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REGIA PAZZIA
BRUNO LETTORE DI CALVINO
Quattmvend/
Questo volume stato pubblicato con il contributo dei Ministero della P.I.
ISBN 88-392-0048-7
Copyright 1987 Edizioni QuattroVenti, Urbino.
Diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o parziale, riservati per tutti
i paesi.
AVVERTENZA
G.
ivi vedrai il frutto della redenzione. L'ediz. GentileAquilecchia ha avuto una seconda ristampa, immutata,
Firenze 1985. Va segnalata la traduzione spagnola della Cena
de le Ceneri: G. BRUNO, La Cena de la Cenizas, a cura di M. A.
Granada, Madrid 1984. Il Granada mette giustamente in
rilievo nell'Introduzione il ruolo centrale avuto dalla Narratio prima
di Retico nella interpretazione stessa che Bruno d di
Copernico. Si veda ora anche IOAN P. COULIANO, Eros et magie la
Renaissance. Avec une preface de M. Eliade, Paris 1984 traduz. italiana
Milano 1987, opera di uno studioso della mistica estatica.
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cattoliche e calviniste, la possibilit di riformare tali culti sot traendo 'ad essi quanto si era rivelato esiziale,' sul piano civile,
salvando, una volta attuata questa riforma quegli aspetti che
potevano continuare ad essere utili su tale piano. La
spiritualizzazione del cristianesimo tentata in forme diverse dalla
Riforma sembra qui suggerire, muovendo da presupposti
lontanissimi, una utilit sociale della religione non pi intesa solo
come elemento di costrizione interiore, freno posto dal timore
delle pene al disordinato espandersi degli istinti e delle passioni
ma come legittimazione di un universo fantastico che una volta
purificato possa essere riconosciuto nella sua utilit purch gli
vengano sottratti gli strumenti per intervenire atti vamente ~ed in
modo negativo nella vita civile dell'uomo.
Sembra 'in effetti che Bruno faccia leva sulla separazione tra
dominio spirituale e dominio politico nei termini indicati pur tra
profonde differenze da Lutero e Calvino perch il primo venga
accettato come regno della pura immaginazione, venga cio a far
parte integrante ma in funzione subordinata di quel regno terreno
che i riformatori lasciavano tendenzialmente all'autorit secolare
delle leggi. Il primo doveva dunque essere posto sotto il controllo
del secondo. Credo sia utile osservare, per inciso, che sui punti pi
delicati in discussione, a cominciare proprio dalla presenza
eucaristica ma non solo per essa ed anche a proposito di quanti in
vario modo tendevano ad anteporre il valore dello spirito e della
fede nei confronti di quello della Parola divina, Calvino
sottolineava costantemente il rischio che le nuove credenze
potessero scivolare, sulla via di una integrale spiritualizzazione,
sul piano di ci che puramente immaginario e quindi arbitrario e
la cosa appare particolar
mente evidente nelle trattazioni che la Institutio
religionis ch
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Il Nolano sembra cio avere di mira la possibilit di puri ficare le cerimonie proprie alle diverse confessioni in cui si
scisso ormai l'originario ceppo cristiano, a cominciare da quelle
giu
ng
e
al
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particolare Lutero in Italia. Studi storici nel V centenario della nascita. Introd.
di G. Miccoli, Casale Monferrato 1985 di cui interessano qui i
saggi di O. Nccoli, A. Biondi, S. Caponetto, A. Prosperi, S.
Cavazza, S. Seidel Menchi. Della Seidel Menchi da vedere
anche Le traduzioni
italiane di Lutero nella prima met del Cinquecento, Rinascimento, S.
II, XVII (1977), pp. 31-108. (Per alcuni parallelismi con la
situazione
spagnola, cfr. C. GILLY, Juan de Valds, traductor y adaptator de
escritos de Lutero en su "Dialogo de Doctrina cristiana", in Miscelnea
de Estudios Hispknicos. Homena,ie de los hispanistas de Suiza, a Ramon
Sugranyes de Franch, Montserrat 1982, pp. 85-106). Per il
concetto di
59. 16
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stesso presupposto avevano dovuto estenderne in maniera improbabile la presenza gin ogni luogo.
Certo, e Calvino era Fil primo ad esserne consapevole, ci si
trovava alla presenza di un mistero di fronte al quale le forze del
nostro intelletto apparivano impari cos come le capacit della
parola umana erano insufficienti ad esprimerlo; anche a lui non
restava che la muta admiration, l'inchinarsi di fronte ad esso ed il
riconoscimento di un limite che l'uomo non poteva superare.
Tuttavia si presentava come determinante per difendere tale
posizione la convinzione che la sua riflessione avesse rispettato e
tenuto fermo al dettato della Scrittura, ai due punti a cui essa
rinviava in modo certo, quello per cui il corpo fisico, terreno del
Cristo era effettivamente asceso nei cieli, al di l del cosmo
fisico finito di Calvino, per ivi rimanere, e quello per cui
realmente - anzi, per il Riformatore, realmente perch spiritualmente
- esso si comunicava.
Credo che convenga, per la comprensione del testo bru niano
che ci apprestiamo a commentare, scendere pi in dettaglio e
seguire la sua discussione in alcuni particolari. Nella Cena,
dunque, grazie alla virt dello Spirito Santo che unisce
misteriosamente ci che separato per tutto lo spazio del cielo e
della terra, il Cristo pasce gli uomini dall'alto dei cieli con la sua
carne, una carne che ha avuto origine terrena e che ha
conosciuto la morte ma da cui mutuiamo vita spirituale e cele ste;
rendendo efficace il corpo da lui immolato ed il sangue versato
per noi egli offre se stesso con tutti i suoi doni (bona), facendoci
divenire un'unica sostanza con Lui onde possiamo dire nostro
tutto ci che Suo.
Ora, quella che ha luogo in questo modo, ci viene detto,
una manducatio che non coincide n con un semplice atto di
conoscenza n con un semplice atto dell'immaginazione ma che si
presenta essa stessa. come un frutto della fede: un f rui non
imaginatione aut intelligentia sed re ipsa f rui. Facendo leva su queste
conclusioni, Calvino crede non solo di poter confutare la
transubstanziazione ed indicare i tratti che conserva in comune
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mistero dell'operazione segreta dello Spirito Santo rinviava ne cessariamente a qualcosa che non poteva rientrare nelle leggi di
natura n si presentava accessibile all'intelletto umano. Il grado di
comprensione a cui era possibile giungere attraverso la Scrit tura
mostrava tuttavia il rapporto che si istituiva, nel caso spe. cifico,
tra la volont divina e la sua onnipotenza e la correttezza con cui
esso veniva individuato trovava indirettamente la verifica delle sue
conclusioni nelle assurdit cui giungevano gli avversari. Essi
erano costretti a postulare un corpo fisico non sottoposto alle
leggi cui tutto ci che corporeo va soggetto, dovevano cio
postulare nei confronti della stessa azione divina la possibilit
dell'impossibile, sovvertendo tutto l'ordo della sua sapienza.
