strategica accentrata, che svolgono sistematicamente attivit di intermediazione
creditizia e mobiliare e attivit strumentali ad esse connesse.12 Lincertezza rappresentata dal fatto
che si parla di una pluralit di
aziende, e non ancora di un'unica
impresa.
Comunque sia, entro pochi anni
(con la Legge bancaria in vigore dal
1 gennaio 1994) si giunger alla
banca universale. Banca universale quella banca che offre, nell'ambito della stessa unit giuridica,
ogni tipo di prestazione bancaria e
l'intera gamma dei prodotti finanziari.13 la vecchia banca mista,
con un nome diverso. Ormai, rispetto alle banche di prima del
1929, resta una sola non essenziale
distinzione: la nuova banca universale prevede la limitazione al
15% del tetto di possesso del capitale di imprese non finanziarie da
parte di una singola ba nca (o
gruppo bancario).
Negli anni Novanta i vincoli normativi contro la banca mista non
sono caduti soltanto in Italia, ma in
tutto il mondo. Negli Stati Uniti,
del 1999 la formale abrogazione
dello Steagall-Glass Act, che per in
realt era lettera morta da almeno
due anni: nel 1997, infatti, le autorit americane avevano consentito
la fusione della banca daffari
Morgan Stanley con la Dean Witter,
specializzata nell'intermediazione
al dettaglio. Questa fusione importante perch segnala la convergenza tra l'attivit di investment
banking, lattivit di intermediazione al dettaglio (quella, insomma,
della classica banca commerciale),
ed anche l'attivit assicurativa. Sulle
implicazioni di questo processo di

Maggio - Giugno 2004

aggregazione torner pi avanti.


5. L' A P PA R E N Z A :
DISINTERMEDIAZIONE E
DEMOCRAZIA ECONOMICA
DEI PICCOLI INVESTITORI

Quanto abbiamo visto sembra dare


ragione a Hilferding: la banca mista tornata in auge, anche se con
un diverso nome. Per potrebbe essere una vittoria di Pirro. Questa, almeno, la tesi dello scritto di
Chernow da cui siamo partiti, secondo cui sarebbe in atto un marcato processo di disintermediazione. Le
banche sono tradizionalmente gli
intermediari tra il risparmio e gli investimenti. La disintermediazione
si ha quando questi due poli si connettono direttamente, senza passare per le banche. Questo ci che
avviene quando io, invece di tenere
i soldi su un conto corrente, compro delle azioni, oppure sottoscrivo
un'obbligazione emessa da un'impresa. Lo stesso avviene se i miei
soldi, anzich tenerli sul conto corrente, li investo attraverso un fondo
comune di investimento. Quando
avviene questo, le banche perdono
potere, a beneficio dei risparmiatori/investitori da un lato, e degli
imprenditori dall'altro; del resto,
nel modello delle public companies
(societ ad azionariato diffuso), imprenditore ed investitore finirebbero con l'essere assimilabili: ed il
piccolo azionista potrebbe determinare il migliore indirizzo dell'impresa, comprando pi azioni se le
cose vanno bene e vendendole (e facendo cacciare i m a n a g e r) in caso
contrario. Insomma: non una semplice rivincita del piccolo investitore sulle banche, ma un vero e proprio trionfo, dagli importanti risvolti sociali. Che ispira a Chernow
toni a dir poco lirici: in questultima generazione il piccolo investitore si evoluto in modo impressionante da piccolo giocatore e paria a struttura portante [!] dei mercati finanziari globali... Uniti nei
fondi comuni... gli umili hanno finalmente ereditato la terra finanziaria.14

Imperialismo

La tesi della disintermediazione ha


apparentemente una solida base di
evidenza empirica: nella seconda
meta degli anni Novanta si sono effettivamente verificati (in Italia
come altrove) un forte calo dei depositi bancari, e una forte crescita
della raccolta dei fondi comuni. Si
tratta effettivamente di fenomeni di
rilievo. Per non hanno il significato che Chernow e molti altri attribuiscono loro. In primo luogo, in
tutte le fasi in cui si produce una
bolla speculativa (e quella che finita nel marzo 2000 era la madre
di tutte le bolle), aumenta la propensione all'investimento diretto
anche da parte dei piccoli risparmiatori: in fasi del genere molto denaro, prima depositato nei conti
correnti, viene investito nei mercati
finanziari.15 Il contrario avviene
quando la bolla speculativa scoppia:
ed esattamente quanto avvenuto
negli ultimi anni. Ma c un motivo
pi di fondo per cui non possibile
essere d'accordo con gli apologeti
della disintermediazione. Perch
sono in gran parte sbagliati i presupposti di chi sostiene che gli intermediari abbiano ceduto potere ai
singoli investitori, dando vita ad
uninedita forma di democrazia
economica. Vediamo perch.

6. L A

R E A LT :

CONCENTRAZIONE E
CENTRALIZZAZIONE
D E I C A P I TA L I

a) Il ruolo chiave giocato dagli investitori istituzionali e dai conglomerati finanziari. Negli investimenti sui mercati finanziari sono gli investitori
istituzionali (fondi pensione, societ di assicurazione, grandi banche di investimento, ecc.), e non
certo il piccolo investitore, a condurre il gioco. La sfida quella di
mobilitare enormi masse di capitale
monetario per investimenti da effettuare da un angolo all'altro del
pianeta. A questo servono i grandi
conglomerati finanziari, in cui non a
caso le assicurazioni (che possono
attingere al risparmio pensioni-

stico) giocano un ruolo sempre


maggiore. Laffermarsi dei conglomerati finanziari, ossia gruppi
che hanno in s tutte le funzioni di
banca, di societ finanziaria, di societ assicurativa, uno dei processi
di maggiore importanza di questi ultimi anni. Questi conglomerati
sono gli investitori istituzionali per
eccellenza. E va notato che sino a
pochi mesi fa sfuggivano, proprio
per la loro (inedita) natura che integra le funzioni di banca, assicurazione ed attivit di intermediazione
mobiliare, alle stesse direttive bancarie europee. 16 Per quanto riguarda lEuropa, il pi significativo
quello imperniato sulla societ assicuratrice Allianz, che ha acquisito
una delle principali banche tedesche, la Dresdner Bank. Ma anche
le recenti manovre nellazionariato
delle Assicurazioni Generali rientrano in questo quadro, in quanto
rappresentano un tentativo, da
parte delle principali banche italiane, di tenere a bada il colosso
assicurativo italiano, controllandone i movimenti.
b) La concentrazione del controllo cresce. Se non vero che sia il singolo
investitore a menare le danze, tanto
meno si pu sostenere che oggi la
propriet, e soprattutto il controllo delle societ siano meno concentrati di un tempo. Qui bisogna
fare attenzione: il fatto che la propriet sia sempre meno identificabile con una specifica persona fisica
(il grande capitalista monetario alla
Rothschild o alla Morgan, il grande
capitalista industriale alla Ford,
ecc.) non significa affatto che i titoli
capitalistici di propriet non esistano pi, e non significa neppure
che essi non siano saldamente concentrati. Al contrario: la tendenza
alla concentrazione del controllo (che
laspetto decisivo) forse ancora
pi forte nel cosiddetto modello
anglosassone della public company
di quanto avvenga nel cosiddetto
modello continentale (caratterizzato da uno o pochi proprietari con
quote azionarie di rilievo). E in effetti stato rilevato che nel mercato

Imperialismo

azionario inglese la propriet


solo apparentemente diffusa, e che
in realt pochi grandi conglomerati finanziari e assicurativi, raccogliendo le attivit (e quindi i voti)
dell80% dei fondi pensione e di
gran parte dei fondi minori e dei
fondi esteri, di fatto hanno la possibilit di esprimere, attraverso veri e
propri oligopoli del controllo, una
voce influente sullintero sistema
delle compagnie quotate inglesi.
In definitiva, anche nella patria del
capitalismo popolare un gruppo ristretto di grandi istituzioni finanziarie controlla, con un impegno finanziario relativamente modesto,
una larga parte del sistema della
propriet delle imprese quotate.
Tanto che i primi 50 manager dei
fondi di investimento (soprattutto
le societ di assicurazione) controllano di fatto direttamente o attraverso le deleghe di voto oltre l'85%
del mercato azionario inglese.17 Si
noti l'inciso con un impegno finanziario relativamente modesto.
Questo possibile p recisamente a
causa del frazionamento dell'azionariato, che consente di controllare
una societ anche con pacchetti
azionari relativamente piccoli.
Pertanto, la presunta democrazia
del piccolo investitore si rovescia
nel suo contrario, e si rivela come lo
strumento attraverso cui il grande
capitale riesce a controllare anche
societ quotate di imponenti dimensioni con una soglia di possesso
azionario ben inferiore al 51% del
totale delle azioni. Ora, non si vede
quale differenza sostanziale esista
tra linfluenza che un odierno
fondo di investimento inglese riesce
ad esercitare su una societ di cui
detiene una quota azionaria e
quella dei sindacati azionari di
Morgan.
c) La via italiana alla concentrazione
del controllo. Vale la pena di spendere
qualche parola anche sulla variante
italiana della concentrazione del
controllo societario. Va detto, intanto, che in Italia la propriet gi
di per s molto concentrata. Come ha
ricordato nel 2002 Luigi Spaventa,

all'epoca Presidente della Consob


(l'organo di vigilanza delle societ
quotate in borsa), nel 60 per cento
delle societ quotate in borsa un socio ha la maggioranza assoluta;
nella media ponderata, la quota del
primo azionista risalita oltre il 42
per cento; il flottante [ossia la quantit di titoli di una societ che sono
effettivamente scambiati in borsa e
non stabilmente posseduti da un socio] diminuito.18 Ma non tutto:
ci sono gruppi (industriali o, pi
spesso, finanziari) che controllano
le societ quotate pur senza possederne neppure lontanamente la
maggioranza delle azioni. Come
possibile questo miracolo? Con un
trucchetto che lo stesso Spaventa ci
spiega: l'esercizio del controllo con
un impegno pi modesto nella propriet viene sovente ottenuto ricorrendo a lunghe e complicate strutture piramidali.19
il sistema delle scatole cinesi: io
sono padrone di una societ non
quotata in borsa, che a sua volta possiede il 51% di un'altra societ non
quotata; questa societ possiede a
sua volta il 51% di una piccola societ quotata in borsa; questultima
ha in portafoglio il 29,9% di un'altra societ quotata, ecc. In questo
modo possibile la concentrazione del
c o n t ro l l o anche di molte societ
senza che ci sia la concentrazione della
p ro p r i e t . Con questo sistema gli
Agnelli hanno il controllo della Fiat,
Tronchetti Provera di Pirelli e di
Te l e c o m . 2 0 In questo contesto,
quale ruolo giocano i risparmiatori,
i piccoli investitori che dovrebbero
costituire il pilastro vitale della
nuova democrazia economica? Il
ruolo di mettere i soldi nella societ
e di rendere possibile agli azionisti
di controllo di... controllarla senza
doverla possedere. interessante notare che, anche in questo caso, non
vi nulla di nuovo sotto il sole.
Tant vero che lo stesso fenomeno
nel 1916 fu osservato da Lenin, che
ne trasse le seguenti conclusioni:
La democratizzazione del possesso di azioni, dalla quale i sofisti
borghesi e gli opportunisti pseudosocialdemocratici si ripromet-

Maggio - Giugno 2004

tono (o fingono di ripromettersi) la


democratizzazione del capitale
l'aumento di importanza e di funzione della piccola produzione,
ecc., nella realt costituisce un
mezzo per accrescere la potenza
delloligarchia finanziaria.21
d) Le banche controllano le societ di gestione del risparmio. Quanto sopra ci
insegna che il potere dei piccoli investitori non affatto aumentato negli ultimi anni. In compenso, quello
degli intermediari non affatto diminuito. Questo per due motivi. Il
primo che, come abbiamo visto
pi sopra, gli investitori istituzionali
(che sono comunque a tutti gli effetti intermediari tra il risparmio e
linvestimento!) hanno sulle societ
un potere non inferiore a quello dei
capitalisti industriali tradizionali. Il
secondo motivo che a loro volta
questi investitori istituzionali sono
controllati dalle banche (sia nella
forma tradizionale di gruppi bancari che di conglomerati finanziari). In Italia, in particolare, le
banche, direttamente o indirettamente, controllano in massima
parte le societ che gestiscono il risparmio: in questo modo, la quota
del risparmio finanziario gestita dal
sistema bancario si attesta oggi ben
oltre il 90%.22
e) I processi di concentrazione nel settore
bancario e finanziario. Per avere unidea dell'entit di questo fenomeno
basteranno pochi dati: dal 1990 al
2000 sono state effettuate nel
mondo 7.500 fusioni e acquisizioni
tra banche, del valore di 1.600 miliardi di dollari; questo processo ha
avuto una notevole accelerazione all'interno del periodo considerato,
ed in particolare negli ultimi 3
anni;23 per quanto riguarda l'Italia,
infine, baster ricordare che dal
1987 al 2000 il numero delle banche sceso da 1.200 a 864; e, soprattutto, che si sono formati 4
gruppi che da soli hanno il controllo del 50% del mercato del credito. Roba da fare impallidire
Hilferding...
Se si chiede a un esperto del set-

Maggio - Giugno 2004

tore quale sia il movente di questa


intensa attivit di fusioni e acquisizioni, si otterr invariabilmente
questa risposta: per conseguire
guadagni di efficienza. Una ricerca condotta nel 2000 dalle banche del G-10 ha posto in luce che il
movente pi plausibile un altro:
quello dellaumento del potere di
mercato (questultima una locuzione eufemistica a cui si fa ricorso
per evitare anche solo di pronunciare espressioni disdicevoli quali
monopolio e rendita monopolistica).24
Si tratta in ogni caso di un fenomeno di portata internazionale.
Cos, secondo dati del FMI (2001)
in Europa il sistema finanziario
in mano ad un numero ristretto di
grandi banche: nella maggior parte
dei casi i 5 maggiori istituti gestiscono pi del 50% degli assets totali. Se poi ci volgiamo a considerare il settore dellinvestment banking, vediamo che quanto a concentrazione la situazione ancora
peggiore: basti pensare che le "tre
grandi" (Morgan Stanley, Goldman
Sachs e Merrill Lynch) gestiscono il
50% delle quotazioni in borsa, il
30% delle emissioni obbligazionarie, e il 75% delle fusioni e acquisizioni
transnazionali. Questo ci conduce
ad un aspetto cruciale del processo
di concentrazione nel settore bancario-finanziario-assicurativo: esso
un fattore chiave della concentrazione nel settore industriale.
Questo era vero ai tempi di Hilferding. Ed ancora pi vero oggi.

