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Anno XIII - N. 2 Marzo/Aprile 2005 - 5 euro


Reg. Trib. Cremona n. 355 12.4.2000
Sped. A.P. D.L. 353/2003
(con. in L. 27/02/2004 n46) art. 1 c.1 DCB-CR

Dal VI
Congresso
alle regionali:
note sul Prc

Dove si gioca
la salvezza
della
Repubblica

di Claudio Grassi

di Raniero la Valle

La sconfitta delle destre e di Berlusconi


con il voto regionale e amministrativo del
3-4 aprile ha determinato un terremoto
politico di enorme portata. Dobbiamo, in
primo luogo, soffermarci su di essa, cercare di capire cosa successo, cominciando col passare in rassegna le ragioni
che hanno decretato la sconfitta delle destre.
Individuiamo a questo riguardo due cause
fondamentali, tra loro connesse: il grave
stato di crisi delleconomia italiana (la
mancata crescita, il declino produttivo, la
tendenza verso unesplosione del deficit,
il perdurare di una crisi occupazionale
mal dissimulata dal diffondersi del precariato) e lo sfaldarsi (in parte conseguente)
del blocco sociale su cui la Casa delle Libert ha costruito i propri successi elettorali: quellarco di forze e di poteri che va
dalla Confindustria (passata dalla presidenza amica di DAmato alla guida, assai
meno simpatetica, di Luca di Montezemolo) alla Confcommercio, alla stessa
Cisl di Pezzotta (da ultimo tornata sugli
antichi sentieri dellintesa tra le confederazioni). Il riflesso politico di questa crisi
di consenso la crescente difficolt di conciliare le due anime della coalizione di governo: lasse statalista e meridionalista
costituito da An e Udc (tradizionalmente
sensibile alle istanze del pubblico impiego), e quello nordista di Lega e Forza Italia, assai pi attento alle esigenze del capitale privato (con particolare riferimento
al tessuto della microimprenditorialit del
nord-est). Sta qui, in estrema sintesi, la radice della crisi del berlusconismo, inteso
come formula politica di compromesso

Salus rei publicae suprema lex, dicevano i


Latini, che vuol dire: la salvezza della
Repubblica viene prima di ogni altra cosa;
infatti nella salvezza della Repubblica sta
pure la salvezza di ciascuno di noi.
questo il criterio fondamentale che dovr guidare da ora in poi i comportamenti
politici dei cittadini nonch tutti gli atti e
le scelte dei partiti democratici, dellassociazionismo, e degli organi dello Stato
vincolati al rispetto e alla tutela della
Costituzione, a cominciare dal Presidente
della Repubblica.
Poco prima delle elezioni regionali il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha
infatti reso noto il nuovo calendario che
dovrebbe scandire la fase finale della
transizione dalla Repubblica democratica
al nuovo regime del Premier, e dalla conclamata regola dellalternanza tra i due
blocchi al permanente e blindato insediamento della destra al potere.
Il progetto di uno scacco in tre mosse,
che dovrebbe concludersi con linstaurazione del nuovo regime del premierato
assoluto in salsa federale, quale previsto nella Costituzione berlusconiana e leghista gi approvata in prima lettura dalle
Camere. La novit sta nella decisione di
Berlusconi di rinviare il referendum popolare per la conferma di tale Costituzione a dopo le elezioni politiche del 2006
(per non rischiare di perdere insieme elezioni e referendum), e di anticipare la
mossa vincente per leffettivo cambio di
regime a prima delle elezioni politiche.
La mossa vincente sarebbe la riforma elettorale con lintroduzione della scheda
unica, che Berlusconi in grado di fare

segue a pag. 2

segue a pag. 8

Marzo Aprile

Editoriale

segue C. Grassi da pag. 1

tra interessi sociali diversi (altra


cosa e purtroppo ben pi radicata
ovviamente il berlusconismo in
quanto ethos, cio come attitudine
morale e culturale caratterizzata dal
culto individualistico del successo
economico e dalla negazione del
pubblico). Il voto regionale ha messo a nudo una caduta verticale dei
consensi intorno alla CdL, ormai
largamente minoritaria nel Paese.
Mai come in questo momento il governo Berlusconi apparso privo di
credito e di legittimit politica.
Dinanzi a questo risultato, appare

Il voto regionale ha messo a nudo


una caduta verticale dei consensi
intorno alla CdL, ormai largamente
minoritaria nel Paese. Mai come
in questo momento il governo
Berlusconi apparso privo
di credito e di legittimit politica

dunque del tutto incomprensibile


la decisione dellUnione, di lasciare
respiro al governo, di non incalzarlo
al fine di determinare la conclusione anticipata della legislatura.
Com stato autorevolmente osservato, si tratta di un calcolo spericolato, che comporta due seri rischi.
Per un verso, le destre cercheranno
di risalire la china utilizzando la
spesa pubblica e la politica fiscale in
funzione elettorale. Ci si tradurr
in ulteriori disastri per lassetto economico del Paese. Per laltro verso,
mettendo in conto la probabile
sconfitta alle prossime elezioni, il
governo cercher di realizzare nei
prossimi mesi quanto resta ancora
inattuato del suo programma, a cominciare dalle riforme pi devastanti: la Costituzione, lordinamento giudiziario, la par condicio, la
legge elettorale. Quello che ci attende se Berlusconi sar lasciato
fare con ogni probabilit un an-

nus horribilis, per evitare il quale le


forze dellopposizione dovrebbero
fare tutto quanto nelle loro possibilit.
C poi laltro versante del voto del
3-4 aprile: la netta vittoria dell
Unione, che incassa i frutti della crescente avversione nei confronti della CdL. un risultato positivo che
va ben al di l lo si diceva delle
pi rosee previsioni. Ben undici Regioni su tredici sono state conquistate dal centrosinistra, e ci ha determinato un profondo mutamento
della geografia politica del Paese.
La vittoria del compagno Nichi
Vendola in Puglia pu ben essere assunta come il simbolo di questo accadimento, per la sua portata, per il
suo significato e anche per ci che
di inaspettato rappresenta. Certo,
Vendola ha vinto anche in quanto
candidato della coalizione, ha vinto
perch su di lui sono confluiti i voti
di tutta lUnione. Da questo punto
di vista appaiono fuorvianti le analisi che considerano soltanto le
straordinarie qualit del nostro
compagno (il carattere fortemente
innovativo della sua figura di dirigente politico, la sua notevole capacit di costruire relazioni con il
territorio e con la societ), prescindendo dal contesto politico e dal
meccanismo elettorale. Non c alcun bisogno di cancellare la realt
per dire la grande soddisfazione
tratta dallaffermazione di un comunista in una competizione difficile e di tanta rilevanza. N occorre
scomodare improbabili categorie
(si giunti a discorrere di rottura
antropologica, quasi stessimo assistendo al manifestarsi di una nuova
forma di vita) per sottolineare la rilevanza di questa affermazione del
nostro Partito. In questo caso le cose
parlano da s. Un comunista si affermato in una battaglia che tanti
avevano ritenuto disperata dimostrando quanto contino la seriet e
lonest di un impegno politico e
quanto sia importante conoscere
una realt, viverne i problemi e i
conflitti, avvertirne i bisogni e farsene carico. Piuttosto che sovraccaricare il caso pugliese di significati

impropri, cerchiamo di trarre con


sobriet gli insegnamenti che ne derivano: a cominciare, appunto, dal
valore cruciale del radicamento,
della concreta, duratura presenza di
una soggettivit sul territorio.
Allesito positivo della battaglia in
Puglia si lega tuttavia un risvolto assai problematico del risultato elettorale. Se allarghiamo lo sguardo
sullintero scenario, vediamo facilmente come il tratto distintivo del
successo delle forze di opposizione
sia la netta affermazione della lista
Uniti per lUlivo, ben pi significativa dellincremento ottenuto dai
Verdi e dal Pdci. questa, al di l di
ogni dubbio, lindicazione fondamentale emersa dalle urne. Ma si
tratta altres di una indicazione tuttaltro che incoraggiante: di un risultato che purtroppo smentisce le
attese della vigilia, e con il quale occorre ora fare seriamente i conti.

PRC:

B AT T U TA D A R R E S T O

Tutte le previsioni indicavano in


Rifondazione Comunista il partito
che avrebbe registrato il pi marcato incremento. Si verificato lesatto contrario. Dentro un risultato
generale positivo (la sconfitta delle
destre), si avuto un risultato insoddisfacente del nostro Partito,
che vanifica persino la fortissima
esposizione mediatica di cui Rifondazione Comunista ha goduto negli
ultimi mesi. Come mai si verificato
questo esito? Come mai assistiamo
a una evoluzione del quadro politico specularmene opposta a quella
evocata dal compagno Bertinotti
ancora nelle conclusioni del
Congresso, dove si affermava che le
grandi innovazioni introdotte
nella direzione politica e nel corredo culturale e identitario del
Partito avevano il vento in poppa
e avrebbero senzaltro intercettato
grandi consensi? Come mai tutto
questo? Che cosa resta della sprezzante sicurezza con cui sono state
trattate le minoranze interne (il
41% del Partito!) e della certezza di
trionfi elettorali? Raramente con-

Marzo Aprile 2005

clusioni congressuali sono apparse


pi stonate di quanto si rivelino, alla
luce del voto di aprile, quelle del nostro VI Congresso. E come non osservare che malgrado il generoso
dispendio di modifiche culturali e
organizzative Rifondazione
Comunista si ritrova ad oscillare, a
quindici anni dalla nascita, tra il 5 e
il 6%, allo stesso livello dei comunisti francesi e spagnoli, e ben al di
sotto delle percentuali ottenute da
portoghesi e greci, che, pur non
avendo aderito alla Sinistra europea, si attestano tra l8 e il 10%? Cos
stanno le cose, e occorre innanzi
tutto prenderne atto. Maggiore modestia non avrebbe guastato e non
guasterebbe.
Perch conseguiamo un risultato
tanto insoddisfacente, e cos lontano dalle previsioni? La ragione
principale che stato operato un
ribaltamento della linea politica,
che ha visto il Partito passare immediatamente da un eccesso (il rifiuto del confronto con le altre forze
politiche dellopposizione, motivato con la tesi massimalistica delle
due destre) alleccesso opposto
(linternit nellUnione e laccordo
di governo, senza alcuna condizione sul terreno programmatico).
A questa svolta, repentina ed esasperata, si sono accompagnati alcuni gravi inconvenienti, che hanno pesato sulla capacit attrattiva
del Partito. stato modificato il nostro impianto culturale e identitario
privilegiando una indistinta radicalit. Non un caso che il Partito
abbia raccolto infervorati elogi da
un giornale molto schierato come il
Riformista, che si pi volte complimentato con il compagno Bertinotti per lopera di innovazione
ideologica messa in atto, depurando il Partito da anacronistici riferimenti alle idee e allesperienza del
movimento comunista. Questa innovazione avrebbe dovuto pagare
sul piano elettorale nelle previsioni
di chi ha inteso promuoverla. Ma i
calcoli si sono rivelati sbagliati.
Si poi avuto un appannamento politico, sostituendo limmagine e la

Editoriale

pratica di un Partito conflittuale,


capace di porre condizioni, con
quella di un Partito che tende ad allinearsi alle indicazioni delle forze
prevalenti dellUnione e mette la
sordina alle proprie richieste: dallintroduzione della patrimoniale al
ritiro immediato delle truppe italiane dallIraq. E cos siamo arrivati,
da ultimo, a non chiedere le dimissioni del governo nemmeno
dopo il crollo elettorale e a subire
persino la prospettiva che Mario
Monti autorevole incarnazione
del credo neoliberista figuri nella
prossima compagine di governo capeggiata da Romano Prodi.
Perch queste scelte tattiche abbiano prodotto risultati tanto negativi non difficile a comprendersi.
Il fatto che al nostro radicale mutamento di linea (approdato alla decisione di entrare nellalleanza e
persino di dare per scontato il nostro ingresso nel futuro governo di
centrosinistra ancor prima di cominciare la discussione sul programma) non ha corrisposto alcun
mutamento nelle posizioni politiche dei partiti dellUnione.

SOMMARIO

Il Papa in Nicaragua

11

E. Cardenal

Per un movimento globale contro la guerra

15

W. Bello

Senza Resistenza, nessun Iraq

19

S. Chiarini

A fianco della Resistenza irachena

26

G. Franzoni

Novit al FMS di Porto Alegre

28

F. Maringi

Foibe: gli anni della violenza

33

G. Fogar

A l t e rnativa: un cammino difficile

36

G. Chiarante

Governo, programma, alternativa di societ

39

A. Volponi

Centro-sinistra: la politica estera

45

B. Steri

Una Rifondazione in quattro atti

50

R. Rossanda

Lavoro

52

G. Cremaschi V. De Martino

PRODI

E IL

PRC:

C H I C A M B I AT O ?

Chiediamoci, molto semplicemente: rispetto agli anni Novanta


cambiato Prodi o cambiata Rifondazione Comunista? Se siamo sinceri con noi stessi, la risposta non
pu essere che una: cambiato e
in profondit il nostro partito.
Non certo il gruppo dirigente del
centrosinistra, che anzi non perde
occasione per ribadire (quasi a voler mettere le mani avanti) che le direttrici di marcia della sua azione di
governo saranno domani quelle
che sono state ieri, negli anni
Novanta, e che hanno aperto la
strada alla destra berlusconiana e
post-fascista. Si leggano anche solo
le pi recenti interviste dellon.
Fassino e dellon. Rutelli. Luno si
dice persuaso che il presidente
Bush abbia cambiato linea politica;
e, rivolto ai nostri imprenditori,

Per il compagno Lombardi

58

B. Casati

Bush in Europa. Un baratto provvisorio

61

S. Cararo

Dopo elezioni in Medio Oriente

64

B. Saleh`

LIran nel mirino americano

67

S. Ricaldone

Colombia, un Iraq sudamericano?

70

E. Polito

Cina-USA: lo scontro del XXI secolo

73

P. Theuret

Trincale, un patrimonio per la sinistra

80

G. Lucini

RECENSIONI
Dopo il liberismo, di Andrea Ricci

83

a cura di L. Cavallaro

Italiani senza onore


di Costantino Di Sante

85

a cura di S. Azzar

Editoriale

promette che la strada della flessibilit sar ancora privilegiata dal


centrosinistra. Laltro gli fa eco sulle
questioni del lavoro e della precariet, e si premura di aggiungere
che le leggi di Berlusconi saranno
in gran parte conservate dal nuovo
governo. E si leggano le ultime
uscite del leader dellUnione, lentusiastica accoglienza riservata alle
predicazioni iperliberiste del professor Monti e la proposta di collaborazione in campo economico rivolta al capo dellattuale governo.
Con queste posizioni Rifondazione
Comunista si trova a fare i conti. E
con chi esprime queste posizioni
lattuale direzione politica del
Partito ha scelto di non aprire una
forte offensiva programmatica. ,
questa, una modalit di costruzione
di una intesa politica che ci appare
sbagliata su entrambi i versanti.

Si leggano le ultime uscite


del leader dellUnione, lentusastica
accoglienza alle predicazioni
iperliberiste del professor Monti
e la proposta di collaborazione
in campo economico rivolta
al capo dellattuale governo

Sbaglia, a nostro giudizio, il presidente Prodi, il quale si illude che


lessenziale sia lingresso del Prc
nellalleanza, e laccoglimento, in linea di principio, del vincolo di maggioranza. Suole ripeterlo, Prodi, a
ogni pi sospinto: obbediranno.
Il fatto che questo nostro partito
a differenza delle formazioni minori della sinistra di alternativa, nelle quali il ceto politico proporzionalmente prevalente sul resto non
affatto pacificato, remissivo. Al
contrario, mantiene un ampio margine di autonomia e di capacit critica. Se riconosciuta sbagliata alla
prova dei fatti, una linea pu quindi

essere ribaltata da nuovi orientamenti della base o degli stessi organismi dirigenti centrali, anche nel
pieno di una legislatura.
E sbaglia, secondo noi, anche il
compagno Bertinotti. La scelta di
posporre il confronto programmatico allaccordo si fonda sullidea
che dallinterno dellUnione che
il Partito pu massimizzare i propri
risultati. Per questo abbiamo sinora
rinunciato a far emergere le pur cospicue contraddizioni che solcano
la coalizione di centrosinistra. Ma
questa scelta non solo perdente,
come dimostra lesito elettorale che
ha ridotto il peso contrattuale di Rifondazione nei confronti delle altre
forze di opposizione. assai discutibile anche su un piano, per dir
cos, etico-politico, poich rischia di
determinare una duplice delusione. Diamo agli elettori di sinistra
limmagine di una unit piena tra le
opposizioni che nei fatti non c,
che sappiamo invece molto parziale
e fragile, e che in effetti rischia di
venir travolta da sviluppi tuttaltro
che improbabili. E trasmettiamo ai
nostri compagni una indicazione di
unit tra tutte le forze democratiche
che essi certo richiedono con forza,
ma omettiamo di farci carico al contempo delle richieste che essi avanzano sul piano dei contenuti, dei
programmi e dei risultati politici
concreti.
Il risultato di questi errori convergenti un rischio che non possiamo, oggi, sottacere. Bench affermino entrambi di non volere riprodurre la situazione del 1998, sia Prodi che Bertinotti corrono il serio pericolo di lavorare entrambi proprio in quella direzione. Assumendosi con ci gravissime responsabilit. Vediamo per intenderci di
fare qualche esempio.

IL

G O V E R N O D E L L U N I O N E

Sappiamo bene che la prospettiva di


una nuova avventura bellica imposta dagli Stati Uniti tuttaltro che
inverosimile. anche molto probabile che la decisione di attaccare

Marzo Aprile

uno degli Stati contro i quali la Casa


Bianca concentra la propria offensiva ottenga la copertura dellOnu,
magari dopo qualche messinscena
simile a quella volta ad accreditare
la leggenda delle armi di distruzione di massa in possesso di Saddam Hussein. Bene: che cosa far,
in tal caso, il governo dell Unione?
Abbiamo tutti gli elementi per prevedere che i maggiori partiti a cominciare dai Ds spingerebbero affinch lItalia faccia la sua parte,
come ha detto lon. Fassino in una
delle sue ultime interviste, nella
quale programmava anche che in
politica estera, pur di ottenere la
maggioranza in Parlamento, il governo di centrosinistra dovrebbe avvalersi anche del sostegno della
Casa delle Libert. E noi? Abbiamo
sempre detto tutti che
Rifondazione Comunista non avaller mai la partecipazione italiana a
nuove guerre. Dunque in tale eventualit usciremmo dal governo. E allora, non sarebbe meglio parlarne
prima, chiarire preliminarmente
questa materia?
A questa stessa questione si lega un
altro scenario, ancor pi concreto.
In caso di elezioni anticipate e di vittoria del centrosinistra si porr subito il problema se ritirare immediatamente le nostre truppe dall
Iraq (e dagli altri scenari di guerra,
a cominciare dallAfghanistan colonizzato dagli Stati Uniti). Che cosa
decider il nuovo governo? Par di
capire che Fassino, Prodi e Rutelli
siano per un rientro graduale, in
tempi lunghi. E noi? Manterremo la
linea, sempre riaffermata, del ritiro
immediato (entrando in collisione
col resto della coalizione), o ci allineeremo?
E ancora. ben nota lentit della
voragine che il governo Berlusconi
lascer dietro di s nei conti pubblici. Il debito (gi superiore al
105% del Pil) tornato a crescere.
Il deficit si avvia a raggiungere quota
3,6% questanno, e superer il 4,6%
lanno prossimo. LEuropa chieder al prossimo esecutivo misure
draconiane per rientrare nei parametri del Patto di Stabilit. E sap-

Marzo Aprile 2005

piamo bene quanti guardiani di


Maastricht militino nelle file dei Ds
e della Margherita. Chiediamoci:
difficile prevedere che, pur di risanare, il presidente Prodi elaborer finanziarie lacrime e sangue,
fatte di tagli alla spesa e di nuovi sacrifici, imposti come sempre al lavoro dipendente, ai giovani, ai pensionati? Non affatto difficile: difficile capire come Rifondazione Comunista potrebbe tenere insieme la
capra della disciplina di governo
con i cavoli della coerenza politica
rispetto agli impegni da sempre assunti con la propria gente, gi tartassata in ventanni di neoliberismo
trionfante.

L U N I T

CONTRO BERLUSCONI

Si tratta di fatti, pesanti come macigni. Con i quali si pu non fare i


conti quando, dal palco di un Congresso nazionale, si vuole a tutti i costi ribadire il proprio punto di vista.
E allora magari ci si lascia andare allirrisione nei confronti di chi
chiede precisi impegni programmatici. Ma i fatti hanno la testa dura,
non si lasciano persuadere facilmente, nemmeno da chi alza i toni
dello scontro. Noi diciamo con
molta chiarezza che sulla esigenza
fondamentale del Paese cacciare
Berlusconi non ci pu essere alcuna incertezza. Lunit tra tutte le
forze democratiche in vista di questo obiettivo fuori discussione.
Anzi, sosteniamo che le forze di opposizione dovrebbero assumere
forti iniziative al fine di accelerare
la caduta del governo e la fine della
legislatura. Siamo molto critici nei
confronti del basso profilo assunto
dallUnione e dal nostro stesso partito allindomani del voto regionale. Perch lasciare che un governo precipitato al 42% dei consensi su base nazionale resti alla
guida del Paese, minacciando di devastare ulteriormente leconomia e
il bilancio pubblico, e di condurre
in porto le pi dirompenti riforme del suo programma? Dunque la partecipazione del Prc alla

Editoriale

battaglia elettorale delle opposizioni contro le destre fuori discussione, e lo sempre stata. Ma
questo non significa che sia lecito
ingannare il popolo della sinistra,
prospettargli scenari confusi, nei
quali sono sistematicamente eluse
le divergenze tra i partiti sulle questioni della pace, del lavoro, del welfare, del salario e delle pensioni.
C ancora una lezione che dobbiamo saper trarre dal terremoto del
3-4 aprile. Perch tanti compagni
erano cos certi che Rifondazione
Comunista avrebbe ottenuto un
grande successo elettorale? Un successo talmente sicuro e cospicuo da
giustificare secondo queste previsioni la linea decisa dal compagno
Bertinotti: non porre al centrosinistra alcuna condizione preliminare
per giocare poi in corso dopera,
gettando sul confronto con lUnione il peso di una crescita di consensi
che si dava, appunto, per scontata?
La risposta molto semplice: perch
questi compagni sono partiti da una
analisi della fase politica e sociale in
larga misura sbagliata. Lo abbiamo
detto con forza durante i mesi che
ci hanno condotto al Congresso. Lo
abbiamo ribadito durante le giornate di Venezia. Abbiamo cercato di
fornire un contributo costruttivo al
dibattito interno, convinti come siamo che lerrore di analisi compiuto
dalla maggioranza del Partito rischia di farci deragliare, con conseguenze assai gravi. Non siamo stati
ascoltati. Non ci resta, dunque, che
ripeterci, nella speranza di contribuire a un ripensamento.
Il compagno Bertinotti ripete da
tempo che ci troviamo in una fase
di grande fibrillazione sociale, accompagnata e amplificata dallo spostamento del centrosinistra su posizioni pi avanzate. Lo schema rappresenta i movimenti in funzione di
apripista di una stagione di conflitti
vincenti, e le organizzazioni sindacali e politiche in una attitudine finalmente dinamica, pronti a recepire gli stimoli provenienti dal basso
e a valorizzarli sul terreno delle lotte
e della battaglia politica. Si com-

prende bene che, sullo sfondo di


una simile rappresentazione, ci si attendesse unimpetuosa crescita di
Rifondazione Comunista e anche
un ridimensionamento delle componenti moderate dellUnione. Ma
le cose stanno davvero in questi termini? No. I movimenti soprattutto
il movimento no-global attraversano una fase di difficolt. Hanno
avuto luogo iniziative anche molto
importanti (le manifestazioni di
Bruxelles contro la Bolkestein e di
Roma contro la guerra, il 19 marzo;

C ancora una lezione


che dobbiamo saper trarre
dal terremoto del 3-4 aprile.
Perch tanti compagni
erano cos certi che Rifondazione
Comunista avrebbe ottenuto
un grande successo elettorale?

lo sciopero dei meccanici il 15 aprile). Ma si trattato di momenti alti


ed eccezionali in una fase prevalentemente statica, nella quale elementi dominanti sono la recrudescenza del bellicismo statunitense
(simboleggiata dalla nomina di
Condoleezza Rice al Dipartimento
di Stato e dalle candidature di John
Bolton e Paul Wolfowitz, rispettivamente allOnu e al Fmi) e dellaggressivit di Israele (dove loccupazione dei Territori e la costruzione
del Muro continuano, nonostante
la moderazione di Abu Mazen). Sul
terreno dei conflitti di lavoro, il ricatto delle delocalizzazioni continua a determinare peggioramenti
nellorario e nelle condizioni salariali (a fronte di una vera esplosione
delle retribuzioni per i manager, i
cui stipendi oscillano tra i 2 e i 15
milioni di euro, tra i 4 e i 30 miliardi
di vecchie lire). I sindacati confederali, a loro volta, danno segni di
un tendenziale recupero di logiche

Marzo Aprile

Editoriale

concertative. E quanto ai partiti del


centrosinistra, i gruppi dirigenti dei
Ds e della Margherita hanno semmai radicalizzato le proprie propensioni moderate.
Lanalisi della fase su cui stata costruita la linea del Partito (e una
strategia di lotta interna che mette
a dura prova le relazioni politiche
tra le sue diverse componenti) si
rivelata priva di fondamento nel
Paese e nella realt internazionale.
Hanno dunque buon gioco ora i veri
vincitori delle elezioni a dare la propria interpretazione della situazione, e a incassarne i dividendi.
Rutelli ha detto a chiare lettere: lespressione Prodinotti archiviata.
Lasse riformista del centrosinistra
esce molto rafforzato dalle elezioni. Fassino gli ha fatto eco: nei mesi scorsi si era ipotizzato che la nascita della Federazione dellUlivo aprisse grandi spazi alla sinistra radicale. Il voto dimostra il contrario.
Evapora definitivamente il Prodinotti. Potremmo continuare con le
citazioni, ma servirebbe a poco. La
verit che purtroppo questi commenti colgono nel segno. Fornendo
lennesima riprova del fatto che le
scelte compiute dalla maggioranza
del Partito da un anno e mezzo a
questa parte e soprattutto nel VI
Congresso Nazionale hanno sortito il solo effetto di accrescere via
via le nostre difficolt, esasperate, da
ultimo, dal cattivo esito elettorale.

I L VI C O N G R E S S O
Visto che ci accaduto di menzionare il nostro VI Congresso, soffermiamoci qualche istante ancora su
questargomento. I compagni conoscono le nostre critiche nei confronti della formula prescelta dal
Segretario nazionale: un Congresso
a mozioni contrapposte, che certo
non aiuta il Partito ad esprimere
tutte le sue potenzialit, e che comporta invece il grave difetto di esasperare le divisioni interne. Queste
erano le nostre preoccupazioni
della vigilia, e non ci pare affatto che
quanto accaduto a Venezia e dopo

Venezia (si pensi, per fare un esempio, alle gravi forzature introdotte
nello Statuto del Partito) possa indurci a ridimensionarle. Ma ora, a
bocce ferme, si tratta innanzi tutto
di valutare i risultati del Congresso,
sui quali la stampa nazionale ha fornito resoconti molto diversi e non
di rado imprecisi.
Qualche dato, per cominciare. La
mozione 1(presentata dal compagno Bertinotti) ha ottenuto il 59,1%;
il Segretario stato rieletto con il
60% dei voti (contro l88% ottenuto
nel V Congresso). Le quattro mozioni di minoranza hanno raccolto
il 40,9% dei consensi, e ci nonostante un cospicuo rigonfiamento
del tesseramento (avvenuto nel
corso degli ultimi dieci giorni utili
ai fini congressuali) e un regolamento che consentiva di votare per
alcune ore dopo la chiusura del dibattito. Per fare un esempio, a me
capitato di prendere parte, a Reggio
Calabria, al Congresso di un Circolo
con 340 iscritti, nel quale il dibattito
si svolto in una stanza che conteneva una ventina di sedie. Il dibattito ha visto la partecipazione di una
dozzina di compagni. Ma nel tempo
destinato alle votazioni, il Circolo
stato meta di un assiduo pellegrinaggio: circa duecento persone si
sono presentate alle urne, chiedendo di votare per Bertinotti.
Ci nonostante la mozione Essere comunisti ha conseguito un risultato
molto significativo. Siamo cresciuti
rispetto allo scorso Congresso, sia in
termini percentuali (rappresentiamo oggi il 26,5% del Partito), che
in voti assoluti (circa 13.500). Siamo
primi in 22 Federazioni (in altre
otto superiamo il 40%) e in 4 regioni, mentre in 10 regioni su 20 la
maggioranza non supera il 51%. A
Torino vinciamo, ottenendo la rielezione del nostro Segretario, che
era stato sostituito nello scorso
Congresso in quanto sostenitore degli emendamenti alle tesi della maggioranza. In Calabria passiamo dal
42 al 57%, dando cos la risposta pi
univoca alla decisione, presa dalla
maggioranza allinizio del percorso
congressuale, di commissariare la

segreteria regionale per punire il


Segretario, anchegli firmatario degli emendamenti.
Ce n abbastanza per dire che la sintesi giornalistica propagandata da
giornali e televisioni la tesi secondo
la quale la mozione 1 avrebbe vinto
il Congresso totalmente fallace.
La verit che mai, nella storia di
Rifondazione Comunista, il gruppo
dirigente, la maggioranza che governa il Partito, aveva conseguito un
consenso cos modesto. Ci rende
ancor pi incomprensibile la decisione di modificare lo Statuto (un
po la nostra Costituzione) a colpi di
maggioranza, e di concepire gli organismi politici pi importanti (la
Segreteria e lEsecutivo) anchessi,
di fatto, come espressioni della sola
maggioranza del Partito.
Soprattutto, alla luce di questo quadro, appare in tutta la sua gravit
latto conclusivo di questo VI Congresso: le conclusioni sprezzanti con
cui il compagno Bertinotti ha ritenuto di suggellare le giornate di Venezia. Con uno stile che ci ha ricordato alcuni momenti tra i pi tristi
della nostra storia quando si usava ridurre in caricatura le posizioni degli
avversarsi per sconfiggerle senza
confrontarsi seriamente con esse.

LE

PROSPETTIVE

D E L N O S T R O L AV O R O

Chi ha alimentato questo clima di


contrapposizione si assunto, crediamo, gravi responsabilit, anche
perch lacuirsi delle divisioni interne rischia di indebolire seriamente liniziativa complessiva del
Partito. Quanto a noi, condurremo
la nostra iniziativa di opposizione tenendo ben fermi due obiettivi fondamentali: contribuire alla costruzione di una linea del Partito che sia,
a nostro parere, pi efficace, e rafforzare, cos facendo, le nostre posizioni, nellinteresse comune della
rifondazione comunista. Vorrei, in
chiusura, delineare brevemente i
tre temi politici intorno ai quali questa nostra iniziativa potrebbe convenientemente svilupparsi.

Marzo Aprile 2005

In primo luogo occorre approfondire la critica della svolta governista


praticata dal compagno Bertinotti,
ponendo in evidenza che essa determina la subalternit del Prc al
centrosinistra e un consolidamento
del meccanismo dellalternanza.
nostra convinzione che, poich permangono divergenze strategiche rispetto al centrosinistra (le forze
della Fed considerano il capitalismo
un orizzonte non trascendibile; noi
comunisti pensiamo invece che superare il capitalismo sia indispensabile per risolvere i principali problemi che fronteggiano lumanit),
si possano stringere intese, non alleanze organiche. E che vada attentamente salvaguardata lautonomia
di Rifondazione Comunista, quale
unica forza che in Italia si colloca
fuori dal bipolarismo e dalla logica
dellalternanza. Non in discussione lo ribadiamo ancora una
volta la nostra propensione unitaria (che in un passato ancora recente ci veniva imputata come frontismo), ma linterpretazione governista di questa giusta linea.
La seconda questione concerne la
sinistra di altern a t i v a. L i m p o s t azione data dal Segretario al tema del
governo non ha certo aiutato il processo di costruzione di questa vasta
area politica, che costituisce per noi
un riferimento di primaria importanza. Invece di chiamare a raccolta
le forze sociali e politiche che sostennero la battaglia per lestensione dellart. 18, invece di coinvolgere questi soggetti nella elaborazione di un programma comune, si
privilegiata linterlocuzione diretta con Romano Prodi, operando
lingresso nellUnione e addirittura
accettando il vincolo di maggioranza (contro una delle nostre fondamentali parole dordine: prima
i programmi, poi le alleanze). Oltre a indebolirci nel rapporto con le
altre forze dellopposizione, questa
linea ha sin qui ostacolato la costruzione della sinistra di alternativa, che rimane per noi, al contrario, un progetto essenziale: uno dei
compiti fondamentali del nostro lavoro politico in questultimo anno

Editoriale

di legislatura. Laggregazione delle


forze di alternativa, lunit nella
rispettiva autonomia di tutti i soggetti che a sinistra si schierano contro il liberismo e la guerra, , a nostro giudizio, una esigenza oggettiva
in questa fase storica. Per questo abbiamo considerato con rammarico
la conclusione dellesperienza della
rivista del manifesto, e per questo riteniamo urgente la ricerca di nuovi
strumenti di elaborazione e di intervento politico unitario.

B AT TA G L I A

DELLE IDEE

E IMPEGNO POLITICO

Il terzo terreno di lavoro concerne,


infine, la nostra cultura politica.
Consideriamo indispensabile, a
questo riguardo, contrastare con
forza la svolta neo-identitaria promossa dal compagno Bertinotti, assai ben accolta dal Riformista ma per
nulla gradita dai compagni che si riconoscono, pur criticamente, nella
storia del movimento operaio e comunista. La questione che oggi si
profila con grande nettezza se auspichiamo che Rifondazione Comunista divenga una forza radicale,
antagonistica, o se manteniamo
fermo lobiettivo di costruire un
nuovo partito comunista. Questa
domanda trova una riformulazione
ben chiara sul terreno culturale,
dove la domanda che dobbiamo
porci se intendiamo rimuovere la
nostra storia, quasi fosse soltanto un
pesante fardello, o approfondirla,
sottoponendola a una ricerca rigorosa, a una critica seria e costruttiva.
Questultimo il nostro obiettivo,
che va perseguito guardando anche
al di fuori di noi, intrecciando un
confronto serrato con le altre tesi
che oggi si confrontano nellambito
della sinistra di alternativa.
Intendiamo rilanciare la discussione sulla questione comunista, cercando di coinvolgere la diaspora comunista che in questi quindici anni
non ha trovato luoghi e motivazioni
adeguate per impegnarsi a fondo in
una ricerca quanto mai necessaria.
Vogliamo promuovere una inizia-

tiva teorica e politica tesa a contrastare loffensiva anticomunista e revisionistica (si pensi, da ultimo, al vergognoso tentativo di equiparare la
svastica nazista al simbolo con la
falce e il martello). Ci proponiamo
di indagare le nuove forme della
centralit del lavoro e del conflitto di
classe, e le relazioni che saldano i
temi economici alle questioni dellambiente, al nesso tra disoccupazione e sviluppo, alla grande questione strategica del processo di costruzione del socialismo. nostro
preciso intento, infine, proseguire
nel lavoro di documentazione critica sul terreno internazionale, per rafforzare la nostra battaglia contro la
guerra, a sostegno dei movimenti di
resistenza e di lotta anti-imperialista
(a cominciare, nel nostro Paese, dal
movimento contro le basi Usa e Nato presenti sul territorio nazionale).
Occorre per questo rilanciare la riflessione sui grandi processi geopolitici e sul ruolo degli Stati nazionali
(e dellUnione Europea).
Attraverso lapprofondimento di
questi temi (ai quali molti altri se ne
potrebbero aggiungere) intendiamo precisare sempre meglio il
nostro profilo politico e con ci condurre innanzi, con crescente efficacia, una battaglia che, cominciata
dieci anni or sono sulle pagine di
questa rivista, rafforzata dal contributo di innumerevoli saggi e libri
scritti da nostri compagni, proseguita con la presentazione degli
emendamenti in occasione del V
Congresso del Prc e con la elaborazione della mozione Essere comunisti
allultimo Congresso. Ai nostri compagni rivolgiamo un caloroso ringraziamento per il sostegno che ci
hanno sempre fatto sentire. A loro,
e a quanti guardano con simpatia
alla nostra battaglia, diciamo che
abbiamo gi ripreso il nostro cammino per la costruzione di una prospettiva politica e programmatica
che, nel tenere aperto il confronto
nel Partito e nella sinistra di alternativa, mira allobiettivo per noi irrinunciabile della rifondazione comunista.
16 Aprile2005

Democrazia/Costituzione

Marzo Aprile

segue R. La Valle da pag. 1

Registr. del Tribunale di Cremona


n. 355 del 12/04/2000
Bimestrale
Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in A. P.
D.L. 353/2003 (con. in L. 27/02/2004 n46)
art. 1, comma 1, DCB Cremona

Direttore Fosco Giannini


Direttore responsabile Giovanni Lucini
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Mauro Cimaschi
Hanno collaborato:
Stefano Azzar, Walden Bello, Sergio Cararo,
E rnesto Cardenal, Bruno Casati, Luigi
C a v a l l a ro, Giuseppe Chiarante, Stefano
Chiarini,Vittorio De Martino, Galliano Fogar,
Giovanni Franzoni, Claudio Grassi, Raniero La
Valle, Gianni Lucini, Francesco Maringi, Ennio
Polito, Sergio Ricaldone,Bassam Saleh`, Bruno
Steri, Patrick Theuret, Alessandro Volponi
Per la realizzazione di questo numero non stato richiesto alcun
compenso. Si ringraziano pertanto tutti gli autori e collaboratori.

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18 Aprile 2005
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con la sua maggioranza nellultimo


anno della legislatura. Fatta questa
mossa, la consultazione elettorale
politica si trasformerebbe in un plebiscito pro o contro di lui, senza
par condicio e con i partiti alleati
ridotti a supporti logistici della sua
Casa, plebiscito da cui nella sua presunzione egli conta di uscire vittorioso. Conseguito tale risultato, la
terza ed ultima mossa consisterebbe
nel giocare il referendum promosso
dalle opposizioni come ratifica popolare di un rovesciamento costituzionale ormai gi di fatto avvenuto,
che la nuova Costituzione non farebbe che consacrare. Cos lItalia
perderebbe la sua bella democrazia.
E di certo non mancherebbe la benedizione dellamico Bush: forse
che gli italiani non avrebbero votato? Quando si vota, quella la democrazia, come pure si visto in
Iraq.
Se questo lo scenario allestito da
Berlusconi e sostenuto dal fascio di
poteri che stanno con lui, occorre
capire bene la prima mossa, che
contiene le altre due e nella quale
la riforma della Costituzione in effetti anticipata.
Lidea quella di consegnare allelettore ununica scheda e chiedergli un unico voto, da esprimere con
ununica croce. In tutti i collegi in
questunica scelta sarebbe compreso il voto per il Primo Ministro,
per il suo candidato nel collegio e
per uno dei partiti della coalizione
collegata al suo nome (anche per la
quota proporzionale). La cosa
presentata come una semplificazione di carattere pratico; in realt
qui c gi tutta lideologia e il meccanismo della riforma.
Essendo incluso nel voto per il Primo Ministro quello per i candidati e
i partiti, tutta la rappresentanza politica verrebbe ad essere concentrata
e assorbita in una sola persona. essenziale allidea della rappresentanza che essa si incarni in una pluralit di soggetti, i quali riproducano
in scala ridotta la molteplicit degli
interessi, dei bisogni, dei valori, e la
variet delle classi e dei ceti rappresentati, in modo tale che il conflitto

sociale possa essere espresso e risolto


nella mediazione politica e parlamentare. Ma se il rappresentante
uno solo, poich non pensabile
che egli viva e risolva tutti i conflitti
dentro di s, si deve supporre che il
conflitto sociale non esista, che non
ci sia pluralismo di bisogni e di ideali,
e che tutti i valori siano riassunti nei
valori rappresentati da lui. la vecchia concezione del sovrano come
colui in cui si ricapitola il popolo intero: lEtat cest moi, lo Stato sono
io. In tale sistema il corpo del re era
identificato col corpo politico della
nazione; e proprio per questa ragione il corpo del sovrano era sacro
e inviolabile; e doveva anche essere
bello, o almeno abbellito da abiti ed
ornamenti sontuosi.
E sovrano appunto ci che Berlusconi vuole essere. Quando egli parla
dei suoi ministri, del suo governo, della sua maggioranza, e tuttavia pretende la riforma lamentandosi di essere solo un primus inter pares il primo tra pari evidente
che vuole essere il primo senza pari,
superiore perci a ciascun altro; e
questa appunto la definizione del
sovrano, che vuol dire superiore,
uno che non ha altri pari a s e che
non riconosce alcun altro al di sopra
di s (superiorem non recognoscens
la formula della sovranit). La riforma costituzionale, prefigurata
nella scheda unica che tutto decide
nel nome di uno solo, istituisce appunto questo sovrano; e gli altri
eletti, in quanto eletti per lui, con lui
ed in lui, non sono pi rappresentanti del popolo in Parlamento, ma
rappresentanti di lui presso il Parlamento e presso il popolo.
In questa inversione gi presente
nelle urne, contenuta la riforma
costituzionale progettata, in quanto
la dipendenza del Parlamento dal
Premier e la rottura a suo favore dellequilibrio tra i poteri dello Stato,
dipendono da questa premessa, che
accampa come suo principio assoluto di legittimazione linvestitura
popolare. In questo quadro si pone
anche lo stravolgimento dellistituto parlamentare della fiducia, che
nel testo gi votato dalle Camere

Marzo Aprile 2005

Democrazia/Costituzione

non pi la fiducia al governo, ma


la fiducia riposta dal Primo Ministro nei suoi rappresentanti in Parlamento; quando essa viene meno,
il Primo Ministro toglie loro il mandato parlamentare, sciogliendo la
Camera; egli dispone infatti di loro
proprio perch in tale sistema la
loro elezione non sarebbe dovuta a
un suffragio diretto, come vuole
lart. 56 della Costituzione vigente,
ma sarebbe derivata in modo mediato e indiretto dallelezione del
Premier.
Quanto agli eletti dellopposizione,
essi non avrebbero pi alcun potere
di rappresentanza n prerogative
come quelle che la nuova Costituzione riserva alla maggioranza e al
governo, ma solo diritti, che si riducono peraltro al diritto di parola
(in tempi contingentati); e nelle votazioni di fiducia, divenute un fatto
interno tra il Primo Ministro e la sua
maggioranza, i loro voti addirittura

non sarebbero contati, in quanto irrilevanti.


Se cos stanno le cose, importante
che mentre noi discutiamo della
nuova Costituzione in itinere e riponiamo tutte le nostre speranze nel
referendum popolare che dovrebbe bloccarla, ci rendiamo conto che
il vero strappo costituzionale oltre
a tutti quelli gi consumati fin qui
con le leggi elettorali vigenti si
opererebbe nei prossimi mesi con
questa riforma elettorale a scheda
unica preannunciata da Berlusconi
(naturalmente a Porta a porta), la
prima e decisiva mossa del suo scacco in tre tempi alla Repubblica parlamentare e rappresentativa. Dopo
di essa, tutto sarebbe pi difficile,
non solo la salvaguardia dellordinamento della Repubblica, di cui
alla seconda parte della Costituzione, ma anche la difesa dei suoi
principi fondamentali, a cominciare da quelli della libert, delle-

guaglianza e della pace, nonch dei


diritti e doveri dei cittadini nei rapporti civili, etico-sociali, economici
e politici proclamati nella prima
parte della Costituzione del 48.
Lemergenza costituzionale pertanto gi cominciata, e anzi siamo
gi allallarme rosso. La battaglia
per la Costituzione non pu essere
rimandata al referendum, ma deve
essere anticipata gi nello scongiurare la riforma elettorale ed eventuali iniziative analoghe che nella disperata difesa del potere conquistato i suoi attuali detentori potranno intraprendere nellanno finale
della legislatura.
E per prima cosa occorre fare strenua opposizione in Parlamento
contro la minacciata legge elettorale, che in ogni caso il Presidente
della Repubblica dovrebbe rinviare
alle Camere e rifiutarsi, per obbedienza alla Costituzione, di firmare
e promulgare.

CAMPAGNA ABBONAMENTI 2005

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Appello

Marzo Aprile

Il 25 aprile, per la Costituzione


Coronando unazione sistematicamente volta a cancellare le conquiste civili e sociali maturate
in sessantanni di vita democratica, una maggioranza estranea alla storia, ai valori e alla cultura
della Resistenza ha sancito lo smantellamento definitivo dei beni pubblici repubblicani generati
dalla lotta di liberazione. Il governo Berlusconi ha imposto, a colpi di maggioranza, una riscrittura
eversiva della Seconda parte della Carta che compromette lequilibrio tra i poteri costituzionali
posto dai Padri costituenti a salvaguardia della vita democratica della Repubblica.
Nessuno aveva mai osato tanto. Le conquiste della democrazia nel nostro Paese non sono mai
state completamente attuate. Spesso sono state insidiate. Ma mai, sino ad ora, ne era stata propugnata labrogazione.
Questa riforma mette a repentaglio lunit sociale e politica del Paese e sconvolge le basi della
democrazia parlamentare, determinando le premesse per un perenne caos istituzionale, politicizzando la Corte costituzionale e conferendo al capo dellesecutivo un cumulo di poteri tale da
ridurre il Parlamento e il Presidente della Repubblica al ruolo di comparse. Ove il disegno delle
destre si realizzasse, la Repubblica italiana non sarebbe pi un ordinamento democratico-parlamentare, fondato sulla divisione e il bilanciamento dei poteri: diventerebbe un ordinamento
fondato sul governo personale di un capo politico. Si tratterebbe di una sorta di premierato assoluto. La stessa unit nazionale verrebbe messa a rischio, sacrificata alle pulsioni dissolutrici di
un nuovo fascismo padano.
Di fronte a un tornante di tale gravit, tacere o minimizzare sarebbe una imperdonabile colpa.
indispensabile un forte sussulto di tutte le culture democratiche del nostro Paese, al di l di ogni
particolare appartenenza. Occorre impedire che entri in vigore un provvedimento esiziale per la
democrazia repubblicana. Perci in vista del referendum che dovr cancellare questa riforma
esortiamo tutti gli Italiani che hanno a cuore le sorti della Repubblica, gi in passato minacciate da oscure trame, a mobilitarsi in occasione del prossimo 25 aprile, e poi ogni 25 aprile, una
volta sventata questa minaccia, trasformando la celebrazione dellanniversario della Liberazione
in una manifestazione nazionale in difesa dei va l o ri e dei principi inscritti nellunica vera
Costituzione della Repubblica: quella del 1948, nata dalla Resistenza antifascista.

Primi firmatari:
Giorgio Bocca, Alessandro Curzi, Raniero La Valle, Lidia Menapace, Giovanni Pesce,
Massimo Rendina, Paolo Ricca, Rossana Rossanda, Paolo Sylos Labini, Carla Voltolina Pertini, Tullia Zevi

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Marzo Aprile 2005

Papa Wojtyla

Qual stata la funzione politica


predominante di questo pontificato?
Per Cardenal non vi sono dubbi:
Papa Wojtyla, a partire dal Nicaragua
e in sintonia con il Regan degli anni 80,
si propone quale crociato
contro ogni rivoluzione sociale
di Ernesto Cardenal

Il Papa
in Nicaragua

ERNESTO CARDENAL, GI SACERDOTE, RIVOLUZIONARIO E POI


MINISTRO DELLA CULTURA NEL GOVERNO SANDINISTA, TRACCIA
UN PROFILO POLITICO DI

GIOVANNI PAOLO II IN CONTROTENDENZA

CON LA MISTICA CORRENTE

Bienvenido a Nicaragua Libre gracias a Dios y a la Revolucin, recitava all'aeroporto uno striscione allarrivo del Papa a Managua. Se Giovanni Paolo II lo lesse, sicuramente
gli provoc pi rabbia di quanta ne
avesse gi dentro.
Analisti religiosi fecero notare che
durante il suo giro per il Centroamerica era stato molto effusivo e
cordiale, accarezzando bambini, salutando ragazzi e ragazze ed alcuni
menomati. Ma non fu cos in Nicaragua. Qui se ne stette molto serio e
rigido, senza alcuna spontaneit affettiva, senza gesti pi che controllati. E questo ben prima della confusione che si manifest durante la
Messa in piazza.
Una delle prime cose che il Papa
fece toccando il suolo nicaraguense
fu l'umiliazione pubblica che mi
fece all'aeroporto, davanti a tutti i
mezzi di informazione. La cosa non
mi colse tuttavia di sorpresa, me laspettavo ed ero preparato. Il Nunzio
apostolico gi mi aveva avvertito che
sarebbe potuto accadere. Il Papa
non voleva infatti che i sacerdoti che
facevano parte del governo sandinista venissero ad accoglierlo all'aeroporto, ma solo a me successe questo. Padre Miguel D'Escoto, che era
Ministro degli Esteri, era ad una riunione a Nueva Delhi. Non cera n
mio fratello Fernando, che era allora dirigente della Juventud

Sandinista, n Padre Parrales, che


aveva un incarico diplomatico a
Washington. Io solo, come membro
del Governo, dovevo essere presente all'aeroporto. Dissi alla Direzione nazionale che forse era meglio darmi un incarico da qualche
altra parte, dato anche che, per l'arrivo del Papa, era in atto una negoziazione continua: chi sarebbe salito
sulla scaletta per accompagnare il
Papa a terra, se toglievamo il mural
con i fondatori del Frente Sandinista alle spalle del Papa quando
avrebbe celebrato la messa (e non
fu tolto). Cera discussione anche
sulle cose apparentemente pi insignificanti, perch quando viaggia il
Papa nulla insignificante. Per
quello che mi riguarda la Direzione
sandinista non cedette, e mi dissero
che dovevo stare l perch, oltre a
far parte del Governo, ero anche
una gloria nazionale.
Venne allora minacciata la sospensione del viaggio del Papa, ma siccome tempo prima Reagan aveva
viaggiato in tutto il Centroamerica
ed aveva evitato il Nicaragua, per il
Papa sarebbe stato molto brutto ripetere la stessa cosa. Alla fine il nostro Governo fece una proposta: il
Papa avrebbe salutato i ministri da
lontano, in modo da non venire a
contatto con me. Il cardinale Silvestrini, che era il vice-segretario di
Stato, arriv una settimana prima

per definire tutti i dettagli e disse


che questa era una soluzione geniale e che cos si sarebbe fatto. Il
Papa, per, decise in un altro modo.
Dopo tutti i saluti di protocollo, il
Papa chiese a Daniel Ortega che lo
portava a braccetto se poteva salutare i ministri, e lui disse naturalmente di s. Si diressero allora verso
di noi. Affiancato da Daniel Ortega
e dal cardinal Casaroli, il Papa cominci a dare la mano ai vari ministri, e quando mi si avvicin io feci
quello che ero gi pronto a fare in
base ai consigli del nunzio: mi tolsi
il basco e mi inginocchiai per baciare l'anello. Lui non permise che
glielo baciassi e brandendo il dito
come fosse un bastone mi disse con
tono di rimprovero: Lei deve regolarizzare la sua posizione. Siccome
io non dissi nulla, ripet la sua brusca ammonizione. Il tutto mentre le
telecamere di tutto il mondo riprendevano la scena.
Un giornalista dellAtlantic Monthly
scrisse allora che quando raccontai
il fatto a mia mamma, dispiaciuta
per l'incidente, essa mi disse:
Pensavo che ti avrebbe trattato da
padre; e che io risposi: Mi ha trattato da padre, ma non da madre.
Ma francamente io non mi ricordo
di questo.
Credo che tutto questo fosse premeditato dal Papa e che le telecamere fossero in allerta. Il fatto che

11

Papa Wojtyla

queste immagini furono diffuse in


tutto il mondo e che continuano ad
esserlo. Mi hanno informato che anche molti anni dopo le hanno ritrasmesse in occasione di un altro viaggio del Papa in queste zone.
In quelloccasione il nordamericano Blase Bonpane scrisse una lettera aperta al Papa dicendogli che
era scandaloso quello che mi aveva
fatto e che doveva chiedermi perdono pubblicamente, facendogli
notare che, mentre a me aveva fatto
questo, in Salvador aveva abbracciato l'assassino di Monseor Romero. In effetti l'atto del Papa era
ingiusto, dato che la mia situazione
con la Chiesa era gi regolarizzata.
Il Vescovo locale mi aveva gi dato
l'autorizzazione ad assumere incarichi pubblici e cos anche gli altri
sacerdoti nel governo sandinista, e
questa autorizzazione era stata resa
pubblica. Fu solo dopo che il Vaticano ce lo proib.
La verit che la cosa che pi dava
fastidio al Papa era che la Rivoluzione nicaraguense non perseguitasse la Chiesa. Lui avrebbe preferito un regime come quello polacco, anticattolico in un paese altamente cattolico, e quindi, impopolare. Quello che meno voleva era
una rivoluzione appoggiata in modo massiccio dai cristiani in un paese cristiano, e quindi una rivoluzione molto popolare. E la cosa peggiore era che si trattava di una rivoluzione con sacerdoti!
La posizione del cardinal Casaroli
era diversa. Ero stato ricevuto da lui
in Vaticano un anno prima. Incominci dicendomi che sapevo benissimo quale fosse la posizione del
Vaticano sui sacerdoti con incarichi
di Governo, ma che credeva che il
Nicaragua poteva essere un'eccezione perch si trattava di una cosa
nuova. Lui era solito dire in
Vaticano: In Nicaragua tutto
nuovo. Mi domand di Solentiname, e quando gli dissi che volevo
rinunciare all'incarico di ministro
per tornare l vidi uno sguardo
preoccupato sul suo volto. Mi disse
che si trattava di una decisione da
non prendere con leggerezza e che

12

doveva essere pensata e consultata.