Essi chiedevano infatti alla potenza di Dio che il corpo di Cristo
fosse carne e insieme non carne, come se la divinit, che certo
pu fare che le tenebre divengano luce e la luce tenebre, potesse
far s che la luce sia contemporaneamente
anche tenebra' b`s
Credo che per la comprensione dei testi bruniani vadano
sottolineati almeno altri due punti, il primo dei quali legato
direttamente al testo della Institutio. Dovendo stabilire ci che
differenziava la sua posizione da quella di Zwingli e dei suoi
seguaci, Calvino affermava in sostanza: per essi il mangiare il
credere stesso, coincide e si identifica con esso, mentre per noi se
si crede si produce ed opera la manducatio e sottolineava
che poteva sembrare questione di sole parole ma che in realt le
cose stavano ben diversamente. In entrambi i casi si aveva
tuttavia un manducatio che non pretendeva di essere orale. Il
secondo punto cui si faceva riferimento dato dal fatto che se
Bruno sembra aver ricevuto svariate sollecitazioni dal testo di
Calvino che siamo venuti riassumendo ed in particolare dalle
citazioni che Calvino fa di Agostino (il Cristo che qui e non
qui, il mistero della Cena che "peragitur in terra sed cae
.
7bis I.
Calvini Institutio, IV; 17, 24, CR, Opera II, col. 1023.
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gli uomini sembra dunque porsi in un modo del tutto partico lare se vero s
e che in terra e che in cielo ... e che qua e che
l; e che dentro, e che fuori e che alto e che
basso; e che ha del
celeste e che ha del terrestre
Inutile tornare ad insistere su quel "est hic et
non est hic" agostiniano che era giunto attraverso
le scuole pi o meno nella stessa forma sino alle
discussioni dei riformatori, o sul
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Con la Lepre, in effetti, la ricerca della divinit e dell'u nione con essa si presenta attraverso la metafora - fondamentale per
Bruno - della caccia ma quel vano timore e quella vana speranza
di cui si parlava sembrano dar luogo ad un risultato almeno in
apparenza opposto a quello sin qui prospettato e che veniva
definito come l'Orco stesso delle pene e l'inferno in terra. In
effetti la Lepre - che, particolare questo di importanza essenziale,
non perde scendendo in terra la sua prerogativa di animale celeste in grado per la qualit squisita delle sue carni di dare la
"grazia" a coloro che se ne cibano, a quanti mangiando la sua
carne e bevendo il suo sangue, si trasformano in essa. Si noti che
Bruno sottolinea il carattere reale, materiale e non metaforico di
questa manducatio rilevando come divenga "beato il ventre e
stomaco che ne cape e digerisce e si converte in essa".
Ora, il testo solleva immediatamente due problemi che si
ricollegano allo scarto del discorso che abbiamo appena regi strato, due problemi in stretta relazione tra loro e che Momo,
fedele al suo ruolo di suggeritore non meno che ai tratti tradi zinali della sua figura, si accinge subito a prospettare al sovrano
degli dei, anche se essi sono destinati a trovare soluzione in
tempi diversi e secondo un ordine rovesciato rispetto a quello in
cui si presentano.
In primo luogo, se vero che la Lepre scendendo in terra
conserva le sue caratteristiche di animale celeste, anche vero che
proprio a causa di tale discesa va incontro ad un grosso
pericolo, al rischio cio che di essa si perda la "semenza" e
venga ad estinguersi. Dopo che Venere aveva manifestato la sua
preoccupazione per la sorte che attendeva la costellazione dei
Pesci, suoi padrini, che avevano dischiuso l'uovo della sua
misericordia, ora la volta di Diana, che si trova a dover temere la
scomparsa della Lepre e con essa la scomparsa di quella
connessione pur falsa e destituita di fondamento tra timore e
speranza che il nostro celeste animale alimenta. Se la Lepre, ora
che scende in terra, rischia di estinguersi come manducatio realis e
cio, qui, materiale, cibo che trasforma nel corpo del
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Gli eroi e gli dei della Grecia, Milano 1985, vol. II, p. 146.
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Dialoghi, p. 811.
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sione di Giove, il cui decreto giunge appunto come un ricono -
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18, 17,
1063) p
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a cura di R. Amerio, Roma 1966, pp. 100-2: Cum enim sacrificassset agnum
legalem in coena, transivit ad novi Paschatis sacrificium, ut omnes testantur
Patres et factum, ut sic uno adimpleretur sacrificio variarum differentia
victimarum. Hostia in hostiam transit, sanguine sanguis aufertur, et legalis
festivitas, dum mutatur, impletur, ait Leo Papa. Similiter Cyprianus, Hieronymus,
Chrysostomus, Henrichus, Gregorius Nyssenus et omnes fere Patres. Et tunc
docuit qualis Deo deberet hostia offerri, et sacerdotes ad hoc ordinavit
dicens: hoc facite in meam commemorationem, ubi ly hoc demonstrat totum, quod
ipse fecit in consecratione panis et vini, et ly facite idem est quod consecrate sive
facite sacrum, idest sacrificate. Nec modo enim Virgilius, ut Calvinus improperat,
sumit ly lacere pro sacrificare, sed tota fere Scriptura. Dicitur enim Levit. 15:
sumet duos turtures, dabitque sacerdoti, qui faciet unum pro peccato et alterum
pro holocausto. Item Luc. 2: duxerunt eum in Ierusalem, ut sisterent Domino, et
facerent secundum consuetudinem legis pro eo. Elias quoque X 3 Reg. dixit
sacerdotibus Baal: vos bovem facite primi, idest primi sacrificate. Addit autem
Christus in meam commemorationem, non quod sit sola memoria, sed sacrificium
rememorativum passionis corporis eius, quod (ait) pro vobis datur, et sanguinis, qui
pro vobis funditur, sicuti sacrificia vetera erant eiusdem praefgurativa. Non
enim tollitur, quin sit sacrificium ex hoc, quod simul est memoria aut figura
alterius sacrificii; alioquin nec Veteris Testamenti ulla extitissent sacrificia ... Et
bene Caietanus adnotat quod dicendo: hoc est corpus meum quod pro vobis
datur, idest immolatur in
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cruce, et sanguis qui pro vobis f unditur, addit: hoc facite, intelligitur:
immolationem facite: corpus etenim ait hoc, quod pro vobis datur, idest
immolatur, non solum recordatione, sed fractione sacrificali et immolati
va, ut formalis sermo convincit, sic ab Apostolis interpretatus et factita tus.
Unde S. Andreas dixit tyranno iubenti, ut diis sacrificaret: ego quotide
immaculatum agnum in altari sacrifico. L'argomentazione di
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Lutero presuppon
gono che i suoi avversari facciano "del sommo sacerdote del
Vecchio Testamento un'immagine del papa" (ivi, p. 91). Il
passo era dunque
divenuto decisivo per stabilire se il papa fosse o no il
successore e vicario del Cristo in quanto successore
dell'antico Sommo pontefice. Il
romanista sapientone naturalmente il francescano
Ag
ost
ino
Alv
eld
.
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la religion chrestienne.
Texte tabli et prsent par Jacques Pannier, II, Paris 1961 2, pp. 156 e
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Cos essi ardiscono definirsi sacerdoti del dio vivente per farsi in
realt boia - carnifices, bourreaux, murtriers - del Cristo:
Come ardiscono dunque questi sacrileghi dirsi sacerdoti del Dio vivente da
cui non hanno avuto riconoscimento del loro ufficio? Come osano
usurpare questo titolo per farsi boia del Cristo? ... Coloro che diciamo
essere ordinati da Ges Cristo quali dispensatori dell'Evangelo e dei
sacramenti, non sono ordinati per fungere
da macellai in quotidiani sacrifici`.