7. C A P I TA L E

FINANZIARIO

E IMPERIALISMO
N E L L A FA S E AT T U A L E

Per verificare punti di contatto e differenze tra la fase storica attuale e


quella che diede origine alle prime
riflessioni sulla centralit del capitale finanziario, c un modo molto
semplice: riprendere lopera a carattere divulgativo che Lenin scrisse su questi temi e che intitol L'imperialismo, fase suprema del capitalismo. In essa, Lenin individu dap-

Imperialismo

prima la caratteristica di fondo della


fase imperialistica del capitalismo
nella centralit assunta dai monopoli nell'economia: se si volesse
dare la definizione pi concisa possibile dell'imperialismo, si dovrebbe dire che l'imperialismo lo
stadio monopolistico del capitalismo.25 Lenin per non si limit a
questa definizione e, dopo aver richiamato il valore convenzionale e
relativo di tutte le definizioni, propose cinque principali contrassegni che a suo avviso dovevano essere contenuti nella definizione di
imperialismo. Eccoli:
"1. la concentrazione della produzione e del capitale, che ha raggiunto un grado talmente alto di sviluppo da creare i monopoli con funzione decisiva nella vita economica;
2. la fusione del capitale bancario
col capitale industriale e il formarsi,
sulla base di questo capitale finanziario, di un'oligarchia finanziaria;
3. la grande importanza acquistata
dall'esportazione di capitale in confronto con lesportazione di merci;
4. il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di capitalisti, che si ripartiscono il mondo;
5. la compiuta ripartizione della
terra tra le pi grandi potenze capitalistiche.26
La questione che ci interessa la seguente: questi 5 aspetti hanno oggi
perso la loro validit o possono essere ravvisati anche nella fase attuale? Vediamo.
Prima caratteristica: La concentrazione
della produzione e del capitale, che ha
raggiunto un grado talmente alto di sviluppo da creare i monopoli con funzione
decisiva nella vita economica. A questo
riguardo facile constatare che stiamo attualmente assistendo ad un
processo di concentrazione tra le imprese
che non ha eguali in nessun altro momento della storia del capitalismo, n
per numero di imprese coinvolte da
processi di fusione e acquisizione
(M & A), n per il loro v a l o re, n
quanto alla portata transnazionale
delle concentrazioni. Spettacolare,
in particolare, lincremento del volume totale di queste transazioni ne-

gli anni Novanta: 500 miliardi di


dollari nel 1990, 2.500 miliardi di
dollari nel 1998, 5.000 nel 2000. Lo
scoppio della bolla speculativa ha
temporaneamente rallentato questo processo. Ma lattuale crisi di liquidit di molte aziende (sia tradizionali che del settore hi-tech) prepara unulteriore ondata di fusioni.
Quanto al fatto che i monopoli abbiano una funzione decisiva nella
vita economica, sar sufficiente ricordare pochi dati riferiti alla zona
Euro: tra le 274 principali multinazionali mondiali, le 18 tedesche nel
2001 hanno fatturato 737 miliardi
di euro; le 24 francesi, 478 miliardi
di euro; le 15 italiane, 170 miliardi
di euro.27
Questo processo di concentrazione
(e centralizzazione) della produzione e del capitale, come aveva gi
osservato Karl Marx, non una patologia transitoria, ma, al contrario,
una tendenza immanente al modo
di produzione capitalistico. Con lo
sviluppo del modo di produzione
capitalistico scriveva Marx cresce il volume minimo del capitale
individuale, necessario per far lavorare un'azienda nelle sue condizioni normali: infatti, contemporaneamente alla caduta del tasso di
profitto, aumenta il volume minimo
di capitale che necessario al capitalista individuale per la messa in
opera produttiva del lavoro".28
E oggi? Lomogeneizzazione dei
mercati mondiali ha determinato in
molte industrie un sostanziale aumento delle economie di scala e un
incremento delle dimensioni minime di
investimento. [] Tutto ci richiede di
n o rma risorse finanziarie eccedenti
quelle aziendalmente disponibili per la
crescita [...]. In tal modo il mercato internazionale dei capitali diviene il vero
giudice del merito e della fattibilit delle
strategie e dei progetti di impresa. Per
lEuropa continentale ci significa sottrarre il giudizio sulla condotta delle imprese ai gruppi di controllo che lavevano
tradizionalmente esercitato in modo
esclusivo. 29
Le ultime parole, in particolare,
esprimono in maniera esemplare il
nesso tra concentrazione e centra-

Imperialismo

lizzazione dei capitali da un lato (in


una parola: formazione dei monopoli) e finanziarizzazione dall'altro. Siamo al secondo contrassegno della definizione di imperialismo di Lenin.
Seconda caratteristica: la fusione del capitale bancario col capitale industriale e
il formarsi, sulla base di questo 'capitale
finanziario, di un oligarchia finanziaria. Che la fusione - o, come preferiva dire Bucharin, simbiosi - del
capitale bancario col capitale industriale sia un fatto ce lo dicono le
percentuali delle partecipazioni detenute dalle assicurazione e dalle
banche tedesche in imprese industriali del Paese economicamente
pi importante dell'Unione Europea. Ad esempio, la sola Allianz all'inizio del 2001 aveva 29 partecipazioni industriali, del valore di oltre
51 miliardi di dollari, tra cui
Beiersdorf, Basf, Bayer, Siemens. Ad
esse, dopo la fusione con Dresdner,
si sono aggiunte le 10 partecipazioni di quest'ultima, del valore di
19 miliardi di dollari, tra cui
Continental e BMW. Sempre allinizio del 2001, il valore complessivo
delle partecipazioni in mano alle 10
societ finanziarie pi importanti
della Germania ammontava a 170
miliardi di dollari.
In Italia le cose non sono sostanzialmente diverse: i principali
gruppi bancari hanno oggi partecipazioni significative (perlopi assunte di comune accordo) in tutte le
pi importanti imprese manifatturiere e dei servizi del nostro Paese.
Tanto che a questa situazione il settimanale economico il Mondo ha dedicato una copertina dal titolo esplicito: I sei banchieri padroni d'Italia.30
Non solo: in questi ultimi anni vi
stato a motivo della crisi che ha investito numerose imprese un rafforzamento di questi rapporti di
partecipazione e controllo. Insomma, appare difficile negare che il panorama economico sia a tuttoggi e in misura crescente - caratterizzato
dal dominio del capitale finanziar i o . 3 1 Dominio che oggi si
esprime non solo e non tanto attra-

verso l'erogazione del credito, ma


per mezzo dell'acquisizione di partecipazioni azionarie e nell'attivit
di advisory per operazioni transnazionali di fusione e acquisizione tra
imprese. A quest'ultimo proposito
baster ricorda re che la sola
Morgan Stanley Dean Witter, nel
2000, ha fatto attivit di advisory per
operazioni di M&A di un valore totale superiore ai 1.000 miliardi di
dollari.32
Terza caratteristica: la grande importanza acquistata dall'esportazione di
capitale in confronto con l'esportazione
di merci. Non un mistero per nessuno che i flussi finanziari internazionali siano oggi un multiplo (e per
giunta elevato) dei flussi commerciali. Basti pensare che gi nel 1998
il movimento giornaliero di capitali
a livello mondiale si aggirava intorno ai 2000 miliardi di dollari: ora,
solo 1/50 o addirittura 1/100 di
questa cifra (a seconda della stime)
si riferiva a scambi di merci. Non
meno impressionante la progressione di queste cifre, calcolate su
base trentennale. Le transazioni finanziarie mondiali giornaliere nel
1970 erano pari a 10-20 miliardi di
dollari; nel 1980 a 80 miliardi di dollari; nel 1990 a 500 miliardi di dollari.33 Ma veniamo ai motivi dell'esportazione dei capitali. La spiegazione data a questo fenomeno nel
1929 d al m arxista Henr y k
Grossmann talmente calzante (e
attuale) che tanto vale riproporla tal
quale: I paesi pi importanti
hanno raggiunto un alto livello dell'accumulazione, in cui la valorizzazione del capitale accumulato incontra sempre maggiori difficolt...
Il capitale privo di investimento si
procura cos una serie di canali di
deflusso, sia all'estero con l'esportazione di capitale, sia all'interno con
la speculazione di borsa, canali appropriati ad assicurarne la valorizzazione. E gi Lenin aveva affermato: la necessit dell'esportazione del capitale creata dal fatto
che in alcuni paesi il capitalismo
diventato pi che maturo e al capitale ...non rimane pi campo per

Maggio - Giugno 2004

un investimento redditizio.34
Quarta caratteristica: il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali
di capitalisti, che si ripartiscono il
mondo. Anche in questo caso, la situazione ci mostra una conferma
(ed un rafforzamento) della tendenza evidenziata da Lenin. I processi di concentrazione sono talmente imponenti che hanno dato
vita a transnazionali per le quali le
stesse autorit Antitrust di un singolo Paese risultano totalmente
inefficaci. Ed anche gli Antitrust pi
potenti (quelli degli USA e dell'UE)
spesso scendono a miti consigli, soprattutto in questi tempi di crisi: baster ricordare il procedimento
aperto negli Stati Uniti contro la
Microsoft, conclusosi sostanzialmente con un nulla di fatto.
Quinta caratteristica: la compiuta ripartizione della terra tra le pi grandi
potenze capitalistiche. La ripartizione
del globo terrestre tra le pi grandi
potenze imperialistiche oggi inequivocabile. Quanto al carattere necessario della battaglia per tale ripartizione, difficile negare l'attualit di quanto Lenin affermava a
proposito delle colonie: quanto
pi il capitalismo sviluppato,
quanto pi la scarsit di materie
prime sensibile, quanto pi acuta
in tutto il mondo la concorrenza
e la caccia alle sorgenti di materie
prime, tanto pi disperata la lotta
per la conquista delle colonie.35 Il
problema, semmai, riguarda l'identificazione degli attori di questo processo.
A questo proposito utile fissare
qualche punto, per meglio caratterizzare la fase attuale dellimperialismo.
a) Le pi grandi potenze capitalistiche
oggi non sono identificabili con gli stati.
Ma non nel senso che gli stati non
contino pi nulla: nel senso che essi
tendono ad unirsi in coalizioni regionali, legate da accordi economici esclusivi, da politiche economiche in qualche modo coordinate

Maggio - Giugno 2004

e da una comune moneta di riferimento.36


b) L'aspetto dell'egemonia valutaria
essenziale per capire le attuali
forme di dominio imperialistico e di
conflitto interimperialistico. I conflitti interimperialistici oggi non
hanno pi luogo tra nazioni, ma tra
aree valutarie. Queste ultime hanno
carattere sovranazionale, e il loro riferimento geografico solo g ro s s o
modo coincidente con un insieme di
stati confinanti tra loro.37 L'equivalente odierno delle vecchie politiche di "contenimento" esercitate da
un paese imperialista contro l'espansione territoriale di un altro
paese imperialista quindi rappresentato dalle iniziative volte ad impedire l'espansione di un'area valutaria. E i mezzi attaverso cui questo
obiettivo viene oggi perseguito non
sono meno violenti di quelli di un
tempo. Questo vero non soltanto
nel senso che ogni crisi finanziaria
ed economica fa molte vittime;
vero anche nel senso che per impedire l'espansione di un'area valutaria concorrente si pu fare ricorso oggi come ieri - alle armi in senso
proprio. E' possibile dimostrare che
proprio l'intendimento di contenere l'espansione dell'euro in
Medio Oriente, oltrech quello di
scongiurare l'effettuazione dei pagamenti di petrolio in euro anzich
in dollari, abbiano rappresentato i
moventi fondamentali della guerra
all'Irak.38
c) Se quanto sopra vero, oggi abbiamo 3 principali blocchi imperialistici
che si fro n t e g g i a n o, e che corrispondono alle aree valutarie del dollaro,
dell'euro e dello yen. Particolarmente virulento oggi lo scontro tra
dollaro ed euro, in quanto quest'ultima valuta sta erodendo il primato
del dollaro come valuta internazionale di riserva: primato assolutamente cruciale in quanto consente
agli USA di avere una bilancia commerciale in passivo da quasi trentanni. Ossia di vivere al di sopra dei
propri mezzi e a spese del resto del
mondo.

Imperialismo

8. C O N C L U S I O N I
Da quanto precede non sembra si
possa trarre la conclusione di una
perdita di peso e di significato del
"capitale finanziario" nell'odierna
fase di sviluppo della societ capitalistica. Al contrario. La novit pi significativa, in questo quadro, semmai quella offerta dall'affermarsi
dei "conglomerati finanziari", che
concentrano in s tutte le funzioni
di banca, di societ finanziaria e di
societ assicurativa.
Questo mutamento morf o l o g i c o
non comporta alcuna novit dal
punto di vista funzionale n rispetto
alle teorie classiche sull'imperialismo, n rispetto a quanto gi Marx
aveva posto in luce. In particolare,
non ha perso nulla della sua validit
quanto Marx affermava in relazione
al "sistema creditizio" (certamente
da intendersi come un concetto che
include "non solo le banche, ma anche gli organismi dell'intero mercato finanziario", come puntualizz
Pietranera39), sistema inteso come
"disposizione del capitale altrui" e
come "immenso meccanismo sociale destinato a centralizzare i capitali". Del pari, di perdurante attualit risultano le riflessioni leniniane sulle caratteristiche della fase
imperialistica del capitalismo, ed in
particolare sul nesso tra crisi dell'accumulazione, concentrazioni
monopolistiche e centralit del capitale finanziario.
I capitalisti, osserva Lenin, si
spartiscono il mondo non per la
loro speciale malvagit, bens perch il grado raggiunto dalla concentrazione li costringe a battere
questa via, se vogliono ottenere dei
profitti.
E la spartizione si compie proporzionalmente al capitale, 'in proporzione alla forza', poich in regime di produzione mercantile e di
capitalismo non possibile alcun altro sistema di spartizione.
Ma la forza muta per il mutare dello
sviluppo economico e politico. Per
capire gli avvenimenti, occorre sapere quali questioni siano risolte da
un mutamento di potenza; che poi

tale mutamento sia di natura puramente economica oppure extraeconomica (per esempio militare),
ci, in s, questione secondaria,
che non pu mutar nulla nella fondamentale concezione del pi recente periodo del capitalismo40
Note
1 Ron Chernow, Il tramonto del banchiere.

Dal declino delle grandi dinastie finanziarie


al trionfo del piccolo investitore [ma il titolo
originale era The Death of the Banker],
1997; tr.it. 1998, Milano, Il Sole 24 Ore, pp.
10-11.
2 "Questa 'banca centrale' eserciter quindi

il controllo su tutta l'intera produzione sociale": R. Hilferding, Il capitale finanziario,


1910; tr.it. Milano, Feltrinelli, 1961, p. 280.
3 G. Pietranera, "Il pensiero economico di

Hilferding e il dramma della socialdemocrazia tedesca", in Il capitalismo monopolistico


finanziario, a cura di N. Bellanca e G. Pala,
Napoli, La Citt del Sole, 1998, p. 205.
4 P.M. Sweezy, La teoria dello sviluppo ca-

pitalistico, tr.it. Torino, Einaudi, 1951, p.


332.
5 N.Colajanni, Storia della banca in Italia

da Cavour a Ciampi, Roma, Newton


Compton, 1995, p. 50.
6 A questo riguardo l'attualit offre una ricca

messe di esempi. Il fallimento Enron, ad es.,


ha messo in evidenza in un colpo solo: le truffe
colossali costruite da un management onnipotente, la connivenza tra societ di revisione
e societ controllate, i limiti dei principi contabili USA (cos dettagliati da essere facilmente aggirabili...), l'assoluta irrazionalit
economica dell'investimento dei fondi pensione dei lavoratori in azioni della loro stessa
azienda, gli effetti perversi dell'orientamento
esclusivo a risultati economici di breve periodo, ecc. ecc. Sugli insegnamenti del caso
P a rmalat rinvio a N. Nesi, Scandalo
Parmalat, lernesto, 1/2004, ed al mio
Parmalat, la Contraddizione, n. 101,
2/2004.
7 P.M. Sweezy, op.cit., p. 193. Non si ripe-

ter mai abbastanza che soltanto attraverso


la Seconda Guerra Mondiale, e non attraverso i mitizzati investimenti in infrastrutt u re di Roosevelt, gli Stati Uniti usciro n o
dalla crisi del 1929.