Quando gli dissi che gli incarichi
per i sacerdoti nella Rivoluzione
non erano onorifici ma tra i pi fondamentali, vidi che rimase molto
impressionato, come fosse qualcosa
a cui non aveva pensato. Quello di
Ministro degli Esteri era un incarico
fra i pi importanti nel Governo,
paragonabile al suo che era Segretario di Stato. A mio fratello Fernando avevano affidato la formazione
della giovent, che era il futuro
della Rivoluzione. Quello della
Cultura, il mio, era il Ministero ideologico della Rivoluzione, che sovraintendeva le pubblicazioni, letteratura, cinema, teatro, arti plastiche, musica, biblioteche, Case della
Cultura. Mi disse nuovamente che
dovevo pensarci bene prima di tornare a Solentiname. Anche a lui
quel che pi gli piaceva era fare lezioni di filosofia, ma aveva rinunciato per lincarico affidatogli in
Vaticano. Mi disse anche che conosceva bene il marxismo perch era
stato Nunzio nei paesi socialisti per
otto anni, e che non avrebbe avuto
problemi con un marxismo che non
obbligasse ad essere atei, e io gli dissi
che questo era il marxismo della
Rivoluzione in Nicaragua.
La notte precedente alla grande
Messa del Papa a Managua, nella
stessa piazza il Governo e la gente
celebrarono insieme i funerali di 17
ragazzi in et scolare che erano stati
uccisi dalla Contra. Era stato il primo forte attacco della Contra in Nicaragua. La nostra difesa era allora
gestita da giovani che non avevano
esperienza militare e nemmeno
buone armi. Il sangue era ancora
fresco in questo posto e ci aspettavamo da parte del Papa almeno una
parola in favore della pace.
Negli altri paesi centroamericani
l'affluenza alla messa del Papa era
stata dalle 75 mila alle 100 mila persone, ma a Managua ne arrivarono
700 mila, viaggiando per giorni per
poter sentire il Papa. Vennero da
tutte le parti del Nicaragua con camion strapieni. La massa di gente
era l dalla mattina presto, sopportando un sole tremendo. Si era de-

Marzo Aprile

cretato un giorno festivo per l'arrivo


del Papa ed i trasporti erano gratis
in tutto il paese. In tutto il paese si
erano formate commissioni con le
autorit civili, militari e con il prete
di ogni parrocchia per permettere
l'arrivo a Managua di tutti coloro
che volessero ascoltare il Papa, e
tutto questo era costato 50 mila dollari all'impoverito Nicaragua. Il
Governo fece tutto il possibile affinch la piazza si riempisse di gente, perch riempirla di gente voleva
dire riempirla di rivoluzionari.
Il Nicaragua aveva 3 milioni di abitanti e ne arrivarono 700 mila, un
quarto della popolazione. Anche la
destra port tutta la gente che pot,
e arrivarono in 50 mila capeggiati
dal Padre Carballo, che li accompagn in piazza la notte precedente
per prendere tutti i posti davanti al
Papa. Rimasi perci molto perplesso quando il Papa, all'aeroporto, disse che gli dispiaceva per la
gente a cui non avevano permesso
di venire. Anche durante la messa
lo ripet pi volte, mettendoci
un'enfasi particolare perch si capisse che pensava fossero molti coloro a cui non avevano permesso di
venire. Ma sarebbero per caso potute venire pi di 700 mila persone?
E visto che il discorso era gi stato
scritto e portato da Roma, come potevano sapere che erano molte le
persone a cui non si era permesso
di venire?
Nel primo pomeriggio di quel 4
marzo del 1983 eravamo gi tutti sudati perch quello uno dei mesi
pi caldi in Nicaragua. Ci potevano
essere 40, ma nessuno poteva sapere che gli animi si sarebbero poi
riscaldati ben pi di quei 40.
Inaspettatamente la Messa cominci con un intervento del Vescovo
Obando. La Rivoluzione si era sforzata cos tanto per riempire quella
piazza, e tutto per sentir parlare ora
l'arcinemico della Rivoluzione
stessa. Durante le trattative non si
era mai parlato di un intervento di
Monsignor Obando, e lui invece
dette il benvenuto al Papa paragonando il suo arrivo in Nicaragua a
quello di Giovanni XXIII quando vi-

Marzo Aprile 2005

sit un carcere a Roma. Mi colp


questo paragone del Nicaragua a un
carcere, ma ancora di pi mi colpirono gli applausi. Il popolo si stava
forse rivoltando contro di noi? Le
Letture della messa non furono casuali e si vedeva che erano state appositamente scelte per usarle contro i sandinisti. Dall'Antico Testamento si lesse il brano sulla Torre di
Babele: gli uomini che volevano essere uguali a Dio. Dal Nuovo
Testamento si lesse la parabola del
Buon Pastore: solo Cristo pu esserlo mentre gli altri sono ladri. Il
tema dell'Omelia fu sull'unit della
Chiesa, che voleva dire un attacco
alla cosiddetta Chiesa popolare o
Chiesa parallela: i cristiani rivoluzionari che venivano accusati di voler distruggere questa unit.
Fernando ed io eravamo seduti vicini nella tribuna del Governo, e
poco prima che cominciasse la
messa lo chiam Daniel Ortega per
chiedergli di dire ad un gruppetto
di teologi che non c'era nulla da temere perch aveva letto l'Omelia
del Papa e che non era conflittuale.
Il problema era che poteva apparire
non conflittuale a una lettura veloce, ma lo era invece letta dal Papa.
L'aggressivit non stava tanto nelle
parole usate, ma nel tono accusatorio con cui venivano dette, e a volte
gridate.
Era chiaro che il Papa odiava la
Rivoluzione sandinista, e che era venuto in Nicaragua per scontrarsi.
Pi sconcertante ancora era che,
ogni volta che finiva una frase, fra la
folla scoppiavano applausi ed Viva
per il Papa. Ci sono stati momenti
in cui ho pensato che la Rivoluzione
sarebbe crollata e che a tutti noi del
Governo ci sarebbe toccato fare le
valigie il pomeriggio stesso. Fu allora che finirono gli applausi e fu
chiaro che quelli che applaudivano
erano solo i 50 mila della destra portati dal Padre Carballo mentre il resto della piazza cominciava a protestare contro il Papa.
In seguito mi resi conto che l'orientamento della Rivoluzione in
tutto il paese era stato di non gridare slogan politici e di applaudire

Papa Wojtyla

ed invocare il Papa ad ogni frase


dell'Omelia perch, come concordato con il Vaticano, si pensava che
i contenuti sarebbero stati di tipo
pastorale. Se si guarda il video della
Messa ci si pu render conto di
come di come avvenisse un cambiamento progressivo tra la gente in
piazza. Prima smisero di applaudire, e poi cominciarono a protestare sempre pi forte man mano si
rendevano conto che il Papa, parlando della Chiesa, stava parlando
contro la Rivoluzione e contro i cristiani ed i sacerdoti della Rivoluzione stessa. Quindi non si tratt,
come poi molti hanno detto, di un
attacco premeditato al Papa da
parte della Rivoluzione, ma fu invece il Papa ad attaccare, mentre il
popolo rimase confuso e dubbioso
per 20 minuti e poi reag contro le
parole del Papa. Egli pi volte disse
che il Nicaragua era la sua seconda
Polonia, e questo fu un grande errore perch il Nicaragua non era la
Polonia. Pensava ci fosse un regime
impopolare rifiutato dalla maggioranza cristiana e che la sua presenza
avrebbe creato una sollevazione popolare contro i dirigenti sandinisti
presenti nella piazza, che sarebbe
bastato parlare contro la Rivoluzione sandinista per avere l'appoggio di tutta la piazza. Il Papa venne
in Nicaragua per destabilizzare la
Rivoluzione, e se non si fosse sbagliato tutti i giornali avrebbero
detto che il popolo rifiutava la
Rivoluzione e questa sarebbe stata
la sua fine. Siccome invece il popolo
appoggiava la Rivoluzione e rifiut
le parole del Papa, la notizia che
gir per il mondo parl di affronto
subito dal Papa in Nicaragua. Il popolo manc di rispetto al Papa,
vero, ma il Papa fu il primo a mancare di rispetto al popolo.
All'inizio le madri dei 17 ragazzi uccisi chiesero al Papa una preghiera
per i loro figli e lui non diede loro
retta. Le madri si avvicinarono allora all'altare e cominciarono a
chiederlo gridando. Altri si misero
a chiedere una preghiera per la
pace, e poco dopo erano moltissimi
a gridare Vogliamo la pace, e ci

fece s che il Papa rispondesse alla


moltitudine gridando La Chiesa
la prima che vuole la pace. Pi
tardi, mentre la protesta cresceva
sempre di pi, prese il microfono e
grid a pieni polmoni Silenzio!.
Questo fece ancora pi arrabbiare
il popolo, che non era abituato a che
i suoi dirigenti gli gridassero in quel
modo Silenzio!. Da quel momento la mancanza di rispetto fu totale. Il Papa voleva recitare le parole
della Consacrazione, il momento
pi solenne della Messa, ma non poteva per le grida della gente: Vogliamo la pace, Potere Popolare,
Non passeranno! Vi erano anche
grida in favore del FSLN, mentre le
migliaia di persone di destra inneggiavano al Papa. In un video si sente
una donna che grida: Non un
Papa dei poveri, guardate come vestito!. Ancora due o tre volte il Papa
grid di stare zitti, Per la prima volta
nella storia un papa veniva umiliato
dalla gente. Nei video lo si vede
sconcertato per quello che stava succedendo, e molte volte d segni di
vacillare, con la voglia di abbandonare l'altare. Alla fine della messa riusc appena a dare la benedizione
dopo aver tentato per tre volte di
fronte a una moltitudine che stava
cantando l'inno del Frente Sandinista.
Il Papa and direttamente all'aeroporto in auto accompagnato solo
dal Vescovo Obando. L'autista della
macchina, che era un ufficiale del
Ministero degli Interni, raccont
poi che il Papa era taciturno e non
disse nulla su quanto era accaduto.
Arrivato all'aeroporto voleva salire
sull'aereo senza nessun protocollo
di saluto, ma fu fermato e gli fu impedito di andarsene in questo
modo. L'ambasciatore del Nicaragua in Vaticano, il mio amico Ricardo Peters, mi raccont che, terminata la messa, si avvicin a Monsignor Casaroli per chiedere una
sua opinione dicendogli: Il Papa
venuto in Nicaragua per fare un atto
politico, e Sua Eminenza ha visto il
risultato. Casaroli sembrava essere
d'accordo, e disse che avrebbero visto come riparare questo a Roma,

13

Papa Wojtyla

ma non ci fu mai riparazione.


Casaroli era propenso a mantenere
buone relazioni con il Nicaragua, e
magari fu anche contento di quel
che era successo perch dava ragione a lui e dimostrava che la politica del Papa era sbagliata. Quello
che accadde poi fu che Casaroli
venne sollevato dall'incarico di
Segretario di Stato e mandato in
una parrocchia in Italia. Monsignor
Obando divenne Cardinale, e prima di tornare in Nicaragua si ferm
a Miami per riunirsi con gli esuli
della destra nicaraguense che lo accolsero con giubilo.
Quello che dissero il Vaticano, i
mezzi di comunicazione dell'informazione capitalista di tutto il
mondo e molti vescovi fu che il regime marxista del Nicaragua aveva
fatto un oltraggio contro il Sommo
Pontefice, si parl di sacrilegio e di
profanazione della messa papale. In
altre citt di paesi centroamericani
visitati in seguito vennero celebrate
messe di riparazione. Certamente
venne gettato discredito sulla
Rivoluzione, ma cosa sarebbe accaduto se il popolo avesse continuato
ad applaudire? Mi sembra che si sia
trattato di una prova del fuoco per
la Rivoluzione, e che esaa ne usc vittoriosa. Era un popolazione prevalentemente cattolica quella che presente, e nemmeno tutto il prestigio
ed il potere spirituale del Papa era
riuscito a farla rivoltare contro i propri dirigenti.
Negli Stati Uniti il giornale cattolico
National Catholic Reporter sottoline
come il Papa in Nicaragua si fosse
rifiutato di parlare di pace come
aveva fatto in altri paesi centroamericani e che la moltitudine gli si era
rivoltata contro come aveva fatto
San Paolo con il primo Papa. Altri
segnalarono che nelle varie messe
in Centroamerica il messaggio del
Papa era stato di pace tranne che in
Nicaragua, dove invece era ancora
di pi necessario perch si stava affrontando una guerra. Non preg

14

per la pace e nemmeno per i caduti.


stato anche segnalato che nei
paesi latinoamericani dove esisteva
una guerriglia il Papa si rivolgeva ai
guerriglieri esortandoli a deporre le
armi. In Nicaragua non lo fece, nonostante vi fosse una guerriglia finanziata da Reagan e che magari la
sua esortazione avrebbe potuto sortire qualche effetto, dato che venivano commesse atrocit e crimini
invocando il suo nome.
Pochi mesi dopo circol un documento segreto dal quale il Papa
avrebbe preso spunto per informarsi sulla situazione politica ed ecclesiastica prima della sua visita in
Nicaragua. Alcuni teologi spagnoli
affermarono che l'atteggiamento
del Papa sembrava derivare dal fatto
di essersi attenuto alla lettera alle
analisi di quel documento. La rivista francese Informations Catholiques
Internationales comment in proposito: Sembra pi un documento stilato dal Consiglio di Sicurezza degli
Stati Uniti che un documento pastorale. Tutto il testo riguarda la politica ed i rapporti di forza; non
presente alcuna preoccupazione
pastorale o evangelica. Si scopr
poi che l'autore del documento era
il nicaraguense Humberto Belli, un
fanatico di destra che dopo la vittoria della Rivoluzione diresse la campagna ideologica del giornale La
P re n s a in campo religioso.
Collabor poi strettamente con
Monsignor Obando e pi tardi con
gli Stati Uniti, organizzando una
campagna di diffamazione sulla
Rivoluzione sandinista e sui settori
della Chiesa che l'appoggiavano. Le
tesi di Belli, sintetizzate da una
quipe specializzata nordamericana, furono date al Papa, e sulla
base di queste venne elaborato il discorso del Papa in Nicaragua.
C' anche dellaltro che in Vaticano
hanno tenuto segreto e sono assai
pochi coloro che ne erano a conoscenza. Con il Papa in Nicaragua arrivarono anche 20 giubbotti anti-

Marzo Aprile

proiettile, ed insistettero affinch


ne usasse uno durante la messa, ma
lui non volle. Per me questo un
fatto molto chiaro: sapevano che il
Papa avrebbe fatto un discorso di
fuoco in Nicaragua che avrebbe potuto portare a un tentativo di rovesciamento del Governo, e che quindi avrebbero potuto accadere disordini. Il Superiore Generale di un
ordine religioso molto vicino al
Vaticano ha confidenzialmente rivelato che Papa Giovanni Paolo II
era molto vendicativo e che non si
mai dimenticato di ci che era
successo in Nicaragua. Questo mi
venne confermato quando, anni
pi tardi, il Papa torn in Nicaragua
per vendicarsi dei sandinisti e non
perse l'occasione per umiliare i dirigenti che avevano perso alle elezioni politiche. Ottenne pure che il
National Catholic Reporter scrivesse
questa volta che il Papa, che era andato in carcere a Roma per perdonare la persona che aveva attentato
contro la sua vita, non era invece riuscito a perdonare i sandinisti.
In questa seconda visita il Papa, durante la sua messa campale, disse
che questa volta finalmente erano
potuti arrivare in piazza tutti coloro
che desideravano dimostrare la loro
fede senza che nessuno glielo impedisse: il pubblico presente non
era nemmeno un terzo di quello
presente a Managua durante la sua
prima visita. Si rifer al Nicaragua
della prima visita chiamandolo la
notte scura, nonostante quella volta la messa avvenisse a met pomeriggio in pieno sole. per vero che
per molti cattolici, quella volta,
quando verso sera si allontanarono
dalla piazza, quelle che caddero furono tenebre, e in molti la fede vacill e forse molti la persero. Forse
chi interpret nel modo migliore il
sentimento della maggioranza di
coloro che colmarono la piazza fu
un venditore di noccioline che disse: Il Papa non ci ha detto niente,
ci ha lasciato un vuoto.

Marzo Aprile 2005

Guerra infinita/Lotta per la pace

Gli Stati Uniti


stanno perdendo la guerra in Iraq.
Sul suolo iracheno
stanno combattendo allo stremo,
e tuttavia non sono in grado
di fermare il fuoco crescente
della guerriglia

Per un
movimento globale
contro la guerra *

di Walden Bello
Direttore esecutivo del Focus on the Global South
(con base a Bangkok) e Professore di Sociologia e Amministrazione pubblica presso lUniversit delle Filippine.

CON LA RESISTENZA IRACHENA, PER IL RITIRO IMMEDIATO DELLE TRUPPE


STRANIERE DALLIRAQ

a fase attuale ci mostra unoffensiva


diplomatica volta a convincere gli
europei a mettersi lIraq dietro le
spalle. Siamo di fronte ad un impegno articolato, diretto a convincere gli europei e il mondo intero
che, con le recenti elezioni in Iraq,
si costituito in quel paese un
nuovo terreno su cui muoversi: il
terreno della democrazia.
La dura realt delle cose dimostra,
al contrario, che contro il popolo
iracheno continua la spinta americana alloccupazione e al dominio,
e questo perch gli USA non stanno
vincendo sul campo. Siamo infatti
di fronte ad una crescita e consolidamento della Resistenza irachena,
che non solo Resistenza militare,
ma anche Resistenza politica. Vi
infatti una Resistenza civile di
massa, fatta di azioni di lotta condotte da normali cittadini giorno
dopo giorno per negare la legittimit delloccupazione.
La nostra posizione politica non pu
quindi avere dubbi: dobbiamo pienamente appoggiare il diritto del popolo iracheno a resistere alloccupazione.
Sono molti i modi con cui esprimere
solidariet alla Resistenza irachena,
ma dobbiamo ricordare che il popolo iracheno ci chiede principalmente un nostro impegno diretto
per il ritiro immediato e incondizionato delle truppe straniere
dallIraq. Solo a questa condizione

di fine del dominio militare straniero e di recuperata sovranit, il


popolo iracheno potr decidere del
proprio futuro e darsi un governo
nazionale legittimo, poich definire libere e democratiche le elezioni svoltesi sotto loccupazione
militare straniera rappresenta la negazione stessa dei concetti di libert
e di democrazia.
La verit che gli Stati Uniti stanno
perdendo la guerra in Iraq, sia politicamente che militarmente. I
135.000 soldati americani presenti
sul suolo iracheno stanno combattendo allo stremo, e tuttavia non
sono in grado di fermare il fuoco
crescente della guerriglia. Secondo
il governo degli Stati Uniti e i capi
militari dellesercito americano,
per battere la Resistenza e per spegnere la guerriglia occorrerebbero
almeno 500.000 soldati, una forza
imponente e impossibile da mettere
in campo senza provocare una mobilitazione civile di massa negli
USA. Bush ha vinto le elezioni, ma
sa anche che non per aver scelto
una linea di guerra che ha vinto.
Anche tra i militari americani, anche nelle loro famiglie, sta avanzando il no alla guerra. Alcune settimane fa, negli Stati Uniti abbiamo
assistito ad una critica senza precedenti: durante una grande assemblea il segretario alla difesa
Rumsfeld stato duramente attac-

cato da un ufficiale dellesercito


americano che laccusava di inviare
i soldati in guerra senza sufficienti
protezioni. di pochi mesi fa la notizia di ununit dellesercito doccupazione USA in Iraq che si rifiutata di trasportare i rifornimenti
ad unaltra unit, dislocata in una
citt lontana diverse miglia, perch
non vi erano le condizioni minime
di sicurezza. Probabilmente si
stanno manifestando numerosi incidenti di questo tipo, e se i giornalisti si preoccupassero di guardarsi
attorno invece di intendersi con il
Pentagono, lo sapremmo.
Nelle ultime fasi della guerra in
Vietnam, lesercito americano si ritir anche a causa della caduta del
morale, a causa dellesplosione
delle contraddizioni interne tra le
truppe americane. Ricordiamo ad
esempio quel che accadde con il
fragging, il lancio di granate da parte
di soldati USA contro i propri ufficiali. Circa la met dei soldati americani oggi in Iraq non appartiene
alle forze regolari ma alla guardia
nazionale, non sono cio soldati a
tempo pieno: ci sta gi provocando
e pu ulteriormente provocare un
crollo del morale, come hanno fatto
osservare James Fallow e tanti altri
osservatori.
Gli Stati Uniti stanno estendendo il
loro dominio non solo in Iraq ma a
livello globale. Tuttavia in questo

15

Guerra infinita/Lotta per la pace

momento lesperienza irachena sta


mettendo in crisi il progetto despansione globale americana, mostrandone in luce i limiti e le contraddizioni.
- Nonostante le recenti elezioni in
Afghanistan sponsorizzate dagli
Stati Uniti, il governo Karzai controlla effettivamente solo una parte
di Kabul e due o tre altre citt. Il segretario dellONU Kofi Annan ha
affermato che nonostante le elezioni, senza istituzioni statuali capaci di rispondere ai bisogni della
popolazione afgana, lautorit e la
legittimit del nuovo governo
avranno vita breve. In questa situazione incerta, lAfghanistan costretto ad accettare e subire la presenza sul proprio suolo di 13.500
soldati americani e di altre 35.000
unit militari di supporto esterno.
La guerra degli Stati Uniti al terrorismo ha prodotto leffetto esattamente contrario a quello dichiarato, e infatti oggi Al Qaeda e i suoi
alleati molto pi forti che nel 2001.
A questo proposito, il filmato di
Osama bin Laden apparso durante
la campagna elettorale americana
stato particolarmente significativo.
Linvasione dellIraq, come ha affermato lex-capo anti-terrorismo di
Bush, Richard Clark, ha favorito il
terrorismo e si rivelato il miglior
strumento di reclutamento per Al
Qaeda. Ma ancor prima dellIraq, la
mano pesante della polizia di
Washington e la militarizzazione
per contrastare il terrorismo avevano gi spinto milioni di musulmani ad avversare il governo americano. Qualcosa di analogo accaduto nella Tahilandia del sud, dove
lazione degli Stati Uniti contro il
terrorismo servita a convertire il
malcontento latente in uninsurrezione generale.
Con il suo pieno appoggio alla
strategia di Ariel Sharon volta a sabotare lemergere di uno stato palestinese, Washington ha perso
tutto il capitale politico che aveva
guadagnato fra gli arabi quando
medi per lormai defunto Accordo
di Oslo. Inoltre sia lappoggio a
Sharon che loccupazione dellIraq

16

hanno screditato e reso pi vulnerabili gli alleati di Washington agli


occhi dei gruppi dirigenti arabi.
Dopo la morte di Yasser Arafat, Tel
Aviv e Washington accrescono le
proprie speranze per un accordo
sulla questione palestinese firmato
alle loro condizioni. Penso che sia
unillusione, e che probabilmente
vedremo aumentare tra i palestinesi
il consenso verso Hamas e a spese
dellOLP.
Nelle prossime fasi i conflitti economici si combineranno sempre
pi alle lotte politiche, allontanando sempre di pi gli Stati Uniti
dallEuropa. E lEuropa la chiave
di volta per la tenuta dellimpero
americano. Come ha scritto il neoconservatore Robert Kagan: Gli
americani avranno bisogno della legittimazione che lEuropa pu offrire loro, ma gli europei potrebbero anche non concederla. Ma il
divario crescente tra Usa e Ue non
prodotto unicamente dalle diverse concezioni relative al mantenimento della stabilit globale. Gli
europei hanno infatti sempre pi timore che laggressivit militare degli Stati Uniti possa finire col minare
la stabilit regionale europea.
LAmerica Latina accelera il suo
spostamento verso sinistra. La vittoria della coalizione di sinistra in
Uruguay solo lultima di una serie
di vittorie elettorali delle forze progressiste, dopo quelle in Venezuela,
Equador, Argentina e Brasile. In
questo nuovo quadro diventa verosimile la possibilit stessa di insurrezioni di massa, come quella verificatasi in Bolivia nellottobre 2003.
Parlando di questa svolta a sinistra
e dei sintomi di allontanamento dallimpero, uno degli amici latinoamericani degli USA, lex ministro
degli esteri messicano Jorge
Castaneda, ha descritto cos la
nuova fase: Gli amici degli americani avvertono il fuoco di questira antiamericana, e sono costretti a rivedere la loro retorica filoUSA. i propri atteggiamenti e le proprie politiche per far s che non appaiano pi come filoamericane. E
sono costretti a resistere con deter-

Marzo Aprile

minazione maggiore ai desideri e


alle esigenze di Washington.
Questo il nuovo quadro globale,
che smentisce il trionfalismo che ha
accompagnato il tour europeo di
Bush, rivelatosi in realt il viaggio
delle difficolt nordamericane.
Mentre infatti i giornali si riempivano delle bellicose parole di
Washington contro lIran, la Siria e
la Corea del Nord, la realt mostra
come, essendo gli USA obbligati ad
una guerra senza fine in Iraq, essi
siano oggi in una posizione di maggior debolezza di quanto lo fossero
prima dellaggressione contro il popolo iracheno, e che conseguentemente le loro minacce contro i
paesi canaglia perdono ora di
forza. Washington consapevole di
questo fatto, ed per questo che sta
tentando di costruire un pi saldo
rapporto con lEuropa, nel tentativo di puntellare il proprio dominio globale in declino.
In quanto movimento contro la
guerra, uno dei nostri obiettivi deve
mirare direttamente a sabotare questo disperato gioco diplomatico.
necessario di conseguenza mettere
a fuoco gli obiettivi che il movimento contro la guerra deve porsi
man mano che la posizione degli
USA in Iraq peggiora.
Appoggiare la lotta del popolo iracheno per riappropriarsi della propria sovranit e per dotarsi di un governo nazionale liberamente scelto
dagli iracheni continua ad essere la
priorit del movimento contro la
guerra. Laltro obiettivo la fine delloccupazione israeliana della
Palestina e il ripristino dei diritti del
popolo palestinese.
In questa fase segnata sia dalla vittoria della destra negli Stati Uniti
che dalla crisi dellimpero a livello
globale, cosa si deve fare per raggiungere questi obiettivi che ho tentato di delineare?
In primo luogo il movimento contro la guerra deve gradualmente superare la propria attuale spontaneit e giungere ad un nuovo livello

Marzo Aprile 2005

di coordinamento internazionale,
andando molto al di l del rito annuale della protesta contro la
guerra. La massa critica necessaria
per agire efficacemente contro la
guerra non verr raggiunta senza
unonda di protesta globale simile
a quella che caratterizz il movimento contro la guerra del Vietnam
dal 1968 al 1972, capace di mantenere milioni di persone in uno stato
di attivit e militanza costanti.
Questo coordinamento internazionale dovr puntare non solo allorganizzazione di manifestazioni di
massa, ma anche ad azioni di disobbedienza civile. Dovr inoltre
puntare a conquistarsi spazi significativi sui media globali, avendo comunque sempre presente che una
maggior efficacia del coordinamento e dellorganizzazione delle
iniziative contro la guerra non devono essere raggiunte a scapito dei
processi di partecipazione, che
sono il marchio stesso del nostro
movimento.
In secondo luogo, anche dal punto
di vista tattico bisogna impegnarsi
in nuove forme di protesta. Sanzioni e boicottaggi sono metodi che
devono essere adottati e trasformati
in azioni di lotta di massa. Al Forum
mondiale di Mumbay del gennaio
2004, Arundhati Roy ha proposto di
iniziare con alcune delle grandi
aziende americane che traggono direttamente profitto dalla guerra in
Iraq, la Halliburton e la Bechtel, costruendo unampia e capillare mobilitazione finalizzata al boicottaggio delle loro operazioni in tutto il
mondo. arrivato il momento di
prendere sul serio la proposta di
Arundhati Roy, non solo contro le
aziende americane ma anche contro le aziende e i prodotti israeliani.
C bisogno di un salto di qualit nel
livello della militanza e della qualit
dellimpegno; rispetto alla tragica
pericolosit della guerra globale occorre incoraggiare sempre pi le
azioni di disobbedienza civile e la
lotta non violenta contro il commercio. Dobbiamo far sapere a
Washington e ai suoi alleati che non
possono fare affari finch la guerra

Guerra infinita/Lotta per la pace

continuer.
Il tipo di dibattito apertosi nel movimento contro la guerra in Gran
Bretagna (se proporre le manifestazioni pacifiche oppure la disobbedienza civile) inutile, perch
sono entrambe forme di lotta essenziali e devono essere articolate
insieme in forme innovative ed efficaci.
In terzo luogo, chiaro che sono la
Gran Bretagna e lItalia i principali
sostenitori della politica di guerra
di Bush. Bush fa costantemente riferimento ai governi di questi due
paesi per legittimare lavventura
americana. Quel che decide il governo italiano e che accade in Italia
influenza la Gran Bretagna, e viceversa. In entrambi questi paesi si
sono manifestate ampie maggioranze contro la guerra, che devono
essere convertite in una forza diretta ad intralciare in profondit gli
affari e i profitti in questi due paesi
gestiti dai governi complici della
guerra americana. In entrambi i
paesi presente un senso comune
di massa che contempla come
forma di lotta lo sciopero generale:
scioperi e disobbedienza civile praticati su vasta scala possono aprire
grandi contraddizioni tra i governi
che sostengono Washington.
Quando ci si domanda perch le
manifestazioni del 20 marzo 2004
hanno mobilitato molte meno persone rispetto a quelle del febbraio
2003, numerosi attivisti inglesi e italiani rispondono: perch tutti coloro che erano scesi in piazza e si
erano comunque mobilitati sentivano che le loro azioni non erano
state in grado di impedire che gli
USA entrassero in guerra. Questa
arrendevolezza e questa caduta del
morale possono essere sconfitti non
esigendo meno dal movimento e
dalle persone comuni, ma esigendo
di pi, chiedendo di rischiare e di
impegnarsi in atti di resistenza civile
non-violenta.
In quarto luogo, dato che il Medio
Oriente sar il campo di battaglia
strategico per i prossimi decenni,
sar essenziale rafforzare i legami
tra il movimento della pace globale

ed il mondo arabo. I governi del


Medio Oriente sono notoriamente
prudenti, e persino indolenti
quando si tratta degli Stati Uniti,
quindi per allargare il campo della
lotta diviene essenziale la costruzione di forti legami di solidariet
fra i movimenti civili europei e mediorientali. Questo dovr essere un
passaggio vissuto coraggiosamente,
perch alcuni fra i pi forti movimenti antiamericani presenti in
Medio Oriente vengono comunemente etichettati dagli americani e
da alcuni governi europei come
terroristi o filo-terroristi. La cosa importante di non permettere
che le definizioni imposte dagli
americani blocchino il processo di
unificazione dei diversi movimenti
contro la guerra.
Altrettanto essenziale che il movimento palestinese e i movimenti
israeliani antisionisti e per la pace
possano andare oltre le etichette
imposte dai governi, e trovare tutte
le forme di cooperazione utili a
porre fine alloccupazione israeliana.
Lesigenza prioritaria di unire ed
allargare il fronte di lotta contro la
guerra, e in questo senso occorre saper trovare le modalit adatte a far
incontrare le varie forze, i movimenti e le individualit di diversa
estrazione politica, anche quelle apparentemente non conciliabili. A
tale proposito lAssemblea contro la
guerra di Beirut, che si tenuta a
met settembre 2004 con una forte
partecipazione del movimento globale per la pace e dei movimenti sociali di tutto il mondo arabo, ha segnato un passo significativo in questo senso.
Vorrei inoltre richiamare lattenzione sullincontro che si terr al
Cairo a fine marzo, dove il movimento globale per la pace incontrer molti gruppi progressisti e democratici dellEgitto e del Medio
Oriente non solo per chiedere la
fine delle occupazioni americana e
israeliana, ma anche unautentica
democratizzazione del mondo
arabo.

17

Guerra infinita/Lotta per la pace

Mentre il movimento globale contro la guerra si concentra sullIraq


e la Palestina, i movimenti nazionali
e regionali devono intensificare le
lotte esistenti per aprire nuovi
fronti contro legemonia statunitense, a partire dalle proprie aree.
Esiste infatti un rapporto dialettico
fra lotte globali e lotte locali contro
limperialismo. Indebolire le strutture americane di base in Asia
Orientale, ad esempio, potr incidere sulle operazioni militari americane nellIraq e nellAfganistan.
In Italia, uno sviluppo positivo sicuramente rappresentato dalla proposta del movimento di lavorare per
la chiusura delle basi militari americane di Camp Derby, Taranto, La
Maddalena, Aviano e delle strutture
vicino Napoli. di questi giorni la
scoperta che nelle basi italiane sono

18

presenti 90 bombe nucleari. Alcune


di queste basi, ad esempio Camp
Derby, hanno giocato un ruolo logistico importante nel sostegno alla
guerra americana. Questo il modo
giusto di lottare contro laggressione allIraq, partendo dal terreno
italiano; questa la giusta natura di
un movimento globale per la pace
che vuol puntare ad indebolire legemonia militare americana a partire dal proprio paese. Una delle
conseguenze inattese della guerra
imperialista in Iraq potrebbe infatti
essere lindebolimento del ruolo
militare americano in Europa.
Bush, al suo secondo mandato, non
cambia lobiettivo centrale della
propria agenda, il dominio globale;
ma la sua capacit di portarla avanti
stata indebolita. La nostra risposta
deve continuare ad essere la resi-

Marzo Aprile

stenza globale. C una sola cosa che


pu frustrare la nefasta politica dellimperialismo USA in Iraq, in
Palestina e altrove: la solidariet militante fra i popoli del mondo. Costruire questa solidariet, estenderla, farla diventare incisiva e infine
vincente il nostro obiettivo. Questa
la sfida che sta di fronte a noi.

* Questo articolo rappresenta lampia


sintesi della relazione che Walden Bello
ha svolto il 23 febbraio scorso a Milano,
in una iniziativa pubblica organizzata
dal Comitato contro la guerra e dal titolo Con la Resistenza irachena. Tra
i relatori della Conferenza vi erano anche i compagni della redazione de lernesto, che hanno chiesto e ottenuto da
Walden Bello il permesso di pubblicare
il suo intervento.

Marzo Aprile 2005

Guerra infinita/Lotta per la pace

la presenza stessa delle truppe


a determinare quei rischi
di disintegrazione del paese
e di guerra civile
per evitare i quali
ci dicono che sarebbe invece
pericoloso ritirarle

Senza Resistenza,
nessun Iraq

di Stefano Chiarini
redazione de il Manifesto

LE FORZE DELLA RESISTENZA IRACHENA COME ELEMENTO CENTRALE


DELLA LOTTA CONTRO LA STRATEGIA USA DI BALCANIZZAZIONE ETNICORELIGIOSA E DI DISSOLVIMENTO DELLUNIT STATUALE ARABA DELLIRAQ

l tragico precipitare della situazione


in Iraq allindomani delle elezioni
farsa del 30 gennaio, il crollo della
gi scarsa sicurezza, il sempre pi
diffuso rifiuto delloccupazione e
non solo da parte dellintera comunit sunnita ma anche di vasti settori di quella sciita e del mondo
laico e arabo-nazionalista, lallargarsi dellarea della resistenza irachena e il suo tentativo di darsi una
qualche forma di espressione politica, il blocco della ricostruzione
con mancanza di energia elettrica,
benzina e gas per cucinare, il fallimento dei partiti filo-Usa e la loro
incapacit di andare oltre la difesa
dei loro particolari interessi etnici o
confessionali, tutto questo ha spinto
molti paesi, anche stretti alleati degli Usa, ad annunciare il loro ritiro
dallIraq entro il prossimo dicembre. La coalizione dei volenterosi
si trasformata nella coalizione di
coloro che si ritirano.
Persino Berlusconi, con una delle
sue sceneggiate, mentre alla Camera il centro-sinistra ritirava emendamenti e ordini del giorno, intervenendo in televisione ha pronunciato la parola ritiro, sussurrata invece a mezza bocca, quasi clandestinamente, dal centro-sinistra.
La debolezza e la scarsa credibilit
della posizione del centro-sinistra
(voto contro il finanziamento, ma
senza parlare di ritiro, che ne la logica conseguenza) deriva in gran
parte da unanalisi della situazione

irachena del tutto subalterna rispetto a quella Usa. Se si accetta il


percorso istituzionale, i modi, i
tempi e i principi base del processo
creato dagli Usa per il passaggio dei
poteri agli iracheni (Costituzione
provvisoria, Consiglio di governo,
Governo provvisorio, Assemblea nazionale provvisoria, elezioni del 30
gennaio per lelezione dei 275
membri dellAssemblea nazionale
che dovranno redigere la
Costituzione ed eleggere presidente, vice presidenti e primo ministro, modalit del referendum di
approvazione della nuova Carta costituzionale ed infine elezioni del
nuovo parlamento), il cui obiettivo
non altro che quello di dare legittimit alloccupazione dellIraq e al
saccheggio delle sue risorse, si accetta il terreno scelto dagli Usa, e
non si riesce pi a spiegare con chiarezza allopinione pubblica la necessit di un immediato e totale ritiro delle nostre truppe.
I nostri soldati vanno ritirati non
solo per rispettare larticolo 11 della
Costituzione, non solo per rispettare la sovranit irachena, ma anche
perch proprio la strategia americana di neocolonizzazzione dellIraq a contribuire con la nostra
complicit alla realizzazione di
quella distruzione creativa
dellIraq che punta ad una sua divisione su basi etniche e confessionali, nei fatti se non ufficialmente,
con linevitabile corollario di guer-

re civili e di una sempre maggiore


resistenza da parte di un intero
paese nei confronti di quel progetto
che mina alle fondamenta lesistenza stessa dellIraq come stato
unitario nazionale.
In altri termini, la presenza stessa
delle truppe a determinare quei rischi di disintegrazione del paese e
di guerra civile per evitare i quali ci
dicono che sarebbe invece pericoloso ritirarle. Lungi dal democratizzare lIraq, la strategia americana ha
posto alla base delle nuove istituzioni irachene un principio etnicoconfessionale, favorendo il predominio dei partiti religiosi sciiti filoUsa e filo-Iran e di quelli etnici
curdi, a scapito della comunit sunnita, identificata con il nazionalismo arabo e con la difesa dellunit
del paese.
Ricalcando quanto fatto dai francesi
nella seconda met dell800 in
Libano con listituzionalizzazione
delle differenze confessionali (un
processo che avrebbe portato alla
devastante guerra civile che dal
1975 al 1990 ha insanguinato il
paese dei cedri), lAmministrazione
americana sin dal primo Consiglio
di governo provvisorio ne ha attribuito i seggi sulla base dellappartenenza etnico-religiosa: tot seggi
agli sciiti, tot ai sunniti arabi, tot ai
sunniti curdi, tot ai cristiani etc. Lo
stesso poi avvenuto per tutte le cariche dello Stato e per tutte quelle
istituzionali.

19

Guerra infinita/Lotta per la pace

Lobiettivo di disgregare lIraq, balcanizzandolo e dividendolo in trequattro enclave separate (curdoUsa a nord, turcomanna tra il nord
e il centro, sunnita nel centro e sciita
nel sud) per togliere di mezzo dallequazione del conflitto araboisraeliano uno dei paesi arabi pi
importanti della regione e per controllare le sue risorse petrolifere,
del resto incompatibile com
sempre stato in tutto il medioriente
con un reale processo di democratizzazione.
Questa operazione profondamente
anti-democratica, dal momento che
precostituisce la divisione del paese
e la sua ricolonizzazione, lo smantellamento di qualsiasi forma di welfare intimamente legata allesistenza di uno stato unitario, e che
rende i cittadini non pi uguali di
fronte allo stato ma soggetti alla volont dei leader e dei partiti delle varie comunit etniche e confessionali, stata sino ad oggi oscurata
grazie alla complicit dei media, dei
governi e di gran parte delle forze
politiche, dalla retorica della democratizzazione e dalla celebrazione delle elezioni del 30 gennaio.

EL E Z I O N I

PER LA GUERRA CIVILE

Quello che chiameremo il miracolo della svolta, periodico come lo


scioglimento del sangue di San
Gennaro, ha celebrato i suoi fasti il
30 gennaio scorso tra lentusiasmo
dei grandi sacerdoti delloccupazione dellIraq. I partiti creati direttamente dalle potenze occidentali,
come quello del premier Iyad
Allawi, o confessionali (la coalizione
sciita del Consiglio per la rivoluzione islamica in Iraq, il partito al
Dawa, il gruppo di Ahmed Chalabi),
o etnici (il listone curdo del Pdk di
Massoud Barzani e dellUpk di Jalal
Talabani), giunti a Baghdad sui carri
armati degli occupanti e da allora ripagati dagli Usa con il monopolio
della vita politico-istituzionale del
nuovo Iraq, hanno potuto riaffermare con le elezioni farsa del 30 gennaio scorso il loro monopolio sul fu-

20

turo governo e sulla nuova Assemblea costituzionale.


Il gioco, ancora una volta, riuscito,
sia negando al processo elettorale
qualsiasi trasparenza e democraticit, sia rendendo impossibile la
partecipazione alle elezioni dellintera comunit sunnita e di tutti quei
movimenti sciiti e laici contrari alloccupazione e favorevoli alla resistenza irachena. Eppure unintesa
che avrebbe potuto permettere la
loro partecipazione al voto era a
portata di mano. Gli occupanti
hanno invece rifiutato le proposte
dei partiti sunniti moderati, anche
filo-Usa, di molti gruppi sciiti e persino di liberali come Adnan
Pachachi, che si erano detti disposti
a partecipare alle elezioni ad alcune
condizioni: che il processo elettorale fosse gestito non dal governo di
Iyad Allawi, espressione degli Usa, e
localmente dai partiti che lo sostengono, ma da un gabinetto di
unit nazionale; che vi fosse un coinvolgimento delle Nazioni unite e
della comunit internazionale; che
nella commissione elettorale, nominata dagli Usa con poteri assoluti,
venissero inseriti come garanzia
delle opposizioni alcuni giudici noti
per la loro indipendenza; che venisse proclamata una tregua elettorale nelle zone sunnite (dove abita
il 40% degli iracheni), da mesi sotto
il fuoco degli occupanti; che venisse
fissata una data per il ritiro delle
truppe straniere dal paese, in modo
che le elezioni fossero realmente un
primo passo verso un nuovo Iraq e
non, come sono state, semplicemente un modo per legittimare
loccupazione.
Al contrario ai primi di novembre,
quando vari settori del mondo politico iracheno e i rappresentanti
della comunit sunnita si sono pronunciati per lavvio di una trattativa
con gli occupanti che avrebbe potuto portare ad una pi vasta partecipazione, gli Usa hanno lanciato
lattacco che ha portato alla completa distruzione di Falluja. Questa
chiusura totale ad ogni possibile
trattativa confermerebbe lipotesi
che lemarginazione dei sunniti e

Marzo Aprile

degli sciiti radicali contrari alloccupazione (in particolare il movimento di Moqtada al Sadr, ma non
solo) non sia un incidente che
verr corretto nelle prossime settimane aprendo a questi settori
emarginati dal momento dellarrivo
degli Usa in Iraq, ma il frutto di una
precisa strategia che vede
lAmministrazione Bush puntare
sul monopolio del potere da parte
dei partiti sciiti e curdi pro-occupazione, nel tentativo di dearabizzare lIraq (magari iranizzandolo
o, se necessario, dividendolo) con
in prospettiva una sua uscita
dallOpec , di cancellare dal paese
qualsiasi traccia di unit nazionale
e di nazionalismo arabo.
Per arrivare a questo risultato gli occupanti non potevano andare per il
sottile, ed ecco che attorno alle elezioni si affollano non pochi interrogativi. Come ha fatto la Commissione elettorale ad indovinare
alla vigilia del voto il numero di coloro che sarebbero andati alle urne?
Quanti sono gli iracheni e quanti di
loro avevano diritto di voto? Quanti
iracheni si erano registrati per votare? La percentuale dei votanti
stata calcolata tenendo conto degli
aventi diritto o solo degli iscritti?
Com stato possibile stabilire chi
avesse diritto al voto se non stato
fatto alcun censimento?
Lautorevole quotidiano spagnolo
El Pais, in un suo editoriale, dopo
aver esaminato tutti questi interrogativi sarebbe giunto alla conclusione che, ad esclusione delle zone
curde, alle elezioni del 30 gennaio
non avrebbe votato pi di un 3035% dei presunti aventi diritto.
In ogni caso, il dato che emerge
dalle elezioni che ad esse hanno
partecipato solo i partiti che gi facevano parte del governo Allawi e
che si erano impegnati prima del
voto a non chiedere il ritiro delle
truppe di occupazione. Questi partiti sono raggruppabili in tre blocchi. Larea del premier Iyad Allawi,
ex baathista passato alla Cia e ai servizi inglesi, che ha portato a casa, riproponendosi come il difensore
del laicismo, un 15% dei voti, con

Marzo Aprile 2005

circa 38 seggi; un risultato di tutto


rispetto e che, vista la frammentazione dei suoi avversari, gli potrebbe permettere, forte del sostegno Usa, anche di rimanere al governo (difficile ma non impossibile). La lista unitaria sciita (dei partiti filo-Iran e filo Usa), che si afferma come il principale blocco
nella nuova Assemblea guadagnando circa il 48% dei voti con 141
seggi su 275, ma molto inferiore al
75% necessario per imporre i suoi
voleri e soprattutto estremamente
divisa al suo interno. In seconda posizione c infine il blocco curdo,
con oltre il 25% dei voti, deciso a
procedere sulla strada della pulizia
etnica ai danni di arabi e turcomanni nella citt petrolifera di
Kirkuk, che dovrebbe diventare la
capitale di un nuovo stato curdoamericano.
Ovviamente lesclusione di tutti i
sunniti dal gioco politico non solo
non ha contribuito ad una stabilizzazione della situazione, ma piuttosto non ha fatto altro che rafforzare
la resistenza alloccupazione e ha
privato le nuove istituzioni, il governo in formazione, lAssemblea e
quindi la futura Costituzione, di
qualsiasi legittimit.
A questo punto, invece di continuare a celebrare le elezioni farsa del
30 gennaio non sarebbe male se, parallelamente alla richiesta del ritiro
delle truppe, la sinistra cominciasse
a mettere in discussione la legittimit della consultazione elettorale
appena conclusasi, quella del
nuovo-vecchio governo iracheno,
quella degli editti dellAmministrazione provvisoria americana che
nessun governo locale pu per il
momento alterare, i meccanismi e i
limiti allautonomia dei costituenti
imposti dallex vicer Paul Bremer,
il meccanismo di approvazione
della Costituzione che d alle tre
province curde la possibilit di bloccare, per conto degli Usa, la nuova
Carta costituzionale se questa dovesse riaffermare il carattere arabo
e lunit dellIraq contro ogni ipotesi di una sua balcanizzazione.
A tale proposito sarebbe ad esem-

Guerra infinita/Lotta per la pace

pio importante che anche la sinistra


italiana riaffermasse con chiarezza
la necessit di mantenere lunit del
paese, contro ogni ipotesi di una sua
divisione, e di avviare invece una
trattativa sia con le forze della resistenza sia con i rappresentanti della
comunit sunnita e dei movimenti
sciiti e laici contrari alloccupazione, per arrivare alla creazione di un
governo di vera unit nazionale che
gestisca, con un sostegno diretto
dellOnu e dei paesi che non hanno
fatto la guerra, un reale processo di
democratizzazione e di uscita, ad
una data precisa, degli occupanti
dal paese. Purtroppo la direzione
sulla quale sta procedendo lAmministrazione Bush trascinando
con s tutti i suoi alleati, a cominciare dallItalia del tutto diversa.

LA

gi diplomatico in Honduras da
dove gli Usa organizzavano le attivit degli squadroni della morte in
Centramerica?
L irachizzazione delloccupazione, affidando sempre pi la repressione della resistenza alle milizie locali, e soprattutto la scelta dellopzione centramerica con il tentativo
di trasformare, almeno in parte, lo

Gli Usa e il governo Allawi


sembrano decisi nonostante
insistenti voci di primi contatti
con la resistenza a perseguire
una soluzione militare che dovrebbe
distruggere qualsiasi forma
di nazionalismo iracheno e arabo

GUERRA SPORCA

Gli Usa e il governo Allawi sembrano decisi nonostante insistenti


voci di primi contatti con la resistenza a perseguire una soluzione
militare che dovrebbe distruggere
qualsiasi forma di nazionalismo iracheno e arabo, e pi in generale
qualsiasi ipotesi di una futura rinascita dellIraq come stato arabo, il
tutto nellinteresse di Israele e con
la complicit dellIran. Un progetto
questo che vogliono portare avanti
ad ogni costo, rispolverando le pagine pi buie della guerra sporca,
dalloperazione Phoenix (40.000
morti) in Vietnam agli squadroni
della morte nel Salvador, al terrorismo dei contras contro la popolazione nicaraguegna.
Il settimanale Newsweek ha annunciato che tali piani sarebbero allo
studio del Pentagono, ma in realt
squadroni della morte composti da
peshmerga curdi, da miliziani filoiraniani e da ex baathisti riciclati
dalla Cia sono gi in piena attivit
in tutto il paese, coadiuvati da oltre
20.000 mercenari stranieri.
Altrimenti a cosaltro sarebbe servita la presenza a Baghdad come
ambasciatore, dal giugno del 2004
al marzo 2005, di John Negroponte,

scontro tra occupati e occupanti in


una faida tra diverse etnie e confessioni, sta cos insanguinando sempre pi le strade dellIraq. Per realizzare questo progetto, che rischia
di far scomparire lIraq come entit
statale, gli Usa non solo hanno imposto la scelta del criterio etnicoconfessionale come base della vita
politica del paese, ma hanno anche
utilizzato tale principio nella repressione della resistenza, usando
soldati sciiti e curdi nelle aree sunnite e soldati sunniti e curdi in
quelle sciite.
Dallinizio delloccupazione, gli Usa
hanno subito dato campo libero
non solo alle bande criminali dei
saccheggiatori di tutte le propriet
statali (brusco avvio del libero mercato), ma anche, nel nord, alle milizie curde, che hanno portato avanti
una vera e propria pulizia etnica a
Kirkuk e nei paesi limitrofi a danno
degli arabi (e in parte dei turcomanni) con la cacciata dalla citt di
almeno 60.000 abitanti, la repressione delle manifestazioni di piazza
contro loccupazione con decine di
vittime e con la violazione dei luoghi santi dei turcomanni sciiti, mentre nel sud stata data luce verde alle

21

Guerra infinita/Lotta per la pace

milizie dei partiti filo-iraniani, alle


quali stato affidato il mantenimento dellordine, come successo anche nella stessa Nasseriya.
Ci ha provocato, nel sud del paese
e nella stessa capitale, luccisione di
migliaia di veri o nella maggioranza dei casi di presunti iscritti al
partito Baath, spesso semplici laici o
nazionalisti arabi da parte delle milizie del Consiglio supremo per la rivoluzione islamica in Iraq (Sciri) addestrate in Iran e di quelle del partito islamista al Dawa.
Parallelamente, la comunit sunnita
subiva il licenziamento di centinaia
di migliaia di dipendenti pubblici,
insegnanti e con lo scioglimento
dellesercito di oltre 400.000 sol-

Il fatto che le truppe irachene


non siano in grado di assicurare
il controllo del paese
non una fatalit,
ma dipende da precise
scelte politiche degli occupanti
dati, membri della sicurezza e della
polizia. In tal modo questa comunit, minoritaria in Iraq ma da sempre centrale nella vita dello stato unitario, e tutti coloro che si sono schierati contro loccupazione hanno cominciato a vivere in un clima di terrore e di paura, nel quale sono fioriti i pi svariati gruppi della resistenza ma anche dellarea pi vicina
ad al Qaida.
Contemporaneamente mani oscure
hanno iniziato a compiere vere e proprie stragi nei pressi di luoghi di
culto sunniti, sciiti e cristiani, cercando di soffiare sul fuoco delle differenze etniche e religiose. Stragi
che in molti casi non sono state rivendicate da alcun gruppo, opera
evidentemente di agenti provocatori
o di stranieri. Nonostante la gravit
della situazione, dal momento che in
Iraq le trib il vero collante della
societ sono composte sia da sun-

22

niti che sciiti, per il momento queste


manovre degli occupanti non sono
riuscite a provocare una vera guerra
civile, ma certo questa possibilit
non pu escludersi per il futuro.
Lo scenario post-elettorale si presenta sotto questaspetto ancor pi
oscuro: gli Usa sembrano puntare
ora non pi solo sullasse curdi-sciiti
per piegare i sunniti, ma riproducendo lo schema adottato durante
la guerra Iran-Iraq e tendente ad impedire che nessuna delle due parti
in conflitto riuscisse a prevalere a
soffiare anche sul fuoco della disperazione sunnita e ad usarla per
ricattare, sopratutto nel sud del
paese, gli stessi sciiti. Strumento di
questa operazione dovrebbero essere, o magari gi sono, alcune milizie create dai consiglieri Usa utilizzando uomini dellex partito
Baath passati con il primo ministro
Iyad Allawi. Le armi necessarie alloperazione sarebbero arrivate in
Iraq a bordo di aerei cargo dellesercito americano provenienti dalla
base militare pachistana di Chaklala. Parallelamente lamministrazione Usa ha varato un nuovo piano
di irachizzazione della repressione,
che prevede linvio in Iraq di oltre
10.000 consiglieri che comanderanno, in pratica, i vari reparti dellesercito iracheno presso i quali
sono distaccati, e saranno coordinati dagli ufficiali Usa presenti nei
comandi, nel ministero della difesa
e degli interni, nonch dei vari servizi iracheni in costruzione.