Egli salo il nostro pontefice essendo entrato nel santua rio
celeste ed colui che ce ne apre le porte, egli stesso l'altare
su cui deponiamo le nostre oblazioni, colui che ci ha fatto essere
re e sacerdoti del Suo regno. Nell'economia del Nuovo Patto a noi
resta quale solo sacrificio legittimo il sacrificio di lode, il culto
reso a Lui nel modo spirituale con cui esso si realizza, modo
spirituale contrapposto ai sacrifici carnali mosaici, dunque un
sacerdozio regale. Al contrario la messa, fonte di meraviglia e di
ammirazione, deposito in realt di ogni empiet sacrilegio ed
idolatria, ha reso gli uomini pi stupidi delle bestie.
VIII. La dipendenza del Bruno da Calvino sembra chiara e si
riveler indispensabile per comprendere gli sviluppi immediatamente successivi del suo discorso. Basti pensare per il
momento alla riduzione degli uomini a livello animale operata
dalla messa, alla condanna del privilegio sacerdotale, a quel "boia"
di "bestie salvatiche", "unico manigoldo" che acquista tutto il suo
significato in relazione ai carni f ices, bourreaux ap
32 G. CALVINO, Istituzione, cit., II, p. 1667; Institutio, IV, 18,
14, CR Opera II, col. 1061: Qua ergo fiducia sacrilegi isti, qui se iactant
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che si sono visti sia quelli di Calvino, rendendoci palese come all'uccisione della bestia corrisponda inevitabilmente i1 nutrirsi delle
sue carni ed il convertirsi in essa. Questo, che il punto
supremo della follia religiosa, sanziona il compiersi dell'inganno
del Cristo, il suo trasformarci in bestie secondo un significato che
perde progressivamente il suo senso metaforico.
Ricapitolando, come se per Calvino, non avendo gli
uomini compresa la natura del sacrificio del Signore, - una
incomprensione evidentemente non innocente ma gravida di colpa essi ricadano sia pure in forma fantomatica nei riti del Vecchio
Testamento. Per Bruno l'originaria irrazionalit di quei sacrifici
animali che si riproduce con due corollari estre mamente
importanti: la sostituzione dell'uomo alla vittima sacrificale e
l'illusione che questa sostituzione sia la premessa per qualcosa di
imprescindibile nel rapporto con Dio quando in realt, per usare
le parole di Calvino, si solo giunti alla pretesa di "mangiare' 'il
corpo della divinit. I due momenti, quello dell'uccidere e del
nutrirsi, permangono come centrali ma realizzano appunto
l'impostura del Cristo in quanto ribaltano l'apparente caccia che
egli propone agli uomini di se stesso con il loro reale divenir
preda sua ed il cadere quindi inevita bilmente in una condizione
ferina attraverso il nutrimento delle sue carni. Le conseguenze
sono cos fondamentalmente identiche a quelle prospettate da
Calvino, per cui il sacerdote da boia,e macellaio diviene egli stesso
bestia ma per Bruno questo significa che egli realizza, ormai
realmente, solo a quest'ultimo, infimo e spregevole livello
l'assimilazione in se stesso di sacerdote e di sacrificio che viene
asserita come peculiare del Cristo e si rivela anche in lui
coincidenza di uomo e bestia. Resta tuttavia da rendere conto del
rapporto che si istituisce tra pontefice e semplice sacerdote,
rapporto che Calvino risolve sul piano storico mentre pretende in
Bruno di ergersi, attraverso la Chiesa, a perfetto compimento di
questo processo.
Vi sono in effetti altri elementi attraverso cui Bruno giunge
alle conclusioni accennate e che ci potranno essere d'aiuto. Si sa r
notato che finora nel suo testo il Notano ha solo sfiorato gli
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accenni di Erasmo a coloro che cibandosi della selvaggina di scendevano ad un livello ferino, illudendosi al contrario di ele varsi
ad una "vita regale", cos come non ha fatto sinora parola di quel
"trangugiare" l'oggetto del sacrificio da parte del sa cerdote
cattolico di cui parla con sarcasmo Calvino. Si tratta in realt di
attendere solo gli sviluppi del testo. Sacrificare la bestia non
ancora divenuto a rigore un mangiarla ma la scissione tra le due
funzioni di sacrificatore e di vittima destinata a ricomporsi per
lui nei pretesi usurpatori del Cristo, venendo ad avere il
sacrificio lo stesso valore tanto nella per sona del Messia che in
chi lo riproduce. In effetti, nel primo caso l'uomo si fatto bestia
sacrificando se stesso, nel secondo si sacrifica la bestia per poter
assimilarsi,ad essa e ci si assimila ad essa mangiandola. La
conclusione che si registra dunque quella del " farsi bestia"
dell'uomo, secondo una interpretazione che 'non pu non apparire
profondamente errata agli occhi del Bruno rispetto al significato
corretto di questa espressione. Si ricordi che egli aveva insistito
nel corso dell'opera sul fatto che "bisogna sapersi far bestia per
essere superiori" ed ora tale asserzione - che in realt carica di
una serie di significati - riceve da questa pagina tutto il rilievo che
le compete in senso teologico. Riferita agli dei dello Spaccio, essa
racchiudeva la loro saggezza e la loro astuzia nei confronti degli
uomini e delle ,insidie che questi ultimi potevano tendere ad essi,
saggezza di cui l'azione del Cristo, che come coincidenza di sacer dote e di bestia ha proposto agli uomini la sua caccia, rappre sentava la contraffazione che andava smascherata.
La conferma, se ce ne fosse ancora bisogno, che ci che in
causa la funzione sacerdotale cos come viene concepita dalla
Chiesa cattolica, funzione vista attraverso l'ottica di Cal vino ma
per giungere ad esiti del tutto originali, viene dagli sviluppi
immediati del testo bruniano. Ci che finora stato detto del
sommo pontefice e del suo privilegio presenta infatti un
inconveniente agli occhi di Momo, un inconveniente che va
evidentemente considerato come tale non in assoluto ma in
relazione -al fine specifico cercato, secondo cui la caccia dovreb
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secondo quelle che sono state le sue precise indicazioni. Coloro che
sono ordinati sacerdoti lo sono dunque per dispensare la Parola
ed i sacramenti, non per fungere da "macellai" in quotidiani
sacrifici. Inviando gli Apostoli a predicare, il Signore soffia su di
loro (Giov., XX, 22): con questo segno raffigura la potenza dello
Spirito Santo che egli pone su di loro. Costoro, dice Calvino
riferendosi ai suoi avversari, hanno conservato questo gesto di
soffiare e quasi sputassero lo Spirito Santo dalla bocca mormorano
sui preti la formula di consacrazione: "ricevete lo Spirito Santo".
Comportandosi in modo peggiore che se fossero istrioni, non
tralasciano alcun particolare che appaia suscettibile di essere
imitato, come scimmie impazienti di copiare ogni cosa a
sproposito. Sforzandosi di compiere ci che egli fece con gli
Apostoli - ed in effetti pretendono di fare del Cristo l'istitutore ed
il precursore di ogni loro ordine - assumono le prerogative che
spettano a Dio, lo sfidano ma anzich raggiungere il loro scopo si
beffano semplicemente del Cristo con le loro assurde
scimmiottature. Pretendono che lo Spirito Santo venga loro
conferito ma la realt effettiva, priva di alcun fondamento, delle
loro cerimonie, non pu che essere confermata dall'esperienza: in
effetti, coloro che vengono consacrati preti, da cavalli che erano
divengono asini, da stolti pazzi furiosi (ex equis asinos, ex f atuis
phreneticos) '.