Imperialismo

8 R. Chernow, op.cit., p. 70.

18 Ivi, p. 11.

9 Lo stesso vale per le quotazioni di Borsa,

19 In questo modo, rileva M. Mucchetti in

che soltanto nel 1954 tornarono ai livelli del


1929. E' questo il motivo per cui i buontemponi che vogliono magnificare la superiorit
"nel lungo periodo" dell'investimento azionario assumono un orizzonte di investimento
di 25/30 anni...

un suo recente libro, "la famiglia Agnelli governa su un impero che vale cento rischiando
di tasca propria, in proporzione, non pi di
dodici" (Licenziare i padroni?, Milano,
Feltrinelli, 2003, p. 52).

10 Per cui, ad es., il Banco di Napoli non po-

teva aprire sportelli in Sicilia, ed il Banco di


Sicilia non poteva aprirne in Campania.
11 Inoltre BNL cre Efibanca, e le banche po-

polari Centrobanca.
12 G. Roma, I controlli sull'attivit banca-

ria, Roma, Edibank, 1999, p. 27.


13 G. Roma, op.cit., p. 30.
14 R. Chernow, op.cit., p. 12; ma brani di

intonazione simile si trovano anche in altre


parti del libro. Nonch nella gran parte della
pubblicistica dei tardi anni Novanta.
Per quanto riguarda specificamente l'Italia,
va aggiunto che l'investimento borsistico
stato, per molti piccoli risparmiatori, un
passo quasi obbligato. Infatti nel corso dell'ultimo decennio uno dei tradizionali beni
di investimento dei risparmiatori italiani, ossia i BOT, ha perso praticamente ogni attrattiva; inoltre nei primi anni Novanta il
(primo) Governo Amato ha imposto una
tassa del 27% sugli interessi dei conti correnti, a fronte di una tassa di appena il
12,5% sui guadagni da investimenti borsistici. Altro che "spontaneit del mercato" e
"libert del consumatore/risparmiatore"! In
questo modo ingenti quantit di risparmio
privato in fuga dal debito pubblico sono state
spinte a riversarsi nei mercati di borsa.
15 La Commissione Europea ha emanato solo
di recente (16/12/2002) la Dire t t i v a
2002/87, relativa alla vigilanza supplementare sugli enti creditizi, sulle imprese di
assicurazione e sulle imprese di investimento
appartenenti ad un conglomerato finanziario.
16 Vedi G.M. Gro s - P i e t ro, E. Reviglio, A.

Torrisi, Assetti proprietari e mercati finanziari europei, Bologna, Il Mulino, 2001, pp.
112-4.
17 Consob, Incontro annuale con il mercato

finanziario, Discorso del presidente Luigi


Spaventa, Milano, 8 aprile 2002, p. 10.

20 V.I. Lenin, L'imperialismo, fase suprema


del capitalismo, 1916; tr.it. in Scritti economici, a cura di U. Cerroni, Roma, 1977, p.
535.
21 P. Ciocca, La nuova finanza in Italia.
Una difficile metamorfosi (1980-2000),
Torino, Bollati Boringhieri, 2000, p. 20.
2 2 Dati citati da R.W. Ferguson jr. ,
"Understanding Financial Consolidation"
(pp. 2-3) e da D. Clementi, "Recent developments in financial markets: some implications for financial stability" (p. 1), nei loro
interventi alla International Banking and
Financial Systems Conference, Roma, 9
marzo 2001.

Maggio - Giugno 2004

perialismo" insomma una categoria economica e non politica.


26 Cfr. R & S, Multinationals: Financial
Aggregates (274 Companies). 2002 edition,
Milano, 2003.
27 K. Marx, Il capitale, l. III, cap. 15, par.
28 Da questo discende la necessit, notata da
Henryk Grossmann nel 1929, che "parte crescente del capitale sociale complessivo rimanga nella forma di denaro, come capitale
monetario, per la continuit del processo di
riproduzione".
29 G.M. Gros-Pietro, E. Reviglio, A. Torrisi,

op.cit., p. 347 (corsivi nostri). E' appena il


caso di notare come il passo citato riprenda
di fatto (poco importa se consapevolmente o
meno) l'analisi marxiana.
30 Numero del 9 maggio 2003. Non meno

c h i a ro il sottotitolo: "Unicredito, Intesa,


Sanpaolo IMI, Capitalia, MPS e BNL controllano grande industria e finanza".
31 Lenin, op. cit., p. 533.

23 Ne Il processo di consolidamento nel set-

32 The Economist, 13 gennaio 2001.

tore finanziario. Summary Report (gennaio


2001) si legge che "gli studi empirici suggeriscono che le fusioni possono forn i re l'opportunit di incrementare i ricavi attraverso
aumenti di efficienza o un rafforzamento del
potere di mercato" (tr.it. a cura della Banca
d'Italia, p. 21). Poi per R.W. Ferguson jr.,
nell'esporre in sintesi i risultati della ricerca,
afferma (eufemisticamente) che "the overall
evidence in favor of efficiency gains is weak":
"Understanding Financial Consolidation",
cit., p. 10. Nella stessa sede il governatore
della Banque de France, J.-C. Trichet ha motivato le fusioni del settore con "la ricerca di
un potere di mercato e/o di economie di
scala"; poi ha aggiunto: "noi dobbiamo essere coscienti di certi pericoli derivanti da questa rincorsa della dimensione (course la
taille), la cui logica ultima [sic!] sare b b e
quella di dar vita ad un oligopolio"
("L'volution rcente du systme financier international et ses rpercussions sur l'efficacit
et la stabilit des intermdiaires et des marchs", pp. 6 e 12, corsivi miei).

33 L. Gallino, Globalizzazione e disugua-

24 V.I. Lenin, op.cit., p. 571.


25 V.I. Lenin, op.cit., p. 571. E' interessante

notare che nella caratterizzazione leniniana


dell'imperialismo l'aspetto politico (o politicomilitare) gioca un ruolo assolutamente marginale e comunque derivato: quella di "im-

glianze, Roma-Bari, Laterza, 2000, pp. 17


e 111.
34 Lenin, op. cit., p. 548.
35 Lenin, op. cit., p. 566.
36 Non credo sia fuori luogo porre in paral-

lelo questo ampliamento della dimensione


statuale ad un livello sovranazionale con i
giganteschi processi di concentrazione monopolistica che hanno luogo tra le imprese.
37 Ad esempio, molti dei cosiddetti Territori

d'Oltremare, che fanno parte a tutti gli effetti


dell'area dell'euro, si trovano a migliaia di
chilometri dall'Europa.
38 Su questo rinvio ad alcuni miei articoli:

"Irak: una guerra e i suoi perch", "Guerra


tra capitali - Dollaro contro euro: ultime notizie dal fronte", comparsi rispettivamente
sui nn. 93 e 96 de la Contraddizione; La
debolezza della forza. Limperialismo americano e i suoi problemi, in L. Vasapollo (a
cura di), Il piano inclinato del capitale,
Milano, Jaca Book, 2003, pp. 167-190;
" P e t rolio e non solo. Cause ed effetti della
guerra all'Irak", l'ernesto toscano, giugno
2003.
39 G. Pietranera, op.cit., p. 208.
40 Lenin, op.cit., p. 559.

Maggio - Giugno 2004

Theresis

Lenin definisce limperialismo


come la pretesa di "poche nazioni
elette", di riservare a se stesse
"il privilegio esclusivo di formazione
dello Stato", negandolo ai barbari
delle colonie o semicolonie

Lenin
e le tre grandi
discriminazioni*

di Domenico Losurdo

COME LA RIVOLUZIONE DOTTOBRE E IL PENSIERO LENINISTA


IMPONGONO ALLA DEMOCRAZIA MODERNA IL SUPERAMENTO DELLE
DISCRIMINAZIONI RAZZIALI, CENSITARIE E SESSUALI

a ancora senso occuparsi di Lenin?


Lideologia oggi dominante sembra
voler compendiare il bilancio del
Novecento in una storiella edificante, che pu essere cos sintetizzata: agli inizi del Novecento, una
ragazza fascinosa e virtuosa (la signorina Democrazia) viene aggredita prima da un bruto (il signor
Comunismo) e poi da un altro (il signor Nazi-fascismo); approfittando
anche dei contrasti tra i due e attraverso complesse vicende, la ragazza riesce alfine a liberarsi dalla
terribile minaccia; divenuta nel frattempo pi matura, ma senza nulla
perdere del suo fascino, la signorina
Democrazia pu alfine coronare il
suo sogno damore mediante il matrimonio col signor Capitalismo;
circondata dal rispetto e dallammirazione generali, la coppia felice
e inseparabile ama condurre la sua
vita in primo luogo tra Washington
e New York, tra la Casa Bianca e Wall
Street. Stando cos le cose, non pi
lecito alcun dubbio: a Lenin e alla
rivoluzione da lui ispirata e diretta
si pu guardare solo con orrore.
Senonch, questa storiella edificante nulla ha a che fare con la storia reale. La democrazia contemporanea si fonda sul principio per
cui titolare di diritti inalienabili da
considerare ogni individuo, indipendentemente dalla razza, dal
censo e dal genere (o sesso) e dun-

que presuppone il superamento


delle tre grandi discriminazioni
(razziale, censitaria e sessuale) ancora vive e vitali alla vigilia dellottobre 1917. Soffermiamoci intanto
sulla prima. Essa si presenta in duplice forma. Da un lato, a livello planetario, vediamo osserva Lenin
lasservimento di centinaia di milioni di lavoratori dell'Asia, delle colonie in generale e dei piccoli paesi
ad opera di un pugno di grandi potenze. Dallaltro, la discriminazione
razziale si fa sentire anche allinterno degli Stati Uniti, negando ai
neri i diritti politici e talvolta gli
stessi diritti civili, e comunque sottoponendoli ad un regime terroristico di white supremacy, nellambito
del quale le squadracce del Ku Klux
Klan possono tranquillamente umiliare, torturare e linciare i membri
ribelli delle razze inferiori.
Ma ora volgiamo pure le spalle alle
colonie e alla sorte delle razze inferiori, per concentrare lo sguardo
sulla metropoli capitalistica, anzi
esclusivamente sulla sua popolazione civile. Anche a questo livello
fa notare Lenin - continuano ad
essere operanti significative clausole di esclusione dalla cittadinanza. In Inghilterra il diritto elettorale ancora abbastanza limitato
da escludere lo strato inferiore propriamente proletario; per di pi,
sempre nel paese classico della tra-

dizione liberale, la Camera Alta (interamente ereditaria, eccettuati pochi vescovi e giudici), appannaggio dellaristocrazia terriera, la
quale in ultima analisi detiene il
controllo degli affari pubblici.
Se si prende lOccidente nel suo
complesso, la clausola desclusione
pi macroscopica quella che colpisce le donne. In Inghilterra, le signore Pankhurst (madre e figlia),
che dirigono il movimento delle suffragette, sono costrette a visitare periodicamente le patrie prigioni.
Denunciata da Lenin, l'esclusione
delle donnedai diritti politici cancellata in Russia gi dopo la rivoluzione di febbraio, salutata come rivoluzione proletaria (per il peso
esercitato dai Consigli e dalle masse
popolari) da Gramsci, il quale sottolinea calorosamente il fatto che
essa ha distrutto l'autoritarismo e
gli ha sostituito il suffragio universale, estendendolo anche alle donne. Questa medesima strada viene
poi imboccata dalla repubblica di
Weimar (scaturita dalla rivoluzione
scoppiata in Germania ad un anno
di distanza dalla rivoluzione dOttobre) e solo in seguito dagli USA.
Della democrazia come oggi viene
per lo pi intesa fanno poi parte anche i diritti sociali ed economici. Ed
proprio il gran patriarca del neoliberismo, Hayek, a denunciare il
fatto che la loro teorizzazione e la

Theresis

loro presenza in Occidente rinviano


in misura considerevole allinfluenza, da lui considerata funesta,
della rivoluzione marxista russa.
In conclusione, al momento della
sua scomparsa, Lenin avrebbe potuto essere orgoglioso dellimpulso
da lui e dalla rivoluzione dOttobre
impresso al superamento delle tre
grandi discriminazioni e allaffermazione del diritto alla vita, in ultima analisi alla causa della democrazia e dei diritti delluomo nel
mondo e nello stesso Occidente.
Epper, i progetti del rivoluzionario russo erano ben pi ambiziosi.
Come emerge con particolare evidenza dal discorso con cui egli conclude il I Congresso dellInternazionale comunista: La vittoria
della rivoluzione proletaria in tutto
il mondo assicurata. Si approssima
la fondazione della repubblica sovietica internazionale. Dunque, allimminente sconfitta del capitalismo su scala mondiale avrebbe fatto
rapidamente seguito la fusione
delle diverse nazioni in un unico organismo, e questa fusione avrebbe
a sua volta accelerato il processo di
estinzione dello Stato!
Tutto ci appare oggi come il libro
dei sogni! La rivoluzione in Occidente non si realizza. Ma non questo il punto pi importante. Stando
almeno a certe pagine di Marx e
Engels, nella societ comunista da
loro vagheggiata, oltre alle classi,
allo Stato e al potere politico, dileguano anche la divisione del lavoro,
le nazioni, le religioni, il mercato,
ogni possibile fonte di conflitto.
Non priva di elementi messianici,
questa piattaforma teorica resta sostanzialmente immutata in Lenin. Il
quale, per, d prova al tempo
stesso di una straordinaria flessibilit e di una grande capacit di apprendimento. In un intervento pubblicato sulla Pravda del 30 maggio
1923 egli cita Napoleone: On sen-

gage et puison voit. Aveva sperato, come abbiamo visto, nella rapida realizzazione della repubblica
sovietica internazionale; dopo il dileguare di tali speranze dedica tutti
i suoi sforzi alla costruzione di una
nuova societ nella Russia rivoluzionaria. Aveva teorizzato lestinzione dello Stato, ma dopo un po
si rende conto che lagitazione di
questa parola dordine rende impossibile il reale superamento
dellAncien rgime zarista. Ed ecco, in
un celebre articolo del 4 marzo 1923
(Meglio meno, ma meglio), Lenin lancia parole dordine del tutto nuove:
migliorare il nostro apparato statale, costruire un apparato statale
veramente nuovo e che meriti veramente il nome di socialista, di sovietico, ecc.; non esitare ad imparare dai migliori modelli dell'Europa occidentale e dellOccidente
nel suo complesso, inviando alcune persone preparate e coscienziose in Germania o in Inghilterra
o in America e nel Canada "per raccogliere le pubblicazioni esistenti e
per studiare questo problema".
Aveva riposto non poche speranze
nel comunismo di guerra, ma ecco
che la necessit di sfamare un popolo stremato lo spinge a porsi il
problema dello sviluppo delle forze
produttive e a sperimentare la Nep.
No, non si tratta di pragmatismo
senza principi. In Marx (M i s e r i a
della filosofia) Lenin aveva potuto
leggere: La storia procede sempre
dal suo lato cattivo. E Lenin stesso,
prima ancora della rivoluzione
dOttobre, nel luglio 1916 a sua
volta ammonisce: Colui che si
aspetta una rivoluzione sociale
pura non la vedr mai. Per rigorosa e articolata che possa essere
una teoria rivoluzionaria, il processo storico reale si rivela sempre
infinitamente pi ricco e pi complesso; e la maturit di una teoria rivoluzionaria si rivela in primo luogo

Maggio - Giugno 2004

dalla sua capacit di apprendere e


di svilupparsi ulteriormente.
Al momento della sua morte, Lenin
aveva compiuto solo i primi passi in
questa direzione. Si comprende che
la scomparsa di una personalit cos
autorevole aggravi enormemente la
soluzione dei numerosi problemi
pi che mai aperti. Alla guerra civile
in atto tra i seguaci dellAncien rgime (appoggiati dallOccidente) e
la Russia rivoluzionaria si aggiunge
la guerra civile (latente o manifesta)
che ora pi che mai lacera il gruppo
dirigente bolscevico; e si aggiunge
altres, a partire dal 1929, la guerra
civile nelle campagne. lintreccio
di queste tre guerre civili, assieme
alle debolezze teoriche e alle tendenze messianiche presenti gi
nella teoria di Marx ed Engels, a
spiegare la tragedia che si verifica.
Questa tragedia non devessere mai
persa di vista, e devessere tenuta
presente senza indulgenze e senza
abbellimenti. E, tuttavia, essa non
deve farci dimenticare il contributo
fornito da Lenin e dalla rivoluzione
dOttobre al superamento delle tre
grandi discriminazioni. Soprattutto
oggi che almeno una di esse si rivela
pi che mai di attualit. Lenin definisce limperialismo come la pretesa di poche nazioni elette, di riservare a se stesse il privilegio esclusivo di formazione dello Stato, negandolo ai barbari delle colonie o
semicolonie. Vale la pena di ricordare che George W. Bush ha condotto la sua campagna elettorale,
proclamando un vero e proprio
dogma: La nostra nazione eletta
da Dio e ha il mandato della storia
per essere u n modello per il
mondo.

