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SULLA NATURA
Introduzione, traduzione, note e commento a cura di Dario Zucchello
PREMESSA
sionomia di unopera complessa, cercando di strapparla alle ipoteche metafisiche da cui stata spesso condizionata la lettura.
Ho gi avuto modo di proporre le mie idee sulla posizione del
poema nel quadro della storia della sapienza arcaica in due saggi
stesi in parallelo alla composizione della presente edizione: Parmenide e la tradizione del pensiero greco arcaico (ovvero, della
sua eccentricit), in Il quinto secolo. Studi di filosofia antica in
onore di Livio Rossetti, a cura di S. Giombini e F. Marcacci, Aguaplano, Perugia 2011; Parmenide e la , in
Elementi eleatici, a cura di I. Pozzoni, Limina Mentis, Villasanta
(MB) 2012. Il lettore trover nel commento ai frammenti e nella
introduzione generale unampia difesa della lettura cosmologica
del poema, ma, allo stesso tempo, attenzione per le tracce delle
interazioni di Parmenide con la cultura del suo tempo: un campo
dindagine che ritengo ancora del tutto aperto a nuove
suggestioni.
Nel presentare il risultato del mio lavoro mi sia concesso
ringraziare i miei anziani genitori per il sostegno che non mi
hanno fatto mai mancare e che ha reso possibile le mie ricerche e
i mei studi, e Umbi e Gig per la loro pazienza. Nonostante tutto.
A loro questa fatica dedicata.
Dario Zucchello
Como, febbraio 2014
INTRODUZIONE
L'indagine
Che in effetti tale intestazione potesse risalire a Parmenide
stato sostenuto da Guthrie1, sulla scorta della parodia che ne avrebbe fatto Gorgia con il suo , anche se comune la convinzione che, prima dei sofisti, la designazione di un testo avvenisse attraverso la citazione dellincipit (che
doveva risultare particolarmente incisivo), con l'indicazione del
contenuto, preceduta dal nome dell'autore (sulla prima riga del
testo, analogamente a quanto registriamo nel caso di Erodoto)2.
Il trattato ippocratico Sull'antica medicina riferisce la formula
indentificativa almeno ai testi della met del V secolo
a.C.:
Empedocle e gli altri che scrissero sulla natura
(De prisca medicina cap. 20).
L'espressione
A quali contenuti ci si intendeva riferire con l'etichetta
? Quale significato da attribuire a tale espressione? Secondo Naddaf7, che al problema ha dedicato un'ampia indagine,
con si doveva intendere una storia dell'universo, dalle origini alla presente condizione: una storia che abbracciava nel suo insieme lo sviluppo del mondo (naturale e umano),
dall'inizio alla fine.
In effetti, origini e sviluppo sono etimologicamente implicati
in : nella forma attiva-transitiva , il radicale del sostantivo significa crescere, produrre, generare; in quella mediopassiva-intransitiva , invece, crescere, originare, nascere.
La prima occorrenza del termine , nel libro X dell'Odissea
(303), si registra nell'ambito delle istruzioni (da parte di Hermes
all'eroe) per la preparazione di una pozione efficace (
5
per altro evidente, tuttavia, che quanto Hermes rivela non riguarda semplicemente l'aspetto esteriore, identificativo della pianta,
piuttosto le sue effettive qualit e la costituzione interna da cui
esse discendono. In particolare Hermes si riferisce alla radice, nera, da cui cresce il fiore dal colore opposto, bianco: utilizza il termine, quindi, per denotare non tanto la forma fenomenica, n
propriamente quella che potremmo anacronisticamente definire
l'essenza della pianta, quanto la sua origine (la radice), differente
da quel che appare (il fiore, che ne comunque sviluppo).
In questo senso il termine occorre nelle pi antiche citazioni della sapienza greca:
,
,
.
,
Di questo logos che sempre gli uomini si rivelano
senza comprensione, sia prima di udirlo, sia subito dopo
averlo udito; sebbene tutto infatti accada secondo questo
logos, si mostrano privi di esperienza, mentre si misurano
con parole e azioni quali quelle che io presento,
analizzando ogni cosa secondo natura e mostrando come
. Ma agli altri uomini rimane celato [sfugge] quello che
fanno da svegli [dopo essersi destati], cos come sono
dimentichi di quello che fanno dormendo (Sesto Empirico;
DK 22 B1)
M.L. Gemelli Marciano, Lire du dbut. Quelques observations sur les incipit
des prsocratiques, Philosophie Antique, 7, 2007 (Prsocratiques), pp.
16-17.
9
Ch.H. Kahn, Anaximander and The Origins of Greek Cosmology, Hackett Publishing Company, Indianapolis 1994 (edizione originale 1960), pp. 201-202.
10
Naddaf, op. cit., p. 15.
,
.
,
,
.
.
Alcuni medici e sapienti [sofisti] sostengono che
nessuno possa conoscere la <scienza> medica a meno di
non sapere che cosa sia l'uomo, ma che ci debba
conoscere colui che intenda curare correttamente gli
uomini. Il loro discorso verte dunque sulla filosofia,
proprio come nel caso di Empedocle o degli altri che
scrissero sulla natura: che cosa sia dal principio l'uomo,
come sia stato dapprima generato e come costituito. Io
ritengo che quanto stato scritto da medici e filosofi sulla
natura abbia pi a che fare con il disegno che con la
medicina. Ritengo che in nessun altro modo si possa
conoscere qualcosa di chiaro sulla natura se non attraverso
la medicina (De prisca medicina cap. 20).
11
,
, .
Non devo parlare di questioni celesti se non per quanto
necessario a mostrare, rispetto all'uomo e a tutti gli altri
viventi, come si sono generati e sviluppati, che cosa sia
l'anima, che cosa la salute e la malattia, che cosa sia cattivo
e buono nell'uomo, e perch muoia (De carnibus 1).
Il passo rivela quelle che dovevano essere le comuni assunzioni (le contro cui polemizza l'Antica medicina) nella tradizione della : lo schema adottato infatti il
seguente: (i) originaria caoticit e indistinzione di tutte le cose;
(ii) processo di discriminazione degli elementi (etere, aria, terra);
(iii) formazione dei corpi. Centrale risulta il parallelo tra formazione dei viventi e formazione del cosmo che deve aver effettivamente costituito un asse portante nella cultura arcaica, sin dalla
produzione teogonica. Ci risulta confermato dall'autore anonimo
del De diaeta:
,
,
,
12
11
, , ,
,
,
Io, Cebete, da giovane ero straordinariamente
affascinato da quella sapienza che chiamano indagine
sulla natura. Mi sembrava fosse magnifico conoscere le
cause di ogni cosa, perch ogni cosa si generi, perch si
corrompa e perch esista (96a).
13
12
.
,
,
Ma nessuno mai vide o sent Socrate fare o dire
alcunch di irreligioso o empio. Egli infatti non si
interessava della natura di tutte le cose, alla maniera della
maggior parte degli altri, indagando come fatto ci che i
sapienti chiamano "cosmo" e per quali necessit si
produca ciascuno dei fenomeni celesti (Senofonte,
Memorabili I, 1, 11).
13
In questo caso, addirittura, abbiamo il privilegio di veder sottolineato dal poeta il nesso tra contemplazione ()
dell'ordine che non invecchia ( ) della natura
immortale ( ) e ricostruzione delle sue modalit
di formazione. A dispetto degli aggettivi coinvolti - e
(di uso omerico ed esiodeo) evidentemente il oggetto d'attenzione l'ordinamento attuale dei fenomeni percepito come il risultato di un processo di composizione (
), e il suo studio non pu prescindere
dall'indagine (speculativa) sulle sue tappe.
Il modello peripatetico
Della la storiografia peripatetica ha certamente fissato il canone interpretativo che ha pesato su tutta la tradizione: nella ricostruzione aristotelica delle origini della filosofia, infatti, si attribuisce alla maggioranza di coloro che per primi
filosofarono ( ) la convinzione che principi di tutte le cose ( ) fossero
solo quelli nella forma di materia ( ), cos
argomentando:
,
,
,
,
14
15
.
[...]
Anassimandro [...] afferm linfinito principio e
elemento delle cose che sono, adottando per primo questo
nome di principio. Egli sostiene, infatti, che esso non sia
n acqua n alcun altro di quelli che sono detti elementi,
ma che sia una certa altra natura infinita, da cui originano
tutti i cieli e i mondi in essi: secondo necessit che
verso le stesse cose, da cui le cose che sono hanno origine,
avvenga anche la loro distruzione; esse, infatti, pagano la
pena e reciprocamente il riscatto della colpa, secondo
lordine del tempo [B1]. Cos si esprime in termini molto
poetici. evidente allora che, avendo considerato la
reciproca trasformazione dei quattro elementi, non ritenne
adeguato porre alcuno di essi come sostrato, preferendo
piuttosto qualcosaltro al di l di essi. Egli poi non fa
discendere la generazione dalla alterazione dellelemento,
ma dalla separazione dei contrari, a causa del movimento
eterno [...] (Simplicio; DK 12 A9).
17
Parmenide e la
Tornando ora alla titolazione del Poema parmenideo, le testimonianze di coloro che hanno contribuito a trasmetterne citazioni
sopra tutti Sesto Empirico e Simplicio (il secondo molto probabilmente disponeva di copia dell'opera, il primo plausibilmente)
sono univoche nell'attribuirgli l'intestazione . Abbiamo gi letto le affermazioni di Simplicio (
.), in linea con quelle
di Sesto:
[...]
Il discepolo di lui (= Senofane), Parmenide [...]
iniziando appunto il Peri physes scrive in questo modo
[] (Adv. Math. VII, 111).
Parmenide nella
Prescindendo dagli inquadramenti della produzione per noi
frammentaria di Gorgia e Ippia, alla collocazione e al ruolo di
Parmenide nel quadro della sapienza antica pens per primo Platone. Delineando in un lungo passo del Sofista (242 b6-251 a4),
che costituisce indubbiamente l'antecedente diretto della disamina
18
19
20
,
Tu [Parmenide], infatti, nel tuo poema affermi che il
tutto [l'universo] uno, e porti prove di ci in modo
brillante ed efficace; questi [Zenone], invece, sostiene che
i molti non esistono, e anche lui porta prove molto
numerose e consistenti. Il primo dice quindi che esiste
l'uno, l'altro che i molti non esistono: cos ciascuno parla
in modo che sembri che non sosteniate alcunch di simile,
mentre in realt affermate le stesse cose,
21
,
Se allora un intero, come sostiene anche Parmenide:
da tutte le parti simile a massa di ben rotonda palla,
a partire dal centro ovunque di ugual consistenza:
necessario infatti che esso non sia in qualche misura di
pi,
o in qualche misura di meno, da una parte o
dallaltra,
essendo tale ci che avr un centro e dei limiti
estremi, e, avendoli, necessariamente avr parti,
e che il Timeo sembra esplicitare21, riferendo l'opera di produzione del cosmo da parte del demiurgo:
.
,
, ,
,
.
.
,
, ,
,
,
.
- -
E gli diede una figura a s congeniale e congenere. Ma
la figura congeniale al vivente che doveva contenere in s
21
Secondo le indicazioni di Palmer (op. cit., pp. 193 ss.) sulla concentrazione di
termini parmenidei nel dialogo.
22
22
23
Eccentricit di
Parmenide
nella
Ivi, p. 21.
24
, )
.
Una discussione intorno a costoro esula dallesame
attuale delle cause: essi, infatti, non parlano come alcuni
dei naturalisti, i quali, posto lessere come uno, fanno
comunque nascere [le cose] dalluno come da materia;
essi parlano, invece, in altro modo. Mentre quelli, in
effetti, aggiungono il movimento, facendo nascere il tutto
[luniverso], questi, al contrario, sostengono che [il tutto]
sia immobile. Almeno quanto [segue], tuttavia,
appropriato alla presente ricerca (986 b12-18).
25
26
significativo che, illustrando queste affermazioni di Aristotele nel proprio commento (in Metaphys. , 3 984 b3), Alessandro
di Afrodisia citi Teofrasto:
. (
[] ) .
,
27
,
,
, ,
.