34 G. CALVINO, Istituzione, cit. II, pp. 1703-4. Cfr. Institutio IV, 19, 29
CR Opera II col. 1087: Cum re ipsa optime congruunt caere
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si mira:
Degna e prudentemente hai deciso, o Giove, che questo sia il sacerdote nel
celeste altare e tempio; perch, quando bene ar spesa quella bestia che
tiene in mano, impossibile che li possa mancar mai la bestia: perch lui
medesimo, ed uno, pu servir per sacrificio e sacrificatore, idest per
sacerdote e per bestia'.
Si accennato ai vantaggi che Bruno si ripromette da
questa riforma del culto, e certo il riferimento che abbiamo
fatto a Calvino ed alla caduta nell'idolatria insita nel culto
cattolico sembra tornare qui appropriato, anche se deve essere
allargato ai motivi pi profondi della polemica anticristiana del
Nolano. In effetti, col Centauro e con l'Altare restano in cielo
"la Semplicit giusta, la Favola morale; la non vana Religione,
la non stolta Fede e la vera e sincera Pietade" da essi si
dipartono rispettivamente "la Bestialit, l'Ignoranza, la Favola
disutile e perniziosa", "la Superstizione, l'Infidelit, l'Impiet".
Per questa via sembrerebbe trovare compimento quel mo
do di nutrirsi della Lepre, promesso da Momo, che non tolga
ad essa dignit di animale celeste nel momento in cui scende in
terra ma che non abbia pi nulla a che fare con una manduca
tio realis, materiale, mentre la forma specifica in cui il centauro
Chirone attua la sua funzione rafforza l'ipotesi che Bruno abbia
potuto pensare se non ad una composizione tra cattolicesimo e cal
vinismo, almeno ad una purificazione del primo, resa possibile
su un terreno non teologico dalla loro comune insussistenza e
stultitia Tale ipotesi sembra d'altronde confermata da un testo
dell'Epistola esplicatoria dell'opera in cui si fa
riferimento alla
37
Ibidem, p. 825.
Ibidem, p. 825.
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40
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piano della verit del cristianesimo possa sfociare in una utilizzazione di esso che elimini tutte le conseguenze negative dell'idea
"salvatica, porcina" di un sacrificio umano che pretenda di conciliare
esso solo la divinit agli uomini, secondo un elemento di barbarie
che sembra essere proprio al culto cristiano e che si affaccia
progressivamente in queste pagine attraverso la violenza e la
crudelt connesse ai riti della caccia. Cos, come si accennava, solo
ora vengono ristabilite nel loro dominio la vera religione, piet e
fede e sono 'abbattute con la bestialit la stolta fede, la
superstizione e la favola disutile e perniciosa, a favore quest'ul tima
del ristabilimento della favola morale. Le prime attingono
evidentemente quella purezza che al Bruno interessa sul piano
pratico, non su quello della verit da cui sono escluse queste
immaginazioni sempre potenzialmente in grado di rendersi nocive.
Una volta che il regno di Cristo venga sanzionato in que sta
particolarissima accezione, possono dunque prodursi le condizioni
perch non solo la corona celeste ma - si badi - la tiara che
attendono un sovrano degno di esse vengano assegna te a colui che
sappia mantenere le condizioni della pace e che pu essere ora
definito senz'altro "re eristianissimo". A questo punto gli dei
possono dar luogo a quella cena in cui si distribuisce il frutto del
"purgatorio" a cui essi hanno posto mano e se si vuole "il frutto
della redenzione", cos come Saulino, istruito dalla umana Sofia,
pu -anch'iegli recarsi alla sua cena. Il "purgatorio de l'inferno" trova
cos la sua realizzazione sul piano religioso cos come si appresta
a trovarlo su quello pi strettamente civile, da cui d'altra parte
non pu essere interamente scisso. Secondo una precisa
corrispondenza tra questi testi ed altri presenti nell'opera, lo
"spaccio" della bestia si dunque compiuto ma ancora una volta
esso coincide con un trionfo sia pure particolare della bestia stessa.
La distinzione di piani presente nell'opera contempla che ora
pi che mai l'umana Sofia, assolto il suo compito entro l'ambito
proprio dello Spaccio, possa rivolgersi ormai alle sue "notturne
contemplazioni", quelle che avvengono nella solitu
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dine e che conducono nei deserti autentici, nelle selve reali in cui
si compie non la caccia bestiale dei cristiani ma quella caccia pi
alta che ha luogo sulle tracce della autentica Diana e che ha di mira
R
eno
vat
io
,
pp.
74131
. 85
K. KERNXI,
87
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Dialoghi, p. 1081.
Ibidem, pp. 1084-5.
88
45
p. 1081.
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I. Cal vini Institutio, IV, 17, 36, CR Opera II col. 1033 Quare qui
sacramenti
adorationem
excogitarunt
...
reclamante
Scriptura, suae sibi libidinis arbitrio Deum fabricati sunt,
derelitto Deo vivente. Quid enim
est idololatria, si hoc non est, dona pro datore ipso colere?
Ubi dupliciter peccatum est. Nam et honor Deo raptus, ad
creaturam traductus est: et ipse etiam in polluto ac
profanato suo beneficio, inhonoratus, dum ex sancto ejus
Sacramento factum est execrabile idolum.
93
50
94
immenso, VI,
=,
s3
Qui ci troviamo di fronte al momento conclusivo di cia scuno dei due processi da cui siamo partiti e che Bruno evoca va
come paralleli ed insieme intrecciati nel De immenso, ma il loro
epilogo ci presenta due caratteri di estrema importanza che a
questo punto non possono pi sorprenderci. Non solo il
dissolversi dell'uno si connette in modo indissolubile con il
dissolversi dell'altro, ma ci che pi importa il fatto che la
conclusione del primo, la riscoperta della verit e realt cosmologiche, si ponga come la causa diretta del ritrovamento della
verit religiosa. Ora, ci che appare come essenziale per il
prodursi di tale conclusione costituito non dal semplice eliocentrismo copernicano ma dalla concezione che il Bruno ha fatto
sua propria di un universo infinito.
Qui si apre un problema di cui forse non stata adegua tamente avvertita tutta l'importanza. Certo il Nolano sembra dare
per scontato nella Cena che Copernico abbia costituito la premessa
indispensabile, una premessa che aveva in ultima analisi un'origine
superiore, divina, al prodursi ed al dispiegarsi della sua azione
filosofica. Eppure Copernico, nonostante il suo eliocentrismo ed il
conseguente elevamento della terra al rango di tutti gli altri
pianeti, appare ancora legato, come ben noto, alla concezione di
un universo chiuso, finito. Il problema rappresentato dal passaggio
dalle sue concezioni a quelle ben pi radicali del Bruno, che
guarda ormai ad uno spazio infinito occupato da infiniti sistemi
solari simili al nostro, non chiarito nella Cena ma appare
tutt'altro che come un dato scontato che non abbia bisogno di
delucidazioni. Non qui in causa, appena necessario
sottolinearlo, la rilevanza assoluta dell'opera di Copernico per il
nostro autore ma credo che sia importante, in relazione
all'interrogativo che ci siamo ora posti, avanzare una serie di
ipotesi che non hanno la pretesa di fornire una risposta esaustiva
ad esso ma che sembrano presentare -il pregio di sommare -la loro
capacit esplicativa, di rafforzarsi a vicenda se non addirittura di
suggerire una possibile spiegazione dell'itinerario speculativo del
Bruno sul punto forse pi delicato della sua riflessione.
