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1.

NOZIONE DI DIRITTO CANONICO


L'espressione diritto canonico riconduce alla manifestazione del diritto
nella vita della Chiesa cattolica, un diritto che riguarda una grande comunit
umana sparsa in tutto il mondo. Il diritto canonico, secondo consolidata
dottrina costituito dallinsieme delle norme giuridiche, poste o fatte valere
dagli organi competenti della Chiesa cattolica, secondo le quali organizzata
e opera essa Chiesa e dalle quali regolata l'attivit dei fedeli, in relazione ai
fini che sono propri della Chiesa stessa. Tale definizione non tuttavia
universalmente condivisa. La Dottrina Spagnola, ad esempio, sottolinea
come lordinamento canonico non sia un mero insieme di norme, ma anche
un insieme di relazioni giuridiche, mentre la dottrina svizzera e tedesca
propongono una definizione teologica del diritto canonico definendolo alla
luce delle categorie mistiche essenziali quale diritto del popolo di Dio. Si
parlato, infine, del diritto Canonico come di quellordinamento giuridico al
quale sono sottoposti tutti i fedeli in quanto battezzati. Qualunque sia la
definizione pi appropriata, certo che il diritto canonico costituisca lorigine
di un ordinamento giuridico organico e completo, caratterizzato da una
normativa originaria ed autonoma dal diritto dei singoli Stati, sviluppatosi
grazie ad un evoluzione che dura da pi di venti secoli.
Dal punto di vista strettamente etimologico il termine canonico deriva dal
greco knon inizialmente impiegato per indicare le leggi ecclesiastiche
destinate a disciplinare la vita del popolo di Dio,cos da poterle distinguere
dalle leggi dellautorit imperiale romana, nmoi. Fu nel concilio di Nicea, nel
325 d.C., che si parl per la prima volta delle norme giuridiche ecclesiastiche
come canones disciplinares per distinguerle dai canones fidei (principi
dogmatici) e dai canones morum (principi morali). Tuttavia solo dal
secolo Vili che lespressione diritto canonico inizi a indicare con precisione
il diritto della Chiesa da quando, in seno ai Concili, i Vescovi iniziarono a
conferire una certa unit al diritto delle varie comunit cristiane sparse per il
mondo fissando regole comuni o, appunto, canoni,da cui l'espressione diritto
canonico.
Nel divenire millenario della storia della Chiesa, il diritto ad essa afferente ha
assunto diverse denominazioni. Al fine di compiere una distinzione con lo ius
civile considerato ius profanus, si , ad esempio, parlato di ius sacrum. Tale
definizione non pare identificare in maniera univoca il diritto della Chiesa,
non essendo esso l'unico a poter essere definito "sacro". Si pensi, infatti, in
tal senso, al diritto ebraico - Halakhah - o al diritto islamico Shari'a -,
genericamente riconducibili alla medesima denominazione. Durante l'et
medievale, il diritto canonico ha assunto la denominazione di ius
decretalium, in riferimento alle decretali emanate dal Legislatore
ecclesiastico. E' evidente, come anche tale denominazione finisca con
lescludere parte fondamentale del diritto canonico, quale il diritto di origine
divina, le norme di diritto positivo umano che sfuggono alla forma delle
decretali ed anche la consuetudine. Altra denominazione valsa nel corso dei
secoli ad indicare la produzione giuridica della Chiesa stata quella di ius
pontificium. Anche tale appellativo, tuttavia, stato considerato
insufficiente, non essendo il Sommo Pontefice nell'ordinamento Canonico,
legislatore unico . Considerazioni non dissimili potrebbero valere per

l'espressione ius ecclesiasticum propriamente riferibile solo a quella parte di


diritto canonico di origine non divina. Per tale ragione gi prima facie appare
pi che evidente l'insufficienza delle denominazioni in
questione che risultano, ora per un verso ora per un altro, carenti di
esaustivit e chiarezza semantica. La definizione che meglio riesce a
identificare l'essenza ontologica del diritto canonico si deve al Concilio
Vaticano II (1962 - 1965). Fu proprio in quella occasione che per indicare il
diritto della Chiesa si afferm lespressione diritto ecclesiale o ius
ecclesiae al posto di diritto canonico perch meglio rispondente alle
ragioni fondative dello stesso.
Tuttavia l'espressione linguistica che pi comunemente individua lo ius
ecclesiae ancora oggi quella di diritto canonico, ed per tale ragione che in
questo studio se ne far diffusamente uso.
Con tale denominazione ci si riferir a quelle norme che: creano e regolano
allinterno della Chiesa i rapporti giuridici canonici definendo e disciplinando,
secondo i fini che ad essa sono propri i rapporti tra i fedeli allinterno della
struttura sociale del popolo di Dio; definiscono ed organizzano gli organi che
compongono la struttura gerarchica della Chiesa, regolandone fattivit;
valutano e regolano il comportamento dei christi fideles, sanzionandolo se
del caso con delle sanzioni che costituiscono il cd. diritto penale canonico
Ci premesso, deve, peraltro, chiarirsi che di diritto canonico pu parlarsi in
modo diverso che dall'insieme di regole che disciplinano la vita della Chiesa
e regolano la vita dei fedeli. E', infatti possibile riferirsi ad esso quale scienza
che indaga il complesso di norme che reggono la comunit ecclesiale, le
forme ed il funzionamento dellorganizzazione ecclesiastica, quale branca
autonoma delle scienze giuridiche
Il diritto canonico va, per altra via, distinto dal diritto ecclesiastico che
quella parte del diritto pubblico che studia la disciplina del fenomeno
religioso allinterno di un ordinamento statale.
2. IL DIRITTO E LA CHIESA.
Allesistenza in seno alla Chiesa di un vero e proprio sistema giuridico
composto da norme giuridiche vincolanti, sia costitutive che disciplinari,
corrisposto da sempre nella sua bimillenaria storia un atteggiamento di
perplessit se non rigetto e persino di netto rifiuto. Secondo uno dei
principali teorici dell'antigiuridismo di segno spiritualistico, Rudolph Sohm, "Il
diritto della Chiesa - sarebbe - in contraddizione con l'essenza della Chiesa
stessa In particolare, durante la fine del XIX secolo le principali obiezioni
hanno trovato fondamento sulla scia di un positivismo giuridico che proprio
in quegli anni tendeva sempre pi a radicarsi. Su tali postulati teorici si
giunti a contestare la giuridicit del diritto della Chiesa, considerando
estranee al mondo del diritto tutte le produzioni normative che non
derivassero dal volere unico del legislatore statale. Per sostenere la teoria in
oggetto si era soliti sottolineare come le regole canoniche fossero prive di
uno dei tratti distintivi degli ordinamenti giuridici moderni e, cio, la natura
coercitiva delle norme. Le norme canoniche erano, inoltre, considerate
carenti anche sotto il profilo dellintersubiettivit. Il diritto della Chiesa era
percepito, infatti, quale insieme di regole disciplinanti esclusivamente le
relazioni interne delle anime con la divinit cristiana e non i rapporti sociali,
oggetto primo ed essenziale di ogni ordinamento. Tali tesi svanirono in gran

parte nella seconda parte del secolo scorso, con l'avvio della crisi delle
concezioni statalistiche del diritto. Tuttavia, nonostante la tesi
dell'incompatibilit ontologica debba respingersi con forza in quanto
derivante da una concezione fuorviante, la
critica nei confronti della dimensione giuridica della Chiesa non pare essere
rimasto fenomeno isolato. Al margine delle radicali posizioni "sohmiane",
Xanimus adversus ius o adversus legem non ha smesso di assumere, anche
in tempi recenti, posizioni dialettiche pi sfumate, riducibili in sintesi a tre
principali tendenze. Una di queste la contrapposizione dialettica tra
carisma e norma canonica. Secondo tale visione la legge rappresenterebbe
una remora alla libera iniziativa e alla spontaneit nellazione dei singoli
fedeli. Ci condurrebbe a porre irrimediabilmente in netta antitesi i concetti
di carisma e norma traducendosi, quale logica conseguenza, nellesistenza di
una "Chiesa profetica" in aperta contraddizione con una "Chiesa giuridica".
La dimensione giuridica della Chiesa stata posta in crisi dalla
contrapposizione dialettica tra lordine gerarchico e la corresponsabilit
ecclesiale. Secondo tale impostazione, da sempre il diritto ha avuto la finalit
primaria di enunciare e tutelare i poteri della gerarchia ecclesiastica,
misconoscendo al tempo stesso sia il carattere di servizio che intrinseco al
munus" dei Sacri Pastori, sia anche i diritti soggettivi dei fedeli e la loro attiva
partecipazione nellunica e comune missione della Chiesa. Sulla stessa scia si
sono posti i fautori di una tendenza che, adoperando in senso equivoco le
nozioni di "collegialit", "corresponsabilit" o "sinodalit", ha propugnato una
democratizzazione della Chiesa quale necessaria conseguenza logica della
ecclesiologia di comunione. La compatibilit logica tra fenomeno giuridico e
Chiesa stata posta in dubbio dalla contrapposizione dialettica che
esisterebbe tra la necessit dello spirito pastorale e la pretesa giuridicit
dell'ordinamento canonico. Secondo tale impostazione la carit propria della
attivit pastorale si fonderebbe su valori, quali la misericordia, la
comprensione, l'equit e la benignit, le cui composizioni ontologiche
sarebbero del tutto incompatibili con la pretesa dimensione giuridica delle
norme canoniche. Ci garantirebbe cittadinanza
solo alle norme prive del carattere dell1 imperativit, di carattere puramente
programmatico ed esortativo, conducendo, paradossalmente, proprio alla
negazione implicita della giuridicit dellordinamento canonico, riducendolo
ad un insieme di precetti etici e morali, senza nessun vincolo di
obbligatoriet e di carattere puramente esortativo.
Le posizioni sopra esaminate, tuttavia, sembrano disconoscere e fuorviare
sulla vera natura della Chiesa intesa quale popolo di Dio sparso su tutta la
Terra, avente dimensione giuridica, istituzionale e sociale, oltre che
personale. Tale affermazione pu meglio comprendersi alla luce di quanto
emerge dalla Costituzione conciliare Lumen Gentium" nella quale al capitolo
I, paragrafo 8, leggiamo: Cristo, unico mediatore, ha costituito sulla terra e
incessantemente sostenta la sua Chiesa santa, comunit di fede, di speranza
e di carit, quale organismo visibile, attraverso il quale diffonde per tutti la
verit e la grazia. Ma la societ costituita di organi gerarchici e il corpo
mistico di Cristo, lassemblea visibile e la comunit spirituale, la Chiesa
terrestre e la Chiesa arricchita di beni celesti, non si devono considerare
come due cose diverse; esse formano piuttosto una sola complessa realt

risultante di un duplice elemento, umano e divino. Da ci consegue che,


come leggiamo nella costituzione Sacre disciplinae leges, la legge canonica
corrisponde in pieno alla natura della Chiesa costituendone, anzi, strumento
indispensabile per assicurare ordine sia nella disciplina della vita individuale
e sociale dei fedeli, sia nella attivit della Chiesa intesa quale struttura
gerarchicamente organizzata. La Chiesa, infatti, se analizzata con obiettivit
e senza pregiudizi, appare quale entit oltre che soprannaturale anche
storica, radicata nel tempo e nello spazio e dotata di una precisa
organizzazione descrivibile in termini prettamente giuridici. Tuttavia,
dobbiamo senza dubbio affermare che lo studio del diritto canonico non pu
in nessun caso prescindere dalla osservazione della natura misterica della
Chiesa. La norma canonica proveniente dal legislatore umano dovr sempre
essere plasmata in ragione dellorigine divina della stessa Chiesa e dei fini di
salvezza che essa persegue. E' per tale ragione che nello ius ecclesiae non
potr esservi discrasia tra Legge e Giustizia, tra ci che lecito e ci che
giusto. Anche in ci si rispecchia la complessa unit tra dimensione divina e
dimensione umana che non pu non riversarsi sulla realt giuridica della
Chiesa.
3. DIRITTO DIVINO E DIRITTO UMANO
La complessit unitaria del fenomeno giuridico ecclesiale, si traduce in
ununica realt giuridica composita caratterizzata da un diritto di produzione
divina ed un diritto di produzione umana. Appartengono allo ius canonicum
divinum le norme che risalgono alla stessa volont divina, manifestatasi nella
rivelazione precristiana ed attraverso gli insegnamenti di Cristo e degli
Apostoli. In seno a tale diritto, pu operarsi unulteriore tra ius divinum
positivum, costituito dalle norme contenute nella Sacra Scrittura e nella
Tradizione, e ius divinum naturale, comprendente le norme inerenti la vita
sociale ed obbliganti i singoli per lassicurazione dellordine e della giustizia.
Il diritto divino, naturale e positivo, viene definito come eterno, fsso ed
immutabile. Tali qualificazioni derivano dal fatto che esso posto da Dio e,
pertanto, tali norme non possono che manifestare in ogni tempo la propria
validit. Se il valore eterno di tali norme non in discussione, v' da
precisare, tuttavia, che la percezione delle stesse pu mutare nel corso dei
diversi contesti storici attraverso un progressivo approfondimento. Tale
affermazione non intende sponsorizzare qualsivoglia relativismo in seno alle
norme di diritto divino. Con essa si supporta il senso della storicit della
rivelazione divina che permette di affermare, accanto alla immutabilit dei
principi di fede, anche lesistenza di una storia del dogma. Il fatto che ad
avere carattere evolutivo non sia la legge divina ma la consapevolezza
ecclesiale di essa, spiega perch lassistenza divina assicurata direttamente
da Cristo alla Chiesa Sar con voi fino alla consumazione dei secoli (Mt 28,
20), non garantisce la piena identificazione dellordinamento ecclesiale con
la lex divina. Una cosa infatti lassolutezza del volere di Dio, altra la sua
conoscenza e la sua attuazione. Ci comporta che la Chiesa ben pu rivedere
le proprie affermazioni sul diritto divino senza mai contraddire se stessa,
considerando linterpretazione del magistero strumento di storicizzazione
del diritto divino.
V' inoltre da ricordare che il diritto Divino comunque sovraordinato al
diritto umano e per tale ragione ogni norma di umana produzione che si

ponesse in evidente contrasto con i precetti del diritto divino sarebbe priva di
qualsivoglia obbligatoriet e, per tale ragione, espulsa dall'ordinamento. Il
diritto divino si pone, dunque, quale principio essenziale del diritto umano e
norma fondamentale, per cui pu anche affermarsi che la potest normativa
ecclesiastica di diritto umano esista solo in forza di quel diritto divino che la
fonda e la legittima.
Proprio al diritto canonico umano appartengono, secondo la tradizionale
distinzione, le norme provenienti dal volere dalle autorit che in seno alla
Chiesa detengono il potere di legiferare. Tali norme costituiscono lo ius
humanae costitutionis, e sono contenute nei documenti che rappresentano
fonti di cognizione della legislazione ecclesiastica positiva quando non si
sono formate in seguito a consuetudini.
Premessa l'esistenza di tale distinzione sistematica, va chiarito che diritto
canonico divino e diritto canonico umano non rappresentano due distinti subordinamenti posti allinterno della realt giuridica ecclesiale. Ancor meno
pare possa sostenersi la tesi propugnante la natura metagiuridica del diritto
divino secondo la quale le norme di origine trascendentale diventerebbero
diritto in senso tecnico solo dopo la positivizzazione da parte del legislatore
umano. Pare, invero, opportuno sostenere con fermezza l'unitariet del
sistema canonico. Il divino e lumano, del resto, formano quellunica realt
complessa che la Chiesa. Tale duplice natura non pu certo esimersi dal
manifestarsi anche nella sua dimensione giuridica, ferma restando la
sovraordinazione gerarchica del divinum ius rispetto al diritto di umana,
determinazione
4. CARATTERI DELL'ORDINAMENTO CANONICO
L'ordinamento canonico presenta alcune peculiarit che derivano dalla sua
parziale natura soprannaturale e dal fine che esso persegue. Tutti gli
ordinamenti giuridici secolari sono caratterizzati dalla vigenza del principio
della territorialit delle norme giuridiche. Ci fa si che le norme di cui si
compongono gli ordinamenti statuali vigano solo nell'ambito territoriale dello
Stato che le produce ed in riferimento alle persone che, per diverse ragioni,
si trovino in esso. L'ordinamento canonico sotto tale profilo manifesta una
prima peculiarit, presentandosi quale insieme di norme aventi valore
universale dal punto di vista territoriale. Il diritto canonico vige, infatti, su
tutti i crhistifideles ovunque essi si trovino e, per ci che concerne lo ius
divinum naturale, appare quale complesso di regole fondamentali valevoli
per l'intera umanit e, dunque, anche per gli infedeles. Ci deriva dalla
missione universale che la Chiesa chiamata da Dio ad adempiere in
universo orbe. Per tali ragioni esso si presenta fondato sul principio di
personalit delle norme e non gi di territorialit e aperto a chiunque
decida di farne parte per mezzo del Sacramento Battesimale.
Altra caratteristica fondamentale dell'ordinamento canonico quella che
costituisce insieme l'unit e la variet dello stesso. Lunit fondamentale
dell'ordinamento Canonico si riflette nel potere del Sommo Pontefice che
presiede alla comunione universale di carit, tutela le variet legittime e
insieme veglia affinch ci che particolare, non solo non nuoccia all'unit,
ma piuttosto la serva, nella unit dei mezzi predisposta al fine
dellordinamento giuridico - la salus animarum -, e nelluguaglianza dei diritti
e dei doveri fondamentali di tutti i fedeli. Lordinamento giuridico canonico,

rivela altres una straordinaria capacit di adattamento alle diverse necessit


delle diverse comunit ecclesiali che ne rivela, accanto allunit, lalto grado
di pluralismo e variet. Ci evidente, ad esempio, nelle differenze esistenti
tra il diritto della Chiesa Latina e delle Chiese Orientali ed anche, allinterno
della stessa Chiesa Latina, nella potest legislativa riconosciuta ai legislatori
particolari (da esse deriva il cd. diritto particolare, valevole solo in taluni
luoghi), nello ius statuendi riconosciuti agli enti ed alle comunit minori (ad
esempio lordine dei gesuiti grazie allo ius statuendi emette vere e proprie
norme che disciplinano il funzionamento dellordine).
Il carattere plurale del diritto canonico svolge un ruolo fondamentale
funzionale anche alla sua unit. Da un lato esso consente una pi concreta
applicazione della legge universale adattandola a tempi e circostanze
differenti, dallaltro, grazie allapertura nei confronti delle fonti di diritto
particolare, costituisce fattore rilevante per levoluzione delfintero
ordinamento. Si consideri, in tal senso, che non poche norme e non pochi
istituti sono nati aventi carattere particolare per poi essere trasformati per
adozione in norme di carattere generale.
Lordinamento giuridico canonico, inoltre, come gi si avuto modo di notare
un ordinamento duale, possedendo in parte natura soprannaturale ed in
parte natura umana, e che persegue la salvezza delle anime del popolo di
Dio sparso in tutta la Terra.
5. DISTINZIONE DELLE NORME CANONICHE
Dal punto di vista sistematico le norme di cui si compone lordinamento
canonico posso essere diversamente classificate. Oltre alla fondamentale
distinzione tra norme di diritto divino e norme di diritto umano di cui si gi
parlato, esistono ulteriori classificazioni possibili in relazione ai criteri di
forma, oggetto, estensione, status dei soggetti cui si riferiscono, data di
produzione.
In relazione alla forma si distinguono le norme scritte che sono quelle
contenute originariamente in documenti scritti e norme non scritte, quali
quelle derivanti dal diritto naturale, dalla tradizione e dalla consuetudine. In
relazione alloggetto le norme canoniche possono, inoltre, essere distinte in
norme fondamentali che riguardano la struttura essenziale della Chiesa,
amministrative che riguardano lesercizio del potere esecutivo, sacramentali
che esplicitano la celebrazione dei sacramenti, patrimoniali che riguardano i
beni della Chiesa e la loro amministrazione, le norme penali che identificano
le condotte antigiuridiche ed indicano in misura proporzionata le relative
punizioni, processuali che disciplinano le attivit processuali in seno
allordinamento canonico. In relazione alla loro estensione esse si distingue,
inoltre, tra norme canoniche universali, valevoli per tutti i soggetti cui esse si
riferiscono a prescindere dal luogo in cui essi si trovino, e norme canoniche
particolari, che hanno valore solo in determinate zone in relazione anche alla
fonte di diritto particolare dalla quale provengono. Altra distinzione riguarda i
soggetti destinatari delle norme canoniche. Se si tratta, infatti, di norme
indirizzate indistintamente a tutti i fedeli a prescindere dallo status giuridico
degli stessi, saremo dinanzi a norme comuni o generali. Diversamente, si
tratter di norme speciali o particolari laddove le stesse si riferiscano a
particolari categorie di fedeli, ai soli laici o ai soli chierici, ad esempio, o
addirittura a singoli soggetti ed allora si tratter di norme individuali. Altra

distinzione possibile pu effettuarsi in relazione al tempo in cui le norme


canoniche sono sorte. Si pu allora distinguere secondo tale criterio tra
norme canoniche di diritto antico, se emanate anteriormente al Concilio di
Trento (1542-1563), norme di diritto nuovo, se emanate nel periodo che va
dalla fine del Concilio di Trento al Concilio Vaticano II (1959-1965) e norme di
diritto nuovissimo se scaturite dal Concilio Vaticano II o comunque sorte
successivamente alla sua conclusione.
CAPITOLO SECONDO LA PERIODIZZAZIONE E LE ORIGINI
Come abbiamo gi premesso, sin dalle origini la Chiesa cristiana si
organizzata e dotata di un complesso di norme atte a disciplinare la vita
interna della sua comunit.
Questo un dato inconfutabile e storicamente accertato.
Ci non toglie che il fenomeno giuridico relativo alla Chiesa cristiana si nel
tempo accresciuto, articolato, organizzato; e ci a partire proprio dal XII
secolo, nellet medievale, quella che viene appunto indicata come let
classica del diritto canonico.
Non dobbiamo dimenticare che proprio nella struttura sociale dellimpero
romano che la Chiesa affonda le sue radici, attingendo, come diceva Dante
(Purgatorio, XXXII, 102) al patrimonio istituzionale di quella Roma onde
Cristo romano.
Per lappunto proprio da questa grande civilt che la Chiesa trae uno degli
elementi pi elevati e significativi per il suo divenire: il diritto.
La periodizzazione che qui si seguir la seguente:
1.
Periodo delle origini
2.
Medioevo
3.
Et Classica
4.
Lo scisma d'Occidente ed il Conciliarismo
5.
Il diritto Tridentino
Nella prima parte di questo periodo, quindi dalle origini della Chiesa fino
all'Editto di Costantino (313) il diritto canonico era basato esclusivamente su
quello divino, quindi sulle Sacre Scritture e sul diritto naturale. Poco diritto
veniva disciplinato e molto veniva ereditato dal diritto ebraico Proprio perch
siamo alla presenza di una legge rivelata da Dio, bisogna parlare di una
legge di "Alleanza". Il decalogo, ossia i Dieci comandamenti rivelati a Mos
sul monte Sinai, sono la base fondamentale. Insieme al decalogo, erano stati
elaborati altri precetti.
Oltre al diritto ebraico, un ruolo importante viene rivestito anche dal Diritto
romano.
Successivamente, oltre agli Atti degli apostoli che mostrano un primo assetto
della comunit cristiana, si inseriscono altri scritti dal II secolo fino al VII
secolo, come Barnaba, Clemente romano, Ignazio, Policarpo, Erma sino ai
Padri della Chiesa (Sant'Ambrogio, Sant'Agostino, San Girolamo eccetera).
con l'evoluzione di questi secoli che tra le fonti del diritto sorge la Tradizione,
ovvero gli insegnamenti degli apostoli e dei loro successori, ma anche un
approfondimento filosofico e non della fede e dei vari principi morali.
In questo periodo col formarsi di Chiese particolari e forme continuamente
diverse di riti e liturgie a secondo dei luoghi, specialmente in Medio Oriente,
sorsero le divisioni territoriali, le figure dei Vescovi che cominciarono ad

intraprendere una prima forma di legislazione religiosa locale, e soprattutto


si cominciarono ad importare vari istituti di diritto romano.
Il periodo delle origini si conclude con 1' Editto di Costantino noto anche
come Editto di Milano. Esso fu emanato dallimperatore romano dOccidente
Costantino nel 313 e consentiva a tutti di praticare la propria religione;
furono, dunque, vietate le persecuzioni e si ordin la restituzione dei beni
precedentemente confiscati ai cristiani.
IL MEDIOEVO

benedettino e dett la Regula monasteriorum.


L'ET' CLASSICA DEL DIRITTO CANONICO
Appena entrati nel millennio, i tempi risultano maturi per una ripresa
culturale e morale della Chiesa: liberare lelezione del successore di Pietro,
dalle pressioni laiche e assicurarla alla sola valutazione dei cardinali
lambizione comune di tutto il clero.
Nel 1073 ascende al soglio pontificio papa Gregorio VII dal 1073 al 1085,
artefice della riforma gregoriana che rappresenter una vera e propria
rivoluzione. Ildebrando combatte la sua guerra, principalmente su due fronti:
da una parte, al fine di poter disporre di personale ecclesiastico fedele e
compatto, impone il celibato dei sacerdoti (contro il nicolaismo della Chiesa
dOriente) e perseguita la compravendita di incarichi sacri; dallaltra parte,
non solo vuole far cessare le intromissioni imperiali ma anche enfatizzare
decisamente il ruolo della Chiesa e del suo capo, tanto da elevarlo e renderlo
principio ordinante dellintera societas christiana.

Sar il Concordato di Worms del 1112 a segnare la conclusione della lotta tra
papato e impero, relativo alle investiture, con la separazione in due momenti
dellinvestitura del vescovo o dellabate: al papa spetter linvestitura
spirituale, simboleggiata dallanello e dal pastorale, e allimperatore il
compito di conferire la potest temporale, consegnando i regalia alleletto
mediante lo scettro.
Ma a segnare il periodo cosiddetto classico del diritto canonico sar il periodo
intorno al 1110 con Graziano. Di questo monaco camaldolese le notizie
biografiche sono incerte, nonostante la sua produzione abbia incontrato
indiscutibile successo. La sua raccolta di testi di disparatissime origini,
intitolata Concordia discordantium canonum fu appellata dai posteri in
Decretum quasi a voler rendere evidente come quelle regole per
antonomasia dovessero relegare nellombra tutti i decreti anteriori a questo.
Esso rappresenta anche una certa singolarit in quanto lopera stata
redatta in

LO SCISMA DOCCIDENTE ED IL CONCILIARISMO

Inghilterra, dando cos lavvio ad una Chiesa di Stato con a capo il re a


partire dal celebre Atto di supremazia.
IL DIRITTO TRIDENTINO
Nel periodo che va dal 1545 al 1563 (tranne qualche breve intervallo) la
Chiesa, radunate le sue truppe nel Concilio di Trento, ribadisce in reazione
alle tesi riformate i capisaldi del cattolicesimo. I temi sono quelli della grazia,
dei sacramenti e della salvezza.
Per quanto riguarda invece la gerarchia ecclesiastica, bisogna tener presente
la definizione della dottrina sul sacramento dellordine, anche se rimane
impregiudicata la quaestio della derivazione dei poteri episcopali.
Altri interventi riguardano il rilancio della strategia pastorale, la statuizione
delfobbligo di residenza nella propria circoscrizione per i vescovi e per i
beneficiati con cura danime, il divieto del cumulo dei benefici, lerezione di
seminari in ogni diocesi, per consentire listruzione del clero e il suo stesso
approvvigionamento, lintroduzione di speciali procedure e di requisiti che

consentissero laccesso ai benefci, segnatamente a quelli curati.


Per quanto riguarda il dogma, in tutti i suoi punti si conferm lintegrazione
della Scrittura con la tradizione, lintegrazione della fede con le opere,
lintegrazione della grazia con la mediazione sacramentale e la conferma che
erano sette i sacramenti istituiti da Cristo.
Per ci che riguardava, invece, la qualificazione dei decreti conciliari, il
Concilio di Trento stabil la distinzione tra doctrina, concernente la fede e
canones provvisti di anatema o scomunica.
Concludere lassise tridentino spett al pontefice Pio IV (1560-1565), al
quale, nellultima seduta era stata accordata la superiorit rispetto allintero
concilio; egli stesso quindi approv il concilio stesso insieme allintero corpo
tridentino. Della documentazione conciliare non si provvide a una
sistemazione organica con una trasposizione dai decreti in decretali, ma si
interdisse la pubblicazione di commentari, glosse, annotazioni, scolii e ogni
genere di interpretazione, ponendo inoltre sui decreti disciplinari, chiamati
de reformatione, la riserva dellinterpretazione da parte del papa, e per suo
conto, della Commissione cardinalizia istituita il 2 agosto del 1564 e detta
Congregazione del Concilio cui fu affidato il compito dellapplicazione e
dellinterpretazione dellintera opera del concilio in seno alla Chiesa.
Alla Compagnia di Ges, lordine religioso, fondato dallo spagnolo Ignazio di
Loyola, spett una funzione non secondaria, e che diede alla Chiesa e al
papa una potente milizia i cui membri dovevano professare il voto di
obbedienza perinde ac cadaver, esercitare lo studio, la direzione delle
coscienze e linsegnamento (e in special modo quello delle classi dirigenti) e
ancora la predicazione e le missioni.
La Controriforma procedette in maniera a volte intermittente e incostante a
causa dellazione paralizzante e inibitoria che esercitavano le forze locali e
gli Stati; ma a segnare una scissione tra gli organi di produzione normativa e
la scienza giuridica, dove la creativit si oscur in una mera accettazione
dellorganismo curiale e in una non attiva e arida esegesi letterale, fu per
proprio il monopolio interpretativo della Congregazione del Concilio. La
centralizzazione pontificia della legislazione, oltre a marginalizzare altre fonti
del diritto, come la consuetudine, un tempo molto fertile, frena sino al
soffocamento liniziativa legislativa dei Vescovi, dei Concili e dei Sinodi locali.
La sorveglianza della Santa Sede, mediante censure e ispezioni, diviene pi
stringente con linvio di personale apostolico nelle varie diocesi, che ha il
solo intento di ripristinare la disciplina ecclesiastica, la vigilanza delle
nunziature apostoliche, lobbligo per i Vescovi della visita ad limina (cio alle
tombe degli apostoli Pietro e Paolo in Roma) ogni tre anni, con lobbligo di
esibire nelloccasione una relazione minuziosa sullo stato della diocesi da cui
si proviene.
Una letteratura segnatamente apologetica e controversistica sar prevalente
in quel periodo. Per quel che riguarda la scienza giuridica ricordiamo in
Spagna limportante Universit di Salamanca, dove si svilupp il diritto per lo
pi ad opera di appartenenti agli ordini religiosi dei domenicani e dei gesuiti.
Per quanto riguarda la seconda scolastica spagnola importante lopera di

molteplici questioni, modificando e ampliando quanto contenuto nel Corpus,


anche se in realt complicava i gi difficili meccanismi di interpretazione, a
causa delle competenze che risultavano spesso incrociate e sovrapposte,
quando in special modo si occupava delle materie spirituali e temporali o
della relazione con gli Stati.
Venne messo in atto anche il tentativo di riunire lenorme mole di atti dei
principali dicasteri della Curia romana in collezioni sterminate, tra cui vanno
ricordate le raccolte delle sentenze del tribunale della Sacra Rota romana, la
raccolta dei provvedimenti delle Congregazioni del Concilio, dei Vescovi, dei
Regolari e di Propaganda Fide.
Ed da questi ultimi che la Santa Sede estrae i criteri per estendere la sua
legislazione, gi forgiata nel Medioevo per lEuropa, e che dovr servire per i
nuovi territori scoperti alla fine del XV secolo. Lo ius missionarium, nato
come diritto eccezionale, divenne per molti istituti archetipo per quello
generale e comune.