Venuto dopo costui (si riferisce a Senofane),
Parmenide - figlio di Pyres, da Elea - percorse entrambe le
strade. Dichiara infatti che il tutto eterno, e cerca anche
di spiegare la generazione degli enti, pur non affrontando
entrambe allo stesso modo: piuttosto sostenendo, secondo
verit, che il tutto uno e ingenerato e di aspetto sferico;
ponendo invece, secondo lopinione dei molti allo scopo
di spiegare la generazione dei fenomeni [delle cose che
appaiono] - che i principi siano due, fuoco e terra, l'una
come materia, l'altro come causa e agente (DK 28 A7).
29
G. Colli, La sapienza greca, Vol. II, Milano 1978, Adelphi, p. 247. Teofrasto,
in effetti, prospetta Parmenide discepolo di Senofane - come riferiscono
Diogene Laerzio (IX, 21, DK 28 A1), e i commentatori aristotelici
Alessandro e Simplicio (DK 28 A7) - e di Anassimandro (secondo quanto
attesta sempre Diogene Laerzio), associandolo poi a Empedocle ammiratore () e imitatore () di Parmenide (DK 28 A9) e Leucippo - unito a Parmenide nella filosofia (
, DK 28 A8).
28
29
31
32
Aristotele, introducendo lindagine sullessere in quanto essere ( ), su ci che appartiene a tutte le cose in quanto enti ( ), la differenzia rispetto a ricerche pi
specifiche: ci che la connota , infatti, accanto alla eziologia
propria di ogni sapere, l'apertura alla totalit della realt. Riguardo alla , tuttavia, la sua posizione pi sfumata: l'originale speculazione sullessere in quanto essere proposta, infatti, in continuit con la precedente tradizione:
,
.
,
Dal momento che ricerchiamo i principi e le cause
supreme,
evidente
come
esse
riguardino
necessariamente una certa natura [realt] in quanto tale. Se
dunque coloro che ricercano gli elementi delle cose
ricercavano questi principi, necessario che fossero anche
gli elementi dell'essere non per accidente ma in quanto
essere. Per questo motivo dobbiamo comprendere le cause
prime dell'essere in quanto essere (Metafisica IV, 1 1003
a26-32).
33
34
consideriamo comunque anche coloro che prima di noi
hanno proceduto alla ricerca intorno agli enti e hanno
filosofato intorno alla verit (Metafisica I, 3 983 b1),
35
36
Qui Aristotele stigmatizza, per la sua paradossalit (sintomatico il riferimento alla follia), una forma di razionalismo eleatico39 che, nel riferimento all'infinito, appare sostanzialmente melissiano40: il contributo all'indagine sulla verit scaturisce da una
38
37
ricerca volta alla comprensione della realt naturale nel suo insieme ( ). Una ricerca, dunque, a un tempo "ontologica" ed
"epistemologica" (in senso lato), nella misura in cui la determinazione della realt genuina dipende da considerazioni di ordine
gnoseologico (delineate nella contrapposizione ).
Ora, nei frammenti parmenidei non mancano indizi (come rivelano le letture antiche) della possibilit che l'espressione
(ci che ovvero l'essere), di cui si definiscono propriet
strutturali - senza nascita () senza morte
(), tutto intero (), uniforme (),
saldo () (B8.4-5) si riferisca a quel che Aristotele
indica come , il Tutto delluniverso41: Parmenide, nel suo
sforzo di evitare le incongruenze colte nelle coeve indagini sull'origine e sulla struttura del mondo naturale 42, avrebbe trasfigurato
lo spazio cosmico nel compiuto, omogeneo, immutabile campo
dellessere, cos spingendo la filosofia naturale ai limiti di logica e metafisica43. N, d'altra parte, mancano tracce di una trattazione 44: la prima sezione del Poema si apre e si
chiude con chiare menzioni della Verit intesa come la Realt
oggetto dell'esposizione stessa, mentre l'impianto dicotomico
dell'opera trdita riflette la tensione tra il resoconto genuino di
quella realt e una sua accettabile ricostruzione a partire dall'esperienza che gli uomini ne hanno.
41
38
45
39
La Dea sottolinea il proprio impegno a (i) rivelare la realt genuina (), tradizionale appannaggio divino, e (ii) denunciare le infondate (senza reale credibilit, ) opinioni
dei mortali ( ), in ci riflettendo il canonico pessimismo sulla condizione e comprensione umana che aveva trovato
espressione nella poesia e nella sapienza antica:
,
[, .]
,
,
40
.
,
.
Per questo io ti dico e tu ascolta e comprendi:
nulla pi inconsistente dell'uomo tra tutte le cose
che nutre la terra, e sulla terra camminano e si
muovono.
Egli sostiene che nulla di male mai gli accadr,
fin quando gli dei concedono forza e le membra sono
in movimento.
Quando invece gli dei beati infliggono anche dolori,
pure questi sopporta, suo malgrado, con animo
paziente.
Tale la comprensione degli uomini che vivono sulla
terra,
quale il giorno che manda il padre degli dei e degli
uomini (Odissea XVIII, 129-137)
,
a dispetto dell'inaffidabilit delle correnti opinioni mortali, possibile delinearne una sintesi compatibile con la lezione di verit
della prima istruzione.
Difficile credere che Parmenide non fosse in qualche misura
convinto della bont del punto di vista espresso negli attuali
frammenti B9-B1246, ovvero della tracciatavi,
anche perch i rilievi del testo richiamano puntualmente i divieti
di B2-B8:
,
,
Ma poich tutte le cose luce e notte sono state
denominate,
e queste, secondo le rispettive propriet, [sono state
attribuite] a queste cose e a quelle,
tutto pieno ugualmente di luce e notte invisibile,
di entrambe alla pari, perch insieme a nessuna delle
due [] il nulla (B9).
Discorso
verosimile
affidabile
ordinamento
42
43
(a) del contributo scientifico47 (prevalentemente in campo cosmologico48) riconosciuto a Parmenide nellantichit: ancora una
volta interessante soprattutto il fatto che Teofrasto (DK 28 A44)
gli attribuisse la scoperta della sfericit della Terra:
, [Phys. Opin.
17] ,
[in riferimento a Pitagora] ma fu anche il primo a
chiamare il cielo cosmo e la terra sferica; per Teofrasto fu
invece Parmenide, per Zenone Esiodo,
e che altre fonti risalissero allEleate per osservazioni sulla identit di Espero e Lucifero (DK 28 A40a):
. ,
,
, ,
Parmenide pone come primo nell'etere Eos, lo stesso
da lui chiamato anche Espero; dopo di esso pone il Sole,
sotto questo, nella parte ignea che chiama cielo, gli astri,
47
44
45
49
50
46
, ,
-
-
Il giudizio in proposito dipende da ci:
o non . Si dunque deciso, secondo necessit,
di lasciare luna [via] impensabile [e] inesprimibile
(poich non
una via genuina), e che laltra invece esista e sia reale
(B8.15b-18),
In questo secondo caso, la costante presenza dell'essere giustapposta alla presenza-assenza degli enti, prefigurando l'opposizione tra l'immutabile presente dell'uno:
, ,
,
n un tempo era n [un tempo] sar, poich ora tutto
insieme,
uno, continuo (B8.5-6a)
47
Ecco, in questo modo, secondo opinione, queste cose
ebbero origine e ora sono,
e poi, in seguito sviluppatesi, avranno fine (B19.1-2).
Ci pu suggerire che i due momenti del discorso divino riflettano l'originale rielaborazione parmenidea della tensione, implicita nella cultura delle origini, tra la dimensione temporale delle cose in divenire ( , le cose
che sono, le cose che sono state e le cose che saranno, Iliade I,
70) e quella peculiare alla concezione arcaica del divino (
, dei che sono sempre, Iliade I, 290)51.
La distinzione ben delineata nei frammenti trditi, come abbiamo visto, quella tra:
(i) la certezza ( ) che scaturisce dal giudizio razionale su :
,
Dire e pensare: ci che , necessario: essere
infatti possibile,
il nulla, invece, non (B6.1-2a);
(ii) la verosimiglianza del resoconto cosmologico, che pur legittimato dalla parola divina:
,
Questo ordinamento, del tutto appropriato, per te io
espongo,
cos che mai alcuna opinione dei mortali possa
superarti (B8.60-1)
Ivi, p. 102.
48
,
Conoscerai la natura eterea e nelletere tutti
i segni e della pura fiamma dello splendente Sole
le opere invisibili e donde ebbero origine,
e le opere apprenderai periodiche della Luna
dallocchio rotondo,
e la [sua] natura (B10.1-5a),
,
, , (
),
,
,
, ,
.
Parmenide, invece, sembra in qualche modo parlare
con maggiore perspicacia: dal momento che, ritenendo
che, oltre allessere, il non-essere non esista affatto, egli
crede che lessere sia di necessit uno e nientaltro. []
Costretto tuttavia a seguire i fenomeni, e assumendo che
luno sia secondo ragione, i molti invece secondo
sensazione, pone, a sua volta, due cause e due principi,
chiamandoli caldo e freddo, ossia fuoco e terra. E di questi
dispone il caldo sotto lessere, il freddo sotto il non-essere.
La lettura aristotelica suggerisce, infatti, che l'oggetto apparentemente diverso - delle due sezioni del Poema sia in verit identico, sebbene prospettato secondo differenti modalit gnoseologiche: secondo ragione ( ) e secondo sensazione ( ). Una considerazione puramente razionale
fa emergere la realt (naturale) come uno-tutto; il riferimento
all'esperienza manifesta la pluralit dei fenomeni: nel primo caso
il livello di astrazione fa perdere di vista i connotati fenomenici e
risaltare i tratti di fondo della realt; nel secondo l'urgenza di dar
conto dei fenomeni spinge all'individuazione di efficaci principi
esplicativi. Come non possibile parlare di due oggetti diversi,
cos non pu sfuggire nei frammenti il tentativo di Parmenide di
ripensare il problema dei principi in termini ontologici, attribuendo cio ai principi alcune caratteristiche dei segni di :
, ,
, , ,
50
Scelsero invece [elementi] opposti nel corpo e segni
imposero
separatamente gli uni dagli altri: da una parte, della
fiamma etereo fuoco,
che mite, molto leggero, a se stesso in ogni direzione
identico,
rispetto allaltro, invece, non identico; dallaltra parte,
anche quello in se stesso,
le caratteristiche opposte: notte oscura, corpo denso e
pesante (B8.55-9)
,
,
,
Ma poich tutte le cose luce e notte sono state
denominate,
e queste, secondo le rispettive propriet, [sono state
attribuite] a queste cose e a quelle,
tutto pieno ugualmente di luce e notte invisibile,
di entrambe alla pari, perch insieme a nessuna delle
due [] il nulla (B9).
52
51
53
52
53
a proposito del primato di Eros), tre volte nel Sofista (237a e 258d
a proposito del parricidio; 244e a proposito della struttura e indivisibilit del Tutto). Aristotele, a sua volta, replica la descrizione del Tutto gi citata da Platone (Fisica 207 a18), cita il verso su
Eros (Metafisica 984 b26) e trascrive l'attuale frammento 16 (Metafisica IV, 5 1009 b22). Lultima citazione della prima "esistenza
postuma" del Poema in Teofrasto, che riprende tre volte il fr. 16
(in una versione diversa da quella aristotelica). probabile che le
citazioni del frammento 8 nello pseudo-aristotelico Su Melisso,
Senofane e Gorgia e in Eudemo derivino da Platone57.
Dopo un lungo silenzio - segnale, secondo Cordero58, non propriamente di scomparsa del testo parmenideo, piuttosto di mancato utilizzo - il platonico Plutarco (I secolo d.C.) torna a fare
uso abbondante dei frammenti del poema, aprendo di fatto la seconda stagione dattenzione per l'opera - la pi ricca di citazioni
testuali - che dura fino a tutto il VI secolo. Caratteristica di questa
fase il ricorso al Poema non per illustrare la posizione dell'autore, ma per confermare o chiarire il tema oggetto di analisi da parte
dei commentatori: probabile che le citazioni non siano di prima
mano, ma dipendano in gran parte da Platone, Aristotele e Teofrasto.