DI

L A S T R AT E G I A USA
D I S T R U Z I O N E C R E AT I VA
D E L L I R A Q

Vi una contraddizione di fondo tra


la pretesa esistenza di una exit strategy
e la politica seguita dallamministrazione Bush in Iraq. Una contraddizione che toglie qualsiasi credibilit
al ritornello di Bush, Blair e
Berlusconi secondo il quale ci ritireremo dallIraq quando il governo
iracheno sar in grado di avere il controllo della situazione. In realt, sin
dal loro arrivo gli occupanti hanno

Marzo Aprile

teso ad impedire che lIraq abbia un


forte e legittimo governo che goda
della fiducia della popolazione, che
sia in grado di prendere decisioni autonome, che difenda gli interessi e le
risorse nazionali, che abbia alle sue
dipendenze un forte esercito in
grado sia di mantenere lordine che
lunit del paese nei confronti delle
tendenze secessioniste. Da qui la decisione di sciogliere lesercito, lintroduzione del criterio etnico confessionale nella vita politica e istituzionale che condanna il paese ad un
perenne instabilit, il varo di una
Costituzione provvisoria che impedir la nascita di un forte esecutivo e
al contrario favorir la divisione del
paese.
Il fatto che le truppe irachene non
siano in grado di assicurare il controllo del paese non una fatalit,
ma dipende da precise scelte politiche degli occupanti: dal gi ricordato scioglimento dellesercito, al
rifiuto di fissare una data per il ritiro che fa apparire qualsiasi esecutivo come un mero strumento nelle
mani degli occupanti, dalla esclusione dalla vita politica e istituzionale dellintera comunit sunnita e
degli sciiti anti-occupazione, al sostegno dato dagli Usa al progetto di
divisione del paese con la nascita di
uno stato etnico curdo-americano e
la conseguente pulizia etnica curda
ai danni della maggioranza araboturcomanna di Kirkuk (la cassaforte
petrolifera del paese) che ha suscitato lo sdegno della stragrande maggioranza degli iracheni, al varo di un
meccanismo di approvazione della
nuova Costituzione tramite referendum che d alle tre province
curde separatiste del nord (un 15%
della popolazione) un diritto di veto
che potr bloccare a tempo indeterminato il varo della nuova legge
fondamentale dello stato.
Quella elaborata dallamministrazione Bush non una exit strategy, ma una strategia per distruggere lIraq e mantenerne il controllo a tempo indeterminato.
Seguendo la strada segnata dai neocons Usa, la situazione in Iraq destinata non a migliorare progressi-

Marzo Aprile 2005

vamente ma a peggiorare sempre


pi. In altri termini, nel settembre
2005 o anche nel marzo 2006 la situazione sar ancor pi drammatica
di oggi. Laver introdotto il criterio
etnico confessionale ha messo in
modo un meccanismo perv e r s o ,
che rischia di rivolgersi anche contro i desideri degli occupanti.
Basta vedere quel che successo nel
corso delle trattative per la creazione del nuovo governo iracheno
post-elettorale. Esclusi completamente i sunniti dalla nuova Assemblea, la lista unitaria sciita ha avviato
lunghe e defatiganti trattative con il
blocco dei partiti curdi, che hanno
finito per allungare sempre pi i
tempi della formazione del nuovo
governo. In realt, al di l del fatto
che su pressione Usa i due blocchi
potrebbero comunque trovare un
accordo rimandando di qualche
mese lo scontro finale, le richieste e
gli interessi di cui sono portatori
sono profondamente contrastanti e
inconciliabili. vero che il blocco
sciita e quello curdo sono entrambi
a favore delloccupazione Usa, e che
i sunniti e coloro che sono contro la
presenza delle truppe straniere sono
rimasti fuori del parlamento, ma in
ogni caso nessun partito arabo potr mai accettare la divisione del
paese, il non scioglimento delle milizie curde e il passaggio del petrolio di Kirkuk nelle mani dei curdi e
quindi degli americani. Anche perch lo stato iracheno a quel punto
vedrebbe dimezzare le sue entrate.
Lo sanno bene i leader della coalizione sciita, tentati di accettare il diktat curdo in cambio del petrolio del
sud dellIraq, ma timorosi della loro
stessa base e dellopinione pubblica
del paese assai contraria a qualsiasi
spartizione. Inoltre, a rendere difficile unintesa con i partiti curdi c
il fatto che molti turcomanni della
zona di Kirkuk, emarginati dai
curdi, sono in realt sciiti e quindi
correligionari dei loro fratelli del
sud, e che il leader radicale sciita
Moqtada al Sadr, insieme alla comunit sunnita e ai nazionalisti
arabi, ha messo in guardia la coalizione dal mettere in pericolo lunit

Guerra infinita/Lotta per la pace

del paese. Se il Consiglio supremo


per la rivoluzione islamica in Iraq
(Sciri) o il partito al Dawa dovessero accettare il piano Usa, rischierebbero da una parte di rafforzare il
loro concorrente nellarea di governo, Iyad Allawi (che cinicamente
gioca la carte del nazionalismo iracheno), e dallaltra di perdere gran
parte dei consensi a favore del leader sciita radicale (nazionalista)
Moqtada al Sadr.
Pi in generale. lavanzare di un
progetto di divisione del paese non
farebbe altro che unire tra loro i settori della resistenza sunnita con
quelli sciiti contrari alloccupazione
americana, e quindi finirebbe per
allargare ulteriormente larea del
consenso e del sostegno alla resistenza irachena.

LA

tadini iracheni. A questo va poi aggiunta, nellautunno che precedette linvasione americana, la liberazione di decine di migliaia di prigionieri comuni ma anche politici,
tra i quali il fior fiore dellislamismo
radicale rinchiuso nelle carceri irachene, e la distribuzione a gran
parte della popolazione, soprattutto nelle zone pi fedeli al regime,
di milioni di kalashnikov. Limpressione che in realt il regime si fosse

Lavanzare di un progetto di divisione


del paese non farebbe altro
che unire tra loro i settori
della resistenza sunnita con quelli sciiti
contrari alloccupazione americana

RESISTENZA IRACHENA

difficile comprendere quel che sta


avvenendo in Iraq e la vitalit della
resistenza irachena se non si parte
dalla considerazione che in realt la
guerra del 2003 non mai finita, ma
ha solo cambiato modalit, passando da uno scontro tradizionale
ad un conflitto di guerriglia. Del resto non v dubbio che una parte dei
soldati, degli ufficiali, delle strutture direttive dellesercito, del partito Baath e della Guardia repubblicana scomparsi nel nulla quel
giorno daprile, siano ancora in servizio, anche se con le pi svariate divise e ideologie. LIraq non ha mai
firmato alcuna resa ufficiale con gli
occupanti. Linterrogativo al quale
nessuno ha potuto dare ancora risposta. se tutte queste strutture
siano passate alla clandestinit in
modo organizzato o se invece labbiano fatto solo alcuni gruppi al loro
interno, divenuti una sorta dagenzie di servizi per i vari settori della
resistenza che nel frattempo si
erano organizzati autonomamente.
In ogni caso questi nuclei avevano e
hanno grandi mezzi, e soprattutto
gi negli anni novanta erano stati
capaci di formare alla guerra di
guerriglia migliaia e migliaia di cit-

preparato da tempo ad una possibile invasione, studiando soprattutto sui manuali sovietici e jugoslavi in particolare l dove questi consigliavano, di fronte a forze cos soverchianti, una ritirata nel cuore di
tenebra del paese, fisico ma anche
psicologico, dal quale poi fare il
vuoto attorno agli occupanti.
In realt il nazionalismo baathista,
gi allindomani della prima guerra
del Golfo, si era trasformato in una
miscela di fondamentalismo musulmano, tribalismo locale e nazionalismo iracheno che rifletteva assai meglio la realt politico-sociale del
paese rispetto al precedente laicismo
panarabo cos caro ai suoi fondatori.
Saddam Hussein e i suoi del resto venivano proprio, anche se pu sembrare strano, dallala moderata e
pragmatica del partito e non da
quella ideologica. Grazie ad un lunghissimo lavoro di pianificazione e di
raccolta di dossier accumulati su
ogni cittadino iracheno, molti ufficiali medio-alti dellesercito, del partito e dei servizi, sarebbero ora in
grado di indirizzare, se non di dirigere, buona parte della resistenza
irachena, anche quella islamista.
A tale proposito c da tener pre-

23

Guerra infinita/Lotta per la pace

sente che, secondo la stampa del


tempo, il genero di Saddam, Hussein Kamel, fuggito in Giordania
nel 1995, avrebbe dichiarato di essersi deciso a quel fatale passo
quando il presidente aveva ordinato
a tutti gli ufficiali superiori, e quindi
anche a lui, di iscriversi a corsi intensivi dapprofondimento del
Corano e del mondo che ruota attorno ai movimenti islamisti. Alcuni
anni prima inoltre il ras aveva gi
fatto scrivere sulla bandiera nazionale Allah grande. Questo lavoro di preparazione, unito al sentimento nazionale e patriottico degli iracheni, allo scioglimento dellesercito da parte degli americani
e alla brutalit delle truppe di occupazione starebbe quindi dando
ora i suoi frutti.
Il dibattito aperto, ma secondo alcuni la vecchia struttura della sicurezza e della difesa del paese, dopo
aver divorziato del tutto da ogni

Secondo vari studi sulla guerriglia,


ogni 100 resistenti
vi dovrebbero essere
tra 1.000 e 10.000 abitanti
che li sostengono e li proteggono

forma di ideologia baathista classica


ed aver assunto le pi svariate coloriture islamiste, diventando altra
cosa da quel che era, sarebbe ora ancora pi solida e operativa di quel
che si pensi.
Ad esempio, vi sono fondati sospetti
che lo stesso vice-presidente iracheno, Izzatt Ibrahim, sunnita, fervente nazionalista e membro praticante di varie sette e confraternite
sufi ed esoteriche, anche se gravemente malato abbia ancora una
forte influenza, diretta o indiretta,
su parte della resistenza irachena.
Al suo fianco vi sarebbe stato, almeno per un certo tempo, Rafi

24

Tilfah, gi direttore della sicurezza


generale (Dsg), che secondo lex
ispettore americano dellOnu Scott
Ritter, recatosi pi volte nei suoi uffici, avrebbe avuto una mappa assolutamente perfetta dei movimenti e
dei militanti islamisti presenti in
Iraq e non solo. Un tesoro inestimabile per chiunque avesse voluto
organizzare un qualsiasi movimento di resistenza. Inoltre la Dsg
avrebbe tenuto abitualmente ad ufficiali ed esperti delle varie armi, in
un capannone vicino ad un aeroporto in disuso ad Abu Ghraib, il
Direttorato per le operazioni speciali, corsi su come condurre una
resistenza clandestina basata essenzialmente sulluso di micidiali
bombe artigianali da collocare
lungo le strade (le famose Ied che
fanno strage di marines); e secondo
lo stesso ex ispettore americano, gi
mesi prima della guerra molti di
questi ufficiali avrebbero ricevuto
lordine di mettersi in borghese e
scomparire nella societ, magari
passando allopposizione.
Il secondo elemento necessario per
condurre una resistenza cos efficace
senza dubbio la conoscenza del terreno e di tutti coloro che lo abitano.
A tale proposito, sempre secondo
Scott Ritter, nel quartiere generale
dei servizi segreti nella zona bene di
al Mansour, a Baghdad, vi sarebbe
stato un ufficio speciale incaricato di
redigere rapporti su tutti gli abitanti
della zona compresa tra il palazzo
presidenziale e laeroporto internazionale di Baghdad, larea che ancor
oggi la pi pericolosa per i convogli americani.
Secondo vari studi sulla guerriglia,
ogni 100 resistenti vi dovrebbero essere tra 1.000 e 10.000 abitanti che
li sostengono e li proteggono. Se
quindi vera la valutazione fatta dal
nuovo capo dei servizi iracheni filoUsa, gen. Muhammad Abdullah
Shahwani, secondo il quale la resistenza irachena avrebbe un nocciolo duro di almeno quarantamila
combattenti attivi, sarebbero centinaia di migliaia gli iracheni che la
sostengono attivamente, un vero
piccolo ma ben addestrato esercito.

Marzo Aprile

Gli ispettori Onu americani avrebbero passato i loro rapporti sulle


operazioni speciali ai servizi Usa,
ma questi non sembra ne abbiano
fatto buon uso. Anzi. Il fatto che in
caso doccupazione nessuno avrebbe dovuto insegnare agli iracheni
come resistere agli eserciti invasori,
non sembra affatto sia stato tenuto
in considerazione dalle truppe occupanti.
Del resto, al di l delle posizioni
ideologiche, sia la resistenza nazionalista che quella islamista concordano sullobiettivo di impedire la
stabilizzazione dellIraq sotto il controllo americano. Detto questo, le
loro agende sono tuttavia diversissime: gli uni pensano ad un Iraq libero e moderatamente islamico, gli
altri vedono la resistenza in Iraq
come parte della guerra santa contro lOccidente che calpesta il
suolo dellIslam.
Vi poi un terzo gruppo, quello che
farebbe riferimento al giordano
Abu Musab al-Zarqawi, che negli ultimi mesi soprattutto da quando
Osama bin Laden lha nominato
capo della resistenza in Iraq suscitando lo sdegno degli altri leader locali ha accusato un certo isolamento sia per il suo disinteresse per
le sorti dellIraq e degli iracheni, sia
per il fatto che il suo capo giordano, e pure per i suoi toni apertamente razzisti nei confronti degli
sciiti, risorsa preziosa per chiunque
voglia combattere gli americani in
Mesopotamia.
Inoltre, se degli ex baatisti operano
in alcune zone sotto il comando degli sheik locali fondamentalisti, in
altre, come nei quartieri di Dora,
Gazhaliya, Sayidiya, i militanti del
Baath sono usciti recentemente allo
scoperto distribuendo volantini e
comunicati, come quello redatto il
mese scorso, in occasione della giornata delle forze armate, nel quale si
annuncia alla popolazione che lesercito iracheno si riorganizzato
per la lotta popolare di liberazione
nazionale. Certamente un testo
al quale difficile credere, ma forse
in esso ci potrebbe essere un briciolo di verit.

Marzo Aprile 2005

PRIMI

N E G O Z I AT I

CON LA RESISTENZA?

Lo scorso 5 marzo, dopo due settimane di bombardamenti sulle citt


di Ramadi, Hit, Hadhita e su decine
di piccoli centri che si trovano lungo
la valle dellEufrate in direzione del
confine con la Siria, lesercito Usa ha
posto fine alla propria offensiva nella
provincia di Anbar. Al momento del
ritiro, sabato 5 marzo, gli americani
avrebbero anche liberato la moglie
incinta di un leader della resistenza
di Ramadi, presa in ostaggio la sera
prima in un ospedale locale come
forma di pressione sul marito in clandestinit.
Il dato interessante della fine delle
operazioni a Ramadi chiesta tra laltro agli Usa dal movimento della
pace italiano per favorire il rilascio
di Giuliana Sgrena non sta tanto
nel fatto in s, quanto nelle trattative
che lhanno preceduta tra gli occupanti e alcuni esponenti dell Associazione degli Ulema sunniti, che
rappresenta oltre 3.000 moschee e
pi in generale tutta la comunit sunnita completamente emarginata dagli occupanti a livello politico-istituzionale. Sono gli stessi Ulema che si
sono mobilitati nel caso di Giuliana
Sgrena con duri comunicati di condanna del rapimento e inviti ai sequestratori a rilasciarla. Se sono musulmani e se sono resistenti la tratteranno molto bene e la rilasceranno
presto, ci aveva rassicurato Abdel
Salam al Qubaisi lo scorso 7 febbraio
nella sede dellAssociazione, la moschea di Um al Qura alla periferia
ovest di Baghdad.
La mediazione portata avanti dagli
Ulema si sarebbe inserita in un pi
vasto processo negoziale, iniziale e
ancora fragile, tra gli stessi americani, le autorit religiose sunnite, alcuni esponenti della resistenza nazionalista e alcuni esponenti del partito Baath e del vecchio regime. In
realt gli Ulema, rimasti soli a rappresentare la loro comunit, avevano
gi avuto un certo ruolo negoziale ai
tempi del primo assedio a Falluja, lo
scorso aprile (portato avanti anchesso dallo sheik Abdel Salam al

Guerra infinita/Lotta per la pace

Qubaisi), ma erano poi stati ignorati


ed emarginati per molti mesi dagli
Usa, decisi ad escludere i sunniti dal
processo politico-elettorale.
Per partecipare alle elezioni del 30
gennaio, nel corso di un primo incontro ai primi di gennaio con i rappresentanti dellambasciata americana sponsorizzato dallambasciatore francese, gli Ulema avevano formulato ununica richiesta: la fissazione di una data per il ritiro delle
truppe Usa dal paese. Il rifiuto di
Washington fu per totale. All indomani delle elezioni, i rappresentati dellAssociazione degli Ulema
hanno poi lanciato un invito pubblico alla comunit sunnita affinch
desse vita ad un soggetto politico unitario in grado di rappresentarla. Un
organismo, per, che goda anche
della fiducia dei principali gruppi
della resistenza (ad eccezione dei
settori vicini ad al Qaida) e che possa
in qualche modo negoziare per loro
conto con gli occupanti.
Tra i consiglieri spirituali della nuova
rappresentanza politica sunnita ci dovrebbe essere, tra gli altri, anche il famoso Ahmed al Qubaisi, in esilio negli Emirati, noto per aver detto no sia
a Saddam Hussein che a Paul Bremer,
e nume tutelare della moschea di abu
Hanifa ad Adhamiya.
Parallelamente, secondo quanto
hanno riferito sia fonti locali sia il settimanale Ti m e, vi sarebbero stati
nelle ultime settimane i primi contatti tra alcuni alti ufficiali americani,
un esponente della resistenza e un
esponente del partito Baath. La delegazione della resistenza avrebbe
chiesto agli Usa di porre termine alloffensiva contro le zone sunnite e
soprattutto di fissare una data per il
ritiro delle truppe.

UN

FRONTE

C O N T R O L O C C U PA Z I O N E

Nellambito di questo processo di


formazione di un punto di riferimento politico per la comunit sunnita e per coloro che combattono
contro loccupazione, lo scorso 15
febbraio stato formato un nuovo

Fronte Patriottico, composto da varie forze sunnite, sciite e laiche, che


ha proposto ai partiti al governo con
gli Usa un dialogo nazionale a condizione che venga fissata una data
precisa per il ritiro delle truppe di
occupazione. Liniziativa stata promossa dallAssociazione degli Ulema musulmani, dallUniversit dello
sheik sciita Jawad al Khalisi, dal movimento del leader sciita radicale
Moqtada al Sadr, dal Fronte Patriottico di liberazione (arabi nazionalisti ed ex baathisti), dallIraqi National Foundation Congress, dal Partito
dellavanguardia nasseriana, dal
Consiglio per la volont della donna,
dallUnione progressista degli studenti, dal raggruppamento arabo di
Kirkuk e dallUnione delle donne repubblicane. Il nuovo fronte della resistenza politica alloccupazione ha
avuto nei giorni scorsi due incontri,
i primi di questo genere, con i due
raggruppamenti, quello sciita e
quello curdo, che hanno vinto le elezioni farsa del 30 gennaio boicottate
dalle opposizioni.
Nel corso degli incontri, che hanno
avuto luogo nella moschea di Um al
Qura a Baghdad, sede dellAssociazione degli Ulema, per bocca del
portavoce Muthanna al Dhari il
Fronte dellopposizione ha proposto lapertura di un dialogo nazionale sulla base di alcune irrinunciabili condizioni: fissazione di una
data garantita internazionalmente
per il ritiro delle truppe di occupazione, riconoscimento del diritto
del popolo iracheno a resistere con
le armi alle forze occupanti, abolizione del criterio etnico-confessionale introdotto dagli Usa nella vita
politico-istituzionale irachena, liberazione dei prigionieri dalle carceri
Usa, un cessate il fuoco generale, rifiuto di qualsiasi divisione dellIraq
su basi etniche o confessionali.
Non sembra che per il momento la
risposta dei partiti filo-Usa a queste
richieste sia stata positiva. In ogni
caso, il fatto stesso che tali incontri
si siano svolti testimonia la nascita e
la legittimit di questo nuovo Fronte,
deciso ad opporsi con ogni mezzo alloccupazione americana dellIraq.

25

Marzo Aprile

Guerra infinita/Lotta per la pace

Nel fronte convergono


i pi diversi movimenti di opposizione
e di resistenza che puntano
alla liberazione del paese
e alla conservazione
della sua integrit territoriale

A fianco
della Resistenza
irachena

di Dom Giovanni Franzoni

LASSOCIAZIONE ITALIA-IRAQ INVITA IN ITALIA I RAPPRESENTANTI


DEL FRONTE DELLA RESISTENZA IRACHENA

e elezioni in Iraq, svoltesi il 30 gennaio 2005, sono state salutate in


Occidente, anche da ampi settori
della sinistra, con un ottimismo del
tutto ingiustificato. Il fatto che in
molti siano andati a votare e che,
nonostante le minacce di attentati
ai seggi elettorali, si sia raggiunta
una partecipazione che, secondo alcune stime, avrebbe raggiunto o superato il 50% dellelettorato, ha suscitato grida di entusiasmo ed ha
creato il convincimento dellinnesco di un irreversibile processo
verso la pacificazione e la democratizzazione del paese. Non si sono
quindi prese in considerazione le
tensioni che rimanevano fra le varie
parti politicamente significative.
Chi aveva rifiutato la partecipazione
al voto non lo aveva fatto per leggerezza, ma perch aveva ritenuto che
tutta loperazione fosse stata pilotata dagli occupanti per confermare
e legittimare la loro presenza ed il
loro operato, e che pertanto fosse
da ritenere illegittima e provocatoria. Hanno quindi proseguito nellopposizione sia in forma politica
sia in forma militare, non sempre
identificabile con il terrorismo.
A questo bisogna aggiungere unaltra considerazione, quasi ovvia. Chi
andato a votare, a parte gli indipendentisti curdi, non era certamente in favore delloccupazione;

26

lo dimostra il fatto che il fronte capeggiato da Allawi stato sonoramente sconfitto. Lumiliazione del
governo favorito dagli occupanti e
responsabile di massacri come
quello di Fallujia dovrebbe essere
presa in considerazione da chi ancora esita sulla posizione da prendere nei confronti della resistenza
irachena.
Il motivo, speciosamente sbandierato, per prolungare lo stato di
guerra e di occupazione quello
dellordine pubblico e della sicurezza. invece sotto gli occhi di tutti
come loccupazione abbia portato il
caos nel paese, e abbia cinicamente,
forse intenzionalmente, consentito
lingresso di elementi estranei alla
causa irachena. Abbiamo pi volte
rilevato il fatto che lIraq sia stato
scelto pretestuosamente dagli americani come luogo di scontro duro
con il terrorismo. Dallaltra parte
evidente che elementi che si rifanno
allestremismo nazionalista o religioso hanno, a loro volta, scelto
lIraq come terreno di scontro duro
contro limperialismo americano.
Tutto questo sulla testa del popolo
iracheno, che paga prezzi altissimi
per questo conflitto non suo.
per questo motivo che, nel fondare una associazione Italia-Iraq
che sostenesse con linformazione
la resistenza irachena, un gruppo di
compagni ha aggiunto, come sotto-

titolo laffermazione LIraq agli iracheni. La cessazione delloccupazione militare e lautodeterminazione del popolo iracheno su base
nazionale, e non su spartizioni etnico-religiose volute dagli americani, sono i punti cardine di una pacificazione del paese.
Su il manifesto del 10 marzo scorso,
Stefano Chiarini dava informazione
di un ampio fronte di resistenza,
creatosi a Bagdad, che includeva, oltre al National Iraqi Foundation
Congress, anche il Consiglio degli Ulema, il movimento sciita radicale di
Moqtada al Sadr, i nasseriani, il Fronte patriottico di liberazione (ex baathisti), lUnione progressista degli studenti
e varie organizzazioni femminili, fra
cui lUnione delle donne repubblicane.
Nel fronte convergono i pi diversi
movimenti di opposizione e di resistenza che puntano alla liberazione
del paese e alla conservazione della
sua integrit territoriale.
Diventa imperativo, per chi vuole
ancora parlare di impegno per la
pace, conoscere direttamente i programmi e le strategie della resistenza irachena, fino ad oggi assai
divisa ma ormai sulla strada dello
sforzo unitario.
Dopo il drammatico rapimento di
Giuliana Sgrena e di altri giornalisti, si creata una situazione di totale disinformazione. Per motivi di
sicurezza tutti i giornali hanno riti-

Marzo Aprile 2005

rato i loro corrispondenti. In tal


modo finalmente i comandi americani e quelli subalterni degli altri
paesi sono riusciti ad avere il silenzio
stampa ed a chiudere gli occhi agli
osservatori della stampa. Da quel
momento si conoscono solo i bollettini di guerra degli occupanti.
Alla fine del mese di aprile e nei
primi giorni di maggio previsto
larrivo di una delegazione del
Fronte di resistenza iracheno a
Roma e, si spera, sar ricevuta in audizione dal Comitato diritti umani
della Commissione esteri della
Camera dei deputati.
Questa Delegazione, composta da
religiosi, sciiti e sunniti, e da laici,
stata invitata anche in altre citt,

Guerra infinita/Lotta per la pace

come Firenze, Rieti, Bologna, Benevento e Napoli. e creer dei canali


informativi necessari per seguire i
fatti e sostenere la lotta di un paese
invaso e devastato e di un popolo
oppresso.
Problema cruciale da affrontare
sar quello del ritiro degli occupanti, e non solo del loro ritiro in
basi militari, come avvenuto anche
in Italia dopo la seconda guerra
mondiale, ma del ritiro totale.
Ci sono molti motivi per pensare
che gli USA intendano mantenere
basi militari in Iraq per il controllo
geo-politico della regione. Se nel
1979 gli Occidentali armarono
Saddam Hussein per aggredire
lIran, non difficile pensare che

oggi, fallita la guerra Iraq-Iran che


tante vittime ha comportato, oggi
gli Usa, liquidato il dittatore iracheno intendano riprendere in proprio loperazione per controllare
tutta larea.
Gli iracheni ci devono aiutare a
scomporre e decodificare il risultato elettorale del 30 gennaio, per
comprendere quali dinamiche vi
siano sottese. Noi dobbiamo aiutarli
a liberarsi dalloccupazione e dalle
basi americane che, come nel nostro paese e in tutti i paesi liberati dagli americani, avallano la pretesa
imperialista degli USA di garantire
la loro sicurezza ed i loro interessi
con la maschera della democrazia
ed il dominio sul mondo.

27

Marzo Aprile

Guerra infinita/Lotta per la pace

155 mila partecipanti provenienti


da pi di 180 paesi di tutti i continenti,
6588 organizzazioni che hanno preso
parte agli oltre 2500 eventi autogestiti
svoltisi in 203 sale auditorium e 295
tende per attivit e servizi collaterali

Novit al Forum
sociale mondiale
di Porto Alegre

di Francesco Maringi
Coordinamento Nazionale Prc Giovani Comuniste/i

CONFERMATI I PROGRESSO DI MUMBAY.


UN FORMUM PI POLITICIZZATO, ANCHE GRAZIE ALLA PRESENZA
ORGANIZZATA DEI COMUNISTI

l 5 Forum Sociale Mondiale (FSM),


ritornato questanno a Porto Alegre
dal 26 al 31 gennaio dopo la straordinaria parentesi indiana, ha confermato la vitalit delliniziativa plurale dei movimenti sociali in giro
per il mondo e fatto considerevoli
passi in avanti, forte proprio della
spinta propulsiva ed innovativa delledizione precedente.
Dopo Mumbai si erano generate
forti aspettative e grandi speranze,
e la paura pi diffusa era che il ritorno a Porto Alegre potesse bloccare quello sviluppo virtuoso di partecipazione e scelta dei temi politici
(che cera stato invece in India), riportando lasse della discussione su
tematiche e campagne di lotta care
soltanto a movimenti e partiti politici europei e latinoamericani. Per
molti, inoltre, la sconfitta alle recenti elezioni amministrative del
Partito dei Lavoratori (PT) di Lula,
proprio nello Stato del Rio Grande
do Sur e a Porto Alegre (dove governava ininterrottamente da 16
anni) era il segno inequivocabile
della perdita di smalto di un movimento che entrava in una fase di difficolt.
Ben presto per si capito che tali
preoccupazioni erano del tutto infondate. Non solo leco di Mumbai
stato molto forte, ma in questa
quinta edizione si sono fatti considerevoli passi in avanti in termini di

28

partecipazione, politicizzazione del


forum, protagonismo dei comunisti
e del loro contributo nella costruzione di campagne di mobilitazione
mondiale.

LA V

EDIZIONE DEL

FSM

I dati forniti dal Comitato organizzatore di questa edizione sono impressionanti: 155 mila partecipanti1
provenienti da pi di 180 paesi di
tutti i continenti, 6588 organizzazioni che hanno preso parte agli oltre 2500 eventi autogestiti svoltisi in
203 sale auditorium e 295 tende per
attivit e servizi collaterali. Il tutto trasmesso mondialmente da 6823 professionisti delle comunicazioni, per
un investimento economico complessivo di circa 7 milioni di euro.
Ma al di l dei dati tecnici, la partecipazione ai grandi eventi a rendere lidea del successo di questa
edizione: in 200 mila hanno partecipato al corteo di apertura del
Forum per manifestare contro la
politica aggressiva degli Stati Uniti,
in 4 mila ad ascoltare il presidente
Lula da Silva il 27 gennaio nello
Stadio Gigantinho, e 24 mila persone, accalcate dentro e fuori lo stadio, hanno preso parte allincontro
con il presidente del Ve n e z u e l a
Hugo Chvez, che li ha intrattenuti
per pi di cinquanta minuti2.

Significativa e rilevante stata anche


la presenza giovanile. LA c a m p amento Intercontinental da Juventude, situato lungo le rive della laguna su
cui si affaccia la citt, ha registrato
oltre 35 mila presenze fra giovani e
giovanissimi, che per sei lunghi
giorni lo hanno popolato con le loro
coloratissime tende, dibattiti pi o
meno improvvisati, ma anche balli e
manifestazioni estemporanee.
Gli stessi dibattiti sono il frutto del
lungo lavoro di consultazione di oltre 1863 organizzazioni fatto mesi
prima via internet e che poi stato
sintetizzato dal Consiglio Internazionale (CI) del FSM3 in undici
Spazi Tematici di riferimento e quattro temi portanti: emancipazione sociale e dimensione politica delle
lotte, lotta contro il capitalismo ed il
patriarcato, diversit e genere, lotta
contro il razzismo.
Il fatto che tali temi non siano stati
imposti dal Comitato organizzatore
ma scelti dopo una larga consultazione, e che la stessa dislocazione fisica degli Spazi Tematici sia stata
considerevolmente mutata rispetto
alle precedenti edizioni (tutta imperniata intorno alle strutture fornite dalla Pontificia Universit Cattolica) evidenzia quanto il vento di
Mumbai abbia cambiato profondamente il funzionamento del Forum.
Sintomatico di questo profondo
cambiamento anche il calo di pre-

Marzo Aprile 2005

senze nelle assemblee organizzate


da grandi associazioni storiche del
movimento (). Temi che due anni
fa andavano per la maggiore, come
lo sviluppo sostenibile, la globalizzazione dal volto umano o una possibile riforma degli accordi sul libero commercio targati Wto fortemente spinti dai sindacati di numerosi paesi e da alcune organizzazioni del Nord del mondo come
Oxfam e ActionAid hanno perso
lappeal di un tempo (...).4

UN FORUM

P I P O L I T I C I Z Z AT O

Ma il vero punto di svolta in questa


quinta edizione del FSM stato indubbiamente la sua maggiore politicizzazione. Questa non solo ha
portato allindividuazione di campagne di lotta mondiali, ma anche
al superamento della falsa dicotomia fra partiti e movimenti sociali
che per anni aveva portato alla paralisi dellazione politica e alla sistematica esclusione di alcune forze rivoluzionarie. Per lungo tempo, infatti, la rigorosa applicazione dellart. 9 della Carta dei Principi5 del
FSM ha impedito una partecipazione realmente democratica, in favore di unazione frammentaria
delle varie forze. Questo anche perch i riferimenti teorici dei movimenti sociali erano i guru del movimentismo frammentario, dello
spontaneismo spoliticizzato e dellautonomia anarcoide, come lirlandese John Halloway, litaliano
Toni Negri e lo statunitense Michael
Hardt che, con la famosa teoria del
cambiare il mondo senza prendere
il potere, spingevano ad unazione
atomizzata delle organizzazioni
non governative in quanto espressione della societ civile6.
Di conseguenza il FSM era inteso
semplicemente come luogo di incontro per migliaia di ONG e non
come spazio politico privilegiato per
superare la frammentazione e costruire un ponte fra i diversi settori
del movimento che intraprendono
una battaglia per la pace, contro le
barbarie del neoliberismo e per un

Guerra infinita/Lotta per la pace

mondo libero dallimperialismo,


con maggiore democrazia e minori
povert ed ingiustizie sociali.
La grande novit positiva di questanno invece proprio la partecipazione attiva dei partiti e delle organizzazioni popolari e comuniste
nellambito delle attivit promosse
dal Forum. Tale presenza non solo
non ha limitato lautonomia del
Forum o sminuito il suo carattere
aperto, ma ha contribuito a politicizzarlo ancora di pi, trasformandolo in uno spazio privilegiato di incontro delle correnti progressiste e
democratiche di tutto il mondo
causando cos qualche preoccupazione tra gli ongueros 7.
E se a Mumbai gli stand organizzati
dai due partiti comunisti indiani facevano bella mostra di s fuori dallarea del Forum, questanno per la
prima volta larea ufficiale del FSM
ospitava gli stand dei vari partiti. I
comunisti si sono concentrati in
due importanti aree ben visibili,
perch vicine al Gasometro, il
centro amministrativo del FSM:
quella allestita dal Partito Comunista del Brasile (PcdoB) e dall
Istituto Maurcio Grabois (politicamente legato al PCdoB) divenuto
luogo di incontro di numerosi leader ed organizzazioni comuniste, e
sede di dibattiti e seminari sul tema
del socialismo, della sovranit e
dello sviluppo dellAmerica Latina
e la Tenda della Pace, promossa
da numerose organizzazioni di massa e contro la guerra con una marcata impronta antimperialista8 con
lobiettivo di attrarre tutti gli attivisti e i pacifisti presenti al Forum con
attivit culturali e politiche. Inoltre,
sempre per la prima volta, i comunisti si sono fatti promotori di alcuni
seminari (uno sul socialismo, uno
sulla pace, laltro sullAmerica
Latina) inclusi nella programmazione ufficiale del Forum.

L O T TA

P E R L A PA C E

E CONTRO LA GUERRA

Pi di 1300 persone hanno partecipato alla conferenza promossa da

Cebrapaz dal titolo Lotta per la


pace, contro la guerra e limperialismo, in cui, oltre allanalisi del quadro internazionale caratterizzato
dalla guerra in Iraq perpetrata unilateralmente dagli USA e dalla necessit di opporsi ad essa, si analizzata a lungo la questione palestinese. Grazie anche alla presenza ed
al contributo di Mussa Amer Odeh,
ambasciatore palestinese in Brasile,
si descritta la situazione di un
paese a cui viene negato il diritto
alla libert a seguito delloccupazione dellesercito israeliano che
fa in Palestina ci che Bush fa in
Iraq.
Questo seminario ha riunito i rappresentanti dei vari movimenti che
lottano per la pace nelle varie nazioni, stimolando un interessante e
partecipato dibattito. In apertura la
presidentessa di Cebrapaz, Socorro
Gomes, ha spiegato come quellassemblea fosse figlia della mobilitazione internazionale contro la guerra, ed ha espresso la convinzione
che, unendo le forze di tutti, possibile costruire un futuro di pace
per questa e le prossime generazioni. Durante il dibattito hanno
preso la parola una ventina fra attivisti e rappresentanti delle varie organizzazioni nazionali ed internazionali che si battono contro la
guerra: da Iraklis Tsavaridis del
Consiglio Mondiale della Pace a
John Catalinotto dellInternational
Action Center degli USA, a Ricardo
Alarcon, presidente dellAssemblea
Nazionale del Poder Popular (il parlamento) cubano, passando per i
rappresentanti di Giappone, Argentina, Colombia, Cina, Vietnam e
tanti altri9 .
Infine, lassemblea si impegnata
ad organizzare una petizione, da inviare nel settembre prossimo all
ONU, in cui si denuncia Gorge W.
Bush per crimini di guerra contro
lumanit. La sua condotta in Iraq
(invasione di un paese sovrano, rovesciamento del suo governo, distruzione della sua economia e delle infrastrutture, realizzazione di genocidio ai danni di interi villaggi ed
istituzione della tortura come siste-

29

Marzo Aprile

Guerra infinita/Lotta per la pace

matico metodo di guerra e dominio) infatti palesemente in contraddizione con la Dichiarazione


universale dei diritti umani.

INTEGRAZIONE
SUDAMERICANA

E SOVRANIT

Unaltra conferenza che ha registrato il pienone stata quella dal titolo America del Sud: integrazione, sovranit e sviluppo. Organizzata dallIstituto Maurcio Grabois e dalla Fondazione Perseu Abramo, ha visto la presenza di illustri oratori10 ed un dibattito tutto
centrato sulla necessit di una
maggiore integrazione fra i popoli
dell America Latina e la loro contrapposizione ai recenti tentativi
neocoloniali degli Stati Uniti. In
fondo, il progetto di integrazione
panamericano sempre stato il sogno storico (ma mai realizzato) di
questi popoli, e la vittoria di Lula in
Brasile, Chvez in Ve n e z u e l a ,
Kirchner in Argentina e, recentemente, di Tabar Vazquez in Uruguay, unito alla forza dei movimenti

Significativo e partecipato
stato il seminario dal titolo
Lo sviluppo attuale
della lotta per il socialismo

popolari, ha riacceso forti speranze.


Nei loroi discorsi tenuti al Forum,
sia Chvez che Lula hanno ribadito
il loro impegno a mettersi a capo di
questo progetto di cooperazione ed
integrazione continentale, lanciando cos la sfida dei popoli del
Sud America al tentativo statunitense di metterli sotto silenzio mediante lAlca. Lobiettivo si legge
nel testo di presentazione dellini-

30

ziativa portare avanti il progetto


di sviluppo nazionale, in concomitanza con lintegrazione regionale,
in un quadro caratterizzato dal neoliberismo e dalle pressioni dellimperialismo. Ma per poter far questo, afferma Aldo Rabelo in un passaggio tra i pi applauditi, necessario che il Brasile investa nelle infrastrutture dei nostri vicini, perch
questi crescano insieme a noi.
Molte di queste questioni erano
state gi affrontate, congiuntamente con i rappresentati dei partiti comunisti europei, nel 4 Seminario politico euro-latino americano (tenutosi a Porto Alegre dal 22
al 24 gennaio, prima dellinizio del
FSM)11 e diverranno sicuramente
tema centrale della tappa continentale del Forum delle Americhe
lanno venturo.

del bilancio storico dellesperienza


del socialismo nel XXI secolo,
hanno convenuto sul fatto che in
questo mondo caratterizzato dalla
guerra, dalla miseria, dalloppressione, dalla distruzione della natura
e da altre forme di ingiustizia causate dal capitalismo, c bisogno del
socialismo, quale unica alternativa
capace di dare risposte concrete ai
bisogni di quanti, oggi, chiedono
pace, progresso e giustizia sociale.
Questo seminario, oltre a favorire lo
scambio di idee e migliorare le relazioni fra i vari partiti comunisti, ha
lanciato la pubblicazione in lingua
portoghese della rivista internazionale Correspondances Internationales,
pubblicazione dellIstituto di Studi
Sociali e Politici, con sede a Parigi13

U N FSM
LO

S V I L U P P O D E L L A L O T TA
PER IL SOCIALISMO

Altrettanto significativo e partecipato stato il seminario dal titolo


Lo sviluppo attuale della lotta per
il socialismo. Promosso dallIstituto Maurcio Grabois, con il contributo di 26 istituti e pubblicazioni
di diversi partiti marxisti12 , ha avuto
come tema centrale lanalisi sulle
prospettive della lotta per il socialismo nel XXI secolo.
Molti oratori si sono soffermati sui
pericoli che corre oggi lumanit a
causa delle nuove guerre volute dallimperialismo americano e i tentativi di ingerenza nei confronti di
Cuba e Venezuela. Altri hanno descritto gli sforzi che si stanno facendo in America Latina per bloccare lAlca. Altri ancora hanno richiamato lattenzione sulleroica
resistenza del popolo iracheno, che
ci dimostra come limperialismo statunitense possa essere fermato. I
rappresentanti di Cuba, Cina e
Vietnam si sono soffermati a descrivere la loro esperienza di lotta contro limperialismo ed il loro sforzo
di costruzione del socialismo nel
proprio paese. Tutti, comunque,
dopo aver affrontato il tema arduo

IN CAMBIAMENTO

Il fatto che in questa edizione si riuscisse a cogliere lo spirito di novit


innestato dalla parentesi indiana
del FSM, e che il protagonismo dei
comunisti venisse alla luce con forza
e determinazione, non era affatto
scontato. Forti erano infatti le preoccupazioni (e le spinte da parte di
quei settori moderati o marginali,
comunque presenti nella struttura
del FSM) che il ritorno in Brasile costituisse un salto allindietro nellesperienza dei Forum Mondiali. Questo non avvenuto, grazie anche al ruolo svolto dal PCdoB che,
con suoi 60.000 iscritti militanti e i
140.000 simpatizzanti in tutto il
Brasile ed una nutrita e giovane delegazione a Porto Alegre14 ha svolto
un lavoro encomiabile sia nellorganizzazione del Forum, sia nel diventare il riferimento ed il promotore di tutte le attivit che hanno visto i comunisti come protagonisti.
E nonostante nel Forum permangano forze eterogenee e vi sia ancora una grossa influenza da parte
di alcuni settori legati alla chiesa cattolica o a forze riformiste, la battaglia per legemonia delle componenti comuniste ed antimperialiste
pu dare nuovo slancio a questo
progetto.

Marzo Aprile 2005

LIMITI

E DEBOLEZZE

Ma tutti questi passi in avanti non


nascondono le debolezze ancora
presenti nel Forum e le complesse
polemiche ancora aperte. In un
breve bilancio di questa quinta edizione del Forum, il sociologo brasiliano Emir Sader ha ad esempio sottolineato alcuni problemi politici
ed organizzativi, come lassenza
della lotta alla guerra come tema
centrale della programmazione ufficiale o il carattere discriminante
ed antidemocratico delle attivit autogestite, dove le strutture che
hanno i soldi possono finanziare i
propri delegati e le altre no15 .
Un problema, quello dei finanziamenti e della gestione delle iniziative, che si staglia in un serrato confronto fra quanti vorrebbero un
Forum pi politicizzato e quanti, invece, vorrebbero che si ritornasse ad
essere uno straordinario e ricco spazio di confronto di idee ed utopie
ma incapace di agire ed incidere nei
processi reali. Cndido Grzybowski,
direttore dellIstituto Brasiliano di
Analisi sociale ed economica e
membro del Segretariato Internazionale del FSM ha infatti affermato che non spetta al WSF la definizione di un progetto e di una strategia da seguire per tutti. () Il
FSM pu solo essere uno spazio
aperto di pensiero strategico.16
Alcune ONG insistono addirittura
nel depoliticizzare la generazione
dei Forum con lidea del pensare
globalmente ed agire localmente,
e spingono perch si ritorni ad
unavversione serrata nei confronti
dei partiti e della loro presenza ufficiale allinterno del FSM. Questi
fondamentalisti dellanti-politica
si agitano affinch il prossimo
Forum, che si decentralizzer in vari
continenti, non si svolga anche in
Venezuela.
Di altro avviso sono quanti, come il
filippino Walden Bello, direttore di
Focus on the Global South, pensano invece che il Forum abbia bisogno di
prendere posizioni pi di parte
sulle questioni chiave della nostra
epoca, come Palestina, Iraq e il

Guerra infinita/Lotta per la pace

WTO, e di tradurre queste posizioni


in un programma dazione17. Ed
lo stesso Chvez a proporre che il
prossimo FSM abbia unagenda politica pi offensiva e definita, cosa
che non stata molto apprezzata da
Oded Grajew e Francisco Whitaker,
due esponenti chiave delle ONG
che hanno un peso rilevante nelle
decisioni del Forum18.
Un altro limite riscontrato in queste cinque edizioni del Forum riguarda lassenza del tema del lavoro
e delle lotte dei lavoratori come
questione centrale. Nonostante si
siano svolti alcuni incontri (organizzati dalla Cut e da altri sindacati)
sullo sviluppo del sindacalismo e
delle lotte operaie, questo tema rimane ancora ai margini della programmazione centrale del FSM e
delle mobilitazioni internazionali
lanciate dallassemblea dei movimenti sociali.

si svolger la prima settimana di agosto a Caracas e che vedr confluire


gran parte delle forze giovanili antimperialiste di tutto il mondo.
Bisogna lavorare ancora molto e
con pazienza, perch la battaglia
per lesistenza e per laccumulazione delle forze richiede tempi
lunghi, ma forse il dispiegarsi di
tutte queste opportunit, dei nuovi
cambiamenti e dellinedito protagonismo dei comunisti e delle forze
antimperialiste ci dice che arrivato
il tempo dellottimismo della volont.

Note
1 Per il 70% provenienti dal Brasile e il 25% dal
resto dellAmerica Latina (Argentina in testa).
Cospicua, per la prima volta, anche la presenza de-

IL

FUTURO DEL

FORUM

gli statunitensi. In calo gli italiani che, con poco


pi di 400 presenze (erano 2000 due anni fa), sono

La speranza per il futuro del Forum


che la decisione per il prossimo
anno di decentralizzare e moltiplicare levento realizzandolo contemporaneamente in tre o quattro
paesi rappresentativi dei vari continenti, favorisca questo processo di
politicizzazione del Forum e la sua
sedimentazione nelle attivit dei
movimenti sociali nazionali. Questo
processo sar tanto pi favorito
quanto pi come avvenuto in
India lanno scorso e in Brasile questanno le forze radicali, antimperialiste e comuniste dei paesi ospitanti il Forum sapranno giocare un
ruolo fondamentale.19
Dopo un lungo periodo di smarrimento ed isolamento, per le forze
comuniste di tutto il mondo si
aprono oggi possibilit nuove ed occasioni preziose di collegamento
con i vecchi e nuovi movimenti. Gli
stessi passi in avanti fatti a Porto
Alegre confermano questa sensazione.
Un altro appuntamento importante
sar il prossimo Festival Mondiale
della Giovent e degli Studenti, che

passati dal secondo al dodicesimo posto nella lista


delle delegazioni estere, sorpassati ampiamente da
molti paesi europei (in primis) la Francia che, con
oltre 1000 partecipanti, si piazza al primo posto
delle delegazioni provenienti dal vecchio continente).
2 Sicuramente uno dei momenti pi partecipati e
significativi di questa quinta edizione del FSM.
Chvez non ha solo confermato la sua straordinaria capacit di istrionico comunicatore ricevendo
ovazioni praticamente ininterrotte, ma ha fatto un
discorso coraggioso ed innovativo. Dopo aver criticato con asprezza il capitalismo (senza combattere
il quale non esiste soluzione alcuna per la fame e
la miseria nel mondo), ha lanciato un progetto di
cooperazione ed integrazione continentale di tutti
i popoli del Sud America per sfuggire alla morsa
dellimperialismo nord-americano (che sta conducendo il mondo alla sua distruzione). Paesi
chiave per questo progetto sono ovviamente il
Venezuela, il Brasile ed i rispettivi partner economici: Sud Africa, India e Cina. Questultima indispensabile tanto per la sua florida economia
quanto per il ruolo che gioca nel mondo e che porta
Chvez a definirla il faro della lotta anti-imperialista. Ed indicativo il fatto che il presidente
del Venezuela abbia approfittato del suo intervento
al Forum per affrontare questioni cos impegnative,

31

Marzo Aprile

Guerra infinita/Lotta per la pace

che rimandano al tema della lotta per il socialismo.

sti delle ONG.

alla rivista Correspondances Internationales.

un passaggio tra i pi applauditi che superare il

8 Tra queste ricordiamo: CEBRAPAZ (Centro bra-

13 Creata nel 1991 come pubblicazione di infor-

capitalismo attraverso la strada di un vero socia-

siliano di solidariet ai popoli e di lotta per la pace

mazioni ed analisi sul movimento operaio e le forze

lismo; solo cos si otterr equit e giustizia per i po-

struttura di recente costituzione, vicina al

della sinistra nel mondo, a partire dal 1996 ha

poli.

PcdoB), WPC (Consiglio Mondiale della Pace),

avuto un processo di apertura e rinnovamento ed

OCLAE (Organizzazione degli studenti

ha allargato la sua rete di collaboratori ad intel-

3 Massima istanza di coordinamento del FSM. Ne

dellAmerica Latina e del Caribe), WFDY

lettuali, docenti universitari e dirigenti autorevoli

fanno parte rappresentanti di 129 paesi di tutti i

(Federazione Mondiale della Giovent

di vari Partiti comunisti e di sinistra. Pubblicata

continenti.

Democratica), UJS (Unione della Giovent

in francese, inglese, spagnolo ed arabo, vede ora la

Socialista organizzazione giovanile autonoma

sua prima edizione in lingua portoghese grazie al-

ma vicina al PcdoB).

limpegno ed al contributo del PCdoB. Jos Reinaldo

Non c altro cammino possibile ha affermato in

4 Sabina Morandi su L i b e r a z i o n e del 29.


01.2005. interessante notare come proprio i temi
posti da organizzazioni aventi posizioni riformiste,

9 Per lItalia intervenuto Alfio Nicotra, respon-

grandi finanziatrici del Forum, non siano pi at-

sabile del settore Pace del PRC.

trattive per la stragrande maggioranza dei partecipanti. Segno questo anche della sedimentazione
di un lavoro profondo fatto dalle forze pi radicali
e rivoluzionarie che, dopo un lungo periodo di oscuramento, venuto ora alla luce e comincia a dare
i suoi frutti.

(Coordinamento Politico) e Gilberto Gil (Cultura),


ministri del Governo Lula; assessori speciali alle
Relazioni Estere della Presidenza della Repubblica;

delle Relazioni Estere, diventato infatti referente


per la rivista in Brasile.
14 Dati tratti dallarticolo Em defesa do socialismo di John Catalinotto, pubblicato su lAvante!,
giornale del Pc portoghese.

sindacalisti della CUT (Centrale Unica dei

15 Emir Sader in Altos e baixos do 5 Frum,

Lavoratori, brasiliana) e della CTA (Centrale del

Agncia Carta Maior 03.02.2005

5 Questo articolo vieta la partecipazione al Forum

Lavoro Argentino); oltre al console del Venezuela

a qualunque rappresentante di partiti politici. Per

ed al presidente della UNE (Unione Nazionale de-

16 Cndido Grzybowski in Niente strategie co-

anni, infatti, si impedita la partecipazione alle

gli Studenti, brasiliana).

muni, sar uno spazio aperto, il manifesto,

forze politiche di orientamento comunista (partiti,


ma anche personalit come Fidel Castro o organizzazioni rivoluzionarie come le Farc), ma non
ai partiti socialdemocratici (come il PS francese o
il PT brasiliano) o ad alcune formazioni trotzkiste.

1 1 Le precedenti edizioni si sono svolte a

25.01.2005

Montevideo, Uruguay (2002), Buenos Aire s ,

17 Walden Bello in Oltre il dibattito, un pro-

Argentina (2003) e Santiago del Cile (2004).

gramma dazione, il manifesto 25.01.2005

Questanno il tema riguardava proprio lattualit


del processo di integrazione dellAmerica Latina e

18 Cfr. Marco Weissheimer in FSM na Venezuela

dellEuropa ed ha visto la presenza di dirigenti dei

e Chvez j despertam oposio, Agncia Carta

PC di Spagna (PCE), Francia, Italia (PRC),

Maior. Grajew a capo dellorganizzazione degli

G recia (KKE), Portogallo, Cuba, Argentina,

imprenditori brasiliani, mentre Whitaker a capo

6 interessane notare come queste posizioni inten-

Venezuela, Per, Ecuador, Cile, Colombia, Bolivia,

di unassociazione di Ong brasiliane legate alle ge-

dano superare la normale dialettica partiti/movi-

Paraguai e Brasile. La questione fortemente dibat-

rarchie cattoliche.

menti (descrivendo una contrapposizione ormai

tuta ruotava intorno allinterrogativo di come si

insanabile fra il ruolo salvifico dei movimenti e

potesse, in un periodo caratterizzato da un rapporto

19 La decisione definitiva sui paesi ospitanti il

quello, oramai ossificato ed impotente, dei partiti)

di forze sfavorevole per un processo rivoluzionario,

Forum verr presa a fine marzo dal CI che si ri-

in favore di un ruolo rivoluzionario assunto dalla

accumulare strategicamente forze rivoluzionarie.

unir a Parigi. Gli stati pi quotati sono il

Cos facendo, si creato un arbitrio incomprensibile e si esposto il Forum allinfluenza solo di alcune forze.

cos detta societ civile per mezzo delle ONG. In

Venezuela per le Americhe, il Pakistan per lAsia ed

buona sostanza si teorizza lesodo dalla politica

12 Oltre allIstituto Maurcio Grabois, i promotori

il Marocco per lAfrica, ma potrebbero esserci an-

(e gli stessi concetti di politica e potere assu-

erano: Rivista O Militante (del PC portohese),

cora sostanziali modifiche. Di sicuro nel 2007 il

mono un valore negativo) per approdare poi su po-

Social Scientist (del PCI-M, India), Center of

WSF, che ritorner ad essere un unico evento in-

sizioni moderate che puntano alla costruzione del-

Marxist Reserch (KKE di Grecia), La Rinascita

ternazionale, approder in terra dAfrica, e c gi

laltro mondo possibile attraverso il ruolo propul-

(PdCI, Italia) e riviste ed Istituti dei PC di Cuba,

una serrata discussione se deve essere uno stato del

sivo di una globalizzazione dal volto umano.