IL CONCILIO VATICANO I E LA NECESSITA' DI UNA REFORMATIO IURIS


Dopo la rivoluzione francese e nellintero arco dellOttocento, il conflitto tra
Stato e Chiesa raggiunge la punta pi alta. La Chiesa, oggetto di feroci
attacchi anticlericali da parte della nuova tipologia di Stato che via via
andava plasmandosi, si attest su una linea intransigente di opposizione che
voleva colpire il liberalismo.
A testimonianza di ci risultano nel 1834, renciclica Mirari vos di GregorioXVI
(1831-1846), nel 1864 il Sillabo degli errori del secolo allegato allenciclica
Quanta cura di Pio IX (1846-1879), con il suo catalogo di ottanta idee
erronee, e poi successivamente, nel 1907, lenciclica Pascendi di Pio X (19031914).
Questa situazione, a livello giuridico, viene determinata dalla perdita subita
dal diritto canonico che non ha pi il supporto dei diritti statali, come
avveniva prima nonostante gli urti e le frizioni con cui le monarchie assolute
volevano vietare lintromissione delle leggi canoniche nei propri ordinamenti;

con la costituzione Previdentissima Mater Ecclesia del 1917 che lo dichiara


obbligatorio dal giorno della Pentecoste del 19 maggio 1918.
Con la suddetta Previdentissima Mater Ecclesia, il Codice riceveva il carattere
dellopera autentica, essendo promulgato dallautorit del papa, universale,
perch le sue norme si applicano su tutti i soggetti della Chiesa latina,
esclusiva, in quanto vengono abrogate tutte le leggi antiche e le
consuetudini, sia universali che particolari, in contraddizione con il codice, a
meno che non sia stato dichiarato diversamente; tuttavia conserva per lo
pi il diritto in vigore fino alla sua promulgazione (can.6) e mantiene in vita,
tra le altre, le convenzioni concordatarie, le leggi liturgiche e le norme
concernenti la disciplina delle Chiese cattoliche orientali.
DAL CODEXIURIS CANONICI AL CONCILIO VATICANO II
Il Codex Iuris Canonici della Chiesa di rito latino, in osservanza della
tradizione ecclesiastica, scritto in lingua latina, ed formato da 2414
canoni brevi, agili, chiari e concisi, autoreferenziali, cio senza riferimento a

motivazioni; inoltre suddiviso in cinque libri:


1. norme generali (le leggi, la consuetudine, il computo del tempo, i rescritti,
i privilegi e le dispense);
2. persone
3. cose (i mezzi di cui la Chiesa si serve per la missione di natura temporale,
come i beni patrimoniali, o quelli di natura spirituale, come i sacramenti);
4. processi;
5. delitti e pene.
A completare il Codex vi unappendice di nove costituzioni su argomenti
svariati tra cui lelezione del papa.
La stamperia del Vaticano stampa il Codex con lannotazione delle fonti
tratte dal diritto previgente e un indice alfabetico analitico redatti dal
Gasparri dal 1923 in poi. Lopera sar continuata e completata dal cardinale
G. Serdi, negli anni trenta.
Lossatura del Codex appare ricalcata sul paradigma delle Institutiones iuris
canonici, il volume didattico-divulgativo del canonista Giovanni Paolo
Lancetti, risalente al XVI secolo e assai emulato; esso si rifa a sua volta alla
tripartizione gaiano-giustinianea
Per sonde.
Res.
Actiones
e contiene un complesso di norme gi collaudate, vigente da tempo, ricreato
attraverso tutte le fonti precedenti. Il Codex quindi un libro che si pone
volutamente nel solco della tradizione, affermando in uno dei suoi canoni
introduttivi di aver voluto mantenere la disciplina vigente sino a quel
momento, sia pure con determinate modifiche, e indicando come criterio
interpretativo preferenziale quello della fedelt al diritto antico (can 6).
Il Codex ha attirato comunque non poche censure:
per le lacune esistenti, tra cui quella importantissima riguardante il laicato
(e su svariati fermenti dellepoca come lAzione Cattolica)
per una ecclesiologia oramai fortemente datata, e visibilmente squilibrata
nei rapporti tra Chiesa universale e Chiese particolari, primato pontifcio e
collegialit episcopale, esasperatamente accentrata
per leccessivo giuridismo e lesagerato cedimento al fascino del codificare
nelloblio delle peculiarit incancellabili delluniverso canonistico, e con un
perverso effetto di secolarizzazione dello ius ecclesiae.
Inoltre, sempre in virt del ben codificare e nella prospettiva di ridurre il
pluralismo delle fonti inferiori a quelle apicali, con il motu proprio Cum iuris
canonici fu istituita la Pontifcia Commissione ad Codicis canones authentice
interpretandos, che aveva il compito di autenticare le interpretazioni,
attraverso responsi, i quali venivano pubblicati sugli Acta Apostolicae Sedis
dal 1909.
Tali Acta sostituivano la serie precedente degli Acta Sanctae Sedis il cui inizio
risaliva al 1865.
Di questi responsi, che rappresentavano una sorta di Gazzetta ufficiale della
Santa Sede, si era stabilito che in caso di necessit potevano aggiornare o
quantomeno irrobustire i gi esistenti, traducendosi in canoni.

straordinario i padri conciliari diedero il massimo delle loro qualit intellettive


nella profonda e a volte travagliata rielaborazione su ogni aspetto
dellesperienza ecclesiale, con una serie di riforme tali da rigenerare il volto
della Chiesa ad intra ma anche le sue relazioni ad extra.
Il materiale di questa importante iniziativa condensato in sedici documenti
(quattro costituzioni, nove decreti e tre dichiarazioni), approvati dal Concilio
e promulgati dal papa Paolo VI (1963-1978), il quale dopo la prima sessione
conciliare era subentrato a Giovanni XXXIII (1958-1963).
TITOLO
ARGOMENTO
Lumen gentium
COSTITUZIONI
Dei Verbum
Sacrosanctum concilium
Gaudium et spes

Illustra la struttura della Chiesa quale popolo di Dio, enunciando la dottrina


della sacramentalit e collegialit dellepiscopato, ed osservando
luguaglianza di tutti i fedeli, nella dignit e nellazione
sulla rivelazione divina nella Scrittura
sulla sacra liturgia
sui rapporti tra la Chiesa e il mondo contemporaneo
DECRETI
Inter mirifica
sui mezzi di comunicazione sociale
Unitatis redintegratio
sullecumenismo, cio il ristabilimento dellunit tra i cristiani
Orientalium Ecclesiarum
sulle chiese cattoliche orientali
Apostolicam Actuositatem
sullapostolato dei laici
Christus Dominus
sullufficio dei vescovi e conferenze episcopali
le
Presbyterorum ordinis
sul ministero dei presbiteri, la

Optatavi totius Perfectae caritatis loro distribuzione, sussistenza, assistenza


e previdenza sulla formazione del clero nei seminari sulla vita religiosa
Dignitatis humanae
sulla libert religiosa Nostra aetate sui contatti della Chiesa con le religioni
non cristiane
DICHIARAZIONI
Gravissimum educationis
sui principi imprescindibili delleducazione cristiana, (scuola, universit e
istituti di studi)

LE FONTI DEL DIRITTO CANONICO

Introduzione
Ogni ordinamento giuridico esiste in quanto sussistono delle fonti del diritto
in grado di produrre norme. Le fonti del diritto si definiscono comunemente
come quegli atti o fatti ai quali, in seno ad un ordinamento, ricondotta la
produzione e la cognizione delle norme giuridiche.
All'interno della categoria delle fonti possibile distinguere due subcategorie, quella delle fonti di produzione e quella delle fonti di cognizione.
Per fonti di produzione si intendono da un lato le autorit facultate
dall'ordinamento a creare norme, ed allora si parler di fonti materiali;
dall'altro le forme attraverso cui vengono emanate le norme, ed allora si
tratter di fonti formali.
Le fonti materiali del diritto canonico universale.
il sistema delle fonti materiali di produzione del diritto canonico appare
evidentemente caratterizzato da una peculiarit. Tra le autorit facultate a
produrre diritto, infatti, accanto a quelle di natura umana (che definiremmo
fonti ecclesiastiche), risiede, in posizione di assoluta supremazia, l'autorit di
carattere divino. Dio , infatti, la fonte suprema del diritto canonico e l'unica
dalla quale derivino norme di diritto divino. Per ci che riguarda le norme
universali di diritto umano, sono fonti di leggi puramente ecclesiastiche il
Sommo Pontefice, il Concilio Ecumenico ed il Sinodo dei Vescovi.
Il Sommo Pontefice la fonte materiale pi importante delle norme
canoniche di natura umana essendo lunico soggetto di diritto canonico che
ha pieno potere legislativo essendone investito in via ordinaria suprema,
piena, immediata e universale ed esercitando tale potest direttamente (can.
331) o indirettamente attraverso la Curia Romana (can. 360). Il Concilio
Ecumenico costituito, invece, dalla riunione del Collegio dei Vescovi di tutto
il mondo, convocata dal Sommo Pontefice e da lui presieduta direttamente o
a mezzo di un suo delegato. Il Concilio ha potest legislativa su tutta la
Chiesa a condizione che i suoi decreti siano successivamente confermati dal
Sommo Pontefice e dallo stesso promulgati (can. 341).
Altro organo gerarchico in grado di produrre eccezionalmente norme di diritto
canonico aventi valore universale il Sinodo dei Vescovi. Esso costituito da
un'assemblea di Vescovi, designati dalle rispettive conferenze episcopali in
rappresentanza dellepiscopato universale, convocata dal Sommo Pontefice
per trattare argomenti che riguardano direttamente il bene della Chiesa
universale. Il sinodo dei Vescovi direttamente sottoposto all'autorit del
Romano Pontefice, al quale spetta, tra le altre cose, di convocarlo ogni
qualvolta lo ritenga opportuno, designarne il luogo in cui tenere le
assemblee, definire l'ordine dei lavori.Detto Sinodo, ai sensi del can. 343,
pu avere potest legislativa qualora essa gli venga conferita, in casi
determinati, dal sommo Pontefice. Si noti, tuttavia, come anche in tal caso gli
atti normativi del Sinodo (decreti) debbano essere comunque ratificati dallo
stesso Pontefice .
Le Fonti materiali del diritto canonico particolare.
Oltre ai soggetti di cui prima si parlato, anche altre autorit possono
emanare leggi. Dette leggi, tuttavia, sono dirette soltanto a regolare
situazioni determinate e rispetto a un numero limitato di soggetti; esono i
Concili particolari plenari e provinciali (can. 445), le Conferenze episcopali

(can. 455), i Vescovi diocesani e coloro che presiedono le Chiese particolari


(can. 368)
Va, infine, ricordato che alcuni enti collegiali hanno il potere di emanare
norme sia per la loro costituzione che per lo svolgimento della loro attivit
(c.d. Ius statuendi). Anche tali norme sono formalmente ascrivibili in seno
alle fonti materiali del diritto cnonico particolare. Si pensi, in tal senso, al
Collegio dei Cardinali, ai capitoli degli ordini religiosi (can, 631), alle
associazioni di fedeli (can. 309)
Le fonti formali del diritto canonico universale
Per fonti formali si intendono le forme attraverso le quali vengono emanate
le norme di un determinato ordinamento. Per ci che riguarda il diritto
canonico universale sono fonti formali di produzione la legge, i decreti
generali
e la consuetudine. Occorre precisare che la legge canonica
puramente ecclesiastica (id est di diritto umano) obbliga ai sensi del can. 11
esclusivamente i battezzati nella Chiesa cattolica che godano di sufficiente
uso di ragione e che abbiano compiuto il settimo anno di et .
La legge canonica e le sue classificazioni
La norma canonica pu essere definita, parafrasando S. Tommaso, quale
"Iussum legitimi principis propter bonum subditorum, comune, perpetuum,
sufficienter promulgatum".
In questo concetto si riassumono le pi rileventi caratteristiche della legge
canonica, che sono:
- La razionalit, in quanto la norma deve essere congruente al diritto divino,
non stabilendo alcunch di avverso al dato rivelato sulla Chiesa, alla sua
missione o alla natura delluomo. ln questo senso la norma devessere
possibile, - ad impossibilia nemo tenetur necessaria o perlomeno
conveniente per il bene comune.
- L'emanazione da parte dell'autorit competente, in quanto devono essere
emanate da chi abbia la potest di vincolare i destinatari. Ogni tipo di norma
richiede potest e competenza specifiche; il
Sommo Pontefice ed il Concilio Ecumenico, ad esempio, possono emanare
leggi per tutta la Chiesa e vertenti su qualunque materia, mentre il Vescovo
diocesano pu legiferare solo per la sua diocesi e un Sinodo Vescovile
soltanto su determinate materie.
.- Il perseguimento del bene comune, identificabile per il Popolo di Dio nella
redenzione e nella salvezza delle anime. Fine dell'ordinamento canonico
quello di stabilire le condizioni di vita ecclesiale giusta e pacifica in cui tutti i
soggetti, individualmente o in aggregazioni sociali, possano meglio
sviluppare le proprie capacit in ordine al fine supremo della Chiesa, la salus
animarum. Per tale ragione, ogni norma deve mirare a questo scopo o
perlomeno non nuocerlo. Dato che Iustitia est constans et perpetua voluntas
ius suum cuique tribuendi, il diritto, e a fortiori la norma canonica razionale
che in quanto di discendenza divina non pu non essere plasmata su ci che
giusto, per cogliere il bene comune non detto debba regolare allo stesso
modo tutte le situazioni di fatto. Essa dovr attenersi piuttosto ad un
concetto sostanziale di giustizia che impone di trattare allo stesso modo
situazioni identiche ed in maniera diversa situazioni che tra loro differiscono.
Inoltre il diritto canonico, proprio perch diritto teleologicamente orientato
alla Salvezza, si mantiene sempre sensibile e aperto alla variet di situazione

carismi, attraverso particolari formule e meccanismi giuridici. Ci conferisce


allo stesso maggiore flessibilit rispetto a qualunque altro dirittto secolare.
- la sufficiente promulgazione, in quanto, cos come la Parola di Dio deve
essere annunciata ai popoli, anche il diritto canonico deve essere
necessariamente diffuso per supportare e garantire con adgeuata certezza le
relazioni all'interno del Popolo di Dio, sia tra i fedeli sia tra le istituzioni.
Sono queste le principali caratteristiche della legge canonica che ll tipo pi
comune di norma giuridica
definibile in senso tecnico quale
norma
generale, scritta e promulgata da chi ha potere legislativo.
La promulgazione della legge
La promulgazione listituto giuridico con cui la legge viene portata a
conoscenza dei destinatari, ovvero dei soggetti che sono obbligati ad
osservarla. Il can. 7 del codice di diritto canonico, a tal proposit, recita che
la legge istituita quando promulgata. Potremmo, dunque dire che
l'efficacia della legge puramente ecclesiastica sospensivamente
condizi0onata alla promulgazione della stessa.Le forme in cui le leggi sono
promulgate possono essere diverse; di solito, secondo il c. 8, le leggi
universali vengono promulgate nella gazzetta ufficiale degli Acta Apostolicae
Sedis e le leggi particolari nel Bollettino ufficiale corrispondente. L'inserzione
negli Atti della Sede Apostolica e nei bollettini ufficiali corrispondenti ha
valore sia come promulgazione che come pubblicazione. Tuttavia, lo stesso
can. 8 fa salva la possibilit per lo stesso legislatore in casi particolari di
stabilire un modo diverso di promulgare le leggi. Ci che conta che le
stesse siano adeguatamente portate a conoscenza dei loro destinatari in
modo che essi possano conoscerle e rispettarle. Ai sensi del can. 8, . 2, per
le leggi canoniche, dal momento della loro pubblicazione ufficiale, esiste una
vacatio di tre mesi per le leggi universali e di uno per quelle particolari.

La legge nel tempo e nello spazio


Res respiciunt futura , non praeterita. Le leggi riguardano le cose future, non
le passate, come si dice nel c. 9. Esse, dunque, normalmente, non hanno
valore retroattivo e non coinvolgono gli effetti ormai prodotti (diritti acquisiti)
che la legge posteriore non pu far decadere. Tuttavia, pur restando questa
la regola generale, la legge, se cosi stabilito (dal legislatore); pu avere
effetto retroattivo. Si pensi, ad esempio, alla legge penale che pu retroagire
qualora sia pi favorevole al reo (can 1313), o alle leggi interpretative che ,
se si limitano a una chiarificazione interpretativa della legge senza
restringere o estendere l'ambito di applicazione della legge interpretata,
hanno efficacia retroattiva.(can. 16, 2).
Per certi versi connessa al procedere del tempo, nell'arco del quale possono
ben susseguirsi successive produzioni normative, il fenomeno della
abrogazione che determina la cessazione degli effetti della norma canonica
abrogata. A tale fenomeno si ricollega il brocardo latino lex posterior
derogat priori che permette di risolvere le antinomie presenti in un
ordinamento giuridico attraverso un criterio di natura cronologica che
sancisce la rilevanza della norma posteriore su quella anteriore preesistente.

Tale fenomeno preso in esame dal Codex ai cann 20 e 21. L abrogazione


pu essere espressa, quando la nuova legge espressamente dica che la
precedente norma abrogata in tutto o in parte (derogatio), o tacita, se la
nuova legge direttamente contraria con la precedente ovvero disciplini ex
novo ed integralmente tutta quanta la materia oggetto della legge anteriore.
Per ci che riguarda il processo di abrogazione della norma canonica, il
codice precisa i rapporti tra legge universale e particolare statuendo che la
legge universale, a meno che non lo preveda espressamente, non deroga
alle leggi particolari o speciali.
In caso di dubbi circa la vigenza di una norma canonica il can 21 stabilisce
che la legge preesistente non si presume abrogata ma si deve cercare di
armonizzare, per quanto possibile, la vecchia e la nuova legge (can. 21).
Per ci che riguarda l'efficacia della legge nello spazio, il codice di diritto
canonico precisa che Le leggi universali (v. 3) valgono per tutti i fedeli
ovunque si trovino (can. 12, 1), mentre le leggi particolari (v.
3),presumendosi territoriali, seguono il principio di territorialit e vincolano i
fedeli che hanno la residenza o il domicilio in un determinato territorio (cann.
12 e 13).e contemporaneamente, di fatto, vi si trovino
I forestieri, ossia coloro che si trovano solo di passaggio in un determinato
luogo, non sono obbligati n alle leggi particolari del loro territorio fino a
quando ne sono assenti (a meno che o la loro trasgressione rechi danno nel
proprio territorio, o le leggi siano personali) n alle leggi del territorio in cui si
trovano, eccetto quelle che provvedono all'ordine pubblico, o determinano le
formalit degli atti, o riguardano gli immobili situati nel territorio.
Pe ci che attiene ai girovaghi, cio i soggetti senza fissa dimora, essi sono
obbligati alle leggi, sia universali che particolari, in vigore nel luogo in cui si
trovano.
Interpretazione della legge
Linterpretazione della legge canonica unoperazione logica che consiste
nel ricavare dal contesto della legge la volont del legislatore. Ai sensi del
can. 16, quando lautorit che compie l'opera interpretativa il legislatore
medesimo o colui al quale egli abbia concesso la potest d'interpretarle
autenticamente, pu parlarsi di interpretazione autentica. L'interpretazione
autentica, inoltre, poich presentata sotto forma di legge ha anch'essa la
medesima forza e deve essere pertanto promulgata. Se linterpretazione
autentica ha valore meramente dichiarativo, limitandosi a fornire una
spiegazione della legge precedente, essa pu retroagire fino alla data di
promulgazione della norma autenticamente interpretata. Se, viceversa, la
legge interpretativa comporta qualche mutamento, allora essa non potr
avere valore retroattivo (vedi 3.3).
Accanto all'interpretazione generale ed autentica fornita dal legislatore,
esiste anche un'interpretazione svolta dalla dottrina (dottrinaria, dunque)
priva di carattere vincolante che pu comunque determinare nel tempo il
radicarsi di una consuetudine.
Inoltre, posto che l'interpretazione della legge sia quel processo logicogiuridico che conduce a cogliere il senso di una norma al fine di farne
applicazione, ne deriva che attivit interpretative di natura particolare
risiederanno anche negli atti provenienti dall'autorit amministrativa che
prendono il nome di rescritti ( vedi infra 4.1.b ) e in quegli atti dell'autorit

giudiziaria che assumono il nome di sentenze. Ai sensi del can. 16 3, in


questi casi l'interpretazione resa ha si valore vincolante, ma limitatamente al
caso per cui stata elaborata.
Sinora abbiamo potuto notare come in relazione all'autorit dalla quale
proviene
l'interpretazione
normativa

possibile
distinguere
tra
interpretazione autentica (legislatore), dottrinaria (dottrina) e particolare
(autorit amministrativa o giudiziaria).
L'attivit interpretativa pu classificarsi anche in relazione ai risultati
connessi al processo di interpretazione. In tal senso si pu distinguera tra
una interpretazione restrittiva che vale nei casi in cui il legislatore plus dixit
quam voluit e che ex can. 18 obbligatoria per le leggi penali, per quelle che
restringono il libero esercizio dei diritti o che contengono una eccezione alla
legge ; ed una interpretazione estensiva valevole nei casi in cui il legislatore
minus dixit quam volui e che conduce ad estendere l'ambito di applicazione
della norma.
L'interpretazione delle norme pu diversamente palesarsi anche in relazione
alla metodologia interpretativa concretamente impiegata (can. l7).
Rispetto ai metodi interpretativi possiamo distinguere tra interpretazione
letterale, volta a valutare il significato proprio delle singole parole del testo
normativo; interpretazione logica con la quale l'interprete in caso di dubbio
sul significato letterale, tenta di ricostruire, attraverso una ricerca logica la
ratio legis in riferimento anche alle particolari vicende genetiche che
caratterizzarono il processo di elaborazione normativa (periodo storico, lavori
preparatori); interpretazione sistematica, quando linterprete studia la norma
collegandola a tutto il contesto giuridico cui essa appartiene.
La consuetudine
Le consuetudini e le usanze fanno parte della vita degli uomini e delle
comunit, stabiliscono modelli di condotta comunemente accettati come
giusti e pertanto da rispettare.
In ogni ordinamento giuridico le regole stabilite dalla prassi abituale comune
hanno una certa forza vincolante, nata dalla generale convinzione che quello
che si sempre fatto abbia intrinsecamente un quid di bont. La
consuetudine quindi generalmente considerabile fonte giuridica di
estrazione popolare che manifesta il divenire delle regole di diritto e la
necessaria presenza dello stesso in ogni comunit umana. Essa assume
scientificamente il nome di fonte fatto in quanto ex facto oritur.
Nel sistema giuridico italiano sono due gli elementi che fanno della
consuetudine regola di diritto: l'opinio iuris et necessitatis e la diurnitas.
Deve cio trattarsi di un comportamento continuo e prolungato nel tempo
uniformemente adottato nella convinzione di stare aderendo ad un principio
di diritto. Nella societ ecclesiale la consuetudine espressione normativa
della partecipazione dei fedeli alledificazione della Chiesa; e pu acquistare
forza legale alle condizioni dei cann. 23-28 che ne segnano una disciplina
dotata di talune peculiari specificit.
A norma del can. 23 la consuetudine ha forza di legge solo ed unicamente se
riceve lapprovazione dellautorit competente. Perch ci avvenga
necessario che la consuetudine sorga in una societ perfetta, cio in una

comunit capace almeno di ricevere una legge (can. 25),quale ad esempio,


Provincia ecclesiastica, Diocesi, Capitolo, Ordine religioso); consti di una
ripetuta e costante osservazione di un dato comportamento accompagnato
dal convincimento di compiere atti giuridicamente obbligatori (opinio iuris ac
necessitatis)
La consuetudine, inoltre, per avere valore di legge non deve risultare
contraria al diritto divino (can. 24, 1) dovendo, invece, essere razionale,
dotata, cio, di un oggetto idoneo e non espressamente riprovata nel diritto.
Il canone 26 rappresenta un'altra peculiarit della disciplina canonica della
consuetudine. Esso stabilisce che a meno che non sia stata approvata in
modo speciale dal legislatore competente, una consuetudine contraria al
diritto canonico vigente o che al di fuori della legge canonica, ottiene forza
di legge soltanto, se sar stata osservata legittimamente per trenta anni
continui e completi;lo stesso canone pi avanti precisa che contro una legge
canonica che contenga la clausola che proibisce le consuetudini future, pu
prevalere la sola consuetudine centenaria o immemorabile.
Da tale canone emergono due dati interessanti. Il primo che l'ordinamento
canonico ammette, a differenza ad esempio dell'ordinamento giuridico
italiano, una consuetudine contra legem oltre che secundum e praeter
legem. Il secondo che per l'affermazione del valore vincolante delle
consuetudini contra e praeter legem, quantifica con precisione la diuturnitas
fissandola a trent'anni.
La consuetudine pu essere: universale, se e in vigore in tutta la Chiesa o
particolare, se in vigore solo in determinati territori. Essa pu essere
revocata con legge o a mezzo di una consuetudine contraria; se, per, non se
ne fa espressa menzione, la legge non revoca le consuetudini centenarie 0
immemorabili, n la legge universale revoca le consuetudini particolari (can.
28).
La valutazione della normativa sulla consuetudine appena descritta divide la
dottrina. Alcuni, enfatizzando il riconoscimento di una consuetudine contra
legem e la particolare tutela riservata alle consuetudini centenarie e
millenarie, vi riconoscono una manifestazione incisiva della partecipazione
dei fedeli alla costruzione dell'ordinamento giuridico. Altra parte della
dottrina, invece, considera altamente restrittiva la disciplina della
consuetudine sottolineando il contrasto con l'impostazione conciliare
vertente sulla effettiva partecipazione di tutti i fedeli alla missione della
Chiesa. Il punctum dolens della disciplina viene individuato nella
subordinazione del valore giuridico della consuetudine all'approvazione del
legislatore in grado di limitare fortemente la partecipazione della comunit
allo sviluppo della vita ecclesiale.
Il diritto suppletorio
Anche il legislatore ecclesiastico ha subito in una certa misura, sin dal
codice del 1917, il mito della codificazione. Tuttavia
si fortemente
consapevoli del fatto che la legislazione positiva non possa ricomprendere
l'intera realt fattuale, limitandosi la stessa a disciplinare i fatti pi frequenti.
E' proprio al fine di colmare le possibili lacune ordinamentali che il Codice, al
can. 19, indica alcune fonti sussidiarie del diritto,cui deve farsi ricorso, ad

eccezione della materia penale, qualora manchi una norma scritta o


consuetudinaria che contempli il caso di specie. Tra queste fonti troviamo:
- L'analogia. Essa consiste nell'applicazione, sia pure indiretta, di una legge
positiva che viene estesa dallinterprete fino regolare un caso non
contemplato nella fattispecie astratta. Il criterio analogico si giustifica con la
coerenza logica che deve sussistere in seno allordinamento. L'analogia si
differenzia dalla interpretazione estensiva precedentemente trattata in
quanto questultima si risolve in una mera estensione del campo di
applicazione della norma, mentre nellanalogia si presuppone da un lato il
vuoto legislativo e , dall'altro, il ricorso a norme emanate per altri rapporti
aventi simile natura. Il ricorso all'analogia non tuttavia libero essendo
proibito, innanzitutto, per le pene (can. 19) in ossequio al principio generale
per cui le pene canoniche devono essere irrogate a norma di legge (can.
221 3). lestensione analogica vietata anche per le leggi che stabiliscono
nullit di atti o incapacit di persone poich, ai sensi del canone 10, tali
effetti devono essere disposti dalla legge in forma espressa. Altro divieto
emerge dal canone 1040 dove si stabilisce che gli impedimenti alla libera
ricezione degli ordini sono esclusivamente quelli elencati nei canoni
immediatamente successivi.
- I principi generali del diritto. desunti da successive generalizzazioni del
diritto positivo, costituiscono il tessuto connettivo dellintero ordinamento
giuridico
L'equit (detta anche epicheia)supremo criterio dellinterpretazione di
ogni norma canonica cui fare ricorso per temperare la rigidit delle norma
scritta.

Fonti formali del diritto canonico particolare.


Il Codice del 1983, nel libro I, titolo IV, disciplina, per la prima volta in forma
organica, gli atti amministrativi singolari: decreti, precetti singolari, rescritti,
privilegi e dispense. Essi sono classificabili quali fonti formali del diritto
canonico particolare in quanto comandi diretti a un singolo soggetto o ad una
singola comunit privi, pertanto, dei caratteri di astrattezza e generalit
propri della legge.
La disciplina di tali, va dal can. 35 al can. 93, impegnando ben 58 canoni, e si
compone di una normativa generale applicabile ad ogni atto amministrativo
e di alcune norme specifiche applicabili ai diversi tipi di atto.
il decreto singolare, nellambito dellattivit amministrativa della Chiesa,
assume una particolare rilevanza, in quanto, sul piano strettamente
giuridico, lespressione tipica e frequente della funzione decisionale dell
autorit in ordine a problemi e situazioni particolari. Il decreto singolare
viene definito dal can. 48 come quellatto che dato dallautorit competente
per provvedere a conferire (provvisio) qualcosa, - per lo pi un ufficio
ecclesiastico - o decidere (decisio) un caso particolare, secondo le norme del
diritto e senza bisogno, a differenza del rescritto, della necessit di una
petizione fatta da qualcuno, che pure pu sussistere.
Il suo contenuto del del decreto singolare pu essere assai vario potendosi

concretizzare in un comando, una proibizione, una nomina, una elezione,


un'autorizzazione.
Il precetto singolare , invece, un decreto avente carattere imperativo,
comandando o proibendo direttamente al destinatario qualcosa stabilita
dalla legge. Ponendosi quale specie del genus del decreto singolare, al
precetto penale andr applicata la disciplina test indicata.
Per quanto concerne i rescritti, la loro natura giuridica difficile da precisare
data l'eterogeneit del loro contenuto e dei soggetti con potest sufficiente a
emanarli. Tuttavia, il rescritto pu definirsi quale atto amministrativo
formulato per iscritto dallautorit esecutiva competente, col quale, su
richiesta di qualcuno, viene concesso un privilegio, una dispensa, una licenza
o qualsiasi altra grazia (can. 59). Chiunque ha il diritto di chiedere e ottenere
una grazia (c. 60) che adegui la legge alla sua situazione particolare. Nel
sistema giuridico canonico il diritto di petizione , infatti, un diritto
fondamentale (can. 212 2). Privilegio e dispensa sono due tipi particolari di
grazia che sono concessi per mezzo di un rescritto.

CAPITOLO IV
I SOGGETTI NELLORDINAMENTO CANONICO
. 1. Le persone fisiche
Comunemente per persona fisica si intende quel soggetto umano dotato di
personalit giuridica e capace, pertanto, di essere titolare di diritti e doveri in
seno ad un determinato.
L'ordinamento giuridico canonico non considera ogni singolo uomo quale
soggetto di pieno diritto. In esso ordinamento, infatti, diversamente da
quanto avviene nei sistemi giuridici secolari, la capacit giuridica non si
acquista al momento della nascita. Essa non accomuna, pertanto, tutti gli
uomini, ma solo coloro che, per mezzo del battesimo, sono fatti "persona" (id
est, soggetti di pieno diritto).
A conferma di ci, il can. 96 sancisce che mediante "il battesimo luomo
incorporato alla Chiesa di Cristo e in essa costituito persona con i doveri e i
diritti che ai cristiani, tenuta presente la loro condizione, sono propri". Sono,
di tal guisa, considerabili persone fisiche tutti i fedeli.
Il Battesimo rappresenta, dunque, il momento genetico essenziale per la vita
di ogni cristiano determinando l'incorporazione giuridica in seno al Popolo di
Dio ed avendo effetti santificanti, liberando il battezzato dal peccato
originale.
L'affermazione della anzidetta sovrapposizione, non esaurisce le sfere di
giuridicit in seno all'ordinamento canonico. Rimane, infatti, pur sempre vero
che l'umanit intera chiamata da Dio alla Salvezza e ad appartenere alla
Sua Chiesa. Ne deriva, allora, che l'ordinamento giuridico della Chiesa non
possa non protendersi anche verso coloro che battezzati non sono
(infedeles). Per tale ragione l'ordinamento della Chiesa riconosce all'infedele
alcuni diritti fondamentali, pur ritenendolo soggetto non di pieno diritto e,
pertanto, privo di capacit giuridica.
L'ordinamento canonico, infatti, riconosce in capo ai non battezzati: il diritto
di essere istruiti nelle verit religiose, il diritto ad essere battezzati, una
limitata capacit a partecipare alla vita della Chiesa, potendo intervenire in
tutte quelle attivit che non presuppongano il battesimo, il diritto di
uguaglianza con tutti gli altri uomini, battezzati o meno.
Chiarito cosa debba intendersi per persona fisica dotata di capacit giuridica,
il Codex procede al can. 97 stabilendo che la persona che abbia compiuto i
diciotto anni maggiorenne ed, ai sensi del can. successivo, ha il pieno
esercizio dei suoi diritti (id est capacit di agire).
Il can 97, procedendo, individua in relazione all'et altre categorie giuridiche.
La prima quella del minorenne, intendendosi tale colui che non abbia
ancora compiuto i diciotto anni. La persona minorenne, nellesercizio dei suoi
diritti, non ha capacit di agire ma sottoposto alla potest dei genitori o dei
tutori, eccetto per quelle materie in cui, per diritto divino o ecclesiastico,
possa farne a meno (can. 98, 2). Il minore pu, ad esempio, validamente
contrarre matrimonio (compiuti i 16 anni se uomo, i 14 se donna) senza
bisogno del consenso dei genitori ( cfr. ca. 1071 1, 6) e pu agire e
rispondere nelle cause spirituali ed in quelle ad esse connesse, purch abbia
compiuto i quattordici anni di et (cfr. ca. 1478 3).

Altra categoria individuata dal ca. 97 quella di bambino, intendendosi per


tale quanti non abbiano compiuto ancora i sette anni di et, considerato non
responsabile per gli atti posti in essere e non soggetto ex can. 11
all'osservanza delle leggi ecclesiastiche.
In relazione alle persone fisiche il Codex continua col distinguere tre diversi
concetti canonici relativi al legame della persona fisica con un determinato
territorio. In tal senso pu distinguersi tra il luogo di origine, il domicilio ed il
quasi domicilio.
Il luogo di origine il luogo in cui i genitori del soggetto sulla cui origine si
discute abbiano avuto il domicilio o, in mancanza, il quasi domicilio, al
momento della nascita dello stesso. Nel caso in cui al momento della nascita
i genitori abbiano avuto domicili diversi, nella determinazione del luogo di
origine del nascituro, prevarr il domicilio della madre. Qualche dubbio
potrebbe sorgere nella determinazione del luogo di origine di un figlio di
girovaghi o di un cd. esposto, cio un trovatello. Nel caso di figlio di girovaghi
il luogo di origine sar il luogo in cui si trovarono i genitori al momento della
nascita.
Il domicilio e il quasi domicilio individuano la sede giuridica della persona.
Essi individuano il luogo che la legge considera come suo centro giuridico, in
considerazione della residenza reale o in funzione di una previsione
normativa. Il domicilio reale (can. 102 1) consiste nella dimora nel territorio
di una parrocchia o almeno di una diocesi congiuntamente all'intenzione di
rimanervi definitivamente o che si sia protratta per gi per cinque aanni.Il
quasi domicilio reale (can.102 2) consiste, invece, nella dimora nel territorio
di una parrocchia o almeno di una diocesi congiuntamente all'intenzione di
rimanervi per tre mesi o che si sia protratta per gi per detto periodo. Il
codice di diritto canonico procede con la descrizione di alcuni dei legami che
possono sussistere tra persone fisiche.
Tali legami possono costituirsi per natura la consanguineit o per diritto
affinit e adozione.
Per ci che concerne la consanguineit (parentela), essa intesa quale
vincolo di sangue tra persone discendenti da uno stesso soggetto detto
capostipite. In seno alla consanguinitas possibile distinguere tra la cognatio
carnalis, indicante la discendenza dal lato materno, e la adgnatio indicante la
discendenza dal lato paterno.
Il codice, inoltre, disciplina sempre al Libro I, titolo VI, l'appartenenza al rito
quale circostanza che influisce anch'essa sulla capacit giuridica,
regolamentata da specifiche disposizioni canoniche. Il can 111
prescrive
che, se ambedue i genitori appartengano alla Chiesa latina, il figlio, se non
ancora maggiore degli anni 14, ricevuto il battesimo, debba essere ascritto
ad essa. Qualora uno di essi non appartenga al rito latino, il figlio sar,
invece, ascritto alla Chiesa latina se deciso di comune accordo dai genitori.
In mancanza, sar ascritto ipso iure alla Chiesa rituale cui appartiene il
padre. Qualora, inoltre, si tratti di soggetto che abbia gi compiuto gli anni
14, sar lui stesso a decidere il rito in cui ricevere il battesimo, rimanendo di
conseguenza soggetto alla disciplina della Chiesa nel cui rito sia stato
battezzato.