A Simplicio, lultimo autore conosciuto che abbia usato un
manoscritto dellintera opera di Parmenide 59 , dobbiamo la citazione (in gran parte come unica fonte) dei due terzi dei 160 versi
trditi del poema: egli cita estensivamente anche perch consapevole della rarit del testo gi nella sua epoca (clamorosamente
quella in cui aumenta il numero di autori che direttamente o indirettamente citano Parmenide: Damascio, Filopono, Asclepio, Boezio, Olimpiodoro60):
,
57
54
Cordero giudica molto probabile sulla scorta del lavoro filologico di Diels l'utilizzazione da parte di Proclo (V secolo) e
Simplicio (VI secolo) di due differenti versioni del poema di
Parmenide 61 . Damascio (V-VI secolo d.C.) cita sulla scorta del
commento perduto di Giamblico (III-IV secolo d.C.) al Parmenide platonico. Altri autori antichi (V e VI secolo d.C.) come Ammonio, Filopono, Olimpiodoro e Asclepio potrebbero non aver
avuto la possibilit di accedere direttamente a copia dellintero
poema62.
61
55
Fonti attiche
Possiamo supporre che le fonti del primo gruppo abbiano avuto accesso a copie del poema: secondo Passa 64, si pu facilmente
dimostrare, tuttavia, che in molti casi esse citano a memoria, ma
probabile che sfruttassero anche la prima sistemazione del materiale presocratico a opera dei sofisti. Si ritiene, infatti, che Platone
e Aristotele ricorressero alle selezioni approntate nella seconda
met del V secolo a.C. da Ippia (che nella sua aveva estratto, messo in relazione e commentato tesi presenti in opere
poetiche e in prosa65) e Gorgia (che, a sua volta, aveva estrapolato
dalla prima produzione filosofica enunciati teorici che potevano
essere organizzati per contrapposizioni, cos sottolineando gli insolubili contrasti tra filosofie: un'impostazione che certamente ha
lasciato tracce ancora nelle opere ippocratiche, in Senofonte e Isocrate). Platone e Aristotele, che rivelano nelle loro opere di
combinare i due approcci, pur avendo modo di consultare direttamente almeno una parte delle opere attribuite ai primi filosofi,
sarebbero stati comunque condizionati dagli schemi sofistici nella
loro lettura66.
Se plausibile, dunque, che le nostre fonti pi antiche - Platone, Aristotele e i suoi discepoli Teofrasto e Eudemo - avessero
accesso a copie dellintero poema, tuttavia significativo che Teofrasto e Eudemo non siano fonti primarie dei versi che citano e
che lo stesso Aristotele citi (3 volte su 4) probabilmente sulla
scorta dei dialoghi platonici (per altro poco accurati nel riportare
il testo parmenideo)67. La disponibilit, inoltre, di differenti versioni dello stesso frammento (B16) in Aristotele e Teofrasto pu
essere indizio dellesistenza, gi nel IV secolo a.C., di almeno due
distinte tradizioni manoscritte. Nonostante sia praticamente impossibile per noi risalire oltre la redazione attica del poema pos64
Ivi, p. 25.
J.-F. Balaud, Hippias le passeur, in La costruzione del discorso filosofico
nellet dei Presocratici, a cura di M.M. Sassi, Edizioni della Normale, Pisa
2006, pp. 288 ss..
66
J. Mansfeld, Sources, in The Cambridge Companion to Early Greek Philosophy, cit., pp. 26-27.
67
Ivi, pp. 2-3.
65
56
seduta dall'Accademia e dal Peripato, dunque almeno ipotizzabile discriminare al suo interno tra il testo usato (o citato a memoria) da Platone e Aristotele e quello usato da Teofrasto. N, come
abbiamo in precedenza segnalato, si pu escludere che redazioni
alternative autonome siano sopravvissute nella tradizione pi tarda68.
La recente ricerca linguistica69 sottolinea come Platone citi da
una versione gi in parte "atticizzata" del Poema, che aveva dunque sopportato interventi simili a quelli operati (nello stesso periodo) sul testo omerico: modificazioni del vocalismo e introduzione di aspirazioni (in origine il testo doveva essere psilotico). Il testo riportato da Platone nel complesso accurato, sebbene, secondo Passa, proprio a Platone si possa far risalire la spiccata
propensione a interpretarlo, che diventer poi norma per i neoplatonici, con conseguenti gravi alterazioni nelle loro redazioni. Da
Platone e dalla sua scuola deriver, fino a Proclo, quella tradizione "accademica" da cui tratta la maggioranza delle citazioni del
Poema disponibili.
In considerazione di quanto sopra osservato, plausibile che
Aristotele, a sua volta, dipenda da Platone, mentre Teofrasto potrebbe aver attinto da fonte alternativa: dalla ricerca dell'allievo
di Aristotele che si sarebbe formata, in ambiente peripatetico, la
tradizione "dossografica", quella delle fonti che derivano le proprie citazioni da compilazioni 70.
68
57
Fonti ellenistico-romane
Plutarco (esponente di punta della Media Accademia) il primo autore, dopo il lungo silenzio dell'et ellenistica, a citare passi
del Poema: gli attuali frammenti B1.29-30, B8.4, B13, B14, B15
hanno Plutarco come fonte; degli ultimi due egli la nostra unica
fonte. Sebbene dichiari di ricorrere ad appunti (), alcune varianti di testo fanno supporre che egli citi da fonti attendibili 71. probabile attingesse a una tradizione vicina o identica a
quella "accademica" (le sue citazioni presentano coincidenze con
varianti trasmesse da Proclo), prima, tuttavia, delle alterazioni intervenute nella successiva tradizione neoplatonica. La redazione
plutarchea di B1.29, infatti, coincide con quella di Sesto Empirico
e Diogene Laerzio, ed alternativa a quelle di Proclo e Simplicio72. Indicativo della validit della fonte plutarchea soprattutto
il caso di B13 (trasmesso anche da Platone, Aristotele, Sesto Empirico, Simplicio, Stobeo): Plutarco l'unico testimone in grado
di menzionare chiaramente soggetto e contesto del frammento,
con l'indicazione della sezione cui la citazione apparteneva (un
unicum nelle fonti)73.
Dimestichezza con il Poema, secondo Coxon 74 , mostrerebbe
nel complesso Clemente Alessandrino (per noi fonte pi antica di
quasi tutto ci che cita75: B1.29 s., B3, B4, B8.3 s., B10), ma il
fatto che di B8.4 egli sia l'unico a riportare la variante
(nella dossografia impiegata per sottolineare l'accordo di Parmenide con Senofane) - dove Simplicio presenta - fa suppore, nella ricezione del testo, un condizionamento da parte di
58
versioni dossografiche. Pi recisa la valutazione di Passa 76, secondo cui gli atticismi delle citazioni rivelerebbero come Clemente lavorasse su un testo fortemenete modificato, di fonti atticizzate. Il livello di corruttela farebbe escludere (contro l'ipotesi di Coxon) la disponibilit di copia integrale del Poema.
La ricerca di Passa ha evidenziato la peculiarit del contributo
di Sesto Empirico nella storia del testo del Poema: egli sarebbe, in
effetti, il solo a conservare nelle proprie citazioni tracce di una
tradizione testuale alternativa a quella attica 77. In particolare Sesto - cui dobbiamo anche la citazione di B7.2-7 e B8.1-2) l'unica fonte del Proemio (B1.1-30) e una sua interpretazione allegorica: in genere si afferma che esse dipendano da fonte intermedia,
probabilmente di ambiente vicino a Posidonio, ma lo studioso italiano ha avanzato l'ipotesi che Sesto abbia utilizzato fonti diverse
per il testo del proemio e per la sua parafrasi78. Questa dipenderebbe effettivamente da commento stoico; nel caso del testo del
Proemio, tuttavia, Sesto l'unico a conservare traccia dell'antica
redazione psilotica del poema: probabile, dunque, che egli disponesse di una buona copia del Proemio, verosimilmente da esemplare di tutto il poema79. Che Sesto (ovvero la sua fonte) possa
aver attinto a una terza tradizione testuale, ipotesi che anche
Cordero80 avanza, sebbene la citazione di B1.29-30 in tre lezioni
differenti non ne possa costituire prova conclusiva. A tradizione
testuale molto vicina a quella sestana (quindi non attica), potrebbe
aver attinto anche Diogene Laerzio, che fornisce identica redazione di B1.29 e, con Sesto, una buona porzione di B7 (vv. 3-5)81.
Fonti neoplatoniche
La prima fonte neoplatonica ovviamente dopo lo stesso Plotino (III secolo d.C.), che cita solo di passaggio frammenti isolati:
76
59
82
60
Ivi, p. 36.
Coxon, op. cit., p. 6.
91
Passa, op. cit. p. 40.
92
Ibidem.
93
Ivi, pp. 41-43.
90
61
Dopo B8.57, evidentemente, nella copia utilizzata da Simplicio, uno scolio era stato incorporato (da un copista che non si era
reso conto trattarsi di , di un passo in
prosa) all'interno del testo del Poema. Il commentatore, tuttavia,
nel citare il passaggio, non sembra preoccuparsene, riferendolo
sostanzialmente allo stesso Parmenide ( )!
Whittaker94 ne ha inferito che: (i) l'esemplare simpliciano del Poema doveva presentarsi come the product of unintelligent transcription from an annotated source; (ii) la competenza del commentatore (che non si avvede dell'inquinamento del testo) in relazione al testo parmenideo doveva essere discutibile. Una valutazione che dovrebbe far riflettere sulla problematica situazione testuale del Poema, soprattutto accreditando l'ipotesi di Deichgrber95 che tutta la copia di Simplicio fosse corredata di scolii.
Passa ha proposto un'interessante spiegazione dell'atteggiamento del commentatore neoplatonico: il mancato allarme di
fronte all'inserto in prosa nel corpo esametrico del Poema deriverebbe dalla piena assimilazione del quadro proposto nel Sofista
platonico (237a):
94
62
.
, ,
,
, ,
[B7.1-2]
Questo discorso ha osato ammettere che il non essere
sia: il falso, in effetti, non potrebbe darsi diversamente. Il
grande Parmenide, invece, caro figliolo, a noi che
eravamo ragazzi testimoniava contro ci dall'inizio alla
fine, ribadendo ogni volta, nelle sue parole e nei suoi
versi, che:
Mai, infatti, questo sar forzato: che siano cose che
non sono.
Ma tu da questa via di ricerca allontana il pensiero.
Platone documentava una pratica di insegnamento in cui si intrecciavano la memorizzazione dei contenuti fondamentali del
Poema, l'esposizione dettagliata del maestro, l'approfondimento e
il chiarimento di temi attraverso la comunicazione di informazioni supplementari96: possibile che in tal modo egli recuperasse un
modello effettivamente operante in ambito eleatico 97. Non va inoltre dimenticato che, proprio a partire da questa "testimonianza" platonica, nella tradizione tarda (come attesta Suda, X secolo)
si diffuse la convinzione che Parmenide avesse composto, oltre al
Poema, anche opere in prosa:
,
,
. [...]
,
96
97
63
Non sorprender, quindi, che Simplicio, poco avveduto sul piano filologico, potesse frettolosamente ricondurre l'inserto in prosa a commento dello stesso autore. Queste considerazioni contribuiscono a ridimensionare la fiducia nell'attendibilit dell'attestazione simpliciana, che Passa98 giudica fondamentale ma sopravvalutata:
[Simplicio] mancava infatti sia della capacit di
inquadrare correttamente Parmenide nel suo vero contesto
storico-culturale, sia di strumenti critici in grado di
smascherare i vizi dell'esemplare in suo possesso.
98
99
64
100
65
BIBLIOGRAFIA
integrare con lopera interpretativa aggiornata - dello stesso autore By Being, It Is, Parmenides Publisher, Las Vegas 2004: complessivamente offrono un grande contributo testuale, grazie alla
discussione delle difficolt e al confronto costante con la tradizione dei manoscritti. Indicheremo lo studio del 2004 come Cordero]
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tradizione testuale e ai manoscritti, nonostante le riserve di
OBrien. La indicheremo come Coxon]
tudes sur Parmnide, sous la direction de P. Aubenque, t. I,
Le Pome de Parmnide, texte, traduction, essai critique par D.
OBrien, Vrin, Paris 1987 [strumento molto utile per la discussione delle difficolt testuali, ma anche per la doppia traduzione,
francese e inglese, con le scelte conseguenti. Lo indicheremo
come O'Brien]
Parmenides of Elea, Fragments. A Text and Translation with
an Introduction by D. Gallop, University of Toronto Press, Toronto 1987 [indicheremo l'edizione come Gallop]
Parmenide, Poema sulla Natura. I frammenti e le testimonianze indirette, presentazione, traduzione e note a cura di G. Reale,
saggio introduttivo e commentario filosofico a cura di L. Ruggiu,
Rusconi, Milano 1991 [non si distingue tanto come strumento filologico, quanto per lampio commentario filosofico di corredo.