Cina, Vietnam, Venezuela, Romania, Tu rc h i a ,

nord pi vicino allEuropa oppure il Sud Africa

Lussemburgo, Messico, Iraq, Bangladesh, Spagna,

dei forti e radicali movimenti sociali a dover ospi-

Danimarca, Belgio, Cipro, Stati Uniti, (), oltre

tare levento che, fin da ora si preannuncia storico.

7 Vengono chiamati cos, in Brasile, i professioni-

32

1 0 R i c o rdiamo tra gli altri: Aldo Rabelo

Carvalho, vice presidente del PcdoB e responsabile

Marzo Aprile 2005

Foibe

Lattacco alla Jugoslavia provoc


lintensificarsi delle repressioni
nella Venezia Giulia,
con internamenti di massa
in campi di concentramento
di decine di migliaia di sloveni e croati

Gli anni
della violenza

di Galliano Fogar *

GUERRA E DOPOGUERRA AL CONFINE ORIENTALE ITALIANO

ecine di migliaia di sloveni e croati


della Venezia Giulia (allepoca formata dalle province di Gorizia,
Trieste, Pola e Fiume) furono costretti ad espatriare durante il regime fascista. Ottanta mila secondo
lo scrittore erzegovese P. Matvejevi,
che ha trattato pi volte anche il
problema delle violenze contro gli
italiani (foibe e deportazioni).
Il piano fascista di snazionalizzazione impose a sloveni e croati luso
della lingua italiana in tutti i rapporti civili con le autorit e nella
scuola (fin dagli asili), mentre tutta
lorganizzazione politico-culturale
e sociale slovena e croata venne distrutta. Il professor Guido Miglia,
profugo da Pola (e poi insegnante
e preside a Trieste) ricorda che, assegnato come maestro in un paesino croato dellIstria, durante la ricreazione sentiva che i bambini parlavano sottovoce fra loro nella lingua materna, mentre in classe dovevano esprimersi in italiano. Mai
come allora mi sentii cos solo, ha
affermato. Miglia partecip poi alla
resistenza, sia a Pola che a Trieste.
Fall anche, a lungo andare, il tentativo di assimilazione delle popolazioni slovene e croate, puntando
sulle nuove generazioni e inquadrando i giovani nei vari organi del
sistema sociale, politico e culturale
del regime. Tuttavia sloveni e croati
dovettero affrontare gravi difficolt

e momenti di disorientamento e rassegnazione, tenuto anche conto che


i piani del regime si accompagnavano sempre a severe misure repressive contro ogni tentativo di dissenso, anche modesto. Come ha
scritto la storica slovena Milica
Kacin, la crescita dellodio contro
lItalia non era un fine, bens la logica conseguenza delloppressione.
La situazione cominci a cambiare,
con un ritmo sempre maggiore, a
partire dallinvasione italo-tedesca
della Jugoslavia, nellaprile 1941.
Poco pi di un anno prima, la
Venezia Giulia era stata funestata da
un grave incidente minerario: uno
scoppio di grisou nel bacino carbonifero dellArsa (IRI) aveva provocato 185 morti e 147 feriti fra i minatori italiani, sloveni e croati. Ma
linchiesta fu insabbiata. Merita ricordare che dopo l8 settembre
1943 un improvvisato battaglione di
minatori affront una colonna tedesca, bloccandone il tentativo di
raggiungere Fiume, ma subendo
gravi perdite.
Lattacco alla Jugoslavia provoc
lintensificarsi delle repressioni
nella Venezia Giulia, con internamenti di massa in campi di concentramento di decine di migliaia di
sloveni e croati, fra cui vecchi, donne e bambini, e con il conseguente
diffondersi di decessi per malattia e
denutrizione. Alla fine del 1941 co-

minci a ramificarsi nella regione


un movimento partigiano sloveno,
collegato con il Fronte di
Liberazione nazionale (O. F. )
creato a Lubiana da quel partito comunista. Una realt nuova, come
emerse anche dal processo che il
Tribunale Speciale fascista, trasferitosi a Trieste nel dicembre del 1941,
intent a 60 arrestati. Il processo si
concluse con la condanna a morte
dellintellettuale comunista sloveno Pino Toma_i_ e di quattro suoi
compagni, e con dure pene detentive agli altri (professionisti, piccola
e media borghesia slovena di vario
orientamento).
Laggravarsi della situazione provoc
lintervento dello stesso Mussolini,
che a Gorizia, nel 1942, in un rapporto alle massime autorit militari
ordin misure draconiane anche nei
confronti della popolazione civile;
ordini che vennero in gran parte eseguiti. Fu inviato a Trieste lIspettorato
Speciale di Pubblica Sicurezza, che si
guadagn ben presto una triste fama
per le efferate torture praticate anche
sulle donne. Due di queste preferirono suicidarsi gettandosi dalla finestra della sede dellIspettorato prima
di essere nuovamente seviziate.
Presto la triste fama dellIspettorato
si diffuse in citt, e il Vescovo mons.
Santin, informato anche dai cappellani delle carceri, scrisse al governo
di Roma, ma inutilmente. Vi sono

33

Foibe

particolari che fanno inorridire, recitava la lettera.


Dopo l8 settembre 1943, lIspettorato ader alla Repubblica Sociale
Italiana, operando sempre a Trieste
agli ordini della Gestapo e delle SS
del famigerato reparto proveniente
dai lager di sterminio di Sobibor e
Treblinka, che nella citt gestiva il
lager della Risiera di San Sabba. Qui
si uccidevano partigiani o presunti
tali e renitenti alle leve naziste, e si
qui si concentravano gli ebrei destinati ai campi della morte in Polonia.
Lultimo capitolo del regime fascista nella regione tocc apici di
estrema violenza, e giustamente lo
storico triestino Elio Apih parla di
parossismo della violenza. Ebbero
luogo incendi di villaggi, scorrerie
sanguinose, deportazioni di massa
ed esecuzioni collettive in vari villaggi. Nel luglio 1942 Temistocle
Testa, squadrista e prefetto di
Fiume, fece fucilare 91 abitanti e altri 888 ne fece deportare del villaggio croato di Podhum, che fu poi distrutto. Il generale Roatta, comandante della II armata in Balcania, ordin di praticare fucilazioni collettive, distruzioni di villaggi e internamenti di massa, per cui i campi si
moltiplicarono in tutta la Jugoslavia
occupata oltre che in Italia. Si tratt
di decine di migliaia di internati con
famiglie, vecchi, donne e bambini.
E arriviamo al 25 luglio 1943, con il
crollo del regime fascista e lavvento
di quello monarchico presieduto
dal maresciallo Badoglio. Anche a
Trieste e nella regione tutti i poteri
passarono ai militari, ma lIspettorato continu ad operare anche
sotto la nuova gestione.
Allarmistizio dell8 settembre,
come ricorda il tenente colonnello
Dino Di Ianni, le unit tedesche,
con il consenso degli italiani, avevano gi occupato tutti i nodi importanti del territorio. I tentativi dei
comitati antifascisti, a Trieste ed altrove, di ottenere che si armassero i
volontari per opporsi ai tedeschi,
fallirono per lignavia dei comandi
superiori. I quali si accordarono
quasi ovunque con i tedeschi, e
quindi partirono abbandonando i

34

loro reparti alla disgregazione


(tranne alcuni che resistettero, restando poi sopraffatti).
L8 settembre 1943 ebbe in Istria un
tragico epilogo. Partigiani e insorti
assunsero temporaneamente il controllo di gran parte del territorio.
Nel clima esaltante e violento della
libert riconquistata, di un sentimento nazionale a lungo soffocato
e di rivalsa sociale, prese corpo in alcuni dirigenti e insorti croati la volont di una resa dei conti con gli
italiani fascisti. Vennero uccisi e
gettati nelle foibe (cavit carsiche)
notabili di paese e commercianti ritenuti sfruttatori, impiegati comunali ed anche persone con cui il
giustiziere poteva aver avuto screzi
personali, oltre sintende ad esponenti dei Fasci locali. Il quotidiano
italiano di Fiume, cio lorgano ufficiale della minoranza italiana
nella Jugoslavia di Tito, scrisse poi
di uccisioni che erano vendette
personali, non ideali, segnalando
casi di persone italiane e croate soppresse per oscuri motivi. In questo
clima ebbero scarso effetto le direttive impartite dagli organi partigiani di organizzare pubblici processi impedendo nella maniera pi
energica arbitri e vendette. Nel
1943 e 1944 i vigili del fuoco di Pola
recuperarono dalle foibe in Istria
206 corpi, fra cui una ventina di tedeschi. Ma le vittime furono almeno
500, in maggioranza italiane ma anche croate.
Nel settembre-ottobre del 1943 numerosi furono gli italiani dellIstria
che combatterono contro i tedeschi
a fianco delle unit partigiane slovene e croate. Gravi furono le perdite subite, anche per il mancato appoggio dei reparti dellesercito, in
gran parte scioltisi dopo larmistizio. Gli operai del Cantiere navale
di Monfalcone improvvisarono, su
iniziativa comunista, un battaglione
di 700-800 uomini che combatt per
tutto il mese di settembre con le
armi abbandonate dai militari.
Decimata lunit, i superstiti tornarono in Cantiere, tranne alcuni che
gettarono le basi della brigata partigiana Garibaldi-Trieste.

Marzo Aprile

Nella zona di Fiume un reparto di


fanteria del Regio Esercito, datosi il
nome di Garibaldi, con i suoi ufficiali condann in un comunicato
la diserzione degli alti comandi, e
combatt sino ad essere sopraffatto.
Il due maggio 1945 le forze jugoslave occuparono Trieste, Gorizia e
poi quasi tutta lIstria, precedendo
le truppe anglo-americane. Il nuovo
potere consider il CLN come una
forza nemica, in quanto contrario
allannessione alla Jugoslavia. La
polizia politica OZNA-UDBA, gi
polizia partigiana, effettu arresti in
massa e deportazioni di fascisti e
dissenzienti, mentre sul vicino
Carso si rinnovavano le esecuzioni
collettive e i corpi venivano gettati
nelle foibe. Quando lamministrazione anglo-americana sostitu
quella jugoslava nei territori di
Gorizia e Trieste, dopo gli accordi
di Belgrado (giugno 1945), i vigili
del fuoco esplorarono le foibe in
tutta larea fra Trieste e Gorizia, recuperando 464 corpi, di cui 217 di
civili e gli altri di militari, parte dei
quali caduti italiani e tedeschi negli
ultimi giorni di guerra.
Lintensit degli arresti e delle deportazioni in campi jugoslavi, dove
molti internati morirono per malattie, denutrizione ed anche esecuzioni, fu tale da provocare le proteste anche di dirigenti del governo
sloveno, compreso il presidente
Boris Kidri_, per cui fu dato
allOZNA lordine di cessare gli arresti. Da notare che fra i primi bersagli delle repressioni furono i CLN
di Gorizia, dove furono arrestati e
poi uccisi i due rappresentanti del
Partito Socialista e del Partito
dAzione di Trieste e di Fiume.
Tra gli uccisi o i morti in deportazione per opera jugoslava, alcuni
militari venuti in licenza e appartenenti al Corpo Italiano di
Liberazione, reduci dal fronte sotto
il comando anglo-americano. Fra
gli antifascisti di Fiume uccisi o
scomparsi dopo larresto, Angelo
Adam, gi arrestato e confinato dal
regime fascista e poi deportato dai
nazisti a Dachau. Arrestato dagli jugoslavi assieme alla moglie ed alla fi-

Marzo Aprile 2005

glia, scomparve per sempre. Anche


lUnione degli Italiani di Fiume, nel
dopoguerra, non riusc a trovare
tracce di lui e dei congiunti. Adam
aveva aderito al Partito dAzione.
Nella sua breve gestione il Tribunale
del Popolo costituito a Trieste cerc
di darsi una certa legalit, a differenza di altri organi similari in altre
localit. Tra laltro, in un pubblico
comunicato questo Tribunale avvert la massa dei delatori anonimi
che le loro accuse non sarebbero
state prese in considerazione.
A Trieste ed altrove gli ambienti nazional-patriottici, assieme a quelli di
matrice gi neofascista, continuano
a fornire le cifre di 20, 30 mila infoibati dagli jugoslavi. Un quotidiano nazionale arrivato a parlare
di 50 mila unit. Clamorosi sono poi
gli errori geografici e storici della
grande stampa, per cui lItalia avrebbe perso, dopo la seconda guerra mondiale, non solo lIstria ma anche la Dalmazia (RAI nazionale), e

Foibe

le foibe sarebbero sparse fra il


fiume Carso e la Dalmazia, mentre
la citt di Zara si troverebbe in Istria,
e via di questo passo. Per inciso, il
Carso uno degli altipiani rocciosi
dove, fra Trieste e Gorizia, durante
la prima guerra mondiale lesercito
italiano si dissangu per anni. La
Dalmazia stata sotto occupazione
militare italiana soltanto per due
brevi periodi, dopo la Grande
Guerra e dal 1941 al 1943, appartenendo prima allImpero asburgico
e poi al Regno di Jugoslavia. Zara invece, assegnata al lItalia dopo il
primo conflitto mondiale, una
citt dalmata.
Sempre secondo certi ambienti patriottici, considerati con rispetto
dalla grande stampa, le uccisioni
compiute dagli jugoslavi rispondevano ad un piano di sterminio etnico degli italiani. Il professor
Diego de Castro, istriano, gi docente allUniversit di Roma e strenuo difensore della sua terra, mem-

bro della commissione italiana alla


conferenza di pace e rappresentante del nostro governo presso
quello militare alleato, ha contestato ripetutamente la tesi dello sterminio etnico, e calcolato che il numero delle vittime uccise dagli jugoslavi o morte durante la deportazione oscilla tra le quattro e le sei
mila persone. Cifre analoghe sono
riconosciute dagli studiosi pi seri
di quel periodo. Ed gi un bilancio tragico.

* Galliano Fogar ha pubblicato diversi studi


sulla storia di Trieste e della Venezia Giulia
nel periodo fascista e nella seconda guerra
mondiale. Lautore appartiene al gruppo dei
primi soci dellIstituto regionale per la storia
del movimento di Liberazione nel Friuli
Venezia Giulia di Trieste, Istituto fondato nel
1953 su iniziativa di Ercole Miani, membro
del CLN giuliano e comandante di Giustizia
e Libert nellinsurrezione del 30 aprile 1945.

35

Marzo Aprile

Politica

L alternativa programmatica
non va al di l, per il momento,
dellimpegno per la verit formulato
in termini alquanto generici
di reagire al declino del Paese

Alternativa:
un cammino difficile

di Giuseppe Chiarante

LUNIONE PER BATTERE BERLUSCONI UNA BUONA COSA, MA CERTI


ENTUSIASMI SONO FORSE ECCESSIVI.
PASSI AVANTI, LIMITI E AMBIGUIT IRRISOLTE

Non davvero facile prevedere se la


Federazione riformista riuscir effettivamente a diventare secondo
limmagine lanciata da Piero
Fassino al recente Congresso dei
Democratici di Sinistra e subito largamente ripresa dai suoi alleati il
timone che con riconosciuta autorit sar alla guida dellalleanza
che nel 2006 contender, con forti
probabilit di successo, a Berlusconi
e alla destra la direzione del paese.
Personalmente ho pi di una riserva
(ma ritorner pi avanti su questo
punto) a proposito dellottimismo,
che a me pare eccessivo, con il quale
nel centro sinistra si continua a
guardare ad una scadenza elettorale
ancora relativamente lontana.
Quali che possano essere, infatti, i
risultati delle imminenti elezioni regionali (scrivo questo articolo una
decina di giorni prima del voto),
sembra a me ragionevole, per diversi motivi interni e internazionali
di cui doveroso tenere conto, mantenere un atteggiamento pi prudente e problematico.
per indubbio che i quattro partiti che hanno dato vita alla FED
sembrano aver superato il momento di grave difficolt al quale
erano pervenuti dopo leuforia seguita alle amministrative della tarda
primavera, nello scorso anno.
Quando cio le divisioni e le polemiche si erano venute moltipli-

36

cando fra loro e al loro interno, anche sulle questioni apparentemente pi superficiali (come i nessi e le
forme dellalleanza o le modalit
delle intese per le elezioni regionali), tanto da rimettere in dubbio
pareva la possibilit di unificare,
anche solo in forma federativa, formazioni politiche di cos diversa origine e matrice ideologica.
Poi, landamento e le conclusioni
del Congresso dei DS, lattutirsi dei
contrasti sulla Margherita, soprattutto la presenza e liniziativa di Prodi, hanno ridato fiato al progetto riformista. E sebbene non si possa
dire che i dissensi di fondo siano
stati del tutto superati e, soprattutto,
che vi sia stato un reale e compiuto
chiarimento sugli obiettivi politici e
programmatici (dei quali, in verit,
si finora discusso molto poco), la
Federazione ha ripreso quota, occupando il ruolo di principale soggetto dellUnione che si opporr
alla destra.
Ma non si pu non porsi questa
domanda con quali effettive prospettive di successo? E con quali possibilit di dar vita, assieme alle altre
forze di centro sinistra, ad uno
schieramento che non solo riesca a
liberare lItalia (come, ovviamente,
tutti ci auguriamo) dallattuale governo, ma che giunga anche a tradursi in una reale e non effimera alternativa democratica a Berlusconi

e al berlusconismo?
2. Ritengo, in ogni caso, che sia sbagliato pensare che se la nave va
se, cio, la Federazione riformista
riuscita a cominciare la sua navigazione bench le divergenze interne
non siano state del tutto colmate, e
anzi continui a mancare una piattaforma politica e programmatica
compiutamente e chiaramente definita tutto ci sia dovuto solamente
ad una considerazione tattica: ossia
alla preoccupazione di opporre alla
destra uno schieramento di centro sinistra abbastanza compatto e almeno formalmente unito.
Certo, questa preoccupazione ha indubbiamente contato, e ci pi
che ragionevole. Ma c qualcosa di
assai pi sostanziale che oggi unifica
al di l delle pur notevoli differenze di tradizione culturale e politica che continuano a riaffiorare
le forze del centro democratico e
della sinistra moderata, dalla maggioranza DS alle componenti laiche
e cattoliche della Margherita, dallo
SDI, ai repubblicani europei. Si
tratta del convincimento, condiviso,
che in un mondo dominato da ununica superpotenza nel quale il capitalismo non solo ha esteso i suoi
confini attraverso i processi di globalizzazione, ma ha rimesso in discussione il compromesso socialdemocratico al quale era stato co-

Marzo Aprile 2005

stretto dalle lotte del movimento


operaio e soprattutto dalla competizione con lUnione Sovietica la
sola alternativa di governo concretamente possibile vada ricercata su
una linea moderata. Una linea rivolta, sostanzialmente, a contenere
e a temperare gli eccessi delloffensiva neocentrista, confidando in
una modernizzazione capitalistica
che si concili con le regole della democrazia, sia rispettosa dei diritti civili, assicuri un minimo di equit sociale. una linea che sul piano internazionale punta sullobiettivo
ormai fatto proprio, del resto, dalla
stragrande maggioranza dei partiti
socialdemocratici europei, compresi quelli che hanno esplicitamente criticato le scelte di Blair di
unintesa fra Europa e Stati Uniti
che riesca a moderare la spinta aggressiva della politica di Bush e a sostituire la teoria e la pratica della
guerra infinita con una pi equilibrata gestione degli affari del
mondo, pur senza rinunciare, ovviamente, ad una considerazione
prioritaria degli interessi degli Usa
e dellOccidente.
Quanto allItalia, lobiettivo prioritario , naturalmente, quello di sconfiggere Berlusconi, ponendo fine (e
nessuno pu sottovalutare limportanza che avrebbe questo risultato)
allattacco al regime democratico e
agli interessi dei lavoratori che lattuale governo conduce. Ma lalternativa programmatica non va al di l,
per il momento, dellimpegno per
la verit formulato in termini alquanto generici di reagire al declino del Paese e di promuovere una
ripresa dello sviluppo che si caratterizzi per una meno iniqua distribuzione del reddito: fra i diversi ceti sociali, innanzitutto, ma anche fra interessi privati e fini di valore collettivo (come la scuola, la sanit, la ricerca, i beni e le attivit culturali, i
servizi per il pubblico, ecc.).
In questo convincimento che diventato un sorta di cultura politica
condivisa si ritrovano, di fatto,
tutte le componenti che hanno dato
vita alla Federazione democratica.
Certo, al suo interno non mancano

Politica

le posizioni differenziate. Vi chi


il caso di Rutelli, di Amato, dello
SDI, dellestrema destra DS rimane di fatto convinto che la modernizzazione del Paese si otterr
proseguendo con coerenza (e proprio su questo polemizza con il demagogismo di Berlusconi) su una linea di rigore, di liberismo, di apertura alle privatizzazioni quale quella
intrapresa dal centro sinistra nel
quinquennio 96-2001; e chi, invece, mostra di avere, almeno in
parte, preso coscienza come non
pochi degli esponenti della maggioranza diessina dei limiti di quellesperienza, e tende a correggerla
in un senso pi tradizionalmente socialdemocratico. Ma le coordinate
di fondo del progetto politico rimangono quelle in precedenza indicate: non a caso i dissensi e le polemiche non hanno fermato il progetto di avviare, attraverso la
Federazione, un processo di unificazione delle forze riformiste.
3. Che cosa hanno fatto, o possono
fare, le forze della sinistra cosiddetta alternativa per cercare di qualificare in senso pi innovativo la
piattaforma politica e programmatica con cui affrontare, nellanno
che ci sta davanti, il confronto con
il centro-destra? chiaro che una risposta a questo interrogativo non
avrebbe senso se non fosse impostata in termini realistici; ci significa che, certamente, giusto porre
il problema di costruire in Italia una
vera e robusta forza di sinistra, che
vada oltre lesperienza, pur cos importante, del Novecento, e sappia
darsi una prospettiva di un sostanziale cambiamento della societ nel
quadro di un nuovo ordine mondiale. Ma altrettanto evidente che,
nel momento attuale, per sconfiggere la destra in una competizione
elettorale regolata da una legge
maggioritaria indispensabile un
compromesso con le forze numericamente pi rilevanti della sinistra
moderata e del centro democratico.
Quello che nella situazione di oggi
si pu pensare effettivamente di ottenere , in pratica, di spostare il

punto di equilibrio di questo compromesso, almeno su alcune questioni di particolare rilievo, in modo
da dare una rappresentanza politicamente significativa nella campagna per le politiche del 2006 allelettorato di sinistra.
Sarebbe certamente un errore sottovalutare ci che in questo senso gi
stato fatto, dopo il 2001, dalle forze
della sinistra alternativa, anche grazie allo sviluppo dei movimenti, alliniziativa dei cosiddetti girotondi, alla ripresa delle lotte sindacali. Non solo dovuto a questa complessiva mobilitazione lo spostamento su posizioni pi avanzate di
una parte non trascurabile dello
schieramento di centro-sinistra anche su questioni di grande rilievo,
come il giudizio sulla guerra in Iraq.
Ma tale mobilitazione certamente
ha pesato tra i fattori che hanno riaperto, nelle file dellopposizione,
una riflessione critica sui limiti dellesperienza di governo del precedente quinquennio. Se si pensa,
per, allenfasi con cui era stato salutato il 13 per cento ottenuto dalle
liste collocate alla sinistra dei partiti
che oggi compongono la FED, e se
si tiene anche conto della minoranza
diessina, fuori dubbio che questa
potenziale sinistra alternativa non
ha sinora esercitato, nel determinare la linea con la quale verr affrontato il confronto con la destra,
un ruolo adeguato al peso che essa
ha nellelettorato complessivo.
E ci soprattutto perch sono finora
generalmente mancati, in questo
arco di forze, il coraggio e la capacit di rimettersi radicalmente in
discussione, per cercar di promuovere, in un confronto aperto e senza
pregiudiziali, lelaborazione di una
nuova prospettiva strategica che abbia davvero valore unificante e che
possa apparire non meno realistica
di quella cui si affida la sinistra moderata. perci prevalsa, tra le forze
minori dellarea di sinistra, la tendenza a difendere, ciascuna, la propria peculiarit e a rinserrarsi sulle
posizioni acquisite.
La forza maggiore Rifondazione
comunista si invece rimessa in

37

Politica

discussione, ma lha fatto soprattutto in modo da mettere a frutto,


come maggiore componente di sinistra dellUnione, il suo peso determinante per la formazione di
uno schieramento con aspirazione
di governo, piuttosto che con lobiettivo di dare avvio ad un pi ampio processo di unificazione della sinistra di alternativa. Va comunque
dato atto a Bertinotti di aver posto
senza esitazioni, con la sua svolta repentina, il problema dellassunzione di una responsabilit di governo, sia pure al prezzo di rinviare
ad un futuro imprecisato il necessario confronto programmatico. Non
si pu tuttavia non notare che la gestione decisamente monocratica
del recente congresso del Prc appare assai lontana da quel nuovo
modo di fare politica che da considerarsi essenziale per un effettivo
rinnovamento della sinistra.
4. I molti interrogativi lasciati in sospeso da questo processo tortuoso
di costruzione dello schieramento
la cosiddetta Unione che dar battaglia a Berlusconi nelle prossime
elezioni politiche sono uno dei fat-

38

tori che contribuiscono (ritorno allosservazione iniziale) a far ritenere azzardata una pressione
troppo ottimistica sullesito di tali
elezioni.
Certo, importante che centro-sinistra e sinistra si presentino uniti,
come sembra essere ormai acquisito, a questo appuntamento. Ed
ragionevole supporre che possano
giocare a loro favore sia il diffuso
disagio economico e sociale che c
nel Paese come gli errori compiuti
dal governo e larroganza di cui in
tante occasioni esso ha dato prova.
Ma almeno due dati debbono indurre a una pi che ragionevole
prudenza. Il primo che laccentuato moderatismo che caratterizza
le posizioni politiche e programmatiche della Federazione riformista e il fatto che lUnione si sia costituita pi come unalleanza elettorale che attraverso un confronto
attorno ad obiettivi qualificati e ben
definiti, lascia aperto il dubbio circa
la sua effettiva capacit di mobilitazione dellelettorato; soprattutto
dellelettorato meno politicizzato
(e tale , nella maggior parte dei
casi, quello che pi vive in condi-

Marzo Aprile

zioni di acuto disagio sociale), che


avrebbe forse bisogno di una piattaforma con una pi evidente qualificazione di sinistra.
Il secondo dato che difficile calcolare il possibile effetto di cambiamenti internazionali, in particolare
della politica di Bush e della destra
n e o c o n s e rvatrice, che non mancher di far sentire il suo peso a favore di Berlusconi e dellattuale governo. Come non va certo sottovalutata lincidenza che pu avere la
netta progressione per una collocazione a destra, che oggi ostentata,
anche da parte delle autorit ecclesiastiche. Sono fattori che solo un
forte slancio democratico e di sinistra uno slancio culturale e ideale
oltre che politico pu concretamente controbilanciare. Ma soffia
oggi, questo vento? per questo che
la battaglia per il 2006 ancora da
considerarsi tutta aperta. E anche
chi, pur senza identificarsi con nessuno dei partiti che la costituiscono,
si sente partecipe delle posizioni e
delle speranze di una sinistra critica
e alternativa, ha un ruolo concreto
da svolgere in questo confronto per
tanti versi decisivo.

Marzo Aprile 2005

Politica

Che cosa potrebbe accadere


se dovesse ripetersi
unesperienza analoga
a quella che abbiamo vissuto
tra il 96 e il 2001?

Governo,
programma,
alternativa
di societ

di Alessandro Volponi
docente di Filosofia, segretario Federazione PRC di Fermo

I NESSI FRA QUESTI TRE TEMI NEL DIBATTITO E NELLE SCELTE


IN RIFONDAZIONE DOPO IL VI CONGRESSO

n Italia, si dice nella tesi 11 di Bertinotti, la necessit della partecipazione al governo di Rifondazione
comunista nasce dalla esigenza improrogabile di sconfiggere il governo Berlusconi e di costruire ad
esso una alternativa. La portata di
questa affermazione non pu essere
minimizzata: un governo che veda
la presenza di ministri comunisti, finalmente riformatore e quindi sostanzialmente alternativo al centrodestra, arresterebbe la decadenza
del paese e il processo di spoliazione
dei redditi e dei diritti di tanta parte
del popolo italiano, che non potrebbe non riconoscere in Rifondazione il decisivo fattore della svolta. Si fermerebbe con ogni probabilit il pendolo della delusione e
della disperazione, si creerebbero
le premesse per obiettivi di trasformazione pi ambiziosi, sostenuti
dal prestigio crescente del PRC e da
movimenti di massa rasserenati e riconciliati con la politica.
Voglio sottolineare le due condizioni ovvie di inveramento di uno
scenario cos ottimistico: 1) successo del centro-sinistra alle politiche del 2006 (indispensabile probabilmente anche soltanto per la
salvezza della democrazia italiana);
2) successo di una politica di riforme (attraverso un governo stabile per lintera legislatura che affronti i nodi di fondo e rilanci lo svi-

luppo civile del paese). Si tratta di


risultati vitali per lItalia e per la sinistra, tuttaltro che facili da conseguire, in particolare il secondo, e tra
i quali esiste un nesso evidente.
Se il paese, infatti, percepir lalternativa di governo come la conseguenza naturale della vittoria elettorale, si coniugano disperazione e
speranza, allora le chances del Polo
si riducono di molto, perch saranno mobilitate tante energie, saranno espresse tante potenzialit.
Certo, si pu vincere per la sola disperazione (altri cinque anni di Berlusconi?), ma si tratta di una scommessa rischiosa per una posta
troppo alta.
Sul punto delle elezioni politiche e
del futuro governo dellUnione il
messaggio che viene dal VI Congresso del PRC sembra essere, nella
pi benevola delle sintesi, questo:
domani si lotta per battere Berlusconi ad ogni costo, dopodomani si
lotta per strappare ad un governo di
centro-sinistra (con ministri di
Rifondazione ) una politica di centro-sinistra. Se non condizionato,
infatti, lex Ulivo irresistibilmente
attratto dalle politiche di destra, e a
destra non solo di Jospin ma anche
di Chirac in politica estera e in politica economica; a destra di
Zapatero in politica estera e nelle
questioni che attengono alla laicit
dello stato, mentre la sinistra dellex

Ulivo stata ed impotente proprio


perch andata al governo senza se
e senza ma, proprio perch sta nel
centro-sinistra a prescindere.
Che cosa potrebbe accadere se dovesse ripetersi unesperienza analoga a quella che abbiamo vissuto
tra il 96 e il 2001? Se, cio, il risanamento dei conti pubblici dovesse
realizzarsi a spese del lavoro dipendente e delle pensioni, se lagenda
della politica economica dovesse essere dettata ancora una volta dalla
Confindustria? O se addirittura lesigenza della continuit legislativa
dovesse prevalere sullistanza di
abrogazione delle leggi con le quali
il Polo ha assaltato il diritto del lavoro, gli immigrati, la scuola pubblica, i diritti delle donne, la pianificazione urbanistica, lambiente e i
beni culturali, il diritto alla pensione e della previdenza pubblica, e
non soltanto lindipendenza della
magistratura, la punibilit dei delinquenti potenti o la verit dei bilanci aziendali?
Sulla necessit almeno di parziali
correzioni rispetto a questa immensa devastazione del paese (e lelenco incompleto) e della prima
parte della Costituzione sembrano
concordare tutte le opposizioni, ma
bene ricordare che lazzeramento
delloffensiva del Polo (che prosegue con la manomissione della seconda parte della Costituzione)

39

Politica

comporta la messa in discussione di


un retroterra politico e culturale e
di pratiche di governo, nazionale e
locale, che caratterizzano una parte
rilevante del centro-sinistra.
Tra le due ipotesi estreme (la pi ottimistica e la pi catastrofica) sono
naturalmente possibili tanti scenari
intermedi, anzi probabile che si verifichi una situazione complessa e
sfumata. altrettanto naturale, in
questo caso, che le diverse anime di
Rifondazione si dividano sulla valutazione delloperato del governo in
base alle posizioni assunte nel dibattito congressuale.
Azzardiamo, intanto, una risposta
che esprime soltanto una convinzio-

Non si comprende perch


il centro-sinistra al governo
dovrebbe concedere di pi al PRC
ed ai movimenti di quanto potrebbe
impegnarsi ora, prima di un confronto
elettorale incerto, per il quale
il contributo di Rifondazione
probabilmente decisivo

ne personale: in unItalia peggiore


del 96, se lauspicata maggioranza
di centro-sinistra non dar il meglio
per qualit di obiettivi e per organicit ed efficacia dellazione di governo, non ci sar uscita dalla crisi
italiana ed il collasso della democrazia sar rinviato solo di qualche
anno. Di pi: se il paese non vedr
nel centro-sinistra la possibilit di
una svolta, ben difficile che si
colga loccasione del governo.
Su questa questione vitale, per il
paese innanzitutto, per le forze democratiche, per la prospettiva di esistenza e di crescita di un partito comunista in Italia, sulla questione del
governo, al Congresso di Rifondazione si discusso malgrado tutto.
Malgrado, voglio dire, lasserita e ri-

40

badita marginalit della questione


nella posizione del segretario e dei
sostenitori della prima mozione.
Proviamo a riassumere, col dovuto
distacco a Congresso concluso, le diverse posizioni e le argomentazioni
che le hanno sorrette, in ordine alle
questioni del governo e delle alleanze.
Una minoranza del partito (un settimo circa dei consensi), con toni e
accenti diversi, esclude la possibilit
di un accordo di governo, pur riconoscendo la necessit di unintesa
elettorale per impedire il successo
del Polo. Per la sua natura di classe
o per il suo retroterra culturale ed
ideologico, per la sua impermeabilit alle istanze dei nuovi movimenti
che si sono sviluppati in questi anni
in Italia e nel mondo, il vecchio Ulivo mutato nel nome e nella forma
organizzativa ma sostanzialmente
immobile congenitamente incapace di unazione riformatrice nellinteresse dei ceti popolari. In un
governo della borghesia, dunque,
Rifondazione non potrebbe che essere subalterna, recidendo i suoi legami con i movimenti e le classi sociali di riferimento, avviandosi a una
mutazione genetica che trancia la
prospettiva di un partito comunista
di massa. Le frequenti esternazioni
di importanti esponenti del centrosinistra sembrano sovente convalidare questa analisi.
La maggioranza del partito (il 59%
circa) ha approvato la posizione del
Segretario: laccordo di governo
indispensabile, il popolo della sinistra, lo stesso elettorato di Rifondazione, non comprenderebbe una
scelta diversa. Intese parziali o semplicemente elettorali non sarebbero comprese e travolgerebbero
prima di tutto Rifondazione, percepita come elemento di debolezza
dello schieramento democratico
che deve contrapporsi a Berlusconi.
Il vecchio Ulivo, inoltre, non c pi;
il liberismo in crisi, la borghesia
italiana disorientata e priva di progetto. I movimenti in questi anni
hanno profondamente modificato
lambiente sociale, sindacale, culturale, riaprendo un orizzonte di spe-

Marzo Aprile

ranza e di progresso. Sui contenuti


di questa alleanza si dapprima
detto che era inutile ingaggiare un
braccio di ferro, sicuramente perdente, tra i partiti, e quindi la futura
azione di governo sarebbe dipesa
dalla pressione dal basso, dalliniziativa e dalla mobilitazione popolare che lo stesso PRC dovr stimolare divenendo quindi partito di
lotta e di governo. Successivamente,
per, si affermata la volont di
competere, con un programma alternativo, per la leadership dellUnione, accettando il principio di
maggioranza (osservo di passaggio
che il candidato vincente affermerebbe tutto il suo programma, come
nel genuino spirito del criterio
maggioritario, legittimo genitore
delle primarie). Da ultimo (Panorama, 27/1/ 2005) Bertinotti ha proposto una grande assemblea programmatica con una platea tripartita di delegati (movimenti, amministratori locali, partiti); in caso di
divergenze su singoli punti si rinvia
ad una consultazione di base come
avvenuto in Puglia tra Vendola e
Boccia, ribadendo comunque il
principio di maggioranza.
Entrambe dogmatiche (al governo
senza se e senza ma, fuori dal governo senza se e senza ma), queste posizioni non possono per essere poste sullo stesso piano. Il quadro disegnato dai compagni avversi alla
partecipazione al governo e le previsioni conseguenti sono infinitamente pi realistici e logicamente
coerenti. Non si comprende, infatti, perch il centro-sinistra al governo dovrebbe concedere di pi al
PRC ed ai movimenti di quanto potrebbe impegnarsi ora, prima di un
confronto elettorale incerto, per il
quale il contributo di Rifondazione
probabilmente decisivo.
Ma, per sgombrare il campo da ogni
equivoco, bene aggiungere che
nessuno finora ha invocato una trattativa esclusiva tra vertici di partito
o delegazioni di esperti, e che i cosiddetti movimenti, in primis quello
sindacale, hanno gi prodotto elaborazioni programmatiche ed anche qualcosa di pi, come organici

Marzo Aprile 2005

disegni di legge, ed hanno quindi


tutti i titoli per partecipare ad un
confronto vasto e articolato con le
forze politiche.
La verit che una discussione sulle
modalit di costruzione del programma non mai iniziata, e che
tale questione avvolta da una nebbia fitta, mentre si rincorrono le
emergenze con proposte mai passate al vaglio di una discussione collettiva.
C infine una terza posizione (sostenuta da un quarto circa dei consensi) che reclama precise condizioni programmatiche per un accordo di governo, verso il quale non
si nasconde un certo scetticismo in
considerazione degli orientamenti
prevalenti nel centro-sinistra ed anche di una lettura problematica
della crisi del liberismo e della
crisi dei ceti dirigenti italiani, crisi
certamente di strategia ma non altrettanto sicuramente di egemonia.
Questa posizione, empirica perch
rinvia ai fatti la soluzione del dilemma alleanza si alleanza no, problematica perch non presume di
conoscere in anticipo lesito del
confronto, e prudente perch assillata dalla preoccupazione di evitare
il ripetersi della situazione verificatasi tra il 96 e il 2001, merita di essere sviluppata nelle sue diverse implicazioni.
intanto una posizione democratica, poich comporta una giustificazione pubblica, fondata sui contenuti dellatteggiamento di
Rifondazione sia nel caso di una rottura che nel caso della conclusione
di un accordo di governo. culturalmente feconda, se allapprofondimento delle questioni di sostanza
viene chiamato ad impegnarsi linsieme del Partito. socialmente feconda, se nellelaborazione si intrecciano rapporti con le pi varie
espressioni della societ civile. politicamente produttiva, perch lunica che possa strappare un compromesso accettabile. immediatamente produttiva, se determina un
salto di qualit dellopposizione al
governo Berlusconi in questultimo
anno di vita della legislatura.

Politica

singolare questa rimozione dellattivit parlamentare, come se la


futura azione di governo non avesse
niente a che fare con lattuale opposizione. Lidea che un leader edifichi una fabbrica del programma,
complementare allidea che perdere le elezioni significhi attendere
il prossimo turno e nel frattempo
fare propaganda. Unopposizione
seria un governo in pectore; lUnione pu (deve) in questultimo anno
presentare unitariamente proposte
di legge sulle materie pi varie: una
contro la Moratti per la qualit della
scuola pubblica di massa, una contro Lupi per salvare il salvabile nel
governo del territorio, una contro
la legge Biagi, che la CGIL ha per la
verit gi confezionato (raccogliendo 5 milioni di firme) e che attende
di essere sostenuta in Parlamento,
ed in pi una legge onerosa sui licenziamenti collettivi, una legge
sulla rappresentanza e la democrazia sindacale, una legge sulla previdenza che salvaguardi i diritti acquisiti ed incrementi sostanziosamente i coefficienti di rivalutazione
nel sistema contributivo, una rimodulazione dei contributi che renda
i contratti atipici superstiti pi costosi del lavoro a tempo indeterminato, una profonda riforma fiscale1,
un dispositivo di recupero automatico del potere di acquisto dei salari
e delle pensioni 2 , una contro-finanziaria 2006 che preveda una
massiccia politica delle piccole
opere (edilizia scolastica ed universitaria, manutenzioni e sicurezza
stradale e ferroviaria, rimboschimento, prevenzione del rischio idrogeologico).
Qui sta lesperimento decisivo, perch se Rifondazione ed il centro-sinistra non sono in grado di fare insieme una vera opposizione, allora,
a fortiori, non possono insieme governare. Si cerchi in questo caso una
soluzione di ripiego, e lex Ulivo si
assuma tutte le sue responsabilit.
Rifondazione spiegher ai lavoratori, ai pensionati, agli ambientalisti veri, agli insegnanti, e agli studenti le ragioni di un accordo mancato, bench perseguito onesta-

mente e con convinzione.


Diversamente un governo dellUnione sar il naturale sviluppo dellattivit dopposizione, e la nuova
maggioranza non avrebbe che da riprendere liter legislativo avviato
nella presente legislatura. Nessun
programma elettorale sottoscritto
potrebbe possedere la precisione,
larticolazione e la forza vincolante
di una tale attivit parlamentare
che, ovvio, deve costituire lo sbocco istituzionale di una partecipazione, la pi larga possibile, allelaborazione delle proposte.
Va da s che occorrer tagliare la

Occorrer tagliare
la spesa militare funzionale
agli interventi oltreconfine:
sistemi darma (portaerei,
aviogetti di larga autonomia etc.)
addestramento e mantenimento
di corpi speciali

spesa militare funzionale agli interventi oltreconfine: sistemi darma


(portaerei, aviogetti di larga autonomia etc.) addestramento e mantenimento di corpi speciali. Occorre inoltre avviare la chiusura delle
basi americane in Italia e la loro riconversione ad usi civili.
Bench allultimo posto di un elenco che ha solo valore esemplificativo, la questione della guerra, della
partecipazione italiana alla guerra,
costituisce un discrimine insuperabile. La maggioranza congressuale
del PRC pu nutrire la speranza
che, grazie alla Resistenza irachena,
per qualche anno (per la fase del futuro governo di centro-sinistra) siano scongiurate ulteriori avventure
militari dellimperialismo americano. Magari gli stessi compagni
che quella Resistenza hanno considerato con sufficienza e sospetto, o

41

Politica

hanno semplicemente voluto confonderla con il terrorismo.


Bisogna rammentare che liniziativa americana non determinata
da una contingenza? Occorre ricordare il peso che la spesa militare
esercita sul bilancio e sulleconomia
statunitensi, o che la guerra il keynesismo di guerra per gli USA lo
strumento pi efficace nella competizione con lEuropa e che i conflitti armati regionali ( Jugoslavia,
Iraq, Afghanistan) rappresentano,
insieme, un tentativo di dominio
geopolitico, il controllo sulle rotte
del petrolio e unaccumulazione di
forze militari per vincere una guerra strategica ( guerra fredda come
fu contro lURSS o calda, vera)
contro la Cina? possibile che la
Resistenza irachena provochi, come
ha gi provocato, unulteriore dilazione nellagenda di guerra statunitense. Anche per questo i combattenti iracheni vanno sostenuti senza
riserve; ma noi, smaltiti i fumi dellImpero, dobbiamo prepararci al
peggio e preparare gli amici del centro-sinistra allidea che Rifondazione non solo uscirebbe da un governo di guerra, ma cercherebbe di
farlo cadere con ogni mezzo.

Dobbiamo prepararci al peggio


e preparare gli amici
del centro-sinistra
allidea che Rifondazione
non solo uscirebbe da un governo
di guerra, ma cercherebbe
di farlo cadere con ogni mezzo

IL

P R O B L E M A D E L L E F F I C A C I A

Nellopinione pi avvertita diffuso


il sentimento che nella crisi italiana
vi sia un elemento specifico, peculiare, che la rende diversa e drammatica rispetto al ristagno europeo,
ma anche cupa e disperata rispetto

42

ad una America latina cos mobile e


sorprendente. Sar sufficiente una
raffica di buone leggi per arrestare
la decadenza palpabile del paese?
Qual , intanto, lo specifico della
crisi italiana? Le motivazioni strettamente economiche non spiegano
in modo adeguato o, meglio, rinviano ad ulteriori spiegazioni. Che
decine di migliaia di piccoli autocrati semianalfabeti, specializzati
nella violazione di tutte le norme e
nel super sfruttamento della forzalavoro vadano in pezzi nellimpossibile competizione sui costi non pu
sorprendere. Che molti di costoro
delocalizzino nel mondo della semi
schiavit, anche questo non pu
sorprendere.
Bisognerebbe chiedersi piuttosto
come hanno potuto sopravvivere e
prosperare finora. Bisognerebbe
chiedere agli Ispettorati del lavoro,
alla Guardia di finanza, agli Uffici
delle imposte, agli Ispettori delle
ASL come potuta avvenire per decenni questa immensa dissipazione
di lavoro umano, e in quali condizioni, nel piccolo mondo del non
contratto al riparo dello Statuto dei
lavoratori e del famigerato articolo
18. Alla selezione razionale delle microimprese che la legalit avrebbe
dovuto operare, subentra la selezione feroce e disordinata che la
globalizzazione determina.
Ma non si tratta solo di questo. Da
anni conosciamo laltra faccia del
modello marchigiano o del miracolo del nord-est, in crisi la grande
industria, il traffico ferroviario impazzisce per alcuni centimetri di
neve, l Alitalia impiega anni per allontanare gli svaligiatori della Malpensa, il paese va in blackout per la
caduta di un albero svizzero, e non
si citino i bilanci dellENI o
dellENEL per eccepire, si tratta di
enormi monopoli di fatto dove la
pratica delle tangenti e la politicit
delle carriere non costituisce leccezione. Anche il sistema bancario
fa profitti, ma sulla sua efficienza e
quindi capacit di resistere alla colonizzazione straniera nutriamo pi
certezze che dubbi, per non dire del
ruolo che svolge nei confronti degli

Marzo Aprile

investimenti produttivi e innovativi.


Tutti i sistemi complessi di questo
paese sembrano malati del morbo
che affligge la Pubblica amministrazione: la corruzione, latu sensu,
ben oltre la fattispecie penale, che
pure non manca. (La Corte dei Conti, nelle sue osservazioni sullamministrazione finanziaria, parla di
diffusa devianza, termine mutuato dal gergo dei criminologi).
Assunzioni e carriere sono determinate da tutto: la cessione dei primi
stipendi, lavvenenza, lo zio prete,
lappartenenza ad una loggia, la sottomissione servile, mentre merito e
competenza sono requisiti residuali. Praticamente tutte le organizzazioni di questo paese sono dominate da coalizioni invincibili di
mediocri ben radicate nelle strutture gerarchiche.
Se anche per la corruzione esiste
una dialettica della qualit e della
quantit, se cio esiste una soglia di
diffusione oltre la quale la corruzione da furtiva si fa arrogante e persecutoria nei confronti dei capaci e
degli onesti, bene, allora quella soglia labbiamo superata da un pezzo
in mille comparti della societ e
dello stato.
Consideriamo che tutto questo corrisponda anche solo in parte alla
realt, allora lo specifico della crisi
italiana prima di tutto di ordine
culturale e civile, ma anche politico,
perch concerne il potere (i poteri), la sua distribuzione, le modalit del suo esercizio, il controllo e
la verifica democratica. I comunisti
devono riconoscere, studiare e combattere i mille poteri illegittimi che
sviliscono nella gestione i migliori
impianti legislativi e i pi impeccabili provvedimenti amministrativi
ma che spesso viziano nella fase genetica gli uni e gli altri.
Come si pu porre al centro dellazione di governo per uscire dalla
crisi come certamente dobbiamo
fare lintervento pubblico nelleconomia, la questione meridionale,
la questione fiscale (che questione
di equit, ma anche di risorse pubbliche necessariamente crescenti),
senza porsi il problema della corru-

Marzo Aprile 2005

zione, dellefficienza, dei poteri?


In particolare il problema del potere ineludibile. Affermare che il
governo non il potere (in ogni
caso esso un potere) significa semplicemente che il potere democratico limitato o sovrastato da un altro potere; volere il governo ma non
il potere equivale a rinunciare al
tentativo di superare lo scarto tra
poteri democratici e poteri non democratici.
Eppure noi siamo immersi in rapporti di potere, lo stato e il diritto
determinano rapporti di potere, il
capitale un potere di comando
sulla forza lavoro, la struttura dei bisogni determina rapporti di potere
tra proprietari e non proprietari, tra
produttori e consumatori, la lotta
per il salario lotta per difenderne
e accrescerne il potere dacquisto,
la lotta per la riduzione dellorario
e per la pensione di anzianit lotta
per ridurre il potere di comando del
capitale, lotta per una pi libera
determinazione della propria esistenza, cio per il potere sulla propria vita. Dove non opera il mio potere, l si esercita un altro potere,
dove non opera un potere legittimo, l opera un potere illegittimo.
Dove non agisce il potere della trasformazione, l domina il potere
della conservazione.
inoltre curioso, sia detto per inciso, che una maggioranza che celebra la mistica della rinuncia al potere nella societ, reclami poi un potere indisturbato nella gestione del
partito, e operi sistematicamente
per conseguirlo, epurando la segreteria nazionale e modificando lo
statuto, la Costituzione del Partito.
In primo luogo, dunque, un programma! Ispirato a chiari obiettivi
di trasformazione, il programma
deve essere accompagnato dal calcolo delle forze reali che lo contrasteranno, e quindi della ricerca delle forze positive con le quali condividere idealit e interessi comuni,
anche temporanei.
Che attorno a questo debba svilupparsi la pi ampia partecipazione
non che un aspetto della lotta per

Politica

legemonia. ovvio che occorre conoscenza, ricerca, formazione, magari invitando i compagni a tralasciare per un momento il dibattito
sullo stalinismo e sulle foibe, sulla
fede e la non violenza che, malgrado la seriet dei temi ma non
dellapproccio appare come un diversivo rispetto allurgenza.
Siamo in grande ritardo, vogliamo
essere in ritardo, abbiamo concluso
tanti accordi senza programma, a
cominciare dalla Puglia, abbiamo
determinato dal centro la chiusura
di accordi in tutte le regioni, ma in
Toscana dove laccordo antieconomico per il centrosinistra l autorit delle segreterie nazionali non
conta pi; ci si sente dire che poi,
comunque, un assessorato per Rifondazione ci sar, mentre la dura
critica dei privatizzatori toscani si
trasformata in una lamentosa protesta per leccezione toscana. La linea del governo senza programma,
dunque, gi passata, sta divenendo costume.
Eppure difficile credere che si possa andare alle elezioni politiche
senza un programma di coalizione.
Io penso che sar ambiguo e generico, pieno di nobili intenti e adattabile a varie interpretazioni.
Penso anche che il partito, non solo
le minoranze, sar escluso dalla discussione per via della delega conferita ad alcuni dirigenti e responsabili di dipartimento, tutti appartenenti alla maggioranza, e che il contributo che daranno allelaborazione del programma di coalizione
sar superficiale e moderatissimo.
Se poi qualche partitino vorr scavalcarci a sinistra, se dal mondo dellassociazionismo o della sinistra
sindacale verranno istanze serie di
riforma, toccher al principio di
maggioranza il compito di ristabilire lordine.
Bisogna lavorare perch queste previsioni non si realizzino, o almeno
per la riduzione del danno.
Lernesto pu essere il luogo di incontro e il motore di tante iniziative
in questo senso. Anche se per vocazione e storia soprattutto una rivista di riflessione teorica, non verr

meno al suo compito se per questo


breve anno che ci separa da un appuntamento decisivo si far promotore di un dibattito stringente sulla
questione del governo e delle riforme necessarie. Organizzare convegni, sollecitare contributi, ospitare proposte precise nelle materie
che maggiormente urgono, solo
un modo diverso per onorare la sua
ispirazione di fondo: essere strumento della lotta dei comunisti per
il progresso e la pace.

Scrive Rossana Rossanda,


citando Gramsci, che un partito
in nuce il modello di Stato
a cui tende

S U L L A LT E R N AT I VA

DI SOCIET

Esiste qualche relazione tra questa gigantesca omissione del problema del
programma e del governo ed il progetto di alternativa di societ che esce
vincente dal VI Congresso? Credo
che una serie di fatti possano contribuire a definire fin da ora un bilancio complessivo di quel progetto.
Scrive Rossana Rossanda, citando
Gramsci, che un partito in nuce il
modello di Stato a cui tende.
Siamo senzaltro daccordo; aggiungiamo anche che un partito considerato come comunit prefigura la
societ cui tende realmente, ma questo concetto implicito nel primo.
Bene, le dinamiche precongressuali
e congressuali dimostrano che nel
modello di Stato e di societ evocati dalla maggioranza del PRC non
vige il principio di legalit; che il potere non rispetta ed anzi colpisce ed
emargina duramente le minoranze;
che non si valorizzano i pi capaci
ed onesti; che non c alcuna coerenza tra fini e mezzi (anomalia del
tesseramento precongressuale);

43

Politica

che si pratica il culto della personalit ed il capo detiene il monopolio


massmediatico; che si celebra la
contaminazione e contemporaneamente si ingiunge di non comunicare con chi dissente (non
replicate ha chiesto ai suoi sostenitori il Segretario nazionale nel
suo intervento conclusivo a Venezia); si tenta di dividere lopposizione garantendo ad una parte di
essa qualche posizione di prestigio;
si trascura la formazione per poi affermare le proprie posizioni grazie
alla spesso debole consapevolezza
politica e teorica dei compagni.
necessario continuare?
Lalternativa di societ una cortina fumogena che nasconde, malamente, la delega in bianco che il
Congresso rilascia al Segretario
sulla questione del governo.
Il modello di Stato e di societ risultanti dai fatti che abbiamo elencato richiedono innanzitutto una
riforma intellettuale e morale.
Questo il compito dei comunisti
in Rifondazione, la casa che abitano e che hanno ricostruito con tanta passione e sacrificio.