Il can. 112 preve, dal canto suo, la possibilit per chi ha gi ricevuto il
battesimo di transitare ad altro rito. Il canone in questione precisa che la
partecipazione anche abituale ai sacramenti secondo il rito di una Chiesa
diversa dalla propria non comporta automaticamente il passaggio (o
ascrizione) a questa. L'ascrizione ad altra Chiesa rituale legata, infatti, a
precise
condizioni: a) l'ottenimento della licenza da parte della Sede
Apostolica; b) dichiarazione effettuata all'atto del matrimonio o in costanza
dello stesso circa la volont di aderire alla Chiesa rituale dellaltro coniuge;c)
i figli minori degli anni quattordici che abbiano effettuato il passaggio ad
altro rito.
Le persone giuridiche
Per analogia alla persona fisica, gli ordinamenti riconoscono un altro tipo di
soggetti o entit aventi soggettivit giuridica e denominati persone
giuridiche.
Il libro VI, titolo I, Capitolo II, del Codice detta in seno al diritto canonico la
disciplina per detti soggetti guridici.
La disciplina di tali soggetti non deve apparire estranea alla dottrina del
corpo mistico applicata alla Chiesa di Cristo, che ha giocato, anzi, in favore
del riconoscimento di facolt (diritti) ed autonomia in capo ad enti
giuridicamente rilevanti.
I canoni 114 e 115, definiscono le persone giuridiche quali insiemi di persone
(universitates personarum) o di cose (universitates rerum) indirizzate ad un
fine comune che trascenda le finalit dei singoli e che sia corrispondente alla
Missione della Chiesa. I fini perseguibili dalle persone giuridiche di diritto
canonico sono, a norma del can. 114 2, opere di piet, di apostolato e di
carit spirituale e temporale. Il codice prevede due diversi modi di
costituzione delle persone giuridiche, il primo per concessione di diritto, il
secondo per concessione dellautorit competente espressa attraverso un
decreto.
PRINCIPI FONDAMENTALI
Sotto laspetto temporale la Chiesa una Societ composta da tutti i
battezzati che professano la fede, partecipano ai sacramenti e tendono alla
realizzazione degli stessi fini spirituali, sotto la guida del Sommo Pontefice.
La Chiesa, in quanto societ di battezzati, ha sue peculiarit che valgono a
delinearne lassoluta specificit. Esse possono essere rintracciate nellUnit
in Cristo, nella Santit, costituita dallorigine divina della sua natura e nella
capacit di santificare gli uomini garantendo con i precetti di Cristo la salus
animarum, nella Universalit e Duttilit della sua fede destinata a giungere
gli uomini in tutto il mondo conosciuto senza limiti spazio temporali, il
carattere Apostolico della sua missione che ricalca senza soluzione di
continuit la successione degli apostoli e del primato tra essi che Cristo
affid a Pietro, lIndefettibilit che si evidenzia nel dogma del primato
pontificio, la Necessariet, in quanto fuori dalla Chiesa non esiste Salvezza,
lAutonomia e lindipendenza poich la Chiesa societ originaria
superiorem non recognoscens.

Abbiamo visto come lordinamento della Chiesa abbia piena dignit giuridica.
Lanalisi dellOrdinamento ecclesiale impone di ricercare i valori ed i principi
fondamentali che reggono lintera impalcatura ordinamentale. Tali concetti
rimandano negli ordinamenti statuali a norme fondamentali che, quasi
sempre, trovano la propria collocazione giuridica in quel testo normativo
fondamentale chiamato Costituzione posto al vertice della piramide delle
fonti del diritto.. Sebbene nella Chiesa non esista una Costituzione scritta,
abbiamo visto come in seno al diritto canonico, la norma delle norme sia
rinvenibile nel diritto divino al quale devono adeguarsi tutte le altre fonti del
diritto.
Abbiamo anche visto come nel corso della storia si sia cercato di porre nero
su bianco un testo costituzionale della Chiesa, con esiti fallimentari.
La mancanza di un testo costituzionale scritto pone, tuttavia, alcune difficolt
nellindividuazione di un nucleo normativo costituzionale. Consapevole
della complessit cui si accennava, la Dottrina
individua il cuore pulsante del diritto ecclesiale nel diritto divino che pi di
ogni altro esprime la volont di Cristo fondatore della Chiesa e dai quali si
ricavano i principi fondanti lintero ordinamento, comunemente individuati
nel principio di uguaglianza, nel principio di variet e nel principio
Istituzionale.
Il principio di uguaglianza.
Secondo tale principio tutti i fedeli, mediante il battesimo, acquistano pari
dignit e sono uguali dinnanzi alla vocazione ed allopera comune di
edificazione della Chiesa. Dunque, dato che il battesimo unico, unica sar
la condizione che ne deriva. In base al princpio di uguaglianza, i fedeli sono
tutti chiamati alla Santit ed allApostolato senza che sia possibile
distinguere allinterno della Chiesa tra una cristianit attiva ed una passiva.
Il Principio di variet
Esso non in contraddizione con il predetto principio, in quanto ci che
persegue la Chiesa non la mera uguaglianza formale, bens luguaglianza
formale. Ben si pu conciliare per tale via la variet e la pluralit in seno alla
chiamata universale alla Salvezza che accomuna tutti gli uomini. Essa pu
essere raggiunta attraverso vie differenti. Lo Spirito Santo che guida la
Chiesa promuove diverse forme di vita e di apostolato. E cos che allinterno
della Chiesa prende corpo un ricco pluralismo che abbiamo visto manifestarsi
nelle differenti forme di rito, nella rilevanza data alla Chiesa particolare e,
come vedremo, nella presenza di chierici e laici.
Il principio gerarchico-istituzionale.
Tutti i fedeli partecipano, con uguali diritti e doveri fondamentali, dei beni
spirituali che conducono le anime alla Salvezza.
Tutti i fedeli,sono, inoltre, chiamati a partecipare attivamente alla Missione
ecclesiale attraverso la partecipazione al culto divino, alla diffusione nel
quotidiano della Parola del Vangelo, alla diffusione della piet e della carit
cristiana nelle azioni quotidiane. Tuttavia, nelledificazione della Societ
ecclesiale non tutti i fedeli hanno gli stessi compiti e gli stessi ruoli.

Per tale ragione la Chiesa appare quale societ costituzionalmente


gerarchica. La Gerarchia in seno alla Chiesa legata al sacramento
dellOrdine che conferisce ai chierici, in quanto partecipi del sacerdozio di
Cristo, uno status giuridico differenziato rispetto a quello degli altri
battezzati, con specificit peculiari.
Lo stesso concetto di "communio" dellecclesiologia conciliare non esclude,
anzi presuppone, insieme alla uguale dignit di tutti i fedeli, la gerarchica
struttura della Chiesa. Tale dimensione non mortifica, ma innalza la dignit
stessa di tutti i componenti del Popolo di Dio. La Chiesa non una Societ
giuridica disorganizzata. Essa il Corpo del Signore, e come nel corpo ogni
organo svolge una funzione diversa, se pur coordinata, con le altre, cos
avviene nel Corpo di Cristo che la Chiesa: "Come in un solo corpo abbiamo
molte membra, e non tutte le membra hanno la stessa azione, cos noi molti
siamo un corpo solo" (Rm. 12,4).
Il Magistero, in conformit al divino insegnamento, ricorda costantemente
che la Chiesa stata fondata dal Redentore quale organismo
gerarchicamente organizzato.
Tale struttura della comunit ecclesiale non ha mera valenza
contingente, costituendo, invero, elemento essenziale ed inalienabile della
sua costituzione, appartiene al diritto divino, allo stesso deposito della Fede e
non soggetta ad alcuna modifica, neppure per mano della Chiesa stessa, e
rimarr, pertanto, inalterata fino alla fine dei tempi.

CAP VI
LA STRUTTURA SOCIALE DEL POPOLO DI DIO
Il Popolo di Dio
Sotto laspetto temporale la Chiesa una Societ composta da tutti i
battezzati che professano la fede, partecipano ai sacramenti e tendono alla
realizzazione degli stessi fini spirituali, sotto la guida del Sommo Pontefice.
La Chiesa ha un suo popolo, ed per tale ragione che si parla
comunemente della Chiesa come del Popolo di Dio sparso su tutta la terra.
Tale immagine scaturisce dal linguaggio delle Scritture. NellAntico
Testamento, infatti, la storia di Israele emerge come quella del popolo che
Dio si scelto e col quale ha realizzato lAlleanza nella Legge.Il Concilio
Vaticano II elenca alcune delle caratteristiche del popolo di Dio. Come ogni
popolo, esso ha, infatti, un Capo, che il Cristo, il quale, nella morte e nella
risurrezione, ha fondato la Chiesa, sulla quale regna mediante il suo Spirito
ora che siede alla destra del Padre; ha una condizione, che la condizione
dei figli di Dio, i quali non sono servi, ma eredi (cf. Rm 8,14-17); ha una
legge.
Tale popolo, inoltre, non vive separato dal mondo, ma chiamato ad essere
presente per servirlo e per testimoniare lamore di Dio per gli uomini, come
dato leggere nella Lumen Gentium: ..questo popolo costituisce per tutta

lumanit un germe validissimo di unit, di speranza di salvezza ...;


assunto ad essere strumento di redenzione per tutti e, quale luce del mondo
e sale della terra, inviato in tutto il mondo.
Il popolo di Dio chiamato alla Santit ed all'Apostolato e si fonda su di un
principio di uguaglianza che accomuna tutti i battezzati intorno a diritti e
doveri fondamentali. In virt di tale principio tutti coloro che appartengono al
Popolo di Dio ricevono l'identico nome di christifideles e godono di una
condizione comune.Il popolo dio Dio in quanto popolo profetico deve dare
testimonianza nel mondo della Parola di Cristo ed fedeli in quanto partecipi
della Sua missione regale collaborano, inoltre, ad edificare in terra il Suo
regno.
Linsieme di diritti e doveri che scaturiscono dalla condizione di fedele, quali
esigenze giuridiche del carattere battesimale e, pertanto, in virt del diritto
divino, ricevono il nome di diritti e doveri fondamentali del fedeli.
Titolari dei diritti fondamentali sono tutti i fedeli. Ciascuno di essi pu
vantare i propri diritti, sia nei confronti degli altri fedeli, sia nei confronti
dell'organizzazione gerarchica. Del Popolo di Dio inteso fanno parte a pieno
titolo solo i cattolici, coloro che in essa sono stati battezzati o accolti dopo il
Battesimo e si trovano in piena comunione con essa "mediante i vincoli della
professione di fede, dei sacramenti e del governo ecclesiastico", come si
legge al can. 205.
Il can. 96, infatti, da parte sua, pone l'inciso secondo cui la mancanza di
comunione ecclesiastica importi una limitazione di diritti e di doveri. Tuttavia,
a conferma del fatto che ad essere chiamata da Dio alla Salvezza sia
l'umanit intera, si pone una specifica apertura dellordinamento giuridico
della Chiesa anche verso coloro che battezzati non sono e che, per tale
ragione, vengono definiti infedeles. 'ordinamento canonico riconosce
all'infedele alcuni diritti fondamentali, pur ritenendolo soggetto non di pieno
diritto e, pertanto, privo di capacit giuridica.
L'ordinamento canonico, infatti, riconosce in capo ai non battezzati: il diritto
di essere istruiti nelle verit religiose, il diritto ad essere battezzati, una
limitata capacit a partecipare alla vita della Chiesa, potendo intervenire in
tutte quelle attivit che non presuppongano il battesimo, il diritto di
uguaglianza con tutti gli altri uomini, battezzati o meno. Una condizione
particolare, sotto tale aspetto, riguarda i Catecumeni. Vengono cos chiamati
coloro che, a norma del canone 206, mossi dallo Spirito Santo chiedono in
forma esplicita di essere incorporati alla Chiesa di Cristo. Essi sono congiunti
alla Chiesa la quale, prima che avvenga tale definitiva incorporazione, ne ha
cura come se fossero gi in essa incorporati potendo prendere parte a
determinate attivit dei cristiani.Secondo quanto risulta dalla lettura del ca.
207 nellambito universale dei fedeli, cos come innanzi definiti, ve ne sono
alcuni che, per divina istituzione sono costituiti, a mezzo del sacramento
dellOrdine, quali ministri sacri e vengono denominati chierici:
Il sacerdozio gerarchico partecipazione ad un potere divino, che pu essere
concesso solo per mezzo del sacramento dell'Ordine che attribuisce ai
chierici il triplice potere di santificare, governare ed istruire i fedeli.
Detto sacramento ha diversi gradi: episcopato, presbiterato e diaconato. Di
questi tre gradi, i primi due attribuiscono il sacerdozio gerarchico, ma non il
terzo che costituisce il grado inferiore della gerarchia, e che destina

unicamente a ministeri connessi agli altri due gradi. I diaconi , secondo le


disposizioni della competente autorit, possono amministrare solennemente
il battesimo, conservare e distribuire l'eucaristia, assistere e benedire il
matrimonio in nome della Chiesa, portare il viatico ai moribondi, leggere la
sacra Scrittura ai fedeli, istruire ed esortare il popolo, presiedere al culto e
alla preghiera dei fedeli, amministrare i sacramentali, presiedere al rito
funebre e alla sepoltura.
Tali statuti giuridici in questione nulla hanno in comune con quella distinzione
che in passato che consentiva di discernere i fedeli in ceti. Da una parte il
coetus dominans, costituito dal clero, dall'altra il coetus oboediens
costituito dal resto dei fedeli in assoluta posizione di sudditanza e
marginalmente chiamati a partecipare all'edificazione del Popolo di Dio.
In dottrina si discute, inoltre, se possa parlarsi di un terzo autonomo status
dei fedeli: quello dei religiosi (ovvero status della vita consacrata). Il Codice
accenna (can. 207, 2) a quei fedeli, provenienti sia dallo stato clericale che
laicale, i quali, con la professione dei consigli evangelici, mediante voti o altri
vincoli sacri riconosciuti e sanciti dalla Chiesa, sono consacrati in modo
speciale a Dio e danno incremento alla missione salvifica della Chiesa.
Il Codex in merito ad essi e aggiunge che il loro stato, quantunque non
riguardi la struttura gerarchica della Chiesa, appartiene tuttavia alla sua vita
e alla sua santit
Nel prosieguo della presente trattazione ci si occuper di esaminare i diritti
ed i doveri fondamentali che accomunano tutti i fedeli, per poi passare
all'esame dello status lo status giuridico dei laici e a quello dei chierici.
Infine, verr reso qualche cenno sulla condizione giuridica dei religiosi.
Diritti e gli obblighi fondamentali di tutti i fedeli
Perch esistano veri diritti necessario che tra i destinatari degli stessi vi sia
uguaglianza non solo di principio, ma anche di natura sostanziale. E' per tale
ragione che il Codice al Libro II, Titolo I, denominato
De omnium
christifidelium obligationibus et iuribus, esordisce sancendo l'uguaglianza di
dignit tra tutti i fedeli.
Questo complesso innovativo, che trova ispirazione e fondamento nel
magistero conciliare, riconosciuto, dai canonisti moderni, come facente
parte del diritto costituzionale canonico potendosi per similitudine
avvicinarsi a quelle disposizioni che sanciscono, nelle moderne Costituzioni i
diritti e i doveri dei cittadini.
Il Codice esordisce al can. 209 con l'elencazione dei diritti e dei doveri dei
fedeli, che qui di seguito esamineremo brevemente.
Il can. 209 impone ai fedeli di conservare, nelle loro attivit, la comunione
con la Chiesa, adempiendo con diligenza i propri doveri nei confronti sia della
Chiesa universale sia della Chiesa particolare cui i fedeli appartengono.
Il can. 210 impone di condurre una vita santa e promuovere la crescita e la
santificazione della Chiesa. Ci, a ben vedere rispecchia quel sacerdozio
comune che status proprio di ogni fedele, partecipando alla missione,
sacerdotale, profetica e regale di Ges Cristo.
Il can. 211, sancendo l'obbligo di collaborare allazione missionaria della
Chiesa impegnandosi affinch l annuncio divino della salvezza si diffonda
sempre pi fra gli uomini, segna il cosiddetto diritt-dovere di fare apostolato.

Il can. 212, 1 impone di osservare, con cristiana obbedienza, gli


insegnamenti dei Pastori della Chiesa, quali rappresentanti di Cristo. Il
canone in questione,sancendo la rilevanza di un'obbedienza consapevole ai
Pastori, impone di obbedire con un certo spirito di iniziativa quando il
precetto ne lasci margine, e non solo per senso di subordinazione all'autorit.
can. 222, 1 sancisce il dovere proprio del fedele di provvedere alle
necessit della Chiesa offrendo ci che necessario al culto divino, alle
opere di apostolato e di carit, nonch allonesto sostentamento dei ministri
sacri. Detto canone segna il dovere di collaborazione di tutti i fedeli alla
Missione della Chiesa estendendolo fino alla individuazione e ricerca dei
mezzi materiali di sostentamento che devono essere indirizzati, a norma a
dello stesso canone, a fini di culto, clero, apostolato e carit. C' da dire che
all'erogazione dei mezzi di sostentamento il fedele contribuisce di norma con
offerte volontarie, pur esistendo in seno al Codex la possibilit per la Chiesa
di stabilire, a determinate condizioni, tributi o tasse. Si pensi, in tal senso, al
can. 1263 a norma del quale il Vescovo Diocesano, uditi il consiglio per gli
affari economici e il consiglio presbiteriale, ha diritto d'imporre alle persone
giuridiche pubbliche soggette al suo governo un moderato tributo
proporzionato ai loro redditi per sostenere le necessit della diocesi. Il
canone consente, inoltre, qualora ricorrano condizioni di necessit di imporre
in capo agli altri soggetti di diritto un'esezione straordinaria. Essa, tuttavia,
andr applicata, con spirito di moderazione e solo quando non si possa
sopperire alle necessit con altre forme di entrate
Lo stesso can. 222 al 2 impone un obbligo giuridsico-morale che riguarda
non solo i fedeli, che pur ne sono obbligati in relazione alla loro condizione di
crdenti, ma anche a tutti gli uomini. Trattasi del dovere di promuovere la
giustizia sociale e sostenere i meno abbienti con i propri redditi.
In tema di diritti fondamentali il Codice esordisce al can 212 2 sancendo in
favore dei fedeli il diritto di manifestare ai Pastori della Chiesa le proprie
necessit ed i propri desideri.
Si tratta del diritto di petizione, strumento dato ai fedeli per cooperare
attivamente alledificazione della Chiesa. E' in tal senso, infatti, che essi
hanno il diritto di indicare ai l Pastori, con libert e rispetto, i propri bisogni.
Alla petizione che pu essere formulata singolarmente o collettivamente, in
forma orale o scritta, i Pastori, dal canto loro, sono tenuti a dare ascolto e
rispondere ragionevolmente, non avendo, tuttavia,
dovere alcuno di
acconsentire a tutto quanto gli venga richiesto, salvo si tratti di un vero e
proprio diritto.
Lo stesso can. 212, al 3 sottolinea il diritto-dovere in relazione alla scienza,
alla competenza e al prestigio di cui ciascuno gode, di esprimere ai Pastori
della Chiesa e allinsieme dei fedeli, il proprio pensiero sulle questioni che
concernono il bene comune della Chiesa. Per mezzo di ci, si riconosce,
dunque, il diritto di libert di espressione pubblica. Perch vi sia un corretto
esercizio del diritto esso andr esercitato nell'ambito dei limiti tracciati dalle
verit di fede non opinabili.
Il diritto ad esprimere pubblicamente nell'ambito della Chiesa la propria
opinione appare di grande rilevanza ed attualit, specie in tempi segnati
dall'imponenza delle diverse forme di comunicazione ed espressione.
Il codice prosegue al can. 213 asserendo il diritto di usufruire dei beni

spirituali della Chiesa, soprattutto della Parola di Dio e dei sacramenti (can.
213). Tale diritto ai mezzi di santificazione diritto strumentale alla salvezza
ed alla vita in piena comunione con la parola di Dio. I fedeli, infatti, per
potere seguire il proprio percorso di fede, hanno l'esigenza che non pu
essere tradita - di ricevere dai Pastori i mezzi di salvezza, la Parola ed i
Sacramenti.
Il can. 214 promuove il diritto allesercizio del culto secondo il rito proprio
purch conforme alla dottrina della Chiesa. Tale diritto si pone quale
conseguenza logico-giuridica al principio di variet. Esso si manifesta, ad
esempio, nel diritto e nella facolt di scegliere, praticare, conservare e
persino cambiare rito. Tale diritto garantisce lassistenza pastorale secondo il
rito di appartenenza e la libert di adottare, sempre entro la comunione
ecclesiale, quella forma di vita cristiana cui ognuno si senta chiamato a
perseguire.
Il can. 215 sancisce due importanti diritti, quello di associazione e quello di
riunione. Tali diritti sono proiezioni della natura sociale della persona nella
vita della Chiesa, che per- mettono ai credenti di attuare la loro vocazione in
forma comunitaria.
Il can.216 sancisce una variante del diritto di associazione consistente nel
diritto di promuovere e sostenere, anche con proprie iniziative, attivit
apostoliche come quelle conistenti nel fondare o prendere parte ad azioni
editoriali, dispensari, centri educativi, emittenze radio-televisive, etc..
Il can 217 esprime, invece, il diritto all'educazione ed alla istruzione cristiana.
Ogni fedele a norma del presente canone ha il diritto di ricevere la catechesi
e listruzione adeguata alla propria condizione, come pure di accedere ai
centri scolastici della Chiesa ed ivi ottenere i relativi titoli di studio. Il diritto
che ogni cittadino pu vantare nei confronti dello Stato e delle istituzioni
civili non rientra nella sfera d'azione del canone 217, essendo tale diritto
inerente la disciplina costituzionale degli Stati secolari in punto di libert
religiosa.
A trovare espressa codificazione in seno al can. 218 la Libert scientifica in
ambito teologico. Essa ha ad oggetto le parti opinabili nelle scienze sacre.
Titolari di tale diritto sono quanti si dedicano allo studio delle scienze sacre.
Essi possono prudentemente manifestare il proprio pensiero ancorando le
proprie opinioni alla metodologia propria della ricerca scientifica., non
divulgando come incontrovertibili conclusioni non ancora sufficientemente
dimostrate, non presentare come tesi quanto non ha cessato di essere una
mera ipotesi.
can. 219 tratta della Libert nella scelta dello stato di vita. Il canone in
primo luogo significa all'interprete che a nessuno possa imporsi uno stato di
vita che non sia frutto di una scelta libera e consapevole. Esso, inoltre,
precisa conseguentemente che a nessuno debba essere impedito di scegliere
lo stato di vita verso il quale ci si considera chiamati. ll diritto alla scelta dello
stato di vita sarebbe, in realt, pi di una semplice immunit da coazione.
Il can. 220 disciplina il diritto alla buona fama ed all'intimit. Trattasi di diritti
naturali della persona riconosciuti anche nella societ ecclesiastica. Ne
rappresentano concrete manifestazioni il dovere del segreto naturale, di
ufficio, della confessione(cfr cann. 983 e 984);il diritto a difendersi dalle
ingiurie e calunnie; linviolabilit postale, del domicilio, degli uffici e archivi;

la presunzione di innocenza; il diritto a scegliere liberamente il confessore


(can 991) e il direttore spirituale (can. 239 2, 240, 246 4); il diritto di
confessare i peccati senza dover rivelare la propria identit.
Il canone 221 si occupa del diritto alla tutela giudiziaria.
Esso, innanzitutto, si estrinseca nel diritto a rivendicare e difendere innanzi
al foro ecclesiastico i diritti riconosciuti dalla legge.
Per esso chi si ritiene leso o minacciato nei suoi diritti, pu adire lautorit
giudiziaria affinch questa, mediante un processo, li dichiari, li determini e li
faccia rispettare.
Dal can. 221 2 deriva anche il diritto ad un giudizio equo e che garantisca
alla parte quelle garanzie processuali stabilite dalla legge. Ci implica
concetti esistenti nella maggior parte degli stati democratici e di diritto, quali
l'imparzialit e l'indipendenza dei soggetti giudicanti; il diritto di intervenire
nel processo; il diritto alla prova etc..
Infine dal can. 221 3 discende uno dei principi fondamentali di tutti gli
ordinamenti giuridici evoluti, il principio di legalit in ambito penale.
5 I fedeli laici.
I fedeli laici sono la parte numericamente pi consistente del popolo di Dio.
Anche per tale ragione essi hanno una dimensione costituzionale propria
espressamente riconosciuta, tutelata e regolata dall'ordinamento canonico.
Tuttavia, non esiste una definizione codicistica precisa di laico. Si ricorder,
infatti, come il can. 207. fornisca una definizione a contraio, sancendo che
sono laici i fedeli che non sono chierici. A tal proposito la costituzione Lumen
Gentium avverte che, mentre i chierici sono destinati al sacro ministero e i
religiosi conducono una esistenza diversa dalla comune per una pi evidente
testimonianza evangelica, i laici vivono nel secolo, essendo implicati nelle
questioni e nei problemi di questo mondo con tutti i doveri e le
preoccupazioni derivanti dalle responsabilit della vita quotidiana. La loro
specifica peculiarit , dunque, quella di ordinare le realt temporali secondo
il disegno di Dio e di rendere presente la Chiesa nelle diverse circostanze e
ambiti in cui vengono a svolgere la propria attivit. Tale secolarit, non pu
tuttavia considerarsi propriamente caratteristica esclusiva.
Ne segue che il fondamento della missione laicale da identificarsi, pi che
nella specificit di un compito determinato, nei sacramenti della iniziazione
che i laici hanno in comune con gli altri fedeli e che attribuiscono la novit
cristiana, fonte della eguaglianza di tutti i membri della Chiesa. A parte tali
questioni di carattere definitorio, e pur riconoscendo nella secolarit pur
sempre una coordinata essenziale del laicato, la condizione di laico d luogo
ad un vero e proprio status giuridico caratterizzato da un complesso organico
di diritti, obblighi, potest, e funzioni che sono esclusive di questa categoria
di fedeli.
Il can. 224 sancisce, infatti, che i fedeli laici, oltre agli obblighi e ai diritti che
sono comuni a tutti i fedeli sonono tenuti agli obblighi e godono dei diritti
elencati nel titolo II della parte I del Libro Il del Codice. Passeremo adesso ad
esaminare questo complesso di diritti e di doveri.
Il canone 225 esordisce indicando l'esistenza di un diritto-dovere di svolgere
attivit di apostolato. Tale condizione accomuna tutti i feeli in virt del
sacramento battesimale che segna l'ingresso tra le fila del Popolo di Dio.

Interessante la portata del can 229 il quale sancisce che i laici per vivere
secondo l'insegnamento cristiano ed a maggior ragione per diffonderne il
senso hanno il diritto-dovere di acquisire conoscenza di tale dottrina
evangelica in modo proporzionato ciascuno alla propria personale
condizione. In ci il canone approfondisce il diritto dei laici a ricevere
formazione dottrinale, compresa quella di livello pi alto, cos come il diritto
ad insegnare scienze sacre.Essendo molto diffuso tra i fedeli laici lo stato
coniugale, il can. 226 assegna in modo particolareagli stessi il compito di
impegnarsi mediante il matrimonio e la famiglia ad edificare il Popolo di Dio. I
laici, inoltre, ai sensi del can.228, qualora risultino idonei, possono essere
chiamati ad assumere determinati uffici ecclesiastici. Essi possono essere
chiamati ad offrire la propria opera quali periti o consultori, per offrire ausilio
ai pastori. Il legislatore canonico precisa nel canone in questione l'inciso qui
idonei reperiantur e con ci chiarisce come la partecipazione agli uffici
ecclesiastici non sia propriamente un diritto fondamentale quanto piuttosto
una capacit legata a criteri di idoneit. Limite invalicabile per tale capacit
rappresentato dal sacramento dell'ordine nel senso che la collaborazione
laica agli uffici ecclesiastici non potr spingersi a realizzare attivit per le
quali risulti necessario detto sacramento.
L'ausilio dei laici pu riguardare la funzione profetica, sia quella santificante,
siae quella regale.
Per quanto riguarda la funzione profetica, o di insegnare, pur appartenendo
come detto a tutto il popolo di Dio in ragione del carattere missionario della
Chiesa., essa retta in modo ufficiale, autentico, autorevole e pubblico dai
chierici. utti i fedeli, sempre in virt del sacerdozio comune, partecipano alla
missione santificante della Chiesa. Una speciale funzione di santificazione
(es. celebrazione dei sacramenti) spetta solo ai chierici i quali sono titolari
della celebrazione dei sacramenti. Tuttavia, Il diritto canonico, in taluni casi,
prevede per i laici forme dirette di partecipazione alla funzione santificante
propria della gerarchia.
Il can. 230 dispone ad esempio che i laici di sesso maschile, con let e le
giuste doti, possano essere stabilmente assunti, mediante rito liturgico, ai
ministeri di lettori e di accoliti, Lo stesso canone permette ai laici di svolgere
temporaneamente delle funzioni come lettore, commentatore o cantore,
nonch, in caso di mancanza di chierici, di svolgere uffici non richiedenti
lordine sacro. I laici possono inoltre assistere alla celebrazione del
matrimonio e amministrare alcuni sacramentali. Si pensi, in tal senso, al
Battesimo che pu essere amministrato dai laici in caso di pericolo di morte
del battezzando.
Per ci che attiene alla funzione regale o di governo della Chiesa, il can. 129
afferma che sono abili alla potest di governo coloro che hanno ricevuto
lordine sacro. Il canone in questione aggiunge che i fedeli possono a ci
cooperare a norma del diritto. A tal ragione il diritto canonico, talvolta,
conferisce ai laici uffici ecclesiastici che comportano la titolarit della
potestas regiminis, sia nellambito amministrativo che in quello giudiziario.
A titolo meramente esemplificativo pu farsi menzione nellambito
amministrativo della partecipazione dei laici ai consigli pastorali (can. 512),
ai consigli per gli affari economici (can. 492) ed in genere (can. 228);
nellambito giudiziario i laici possono essere assunti allufficio di giudice (can.

1421) nonch di assessore (can. 1424).


6 I chierici.
Col termine chierici o ministri sacri si indicano diaconi, presbiteri e vescovi,
ossia quei fedeli che hanno ricevuto il sacramento dellordine almeno in uno
dei suoi tre gradi.
La specifica missione ecclesiale del chierico consiste nella sua destinazione,
in virt del sacramento ricevuto, allo svolgimento di funzioni sacre. Il
sacramento dell'Ordine ha la sua origine nella vocazione ed insieme nella
consacrazione sacramentale. Per tale ragione sussiste una differenza d
essenza - e non solo di grado - tra il sacerdozio ministeriale ed il sacerdozio
comune dei fedeli. Dalla loro destinazione all'insegnamento, alla
santificazione e al governo del popolo di Dio discendono una serie di diritti e
di doveri che ne costituiscono lo status giuridico personale. In esso rientrano
la potest sacra, ossia il potere di celebrare e di amministrare i sacramenti, e
labilitazione alla potest di governo il cui esercizio, come abbiamo appena
avuto modo di notare, riservato, in via principale, alla titolarit di coloro i
quali sono stati insigniti dellordine sacro (can. 129, l). Il nuovo Codice
sancisce accanto al diritto di curare la formazione dei ministri sacri, anche
l'esistenza di un vero e proprio dovere in capo alla Chiesa.
Accanto a tale dovere specifico della Chiesa, il codice rivela come sia dovere
dell'intera comunit cristiana provvedere alla promozione delle vocazioni al
fine di poter provvedere alla necessaria presenza di ministri sacri presso il
Popolo di Dio sparso in tutto il mondo. Come noto, per far fronte alla
necessit di formazione degli appartenenti all'ordine sacro, la Chiesa si affida
principalmente ai seminari. La divisione di due classi di seminari emersa in
maniera decisa nel sec. XIX, e si consolidata con il c. 1353 2 del Codice
del '17. Il fine proprio del seminario minore e quello di sostenere gli
adolescenti che sembrano possedere i germi della vocazione nell'approccio
ad essa. Da questa finalit deriva la necessit che si rivolgano al seminario
minore quegli adolescenti che manifestano taluni segni di vocazione.
Tuttavia, il Concilio Vaticano Il pur riconoscendo il valore al seminario minore
tanto da promuoverne lerezione nelle diverse diocesi, non ne ha decretato
lassoluta necessit come invece ha fatto per il maggiore
I seminari maggiori, ai sensi del can. 235, sono, infatti, necessari per la
formazione sacerdotale.Detto questo per ci che riguarda la formazione dei
chierici, va precisato che un fedele acquista lo status giuridico di chierico
solo dal momento dell'ordinazione diaconale.
E' da questo momento che si incardinati in una Chiesa particolare o in una
Prelatura personale o, ancora, in un istituto di vita consacrata o in una
societ che ne abbia la facolt, in modo che non siano assolutamente
ammessi chierici acefali. I cann.273-274 esordiscono enunciando i doveri
canonici dellobbedienza al Sommo Pontefice ed al proprio vescovo e quello
di disponibilit ad assumere e svolgere fedelmente l ufficio attribuito
dall'ordinario. Il can. 275 segna il dovere di fraternit e mutua collaborazione
tra i chierici. Tali doveri discendono dal decreto Presbyterorum ordinis, e
servono da fondamento per unefficace organizzazione pastorale. Il canone
276 impone il precetto della santit di vita. Se tutti i fedeli sono vocati alla
santit, la peculiare consacrazione e missione dei chierici li impegna ad una

ricerca di essa dotata di specifiche peculiarit di stato. Il can, 277 impone il


dovere di Castit e celibato. Nella Chiesa latina il ministero sacro esige
l'intera libert di cuore e dedizione al regno di Dio. E' per questo che
seguendo un'antica ed ininterrotta tradizione disciplinare i chierici si
impegnano ad osservare una perfetta continenza e a rimanere celibi. Il can.
278 sancisce il diritto per i chierici di associarsi tra loro al fine di perseguire
fini congrui al loro stato e che siano compatibili con il loro ministero. Il can.
279 Il c. tratta il tema della formazione permanente. Esso risulta essere un
dritto-dovere di ogni chierico. Il can. 285 impone ai chierici di astenersi da
condotte sconvenienti al proprio stato e da quelle che, pur non essendo
indecorose per natura, risultano aliene allo stato clericale. A ci si associa il
can. 286 che impone il divieto di porre in essere negozi o di esercitare il
commercio, con leccezionale previsione licenza da parte dellautorit
ecclesiastica competente; a pena di configurare un tipo di delitto punito con
una pena determinata in proporzione alla gravit del fatto ai sensi del can.
1392. Di particolare rilievo anche il can.289 il quale, continuando sulla scia
dei canoni 285 e 287, proibisce ai chierici di prestare servizio militare
volontario, se non su licenza del proprio ordinario, garantendo al contempo la
possibilit di usufruire delle esenzioni previste in tal senso dalle consuetudini
e dalle leggi civili.
La vita consacrata
Il Concilio Vaticano II assegna una funzione decisiva alla vita consacrata
allinterno della vita della Chiesa, affermando, prima di tutto, che essa non
una forma di testimonianza intermedia tra quella del clero e quella dei laici,
perch ad essa da entrambe le parti alcuni fedeli sono chiamati da Dio
Pur se per sua natura, dunque, lo stato di vita consacrata non n clericale
n laicale, gli istituti di vita consacrata possono distinguersi in istituti clericali
quando secondo il progetto del fondatore, o per tradizione, sono assunti
sotto la guida di chierici ed assumono quale elemento caratterizzante
l'esercizio dell'ordine sacro ed istituti laicali quando per le stesse ragioni
la sua natura non comporta l'esercizio dell'ordine sacro.
Le due categorie che compongono principalmente lo stato della vita
consacrata sono gli Istituti religiosi e gli Istituti secolari, realt ecclesiastiche
erette, approvate e sapientemente organizzate dalla Chiesa per mezzo di
una adeguata legislazione generale e particolare composte da regole,
costituzioni e Statuti.Il codice di diritto canonico si sofferma, in modo
particolare nella disciplina degli istituti religiosi, disciplinando in maniera
attenta i vari aspetti della loro vita.
Gli Istituti religiosi concretizzano uno stato pubblico e completo di vita
consacrata. In essi ai precetti comuni per tutti i fedeli si aggiungono i tre
consigli evangelici sopra indicati insieme ad il dovere di vivere la vita
fraterna in comunit e quella separazione dal mondo che si addice all'indole
ed alle finalit di ogni singolo Istituto (can. 607 2 e 3). Elementi essenziali
di un istituto religioso sono il fatto di essere organizzati secondo una propria
costituzione approvata dalla competente autorit ecclesiastica; la vita
comune dei suoi membri, intesa quale stabile coabitazione volta ad una
proficua partecipazione alle attivit dell'istituto sotto la guida del legittimo
superiore e secondo le norme fondamentali dell'istituto e che consente di