Indicheremo la traduzione come Reale e il commento come Ruggiu]
Parmenides, Die Fragmente, herausgegeben von E. Heitsch,
Artemis & Winkler, Zrich 1995 [indicheremo l'edizione come
Heitsch]
Parmnide, Sur la nature ou sur ltant. La langue de ltre?,
prsent, traduit et comment par B. Cassin, ditions du Seuil,
Paris 1998 [indicheremo l'edizione come Cassin]
Parmnide, Le Pome: Fragments, texte grec, traduction, prsentation et commentaire par M. Conche, PUF, Paris 1999 (edizione originale 1996) [indicheremo l'edizione come Conche]
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originale 1948)
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Erscheinen der Welt bei Parmenides, Fink, Munich 1997
70
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Academia Verlag, Sankt Augustin 2008
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2008 (si tratta della terza edizione, modificata e aumentata, di
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72
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Il quinto secolo. Studi di filosofia antica in onore di Livio Rossetti, a cura di S. Giombini e F. Marcacci, Aguaplano, Perugia
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La Sagesse Prsocratique. Communications des Savoirs en
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M.-L. Desclos et F. Fronterotta, Armand Colin, Paris 2013
Con la sigla LSJ indichiamo H.G. Liddell, R. Scott, GreekEnglish Lexicon, revised and augmented throghout by H.S. Jones,
Clarendon Press, Oxford 1996
74
PARMENIDE
SULLA NATURA
Frammenti
testo greco e traduzione italiana 1
DK B1
, ,
,
1, ... 2
[5] , .
< >3
-
-,
, N4
[10] , 5 .
,
6
7 .
[15]
1
Diels-Kranz (ma non Diels nella sua originaria edizione del poema
parmenideo, 1897) accolgono la correzione (Stein, 1867) del genitivo
nel nominativo , di cui oggi si riconosce l'arbitrariet.
2
Non si tratta di lacuna testuale, ma di testo presumibilmente corrotto:
KATAPANTATH, trasmesso nei codici come (N),
(L), (E), (codices deteriores). Diels
legge: < > (partendo dall'errore di decodifica del codice
N da parte di Mutschmann). Per il resto gli editori hanno fatto ricorso a
congetture plausibili nel contesto: Cerri: ; Cordero:
; Coxon suggerisce < > < >. Per la
traduzione si veda nota relativa.
3
< > correzione di Diels (1897) a del codice N,
(codici EL).
4
Scegliamo, seguendo Diels, di considerare nome proprio della divinit,
cos come nel caso del successivo .
5
Il genitivo dei codici stato emendato in da Karsten e il
da Diels.
6
La forma pronominale greca evoluzione dell'accusativo plurale di
terza persona in uso nell'epica arcaica () all'interno della aedica ionica: la
presenza della forma in Parmenide considerata notevole da Passa (pp. 99-100).
7
La forma degli editori moderni: nei codici .
76
,
8
[20] 9 10
11 .
,
,
12 ,
[25] 13 ,
77
, 14
- -,
15 16 . 17
18 19 20
13
78
[30] , .
, 21
22 23.
19
Degli ultimi versi del proemio abbiamo, oltre a quella (vv. 1-30) di Sesto
Empirico, diverse citazioni: Simplicio cita 28b-32 nel commentario al De
Caelo aristotelico; Diogene Laerzio cita 28b-30, mentre Plutarco, Clemente
di Alessandria, Proclo e ancora Sesto (nella discussione) citano 29-30. Il
testo di Simplicio riporta (ben rotonda), accolto da Diels in
forza della qualit e interezza (presunte) del manoscritto di Simplicio. Il
filologo tedesco stato in passato seguito (tra gli altri) da Untersteiner,
Guthrie, Tarn, Hlscher, e oggi da Cordero, Reale, Cerri, Ferrari, Tonelli,
Palmer. I manoscritti ellenistici (quello di Plutarco, Sesto Empirico e
Diogene Laerzio), tuttavia riportavano (che viene tradotto come
ben convincente), che i pi (tra gli altri Mansfeld, Mourelatos, Coxon,
Conche, O'Brien, Gallop, Curd, Gemelli Marciano, Passa) preferiscono. Solo
Proclo usa (risplendente), poco attendibile. Come in altri casi,
si rivelata decisiva la convinzione della affidabilit della redazione di
Simplicio. Passa certamente colui che, con maggiore acribia, ha
argomentato, in tempi recenti, la propria opzione (pp. 55 ss.), tra l'altro
all'interno di una ricostruzione delle tradizioni testuali del poema che mette
in discussione proprio l'affidabilit della versione di Simplicio, che
risentirebbe pesantemente di adattamenti platonizzanti (come quella di
Proclo). Di diverso avviso Cerri (p. 184), per il quale Simplicio sarebbe
invece molto attento alla conservazione del testo e del lessico parmenidei.
Buone osservazioni a difesa della lezione , si trovano ora in
Palmer (op. cit. pp. 378-80).
20
Plutarco, Diogene Laerzio e Sesto Empirico (in math. 7.111) trasmettono
(non torto). Sulla lezione ha pesato la liquidazione di
Diels (1897, pp. 54 ss.), che vi ha colto una trivializzazione, riconoscendo,
invece, nell'alternativa un predicato caratteristico dell'
parmenideo. A contestare la liquidazione dielsiana, riproponendo la lezione
, stato di recente Passa (pp. 53 ss.), il quale ha dimostrato come
l'aggettivo non implichi alcuna trivialit, vantando invece precedenti illustri
in Omero e Pindaro. Come tutto il verso, anche sarebbe stato
vittima di un rimaneggiamento secondario.
21
Passa (p. 121) segnala come la forma contratta sia molto
probabilmente un atticismo nella tradizione del testo: egli esclude che
(come anche in B6.6) sia lezione autentica. La lezione
sarebbe stata sostituita a o .
22
Nella sua edizione del poema (1897) Diels propose di leggere
come () . Tra gli editori novecenteschi Untersteiner tra i
pochi ad aver rilanciato tale lezione, seguito di recente da R. Di Giuseppe,
79
80
81
82
83
Su questa via13 ero portato14, su questa via mi portavano 15 molto avvedute16 cavalle,
(Cerri), per tutte le cose che siano.
Ferrari (op. cit., nota p. 114) ha sostenuto a pi riprese lopportunit di
recuperare la lettura < > , come emendamento anche se
non pi come lezione tramandata. In questo caso sarebbe tuttavia
necessario tenere ben distinta la dell'apertura del
proemio da quella di cui proprio la Dea sottolinea il fatto che
(lontana dalla pista degli uomini).
12
Lespressione greca si riferisce, per alcuni (Bowra, Untersteiner,
Burkert), alla figura delliniziato, secondo la terminologia propria della
tradizione misterica: espressione quasi tecnica in tal senso, come nota la
Sassi (op. cit., p. 387), attestata nei frammenti orfici (fr. 233 Kern). Per altri
(Frnkel, Tarn), invece, alluomo che gi conosce la via per averla
percorsa; Coxon e Cerri insistono sul riferimento alle competenze e
conoscenze preventivamente richieste per la piena conquista della verit. Di
diverso avviso Mansfeld (J. Mansfeld, Die Offenbarung des Parmenides und
die menschliche Welt, Van Gorchum, Assen 1964, pp. 226-7), il quale,
partendo da Senofane B34, sottolinea come abbia un valore legato
allesperienza visiva, che si conserverebbe in Parmenide: la conoscenza che
il poeta rivendica dunque legata a un esperire, vedere, diretto. Il termine
dovrebbe rendersi allora come [luomo] che ha visto ovvero che
ha conoscenza. Nella stessa direzione si mosso Ferrari (op. cit., pp. 102
ss.), il quale sottolinea come la qualifica di sapiente, che indirettamente
viene attribuita al poeta narrante, presupponga che l'incontro con la Dea e la
rivelazione siano gi avvenuti. La qualifica di indica, infatti, ancora in
Aristofane e Euripide, la condizione del miste, di colui che ha ormai
superato la prova delliniziazione. Limmagine del sapiente che per il mondo
diffonde con la paola poetica la verit conquistata, suggerirebbe dunque di
riferire la situazione (e la condizione del poeta) a un tempo successivo
allincontro con la .
13
Intendo la forma avverbiale (), ribadita nello stesso verso, come se si
riferisse non a un luogo determinato ma alla via lungo la quale il poeta
condotto: lungo questa via, dunque, o al limite qui. Scegliendo di
tradurre in questo modo e non come per lo pi si fa (l), intendo marcare
questa sequenza concentrata sul viaggio-missione del poeta - dalla
successiva, che si apre (v. 11) con un altro locativo () e che
propriamente introduce alla rivelazione. La traduzione in questo caso ha un
peso: dal momento che pu rendersi tanto con qui che con l, le
indicazioni di luogo, analogamente ai tempi verbali, possono avere
un'incidenza nellinterpretazione complessiva. Abbiamo scelto una perifrasi,
cercando di conservare, anche in questa occasione, l'ambiguit: questa via
84
85
86
26
87
88
30
31
89
90
Anche in questo caso molti editori sono stati imprecisi, lasciandosi sfuggire il
significato tecnico del termine , che plurale tantum usato anche
come variante di (porta), ma il cui valore primario telaio [della
porta], come correttamente inteso da Coxon e recentemente ribadito da
Passa.
36
Nella tradizione omerica ed esiodea, Dike era, con Eunomia e Irene, una delle
Ore, sorelle delle Moire, figlie di Zeus e Temi: compito delle Ore (Iliade V,
749; VIII, 393) era quello di sorvegliare le porte del Cielo. significativo
che anche Eraclito (DK B94) alluda a Dike e alle coadiutrici Erinni come
garanti del corretto percorso del Sole. Secondo Robbiano (p. 155), la figura
di Dike tradizionalmente introdotta in relazione al rispetto dei confini: non
a caso la ritroviamo a sorvegliare il cancello che discrimina i percorsi di
Giorno e Notte. Essa sarebbe responsabile delle divisioni e distinzioni
allinterno di natura e societ (dei confini tra parti e gruppi): in questo senso
sarebbe garante di equilibrio (p. 157). Tuttavia, come la studiosa
correttamente segnala (p. 158), lordine cui sovrintende la Dike parmenidea,
rivelato nei versi successivi, non quello tradizionalmente inteso.
37
Lespressione Dkh attestata nella letteratura orfica (fr. 158
Kern), ma la datazione incerta (Coxon, p. 163). D'altra parte, come
abbiamo gi avuto modo di segnalare, Dike compare nella stessa tradizione
(fr. 105 Kern) come sorvegliante (con Adrasteia e Nomos) dell'antro della
Notte. Molto critico su questa prospettiva orfica Cerri (p. 104). Certamente,
come osserva Mourelatos (p. 15), la figura di , che tiene le
chiavi (delle retribuzioni?), ricorda quella di una divinit infernale. Ferrari
nella stessa direzione traduce come Dike sanzionatrice. Nell'economia del
racconto proemiale, accettando l'ipotesi di una katabasis, la funzione di Dike
sarebbe quella di permettere al poeta di accedere, vivo, alla realt
oltremondana (Sassi, op. cit., p. 389).
38
L'interpunzione dell'edizione Diels-Kranz autorizza a intendere il genitivo
pronominale iniziale riferito (come il pronome , nella stessa
posizione del verso precedente) a .
39
Laggettivo raro sembrerebbe indicare successione: potrebbe
riferirsi al fatto che le chiavi consentono lapertura alternata della porta
(Coxon, p. 164) ovvero al loro uso complementare (OBrien, p. 11). Nel
contesto probabile che il riferimento sia allalternanza di Notte e Giorno:
Dike regolerebbe con la propria sorveglianza il passaggio del Sole. Questo
potrebbe spiegare la situazione drammatica di seguito descritta: non era in
effetti plausibile che Dike potesse lasciar passare il mortale viaggiatore.