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suoi poemi latini, l'unico che egli ponesse sul piano della verit
dimostrata (certissime invenimus), dandogli ormai il valore oggettivo ed esplicito di infinito e conservando in senso teolo gico
il significato di "ci che al di l di ogni misura pos sibile" sb
Il testo della Cena a cui abbiamo fatto riferimento in
precedenza e che parla della liberazione degli uomini da parte del
Nolano, sembra tuttavia indicare, come si accennava, un aggancio
concreto alla discussione sulla presenza eucaristica. Tale aggancio,
che chiama in causa il rapporto diretto dell'uomo con Dio, appare
pi che altrove esplicito nell'affermazione secondo cui il nostro
autore salito nei cieli per vedere "quello che lass veramente
si ritrovasse". Si diceva che per Bruno al di l del limite del tutto
fittizio dell'universo fisico era stata posta la sede immaginaria
della divinit. Ora che entrambi questi concetti -quello di un
limite fisico del cosmo e quello di una sede della divinit vengono perdendo di senso, sembra possibile avviarsi alla
riconquista della vera nozione del divino ripensandola in rapporto
a un universo infinito, il solo che ne rispetti l'essenza senza
entrare in contraddizione con essa.
$ probabile, ed questa la seconda ipotesi che avanziamo
relativamente al problema che ci siamo posti - che per Bruno la
stessa discussione eucaristica venisse perdendo ogni significato non
appena fosse stata sottratta al quadro di quell'universo finito, in
rapporto al quale soltanto essa aveva potuto nascere
s6 N. COPERNICO, De revolutionibus orbium caelestium. La costituzione
generale dell'universo a cura di A. Koyr, pp. 60-4 (L. I, cap. VI, De immensitate
caeli ad magnitudinem terrae): ... Hoc nimirum argu
mento satis apparet, immensum esse caelum comparatione Terrae, ac infinitae
magnitudinis speciem prae se ferrea sed sensus aestimatione Terram esse respectu
caeli, ut punctum ad corpus et finitum ad infini
tum magnitudine ... Nihil enim aliud habet illa demonstratio, quam indefinitam
caeli ad Terram magnitudinem. At quousque se extendat haec immensitas minime
constat ... Ita quoque de loco Terrae, quamvis
in centro mundi non fuerit, distantiam tamen ipsam incomparabilem adhuc esse
praesertim ad non errantium stellarum sphaeram.
104
tal modo entravano in discussione per lui non alcuni particola ri,
ma il cuore stesso del Cristianesimo.
Richiamiamo alcuni, pochi, dati della controversia, i soli che
ci sembrano essenziali ai fini ora del chiarimento del nostro
discorso, ricorrendo ancora una volta alle posizioni di Lutero e di
Calvino cos come le abbiamo delineate pur sommariamente
all'inizio di questo lavoro. Il problema, si visto, risiedeva nella
difficolt di render conto di come un corpo fisico, sia pure quello
glorioso del Cristo, fosse asceso alla destra del Padre per ivi
rimanere fino al giorno del giudizio, ma potesse essere
contemporaneamente presente nel pane e nel vino del sacramento
eucaristico per comunicarsi agli uomini, senza ab bandonare
dunque nella sua stessa corporeit la sede celeste a cui era asceso.
Se la critica alla messa intesa come sacrificio ed alla concezione della
transubstanziazione propria della Chiesa di Roma trovarono
d'accordo le diverse confessioni protestanti, al contrario si
aprirono presto tra di esse dissensi pro fondi sul modo in cui
concepire la presenza eucaristica. Per
Lutero, il corpo trasfigurato e risorto del Cristo godeva nono
stante la sua fisicit di attributi ultraterreni in cielo, attributi
con i quali si rendeva realmente cio corporalmente presente
nei segni del sacramento. Tale corpo sussisteva s in cielo alla
destra del Padre, ma era ugualmente presente negli innumere
voli luoghi dell'universo fisico, del mondo sublunare, sebbene
non in tutti fosse "manducabile". Per il Riformatore di Wit
temberg dunque la "destra del Padre" non doveva essere intesa
dando ad essa un connotato spaziale, ma doveva essere concepi
ta come l'onnipotente maest di Dio, insieme presente ed as
sente in ogni luogo poich non circoscrivibile da nessuno di
essi, sebbene fosse creatrice e fondamento di ogni cosa. All'u
biquit del corpo del Cristo si univano cos la sua onnipotenza
e la sua infinit.
Era inevitabile che gli venisse obiettato, come doveva av
venire gi con Zwingli, un uso indebito della communicatio
105
106
60
110
altrettanto probabile, a giudicare dai presupposti metafisici re lativi alla potenza divina, che porr a cardine della sua fi
111
61
Cfr. D. LuscoMBE, Some Examples of the Use Made of the Works of the
Pseudo-Dionysius by University Teachers in the Later Middle Ages, in The
Universities in the Late Middle Ages, Louvain
1978, pp. 228-41, d'altronde incerto per il periodo successivo
a Cusano. Ma si vedano i giudizi di Calvino sullo PsDionigi, ivi, pp. 227-8.
114
forme specifiche che sono orientate ad una fusione dell'inse gnamento dei due autori. Tale incontro si realizza nel De umbris su
un terreno insieme metafisico e cosmologico, chiamando in causa
tanto la ficiniana scala dell'essere, distesa tra i due estremi
della pura potenza e del puro atto, con la sua teoria del primum
in aliquo genere, quanto la cusaniana coincidenza dei contrari e
ricercando la possibilit di una loro convergenza. Nel quadro di
una cosmologia ancora tradizionale e che sar infatti irrisa nel De
immenso, la coincidenza dei contrari viene applicata alla scala
dell'essere, si tenta cio di individuare al l'interno di quest'ultima
il punto d'unione e di incontro tra sensibile ed intelligibile. Tra i
due estremi della pura potenza e dei puro atto, della materia e di
Dio, sussiste infatti per Ficino, e per il Bruno del De umbris, una
serie di gradi intermedi in cui, secondo modalit precise, si presenta
una mescolanza sempre variabile di atto e di potenza ma sono
proprio tali modalit che conducono a postulare all'interno di tale
scala l'esistenza di un punto mediatore tra i due regni del sensibile
e dell'intelligibile. Grazie ad esso il sensibile nel suo grado pi
alto tende a convertirsi nell'intelligibile, l'intelligibile nel suo
grado pi basso tende a convertirsi nel sensibile. quel punto
limite del cosmo in virt del quale l'atto tende a divenire
potenza, la potenza tende a divenire atto assumendone le fun
zioni e determinando cos una distinzione problematica tra la
natura dei cieli, vertice del corporeo, e l'anima razionale, ulti
mo grado del mondo intelligibile.
Questo punto mediatore, privilegiato rispetto ad ogni al
tro presente tra gli opposti della scala dell'essere e tale da
creare tra spirituale e corporeo, se non una coincidenza, una
copula, come scrive Ficino, dunque l'anima razionale, legata
per questa via in modo indissolubile all'esistenza stessa dei
cieli '. Credo che qui si annidi uno degli elementi indispensabili
61
volezza pi alta che a noi sia dato di conseguire, del fatto che la
divinit al di l di ogni contenuto intellettualmente concepibile. Per
raggiungere tale fine, essa cerca di elaborare strumenti che siano
in grado di portarci a conclusioni tali da essere necessarie sebbene
non rientrino pi nella sfera di ci che concettualmente
esperibile. I risultati raggiunti non sono dunque casuali, frutto di un
non sapere che riposi nell'uomo come un dato inerte e passivo,
bens sono il risultato di arti, di strumenti concettuali che si rivelino
produttivi nel senso indicato; tra di essi la coincidentia oppositorum,
con la sua capacit di condurci oltre il cerchio del sensibile, svolge
certo un ruolo primario nel De dotta ignorantia come afferma lo
stesso Cusano ed tale da identificarsi per il Bruno, per sua stessa
ammissione, con il cuore del suo insegnamento. Occorrono dunque,
in questa prospettiva, strumenti che ci aiutino ad avvicinarci, per
usare una caratteristica espressione di Cusano, "in modo
incomprensibile all'incomprensibile" ma occorrer partire da quel
regno in cui l'uomo abbia a che fare con enti che siano prodotto
della sua ragione, che siano dunque comprensibili in modo
squisitamente intellettuale e si presentino quindi come strumenti
privilegiati nel momento in cui cerchiamo di procedere oltre ci che
figurabile, in cui tentiamo di figurare l'infigurabile. Intendiamo
riferirci evidentemente agli enti matematici.