distinguere gli istituti religiosi da quelli secolari; la pronuncia dei gi ricordati


voti pubblici dei propri componenti che ne consentono la distinzione dalle
societ di vita apostolica.
Per l'ammissione agli istituti religiosi richiesto specificamente il cd.
Noviziato, ovvero un periodo di almeno un anno da trascorrersi in una casa in
cui il candidato si prepara alla vita che desidera abbracciare e comunica a
praticarla a tutti gli effetti, al fine di mettere alla prova le proprie capacit e
le proprie intenzioni. Al termine del noviziato il soggetto che risulti idoneo
ammesso alla professione dei voti temporanei per giungere, dopo un lasso di
tempo non inferiore a tre anni, alla possibilit di pronunciare i voti perpetui.
Gli appartenenti agli istituti religiosi hanno un proprio status giuridico che si
compone di diritti e di doveri. Tra i diritti possiamo ricordare il can 670 il
quale afferma che compito degli istituti religiosi fornire ai loro membri tutto
ci che, a norma delle costituzioni, risulti necessario al conseguimento del
fine della loro vocazione. Per quanto concerne i doveri essi hanno l'obbligo
generale di seguire l'esempio di Cristo, della assiduit nella preghiera e nella
meditazione, della partecipazione quotidiana al sacrificio eucaristico, agli
esercizi spirituali una volta l'anno, alla vita comune nella propria casa
religiosa, dell'indossa re l'abito dell'istituto cui appartengono, di astenersi da
tutte quelle attivit che risultino incompatibili o poco consoni al loro stato.
Detto ci sugli istituti religiosi, si specifica che dal canto loro gli Istituti
secolari segnano la forma di vita consacrata di fedeli che vivono i consigli
evangelici senza il vincolo della vita comunitaria impegnandosi ad agire nel
mondo. I fedeli consacrati negli istituti secolari, non mutano la propria
condizione in mezzo al popolo di Dio e, per tale ragione, non assumono lo
status proprio dei religiosi.
Accanto agli Istituti di vita consacrata ci sono le Societ di vita apostolica i
cui membri, senza voti religiosi, perseguono il fine apostolico proprio della
Societ e, conducendo vita fraterna in comune secondo un proprio stile,
tendono alla perfezione della carit mediante l'osservanza delle costituzioni.
Fra queste vi sono Societ i cui membri assumono i consigli evangelici con
qualche vincolo definito dalle costituzioni.
CAPITOLO VI
LA STRUTTURA GERARCHICA DEL POPOLO DI DIO
Abbiamo pi volte descritto il popolo di Dio non quale mucchio di sabbia
allinterno del quale non dato distinguere un granello dall'altro, ma quale
corpo vivente organicamente e gerarchicamente strutturato, in cui i vari
membri svolgono ciascuno la loro propria funzione. Questo corpo sociale, per
volont stessa del Suo fondatore, Ges Cristo, strutturato in maniera tale
che siano riconoscibili taluni membri preposti ad altri. Lo stesso Ges sin
dall'inizio della sua missione terrena ha scelto tra i vari discepoli dodici
uomini, gli apostoli, ai quali ha assegnato ruoli e poteri su tutti gli altri
preponendo su di essi l'autorit di Pietro. La costituzione gerarchica della
Chiesa , quindi, realt ontologica di istituzione divina. Essa si mantiene
tutt'oggi grazie ai successori degli Apostoli, i Vescovi, sui quali risiede il
successore di Pietro, cio il sommo Pontefice.
In questo capitolo approfondiremo tale struttura Gerarchica seguendo la

disciplina resa sul punto dal Codice di diritto canonico nel libro II parte II alle
sezioni I, riguardante la Suprema autorit della Chiesa, e II, inerente le
Chiese Particolari ed i loro raggruppamenti.
Il Sommo Pontefice.
Il can. 331 descrive il primo e principale soggetto della suprema autorit
della Chiesa: il Romano Pontefice.
Al canone citato leggiamo che Egli il Vescovo della Chiesa di Roma, e su di
Esso permane l'ufficio concesso dal Signore singolarmente a Pietro, primo
degli Apostoli.
Il Romano Pontefice, in virt del suo ufficio primaziale di Successore di Pietro,
si pone al vertice della gerarchica ecclesiastica, sia in termine di Ordine che
di Potest, esercitandola a livello universale su tutta la Chiesa e, a norma del
can. 333, anche sulle singole Chiese particolari e sui loro raggruppamenti.
La sua potest , inoltre, vescovile in quanto ottenuta, a norma del can. 332
previa consacrazione episcopale; piena, perch non riguarda solo la fede e i
costumi ma anche la disciplina e il governo della Chiesa sparsa su tutta la
Terra; ordinaria, in quanto direttamente annessa al suo ufficio; immediata in
quanto agisce senza necessit di alcun intermediario.
A tale potest tutti i Pastori e tutti i fedeli, qualunque sia il loro livello
gerarchico,
devono
obbedienza,
risultandone
subordinati
tanto
singolarmente che nel loro insieme.
Il sommo Pontefice , inoltre, ex can 331 Capo del Collegio dei Vescovi,
Pastore visibile della Chiesa universale e Vicario del Capo invisibile che ne
Ges Cristo. .
Il Pontefice , inoltre, definito Maestro dalla Costituzione Pastor Aeternus del
Concilio Vaticano I. Egli tale quando, godendo della infallibilit, definisce ex
cathedra le supreme verit di fede e di morale.
Sul Punto si vuole ricordare come l'esercizio del primato ex cathedra su
verit di fede sia stato, ad oggi, impiegato due sole volte dal 1870, da Papa
Pio IX, per affermare l'Immacolata Concezione di Maria, e, da Papa Pio
XII, per affermare l'assunzione della Vergine Maria.
Va, infine, rilevato che, Giovanni Paolo II, mirando ad agevolare il dialogo
ecumenico, durante il suo pontificato, si fermamente impegnato ad
incoraggiare la riflessione sull'esercizio del primato pietrino, concependo il
proprio ufficio quale servizio di amore riconosciuto da tutte le Chiese
dell'unica comunit cristiana.
Poteri e prerogative del Pontefice
Il Romano Pontefice riunisce in s cinque uffici. Egli Vescovo della citt e
diocesi di Roma, Metropolita della provincia ecclesiastica romana, Primate
dItalia, Patriarca dOccidente e primo dei patriarchi, Primate della Chiesa
Universale. In relazione al pieno esercizio delle potest ecclesiastiche. il
Pontefice , inoltre, supremo legislatore per tutta la Chiesa non essendo
sottoposto alle leggi puramente ecclesiastiche, ma solo alla legge divina,
supremo Maestro in quanto egli gode dellinfallibilit (can. 749, 1),
supremo giudice (can. 1442) e supremo amministratore, in quanto titolare
del potere acquistare, ritenere ed amministrare i beni necessari ai bisogni
della Chiesa (cann. 1255 e 1273). Il Pontefice , inoltre, rappresentante di
tutta la Chiesa, riceve ambasciatori e invia nunzi e legati, e la sua persona

gode di una particolare protezione penale (cann. 1370 e segg.).


Collegio episcopale
Il secondo soggetto della suprema e piena potest sulla Chiesa universale
rappresentato dal Collegio dei Vescovi. Leggiamo, infatti, al can. 336 che il
Collegio dei Vescovi il cui capo il Sommo Pontefice e i cui membri sono i
Vescovi in forza della consacrazione sacramentale e della comunione
gerarchica con il capo e con i membri del Collegio, e nel quale permane
perennemente il corpo apostolico, insieme con il suo capo e mai senza il suo
capo. Dalla norma citata si evince tanto la grandiosit e limiti del supremo
potere riconosciuto al corpo episcopale nella sua interezza.
Per mezzo della consacrazione episcopale e della comunione gerarchica col
capo della Chiesa il Vescovo, diventa, dunque, a norma del suddetto canone,
membro del Collegio Episcopale e partecipa della sollecitudo Omnium
ecclesiarum.
A differenza del Pontefice, il quale ha sulla Chiesa una potest, piena,
suprema ed universale, il Collegio non assume autorit se non insieme col
Romano Pontefice. I Vescovi, infatti, non possono validamente agire quale
collegio, venendo a mancare, sia anche ex post, mediante lapprovazione dei
provvedimenti emanati, lazione del Suo Capo,
A norma del can. 337, il Collegio dei Vescovi, esercita la potest sulla Chiesa
universale in modo solenne, per mezzo del Concilio Ecumenico, ed anche per
mezzo dellazione congiunta dei Vescovi sparsi nel mondo, a condizione che
essa sia stata indetta o, comunque, liberamente recepita dal Romano
Pontefice, in modo da realizzare, anche a posteriori, un vero e proprio atto
collegiale.
Ad ulteriore conferma di quanto appena detto sui limiti della collegialit
episcopale, il can. 337 2 precisa che resta in capo al Pontefice la potest di
scegliere e promuovere, secondo le necessit della Chiesa, i modi attraverso
i quali il Collegio dei Vescovi pu esercitare collegialmente il suo ufficio nei
confronti della Chiesa universale.
Non frequente, tuttavia, lesercizio della potest piena e suprema su tutta
la Chiesa mediante atti strettamente collegiali. Nel corso della storia della
Chiesa per sole ventuno volte sono stati celebrati concili Ecumenici.
Il Concilio Ecumenico
Il Concilio Ecumenico lassemblea di tutti i Vescovi del mondo attraverso la
quale il Collegio episcopale esercita in modo solenne la potest sulla Chiesa
universale. La sua convocazione, a norma del can. 338, spetta unicamente
al Romano Pontefice il quale lo presiede personalmente o tramite un
delegato, stabilisce lordine del giorno e il regolamento dei lavori rispetto al
quale i Padri conciliari possono solo aggiungere altri argomenti da trattare
sotto Sua approvazione, ne stabilisce la sede di convocazione, lo trasferisce
e provvede a scioglierlo, ne approva i decreti. Tutti i Vescovi membri del
Collegio episcopale risultano titolari del diritto-dovere di partecipare al
Consiglio Ecumenico con diritto di voto. Inoltre, a norma del can. 339 2,
lautorit suprema della Chiesa pu convocare per il Concilio ecumenico
anche altri che non siano insigniti della dignit episcopale, come accade ad
esempio per i superiori degli ordini religiosi, determinandone in maniera

specifica le modalit di partecipazione. Il can. 340, rimarcando il vincolo


imposto alla collegialit dalla superiorit gerarchica del Sommo Pontefice,
precisa che, qualora dovesse realizzarsi durante un Concilio Ecumenico la
vacanza della Sede apostolica, esso risulterebbe sospeso ipso iure fino a
quando il nuovo Pontefice non abbia ordinato la ripresa dei lavori o lo
scioglimento.
Infine, il can. 341, sancisce che i decreti del Concilio ecumenico acquistano
forza obbligatoria solo se sono stati approvati dal Romano Pontefice insieme
ai Padri conciliari, o dal Pontefice stesso successivamente confermati e, per
suo comando, promulgati.
Il Sinodo dei Vescovi.
Il Sinodo dei Vescovi stato istituito nel 1965 da Paolo VI col motu proprio
Apostolica sollecitudo. Trattasi, secondo la definizione fornitaci dal can.
342, di unassemblea di Vescovi in rappresentanza dellepiscopato mondiale,
inserita nellorganizzazione gerarchica della chiesa e posta allimmediata
dipendenza del Romano Pontefice cui spetta convocarlo, nominarne i
membri, stabilire le questioni che andranno trattate, presiederlo di persona o
a mezzo di un delegato, concluderlo, trasferirlo, sospenderlo o scioglie. Il
Sinodo svolge la propria attivit al fine di favorire una stretta unione fra il
Romano Pontefice e i Vescovi stessi, per prestare aiuto con il loro consiglio al
Romano Pontefice nella salvaguardia e nellincremento della fede e dei
costumi, nellosservanza e nel consolidamento della disciplina ecclesiastica
ed, in genere, per studiare i problemi riguardanti lattivit della Chiesa nel
mondo. Il Sinodo rappresenta sicuramente la pi alta espressione di quella
cooperazione dei Vescovi al Sommo Pontefice, prevista dal can. 334, e
dimostra che tutti i Vescovi sono partecipi, in gerarchica comunione, della
sollecitudine della Chiesa universale
E possibile, sulla base di quanto detto sinora, distinguere il Sinodo sia dal
Collegio episcopale, in quanto questultimo risale alla volont di Cristo da cui
riceve direttamente la sua potest, mentre il Sinodo dei Vescovi organismo
di istituzione puramente ecclesiastica; sia dal Concilio ecumenico in cui vi
la partecipazione dellintero episcopato cattolico, mentre nel Sinodo vi e solo
una rappresentanza di esso.
Il Sinodo dei Vescovi, inoltre, non ha, a differenza del Concilio ecumenico,
poteri legislativi. Esso, infatti, pu solo discutere sulle questioni che gli
vengono proposte e formulare voti, senza, tuttavia, adottare alcuna
decisione o emanare appositi decreti.
Invero, per casi specifici e per materie determinate, il Romano Pontefice pu
attribuire al Sinodo dei Vescovi anche poteri deliberativi. In tali casi le
decisioni adottate dovranno, comunque, essere sempre ratificate dal
Pontefice (can. 343).
Fuori da tale specifica ipotesi, i documenti elaborati dal Sinodo vengono
consegnati al Papa che se ne serve nel modo che ritiene pi opportuno ai fini
del buon governo della Chiesa.
Similmente a quanto gi visto per il Concilio Ecumenico, in caso di vacanza
della Sede Apostolica, ai sensi del can. 347 2 il Sinodo in corso di
celebrazione viene sospeso finch il nuovo Pontefice non abbia deciso per il
suo scioglimento o per la sua continuazione. Per quanto concerne la sua

struttura, il Codice prevede tre particolari tipi di conformazione


dellassemblea sinodale: lassemblea generale ordinaria, lassemblea
generale straordinaria, e lassemblea speciale (cann. 345 e 346).
Nella prima, che si celebra normalmente con cadenza triennale, vengono
trattati argomenti che riguardano direttamente il bene della Chiesa. Essa
composto da membri, per lo pi Vescovi, eletti dalle singole Conferenze
Episcopali, cui se ne aggiungono altri nominati direttamente dal Romano
Pontefice e alcuni membri di istituti religiosi clericali.
Lassemblea generale straordinaria si occupa di argomenti di carattere
generale che per richiedono una soluzione immediata: in questo caso si
compone di membri di diritto, per lo pi Vescovi, delegati in virt dellufficio
che svolgono, di membri designati dal Romano Pontefice e di rappresentanti
di istituti religiosi clericali.
LAssemblea speciale, invece, trattati di questioni che riguardano
direttamente una o pi regioni determinate. Ad essa prendono parte Vescovi
delle regioni per le quali il Sinodo viene convocato o una loro
rappresentanza. A norma del can. 348 il Sinodo si avvale di una Segreteria
generale permanente, presieduta dal segretario generale, nominato dal
Sommo Pontefice e coadiuvato da un gruppo di quindici Vescovi formanti il
consiglio di segreteria, dodici dei quali eletti dallassemblea generale del
Sinodo e tre designati dal sommo Pontefice
I Cardinali di Santa Romana Ecclesia
I Cardinali sono i principali collaboratori del Papa nel governo della Chiesa
Universale. I loro uffici sono di istituzione umana e non divina e, nellinsieme,
formano un collegio di natura particolare denominato correntemente Sacro
Collegio. Nel codice vigente scomparsa la definizione di Senato del Romano
Pontefice che valeva nel codice del 1917 ad indicare linsieme Cardinali.
Lattuale Codice attribuisce ai Cardinali una duplice funzione. Ad essi spetta,
infatti, da un lato, eleggere il Papa; dallaltro ad essi, come si diceva, spetta
di assistere il Pontefice quale Pastore della Chiesa Universale, sia
collegialmente quando sono convocati nei Concistori a norma del can. 353,
sia individualmente mediante gli uffici che possono svolgere.
Di regola i Cardinali sono preposti ai dicasteri e agli altri organismi
permanenti della Curia Romana e della Citt del Vaticano oppure sono a capo
delle pi importanti diocesi.
La creazione dei Cardinali, ovvero la loro nomina, spetta esclusivamente al
Pontefice, come si evince dal can. 351, il quale dovr scegliere tra uomini gi
sacerdoti ed eccellenti per dottrina, moralit, piet e prudenza di
comportamento. Qualora la scelta per la creazione cardinalizia dovesse
ricadere su soggetti non ancora Vescovi, dopo la nomina debbono ricevere la
consacrazione episcopale. I Cardinali vengono creati con decreto del Romano
Pontefice che viene pubblicato innanzi al Collegio dei Cardinali; dal momento
della pubblicazione essi sono tenuti a osservare i doveri e godono dei diritti
stabiliti dalle leggi. Pu verificarsi, tuttavia, che il Pontefice annunzi di aver
creato un Cardinale ma si riservi di farne conoscere il nome (nomen in
pectore sibi reservemus): in tal caso il designato sar tenuto a osservare i
doveri e godr dei diritti dei Cardinali solo dal momento della successiva
pubblicazione, mentre, agli effetti del diritto di precedenza precedenze, varr

la data della riserva in pectore.


I cardinali, nel loro insieme, compongono un collegio di natura particolare
denominato Collegio Cardinalizio o Sacro Collegio.
Il Collegio distinto in tre ordini (can. 350): quello episcopale, cui
appartengono i Cardinali Vescovi cui il Pontefice assegna il c.d. Titolo di una
Chiesa suburbicaria (Ostia, Albano, Frascati, Palestrina, Porto e Santa Rufina,
Sabina e Poggio Mirteto, Velletri.) e i Patriarchi Orientali che vengono creati
Cardinali; quello presbiterale cui appartengono i Vescovi diocesani nominati
cardinali; quello diagonale, cui appartengono i Cardinali che non sono
vescovi diocesani.
Norme precise e dettagliate disciplinano lassegnazione del Cardinali ai vari
ordini e le possibilit di passaggio da un ordine allaltro.
Il Collegio dei Cardinali presieduto dal Cardinale Decano di cui fa le veci il
Cardinale Sottodecano: il can. 352 precisa che ambedue non hanno alcuna
potest di governo sugli altri Cardinali, ma sono solo considerati primus inter
pares.
Il concistoro
Il dovere di collaborare con il Pontefice per il governo della Chiesa Universale
assolto, principalmente, mediante il Concistoro. Per esso si intende la
riunione dei Cardinali con il Romano Pontefice. In passato si distingueva tra
tre tipi di Concistoro: ordinario o segreto, per la nomina di nuovi cardinali,
per la provvista dei benefici concistoriali, per la concessione del palio ai
metropoliti, etc..; quello straordinario o pubblico, che in realt era una
solenne cerimonia nel corso della quale avevano luogo i discorsi ufficiali delle
cause di beatificazione e di canonizzazione, limposizione della berretta ai
nuovi cardinali, etc..; quello semipubblico, alla presenza non solo dei
cardinali ma anche di altri prelati, per la disamina delle cause di
beatificazione e canonizzazione.
Oggi il codice distingue tra concistoro ordinario nel quale vengono convocati
se non proprio tutti, almeno i Cardinali che si trovino in Roma, per essere
consultati su questioni (anche ricorrenti) di una certa gravit o per compiere
determinati atti dotati della massima solennit; e concistoro straordinario
nel quale vengono convocati tutti i Cardinali per la trattazione di casi
particolarmente gravi o qualora lo richiedano particolari necessit della
Chiesa. Il Concistoro , di regola, segreto: solo quello ordinario pu talvolta
essere pubblico allorquando si compiono particolari solennit; in tal caso vi
sono ammessi, oltre ai Cardinali, i Prelati, gli Ambasciatori ed altri invitati
(can. 353, 4).
La Curia Romana
La Curia Romana linsieme dei dicasteri e degli organismi che coadiuvano il
romano Pontefice nellesercizio del suo supremo ufficio pastorale per il bene
e il servizio della Chiesa universale e delle Chiese particolari, esercizio con il
quale si rafforzano lunit di fede e la comunione del Popolo di Dio e si
promuove la missione propria della Chiesa nel mondo.
La Curia non va confusa con il governo di uno Stato. Il Papa, infatti, anche il
capo del pi piccolo Stato del mondo (lo Stato della Citt del Vaticano),
tuttavia lunica ragion dessere di questo minuscolo Stato quella di

garantire al Sommo Pontefice la libert necessaria per esercitare la sua


funzione di Supremo pastore della Chiesa Cattolica ed in questa funzione
peculiare che assistito dalla Curia romana. Questo insieme di uffici, che in
nome del Pontefice e con la sua autorit adempie alla propria funzione per il
bene e a servizio delle chiese (can. 360), composto da: la Segreteria di
Stato; le Congregazioni; i Tribunali; i Consigli; gli Uffici, cio la
Camera apostolica, lAmministrazione del Patrimonio della Sede apostolica,
la Prefettura degli affari economici della Santa Sede. Tra gli istituti della Curia
romana si collocano la Prefettura della Casa Pontificia e lUfficio delle
Celebrazioni Liturgiche del sommo Pontefice.
La costituzione e le competenze di questi uffici sono disciplinati con proprie
leggi particolari. Il can. 361 ha opportunamente precisato che, quando nel
Codice si parla di Sede Apostolica o Santa Sede, deve intendersi non solo il
Romano Pontefice. ma anche, se non risulti diversamente dalla natura delle
cose o dal testo del discorso, la Segreteria di Stato e gli altri Organismi della
Curia Romana.
La struttura Gerarchica nella dimensione particolare.
La struttura gerarchica della Chiesa si esprime anche nelle diverse comunit
cristiane che si riconoscono nellunica Chiesa cattolica. Cos lunit della
Chiesa si manifesta nella molteplicit di Chiese particolari formate ad
immagine della Chiesa Universale ed a partire dalle quali si edifica la sola ed
unica Chiesa Cattolica che appare, dunque, quale corpus ecclesiarum
Come sottolineato dalla Dottrina, il rapporto tra Chiesa Universale e
Particolare non si esaurisce a mero rapporto di genere a specie, in quanto
lunica Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica ed apostolica,

veramente

presente ed agisce nella Chiesa Particolare. Per tale ragione si ritiene che
nella Chiesa Universale il Vescovo, rappresenta le esigenze della singola
Ecclesiae Porzio, ed in Essa lo stesso manifesta, attraverso il proprio
Ministero, lUnit Santa della Chiesa Universale.
Alle Chiese Particolari e ai loro raggruppamenti particolari dedicato il Libro
II, parte II, Sezione II, Titolo I del Codice di diritto canonico.
La Diocesi e le altre circoscrizioni ecclesiastiche
Il can. 368 presuppone che la Chiesa particolare si realizzi in via principale
nella diocesi, alla quale sono assimilate la prelatura territoriali, labazia
territoriale,

il

vicariato

apostolico,

le

prefetture

apostoliche

le

amministrazioni apostoliche stabilmente erette.


Lequiparazione alla diocesi di tali strutture ecclesiastiche fondata su

ragioni di economia normativa e non pu prescindere dal fatto che esse non
siano gi diocesi. La disciplina normativa, tuttavia, si applica a tali strutture
qualora non consti diversamente per espressa norma giuridica. La predetta
assimilazione ha il proprio fondamento nel fatto che in tali strutture, cos
come nelle diocesi, devono necessariamente sussistere tali elementi: da un
lato, per regola generale, il fatto di essere, per regola generale, circoscritte
territorialmente e, dallaltro, il fatto di essere costituite per lesercizio delle
cure delle anime dei propri fedeli che costituiscono una porzione definita del
popolo di Dio.
Il can. 369 definisce la Diocesi quale porzione del popolo di Dio che viene
affidata alla cura pastorale del Vescovo con la cooperazione del presbiterio,
in modo che, aderendo al suo pastore e da lui riunita nello Spirito Santo
mediante il Vangelo e l'Eucaristia, costituisca una Chiesa particolare in cui
veramente presente e operante la Chiesa di Cristo una, santa, cattolica e
apostolica. Essa lentit canonica in cui si realizza in modo pieno il
concetto teologico di Chiesa Particolare.

La definizione sopra indicata

recepita dal Codice dal decr. Christus Dominus. Da essa derivano tre precisi
elementi costitutivi:

un pastore posto a capo di essa, di regola un Vescovo

un popolo, costituito da una porzione di fedeli

un presbiterio.

Lelemento territoriale, non menzionato dal canone in questione, rileva in


relazione alla lettura combinata con il can 372 il quale richiede per le diocesi
e le strutture ad essa equiparate una precisa dimensione territoriale.
Tuttavia, salvo rare eccezioni, si ritiene che il territorio non sia elemento
costitutivo essenziale della Chiesa Particolare, costituendo solo il criterio pi
funzionale e quello pi generalmente impiegato per determinare la porzione
del popolo di Dio che la compone. Si ammettono, infatti, anche solo in parte,
eccezioni per gli ordinariati militari e le prelature personali e per i fedeli di
rito orientale ai quali garantita la possibilit di istituzioni Diocesane legate
al rito.
Ci fa desumere che per fondate ragioni sia possibile erigere anche Diocesi
non strettamente territoriali

La Diocesi , dunque, quel distretto che comprende il territorio soggetto


allautorit del Vescovo e

finisce, per traslazione semantica, ad indicare lo

stesso ufficio vescovile.


Se la Diocesi rappresenta la fondamentale struttura locale della Chiesa,
lordinamento canonico disciplina forme diverse di organizzazione di porzioni,
per regola generale, territorialmente circoscritte del popolo di Dio, di
carattere eccezionale, ma sempre riconducibili alla nozione di Chiesa
Particolare. In esse si trovano gli elementi tipici della Chiesa Particolare sopra
elencati, anche se spesso in maniera non sempre completa.

Ad esempio

esse non sempre hanno a capo un Vescovo, come nel caso delle prelature
territoriali e delle abazie territoriali che hanno a capo un presbitero che
governa a modo di Vescovo diocesano; o come nel caso dei vicariati, delle
prefetture e delle amministrazioni apostoliche il cui Pastore governa non in
nome proprio, ma in nome del sommo Pontefice. Le forme di organizzazione
riconducibili alla Chiesa Particolare sono disciplinate dai cann. 370 371 e
sono:

Can. 370, Prelatura ed Abazia Territoriale (nullius diocesis, non


dipendenti, id est, da alcuna diocesi). Esse sono porzioni del popolo di
Dio circoscritte territorialmente circoscritte alla cui guida preposto,
come si gi detto, un Prelato o un Abate che la governano a nome
proprio

Can 371, 1, Vicariato e Prefettura Apostolica, porzioni del popolo di


Dio territorialmente circoscritte

non ancora costituiti in Diocesi ed

affidati alla guida pastorale, rispettivamente, di un Vicario e di un


Prefetto Apostolico, che governano non in nome proprio ma in nome
del Pontefice. Essi preludono alla realizzazione di una vera e propria
Diocesi e, per tale ragione sono definiti quali tentativi di organizzazione
ecclesiastica.

Can. 371 2, Amministrazione Apostolica che, per ragioni speciali e


particolarmente gravi

non viene eretta in Diocesi ed affidata al

governo di un Amministratore Apostolico che la governa in nome del


Pontefice, dunque anche esso con potest vicaria. Esse sono istituite a
ragione di mutamenti nelle frontiere degli Stati, o di rapporti

diplomatici con gli Stati o per ragioni di carattere ecumenico.

L'ordinariato castrense, istituzione sui generis della Chiesa particolare


che costituisce come visto un eccezione al principio di territorialit.
Lordinariato militare o castrense, finalizzato a provvedere in seno
alle forze armate di una nazione alla missione pastorale della Chiesa.
Essi, equiparati alle diocesi, hanno a capo lordinario militare. Essi sono
regolati dalla Costituzione Apostolica Spirituali militum cura e dallo
statuto proprio di ogni ordinariato. LOrdinario militare fa parte di
diritto della Conferenza Episcopale di quella Nazione in cui lOrdinariato
ha la propria sede.

I Vescovi in generale. Il Vescovo Diocesano, Coadiutore ed Ausiliare


Lautorit posta a capo dellordinamento gerarchico della Chiesa particolare
il Vescovo. Il Codice ne fornisce precisa definizione al can. 375: I Vescovi,
che per divina istituzione sono successori degli Apostoli, mediante lo Spirito
Santo che stato loro donato, sono costituiti Pastori della Chiesa, perch
siano anch'essi maestri di dottrina, sacerdoti del sacro culto e ministri del
governo. Con la stessa consacrazione episcopale i Vescovi ricevono, con
l'ufficio di santificare, anche gli uffici di insegnare e governare, i quali
tuttavia, per loro natura, non possono essere esercitati se non nella
comunione gerarchica col Capo e con le membra del Collegi . Essa afferma
un principio dogmatico: la divina istituzione dellepiscopato, quale elemento
fondamentale della costituzione della Chiesa
Il successivo canone distingue tra Vescovi Diocesani e Vescovi Titolari. I
primi, noti come residenziali,
esistente, i secondi

sono preposti al governo di una Diocesi

comprendono tutti gli altri, coadiutori ed ausiliari, ai

quali non affidato il governo di una specifica diocesi. La denominazione di


Vescovi Titolari discende dal fatto che ad essi si era soliti assegnare il
governo di una Diocesi estintasi nel corso dei secoli e detta, appunto,
titolare. Oggi non a tutti i Vescovi titolari viene affidata una Diocesi titolare.
Ad esempio i Vescovi che hanno rinunciato al governo di una diocesi vengono
chiamati Vescovi dimissionari della Diocesi di; inoltre, i vescovi coadiutori
vengono denominati Vescovi coadiutori della Diocesi e cos i Vescovi

Ausiliari. Tutti, non essendo Vescovi Diocesani, sono, comunque, Vescovi


Titolari.
Ai sensi del can. 377 1 la nomina dei Vescovi pu realizzarsi in un duplice
modo, o per elezione confermata dal Pontefice il quale conferisce al Vescovo
la missio canonica, o per libera nomina da parte del Pontefice il quale a tale
scopo si avvale della Congregazione dei Vescovi e della partecipazione della
Chiese particolari. Il primo il metodo tradizionalmente usato nella Chiesa
Orientale, ma lo si trova anche in alcune Diocesi della Chiesa Austrica,
Tedseca e Svizzera. Il secondo il modo principale in uso nella Chiesa latina.
Per agevolare il compito del Pontefice, il can. 377 2 dispone che almeno
ogni triennio i Vescovi di ogni provincia ecclesiastica (vedi infra) o, qualora lo
richiedano le circostanze, la conferenza episcopale (vedi infra), debbano
stilare un elenco di presbiteri idonei allepiscopato, ferma restando

la

possibilit per ogni Vescovo di segnalare in autonomia quei sacerdoti che


ritiene idonei alla funzione episcopale.
Per ci che riguarda lidoneit all'episcopato di un candidato , il can 378
richiede che si tartti di soggetto eminente per fede salda, buoni costumi,
piet, zelo per le anime, saggezza, prudenza e virt umane, e inoltre dotato
di tutte le altre qualit che lo rendono adatto a compiere l'ufficio in
questione; che goda di buona reputazione; che abbia almeno trentacinque
anni di et; che sia presbitero almeno da cinque anni; che abbia conseguito
la laurea dottorale o almeno la licenza in sacra Scrittura, teologia o diritto
canonico in un istituto di studi superiori approvato dalla Sede Apostolica,
oppure sia esperto in tali discipline.
Il giudizio definitivo sull'idoneit del candidato spetta alla Sede Apostolica.
Il canone in questione risulta innovato rispetto alla sua precedente versione
oltre che sul dato anagrafico, essendo originariamente il limite pi basso dei
trent'anni , anche sotto il profilo del carattere di figlio legittimo non pi
richiesto ai fini dellidoneit episcopale .
Chi promosso allepiscopato deve ricevere la consacrazione episcopale
entro tre mesi dalla ricezione della lettera apostolica e, comunque, prima di
prendere possesso del suo ufficio. Prima di ci dovr anche prestare
giuramento di fedelt alla sede Apostolica secondo la formula dalla stessa

approvata.
Vale la pena sottolineare che il can. 377 5 nega qualunque diritto o
privilegio alle autorit civili per quanto concerne lelezione, la nomina, la
presentazione e la designazione dei Vescovi. E interessante notare sul punto
come lart 3 del nuovo concordato tra lo Stato Italiano e la Santa Sede abbia
abolito la clausola del gradimento dello Stato sulla nomina dei Vescovi che
era stato introdotto dal precedente testo del 1929.
Quando ad un Vescovo assegnata la cura di una Diocesi, esso assume la
denominazione di Vescovo Diocesano. A norma del can 381, infatti,
Compete al Vescovo diocesano nella diocesi affidatagli tutta la potest
ordinaria, propria e immediata che richiesta per l'esercizio del suo ufficio
pastorale, fatta eccezione per quelle cause che dal diritto o da un decreto del
Sommo

Pontefice

sono

riservate

alla

suprema

ad

altra

autorit

ecclesiastica.
In diritto canonico sono equiparati al Vescovo diocesano, a meno che non
risulti diversamente per la natura della cosa o per una disposizione del
diritto, coloro che presiedono le altre comunit di fedeli di cui al can. 368.
Per ci che concerne i compiti del Vescovo Diocesano sono indicati dal can
383 al can 394.
Il Vescovo da buon Pastore deve avere innanzitutto cura di tutti i fedeli di
qualsiasi et, condizione o nazione, che risiedano o si trovino nel territorio
della sua Diocesi. Egli dovr rivolgersi con cura particolare a coloro che si
sono allontanati dalla fede cattolica o che per le proprie condizioni di vita
hanno difficolt ad usufruire sufficientemente della cura pastorale ordinaria.
Il Vescovo diocesano deve provvedere alle necessit spirituali dei fedeli di
rito diverso che si trovino nella sua diocesi mediante parrocchie e sacerdoti
di detto rito sia mediante un Vicario episcopale. Egli dovr avere un
atteggiamento di umanit e carit verso i fratelli che non sono in piena
comunione con la chiesa favorendo, cos, lecumenismo e dovr curare
anche i non battezzati in quanto chiamato a ad essere presso di essi
testimone della carit del Signore.
Il Vescovo deve curare con particolare cura anche i presbiteri che deve
ascoltare come suoi collaboratori e consiglieri, difendendo i loro diritti e

preoccupandosi che essi eseguano fedelmente gli obblighi propri del loro
stato, provvedendo anche al loro sostentamento. Egli deve promuovere la
santit dei fedeli secondo la vocazione propria di ciascuno, adoperandosi
affinch i fedeli partecipino alla celebrazione dei sacramenti.
Il Vescovo Diocesano assolve dunque nella sua Chiesa particolare le funzioni
proprie del Pastor essendo maestro, sacerdote e capo. Da maestro egli cura
che vengano presentate a tutte le verit di fede da credere e applicare nei
costumi attraverso la predicazione, la catechesi e lesempio concreto di vita
santa.
Da sacerdote egli il principale dispensatore dei divini misteri , promuove il
culto e regge lintera vita liturgica, provvedendo alla debita celebrazione ed
amministrazioni e dei sacramenti.
In qualit di capo della sua chiesa, nel rispetto della legge universale il
Vescovo:

esercita personalmente la potest legislativa: egli soltanto


legislatore nella diocesi;

pu giudicare le cause sia personalmente sia mediante il suo


Vicario giudiziale e gli altri giudici diocesani;

esercita la potest esecutiva da s o tramite il Vicario generale e


i Vicari episcopali;

il rappresentante giuridico della diocesi ed amministratore dei suoi beni.