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Note

1Larticolo di Panorama gi citato riferisce con


qualche dettaglio di un accordo gi raggiunto in
materia fiscale tra Visco e i responsabili di due dipartimenti delle PRC. Bench mai smentita, lindiscrezione non credibile per la nota ripugnanza
del gruppo dirigente di Rifondazione verso le trattative di vertice. Figuriamoci per quelle semi clandestine.
Supponiamo per un attimo che laccordo vi sia stato
e nei termini riferiti. Si tratterebbe di un caso esemplare del danno che la mancata partecipazione pu
causare. Gli esperti, iscritti o vicini a Rifondazione,
se interpellati ci ricorderebbero che la questione delle
aliquote IRPEF non sfiora neppure il problema di
fondo, levasione fiscale, poich interessa coloro che
le tasse gi le pagano.Viste le difficolt di un risanamento a breve dellamministrazione pre p o s t a
agli accertamenti, occorre puntare sul sistema delle
detrazioni: in alto, perch smetta di incentivare consumi di lusso e consumi nocivi dal punto di vista
ambientale; in basso, perch consente ai redditi fissi
di scaricare spese essenziali che alimentano rendite
o redditi che evadono largamente (spese per labitazione, per la cura della persona, ecc.). In secondo
luogo, un buon sistema generalizzato di detrazioni
contribuisce ad orientare consumi e investimenti
delle famiglie (in primis sul risparmio energetico).

Marzo Aprile

Molto incisive possono risultare le detrazioni integrali, scaglionate per su lunghi periodi per differire gli effetti del mancato gettito su numerosi esercizi del bilancio. chiaro, quindi, che a queste condizioni le maggiori aliquote indicate nellarticolo,
sarebbero troppo basse. I sistemi di tassazione delle
imprese e del patrimonio immobiliare meriterebbero
disamine circostanziate, anche in relazione allautonomia finanziaria delle regioni e degli enti locali.
2 Malgrado si tratti di un meccanismo puramente
difensivo, la presentazione di un ordine del giorno
allultimo Congresso perch fosse considerato una
pregiudiziale programmatica ha determinato una
reazione sconcertante. Innanzitutto la maggioranza della Commissione politica ha improvvisato
un ordine del giorno alternativo equivalente allindice di un Bignamino di politica economica, al
solo scopo di evitare un secco s/no sulla proposta.
Successivamente, nella discussione, Alfonso Gianni ha ricordato come sia difficile intavolare una
trattativa sindacale dopo aver stabilito una pregiudiziale (considerata la nota ripugnanza della
maggioranza per la trattativa, lanalogia non pu
che ritenersi una svista).
Manifestando la sua insofferenza per lincontentabilit della minoranza (ieri la pregiudiziale
sulla guerra, oggi la scala mobile, decidetevi!),
Alfonso Gianni ha svelato la mistica nozione di
spirito di coalizione secondo Bertinotti. Non c
che dire, con questi esperti e queste intenzioni, la
trattativa di vertice va evitata ad ogni costo!

Marzo Aprile 2005

Politica

Fassino:
La nostra Europa non sar
antiamericana ().
Perseguiremo una strategia
di alleanza con gli Stati Uniti

Quale politica
estera
per un governo
di alternativa ?

di Bruno Steri

FILOATLANTISMO DEL CENTRO-SINISTRA E PRIORIT DELLA LOTTA


CONTRO LA GUERRA

n occasione del discorso di investitura per il suo secondo mandato,


George W. Bush ha tra laltro dichiarato: Il mio obiettivo la libert. Freedom!. E ancora: Non
possiamo tollerare lesistenza della
tirannia permanente (). Il nostro
obiettivo di bandire la tirannia dal
mondo. Nel merito, sul quotidiano
inglese The Guardian subito apparso il seguente commento:
Fuochi dartificio a Washington,
disperazione nel mondo intero!,
evidentemente rinvenendo nelle
suddette affermazioni e al di l della
giustificazione di turno (questa
volta centrata sul millenaristico richiamo ad una missione democratica) unidentica pulsione allaggressione bellica.
Che, viceversa, il segretario del maggior partito della coalizione antiBerlusconi non si mostri disperato ed anzi abbia da ultimo rintracciato nella politica dellattuale
establishment Usa elementi per unutile e positiva riflessione, non dovrebbe stupire pi di tanto. Non si
tratta infatti di sortite estemporanee, bens di una precisa posizione
in materia di politica internazionale
maturata dal centro-sinistra allindomani della rielezione di Bush. Da
mesi, prima delle presidenziali americane, era stato attivato un fitto
scambio politico-culturale tra le due
sponde democratiche dellAtlan-

tico, qui da noi sponsorizzato dalla


fondazione di Massimo DAlema e
Giuliano Amato. Naufragata leventualit di una presidenza alternativa
alla Casa Bianca e, quindi, la prospettiva di una pi naturale armonizzazione di politiche di governo
multipolari, non tuttavia tramontata lesigenza - di cui il nostro centro-sinistra promotore particolarmente solerte - di suturare al pi
presto le ferite aperte nei rapporti
Usa/Europa dalla crisi irachena e di
rilanciare comunque una nuova
fase di cooperazione transatlantica,
questa volta perseguita allinsegna
del realismo politico (questa la leadership scelta dal popolo statunitense, dunque con essa bisogna dialogare) e sulla base di un riassetto
degli organismi internazionali (a
cominciare dallOnu).
Alla luce di tale impostazione generale, non appare affatto casuale
latteggiamento alquanto caloroso
tenuto dal candidato alla guida di
un governo di alternativa alle destre
in occasione della venuta in Europa
del presidente degli Stati Uniti. Il saluto di benvenuto tributato a Bush
da Romano Prodi non stato semplicemente un atto di diplomazia
gratuito e incomprensibile (Asor
Rosa), mille miglia lontano da tutte
le multiformi sensibilit che hanno
animato il pi vasto movimento di
massa contro la guerra dal dopo-

guerra ad oggi. Esso va inteso altres


come uno dei momenti culminanti
in cui si esplicata una ben meditata strategia dellattenzione nei
confronti degli Usa, di cui il nostro
centro-sinistra si candidato ad essere autorevole interprete.
Allindomani di quellincontro,
Fassino ha sgombrato il campo da
ogni possibile incertezza: La nostra
Europa non sar antiamericana
(). Perseguiremo una strategia di
alleanza con gli Stati Uniti (Corriere
della Sera, 24-2-2005).

UN

T E R R E N O A R AT O D A T E M P O

Fulmine a ciel sereno? Nientaffatto. Nella sostanziale acquiescenza degli alleati di coalizione (mi
riferisco in particolare a Rifondazione Comunista), a pi riprese Piero
Fassino si incaricato di prefigurare
la linea di condotta di un futuro governo delle sinistre in tema di politica estera. Gi a gennaio di questanno, in risposta ad una sollecitazione di Angelo Panebianco, il segretario diessino affermava di muovere dalla convinzione che il rapporto transatlantico sia oggi strategico ed essenziale, per perseguire
come obiettivi prioritari la lotta al
terrorismo, la liberazione dellumanit dalle pi gravi ingiustizie, la costruzione di una governance della

45

Marzo Aprile

Politica

globalizzazione incardinata sul multilateralismo e sul ruolo delle istituzioni sopranazionali. A proposito di
queste ultime egli aggiungeva, onde
evitare equivoci, che nelle proposte
di riforma dellOnu avanzate dal
gruppo dei saggi a Kofi Annan vi
lindicazione di cinque precisi nuovi
criteri da cui, dora in poi, lOnu dovrebbe far discendere il ricorso
estremo alluso della forza. Questo
per rendere meno controverse decisioni cos delicate. Tale estrema disponibilit veniva assicurata in nome
dei comuni valori che ispirano lidentit politica e culturale dellOccidente (Corriere della Sera, 10-12005). Un mese dopo, Fassino tornato sul medesimo tema in termini -

Il vero e decisivo snodo politico


per laffermazione
di tali orientamenti stato
il giudizio sulle recenti elezioni
irachene, accreditate come
il trionfo della democrazia

se possibile - ancora pi pesanti, accentuando nel merito il connotato


bipartisan della sua impostazione.
Nel corso della trasmissione televisiva P o rta a Port a del 9 febbraio
scorso, richiamando il caso del Kosovo e la divergenza prodottasi col Prc
su tale questione, egli ha rivendicato
il merito di essere andato ugualmente in Parlamento incassando il
voto del centro-destra. Un tale comportamento stato espressamente
indicato come modello per il futuro:
Se non avremo la maggioranza su
alcune questioni andremo in Parlamento convinti che lopposizione
voter nellinteresse del Paese.
Ma il vero e decisivo snodo politico
per laffermazione di tali orienta-

46

menti stato il giudizio sulle recenti


elezioni irachene, accreditate come
il trionfo della democrazia: giudizio espresso da pressoch tutta la
stampa italiana (quella di destra e
quella di centro-sinistra fino a Rifondazione Comunista, allunisono
con tutta la stampa occidentale).
Qui va collocato lo spartiacque che
ha visibilmente separato la precedente fase di contrasto dalla nuova
strategia dellattenzione. Mentre secondo le stesse dichiarazioni della
commissione elettorale irachena lo spoglio delle schede era ancora
in alto mare, qui in Italia i principali
leader della coalizione di alternativa alle destre si affrettavano a sentenziare: Ha votato oltre il 60% degli iracheni. E un risultato eccezionale, una vittoria della democrazia.
Eppure, anche grazie alle rarissime
voci indipendenti, la verit delle
cose si faceva largo qua e l attraverso la coltre delle ricostruzioni
apologetiche. Ad esempio, il 3 febbraio La Stampa dedicava allargomento unintera pagina sotto il titolo: Iraq, urne scomparse e brogli, ove si poteva leggere la seguente dichiarazione del Consiglio
degli Ulema, la pi alta autorit sunnita: Queste elezioni mancano di
legittimit perch una grande parte
della popolazione le ha boicottate.
Nel medesimo articolo era denunciata la scomparsa di centinaia di
urne elettorali e di decine di migliaia di schede durante il trasbordo
sui camion dalle province a
Baghdad; e si affermava altres che
i principali gestori del voto sono
stati gli uffici per gli aiuti alimentari. Un candidato del partito islamico dichiarava: Sono state le elezioni pi enfatizzate e meno controllate dei tempi moderni. Sulla
medesima lunghezza donda un autorevole sostenitore della monarchia hashemita: Sono assolutamente certo che si sta consumando
ogni genere di falso (La Stampa, 32-2005). Simili ed altre testimonianze avrebbero dovuto consigliare come minimo una grande
cautela: nessun commento che non
fosse smaccatamente di parte

avrebbe potuto definire una pietra


miliare della democrazia delle elezioni organizzate sotto il tallone delloccupante, con candidati preselezionati e sconosciuti (per motivi di
sicurezza) agli elettori, sottratte a
qualsiasi controllo internazionale.
C da chiedersi, a questo punto,
donde sia venuta una cos malriposta e prematura enfasi da parte del
centro-sinistra (e non solo). A tale interrogativo non c che una risposta.
La premura con cui si inteso glorificare in dispregio dei fatti quella tornata elettorale figlia di un preciso
progetto politico: separare laggressione bellica dalla ricostruzione democratica e inaugurare, a partire da
questultima, un nuovo rapporto
con lestablishment riconfermato alla
guida degli Stati Uniti.

L A C C E L E R A Z I O N E
P I E R O FA S S I N O

DI

Come si vede, una paziente opera di


riposizionamento ha preparato i
pi recenti affondo di Piero Fassino.
Al Residence Ripetta di Roma, in un
confronto niente meno che con
Gianfranco Fini, il segretario Ds ha
ribadito la necessit di un rapporto
forte con gli Usa, aggiungendo per
giudizi che modificano lo stesso atteggiamento nei confronti della
guerra di Bush (al punto che la
stampa di destra si affrettata a salutarli come coraggiosi e autocritici): La guerra ha fatto vincere
Bush perch si presentato come
colui che pi di altri in grado di
difendere il paese insidiato nel suo
territorio e ha mostrato unAmerica
che non rinuncia alla sua missione
di libert. E, daltro canto, la debolezza della sinistra sta in un
inaccettabile relativismo culturale
(Il Tempo, 15-3-2005). Pochi giorni
dopo, in unintervista a La Stampa,
Fassino torna sullargomento, affermando limpossibilit di tollerare in
un mondo ormai globalizzato autarchie politiche e dittature e, per
converso, apprezzando i fermenti di
risveglio democratico e i processi di
secolarizzazione che stanno inve-

Marzo Aprile 2005

stendo lo stesso mondo arabo. E poi


puntualizza: Non ho alcuna difficolt a riconoscere che questi processi sono anche il frutto di una
maggior intransigenza dellOccidente verso chi nega i valori di libert, deducendo da ci la preferibilit di quella che, a suo dire, la
vocazione democratica di Bush rispetto allatteggiamento che fu proprio dei repubblicani con Kissinger,
il quale in nome del realismo politico sosteneva di fatto le peggiori
dittature in Sud America. Bando,
dunque, alle timidezze: la sinistra
non pu che stare dalla parte della
libert (La Stampa, 20-3-2005).
Importanti infine sono altre due
affermazioni, contenute in un articolo su LUnit del 22 marzo. In
primo luogo, il segretario Ds sostiene la tesi che la sinistra democratica debba sbarazzarsi della
vecchia idea che la sovranit nazionale possa essere una soglia invalicabile di fronte a gravi violazioni
dei diritti umani. In secondo
luogo, si torna a salutare come essenziale lindicazione da parte
dellOnu di criteri guida, sulla base
dei quali le Nazioni Unite dovrebbero autorizzare luso della forza.
Come era prevedibile, dichiarazioni di una tale portata non potevano non sollevare serie obiezioni
in tutti i settori della sinistra pacifista e di alternativa. Anche Rifondazione Comunista si scossa dal
torpore e con interventi del suo
segretario e di Franco Giordano
ha messo in fila una serie di condivisibili critiche. Alquanto tardi, purtroppo. Poich ora le parole del segretario del maggior partito della
coalizione anti-Berlusconi peraltro approvate dallo stesso Romano
Prodi pesano come macigni sulla
strada della costruzione programmatica. Bisogna capire bene il salto
di qualit che quelle affermazioni
comportano. Con esse, per la prima
volta, compare in qualche modo un
apprezzamento seppur dosato
dei princpi che presiedono alla
strategia di guerra degli Usa: riconosciuta la priorit nellattuale
contesto internazionale della

Politica

guerra al terrorismo e dell estensione della democrazia. E un


punto di principio di non poco
conto, che prende per oro colato le
giustificazioni sin qui fornite (in
barba alle ricorrenti smentite dei
fatti) e liquida dun colpo quelli che
ormai perfino un diffuso senso comune considera come i veri moventi dellazione bellica: gli interessi economici e strategici della superpotenza statunitense. Poco importa che si auspichi una politica
preventiva (resa oltre tutto pi che
sospetta dallauspicato superamento del principio di intangibilit
della sovranit nazionale): lessenziale che lazione di guerra permanga nel novero delle possibilit.
Non a caso, emerge linequivoca
disponibilit a nuove avventure belliche purch multilaterali e coperte da nuove prescrizioni che
lOnu chiamato a darsi. Non solo,
dunque, unassunzione completa
delle passate guerre umanitarie;
ma, insieme, un analogo impegno
per il futuro. Si tratta di affermazioni assolutamente gravi, che
vanno in totale rotta di collisione
con quanto in questi anni andato
rivendicando un movimento contro
la guerra di dimensioni planetarie.

tiamo ovviamente pi in sintonia


con visioni del mondo quale quella
di recente tratteggiata da Jean Bricmont, uno dei pi lucidi intellettuali europei: Il nostro sistema non
basato unicamente o anche principalmente sulla democrazia e il rispetto dei diritti umani, ma su un
lungo periodo di relazioni ineguali
con questa vasta riserva di materie
prime e lavoro gratuito o a buon
mercato che oggi chiamano Terzo
Mondo. Lattuale principio dordine segnato dalla violenza di tale
squilibrio storico: Lordine del
mondo non riposa sulla giustizia e i

Non a caso, emerge


linequivoca disponibilit
a nuove avventure belliche
purch multilaterali
e coperte da nuove prescrizioni
che lOnu chiamato a darsi

I C O M U N I VA L O R I
D E L L O C C I D E N T E
Va specificato che qui non tanto
sono in questione le scontate divergenze di respiro strategico e ideale
che separano i comunisti dal segretario dei Democratici di Sinistra. In
questa sede non si vuol discutere il
fatto che egli ribadisca unadesione
di fondo ai comuni valori del
lOccidente, glissando su qualunque intento di trasformazione profonda della societ capitalistica che
pure di quei valori lattuale contraddittoria e violenta concretizzazione. Non si pretende che, accanto
ai principi della Rivoluzione francese, Fassino mantenga gli ideali
della Rivoluzione dOttobre: egli
non pi (o, forse, non mai stato)
comunista. Come comunisti, ci sen-

diritti umani, ma sulla convinzione


cento volte ripetuta nella storia
che gli oppressi possono ribellarsi
quanto vogliono, ma essi finiranno
per essere vinti. Di qui discende la
scala delle priorit per chi voglia un
mondo pi giusto: Il problema fondamentale non rappresentato dal
fatto che vi siano dei dittatori (anche ammesso che vi siano) o dei fanatici religiosi opposti all Occidente (posto anche che vi siano),
bens da secoli di rapporti ingiusti
che non sono per nulla scomparsi,
che sono alla base di un ordine economico moralmente indifendibile
e forse neanche stabile a medio termine (tratto da: Mourir pour MacDo
en Iraq, Bruxelles 2004).

47

Politica

LE

D I F F I C O LT D E G L I

USA

E L O F F E N S I VA
D I P L O M AT I C A D I

BUSH

Ma, come detto, non di tali differenziazioni strategico-ideali che in


questa sede dobbiamo chiedere
conto alla leadership diessina . Quello che invece del tutto pertinente
la prefigurazione dei contenuti
programmatici concernenti la politica estera di un possibile governo
del centro-sinistra pi Rifondazione
Comunista. In questo specifico contesto quel che fa problema lapertura di credito, in tema di comuni
valori, allamministrazione Bush e
la disponibilit a seguirne, seppure
entro una concertazione multilaterale, le velleit di guerra. Evidentemente, anche su questo piano,
scontiamo una lettura assai diversa
della fase. Noi siamo convinti con
Walden Bello che, bench si sia scritto e detto di tutto per far passare le
elezioni irachene come linizio di
una nuova partita il cui nome democrazia, di fatto lunica partita
che si continua a giocare quella
del dominio e delloccupazione e
che gli Stati Uniti non la stanno vincendo (Liberazione, 16-3-2005). In
effetti, gli Usa potranno andarsene
dall Iraq - senza che ci equivalga
ad un totale fallimento - solo
quando potranno lasciare in quel
paese un governo del tutto affidabile, che curi per procura i loro interessi (in sintesi: petrolio e agibilit
logistico-militare) ed abbia definitivamente la meglio nei confronti dellopposizione interna. Contrariamente a tale auspicata prospettiva, i
mesi passano, la coalizione doccupazione perde via via pezzi, la resistenza armata non sembra affatto indebolirsi ed anzi mostra crescenti
capacit di radicamento e forza
durto. Donald Rumsfield ha dichiarato che nel 2006 si ingrosseranno
le fila del contingente Usa in Iraq,
ad oggi arrivato a 135 mila uomini:
quanti ne dovranno servire per ridurre allobbedienza un intero
paese e normalizzare il suo territorio? In Afghanistan, lungi dallaver
instaurato una qualche normalit

48

civile ed istituzionale, il governo


con il sostegno delle truppe Usa riesce oggi a controllare la capitale e
poche altre citt. Altro che processo democratico! Se sullautorevole foglio Foreign Affairs si arriva a
leggere: In Iraq abbiamo raggiunto
i nostri limiti, vuol dire che anche
il paese che capace di mettere in
opera il pi esteso sistema di insediamenti militari della storia 860
basi ufficialmente dichiarate, dislocate in 153 territori appartenenti a
tutti i continenti eccetto l Antartide
e ospitanti 600 mila unit pu dar
mostra di avere il fiato corto. E pu
iniziare ad avvertire come pesanti i
costi umani, oltre che economici, di
una situazione che non sembra presentare facili vie duscita.
Qui vanno cercati i motivi della visita di Bush in Europa: essi non consistono in un cambio di linea dellamministrazione americana,
quanto piuttosto nelle difficolt che
questa medesima linea incontra.
Conseguentemente, si dovrebbe
mantenere unopposizione intransigente nei confronti di una politica
di potenza che ha messo e, beninteso, intende continuare a mettere - a ferro e fuoco lintero pianeta; non accorrere in suo soccorso
alla prima garbata richiesta di compartecipazione al massacro. Non mi
pare che una tale esigenza sia tacciabile di pericoloso estremismo. Al
contrario, credo che al nostro paese
sia toccata purtroppo in sorte una
delle varianti pi sciaguratamente
moderate della sinistra liberal, incapace com di corrispondere a
quello che il 70% degli italiani da
tempo chiede: via dallIraq, via dalla
guerra.

VERSO

DOVE ANDIAMO?

Non va sottovalutato il fatto che le


difficolt incontrate sul teatro di
guerra iracheno hanno sinora impedito ulteriori prove di forza e indotto gli Usa a non procedere da
soli lungo la via maestra della guerra infinita e preventiva. Bisogna
per aver chiaro che uneducata ri-

Marzo Aprile

cerca di collegialit nellapplicazione delle scelte non sembra in


questo caso mettere in discussione
le scelte medesime. In proposito
esemplare il caso Iran, paese gi
fatto assurgere al rango di pericolo
pubblico numero uno. Nei suoi confronti torna laccusa di possesso
delle armi di distruzione di massa,
nella fattispecie individuate nellimminente acquisizione dellarma
atomica. Al giorno doggi, larroganza plateale non fa pi notizia:
non per questo cessa di essere intollerabile. Secondo i dati 2003 del
Natural Resources Defense Council, gli
Usa posseggono 8.634 testate strategiche operative, in parte dislocate
nei diversi territori (come noto,
anche in Italia), in parte (3.600) a
bordo di sottomarini nucleari lanciamissili balistici, cui vanno aggiunte 10.455 testate immagazzinate nei depositi. E mentre lIran
continua a replicare che il suo programma nucleare finalizzato a
scopi civili, non molto distante da
questo paese Israele ha gi una dotazione di 200 testate atomiche, di
cui una cinquantina strategiche del
tipo Jericho-2, con un raggio dazione tra i 1.500 e i 4.000 chilometri. Chiedo al centro-sinistra: un simile apparato di distruzione, pronto a colpire, forse accettabile perch democratico, consono ai comuni valori dellOccidente? Come
dire: i padroni del mondo siamo noi
e noi decidiamo discrezionalmente
chi debba essere il mostro di turno.
E, viceversa, trovare tutto questo intollerabile macchiarsi di antiamericanismo o, peggio, di antisemitismo? Per favore, non scherziamo. E, piuttosto, cerchiamo di
soppesare ci cui possiamo andare
incontro.
Ad esempio, riflettendo su ci che
recentemente consigliava allEuropa Henry Kissinger, che contrariamente a quel che pensa Fassino
resta un autorevole interprete degli
umori dellattuale establishment Usa.
Sulla questione iraniana, il punto
cruciale di discussione tra Stati Uniti
ed Europa dovrebbe essere non la
necessit o meno di ricorrere alla

Marzo Aprile 2005

forza se la diplomazia fallisce, bens


la definizione e la temporizzazione
di tale uso della forza e precisamente
del processo attraverso cui essa dovrebbe condurre a privare lIran
delle armi nucleari.
Pi chiaro di cosMa Kissinger
estremamente chiaro anche rispetto a come debba essere condotta la
missione diplomatica europea: Un
cambiamento di regime la garanzia migliore, forse lunica, del disarmo nucleare dellIran. Dunque,

Politica

la diplomazia europea dovrebbe


dire qual il preciso processo di
cambio di regime che si immagina
e in quanto tempo si pensa di ottenere un tale risultato (La Stampa,
11-2-2005).
E forse questa la politica preventiva cui pensa Piero Fassino?
Potrebbe essere questa unapplicazione del principio di ingerenza teorizzato dal segretario dei Ds, con il
contestuale superamento del principio di intangibilit della sovranit

nazionale? E cos che la pensa tutto


il suo partito? Certamente, non la
pensano cos i suoi stessi elettori. E
noi, testardamente, continueremo
a lavorare perch cos non sia. Dicendo per sin dora che, qualora i
suddetti intendimenti venissero a
costituire lasse portante della politica estera del potenziale governo di
alternativa alle destre, il Prc dovrebbe guardarsi da una tale trappola per topi ed evitare una sua diretta responsabilit governativa.

Per saperne di pi sulle attivit e le elaborazioni dei comunisti


e delle forze di sinistra nel mondo, leggete :

CORRESPONDANCES INTERNATIONALES
Rivista internazionale con edizioni in inglese, francese, spagnolo, portoghese, ar

www.corint.net

INTERNATIONAL CORRESPONDENCE

new series
Information and analysis of the class working movement and left forces
throughout of the world

CORRESPONDENCIAS INTERNACIONALES

nueva poca
Informaciones y anlisis sobre el movimiento obrero
y las fuerzas de izquierdas en el mundo

CORRESPONDANCES INTERNATIONALES

nouvelle poque
Informations et analyses sur le mouvement ouvrier
et les forces de gauche dans le monde49

Politica/Documenti

Marzo Aprile

Non credo che si possa


capire Rifondazione comunista
soltanto attraverso la difficolt
di darsi un gruppo dirigente,
le lotte interne, gli esiti elettorali

Una Rifondazione
in quattro atti

di Rossana Rossanda

COME CAMBIATO IL PRC, DALL'EREDIT DEL PCI ALL'ALLEANZA CON


PRODI. PROPONIAMO UN INTERESSANTE ARTICOLO DELLA COMPAGNA
ROSSANDA TRATTO DA IL MANIFESTO DELLO SCORSO 20 MARZO

are una nuova identit alle pratiche


anticapitalistiche: un difficile travaglio che mette in gioco il merito
della politica, ma chiama in causa
anche il metodo e la democrazia interna a un partito antisistema.
Con qualche contraddizione tra il
dire e il fare
Non credo che si possa capire Rifondazione comunista soltanto attraverso la difficolt di darsi un gruppo
dirigente, le lotte interne, gli esiti
elettorali. Sono paramenti ineludibili, ma impossibili da leggere se ne
tagli fuori la questione di fondo.
Che fin dall'inizio stata la possibilit di tenere in piedi, dopo la svolta
di Occhetto, un partito che svolgesse il ruolo un tempo svolto dal
Pci, capace di raccogliere una forza
di massa tale da pesare sugli indirizzi del paese e, se non di abbattere
il capitalismo (e poi, una seconda
volta in un solo paese?), almeno di
condizionarne potere e forme. Era
un interrogativo non scontato e tale
resta per chiunque non celi, dietro
il leit-motiv dell'obsolescenza della
forma partito, l'accomodarsi a un
capitale da regolare un tantino e
alla protesta sulla sempre maggiore
autoreferenzialit delle istituzioni:
deriva incoercibile in occidente,
alla quale cedevano i Ds, che i socialisti avevano gi introiettato, che
per i Verdi non era mai stata un pro-

50

blema e che le nuove sinistre davano per inutile. Soltanto una minoranza del Pci rispondeva positivamente lanciando Rifondazione
comunista.
Era una scommessa rischiosissima:
non si era pi nel 1921 ma nei primi
anni Novanta, l'Urss implodeva, il
capitalismo diventava un sistema
globale, al punto da penetrare anche nei regimi sedicenti socialisti. A
torto Fukuyama vi vedeva la fine
della storia; ma la fine di un'epoca,
lo era. Inoltre, il sistema del capitale, trovandosi senza avversari in
grado di competere e con la sola potenza rimasta - gli Stati uniti - dalla
sua parte, non accettava pi i compromessi che avevano governato
gran parte dell'Europa keynesiana,
abbattuto i regimi fascisti in Spagna
e in Portogallo, e sui quali si basava
la piattaforma postbellica del diritto
internazionale. Rifondare dunque si doveva, se si voleva far fronte
a una spinta devastante e fin riportatrice di guerra. Ma rifondare
come? E facendo leva su chi?

AT T O

P R I M O , P R E S E RVA R E

La prima rifondazione comunista


fu di conservare quel che aveva resistito al cambio del nome e dell'identit del Pci, e non molto altro.

Tantopi che Cossutta aveva deciso


la rottura anche se gli era venuta a
mancare la parte pi modernamente critica del Pci, che faceva
capo alla mozione due di Pietro
Ingrao. Puntava sull'emozione e sugli affetti pi che sull'analisi del presente e non faceva troppa differenza
fra quel che era morto - giustamente
morto, con l'Urss di Stalin e Breznev
- e quel che poteva restare un progetto per un occidente sconvolto
nei suoi equilibri dal venir meno
della contesa Usa-Urss. Ma le famose masse dubitavano che quel
che era imploso cos drammaticamente conservasse un qualche appeal sotto lo slogan: meglio un
brutto socialismo che un bel capitalismo. L'Unione sovietica non era
un partitino che si era sciolto per
caso.
Dopo un primo successo della scissione, la domanda chi siamo, a chi
ci rivolgiamo e per quale fine
stata impellente, e si capisce che abbia tormentato il giovane partito. A
Garavini, che forse l'aveva abbozzata, non fu dato tempo, la componente de il manifesto che vi era confluita con un patrimonio non da
poco non riusc a prenderne le redini, punt su Bertinotti e fu esclusa
alla prima occasione di far politica in una torbida transizione
come quella del governo Dini.

Marzo Aprile 2005

Neanche il duo Bertinotti-Cossutta


sarebbe durato a lungo. Il nuovo segretario tent un allargamento
della base perdendo i vecchi e
prendendo per referente il solo
B e r l i n g u e r, che aveva lasciato
un'immagine amata e rispettata
non solo nel suo partito. Ma Berlinguer aveva sbagliato nell'analisi
della minaccia fascista in Europa
(che allora non c'era) e nel progetto
di allearsi contro di essa con la parte
pi intelligente della Democrazia
cristiana. La quale non era n unita
n pronta a fare questo salto e, contrariamente all'angelizzazione che
se ne fa oggi, Moro non era n materialmente n caratterialmente in
grado di farglielo fare; con Berlinguer, egli avanzava e recedeva
come con Nenni nel 1963, logorando i comunisti. L'ipotesi di Berlinguer era venuta meno prima che le
Br lo uccidessero. E l'ultimo Berlinguer, che chiude con la solidariet
nazionale e occupa la Fiat, tentava invano di recuperare quello
che dirigenti e corpo del partito avevano perduto in quel fatale decennio, come per altre ragioni con ce
la fece in Urss Mikhail Gorbaciov.
Rifondazione comunista non poteva reggere nella sola evocazione
di quella onesta figura.

AT T O

SECONDO,

ALLEANZA E ROTTURA

Il bipolarismo non aiuta una forza


piccola a crescere. Nel 1996 Bertinotti non pot che allearsi con il
centrosinistra e non pot che rompere con esso due anni dopo. Come
che sia stata avvertita questa rottura
da una opinione speranzosa, un
fatto che Prodi e D'Alema s'erano
impegnati, una volta raggiunto l'euro, a passare a una politica sociale
meno restrittiva. Ma la promessa
fase due non ebbe luogo. Forse
anche per la difficile contingenza
economica, per l'avanzare della globalizzazione, perch la nuova Europa si delineava non molto pi che
una rigida politica monetaria. Che
il tirarsi fuori di Rifondazione sia

Politica/Documenti

stato un errore tattico, che il paese


non capisse, che pi comprensibilmente si sarebbe potuto rompere
due mesi pi tardi sulla guerra nel
Kosovo o che sia stato addirittura un
calcolo sbagliato, si pu discutere;
ma nel merito, ogni domanda di
Rifondazione era stata respinta,
senza che le esigenze avanzate da
Bertinotti fossero eversive: non sarebbero state granch le 35 ore, con
le quali la Francia cresciuta mentre noi, senza di esse, siamo andati
declinando, e non era granch, se
mai troppo poco elaborata e soltanto assistenziale, la difesa dei lavori socialmente utili. Negarlo significava togliere ogni credibilit a
Rifondazione - e non innocentemente.
Su questa strada il centrosinistra
danneggiava anche se stesso.
Arrivava alle elezioni del 2001 dopo
aver chiesto molti sacrifici, dato ben
poco e con la tentazione irrefrenabile - che una volta D'Alema riconobbe - di credere alle sirene liberiste dell'impresa sulle privatizzazioni e sulla scuola. Che la tattica
della desistenza abbia danneggiato
le sinistre nel 2001 pu essere vero
ma non lecito dimenticare che il
governo di centrosinistra aveva
mancato a ogni speranza che in esso
era stata riposta, rinunciando a esercitare qualsiasi pressione anche
sulla Costituzione europea in fieri e
addirittura entrando in guerra.
Il tentativo di strangolare Rifondazione ci fu, ed esplicito. E non stupisce che Rifondazione votasse agli
inferi quel centrosinistra che cos
l'aveva trattata. Ma, scampato il pericolo di scomparire dalla scena politica per non aver raggiunto il 5 per
cento, Bertinotti ricominciava a dibattersi. E c'era di che. Neanche la
sconfitta era servita da ammonimento alle sinistre moderate, non
riusciva a disincagliare neanche le
loro sinistre interne. Al tentativo di
Cofferati, assai rispettoso delle regole, venne opposta una resistenza
che lo indusse a cercar radici altrove
prima di essere schiacciato da un

congresso.
Rifondazione era viva ma su chi
puntare per una ripresa? Il bacino
tradizionale della sinistra appariva
confuso e fin corrotto, giacch
molti operai del nord avevano votato la Lega. La proposta che avanzava ne la rivista del manifesto, puntare a un programma ambizioso e
possibilmente unitario per rigalvanizzare forze politiche ed elettorato, non convinse Bertinotti che aveva bisogno di una affermazione a
tempi brevi.
E' a questo punto che viene la felice
sorpresa del popolo di Seattle: qualcosa si muove, anzi molto, ma fuori
del quadro politico. Bertinotti lo
chiama il movimento dei movimenti (non nel senso di madre di
tutti i movimenti ma del muoversi
dei movimenti) e appare non solo
a lui ma a tutto il mondo come una
soggettivit inattesa e di inattese dimensioni e durata. E anche una
nuova cultura. Alla quale Rifondazione si propone come interlocutore politico interno e esterno.

AT T O

TERZO, I MOVIMENTI

Al penultimo congresso fa un salto


per andare incontro a un movimento che contro le ingiustizie pi che
contro il capitale - il quale gli resta
arcano e invisibile se non nei suoi
effetti - e si propone un distacco radicale dalla tradizione del movimento operaio. Incontrando su
questa strada da Latouche a Revelli
a Negri. Siamo al terzo millennio e
il movimento segna la sua pi alta
presenza nei milioni di persone che
protestano contro la guerra, ma
non riesce a impedirla n a condizionarla. Pesa di pi perfino la vecchia Europa.
Non so se oggi i movimenti abbiano
realizzato che fuori dalle istituzioni
non si riesce ad agire sul sistema
economico e politico. Il grimaldello
per agirvi resta, piaccia o no, la rappresentanza: con tutti i suoi vizi. Il
palazzo d'inverno ormai diffuso

51

Politica/Documenti

ma non sar soltanto una moltitudine inorganizzata ad averne ragione.


D'altra parte, stato un errore credere alla fine della contraddizione
capitale-lavoro a vantaggio di altri
conflitti. Il capitale non si pu dare
se non in contraddizione con il lavoro che deve alienare e mercificare, non pu crescere soltanto esponenzialmente sulle rendite; ma finch il lavoro gli necessario, la contraddizione si personificher nei
corpi e nelle vite dei vecchi e nuovi
proletari. Ai quali il padronato multinazionale tenta di togliere non a
caso qualsiasi conquista di diritto.
Aver identificato la contraddizione
capitale-lavoro nella mera tradizione comunista, antistaliniana,
stata una bufala.
Bisogna dire che fra il penultimo e
l'ultimo congresso, Rifondazione se
ne ripresa, specie grazie alla Fiom,
ma non solo. Ha pesato certamente
l'opposizione del gruppo de l'ernesto.
Ma soprattutto il tentativo di Cofferati ha lasciato una traccia e la scarsa
crescita o addirittura il declino, nonch la liberalizzazione dei capitali,
fanno il resto. La lotta operaia riprende con la stessa forza e gli stessi
limiti. Ribattezzarla come nuovo
movimento operaio un espediente. La verit che l'estendersi
della globalizzazione estende lo
sfruttamento e l'esclusione - ha un
bel negarlo chi insiste che cambiato
il paradigma del Novecento e che va
non arricchito, ma sostituito. Noi europei dell'ovest possiamo scordarlo
solo perch vi siamo inclusi fra i privilegiati, malmessi ma vivi.
L'ultima Rifondazione dunque ritorna su due punti: far valere la propria forza nelle istituzioni e ricomporre i nuovi soggetti dell'altermondialismo con il movimento
operaio. E cerca anche di dar voce

52

- cosa mai riuscita a nessun partito al conflitto fra i sessi. Certo pensa a
un'opinione diffusa, piuttosto che
al proprio interno, quando lancia in
forme apodittiche il tema della non
violenza (sul quale ho gi detto quel
che penso in altra sede).

AT T O

Marzo Aprile

opposizioni? Un partito deve poter


agire senza intralci, un partito non
un circolo di discussione, non abbiamo tempo da perdere - chi stato
nel Pci conosce questo ritornello a
memoria. Mi fa specie che Rina
Gagliardi mi scriva quel che a suo
tempo mi disse Armando Cossutta
e che forse oggi non direbbe pi.

Q U A RT O ,

D I L O T TA E D I G O V E R N O

Ma per il resto, Bertinotti stato


convinto da una parte della sua opposizione, mentre riuscito assai
meno a convincerla sulle conclusioni che essa stessa aveva auspicato.
E' proprio a questo punto che la
stretta sulla gestione del partito appare pi un gesto di stanchezza che
non un ragionamento. La pi grande, anche se non la sola, delle minoranze, ricorda che stare in un governo per una piccola forza assai
rischioso. E insiste perch prima di
entrarci ci siano accordi su di un
programma riformatore autentico.
Perch, si osserva, il nodo delle scelte, se viene evitato ora, si ripresenter in caso di vittoria e Rifondazione rischia di trovarsi nelle condizioni del 1998, ingoiare o andarsene. Che l'Ernesto lo dica fin da ora
non davvero un delitto. Che Bertinotti obietti che oggi come oggi un
progetto si pu fare solo strada facendo, con gli altri partecipi nel tentativo di governo, del tutto lecito.
Non ci sono molte altre strade, oggi
come oggi e in Italia, per una forza
che non si proponga solo un ruolo
di testimonianza a futura memoria.
Perch affrontare questo genere di
opposizione fino a un congresso
dove ci si molto feriti proponendo
una sorta di dittatura della maggioranza? Come si pu sostenere che i
residui di stalinismo, attribuiti a l'ernesto, si liquidino con gli stessi argomenti usati dal defunto Stalin e
da tutti i pc del mondo verso le loro

E' una falsa semplificazione. Come


si verifica la propria linea sull'insieme del partito se non di fronte a
questa o a quella sede concreta? E
come possono giudicarne delle minoranze che ne sono escluse, concedendo loro di essere non pi che
osservatrici da una certa distanza?
Una maggioranza pu sempre decidere anche in presenza di organismi dove tutta la base del partito sia
rappresentata. Ma dove questa non
rappresentata non si misura con
quella parte che essa non . Non ci
sono cento maniere diverse di governare un collettivo politico - per
di pi isolato e per di pi di lotta permettendo anche ad altri, che si
trovano a disagio dove ora sono, di
a d e r i rvi senza sospetto. Gramsci
aveva ragione osservando che un
partito rappresenta in nuce un modello di stato cui tende.
E' assai lontano da noi sottovalutare
la vastit dell'impegno che Rifondazione si prende. Proprio per questo non pensiamo che le giovi mutilarsi nella prova pi difficile, quella
di un governo di forze assai differenti
per strutture e obiettivi. N ci scandalizza che Bertinotti abbia cominciato dal rapporto con Prodi, che
non potr essere se non un impegno
reciproco: io non ti ammazzo, tu non
mi ammazzi. Non credo che i Ds glielo avrebbero dato e che avrebbe contato altrettanto. Ci auguriamo che
esso riesca a liberarci dal Cavaliere e
a spostare la discussione sul che fare
dell'Italia a un livello meno sconfortante di quello cui ora.

Marzo Aprile 2005

Lavoro

Oramai londa lunga


della liquidazione
di ogni autonomia
del sistema economico italiano
arrivata al suo vertice:
le banche

di Giorgio Cremaschi

Salvare lItalia
dai suoi capitalisti

IL DECLINO ECONOMICO ITALIANO IL RISULTATO DEL FALLIMENTO


DI UNINTERA CLASSE IMPRENDITORIALE E DI VENTANNI DI POLITICHE
LIBERISTE.

O CAMBIAMO TUTTO O PERDIAMO TUTTO:

LA SFIDA DI FRONTE ALLA SINISTRA OGGI QUESTA

ramai londa lunga della liquidazione di ogni autonomia del sistema


economico italiano arrivata al suo
vertice: le banche. Con lavvio
dellOpa dello spagnolo Banco di
Bilbao sulla Bnl e dellolandese Abn
Ambro sulla Banca Antonveneta, si
messo in moto un processo che
porter rapidamente il sistema di
credito italiano nel quadro degli
scambi e delle guerre delle grandi
multinazionali. Non dato sapere
ora quale sar la conclusione effettiva di queste vicende, ma esse sono
indicative di una nuova fase: giunge
per le banche quello che gi successo per lindustria.
La Banca dItalia in questi anni ha
invece tentato una differenziazione. Essa ha sostenuto la privatizzazione e le svendite nel sistema industriale e produttivo, concentrando la difesa degli interessi nazionali sul sistema bancario.
Questa linea non poteva tenere.
Non c arrocco sulle banche che
tenga, se tutto il sistema produttivo
declina e diviene oggetto dello
shopping delle grandi multinazionali. Cos la linea del governatore
della Banca dItalia viene paradossalmente aggredita da destra dalle
altre cordate dei poteri forti. La
Confindustria di Montezemolo e il
Corriere della Sera sono i primi a criticare lo statalismo del Governatore,
quel Governatore che in realt, in

questi anni, stato lalfiere delle politiche economiche e sociali liberiste. Paradossalmente la destra leghista e populista di Berlusconi
pare ergersi a difesa degli interessi
nazionali, mentre in realt semplicemente alla ricerca di cordate
amiche, con le quali difendere e
consolidare i propri interessi.
Il centrosinistra, come sempre in
questi casi, non ha mai nulla di davvero importante da dire. La sua
parte moderata affascinata e risucchiata dai poteri forti antiBerlusconi. La sinistra radicale ancora troppo debole per poter incidere. In mezzo c la confusione,
laffermazione di tutto e del contrario di tutto, della botte piena
della piena affermazione del mercato, e della moglie ubriaca della difesa degli interessi nazionali.
Ancora una volta il centrosinistra
come schieramento appare fuori
mercato, mentre il mercato aggredisce il sistema economico e produttivo del paese.
Per capire cosa sta succedendo, bisogna per andare un poco indietro, ai processi di riorganizzazione
avvenuti negli ultimi ventanni nel
sistema economico italiano. Negli
anni Ottanta lItalia aveva ancora un
sistema industriale in grado di competere sulla soglia delle realt pi
avanzate. Questo sistema si fondava
sui patti tra grandi famiglie, Medio-

banca, partecipazioni statali, sistema bancario. Cera un intreccio


di poteri tra pubblico e privato che
sicuramente andava dipanato. Si
manifestava gi allora la debolezza
strutturale della classe imprenditoriale italiana nei confronti del mercato internazionale. Nasceva allora
la tentazione degli investimenti
nella finanza e nei servizi, per avere
rendite sicure. La politica economica degli anni Ottanta era un misto di acquiescenza verso il liberismo reaganiano e di sottogoverno
craxiano e democristiano. Da quel
sistema, dunque, si doveva uscire,
ma se ne usciti da destra, con una
grande svendita del sistema Italia al
mercato globalizzato.
Ventanni dopo, di quel sistema non
resta praticamente pi nulla. Liquidato il sistema delle partecipazioni statali, sparite o in crisi le grandi imprese, finito il governo di Mediobanca negli equilibri del potere,
posti lautamente in pensione tanti
imprenditori. Carlo De Benedetti
una volta scrisse che le grandi famiglie, un po alla volta, da potenti sarebbero diventate semplicemente
ricche. esattamente quello che si
verificato. Una colossale rendita si
redistribuita nella classe imprenditoriale, mentre il sistema industriale
ha intrapreso la via del declino.
La fine dellOlivetti resta un aspetto
simbolico ed emblematico della crisi

53

Lavoro

produttiva italiana. Nel disinteresse


dei governi di centrosinistra di allora
e di tutte le istituzioni importanti,
lItalia ha liquidato la sua industria
informatica nel nome di quella dei
telefonini, che poi a sua volta stata
ceduta allestero. Questa vicenda andrebbe studiata nei manuali, su
come si fa perdere competitivit a un
intero paese. Ma si sa, quelli erano
gli anni in cui imperversava il mito
del piccolo bello, il modello
Nord-Est e tutta la conseguente ideologia privatistica e populistica che
imbeveva le pagine dei rapporti
Censis. Ora quel modello in crisi,
e soggetto alla pi brutale delocalizzazione si dibatte nella richiesta di
improbabili dazi verso la Cina. semplicemente lespressione di un altro
fallimento della cultura imprenditoriale italiana.
Gli anni Novanta hanno quindi segnato la fine della politica industriale governata. Bene o male, ma
governata. Ad essa si sostituito laffidamento al mercato dei processi
di ristrutturazione del sistema produttivo. Ma la classe imprenditoriale privata non stata in grado di
coprire il vuoto lasciato dalla fine
del sistema pubblico. cominciata
la svendita del patrimonio industriale alle multinazionali. Un solo
piccolo esempio. I lavoratori di
Terni hanno dovuto lottare contro
la ThyssenKrupp per difendere il
proprio stabilimento, ma non sono
riusciti a salvare la produzione del
magnetico. Terni stata privatizzata incautamente negli anni
Novanta, e qui le responsabilit sono del centrosinistra. Ma anche vero che nomi altisonanti della siderurgia italiana, Riva eccetera, erano
allinterno della nuova societ, per
tutelare gli interessi del paese.
Ebbene, costoro, dopo un paio
danni si sono fatti liquidare dalla
multinazionale tedesca e si sono dedicati ai loro affari.
Perch non ricordare un altro nome simbolo del made in Italy, Benetton? Questa ricca famiglia del NordEst ha smantellato il suo impero industriale, e oggi conta in borsa
meno che ventanni fa. Per, con le

54

autostrade, i ristoranti, le partecipazioni bancarie, ha conquistato


una ricchezza che seconda solo a
quella di Berlusconi. Anche la famiglia Agnelli non se la passa poi
male, nonostante la sua estensione.
Le operazioni finanziarie di questi
anni hanno sicuramente messo nei
guai la Fiat come industria, molto
meno la pi antica famiglia industriale italiana. Tronchetti Provera
sta liquidando produzioni di
grande valore industriale di ci che
resta della Pirelli, perch deve pagare i debiti contratti per acquistare
Telecom. Si pu andare avanti nellelencare imprese nelle quali si
sono acquistate societ con i loro
stessi soldi, e poi si sono rivendute
intascando guadagni.
Durante Tangentopoli il ministro
Formica, per descrivere la situazione dei partiti, us la metafora del
convento. Quella secondo la quale
il convento era povero, ma i frati ricchi. Oggi siamo di fronte alla stessa
situazione. Le industrie sono povere e deboli, le famiglie industriali
sono piene di soldi. Non si affronta
la crisi industriale italiana se non si
parte da qui, dal drenaggio di risorse sottratte agli investimenti a favore delle varie propriet e dei vari
top manager.
Con lEuro, anche la via di fuga della
svalutazione competitiva della Lira
stata sbarrata. bene ricordare che
lultimo a tentare questa strada fu il
governo Amato. Questi, nel 1992,
svalut la Lira e blocc brutalmente
i salari cancellando la scala mobile.
Laccordo successivo del 23 luglio
1993 sanzionava la compressione salariale e permetteva alle imprese di
vivacchiare, scaricando sul costo del
lavoro tutti i problemi di competitivit. Cos mancata linnovazione, la
spinta alla crescita produttiva, al salto
di qualit nella competizione sui
mercati. Ma la via della competizione
solo sul costo del lavoro non aveva il
fiato per arrivare al cambio di millennio. Allora la Confindustria, con
il convegno di Parma del 2001, tentava di andare oltre. Non pi solo
congelamento ma riduzione drastica
dei salari, con lattacco al Contratto

Marzo Aprile

nazionale e sullarticolo 18. Questa


linea, come si sa, stata fermata dalle
lotte della Fiom e della Cgil. Queste
lotte sono riuscite a rendere questa
linea per il momento impraticabile,
ma, per dirla tutta, non sono invece
state in grado di imporre una vera
svolta. Non si attacca pi frontalmente il sindacato, ma neppure si investe, e tutto questo non pu che preparare una nuova crisi. Quella che
stiamo vivendo.
Con la rivalutazione del 40% dell
Euro rispetto al Dollaro, leconomia
industriale italiana subisce i peggiori
termini di mercato possibili, rispetto
anche agli altri paesi europei.
Francia e Germania hanno una qualit della bilancia commerciale che
permette di reggere il dumping del
dollaro. LItalia no. Per questo il nostro paese rischia di diventare il
grande malato dEuropa, quello su
cui si scaricano tutte le contraddizioni, quello pi vicino al rischio di
catastrofi industriali e finanziarie.
Sono debolezze accumulate in tutti i
settori in ventanni, che esplodono
tutte assieme nel momento della
stretta dei mercati, delle monete,
della politica comunitaria.
Diamoci uno sguardo intorno. Nel
mondo non c affatto crisi economica. Questanno il Pil mondiale
crescer di oltre il 4,5%. Tra enormi
ingiustizie e disparit sociali allucinanti, il Pil mondiale cresce.
lItalia che si fermata, cos come
lEuropa di Maastricht, che va poco
meno peggio del nostro paese. La
verit che tutti i paesi che, nel bene
e nel male, dalla Cina allArgentina
agli stessi Stati Uniti, se ne infischiano delle regole liberiste e governano con lo Stato le proprie politiche economiche, tutti questi paesi
crescono. Chi non lo fa arranca.
LEuropa non lo fa e lItalia, dentro
lEuropa, lanello pi debole della
catena.
Con buona pace di chi, anche a sinistra, teorizzava la fine degli Stati e
una sorta di mercato mondiale autogestito, la realt va nella direzione
opposta. Gli Stati, intrecciati con le
multinazionali di riferimento, decidono. I poteri forti nazionali gover-

Marzo Aprile 2005

nano la liberalizzazione dei mercati. Si va verso oligopoli e monopoli mondiali, nei quali i gruppi dirigenti delle multinazionali agiscono in stretto rapporto con i poteri politici del paese di riferimento.
Insomma, su base mondiale, si afferma un modello di capitalismo
monopolistico legato allo Stato
molto simile a quello analizzato da
Lenin e Luxembourg agli inizi del
Novecento. Torna prepotentemente lo Stato, ma non certo con il
volto keynesiano degli anni
Quaranta-Settanta. uno Stato che
tanto pi governa i processi economici, organizzando i monopoli
come dicono i tedeschi, difendendo
i campioni nazionali , tanto pi
affida al mercato la convivenza sociale. Anni fa Jospin, condidato sfortunato alle presidenziali francesi,
lanci lo slogan S alleconomia di
mercato, no alla societ di mercato. Sta accadendo esattamente il
contrario. A livello economico
siamo di fronte a mercati sempre

Lavoro

meno liberali, a intrecci di poteri


forti tra Stato e multinazionali, mentre nella societ, con lo smantellamento dello stato sociale e dei diritti, si diffonde il mercato. Societ
di mercato e interventismo statale
nelleconomia, questa la nuova dimensione del liberismo.
LItalia giunge a questo passaggio
avendo segato quasi tutti i rami sui
quali poteva assestarsi una politica
economica pubblica. Nello stesso
tempo il governo Berlusconi propone vecchie ricette liberiste di redistribuzione della ricchezza dai poveri ai ricchi, attraverso i tagli allo
stato sociale e la riduzione delle tasse
ai pi ambienti. C il rischio che il
nostro paese subisca i danni sociali
delle politiche liberiste senza avere
nessuna capacit di risalire la china
sul terreno del sistema industriale.
Per questo lItalia il paese nel quale
allordine del giorno, pi che altrove, una svolta sul piano delle politiche economiche e sociali. Si tratta
di combinare una politica di redi-

stribuzione della ricchezza verso il lavoro, con una politica industriale che
veda al centro lintervento pubblico.
Senza la Fiat intesa come industria
, lavoro e ricerca, lItalia si svaluter
pesantemente nella competizione
internazionale. Ma solo il pubblico
pu salvare la Fiat, e solo i lavoratori,
se ben pagati, potranno valorizzare
questo salvataggio.
Si tratta allora di mettere in discussione tutte le scelte di una classe imprenditoriale che ha fallito in tutti
gli obiettivi che si era data. Si tratta
di mettere in discussione ventanni
di politiche liberiste, in tutte le loro
sfaccettature. Se non si far questo
questa la nostra particolarit ,
il nostro paese continuer a sprofondare nel declino. Altre nazioni
europee possono permettersi politiche industriali di sinistra e politiche sociali di destra. Noi no.
O cambiamo tutto, o paghiamo tutto. Questa la difficolt, ma anche il
fascino della sfida che le sinistre e il
mondo del lavoro hanno di fronte.