*Per l Humanit ( 29 maggio 2004) e per


lernesto

Maggio - Giugno 2004

La cultura

La sostanza che oggi


il sistema mediatico usa
disinvoltamente la massa
di comunicazioni a disposizione
per "condizionare" e "orientare"
la coscienza critica invece
di combatterla frontalmente

Comunicazione
e musica

di Gianni Lucini
Storico del rock e giornalista di Liberazione

DUE FRONTI DELLA BATTAGLIA PER LEGEMONIA

el 1967 un filosofo e scrittore francese pre-situazionista di nome Guy


Ernest Debord pubblicava un libro
intitolato La societ dello spettacolo, intendendo per spettacolo ogni manifestazione che potesse diventare fenomeno di massa e quindi uno strumento occulto di controllo e/o di
alienazione (Tutta la vita delle societ nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si
presenta come unimmensa accumulazione di spettacoli. Tutto ci che
era direttamente vissuto si allontanato in una rappresentazione).

GLI

ANNI DEL CONSUMO


DI MASSA

Lidea era quella che il sistema, dietro a un apparente liberalizzazione


generalizzata della comunicazione,
tendesse da un lato a riposizionare
la propria struttura produttiva e dallaltra a nascondere la realt imponendo una sorta di realt guidata,
fatta di false rappresentazioni mediatiche (spettacoli appunto) che
orientassero coscienze, formassero
convinzioni, ecc. In quegli anni i
giovani della prima generazione
nata dopo la seconda guerra mondiale stavano diventando un soggetto sociologico protagonista (anche se a sinistra qualcuno lha scambiato per un soggetto politico) e

non pi una sorta di esercito di riserva in attesa di diventare adulto.


Per numero e per disponibilit economica erano lelemento nuovo, la
scommessa del futuro, su cui investire risorse e capitali. Nella logica
del sistema capitalistico questo
enorme bacino di consumatori doveva essere il destinatario finale di
un processo produttivo e culturale
specifico finalizzato a massificare i
consumi e gli strumenti di manipolazione del consenso. Erano gli anni
delle minigonne, degli scooter, del
consumo della musica come fenomeno di massa. In realt Debord anticipava quel fenomeno complesso
che oggi definito globalizzazione, ne intuiva il disegno e cercava di individuarne gli elementi
pi perniciosi: lappiattimento dei
linguaggi, la sconfitta o linglobamento delle culture critiche, la massificazione dei consumi, la costruzione di un modello di produzione
unico e globale che fornisse il perno
decisivo per la supremazia delloccidente capitalista, ecc. Non un
caso che il libro sia stato scritto negli anni Sessanta. Mai come in quel
periodo, infatti, la moda, il costume,
la musica, le arti e tutto ci che veniva definito come tendenza avevano acquisito tanta importanza da
determinare profonde modificazioni nella storia, nella politica, nelleconomia e nella cultura. Debord,

dunque, aveva intuito i meccanismi


in atto sul piano teorico e tendenziale. La sua analisi, per, aveva un
limite di prospettiva perch era rinchiusa in una sorta di determinismo
negativo, a-marxista, che non vedeva altra possibilit di resistenza se
non un impossibile sabotaggio e un
ancor pi impossibile e ideologicamente astratto rifiuto dei processi.
Una strategia di resistenza siffatta
sarebbe stata destinata a soccombere vista la disparit della forze in
campo e loggettiva difficolt a contrastare in modo ideologico innovazioni tecnologiche che, nonostante le implicazioni negative, finivano per migliorare la qualit
della vita. A dispetto delle previsioni
sia del sistema che di una parte degli intellettuali un po troppo distratti il meccanismo di allargamento del consenso si inceppa.
Lallargamento delle forme di comunicazione, indispensabile per
costruire modelli su scala mondiale,
offre un insperato canale moltiplicatore alle lotte anticapitaliste e, soprattutto, a quelle antimperialiste.
cos che si sviluppano su scala planetaria mobilitazioni di massa fino
a poco tempo prima limitate ai confini nazionali, dai diritti civili alle
condizioni di lavoro alla guerra e al
colonialismo. Lelemento emblematico di questa mobilitazione globale resta la guerra del Vietnam,

La cultura

vinta sul piano della comunicazione


(e non della propaganda, come
qualcuno ogni tanto sostiene)
prima ancora che sul terreno politico e militare. Se sul piano del sistema produttivo (dischi, mode,
consumi di massa) il giochino funziona e rende bene, sul piano politico si rivela un disastro, visto che invece di controllare le coscienze finisce per mettere in crisi limperialismo statunitense e regalare nuove
parole al conflitto di classe. Per dirla
con parole semplici e forse un po
banali i comunisti e le forze della sinistra anticapitalista, pi abituate a
ragionare in termini di solidariet
internazionalista, a inquadrare le
situazioni nazionali in una prospettiva planetaria, riescono meglio di
altri a gestire questimprovvisa apertura dei canali di comunicazione
globale e mettono a segno risultati
incredibili marcando unegemonia
senza precedenti. Sarebbe interessante approfondire lanalisi dello
sviluppo e, soprattutto, della dissipazione di questo patrimonio negli
anni successivi, ma non questo il
tema principale di questo scritto.

L I N T E R N A Z I O N A L I S M O
MUSICALE

Un elemento fondamentale nellapertura dei linguaggi e della capacit comunicativa di quegli anni la
musica. Quello che in parte era gi
su ccesso alla fine degli anni
Cinquanta con il rock & roll, trova
negli anni Sessanta la sua esaltante
continuit con un fenomeno come
il beat e le successive evoluzioni. Le
giovani generazioni iniziano a comunicare sulla stessa onda utilizzando la musica. Ben presto alle parole damore adolescenziale si sostituiscono contenuti diversi. Per la
prima volta un comunista messo al
bando dal maccartismo come Pete
Seeger vede una sua canzone ai vertici delle classifiche di mezzo
mondo, in Gran Bretagna si riciclano i pi oltraggiosi interpreti del
rock and roll statunitense, lopposizione alla guerra del Vietnam entra

nelle canzoni e termini come imperialismo e capitalismo assumono in musica ununiversale accezione negativa. Lestablishment
statunitense si accorge che qualcosa
non funziona e cerca, tardivamente,
di correre ai ripari. Il 1 gennaio
1965 la rivista New Musical Express denuncia che, con pretesti artificiosi,
il governo statunitense sta negando
il visto d'ingresso nel paese a vari
gruppi inglesi che si vedono costretti ad annullare tour gi previsti.
La notizia risulter vera. Il
Dipartimento Immigrazione degli
Stati Uniti sta, infatti, cercando di limitare la British Invasion, cio
larrivo delle band britanniche con
lo scopo apparente di tutelare gli artisti locali. Chiudere la porta della
stalla dopo che i buoi sono scappati
non servir a niente. La musica ormai assurta a linguaggio universale
e legemonia culturale non nelle
mani della destra. Tutto bene? No.
Perch, in realt, i comunisti e la sinistra anticapitalista dimenticano,
in quella fase, di prestare attenzione
alla risposta dellavversario. Persa la
prima battaglia per legemonia sul
terreno meno congegnale, quello
delle idee, gli Stati Uniti punteranno a vincere la guerra. Due saranno gli elementi sui quali verr
concentrata la controffensiva: il
controllo delle strutture produttive
della musica e il cambiamento della
strategia mediatica.

IL

CONTROLLO DELLE

STRUTTURE PRODUTTIVE
DELLA MUSICA:
I L C A S O I TA L I A N O

vero che negli anni Sessanta e


Settanta i giovani del mondo avevano iniziato a utilizzare la musica
per comunicare sulla stessa onda,
ma in entrambi i casi il linguaggio
era definito, strutturato, per molti
aspetti riducibile a schema e,
quindi, controllabile.
Pur affondando le sue radici nella
contaminazione tra i ritmi neri e le
melodie bianche, era indiscutibilmente occidentale. In pi luniver-

Maggio - Giugno 2004

salit della comunicazione era condizionata dalla barriera di una lingua dominante, linglese, nelle sue
mille forme.
Le rivoluzioni di quegli anni portavano, dunque, i segni forti di unegemonia occidentale. Era il peccato
originale di un movimento chiamato rock che correva il rischio, suo
malgrado, di diventare un subdolo
strumento di dominazione. Il
mondo ballava e cantava sulla stessa
onda, ma si faceva prestare le parole
da una lingua sola e, come insegnavano i Sofisti, chi padrone delle
parole costruisce la sua verit. E anche quando quella musica si apre
alle musiche del mondo lo fa senza
mettere in discussione il punto di
partenza: era lOccidente che si
apriva allOriente, il Nord al Sud,
mai viceversa. LOccidente era il
centro, il resto una variegata periferia.
Con questa certezza pochi anni fa le
major discografiche hanno puntato
sui mezzi di comunicazione di
massa per rendere stabile la costruzione di un linguaggio musicale
mondiale che rendesse permanente il dominio. In questo quadro
verr anche accettata la nascita della
cosiddetta world music, uno
schema mobile e dinamico capace
di racchiudere e, in fondo, neutralizzare, tutto ci che affonda le sue
radici nelle culture non rigidamente legate all'universo angloamericano.
Sul piano produttivo, poi, era iniziata unoffensiva tendente a eliminare qualunque possibilit di sopravvivenza di strutture nazionali e
potenzialmente non controllabili.
Emblematico , a questo proposito,
il caso italiano.
Cera una volta in Italia una delle industrie discografiche pubbliche pi
importanti del mondo. Nata nei
primi anni del Novecento aveva accompagnato la diffusione della musica popolare, ne aveva guidato le innovazioni tecniche, anticipando e
qualche volta determinando i gusti
del pubblico. La sua esistenza era
stata anche un punto di riferimento
importante per lo sviluppo delle ini-

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ziative private. Cera una volta, perch adesso non c pi. La sbornia
privatizzatrice e liberista degli ultimi ventanni ne ha fatto strame.
Tutto stato messo in vendita e
pezzi interi di un catalogo che era,
prima di tutto, una parte importante della storia e della cultura del
nostro paese, sono scomparsi, volatilizzati nel mercato dei collezionisti e, in qualche caso, perduti in
qualche magazzino polveroso.
Quasi a dimostrare come ci fosse un
nesso inscindibile tra il polo pubblico e liniziativa privata, pochi
anni dopo lavvio della furia privatizzatrice, anche la grande industria
discografica privata collassa e diventa preda delle major multinazionali.
Chi pensa che tutto ci accada negli anni Ottanta sbaglia. In realt il
processo inizia proprio alla fine degli anni Sessanta con la progressiva
conquista da parte delle multinazionali di un mercato strategicamente importantissimo: quello
della distribuzione.
Chi controlla la distribuzione controlla il mercato e, quindi, pu pesantemente condizionare la produzione. Quando in Italia salta lanello
pubblico, quello privato gi da
tempo pesantemente condizionato
dalle strutture multinazionali. La
privatizzazione disintegra lultima
difesa e fa crollare lintero castello.
Loperazione poi andata oltre.
L'imperialismo culturale e globalizzatore delle major ha agito con determinazione e cinismo razionalizzatore. Mentre le strutture produttive sono state investite da una pesante ristrutturazione con tagli consistenti di posti di lavoro, la concentrazione della distribuzione
nelle grandi catene commerciali,
anche queste quasi tutte nelle mani
delle multinazionali, ha prima indebolito e poi colpito a morte la rete
di piccole e medie strutture di vendita su cui si sempre retta la diffusione dei prodotti musicali di qualit nel nostro e in quasi tutti i paesi
europei. Alla fine degli anni Novanta loperazione era ormai completata.

La cultura

IL

CAMBIAMENTO

D E L L A S T R AT E G I A M E D I AT I C A

Dopo la dbacle comunicazionale


degli Stati Uniti all'epoca della
guerra del Vietnam le scuole occidentali di comunicazione hanno
elaborato una sorta di "strategia
multimediale" di formazione del
consenso molto pi raffinata di
quella degli anni precedenti. A differenza di quanto in uso fino agli
anni Settanta, non si punta pi alla
fidelizzazione tout-court (sto sempre con l'America o con l'Occidente
perch dalla parte della libert
contro il comunismo o contro la
barbarie che lo stesso), ma si parte
dall'idea di affiancare la costruzione di una sorta di spirito genericamente critico, spesso apolitico o
prepolitico con caratteristiche di
universalit, che fa sentire liberi e
non condizionati, ma che serve da
supporto per improvvise accelerazioni funzionali alle diverse esigenze della politica o dell'economia.
una strategia sottile che presuppone la nascita, la crescita e l'induzione di una sorta di criticit vigilata ricca di aperture attraverso le
quali far passare le accelerazioni.
Esse mai o quasi mai sono immediatamente riconoscibili come tali e
spesso nemmeno la finalit intuibile. Un esempio citato ancora oggi
nei corsi sulle comunicazioni di
massa quello del film Ritorno al futuro di Zemekis del 1985. In esso abbondano battute critiche e ironiche
sull'establishment statunitense,
comp resa una gag sull'attore
Reagan divenuto presidente. Si
ride, si partecipa in modo critico
alle vicende degli Stati Uniti degli
anni Ottanta e si fanno paragoni tra
il passato e il presente di quella nazione. Sembra, anzi , un film moderatamente progressista e, comunque, divertente. Nessuno si accorge di un dettaglio. I terroristi
che sparano a Doc, lo scienziato,
colpevole di aver loro rubato il materiale nucleare necessario a far funzionare la macchina del tempo sono
libici. Potevano essere di qualunque

nazione o, come scritto nella sceneggiatura iniziale del film, terroristi e basta. Non ha alcuna funzione
nel film l'aggettivo specificativo
della loro nazionalit eppure qualcuno interviene perch venga inserito nella sceneggiatura originale.
Anni dopo si scoperto che si trattava di una specificazione voluta,
perch era uno dei tanti piccoli tasselli necessari a convincere l'opinione pubblica mondiale della necessit di castigare Gheddafi con
il bombardamento di Tripoli. E
quando questo succede anche chi
"condanna" il bombardamento non
mette neppure in discussione la
cattiveria di Gheddafi perch diventata un elemento obiettivo, con-

Chi controlla la distribuzione


controlla il mercato e,
quindi, pu pesantemente
condizionare la produzione

diviso, quasi naturale.