Come garante della comunione ecclesiastica il Vescovo vigila che nella
diocesi sia rispettata la disciplina comune a tutta la Chiesa, si osservino le
leggi e non si introducano abusi; promuove insieme la legittima diversit di
carismi e di forme di apostolato, coordinandoli al bene comune.
Compiuti i 75 anni di et o quando, per causa di malattia o altra causa grave,
egli divenisse meno idoneo al suo incarico, il Vescovo invitato dal c. 401 a
presentare la rinuncia al Santo Padre. Quando per qualsiasi ragione il
Vescovo cessa di ricoprire il suo ufficio la sede diocesana si dice vacante (c.
416); quando invece per prigione, confino, esilio o inabilit egli non pu
nemmeno comunicare coi suoi diocesani la sede si dice impedita (c. 412).
Il rapporto che lega il Vescovo diocesano a quella porzione del popolo di Dio

di cui e stato costituito Pastore, evidenziato da alcuni doveri specifici che il


Codice sancisce. Ad esempio, ai sensi del can. 395, il Vescovo deve risiedere
nella diocesi e non pu rimanervi assente pi di un mese salvo casi
particolari, ovviamente, che si tratti de. Egli tenuto a celebrare la Messa
per il popolo che gli affidato, ogni domenica e nelle altre feste di precetto
(can. 388). Il <vescovo anche tenuto a visitare, ogni anno, almeno una
parte della diocesi in modo da visitarla tutta almeno ogni cinque anni (can.
396).
Dal rapporto gerarchico con la suprema autorit della Chiesa Universale,
discendono alcuni obblighi fondamentali:tra cui quello di presentare ogni
cinque anni una relazione al Sommo Pontefice sullo stato della diocesi
affidatagli (can. 399) e venerare a Roma, lo stesso anno in cui tenuto a
depositare la predetta relazione, le tombe dei Beati Apostoli Pietro e Paolo e
presentarsi al Sommo Pontefice nella c.d. visita ad limina (can. 400).
Il can. 403 elenca tre figure possibili tra i collaboratori diretti del vescovo
diocesano. Essi sono: il vescovo ausiliare nominato, senza alcun diritto di
successione, dalla Santa Sede, in casi particolari e qulora lo richiedano le
esigenze della diocesi ed il vescovo diocesano ne faccia espressa richiesta; il
Vescovo ausiliare nominato dalla Santa Sede in gravi circostanze anche di
carattere personale e dotato di speciali facolt; il vescovo coadiutore
assegnato d'ufficio al vescovo diocesano, dotato di iure successionis al
momento della vacanza della diocesi e che in attesa ottiene dall'ordinario
diocesano la nomina a vicario generale.
La presenza di tali Vescovi, tutti riconducibili alla categoria dei vescovi
titolari, finalizzata al migliore andamento della Diocesi in quanto essi
compiono il loro ufficio in unione col Vescovo diocesano che rimanendo,
comunque, a capo di essa, deve consultarli per gli atti di maggiore rilevanza.
A conferma di ci quanto espresso dal can.407, il quale riprendendo il
decreto Christus Dominus, stabilisce che Perch sia favorito nel migliore dei
modi il bene presente e futuro della diocesi, il Vescovo diocesano, il
coadiutore e il Vescovo ausiliare di cui nel can. 403. 2, si consultino tra di
loro nelle questioni di maggiore importanza. il Vescovo diocesano, nel
valutare le cause di maggiore importanza, soprattutto di carattere pastorale,

prima degli altri voglia consultare i Vescovi ausiliari. il Vescovo coadiutore e il


Vescovo ausiliare, in quanto sono chiamati a partecipare alla sollecitudine
del Vescovo diocesano, esercitino le loro funzioni in modo da procedere
insieme con lui di comune accordo.
Le raccomandazioni espresse in questi canoni rispondono ad esigenze di
buon governo della diocesi, e sono concreta manifestazione dellintima
unione e comunione che vincola tra loro tutti i membri del Collegio
episcopale, e che deve manifestarsi, innanzi tutto, tra coloro che lavorano
assieme al governo della medesima diocesi
Il can 408 prosegue, d'altro canto in questa direzione indicando che: Il
Vescovo coadiutore e il Vescovo ausiliare, che non siano giustamente
impediti, sono obbligati, ogni volta che ne siano richiesti dal Vescovo
diocesano, a celebrare i pontificali e le altre funzioni cui il Vescovo diocesano
tenuto. Lo stesso canone prosegue con un'interessante precisazione
sottolineando come il Vescovo Diocesano non debba eccedere nel delegare
le proprie funzioni ai soggetti anzidetti.
In particolare, ad essi sono tenuti agli obblighi disciplinati dal codice di diritto
canonico e definiti dalla lettera di nomina.
La struttura interna delle Chiese particolari
- La curia diocesana
La curia diocesana ha il compito di assistere il Vescovo nella direzione
dellattivit pastorale, nellamministrazione della diocesi e nellesercizio della
potest giudiziaria. Al vertice della curia c il vicario generale, nominato
dal Vescovo, a cui spetta di diritto la stessa potest esecutiva su tutta la
diocesi che spetta al Vescovo, cio la potest di porre tutti gli atti
amministrativi salvo quelli che il Vescovo si sia riservato (can. 479). E una
facolt del Vescovo costituire uno o pi vicari episcopali, di sua libera
nomina, con la stessa potest ordinaria che spetta al vicario generale ma
circoscritta ad una parte determinata della diocesi, per un determinato
genere di affari, per i fedeli di un determinato rito o per un gruppo di persone
(cann. 476, 479). Entrambi questi vicari possono essere liberamente rimossi
dal Vescovo (can. 477), devono mantenerlo informato sulle attivit e non

agire mai contro la sua volont e il suo intendimento (can. 480). Spetta al
Vescovo diocesano coordinare lattivit pastorale dei vicari, curando che
lintera amministrazione risponda al bene della porzione del popolo di Dio
che gli affidata (can. 473). Il cancelliere, invece, provvede alla compiuta
redazione degli atti della curia e alla loro custodia nellarchivio o tabularium
diocesano (can. 486). Il consiglio per gli affari economici, presieduto dal
Vescovo, composto da almeno tre fedeli esperti in economia e in diritto
civile nominati dal Vescovo per un quinquennio (can. 492); ha il compito ogni
anno di predisporre, sotto le indicazioni del Vescovo, il bilancio preventivo
della diocesi per lanno successivo e approvare alla fine dellanno il bilancio
consuntivo delle entrate e delle uscite (can. 493); inoltre richiesto il suo
parere obbligatorio (consilium) sugli atti di amministrazione della diocesi di
maggiore importanza e il suo consenso (consensus) per quelli di
amministrazione straordinaria (can. 1277). Leconomo, nominato dal
Vescovo sempre per un quinquennio, amministra i beni della diocesi sotto
lautorit del Vescovo, effettua le spese che il Vescovo abbia ordinato e
presenta nel corso dellanno il bilancio delle entrate e delle uscite al consiglio
per gli affari economici (can. 494).
- Il consiglio presbiterale e il collegio dei consultori
Sono due organismi presbiterali che hanno un ruolo nel governo della
diocesi, sono previsti dal codice del 1983 e sostituiscono quello che un
tempo era il capitolo cattedrale. Il fondamento di questi istituti risiede nel
sacramento dellordine, in forza del quale i presbiteri sono intimamente
associati allordine episcopale e chiamati a cooperare con il ministero del
Vescovo. Pertanto i sacerdoti costituiscono insieme al loro Vescovo un unico
presbiterio destinato a diversi uffici, inoltre nelle singole comunit locali
rendono presente il Vescovo e ne prendono gli uffici. In passato esisteva il
capitolo cattedrale, composto dai presbiteri pi colti e di maggiore
prestigio allinterno della diocesi, a cui veniva concesso lufficio di canonico
della chiesa cattedrale, realizzando una forma elitaria di senato del Vescovo
che aveva importanti funzioni durante la vacanza della sede episcopale e in
alcuni casi il compito di eleggere il Vescovo diocesano previa approvazione
della Santa Sede. Il codice del 1983 ha introdotto organismi di partecipazione

e supplenza al governo fondati su una maggiore rappresentativit del


presbiterio. Il consiglio presbiterale un gruppo di sacerdoti che, in
rappresentanza del presbiterio, formano una sorta di senato del Vescovo,
cui spetta di coadiuvarlo nellinteresse del bene pastorale dei fedeli (can.
495). E un organismo necessario e dotato di propri statuti approvati dal
Vescovo, composto da sacerdoti per la met eletti dagli stessi sacerdoti
della diocesi, altri membri di diritto in virt del loro ufficio e altri liberamente
nominati dal Vescovo (can. 497). La durata in carica stabilita negli statuti,
in modo che il consiglio si rinnovi interamente nel corso di un quinquennio
(can. 501). E il Vescovo che convoca il consiglio, lo presiede e stabilisce le
questioni da trattare. Le funzioni del consiglio sono consultive: il Vescovo
deve ascoltarlo negli affari di maggiore importanza e chiede il suo consenso
solo in casi espressamente previsti (can. 500). Fra i membri di questo
consiglio il Vescovo nomina liberamente fra i sei e i dodici sacerdoti che per
un quinquennio costituiranno il collegio dei consultori. Questo collegio
presieduto dallo stesso Vescovo, ha delle funzioni fondamentali indicate dal
diritto, ad es. in caso di vacanza della sede episcopale e per i principali atti di
amministrazione dei beni della diocesi. Al capitolo dei canonici, invece, si
accede mediante designazione del Vescovo, ha funzioni minori come
assolvere

alle

funzioni

liturgiche

pi

solenni

le

altre

affidategli

specificamente dal Vescovo (can. 503, 509).


- Il consiglio pastorale diocesano
E un organismo di rappresentanza dellintero popolo di Dio, il codice prevede
la sua costituzione in ogni diocesi ed sotto lautorit del Vescovo. Le sue
funzioni sono studiare, valutare e proporre conclusioni operativa su quanto
riguarda le attivit pastorali della diocesi (can. 511); ha una competenza di
carattere generale ma con funzioni meramente consultive (can. 514). Trova il
suo fondamento nel sacerdozio comune dei fedeli, che rende corresponsabile
lintero popolo di Dio della missione di salvezza della Chiesa. E composto da
fedeli in piena comunione con la Chiesa, chierici, religiosi e soprattutto laici,
membri per un tempo determinato, scelti per rappresentare tutta la porzione
del popolo di Dio tenendo conto delle varie zone del territorio, delle
condizioni sociali, delle professioni e delle varie forme di apostolato (can.

512). Solo il Vescovo ha il compito di convocare e presiedere il consiglio


pastorale, almeno una volta allanno, e di rendere di pubblica ragione le
materie trattate (can. 514). Questo organismo porta un rinnovamento
conciliare (la Chiesa come popolo di Dio) ma nella nuova codificazione non
ha avuto molta considerazione a causa della previsione della sua stessa
facoltativit,

rendendo

opzionale

listituzione

della

sola

sede

di

rappresentanza effettiva del popolo di Dio. Il terminale operativo della


funzione di governo pastorale della diocesi la parrocchia, cio una
determinata comunit di fedeli che viene costituita stabilmente nellambito
di una Chiesa particolare, la cui cura pastorale affidata ad un parroco quale
suo pastore proprio, sotto lautorit del Vescovo diocesano (can. 515).
- Il sinodo diocesano
E uno strumento di ausilio allesercizio della funzione legislativa del Vescovo
diocesano e, secondo il Vaticano II, meriterebbe di essere maggiormente
utilizzato. Nel concilio di Trento si stabil che il sinodo diocesano doveva
essere convocato ogni tre anni, ma col tempo cadde in disuso. E lassemblea
dei sacerdoti e degli altri fedeli della Chiesa particolare, per prestare aiuto al
Vescovo (can. 460); viene convocato dal Vescovo diocesano, che lo presiede
personalmente o tramite il vicario generale o episcopale (cann. 461 462). Si
tratta quindi di un organismo temporaneo, destinato a cessare una volta
esaurita la sua funzione. Sono membri di diritto, oltre ai vari Vescovi e vicari,
i membri del consiglio presbiterale, una rappresentanza di laici eletti dal
consiglio pastorale diocesano e alcuni superiori di istituti religiosi, possono
essere chiamati anche altri fedeli (can. 463). Il codice prevede che tutte le
questioni proposte siano sottomesse alla libera discussione dei membri (can.
465) ma aggiunge anche che nel sinodo diocesano lunico legislatore il
Vescovo diocesano, infatti gli altri membri hanno solo un voto consultivo ed
solo lui che sottoscrive le dichiarazioni e i decreti sinodali, che possono
essere resi pubblici per la sua autorit (can. 466). Spetta sempre al Vescovo
diocesano sospendere o sciogliere il sinodo diocesano (can. 468). Le finalit
di questo organismo possono essere: adattare lapplicazione delle leggi
generali della Chiesa alle circostanze locali, emanare norme per lazione
pastorale e per il governo della diocesi, stimolare le varie attivit e iniziative,

correggere gli errori nella dottrina e nei costumi. Vi un evidente analogia


tra il sinodo diocesano e il sinodo dei vescovi, poich entrambi sono
strumenti di ausilio allesercizio di un ministero conferito ad una persona ma
che deve essere svolto al servizio dellintera comunit ecclesiale o detta
communio ecclesiarum.
I raggruppamenti di Chiese particolari
La costituzione Lumen gentium dice che lunione collegiale appare anche
nelle relazioni tra i singoli Vescovi e le Chiese particolari e la Chiesa
universale; poi aggiunge che varie Chiese, in vari luoghi, si sono costituite in
vari raggruppamenti (coetus) organicamente congiunti che godono di una
propria disciplina. La natura collegiale dellepiscopato incompatibile con la
concezione individualistica di tale ministero, esercitato dal suo titolare per il
bene della Chiesa. Il Vaticano II dice che i singoli Vescovi esercitano il loro
pastorale governo sopra la porzione del popolo di Dio che stata loro
affidata, non sopra le altre Chiese n sopra la Chiesa universale; ma in
quanto membri del Collegio episcopale sono tenuti ad avere per tutta la
Chiesa una sollecitudine che contribuisce al bene della Chiesa universale. Nel
corso della storia la coscienza della natura collegiale dellepiscopato e le
esigenze di un pi efficace svolgimento delle funzioni pastorali e di governo,
hanno portato allo sviluppo di forme di esercizio congiunto dando vita a
raggruppamenti di Chiese. Questi raggruppamenti non sono espressione di
collegialit in senso stretto o perfetta poich vi partecipano solo i Vescovi di
un determinato territorio e sono prive di quegli attributi e prerogative di
governo supremo della Chiesa. Come sono anche privi delle prerogative del
singolo Vescovo, che per istituzione divina allinterno della diocesi
lesclusivo titolare della potest di governo (can. 135). Si tratta quindi di
istituzioni di diritto ecclesiastico che manifestano la permanente operativit
nel sistema di governo della Chiesa di unaffectio collegialis, una delle sue
peculiarit, in grado di conformare lesercizio individuale del potere secondo
le esigenze della comunione ecclesiale. I principali raggruppamenti o
coetus

sono

le

province

regioni

ecclesiastiche,

le

diocesi

suffraganee raccolte attorno al Metropolita, i concili particolari e le


conferenze episcopali.

- Le province e le regioni ecclesiastiche


Le province ecclesiastiche sono circoscrizioni territoriali, dotate ipso iure di
personalit giuridica, che riuniscono le diocesi tra loro pi vicine al fine di
promuovere unazione pastorale comune e per favorire i rapporti dei Vescovi
diocesani (can. 431). Ciascuna diocesi inclusa allinterno del territorio deve
far parte della provincia, che pu essere costituita, soppressa o modificata
solo

dalla

suprema

autorit

della

Chiesa

(can.

431).

Le

province

ecclesiastiche pi vicine possono essere congiunte dalla Santa Sede in


regioni ecclesiastiche, su proposta della Conferenza episcopale e a cui pu
essere attribuita personalit giuridica. A questo istituto spetta favorire la
cooperazione e lattivit pastorale comune (cann. 433 434). Presiede la
provincia ecclesiastica il Metropolita, che lArcivescovo della diocesi in cui
preposto, in genere la sede episcopale, determinata o approvata dal
Pontefice (can. 435) che poi corrisponde alla citt pi importante del
territorio (sede metropolitana). Per le altre diocesi, dette suffraganee, spetta
al

Metropolita

vigilare

sullosservanza

della

fede

della

disciplina

ecclesiastica e di informare il Pontefice su eventuali abusi, senza poter


interferire direttamente sulla diocesi (can. 436).
- I concili particolari
Sono istituzioni dotate di potest di governo, soprattutto legislativa, che
riuniscono i Vescovi di un determinato territorio quando le circostanze lo
suggeriscono. Possono essere di due tipi: plenari e provinciali. Il concilio
plenario riunisce i Vescovi di tutte le Chiese particolari della medesima
Conferenza episcopale, a cui competono vari compiti: convocarlo con
lapprovazione della Sede Apostolica, scegliere il luogo, eleggerne il
presidente approvato dalla Santa Sede, determinarne la procedura, le
questioni da trattare, linizio e la durata e il suo scioglimento (cann. 439,
441). Il concilio provinciale raccoglie le diverse Chiese particolari della
medesima provincia ecclesiastica, viene celebrato ogni volta che risulti
opportuno alla maggioranza dei Vescovi diocesani (can. 440). Il Metropolita
presiede

il

concilio

e, col

consenso

della

maggioranza

dei

Vescovi

suffraganei, ha il compito di convocarlo, scegliere il luogo, determinare la


procedura e le questioni da trattare, indire lapertura e la durata, trasferirlo,

prorogarlo o scioglierlo (can. 442). A questi concili devono essere convocati e


hanno voto deliberativo tutti i Vescovi del territorio (diocesani, coadiutori,
ausiliari, titolari); devono essere chiamati ma con voto consultivo i vicari
generali

episcopali

delle

Chiese

particolari

del

territorio,

una

rappresentanza dei superiori maggiori degli istituti religiosi e delle societ di


vita apostolica, i rettori delle universit ecclesiastiche e cattoliche, i decani
delle facolt di teologia e diritto canonico del territorio; possono essere
chiamati con voto meramente consultivo anche i presbiteri e altri fedeli (can.
443). I concili particolari hanno competenza di carattere generale, cio cura
che si provveda nel proprio territorio alle necessit pastorali del popolo di Dio
e per questo scopo dispone di potest di governo, soprattutto legislativa,
cio per decidere ci che risulta opportuno per lincremento della fede, per
ordinare lattivit pastorale comune, per regolare i costumi e per conservare,
introdurre, difendere la disciplina ecclesiastica (can. 445). Il Vescovo
diocesano gode, allinterno della diocesi, di ampi poteri di dispensa
dallosservanza delle leggi disciplinari emanate dalla suprema autorit della
Chiesa (can. 87) e inoltre lo stesso Ordinario del luogo pu dispensare
validamente dalle leggi diocesane, dei concili particolari o della conferenza
episcopale (can. 88). Una volta concluso, i relativi atti del concilio devono
essere trasmessi alla Sede Apostolica, che deve concedere la recognitio dei
decreti da esso emanati, prima della loro promulgazione (can. 446).
- Le conferenze episcopali
Rivestono un ruolo fondamentale nella strutturazione e nellazione della
Chiesa nel mondo. Sono sorte spontaneamente gi nella seconda met del
XIX secolo, poi con il Concilio Vaticano II (il decreto Christus Dominus) e il
codice del 1983 hanno avuto una disciplina di diritto comune per tutta la
Chiesa. Organismo permanente, consiste in unassemblea dei Vescovi di una
nazione o di un territorio, i quali esercitano congiuntamente alcune funzioni
pastorali per i fedeli di quel territorio (can. 447). Il codice esprime un favore
per la dimensione nazionale delle conferenze episcopali, ma prevede
esplicitamente anche territori di ampiezza minore o maggiore (can. 448). La
loro erezione, soppressione o modifica spetta unicamente alla suprema
autorit della Chiesa e godono ipso iure della personalit giuridica (can.

449). Ne sono membri di diritto tutti i Vescovi diocesani del territorio e coloro
ad essi equiparati, i Vescovi coadiutori, i Vescovi ausiliari e gli altri Vescovi
titolari che svolgono nel territorio uno speciale incarico; possono essere
invitati anche gli Ordinari di un altro rito con voto solo consultivo (can. 450).
Queste conferenze godono di autonomia statuaria, cio elaborano i propri
statuti, soggetti alla recognitio da parte della Santa Sede, dove sono regolati
i principali organi interni: riunione plenaria, consiglio permanente, segreteria
generale. Ogni conferenza elegge al suo interno il proprio presidente e il
segretario generale (can. 452). Lorgano deliberativo la riunione
plenaria, pu infatti emanare decreti generali aventi valore legislativo; si
tiene almeno una volta lanno o secondo le necessit; ne fanno parte con
voto deliberativo i Vescovi diocesani, quelli ad essi equiparati e i Vescovi
coadiutori, invece i Vescovi ausiliari e i Vescovi titolari hanno voto
deliberativo o consultivo a seconda dello statuto (can. 454). Il consiglio
permanente lorgano esecutivo, la sua composizione stabilita negli
statuti, ha il compito di portare ad esecuzione le delibere assunte nella
riunione plenaria e preparare le questioni da trattare in quella sede (can.
457). La segreteria generale ha una funzione di ausilio e di redazione degli
atti, provvede inoltre a comunicare alle conferenze episcopali confinanti gli
atti e i documenti secondo le indicazioni ricevute. La potest deliberativa
per incontra un doppio limite, di materia e di quorum deliberativo, inoltre i
decreti sono soggetti ad un controllo preventivo da parte della Santa Sede.
Quindi possono emanare decreti solo nelle materie in cui lo abbia disposto il
diritto universale o se lo stabilisce un mandato speciale della Sede
Apostolica, sia motu proprio sia su richiesta (can. 455); nelle altre materie
rimane la competenza di ogni singolo Vescovo diocesano e la conferenza
episcopale non pu agire in nome di tutti i Vescovi se non con il loro
consenso unanime (can. 455). Per lapprovazione dei decreti generali si
richiede nella riunione plenaria il voto di almeno 2/3 dei membri con voto
deliberativo, infine questi decreti sono soggetti alla recognitio della Santa
Sede (can. 455). Questo procedimento ha lo scopo di non pregiudicare le
prerogative dei singoli Vescovi diocesani e lautonomia della Chiesa
particolare. Infatti da un lato le conferenze episcopali rappresentano la sede

pi adeguata per affrontare efficacemente delle questioni, dallaltro esse


sono semplici organismi la cui istituzione non pu alterare loriginaria
costituzione divina della Chiesa, che assegna ai singoli Vescovi il compito di
pastori.

CAPITOLO XIII
I BENI DELLA CHIESA
I beni ecclesiastici
Il can. 1254, che apre il libro V intitolato I beni temporali della Chiesa,
afferma che la Chiesa cattolica ha il diritto nativo, indipendentemente dal
potere civile, di acquistare, possedere, amministrare e alienare i beni
temporali per conseguire i fini che le sono propri; cio questi beni sono
destinati ad ordinare il culto divino, provvedere ad un onesto sostentamento
del clero, esercitare opere di apostolato sacro e di carit, specialmente al
servizio dei poveri.
Il codice non detta una definizione chiara, ma nel can. 1257 troviamo due
parametri per individuare i beni detti ecclesiastici: in primo luogo sono beni
temporali, distinti dai beni spirituali; in secondo luogo sono beni
appartenenti alla Chiesa, alla Sede Apostolica e alle altre persone
giuridiche pubbliche nellordinamento canonico. Alla cateoria di bene
ecclesiastico possiamo ricondurre beni di diverso genere: beni materiali (res
corporales) cio le parti del mondo sensibile aventi un valore economico, e
beni immateriali (res incorporales); i beni immobili e i beni mobili; le res
sacrae, cio quelle cose che con la consacrazione o con la benedizione sono
immediatamente destinate al culto divino.
Il patrimonio ecclesiastico costituito dunque dai beni appartenenti alle
persone giuridiche pubbliche, cio secondo il can. 116, quegli insiemi di
persone o cose (universitates personarum aut rerum) costituite dalla
competente autorit ecclesiastica perch compiano in nome della Chiesa il
compito ad essa affidato. Esse acquistano la personalit giuridica o ipso iure,
cio per disposizione di legge, o con provvedimento amministrativo della
competente autorit ecclesiastica (can. 116). Sono persone giuridiche
pubbliche ipso iure: le Chiese particolari (can. 373); le province
ecclesiastiche (can. 432); le conferenze episcopali (can. 449); le parrocchie
(can. 515); i seminari (can. 238); gli istituti religiosi, le loro province e case
(can. 634). E da considerarsi conservata la personalit giuridica ipso iure del
collegio cardinalizio (cann. 349 359) e dei capitoli dei canonici (cann. 503
510). Possono acquistare personalit giuridica con decreto dellautorit
ecclesiastica: le regioni ecclesiastiche (can. 433); le conferenze dei superiori
maggiori (can. 709); le Universit cattoliche (can. 807) e le Universit e
Facolt ecclesiastiche (cann. 815 816); le associazioni pubbliche di fedeli
(can. 301); le pie fondazioni autonome (can. 1303). Il codice conferisce la
qualificazione di persone morali alla Sede Apostolica e alla Chiesa
universale (can. 113) ponendole al di sopra delle altre per la loro origine

divina.
La costituzione del patrimonio ecclesiastico
Esistono due modi di acquisto dei beni temporali da parte della Chiesa: uno
di diritto privato (can. 1259), cio facendo ricorso agli istituti giuridici previsti
dai diritti secolari per lacquisto del diritto di propriet; laltro di diritto
pubblico, cio attraverso lesercizio del potere di imperio della Chiesa, che
pu imporre alle persone fisiche e giuridiche ad essa soggette di devolvere
parte dei loro redditi agli enti ecclesiastici. La Chiesa ha infatti il diritto di
esigere dai fedeli quanto le necessario per le finalit sue proprie (can.
1260) e i fedeli sono invitati a contribuire alle necessit della Chiesa (can.
1262). Dobbiamo quindi distinguere tra: i tributi, cio le prestazioni dovute
al mero titolo di appartenenza ad una Chiesa; le tasse, cio le prestazioni
dovute in compenso di atti della potest esecutiva a vantaggio dei singoli
fedeli; le oblazioni o offerte, da farsi in occasione dellamministrazione dei
sacramenti e sacramentali. Nellultimo caso si tratta di prestazioni avente
una certa doverosit ma comunque volontarie, per evitare ogni erronea
impressione che la prestazione pecuniaria del singolo fedele corrispondesse
al valore del sacramento o peggio che i sacramenti fossero amministrati a
pagamento. Per quanto riguarda le acquisizioni di carattere pubblico invece
distinguiamo tra: le questue (can. 1265), cio le offerte di fedeli per un fine
religioso, raccolte attraverso inviti generalizzati e che possono essere
effettuate solo previa autorizzazione, fatta eccezione per i religiosi
mendicanti; le collette speciali (can. 1266), da effettuarsi nelle chiese e
negli oratori aperti al pubblico, disposte dalla competente autorit
ecclesiastica. A differenza del passato, si cercato di ridurre lesercizio del
potere di imposizione per accentuare laspetto della libera e responsabile
partecipazione. Tra i doveri e i diritti fondamentali dei fedeli c anche
lobbligo di sovvenire alle necessit della Chiesa, perch questa possa
disporre di quanto necessario per il culto divino, per le opere di apostolato
e di carit, per il sostentamento del clero (can. 222).
Lamministrazione dei beni ecclesiastici
Il diritto canonico precisa quali sono gli organi legittimati a porre in essere gli
atti necessari allincremento, alla conservazione, alla fruizione e
allalienazione del patrimonio ecclesiastico. Amministratore della persona
giuridica pubblica colui che presiede a norma di legge o per disposizioni
statuarie o fondazionali (can. 1279). Esempi di amministratori ex lege sono il
Vescovo per la diocesi (can. 393) e il parroco per la parrocchia (can. 532);
esempi di amministratori determinati dagli statuti o dalle tavole di
fondazione sono quelli dei capitoli (cann. 505 506), delle associazioni
pubbliche di fedeli (can. 319), delle fondazioni pie autonome (can. 1303). Gli
amministratori sono tenuti ad adempiere ai loro compiti in nome della Chiesa
(can. 1282) ed escluso che essi possano agire come titolari di un mandato
senza rappresentanza (art. 1705 CC). E impedita la regolare
amministrazione del patrimonio: nei casi di difetto o di negligenza dei
legittimi organi di amministrazione, allora il potere attribuito allautorit
gerarchicamente sovraordinata (il Pontefice, can, 1273; lOrdinario

diocesano, can. 1279); nel caso in cui n la legge, n gli statuti, n le tavole
di fondazione determinino gli organi di amministrazione, spetta allOrdinario
nominare come amministratori persone idonee che restano in carica per un
triennio, con possibilit di essere confermate (can. 1279). Ogni persona
giuridica deve avere un consiglio per gli affari economici, composto da fedeli
esperti in materia economica e conoscitori del diritto secolare per dare un
adeguato sostegno allamministratore (can. 1280). Prima dellassunzione
dellincarico (can. 1283) richiesto agli amministratori di prestare
giuramento di svolgere le proprie funzioni onestamente, fedelmente, con la
diligenza del buon padre di famiglia (can. 1284) e di sottoscrivere un
inventario dei beni aventi rilevante valore economico o culturale, la cui copia
viene conservata nellarchivio della Curia diocesana. I compiti degli
amministratori sono contemplati nei canoni 1284 1287 e sono: curare la
conservazione del patrimonio; predisporre tutele della propriet in forme
valide; attenersi scrupolosamente alle norme canoniche e civili; esigere,
conservare ed erogare i redditi e proventi secondo gli statuti, le tavole di
fondazione e le disposizioni di legge; versare le quote di interesse e di
capitale connesse a mutui o ipoteche; impiegare le attivit di bilancio per fini
propri della Chiesa; curare la regolare tenuta dei libri contabili, la custodia
dei documenti e degli strumenti, la redazione del bilancio preventivo e
lelaborazione del rendiconto annuale; osservare le leggi in materia di lavoro,
concedendo un onesto compenso ai propri dipendenti; non agire nel foro
civile senza autorizzazione della competente autorit; non abbandonare
arbitrariamente le proprie funzioni; non procedere a donazioni che nei limiti
dellordinaria amministrazione e solo per fini di piet o carit. I compiti di
vigilanza e di controllo sullamministrazione dei beni sono attribuiti alla Santa
Sede e allOrdinario. Mentre la Santa Sede organo generale ed universale
di vigilanza e di controllo secondo il can. 1273, per il quale il Pontefice
supremo amministratore ed economo di tutti i beni ecclesiastici, lOrdinario
il normale ed immediato organo di vigilanza e di controllo (can. 1276).
Lattivit di vigilanza riguarda la costante verifica della corrispondenza della
vita e dellattivit della persona giuridica; in particolare riguarda loperato
degli organi di governo e lutilizzazione dei beni delle persone giuridiche.
Lattivit di controllo attiene agli atti di straordinaria amministrazione e
allautorizzazione a stare in giudizio; in questultimo caso il diritto canonico
prevede che la capacit dellamministratore della persona giuridica debba
essere integrata dallintervento dellautorit ecclesiastica che ha poteri di
controllo. Per atti eccedenti lordinaria amministrazione si intendono quelli
che producono sostanziali innovazioni alla situazione patrimoniale della
persona giuridica, sia in positivo sia in negativo. I criteri per determinare
quali atti sono definiti straordinari sono: negli statuti sono stabiliti quali sono
gli atti straordinari; in caso di silenzio degli statuti, spetta al Vescovo
diocesano determinare tali atti (can. 1281), per gli istituti religiosi spetta ai
propri competenti organismi (can. 368). Sul patrimonio della diocesi la
competenza in materia della Conferenza episcopale (can. 1277). Nel caso
di atti posti in essere illegittimamente, la persona giuridica risponde solo nei
limiti in cui latto posto invalidamente sia tornato a suo vantaggio o nel caso
di atti validi ma illeciti. Gli amministratori rispondono sia nel caso di atti posti
invalidamente, che siano andati a svantaggio, sia nel caso di atti validi ma

illeciti che abbiano recato danni alla persona giuridica: in entrambi i casi
questultima pu rifarsi contro gli amministratori che le abbiano recato danno
(can. 1281). Laver posto o omesso illegittimamente atti relativi
allamministrazione del patrimonio, pu portare persino ad una fattispecie
criminosa, prevista dal can. 1389, e allirrogazione di unadeguata sanzione
penale nei confronti dellamministratore responsabile dellatto.
Il sostentamento del clero
Il sistema di sostentamento del clero stato profondamente modificato nel
corso del tempo. Tradizionalmente era imperniato sul sistema beneficiale, in
sostanza accanto ad ogni ufficio ecclesiastico si costituiva una massa
patrimoniale, detta beneficio, avente personalit giuridica e su cui si
sosteneva il chierico. Il cambiamento avvenuto con il Concilio Vaticano II
che, nel decreto sul ministero e la vita sacerdotale Presbyterorum Ordinis,
dispose che il sistema beneficiale deve essere riformato in modo che la parte
beneficiale sia trattata come cosa secondaria e venga messo in primo piano
lufficio stesso. Il codice prevede una disposizione transitoria (can. 1272) in
sostituzione del sistema beneficiario e tre diversi istituti attraverso i quali
garantire il sostentamento dei chierici, favorire uneguaglianza tra loro,
promuovere azioni di solidariet (can. 1274).
- istituto per il sostentamento del clero, da istituirsi in ogni diocesi,
il patrimonio costituito dai patrimoni dei benefici soppressi, dai beni e
offerte dei fedeli; provvede al sostentamento dei chierici che prestano
servizio a favore della diocesi.
- fondo per la previdenza sociale del clero, costituito dai beni forniti
dagli stessi appartenenti al clero e dalle liberalit dei fedeli; ha il
compito di provvedere allassistenza sanitaria del clero, alle pensioni di
invalidit e vecchiaia; da istituire in ogni diocesi qualora nella realt
nazionale non esistano gi forme di sicurezza sociale.
- fondo comune, costituito con fondi individuati dal diritto locale e dalle
liberalit dei fedeli, per sovvenire alle necessit di quanti prestano
servizio a favore della Chiesa (cann. 230 231).
Il codice non dispone che tali istituti abbiano personalit giuridica canonica,
ma si presume debba sussistere.
IL MUNUS SANCTIFICANDI
Il Codice ha voluto dedicare lintero IV libro al munus sanctificandi
distinguendo allinterno dello stesso ben tre parti (una dedicata ai
sacramenti, una agli altri atti dl culto divino, una ai luoghi ed ai tempi sacri)
oltre ad una parte introduttiva che va dal can. 834 al can. 839 e che riguarda
la funzione di santificare in generale.
Ci premesso il can. 834 a sancire che la chiesa adempie alla funzione di
santificare mediante la liturgia. Essa, sulla scia di quanto affermato dalla
costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium definita come
lesercizio della funzione sacerdotale di Ges Cristo; in essa per mezzo dei
segni sensibili viene significata e realizzata, in modo proprio a ciascuno, la
santificazione degli uomini e viene esercitato dal Corpo mistico di Ges
Cristo e dalle membra, il culto di Dio pubblico integrale. . E, dunque,