55

Marzo Aprile

Lavoro

Non si pu far finta


di non sapere che,
nonostante il risarcimento
di 1,5 milioni di euro
effettuato dalla G.M.,
il debito FIAT almeno
di 8 volte superiore
di Vittorio De Martino
responsabile FIOM Mirafiori

a riuscita dello sciopero dell11 marzo e della manifestazione a Roma, a


cui hanno partecipato 20.000 lavoratori della FIAT e dellindotto, ha
imposto allattenzione del governo
e dellopinione pubblica del paese
il problema dellindividuazione di
interveti, anche pubblici, che abbiano lobiettivo della salvaguardia
della produzione automobilistica
nazionale.
utile sottolineare che alla manifestazione hanno aderito e partecipato i rappresentanti degli enti locali, mettendo in evidenza come il
movimento sindacale sia riuscito a
sensibilizzare anche forze politicamente lontane (la Regione Piemonte governata dal centro-destra) dal
movimento dei lavoratori.
Dopo la manifestazione il governo
ha incontrato le segreterie nazionali di Fim-Fiom- Uuil- Fismic, le
quali hanno rivendicato lapertura
di una trattativa nazionale sul destino industriale della FIAT Auto. A
questa richiesta il governo e la FIAT
sino ad oggi non hanno risposto. I
ministri Marzano e Maroni, presenti allincontro, si sono limitati ad
elencare i provvedimenti di loro
competenza relativi ai finanziamenti sullinnovazione e sugli ammortizzatori sociali. Ovviamente la
FIOM considera quei provvedimenti insufficienti e inadeguati a
fronteggiare una crisi del settore

56

Sbaglia il capitale,
pagano gli operai

CRISI FIAT: UNA QUESTIONE TROPPO SERIA PER LASCIARLA


NELLE MANI DEI PADRONI

molto grave e che richiede un intervento pubblico che costringa la


FIAT ad investire su nuovi modelli
che siano in grado di salvaguardare
loccupazione in tutti gli stabilimenti dellauto.
La situazione di mercato della FIAT
infatti contraddistinta, al di l degli ottimismi profusi dal suo gruppo
dirigente dopo la conclusione del
rapporto con la General Motors, da
un sostanziale arretramento di tutti
marchi FIAT. Alcune agenzie di
stampa hanno enfatizzato l8% di
quota di mercato raggiunto in
Europa dai tre marchi del gruppo
come il miglior risultato degli ultimi
11 mesi. Come al solito, non si tiene
conto che la domanda del mercato
scesa del 4%, e che se la pozzanghera si riduce, non per questo il rospo si deve sentire pi grande.
Lasciando da parte ogni commento
sulle contraddizioni tra le dichiarazioni dei manager e le veline ad uso
propagandistico, vorrei ricordare
alcune altre cifre che sarebbe opportuno analizzare con maggiore
attenzione.
Se si fa riferimento al periodo gennaio-febbraio 2004 e lo si rapporta
allo stesso periodo del 2005, il totale
delle immatricolazioni di vetture
FIAT, Alfa e Lancia in Europa passa
da un totale di 210.416 a 172.469
unit, con un saldo negativo di
37.992 vetture immatricolate, di cui

10.961 sul mercato nazionale, che


intorno al 28%.
Nonostante il lancio dei nuovi modelli, la situazione di mercato dice
che in Europa la FIAT perde 18.000
immatricolazioni al mese, e di conseguenza i problemi finanziari del
settore auto rischiano di diventare
ben pi drammatici di quanto lo
siano ora, senza alcuna garanzia di
riuscire a resistere fino allarrivo
della Nuova Punto. Non si pu far
finta di non sapere che, nonostante
il risarcimento di 1,5 milioni di
euro effettuato dalla G.M., il debito
FIAT almeno di 8 volte superiore.
Questa situazione si scarica su tutti
i lavoratori della FIAT e dell indotto, che spesso vengono colpiti da
licenziamenti di massa. A Mirafiori,
in particolare, interviene costantemente la CIG, almeno una settimana al mese, ed probabile che
essa riguarder fra breve anche gli
impiegati. Nella sostanza, se si tiene
conto dei 500 lavoratori della TNT
(ex logistica FIAT) e della Meccanica posti in CIG a zero ore ormai
da circa 2 anni, si pu stimare che
nel sito di Mirafiori vi sia un esubero
strutturale di circa il 30% su un totale di 15.000 addetti. Anche gli stabilimenti di Termini e di Cassino
vengono maggiormente colpiti da
interventi di CIG, non facendo presagire nulla di buono per il futuro
di quegli stabilimenti. Infatti cosa si

Marzo Aprile 2005

far dopo la produzione della


Ypsilon: sar sufficiente la produzione della nuova Croma a saturare
gli impianti di Cassino? A Torino
inoltre non sono previsti modelli in
grado di riportare i volumi produttivi a livello sufficiente per mantenere economicamente sostenibile
lo stabilimento di Mirafiori, che
oggi occupa per la produzione soltanto il 40% dellarea occupata.
Dati noti, ma sempre bene ripeterli, perch denunciare la situazione con chiarezza la prima condizione per non accettare la logica
della chiusura, magari diluita nel
tempo, di due o pi stabilimenti.
Per questa ragione limportante
giornata dell11 di marzo non pu
passare nel dimenticatoio.
Il governo deve intervenire sulla
FIAT, per costringerla ad aprire un
negoziato nazionale sul futuro dellultimo grande gruppo industriale
rimasto al nostro paese. Il governo
deve inoltre mettere a disposizione
risorse per indirizzare la produzione
dellauto sul terreno dellinnova-

Lavoro

zione, della eco-compatibilit della


produzione motoristica e dei sistemi
di mobilit dei grandi centri urbani.
Una classe dirigente degna di questo
nome difende il patrimonio industriale nazionale, oppure condanna
il paese alla decadenza.
La crisi nel settore dellauto determinata, in particolare in Europa, da
un eccesso di capacit produttiva. Vi
sono infatti troppi produttori e
troppi impianti, e la FIAT ha inoltre
un problema di scarsa competitivit
dei suoi modelli. Come si fa ad uscire
dalla crisi in un contesto cos difficile
senza cadere nella logica della chiusura degli impianti e dellabbassamento dei costi distruggendo i diritti
dei lavoratori?
Come non tener conto che la disponibilit di petrolio destinata a decrescere molto rapidamente? Come
non tener conto che la produzione
dellauto (le altre case automobilistiche lo stanno gi facendo) sar caratterizzata da produzioni che, in attesa della concreta realizzabilit della propulsione ad idrogeno, nellim-

mediato rivaluta la motorizzazione


mista (benzina-metano-gpl)?
Il quadro di queste contraddizioni
mostra tutti i limiti e pericoli, ma al
tempo stesso le grandi potenzialit.
Vi si ritrovano infatti tutti gli aspetti
del problema del re-inventare lauto e i sistemi di mobilit nei centri
urbani.
Si pu quindi lasciare al soggetto
privato il compito ammesso ne abbia un reale interesse (la famiglia
Agnelli ha ormai dirottato i suoi interessi su gli altri settori del gruppo
FIAT, che godono di una situazione
finanziaria migliore) di affrontare
una partita la cui posta in giuoco
lidea di sviluppo del nostro paese e
la salvaguardia di migliaia di posti di
lavoro?
I lavoratori italiani come altre volte
nella storia del nostro paese si sono
mobilitati e si mobiliteranno per difendere loccupazione e per salvaguardare linteresse nazionale. A
tutta la sinistra politica chiediamo di
non venir meno al dovere di rappresentare i valori del mondo del lavoro.

57

Marzo Aprile

Comunisti

Chi era Aldo Lombardi?


Perch cera tutta una citt
La Spezia e il suo Sindaco
al suo ultimo saluto?

Addio caro,
carissimo
compagno Aldo

di Bruno Casati

IN MEMORIA DI ALDO LOMBARDI, FIGLIO DEL MOVIMENTO OPERAIO,


DIRIGENTE COMUNISTA, POETA, RIVOLUZIONARIO

ldo Lombardi ci ha lasciati. Cos, allimprovviso. Era a Venezia con noi


al Congresso di Rifondazione, con
noi ha votato per lultima volta nel
tardo pomeriggio di quella domenica, poi, il mercoled, la telefonata
dei compagni di La Spezia: morto
Aldo. E Aldo lo abbiamo salutato
in tanti, in tantissimi, due giorni
dopo: migliaia di cittadini spezzini,
centinaia le bandiere rosse listate a
lutto, affranti i famigliari, sgomenti
i compagni e le compagne.
Ma chi era Aldo Lombardi? Perch
cera tutta una citt e il suo Sindaco
al suo ultimo saluto? Aldo era un
compagno straordinario, un dirigente naturale, entusiasta e creativo, una persona di una umanit e
generosit eccezionali. Tutto qui.
Aldo era questo. Sono onorato di essergli stato amico per quarantanni.
Quarantanni: perch lho conosciuto alla met degli anni 60. Lui
era un giovane cantierista, che per
aveva gi diretto la lotta, vittoriosa,
degli operai spezzini che volevano
essere assunti in quellEnel che si
era da poco costituita, soppiantando le vecchie baronie elettriche.
Io ero, allora, un giovane tecnico
della progettazione di quelle ciminiere che tuttora svettano sugli impianti di produzione elettrica. E ci
incontrammo, appunto in quel di
Turbigo sul Ticino, un grande cantiere, entrambi convinti che fosse

58

pi esaltante lavorare per il bene


pubblico piuttosto che per il tornaconto di un padrone.
LEnel non era ancora diventata lazienda che poi avrebbe fatto parlare
di nazionalizzazione tradita, ma
gi vi apparivano i segnali sconfortanti di quelle cordate di politici e
dirigenti senza scrupoli che cercavano di impadronirsi, come poi ci
riusciranno, del business del kilowattore.
Io e Aldo militavamo nel sindacato
degli elettrici della CGIL, che allora
si chiamava FIDAE e che poi divenne FNLE. Era un sindacato forte; lo dirigeva Valentino Invernizzi,
un comunista di Lecco, quadro carismatico, un partigiano, dalla dirittura morale fortissima, un maestro.
Erano gli anni in cui, dopo le fiammate del luglio del 60 la lotta a
Tambroni, lo sciopero generale e
antifascista della sola CGIL (il mio
primo sciopero, come dimenticarlo?) si andava ad annunciare il
biennio della riscossa operaia. La
scintilla fu nelle scuole, a Milano
prima fu la Cattolica di Capanna e
poi la Statale. Nelle fabbriche,
prima la Pirelli e poi via via tutte le
altre. Si sollevava la testa e si riprendevano i temi della lotta degli
elettromeccanici milanesi diretta,
anni prima, da Giuseppe Sacchi e
Pierre Carniti. Si parlava, addirittura, di proletarizzazione degli im-

piegati! Ogni giorno cera unassemblea, un corteo, unoccupazione. Con Aldo, noi giovani quadri
di fabbrica, cercavamo di capire, di
sintonizzarci con quel fermento che
scuoteva dalle fondamenta il sistema (allora lo si chiamava cos).
E gli equilibri politici che avevano
retto dal 45 sino ad allora erano in
discussione: montava una nuova domanda sociale, crescevano cos movimenti veri e possenti e al di fuori
dei partiti. Laltro mondo sembrava
possibile, ed era il mondo del socialismo. E, nel Vietnam, gli USA venivano cacciati.
Con Aldo ci trovammo il 19 novembre del 69 quando, nellincontro di piazza tra lavoratori e studenti
programmato davanti al Lirico, intervenne la Celere con feroce tempismo, esattamente come a Genova
25 anni dopo. A Genova cadde
Carlo Giuliani, a Milano quel
giorno mor lagente Annarumma,
e solo qualche giorno dopo, il 12 dicembre, fu Piazza Fontana.
Aldo gi allora era un compagno curioso, disponibile, aperto, sempre
in prima fila. Un compagno certo
critico con quello che allora era il
suo e che divenne poi anche il mio
Partito. Che volevamo pi combattivo, meno burocratizzato. Ma
guai se altri si azzardavano a criticarlo, il Partito. Allora alzava la voce,
polemizzava, tenace e ironico, sem-

Marzo Aprile 2005

pre con quella sua cadenza ligure


che non ha mai perso, pur nel suo
peregrinare da cantierista nei cantieri elettrici di mezza Italia.
Il cantiere la sua gente, i suoi dialetti, i suoi odori era il suo ambiente naturale. L era a casa, a suo
agio. Il cantiere era fabbrica e
scuola. E fabbrica particolare, provvisoria, durava infatti dagli 8 ai 10
anni. In questo arco di anni vi si concentravano operai e tecnici di centinaia di aziende, grandi, piccole,
medie, dellItalia e dellEuropa. E
attorno al cantiere sorgeva una cittadella che, dopo gli 8/10 anni , si
dissolveva.
Ecco, essere dirigente di quel cantiere e, quindi, vigilare su appalti,
subappalti, lavori pericolosi, infortuni, lavoro in nero, e dirigere lotte,
spesso aspre, richiedeva le grandi
doti che Aldo possedeva.
Non era un sindacalista degli elettrici, ma degli edili, dei metalmeccanici, dei chimici. Sindacalista generale. E un leader naturale.
La sua capacit di oggi di dirigere la
Federazione di La Spezia, come
prima la Camera del Lavoro, in
modo cos carismatico e originale,
era nata proprio l, nel confronto
con gli operai, con gli ingegneri,
con gli imprenditori, con i Sindaci.
E nei suoi cantieri si inventarono
vertenze esemplari, contratti di
sito si direbbe oggi, che poi entravano nei contratti nazionali. Una
bella storia la sua.
Al congresso di Venezia, seduti vicino come cento e cento altre volte,
commentavamo invece e con una
vena di amarezza le pose e i toni che
assumevano taluni giovanotti che
sfilavano sul palco, e ci domandavamo e questa sarebbe la nuova
classe dirigente del Partito? Ma che
pratica di lavoro di massa hanno
mai fatto, se non qualche corteo di
sabato? Quanti scioperi hanno diretto? Ma hanno mai lavorato o, almeno visto lavorare? E ci guardavamo scuotendo la testa.
Ora tanti episodi mi ritornano in
mente ricordando Aldo. Ne scelgo
uno, della met degli anni 70. Ero
diventato allora il Segretario degli

Comunisti

elettrici CGIL, quando mi avvicin


un gruppo di antifascisti uruguayani esiliati in Italia da quel regime
che mi dissero: Guarda che stato
arrestato Eugenio Bentaberry, il
Presidente del sindacato degli elettrici del nostro Paese. molto anziano, sappiamo che lo stanno torturando. Per favore, fate qualcosa.
La vicenda mi colp molto e ne parlai con Aldo, che allora era nel
grande cantiere di Tavazzano, vicino a Lodi. Insieme, ma soprattutto lui, mettemmo a punto una
campagna per la liberazione di
B e n t a b e r ry: firme, petizioni, appelli, manifestazioni, presidi al consolato. E, cosa da non crederci,
Bentaberry viene liberato e, espulso
dallUruguay, sceglie di venire in
Italia. Dove accoglierlo se non a
Tavazzano? Ora vi prego di immaginare una grande sala mensa con
tremila operai in attesa, e questo
vecchietto che la tortura aveva segnato, che parla loro cos: Nel buio
del carcere aspettavo la morte. Poi,
dallisolamento, filtra una voce che
mi dice: Guarda che in Italia degli
operai stanno manifestando per la
tua vita. Ecco, fratelli miei, questo
e solo questo mi ha dato la forza per
resistere. Grazie, companeros! E la
sala si alza in piedi e, immaginate
ancora, tremila persone che intonano lInternazionale. E vedo ancora Aldo con le lacrime che gli rigano il volto.
A Rifondazione ci arrivammo insieme. Da anni il PCI, dai tempi di
Berlinguer, ci stava stretto. A Rifondazione Aldo ha dato tanto, tantissimo, in tempo, lavoro di giorno e
di notte, entusiasmo che come altri
lo ha sottratto ai suoi cari che ora lo
piangono.
Quando, ancora a Venezia, sentiamo che sempre da quel palco ci
si dice che Esistono in Italia due
partiti comunisti, e quindi a chi non
sta bene questo, ci arrabbiamo,
e rispondiamo dicendo due cose:
Primo, che per noi c un solo partito ed quello che abbiamo contribuito noi a fondare, mentre altri
dubitavano galleggiando nel gorgo.

Secondo, che lo abbiamo difeso noi


questo partito a Milano, a Torino, a
La Spezia e altrove quando era esposto a rischi altissimi, come nel 98, e
lo difendiamo anche adesso dallautoritarismo di quanti si atteggiano a capi. Noi non abbiamo capi!
E combattiamo il conformismo e
lopportunismo dilagante. Cos ci
siamo detti anche a Venezia.
Aldo era per molte cose insieme.
Politica, ma non solo politica. Era
non un Segretario di Federazione,
ma il Segretario, quello che d lesempio tutti i santi giorni, che solleva al mattino la saracinesca della
sua Federazione di cui era orgoglioso, e lultimo che la tira gi a tarda sera; che scriveva i volantini che
poi diffondeva a fianco a fianco con
i compagni e le compagne; che promuoveva mille iniziative, marce,
convegni, presidi, ma anche mostre
e presentazioni di libri; che preparava la Festa che voleva sempre pi
grande e sempre pi bella; che incalzava il Sindaco su ogni problema,
come per la casa agli sfrattati, sempre della parte degli ultimi; che sognava una citt, la sua La Spezia, che
si andasse a riconvertire, smilitarizzata, in una citt della pace, del lavoro, del commercio.
Quando ci si domanda perch
tanta gente al funerale, guardate
che in questo elenco, assai parziale, che sta la risposta parziale. E
lo avrebbe votato, quella gente, alle
elezioni regionali, in cui, dopo
molte pressioni, aveva accettato la
candidatura. Sarebbe stato un grande consigliere Regionale, perch
sui banchi avrebbe portato la voce
della classe operaia. Immagino la
scena del Presidente del Consiglio
che dice Ha ora la parola il consigliere Lombardi, e con Aldo che si
alza e parla, e con lui si alzano e parlano loperaio e il disoccupato, il
precario e limmigrato.
Ma Aldo non era soltanto un uomo
politico. Era una personalit poliedrica. Aldo era un poeta, e dolce anche. Ho ancora delle poesie dentro, mi ha confidato sul vaporetto

59

Marzo Aprile

Comunisti

mentre tornavano da Venezia.


Coltivava vari progetti, e sognava.
Ed era molto orgoglioso del successo del suo ultimo spettacolo teatrale su Che Guevara. Lo voglio
portare a Genova, mi confess.
Mente libera, sciolta, bella.
Orgoglioso, lo ripeto, della sua
Federazione. E i suoi compagni, le
sue compagne, orgogliosi di quel
loro Segretario cos unico, cos
matto.
Lo dico con tanto rimpianto. Lui mi
considerava il suo riferimento politico e, quando cera una decisione
da prendere, i compagni di La
Spezia lo prendevano in giro per
quel suo Ma Bruno cosa ne pensa?
Era una specie di gioco tra di noi.
Che oggi si interrotto. Quando per
lultima volta ci siamo salutati abbracciandoci alla stazione di S.
Lucia, ci eravamo dati appuntamento per il venerd a Roma, allo
sciopero dei metalmeccanici Fiat.
Quel venerd il nostro incontro
stato diverso. E ci siamo raccontati,
per lennesima volta, di quando ci
si trov nell80 a Mirafiori in quella
lotta, in quella sconfitta ai cancelli
della Fiat, e ci dicevamo ( il 6 Congresso del PCI ci aveva molto intristiti) che il dirigente non va giudicato dallesito delle sue battaglie ma
dalla scelta stessa di dare battaglia.
E Aldo non misurava mai la sua
scelta con la bilancia del tornaconto
politico che ne derivava. Un bel
compagno, un grande amico, un
fratello. Quando ci salutammo mi
disse come sempre Tieni duro.
Certo che tengo duro, caro, carissimo Aldo.

60

QUALCHE PAROLA SU DI ME
Amo la vita
tanto, tanto,
e quando guardo
i manifesti dei morti
abbasso gli occhi
e mi listo
il cuore a lutto.
Quel giorno
che toccher a me
la morte
anche le nuvole
dovranno portare
le mutande rosse.
Mentre un prete giusto
che ha mangiato
e digerito il Vangelo
mi accompagner
con le bandiere rosse
e il canto dellInternazionale.
Solo bandiere
e fiori rossi.
Che nessuno
mi giudichi
con pochezza o ipocrisia.
Se sono stato giusto
lo dica a chi
ho baciato i piedi.
Tutto il resto
a me non interessa.
Aldo Lombardi
(dalla raccolta Canto del pettirosso,
Editrice Cultura 2000, 1991 )

Marzo Aprile 2005

Internazionale

Il baratto tra USA e le principali


potenze europee (Francia, Germania,
Gran Bretagna) prevede anche
un agnello sacrificale
sul quale far convergere gli interessi:
il Libano e la Siria

Bush in Europa.
Un baratto
provvisorio

di Sergio Cararo
direttore di Contropiano

A BRUXELLES CI SONO STATI UN BARATTO E UN CHIARIMENTO DI


RUOLI, MA SU QUESTIONI STRATEGICHE COME LA NATO
E IL COMPLESSO DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI LE DIVERGENZE
TRA

peana che si sono sollevati sulla visita di Bush e gli incontri che ha
avuto con i leaders europei somigliano fortemente a quello che
Giulietto Chiesa ha giustamente definito lo tsunami informativo. ovvio che in uno tsunami difficile
orientarsi, perch la violenza dei
flussi tale da sbaraccare tutto. Ed
cos che, di fronte ad alcuna positiva novit, anche i leader della sinistra italiana ed europea cedono
terreno e concedono a Bush (e in
alcuni casi anche a Sharon) una
nuova credibilit. Il viaggio di Bush
in Europa stato paragonato ad una
grande riconciliazione tra le due
sponde dellAtlantico sia dagli osservatori filo-americani sia da quelli
pi critici verso lamministrazione
statunitense. Ma la versione sintetica che entrambe sottendono invece sostanzialmente falsa, sostiene Giulietto Chiesa. Non c
stata nessuna riconciliazione tra
Europa e Stati Uniti, al di l delle
scenografie obbligatorie che devono essere disegnate per tranquillizzare il grande pubblico. Non c
stata perch non pu esserci.
Quello che salta agli occhi che i
governanti europei devono oggi fare i conti con una ammnistrazione
Bush uscita rafforzata dalle elezioni
presidenziali e non con quella pi
incerta degli anni scorsi.
Un conto prendere di petto un

USA E NOCCIOLO DURO EUROPEO SONO RIMASTE TALI

presidente che potrebbe uscire di


scena tra poco, un altro trovarsi a
trattare con uno che ha davanti altri quattro anni pieni del suo mandato. Se poi si tiene conto che dispone delle forze armate e delleconomia pi forti del mondo, era impensabile pensare che Chirac e
Schoeder potessero accapigliarsi
apertamente con Bush una questione di protocollo, al quale per
n Prodi, n Fassino, n Bertinotti
erano tenuti ad attenersi, non
avendo (ancora) responsabilit di
governo.
Diventa dunque necessario riprendere in mano la bussola per cercare
di orientare la discussione e lanalisi, fornendo elementi che pure
sono ben visibili anche tra le righe
dei corrispondenti e dei commentatori dei giornali italiani o internazionali.
Il Sole 24 Ore ad esempio coglie la
sostanza della visita e degli incontri
di Bush con grande chiarezza: A
Bruxelles ci sono stati un baratto e
un chiarimento di ruoli, scrive il
quotidiano confindustriale. Bush e
gli USA non interferiranno nelle
beghe interne europee con i progetti disgreganti sulla Vecchia e la Nuova Europa e lUnione Europea non
dar vita a proiezioni esterne (cio
interventi militari con strutture proprie) che non siano coordinate e
concordate dentro la NATO.

SIRIA

LIBANO

COME MERCE DI SCAMBIO

Il baratto tra USA e le principali potenze europee (Francia, Germania,


Gran Bretagna) prevede anche un
agnello sacrificale sul quale far convergere gli interessi: il Libano e la
Siria.
Gli Stati Uniti (insieme e per conto
di Israele) vogliono schiantare la
Siria e il suo appoggio agli
Hezbollah in Libano, ad Hamas e
alla sinistra palestinese nei territori
occupati da Israele ed alla resistenza
irachena. La Francia vuole riprendere il controllo neocoloniale del
Libano. Do ut des, come ai vecchi
tempi delle spartizioni coloniali.
Il commento del giornale arabo del
Qatar Al Watan (che pure un giornale autorevole ma moderato)
emblematico di come questo baratto viene percepito in Medio Oriente. Di punto in bianco Chirac saltato da posizioni che da pi di due
anni lo ponevano in contrasto con
lAmministrazione americana ad
una frettolosa collaborazione volta
allemanazione della risoluzione
1559 dellONU, aderendo cos in
maniera scoperta alla politica americana di pressioni contro la Siria,
allo scopo di realizzare gli interessi
americani in Iraq, gli interessi francesi in Libano e gli interessi comuni
franco-americani nel mondo arabo-

61

Marzo Aprile

Internazionale

islamico nel suo complesso commenta Al Wa t a n, che sottolinea


molto chiaramente come Non vi
sono divergenze fra Parigi e
Washington se si tratta di mettere in
ginocchio gli arabi e di disporre a
proprio piacimento della regione
del Medio Oriente, in modo da trasformarla in una regione libera in
cui sia possibile portare avanti tutte
le operazioni delloccidente, sia politiche che militari, sia di saccheggio
economico che di colonizzazione
culturale, proposte sotto la veste di
una liberazione della regione, della
democratizzazione e della lotta al
terrorismo. Loccidente con i suoi
due volti, quello americano e quello
europeo, stato e sar sempre persuaso di essere il tutore del mondo
intero, e si arroga il diritto di disegnare il futuro di tutti i popoli, considerati incapaci di decidere del
proprio destino o semplici protettorati naturali, dei quali necessario assumere lamministrazione,
disponendo a proprio piacimento
dei loro affari.
Analoga lanalisi del giornale siriano At Thawra, che ovviamente risente della consapevolezza della
Siria di essere diventata la moneta
di scambio tra USA e Francia. Ci
che il mondo vuole sapere sulla
base di quali principi e di quali
norme si realizzer questa nuova
convergenza euro-americana; quali
saranno le ricadute sulla stabilit internazionale; a spese di chi avr
luogo questo riavvicinamento. Ci
che stupisce il fatto che prima
della visita di Bush nessuna delle
due parti abbia rilasciato dichiarazioni in grado di chiarire la questione. Ma colpisce anche la fiducia
della comunit internazionale nel
fatto che il superamento di queste
divergenze non avverr a sue spese.

MA
SULLA

LE DIVERGENZE

N ATO

R E S TA N O

Ma se sulle aree di influenza possibile il baratto, su questioni strategiche come la NATO e il complesso
delle relazioni internazionali le di-

62

vergenze tra USA e nocciolo duro


europeo, sono rimaste tali.
Schroeder e Chirac sostengono infatti un superamento de facto della
NATO e lintroduzione di una partnership speciale tra Stati Uniti da
una parte e Francia, Germania,
Gran Bretagna dallaltra.
Schroeder ha scoperto le carte su
un progetto di direttorio strategico
a quattro Washington e i tre europei che vorrebbe proporre a Bush
, scrive un esperto di diplomazia
come Ferdinando Salleo su La Repubblica, ma questo segnerebbe la
fine della NATO. Nella conferenza
stampa congiunta al termine del
loro incontro, Schroeder e Bush si
sono dichiarati soddisfatti, definendo la guerra in Iraq un argomento del passato. Ma il cancelliere tedesco stato netto: Stati
Uniti e Germania sono due partner
allo stesso livello.
Se tale il progetto europeo, proprio su questo Bush ha risposto picche, ribadendo che lunico foro
transatlantico deve rimanere la
NATO. Tant che secondo Franco
Venturini (Corriere della Sera) la divergenza al di l delle frasi di prammatica rimasta intatta. Non solo,
ma sulla strada Ci sono due bombe
ad orologeria nel bel mezzo
dellAtlantico: la revoca dellembargo sulle armi alla Cina da parte
dellUnione Europea e i negoziati
con lIran sul nucleare.

EMBARGO

ALLA

DUE

CINA

IRAN.

MINE

I N M E Z Z O A L L AT L A N T I C O

Lembargo alla vendita di armi alla


Cina verr con ogni probabilit abolito dallUnione Europea entro i
prossimi sei mesi, nonostante la contrariet degli Usa. Lo ha detto il ministro degli Esteri britannico Jack
Straw, riferendo ad una commissione parlamentare britannica sulle
esportazioni di materiale strategico.
Il bando fu imposto 15 anni fa in seguito alla repressione dei moti di
piazza Tienanmen, e Straw ha detto
che un errore tenere la Cina di oggi

nella stessa categoria di paesi quali


Myanmar o Zimbabwe. Ho sempre
capito le critiche della Cina a questo
accostamento. Non appropriato
metterla nello stesso gruppo di questi altri paesi. Secondo Straw probabile che lembargo venga tolto
prima che la Gran Bretagna assuma
la presidenza di turno dellUe. Al suo
posto verr introdotto un codice di
condotta che impedir un aumento
delle esportazioni di armi con tecnologie avanzate verso Pechino. Per
Straw, lopposizione Usa alla fine dellembargo europeo dovuta a mancanza di informazioni e comprensione su come le linee-guida per le
esportazioni funzionano nei paesi
Ue. Secondo il capo del Foreign
Office, con Washington sono in
corso intense discussioni per far
comprendere la decisione europea.
Negli ambienti diplomatici si esclude che Bush far concessioni agli europei nella disputa sul nucleare con
lIran. Quando la Rice era giunta in
Europa, nelle dichiarazioni pubbliche aveva destato limpressione che
gli USA fossero disposti a giungere
a una soluzione intermedia e che
non puntassero sullopzione militare prima di aver concesso una possibilit agli sforzi diplomatici.
Tuttavia, negli incontri a porte
chiuse con il presidente della Commissione Europea, Barroso, e con
Javier Solana, il Segretario di stato
americano aveva usato toni durissimi. La Rice ha comunicato il rifiuto di Washington nel sostenere
gli sforzi diplomatici degli europei
per giungere ad una soluzione pacifica della contesa nucleare con
lIran, cos come ha rifiutato la proposta di appoggiare lingresso
dellIran nel WTO, ed ha scartato
lipotesi di alleggerire le sanzioni
economiche imposte allIran da
parte degli USA.
Washington ritiene infatti che gli
europei non siano in grado di portare a termine con successo le trattative con lIran senza un sostegno
da parte dellamministrazione americana. Ma la Rice ha sostenuto che
lunico modo per ottenere concessioni dal regime di Teheran quello

Marzo Aprile 2005

di isolare lIran politicamente e di


imporre un embargo economico
nei suoi confronti, e Bush stato sibillino sul possibile intervento militare contro lIran.
Ci sarebbe infine un terzo scoglio:
lIraq. vero che con le elezioni in
molti hanno voluto dare una verniciatura di normali alla perdurante
occupazione militare del paese.
anche vero che lONU viene ancora
agitata da molti come soluzione per
dare legittimit alloccupazione
stessa. vero che gli Stati Uniti stanno cercando di venirne fuori con il
massimo risultato possibile e riducendo le perdite (che cominciano a
farsi consistenti). Ma vero soprattutto che gli iracheni hanno dimostrato con la loro resistenza che la
parola definitiva sul futuro dellIraq
intendono dirla loro, e che i governi
europei continuano a defilarsi da
impegni concreti e consistenti sul
campo. Le decisioni sullIraq prese
in sede NATO a guardarle da vicino
sono infatti ben poca cosa.

Internazionale

N E RV I S C O P E RT I

DELLE RELAZIONI CON

MOSCA

Infine resta il nervo sensibile delle


relazioni con la Russia. Mosca tornata sulla lista nera degli USA da
quando ha ristatalizzato lindustria petrolifera. Come noto, infatti, la democrazia dei vari paesi
non viene misurata in termini di libert politiche o di come affrontano
militarmente i vari fronti interni, ma
su quanto salvaguardano i rapporti
privati di propriet e favoriscono gli
investimenti stranieri. Si possono
anche scannare i ceceni, truccare le
elezioni o gettare sul lastrico milioni
di pensionati, ma limportante
non toccare la propriet privata. La
Russia, come noto, guarda
allUnione Europea come sponda
politica ed economica. ma infastidita dai rilievi sullassetto democratico interno che gli vengono da statunitensi ed europei. preoccupata
dallassedio della NATO e dalla penetrazione politico-militare statuni-

tense nelle repubbliche ex sovietiche: Georgia prima e Ucraina poi.


Bush, tra laltro, ha ricevuto il suo
uomo di paglia ucraino, Yushenko,
per ben dieci minuti, a significare
che nella gerarchia dei vassalli, gli
uomini arancioni prosperati a
Kiev sono decisamente in basso.
Nonostante le pressioni USA e lincontro con Bush a Bratislava, la Russia ha concluso ugualmente un accordo strategico sul nucleare con
lIran ed ha mantenuto le forniture
di missili alla Siria.
Bush quindi torna dal suo giro nella
periferia centrale del suo ex impero
con qualcosa che rompe lisolamento in cui laveva cacciato la guerra
contro lIraq rivelandone il logoramento egemonico , ma con scarsissimi risultati strategici e a lunga
scadenza.
Ha ragione Giulietto Chiesa: parlare di riconciliazione transatlantica un eufemismo che, se preso
per buono, conduce ad un serio errore di valutazione politica.

63

Marzo Aprile

Internazionale

La tornata elettorale palestinese


ha dato un grande esempio
della maturit politica e democratica
del popolo palestinese.
Ora la palla passa
nel campo israeliano e americano

Dopo elezioni
in Medio Oriente

di Bassam Saleh`
Giornalista palestinese

I NODI SONO ANCORA IRRISOLTI.


SENZA LIBERT, FINE DELLE OCCUPAZIONI E GIUSTIZIA, NON CI SAR
ALCUNA PACE DURATURA IN MEDIO ORIENTE

re eventi hanno dominato lo scenario mediorientale in questi primi tre


mesi dellanno: le elezioni palestinesi del 9 gennaio, le prime dopo la
scomparsa di Arafat; le elezioni in
Iraq del 30 gennaio; la primavera
libanese, dopo lassassinio di
Hariri. E le minacce Usa alla Siria e
allIran.
Ma dobbiamo pure ammettere che
il contesto in cui questi eventi si
sono susseguti un contesto di
guerra preventiva, di occupazione e
di resistenza: loccupazione americana dellIraq, che dura da quasi
due anni, loccupazione israeliana
della Palestina che continua dal
1967, mentre le minacce americane
contro lIran e la Siria crescono
giorno dopo giorno.
La tornata elettorale palestinese ha
dato un grande esempio della maturit politica e democratica del popolo palestinese. Ora la palla passa
nel campo israeliano e americano.
Tutti coloro che avevano teorizzato
la mancanza di una leadership palestinese capace di dialogare e negoziare una pace giusta e durevole
con Israele, dovrebbero rivedere la
loro posizione, e cominciare a fare
pressioni sui governanti israeliani
per condurli al tavolo delle trattative
con lANP con pari dignit fra le
parti: a partire da Gaza, mettendo al
centro della trattativa la decisione
israeliana di un ritiro unilaterale e

64

concordandolo con lunica autorit


che rappresenta il popolo palestinese. E che sia linizio di un ritiro
completo dalla Cisgiordania, sulla
via della creazione dello stato indipendente palestinese. Tale trattativa
dovrebbe avvenire con la partecipazione del quartetto composto da
USA, ONU, UE, e Russia, che dovrebbero garantire il ritiro dellesercito di occupazione israeliano e
garantire la sicurezza dei palestinesi.
Sullelezione di Abu Mazen si
detto tanto, ma la cosa pi importante rimane la determinazione del
popolo palestinese a conquistare e
raggiungere la sua indipendenza
con la creazione di uno stato sovrano sui territori occupati da
Israele nel 1967, con Gerusalemme
est capitale e lattuazione della risoluzione numero 194 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, riguardante il diritto inalienabile
dei rifugiati palestinesi al ritorno
alle loro case.
Laltro fatto importante avvenuto
sulla scena israelo-palestinese, avvenuto dopo lelezione di Abu Mazen,
stato il vertice tenutesi l8 febbraio
scorso a Sharm El Sheikh, e qui dobbiamo ammettere che Sharon
stato il vero vincitore. Se ne infatti
tornato a casa portando con s tre
importantissime conquiste: la promessa di Abu Mazen della fine
dellIntifada e di ogni violenza con-

tro gli israeliani, ovunque essi si trovino; il ritorno in Israele di due ambasciatori legiziano e il giordano
richiamati in patria quattro anni
fa allinizio della seconda Intifada
per protesta contro le violenze israeliane; e infine la riverniciatura della
figura di Sharon come un uomo che
cerca la pace. In cambio, egli ha promesso solo verbalmente di fermare la violenza contro i palestinesi
e di liberare qualche centinaio di
prigionieri palestinesi, anche se si
tratta dei tanti che hanno finito il
periodo di detenzione e che sono
ormai diventati un peso per lamministrazione carceraria israeliana.
Il regime egiziano, sottoposto alle
pressioni economiche e politiche
degli USA per lattuazione delle riforme democratiche, si affrettato
a liberare la spia israeliana Azam
Azam, condizione posta da Sharon
per presenziare al vertice. Inoltre,
per ottenere le agevolazioni economiche americane, lEgitto ha accettato che tutti i prodotti egiziani
esportati negli Usa abbiano almeno
l11% di materie prime di provenienza israeliana. In cambio, gli Usa
chiuderanno tutti e due gli occhi
sulla riforma istituzionale (come
noto Mubarak sta preparando suo
figlio alla successione) e sulla questione dei diritti umani in Egitto.
Quindi il presidente egiziano, padrino dei negoziati fra le forze di si-

Marzo Aprile 2005

curezza israeliane e palestinesi,


aveva fretta di ottenere un successo
agli occhi degli occidentali che lo
confermasse come uomo chiave
nella regione. E a questo proposito
Mubarak ha esercitato le sue pressioni sui palestinesi (considerando
le varie dichiarazioni di Abu Mazen
sulla ripresa dei negoziati con
Israele), sulla Giordania (in riferimento alla presenza di due milioni
di palestinesi che vivono in questo
paese e alla complessa situazione al
confine iracheno) e pure sulla Siria,
accusata dagli Usa di aiutare la resistenza irachena, di non favorire la
stabilit in Iraq e nella regione per
i suoi rapporti con lIran (altro
accusato e forse prossimo obbiettivo della guerra preventiva e permanente dei neocons americani) e
con gli Hezbollah in Libano.
La Siria ha dichiarato la propria disponibilit a negoziati con Israele
senza condizioni per una soluzione
globale della crisi mediorientale. La
crescita di ruolo dellEgitto nella
qualit di imbianchino della maldestra politica israelo-americana in
Medio Oriente un chiaro indizio
della difficolt che le forze di occupazione stanno affrontando sia in
Iraq che in Palestina. In particolare,
evidente che le elezioni irachene
non hanno portato n la democrazia n la stabilit nel paese; anzi,
adesso siamo forse pi vicini ad una
guerra civile fra sunniti e sciiti e tra
arabi e kurdi, un processo che potrebbe sfociare in una balcanizzazione dellIraq.
In Palestina lelezione di Abu
Mazen alla presidenza dellANP
stata ridimensionata e contraddetta
dalle elezioni amministrative, che
hanno visto una schiacciante vittoria di Hamas e la sconfitta di Al
Fatah, il partito di Abu Mazen. Ora
occorre attendere le elezioni del
Consiglio Legislativo palestinese
del prossimo luglio per vedere se
confermeranno o meno i risultati
delle amministrative. In caso affermativo, potrebbero essere guai
molto seri per il governo di Abu
Mazen e per tutto il processo negoziale, che richiede dalla leadership

Internazionale

palestinese una capacit di analisi e


di proposta allaltezza della situazione e senza esclusioni (capace di
coinvolgere, cio, tutte le organizzazione palestinesi, laiche, di sinistra e di matrice islamica).
Ritornando al vertice di Sharm El
Sheikh, dobbiamo constatare come
n Abu Mazen, n Mubarak, n re
Abdallah hanno avuto il coraggio di
parlare delloccupazione israeliana
e della necessit di attuare le numerose risoluzioni del Consiglio di
sicurezza dellONU e del diritto internazionale come basi per una giusta soluzione politica del conflitto.
Parlare solo di sicurezza e di come
fermare la violenza non certo sufficiente. In gioco c una questione
di diritti essenziale per i palestinesi,
per la loro libert, indipendenza e
autodeterminazione. Ignorarlo, significa non voler trovare una soluzione politica, e lasciare la strada
aperta alla sola violenza delloccupazione.
La stampa palestinese, in generale,
ha trattato con molta cautela e senza
enfasi i risultati di questo vertice,
mettendo in primo piano la non
credibilit del governo Sharon rispetto al raggiungomento di una
pace vera e giusta con i palestinesi,
ed ha avvertito non solo il presidente palestinese, ma anche lamministrazione americana, lUnione
Europea e la Russia dei pericoli che
derivano della continuazione delloccupazione israeliana.
I fatti hanno poi dato ragione alla
cautela e al pessimismo. Il giorno
successivo alla conclusione del vertice, i coloni israeliani hanno ucciso
Ibrahim Abu Yazar, di 20 anni, nei
pressi di Gaza. la prima vittima palestinese dopo il cessate il fuoco.
Immediata e scontata la risposta palestinese, rivendicata dal movimento islamico di resistenza
Hamas, con lanci di razzi (si dice 47)
contro linsediamento di colonie di
Neve Dekalim, che non hanno provocato vittime. Immediate sono
state anche le risposte di Sharon e
di Abu Mazen: il primo ha annullato
gli incontri con i palestinesi e cancellato la riapertura dei valichi fra

Gaza e Israele, mentre il secondo ha


riunito a Ramallah il primo ministro Abu Ala, i responsabili della sicurezza e il comitato centrale di Al
Fatah, ordinando la destituzione
dei massimi dirigenti della sicurezza
di Gaza. Motivo, la loro incapacit
di impedire i lanci di mortaio e il
non avere preso le misure necessarie a far rispettare la tregua da parte
palestinese. Ma quale tregua? Esiste
solo quella unilaterale palestinese?
Sembra in proposito che Abu
Mazen abbia scambiato ladesione
di principio alla sua richiesta di una
tregua da parte delle organizzazioni
palestinesi come unaccettazione
incondizionata, ignorando che se
tregua deve essere, deve esserci anche dallaltra parte.
In questo modo i palestinesi sono
stati puniti due volte, da Abu Mazen
e da Sharon, mentre i soldati e i coloni israeliani sono rimasti impuniti. Uno dei responsabili delle
Brigate di Al Aqsa, una costola di Al
Fatah, aveva dichiarato prima del
vertice lappoggio ed il sostegno
dalla sua organizzazione ad Abu
Mazen, ma ha pure ricordato che le
Brigate non sono nate da una decisione arrivata dallalto e che pertanto non saranno sciolte da una decisione dallalto. Come dire: possiamo certamente trattare e negoziare, ma dobbiamo anche continuare la nostra lotta e la nostra resistenza. vero che il bilancio delle
forze in campo non a favore dei
palestinesi, ma le esperienze vietnamita, algerina, cubana e libanese
insegnano che la lotta per la libert
e lindipendenza alla fine pu vincere. Che non ci possa essere pace
duratura senza giustizia, continua a
rimanere il dato principale.
In Iraq le elezioni non hanno portato n la sicurezza n la democrazia tanto decantata dai mezzi di informazione. Anzi lAssemblea
Nazionale (il parlamento) si dovuta riunire la prima volta quasi
clandestinamente, e non possibile
sapere n quando n dove si riunir
la prossima volta, al punto che qualche commentatore arabo ha descritto tutto questo come un parla-

65

Internazionale

mento clandestino, per non dire


una banda di fuorilegge che sincontrano nelloscurit, e non un
parlamento eletto con suffragio universale. Questa Assemblea Nazionale stata sino ad ora incapace di
eleggere un presidente e un primo
ministro in grado di formare un governo provvisorio che guidi il paese
fino alle prossime elezioni previste
per dicembre.
Oggi lIraq non solo sotto occupazione, ma un paese sequestrato,
derubato e distrutto. Bisogna fermare questo massacro quotidiano,
e lo si pu fare solo iniziando con il
ritiro di tutte le truppe straniere di
occupazione, perch queste, dopo
due anni di una guerra invisa dalla

66

stragrande maggioranza dei cittadini di questo mondo e fondata


sulle menzogne e sullinganno,
hanno dimostrato di saper solo fare
centinaia di miglia di vittime irachene, di aver creato un paese lacerato e a un passo dalla guerra civile e dalla divisione. LIraq deve
tornare agli iracheni, magari con
laiuto di altri paesi che non hanno
partecipato a questo guerra, paesi
arabi, musulmani, paesi non alleniati. E per arrivare a questo si dovrebbe garantire, da subito, un riconoscimento alla legittima resistenza irachena, in modo di assicurare alle forze che la compongono
una partecipazione effettiva alla rinascita dellIraq, insieme alle altre

Marzo Aprile

forze democratiche. La quasi totalit degli iracheni contraria alloccupazione straniera del loro
paese. Il popolo iracheno ha il diritto e le capacita di autogovernarsi,
pacificamente, scegliendo il modello democratico pi adatto alla societ irachena, nel totale rispetto
dei diritti umani.
Nel mondo arabo islamico, come
nel resto dei paesi in via di sviluppo,
cresce la determinazione al cambiamento, a togliersi di dosso questi regimi imposti e sostenuti dallimperialismo, e tale determinazione nasce da un desiderio di libert e democrazia che sicuramente non un effetto della guerra
preventiva di Bush e dei suoi alleati.

Marzo Aprile 2005

Internazionale

Loccupazione militare dellIraq


cambia sostanzialmente
lassetto militare della regione.
Quattro anni fa uninvasione
via terra dellIran
era praticamente impossibile.
Ora invece possibile

LIran nel mirino


americano

di Sergio Ricaldone

RIVELATI DAL GIORNALISTA AMERICANO SEYMOUR HERSH I PREPARATIVI


PER LA TERZA GUERRA PREVENTIVA USA

apita, mentre si parla di Iraq, di pensare al Vietnam. Del Vietnam conosciamo tutto, ma ora se ne parla per
fare confronti con la guerra e la resistenza irachena, Si tratta di confronti spesso azzardati, anche perch le vicende storiche non si ripetono mai nello stesso modo. Quello
che invece molto spesso si ripete
il modo in cui la storia ci viene raccontata dagli imbonitori dellindustria mediatica.
Nei giorni successivi al voto del 30
gennaio in Iraq abbiamo incrociato, via Internet, un passaparola
riguardante una vecchia documentazione darchivio assai significativa: la mattina del 4 settembre
1967, tre anni dopo linizio della
guerra dIndocina, sul New Yo r k
Times si leggeva un articolo intitolato Il voto in Vietnam rincuora gli
Stati Uniti, con un sommario di
questo tenore: A ffluenza alle urne
nonostante il terrorismo dei vietcong .
Anche allora Washington stava
esportando la democrazia in un
paese minacciato dal comunismo.
Quellarticolo del NYT, a firma di
Peter Grose, raccontava che i funzionari americani sono rimasti sorpresi
e compiaciuti dalla partecipazione al
voto nelle elezioni presidenziali vietnamite, a dispetto di una campagna di terro re ordita dai vietcong. Ha votato
l83% dei quasi sei milioni di aventi diritto, sfidando le minacciate rappresa-

glie di morte dei terroristi. La dimensione


del voto popolare e lincapacit dei terroristi vietcong di inceppare la macchina
elettorale sono stati i due aspetti salienti
di questa consultazione democratica garantita dalla presenza delle truppe americane. Pi in l si aggiungeva che
quelle elezioni rappresentavano un
passaggio chiave, che avrebbe spianato al Vietnam la via alla pace, alla
libert e alla democrazia, modello
rigorosamente americano.
Quel testo di 38 anni fa assomiglia
come una goccia dacqua ai commenti letti ed ascoltati dopo le elezioni irachene del 30 gennaio 2005.
Vale per la pena di aggiungere che
qualche giorno dopo le elezioni
farsa in Sud-Vietnam, un giornalista
australiano assai poco embedded, William Burckett, fece unintervista
alla signora Minh, vice presidente
del FLN, chiedendo che ne pensasse di quello strepitoso successo
elettorale chiaramente ispirato ed
imposto dagli occupanti americani:
Forse la sorprender rispose la signora
Minh , ma abbiamo votato anche noi.
Con il fucile. Ci vorranno forse alcuni
anni prima di conoscere i risultati veri
di questa consultazione, ma alla fine vedrete che i risultati saranno molto diversi da quelli di ieri.
Sappiamo come allora andata.
Occorsero otto anni di guerra e di
grandi lotte civili e democratiche in
tutto il mondo, segnate spesso dalla

violenza, tanta violenza, ma solo


dopo che 58 mila soldati americani
furono sepolti sotto le argillose
terre alluvionali del cimitero di
Arlington, in Virginia, arriv la
prima, clamorosa, sconfitta militare
della superpotenza imperialista.
Nel contempo, per, 3 milioni di
vietnamiti erano stati inceneriti dal
napalm, dai B 52 e dalla diossina.
Uno dei giornalisti testimoni diretti
di quella lontana guerra dIndocina, Seymour Hersh, allora alle
prime armi, fece tremare il Pentagono denunciando al mondo la tortura e poi la spietata strage di oltre
500 vecchi, donne e bambini compiuta da un distaccamento americano nel villaggio vietnamita di My
Lai. Per quel servizio ottenne il premio Pulitzer. Ancora oggi, con la
stessa vigile attenzione di allora,
Seymour Hersh (diventato una leggenda del giornalismo dinchiesta
americano) sta mostrando la sua
straordinaria capacit di scoprire e
denunciare i segreti pi torbidi dellestablishement politico, militare e
spionistico americano. Attento osservatore delle due guerre preventive
in Afganistan e Iraq e di quelle prossime venture in preparazione, ne
denuncia impietosamente i crimini
e avverte, documenti alla mano, che
per i neocons americani loccupazione dellIraq non che il primo
passo di una strategia aggressiva a

67

Internazionale

lungo termine. La prossima preda


gi stata individuata ed gi nel mirino del Pentagono.
Dopo la rielezione di Bush al secondo mandato, la nuova equipe
presidenziale sta mettendo a punto
i dettagli della nuova missione,
detta guerra planetaria contro il terrorismo. Lelenco degli stati canaglia stato allargato a nuovi membri: Bielorussia e Zimbabwe. Gli
unici dubbi, riguardano il quando,
come e contro chi. Proseguir la
stessa politica offensiva del primo
mandato segnata da due invasioni
militari Afganistan e Iraq con i i
disastrosi risultati che conosciamo?
Se s, quale sar il prossimo obbiettivo, ora che la Corea del Nord, potenza nucleare dichiarata, diventa
una preda troppo rischiosa e dunque intouchable per i superguerrieri
del Pentagono? Se la guerra planetaria al terro r i s m o dovr, a quanto
pare, proseguire, quale sar il paese
che ne far le spese?
Linformatissimo reporter Seymour
Hersh, che di queste cose se ne intende, non ha il minimo dubbio: la
nuova preda designata, titolare di
un ricco potenziale energetico e pedina geopolitica di grande importanza strategica della grande scacchiera imperialista, sar lIran degli ayatollah!
Questa la conclusione della lunga
e documentata inchiesta, corredata
da pezze dappoggio ineccepibili,
condotta da Hersh per il settimanale americano The New Yo r k e r.
Linchiesta, che ha raggiunto gli angoli pi segreti e protetti del potere
militare USA, ha avuto leffetto di
una bomba, in quanto ha svelato i
dettagli della pianificazione militare e raccontato i particolari delle
operazioni di ricognizione spionistiche gi in atto per individuare le
principali installazioni nucleari distribuite su tutto il territorio iraniano.
Che Hersh abbia colpito nel segno,
dimostrato dalla rabbiosa dichiarazione di Richard Perle, stratega
del clan neocons, che ha definito lautore dellinchiesta espressione di un
giornalismo americano contiguo al ter-

68

rorismo. Un editoriale del Washington Times, quotidiano di estrema destra, ha rincarato la dose chiedendo
che Hersh venga trascinato in tribunale e giudicato per spionaggio, in
quanto il giornalista rivela al mondo
intero, e dunque anche al governo
iraniano nemico, che i nostri commandos sono gi al lavoro dietro le linee
nemiche in una missione vitale e pericolosa. Il tempo della caccia alle streghe del compianto senatore Mac
Carty riappare pi minaccioso di
prima sulle rive del fiume Potomac.
Che Seymour Hersh abbia molte ragioni di paventare il pericolo incombente di una terza guerra preventiva lo si evince raccordando i
dettagli dei preparativi militari contro lIran, con i vari passaggi politici
e diplomatici del confronto in atto
tra gli Stati Uniti da un lato e
lUnione Europea, mondo arabo,
Russia, Cina e India dallaltro. Da
questo coerente collage di dichiarazioni emerge la convinzione che
lattacco allIran sia inserito come
t a r g e t nel secondo mandato di
Bush, come lo sono stati Afganistan
e Iraq nel primo mandato. Dunque
la questione non di sapere se lattacco avr luogo, ma quando e
come.
Loccupazione militare dellIraq
cambia sostanzialmente lassetto
militare della regione. Quattro anni
fa uninvasione via terra dellIran
era praticamente impossibile. Ora
invece possibile a partire dai due
paesi confinanti, ed il Pentagono,
come ci spiega Hersh, sta gi cogliendo lopportunit veicolando
via terra operazioni clandestine preventive.
Sul piano politico, la diplomazia del
nuovo segretario di stato, Condy
Rice, pi simile ai cingoli di carro
armato Abrhams che alle sofisticate
sottigliezze diplomatiche di Henry
Kissinger, appare del tutto propedeutica alla prossima invasione militare dellIran.
Mentre da Ankara il sottosegretario
alla difesa dichiara che sforzi diplomatici da parte dellUnione Europea riguardanti il programma di armamenti
nucleari dellIran sono in corso. omet-

Marzo Aprile

te di precisare che gli Stati Uniti rifiutano di coordinare la loro strategia dissuasiva con quella degli europei. Le dichiarazioni incendiarie
di Condy Rice sembrano non lasciare dubbi sulle intenzioni di
Washington. Bush ha collocato lIran al centro delle postazioni avanzate della tirannia, e Dick Cheney
colloca lIran nella lista dei paesi potenzialmente pericolosi a causa del suo
programma nucleare ed del suo sostegno
al terrorismo. Il vice presidente USA
ha inoltre lasciato cinicamente intendere che leventualit che gli israeliani agiscano unilateralmente per porre
fine al programma nucleare iraniano inquieta Washington. Il tacito riferimento di Cheney al bombardamento israeliano del sito nucleare di
Osirak (Iraq) nel 1981 del tutto
esplicito e pi che mai allarmante.
Il quotidiano Le Monde del 15 marzo
2005 sostiene che Sharon abbia gi
messo a punto, in una riunione ristretta del governo israeliano, i dettagli militari dellattacco. Sembra
dunque che il count down su chi attaccher per primo Washington o
Tel Aviv sia gi cominciato.
LUnione Europea, viceversa, continua a perseguire la via delle pressioni diplomatiche su Teheran per
convincerla a sospendere i programmi nucleari. Ma limpresa appare sempre pi difficile. Gli ayatollah, memori del precedente iracheno, ritengono ormai che solo il
possesso delle armi atomiche possa
preservare il loro paese da uninvasione americana. La stessa Corea
del Nord, fino a poco fa capolista
dei paesi dellasse del male (e ancora oggi definita postazione avanzata della tirannia), dopo che si dichiarata potenza nucleare sembra
avere acquisito un potere di dissuasione antimperialista notevole nei
confronti di Washington. Dopo
averla infatti minacciata pi volte di
invasione, ora la Casa Bianca ha abbassato i toni e cerca in tutti modi
di negoziare. Il che non sorprende,
se si pensa che gli Stati Uniti si sono
cacciati in una sfida militare temeraria che non ha mancato di coinvolgere soggetti di ben altro peso e

Marzo Aprile 2005

dimensioni, come la Cina e la Russia, considerati da Wa s h i n g t o n


come suoi nemici strategici.
Lesplicita minaccia americana di
delegare ai bombardieri israeliani il
compito di sferrare il primo attacco
contro le centrali nucleari iraniane
non sembra aver impressionato
molto il governo di Teheran. Sembra
anzi che la minaccia militare congiunta USA-Israele fornisca agli ayatollah gli argomenti per eludere lattenzione popolare dagli elementi di
crisi politica che attraversano il
paese, e consenta di serrare i ranghi,

Internazionale

facendo appello ai sentimenti nazional-patriottici oltre che religiosi,


chiamando il popolo alla resistenza
contro la minaccia di invasione. I dirigenti del paese ostentano sicurezza. Il presidente iraniano,
Muhammad Khatami, definito un
moderato, rimanda al mittente le minacce americane. Gli Stati Uniti
hanno troppi problemi in Iraq per permettersi il lusso di attaccarc i ha dichiarato prima di promettere linfern o
agli invasori. Il ministro della difesa
iraniano, Ali Chamkhani, stato ancora pi esplicito:Possediamo un tale

livello di forze da scoraggiare chiunque.