40
Il verbo () ha un valore simile al successivo , ed
spesso associato all'inganno (come segnalato da LSJ). In questo senso forse
91
92
93
94
95
96
97
98
99
100
74
101
75
76
102
103
DK B2
1 , ,
2 ,
3 - 4 -,
[5] 5 ,
6 7
- 8 1
104
105
Ors1, io dir - e tu2 abbi cura3 della parola4 una volta ascoltata 5
106
107
108
109
110
poich non potresti conoscere ci che non 24 (non infatti cosa fattibile25),
n potresti indicarlo 26.
transizione nel discorso della Dea. In effetti, frequentemente posposto a
un pronome (nel nostro contesto con funzione pronominale), con il
risultato di accentuare il rilievo nella frase.
21
Coxon osserva che il verbo , che in epica significa indicare,
evidenziare, usato da Parmenide con oggetto diretto o accusativo e
infinito nel senso (poi regolare) di spiegare (p. 177).
22
Il termine contrapposto a e , impiegati in B1 (vv. 2 e
11) e qui ai vv. 2 e 4: mentre in B1.21 eravamo informati del fatto che il
poeta viaggiava lungo la via maestra, in questo passaggio,
accennando alla seconda via, Parmenide ricorre a unespressione che veicola
l'idea di sentiero, tracciato secondario, scorciatoia.
23
Laggettivo pu indicare attribuendogli senso passivo - ci che
del tutto ignoto, ovvero, in senso attivo, appunto ci che del tutto privo
di informazioni, ovvero imperscrutabile (Tonelli p. 119), come la via che
pensa che non . Si tratta, nell'economia del discorso divino (e del
poema), di un punto essenziale: la seconda via delineata non proposta
come falsa, non scartata come follia (non prodotto di un
, come si sottolinea in B6.6 a proposito della presunta
inventata da coloro che sono apostrofati come ); di
essa si afferma che sentiero lungo il quale non si possono raccogliere
informazioni, che non pu manifestare la realt, come chiarisce
immediatamente il verso successivo.
24
Lespressione si potrebbe rendere anche come il non essere.
Secondo Coxon (p. 177) essa si riferisce al soggetto della seconda via, di
non , come manifestato in B6.2 dalluso del pronome indefinito
(nulla). In effetti l'espressione introdotta a giustificazione della
dichiarazione del verso precedente, dunque per identificare il presunto
contenuto della seconda via, necessariamente priva di informazioni.
25
Laggettivo verbale attestato in Simplicio: con la precedente
negazione (), il valore da (fare, compiere) - quello di cosa che
non possibile compiere. Nel suo commento (p. 220), Ruggiu sottolinea
come il valore di sia prossimo a quello del termine :
esprime una impossibilit che scaturisce da ontologica impotenza.
Mourelatos (p. 100) insiste sull'idea di impraticabilit che porta
con s: that which cannot be consummated.
26
La traduzione di con indicare vuol rendere il senso di manifestare
in segni (anche a parole): ci che non non pu rendersi (e essere reso)
manifesto attraverso tracce, come saranno i dell in B8.
111
112
DK B3
... 1 .
113
Zeller, seguito da Burnet, Cornford, Raven e altri, rende i due infiniti come
dipendenti da (non ) con valore potenziale (analogamente a B2.3:
), quindi con denn dasselbe kann gedacht werden und sein.
Tarn, che accetta il suggerimento di Zeller, rende con for the same thing
can be thought and can exist. Anche per OBrien (pp. 19-20) i due infiniti
sono complementi del pronome ( ) o dellunit sintattica pronomeverbo. Questuso completivo dellinfinito () ammetterebbe che lo si
traduca come un passivo o equivalente: C'est en effet une seule et mme
chose que l'on pense et qui est (For there is the same thing for being
thought and for being). Il fatto che, optando per questa soluzione
interpretativa, il soggetto di uno dei due infiniti () diventi oggetto
dellaltro (), non rappresenterebbe un problema, essendo gi attestato
nei poemi omerici. un fatto, comunque, come osserva Conche (op. cit., p.
89), che Parmenide ha scritto e non . Daltra parte, seguendo
Plotino, la resa pi fedele (Heitsch, p. 144), il senso ovvio del greco
(Conche, p. 89) sarebbe pensare ed essere sono la stessa cosa, con
predicato, e soggetti della frase. Unalternativa sensata, che tiene
conto di analoghe costruzioni nei frammenti sopravvissuti e soprattutto del
senso dei vv. 34-36a di B8:
.
[35] , ,
quella di Coxon (for the same thing is for conceiving as is for being), variata
nella recente resa di Palmer (op. cit., p. 122): for the same thing is (there)
for understanding and for being.
2
Secondo Cerri (p. 194), qui per la prima volta assumerebbe il significato
specifico di capire razionalmente, significato che, tuttavia, non si pu
regolarmente attribuire a (e ) nei frammenti. In una sua classica
ricerca filologica, von Fritz (K. von Fritz, , and Their
Derivatives in Presocratic Philosophy (Excluding Anaxagoras). I: From the
Beginnings to Parmenides, Classical Philology 40, 1945, pp. 223-242)
osserva come in Omero significhi comprendere una situazione e
come questo valore sia ancora presente nel poema di Parmenide, indicando
qualcosa di diverso da un processo di deduzione logica: sarebbe ancora sua
funzione primaria essere in contatto con la realt ultima (p. 237). Abbiamo
sopra ricordato come Tonelli renda come intuire, cogliendo la
continuit tra il verbo greco e l'intueor latino, nella percezione che
114
< >,
Ch quel che non non lo puoi n pensare n dire: pensare
infatti lo stesso che dire che quel che pensi!.
115
DK B4
1
2
.
116
117
118
119
DK B5
,
1 .
120
Indifferente1 per me
da dove cominci, dal momento che l, ancora una volta, far
ritorno.
1
Bicknell (Parmenides, DK 28 B5, Apeiron, 13, 1979, pp. 9-11) ha proposto di tradurre come a basic point: It is a basic point from which
I shall begin: I shall come back to it repeatedly. Collocando il frammento
subito prima di B2, il senso complessivo effettivamente assicurato e, come
stato notato (Gallop, p. 37), suggestivo. Difficile per avere un riscontro
della traduzione proposta per .
121
DK B6
1 2 ,
3 .
4 ... 5,
1
122
,
[5] < >6,
7
, , ,
, .
[vv. 1-2a Simplicio, In Aristotelis Physicam 86; vv. 1b-9 Simplicio, In Aristotelis Physicam 117; vv. 8-9a Simplicio, In Aristotelis Physicam 78]
propria strategia, enunciando i suoi principi fondamentali (B2), ribadendoli
(B6.3-4) e ricontestualizzando la propria esposizione in B8.50-52 (Curd, The
Legacy of Parmenides, cit., p. 58). Tarn, che pur accetta la congettura
Diels, suppone una lacuna successiva, tra i versi 3 e 4.
6
La tradizione manoscritta di Simplicio riporta , dichiarato corrotto
in apparato da Kranz. In effetti sarebbe, secondo Cordero e
Cerri (p. 210), atticizzazione (intervenuta nella tradizione manoscritta stessa)
di , da (mi invento). Dello stesso avviso O'Brien
e Gemelli Marciano (II, p. 82). Coxon (p. 183) sostiene la derivazione (per
corruzione) da (vagano). Diels fa della espressione una
corrutela medievale di , variante dialettale di ,
utilizzato nel poema (e in altri autori) per indicare sbandamento intellettuale,
errore. Una recente messa a punto della questione testuale si trova in Passa
(pp. 104 ss.), il quale ha con acribia sostenuto, su basi parzialmente diverse,
la soluzione dielsiana con precoce corruzione di in
. Ferrari (Il migliore dei mondi impossibili, cit., p. 47 nota) ha
contestato tale ricostruzione, preferendo tornare alla vecchia correzione
, coerente con e (v. 6). Accogliamo la
correzione , pur considerando l'emendazione , come
sinteticamente insegna Ferrari, una valida alternativa.
7
I codici DE di Simplicio riproducono , il codice F , forma
preferita da diversi editori (Coxon, O'Brien, Conche, Cerri, Gemelli
Marciano, Palmer).
123
124
riducendo cos limpianto modale dei primi due versi del frammento. Ma il
nesso con B2 suggerisce la forma di necessit.
4
Nel caso di B6.1b, l'impegno per l'interprete doppio. Si ripresenta infatti il
problema di traduzione di e si aggiunge quello della traduzione
dellinfinito in questo contesto: si tratta di due problemi correlati. Se,
come scelgono di fare alcuni traduttori, si considera come infinito
sostantivato, soggetto di , avremmo: l'"essere" esiste (Cerri); infatti
l'essere (Reale), denn Sein ist (Kranz), for there is Being (Tarn).
Analogamente intende la Germani (op. cit., p. 191). Questa lettura potrebbe
essere avvalorata dal fatto che due codici (BC) di Simplicio riportano
(Cordero, Les deux chemins de Parmnide, cit., p. 24). Nel caso si
accolga tale soluzione, in 6.1b-6.2a avremmo la piena esplicitazione dei
soggetti delle vie di B2.3 e B2.5: rispettivamente e . Per certi
versi questa traduzione appare naturale, sebbene non risulti del tutto
perspicuo l'uso di , a meno di privarlo del suo valore esplicativo per
riconoscergli una funzione confermativa.
Se, invece, si intende come infinito retto da , allora naturale
attribuire a questo valore di possibilit (che sembrerebbe dare un senso alla
particella ). Alcuni sottintendono come soggetto, traducendo: solo
esso infatti possibile che sia (Pasquinelli); For it is for being (Coxon);
possibile, infatti, che sia (Giannantoni); perch pu essere (Tonelli,
Ferrari). Altri, come O'Brien e Cordero, optano per una formula
impersonale: car il est possible d'tre; for it is possibile to be.
5
Secondo Coxon (p. 182) conserverebbe in questo caso il suo significato
pi stretto, quello di non una cosa. Lintera frase, dunque, asserirebbe che
ci che non ha essere, non per niente una cosa. Kranz (in apparato)
riteneva che equivalesse a (citando in questo senso B8.10:
). Ferrari (Il migliore dei mondi impossibili, cit., p. 46
nota) considera possibile un rimando al non-essere, intendendo la lezione
(corrotta) del codice greco di Simplicio (Phys. 117) come .
6
Anche in questo caso conserviamo l'ambiguit dell'essere, intendendolo
comunque in senso esistenziale: la necessit di affermare lesistenza
dellessere sarebbe giustificata incrociando la possibilit dellessere e
l'inesistenza del nulla. Guthrie decide di attribuire al verbo essere nellintera
formula valore di possibilit: for it is possible for it to be, but impossible
for nothing to be. Analogamente Mansfeld: denn dieses (sc. Das Seiende)
kann sein, ein Nichts hingegen kann nicht sein. OBrien (p. 27) convinto
che i due indicativi e abbiano valore potenziale, con
linfinito in funzione completiva, e suppone un secondo infinito per
completare lespressione negativa : il nest pas possible
125
126
127
128
23
129
DK B7
1
2
,
, 3 4
.
130
Mai, infatti1, questo2 sar forzato3: che siano cose che non sono .
Ma tu da questa via di ricerca5 allontana il pensiero 6;
4
131
Secondo Simplicio, insomma, B7.2 alluderebbe alla via che conduce al nonessere; inoltre B7.1-2 seguirebbero B6.8-9, precedendo B8.1. Come fa
osservare Tarn (p. 76), Simplicio sembra distinguere anche tra lobiettivo
polemico di B6 e quello di B7.
6
Il sostantivo qui impiegato probabilmente nel significato gi
omerico - di mente, intelligenza, organo del pensiero e della comprensione.
I primi due versi del frammento sono citati da Platone e Simplicio: essi
costituiscono un primo blocco testuale. Diogene cita isolatamente i vv. 3-5,
secondo blocco. Sesto consente di cucire i due blocchi, citando i vv. 3-6
dopo il verso 2. nella sua citazione, tuttavia, non c posto per il verso 1.
Non sorprender, dunque, che nella storia delle interpretazioni il frammento
abbia subito vari smembramenti e montaggi. Noi scegliamo di conservare
lordinamento che si pu ricavare da Simplicio, lultimo autore che si ha
fondato motivo di ritenere disponesse di una copia del poema (ancorch non
esente da rielaborazioni linguistiche e contenutistiche).