lintima relazione esistente tra liturgia e culto di Dio ad emergere con vigore
dal canone in questione. La partecipazione dei Cristiani, attraverso la
liturgia, al mistero di Cristo, infatti, rende i fedeli veri adoratori di Dio in
grado di tributare allo stesso un culto pubblico ed integrale. Se la funzione
di santificare, in virt del sacerdozio comune, spetta, pur con le opportune
differenziazioni funzionali, ad ogni fedele, a norma del can. 835, essa
spetta, in modo particolare, a coloro che hanno ricevuto il sacramento
dellOrdine. Precisamente essa compete a Vescovi, Presbiteri e Diaconi,
ciascuno secondo le proprie funzioni. Il can. 838, in continuit con il can.
834 affida allesclusiva autorit della Chiesa la disciplina della liturgia.
Diversamente, infatti, non potrebbe garantirsi il valore dei Sacramenti, n la
fedelt delle azioni liturgiche alla fede della Chiesa. Dato il carattere
pubblico proprio delle azioni liturgiche, evidente che queste devono
essere regolate esclusivamente dallautorit della Chiesa. In effetti, la
liturgia cosi intimamente unita ai principi della dottrina della Chiesa, che
molto difficile separare lautorit del Magistero dalle responsabilit proprie
della Gerarchia ecclesiale nella regolamentazione dellattivit liturgica. In
particolare, spetta alla Santa Sede spetta disciplinare la Sacra Liturgia della
Chiesa universale, pubblicare i Libri Liturgici (messali, rituali breviari) e
vigilare sulla corretta applicazione delle norme liturgiche. Secondo gli artt.
62-7o della Costituzione Apostolica Pastor Bonus, questa competenza
appartiene alla Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei
Sacramenti, anche se altri dicasteri hanno pubblicato negli anni passati
documenti dindubbia importanza per il diritto liturgico. Le conferenze
Episcopali, invece, hanno il compito di realizzare le versioni nelle diverse
lingue correnti dei libri liturgici e di curarne la pubblicazione previo
consenso della Santa Sede, mentre il Vescovo Diocesano pu, in seno ai
limiti della propria competenza, impartire norme liturgiche vincolanti per i
fedeli della propria Diocesi.
Tutto ci premesso, per quanto concerne specificamente i sacramenti, il can.
84o, con il quale si apre la I parte del libro IV, dedicato come sappiamo, alla
funzione di santificare della Chiesa, cos recita: I sacramenti del Nuovo
Testamento, istituiti da Cristo Signore e affidati alla Chiesa, in quanto azioni
di Cristo e della Chiesa, sono segni e mezzi mediante i quali la fede viene
espressa e irrobustita, si rende culto a Dio e si compie la santificazione degli
uomini, e pertanto concorrono sommamente a iniziare, confermare e
manifestare la comunione ecclesiastica; perci nella loro celebrazione sia i
sacri ministri sia gli altri fedeli debbono avere una profonda venerazione e la
dovuta diligenza
Il predetto canone mette in risalto il carattere solenne e propedeutico per la
santificazione degli uomini. A tal riguardo deve farsi notare come i
sacramenti presuppongano, irrobustiscano ed esprimano la fede.
I sacramenti sono sette: Battesimo, Confermazione (cd. Cresima), Eucaristia,
Penitenza, Unzione degli infermi, Ordine sacro, Matrimonio. Essi agiscono sia
sul piano teologico, conferendo la grazia ex opere operato, cio per se
stessi, in forza dello stesso rito sacramentale, indipendentemente dai meriti
sia di chi li amministra che di colui che li riceve; sia dal punto di vista
giuridico, producendo delle qualificazioni a volte indelebili. Segnando il
battesimo, da un lato, la rigenerazione quale figlio di Dio e, dallaltro,

lincorporazione in seno alla Chiesa, assegnando la Cresima al fedele la


missione di essere testimone di Cristo,e consistendo lordine sacro nella
costituzione di ministri che agiscono in persona Christi capitis, detti
sacramenti non possono essere, infatti, ripetuti. Essi sono definiti quali
signum spirituale et indelebile in anima impressum, in quanto imprimono in
capo al fedele un segno incancellabile (can. 845).
Tra tutti i sacramenti , battesimo, eucaristia e confermazione, appaiono tra
loro strettamente congiunti e risultano necessari affinch i fedeli
acquisiscano la struttura propria di uomini di Cristo.
1 il battesimo
Esso definito Ianua Sacramentorum, porta dei sacramenti, in quanto, chi
non lo riceve validamente, non pu accedere agli altri sacra menti ed in
quanto esso mezzo necessario di fatto o,almeno nel desiderio, alla
salvezza.
Mediante il battesimo gli uomini vengono liberati nel peccato originale, sono
rigenerati quali figli di Dio, vengono incorporati in maniera indelebile nella
Chiesa. Per ci che riguarda la sua validit del sacramento sono richiesti
requisiti di materia, lavacro di acqua pura, e di forma, le parole che
esprimano la volont di battezzare cos come vuole la Chiesa.
Il Battesimo viene amministrato secondo il rito prescritto dai libri liturgici,
tuttavia, in caso di urgente necessit sufficiente osservare i requisiti di
materia e forma richiesti per la sua validit consistenti nel lavacro in acqua e
nella formula verbale prevista io ti battezzo nel nome del Padre (prima
immersione o infusione) e del Figlio (seconda immersione o infusione) e
dello Spirito Santo (terza immersione o infusione).
Dato il carattere fondamentale del sacramento del battesimo, la celebrazione
dello stesso deve essere adeguatamente preparata anche attraverso
unaccurata formazione che dovr riguardare, a seconda dei casi, ladulto,
che intende accedere al battesimo, al quale sono assimilati, ex can. 852,
coloro che usciti dallinfanzia hanno luso della ragione, e che dovr ricevere
liniziazione sacramentale, attraverso il catecumenato, secondo
le
peculiarit delle Chiese particolari; i genitori ed i padrini del bambino da
battezzare al quale vengono assimilati i soggetti che, bench non pi
bambini, non possono considerarsi responsabili dei propri atti.
Il Battesimo pu essere conferito per immersione o per infusione, secondo le
disposizioni della Conferenza Episcopale(can 854), in acqua che, salvo i casi
di necessit deve essere benedetta secondo le disposizioni liturgiche (can.
853). Il Battesimo, salvo necessit difformi che abiliti alla sua celebrazione in
qualunque giorno dell'anno, dev'essere celebrato di Domenica o se possibile
nella Veglia Pasquale (can. 856) Il can. 861 indica i ministri titolari della
condizione di ordinari dellamministrazione del battesimo. Sebbene, infatti, in
caso di necessit chiunque, persino un infedele, purch mosso da rette
intenzioni possa amministrare il battesimo, il Vescovo, il presbitero ed il
diacono hanno come proprio tale ufficio, fermo restando, ai sensi del can
53o, che esso rientra nelle funzioni affidate in maniera speciale al parroco. Il
Codice, al Capitolo III del Libro IV del Codice, pone la disciplina destinata ai
battezzandi o catecumeni.
In primo luogo il can 864, in conformit con il carattere indelebile e
permanente del sacramento battesimale, sancisce che possiede la capacit

dessere battezzato chiunque non labbia gi ricevuto. La disciplina


codicistica distingue tra battezzandi adulti e bambini. Per ci che riguarda
ladulto esso pu essere battezzato se ha, innanzitutto, ai fini della validit
del sacramento, espresso la volont di ricevere il battesimo, sia
sufficientemente istruito sulle verit di fede e sui doveri cristiani ed abbia
eseguito un periodo di catecumenato. Per ci che riguarda il battesimo dei
bambini, i genitori hanno lobbligo di battezzarli entro le prime settimane di
vita. E necessario che ad esso consenta almeno uno dei genitori, ovvero chi
ne fa le veci, e che vi sia la fondata speranza che il battezzando verr
educato nella religione cattolica, salvo differirlo ove essa manchi. Talvolta, e
precisamente in caso di pericolo di morte imminente, possibile prescindere
anche dalla volont dei genitori. Il can. 868 al 2, infatti, innanzi ad un
siffatto pericolo, antepone il bene della salvezza eterna del bambino al diritto
di scelta dei genitori. Sulla stessa scia si pone il can 871 che permette il
battesimo, per quanto possibile, anche nei confronti dei feti abortivi. Il
Capitolo IV dedicato ai padrini. Il loro compito quello di assistere il
battezzando adulto nell'iniziazione cristiana, e presentare al battesimo con i
genitori il battezzando bambino. Spetta, inoltre, loro parimenti cooperare
affinch il battezzando conduca una vita cristiana conforme al battesimo e
adempia fedelmente gli obblighi ad esso inerenti. Infine, il Capitolo V del
Libro IV, Parte I, Titolo I, dedicato alla prova ed alla annotazione del
battesimo conferito. . A norma del canone 877 - 1. Il parroco del luogo dove
si sia celebrato il battesimo, dovr senza alcun indugio registrare nel libro dei
battesimi i nomi dei battezzati, facendo menzione del ministro, dei genitori,
dei padrini e, se vi sono, dei testimoni, del luogo e del giorno del battesimo
conferito, indicando al tempo stesso il giorno e il luogo della nascita. Come
norma di chiusura pare porsi il can. 878 il quale afferma che qualora il
battesimo non sia stato amministrato n dal parroco, n alla sua presenza, il
ministro del battesimo, chiunque egli sia, tenuto a informare del suo
conferimento il parroco della parrocchia nella quale il battesimo stato
amministrato, perch lo annoti a norma delle disposizioni di cui al can. 877
2.2 La confermazione
Il Titolo II del Libro IV dedicato al sacramento della confermazione, meglio
conosciuto con il nome di Cresima, sacramento che al pari del battesimo e
dell'ordine sacro imprime un carattere indelebile.. La confermazione parte
dell'iniziazione cristiana ed implica un completamento della grazia e del
carattere battesimale. A norma del can 879, infatti,esso il sacramento per
mezzo del quale i battezzati sono arricchiti del dono dello Spirito Santo e
vincolati pi perfettamente alla Chiesa, al fine di essere pi strettamente ad
essere con le parole e le opere testimoni di Cristo e a diffondere e difendere
la fede. Essa costituisce il cresimato persona tenuta a confessare
pubblicamente la propria fede. E' per tale ragione che la confermazione
trasforma il cresimato in modo tale che egli abbia il buon odore di Cristo.
Da ci il significato simbolico del crisma, perch la fronte unta con l'olio
santo non si arresti innanzi alle difficolt esterne. Il sacramento della
confermazione viene conferito mediante, ai fini della validit del sacramento,
l'unzione del crisma (olio mescolato con balsami che viene consacrato dal
Vescovo nella messa crismale del Gioved Santo insieme ad altri olii santi),
mediante l'imposizione delle mani e le parole previste dai libri liturgici( non

necessarie ai fini della validit). Ministro ordinario della Confermazione il


Vescovo, ma il sacramento pu essere conferito anche da un sacerdote cui
questa facolt sia stata concessa o per diritto comune o per espresso
mandato. . Inoltre ai sensi del can 883 hanno di diritto facolt di
amministrare la confermazione a) entro i confini della propria circoscrizione,
coloro che sono equiparati dal diritto al Vescovo diocesano, vale a dire quanti
sono indicati al can 368; b) il presbitero, che, in forza dell'ufficio o del
mandato del Vescovo diocesano, battezza un adulto o ammette uno gi
battezzato nella piena comunione della Chiesa cattolica e che pu
amministrare, senza ulteriori rimandi, la confermazione ; c) ogni presbitero.
nel caso di soggetti che si trovano in pericolo di morte.
capace di ricevere la Confermazione ogni battezzato che non abbia gi
ricevuto, in virt del suo carattere indelebile, il sacramento della
confermazione (can. 889). Salva l'ipotesi del pericolo di morte, il can 889,
2, richiede che il fedele dotato dell'uso della ragione, sia adeguatamente
preparato,
opportunamente disposto e
sappia e voglia rinnovare le
promesse battesimali.. Salvo il pericolo di morte, altre gravi cause che
suggeriscano differentemente, o determinazioni dettate dalla Conferenza
Episcopale anche in considerazione di consuetudini locali, i fedeli sono tenuti
a ricevere tempestivamente tale sacramento indicandosi quale parametro
anagrafico quello dell' et della discrezione(can. 891). Si noti a tal proposito
che la Conferenza Episcopale Italiana ha disposto che l'et per il
conferimento della cresima sia fissata al dodicesimo anno d'et. Il can. 892
indica che il cresimando deve essere assistito da un padrino per il quale il
can 893 2 indica una preferenza nei confronti di chi ha assolto tale compito
per il Battesimo . Compito precipuo del padrino, che dovr possedere gli
stessi requisiti richiesti per i padrini dei battezzandi, provvedere affinch il
confermato si comporti come un vero testimone di Cristo e adempia
fedelmente gli obblighi inerenti il sacramento, cos recita, infatti, il can. 892.
Per quanto concerne, inoltre, la prova dell|avvenuta Confermazione il codice
fa riferimento a quanto detto dal can. 876 per la prova del battesimo, mentre
per ci che riguarda l'annotazione deve farsi registrazione nel libro dei
cresimati esistente presso la Curia diocesana.
La Santissima Eucaristia
Il codice inserisce una sorta di preambolo nel quale si pone in evidenza
l'eccezionale valore della celebrazione Eucaristica.(cann. 897-898).La
Santissima Eucaristia definita, infatti, quale sacramento augustissimum nel
quale lo stesso Cristo Signore presente, viene offerto ed preso come
cibo, e mediante il quale continuamente vive e cresce la Chies
Da tale rilevanza consegue in tutta evidenza che tutti gli altri sacramenti e
tutte le opere di apostolato sono strettamente unite alla Santissima
Eucaristia e ad essa finalizzati. Per ci tutti i fedeli debbono avere nel
massimo onore la Santissima Eucaristia (can. 898) e, di conseguenza,
seguendo la descrizione dei tre momenti eucaristici elaborata dal can 898,
partecipare attivamente nella celebrazione di questo augustissimo Sacrificio,
(id est partecipare alla Santissima Messa), riceverlo(il sacramento
dell'eucaristia) con frequenza e massima devozione e venerarlo con la
massima adorazione (adorazione eucaristica).Il can. 898, infine, affida ai
pastori d'anime il compito di illustrare su tutto ci i fedeli.

I cann. 913 e 914 disciplinano in maniera specifica l'amministrazione del


sacramento della Santissima Eucarestia ai fanciulli. Affinch essa sia
amministrata necessario che essi posseggano una sufficiente conoscenza e
un accurata preparazione, in modo da poter percepire il mistero di Cristo e
essere in grado di assumere con fede e devozione il Corpo del Signore (can.
913, 1). Detta preparazione pu essere considerata sufficiente quando il
fanciullo abbia un'idea sufficientemente chiara di Dio come Signore e Padre
nostro, del suo amore per gli uomini e di Ges Cristo, Figlio di Dio, che si
fatto uomo, che morto sulla croce e che risorto. Si tratta di una
conoscenza e di una preparazione minima che destinata ad essere ancor
pi essenziale nel caso di fanciulli in pericolo di morte la conoscenza del
mistero di Cristo sar presumibile ogni qualvolta il fanciullo riesca a
distinguere il Corpo di Cristo dal pane comune inteso quale cibo. (can. 913
2).
Per ricevere lecitamente la sacra comunione debbono sussistere ulteriori
requisiti requisiti. Il can 915 ne fissa alcuni di natura negativa e di indole
prettamente legale: a) non essere stati scomunicati o interdetti sia
ferendae che latae sentenziae, b) non perseverare ostinatamente in un grave
peccato manifesto (can. 915). In quest'ultimo caso, per escludere dal
sacramento dell'eucaristia il fedele necessario che ricorrano tutti e tre i
requisiti richiesti dalla norma: oggettiva gravit del peccato, l'ostinata
perseveranza del soggetto che non pone limiti al suo comportamento
reiterato nel tempo ed, infine, il carattere manifesto della situazione di
peccato.
Il can 916 pone altri requisiti di carattere prettamente spirituale escludendo
dall'Eucarestia: chi ha la consapevolezza di essere in peccato grave e non
abbia premesso la confessione sacramentale o, se ci sia impossibile, un atto
di contrizione perfetta che include, comunque, il proposito di confessarsi al
pi presto. Il can. 919 fissa, inoltre, il principio del digiuno eucaristico per cui
il comunicando deve trovarsi a digiuno da almeno unora, da cibo e bevande,
eccezion fatta per acqua e medicine. Ad esso sono sottratti gli infermi, gli
anziani e i sacerdoti che devono celebrare pi volte all'interno della stessa
giornata. raccomandato che i fedeli si comunichino durante la stessa
celebrazione eucaristica (can. 918) - chi ha gi ricevuto la Santissima
Eucaristia pu riceverla, nel medesimo giorno, solo per un altra volta, ma
solo nella celebrazione eucaristica alla quale si partecipi. Nonostante la
raccomandazione di cui sopra, la sacra comunione non potr essere negata a
chi per giusto motivo, l'abbia richiesta fuori dalla messa.
Ogni fedele, una volta ammesso alla Santissima Eucaristia, tenuto
allobbligo di ricevere la comunione almeno una volta allanno, di regola
durante il tempo pasquale (c.d. precetto pasquale) a meno che per valida
ragione non venga compiuta in altro momento dell'anno liturgico (can. 92o).
Secondo il canone 924 il Sacrificio Eucaristico deve, di regola, essere offerto
con pane e vino al quale va aggiunta un po' d'acqua. La sacra Comunione
pu essere data, anzi questa dovrebbe essere la norma, sotto la sola specie
del pane, per quanto la stessa ma possa essere data anche sotto entrambe
le specie di vino e pane e, solo in caso di necessit, sotto la sola forma di
vino, si pensi, ad esempio, all'infermo che non possa ingerire solidi o ad altre
particolari necessit (can. 925). La celebrazione e la distribuzione

dellEucaristia dovr essere di norma essere compiuta in un luogo sacro,


sopra un altare dedicato o benedetto. Ttttavia, qualora lo richieda la
necessit, potr procedersi anche fuori del luogo sacro, ma, comunque, in un
luogo decoroso su un tavolo ricoperto dalla tovaglia e dal corporale (in
genere costituito da un panno di forma quadrata di tela di lino inamidato,
can. 932). Il Capitolo II del Libro IV, titolo II dedicato alla conservazione e
venerazione della Santissima Eucaristia. Il culto della Eucaristia deve la
propria origine alla conservazione di Specie consacrate per l'amministrazione
dell'a Comunione per gli infermi. Tuttavia, la Chiesa permette tale
conservazione per consentirne ai fedeli l'adorazione e per garantire la
distribuzione di essa al di fuori della messa. come specie consacrata, deve
essere conservata (sotto le specie di pane = ostie consacrate) nella chiesa
cattedrale, in ogni chiesa parrocchiale, nella chiesa o nell'oratorio annesso
alla casa di un istituto religioso o di una societ di vita apostolica (can. 934).
Essa pu essere conservata nella cappella privata del Vescovo (12).
La corretta conservazione della Sacra Eucaristia impone che nel luogo di
conservazione venga celebrata la Messa perlomeno due volte al mese al fine
di dare un segno tangibile presenza e delladorazione di Ges Cristo nelle
Specie eucaristiche; ed anche di procedere al loro rinnovo delle ostie
consacrate entro opportuni margini di tempo (cc. 934 2 e 939).
sacramento della Penitenza
La penitenza quel sacramento mediante la quale i fedeli confessando al
ministro legittimo con piena contrizione e con il fermo proposito di emendarsi
ottengono la remissione dei peccati commessi dopo il battesimo. Per mezzo
dellassoluzione, impartita dal ministro stesso essi ottengono da Dio il
perdono dei peccati (Gv. 2o, 23) e, contemporaneamente, vengono
riconciliati con la Chiesa, che, peccando, hanno ferito (can. 959)
Nel sacramento della penitenza assume, per sua natura, una rilevanza quasi
assoluta il rapporto personale diretto tra ministro e penitente. La
celebrazione ordinaria del sacramento (can. 96o) si compie, pertanto,
attraverso la confessione individuale e integra dei propri peccati e
lassoluzione impartita al singolo penitente. In casi eccezionali ammessa,
tuttavia (can. 961), lassoluzione generale, impartita simultaneamente a pi
fedeli senza la previa confessione individuale. Ci ammesso precisamente
quando vi sia imminente pericolo di morte e al sacerdote non basti il tempo
per ascoltare le confessioni individuali (azioni belliche, calamit naturali,
disastri, etc., can. 961, 1);quando per scarsezza di confessori e grande
affluenza di penitenti non si
riuscirebbe ad ascoltare in tempo utile le
confessioni dei singoli, privandoli quindi, della grazia sacramentale e della
comunione per un lungo periodo di tempo(961, 2). Spetta al Vescovo
diocesano,Giudicare se ricorrano le condizioni richieste a norma del can 961
1, n. 2, il quale, tenuto conto dei criteri concordati con gli altri membri della
Conferenza Episcopale, pu determinare i casi di tale necessit. In tali casi,
tuttavia, colui che ha ricevuto lassoluzione generale deve, per, appena
cessato lo stato di pericolo o di necessit, accostarsi quanto prima alla
confessione individuale (can. 964).
Ministro del sacramento della penitenza solo il sacerdote (can. 965).Per la
valida assoluzione dei peccati si richiede, per, che il ministro, oltre alla

potest di ordine, abbia anche la facolt di esercitarla sui fedeli ai quali


impartisce lassoluzione (can. 966, 1).
Per quanto concerne la sua origine, detta facolt si acquisisce o ipso iure, o
in virt dellufficio, o per speciale concessione. La posseggono ipso iure, oltre
al Romano Pontefice, i cardinali ed i vescovi. In virt dellufficio ecclesiastico
proprio sono investiti di tale facolt lordinario del luogo ( can. 134 2), il
canonico penitenziere, nonch il parroco e chi ne faccia le veci. Godono di
questa facolt anche i superiori degli istituti religiosi e delle societ di vita
apostolica, clericali e di diritto pontificio, ossia di quegli istituti o societ i cui
superiori, a norma del c. 596 2, godono di potest ecclesiastica di governo
sia relativa al foro interno che al foro esterno, e sono definiti ordinari dal
can.. 134 1). Per ci che concerne, invece, la speciale concessione di
esercitare il sacramento della confessione, tale facolt pu essere attribuita,
dall'ordinario del luogo e dai superiori degli istituti religiosi e delle societ di
vita apostolica che godono di potest esecutiva, a presbiteri la cui idoneit
sia stata valutata con un esame o consti da altra fonte (can. 97o)
. L'esercizio dellattivit del confessore disciplinato minuziosamente dai
canoni 978-986 cui si invia.
I cann.978-979 pongono in luce l'importanza del compito del confessore
definito giudice e medico, il quale deve ricordare di essere stato costituito da
Dio ministro della divina giustizia e misericordia al fine di provvedere alla
salvezza delle anime, oltre che all'onore divino. Il sacerdote nello
svolgimento della propria funzione di confessore dovr usare prudenza e
discrezione specie in relazione all'et ed alla condizione del penitente. A
norma del can 981, il confessore, valutata la qualit e il numero dei peccati
deve imporre al penitente una salutare e conveniente soddisfazione (detta
impropriamente, nel gergo corrente, penitenza) che il penitente stesso ha
lobbligo di adempiere personalmente. Il can 982 fa riferimento specifico al
caso in cui il penitente confessi di aver falsamente denunciato un confessore
innocente presso l'autorit ecclesiastica per il delitto di sollecitazione al
peccato contro il VI comandamento (non commettere atti impuri). In tal caso
il penitente non potr essere assolto se prima non avr ritirato la denuncia.
Il can. 983 sancisce l'inviolabilit del sigillo sacramentale pertanto il
confessore obbligato, sotto pena di scomunica latae sentenziae, a non
lasciarsi sfuggire nulla del penitente n in parole, n in altro modo. A
segreto, sotto pena di scomunica, sono tenuti gli eventuali interpreti e
chiunque capti o in qualunque modo venga a conoscenza dei peccati della
confessione. Per la grande importanza attribuita al sacramento della
penitenza, il can 986 evidenzia come tutti coloro cui demandata in forza
dell'ufficio la cura delle anime, siano tenuti all'obbligo di provvedere che
siano ascoltate le confessioni dei fedeli a loro affidati, che ragionevolmente
lo chiedano, e che sia ad essi data l'opportunit di accostarsi alla confessione
individuale, stabilendo, per loro comodit, giorni e ore.
Per ci che riguarda i canoni dedicati in maniera specifica al penitente, l
fedele, per trovare nel sacramento della penitenza un salutare rimedio, deve
essere disposto in modo tale da convertirsi a Dio, ripudiando i peccati che
ha commesso e avendo, nel contempo, il proposito di emendarsi (can. 987).
Nella confessione andranno riferiti i peccati gravi commessi dopo il
battesimo e che non siano ancora stati oggetto di confessione individuale e

dei quali ha coscienza dopo un diligente esame. Inoltre raccomandata la


confessione dei peccati veniali (cd confessione di devozione) Ciascun fedele,
raggiunta let della ragione, tenuto allobbligo di confessare i propri
peccati gravi almeno una volta nellanno (can. 989), e, secondo il principio
della libera del confessore, potr scegliere il confessore di sua preferenza
anche se di rito diverso, purch canonicamente approvato (can. 991).
LUnzione degli infermi
LUnzione degli infermi, un tempo tenuta sotto il nome di estrema unzione,
il sacramento mediante il quale la Chiesa raccomanda al Signore, sofferente
e glorificato i fedeli infermi perch li sollevi e li salvi (can. 998, l).
Essa viene conferita ungendo con olio benedetto la fronte, le mani e i piedi
dei fedeli pronunciando le parole stabilite nei libri liturgici. L'olio per l'unzione
dovr essere benedetto dal vescovo e da coloro ad esso equiparati per
diritto(i titolari di una prelatura territoriale, l'abate, il vicario apostolico, il
prefetto apostolico e l'amministratore apostolico), o, in caso di necessit,
dallo stesso sacerdote ma durante il sacramento stesso.
Ministro di questo sacramento solo il sacerdote, in particolare colui al quale
demandata la cura delle anime, ad es. il Parroco (can. 1oo3). LUnzione
degli infermi pu essere amministrata, come si diceva in apertura di
paragrafo, al fedele il quale abbia raggiunto 1uso di ragione e che, per
vecchiaia o malattia, cominci a trovarsi in stato di pericolo. Il giudizio sullo
stato di malattia tale da determinare la ricezione da parte dell'infermo del
sacramento, deve essere valutata, secondo quanto disposto dall'Ordo
Unctionis infirmorum,,attenendosi a giudizi di probit e prudenza senza
eccessiva apprensione e consultandosi, con un medico se necessario. Il
carattere flessibile della valutazione da effettuare si evince dalla possibilit di
ripetere pi volte, in caso di necessit, il sacramento. (can. 1oo4).
Il sacramento dellordine:
L Ordine il sacramento mediante il quale alcuni trai fedeli sono costituiti in
modo indelebile ministri sacri intendendosi per tali coloro che sono
consacrati e destinati a servire, ciascuno nel suo grado, il Popolo di Dio. Il
sacramento dell'Ordine unico, ma comprende al proprio interno tre gradi:
diaconato, presbiterato o sacerdozio, episcopato (can. 1oo9, 1) luno
propedeutico allaltro. Coloro che sono consacrati vescovi o presbiteri
ricevono la facolt di agire i persona di Cristo Capo e sono chiamati ad
adempiere i tria munera di insegnare, santificare e governare (Vescovi e
presbiteri). I diaconi, invece, vengono abilitati a servire il Popolo di Dio nella
Diaconia della liturgia, della parola e della Carit e nella Diaconia ad
adempiere, nella persona di Cristo. Ricordiamo che accanto al diaconato,
inteso come gradino che precede 1accesso al sacerdozio, vi ora la forma
nuova ed autonoma del diaconato permanente la cui istituzione affidata
alla prudente valutazione delle Conferenze Episcopali secondo quanto
affermato nel Motu proprio Sacrum diaconatus ordinem del 18-6-1967 e Ad
pascendum populum Dei del 15-8-1972.
Il sacramento dell'ordine si conferisce mediante limposizione delle mani
(materia) e la preghiera consacratoria (forma) prescritta, per ciascun grado,
dai libri liturgici (can. 1oo9, 2).
L'ordinazione dev'essere celebrata durante la Messa solenne, in giorno di
domenica o in una festa di precetto, ma per ragioni pastorali si pu compiere

anche in giorni feriali. Essa dovr essere celebrata generalmente nella chiesa
cattedrale; tuttavia sempre per ragioni pastorali pu celebrarsi in un'altra
chiesa od oratorio.
Ad essa dovranno essere invitati i chierici e gli altri fedeli, affinch vi
partecipino nel maggior numero possibile
Ministro della sacra ordinazione il Vescovo consacrato (can. 1o12). Tuttavia,
a nessun Vescovo consentito consacrare lecitamente un altro Vescovo, se
non ha il mandato pontificio (can. 1o13) e se, salvo specifica dispensa della
Santa Sede, non associa nella consacrazione almeno altri due Vescovi (can.
1o14). Si pu essere ordinati al presbiteriato e al diaconato o dal Vescovo
proprio ovvero da altro Vescovo che abbia ricevuto da quello proprio le
lettere dette dimissorie, cio l'autorizzazione ad ordinare un proprio suddito
della cui identit e dei cui requisiti si d testimonianza. (cann. 1o15 e 1o18).
Va precisato, ancora, che a norma del can. 1o17. il Vescovo, fuori della
propria circoscrizione, non pu conferire gli ordini, se non con licenza
dellOrdinario del luogo
Per quanto riguarda gli ordinanti pu essere validamente ordinato
esclusivamente il battezzato di sesso maschi le (can. 1o24). Per la liceit
dellordinazione al presbiterato e al diaconato si richiede (can. 1o25) che
lordinando: a) abbia compiuto il prescritto periodo di prova; b) possegga, a
giudizio del Vescovo proprio o del competente Superiore maggiore (se
religioso), le dovute qualit; c) non abbia irregolarit o impedimenti; d) abbia
superato gli scrutini; e) sia munito dei documenti prescritti. Si richiede inoltre
che lordinazione, a giudizio del legittimo superiore, risulti utile per il
ministero della Chiesa (can. 1o25, 2)
). Il presbiterato pu essere conferito solo a coloro che hanno compiuto 25
ani; di et, posseggano una sufficiente maturit (v. anche can. 1o32) e siano
stati ordinati diaconi da almeno sei mesi (can. 1o31). Coloro che sono
destinati al presbiterato vengono ammessi allordine del diaconato soltanto a
23 anni compiuti; i candidati al diaconato permanente vi sono invece
ammessi (can. 1o31, 2): se celibi, dopo i 25 anni compiuti; se sposati,
dopo i 35 anni compiuti e con il consenso della moglie. diritto delle
Conferenze Episcopali stabilire una norma con cui si richieda un'et pi
avanzata per il presbiterato e per il diaconato permanente.
Gli aspiranti al diaconato e al presbiterato devono essere formati mediante
un'accurata preparazione, a norma del diritto(can. 232-264) A norma del can.
1o28, inoltre, compito del Vescovo diocesano e del Superiore competente
provvedere che i candidati, prima che siano promossi a qualche ordine,
vengano debitamente istruiti su ci che riguarda l'ordine e i suoi obblighi..
Una volta celebrata lordinazione, si procede all'annotazione, nellapposito
registro da custodirsi nella Curia del luogo dellordinazionedei, dei nomi dei
singoli ordinati e del ministro ordinante, del luogo e della data dellavvenuta
ordinazione. Il Vescovo ordinante deve consegnare a ciascun ordinato un
certificato autentico dellavvenuta; ordinazione e, nel contempo, comunicare
la notizia di ciascuna ordinazione celebrata al parroco del luogo di Battesimo
per le annotazioni di rito nel libro dei battezzati (cann. 1o53, 2, e 1o54)
Altri atti del culto divino
Oltre ai sacramenti, che costituiscono il centro della liturgia della Chiesa, ci
sono altri atti di culto che il diritto disciplina al fine di assicurare la loro

valida celebrazione e, quindi, anche gli effetti giuridici da essi derivanti. In


modo del tutto simile ai sacramenti anch'essi sono mezzi pubblici di
Santificazione e quindi ricompresi in seno alla funzione di santificare della
Chiesa
Tra essi individuiamo
i sacramentali,
le esequie,
la liturgia delle ore,
il voto e il giuramento
Il matrimonio come istituto naturale
Per comprendere meglio la struttura del matrimonio possiamo fare
riferimento alla Sacra Scrittura in cui troviamo la struttura del matrimonio
come istituto naturale in quattro passaggi:

non bene che luomo sia solo

i due formeranno una sola carne:

crescete e moltiplicatevi

per questo luomo lascer suo padre e sua madre:


Il Matrimonio, in quanto istituto naturale, disciplinato dal diritto naturale ed
integrato dal diritto secolare o dalle consuetudini sociali che non pu
riformare o modificare le basi naturali dellistituto. Il matrimonio
canonisticamente
denominato
matrimonio
legittimo
(matrimonium
legitimum) considerato vero dalla Chiesa se contratto da non battezzati.
Esso pu, tutt'al pi, ricondursi all'ambito del munus docendi, cio la
funzione di insegnare la verit oggettiva del matrimonio.
Il matrimonio sacramento
Il matrimonio sacramento un patto mediante il quale luomo e la donna
pongono in essere un consorzio per tutta la vita. Se il matrimonio elevato a
sacramento significa che il matrimonio validamente contratto tra battezzati
produce gli effetti della grazia sacramentale.
Il matrimonio lalleanza fra un uomo ed una donna che danno vita ad una
comunit di vita e di amore, ordinata al bene dei coniugi ed alla procreazione
ed educazione dei figli (can. 1055).
Sono caratteristiche essenziali del matrimonio: lunit, esclusione della
poligamia, e lindissolubilit, limpossibilit di scioglimento del vincolo
matrimoniale durante la vita dei coniugi. I fini e le propriet del matrimonio
sono considerati i bona matrimonii, espressione derivata da s. Agostino
che parla di bonum prolis, fidei et sacramenti cio i tria bona, che nello
specifico riguardano la sostanza del matrimonio: il bonum prolis attiene
alla procreazione ed educazione della prole; il bonum fidei alla fedelt
vicendevole tra i coniugi; il bonum sacramenti alla indissolubilit. Il
Concilio Vaticano II con la costituzione pastorale Gaudium et spes parla del
matrimonio come intima comunit di vita e di amore e ha rivalorizzato il
rapporto interpersonale, sottolineando la connessione tra la felicit
dellindividuo nella societ e il buon rapporto coniugale.
Le fonti normative che regolano il matrimonio canonico sono: il diritto divino

naturale, che forgia la struttura del matrimonio in maniera comune a tutti gli
uomini (la diversit sessuale, lunit e lindissolubilit, le finalit del bene dei
coniugi e della procreazione ed educazione dei figli; il diritto divino positivo o
rivelato, che riguarda tutti i battezzati e indica ad esempio la peculiare
stabilit in ragione del sacramento (can. 1056), in questo senso si pu anche
intendere il precetto evangelico luomo non separi ci che Dio ha unito
(Marco); il diritto ecclesiastico, linsieme delle norme che hanno la funzione
di regolamentare dettagliatamente listituto matrimoniale; il diritto civile,
poich il diritto canonico riconosce che il matrimonio produce anche effetti
civili. A questo proposito il can. 1061 afferma che il matrimonio validamente
contratto tra battezzati si dice matrimonio rato (matrimonium ratum) e una
volta che sia intervenuta la consumazione, cio gli atti sessuali, si dice
matrimonio rato e consumato (matrimonium ratum et consummatum).
Secondo il diritto canonico la consumazione deve avvenire in modo umano
(can. 1061) cio secondo natura e con libera accettazione e si configura
anche nel caso in cui allatto non segua la procreazione. Si chiama invece
matrimonio canonico quello celebrato a norma dal diritto canonico da due
battezzati nella Chiesa cattolica o da un cattolico e un non cattolico.
Struttura giuridica del matrimonio canonico
Il matrimonio canonico un patto (foedus) o contratto (attenzione, tuttavia,
nell'utilizzo di tale definizione. Secondo gli schemi tipici del diritto civile, essa
pu essere fuorviante) che sorge esclusivamente dalla libera volont dei
soggetti contraenti, cio gli sposi; volont che non pu essere supplita da
nessuna potest umana, neppure ecclesiastica (can. 1057), quindi nessuno
pu vincolare altri al matrimonio. Il consenso dei nubendi la causa
efficiente del sacramento; il sacerdote che assiste allo scambio del consenso
solo un testimone pubblico (testis qualificatus).
Per essere validamente celebrato il matrimonio ha bisogno di tre elementi:
un consenso prestato da persona giuridicamente abile, non viziato n nella
sua formazione n nella sua manifestazione; lassenza di impedimenti; la
forma prescritta.
Il consenso
Il matrimonio costituito dal libero consenso delle parti. La validit del
consenso, dunque, dipende dalla capacit di coloro che debbono prestarlo,
dalla conoscenza oggettiva di ci che vogliono, dalla libert di cui devono
godere, dai reali contenuti della volont esternamente manifestata. Un
difetto o vizio del consenso rende invalido il matrimonio: lincapacit di
contrarre matrimonio, lignoranza, lerrore, il dolo, la violenza e il timore, la
simulazione, la condizione. Per capacit si intende lidoneit del soggetto a
valutare il proprio comportamento determinandosi coscientemente ad esso,
quindi la capacit di contrarre matrimonio significa avere una conoscenza
sufficiente della natura e dei fini del matrimonio e lidoneit a volerlo. Quindi
lincapacit la mancanza di tale idoneit.
Lincapacit a contrarre matrimonio
Secondo il can. 1095 sono incapaci a contrarre matrimonio:
coloro che per ragioni diverse, temporanee o permanenti, mancano di

sufficiente uso di ragione e quindi non sono in grado di raggiungere


una seppur minima conoscenza di che cosa sia il matrimonio
coloro che, per immaturit o per cause patologiche, difettano
gravemente di discrezione di giudizio circa i diritti e i doveri
matrimoniali essenziali da dare e accettare reciprocamente, riguarda
quindi soggetti che non sono portatori di vere e proprie affezioni
psicotiche ma che per ragioni permanenti o temporanee della loro
personalit non sono in grado di avere sufficiente consapevolezza e
libert nellassumersi obblighi.
coloro che per cause di natura psichica non possono assumere gli
obblighi essenziali del matrimonio, poich non essendo in grado di
adempiere gli obblighi non possono assumerli con la celebrazione del
matrimonio; questa incapacit simile al caso precedente ma attiene
a casi psicofisici nellambito della sfera sessuale (omosessuale,
ninfomane e satiro, sadico e masochista) perch sono incapaci di
condurre una sana vita coniugale.