Nella dimensione dell'infinito che propria di Dio, linea
triangolo e cerchio, centro diametro e circonferenza si presentano
come indistinguibili tra loro ed a noi dato di argomentare con certezza
come tale coincidenza sia necessaria sebbene concettualmente non
esperibile. La dimensione dell'infinito in cui siamo entrati dunque
quella che per le stesse identiche ragioni ora esposte ci permette di
asserire come, nei confronti delle cose, Dio sia la misura assoluta, il
termine, il confine esatto e la quidditas di ciascuna di esse, ci senza cui
non pensabile precisione alcuna proprio perch al di l di ogni
concetto possibile, inevitabilmente soggetto ad essere relativo ed
indeterminato, di misura, confine, limite. In quanto realt e
118
maius quam est; hoc quidem ex defectu evenit; possibilitas enim sive
materia ultra se non extendit. Nam non est aliud dicere "universum
semper actu esse maius" quam dicere "posse esse transire in actum
infinitum esse; quod est impossibile, cum infinita actualitas, quae est
absoluta aeternitas, ex posse exoriri nequeat, quae est actu omnis essendi
possibilitas. Quare, licet in respectu infinitae Dei potentiae, quae est
interminabilis, universum posset esse maius: tamen resistente
possibilitate essendi aut materia, quae in infinitum non est actu
extendibilis, universum maius esse nequit; et ita interminatum, cum
actu maius eo dabile non sit, ad quod terminetur, et sic privative infinitum.
Ipsum autem non est actu nisi contracte, ut sit meliori quidem modo, quo
suae naturae patitur conditio. Est enim creatura, quae necessario est ab
esse divino simpliciter absolu
te, prout consequenter in docta ignorantia - quanto clarius et simplicius
fieri potest - quam breviter ostendemus 67.
I l clarius e simplicius rimasero forse nelle intenzioni di Curano
a giudicare dalle difficolt che sollev questo passo ai suoi
interpreti, eppure il richiamo ad intendere il testo all'interno
della struttura complessiva dell'opera sembra avere un suo senso.
In questa sede, d'altra parte, saranno forse sufficienti alcune
osservazioni, pur presentate nella consapevolezza dei loro limiti,
miranti ad un obiettivo preciso, quello di prospettare le linee di
una possibile lettura del testo da parte del Bruno. Mi sembra che
si sovrappongano qui due concetti diversi di infinito, uno
elaborato in relazione all'essenza della divinit, l'altro che chiama
in causa inevitabilmente la nozione di spazio. In altri termini,
Cusano ha determinato il concetto di infinito proprio della
divinit a partire dalle categorie di quantit presenti nel mondo
sensibile, e lo ha sottratto ad ogni possibilit di una proporzione con
esse. Il risultato finale appunto quello per cui tale infinito non pu
essere concepito che nella sua eterogeneit ed opposizione assoluta
rispetto a queste. Nel
67
120
momento in cui, per cos dire, egli compie il cammino inverso, torna
cio da Dio al mondo sensibile ed all'universo, noi siamo preparati al
fatto che il massimo contratto non possa mai attingere in alcun modo
tale categoria nella sua purezza. In effetti, dal momento che
l'universo comprende tutto tranne Dio, non resta che attendersi che
questo comporti una differenza sostanziale sia per quanto riguarda
l'attualit che si realizza come attualit dell'universo, sia - e la cosa
appare inevitabilmente collegata - per quanto riguarda la potenza
che gli propria. Tale differenza chiama in causa direttamente,
infatti, il particolare concetto di infinito che proprio di Dio.
L'universo sar dunque infinito ma di una infinit del tutto
diversa da quella della divinit, in cui l'atto coincide con la potenza
(infinito negative); sar infinito in quanto non ha un limite
esterno a se stesso ma, segnato in modo decisivo dal non
comprendere Dio, avr un limite per cos dire interno, che si
riflette sulla sua attualit e sulla sua potenza, la materia. Sar
infinito privative, quindi n finito n infinito nel senso assoluto della
divinit. In questo modo Cusano pu sviluppare con apparente
chiarezza il suo ragionamento. L'universo non pu essere pi
grande di quello che , non ha quindi un limite esterno ma questo
dato, anzich essere un elemento positivo, il segno di una -inferiorit
ontologica che non potr mai essere superata. In effetti l'attualit
che esso presenta legata alla condizione della sua possibilitas essendi
e quindi della materia, il cui atto non pu estendersi all'infinito.
Esso quindi per le ragioni addotte non potr essere n finito n
infinito, ma indeterminato. Il problema che il testo solleva
allora quello se l'impossibilit dell'infinito negative implichi
l'impossibilit di una infinit fisico-spaziale, se il non poter essere
finito vada inteso in senso fisico. Se Dio fosse compreso
nell'universo, l'attualit di questo sarebbe di natura
differente, non solo infinita actualitas ma absoluta aeternitas e
potrebbe allora essere maggiore di quello che . Il fatto che accada il
contrario spiega come esso, contemporaneamente, non
potest esse maius quam est ma anche non possa semper actu 122
due concetti, mi sembra, diversi, per esprimere
l'impossibilit che sia infinito negative.
Cos l'inferiorit ontologica dell'universo va concepita in
esse maius,
e precisamente nella possibilit o meno che Dio limiti la sua potenza, cosa problematica per lo stesso Cusano che parla altrove di una
potenza divina rispetto alla quale nulla esteriore e che in questo
stesso testo deve ammettere che in respectu in f initae lei potentiae,
universum potest esse maius. Ma se le due potenze passive si
identificano, coincideranno con la potenza attiva di Dio ed allora si
avr un universo necessariamente infinito. Cos Bruno saldava
l'irrilevanza dello spazio ai fini della definizione del limite della
potenza passiva della materia, con quella coincidenza tra lacere e
fieri in Dio di cui poteva asserire sulla base di altri testi di Cusano
che fondava nella sua assolutezza la possibilit di essere per ogni
ente. L'universo era cos finitamente infinito, composto cio di
parti ciascuna delle quali finita ma la sua infinit derivava in
modo necessario da quella assoluta coincidenza.
Ma torniamo a Cusano. Dunque l'universo non pu avere un
limite, non pu essere finito ch non potrebbe in questo caso
realizzare l'attualit di tutto ci che , se si esclude Dio, che a
sua volta la causa di tale attualit e di tale mancanza di limite.
Questa esclusione introduce dunque quell'elemento di
indeterminatezza che proprio di ogni parte della creazione e che
non pu mancare neppure al livello di essa intesa nella sua
globalit. Ma l'universo non pu neppure essere infinito, essere
maggiore di quello che e questo fatto trova la sua ragione d'essere
nei limiti della materia, della sua potenza passiva.