7
Coxon (p. 191) legge in contrapposizione a (abitudine versus
analisi intellettuale): la prima forzerebbe, la seconda condurrebbe in modo
persuasivo.
8
Dal momento che si connoterebbe autonomamente in contrasto a ,
secondo Coxon (p. 191) sarebbe da riferire a :
contribuirebbe a determinarne il valore rispetto a del verso
132
133
14
134
da me enunciata17.
Interessante l'analisi di Patricia Curd (The Legacy of Parmenides, cit., p.
104): The elenchos (testing) is poludris (rich in strife) because it must repeatedly fight against habit and experience; it is a battle to be won over and
over. Efficace la resa di A. Nehamas (Parmenidean Being/Heraclitean Fire, cit., p. 59), il quale traduce come
giudica con la ragione l'argomento che molto contesta.
17
Mentre Diels e Calogero riferiscono la prova (che cos sarebbe genericamente
annunciata) alla sezione sulla Doxa, Verdenius, Tarn e Mourelatos la
intendono riferita ai passaggi precedenti (il participio va allora tradotto pi
opportunamente con enunciata), in cui la Dea ha introdotto le due vie e
argomentato contro la presunta terza via. Si tratta della posizione prevalente
tra gli interpreti, tenuto conto delluso del participio aoristo , che
proietta il termine cui si riferisce () verso un passato appena
compiuto. Preferiamo lasciare sospeso il riferimento, tenendo conto anche
del suggerimento di R.J. Hankinson ("Parmenides and the Metaphysics of
Changelessness", in Presocratic Philosophy, cit., p. 76) di tradurre in questo
caso il participio aoristo come when it has been spoken by me.
135
DK B8 vv. 1-49
1 2 3
, ,
4 5
1
136
[5] , 6,
, 7 ;
; 8
. 9
[10] , , ;
10 .
Tuttavia Simplicio presenta anche (nel commentario alla Fisica 30.2, 78.13,
145.4) la variante . La forma non pare
sostenibile, in quanto ripetizione di del verso precedente. Sulla
variante esistono comunque dubbi e non mancano le trascrizioni alternative
nei codici: , , , .
Il testo potrebbe dunque essere corrotto, dal momento che il suo senso
appare contraddetto da (v. 32) e ...
(vv. 42-3). Accettando la variante di Simplicio e volendone evitare le
implicazioni contraddittorie, Karsten propose di emendare il testo come
(quindi e perfetto), seguito poi da Tarn e Cordero. Owen e altri
(Kirk-Raven-Schofield, McKirahan, sostanzialmente Mourelatos e Coxon)
hanno proposto (e completo). Una minoranza (ma
significativa: Hlscher, Cassin, Leszl, Gemelli Marciano) ha ripreso la
versione di Brandis: .
6
Del verso esiste una variante attestata (con leggere differenze) in Ammonio,
Asclepio, Filopono, Olimpiodoro:
. A seconda della punteggiatura potrebbe rendersi come: poich non
era, non sar, tutto intero insieme, ma solamente, ovvero: poich non
era, non sar, ma solamente, tutto intero insieme.
7
I codici di Simplicio riportano , ; in Asclepio attestato invece
(di natura intera), lezione difesa e preferita da Untersteiner.
8
Alla forma , riportata da alcuni codici di Simplicio, da preferire ,
presente nei codici omerici e per lo pi anche in quelli di Simplicio (che
presentano anche la variante ).
9
Nell'epica forma recente di : essa attestata in Odissea nel
significato originario di debito e in quello secondario di bisogno (che ha
riscontri in lirica e tragedia), come sottolinea Passa (pp. 82-3).
10
I codici attestano qui unanimemente ; al v. 45, dove troviamo
formula analoga, le lezioni si dividono: alcuni codici riportano .
Passa (pp. 80 ss.) ha discusso specificamente il rapporto tra le forme e
, sottolineando come sia accettabile in Parmenide (analogamente a
quanto riscontriamo nel caso di Erodoto) la forma ionica recente ,
137
< > 11
,
[15]
, ,
-
- .
12; ;
[20] 13, , .
14 .
,
, ,
, .
[25] .
mentre sarebbe atticismo: a confermare un meccanismo di
atticizzazione parallelo a quello operante sul testo omerico.
11
Il codice di Simplicio riporta (da ci che non ): lemendazione
proposta da Karsten - consente di concludere la dimostrazione
come si trattasse di dilemma: lessere non pu avere origine dal non-essere
(v. 7), n dallessere, dunque senza origine (). La necessit
dellemendazione analiticamente sostenuta da Tarn (pp. 95-102), ma
combattuta con buone osservazioni da Coxon (pp. 200-201). Accogliamo,
con qualche riserva sia relativamente alla fonte emendata i codici di
Simplicio rendono sostanzialmente in modo unanime il testo emendato sia
alle implicazioni teoriche, la correzione, in considerazione soprattutto del
senso della successiva proposizione .
12
I codici DE di Simplicio riportano , generalmente accettato; il
codice F rende (potrebbe essere ci che , essendo, potrebbe
essere), che una minoranza di editori (tra gli altri Coxon e Cassin) fanno
proprio. Karsten propose di emendare il testo come
(potrebbe poi perire ci che ), soluzione accolta da Kranz (Vorsokratiker,
V edizione), ma oggi abbandonata.
13
La forma [ ] correzione (Preller) non attestata nei manoscritti
simpliciani della edizione di Simplicio, che riportano invece (EF) e
(D).
14
Qui, in vece di (De Caelo A e Fisica F), nei codici DE del
commento al De Caelo abbiamo (incessante), nel commento
alla Fisica (ed. aldina) (incredibile), in Fisica DE il testo corrotto
.
138
,
15 , .
16
[30]
, ,
17 .
.
[35] , 18 19 ,
15
139
< > 20
,
21 22 23,
,
[40] , ,
Simplicio (Phys. 87, 15 DE; 143, 23-4 D) presentano invece
( illuminato).
20
Il testo del codice di Simplicio (Phys. 146, 9) riporta
(nemmeno se il tempo esiste), che, metricamente accettabile, appare poco
sensato nel contesto. Coxon (seguito da Conche) ha accolto la variante
(And time is not), che, a sua volta, non risulta per illuminante.
Tra le proposte per aggiustare il senso del verso troviamo quella di Bergk (n esisteva infatti) e soprattutto quella di Preller (la pi
adottata), che (con qualche perplessit) seguiamo: <> [+
]. Essa riprende (integrandola con la congiunzione ) una citazione
di Simplicio (Phys. 86, 31) . Va dato comunque atto a
Coxon che il suo argomento a favore della lezione di Simplicio in
Phys. 146, 9 buono: essa si trova, in effetti, nel contesto della citazione
continua dei primi 52 versi del frammento (B8), quasi a garanzia di uno
sforzo di attenta trascrizione delloriginale, mentre laltra lezione (Phys. 86,
31) ha pi laria di una libera parafrasi. Le difficolt di questo passaggio
potrebbero dunque suffragare l'ipotesi di interventi di montaggio sulla copia
del poema disponibile a Simplicio.
21
I manoscritti EF di Simplicio (Phys. 146, 11; 87, 1) riportano (D );
l'Anonimo (In Theaet.) (solo); Platone (Teeteto 180 e1), Eusebio,
Teodoreto (come).
22
I manoscritti di Simplicio riportano (Phys. 146, 11) ovvero
(Phys. 87, 1 EF; D ); quelli di Platone, Eusebio,
Teodoreto (e Simplicio Phys. 29, 18; 143, 10) ; l'Anonimo .
23
Il secondo emistichio di difficile decifrazione nei manoscritti. Nei codici di
Simplicio prevalgono tuttavia due lezioni, prevalentemente adottate dagli
editori: (i) (Diels-Kranz, Tarn, Cordero, Coxon,
O'Brien, Conche, Cassin, Reale, Cerri); (ii) (Mourelatos,
Casertano, Kirk-Raven-Schofield, Gallop). Gli accertamenti pi recenti sui
manoscritti sembrerebbero suffragare questa seconda lettura, che ha un
riscontro anche in B9.1. Accanto a varianti secondarie, abbiamo come
lezione alternativa il testo di Platone (Teeteto 180 e1), seguito dal
commentatore anonimo del Teeteto, Eusebio, Teodoreto: ()
. Abbiamo mantenuto la lezione Diels-Kranz perch, nel contesto, ci
sembra pi naturale il senso che se ne pu ricavare, anche in traduzione.
140
.
,
, ,
[45] 24 .
25 , 26
, 27 28
,
29 , 30.
141
142
143
fuori della loro portata. La Robbiano, per altro, concorda con Cerri (p. 214)
sul fatto che non si riferirebbe ai predicati enumerati in B8.2-6, ma
ai successivi argomenti. A una funzione essenzialmente argomentativa dei
ha pensato invece Colli (Gorgia e Parmenide, cit., p. 146): i
segni costituirebbero gli argomenti della dimostrazione, coincidendo di
fatto con gli attributi fondamentali dellessere. Essi sarebbero in parte
dimostrati nel seguito, in parte assunti senza dimostrazione, fungendo da
medi aristotelici e contribuendo al carattere razionale della dimostrazione.
7
Della proposizione introdotta da ( )
esistono varie traduzioni possibili: (a) intendendo come congiunzione
dichiarativa: Being is ungenerable and imperishable (Tarn p. 85); whatis is ungenerable and imperishable (Mourelatos p. 94); (b) intendendo
come congiunzione causale: since it exists it is unborn and imperishable
(Guthrie p. 26); tant inengendr, <il> est aussi imprissable (OBrien, p.
171); analogamente Colli (Gorgia e Parmenide, cit., p. 146). La costruzione
a pu (e probabilmente intende nel nostro contesto) indicare sia
la significazione del come (dellEssere) in senso descrittivo, sia il che
(dellEssere) in senso dichiarativo. I segni devono rivelare l e dunque la
loro funzione pu sembrare quella di indicare il che; al contempo,
manifestandolo, consentono di prendere consapevolezza della sua natura
(per cui il come potrebbe essere giustificato). Da apprezzare (secondo
Mourelatos, p. 95), infine, la struttura che viene introdotta a partire da questo
punto: Parmenide annuncia programmaticamente tutti i segnavia, quindi
procede a una loro giustificazione.
8
Il greco ricorre in pensatori contemporanei o di poco posteriori a
Parmenide, come Eraclito (citazione di Ippolito di B50):
. ,
, , , ,
,
. .
Eraclito sostiene che il tutto diviso indiviso, generato
ingenerato, mortale immortale, logos eterno, padre figlio, dio
giusto, e afferma: non me ascoltando, ma il logos, saggio
convenire che tutto uno,
ed Empedocle (B7, dal Lessico di Esichio):
: .
Ingenerati: gli elementi secondo Empedocle.
144
145
Il termine (che rendiamo come tutto intero per dar ragione sia della
totalit sia della integrit implicite) di diretta eco senofanea:
, ,
Tutto intero vede, tutto intero pensa, tutto intero ode (DK 21
B24).
12
146
[5] n un tempo15 era16 n [un tempo] sar, poich17 ora18 tutto insieme19,
Handbook of Presocratic Philosophy, edited by. P. Curd D.W. Graham,
O.U.P., Oxford 2008, p. 210), il quale per insiste nel suggerire che
laggettivo sia inteso a esprimere il fatto che ci-che- pienamente e non
pu cessare di essere pienamente, effetto dei limiti che costringono la sua
natura. Esso sarebbe, quindi, impiegato per indicare qualcosa di pi e di
diverso dalla mera assenza di cambiamento e movimento fisico. Colli
(Gorgia e Parmenide, cit., p. 147), tra gli altri, leggendo il verso come
, lo avvicina a Platone, Fedro 250 c3:
integralmente perfette e semplici e senza tremore e felici
erano le visioni cui eravamo iniziati.
Si tratterebbe di un riferimento ai misteri eleusini, dove
(integralmente perfette) corrisponderebbe a , indicando la
completezza di struttura fisica, mentre ritorna identico, evocando
di Verit ben rotonda il cuore fermo (
B1.29). La ripresa platonica suggerirebbe allora una direzione interpretativa
alternativa: uno sguardo sul mondo della altheia indimostrato, il cui
apprendimento intuitivo, tanto da essere paragonato alla conoscenza
misterica.