La sostanza che oggi il sistema mediatico usa disinvoltamente la massa
di comunicazioni a disposizione per
condizionare e orientare la coscienza critica invece di combatterla
frontalmente.
Questa strategia ha acquisto potenzialit impensate con la trasmissione delle immagini mediante lo
schermo televisivo e con la possibilit di manipolazione che ne consegue. A parte il conosciutissimo imbroglio realizzato dalla televisione
rumena durante gli ultimi giorni
della caduta di Ceausescu, gli studiosi statunitensi nel campo della
comunicazione di massa organizzatisi per produrre controinformazione in occasione della prima
Guerra nel Golfo hanno rivelato
che, prima di mettere in atto le operazioni militari, era stata ingaggiata

La cultura

una agenzia di pubbliche relazioni


per saggiare il tipo di immagini pi
adatto a provocare nel pubblico reazioni emotive favorevoli alla guerra.
E quando, dallindagine svolta era
risultato che i bambini e le giovani
donne costituivano gli argomenti
pi toccanti era stato realizzato un

Linglese non ha pi
il fascino universalista
che aveva alla fine
del secolo scorso

video nel quale una giovane in lacrime raccontava di essere stata testimone delloccupazione di ospedali nel Kuwait da parte di soldati
iracheni, che avevano prelevato
bambini dalle incubatrici per portarli a Baghdad. Dopo la fine del
conflitto si scopr che la giovane, figlia dellambasciatore del Kuwait
negli U.S.A., non si era mossa da
Washington da diversi anni. Inoltre
la commissione medica internazionale che visit il Kuwait subito dopo
la fine delle ostilit, fece sapere che
gli ospedali non disponevano di incubatrici. Bene o male, piccoli o
grandi, fantasiosi o meno, dobbiamo fare i conti con questo uso dei
media.

IN

MUSICA LA RESISTENZA
C O M I N C I ATA

Non tutte le ciambelle riescono col


buco e come spesso accade il capitalismo finisce per coltivare in s il
germe della propria rovina. La
prima campana di riscossa nasce
dallo slancio culturale che supporta
nei primi anni Ottanta uninnovazione tecnica rivoluzionaria come
quella del campionatore. Che cos'?
Senza entrare in inutili dettagli tecnici, si pu definire in questo modo:
uno strumento che ha la possibilit

di registrare un suono e renderlo


disponibile per altri usi. Si assiste
cos a un formidabile impulso innovativo che se ha avuto in Sting e
Peter Gabriel i pi geniali pionieri,
nel rap ha conosciuto la sua pi dinamica e democratica diffusione. I
primi esempi arrivano con Rappers
D e l i g h t della Sugarhill Gang che
campiona la linea di basso di Good
Times degli Chic o con Rappin' And
Rockin' The House dei Funky Four
Plus One More che riprende Got To
Be Real di Cheryl Lynn. L'innovazione spiazza per qualche tempo la
produzione industriale e provoca
un'accelerazione che fa saltare le
barriere sonore tra le culture. Poi,
per, l'aria inizia a cambiare.
L'industria discografica, pi che
alle implicazioni ideologiche pensa
agli affari, e si accorge che un campionatore elimina le spese. Basta
con le lunghe e virtuose sedute di
registrazione. In fondo sufficiente
cercare nei propri archivi il suono
che pi e meglio s'avvicina a quello
che si vuole ed fatta! La fase successiva stata, poi, la seguente: perch perdere tempo a cercare qualcosa che magari qualcuno ha gi
fatto? Ricordava su Musica Alessio
Bertallot, dj d'assalto e gi frontman
degli Aeroplanitaliani, che dal campionamento di Soup for one degli
Chic nasce Lady di Modjo. Visto che
funziona, poi si campiona quest'ultimo (la ricerca tutta fatica inutile)
e nasce The ladyboy is mine d i
Stuntmasterz. Il campionamento,
nato per supportare e allargare il
campo della ricerca e della contaminazione diventa cos il supporto
a una sorta di musica di plastica i cui
i vari passaggi cancellano le radici
originarie. L'innovazione non ha
pi bisogno delle radici e, in fondo,
neanche dell'arte. laltra faccia
della globalizzazione. Il business
prima di tutto. Cos la voce degli indiani Navajo fa da supporto a qualche stucchevole brano dance destinato a far da sottofondo a spot a
basso costo o a siglette televisive. Il
gioco fatto. La musica di produzione industriale inizia a perdere il
contatto con le radici, la storia e la

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cultura.
Come accaduto negli anni Sessanta
per questa idea, forse geniale dal
punto di vista del profitto, finisce
con lavere due effetti collaterali:
rende insopportabile e monotona a
produzione in serie e mette in circolo sonorit inusuali frantumando
legemonia angloamericana. Ho gi
avuto modo di scrivere che nella
nuova musica globale il concetto di
straniero non esiste pi. Per dirla
con i Radiodervish il centro del
mundo sta dissolvendosi in una
nuova internazionalizzazione della
musica in cui ciascuno parla con un
idioma diverso dallaltro ma tutti si
comprendono. una lingua nuova
fatta di suoni, sensazioni, colori e
ritmi che d voce a ogni angolo sperduto della terra. Lidea di poter controllare il processo sta franando. Il
meccanismo di comunicazione non
funziona pi a senso unico perch
stiamo assistendo alla nascita di una
generazione di musicisti capace essa
stessa di determinare nuovi codici
creativi e che sente le tradizioni dei
vari popoli del mondo non come
una curiosit da scoprire, ma come
parte del proprio patrimonio culturale. Sono cittadini del mondo, si
abbeverano alle mille culture del
pianeta. E se, come accaduto, un
gruppo mozambicano come i
Mabulu riesce a vendere via
Internet il suo album Karimbo in
ogni parte del mondo, il fatto rilevante non la possibilit di aggirare
il sistema commerciale delle major,
ma la naturalezza con la quale un
giovane di Washington, una ragazza
di Stoccolma o uno studente di
Lahore sentono quella musica
come se fosse loro, ne capiscono il
linguaggio e ne interpretano le sensazioni. Sta saltando, anzi gi saltata, anche la schiavit della lingua.
Linglese non ha pi il fascino universalista che aveva alla fine del secolo scorso. Ciascuno parla nella
sua lingua, senza altra mediazione
che quella dei suoni, delle armonie
e dei ritmi. E anche chi si era lasciato
catturare dal meccanismo torna a riscoprire le proprie radici. Accade
cos che Chrif Mbaw conquisti le

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classifiche francesi cantando in wolof, lantica lingua del Senegal, e


Wyclef Jean faccia lo stesso negli
Stati Uniti e in Gran Bretagna con
il colorito linguaggio del popolo di
Haiti. Quando anche una popstar
come Christina Aguilera decide di
abbandonare il suo inglese artificiale per tornare allidioma ispanico, sua lingua natale, senza perdere un nanogrammo di popolarit, non pi un fenomeno casuale. Il magazine Time ha dato corpo
alle preoccupazioni parlando di un
melting pot inarrestabile, un fenomeno fuori dal controllo, una rivoluzione ormai in atto e non ancora
conclusa. Sono ormai lontanissimi i
tempi in cui le esperienze parigine
dei primi gruppi nati dalla cultura
multietnica, come i Mano Negra o
Les Negresses Vertes, parevano destinati a restare nel ristretto ambito

La cultura

delle curiosit. Anche le riviste musicali meno sofisticate si sono fatte


pi caute. rischioso per il sistema
stesso e forse impossibile rinchiudere nel ghetto della word music
musicisti come lugandese Geoffrey
O ryema, il lappone Mari Boine
Persen, il pakistano Nusrat Fateh Ali
Khan o i sudafricani Ladysmith
Black Mambazo del reverendo sudafricano Joseph Shabalala. La
Nigeria, seppellito Fela Kuti, trova
un nuovo cantore della sua anima
nel figlio Femi Kuti, mentre risuonano oggi profetiche le esperienze
di Manu Dibango, Youssou NDour,
Toure Kunda, Mory Kante, Al Farka
Tour o King Sunny Ad. Alla chiamata delle periferie del mondo
lOccidente risponde senza pregiudizi. Al perennemente instabile e
contaminato Manu Chao, si affianca il fascino di Bjrk, Chemical

Brothers, Moby, Asian Dub


Foundation, Transglobal Underground, Fatboy Slim e tanti altri.
Nessuno nemico, nessuno straniero. Il mio suono il tuo suono e
viceversa: insieme diventano il nostro suono. Tutto ancora in movimento, in un tumultuoso e dinamico evolversi di cui non si intravede ancora la fine, ma che potrebbe riservare sorprese a non finire.
Nel secolo scorso la musica stata,
quasi sempre, interprete dei sommovimenti sociali e dei grandi cambiamenti.
Spesso la politica e la sociologia, distratte, lhanno scoperto in ritardo.
Il crollo delle barriere e la crisi dellimperialismo culturale aprono
oggi un orizzonte comunicazionale
che fino a poco tempo fa era impensabile. una lezione importante
che non parla soltanto di musica.

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La cultura

Scriveva Majakovskij fin dal 1913:


Il trionfo del cinema garantito,
poich soltanto la logica
conclusione di tutta larte moderna

Tu vuo fa
llamericano?

di Gigi Livio, Docente di Storia e arte dellattore


Universit di Torino e Armando Petrini, R i c e rc a t o re
di Discipline dello spettacolo Universit di Torino

LE INFLUENZE DEL CINEMA AMERICANO SU QUELLO ITALIANO:


UN RAPPORTO COMPLESSO, SPESSO SOTTERRANEO E NON LINEARE

criveva Majakovskij fin dal 1913: Il


trionfo del cinema garantito, poich soltanto la logica conclusione
di tutta larte moderna. Agli albori
della sua storia, e quando il cinema
ancora muto, il grande poeta, che
di l a poco abbraccer la causa della
rivoluzione sovietica, intuisce il nucleo profondo della struttura linguistica e ideologica della nuova invenzione. Larte moderna, infatti,
larte dellepoca borghese e rivela in
modo evidente caratteristiche ben
precise. Mentre le societ che precedono la Rivoluzione francese conoscono unarte che realizza un distacco dal costume e dalla vita quotidiana caratteristica questa essenziale per presiedere al divertimento della ristretta lite a cui larte
destinata , linvenzione del romanzo in epoca borghese denuncia
il desiderio e la necessit da parte
della nuova classe dominante la
borghesia appunto di far coincidere il divertimento con un rispecchiamento del costume e della vita
quotidiana attraverso forme di
espressione artistica che, nel momento in cui le rispecchiano contemporaneamente per le idealizzino. Alessandro Manzoni, vero
scienziato dellideologia borghese, nel suo romanzo di ambientazione solo apparentemente contadina, trova il modo di trasporre in
buona prosa borghese lideale della

Laura trecentesca da Petrarca sublimata in unaura di eccezionalit


che fa di lei una semi-dea ancora
di ispirazione pagana i cui rapporti
con la vita, e cio con una figura
femminile precisa, sono estremamente labili e poco concreti. Al contrario la promessa sposa Lucia
Mondella pretende di apparire
come una donna che chiunque pu
incontrare per le strade del proprio
contado; questa la fortissima astrazione ideologica che il personaggio
dei P romessi sposi subisce da parte
dellautore per soddisfazione delle
pulsioni ascetiche del borghese che,
e non un caso, riguardano sempre
la sfera del sesso mentre le autentiche pulsioni degli appartenenti a
quella classe, come ben noto, sono
rivolte a ben altro ambito e cio a
quello economico.
Le parole di Majakovskij, utili e illuminanti, rivelano la profondit di
un pensiero che scava nella realt
contemporanea intuendo quale
sar la strada che seguir il cinema
fra le molte possibili. Infatti il cinema muto non pu ancora essere
lerede diretto del romanzo ottocentesco, come diventer poi il film
sonoro. La cinematografia fino a
circa il 1930 dovendo fare a meno
del linguaggio parlato esclude il rispecchiamento di almeno una met
del costume e della vita e costringe
laltra met a unesagerazione dei

linguaggi non verbali (gesti, trucco,


eccetera) che perci ha assai poco
di realistico. E quindi il cinema parlato quello che afferra il testimone
ideologico del romanzo ottocentesco avendo la possibilit di realizzare una pi completa e apparentemente fedele trasposizione
della realt nel passaggio dalla lingua scritta alla registrazione delle
immagini. E, proprio in questo
senso, il cinema realizza, come intuiva Majakovskij, il compimento
della poetica naturalistica che prevedeva labolizione della finzione
nellarte. Non stupisce quindi di trovare nel 1947 una pubblicit di
V i v e re in pace di Luigi Zampa che
suona cos: [La] storia non inventata, i fatti che la animano hanno
un preciso riferimento alla realt, i
nostri personaggi sono veramente
vissuti Del resto molto difficile
inventare oggi una storia che non
sia realmente accaduta.
Questa citazione di un brano della
voce fuori campo usata in modo
pubblicitario per un film dellimmediato dopoguerra ci richiama a
unepoca in cui, grazie alla poetica
neorealistica, il cinema italiano si
era appena liberato dallinfluenza
francese di cui non solo il cinema
ma tutta la nostra cultura era debitrice dalla fine dellottocento alla seconda guerra mondiale e non era
ancora caduto sotto quella ameri-

Maggio - Giugno 2004

cana. Infatti lepoca del neorealismo dur assai poco e comera nellordine delle cose, data la recente
vittoria nelle guerra e lineluttabile
e conseguente espansione del mercato americano, non solo il costume
italiano ma anche la cultura e
quindi il cinema caddero sotto linfluenza degli Stati Uniti. E sarebbe
logico, per ci che riguarda il cinema, aspettarsi di trovare tracce di
questa influenza in almeno due ambiti: quello tematico e quello pi
strettamente legato al linguaggio
espressivo. Ma il primo, che dei due
anche quello in cui linfluenza dovrebbe manifestarsi con maggiore
evidenza, si rivela in realt il campo
in cui la cinematografia italiana ha
preso e prende pi spesso le distanze da quella americana.
Un americano a Roma, con Alberto
Sordi (1954), ben esemplifica un
modo tutto italiano di resistere e di
distanziarsi attraverso lironia unironia certo bonaria, ma da questo
punto di vista comunque efficacedallamericanismo pi aperto e
smaccato. Dal canto suo Renato Carosone e anche questo un caso
di ironia bonaria ma che serve per
anche molto bene a denunciare un
clima, sempre negli anni cinquanta, canta il famoso pezzo Tu
vuo fa llamericano (1956). Ancora
oggi peraltro linfluenza del cinema
statunitense su quello italiano non
cos forte sul piano dei contenuti
e tranne qualche raro caso (si possono citare gli esempi di Nirvana di
Gabriele Salvatores [1997] o del
Mio west di Giovanni Veronesi con
Leonardo Pieraccioni [1998]) sembra anzi di assistere da parte dei cineasti italiani al desiderio di caratterizzare fortemente il proprio cinema in senso nazionale (si pensi
soltanto, e a voler restare agli esempi pi interessanti di oggi, a Alessandro Benvenuti per la commedia
e a Marco Tullio Giordana per il
dramma sociale).
L dove invece lamericanismo si insinua astutamente e surrettiziamente e perci anche pi efficacemente sul piano dellinfluenza
esercitata sul linguaggio cinemato-

La cultura

grafico propriamente inteso: tanto


su quello del linguaggio della regia
quanto sul piano del linguaggio
della recitazione. Per ci che riguarda la regia, e per limitarci ancora a pochi esempi, molto evidente il richiamo al kolossal nellUltimo imperatore di Bertolucci
(1987), la larga utilizzazione degli
effetti speciali cos tipici dellindustria cinematografica americana nel
Pinocchio di Benigni (2002) e levidente allusione a una scrittura la
Tarantino nel meno conosciuto, ma
altamente esemplare, Tre punto sei
di Nicola Rondolino (2003). Per ci
che riguarda lUltimo imperatore,
alle scene grandiose con moltissime
comparse, movimenti di masse e
magnifici costumi tipiche di certe
pellicole che, appunto, si sogliono
definire colossali nate in Italia
col famosissimo Cabiria di Pastrone
(1914), summa di tutta una cultura
di cartapesta dellepoca, ma oggi
monopolio pressoch esclusivo dellindustria hollywoodiana, per ovvie
ragioni di risorse economiche , si
aggiunge anche una critica alla rivoluzione culturale cinese affrontata da un punto di vista che non si
richiama necessariamente allideologia americana, ma che rientra nel
grosso alveo del filisteismo piccoloborghese e della vulgata revisionistica. Nel film di Benigni gli effetti
speciali servono a creare una atmosfera di sentimentalismo diffuso che
si riallaccia gi gi fino ai mielosi
film americani cantati e ballati, seppure con eccezionale maestria, da
Fred Astaire e Ginger Rogers. Ed
evidente come questa interpretazione del libro sia distantissima
dalla matrice anarchica di Collodi,
e che il ricorso a un linguaggio patinato ne smorza e ne attenua gli elementi di critica della societ presenti in quella favola. Per ci che
riguarda infine Tre punto sei le inquadrature ammiccanti, lo stile
frammentato e minimalista tipicamente postmoderno, il ricorso massiccio a una violenza feroce e, in
certo qual modo, ancestrale, rende
palese linfluenza di tanto cinema
splatter americano ben esemplifi-

cato, oggi, dai film di Tarantino.