Nessuno dei nostri avversari conosce con
precisione le nostre capacit militari, n
la nostra abilit di utilizzo di nuove strategie di difesa. Il nostro equipaggiamento
ci conferisce una grande potenza di dissuasione.
Che queste dichiarazioni siano pi
o meno realistiche oppure un bluff,
non dato sapere. Sono in ogni caso
maledettamente allarmanti, e
preannunciano una nuova immane
tragedia se i popoli e i governi pi
ragionevoli non saranno in grado di
far sentire la loro voce e di fermarla.

69

Internazionale

Marzo Aprile

Nellultimo anno i militari


nordamericani hanno addestrato
ventitremila reclute colombiane,
boliviane, panamensi,
peruviane ed ecuadoriane,
con un aumento del 52%
della partecipazione militare

Colombia,
un destino da
Iraq sudamericano?

di Ennio Polito

UN PAESE E UNA STORIA FRA MILITARIZZAZIONE USA CONTINUA,


BANDE PARAMILITARI, GOVERNI ASSERVITI E LA LUNGA LOTTA
DI RESISTENZA DELLE FARC

l generale americano James T. Hill,


reduce dallincontro fra Bush e il colombiano Alvaro Uribe Velez, ha iniziato la sua attivit in veste di direttore del Comando sud con una serie di riunioni a Santa Fe de Bogota.
Hill si trova in una posizione molto
simile a quella dei suoi colleghi degli anni sessanta e settanta nella
guerra in Vietnam, investito di poteri
superiori a quelli dei suoi interlocutori, ma che lo coinvolgono, se non
vengono fermati, in azioni di natura
criminosa. Qualche nome: il generale Carlos Ospina, nominato da
Uribe comandante in capo delle
forze di terra e legato alle bande
paramilitari, il generale Faruk Yanez,
corresponsabile di una strage di seicento contadini nel Magdalena
Medio, il generale Jaime Alberto
Uscategui, che si macchiato di atrocit nel Meta. Altri nomi in un elenco
reso pubblico dalle Farc-Ep sono
quelli di Ramirez Quintero, Rito
Alejo del Rio, Carreno Sandoval,
Herrera Verdel, Ren Pedraza.
Un comunicato dello stato maggiore del Bloque Caribe della guerriglia
definisce il paramilitarismo come
una strategia controinsurrezionale
dello Stato, il cui bersaglio principale la popolazione civile. Una
strategia spietata, eretta su un presupposto assurdo e crudele. I suoi
promotori credono che promovendo lo spostamento dei contadini

70

mediante carneficine, incendi e terrore otterranno il risultato di sconfiggere la guerriglia.


Il Dipartimento di Stato americano
ha trasmesso al Pentagono e al
Comando sud dellesercito la gestione e le decisioni riguardanti la
presenza degli Stati Uniti in Colombia e la cooperazione nella lotta
contro la guerriglia. La Colombia e
lAmerica latina in generale hanno
smesso cos di essere un tema politico per diventare un tema nettamente militare, ha dichiarato
Malcolm Seronal dellUniversit di
Miami. Lesercito colombiano ha
raggiunto un livello di oltre duecentomila uomini. Anche gli Stati
Uniti hanno elevato il tetto della
loro presenza in Colombia: si parla
anzi di un possibile raddoppio.
La militarizzazione della politica
nordamericana nella regione viene
presentata al pubblico come conseguenza di un calo di interesse nellapparato di governo, ma in realt
rispecchia una riduzione della componente politica nelle decisioni
proprio nel momento in cui la Casa
Bianca alza il livello dello scontro.
Nellultimo anno i militari nordamericani hanno addestrato ventitremila reclute colombiane, boliviane, panamensi, peruviane ed
ecuadoriane, con un aumento del
52% della partecipazione militare.
Un primo bilancio non ufficiale di

quella che gli americani, lesercito


regolare e i mercenari al loro seguito chiamano offensiva nei dipartimenti del Guaviare, del Meta,
del Caquet e del Putumayo, ai margini della foresta amazzonica,
stato accolto senza entusiasmo dai
comandi, che riconoscono ai combattenti delle Farc una impressionante capacit strategica.
Nella zona del Caquet, che ha ospitato i dialoghi di pace, le truppe
mercenarie non sono state capaci di
impegnare i guerriglieri, che sembrano una forza di battaglia praticamente invisibile. I guerriglieri
sono invece allattacco nei dipartimenti pi popolosi, come Antioquia, il Magdalena Medio e il Choco, Il bilancio ufficiale delle perdite
inflitte al nemico di 3500 tra morti
e feriti nellultimo anno, 389 nel
mese di gennaio.
Il clima politico e quello della stampa a Bogota sono pesanti. La riprova
loffrono quegli inviati che hanno
raccolto le impressioni delle reclute, per le quali questa avventura
relativamente ben pagata pu finire
lIraq insegna assai male, e molti
di loro non capiscono perch un
paese ricco e potente come gli Stati
Uniti non possa tollerare la presenza di populisti radicali in una
terra che non gli appartiene.
Il nemico interno si chiama Ma-

Marzo Aprile 2005

nuel Marulanda, un uomo anziano


e paziente, che stato abituato dal
suo stesso ruolo a spiegare e a dialogare. Fino a pochi anni fa, la sua fisionomia era quasi sconosciuta.
Loccasione di vederlo ed ascoltarlo
venuta, per i pi, con i dialoghi di
pace nella zona smilitarizzata di San
Vicente del Caguan, aperti a tutti.
Figlio di contadini simpatizzanti
con i liberali, Marulanda aveva diciotto anni quando le squadracce
del partito conservatore attaccarono la cascina dei suoi, nei dintorni della capitale, e lo costrinsero
a fuggire. Era un ottimo tiratore, soprannominato Tirofijo (mira precisa). In seguito si un ad altri contadini comunisti nella regione di
Tolima e fond le Farc-Ep, destinate
a diventare la pi forte guerriglia
del paese. stato molto attivo nel
dibattito pre-elettorale, cui ha partecipato con lettere aperte ai generali, ai colonnelli e ai funzionari
scontenti del governo Uribe. I media colombiani lo presentano come
un marxista-leninista, ma linteressato, pur guardando con simpatia ai comunisti, non si mai riconosciuto in questa etichetta. Il suo
discorso, nota un biografo, fluisce
con lucidit e precisione ed quello
di un uomo colto, che vede la logica dei suoi atti in una organizzazione contadina fatta per sopravvivere nellautonomia sociale e militare. Nei momenti di riposo suona
il violino.
Nellargomentazione e nella polemica le Farc sono venute accentuando limpronta ideale bolivariana, che in passato era sembrata
a volte formale. Il dottor Alberto
Pinchon Sanchez, un medico e antropologo che anche analista politico, si soffermato ripetutamente
sul contrasto tra Bolivar e il suo vice, il generale colombiano Francisco de Paula Santander. Incaricato
dal Libertador di preparare la Conferenza di Panama, primo passo verso lunit latinoamericana, Santander condusse su questo problema
un gioco ambiguo, alterando o addirittura capovolgendo le direttive
ricevute. e potando lincontro al fal-

Internazionale

limento. In seguito si sarebbe spinto


fino a promuovere attentati alla vita
delleroe e a quella del maresciallo
Sucre, sventato il primo dalla sua
compagna e il secondo, sfortunatamente portato a termine. Sucre era
il successore designato di Bolivar.
Santander, ricorda Pinchon, incarnava la resistenza delle classi abbienti colombiane alle misure contro lo schiavismo previste dalla Costituzione di Ocana, laddove Bolivar, che era figlio di un piantatore,
aveva capito che quel mondo era finito e che tutte le possibilit erano
altrove.
Lattuale binomio colombiano
Uribe-Mancuso, rappresentante
delloligarchia latifondista e finanziaria, pu essere visto, secondo larticolista, come lerede legittimo e
diretto di Santander.
Nella sua lettera dalla Giamaica
Bolivar parla della Colombia come
del cuore dellAmerica; unimmagine che non evocava soltanto
un sentimento di cameratismo con
il suo popolo, ma altres il suo ruolo
nella rivoluzione repubblicana.
Essa entrava perfettamente nel suo
ordine di valori. Forse questo era
vero anche per Santander, brillante
ufficiale e uomo di legge. Ma i valori erano altri. La Colombia
splendida per chi la vuole visitare,
ma anche per chi la vuol saccheggiare. grande, il pi grande e popoloso stato sudamericano di lingua spagnola (1.141.748 kmq, 44
milioni di abitanti), contende al
Brasile il primato nella megadiversit, ha enormi riserve di acqua
dolce, petrolio e gas naturale,
esporta smeraldi, oro, pietre preziose. Ha una collocazione unica dal
punto di vista strategico, come
ponte tra lAmerica centrale e il sud,
e chiave per la penetrazione nei
paesi andini.
Si capisce perch limpero del nord
labbia scelta fin dal primo momento come pedina, in una strategia che non consentiva patteggiamenti con quella di Bolivar, sempre
pi convinto, col decantarsi della situazione, del valore irrinunciabile

della sovranit dei popoli e degli


Stati. Una scelta che comportava un
prezzo schiacciante per le classi lavoratrici colombiane, condannate a
subire la violenza congiunta dei
loro sfruttatori locali e dei protettori di questi ultimi sul piano internazionale.
Il disordine seguito alla liquidazione, per mano di Santander, della
grande Colombia, stato il miglior alleato di Wa s h i n g t o n .
Sarebbe seguita, agli inizi del nuovo
secolo, la secessione guidata di
Panama. Tre anni dopo la vittoria
della coalizione antifascista in Europa, ritroviamo il presidente Truman intento a coltivare una singolare unit di intenti con Laureano
Gomez, amico dellAsse e dei fascisti americani, riciclato come leader
conservatore colombiano. Il 9 aprile 1948, mentre il segretario di Stato
Marshall presiede a Bogota la nona
Conferenza panamericana, un
agente della Cia uccide il capo dellopposizione liberale e provoca
uninsurrezione. La Colombia sprofonda in un massacro decennale.
Nel tentativo di annientare lopposizione, loligarchia destablizza se
stessa, e i suoi protettori non trovano di meglio che insediare una
dittatura militare assistita da conservatori e liberali, rinnovabile e
rinnovata per quasi trenta anni.
Allinizio degli anni sessanta londata di violenze contro la popolazione delle campagne era venuta
esaurendosi, e si poneva il problema
di dare una casa e un lavoro a coloro che avevano perduto tutto. Era
giunta notizia di un accordo tra il
presidente colombiano Guillermo
Leon Valencia Munoz e i dirigenti
nordamericani sul Piano Lasso,
per cinquecento milioni di dollari,
che offriva un inizio di soluzione,
ma quando la novit prese corpo, risult essere un progetto prevalentemente militare, con una forza di
sedicimila uomini, aerei, elicotteri
e armi pesanti, nonch consiglieri
americani, e con lobbiettivo di liquidare il banditismo.
Cercammo di chiarire quello che
ci sembrava un equivoco, racconta

71

Internazionale

Marulanda, e di coinvolgere personalit che garantissero per noi.


Ricordo Jean-Paul Sartre e Simone
de Beauvoir, don Camilo Torres, il
prete che sarebbe poi diventato
guerrigliero, ma non fu loro permesso neppure di avvicinarsi alla
zona delimitata dalla polizia militare. Incredibile: il Parlamento stava preparando una dichiarazione di
guerra contro una repubblica inesistente. Perdemmo tutto ci che avevamo raccolto per sopravvivere.
Bestiame, polli, maiali, viveri: tutto
fu sequestrato per essere poi rivenduto o redistribuito a familiari e conoscenti della truppa.
Ripresero il cammino, e presto le
strade si divisero. Il gruppo di cui
Marulanda faceva parte contava quarantotto persone: 46 uomini e due
donne. un gruppo storico, che
comprende i primi combattenti
delle Farc, e tra questi Jacobo Arenas, un dirigente comunista amico di
Marulanda, poi caduto in combattimento. La data di fondazione il 27
maggio del 64. Il Programma agrario della guerriglia del 20 luglio.
C un terzo nodo, dopo il bogotazo
e dopo Marquetalia, nel rapporto
tra le Farc e listanza di governo, ed
la trattativa avvenuta a La Uribe.
Si era allora nei primi anni ottanta
e la scena era cambiata. La guerriglia era diventata una forza con cui
si dovevano fare i conti. Una seconda organizzazione guerrigliera, l
Eln, si era consolidata nel nord e
proponeva alle Farc lunificazione.
Vi erano poi gruppi minori, che si
facevano notare. Alla presidenza
siedeva Belisario Betancur Cuartas,
conservatore, ma sensibile al rischio
che il potere scappasse di mano al
suo partito. Lidea di unintesa che
recuperasse le guerriglie alla politica tradizionale faceva qualche pro-

72

gresso. Si and a una trattativa vera


e propria che vide le parti, in tempi
diversi, allo stesso tavolo a La Uribe.
Litinerario previsto era semplice: le
parti firmano un documento che
dispone la cessazione del fuoco, la
tregua, un lungo periodo in cui i
guerriglieri smobilitati tornano alla
vita normale e, se lo desiderano, entrano in un partito e vanno alle elezioni. Le Farc optarono per un partito di sinistra, la Unin patriotica. A
quel punto entrarono in scena le
squadre dei paramilitari, a fare il
tiro a segno. Morirono tremila quadri della sinistra, tra i quali Jaime
Pardo Leal e Bernardo Jaramillo,
candidati alla presidenza, membri
del Parlamento e sindaci. Il massacro continu, anche dopo che gli
impegni presi per la pacificazione
erano saltati e gli eserciti della guerriglia avevano ripreso la via dei
monti. Le Farc- Ep sono state le pi
prudenti.
I fatti degli ultimi anni confermano
le tendenze pi negative. La pace di
Cuartas non ha funzionato pi di
quella dei suoi predecessori. Il presidente successivo si comporta
come se nulla fosse avvenuto. Nel
bene e nel male, i presidenti
grandi, quelli degli Stati Uniti,
sono rimasti in silenzio. Eppure, gli
uni e gli altri devono tornare a fare
i conti con lo stesso risultato: se non
funziona la pace, non funziona neppure la guerra. I politici si guardano
bene dallimpegnarsi, neppure su
ci che considerano desiderabile.
Qualcosa di nuovo e di palpabile avviene quando un presidente eletto
con una maggioranza netta imbocca
la via dei monti per parlare con
Marulanda, e quando la fotografia
che mostra i due in un abbraccio
nella giungla esplode sui media.
Quelluomo si chiama Andres Pa-

Marzo Aprile

strana, figlio di Misael Pastrana, un


presidente di dubbia fama ha giocato le sue carte negli anni tra il 70
e il 74, il momento del Fronte nazionale, il carrozzone liberal-conservatore ed , scrive un famoso
giornalista, luomo della destra e
degli Stati uniti; per lelettore sarebbe dunque meglio tirarsi un
colpo in testa. Ma, al dunque, lelettorato ha fatto una scelta diversa:
non soltanto ha stracciato lastensionismo. ma ha anche portato via
mezzo milione di voti al ministro degli interni Horacio Serpa, in urto
con i nordamericani. Pastrana, dunque, un uomo che potrebbe fare
e, allinizio, fa. Di fronte alla massa
di voti che Pastrana ha messo insieme, il generale Harry Bedoya, che
si credeva il candidato dellAmerica,
esce dal gioco con il 2%.
Ha vinto il cambiamento titolano
i giornali. Ha vinto, invece, lambiguit. Pure, per un periodo di
tempo non breve la zona dei dialoghi di pace sar un luogo interessante. Tenuti a distanza i paramilitari, aperte le porte a chiunque
si interessi davvero alle sorti e ai problemi del paese, dibattiti aperti con
uomini competenti. Poi, il gioco s
appiattisce, facce patibolari appaiono con sempre maggior insistenza ai margini della zona, si rinnovano gli ultimatum. Spunta, come successore di Pastrana, la destra
della destra, il narco-mafioso Uribe.
Per linizio del mandato del generale Hill al Comando sud, Santa
F ha perso gran parte del suo charme. una Parigi in decadenza, con
gli ufficiali del Terzo Reich seduti al
caff e il maquis dietro langolo?
Una Saigon dopo loffensiva del Tet,
con le trincee scavate nellasfalto? O
la capitale di un Iraq latinoamericano, prossima preda dei petrolieri
della Casa bianca?

Marzo Aprile 2005

Dibattito

Mai nella storia il mondo


stato dominato da una potenza
come quella degli Stati Uniti dAmerica,
una potenza che supera
di gran lunga qualsiasi avversario
o potenziale concorrente

Cina-USA:
lo scontro
del XXI secolo *

di Patrick Theuret
Direttore di Correspondances internationales

GLI STATI UNITI POTENZA UNICA : MA PER QUANTO TEMPO ANCORA?

ai nella storia il mondo stato dominato da una potenza come quella


degli Stati Uniti dAmerica, una potenza che supera di gran lunga qualsiasi avversario o potenziale concorrente. Una potenza che, con la
fine del contrappeso sovietico, con
le possibilit senza precedenti offerte dalla tecnologia militare e
dalle comunicazioni, pu oggi colpire dove vuole e quando vuole.
Caduto lex-Impero del male, lImpero
del bene rimasto solo pu a propria
discrezione stendere un tappeto di
bombe su chi gli dia fastitio, gli risulti sgradevole, o semplicemente
stia nel posto sbagliato. Esso pu
ugualmente asservire economicamente, strangolare o affamare i popoli. Il tutto in nome, a seconda dei
casi, dei diritti delluomo, della democrazia contro la dittatura, della lotta
contro il terrorismo o contro gli Stati
canaglia. Esso pu approfittare a
proprio piacimento delle istituzioni
internazionali quande gli servono,
e al tempo stesso ignorarle quando
queste gli sono dostacolo.
Un simile Reich (Impero, in italiano)
forse per tutto questo destinato a
1000 anni di prosperit? Nel suo ultimo saggio, il noto stratega americano Zbigniew Brzezinski esprime
in proposito una convinzione opposta: Legemonia mondiale americana ormai realizzata. () Ma, per

qualsiasi potenza, il declino inevitabile. Legemonia une fase storica transitoria. A un certo punto, anche se questo posto in lontananza, legemonia
mondiale del lAmerica verr erosa.1
Questione di tempo, dunque Si
tratterebbe di prolungarne i vantaggi il pi alungo possibile,
traendo profitto da questa fase storica transitoria . Gli Stati Uniti non
sarebbero in tal modo che di fronte
a una finestra dopportunit, conferita loro dallo statuto storico-strategico della propria egemonia: questa tuttavia sarebbe declinante sul
lungo periodo (la quota degli Stati
Uniti sul PIL mondiale passata dal
50% del 1945 al 22% del 2004) e negli ultimo tempi starebbe perdendo
terreno in modo netto nei confronti
di tutti i suoi inseguitori.
questa doppia circontanza che
rende tanto flagrante, universale e
urgente laggressivit degli Stati
Uniti, obbligati a compensare tecnologicamente, militarmente e strategicamente il lento declino in
corso. Questa aggressivit cerca di
avvalersi di numerosi strumenti.
Sottomettere gli Stati: infeudarli il
pi possibile, distruggerli o smembrarli se resistono, farne nuove colonie quando indispensabile.
Controllare le risorse strategiche
del pianeta. Mantenere il vantaggio
tecnologico e militare. Si tratta di

una strada senza ostacoli? Gli insuccessi incontrati in Afghanistan, e


soprattutto quelli incontrati di
fronte alla resistenza irachena, annunciano al contrario ostacoli sempre pi seri.
Ma questi due primi campi di battaglia presentano pure il vantaggio
di mostrare la posta in gioco centrale nel rapporto di forze mondiale
del XXI secolo. lo stesso
Brzezinski, in effetti, a ricordare come la partita per la supremazia globale si giochi in Eurasia, il continente pi grande del globo, dove vive il
75% della popolazione mondiale e in
cui si concentra una gran parte della ricchezza mondiale, sia industriale che del
sottosuolo. Essa possidede il 6O% del
PIL mondiale e i tre quarti delle risorse
energetiche conosciute.2
Ora si tratta forse di una coincidenza? nel cuore stesso di questo grande continente che il ritmo
della crescita economica e lammontare
degli investimenti esteri, entrambi fra i
pi elevati al mondo, stanno facendo s
che fra circa ventanni la Cina divenga
una potenza mondiale della stessa forza
o quasi degli Stati Uniti e dellEuropa.
() Si assister dunque allemergere di
una Grande Cina, rafforzata dal ritorno di Hong Kong, di Macao e di
Taiwan, se questultima si sottometter
politicamente; si tratterebbe non solo
dello Stato predominante nellEstremo

73

Marzo Aprile

Dibattito

Oriente, ma anche di una potenza globale di prima forza.


Pi presto dunque di quanto in un
primo tempo credessero, soltanto
alcuni anni dopo la caduta
dellUnione Sovietica gli Stati Uniti
intravvedono gi, nellorizzonte di
circa due decenni, lemergere di un
nuovo avversario di peso equivalente, e forse anche meglio sostenuto dal punto di vista delle alleanze internazionali. Il paradosso
della storia vorrebbe cos che, dopo
aver vinto il paese simbolo nel XX
secolo del socialismo e del comunismo, gli Stati Uniti si ritrovino, nel
XXI secolo, a confrontarsi di nuovo
con un avversario che innalza la medesima bandiera. Certo, la Cina
cosa assai diversa dallex-Unione sovietica, sino al punto di mostrare lesatto contrario in numerosi campi.
Essa non ostenta, in particolare, alcuna ostilit nei confronti degli
Stati Uniti, e introduce su grande
scala meccanismi di economia di
mercato. La Cina partecipa massicciamente al mondo globalizzato i nvece di cercare di starsene isolata e
di (ri)costruire un blocco socialista
opposto al blocco capitalista. Ma forse
che tutto questo appare pi rassicurante per la potenza americana?
Gli Stati Uniti, di fatto, potrebbero
in qualche modo mostrare soddisfazione nel vedere le loro certezze
confermate nel cuore stesso di questo gigante storicamente e culturalmente cos differente, e, perch no,
convincersi che il tempo lavora a
loro favore, conformemente a quel
che la profezia della cosiddetta fine
della storia prometteva loro.
Tuttavia, tranne che in alcune rare
espressioni di fiacca retorica, non
assolutamente cos.
Il Direttore di Geopolitica al Col_legio Interarmi della Difesa francese
(Scuola di Guerra), Aymeric Chauprade, spiega cos il senso dinquietudine degli americani: Si vede assai bene che la Cina rappresenta loggetto
principale delle loro ossessioni.
Ricostruendo linsieme, si constata che
la strategia globale dispiegata dagli
Stati Uniti mira a fronteggiare lemergere di questo gigante.3 La Cina, scrive

74

ancora, conta un miliardo e quatrocento milioni di individui. Questa


enorme massa resta ancora al riparo dal
capitalismo mondiale. Gli Stati Uniti
vorrebbero abbattere le paratie della Cina
come hanno fatto nel 1945 con l'Europa
occidentale, mettendo in atto tutti gli
strumenti del libero scambio ; e, in riferimento agli avvenimenti
dAfghanistan e Iraq, aggiunge:
Quali sono le principali direttrici di
questa strategia americana? La prima
di contro l l a re l'appro v v i g i o n a m e n t o
energetico della crescita asiatica. ().
Per gli Stati Uniti, avere il potere su questa regione significa avere in mano la
pompa del carburante dellAsia, e conseguentemente della domanda energetica della Cina. La seconda direttrice
americana si fonda sulla formazione di
una rete di alleanze stretta attorno alla
Cina, nel medesimo modo in cui gli Stati
Uniti avevano arginato la Russia sovietica durante la guerra fredda.

UNA CINA
M O D E S TA E PA C I F I C A ,
M A S E M P R E P I F O RT E

In contrasto con latteggiamento di


potenza americano, pure sfumato
dallintimo timore che gli ispira la
Cina emergente, limmagine della
Cina mostra i tratti di una serenit
segnata da paziente modestia. Questo gigante dagli strabilianti ritmi di
crescita (pi del 9% annuo in venti
anni) un ritmo rafforzato dalla sua
capacot di resistere alla crisi asiatica del 1997-98 che ha colpito tutti
i paesi capitalisti della regione definisce se stesso, conformemente
del resto alle statistiche internazionali, come un semplice paese in
via di sviluppo. La sua politica
quella dellaccumulo di conoscenze
(una politica dapertura 4), di benessere (con lobiettivo di raddoppiare il PIL procapite da qui al 2020)
e di rafforzamento (modernizzazione industriale, tecnologica e militare). Allopposto di un Chruscev
che annunciava il raggiungimento
del comunismo in URSS per il 1980,
la Cina attuale ritiene di essere solo
nella prima tappa della costruzione

del socialismo, una tappa che stima


debba durare circa 100 anni!5
Non cercando di svolgere un ruolo
di primo piano, soprattutto con un
faccia a faccia con gli Stati Uniti, la
Cina non pi quella che denunciava limperialismo come una tigre
di carta 6, nonostante che la figura
di Mao Zedong sia sempre assai onorata nellinsieme della sua opera politica e teorica.
La visione cinese ufficiale7 pacifica e ottimista: la pace e lo sviluppo
rimangono i due maggiori temi della nostra epoca. La salvaguardia della pace
e la promozione dello sviluppo constituiscono unopera che riguarda il benessere dei popoli del mondo e traduce la loro
comune aspirazione, ed al tempo stesso
una cor rente storica ir re s i s t i b i l e .
L'evolversi del mondo verso il multipolarismo e la mondializzazione economica ha creato opportunit e condizioni
favorevoli alla pace e allo sviluppo del
mondo.8
Essa ripete volentieri una solenne
espressione cara a tutti i suoi dirigenti dopo Mao Zedong: la Cina
non cercher mai legemonia.

CONFRONTOE

COOPERAZIONE

Ufficialmente un faccia a faccia fra


Cina e Stati Uniti non minavcciato
n da una parte n dallaltra. E in
questo i due paesi mostrano una singolare simmetria. Per quanto riguarda le reciproche capacit di assumere decisioni strategiche, essi
condividono un alto grado di stabilit e di continuit politica. Da una
parte, un Partito americano di fatto
u n i c o, bench sdoppiato, che controlla tutto il sistema politico in un
gioco dalternanza e sulla base di un
potente consenso, e, dallaltra, un
Partito cinese, dirigente assoluto,
sostenuto da otto piccoli partiti e
senza opposizione legale. Da una
parte e dallaltra stata fatta da
molto tempo una scelta di relazioni
strette e di cooperazione qualitativa, anche se nei due paesi coesistono, in modo permanente, sensibilit diverse che oscillano attorno
allasse cooperazione/confronto.

Marzo Aprile 2005

Alla fine del 2003, Colin Powell poteva giudicare in tal modo che lo
stato delle relazioni con la Cina era
il migliore dal tempo del ristabilimento delle relazioni diplomatiche
nel 1971 con il Presidente Richard
Nixon.
Sul piano della coesione sociale, lelemento di diversificazione fra i due
paesi9 in aumento rimanda al fatto
che la crescita della povert nelluno aumenta mentre nellaltro conosce una spettacolare riduzione.
Negli Stati Uniti infatti il numero
dei poveri salito a 35,9 milioni nel
2003, circa il 12,5% della popolazione totale, contro l11,3% nel
200010 . Da parte sua la Cina ha visto il numero dei suoi poveri passare
in dieci anni da 375 milioni a 224
milioni, ovvero 151 milioni in meno11 , dimezzando il suo tasso di povert (dal 33% al 17,8%). Da 4,5
punti sotto la media del resto del
mondo, questo tasso salito a 7
punti sopra.12
Sul piano etnico, nonostante le differenze reali, nei due paesi lunit
che prevale sulle divisioni. Le minoranze nere e chicane non minacciano lunit americana, e se il
potere centrale contestato in Cina
dalle centinaia di etnie delle sue regioni occidentali montagnose e sottopopolate, la maggioranza Han
rappresenta, da sola, il 93% della
popolazione totale.
Per quel che riguarda un gran numero di aspetti i due paesi sono i pi
dissimili possibile ed addirittura opposti. Da un lato, la potenza americana dominata da una borghesia
impregnata di cristianesimo conservatore o messianico, dallaltra,
unlite politica formatasi in un partito marxista-leninista, atea, in seno
ad una popolazione impregnata di
taoismo, buddismo e confucianesimo. Da un lato una nazione giovane di qualche secolo e campione
mondiale di pensiero a breve termine, dallaltra una civilt vecchia
secondo la rituale espressione conese di 5000 anni, e abituata a improntare il suo comportamento sui
tempi lunghi. Un paese urbano da
una parte, e rurale dallaltra. Un

Dibattito

paese, gli Stati Uniti, per il quale la


guerra sempre stata in casa daltri,
mentre per i cinesi quasi sempre
stata sul proprio territorio.
In questi ultimi decenni la cooperazione fra i due paesi non ha fatto
tuttavia che crescere. Questo fatto
favorisce ed alimentato dalla
scelta cinese fondamentalmente a
partire dal 1995 di partecipare attivamente al multilateralismo e di
aderire al WTO13 . La potenza commerciale della Cina uno dei maggiori avvenimenti della nostra
epoca. Nel 2004 la Cina divenuta
il 3 esportatore mondiale, mentre
non raggiongeva che il decimo posto solo sette anni prima14 . Il crescente volume degli scambi fra i due
paesi, moltiplicatisi per 50 dal 1979,
va nettamente a favore della Cina,
cosa che suscita negli Stati Uniti una
certa campagna di ostilit .15 Nel
2003 linterscambio commerciale
con gli Stati Uniti stato di quasi tre
volte pi favorevole per la Cina:
esportazioni per 92,5 miliardi di
dollari contro 33,8 miliardi di dollari di importazioni, ovvero un eccedenza di quasi 59 miliardi di dollari (+ 25% in un anno).
Il volume di questi scambi tale, da
permettere oggi alla Cina dincassare unenerme quantit di riserve
in valuta americana: pi di 500 miliardi di dollari (contro i 200 del
2001)16 , per un ammontare superiore a quello degli investimenti
esteri ricevuti nel corso dellultimo
decennio. Fra il 1991 e il 2001 la
Cina ha in effetti attirato 370 miliardi di dollari di investimenti stranieri diretti, quasi 20 volte di pi
della vicina India. Fattore di accelerazione dello sviluppo (bench in
modo ineguale), questi investimenti non ne condizionano la sovranit. Il 75% di essi provengono
dai paesi asiatici, per il 50% dalla
sola Hong Kong, e un quarto del totale potrebbe venire in realt dalla
Cina popolare stessa.
Gli Stati Uniti intervengono direttamente solo per l8% del totale,
tanto quanto lUnione europea.17
E linterdipendenza non cessa di
crescere.

USA:

POTENZA,

ACCERCHIAMENTO
E C O N T R O L L O G E O S T R AT E G I C O

Se la volont egemonica USA un


sentimento condiviso da tutta llite
politico-economica amercana,
tuttavia possibile distinguere in essa
due poli dinfluenza nellapproccio
alla politica estera. Ugualmente decisi ad assumere pienamente la propria politica di potenza, i circoli dirigenti americani differiscono rispetto ai modi di garantirla e dintenderla: uno dei poli incline alla
realpolitik, laltro allo spirito di crociata. La realpolitik vista pi favorevolmente presso i Democratici,
ma costituisce il proseguimento
della politica per esempio di un
Henry Kissinger. Oggi questo approccio lo si pu ritrovare in particolare in Zbigniew Brzezinki e
Madeleine Albright. Lo spirito di
crociata invece caratteristico principalmente della destra repubblicaca detta neo-conserv a t r i c e, che influenza direttamente Georges W.
Bush tramite il suo vice-presidente
Dick Cheney, il ministro della difesa
Donald Rumsfeld e il suo vice Paul
Wolfowicz, e la responsabile per gli
affari esteri Condoleezza Rice18 .
Questa corrente accusa la realpolitik di aver condotto la politica estera
dopo la guerra in Vietnam sulla base
di un complesso sorto da quella
sconfitta, e caratterizzato dal non
credere a sufficienza nei valori del
lAmerica e dal non osare il pieno
utilizzo della sua potenza. Questa
corrente giudica la politica della
realpolitik come incoerente e immor a l e. La critica che riceve dai suoi
concorrenti quella di essere, per i
suoi eccessi, inefficace e pericolosa,
di discreditare gli USA e di isolarli
sulla scena internazionale.
Brzezinski ritiene, ad esempio, che
la possibilit di mantenere a lungo termine le posizioni dellAmerica dipender
dalla natura della sua leadership mondiale. Tale ruolo esige una capacit di
mobilitare gli altri. () Il dominio posto come un fine in s non conduce da
nessuna parte. () Laccettazione della
leadership americana da parte del resto

75

Marzo Aprile

Dibattito

del mondo la condizione sine qua non


per sfuggire al caos19 . Una differenza
di metodo e non di obiettivi, come
si pu vedere.
Fra le numerose differenze dapproccio, nei neo-conservatori si pu
notare un certo qual disprezzo per
lEuropa, accusata di mollezza. I sostenitori della realpolitik giudicano
al contrario che lUnione europea
rappresenta la punta avanzata degli
Stati Uniti per la presa di controllo
del continente eurasiatico. I neo-conservatori sono esclusivamente e ferocemente pro-israeliani, i soli che
essi considerano come propri eguali per il loro analogo fervore messianico. Essi denunciano i legami
che i loro concorrenti intrattegono
con il mondo arabo, principalmente con lArabia Saudita... E si presentano come i campioni delle minoranze nazionali negli Stati nemici. Paul Wolfowicz stato infatti
cos presentato dal suo amico William Kristol:Durante gli anni 90 apparso come linfaticabile campione delle
minoranze etniche, dai musulmani bosniaci ai Kurdi iracheni20.
Unautentica bussola per i bombardieri USA.
Bisogna tuttavia constatare che,
contrariamente al resto della sua
politica estera, lattuale politica
USA nei confronti della Cina rimane improntata allapproccio
della realpolitik, incline a non esagerare il pericolo cinese,21 come in
particolare mostra un recente rapporto. Condotto dallex segretario alla
Difesa Harold Brown e dallex comandante in pensione della flotta del Pacifico
ed ex ambasciatore degli Stati Uniti in
Cina Joseph Prueher, il gruppo di lavoro
ha riconosciuto che la Cina persegue
una deliberata e concentrata corsa verso
la modernizzazione militare e che le sue
reali spese per la difesa possono essere due
o tre volte superiori alle cifre ufficiali.
Tuttavia la Cina almeno due decenni
indietro rispetto agli Stati Uniti in termini di tecnologia e di capacit militare.
Se gli Stati Uniti continueranno a consacrare risorse sostanziali al miglioramento delle proprie forze militari come si
spera, lequilibrio fra Stati Uniti e Cina,
sia a livello mondiale che in Asia, do-

76

vrebbe rimanere in modo decisivo in fav o re dellAmerica oltre i prossimi 20


anni".22 Anche qui, come si pu notare, si ritrova il famoso periodo dei
due decenni.
Il boccone cinese duro da inghiottire, anche se i neo-conservatori si mascherano dietro il realismo
americano. Bisogna in primo luogo
riconoscere scrive uno dei loro portavoce che la Cina: - ha aumentato le
sue minaccie di guerra contro la democratica Taiwan ; - non stata un partner significativo nella guerra contro il
terrorismo ; - non stata utile durante
la guerra dIraq ; - sostiene pienamente
la Corea del Nord nei suoi negoziati nucleari con gli USA ; - continua ad essere
il primo paese al mondo favorevole alla
proliferazione delle tecnologie connesse
alle armi di distruzione di massa ; - continua i propri abituali gravi abusi nellambito dei diritti umani, e pro b a b i lmente intende forzare verso un ulteriore
confronto marittimo con gli USA nel
Mar della Cina meridionale23. Nel
medesimo spirito, Kristol e Kaplan
non esitano ad esclamare: Cosa c
di utopico nelloperare per la caduta del
partito comunista in Cina dopo aver visto dissolversi una ben pi potente e stabile oligarchia in Unione sovietica? 24
La posizione realista americana preferisce non impegnarsi prematuramente in uno scontro diretto con la
Cina, ma al contrario mettere a profitto questi prossimi ventanni per
avvantaggiarsi ulteriormente. Si
tratta, insomma, di una posizione
che lavora in profondit sulla realt
dei rapporti di forza, nella competizione economica e tecnologica,
sul controllo degli spazi e delle materie prime. Uno scontro prematuro viene giudicato altamente rischioso, un autentico lascia o raddoppia.
Gli USA conducono inoltre una
strategia di accerchiamento.
Disponendo gi di alleati a Est della
Cina (Corea del Sud, Giappone,
Taiwan), essi intendono chiudere il
cerchio a Ouest approfittando della
disgregazione dellURSS25 e prendendo piede in Afghanistan 2 6 .
Tentano inoltre di appoggiarsi al
lIndia, riuscendovi a volte, come ad

esempio con i nazionalisti hinduisti


al potere fino al 2004, e di conservare la propria influenza nel Sud-Est
asiatico.
La strategia petrolifera americana
ha di mira il tallone dAchille delleconomia cinese, vale a dire lo
straordinario aumento dei suoi bisogni energetici che comporta una
crescente dipendenza dalle importazioni. Un quarto dellaumento dei
consumi petroliferi mondiale in
effetti di origine cinese. La Cina,
non autosufficiente dal 1993, oggi
il secondo importatore mondiale di
petrolio. E, mentre essa cerca di diversificare le sue zone di approviggiamento, gli Stati Uniti cercano di
prenderne il controllo (Iraq).

CINA:

M U LT I P O L A R I T ,

INTERDIPENDENZA
E MODERNIZZAZIONE

La strategia cinese sostanzialmente simmetrica a quella americana: multipolarit contro egemonismo, interdipendenza contro
controllo unilaterale sulle risorse
strategiche, e modernizzazione per
ridurre lo scarto fra le due potenze.

L A L L E A N Z A C I N O - R U S S A
GRUPPO DI SHANGHAI

E IL

Nel corso della maggior parte della


guerra fredda, il deterioramento
delle relazioni sino-sovietiche aveva
facilitato i giochi della potenza americana. Gi il solo fatto che oggi il
trattato dalleanza sino-russo, siglato il 16 luglio 2001 da Jiang
Zemin e Vladimir Putin, sia il primo
accordo di tale livello fra i due paesi
dopo quello firmato nel 1950 da
Stalin e Mao Zedong, costituisce di
per s il simbolo di una svolta di
fondo nella natura delle relazioni
fra i due paesi, una svolta di portata
strategica mondiale.
Il generale in pensione Pierre-Marie Gallois riassume tale portata in
questi termini: Assommando circa
due miliardi di abitanti, le due potenze
si alzano implicitamente contro le am-

Marzo Aprile 2005

bizioni degli Stati Uniti nella zona


dellAsia e del Pacifico, e pi in generale
offrono di nuovo al resto del mondo
unopzione anti-liberista che pu rappresentare una base intellettuale e materiale per i movimenti anti-mondializzazione27. I reciproci interessi oggettivi convergono in ragione della
complementariet dei bisogni. La
Cina importa le risorse energetiche
e militari russe e funge, in tal modo,
da potente motore per lo sviluppo
economico di una Russia esangue
dopo la scomparsa dellURSS.28
Tre anni dopo il Trattato, i due paesi
hanno ulteriormente rinsaldato
lasse strategico con un accordo, firmato il 14 ottobre 2004, che mette
termine in primo luogo al contenzioso sulle frontiere che, nei peggiori momenti del conflitto sino-sovietico, minacciava di scatenare una
guerra vera e propria. Certamente
rimangono alcuni punti di discordia, ma senza minacciare i rapporti:
inquietudini russe riguardo alla
pressione demografica cinese sulla
propria lunga frontiera siberiana disperatamente spopolata dalla propria parte, e alcune incertezze
quanto a un tratto di oleodotto che
potrebbe passare o meno dalla
Russia.29
Questa relazione privilegiata ha
pure permesso di costruire uno spazio di cooperazione multilaterale in
Asia centrale denominato Organizzazione di cooperazione di
Shanghai e che raggruppa, oltre
questi due paesi, il Kazakhstan, il
Tagikistan, il Kirghizistan e lUzbekistan.30 Gli obiettivi proclamati
erano quelli della lotta anti-terrorismo, ma in seguito il loro campo si
progressivamente ampliato.

LO

S PA Z I O A S I AT I C O C O M E
S PA Z I O N AT U R A L E

Se USA e Cina sono in consonanza


sullimportanza strategica dellAsia,
la Cina, da parte sua, ha qui un vantaggio decisivo: lAsia il proprio
ambiente naturale, di cui inoltre
essa rappresenta il cuore.
Nei confronti dei suoi vicini una

Dibattito

trentina di Stati la Cina ha moltiplicato i segnali e le iniziative di


buona vicinanza. Seguendo lanalisi
che ne fanno due specialisti statunitensi, la Cina ha fatto grandi concessioni al fine di favorire relazioni
amichevoli con i suoi vicini. A partire dal 1991 la Cina ha regolato i conflitti di frontiera con il Kazakhstan, il
Kirghizistan, il Laos, la Russia, il Tagikistan e il Vietnam, e lha fatto a volte
in termini svantaggiosi. Di fatto, nella
maggioranza di tali accordi la Cina non
ha ricevuto che la met dei territori contestati o ancor meno; per esempio, per risolvere il lungo conflitto riguardante le
montagne del Pamir che il Tagikistan
ha ereditato dallUnione sovietica, la
Cina ha accettato dottenere solo 1.000
dei 28.000 km_ contestati. 31
Lampiamento delle relazioni
inoltre stato inoltre favorito da un
contesto che ha visto lattenuarsi
dellimportanza di alcune vecchie
alleanze opposte, che avevano permesso ad esempio alla Cina di contrastare linfluenza indiana (alleanza con il Pakistan), sovietica e
vietnamita (alleanza con la Cambogia). Pur conservando la propria
tradizionale relazione con il Pakistan nel sotto-continente indiano,
le relazioni cinesi con lIndia sono
migliorate, soprattutto a partire dallinsediamento del nuovo goveno
indiano, grazie allappoggio dei comunisti. Ancor di pi, lirraggiamento economico della Cina, con
limmensit e il dinamismo propri
del suo mercato, costituiscono un
fattore di crescita e di stabilit che
facilita la costruzione di legami profondi e attraenti per linsieme della
regione.
In questo quadro, la Cina coltiva in
modo particolare i propri contatti
con i suoi vicini socialisti. Le relazioni con il Vietnam si sono rafforzate nettamente. La Cina ormai il
terzo partner commerciale del
Vietnam. I reciproci rapporti politici si intensificano, anche sul piano
della ricerca teorico, con seminari
annuali fra i due partiti sui temi del
socialismo. Le relazioni con la
Corea del Nord, in occasione degli
incontri per un suo eventuale dis-

armo nucleare, hanno rivelato una


Cina che svolge un ruolo di primordine nella mediazione con gli
Stati Uniti, senza abbandonare tuttavia il proprio attaccamento alla sovranit coreana.
Le relazioni con il Giappone rimangono, al contrario e malgrado
alcuni sforzi da una parte e dallaltra, improntati a una mutua diffidenza32 , eredit della storia e della
competizione pi recente. Il Giappone il principale alleato degli
Stati Uniti e di Taiwan nella regione,
e il suo bilancio militare al momento il secondo al mondo.

CON

IL

SUD

DEL MONDO

La Cina non ha affatto dimenticato


la sua antica strategia mirante a tessere una solida tela di rapporti con
i paesi pi poveri, e un episodio pi
spettacolare in tal senso probabilmente stato lo scacco della conferenza del WTO a Cancun, il 14 settembre 2003, da parte del G21 condotto da Brasile, India, Sudafrica e
Cina a favore di 90 paesi poveri.
Contrariamente ai loro predecessori, gli attuali dirigenti cinesi moltiplicano i viaggi allestero e con ben
altri solidi argomenti economici ,
ad esempio in Africa, dove la Cina
conta numerosi amici33. Il peso di
questo continente diventa strategico
nel quadro della politica di diversificazione delle risorse energetiche cinese (Sudan, Gabon, Algeria,
Angola) e va direttamente a contrastare gli interessi strategici americani, che preferirebbero una Cina dipendente come oggi per il 60% dal
Medio-Oriente.34 Con il continente
americano, riserva di caccia degli
Stati Uniti, la Cina non dovrebbe, secondo logica, solleticare troppo gli
interessi USA35. Tuttavia la recente e
autonoma evoluzione del sotto-continente latino-americano, che progressivamente si libera dalla tutela
americana e che oscilla fra sinistra e
centro sinista, ha fatto assai naturalmente sorgere autentiche convergenze con una Cina che apparsa
come lindispensabile contrappeso

77

Marzo Aprile

Dibattito

alla potenza americana.


Con il Brasile diretto da Lula le relazioni hanno effettuato un salto
qualitativo. Il Brasile al momento
il principale partner commerciale
della Cina in America Latina. Oltre
a ci, tutta la strategia brasiliana
sinscrive nella ricerca di costituire
un concreto contrappeso agli Stati
Uniti. Durante la sua visita in Cina
del maggio 2004, il Presidente Lula
ha pure dichiarato che Il Brasile ha
sempre aderito alla politica di una sola
Cina, e sostiene la posizione cinese su
Taiwan e i diritti umani36.
Larrivo al potere di Chavez in Venezuela aveva gi portato ad un miglioramento delle relazionifra i due
paesi. Le relazioni riguardano oggi
i campi dellenergia, dellagricoltura e delle questioni militari. Il
Presidente Chavez dichiara inoltre
apertamente la propria ammirazione per i progressi realizzati in
Cina.
Le relazioni con Cuba malgrado
alcune scelte nel quadro socialista
spesso nettamente differente da
quelle della Cina migliorano costantemente in tutti gli ambiti. Per
Cuba queste relazioni economiche
sono quanto di pi prezioso esista.
La scomparsa dellURSS le era costata la perdita dell80% del proprio
commercio estero. La Cina oggi il
3 partner commerciale di Cuba,
dopo il Venezuela e la Spagna. Gli
incontri a Cuba del novembre 2004
fra Hu Jintao e Fidel Castro hanno
portato non solo ad importanti accordi economici. La stampa ha sottolineato alcune dichiarazioni di
Hu Jintao, che salutava leroico popolo Cubano e lo incoraggiava a
non cedere sulla via della costruzione soc i a l i s t a , e questo ad alcuni chilometri dalle coste americane.
Va inoltre aggiunto che, in molti di
questi paesi amici della Cina, si pu
trovare una significativa presenza
comunista che esercita, direttamente o indirettamente, uninfluenza sui relativi governi, ad esempio in Sudafrica37 , India e in Brasile38, e che condividono, nei confronti degli Stati Uniti, la visione
strategica multipolare della Cina.

78

U N E U R O PA

C O RT E G G I ATA

LUnione europea ritenuta essenziale dalla Cina. Nella triade dei


paesi sviluppati, essa rappresenta
langolo pi morbito, quello al
tempo stesso meno minaccioso,
meno contraddittorio, e potenzialmente il pi distante dagli Stati
Uniti.
Ma la Cina sa pure che lunit politica europea ancora lontana dallessere una realt, e che essa pu
contare in questo continente sia su
amicizie che inimicizie. La Francia
figura al primo posto fra gli amici,
con una partnership deccezione. Si
tratta di un paese che gode di una
certa indipendenza, di tecnologie
avanzate, soprattutto nel nucleare,
di cui essa ha bisogno per allentare
la propria dipendenza energetica39.
I due paesi coltivano, al pi alto livello, una politica di convergenza.
Il bilancio diplomatico 2004 del ministero cinese per gli affari esteri si
apre, non a caso, con una foto del
Presidente Jacques Chirac con il
Presidente Hu Jintao. E nel momento in cui lUnione europea ha
avviato un processo di progressivo
annullamento dellembargo sulla
vendita di armamenti alla Cina
adottato dopo gli avvenimenti di
piazza Tien An Men, la Francia ha
da parte sua annunciato di essere
per lannullamento immediato40.
Certo, anche in Europa la Cina inizia a suscitare alcuni timori. Ed
quanto un altro dirigente politico
francese, Jean-Pierre Chevnement, ha cercato di scongiurare sulle colonne del Figaro: legittimo che
la Cina voglia svilupparsi, uscire dalla
povert e assumere il ruolo che le compete nel mondo. anche nellinteresse
della Francia e di un Europa in un
mondo che vogliamo multipolare. Una
Cina forte necessaria allequilibrio del
mondo. Bisogna dunque vedere la Cina
con un occhio europeo e non con un occhio americano
* E questa la prima parte dello studio
che Patrick Theuret ha condotto sulla
questione Cina-USA. La seconda parte
verr proposta nel prossimo numero.

Note

1 Brzezinski Zbigniew, Le vrai choix.


2 Brzezinski Zbigniew, Le Grand chiquier.
LAmrique et le reste du monde.
3 Intervista alla rivista di geopolitica in linea
Cyberscopie, settembre 2002: www.cybercopie.
info/page/art_entre/art11_entre.html.
4 Fra i numerosi segnali di tale apertura si notano
nel corso degli ultimi 25 anni 600.000 studenti cinesi recatisi allestero per fare i loro studi.
5 Il preambolo dello Statuto del Partito comunista
cinese lesprime cos: I pi alti ideali comunisti
perseguiti dai comunisti cinesi non potranno
essere realizzati se non quando la societ socialista sar pienamente sviluppata e assai
avanzata. Lo sviluppo e il miglioramento del
sistema socialista un processo storico di
lunga durata. Sin quando i comunisti cinesi
sosterranno i principi fondamentali del
Marxismo-Leninismo e seguiranno la via corrispondente alle specifiche condizioni della
Cina e volontariamente scelte dal popolo cinese, la causa socialista in Cina sar coronata
dalla vittoria finale. () La Cina si trova ora
nella prima tappa del socialismo e vi rimarr
per un lungo periodo. Si tratta di una tappa
storica che non pu fare a meno della modernizzazione socialista in una Cina che arretrata economicamente e culturalmente.
Essa durer pi di un centinaio di anni.
6 In una celebre intervista del gennaio 1964, il
P residente Mao Zedong dichiarava: gli Stati
Uniti sono una tigre di carta; non lasciatevi impressionare, la si pu attraversare da parte a parte
con un buffetto. Anche lUnione sovietica revisionista una tigre di carta. Questa equivalenza fra
gli Stati Uniti e lUnione sovietica dar in seguito
vita alla teoria dei tre mondi, che collocava queste due super-potenze nel primo mondo, il
Giappone, lEuropa, il Canada in quello delle
forze intermedie e il resto nel Terzo mondo.
7 Understanding The Present Intern a t i o n a l
Strategic Situation,Liowang, 5 agosto 2002,
n32. Articolo di Li Zhongjie della Scuola centrale
del PC cinese.
8 Rapporto a XVI Congresso del Partito comunista cinese, 8 novembre 2002.
9 Le statistiche internazionali misurano le disuguaglianze sociali con il coefficiente Gini, pari a
0 in une societ perfettamente egualitaria e a 1 nel
caso teorico inverso. Nella realt i paesi sono classificati da 0,2 a 0,6. I due paesi si ritrovano al centro, fra 0,40 e 0,45, con un aumento recente pi
rapido in Cina (+0,1 in 15 anni).
10 Circa 36 milioni di americani vivono sotto la
soglia di povert. Le Monde, 27/08/2004.
11 Nelle zone rurali il numero dei poveri passato

Marzo Aprile 2005

dai 250 milioni del 1978 ai 29 milioni del 2003.