14
Leggo con DK, Coxon, OBrien, Conche, Reale, Heitsch e
altri attestato da Simplicio. Il valore da attribuire a dovrebbe
essere, nel contesto, quello di senza fine, senza termine. Cerri (pp. 2223) interpreta laggettivo letteralmente come incompiuto, riferendolo, senza
interpunzione, alla riga successiva: incompiuto mai fu un tempo, n sar,
poich ora tutto omogeneo. Da notare che Simplicio (Phys. 30, 4),
volendo accostare Parmenide a Melisso, asserisce che lessere di Parmenide
, con ci intendendo probabilmente (Tarn, p. 93).
15
16
147
17
148
149
150
151
McKirahan (p. 194) traduce come giusto: il suo significato nel contesto dellalternativa - sarebbe quello di
prospettarne i corni come le uniche possibilit da considerare
relativamente a ci che .
37
Come segnala Coxon (p. 199) la formula sta per
o non deve essere per niente. Parmenide sottolinea la
contraddizione e lesclusione di una terza via (adottando di fatto il principio
del terzo escluso): la via dellessere esclude non solo la via del non-essere,
ma anche un'impossibile combinazione tra essere e non-essere (Conche p.
142). Secondo Mourelatos (p. 101), questo verso non costituisce elemento
della prova successiva, ma serve solo a ricordare la krisis radicale, la
decisione, operata in connessione con le due vie.
38
Avendo accolto con cautela la correzione di Karsten del testo trdito,
dobbiamo comunque osservare che lo stesso Simplicio, parafrasando due
volte il nostro passo (Phys. 77, 9; 162, 11), offre il senso della emendazione:
(
)
Anche Parmenide infatti sosteneva che l'essere in senso
pieno ingenerato: mostrava che esso non si genera n
dall'essere (poich non c' qualche essere oltre a esso), n dal
non essere (162, 11).
D'altra parte, analoga impostazione dilemmatica attestata anche da Aristotele
in un celebre passo della Fisica (I, 8 191 a28-33), con chiara allusione anche
agli Eleati (Palmer Parmenides & Presocratic Philosophy, cit., pp. 129133 - ha contestato, con buoni argomenti, che il testo si riferisca
esclusivamente agli Eleati):
,
.
,
,
( )
.
.
152
153
154
E come potrebbe esistere 53 in futuro lessere 54 ? E come potrebbe essere nato 55?
[20] Se nacque, infatti, non 56, e neppure [] se57 dovr essere58 in futuro.
linguaggio ma alla realt oggettiva. Cordero (By Being, It Is, cit., p. 179)
sostiene che per Parmenide la verit prerogativa di un logos presentato da
una via: solo per illegittima generalizzazione, la via stessa sarebbe da
considerare vera. La verit risiede in un logos che, se valido, ha il privilegio
di essere accompagnato dalla verit: cos B2.4 recitava:
- (di Persuasione percorso a Verit,
infatti, si accompagna). Pi avanti (B8.51) Parmenide, introducendo la
sezione del poema dedicata alla Doxa, utilizzer la formula []
(pensiero intorno alla Verit). Anche per la Wilkinson (Parmenides and To Eon, cit., pp. 87 ss.) impropriamente una via pu definirsi
vera: seguendo Mourelatos, ella suggerisce che nel poema si
riferisca non alla via ma alla dea: la verit connessa a Persuasione, ,
che sarebbe la dea stessa del poema; al centro del poema ci sarebbe il
riferimento al discorso della dea; la via potrebbe intendersi come il mio
discorso .
52
Il valore di (vero, genuino, reale) sostanzialmente coincidente con
quello di : i due termini sono impiegati sostanzialmente come
sinonimi. Per le differenze Germani, op. cit., pp. 184-5.
53
Coxon (pp. 202-3) difende il testo del codice F: o
, e, rilevando in formula ricorrente (tre volte) in
Omero, in cui lavverbio si riferisce alle asserzioni che seguono,
rende diversamente lintero verso: And how could what becomes have
being, how come into being?. Il senso sarebbe quello di contestare che ci
che diviene (what becomes) possa essere Essere o diventare Essere. La
variante (oggi trascurata) di Karsten -
(potrebbe poi perire ci che ) - invece, introdurrebbe un argomento
contro la corruzione.
54
Qui Parmenide usa eccezionalmente lespressione .
55
Ovvero venuto a essere o divenuto, essere stato.
56
Tarn (p. 105) ritiene che il senso dellaffermazione si colga nella
contrapposizione tra il passato ipotetico di aoristo che pu
riferirsi sia al processo compiuto di venire ad essere, sia a una condizione
remota (fu) - e il presente di : dunque, se venuto a essere, ora
diverso da come fu (Tarn p. 105). Analogamente per il secondo emistichio:
se sar, se avr da essere, ora diverso da ci che sar. Anche Mourelatos
(pp. 102-3) richiama lattenzione sulla scelta dei modi e dei tempi verbali di
questo passaggio: , ottativo, non porta riferimento al tempo; o,
155
156
157
158
159
160
78
161
84
162
nelle catene del vincolo90 [lo] tiene, che tutto intorno lo rinserra .
91
163
164
non , infatti, manchevole [di alcunch]; il non essere 95, invece, mancherebbe di tutto.
La stessa cosa96 invero pensare97 e il pensiero98 che99 :
95
165
[35] giacch non senza lessere, in cui 100 [il pensiero] espresso ,
101
166
167
168
169
170
171
172
173
DK B8 vv. 50-61
[50]
1
.
2
- -
[55] 3
, ,
4, 5, ,
, .
[60] 6 ,
7 8.
1
174
Nella trascrizione dei codici, alcuni editori (Stein, tra i contemporanei seguito
tra gli altri da Coxon, O'Brien) intendono . Il significato complessivo
del verso cambia di poco: cos che nessuno dei mortali possa esserti
superiore nell'opinione ovvero nel giudizio (o practical judgement
Coxon).
8
I codici EaF di Simplicio riportano , i codici DE : gli
editori hanno corretto in .
175
176
sur Parmnide cit., vol. II, pp. 199-200), che legge il genitivo
come complemento indiretto (dalle mie parole) di , e
come ordine del mondo. Robbiano (op. cit., p. 182) avanza l'ipotesi che
mantenesse in Parmenide il suo valore omerico (disposizione
ordinata che conveniente, che funziona e che anche bella da vedere: il
prodotto di un essere intelligente), precedente al riferimento (che per altro
conservava aspetti della accezione originaria) all'universo (per la prima volta
forse in Eraclito B30). Nello specifico, secondo la studiosa, kosmos si
riferirebbe a prodotto della mente e della parola umana: a ci che vediamo
da una certa prospettiva (umana) e non a ci che (e come) le cose sono
nell'ottica divina. Nehamas ("Parmenidean Being/Heraclitean Fire", cit., p.
60) ha invece ipotizzato che significhi nel contesto il mondo di cui
la dea parla: da questo punto in avanti, impara le opinioni mortali, venendo
a conoscere (attraverso l'ascolto) il mondo ingannevole cui le mie parole si
riferiscono. possibile che le affermazioni di cui consta la Doxa, la teoria
che essa contiene, non siano di per s erronee, che descrivano correttamente
un mondo di per s ingannevole, in quanto mascherato da realt quando
solo apparenza.
8
L'uso dell'aggettivo possessivo sottolinea l'autorit della comunicazione e
l'assunzione di responsabilit nell'introduzione della sezione sulla Doxa:
analogamente ai pronomi personali (B2.1), (B5.1), (B6.2),
(v. 60).
9
Coxon (p. 218) segnala l'opposizione di a : discorso
poetico sarebbe contrapposto a discorso razionale. D'altra parte la cultura
del V secolo riconosceva un nesso tra e (come risulta da Euripide,
Eracle 111). Cerri (p. 243) non , tuttavia, disposto a esagerarne, nel
contesto, le implicazioni: in particolare, l'irrazionalit e l'ingannevolezza
delle parole che seguono sarebbero solo relative. Tarn (p. 221) sottolinea
come la Dea, pur impiegando parole secondo le regole della grammatica e
della poesia, non potr evitare che il suo discorso risulti decettivo.
10
Nuovamente (dopo B2.1) il viene invitato ad ascoltare, a manifestare
con la disponibilit all'ascolto la propria aspirazione alla conoscenza.
11
Dobbiamo a J. Frre (op. cit., p. 201) il rilievo circa il significato antico di
: che non sarebbe, come per il corrispettivo moderno,
ingannevole, piuttosto suscettibile di ingannare. La sua resa francese
la seguente: [un ordre du monde], o l'on peut se trompeur. Lo studioso
propone in effetti di collegare e , senza fare di
un genitivo dipendente da , ma vedendovi un complemento di
(p. 199). Reale sceglie di rendere l'aggettivo con seducente:
Ruggiu nel suo commento (pp. 313) sottolinea come il senso dell'aggettivo
vada colto nella relazione di apertura alla verit e all'errore (come sarebbe
proprio di ogni seduzione), alla luce del suo oggetto, l'apparire. Mourelatos
(p. 227) ha valorizzato le potenziali ambiguit della formula
177
178
14
15
179
t
.
Cos appunto, secondo opinione, queste cose ebbero origine
e ora sono,
e poi, a partire da ora, sviluppatesi, moriranno.
A queste cose un nome gli uomini imposero, particolare per
ciascuna.
Se teniamo conto della proposta di restauro del testo (vv. 34-41 dopo v. 52) da
parte di Ebert, potremmo effettivamente concludere che l'arbitrio della
convenzione linguistica indissociabile dalla concezione parmenidea della
Doxa. Leszl (p. 230) ha colto in questo unanticipazione della distinzioneopposizione tra nomos e physis.
16
Interessante la proposta di Leszl (p. 230): egli suppone infatti che abbia
una doppia associazione, traducendo: i mortali con doppia mente hanno
dato nome a due forme. La descrizione dei mortali corrisponderebbe cos a
quella di B6.4-5.
17
Il valore di sarebbe nel contesto, secondo Cerri (p. 246) quello di
strutture categoriali, create dall'uomo in funzione delle sue (due) sensazioni
pi urgenti, sulla base delle quali si costruirebbe successivamente la trama
complessa delle parole. Un parallelo in Platone, che sembra evocare
direttamente il verso parmenideo:
, , ,
,
vuoi che stabiliamo, disse, due categorie di tutto ci che ,
l'una del visibile, l'altra dell'invisibile? (Fedone 79 a 6-7).
Nella stessa direzione Robbiano (op. cit., p. 181), che vede nelle due forme
opposte la possibilit di ridurre il molteplice dell'esperienza to a minimal
number of categories. Per rimanere vicino all'uso arcaico del termine,
Cordero (By Being, It Is, cit., p. 156) insiste per rendere come
external forms. Analogamente Frre (p. 204) che opta per figures,
anche alla luce del successivo riferimento a , che designa corpo e
aspetto fisico - e Mourelatos, che rende con perceptible forms. Granger
(The Cosmology of Mortals, in Presocratic Philosophy, cit., p. 112)
osserva come la scelta di (che significa appunto anche forme
esteriori, apparenze per un osservatore) potrebbe segnalare il fatto che la
dea si volta dalla realt alle apparenze.
180
181
182
dell'altro [...] definiti in termini di ci che l'altro non (p. 107), dunque in
una sorta di intreccio di essere e non-essere. Thanassas rimarca la
connessione tra e :
la formula in questo essi si sono ingannati concorrerebbe a restringere la
validit del termine ingannevole alle opinioni mortali criticate in 8.549, cos da aprire la possibilit di una nuova comprensione della relativa
incidentale ( ). Essa esprimerebbe esattamente
lerrore denunciato in quel che segue, poi corretto dalla appropriata Doxa
divina (p. 65).
22
Seguiamo Coxon (p. 221) nel rendere secondo il consueto uso epico di
- come scelsero. Anche in questo caso si pone il
problema del soggetto: si tratta dello stesso soggetto di ? Ovvero,
come crede Frre (p. 204), di altro soggetto, per cui alcuni presero la
decisione di dar nome a due forme e alcuni invece scelsero ... e segni
imposero? Optiamo per la continuit di un soggetto indefinito.
23
Traduciamo attribuendogli valore avversativo (per lo pi non tradotto o
gli viene aatribuito valore copulativo), nella convinzione che la Dea, faccia
seguito al proprio rilievo critico del verso precedente.