La distanza infinita del massimo contratto dal massimo
assoluto riposa allora nel fatto che esso il tutto in un modo
che resta infinitamente lontano da quello per cui la divinit
tutto, non sussistendo nulla della potenza di questa che non passi
all'atto, mentre il fatto che la materia passi all'attualit solo
spazialmente sembrerebbe decidere di questa inferiorit. Dunque il
massimo contratto non n finito n infinito e le due negazioni
non sono rovesciabili in due affermazioni. Non pu essere finito
poich in tal modo non potrebbe presentare sia pure in forma
contratta la totalit degli atti possibili; non pu neppure essere
infinito poich in tal caso corrisponde
124
rebbe ad esso una potenza passiva, una potenza di essere fatto che
pu essere prerogativa solo della divinit nella sua infinit. Il
riflesso della trinit divina negli enti trova dunque il suo limite nel
fatto che alla potenza assoluta, al poter essere fatto assoluto
coincidente nella divinit con l'atto infinito, l'infinito poter fare,
corrisponde nel creato una possibilit che le infe riore, quella
della materia. In altri termini nel processo della contrazione la
divinit ricevuta secondo un limite intrinseco alla materia che
fa di quest'ultima, o meglio dell'attualit del l'universo, un
infinito, come dice Cusano, solo in senso "privativo".
Un limite dunque che ha una valenza cosmica di importanza decisiva, che rende estranea la materia a quel livello in cui,
al di l di ogni determinazione e misura quantitativa, al di sopra e
al di sotto di esse, sussistono il massimo e il minimo, l'atto e la
potenza, il poter fare ed il poter essere fatto nella loro
coincidenza originaria. Il cosmo dunque immagine di Dio, ci
che rende visibile sia pure in forma inevitabilmente enigmatica
l'invisibile ma data la natura della materia ed i limiti della
possibilit che essa incarna non potr essere dichia rato in assoluto
infinito; potr essere presentato come l'immagine contratta di Dio
proprio a causa di tali limiti in quanto la divinit nel suo fondare
l'essere si contrae nella singola creatura che la riflette cos come
nell'intera creazione e ci garantisce l'infinita distanza tra di
essi, un punto di cui Cusano ha assoluto bisogno nel suo
discorso.
Se infatti la coincidenza di cui si parlava realizza in Dio la
totalit infinita in atto dei possibili, mentre la materia deter mina
un massimo contratto che non pu essere assoluto per le ragioni
indicate, la speculazione sull'atto, la potenza ed il loro nesso pu
convertirsi in speculazione trinitaria ed assolvere una funzione
determinante nella considerazione del rapporto tra Dio e
l'universo, qualora la possibilit di una loro coincidenza chiami in
causa direttamente la figura del Cristo.
La distanza infinita tra massimo assoluto e massimo contratto resterebbe infatti tale senza la possibilit di un massimo
125
e
vuole che, com'egli massimo, cos la sua opera si avvicini per
quanto possibile a Lui:
Potentia autem maxima non est terminata nisi in seipsa, quoniam
nihil extra ipsam est, et ipsa est infinita. In nulla igitur creatura
terminatur, quin data quacumque ipsa infinita potentia possit creare
meliorem aut perfectiorem. Sed si homo elevatur ad unitatem ipsius
potentiae, ut non sit homo in se subsistens creatura, sed in unitate cum
infinita potentia, non est ipsa potentia in creatura, sed in se ipsa
terminata. Hec autem est perfectissima operatio maximae Dei potentiae
infinitae et interminabilis, in qua deficere nequit; alioquin neque creator
esset neque creatura. Quomodo enim creatura esset contratte ab esse divino
absoluto, si ipsa contractio sibi unibilis non esset? Per quam cuncta, ut
sunt ab ipso, qui absolute est, existerent, ac ipsa, ut sunt contratta, ab
ipso sint, cui contractio est summe unita, ut sic primo sit Deus creator;
secundo Deus et homo creata humanitate supreme in unitatem sui
assumpta, quasi universalis rerum omnium contractio aequalitati omnia
essendi hypostatice ac personaliter unita, ut sit per Deum
absolutissimum mediante contractione universali, quae humanitas
est; tertio loco omnia in esse contractum prodeant, ut sic hoc ipsum,
quod sunt, esse possint
ordine et modo meliore 6'.
Nell'unit con il Verbo, il Cristo, che gi come uomo
costituisce il termine di tutte le potenze intellettuali e sussiste
completamente in atto, sar allora insieme massimo assoluto e
massimo contratto, creatore e creatura, loro ineffabile coinci
denza. Grazie alla sua mediazione il tutto deriva dal massimo
assoluto e ritorna ad esso come al principio da cui emanato e a
quello che il fine del suo processo di ascesa. Attraverso di
ss In., ibidem, p. 128 (III, 3). appena necessario avvertire che anche
contro la teoria cristologica della Docta ignorantia doveva scagliar
si con violenza il Wenck nel suo De ignora litteratura.
127
lui e solo attraverso di lui tutte le cose sono unite a Dio grazie ad
una mediazione cosmica che si presenta in un'accezione del tutto
particolare e superiore rispetto a quella che gi si realizza con
precisi limiti attraverso l'umanit in genere. Cusano ha dovuto
giustificare filosoficamente perch tale mediazione potesse essere
assolta solo dal Cristo ma per garantirla come necessaria ed
insostituibile ha dovuto introdurre come premessa una limitazione
interna alla divinit creando una linea di confine tra natura umana
e natura divina, coincidenti e insieme distinte, attraverso un
concetto-limite della contrazione che nel momento in cui assunta
nell'assoluto rischia di capovolgersi nel suo contrario, di
dissolversi nella fonte di se stessa e quindi di negarsi.
Abbiamo gi accennato al fatto che Cusano poteva offrire
agli occhi del Bruno una nozione filosoficamente feconda della
coincidenza dei contrari e direi che gi qui cominci a delinearsi il
modo in cui egli sia venuta utilizzandola, in forme che esclu dessero
la mediazione che il Cristo opera tra massimo assoluto e massimo
contratto. Abbiamo anche anticipato alcune delle vie attraverso cui
questo processo poteva realizzarsi ricordandone i punti chiave: la
coincidenza della potenza passiva della materia con quella della
divinit, l'impossibilit che l'infinita potenza divina autolimiti se
stessa ed il corollario che ne derivava, destinato ad essere il
punto di partenza di ogni suo discorso filosofico: la necessit di
una esplicazione infinita del divino derivata dalla sua stessa
essenza. $ appena necessario sottolineare gi qui come alla
conclusione cristologica del De dotta ignorantia egli venga
inevitabilmente opponendo un concetto di mediazione alternativo
che resti ancorato al rapporto conoscitivo dell'uomo con il cosmo
ma risolva in modo nuovo, precludendosi risultati assoluti ma per
lui gratuiti, il problema della coincidenza tra finito e infinito,
creatore e creatura, pur mantenendo fermo il punto per cui tale
coincidenza insieme unit e distinzione grazie al ricorso al
concetto di "finitamente infinito" tanto a livello cosmologico che
gnoseologico.
Rifacciamoci al dato che risalta con maggiore immediatez
128
129
70
130
133
134
creatrice nel suo processo di discesa. Come questa sembra distendersi da una fonte superessenziale in una moltitudine di -
136
139
74
(come nota lamblico) che accade talvolta non solo che l'anima
ripose da
gli atti inferiori, ma, ed oltre, lascie il corpo a fatto. Il
che non voglio intendere altrimenti che in tante maniere,
quali sono esplicate nel libro
De' trenta sigilli, dove son prodotti tanti modi di
contrazione; de quali alcune vituperosa -, altre
eroicamente fanno che non s'ap
prenda tema di morte, non si soffrisca dolor di corpo, non si
sentano impedimenti di piacere. .. veder la divinit esser
visto da quella,
come vedere il sole concorre con l'esser visto dal sole.