A proposito della recitazione va
fatta una premessa che riguarda in
genere la poetica cinematografica
americana, anche se forse sarebbe
meglio dire lideologia che le sottesa. Tenendo sempre conto che chi
lavora nel cinema attori, soggettisti, sceneggiatori, registi, scenografi, costumisti, eccetera ha un
rapporto molto forte con lindustria
che quei film produce, evidente
che il cinema hollywoodiano si pu
permettere delle ricerche tecniche
e tecnologiche che altre cinematografie nazionali non possono concedersi. E queste ricerche, dal secondo dopoguerra a oggi, sono andate sempre nella direzione dellabolizione, per quanto possibile,
della finzione nellespressione spettacolare, come perfettamente coerente a una poetica naturalistica.
Testimonianza di questo sono, per
esempio, le riprese esterne in luoghi particolarmente esotici e un
tempo impensabili da raggiungere
con la macchina da presa, ma che
diventano consueti e normali a partire dal secondo dopoguerra come
nel caso della Regina dAfrica
(1951) di John Huston con Humphrey Bogart e Katharine Hepburn
e N i a g a r a (1953)con Marilyn
Monroe e Joseph Cotten, rese possibili proprio dallo sviluppo tecnologico. Ineluttabile la ricaduta di
questa evoluzione tecnica sulla recitazione. Quindi se lideologia sottesa a questo fatto che pu sembrare
squisitamente pratico e strumentale va sempre ricordato che nessuna invenzione mai neutra ma
che sempre qualcosa, rintracciabile nella struttura economica, a stimolarla quella di restituire nella
pellicola la realt cos com, lattore dovr adeguare il suo stile recitativo a questa ideologia. il problema che si pone non da oggi, e
non solo nel cinema ovviamente,
ma a partire dagli ultimi ventanni
dellottocento e cio quello della recitazone naturalistica che permetta,
prima in teatro poi nel cinema, di
portare come stato detto la vita
sulla scena tendendo a ridurre al

La cultura

minimo possibile la finzione del linguaggio spettacolare.


Parlando di evoluzione tecnica non
possiamo ovviamente dimenticare
linvenzione e da un certo punto in
poi la diffusione del mezzo televisivo. Da quel momento le esigenze
ideologiche convergono, tra cinema e televisione, a trasformare la
fabbrica dei sogni impossibili a
quella dei sogni possibili. L dove il
sogno impossibile risulta una creazione della fantasia, che tiene molto
dellattivit artistica, tendente a inventare un mondo alternativo alla
realt, e diverso da questa, cui si contrappone come ideale impossibile
da raggiungere ma che, nel momento in cui lo si concepisce, permette una fuga grandiosa e insieme
consolatoria ai mali della vita o anche solamente alla noia delle routine. Il sogno possibile invece un
sognuccio (il termine usato gi
da Vittorio Alfieri) che si pu realizzare, anche se eccezionalmente:
per ottenere questa forma di immedesimazione da parte dello spettatore necessario uno spettacolo
agito da attori e incentrato su temi
il pi possibile vicini a noi e alla nostra vita.
Recentemente Tonino Bucci ha
scritto con grande puntualit su
Liberazione (1 giugno 2004): N attore di teatro, n cantante lirico, n
interprete del cinema, luomo
nuovo della Rai deve essere tutto e
niente, fare qualunque cosa senza
eccellere in nessuna, cantante ma
non di professione, imitatore alla
lettera ma senza spirito, dissacratore ma senza grilli per la testa. Ma
ci non riguarda solo la televisione
dal momento che la tendenza a pretendere da tutti gli addetti alla comunicazione spettacolare, attori
prima di tutto, la mediocrit ormai diffusa sia nel teatro che nel cinema. Ma questo che accade oggi
era stato progettato, per cos dire,
da lontano.
Le origini del naturalismo non sono
ben definite e ciascun studioso le
colloca variamente: c chi le fa risalire al cinquecento e chi ancora
pi in l, allepoca comunale di cui

campione Boccaccio. Non per


il caso di andare troppo a ritroso nel
tempo e baster prendere come
esempio Goldoni, che si colloca
proprio a ridosso della Rivoluzione
francese e cio del trionfo della borghesia, e sar allora evidente che un
episodio chiave della sua operazione teatrale ricca di destino:
noto che egli si vantava di aver cos
bene imitato la natura umana
della protagonista del suo Le femmine puntigliose (1750) al punto che
in ogni citt in cui veniva rappresentata quella commedia una dama
del luogo si indignava riconoscendosi nel personaggio. Lasciamo ora
stare il fatto che il naturalismo segu, come sempre succede nelle
cose dellarte, un percorso altalenante che vide momenti di grandiosa convenzione alternarsi a altri
di piatta riproduzione della vita: ci
che evidente che oggi siamo alla
fine di un lungo percorso e non le
dame puntigliose del settecento, ma
gli attuali piccoli borghesi filistei
pretendono di essere ritratti nei vari
eventi spettacolari. Ecco allora che
non c pi posto per leccezionalit: si afferma, quindi, sempre di
pi la mediocrit che favorisce il piccolo sogno, il sognuccio, con tutta
la sua possibilit di realizzazione.
Ed proprio qui che sta linfluenza
del cinema americano su quello italiano. Nella cultura americana, a
parte i picchi che non influenzano
affatto il costume, tutto mediocre;
il conformismo tende a livellare
ogni cosa e a normalizzare appunto questi picchi. Le vicende biografiche della vita di Marilyn
Monroe stanno l proprio per deprimere la fruizione della sua eccezionalit di attrice dalla bellezza
straordinaria: lo spettatore che
lammira deve pensare che in fondo
era una povera donna, meglio se
morta suicida per sfuggire a un
abisso di infelicit. E non diceva gi
Rita Hayworth, latomica rossa,
che il problema degli uomini della
sua vita era che andavano a letto con
Gilda e si risvegliavano con Rita?
Anche lei, cos eccezionale, era, in
fondo, una povera donna da am-

Maggio - Giugno 2004

mirare, ma non da invidiare. Il sogno impossibile, grandioso e magnifico di andare a letto con Gilda
doveva essere temperato, e normalizzato, dal sognuccio che invita
a accontentarsi della propria compagna, magari praticando un rapporto sessuale trasgressivo e qui ci
si rende subito conto come certe apparenti liberalizzazioni servano solamente a confermare lesistente-,
ma sempre ben chiuso nellambito
della famiglia ( ci che avviene nel
recente Secretary di Steven Shainberg) che, come ci insegnano Marx
ed Engels, il nucleo fondante della
societ borghese.
Non ci deve quindi stupire, dati questi presupposti, che la linea recitativa nei film italiani che si afferma
negli ultimi decenni non sia quella
fantasticamente grandiosa del grottesco di Tognazzi e Volont, ciascuno a suo modo ovviamente, ma
quella tranquilla, decisamente naturalistica e favorente limmedesimazione di Mastroianni. Ma Mastroianni era bravo e, cosa assolutamente non irrilevante per un attore,
bello. Per adattarsi allamericanismo era necessario un passo ulteriore: lindustria cinematografica
italiana aveva bisogno di personaggi
decisamente pi inclinati sul piano
della mediocrit, magari ancora
belli (forse per poco) ma di una bellezza vuota, pura forma, modello
veline: ecco i vari Stefano Accorsi,
Raul Bova, Alessandro Gassman;
mentre le donne hanno il volto e il
corpo assolutamente tranquillo di
Margherita Buy, di Laura Morante,
eccetera: bellezze casalinghe, appunto. Niente a che fare con lo sfolgorante splendore, decisamente
improponibile nella realt di tutti i
giorni, per esempio, di Silvana
Mangano e Lucia Bos.
Meglio leffetto di questa degradazione del sogno si pu vedere nella
recitazione degli attori e delle attrici
televisivi. Qui limitazione del piatto
naturalismo dei film americani si
svela in tutta la sua miseria e nel suo
involontario ridicolo. Gli attori italiani, infatti, -non avendo alle spalle
la formidabile macchina industriale

Maggio - Giugno 2004

di quelli americani che produce


una tradizione recitativa, non necessariamente artistica, ma comunque di alto livello espressivo e comunicativo scadono spesso nel
falso. Gi nel 1728 Luigi Riccoboni grande attore della commedia dellarte, riformatore della
recitazione e primo storico del nostro teatro in un suo poemetto
sullArte recitativa invitava gli attori a
avere sempre chiara la coscienza del
carattere costitutivamente finto
dello spettacolo teatrale e li metteva
in guardia dal non scadere nel
falso. questo un nodo problematico che riguarda tutta la storia
dello spettacolo e da poco pi di un
secolo anche quello cinematografico. Lappartenere alla patria di
Riccoboni non per motivo sufficiente a tanti attori e attrici italiani
per non rivelarsi del tutto ignari del
problema. Personaggi come Pieraccioni o Veronica Pivetti potrebbero
rivelarsi, a unanalisi approfondita,
ghiotte spie stilistiche a esemplificare questa ignoranza: si potrebbe
dire nessuno pi falso di loro se
non ce ne fossero tanti altri.
Limitazione del piatto naturalismo
americano che anche naturalismo piatto rivela poi un altro tipo
di ignoranza, oltre a una posizione
moralmente riprovevole.
Questultima riguarda limitazione
di un modello straniero cosa di per
s tuttaltro che riprovevole , ma
del modello di un paese dove larte
tendenzialmente sottomessa allaspetto commerciale della comunicazione spettacolare. Ma lignoranza pi grave quella che riguarda il non rendersi conto che, in
questa prospettiva commerciale,
soltanto una grande industria pu
garantire un livello stilistico comunemente partecipato da coloro che
contribuiscono a creare levento
spettacolare. E quindi solo allinterno di quellindustria possibile
frequentare il livello sufficiente di

La cultura

finzione che, senza raggiungere


larte, non scada per platealmente
nel falso e risulti in grado di permettere lidentificazione dello spettatore nel personaggio. Non basta
essere bellocci come Stefano
Accorsi per raggiungere il livello recitativo di un belloccio americano
come Harrison Ford,
poi presente nella recitazione italiana una tendenza molto interessante, anche se minoritaria, rappresentata in Italia da attori, spesso
anche registi, che perseguono ancora un loro ideale artistico, ricollegandosi fra laltro in modo indiretto alla linea Tognazzi-Volont. Ci
riferiamo allironia graffiante, di
derivazione pulcinellesca, di Massimo Troisi, al tocco leggero, ma
non per questo meno rilevante nella sua contrapposizione ai modelli
americani della commedia, di Alessandro Benvenuti e allintensa presenza attorica, con tratti grotteschi,
di Sergio Rubini.
Ma, appunto, si tratta di una linea
minoritaria. Semmai ci che stupisce, apparentemente, in quella
maggioritaria che oggi non ci sia
nulla di comune a ci che fu rappresentato dalla commedia allitaliana.
Questultima pu essere giudicata
in vari modi, come stato fatto; e
non sbagliato vedere nella maggioranza di quei film, e per cos dire
nella struttura profonda che li accomuna, una decisa bonariet riformistica nei confronti dellItalia
del boom economico e, dunque,
della societ dei consumi che anche la societ dello spettacolo.
Soltanto attori eccezionali come i
gi citati Tognazzi e Volont o lo
straordinario Peppino De Filippo che in Boccaccio 70 (1962) riesce a
scardinare dallinterno, con la sua
crudele cattiveria, la poesia felliniana denunciano una possibilit
di affrontare il problema in modo
diverso e autenticamente svelante

lideologia neocapitalistica. Ma va
comunque riconosciuto a quella
temperie cinematografica il merito
di aver affrontato, male o bene e pi
spesso male che bene, i problemi
della societ del tempo, attraverso il
rispecchiamento del costume di
quella societ, portando avanti battaglie civili anche non indegne.
Nulla di tutto questo oggi. Proprio
mentre scriviamo leggiamo ancora
su Liberazione (5 giugno 2004) un articolo di commemorazione di Nino
Ma nfredi scritto da Mino
Argentieri.
Ecco come il critico illustre conclude il suo scritto affrontando proprio questo argomento: Eppure,
basta guardarsi intorno per accorgersi che la materia prima della satira e dellumorismo in inarrestabile ascesa, tanti sono i mostri e
tante sono le mostruosit che ci circondano anche se il cinema e la televisione sembrano non accorgersene, un po per miopia congenita,
un po per non dispiacere ai controllori del potere mediatico; e un
po forse proprio per supina accettazione di un modello, quello americano, che mostra bene come lo
stile divenga immediatamente contenuto: che poi un modo, per
come stanno le cose della politica
oggi in Italia, proprio come dice
Argentieri, per non dispiacere ai
controllori del potere mediatico,
che della poetica spettacolare americana sono servi e promotori insieme.