Peoples daily 17/10/2004.
12 Rapporto mondiale sullo sviluppo umano
2003. Se a livello mondiale il numero dei poveri
(soglia di reddito inferiore a 1 dollaro giornaliero
per abitande) si ridotto fra il 1990 e il 1999 da
1292 milioni a 1169 milioni (-123), ossia del
23,2% dellumanit (-6,4), escudendo la Cina
questo numero invece salito a 945 (+28) milioni.
13 La Cina ha aderito al WTO l11 dicembre 2001.
14 Come potenza commerciale, la Cina ha pure conosciuto unimportante modificazione della struttura dei propri scambi commerciali in funzione del
proprio sviluppo. Nel 1980 le sue esportazioni riguardavano essenzialmente il settore agroalimentare (28%) ed energetico (27%), dal 2001 esse si
sono rivolte invece verso lindustria elettrica ed elettronica (32%) e tessile (25%).
15 Daniel Sabbagh, Les relations sino-amricaines depuis la fin de la guerre froide, in Questions
internationales, n 6 marzo-aprile 2004.

Dibattito

21 Jean-Marie Brisset, dellIstituto per le relazioni

32 Rgine Serra, Chine-Japon, aprs trente annes

internazionali e strategiche, ritiene che lesercito cinese possieda un nuceo duro paragonabile alla potenza dellesercito belga e prossimo a quello spagnolo, ma il grosso della truppa un insieme di
straccioni, il cui equipaggiamento totalmente obsoleto e con istruzione militare anacronistica. In
La Chine est passe matre dans lart de la diplomatie du verbe, Cyberscopie, dicembre 2002.

dentente cordiale, in Asie orientale 2003.

2 2 Washington Post, China Seen Decades


Behind U.S. in Military Might, 22 maggio 2003.
2 3 The Heritage Foundation ( U S A ) ,
12/02/03, Needed: A Realistic Look at China
Policy, di John J.Tkacik Jr.
24 William Kristol
25 Dal 1997 i suoi migliori alleati fra i paesi dellex Unione sovietica sono la Georgia, lUzbekistan,
lUcraina, lAzerbaigian, la Moldavia. Gli Stati
Uniti hanno inoltre delle basi in Uzbekistan e in
Turkmenistan.

17 Franoise Lemoine, Lconomie chinoise.

2 6 Franois Lafargue, Opium Ptrole &


Islamisme. La triade du crime en Afghanistan,
Ellipses, 2003.

18 Questultima un buon esempio delle difficolt

27 A lest du nouveau, Gopolitique, n 77

per il pensiero neo-conservatore dimporsi nella questione cinese. Condoleezza Rice si era impegnata
sul tema della minaccia cinese che aveva alimentato la campagna del candidato G. W. Bush
nel 2000. Pur senza rinunciare alle proprie convizioni, sul dossier cinese essa era tuttavia decisa
a mettere fra parentesi il suo discorso aggressivo.
Rice the realist, The Straits Times interactive,
26/11/2004.

28 Lucia Montanaro-Jankovski, Chine-Russie:


des intrts convergents, Questions internationales, n6 marzo-aprile 2004.

16 Financial Times, 23/11/2004

19 Brzezinski Zbigniew, Le vrai choix.


20 William Kristol e Lawrence F.Kaplan, Notre
route commence Bagdad

29 La Chine et la Russie renforcent leurs relations

33 Il 16 dicembre 2003 il Forum Cina-Africa ha


visto la partecipazione di 45 Stati africani.
34 Jeune-Afrique, 27 giugno 2004.
35 Che sono inquieti per la penetrazione cinese,
come mostra il Documento strategico per lAmerica
Latina detto Documento di Santa Fe IV del dicembre 2000: La Cina rappresenta il problema pi
inquietante cui gli Stati Uniti devono far fronte
(...) I comunisti cinesi avanzano su un ampio
fronte attraverso la catena andina. Essi sondano
debolezze e vuoti, e quando li trovano li riempiono
traendo aggressivamente vantaggio dalla situazione Forse il caso pi impressionante quello
della loro penetrazione a Panama. Ottenuto questo, essi avanzano nei Caraibi, stabilendo un solido legame con Fidel Castro; sottolineando pure
i legami sempre pi stretti con il castrista Chavez.
36 Intervista al Quotidiano del popolo, 25
maggio 2004.
37 Durante la conferenza dei partiti asiatici del settembre 2004, i due unici partiti non asiatici invitati erano lANC e il PC sud-africani.
38 Renato Rabelo, presidente del Partito comunista del Brasile, Enfrentar o imperialismo com amplitude, defender a soberania nacional, in A nova
realidade internacional sob o primado dos
Estados Unidos, Editora Anita Garibaldi, 2003.

conomiques, Le Monde 14/10/2004

39 Il progetto cinese consiste nel quadruplicare la

30 Questultimo paese, pure alleato degli USA, non

produzione nucleare da oggi al 2020, in modo di


passare da 9000 a 36000 MW.

ha tuttavia partecipato con essi alle manovre militari congiunte nel 2003.

40 Le Monde, 6/12/2004.

31 Evan S. Medeiros e M.Taylor Fravel, Chinas

41 Jean-Pierre Chevnement, La Chine, dragon

new diplomacy, Foreign Affairs, vol. 28 n 6.


Nov/Dic 2003.

colossal ou partenaire stratgique?, Le Figaro,


22/09/2003.

79

Marzo Aprile

Culitura

Se non cercassi di arrotondare


la mia pensione (430 euro al mese
+ 290 quella di mia moglie)
e mi ritirassi dal lavoro,
oltre a rompere lequilibrio
che mi sostiene, non vedo
come riuscirei a campare

Franco Trincale,
un patrimonio
della sinistra

di Gianni Lucini

COS DIFFICILE PENSARE A UNA FONDAZIONE CHE SI OCCUPI DI GESTIRE IL PATRIMONIO CULTURALE E, SOPRATTUTTO, EVITI CHE QUALCUNO
PRIMA O POI FACCIA I SOLDI SULLIMPONENTE MOLE DI BRANI CHE
TRINCALE NON HA MAI DEPOSITATO?

Sento che ogni giorno di pi mi


vengono meno le forze fisiche.
Questanno compir settantanni; nel 2003 ho avuto un ictus
e i medici mi consigliano di essere
cauto, ma se non cercassi di arrotondare la mia pensione (430
euro al mese + 290 quella di mia
moglie) e mi ritirassi dal lavoro,
oltre a rompere lequilibrio che
mi sostiene, non vedo come riuscirei a campare.
Il destinatario di questo accorato
messaggio inviato nellautunno
scorso era il Presidente Ciampi, e
lautore era Franco Trincale, il pi
grande cantastorie italiano vivente, un artista che se fosse nato
negli Stati Uniti oggi sarebbe considerato il nuovo Wo o d y
Guthrie, e che da noi invece deve
guadagnarsi da vivere suonando
per strada. Non da oggi scrivo dovunque mi lasciano la possibilit
di scrivere che il suo caso una
vergogna per la sinistra, per tutta
la cultura italiana e non solo per
il mondo della musica. Gli appelli
restano, in gran parte, inascoltati.
Il problema non soltanto quello
del destino personale dellartista,
che pure dovrebbe preoccupare,
ma anche della quantit di materiale prezioso che Trincale ha accumulato negli anni: canzoni, cartelloni dipinti a mano, documen-

80

tazione, testimonianze e la storica


chitarra costruita da Monzino e regalatagli nel 1968 dai lavoratori
dellAlfa Romeo. Tutto ci rischia
di andare perso per sempre.
Qualche mese fa sembrava che
qualcosa si stesse muovendo. Il
Corriere della Sera aveva dato spazio
alla questione e il Sindaco di
Bresso aveva anche lanciato lidea
di acquistare tutto il materiale in
possesso di Trincale per conservarlo in un museo da realizzarsi
nella fabbrica dimessa della Iso
Rivolta. La Provincia di Milano
aveva dichiarato la sua disponibilit, anche se pensava a una localizzazione diversa, nella futura
Cittadella della Musica. I progetti
suscitavano qualche speranza, ma
per la loro lentezza rischiavano e
rischiano di perdersi nel mare magnum dei complicati percorsi amministrativi. Chi sa come vanno
queste cose non si sente rassicurato quando i progetti sono
troppo grandi e, in fondo, troppo
soggetti a variabili imprevedibili.
Non possibile percorrere una
strada diversa? Limpressione
che la sinistra, cos abile e talvolta
felicemente visionaria nellaffrontare le tematiche culturali, fatichi
a fare i conti con le situazioni reali
e le difficolt delle persone in
carne e ossa.

Franco Trincale un patrimonio


della cultura italiana ma, soprattutto, un uomo, unartista con il
quale la sinistra, intesa nel senso
pi largo, ha un debito accumulato negli anni. Basta pensare al
rapporto costante della sua produzione artistica con il movimento operaio, i movimenti sociali e tutto ci che si muove nella
societ. Nato il 12 settembre 1935
a Militello, in Val di Catania, inizia a cantare negli anni Cinquanta
in Sicilia seguendo la tradizione
dei cantastorie. Alla fine del servizio militare si trasferisce dalla nata Sicilia a Milano. Qui le sue canzoni, fino a quel momento rimaste nellambito del folklore e della
tradizione, si fanno pi aggressive,
in sintonia con i movimenti di
lotta che accompagnano le grandi
trasformazioni sociali degli anni
Sessanta. Nello stesso periodo
vince ben tre edizioni del festival
dei cantastorie di Piacenza e diventa un soggetto interessante
per le case discografiche. Il rapporto tra lui e lindustria dei dischi dura poco. Il suo carattere
fondamentalmente alieno a qualunque tipo di disciplina imposta
dallalto ed estraneo alle ragioni
di mercato lo porta ben presto a
scegliere la strada dellautoproduzione. Negli anni Sessanta e nei

Marzo Aprile 2005

primi anni Settanta diventa cos


un antesignano delle vendite militanti, inaugurando una sorta di
microrete destinata allautodistribuzione che funger ancora da
modello per le esperienze dellhip
hop e per la musica alternativa degli anni Ottanta. Album come
Canzoni in piazza e Canzoni di lotta
vendono un numero impressionante di copie, e c chi sostiene
che se fossero state diffuse attraverso i normali canali di vendita
avrebbero conteso alla pi conosciute pop star la vetta delle classifiche di vendita.
Il fenomeno Trincale va per al di
l della pur interessante esperienza commerciale. Egli, infatti,
si caratterizza nel movimento
della nuova canzone sociale italiana per il suo modo originale di
scrivere canzoni, oltre che per lo
stile vocale direttamente ispirato
al modello dei cantastorie. I suoi
testi, infatti, costruiti sui modelli
narrativi tradizionali, spesso non
rispettano le strutture metriche
classiche, privilegiando il concetto alla purezza stilistica. La sua
attivit non termina con lesaurirsi della grande stagione della
canzone politica italiana, ma continua senza sosta fino ai giorni nostri. Insofferente a qualunque tipo
di condizionamento, ha messo in
musica e raccontato le storie
dellItalia degli ultimi cinquantanni.
Scrivere che se fosse nato negli
Stati Uniti oggi sarebbe considerato il nuovo Woody Guthrie
non solo uninvenzione retorica.
I punti di contatto tra la sua storia
e quella del pi grande folk singer
doltreoceano sono molti. Come
Guthrie un vagabondo armato di
chitarra che scorrazza nel suo
paese e mette in musica le storie,
le lotte, le aspirazioni e luoghi
dove le tensioni sociali si fanno pi
acute. Con Trincale e i cantastorie
in genere, la nostra musica, soprattutto quella dei cantautori, ha
un debito storico che fino a oggi

Culitura

non ha mai compiutamente pagato perch siamo un paese strano


e senza memoria. Non accaduto
cos, infatti, per i cantautori dellarea anglosassone, che da tempo
hanno riconosciuto, ripreso e rilanciato la cultura popolare dei
broadside, i fogli volanti con i testi
della canzoni che venivano venduti sulla strada dopo lesecuzione. I folksinger inglesi e statunitensi degli anni Sessanta, Donovan e Dylan compresi, che
hanno attinto a piene mani a questa tradizione, non si sono mai nascosti dietro al dito dellinnovazione, ma di tanto in tanto hanno
anche recuperato gran parte del
lavoro di quei maestri, spesso anonimi o dimenticati.
In Italia il collegamento non
stato cos lineare, anzi in molti casi
stato ignorato o sfiorato con ironia, come ha fatto Edoardo
Bennato nella sua Rinnegato. un
debito pesante quello che i cantautori italiani hanno nei confronti della tradizione dei cantastorie, che ha almeno quattro secoli di storia. Limpegno primario
di quegli artisti era quello di diffondere le notizie con il supporto
della musica e di tabelloni illustrati (oltre che, dopo linvenzione della stampa, dei fogli volanti). Essi hanno dettato strutture, ritmi e melodie che ancora
oggi fanno da base alla moderna
canzone narrativa. Anche il rap,
nella sua struttura, debitore
verso questa storia. Scrive Ambrogio Sparagna, uno che se ne intende, che In Italia i cantastorie
hanno svolto unimportante funzione nellambito della cultura
popolare (almeno) fino agli
anni Sessanta e Settanta. Figure
come quelle di Ciccio Busacca,
Adriano Callegari, Marino Piazza,
Turiddu Bella, Matteo Salvatore e
Franco Trincale sono state determinanti nel passaggio della storia
cantata da semplice strumento divulgativo a moderna elaborazione
musicale. Gran parte dei cantau-

tori si rifanno, non si sa quanto


consciamente, al loro lavoro, eppure la cultura del music business li
ha cancellati. Se fossero nati in altre parti del mondo, le loro canzoni sarebbero oggetto di studio
da parte delle scuole di musica e
comunicazione. In Italia non accade. Per Trincale, poi, la situazione paradossale. Mentre nel
mondo (Stati Uniti compresi) lo
invitano a tenere conferenze nelle
universit, nel suo paese lui costretto, se vuole cantare, a prenotare porzioni di spazio pubblico
nel centro di Milano e ad affidarsi
alla questua (o alla vendita di dischi autoprodotti). Ha rischiato
anche di non cantare pi: quando
gli avvocati di Berlusconi, per dimostrare che il Tribunale di
Milano era una sede inadatta a
processare il loro assistito, tra le influenze negative hanno inserito
anche i concerti di strada di
Franco Trincale. Nelle cartelle degli avvocati gli veniva infatti contestato di essere stato causa di una
rissa per ragioni politiche. La contestazione, basata su una falsa ricostruzione dei fatti, per chi laveva proposta era un banale passaggio tecnico della querelle che
opponeva il Cavaliere ai giudici di
Milano, ma per lui era diventato
un problema di vita. Se sottoposto
a provvedimenti amministrativi,
infatti, Trincale rischiava la sospensione della possibilit di cantare per le strade. Non nella mia
natura fare la vittima, aveva dichiarato ai cronisti curiosi, ma la
situazione era davvero complicata, perch un provvedimento
del sindaco Albertini che proibiva
luso del suolo nel centro citt rischiava di impedirgli di cantare
le ingiustizie, le falsit, gli inganni,
cos come ho sempre fatto. Se non
mi lasciano pi cantare, mi uccidono. Per scongiurare questo rischio, si erano mobilitati amici,
compagni, cittadini e anche vari
legali. La sua vicenda, rilanciata in
tutta Italia dai media, aveva susci-

81

Culitura

tato moti spontanei di simpatia un


po ovunque, con la costituzione
di un comitato di solidariet. I suoi
concerti di strada nel centro di
Milano erano diventati meta di
una testimonianza solidale da
parte di un numero crescente di
persone, cui lui aveva risposto,
come al solito, mettendo in musica i fatti, le ingiustizie e le stesse
vicende che lo vedono protagonista. La vicenda aveva messo a nudo
la fragilit del suo ruolo e la solita
difficolt della sinistra a rivendicare pezzi di propria storia. A chi
gli chiedeva se avesse paura,
Franco rispondeva: No, non ho
paura. Alla mia et ne ho viste
tante da essere ormai preparato a
tutto. Assisto per con un po
dangoscia al crescere di una sorta

82

di intolleranza radicale verso qualunque spirito critico. come se il


gelo dellautoritarismo stesse pian
piano spegnendo il calore dellarte. Io sono uno dei tanti piccolissimi granelli di sabbia che rischiano di essere spazzati via dalle
folate fredde di un vento cattivo e
vendicativo.
La mia sola speranza nella gente
che mi sta facendo scudo e mi invita a non mollare. Io continuo a
fare quello che ho sempre fatto:
canto. La mobilitazione e la solidariet, alla fine, avevano scongiurato ogni rischio.
Oggi, per, c un nuovo nemico,
apparentemente pi subdolo e
paziente, ma altrettanto micidiale: il tempo che passa. Se da
una parte le istituzioni, soprat-

Marzo Aprile

tutto la Provincia di Milano, cominciano a dargli una mano chiamandolo a insegnare il suo mestiere ai giovani interessati, la sinistra nel suo complesso e i comunisti in primo luogo dovrebbero porsi il problema di preservare dalla distruzione limmensa
mole di materiale che racconta
pi di cinquantanni di storia
dalla parte delle classi subalterne.
cos difficile pensare a una
Fondazione, magari pubblica e sociale, che si occupi di gestire il patrimonio culturale e, soprattutto,
eviti che qualcuno, prima o poi,
faccia i soldi sullimponente mole
di brani che Trincale non ha mai
depositato? C un tempo per le
parole e uno per i fatti. Questo
il tempo dei fatti.

Marzo Aprile 2005

Recensioni

il libro di Ricci si erge


di molte spanne al di sopra
del profluvio di nenie, giaculatorie,
invettive e sinistre profezie
che troppo spesso connotano
la pubblicistica antagonista

Dopo
il liberismo

a cura di Luigi Cavallaro

NELLA RECENTE OPERA DI ANDREA RICCI, DOCENTE DI ECONOMIA


ALL UNIVERSIT DI URBINO, UNA SINTESI RAGIONATA DEL PENSIERO
ECONOMICO DELLA SINISTRA ANTICAPITALISTICA

uesto libro di Andrea Ricci (Dopo il


liberismo. Proposte per una politica economica di sinistra , Fazi Editore, pp.
379, euro 21,50) costituisce una sintesi ragionata del pensiero economico della sinistra anticapitalistica;
e c innanzi tutto da esserne grati
allautore, che non solo si sobbarcato lonere di tentare una ricostruzione unitaria e coerente della
vasta quantit di pubblicazioni che
ormai affollano il panorama dell
eterodossia, ma soprattutto ha reso
possibile col suo sforzo una lettura
ragionata dei pregi che pu certamente annoverare, come delle contraddizioni che oggi affliggono la riflessione di quanti non si acquietano di fronte alle storture della societ data.
Di pregi, in effetti, il libro ne ha davvero. Informato, attento, Ricci conosce bene la tool box delleconomista: maneggia i dati con sicurezza, li
sottopone a personali rielaborazioni e costruisce grafici e tabelle
che mostrano come, a saperle leggere, le stesse informazioni provenienti da istituzioni tuttaltro che
dispensatrici di eterodossia (come
lOcse, la Banca dItalia, la Commissione Europea, lIstat e lEurostat)
possano rivelare verit antitetiche
rispetto a quelle propagandate dal
pensiero unico.
Esemplari, sotto questo profilo, le
pagine dedicate al confronto fra

Usa e Unione europea, al manifesto ideologico di Maastricht e allanalisi della situazione italiana:
qui, con pazienza certosina, Ricci
espone i capisaldi analitici e prescrittivi dellortodossia dominante e
poi, rielaborando i risultati di una
letteratura verso la quale riconosce
sempre i propri debiti (come dimostrano le venti pagine di bibliografia che chiudono il volume), li
smonta uno dopo laltro: non vero
che il declino dellEuropa dovuto
alla propensione allozio dei suoi lavoratori; non vero che una politica
monetaria restrittiva nel lungo periodo giova alla crescita; non vero
che il pump-priming keynesiano non
funziona pi; non vero che la riduzione del debito pubblico favorisce gli investimenti produttivi; non
vero che lunificazione dei mercati
europei ridurr ex se gli squilibri regionali; in una parola, non vero
nulla di tutto ci che siamo stati abituati a credere in questi ultimi ventanni circa le virt salvifiche del
mercato e della flessibilit.
Cose note? Certamente s, almeno
a chi non si lascia incantare dalla demenziale pamphlettistica pedagogica di matrice ulivista (pardon, unionista) di cui traboccano gli scaffali delle librerie. Ma ci che noto
non per ci stesso conosciuto, diceva Hegel; e proprio perch aiuta
a conoscere quel che (soltanto)

noto, il libro di Ricci si erge di molte


spanne al di sopra del profluvio di
nenie, giaculatorie, invettive e sinistre profezie che troppo spesso connotano la pubblicistica antagonista, almeno quella sua parte che si
affanna a discettare di un altro
mondo possibile senza nemmeno
aver capito quello in cui vive.
Non stupisce, quindi, che la parte
propositiva del volume non contenga scenari futuribili la Rifkin,
n vagheggi utopie premoderne di
riconciliazione integrale fra uomo e
natura e nemmeno sciolga improbabili peana alla decrescita, ma
parli di cose banali come salari,
pensioni, imposte, politica industriale, creditizia, commerciale, ecc.
solo chi non si d pena di conoscere
i vincoli imposti dalla realt pu credere che il set di scelte che abbiamo
di fronte sia illimitato (una credenza, guarda caso, ch tipica dellortodossia dominante, et pour cause);
chi conosce, invece, sa che non
cos e che ogni gradino della scala
scoscesa per il cambiamento deve
poggiare su quello precedente,
pena la sua rovina.
Sembrerebbe, a questo punto, di
poter concludere che ci si trova al
cospetto di un libro desideroso di
rinnovare la migliore tradizione del
riformismo italiano, se solo il termine riforme non fosse stato svuotato di senso dalle recenti leggi in

83

Recensioni

tema di lavoro e previdenza, come


dalluso che di esso talora fanno
esponenti del centrosinistra, come
scrive Luciano Gallino nella sua sobria prefazione. Ma proprio qui, invece, affiora la prima delle contraddizioni di cui si diceva in apertura. A Ricci, infatti, la politica riformista non piace: gli pare sinonimo di immobilismo, mentre ci
che occorre nellItalia di oggi
scrive invece una rottura, un
salto, una discontinuit rispetto allevoluzione storica dellorganizzazione economica e sociale. Una discontinuit, si badi, che Ricci nega
sia mai intervenuta, persino quando dominavano orientamenti di politica economica antitetici rispetto a
quelli imperanti oggid: Sia nelle
esperienze del socialismo reale, sia
in quelle delle economie miste, la
logica dellintervento pubblico nelleconomia stata interna a un modello di sviluppo quantitativo, in cui
la massimizzazione della crescita
economica, misurata in termini di
valore monetario, costituiva lo
scopo finale, si legge a p. 285; e nessuna rilevanza epocale, per dirla
con Gramsci, assume agli occhi dellautore quella propriet statale
che pure si contrapposta alla
propriet privata dei mezzi di produzione per un lungo tratto del Novecento: Ci che cambiava era il
soggetto proprietario, dice Ricci,
ma quanto a metodi non cera differenza: il proprietario, sia esso privato, sia esso statale, poteva disporre
della sua propriet secondo i propri
desideri. Poteva venderla e commerciarla senza vincoli e poteva gestirla, organizzarla e sceglierne
luso che voleva.
Si potrebbe a questo punto domandare: ma se le cose stessero realmente in questi termini, perch mai
stigmatizzare il manifesto ideologico di Maastricht per aver definito
un assetto di regole tali che sono
parole di Ricci la politica macroeconomica risulta ormai inerte e

84

passiva rispetto allandamento dei


mercati e viene cos svuotata di
ogni capacit di orientare e indirizzare lo sviluppo economico verso
obiettivi collettivi? Quando mai
verrebbe fatto di obiettare la politica economica avrebbe posseduto
una tale capacit, se davvero lunica
cosa che cambiava nella propriet
statale era il soggetto proprietario? E che senso ha contrapporre
la strada dellintegrazione monetaria in termini nominali voluta a
Maastricht alla convergenza in termini reali auspicata negli anni Settanta dal Piano Werner, quando poi
si dice che la logica monetaria governa la politica economica non
meno che le scelte allocative del capitale? Come avrebbe potuto il
Patto di stabilit e crescita non ignorare totalmente la variabile disoccupazione se si d per certo che
qualunque politica economica pu
avere per scopo soltanto la massimizzazione della crescita economica, misurata in termini di valore
monetario?
Ancor pi contraddittorio il fatto
che Ricci scriva che ci sono enti
pubblici che producono servizi
non di mercato. Marx non ci ha
forse spiegato che la forma sociale
del prodotto del lavoro partecipa
della forma della propriet dei
mezzi di produzione? E se questultima non cambiata in conseguenza della sua attribuzione allo Stato,
non dovremmo desumerne che anche quelli statali sono servizi di mercato, cio merci n pi e n meno dei
prodotti del capitale? E non sarebbe
dunque illusorio sperare come
pure fa Ricci che una banca pubblica possa decidere di concedere
crediti senza occuparsi della massimizzazione dellutile e della minimizzazione del rischio, che poi
quanto dire che essa possa essere gestita secondo criteri pubblicistici e
sociali? O immaginare che criteri
del genere possano informare la gestione di unimpresa pubblica, ad

Marzo Aprile

esempio una Fiat nazionalizzata?


Non sono, si badi bene, questioni
astratte: la definizione dello statuto della politica economica (detto altrimenti: se lo statalismo costituisca la fase suprema del capitalismo o la malattia infantile del comunismo) lo scoglio teorico pi
concreto sulla rotta dei movimenti
nati dalla resistenza a quella che, in
mancanza di meglio, si suole chiamare globalizzazione neoliberista. Diciamolo con chiarezza: illusorio oggi pretendere di poter
avanzare un programma di politica
economica organicamente alternativo al monetarismo senza prima
spiegare se ed eventualmente a quali condizioni la propriet statale dei
mezzi di produzione possa comportare uninnovazione nelle forme dellattivit produttiva (e dunque dei prodotti del lavoro), e se simili innovazioni possano coesistere
in modo politicamente compatibile
con i rapporti capitalistici di produzione o debbano piuttosto generare squilibri, ad esempio inflazionistici. Ogni tentativo di aggirare
questi nodi non produce soltanto
aporie teoretiche ma anche proposte contraddittorie, perci politicamente deboli. Anche sotto questo
profilo, il libro di Ricci esemplare:
valga per tutte la riproposizione
fuori tempo massimo della tesi del
salario variabile indipendente,
che chiarisce pi di ogni altro esempio che, nellattesa che qualcuno
chiarisca cos la propriet comune (una nuova forma di propriet che in questi anni si sarebbe venuta formando nei movimenti e
nei circuiti alternativi e della quale
attualmente si pu solo dire che i
beni che ne formano oggetto appartengono direttamente alla comunit, alla collettivit e non alla
sua astrazione istituzionale, allo
Stato: capisca chi pu), la lotta antagonista si svolger primariamente
sul piano distributivo. Con buona
pace di Carlo Marx, naturalmente.

Marzo Aprile 2005

Recensioni

Andrebbe fatta unaccurata ricognizione


di tipo gramsciano,
capace di mettere in questione
anche e in primo luogo
gli stessi ceti intellettuali
per cos dire di sinistra

Battaglia
politico culturale
e paradigma
antifascista

a cura di Stefano G. Azzar


docente di Filosofia Universit di Urbino

REVISIONISMO STORICO E SUBALTERNIT POLITICO CULTURALE


DELLATTUALE SINISTRA. PER UNA RIPRESA DELLANALISI STORICOMATERIALISTICA. UN ESEMPIO: IL LIBRO ITALIANI SENZA ONORE
DI COSTANTINO DI SANTE SUI CRIMINI ITALIANI IN JUGOSLAVIA

probabile che lidea di unegemonia


marxista sulla cultura italiana del secondo dopoguerra sia stata niente
pi di una leggenda alla quale, per
autocompiacimento, molti di noi
hanno finito per credere. Per tanti
aspetti, la storia della reale incidenza
del materialismo storico sul mondo
delle lettere e delle arti, delluniversit e della ricerca, dellintellettualit in senso lato del nostro paese, andrebbe scritta per intero. Andrebbe
fatta, in altre parole, unaccurata ricognizione di tipo gramsciano, capace di mettere in questione anche
e in primo luogo gli stessi ceti intellettuali per cos dire - di sinistra,
e di mostrarne le reali radici culturali e la reale collocazione nellambito della lotta ideologica. Tuttavia,
tra tanti dubbi una cosa sembra
certa: in Italia, e pi in generale in
ambito internazionale, esistita una
salda egemonia del paradigma antifascista di interpretazione delle vicende storiche della Seconda guerra
mondiale e, per analogia, dellintera
storia del Novecento che ne seguita. Non soltanto nel campo degli
studi storiografici, proprio questa
impostazione molto pi che ogni
fondato e consapevole riferimento
al marxismo stata la cifra dellappartenenza e del riconoscimento
culturale di sinistra.
Se si guarda appena al di sotto della
superficie e delle stanche retoriche
celebrative, non difficile vedere

come tale impostazione che pure ha


avuto una sua nobile legittimit e ha
consentito al PCI di incontrare numerosi compagni di strada sia oggi
a pezzi e difficilmente possa essere ricostruita, se mai fosse utile farlo.
Loffensiva culturale delle classi dominanti, a lungo inosservata o sottovalutata, si soffermata infatti in particolar modo proprio sulla sua destrutturazione. Il prevalere di una
classe nei rapporti di forza tra i grandi
raggruppamenti sociali (e i simultanei riaggiustamenti nellambito dei
rapporti tra le nazioni) si consolida
dando vita gradualmente ad una
mentalit diffusa, e non affatto vero
che le visioni del mondo passino in
maniera lineare, nella loro formazione, dallalta cultura al senso comune, dalla storiografia accademica
alla cultura di massa. I meccanismi
dellegemonia sono pi complessi,
ed ogni livello di produzione ed elaborazione delle forme di coscienza
intrecciato ad ogni altro. Ripetiamo
cose gi dette: siamo di fronte ad un
passaggio depoca, ad un fenomeno
di portata mondiale che ha a che fare
con una sconfitta storica di fase e che,
in quanto ristruttura la realt nel suo
complesso, ristruttura anche le forme
di coscienza, ci che oggi in voga
chiamare il simbolico, limmaginario.
Tuttavia lItalia, che ha sempre avuto
un ruolo geopolitico del tutto peculiare, stata anche un laboratorio di

sperimentazione geoculturale.
Esiste da molto tempo nel nostro
paese un revisionismo storiografico
che ha certamente fatto il suo lavoro
di scavo: pensiamo a Renzo De Felice
e alla sua scuola, oppure alla rivista
Nuova Storia Contemporanea. In questo campo, per, si pu dire che gli
sforzi di gran lunga maggiori verso
una radicale revisione del paradigma antifascista siano da attribuire
in primo luogo proprio alla stessa sinistra culturale sconfitta. Non si
tratta affatto di un paradosso: anche
per via della pochezza della storiografia conservatrice a lungo ancorata ad un impresentabile nostalgismo repubblichino, oltre che del
tutto priva della minima credibilit
metodologica e scientifica , il revisionismo storiografico in Italia un
fenomeno pressoch interamente
di sinistra.
Impossibile spiegare qui come esso
sia al tempo stesso una forma di elaborazione del lutto e una strategia di
sopravvivenza per alcuni influenti
gruppi sociali e accademici. Basti
dire, per citare diversi campi di intervento, che ben pi efficace un
Pansa che mille Petacco, un Mieli
che mille Perfetti, un Violante che
mille Tremaglia.
Esiste poi la cultura di massa in senso
lato, nella quale la capacit di controllo delle classi dominanti a partire dalla propriet dei mezzi di produzione dellinformazione e dello

85

Recensioni

spettacolo, nonch dalla presenza di


un ceto effficiente di intellettuali organici pi diretta, come pi immediata la capacit di costruzione
dellimmaginario collettivo.
quanto dimostra, ad esempio, loperazione mediatica di falsificazione
della memoria nazionale orchestrata
negli ultimi anni attorno alla questione delle foibe. Un prodotto culturale militante come lo sceneggiato La luna nel pozzo trasmesso dalla
televisione pubblica, per citare un titolo, emblematico di una precisa
strategia politico-comunicativa ad
ampio raggio, che andrebbe studiata
accuratamente in tutti i suoi risvolti.
Di fronte a questa offensiva culturale
organica ed articolata, appare persino controproducente impegnarsi
in una difesa di retroguardia del
paradigma antifascista cos come lo
abbiamo conosciuto e praticato sinora. Qual infatti il nuovo uso che
oggi se ne fa? Scrive Pierluigi Battista
a proposito della guerra in Iraq, che
gli insorti iracheni che si oppongono con le armi del terrore al
nuovo governo di Baghdad vanno
definiti non guerriglieri, o terroristi, o resistenti ma fascisti, semplicemente e brutalmente fascisti
(Corriere della Sera, 7 febbraio 2005).
Se anche per Fassino i veri resistenti sono gli iracheni che si sono
recati alle urne e non quelli che
combattono gli americani, chiaro
che risulta sconvolta lattitudine politico-culturale sin qui dominante,
tanto da ribaltare persino il senso
delle vecchie analogie storiche. Il
giornalista ha ragione: con questa
semplice definizione, si sancisce il
tracollo di un quadro concettuale e
si ottiene un cambio di prospettiva
che riguarda s lIraq ma riguarda
ancor di pi linterpretazione generale delle vicende storico-politiche
del secolo alle nostre spalle e di
quello appena iniziato. Qualcosa
cambiato per sempre: conclusa la
Guerra fredda, il paradigma antifascista ha perduto il suo senso originario e ne ha assunto come si vede
nelluso che ne fanno non solo
Battista e Fassino, ma soprattutto
Bush e il Weekly Standard uno
nuovo. Un senso del tutto interno al

86

liberalismo trionfante e del tutto


funzionale alla legittimazione delloffensiva internazionalista degli
Stati Uniti, nella sua versione umanitaria prima, in quella neoconservatrice dopo. Difendere acriticamente questo paradigma significa
purtroppo ferme restando le buone intenzioni essere culturalmente
subalterni a tale offensiva.
Intendiamo forse dire che bisogna
piegarsi allegemonia del revisionismo storico e cessare di essere antifascisti? Esattamente il contrario.
Essere antifascisti alla maniera di
Bush significa per oggi sposare lideologia delluniversalismo liberaldemocratico statunitense, per la
quale il terrorismo e la guerriglia
attuali, come il nazifascismo e lo
stesso comunismo di ieri, si confondono luno nellaltro in quella notte
nera che porta il nome di totalitarismo. atto elementare di resistenza
culturale, allora, prendere atto dei
cambiamenti semantici avvenuti e
contrapporre offensiva ad offensiva,
operando consapevolmente una diversa ed autonoma revisione delle
categorie e dei paradigmi storiografici sinora utilizzati e ridefinendo integralmente, in chiave storico-materialistica, lo stesso antifascismo, per
capire cosa esso oggi e per noi debba
significare.
Il materiale per una rilettura di questo tipo immenso. La storiografia
legata al PCI ad un partito che doveva giustamente presentarsi come
lerede della storia e della cultura nazionale aveva un interesse particolare nello studio e nella valorizzazione della Resistenza come movimento di liberazione popolare e di
costruzione dellunit del Paese, un
fenomeno tutto interno alla storia
italiana e quasi un completamento
dellimpresa risorgimentale. In tal
modo, per, essa ha finito per dedicare meno energie sia allanalisi di
determinati aspetti del regime fascista, sia alle guerre condotte dagli italiani in Africa prima e nel quadro del
conflitto mondiale poi. Allo stesso
modo, esigenze realpolitiche legate
alla Guerra fredda hanno dissuaso
questa storiografia dallindagare a
dovere sia sulle stragi tedesche in

Marzo Aprile

Italia, sia sui bombardamenti alleati,


sia su quelloccupazione americana
dalla quale scaturito lo status semicoloniale che il nostro paese ha avuto
nel dopoguerra e tuttora mantiene.
Soprattutto, per, il paradigma antifascista e la conseguente vulgata resistenziale hanno impedito di cogliere adeguatamente la complessit
delle diverse dimensioni e dei diversi
conflitti che si sono intrecciati nella
Seconda guerra mondiale. In essa
era in gioco principalmente lordinamento eurocentrico della Terra.
Affermatosi in cinquecento anni di
colonialismo ed imperialismo, il primato europeo era stato messo in discussione sia da quella guerra fratricida dei bianchi (Spengler) in cui si
era risolta la Grande Guerra, sia dal
risveglio dei popoli colonizzati.
Londata di lotte per la liberazione
nazionale e lindipendenza prima e
dopo il 1939 strettamente connesse
con la rivoluzione dOttobre , va intesa come un movimento di
Resistenza internazionale che costituisce il contesto della stessa
Resistenza europea e italiana. Il nazifascismo infatti essenzialmente il
tentativo di restaurare in nuove vesti,
su scala planetaria e persino nel continente europeo, lordine coloniale
e razziale che il vecchio imperialismo
inglese e francese non era pi in
grado di mantenere. A questa dinamica si andava intrecciando, poi, la
presenza del progetto egemonistico
statunitense: una nuova forma di imperialismo non territoriale che, consolidatasi gi dalla fine del XIX secolo, trover proprio nel corso della
Seconda guerra mondiale la possibilit di insediarsi anche nella piattaforma europea.
Non possibile approfondire questo
discorso in questa sede, ma i nodi
storici da affrontare non mancano:
si tratta di lavorare consapevolmente
nella direzione di unintegrale rilettura del Novecento, della quale da
anni si avverte lesigenza ma che
troppo poco viene ancora concretamente praticata. Basti dire che, se
quello che abbiamo delineato un
significato possibile del nazifascismo, anche il significato dellantifascismo deve per noi cambiare, con

Marzo Aprile 2005

tutte le conseguenze che ci comporta per la nostra collocazione politica rispetto alla persistenza e al rilancio odierni del progetto coloniale occidentale nella sua versione
postmoderna statunitense.
Proprio in questa direzione ci sembra che fornisca un notevole contributo il libro, a cura di Costantino Di
Sante, Italiani senza onore. I crimini in
Jugoslavia e i processi negati 1941-1951
(ombre corte, Verona 2005). Gi da
tempo gli studi di Angelo Del Boca
sulla guerra italiana in Africa orientale hanno definitivamente smantellato il mito montanelliano del buon
soldato italiano propenso a fraternizzare con le popolazioni civili
ed incapace di qualunque eccesso ,
mostrando invece la sistematicit di
una guerra coloniale, di sterminio e
razziale, condotta con metodi brutali e del tutto interna alla tradizione
dellimperialismo occidentale.
quanto Di Sante comincia a fare, ora,
per le operazioni militari italiane sul
fronte slavo, raccogliendo in questo
libro una gran mole di importante
materiale documentario che si rivela
indispensabile per comprendere il
contesto delle successive vicende legate alle foibe.
Soldati dItalia, combattenti nel
Montenegro! recitava lappello del
Governatore militare del Montenegro, il generale darmata Alessandro Pirzio Biroli La guerra che qui
conducete non separata dalla
grande guerra che divampa in tutto
il mondo. (p, 82-3). Essa si inserisce
per intero in un disegno di vasta portata, perch parte integrante di
quella strategia imperialista di costruzione di un Nuovo Ordine
Europeo di cui lAsse si fatto portatore. Questa guerra ha per bisogno, come tutte le guerre, di costruirsi un passato immaginario e di
elaborare unimmagine del nemico.
Ecco che alle truppe italiane, impegnate a portare la millenaria civilt
di Roma, risponde allora, con laggressione vile e subdola, un nemico
particolare: gli eterni slavi presuntuosi, incostanti e vendicativi che
conservano nellanimo le stesse stigmate delle antiche orde asiatiche.
S, gli Slavi, barbari e selvaggi, ri-

Recensioni

fiutano la nostra civilt romana nel


nome della falce e martello; essi
odiano la nostra superiorit di razza
e di ideali, per la stessa ragione che
spinge il Male contro il Bene. Essi
sono barbari briganti che il fertile
sangue latino deve punire secondo
le leggi incorruttibili della giustizia.
Ed ecco allora che scatta linvito
esplicito alla guerra di sterminio: bisogna che per ogni compagno caduto paghino con la vita dieci ribelli. Una guerra di sterminio che
diventa ben presto guerra totale, indifferente a distinguere il nemico in
armi dalla popolazione civile, come
nella tradizione consueta delle conquiste coloniali: Ricordate che il nemico dappertutto; il passante che
incontrate e che vi saluta, la donna
alla quale vi avvicinate, il padrone di
casa che vi ospita, lalbergatore che
vi vende un bicchiere di vino.
Odiate questo popolo, dunque;
esso quel medesimo popolo contro il quale abbiamo combattuto per
secoli sulle sponde dell Adriatico,
per cui ammazzate, fucilate, incendiate e distruggete questo popolo!.
Sono direttive prontamente rispettate, come mostra la documentazione raccolta dalla Commissione
sui crimini di guerra italiani istituita
dal governo jugoslavo. Rappresaglie,
rastrellamenti, violenze e stupri, incendi di interi villaggi, violazione sistematica di ogni convenzione internazionale di guerra, razzizzazione integrale dei popoli slavi e, in
determinate fasi, tentativi sistematici
di cancellarli come tali: questo il
contesto al di fuori del quale non si
comprende nulla della guerra di liberazione e unificazione nazionale
condotta dai partigiani titini. La politica italiana di espansione nei
Balcani, dice Di Sante, venne contraddistinta da inaudite violenze,
che non furono episodi isolati o eccessi di singoli, ma componenti essenziali della strategia di dominio
territoriale dellItalia fascista (p.
11). Alla fine della guerra, il tentativo jugoslavo di ottenere giustizia attraverso la consegna dei criminali di
guerra italiani, inchiodati da innumerevoli prove, dar per il via ad
una precisa strategia della rimo-

zione e delloblio da parte italiana. Sin dallinizio, le autorit militari italiane e lo stesso governo si
impegneranno a minimizzare gli
eventi, a distorcerli e falsificarli, sino
a ricondurli a limitati eccessi di singoli. In questa strategia difensiva,
inoltre, la maggior parte delle violenze e degli eccessi erano stati
commessi in risposta alle barbare
sevizie subite dai soldati italiani ad
opera dei ribelli comunisti, mentre la responsabilit delle efferatezze pi gravi risultava quasi sempre
addossata ai tedeschi, oppure agli
ustasa, ma soprattutto alle lotte intestine tra le popolazioni locali. Al
contrario, venivano evidenziate le
gesta di umanit ed aiuto prestate
agli abitanti delle zone sotto il controllo delle autorit fasciste (p. 20).
Gi allora le responsabilit vengono
dunque completamente ribaltate sui
barbari slavi e in particolare sulle
formazioni partigiane titine, secondo una precisa strategia che
possibile ancora oggi vedere allopera nel dibattito sulle foibe. In questo modo, le autorit italiane riusciranno efficacemente a prendere
tempo fino ad insabbiare del tutto la
vicenda, sebbene tutto ci comportasse la rinuncia a processare i criminali di guerra tedeschi responsabili delle stragi in Italia.
Dopo i numerosi libri usciti di recente sulla questione delle foibe, il libro curato da Di Sante sui crimini italiani in Jugoslavia unimportante
eccezione che va in controtendenza.
Immenso per il lavoro ancora da
fare nello studio di un secolo, il
Novecento, che troppo in fretta si
cerca di dimenticare senza averlo
nemmeno compreso sino in fondo.
Lapertura di molti importantissimi
archivi in Russia come negli Stati
Uniti e nel nostro stesso paese offre adesso alla storiografia un materiale prezioso, che integrer e modificher inevitabilmente la nostra conoscenza del passato recente dell
Europa. Sullinterpretazione di questo materiale si gioca una partita culturale e politica cruciale, quella della
costruzione di una nuova memoria e
di una nuova egemonia. Non il caso
di lasciare liniziativa allavversario.

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Alle lettrici e ai lettori de l'ernesto

Perch ho aderito all'Appello in difesa di Cuba


di Gianni Min
Assieme ad oltre 200 (divenuti in poco era scappata dalla bocca durante uno dei padel genocidio perpetrato in quel disgraziato
tempo oltre 2.000) fra intellettuali, artisti e nel ristretti del summit di Davos, il forum eco- paese contro le popolazioni maya, un genotestimoni del nostro tempo, ho firmato an- nomico dei paesi ricchi: Le truppe in Iraq cidio mai condannato dallEuropa o
chio lappello teso a respingere il consueto non vanno tanto per il sottile. Sono a cono- dallOnu che produsse 30 mila desaparecidos,
tentativo degli USA di far censurare Cuba scenza dei casi di 12 giornalisti uccisi delibe- 627 massacri accertati e oltre 2.000 cimiteri
dalla Commissione Diritti umani dell ratamente dai soldati americani proprio in clandestini.
ONU. La mia adesione nasce da unanalisi quanto reporter. Jordan, per coerenza, non Eppure lEuropa, che da tredici anni ogni
razionale e, insieme, da unesigenza etica. Mi aveva ritrattato, e aveva preferito andarsene. autunno con altri 150 paesi vota ipocritachiedo: pu il governo di Washington, che Ma qualcuno negli Stati Uniti, per etica, ha mente il suo rifiuto dellimmorale e quarancon il suo esercito di occupazione in Iraq ha ricostruito lidentit di ognuno di questi cro- tennale embargo economico a Cuba (apviolato ogni codice di comportamento e di nisti uccisi dal fuoco amico. Purtroppo provato solo da Stati Uniti, Israele, Microrispetto umano giungendo agli orrori di per, per molti, quando una violenza viene nesia e Isole Marshall), si dimentica sempre,
Falluja e di Abu Ghraib, ergersi a giudice dei commessa dagli Usa sembra perdere la sua cinque mesi dopo, delle ragioni che le hanno
diritti umani? Pu chiedere di far condan- gravit.
fatto condannare lassedio allisola. E vota la
nare un paese come Cuba, discutibile come Per anni, per esempio, abbiamo assistito al censura al governo dellAvana per non disogni altro, ma dove mai si sono verificate le miserando mercato dei diritti umani, come piacere gli Stati Uniti.
sparizioni, le torture, le esecuzioni extragiu- lo ha definito Rigoberta Mench, Nobel per Due anni fa, in quindici giorni, si verificarono
diziali perpetrate dai comandanti e dai sol- la Pace, nel quale il governo di Washington nellisola i dirottamenti di tre aerei passeggeri
dati USA in Iraq? Ha il necessario livello mo- magari teneva, come due anni fa, sotto ri- e del ferry boat della baia dellAvana, certarale un governo come quello americano, re- catto limbelle ex presidente dellUruguay, mente non opera di dissidenti o presunti tali,
sponsabile degli orrori di Guantanamo il Battle, che non avrebbe ricevuto un aiuto ma il risultato di una strategia di destabilizzaluogo dove ogni legge e ogni piet si sono economico di cui il suo paese aveva disperato zione messa in opera (come ha confermato
spente e in cui regna la disumanit per chie- bisogno, se non avesse presentato la risolu- pubblicamente lo stesso George W. Bush) dal
dere la censura per un paese come Cuba, se- zione contro la Revolucin come voleva Bush Dipartimento di Stato Usa con uno stanziagnato da una lunga lotta in difesa del pro- jr. Per sostenerlo gli offrirono come partner mento di 53 milioni di dollari lanno per faprio popolo e dei suoi diritti, e dalle con- in questa operazione spericolata il Gua- vorire a Cuba un cambio politico rapido e
quiste sociali nel campo delleducazione, temala. Una scelta azzardata, perch in quel drastico. LEuropa in quelloccasione stigdella sanit, della cultura, da considerarsi an- momento il paese centroamericano aveva matizz legittimamente la reazione brutale
chesse a tutti gli effetti diritti umani, diritti come presidente del parlamento il generale del governo dellAvana, che aveva rotto quelsempre ignorati in tutta lAmerica Latina e Efrain Rios Montt, responsabile negli anni lassedio fra laltro condannando a morte tre
spesso anche negli USA?
80 e fino agli inizi degli anni 90, con i suoi degli 11 sequestratori (con coltelli alla gola
Per questo sono perplesso riguardo allaper- due colleghi Lucas Garca e Mejias Victores, dei turisti) del ferry boat, ma si dimentic di
tura di credito
censurare anche
sui diritti umani
lattitudine e loaccordata recenperato degli Stati
In difesa di Cuba e della sua rivoluzione il giorno 20 marzo apparso sul giornale spagnolo El Pais un
temente al goverUniti, che facevaAppello di 200 intellettuali, dirigenti del movimento operaio, attivisti politici, artisti ed esponenti tra i
no Bush da Piero
no strame di ogni
pi noti e prestigiosi del mondo ( tra i quali quattro premi Nobel). L'Appello dei 200, gi sottoscritto da
Fassino, proprio
diritto di autodealtre migliaia di esponenti internazionali del mondo politico e intellettuale, uscito alla vigilia del verpoche settimane
detto della Commissione Onu sui diritti umani e nel tentativo di sventare la possibile censura contro Cuba
terminazione di
cui punta l'Amministrazione Bush. Di questo Appello ci sembra doveroso riproporre l'intero testo e aldopo il rilascio di
un popolo. quecune delle firme.
Giuliana Sgrena
sta doppia morale
e l assassinio di
che risulta inacNicola Calipari,
cettabile, a me e aIMPEDIAMO UNA NUOVA MANOVRA CONTRO CUBA
morto per una
gli altri firmatari
deprecabile
dellappello. Un
Dal 14 marzo fino al 22 aprile 2005 si svolger a Ginevra il 61 periodo di sessioni della Commissione dei
sventagliata di
governo che ha
Diritti dell'Uomo dell'ONU, dove ancora una volta il governo degli Stati Uniti, esercitando pressioni sui
fuoco amico! Aviolato diritti upaesi membri, cercher di fare approvare una risoluzione contro Cuba.
Si tratta di manipolare selettivamente il tema per giustificare l'intensificazione della politica di blocco e agvrei sperato, inmani di ogni gegressioni che, in violazione del Diritto Internazionale, porta avanti la maggiore superpotenza del pianeta
fatti, in una magnere in Iraq e nelcontro un piccolo paese. La Commissione deve rappresentare tutti i popoli delle Nazione Unite e vegliare
giore accortezza
la base di Guansul rispetto dei diritti di tutti gli uomini e di tutte le donne al mondo. Tuttavia, risulta significativo che nel
da parte del setanamo, e che
seno della Commissione, durante il periodo di sessioni dell'anno scorso, non sia stato possibile valutare,
gretario Ds, visto
neanche dibattere, le atroci violazioni dei diritti umani che avvengono nelle prigioni statunitensi di Abub
non sa dare una
Ghraib e Guantnamo.
che, appena alla
spiegazione riIl governo degli Stati Uniti non ha l'autorit morale per erigersi a giudice dei diritti umani a Cuba, dove non
fine di gennaio,
guardo ai 3.000
c' mai stato nemmeno un caso di desaparecido, di tortura o esecuzione estragiudiziale e dove, nonostante
Eason Jordan,
cittadini nordail blocco, sono stati raggiunti indici di salute, istruzione e cultura internazionalmente riconosciuti.
per 23 anni exemericani desapaChiediamo ai governi dei paesi rappresentati nella Commissione di non permettere che la medesima sia utilizzata per legittimare la aggressivit anticubana dell'amministrazione Bush, in momenti in cui l'attuale pocutive della Cnn
recidos negli ultimi
litica bellicista di Washington fa pre v e d e re un'eventuale escalation di conseguenze in estremo gravi.
(il pi prestigio3 anni per le leggi
Convochiamo, inoltre, giornalisti, scrittori e scrittrici, artisti, professori e professoresse, maestri e maestre
so network dinantiterrorismo voe attivisti sociali a rivolgersi ai suddetti governi e a manifestarsi attraverso tutte le vie possibili per impedire
formazione del
lute da Bush jr.
questa pericolosa manovra.
mondo), aveva
dopo l11 settemTra i primi firmatari:
dovuto lasciare
bre 2001, non ha
Adolfo Prez Esquivel; Jos Saramago; Nadine Gordimer; Rigoberta Mench; Ettore Scola; Claudio Abbado;
lazienda che
alcuna autorit
Dario Fo, Luciana Castellina; Gianni Min; Harry Belafonte; Mario Benedetti; Ernesto Cardenal; Pablo
aveva fatto granmorale per chieIgnacio Ramonet; Danielle Miterrand; Eduardo Galeano; Ramsey Clark; Leonardo Boff ; James Petras;
de per una rivedere la condanna
Frei Betto; Alfonso Sastre; Luis Seplveda; Almudena Grandes; Manu Chao; Georges Labica; Red Ronnie;
Piero Gleijes; Francesco Maselli; Alessandra Riccio; Marta Harnecker; Domenico Losurdo; Oscar Niemayer
lazione che gli
di altri paesi.

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