I vizi del consenso


Sono vizi del consenso:
Lignoranza
Lignoranza linsufficiente conoscenza di cos il matrimonio e cosa
comporta. Secondo il can. 1096 necessario che i contraenti sappiano
almeno che il matrimonio la comunit permanente tra luomo e la donna,
ordinata alla procreazione della prole mediante una qualche cooperazione
sessuale. E una conoscenza minimale ma sufficiente ad individuare loggetto
specifico che si presume sussistere in ogni persona dopo la pubert, cio
dopo la pubert (14 anni per la donna, 16 anni per luomo) non c pi
ignoranza ma una piccola conoscenza.
Lerrore
Esiste il vizio per errore di diritto (error iuris) o per errore di fatto (error facti).
Lerrore di diritto riguarda le propriet essenziali e la sacramentalit del
matrimonio. Il can. 1099 afferma che lerrore circa lunit o lindissolubilit o
la dignit sacramentale del matrimonio non vizia il consenso matrimoniale,
purch non ne determini la volont. Quindi se lerrore di diritto causa di
invalidit quando, dalla sfera intellettiva,
passa in quella volitiva
determinando cos il consenso. Ad esempio lerronea convinzione che il
matrimonio sia dissolubile incide se viene ad oggettivarsi nella volont,
allora lerrore diviene rilevante invalidando il consenso. Lerrore di fatto
riguarda la persona dellaltro contraente il matrimonio, ad esempio lerrore
sullidentit fisica della persona che rende invalido il matrimonio (can. 1097)
perch il consenso viziato in ragione del fatto che il matrimonio riguarda
una persona concreta e determinata. Pi complesso il caso dellerrore su
una qualit della persona, perch in genere questo errore non incide sulla
validit, salvo qualora la qualit della persona sia voluta direttamente e
principalmente allatto di esprimere il consenso.
Il dolo
Il dolo (can. 1098) stato inserito nellultimo Codice (1983) perch in
passato non si riteneva opportuno dare importanza a questo vizio. Il

consenso viziato quando si pone in essere dolosamente un inganno, cio il


contraente venga indotto in errore su una qualit dellaltra parte e per ci
presti il consenso. La qualit pu essere fisica, morale, sociale ecc. ma deve
essere essenziale per il matrimonio o deve avere una natura tale da turbare
gravemente la vita coniugale. Il dolo pu essere posto dallaltra parte
contraente o da una terza persona, pu consistere in un comportamento
attivo o anche passivo od omissivo, purch esplicitamente diretto ad indurre
in errore.
La violenza e il timore
Un consenso matrimoniale estorto con violenza o timore non valido. Nel
caso della violenza fisica, il consenso viene addirittura a mancare. Pi
frequente il caso della violenza morale o del timore (metus), qui il consenso
sussiste ma viziato. Per provare linvalidit occorre che la violenza sia:
oggettivamente grave, prodotta dal comportamento volontario di unaltra
persona e non da eventi naturali ed efficace, cio colui il quale subisce la
violenza ha come unica via per sottrarsi ad essa il matrimonio. Una
fattispecie particolare il timore reverenziale (metus reverentialis), che non
invalida un matrimonio, salvo siano oggettivamente gravi
La simulazione
Si parla di simulazione (can. 1101) quando ricorra una divergenza tra la
manifestazione esterna del consenso matrimoniale e linterno volere
manifestato. La simulazione pu essere totale o parziale: totale quando non
si vuole il matrimonio o si vuole per finalit diverse; parziale quando la
volont del soggetto diretta a costituire il matrimonio ma con esclusione di
elementi essenziali. La fattispecie si verifica quando esternamente il coniuge
esprime il consenso matrimoniale, ma internamente esclude lunit del
matrimonio (bonum fidei), o la sua indissolubilit (bonum sacramenti), o il
bene dei coniugi (bonum coniugum), o la generazione della prole (bonum
prolis), o il valore della sacramentalit.
Altra distinzione in seno all'istituto quella tra simulazione bilaterale o
unilaterale (riserva mentale) irrilevante in diritto civile, ma rilevante diritto
canonico. Perch il matrimonio sia invalido per simulazione non sufficiente
una generica intenzione contro il matrimonio, bens ci vuole un atto positivo
di volont diretto ad escludere il matrimonio stesso. Secondo il can. 1101 il
consenso interno dellanimo si presume conforme alle parole o ai segni
adoperati nel celebrare il matrimonio, si ha cio la presunzione di conformit
della dichiarazione esterna alla volont interna. Essa da collegare al can.
1060 in cui consacrato il principio del favor matrimonii, cio in caso di
dubbio si debba stare, fino a prova contraria, per la validit del matrimonio.
La condizione
Il consenso si pu viziare a causa di una condizione. Il diritto canonico
esclude la validit del matrimonio contratto con condizione propria, cio
condizione de futuro con effetti sospensivi,
Invece il caso della
condizione de futuro con effetti risolutivi una condizione al verificarsi
della quale il matrimonio verrebbe meno, quindi in realt si verserebbe in
una simulazione per esclusione della indissolubilit. Viceversa il diritto
canonico ammette la celebrazione del matrimonio sotto condizione passata o
presente, per cui il matrimonio valido o meno a seconda se sussista o
meno il fatto dedotto in condizione (can. 1102). La ragione per cui il diritto

canonico ammette rilievo giuridico alla condizione di garantire il reale


consenso degli sposi. Lapposizione di condizioni de praeterito o de praesenti
costituisce tuttavia un elemento di grave turbativa del consenso e del bene
spirituale degli sposi, per questo esiste una disposizione nello stesso can.
1102 secondo cui non si pu porre la condizione se non con la licenza scritta
dellOrdinario del luogo. Tale licenza richiesta ad liceitatem e non ad
validitatem, quindi il matrimonio contratto sotto condizione passata o
presente senza detta licenza sarebbe illecito ma non invalido.
Gli impedimenti
Gli impedimenti sono fatti o circostanze che rendono la persona inabile a
contrarre matrimonio validamente (can. 1073). Si classificano in dirimenti
(rendono invalido il matrimonio) e impedienti (lo rendono illecito ma non
invalido), il codice del 1983 contempla per solo i dirimenti. Si distinguono
in impedimenti di diritto divino o di diritto ecclesiastico: i primi sono
dichiarati tali dalla suprema autorit della Chiesa (can. 1075) e non possono
mai essere dispensati; i secondi sono sempre posti dalla stessa autorit
suprema (can. 1075) per possono essere dispensati. Nel primo caso la
suprema autorit svolge una funzione magisteriale (munus docendi) cio
linsegnamento dei limiti posti dal legislatore divino, nel secondo caso svolge
il proprio munus regendi ponendo ulteriori ostacoli alla celebrazione del
matrimonio. Il potere di stabilire impedimenti riservato alla suprema
autorit ecclesiastica, quindi gli impedimenti sono legislativamente
predefiniti e le norme che li contemplano sono soggette ad interpretazione
restrittiva cos il legislatore canonico particolare non pu porre nuovi
impedimenti o derogare impedimenti vigenti (cann. 1075 e 1077); per lo
stesso motivo non ammessa in materia di impedimenti la consuetudine
(can. 1076). LOrdinario del luogo pu soltanto stabilire un divieto
temporaneo al matrimonio per un caso peculiare, per una causa grave e
limitatamente alla permanenza di questa; tale divieto ha forza impediente e
non dirimente quindi il matrimonio illecito ma non invalido. Gli
impedimenti, da un punto di vista probatorio, si distinguono in pubblici e
occulti: sono pubblici quelli che possono essere provati in foro esterno (can.
1074), gli altri sono detti occulti. Il potere di dispensa per gli impedimenti di
diritto ecclesiastico spetta alla Santa Sede e allOrdinario del luogo (cann.
1078 1082): la Santa Sede ha potere generale di dispensa, lOrdinario
invece pu dispensare limitatamente al territorio da tutti gli impedimenti,
tranne quelli riservati alla Santa Sede (lordine sacro, il voto pubblico di
castit, il crimine).
Gli impedimenti sono:
1. - Let
Secondo il can. 1083 non possono contrarre validamente matrimonio luomo
che non abbia compiuto i sedici anni e la donna che non ne abbia compiuto
quattordici. Questo impedimento nasce con lesigenza di garantire che i
nubendi abbiano raggiunto la maturit biologica e psicologica necessaria,
quindi il legislatore ha fissato un limite minimo che ovviamente pu non
coincidere con leffettiva maturazione del singolo, da qui la possibilit di
dispensa dallimpedimento. Il legislatore canonico ha anche previsto che le
Conferenze episcopali possono fissare unet maggiore per la lecita

celebrazione del matrimonio (can. 1083) ai fini della liceit e non ad


valididatem. .
2. - Limpotenza
Limpedimento di impotenza pu essere di due tipi: impotentia coeundi, cio
lincapacit di avere rapporti sessuali causata da malformazioni fisiche o
cause psicologiche, e impotentia generandi, cio lindividuo non in grado di
procreare ma solo di compiere latto. Limpotentia coeundi
E un
impedimento di diritto divino naturale e quindi non pu essere dispensato.
Per rendere nullo il matrimonio limpotenza deve essere (can. 1084)
precedente al matrimonio, cio sussistente al momento del consenso, e
perpetua, cio non curabile; se limpedimento dubbio, il matrimonio non
pu essere impedito (can. 1084). Limpotentia generandi o sterilit, invece,
che pu riguardare sia luomo che la donna, non impedisce il matrimonio n
lo rende invalido (can. 1084) poich la sterilit non impedisce ai coniugi di
porre in essere latto sessuale naturale.
3. - Il precedente matrimonio
Limpedimento del precedente vincolo matrimoniale (can. 1085) vuole
tutelare le propriet del matrimonio: lunit, quindi lesclusivit del rapporto
fra i coniugi, e lindissolubilit, per cui il matrimonio si scioglie solo con la
morte di uno dei due coniugi. Quindi un impedimento di diritto divino e non
pu mai essere dispensato. Per far s che limpedimento sussista
necessario che ci sia un matrimonio validamente contratto. L'impedimento
viene meno se il precedente matrimonio sia stato dichiarato nullo o nei casi
specifici in cui il diritto canonico ammette lo scioglimento (dispensa dal
matrimonio rato e non consumato, privilegio paolino e petrino).
4. La disparit di culto
Limpedimento fra una persona battezzata nella Chiesa cattolica e una
persona non battezzata (can. 1086). Questo impedimento nasce dalle
difficolt che possono insorgere nei matrimoni misti sia per la fede, sia per
leducazione cattolica dei figli (can. 226; can. 793). E un impedimento di
diritto ecclesiastico perci dispensabile, ma a talune condizioni tra cui la
promessa sincera della parte cattolica di fare quanto in suo potere perch i
figli siano battezzati ed educati nella Chiesa cattolica (can. 1125).
5. Lordine sacro e il voto religioso perpetuo
Limpedimento per ordine sacro (can. 1087) deriva dallobbligo del celibato
previsto nella Chiesa (can. 277), si tratta quindi di un obbligo di non sposare
che si affermato nellet medievale per due ragioni: una ragione spirituale,
per una piena ed indivisa adesione a Cristo, e una ragione pratico-pastorale,
per una maggiore disponibilit al servizio divino e dei fedeli. E dispensabile
ma solo dalla Santa Sede in caso di vocazione viziata o nel caso in cui il
chierico abbia abbandonato la vita sacerdotale. Limpedimento per voto
religioso perpetuo riguarda coloro che hanno emesso il voto pubblico e
perpetuo di castit in un istituto religioso (can. 1088). In questo caso il
divieto non deriva da un obbligo esterno ma la conseguenza della libera
scelta del soggetto che rinuncia allesercizio della sessualit (can. 573). E un
impedimento di diritto ecclesiastico per cui dispensabile ma solo dal
Pontefice.
6. Il ratto
Questo impedimento diretto a garantire pienamente la libert della donna

a contrarre matrimonio e a sposare una persona determinata, inserito


allepoca del concilio per tutelare il sesso debole da questa usanza. Secondo
il can. 1089 non possibile costituire un valido matrimonio fra luomo e la
donna rapita purch ci sia fatto allo scopo di contrarre matrimonio.
Limpedimento non dispensabile, ma viene meno una volta che la donna
separata dal rapitore e posta in un luogo sicuro, abbia la libert di
determinarsi e scegliere spontaneamente di contrarre matrimonio con
luomo che lha rapita..
7. Il crimine
Questo impedimento sorge nel caso di coniugicidio. La ragione di questo
impedimento la tutela della vita e la salvaguardia della positivit del
modello matrimoniale. E un impedimento di diritto ecclesiastico e quindi
dispensabile, ma la gravit ha indotto il legislatore a riservare alla Santa
Sede il potere di dispensa.
8. La consanguineit e laffettivit
Limpedimento di consanguineit riguarda tutti coloro che discendono da un
antenato comune. Secondo il can. 1091 nullo il matrimonio contratto tra
consanguinei in linea retta, in qualsiasi grado; quello contratto tra
consanguinei in linea collaterale nullo fino al quarto grado incluso (fratelli,
zio e nipote, cugini primi). E un impedimento di diritto divino e quindi non
dispensabile. Secondo il can. 1094 c il divieto di contrarre matrimonio a
coloro che sono uniti, in linea retta o nel secondo grado della linea
collaterale, da parentela sorta da adozione. Questo impedimento detto di
parentela legale e nasce dal fatto che ladozione conferisce alladottato lo
stato di figlio legittimo riconosciuto dal diritto canonico; un impedimento di
diritto umano quindi dispensabile anche se molto difficile. Laffinit il
vincolo che sussiste tra il coniuge e i consanguinei dellaltro coniuge. E
riservato in linea retta ai consanguinei dellaltro coniuge legati a questultimo
da un rapporto di discendenza luno dallaltro, altrimenti in linea
collaterale. Per il can. 1092 laffinit in linea retta rende nullo il matrimonio in
qualunque grado; un impedimento di diritto ecclesiastico e quindi
dispensabile.
Il sistema romanistico ci ha tramandato che limpedimento di consanguineit
infinito in linea retta (padre, figlio, nonno) mentre in linea collaterale fino al
quarto grado incluso (dal codice del 1983) e indica tutti quelli che hanno in
comune un capostipite.
9. La pubblica onest
La pubblica onest (publica honestas) un impedimento che nasce dal
matrimonio invalido in cui c stata vita comune. La Chiesa ha previsto
questo impedimento perch riteneva sconveniente un matrimonio con il
consanguineo di una persona con la quale si sia intrattenuta una relazione
intima. Limpedimento di pubblica onest rende nulle le nozze nel primo
grado della linea retta tra il coniuge e i consanguinei dellaltro; di diritto
ecclesiastico e perci pu essere dispensato.
La forma canonica di celebrazione
Il matrimonio un negozio a forma vincolante, quindi linosservanza della
forma di celebrazione comporta linvalidit del matrimonio. Ovviamente si
tratta della forma giuridica o canonica che si distingue dalla forma liturgica,

la quale non un requisito di validit del matrimonio.


Sono obbligati alle disposizioni canoniche tutti i battezzati nella Chiesa
cattolica (can. 1117). La forma ordinaria (can. 1108) consiste nello scambio
del consenso tra gli sposi alla presenza di un testimone qualificato
(testis qualificatus), lOrdinario del luogo o il parroco (o un sacerdote o un
diacono se delegati), e di almeno due testimoni comuni (testes
communes). Il ministro sacro assiste alla celebrazione, in quanto chiede la
manifestazione del consenso e la riceve in nome della Chiesa, ma non
amministra il sacramento perch a farlo sono gli stessi sposi. Lo scambio del
consenso deve avvenire con parole alla contemporanea presenza degli
sposi, sia di persona che tramite procuratore (can. 1104). Prima della
celebrazione sono effettuate le pubblicazioni, con cui si accerta che nulla
impedisca che il matrimonio sia contratto lecitamente e validamente (cann.
1066 1067). Le pubblicazioni sono sostituibili con altri mezzi di
accertamento.
Vi sono anche forme straordinarie di celebrazione:
lo scambio del consenso davanti ai soli testimoni comuni (coram solis
testibus) senza la presenza del ministro sacro (can. 1116) in caso di
pericolo di morte di uno o di entrambi gli sposi e non possibile avere
la presenza di un ministro di culto entro un mese; questo caso ricorre
in particolare nei territori di missione
il matrimonio segreto (omissis denunciationibus et secreto) (cann.
1130 1133), al quale si ricorre per ragioni pastorali, cio per togliere
da una situazione di peccato, ad esempio, due concubini o due persone
conviventi da anni e che tutti ritengono sposati; infatti la pubblica
celebrazione potrebbe suscitare disappunto o addirittura scandalo, di
qui la segretezza della celebrazione alla presenza del ministro sacro e
dei due testimoni ma senza le previe pubblicazioni e con il vincolo di
segretezza per coloro che intervengono;
matrimoni misti tra un battezzato e un non battezzato (cann. 1124 ss),
in questo caso lautorit ecclesiastica pu persino dispensare
dallobbligo della forma canonica purch rimanga la necessit della
celebrazione del matrimonio in una qualche forma pubblica (can. 1127)
e il consenso venga espresso contemporaneamente.
Gli effetti del matrimonio
Ai cann. 1134 1140 il legislatore canonico si limita a dettare alcune
disposizioni precisando che una volta celebrato il matrimonio sorge tra gli
sposi un vincolo perpetuo ed esclusivo, e che gli stessi sposi sono sostenuti
dalla speciale grazia conferita loro dal sacramento. E posto il principio
delleguaglianza in quanto a doveri e diritti dei coniugi; il diritto dovere di
curare leducazione non solo fisica, sociale e culturale, ma anche morale e
religiosa della prole; lattribuzione dello stato di figlio legittimo a chi nato
da matrimonio valido.
Nullit e convalidazione del matrimonio
Il matrimonio contratto invalidamente se c un vizio del consenso, un
impedimento non dispensabile o non dispensato, un vizio di forma. A
differenza del diritto civile, che contempla la nullit e lannullabilit il diritto

canonico contempla solo casi di nullit per i quali il patto matrimoniale,


quindi, inefficace e senza effetto sin dallorigine e la relativa nullit pu
essere giudizialmente accertata in ogni tempo. Infatti la sentenza di nullit
produce effetti retroattivamente (ex tunc) fatti salvi gli effetti del cosiddetto
matrimonio putativo, che si ha quando sia stato celebrato in buona fede da
almeno una delle parti e fintanto che entrambe le parti non divengano
consapevoli della sua nullit (can. 1061), e che produce gli stessi effetti del
matrimonio validamente contratto per quanto riguarda la legittimit dei figli
(can. 1137) o la loro legittimazione per susseguente matrimonio (can. 1139).
Dalla nullit del matrimonio deve, inoltre, distinguersi l'inesistenza. Il
matrimonio canonico considerato inesistente qualora manchi latto o esso
si presenti anomalo rispetto alla fattispecie delineata dal legislatore.
Rientrano in siffatta categoria il matrimonio contratto ioci causa. Il
matrimonio oggetto di particolare favore nellordinamento canonico (favor
matrimonii), per cui nel dubbio esso deve ritenersi valido fino a prova
contraria (can. 1060).
La convalidazione del matrimonio si ha nella forma della convalidazione
semplice (convalidatio simplex) (cann. 1156 1160) cio la rinnovazione del
consenso di entrambe o almeno una delle parti purch laltra perseveri nel
consenso dato allatto della celebrazione. Se il matrimonio nullo a causa di
un impedimento, il consenso pu essere rinnovato solo se limpedimento
venuto meno o stato dispensato; se nullo a causa di un vizio del
consenso, chi stato causa della nullit deve rinnovare il consenso e laltra
parte deve perseverare il suo; se il vizio deriva dalla forma, il consenso deve
essere rinnovato secondo le modalit prescritte dal diritto. La convalidazione
semplice pu avvenire in modalit diverse, a seconda se il motivo sia
pubblico o occulto (can. 1074): se il motivo pubblico, la volont
matrimoniale deve essere nuovamente espressa in forma pubblica; se il
motivo occulto, sufficiente il rinnovo del consenso in segreto.
Altro la sanazione in radice (sanatio in radice) una forma di convalida
mediante la quale, quando il matrimonio invalido per un impedimento o
vizio di forma ma il consenso era valido, pu essere sanato per concessione
dellautorit ecclesiastica competente. Questa concessione pu essere data
anche allinsaputa delle due parti o di una di esse, purch perseveri il
consenso e limpedimento sia venuto meno o sia stato dispensato. E quindi
un atto amministrativo che comporta la dispensa dellimpedimento o del
vizio. La sanatio in radice non pu applicarsi nel caso di matrimonio nullo per
mancanza o per vizio del consenso perch per il diritto canonico il consenso
delle parti non pu essere supplito da nessuna potest (can. 1057).
Separazione e scioglimento del matrimonio
Il matrimonio comunit per tutta la vita (consortium totius vitae: can.
1055). Ci comporta il dovere di osservare la coabitazione tra gli sposi,
quindi la comunanza di letto, di mensa e di abitazione. Questo dovere pu
venire meno solo per: adulterio, grave compromissione del bene spirituale o
corporale di uno dei coniugi o della prole, la durezza della vita comune (cann.
1151 1155). La separazione consiste nella possibilit di vivere
separatamente per cause legittime mantenendo fermo il vincolo coniugale.
La separazione non fa venire meno lobbligo della fedelt e della

indissolubilit come gli obblighi per il sostentamento e leducazione dei figli.


La separazione personale dei coniugi battezzati di competenza dellautorit
ecclesiastica (can. 1692) anche se non esclude una competenza dellautorit
civile (can. 1692). Tuttavia la possibilit di deferimento della causa al giudice
civile non legittima i coniugi cattolici a separarsi a condizioni diverse da
quelle previste dal diritto canonico.
Giova ribadire come il matrimonio canonico dall'avvenuta consumazione sia
perpetuo ed indissolubile, venendo meno solo con la morte di uno dei coniugi
(can. 1141). Fatta tale doverosa premessa si precisa che in seno
all'ordinamento canonico si contemplano due casi dis cioglimento del
matrimonio.
Il primo caso quello del matrimonio rato e non consumato tra battezzati o
tra una parte battezzata ed una non battezzata, viene detta dispensa dal
matrimonio rato e non consumato (can. 1142; per il procedimento cann.
1697 1706). Se vero che il matrimonio canonico ha come unica causa
efficiente il consenso, anche vero che solo con la consumazione si realizza
quelluna caro in cui gli sposi divengono integralmente una cosa sola e si
compie radicalmente il dono reciproco di s, dono che non pu pi essere
ripetuto. La mancata consumazione, infatti, impedisce lattuazione nella sua
pienezza del segno sacramentale dellunione fra Cristo e la Chiesa. La non
consumazione, per poter essere causa dello scioglimento, non deve derivare
da anomalie fisiche o psichiche che impediscono la copula perch si
rientrerebbe nella fattispecie tipica dellimpotenza. Per poter ottenere lo
scioglimento la non consumazione deve verificarsi dopo la celebrazione del
matrimonio, deve essere debitamente accertata dalla Santa Sede e deve
inoltre sussistere una giusta causa. Lo scioglimento avviene con
provvedimento pontificio di dispensa che pu essere richiesto da entrambi i
coniugi o da uno solo anche senza l'assenso dellaltro sia contrario. Trattasi di
un provvedimento di carattere amministrativo che viene concesso dal
Pontefice e si dice dato graziosamente cio come grazia per cui i coniugi
non hanno un diritto soggettivo ad ottenerlo ma una mera aspettativa.
Laltro caso di scioglimento del matrimonio il cosiddetto privilegio
paolino, cos denominato in quanto trova fondamento teologico nella prima
lettera ai Corinti di s. Paolo. Il can. 1143 prevede le condizioni per sciogliere
un matrimonio naturale anche se sia stato consumato. Occorre che si tratti di
un matrimonio tra non battezzati; che successivamente uno dei coniugi
abbia ricevuto il battesimo; che la parte non battezzata non voglia farsi
battezzare e non viva pacificamente con il coniuge. Lo scioglimento avviene
quando la parte battezzata celebra a norma del diritto canonico un nuovo
matrimonio. A questa fattispecie ne viene assimilata unaltra detta
privilegio petrino (cann. 1148 1149), cio quando il pagano poligamo
riceve il battesimo e non pu o gli gravoso rimanere solo con il primo
coniuge, pu scegliere uno fra i vari coniugi e sposarlo canonicamente;
oppure quando il pagano che riceve il battesimo non pu ristabilire la
convivenza con il coniuge naturale a causa della prigionia o della
persecuzione. Nel privilegio paolino lo scioglimento giustificato dal fatto
che il bene della fede prevale sullindissolubilit; una rescissione del patto
matrimoniale perch concluso a condizioni inique fra i soggetti che erano
ottenebrati dallintelletto in quanto si trovavano in infidelitate.

CAPITOLO X
IL DIRITTO PENALE DELLA CHIESA E PRINCIPI DI GIUSTIZIA
CANONICA
Il diritto penale
In quanto comunit di uomini giuridicamente organizzata, il popolo di Dio ha
un suo diritto penale.
Nel can. 1311 del codice latino si dice che la Chiesa ha il diritto nativo e
proprio di costringere con sanzioni penali i fedeli che hanno commesso
delitti.
Se ci pu sembrare in contraddizione con la carit, la misericordia, e lo
spirito pastorale che sono i fini che caratterizzano lazione della Chiesa;
tuttavia va detto che sin dalle origini la Chiesa ha esercitato la funzione
punitiva , non ritenendola in contrasto con la propria natura e le proprie
finalit.
La forma pi severa stata la scomunica, cio la messa al bando di chi si
reso responsabile di fatti gravi e quindi viene allontanato dalla comunit di
cui faceva parte. Ma essendo la Chiesa e il suo diritto improntati alla
misericordia, lequilibrio tra carit e giustizia delicato. Di certo la
misericordia non pu rinunciare alla giustizia perch altrimenti potrebbe
divenire oggettiva complicit del male. D'altronde la punizione del male
commesso serve a prevenire o riparare gli scandali (can. 1399).
Il diritto penale canonico che evidentemente deve ricondursi al munus
regendi, per quanto attiene alla previsione astratta di fattispecie criminose,
sia per lattivit concreta di accertamento dei crimini commessi, sia per le
relative sanzioni, sensibilmente diverso dai diritti penali degli Stati: ci sia
dal punto di vista delle finalit che si propone, date soprattutto dallemenda
del reo e dal favorire la sua salvezza eterna; sia per le fattispecie delittuose
perseguite, ma non perseguibili dagli ordinamenti statali (ad esempio:
delitti contro la religione e lunit della Chiesa - leresia, lapostasia, lo
scisma;
contro la libert della Chiesa e le autorit ecclesiastiche - il sacrilegio;
lusurpazione degli uffici ecclesiastici - come la celebrazione simultanea
o simoniaca dei sacramenti);
come pure per le pene a carattere spirituale come la scomunica.
Altre previsioni di fattispecie delittuose che sono o possono essere
contemplate anche dai codici civili degli Stati sono ad es. lomicidio, il
rapimento, le lesioni gravi e laborto (cfr. can. 1397 s.).
Come ogni altro ordinamento vigente negli Stati democratici, nel diritto
canonico contemplato il principio di legalit (nullum crimen sine lege),
temperato,
tra
laltro
secondo
le
peculiari
esigenze
spirituali
dellordinamento, e sono riconosciute le categorie proprie del diritto in
genere, come:
lelemento soggettivo o psicologico richiesto affinch vi sia riconosciuto
il delitto (dolo o colpa),
le circostanze aggravanti e attenuanti,
le cause oggettive o soggettive che escludono lantigiuridicit del fatto e

la sussistenza del delitto quali lo stato di necessit, il timore grave,


lignoranza incolpevole e la mancanza delluso di ragione.
Inoltre, in ragione proprio delle particolari finalit dellordinamento canonico
e della direttiva - derivante dallesigenza della carit verso il colpevole - per il
ricorso alla sanzione solo in casi estremi, il diritto penale canonico ha una
applicazione abbastanza limitata.
La Giustizia canonica
La comunit ecclesiale, nonostante i suoi alti fini, non immune
dallinsorgenza di conflitti tra individui, tra istituzioni, tra individui e
istituzioni e tra costoro e lautorit. La Chiesa, essendo popolo di Dio
pellegrino nel mondo e nella storia, composta da uomini deboli e fallibili, e
quindi come ogni altra comunit giuridicamente organizzata necessita di
risoluzioni giuridiche che possano assicurare una corretta e pacifica
convivenza. Anche questo aspetto della sua vita riconducibile al munus
regendi.
Va per premesso che, in materia, lordinamento canonico stato segnato da
direttive di valore che invitano a fare di tutto pur di superare lo scoglio dei
conflitti in maniera pacifica, senza dover ricorrere al giudice, con la
riconciliazione o, quando questa non risulta perseguibile, facendo riferimento
ad istituti come la conciliazione e larbitrato.
Nel caso in cui non possibile esperire laccordo (ad esempio perch trattasi
di materie che non possono essere sottoposte ad arbitrato, come nel caso di
un matrimonio nullo, in cui non si pu addivenire alla riconciliazione dei
coniugi se non sono state rimosse, o non sono rimovibili, le cause della
nullit), indispensabile ricorrere alla giustizia ecclesiastica.
Dobbiamo sottolineare che la giustizia canonica in determinate materie
non si accontenta della verit processuale, cio della verit accertata
nel processo, ma tende allaccertamento della verit oggettiva.
Questo vale soprattutto per le cause che riguardano lo stato delle
persone le quali non passano mai in giudicato (can. 1643) anche se a
diverse condizioni diventano esecutive. Cos avviene nelle cause
matrimoniali: se un matrimonio erroneamente dichiarato nullo dal
giudice ecclesiastico (verit processuale) in rapporto al bene
spirituale del fedele non indifferente che sia invece oggettivamente
valido (verit sostanziale) o viceversa. Ed proprio per questo che
anche a distanza di tempo la questione pu essere riesaminata dal
giudice ecclesiastico al fine di far coincidere la verit processuale e la
verit sostanziale: non lecito, infatti, per la Chiesa trattenere nel
vincolo coniugale chi non abbia contratto valido matrimonio n
tantomeno lasciar libero chi invece validamente sposato.
Altro esempio, che costituisce lo spirito che anima ed chiamato ad
animare la giustizia nella Chiesa, quello dellaequitas canonica.
Nella prospettiva di unapplicazione della legge che aiuti il fedele nella
perfezione spirituale, il giudice chiamato a trattare le controversie
umane al fine di ricercare la giustizia di quel caso concreto, avendo
sempre presente il modello di perfezione della giustizia divina, e
temperando le ragioni della giustizia con quelle della misericordia
(iustitia dulcore misericordia temperata).