Allideazione di questo articolo hanno


p a rtecipato in modo determ i n a n t e
Donatella Orecchia e Mariapaola
Pierini, che gli autori ringraziano per il
prezioso contributo

Recensioni

Maggio - Giugno 2004

Lo scenario questo:
la caduta del muro di Berlino
non ha affatto significato
la fine della storia,
come pretendevano
alcuni rozzi propagandisti

Una inquietante
metamorfosi

di Vladimiro Giacch

LE BASI MATERIALI DELLE GUERRE STATUNITENSI E DEGLI ATTACCHI ALLO


STATO DI DIRITTO NEGLI USA E IN EUROPA NELLULTIMO LIBRO DI ALBERTO BURGIO, GUERRA. SCENARI DELLA NUOVA GRANDE TRASFORMAZIONE, ROMA, DERIVEAPPRODI, 2004, PP. 234, 13,00 EURO

triste dover constatare come la gran


parte dei libri pubblicati sugli eventi
degli ultimi anni sia incapace di inserire gli avvenimenti entro cornici
concettuali complessive ed in grado,
non diremo di fornire una guida per
lazione, ma anche solo di offrire
chiavi di lettura persuasive di quanto
sta avvenendo. Questo vale, ovviamente, per la produzione storicogiornalistica rivolta al grande pubblico (che spesso meriterebbe di essere chiamata con suo nome: propaganda di guerra). Ma vale purtroppo anche per molte opere di
orientamento critico, che spesso si
esauriscono nella demistificazione
delle versioni ufficiali degli eventi,
senza per riuscire ad offrire un quadro interpretativo alternativo.
Il libro di Alberto Burgio si stacca
con forza da questo sfondo poco
confortante. Esso ci offre infatti
uninterpretazione di quanto va accadendo che inserisce in uno stesso
orizzonte le pi recenti avventure
militari statunitensi e lattacco allo
Stato di diritto tanto negli Usa
quanto in Europa. Ad avviso di
Burgio in atto, in alcuni grandi
paesi occidentali, una svolta autoritaria, una grande trasformazione
in senso repressivo dei sistemi politici e delle relazioni di potere. In
questo orizzonte va inserito anche
linfittirsi di avventure belliche, tale
per cui la guerra ha ormai ricon-

quistato un posto stabile nella cronaca politica dellOccidente (cosa


impensabile ancora negli anni
Ottanta).
Lo scenario questo: la caduta del
muro di Berlino non ha affatto significato la fine della storia, come
pretendevano alcuni rozzi propagandisti. Al contrario, ha accentuato la competizione tra gli Usa
in profonda crisi economica e poli
che gi si pongono in aperta competizione (come lUnione Europea,
che con leuro ha insidiato il primato valutario statunitense), o che
si preparano a porsi in concorrenza
con gli Usa (in particolare la Cina).
La risposta degli Stati Uniti, esplicitamente teorizzata ben prima
dell11 settembre in documenti
dei neoconservatori americani che
Burgio analizza in dettaglio, stata
rivolta (cito da questi documenti) a
impedire a ogni potenza ostile di
dominare regioni le cui risorse potrebbero consentire agli Stati Uniti
di aumentare il proprio status di potenza, a scoraggiare i tentativi, da
parte di nazioni industrializzate, di
sfidare la leadership americana o di
modificare lordine politico ed economico costituito, insomma ad
impedire il riemergere di un
nuovo concorrente globale.
Questa lorigine della teoria della
guerra preventiva e delle aggressioni allAfghanistan ed allIrak: os-

sia del tentativo statunitense di


porre sotto controllo lAsia
Centrale, di balcanizzare il Medio
Oriente e di spaccare lUnione
Europea, che stato operato dietro
lo schermo della guerra al terrorismo. Non solo. La guerra al terrorismo ha consentito di cogliere
anche altri risultati, ed in particolare di operare una strisciante militarizzazione della societ, che
Burgio vede procedere lungo due
direttrici fondamentali: laggressione nei confronti dei diritti sociali
e delle libert civili; e la modificazione in senso autoritario della
struttura istituzionale e della relazione tra Stato e corpi sociali. A
questo tema sono dedicate alcune
tra le pagine pi interessanti del volume: in esse Burgio mostra con ricchezza di dati i caratteri della legislazione Usa di emergenza (di fatto
liberticida); ma pone giustamente
in rilievo anche che lUnione
Europea ha fatto propria la dottrina
Bush della guerra al terrorismo, in
quanto ne ha introiettato i due capisaldi: lidea che la minaccia terroristica sia grave al punto da giustificare la sospensione dei diritti
fondamentali, e la propensione ad
assimilare (sulla base di presupposti razzisti) lotta al terrorismo e gestione dei movimenti migratori.
Sulla base di queste premesse, sostenute da elementi fattuali inop-

Maggio - Giugno 2004

pugnabili, la conclusione obbligata: ancra una volta, come gi nei


primi decenni del secolo scorso, le
classi dominanti dei paesi occidentali tornano a fare massicciamente
ricorso al potere politico, riaffidando agli apparati coercitivi dello
Stato il compito della regolazione
autoritaria delleconomia e del conflitto sociale e alla forza militare la
funzione di arbitro delle relazioni
internazionali. In riferimento in
particolare alluso degli apparati coercitivi allinterno dei singoli Stati,
Burgio ci propone unosservazione
di grande interesse: a differenza di
quanto lideologia liberista ci ha
abituato a credere, non c Stato
minimo che non sia anche forte:
anzi, proprio la riduzione degli interventi in economia rende inevita-

Recensioni

bile una espansione dellintervento


sul terreno dellordine pubblico al
fine di arginare le turbolenze conseguenti alla d e regulation e c o n omica ed al crescere delle ingiustizie sociali. Pertanto, liberismo economico e deriva autoritaria dello
Stato vanno di pari passo: ecco
quindi la distruzione dei sistemi costituzionali in nome dellefficienza delle decisioni (si veda leccellente disamina delle forme di
sospensione surrettizia della
Costituzione nel nostro Paese), e
lemergere di nuove forme di populismo autoritario e paternalistico, per le quali diventa strategico
il controllo dei mezzi di comunicazione.
Non meno importanti sono le conclusioni politiche che Burgio trae

dallanalisi del processo di militarizzazione. In primo luogo, trovando la propria ragion dessere
nella competizione strategica tra
gli Stati Uniti e le altre potenze virtualmente globali, il processo di
militarizzazione delle societ occidentali non costituisce unemergenza di breve periodo n appare
destinato a una imminente inversione di tendenza. In secondo
luogo, oggi nuovamente come
gi negli anni Trenta del Novecento
la battaglia democratica contro lo
strapotere degli esecutivi, a salvaguardia dello Stato costituzionale
di diritto, dellautonomia della magistratura, dei principi di libert e
di autodeterminazione, si lega inestricabilmente alla lotta per la pace
e contro la guerra.

Maggio - Giugno 2004

Recensioni

Unampia e documentata sintesi


dellodierno, conflittuale,
assetto planetario ed una
nozione aggiornata di ci
che attualmente limperialismo

Il tramonto
dellimpero

di Bruno Steri

A PROPOSITO DELLULTIMO LIBRO DI MAURO CASADIO, JAMES PETRAS


E LUCIANO VASAPOLLO,
CLASCH! SCONTRO TRA POTENZE, JAKA BOOK, 2004

a cruda realt di questi ultimi anni


si incaricata di screditare le versioni pi edificanti e apologetiche
delle teorie della globalizzazione:
termine ambiguo questultimo
che sottende la fallace idea di unintegrazione virtuosa delle economie
e dei popoli, sorretta dallinnovazione tecnologica e in positiva rottura con i tempi bui degli stati-nazione e delle loro guerre imperialiste, nonch con gli aspetti pi retrogradi della societ capitalistica. I
dati sullinabissarsi del Terzo mondo, il mancato consolidamento socioeconomico dei paesi cosiddetti
in via di sviluppo (strangolati dallinesorabile cappio del debito
estero), il ripresentarsi ciclico della
crisi nello stesso primo mondo
(entro il quadro pluridecennale di
una strisciante stagnazione) e, last
but not least, i cacciabombardieri di
Bush Junior tutto questo ha rapidamente spazzato via le mitologie
della New Economy cos come le
azzardate evoluzioni sullesaurirsi
della fase imperialistica. Come
noto, anche a sinistra c chi rimasto vittima di tale divaricazione
tra elaborazione teorica e realt fattuale. E il caso delle principali tesi
contenute nell Impero di Negri e
Hardt: raramente si potuto assistere ad unaccoglienza cos calorosa, tributata dal mondo dellintellettualit radical e progressista (F.

Jameson: la prima grande sintesi


teorica del nuovo millennio) ma
anche dai principali fogli dellestablishment statunitense (Time, New York
Times, Wall Street Journal), e ad unaltrettanto evidente smentita dei fatti.
Al punto che lo stesso Antonio
Negri ha successivamente ritenuto
di dover rendere pubblici alcuni salutari riposizionamenti.

MU TA Z I O N E

RAFFORZAMENTO DEGLI
A P PA R AT I S TAT U A L I

Si pu dire che Mauro Casadio,


James Petras e Luciano Vasapollo,
autori di Clash! Scontro tra potenze
(Jaca Book, 2004) abbiano voluto
porre un ulteriore sigillo critico
sulle suddette teorizzazioni, offrendo in alternativa - e nonostante
qualche disorganicit inevitabile in
un testo scritto a sei mani - unampia e documentata sintesi dellodierno, conflittuale, assetto planetario ed una nozione aggiornata di
ci che attualmente limperialismo. Una delle tesi forti , ma anche
tra le pi fuorvianti, avanzate dai
teorici della globalizzazione (pi o
meno virtuosa) quella secondo cui
gli stati-nazione costituirebbero ormai un anacronistico residuato in
via di estinzione, soppiantati sulla
scena internazionale dalle decisioni

degli stati-maggiori delle multinazionali e dal ruolo guida assunto


dalle istituzioni finanziarie sopranazionali. Secondo Casadio/Petras/Vasapollo, il ruolo dello stato pi precisamente, di quegli stati che
oggi si collocano ai vertici della gerarchia planetaria certamente
mutato ma, attraverso tale mutazione, si rafforzato ed espanso. Ai
decenni del compromesso sociale e
del Welfare ha fatto seguito una fase
di accentuazione della polarizzazione sociale, di crisi dei ceti medi,
di liquidazione dei paracadute sociali. Si cos passati dal cosiddetto
stato del benessere ad uno stato
competitivo, in tutto simile a quello
che Lenin definiva il comitato daffari della borghesia, uno stato che
gestisce il continuo trasferimento
di ricchezza dal lavoro alla rendita
finanziaria e al profitto (p.35). In
Italia, gli anni 90 hanno visto la liquidazione delle Partecipazioni
Statali, lazzeramento del ruolo
dello stato nella produzione di beni
e servizi, lepopea delle privatizzazioni. La scure antistatalista si abbattuta sulla spesa pubblica, guardandosi bene tuttavia dal tagliare le
spese di riproduzione degli apparati
statali e quelle di sostegno al capitale ed aggredendo in particolare la
spesa sociale propriamente detta.
La rivolta fiscale ha poi ulteriormente caratterizzato in termini di

Maggio - Giugno 2004

classe la leva della tassazione, orientando il prelievo - sia diretto (Irpef)


che indiretto (Iva) - in direzione dei
soliti noti: confrontando le imposte
sul reddito delle persone fisiche con
gli occupati, si riscontra che, nel
corso del tempo, un numero sostanzialmente identico di occupati
ha pagato un volume sempre maggiore di imposte (nel 1987, 20 milioni di occupati hanno pagato in
tasse gran parte della cifra complessiva di 130 mila miliardi di lire;
e, nel 1999, un numero grosso
modo equivalente di occupati ha
sborsato gran parte dei 321 mila miliardi di lire di introito, una cifra
due volte e mezzo pi grande).
Questo vero e proprio processo di
spoliazione delle classi popolari si
prodotto parallelamente ad un progressivo rafforzamento degli apparati coercitivi statuali: interni, difesa, giustizia penale e civile, apparati per il controllo e la sicurezza.
Peraltro, quanto avvenuto nel nostro paese corrisponde in generale
ad unessenziale funzione degli stati
sul loro fronte interno. Ad essi
sono infatti demandate una serie di
costose incombenze: la formazione
del capitale umano (attraverso la riorganizzazione secondo canoni
aziendalistici dell offerta formativa), limplementazione della ricerca scientifica e dellinnovazione
tecnologica in funzione della produzione (di plusvalore), il reperimento di ingenti risorse per il sostegno alla domanda e la stabilit
del mercato interno (rottamazioni,
cablaggio di aree urbane, ristrutturazione delle reti energetiche ed
estensione della rete dei trasporti
ecc.). Il tanto sbandierato slogan
Meno stato, pi mercato non
dunque altro che la mistificante rappresentazione ideologica delleffettiva richiesta padronale: Pi
stato per il mercato.

S TAT I

DISGREGANTI

E S TAT I D I S G R E G AT I

Sul piano geopolitico, la tesi dellazzeramento del ruolo degli stati

Recensioni

nasconde la realt di due tendenze


distinte ed opposte che caratterizzano lattuale mondializzazione capitalistica: da un lato, lesistenza di
stati disgreganti sempre pi forti
e, daltro lato, quella di stati disgregati o in via di disgregazione e
dunque sempre pi deboli. Non a
caso le aggressioni imperialiste condotte nellultimo decennio hanno
favorito la formazione di stati-protettorato. Esempio emblematico:
lEuropa dellEst e balcanica fino a
dieci anni fa includeva una decina
di stati; oggi se ne contano circa
trenta. Ci corrisponde ad un preciso interesse degli stati forti: avere
a che fare con nazioni molto piccole
(dei trenta paesi sopra menzionati,
solo undici superano i 10 milioni di
abitanti), con economie dipendenti
dagli investimenti esteri e subalterne agli ordini degli Istituti finanziari sopranazionali, indulgenti nel
tassare gli investitori stranieri e leggere nellapplicare balzelli alla dogana, puntuali nel pagamento del
debito e severe nel comprimere la
conflittualit interna e assicurare
stabilit.
Gli stati forti disgregano, ma anche attraggono (con le buone o
con le cattive maniere). Il testo in
questione si sofferma utilmente a
descrivere il ruolo di volta in volta
militare/eversivo ed egemonico
esercitato dagli Usa sullintero continente americano e in particolare
sul Latinoamerica. Quanto a questultimo, si tratta di unarea di 16
milioni di miglia quadrate - con una
popolazione totale di oltre 400 milioni di abitanti - in cui il 49% di ciascun dollaro speso serve ad acquistare merci statunitensi e da cui arriva negli Usa pi petrolio di quanto
ne arriva dallintero Medio Oriente.
Non sorprende, dunque, che la superpotenza nordamericana punti a
stringere sempre di pi il cappio
dellintegrazione economica (leggi: colonizzazione), uniformando
lintero continente in unarea di libero scambio (la famigerata Alca)
entro cui merci e capitali Usa possano imporsi e circolare liberamente. Ancor meno deve sorpren-

dere che lUssouthcom (U n i t e d


States Southern Command) - lagenzia
competente sul piano militare per
il Sud America, lAmerica Centrale
e i Carabi - abbia disseminato questo immenso territorio di basi Usa:
una vera e propria rete di basi imperiali contra , formalmente incaricata di combattere il crimine, la
corruzione e la droga; di fatto, impegnata a stroncare manu militari
qualunque opposizione che intralci
gli interessi a stelle e strisce. E dunque lo stato - in questo caso, lo stato
collocato al vertice dellOccidente
capitalistico - che organizza la propria sfera di influenza, convoglia risorse, predispone i mezzi (economici ed extraeconomici) necessari
al consolidamento della propria posizione dominante. Lo stato crea la
struttura in cui il capitale circola.