Pari
me
nte
ess
ere
141
come pura potenza che sembra non poter procedere oltre nel suo
processo di attualizzazione. per questo che il darsi dello
splendore divino giunger solo alla fine con la "cecit" del furioso
ma proprio questo accecamento l'elemento che toglie l'ostacolo
che impedisce di vedere che trasformare in se stessi l'altro non era
che trasformarsi nell'altro, e quindi avvicinarsi gradualmente a
quel punto in cui risplende l'Atto supremo. Cos l'amore svolge un
ruolo insostituibile in quanto, innalzandoci nel desiderio di
conoscere, ci conduce ad una potenza che sempre pi atto, al
loro nesso ed alla indistinzione dei tre termini. La funzione
mediatrice dell'amore si rivela quindi nell'adeguatezza con cui essa
infinitamente conduce all'atto la potenzialit infinita dell'animo
umano. Il processo non appare avere un limite superiore ma
proprio per questo ci garantisce che ci che ad un certo punto
risulta operante l'intervento stesso della divinit, e questo
intervento appare prodursi in una forma che non pu non essere
quella del suo manifestarsi.
Ma non questo il luogo per tentare un'interpretazione
approfondita degli Eroici furori. Basti qui ricordare che, come nel De
la causa l'elemento specifico che allontanava il Bruno da Cusano lo
conduceva a cancellare ogni nozione di un mondo intelligibile
separato, cos qui lo portava a sviluppare non solo gli elementi di
una conoscenza dell'infinito, pur ancorata a limiti non superabili,
ma a dar vita ad una speculazione trinita ria nella quale non restava
pi posto per la figura di un mediatore unico ed insostituibile.
XIV. L'ipotesi avanzata in precedenza, secondo cui l'intera
opera italiana del Bruno si costituirebbe nelle intenzioni stesse
dell'autore come un'unit organica, modellata in contrapposizione
alla vicenda ed ai momenti della salvezza cristiana, sembra ricevere
qualche ulteriore conferma da quanto siamo venuti dicendo. Nello
stesso Cusano, la dimostrazione della necessit dell'esistenza del
Cristo come di Colui che insieme massimo assoluto e contratto,
preludeva nel De docta ignorantia, com' noto, al ripensamento in
questa chiave del significato
143
145
147
grandezza ed eccellenza divina, quanto quel che vero, pernicioso alla civile
conversazione e contrario al fine delle leggi, non per esser vero, ma per
esser male inteso, tanto per quei che malignamente il trattano, quanto per
quei che non son capaci de intenderlo senza iattura di costumi (Ibidem,
pp. 385-6). Dunque le premesse potevan essere vere ma pericolose le
conseguenze tratte; cos Calvino considerava empio dissocare potentia e iustitia
divine: Ergo quum sibi ius mundi regendi vendicet Deus nobis incognitum,
haec sit sobrietatis ac modestiae lex, acquiescere summo eius imperio, ut eius
voluntas nobis sit unica iustitiae regula, et iustissima causa rerum omnium.
Non illa quidem absoluta voluntas de qua garriunt sophistae, impio
profanoque dissidio separantes eius iustitiam a potentia: sed illa moderatrix
rerum omnium providentia, a qua nihil nisi rectum manat, quanvis nobis
absconditae sint rationes (Inst., I, XVII, 2; Opera selecta, edd. P. Barth W.
Niesel, cit. III, p. 205 e ivi i rinvii ai luoghi di Ockam e Biel) testo da
confrontare qui con la prima delle citazioni bruniane. Ma la discussione, nello
Spaccio, presente, mi sembra, l dove si parla della possibilit per Giove di
fare "sin a quel che non , n pu esser fatto" (Dialoghi, p. 811); poche righe
prima Momo si era lamentato del fatto che "Giove ha la sua volont per
giustizia, ed il suo fatto per fatal decreto, per far conoscere ch'egli ave
absoluta autoritade, e per non donar a credere ch'egli confesse di posser fare,
o aver fatto errore, come soglion fare altri dei, che, per aver qualche ramo
de discrezione, tal volta si penteno, si ritrattano e corre gono (Ibidem, p.
810).
148
Cavazza, S., 16 n
Chirone, 77-83, 99 n
Cipriano, S., 49, 50 e n
Clemente, S., 50
Copernico, N., 102, 103 e n, 104 n,
106 n, 113 n
Couliano, I. P., 9 n
Cranz, F. Ed., 113 n
Crisostomo, (S.) Giovanni, 49, 50 e n
Cristiani, M., 86n Cullmann, 0., 56n
Cusano, N., 90n, 113-148
De Bernart, L., 113n
De Negri, E., 15 n, 106 n
Diana, 12, 31, 38, 47, 48, 51, 70,
71 e n, 74, 78, 85, 86
Dionigi (Ps.), 111 n, 114 e n Duns
Scoto, J., 109n
Eire, Carlos M. N., 52n
Elia, 49, 50 n
Eliade, M., 9 n
Enrico IV di Navarra, 85n
Epicuro, 101
Erasmo da Rotterdam, 28, 29, 39 e n,
40, 42, 44, 45 e n, 46, 47, 48,
52 e n, 56 n, 67, 69, 91 e n, 145 n Ermete
Trismegisto, 111 n, 114, 130 Eudosso, 99
n
149
n
n
n
n
n
Salomone, 25 n
Saturno, 94, 103
Saulino, 84 Scavizzi,
G., 52 n Schopp, G.,
54 n Scoto, G., 116
n
Seidel Menchi, S., 16 n, 39 n
Sofia, 84
Sozzini, L., 14n
Spampanato, V., 45n, 54n, 85n
Sugranyes, R., 16n Surtz, E., 43 n
Tocco, F., 113 n
Toland, J., 29 e n
Tommaso d'Aquino (S.), 30 n, 51 n,
99 n
Tommaso de Vio, 50 e n, 56 n
Tourn, G., 60 n Trinkaus, Ch., 108
n
Ulisse, 89
Valds, Juan de, 16n
Vdrine, H., 113 n Venere,
31
Vernant, J. P., 86n
Virgilio, 49, 50n
Vivanti, C., 85n
Weier R., 113 n
Wenck, I., 127 n Wendel, F.,
15n, 110n Wyclif, G., 109n
Yates, F. A., 85n, 98n
Zwingli, U., 15 n, 16-18, 23, 105, 107
Niccoli, O., 16 n
Niesel, W., 14 n, 148 n
Nock, A. D., 98 n
Oberman Heiko, A., 52 n, 106 n,
108 n, 109 n
Ockam, G., 109 n, 148 n
Orione, 14, 15, 24 Otto, W.
F., 86n
Pacchi, A., 109 n
Pagnoni Sturlese, R., 29n Palingenio
Stellato, M., 10, 111 n Pannier, J.,
56n Panzieri Saija, G., 55n Paolo,
S., 54, 55, 56 n, 138 e n Pecchioli,
R., 98 n Pietro, Abelardo, 109 n
Platone, 114, 147 n Plotino, 114
Plutone,
10n,
114
Procacci, G., 82n Prosperi,
A., 14n, 16n
Randi, E., 109n
Ricca, P., 15 n Riccati, C.,
116n Rittershausen, C.,
54n Rotond, A., 14n
Rudavsky, T., 109n
1 51
p.
INDICE
7
Avvertenza
149