Altro elemento che caratterizza la giustizia nella Chiesa il ruolo della


giurisprudenza. Per il diritto canonico il giudice sottoposto alla legge
nel senso che a lui che compete lapplicazione delle disposizioni, le
quali, pur avendo in s carattere astratto, devono essere volte al caso
concreto. Egli chiamato in qualche modo ad esplicare e integrare il
dato normativo, dando luogo al diritto vivente stabilito per legge dal
diritto scritto, ma interpretato e integrato (anche) dalla
giurisprudenza ecclesiastica; dunque, in base al can. 19 del codice
latino, con esclusione delle cause penali, il giudice ecclesiastico
legittimato a risolvere la causa ricorrendo allanalogia e ai principi
generali del diritto ma anche ricorrendo alla giurisprudenza e alla
prassi della Curia romana.
Nel diritto canonico sono indicate dettagliatamente le materie che sono
riservate alla competenza del giudice ecclesiastico (giurisdizione),
strutturando i tribunali ecclesiastici con criteri territoriali.
La giurisdizione ecclesiastica riguarda le materie spirituali, come la validit
del sacramento matrimoniale, o connesse con le spirituali, come le
controversie su beni di enti ecclesiastici.
Lordinamento giudiziario canonico strutturato in tribunali di prima
istanza (can. 1419) istituiti per ogni diocesi, e di seconda istanza ( can.
1438), generalmente istituiti presso larcidiocesi cui la diocesi del giudice di
primo grado afferisce, cosicch dal tribunale del vescovo, detto suffraganeo,
lappello si propone al tribunale del vescovo metropolita.
Inoltre lordinamento si completa con i tribunali della Santa Sede (la Rota
Romana) e il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica.
Nel tribunale di prima istanza il giudice il vescovo che esercita la funzione
attraverso un vicario giudiziale o officiale. Vi sono poi giudici diocesani che
servono, quando richiesto dal diritto, per formare il collegio giudicante. La
tutela degli interessi pubblici affidata al promotore di giustizia (a un
difensore del vincolo nelle cause matrimoniali).
Il sistema processuale canonico costituito da un modello unico di processo,
detto giudizio contenzioso ordinario, che costituisce la base anche di vari
processi speciali e che generalmente espletato in forma scritta.
Il diritto canonico disciplina anche i processi speciali come:
quelli che riguardano il matrimonio;
le cause per la dichiarazione della nullit della sacra ordinazione;
il processo penale;
i processi che integrano la giustizia amministrativa canonica;
le cause di beatificazione e di canonizzazione.
CAPITOLO XIII
LA GIURISDIZIONE E IL DIRITTO PROCESSUALE CANONICO
Premessa
Sia il diritto canonico che quello civile hanno come scopo che la giustizia
regni nei rapporti delle rispettive societ, senza che ci implichi che le
relazioni giuridiche esauriscano i fini o lintera realt di tali diverse scienze.
Ci comporta che non sia possibile impostare correttamente il diritto
canonico trascurando i criteri ecclesiologici (e teologici) dai quali

scaturiscono i suoi specifici postulati di giustizia. Invero, la scienza giuridica


canonistica ha notevoli specificit di fondo che riflettono ad ogni istituto il
contenuto peculiare dei beni oggetto di tale ordinamento, che non si
esimono dall'identificarsi (come abbiamo visto in lezioni precedenti) in veri e
propri diritti e in veri e propri doveri. Il canonista che si dedica allo studio,
allinsegnamento e allapplicazione del diritto processuale della Chiesa
incontra soventemente non poche difficolt nel dimostrare la non superfluit
di tale disciplina dellordinamento ecclesiale. Spesso ci si ritrova a dover
cercare di rendere comprensibile la sua rigorosa tecnicit: il suo essere, cio,
manifestazione di un atteggiamento formalistico alieno, prima facie, alla
pastoralit che caratterizza lordinamento canonico. Ai pi per fugare ogni
dubbio potrebbero gi bastare le parole pronunciate da Giovanni
Paolo II al Tribunale della Rota Romana: La pastoralit di questo diritto, ossia
la sua funzionalit rispetto alla missione salvifica dei sacri Pastori e
dellintero Popolo di Dio,... (si fonda ndr) sullecclesiologia conciliare, secondo
la quale gli aspetti visibili della Chiesa sono inseparabilmente uniti a quelli
spirituali, formando una sola complessa realt, paragonabile al mistero del
Verbo incarnato .
Lattivit giuridico - canonica , dunque, per sua natura pastorale e del
carattere pastorale del diritto della Chiesa partecipa anche il diritto
processuale canonico. Ci che deve comprendersi , infatti, che
profondamente errato ritenere che per essere pi pastorale il diritto debba
rendersi meno giuridico. Esso, infatti, altro non se non una peculiare
partecipazione alla missione di Cristo Pastore, consistente
nellattualizzazione dellordine di giustizia intraecclesiale voluto dallo stesso
Cristo.
Ecco per quale ragione l'esistenza in seno alla Chiesa - Comunit sociale
perfetta - di diritti e doveri consente al soggetto che si ritenga leso nelle
proprie posizioni giuridiche soggettive, di farle valere nelle opportuni sedi
giudiziarie, in un processo, dinnanzi ad un tribunale della Chiesa.
Da questo punto di vista si comprende ancor meglio la funzione processuale
in seno all'impianto giuridico ecclesiastico. Se le norme sostanziali
determinano regole di giustizia in via generale ed astratta, le norme
processuali collaborano ad una determinazione specifica del giusto in
relazione al singolo caso concreto.
Non deve stupirci, dunque, l'idea di un diritto processuale canonico, anche in
considerazione del fatto che, in ogni caso, le norme processuali della Chiesa,
pur nell'assoluto rispetto del rigore metodologico proprio della forma
processualistica, promanando da una radice pastorale comune, mirano
sempre a promuovere la salus animarum e devono sempre essere attuate
con spirito di equit e tolleranza.
Ci detto, deve specificarsi che Dei processi e della cd. "Giustizia Canonica"
si occupa l'ultimo Libro del Codex del 1983. A norma del Can. 1o4o, infatti, la
Chiesa attraverso i suoi Tribunali ha competenza a giudicare in cause che
riguardano aspetti spirituali o materie ad essi annesse, in materia di
violazione di norme che comportano l'applicazione di pene e per ci che
riguarda questioni di giustizia amministrativa.
La potest giudiziaria, cos come anche quella legislativa ed esecutiva, in

seno alla Chiesa compete all'autorit ecclesiastica: Il Pontefice ha


competenza universale su tutta la Chiesa, il Vescovo la esercita nell'ambito
della propria Diocesi; entrambi la esercitano direttamente o attraverso i
propri Tribunali e i propri Giudici. Il Pontefice ha riserva di giudizio nei
confronti dei Capi di Stato, i Cardinali, i Vescovi (in materia penale), i Legati.
Inoltre, dato ad ogni fedele il diritto di adire in ogni stato o grado del
processo alla Santa Sede.
Le tipologie processuali esistenti in diritto canonico si distinguono in
ordinarie, quando riguardano il contenzioso e le questioni penali, e speciali,
quando riguardano lo stato delle persone.; altres concesso distinguere tra
processi di interesse pubblico e di interesse privato.
La topografia interna della Struttura Giudiziaria della Chiesa consente, infine,
di individuare Tribunali della Sede Apostolica, la cui disciplina fornita da
una normativa speciale e Tribunali Diocesani o periferici la cui disciplina
dettata, invece, dalle norme del Codice del 1983.
La Rota Romana
Trattasi del Tribunale Pontificio per eccellenza caratterizzato da una storia
plurisecolare. Pu giudicare in fatto ed in diritto per ogni tipo di causa ed in
ogni materia, tuttavia, essa giudica per lo pi in qualit di tribunale Pontificio
d'appello come giudice di terza istanza esauriti i tribunali periferici di I e II
grado. Ci avviene assai spesso in conseguenza del principio della doppia
sentenza conforme che vige in materia di nullit del vincolo matrimoniale in
seno alla quale assai spesso si rende necessaria per decretare o meno la
nullit del vincolo una terza pronuncia. Il Tribunale in questione formato da
Chierici e religiosi scelti per prassi da cinque aree territoriali - linguistiche in
cui si applica normalmente il diritto canonico: Italia, Francia, Spagna,
Germania ed area Anglo-Americana. I componenti, sotto la guida di un
decano, decidono, secondo turni rotali, in collegi composti da tre giudici,
salvo, in caso di decisioni videntibus omnibus, decidere in collegio di cinque
giudici. Presso di esso, come in ogni Tribunale ecclesiastico troviamo il
Promotore di Giustizia, il Difensore del Vincolo ed il Notaio, di cui si parler
pi innanzi. Annesso alla Rota Romana lo Studium Rotae che organizza
formazione per Avvocati Rotali. Ad esso si accede dopo il conseguimento
della laurea in diritto canonico conseguita in un Universit Pontificia.
Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica
Detto Tribunale provvede alla retta amministrazione della Giustizia e si pone
al Vertice della struttura Giudiziaria. Esso composto da Cardinali nominati
direttamente dal Romano Pontefice. Il Supremo Tribunale organo giudiziario
presieduto dal Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica,
coadiuvato da esperti canonisti per lo studio della causa ed elaborazione di
pareri. Trattasi, nello specifico, di Tribunale Supremo all'interno della
struttura giudiziaria ecclesiastica per ci che concerne questioni di diritto e
legittimit che assume funzioni simili a quelle della Corte di Cassazione
Italiana ed, in parte, anche delle Corti Costituzionali dei sistemi di Civil Law.
Esso ha competenze in questioni di nullit processuali e restitutio in integrum
contro le sentenze rotali; per ci che riguarda i ricorsi contro una decisione
rotale che abbia negato l'ammissione a nuovo esame di una causa
matrimoniale dopo il formarsi di una doppia sentenza conforme (esame,
peraltro, concedibile solo in caso di nuovi e gravi documenti o risultanze

probatorie); per ci che riguarda il giudizio su eccezioni di suspicione e


ricusazione avverso un giudice rotale.
Tribunali ecclesiastici periferici
A livello locale il potere giudiziario affidato al Vescovo che lo esercita
direttamente o - pi comunemente - attraverso un Vicario Giudiziale e ove lo
richieda la necessit pi Vicari giudiziali aggiunti (in materia matrimoniale
occorrer un collegio composto da tre giudici).
Giudicare spetta a chi giudice ma per istruire la causa pu nominarsi un
Uditore (anche laico, uomo o donna) tra le persone indicate dal Vescovo.
Inoltre anche il Giudice unico pu farsi coadiuvare da due assessori (anche
laici) in qualit di consulenti. Quando si tratta di un collegio giudicante il
Presidente designa tra i membri del collegio un giudice ponente che redige la
sentenza.
Esistono inoltre tre figure peculiari del diritto canonico:
^ il Promotore di Giustizia, figura assimilabile per certi versi a quella del P.m.
dei processi italiani che chiamato ad intervenire in cause in cui vi sia
pericolo per il bene pubblico. Tale figura assume in cause matrimoniali un
ruolo diverso e, precisamente, nel caso in cui ponga in essere l'atto di
accusatio matrimoni in ipotesi di divulgazione di notizia di nullit del
vincolo ed inerzia dei coniugi.
^ il Difensore del Vincolo, che interviene in cause in cui si discute circa la
nullit dell'ordinazione sacerdotale o di nullit e scioglimento del vincolo
matrimoniale (nei casi in cui esso ammesso dal diritto sostanziale). In
tali contesti il difensore del vincolo manifesta durante il processo che sia
contrario allo scioglimento ed alla nullit ed in favore del vincolo.
^ il Notaio, soggetto normalmente laico e di sesso femminile che ha una
funzione simile a quella assunta nei processi dello Stato italiano dal
cancelliere. Egli redige i documenti ed i verbali di udienza e li sottoscrive
affinch abbiano fede pubblica.
Il processo canonico
Come detto in apertura, la via attraverso la quale si possono far valere i
propri diritti il processo. Esso consiste in una serie successive di atti posti al
fine di ottenere una decisione vincolante che stabilisca quel che giusto. In
esso prende corpo e si sviluppa la vicenda processuale ordinata dai diritto e
diretta dallautorit giudiziaria, allo scopo di stabilire la verit (processuale) e
le conseguenze giuridiche che da essa derivano.
Altro punto da chiarire che, per definizione, in ogni processo occorrono due
parti processuali contrapposte; una che reclama lintervento della giustizia
(parte attrice); un'altra contro la quale l'attore agisce (parte convenuta)
Questa dualit di parti contrapposte si esprime nel cd. meccanismo del
contraddittorio. Il concetto di parte noto dal diritto civile, ed ad esso
possono fare capo una o pi persone fisiche o giuridiche, che fanno capo ad
uno stesso interesse unitario. Le parti, inoltre, ricevono nomi diversi a
secondo il tipo di causa di cui si tratta(ed allora potr parlarsi di ricorrente,
resistente, reo, accusa, etc..) il principio del contraddittorio si esprime anche
nellequilibrio processuale che deve sussistere tra le
parti in causa in quanto ad ognuna di esse va riconosciuta pari opportunit di
addurre prove ed argomenti, avanzare richieste al fine di provare la propria
tesi. Le parti possono o devono, secondo i casi, essere rappresentate e

difese in giudizio da un procuratore ed avvocato.


La competenza del Tribunale
Perch un giudice o tribunale possa esaminare e decidere una causa occorre
che esso sia competente. Allo stesso modo l'attore che vuole iniziare una
causa deve rivolgersi al tribunale che ne abbia competenza. Essa viene
attribuita ai differenti tribunali dalla legge, secondo criteri diversi ed inerenti
la materia, il luogo, il domicilio delle parti, il grado del giudizio. Si pensi,
come gi detto al fatto che, certe cause sono riservate al Papa ed altre ai
tribunali della Santa Sede ed altre ancora ai tribunali periferici diocesani o al
fatto che in Italia i tribunali regionali sono a livello periferico gli unici
competenti in materia matrimoniale. Per ci che concerne la competenza
pu dirsi che in via generale sempre competente il tribunale del domicilio o
quasi - domicilio del convenuto (can. 14o8). Tuttavia, ad esempio, nelle
cause matrimoniali, esistono eccezioni a tale regola generale dato che
anche competente il tribunale del luogo ove fu celebrato il matrimonio (c.
1473). Si capisce quindi che una delle prime cose che deve valutarsi in
merito all'azione di un determinato soggetto la competenza del giudice
adito. Se il giudice adito si ritiene competente, esso ha il dovere di giudicare,
se si reputa incompetente deve astenersi dal farlo altrimenti pu essere
anche punito (c. 1457).
Lo svolgimento del processo.
Abbiamo detto che il processo e una serie concatenata e ordinata di atti che
si succedono secondo regole ben precise che ne scandiscono le varie fasi
accomunate dal principio preclusione, secondo i1 quale quando si conclusa
una fase pu cominciare la seguente, senza che si possa tornare indietro.
Pertanto le parti devono realizzare le loro mosse processuali nel momento
opportuno, ovvero entro i termini stabiliti.
a) Fase introduttiva
Il primo momento del processo ha come scopo quello di individuare parti,
tribunale competente e, soprattutto, loggetto della lite processuale. L'atto
introduttivo del giudizio il libello introduttivo nel quale chi ha interesse
presenta al giudice la sua domanda. In esso lattore ha l'obbligo di indicare
chiaramente: il giudice o tribunale al quale si rivolge, il petitum e le
generalit del convenuto. Egli deve inoltre segnalare la causa petendi, cio
deve indicare le ragioni di diritto e di fatto su cui basa la sua domanda (can.
1504). Ricevuto il libello, spetta al giudice ammetterlo o respingerlo,
verificando innanzitutto la propria competenza e la legittimazione di parte
attrice. Il giudice anche tenuto ad esaminare la correttezza formale del
libello e la fondatezza anche minima della pretesa attorea (fumus boni iuris).
Se manca alcuno di questi requisiti dovr rifiutare il libello o farlo correggere
dallattore. Poich il rigetto del libello equivale ad una risposta negativa alla
sua pretesa, lattore potr ricorrere avverso tale provvedimento (c. 1505). Se
il giudice, invece, decide
di accettare il libello, cita le altre parti per la contestazione formale della lite:
si tratta della cosiddetta litiscontestatio. Questa formale contestazione
volta a concordare i termini della controversia: cosa si chiede e per quali
motivi. Sentite le richieste e le risposte delle parti, il giudice stabilisce per
decreto la quastio iuris alla quale si dovr dar risposta nella sentenza.
Stabiliti i termini della lite essi vi una sorta di cristallizzazione degli stessi

che non possono pi essere mutati, salvo in casi particolari il giudice vi


acconsenta.
b) Fase istruttoria
Avvenuta formalmente la litiscontestatio, si instaura ufficialmente la lite che
di regola dovr proseguire fino alla sentenza decisoria. Si apre allora la fase
in cui si raccolgono le dimostrazioni sulle parti basano le loro rispettive
pretese. In tema di prove va osservato il principio che l'incombenza di
fornirle tocca a chi asserisce: chi afferma un fatto lo deve provare. Tuttavia
non ce bisogno di provare ci che dalla legge stessa si presume; e neanche i
fatti ammessi dalle parti contendenti, ai meno che il diritto o il giudice, ci
nonostante, lo esigano come in ipotesi in cui oltre allinteresse privato dei
contendenti vi sia in gioco anche il bene pubblico) (c. 1526). Le parti possono
proporre ogni tipo di prova che sia lecita e sembri essere utile alloggetto
della causa (c. 1527).
I pi comuni tipi di prova sono:
^ Le dichiarazioni delle parti. Il giudice pu interrogare le parti se lo consideri
opportuno; e lo dovr fare su istanza di una di esse o se sia utile al
pubblico interesse. Egli pu chiedere alla parte interrogata di prestare il
giuramento. Le parti hanno il dovere di rispondere e dire tutta la verit. Il
giudice dovr effettuare le domande tenendo conto anche dei quesiti
proposti dalle altre parti.
^ La confessione giudiziale, ossia lammissione di un fatto operata dalla
parte contro se stessa davanti al giudice. La confessione esonera la
controparte di dover provare il fatto confessato, ma ci salvo sia in gioco il
bene pubblico verso, poich allora la confessione non potr fare da sola
piena prova.
^ La testimonianza, ossia quel mezzo istruttorio attraverso il quale le parti
chiedono che coloro i quali siano a conoscenza dei fatti riguardanti la
causa dichiarino quanto di loro conoscenza. La testimonianza pu essere
ammessa anche dufficio. Il Codice stabilisce regole ben precise su chi pu
rendere testimonianza. Soltanto il giudice pu interrogare i testi, ma la
parte che deve segnalare gli argomenti sui quali chiede essi debbano
essere interrogati che, di regola, i testi non devono dal canto loro
preventivamente conoscere. I testimoni devono rispondere secondo verit
e le domande che ad esse vanno poste devono essere semplici, adeguate
alla non cavillose, subdole o suggestive, pertinenti alla causa e non
offensive. La loro deposizione va redatta per iscritto dal Notaio ed il
verbale dellinterrogatorio deve essere letto al teste dandogli la possibilit
di aggiungere chiarimenti e infine sottoscrivere insieme a giudice e
notaio. Le testimonianze vanno valutate dal giudice considerando la
condizione ed onest del teste; se parla di scienza diretta o de relato o in
base alle proprie personali opinioni; se sia stato coerente e costante nelle
sue affermazioni, etc...
^ La prova documentale. In ogni causa possibile vi siano documenti
presentati dalle parti o richiesti dal giudice che entrano a far parte del
giudizio. Normalmente si tratta di scritti, ma pu trattarsi anche di
fotografie, registrazioni, e altri oggetti. I documenti possono essere
pubblici o privati.
^ La prova peritale, ovvero una dimostrazione che richiede lesame ed il

parere di soggetti professionisti esperti in settori specifici (medicina,


psichiatria, etc..). Listituto peritale ha radici storiche lontane nella
tradizione giudiziaria della Chiesa. Essa, infatti, risale alle Costituzioni di
Papa Innocenzo terzo (1212). La perizia entrata a fare parte dellattivit
della Rota Romana sino da tempi della sua istituzione (anno 1326). Allo
stato attuale, limportanza e lutilizzazione della perizia quale mezzo di
prova discende dal fatto che nellapplicazione della legge canonica si
apprezza ogni argomentazione fondata sullo studio serio e profondo delle
leggi della natura, sul rigore delle deduzioni scientifiche e sulla
conoscenza delle radici dellessere e del comportamento umano. Il Codice
di diritto canonico dedica un intero capitolo ai periti (can. 1574-1581) alla
cui opera si ricorre per comprovare i fatti che necessitano un
approfondimento tecnico scientifico. A tal proposito va chiarito sin da
subito che per il responso peritale non vincola il Giudice, il quale ha ampia
libert di aderire alle conclusioni peritali, di accettarle solo in parte o,
ancora, di respingerle in base ad altri elementi di prova o al proprio libero
e motivato convincimento. Spetta al Giudice la scelta e la nomina dei
periti, udite le parti o su loro proposta. Il Giudice pu anche accettare le
relazioni gi fatte da altri periti, fermo restando in ogni caso il valore
probatorio maggiore delle perizie elaborate dufficio. Allatto del
conferimento dellincarico il Giudice pone i singoli quesiti sui quali verter
lopera del perito ed il termine di presentazione del loro elaborato, salva la
possibilit per le parti di suggerire altri punti da approfondire. Al perito,
affinch possa espletare le proprie funzioni, sono trasmessi gli atti della
causa e gli atti documenti e sussidi di cui pu avere bisogno per eseguire
esaurientemente il proprio compito. I periti sono tenuti ad indicare e le
fonti e i modi da cui abbiano accettato lidentit delle persone, delle cose
e dei luoghi, nonch precisare i metodi e i criteri da loro seguiti
nellespletamento del loro compito. Resta salva la possibilit per il giudice
di richiedere ai periti chiarimenti ulteriori, ove ritenuti necessari. La
nomina di consulenti tecnici delle parti, rimane facolt delle parti stesse,
con lapprovazione del Giudice. Lopera del medico in qualit di perito pu
essere richiesta a medici legali, ostetrici, psichiatri, e altri specialisti di
provata arte e scienza, insigni nella loro specialit, di riconosciuta
prudenza e diligenza, raccomandabili per principi morali e di notoria fede
cattolica. In materia canonica la perizia medica viene richiesta per
accertare limpotenza matrimoniale del coniuge, per provare o escludere
la consumazione del matrimonio, per diagnosticare lesistenza di
alterazioni psichiche diminuenti o escludenti luso della ragione e
riconoscere o escludere lidoneit fisica del chierico o del laico a
determinate attivit canoniche.
Notevole importanza hanno assunto oggi le perizie canoniche in materia
psicologica e psicopatologica, in ordine allaccertamento di inadeguata
maturit psicologica, affettiva e comportamentale degli aspiranti al noviziato
e al sacerdozio. Oltre all'effettiva vocazione occorre di certo accertare
l'idoneit alla vita sacerdotale in senso fisico e psichico e in rapporto alle
rinunce che importano i voti religiosi (castit, povert, obbedienza) e agli
impegni, non di rado gravosi, richiesti dal ministero pastorale.
^ L'ispezione del giudice, per cui se lo ritenga opportuno al fine di conoscere

meglio i fatti, egli pu recarsi presso un determinato luogo o ispezionare


qualche cosa. Dellispezione deve rimanere traccia scritta in un apposito
verbale ^ Le presunzioni, per mezzo delle quali pu dedursi una cosa incerta
a partire da un fatto certo. Possono rivelarsi utili nelle cause in cui sono rare
altre forme di prova certa specie in riferimento a fatti negativi (ad es. la
mancata realizzazione dei un battesimo pu desumersi dall'assenza di
alcuna prova documentale nei registri parrocchiali). Si chiamano presunzioni
iuris quelle stabilite dalla legge, e presunzioni hominis quelle formulate dal
giudice. La presunzione ha come effetto l'inversione probatoria in quanto, chi
ha dalla sua parte una presunzione iuris non tenuto a provare il fatto
presunto: ad es., il c. 1o61 2 stabilisce che se dopo il matrimonio i coniugi
hanno coabitato si presume tra essi la consumazione.
c) Pubblicazione, conclusione e discussione
Una volta raccolte le prove, prima di conludere il periodo probatorio, il
giudice deve, sotto pena di nullit, procedere alla pubblicazione degli atti,
ovvero permettere alle parti di prenderne visione degli atti del giudizio. Le
parti possono quindi presentare nuove prove, che saranno anche pubblicate
in seguito. Quando le parti dichiarano di non avere altre prove da produrre, o
comunque, decandono da tale diritto o, ancora, se il giudice ritiene
sufficientemente istruita la causa, egli decreta la conclusione in causa. Dopo
tale momento non pi consentito ammettere nuove prove salvo che per
motivi gravi o con il consenso delle parti. Si passa, cos, alla fase di
discussione nella quale le parti sono chiamate a presentare, entro un termine
stabilito, difese e osservazioni.
d) La fase decisoria
Finita la discussione spetta al giudice pronunciare la sentenza che pu essere
definitiva - se decide la questione principale definita nella litiscontestatio - o
interlocutoria - se risolve una questione incidentale sorta lungo il processo.
Per emettere la sentenza il giudice deve aver raggiunto la certezza morale su
quello che decide e per la sua decisione egli deve basarsi solo su quanto
negli atti, valutando le prove secondo coscienza a tenore di legge. Occorre,
dunque, certezza morale in merito alla decisione. Nell'ipotesi di un collegio
giudicante, il presidente a convocare i membri per la decisione che, sulla
base delle conclusioni delle parti, presa a maggioranza assoluta di voti .
Entro un mese da essa deve esserne redatta sentenza. Essa deve
pronunciarsi su ciascuno dei dubbi formulati nella litiscontestatio
determinando i doveri che ne conseguono per le parti ed il modo in cui si
devono compiere, esplicitando le ragioni di diritto e di fatto sulle quali poggia
la decisione. La sentenza, perch abbia valore, deve essere pubblicata, con
indicazione delle modalit d'impugnazione.
L'impugnazione della sentenza.
Avverso sentenze che si ritengono ingiuste possibile utilizzare diversi mezzi
impugnatori, a seconda delle censure da proporre avverso la sentenza da
impugnare. Tali mezzi sono: lappello, la querela di nullit e la restitutio in
integrum. L'appello il ricorso ordinario, in seconda istanza, al tribunale
superiore rispetto a quello che ha emesso la sentenza. La parte che si
considera lesa ha diritto dinterporre lappello (da formularsi in forma scritta
o orale) ava nti allo stesso giudice che ha emesso la sentenza impugnata,
entro il termine perentorio di 15 giorni dalla data di pubblicazione. E' bene,

tuttavia, ricordare come esistono pronunce non appellabili, si pensi a quelle


del Romano Pontefice o del S. Tribunale della Segnatura Apostolica. L'appello
proposto ha effetto sospensivo, anche se prevista l'adozione di misure
cautelari. Una volta proposto appello il ricorrente ha un mese di tempo per
proseguirlo inviando al tribunale superiore copia dell'impugnata sentenza
insieme alla richiesta motivata che essa venga corretta. Il tribunale inferiore
tenuto ad inviare tutti gli atti della causa al tribunale superiore, davanti al
quale si realizzer il giudizio impugnatorio. Lappello interposto da una parte
vale anche per le altre che devono quindi essere chiamate ad intervenire nel
processo. Il giudizio ricalca quello di prima istanza, rimanendo, tuttavia,
inibita alle parti l'ammissione di nuovi quesiti non proposti in prima istanza; e
si possono produrre nuove prove soltanto per una causa grave o lo
consentano tutte le parti. Nelle cause di nullit di matrimonio per le quali
vige il principio della doppia sentenza conforme, devesserci sempre una
decisione di secondo grado che la confermi, realizzandosi, in tal senso, una
sorta di appello automatico, per cui il tribunale che ha emesso la sentenza
affermativa invia dufficio gli atti al tribunale dappello anche se nessuna
delle parti lo richieda espressamente (c. 1682). Soltanto dopo la conferma
della nullit da parte del tribunale dappello le parti possono contrarre nuove
nozze.
Altra forma di ricorso avverso una sentenza la querela nullitatis. In essa
viene messa in discussione non la decisione sul merito, ma la validit
formale della sentenza emessa, per una qualche irregolarit avvenuta nel
processo, che possono consistere in vizi di nullit insanabili (sentenza
emessa da giudice assolutamente incompetente, privo di potest o coatto
per violenza o timore grave; incapacit processuale di una delle parti;
denegato diritto Salla difesa; totale incongruenza della sentenza rispetto alla
litiscontestatio) o sanabili (mancanza del numero di giudici stabilito; carenza
di motivazione; mancanza di firme, data e luogo di emissione della
sentenza). La querela sinterpone, nei termini di tempo stabiliti, davanti allo
stesso giudice che ha emesso la sentenza impugnata, il quale potr decidere
il ricorso ritrattando la sentenza o correggendola. Altro strumento
impugnatorio la cd. Restitutio in integrum che pu esercitarsi contro una
sentenza che sia passata in giudicato qualora emerga palesemente la sua
ingiustizia per uno dei motivi precisamente segnalati nel c. 1645 2:
sentenza basata totalmente su prove rivelatesi false;
scoperta di documenti che esigono una decisione contraria;
inganno doloso di una parte;
pronuncia palesemente contraria al disposto di una legge non di
semplice procedura;
pronuncia su fattispecie gi passata in giudicato.
La restitutio in integrum deve essere chiesta entro tre mesi dalla scoperta
dei motivi su cui fondata. Secondo il motivo per il quale viene invocata, la
richiesta va presentata allo stesso giudice che ha emesso la sentenza
impugnata ovvero al giudice competente per l'appello. Una volta concessa la
restitutio toccher al giudice decidere di nuovo sul merito della causam.
L'esecuzione della sentenza
Passata in giudicato, la sentenza pu trovare esecuzione che spetta al
giudice ordinare con decreto Dal punto di vista amministrativo l'esecuzione

della sentenza compito del Vescovo della diocesi in cui fu emessa la


sentenza di primo grado, salvo, in caso di negligenza, competere al Vescovo
del Tribunale dappello.
In particolare: I processi speciali
Sono quelli che in qualche aspetto si discostano dal processo ordinario,
seguendo regole processuali specifiche. Tra i pi importanti vi rientrano i
processi riguardanti:
a) la nullit del matrimonio. Trattasi di un processo che ha per oggetto la
validit o meno di un matrimonio. In diritto canonico, se del caso, possibile
dichiarare la nullit di un matrimonio, ma non annullarlo come spesso
impropriamente si afferma. Tale precisazione, che rimanda in parte alla
distinzione di stampo civilistico nullit - annullabilit, doverosa in quanto il
matrimonio valido non pu essere annullato da nessuno (e se rato e
consumato neanche sciolto). Si tratta quindi di esaminare se, per i motivi
addotti dallattore nel libello introduttivo e sulla base delle risultanze
processuali, il matrimonio sia o meno viziato ab initio da nullit.
La dimensione peculiare del processo in esame si evince anche dal fatto che
il diritto ad impugnare il matrimonio spetta solamente ai coniugi (eccetto il
promotore di giustizia quando la nullit sia gi stata divulgata e vi sia inerzia
da parte dei coniugi, c.1674), e dopo la morte di uno dei coniugi il
matrimonio non pu pi, di regola, essere impugnato (c. 1675).
Per indagarsi sulla nullit il quesito posto al tribunale deve indicare in modo
specifico il capo o i capi di nullit, cio i motivi specifici in base ai quali essa
viene chiesta .
In materia vige il principio della doppia pronuncia conforme, per cui la nullit
deve essere dichiarata da due decisioni coincidenti nelle motivazioni. Per tale
ragione dopo la prima sentenza affermativa si ha una sorta di appello
automatico al tribunale superiore, il quale decider se confermare o
riformare la prima pronuncia. In certi casi, quando da documenti ineccepibili
consta l'esistenza di una causa certa di nullit si pu seguire un processo
nella sola forma documentale, per cui il giudice pu, sentite le parti e il
difensore del vincolo, sentenziarne l'esistenza, tralasciando le altre formalit
processuali (cc. 1686-1688).
b) Le cause di separazione dei coniugi (cc. 1692-1696). Esse possono essere
definite per decreto del Vescovo diocesano oltre che per sentenza del
giudice. Inoltre, in certi casi, il Vescovo diocesano pu anche autorizzare che
la causa di separazione sia presentata davanti al tribunale civile anzich a
quello ecclesiastico, in quanto lordinamento civile non riconosce la
separazione canonica.
c) La dispensa dal matrimonio non consumato (cc. 1697-1706). Trattasi di
una procedura, poich essa non finisce con una sentenza ma con la
dispense: (o meno) del matrimonio concessa dal Papa.
Tuttavia questa procedura per la dispensa si svolge in maniera simile ad un
processo. La richiesta di dispensa deve essere presentata da almeno uno dei
coniugi al Vescovo diocesano del proprio domicilio, il quale, se la considera
fondata, dispone l'istruttoria, che assume le medesime forme che in una
causa di nullit (citazione delle parti, intervento del difensore del vincolo,
raccolta delle prove, argomentazioni a favore e contro la richiesta).
Finita la fase istruttoria, listruttore trasmette gli atti al Vescovo diocesano

insieme ad una sua relazione.


Il Vescovo trasmette gli atti, con le osservazioni del difensore del vincolo, alla
Sede Apostolica aggiungendo un suo voto secondo verit circa:
- il fatto della mancata consumazione;
- l'esistenza di una giusta causa per la dispensa;
- lopportunit di concederla.
La Congregazione del Culto decide se consta dellinconsumazione e degli
altri requisiti, proponendo o meno la dispensa al Santo Padre.
d) Il processo di morte presunta del coniuge (c. 1707), al fine di dichiarare la
morte di uno dei
coniugi, quando essa non si possa dimostrare con un documento autentico
(civile od ecclesiastico).
La morte presunta dichiarata dal Vescovo diocesano soltanto dopo
un'accurata indagine che lo porti alla certezza morale del decesso, fondata
su testimoni, sulla fama o su altri indizi, non essendo sufficiente la sola
assenza del coniuge, anche se prolungata dichiarazione
e) Il processo di nullit della sacra ordinazione (cc. 1708-1712). La
competenza per trattare queste cause spetta alla Congregazione del Culto
Divino, la quale pu tuttavia incaricare per ogni singola causa un altro
tribunale da essa designato.
Ad impugnare la validit dellordinazione hanno diritto soltanto il chierico
interessato e lOrdinario a cui egli soggetto o nella cui diocesi egli fu
ordinato.
Il processo si svolge per lo pi secondo il rito ordinario, ma, come nelle cause
matrimoniali, deve intervenire il difensore del vincolo, e soltanto dopo una
econda decisione che confermi la nullit dellordinazione dichiarata nella
prima, cessano per il chierico diritti e doveri propri dello stato clericale.

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