COMPETIZIONE
T R A P O L I C A P I TA L I S T I C I

Precisamente la suddetta istanza ad


un tempo disgregante e attraente serve a spiegare lattuale
tendenza alla costituzione di poli
capitalistici, omogenei al loro interno ed in competizione tra loro,
entro cui i singoli stati si coordinano
nellintento di conseguire una dimensione ottimale nellagone della
concorrenza internazionale.
Attorno a tali entit continentali e
alle principali compagini statuali
che le costituiscono (gli Stati Uniti,
lUnione Europea con lasse
franco/tedesco, il Giappone e larea asiatica) ridisegnata lodierna
gerarchia capitalistica e - soprattutto a partire dagli anni 90 e, pi
recentemente, con linaugurazione
delleuro - acquistano nuova visibilit le conflittualit interimperialiste. La statualit resta un elemento
chiave e ciascun polo capitalistico
protegge le proprie imprese multinazionali, predispone (con gli strumenti della diplomazia internazionale ma, se necessario, anche con la
guerra) le condizioni pi favorevoli
al loro sviluppo: nessuna multinazionale, da sola o insieme ad altre,

Recensioni

ha avuto il potere e lautorit di trasformare le strutture economiche e


sociali che hanno permesso al capitale di affluire in massa nei mercati
esteri (p.28). Le imprese multinazionali producono, comprano e
vendono globalmente, ma i loro
centri di comando si trovano negli
Usa, nei principali paesi dellUnione Europea, in Giappone; e le loro
strategie su investimenti e nuove
tecnologie sono coordinate e controllate nei quartier-generali dei rispettivi stati guida. Questi ultimi e
la loro politica estera rendono possibile la loro espansione globale: leconomia globalizzata ben lungi
dal poter fare a meno del potere degli stati. Analogamente, non regge
la tesi secondo cui ai governi degli
stati sarebbe ormai subentrata una
sorta di governo mondiale, esercitato nelle sedi degli istituti finanziari internazionali (Fondo monetario, Banca mondiale ecc.). Coloro
che decidono per conto di questi
istituti sono diretta espressione degli stati guida e delle multinazionali
che li influenzano, sono nominati
dai governi di questi stati: cos,
tutte le loro cruciali direttive di
massima che regolano i prestiti e le
condizioni per questi prestiti sono
stabilite dai ministri economici,
delle finanze e del tesoro degli stati
imperiali (). La nomina nei consigli damministrazione delle istituzioni finanziarie internazionali basata sulla proporzione dei fondi
concessi da questi stessi stati
(p.74). In definitiva, le istituzioni sopranazionali non azzerano, al contrario consolidano la posizione dei
poli capitalistici e dei loro stati
guida.
L I M P L O S I O N E D E L
MITO TECNOLOGICO
Venendo meno la nozione ideologica di un nuovo capitalismo, di
un mercato mondiale in cui signoreggiano multinazionali globali che
hanno ridotto ad anacronismo gli
stati e la loro sovranit, si dissolve
anche limmagine mitologica di un
sistema imperiale privo di centro,

astatuale, non-luogo di un potere


disperso, che non invade e sottomette ma include, ritessendo reti in
uno spazio aperto e senza confini interni. Gli autori di Clash!, drasticamente e salutarmente, ci invitano
ad un brusco risveglio. In particolare, sulla base di una minuziosa raccolta di dati, essi contestano unaltra importante tesi posta a sostegno
del mito acritico della globalizzazione e attinente levoluzione della
struttura capitalistica: si tratta di
una riedizione dellidea secondo
cui grazie allinnovazione tecnologica possono essere aboliti i rapporti sociali vigenti, pu essere trasformato nella sua essenza il modo
di produzione capitalistico. Per tutti
gli anni 90, i cantori del pensiero
unico (ma anche qualche matre
penser della sinistra) hanno celebrato la rivoluzione informatica
come un evento che non solo modifica in profondit le condizioni
tecniche della produzione, ma
contribuisce in modo determinante
a liquidare il vecchiume del capitalismo novecentesco (con il suo sfruttamento e le sue crisi cicliche), rendendo obsoleta la vecchia economia della manifattura e assicurando con il just in time una crescita
continua e stabile. Su tutti costoro
la crisi recessiva 2000/2002 piovuta come un macigno: il crollo dei
titoli tecnologici (e segnatamente
di quelli del settore informatico,
che tra il 2000 e il 2001 hanno perso
l80% del loro valore) ha travolto i
sogni apologetici dell economia di
rete, lillusione di quanti predicavano lavvento della comunit del
software free e dellopen source sulle
ceneri della cosiddetta cultura lavorista e dirigista, dimenticando
che le leggi della creazione di valore
(e plusvalore) non dipendono dalla
materialit o immaterialit delle
merci e dei mezzi impiegati per produrle.
In realt sottolineano Casadio/Petras Vasapollo studi dettagliati mostrano che la produttivit dellindustria statunitense nel p eriodo
1953/1972 (dunque lungo un arco
temporale che precede la cosid-

Maggio - Giugno 2004

detta rivoluzione informatica) ha


fatto registrare un incremento medio del 2,5%, mentre dal 1973 al
1995 cresciuta meno della met.
Nella fase alta del ciclo, tra il 1995 e
il 1999, lInformation Technology (IT)
ha succhiato centinaia di migliaia
di dollari, sovracapitalizzando un
settore che pure non ha generato
rendite consistenti o significative ricadute produttive. Indagini empiriche, come quella condotta
dallIstituto Mc Kinsey Global, dimostrano che il miglioramento
della performance economica Usa nel
suddetto periodo va ascritto ad un
piccolo numero di settori industriali e non, specificamente, allaumento di investimenti in IT. Al contrario, lo studio conferma che in
molti settori grandi aumenti di investimenti in IT non hanno comportato aumenti di produttivit.
Piuttosto, i dati concernenti questultima che misurata sulloutput per lavoratore sono stati gonfiati dalla presenza di cinque milioni di immigrati illegali, che le statistiche ufficiali misconoscono e che
tuttavia hanno inondato negli anni
90 il mercato del lavoro Usa.
Lesaltazione ideologica delle
nuove tecnologie e la connessa sovrastima della loro profittabilit si
resa evidente in un altro settore di
punta della nuova economia: tra il
1999 e il 2000 oltre 100 milioni di
miglia di fibre ottiche sono state dislocate nel mondo, decine di miliardi di dollari sono stati spesi dalle
imprese per la costruzione delle reti
di comunicazione. Precisamente
tali costi astronomici, insieme ai deludenti risultati aziendali (solo il 5%
delle fibre stato utilizzato), hanno
comportato per lindustria della comunicazione declino degli investimenti e perdite colossali come
quelle subite dai due giganti del settore Lucent Technologies e Nortel.
Cos, allinizio del nuovo secolo,
maturata la recessione, a conferma
del persistere del ciclo economico,
con i suoi picchi e i suoi minimi, per
di pi accentuati dalla natura speculativa della cosiddetta nuova economia: gli alti profitti dei primi in-

Maggio - Giugno 2004

vestitori hanno trascinato il fallimento di quelli successivi, i mercati


si sono saturati, le rendite per pubblicit su Internet sono crollate, la
produzione di software e hardware
precipitata in una crisi strutturale, i
titoli sono crollati ad una frazione
del loro valore. Ed tornato a prendere quota il dramma del declino
della domanda (bassi salari) e delle
ristrutturazioni (licenziamenti): e,
con esso, tutto il vecchiume novecentesco centrato sul conflitto tra
capitale e lavoro.

L AT T U A L E

IMPERIALISMO

Di qui, limpietoso giudizio con cui


Clash! conclude la suddetta analisi:
le teorie sulla globalizzazione ma
anche quella dellimpero rappresentano una vasta sintesi della
schiuma intellettuale sulla globalizzazione, il post-modernismo e il
post-marxismo che per spiega
ben poco del mondo reale (p.195).
Limperialismo e lo scontro tra potenze sono, come si visto, un dato
della realt attuale, la quale va per
descritta nei suoi tratti peculiari, evitando schematismi e dogmatiche
generalizzazioni. Quella attuale - insistono i tre autori - una realt contraddittoria che non si presta ad es-

Recensioni

ser rinchiusa negli schemi di una


storicit lineare: non c unevoluzione per stadi, da un passato selvaggio e retrivo ad una modernit
caratterizzata da un nuovo proletariato industriale e da tecnologie innovative. Lodierno imperialismo
combina il nuovo con il retrogrado,
in societ profondamente polarizzate: Lavoratori senza terra e contadini falliti, che sopravvivono al livello della sussistenza, sono lavoratori temporanei su fattorie societarie esportatrici di agrumi che applicano le pi recenti tecniche nei
semi geneticamente modificati e
nella commercializzazione computerizzata; i pi moderni ed eleganti
venditori di vestiario importano
merci attraverso il subappalto, dove
si impiegano giovani donne lavoratrici pagate con salari da povert, in
luoghi in cui si lavora in condizioni
terribili; schiavi sessuali, bianchi/gialli/neri, inclusi dei bambini,
sono sfruttati da bande internazionali criminali organizzate che reinvestono in moderni beni immobiliari, obbligazioni di stato e aree
commerciali negli Stati Uniti, in
Europa e nellAmerica Latina
(pp.320-1). E il saccheggio che caratterizz gli albori del capitalismo
si ripropone oggi sotto la forma di
giganteschi trasferimenti di denaro

illecito con la mediazione delle banche, espediente tuttaltro che secondario di sostegno al deficit commerciale Usa: La portata e la profondit delle frodi fiscali e lappropriazione di risorse finanziarie da
milioni di risparmiatori delle classi
medie e medio-basse latinoamericane di proporzioni sistemiche(p.318).
Ma anche nelle periferie sociali del
Primo mondo cresce l incertezza
dellesistenza di cui parl Engels:
aumentano i precari e si aggrava il
fenomeno dei working poors, processi di deregolamentazione del lavoro investono tutti i settori fino ad
arrivare ai servizi e alla pubblica amministrazione, il lavoro autonomo si
caratterizza sempre di pi come lavoro subalterno e autosfruttamento. Si tratta di sviluppi peculiari
allattuale fase del capitalismo, ma
che in generale ribadiscono una
delle tesi fondamentali di Marx,
quella cio dellintensificazione del
processo di proletarizzazione in
seno alla societ capitalistica, dellincremento seppur in forme diverse e articolate del lavoro salariato(pp.371-2). Non dunque derubricata lesigenza di una ricomposizione degli sfruttati e, a tal fine,
la necessit di unorganizzazione
comunista.

U N LA BORATORI O PER L A LT E R N AT I VA

C h i a s e rna di Cantiano

( P e s a ro / U r b i n o )

20-25 luglio 2004


Marted 20 luglio
Apertura Carlo Zaia Responsabile Festa
saluto di Martino Panico Sindaco di Cantiano
Ore 18.00

Conflitti di classe e movimento sindacale

Bruno Casati Responsabile Nazionale Politiche Industriali PRC


Michele Giacch Rsu-Fiom Cantiere navale Ancona
Leonardo Miniscalchi Rsu-Fiom Fiat Melfi
Gianni Rinaldini Segretario Generale Fiom-Cgil
Vincenzo Siniscalchi Presidente Sult Alitalia Roma
Ore 21.00

Sulle rivoluzioni comuniste del 900


Presentazione del libro
I problemi della transizione al socialismo in URSS

Andrea Catone Storico del movimento operaio


Domenico Losurdo Docente di filosofia Universit di Urbino
Giuseppe Prestipino Docente di filosofia Universit di Roma
Coordina Bianca Bracci Torsi Direzione Nazionale PRC
Ore 22.30 Concerto rock
Nottetempo Cinema e Rivoluzione La Nuova Babilonia

Mercoled 21 luglio
Ore 18.00

Dalle elezioni allalternativa:


programma e ruolo delle sinistre

Paolo Cento Deputato dei Verdi


Gianluigi Pegolo Responsabile Nazionale Enti Locali PRC
Aldo Tortorella Presidente ARS
Maurizio Zipponi Segretario Generale FIOM Milano
Coordina Rina Gagliardi Condirettrice di Liberazione
Ore 21.00

Giovani comunisti, disobbedienti,


movimento dei movimenti

Francesco Caruso Movimento dei Disobbedienti Campania


Celeste Costantino Coordinatrice GC Reggio Calabria
Michele De Palma Coordinatore Nazionale Giovani Comunisti
Letizia Lindi Coordinamento Nazionale Giovani Comunisti
Coordina Francesco Maringi Coord. Nazionale Giovani Comunisti
Ore 22.30 Concerto del gruppo musicale THE GANG
Nottetempo Cinema e Rivoluzione Ottobre

Gioved 22 luglio
Ore 18.00

I comunisti, la sinistra e lEuropa

Piero Di Siena Vice Presidente Gruppo DS Senato


Fausto Sorini Direzione Nazionale PRC
Luciano Vasapollo Direttore del Cestes e di Proteo
Jacopo Venier Responsabile Nazionale Dipartimento Esteri PdCI
Coordina GianMarco Pisa Esecutivo Giovani comunisti Campania
Ore 21.00

Contro la guerra: esperienze di lotta


Presentazione del libro di Alberto Burgio
Guerra. Scenari della nuova grande trasformazione

Mariella Cao Comitato sardo Gettiamo le basi


Giovanni Montefusco Forum contro la guerra
Coordina: Fosco Giannini Direttore de lernesto
Ore 22.30 Concerto: FRANCO TRINCALE cantastorie italiano
Nottetempo Cinema e Rivoluzione Tre canti per Lenin

Venerd 23 luglio
Ore 18.00

Guerra infinita e movimento per la pace

Samir Amin Economista, direttore Forum Terzo Mondo


Gianfranco Benzi Responsabile Nazionale Cgil rapporti con i Movimenti
Giovanni Franzoni Teologo, comunit cristiane di base
Bruno Steri Dipartimento Nazionale Esteri PRC
Coordina: Beatrice Giavazzi Redazione de lernesto
Ore 21.00

Il potere, la violenza, la resistenza


Presentazione del volume degli atti del convegno di Milano
promosso da lernesto presso la Casa della Cultura

Stefano Chiarini Inviato de il manifesto


Lidia Cirillo Direttrice della rivista Quaderni Viola
Raniero La Valle Direttore della Scuola Vasti
Coordina Mauro Cimaschi Direttore coop Filorosso, editrice de lernesto
Ore 22.30 Concerto rock: THE GROOVERS
Nottetempo Cinema e Rivoluzione La battaglia di Algeri

Sabato 24 luglio
Ore 18.00

Cuba: un fronte di solidariet

Roberto Foresti Presidente Associazione Nazionale Italia-Cuba


Gennaro Migliore Responsabile Nazionale Dipartimento Esteri PRC
Gianni Min Giornalista, direttore di Latino America
Luciano Pettinari Coordinatore Aprile, Direzione Nazionale DS
Hugo Ramos Milanes Consigliere Ambasciata di Cuba in Italia
Alessandra Riccio Docente, esperta di questioni dellAmerica Latina
Marco Rizzo Deputato Europeo PdCI
Coordina Gianni Favaro Redazione de lernesto
Ore 22.00 Proiezione del lungometraggio In viaggio con
Che Guevara, di Gianni Min, che presenter il film
Ore 22.30 Musica latinoamericana

Domenica 25 luglio
Chiusua saluto di Orfeo Goracci sindaco di Gubbio
Ore 18.00

Farla finita con Berlusconi: e dopo?

Rosy Bindi Deputata Margherita


Daniele Farina Centro sociale Leoncavallo di Milano
Pietro Folena Deputato DS
Claudio Grassi Segreteria Nazionale PRC
Niki Vendola Deputato Europeo PRC
Coordina Valentino Parlato Giornalista de il manifesto
Ore 21.00 Serata danzante: GRUPPO FOLIE

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