24
Forzando l'interpretazione, sottintendiamo elementi (e non genericamente
cose) nel neutro plurale . Simplicio in effetti parla di e
. Mansfeld (p. 140), sulla scorta di Deichgrber, sostiene che i
segni con cui sono connotate le due forme concorrano a definire la
nozione di elemento, con cui, nella sua trattazione, sostituisce il termine
forma.
25
Alcuni interpreti (per esempio O' Brien e Frre) intendono come
avverbio (in modo contrario, oppositivamente) riferendolo alle due
forme nominate, relativamente al corpo (, accusativo di relazione).
Altri, invece, pongono come oggetto diretto di e pongono
l'avverbio in relazione a esso. Coxon, dal canto suo, fa di e gli
oggetti diretti e di un predicativo. Intendiamo come neutro
plurale.
26
Il termine sempre riferito a corpi viventi: secondo Coxon (p. 221) ci
rivelerebbe che Parmenide considera le due forme come divinit. Conche
(pp. 194-5) ritiene che il significato omerico di forma corporea non possa
funzionare nel contesto: risalendo al valore di (che indicherebbe un
certo modo di costruire, per sovrapposizione di linee uguali), egli individua
struttura come resa pi sensata.
27
Il termine avrebbe, secondo Cerri (p. 248), qui il valore di segni di
lingua, parole. Nella scelta di e di , Mansfeld (p. 131)
183
184
185
186
38
187
cos che mai alcuna opinione43 dei mortali possa superarti 44.
suo. Un aspetto rilevato anche da Thanassas (op. cit., p. 71): il pronome
personale , in greco non necessario, sarebbe impiegato per enfatizzare il
carattere rivelativo di quel che segue, cos segnando il passaggio dalla Doxa
ingannevole a quella appropriata.
42
Coxon (p. 224) intende come io dichiaro, modificando la struttura
della frase: This order of things I declare to you to be likely in its entirety.
Couloubaritsis (Mythe et philosophie, cit., pp. 262-3) sottolinea come, nel
linguaggio corrente, fosse utilizzato per indicare una promessa, un
impegno. Come se la scelta verbale di Parmenide impegnasse la Dea nella
esposizione che segue. Interessanti le implicazioni lessicali: il sostantivo
in effetti significa parola, in particolare la parola di un dio o di un
oracolo; ma anche ci che si dice di qualcuno, una voce e, di
conseguenza, la rinomanza. Si tratta, dunque, di espressione ambigua, il
cui valore oscilla tra verit e discorso inverificabile. Utilizzato dalla Dea,
viene da un lato a significare parola vera (B8.35), che dovr
permettere al giovane di acquisire rinomanza, cos da risultare credibile
come uomo divino ( ). Questo spiegherebbe, secondo
Couloubaritsis, il passaggio alla proposizione conclusiva: nessun sapere
umano potr superare quello cos acquisito dal giovane. In ogni caso, anche
per una valutazione complessiva della sezione sulla Doxa, opportuno
marcare (seguendo Frre, op. cit., p. 209) come rinvii, all'interno di
questo frammento, alla parola che manifesta l'Essere (vv. 35-36a:
, , ).
43
Il termine ha uno spettro semantico piuttosto ampio, che spazia da
pensiero, giudizio, opinione, a decisione, massima pratica,
proposito. Reale-Ruggiu (pp. 316-7) interpretano l'espressione
come se non indicasse semplicemente altre opinioni, altri giudizi dei
mortali, ma una forma di "saggezza" (come quella veicolata attraverso gli
enunciati "gnomici" appunto, massime di saggezza pratica) tutta umana, che
si riduce a mere parole. Tarn traduce in effetti come wisdom e
Couloubaritsis come savoir.
44
Il verbo ha il significato di passare, superare. Mourelatos (p.
226 nota) osserva che il verbo appartiene al vocabolario delle corse di carri.
Il senso sarebbe dunque da rintracciare nel superamento/sorpasso
(outstrip), ma anche nel rivelarsi superiore in ingegno (outwit).
Untersteiner ha sottolineato anche il valore di portare fuori strada,
sviare, seguito da Reale-Ruggiu e anche da Cerri. Manteniamo la
traduzione pi comune. Su questa conclusione ha fatto per molto tempo leva
l'interpretazione "dialettica" della Doxa parmenidea: uno strumento, il
migliore possibile, per concorrere con successo con cosmologie rivali. Ma
pur sempre "ingannevole"! Una recente ripresa, ben argomentata, quella di
188
Granger (op. cit., pp. 102-3): l'impegno della Dea sarebbe stato quello di
fornire il miglior strumento per individuare l'inganno che si annida nelle
cosmologie. Nella misura in cui il giovane allievo fosse stato in grado di
riconoscere i difetti del pensiero dei mortali nella cosmologia che la Dea
aveva approntato, nessuna opinione mortale avrebbe pi potuto
sorprenderlo: la cosmologia pi ingannevole, in effetti, quella pi vicina
alla realt. Tarn (p. 207) aveva marcato come i due versi finali del
frammento non affermino che la ragione per esporre il sia che
esso il migliore, ma solo che lintero ordinamento offerto perch nessuna
sapienza umana possa superare Parmenide.
189
DK B9
1
,
, .
190
Coxon (p. 232) difende l'inversione tra soggetto e predicato: dal momento che
in B8.53-59 si parla di nominare due forme, luce e notte dovrebbero
essere soggetto della proposizione, mentre tutte le cose diventerebbe
predicativo. I due nomi sarebbero, insomma, la sostanza della molteplicit di
enti fisici.
2
Il pronome dimostrativo neutro plurale secondo Tarn (p. 161), seguito da
Conche (p. 198), si riferisce a ; Diels, invece, seguito da altri
(per esempio Pasquinelli, Coxon), lo intende riferito a . Gigon,
Frnkel, Raven rendono il verso come espressione semplice: le cose in
accordo con le qualit di luce e notte sono state attribuite a queste cose e a
quelle.
3
Laggettivo possessivo pu essere tradotto con valore riflessivo
(proprie) o meno: il valore dipende dalla decisione circa il significato da
attribuire a .
4
Il termine avrebbe qui, secondo Tarn (p. 162) e Coxon (p. 233) un
valore analogo a quello di . Conche (p. 199), a nostro avviso
giustamente, interpreta come le qualit opposte associate a luce e notte.
Untersteiner (p. CLXXXIV, nota 66) vi coglie invece sinonimia con .
In effetti il termine dovrebbe nel contesto significare propriet, qualit
essenziale. vero per che la dimensione entro cui Parmenide inserisce la
Doxa certamente anche linguistica, donde la scelta di Tarn di tradurre con
meanings. Coxon sottolinea nella implicazione tra e un
carattere della posteriore associazione tra e o .
5
L'espressione si riferisce agli enti fisici, con i loro opposti
caratteri.
6
Il pronome pu essere riferito al Tutto ovvero a tutte le cose, alla totalit
delle cose: nel secondo caso, l'insieme delle cose a essere pieno di luce e
tenebra, non ogni singola cosa. B12.1 sembra avvalorare la seconda lettura,
cos come Teofrasto in DK 28 A46. Tra gli altri, Tarn (p. 162), Coxon (p.
233), e Gallop (p. 77) la sostengono. Conche (p. 200) esplicitamente
contesta questa lettura: come possibile che la totalit delle cose sia ripiena
a un tempo di luce e notte se non non lo sono anche le singole cose? Guthrie
(vol. II, p. 57) e Cerri (p. 255) insistono sulla equipollenza quantitativa.
Ruggiu (p. 328) esplicitamente sottolinea come ogni cosa sia costituita
insieme e ugualmente di Luce e Notte.
191
192
193
DK B10
1 ,
2
[5] ,
3 4
.
194
195
196
DK B11
1
2.
197
198
DK B12
1 2,
,
<>3
[5] 4 5
.
[vv. 1-3 Simplicio, In Aristotelis Physicam 39; vv. 2-6 Simplicio, In Aristotelis Physicam 31]
1
199
200
201
202
DK B13
203
La di B12.
Traduciamo in questo modo (ambiguamente) : il senso nel contesto
garantito dalle testimonianze di Platone e Aristotele (che pur lasciano incerto
il riferimento al soggetto), Plutarco (che riferisce il verbo a Afrodite) e
Simplicio (che invece esplicitamente identifica il soggetto nella di
B12) - dovrebbe essere quello di generare, ma il significato del verbo
meditare, deliberare, pianificare. Il verbo qualifica dunque la
dea come una potenza razionale (Coxon, p. 243).
204
DK B14
1
205
206
B14a
[..., ... ]
207
[... il Sole, ... colui che va intorno alla Terra o] il di notte nascosto 1
1
Secondo l'editore della Metafisica - W.D. Ross in questo caso Aristotele non
avrebbe citato Parmenide, ma forgiato il termine in analogia
con Parmenide ().
208
DK B15
.
209
Come osserva Cerri (p. 276), vale non solo raggi ma anche sguardi.
210
DK B15a
[. ] [ ]
211
212
DK B16
1 2 3 4,
5
6 .
lcuni codici aristotelici riportano (ciascuno), preferito da DielsKranz; altri o . Il codice di Asclepio . Gli editori
contemporanei (Tarn, Coxon, Conche, O'Brien, Cerri) hanno optato per la
versione di Teofrasto e di autorevoli codici aristotelici (i pi antichi) della
Metafisica: (lectio difficilior).
2
Seguiamo Coxon e Cerri nel preferire - attestata da un solo codice (E)
aristotelico a (per lo pi accolta dagli editori) o : come spiega
Cerri (p. 280), il congiuntivo non solo lectio difficilior, ma anche
scelta pi sensata nel contesto. Passa (p. 48) sottolinea l'opportunit della
scelta di Cerri e Coxon, trovando riscontri nell'uso omerico delle
comparative.
3
La forma attestata in Aristotele e Teofrasto (in unione a o ).
Estienne modific in , ancora accolto da alcuni editori (Tarn, KirkRaven-Schofield, O'Brien, Conche). A alcuni (Coxon, Palmer)
preferiscono la forma ionica . Passa (p. 120) avanza perplessit in
proposito.
4
Il testo aristotelico, Alessandro e Asclepio riportano (dai
molteplici movimenti). Il testo di Teofrasto , preferito dagli
editori.
5
I codici aristotelici (insieme a quelli di Alessandro e Asclepio) riportano il
presente , accolto da Diels-Kranz (e di recente ancora difeso da
Passa, pp. 48-51), di cui tuttavia stata segnalata l'impossibilit metrica. La
tradizione teofrastea propone invece il perfetto (che ha
esattamente lo stesso valore), metricamente accettabile. La forma
degli editori.
6
I codici di Aristotele e Teofrasto riportano ; quello di Alessandro .
213
214
215
216
DK B17
1 , 2
217
218
DK B18
Femina virque simul Veneris cum germina miscent,
Venis informans diverso ex sanguine virtus
Temperiem servans bene condita corpora fingit.
Nam1 si virtutes permixto semine pugnent
Nec faciant unam permixto in corpore, dirae
Nascentem gemino vexabunt semine sexum.
219
220
DK B19
1 2
.
221
222
223
COMMENTO
224
IL VIAGGIO [B1]
Introduzione
Sesto Empirico, unica nostra fonte per i primi trenta versi del
poema (Sulla natura), ne contestualizza il proemio in
questi termini:
,
, ,
, , < >
.
Il discepolo di lui (= Senofane), Parmenide, svalut il
discorso opinativo intendo quello che ha concezioni
deboli -, e assunse come criterio quello scientifico, cio
quello infallibile, avendo preso le distanze anche lui dalla
fiducia nelle sensazioni. Iniziando appunto il Peri physes
scrive in questo modo (Adv. Math. VII, 111).
Il successivo commento (112-114), nel quale Sesto identifica il viaggio del poeta con lo studio filosofico (
), ha nei secoli condizionato la ricezione
del proemio, sia nel senso di proporlo come mera approssimazione metaforica allistruzione filosofica del poema, sia, conseguentemente, nel senso di misconoscerne il rilievo teoretico, riducendolo a orpello poetico (in fondo trascurabile):
[1],
,
[2. 3],
[5],
225
227
In tale prospettiva, Diels richiamava lattenzione sulla tradizione dei leggendari profeti del misticismo greco arcaico (Epimenide, Onomacrito, Museo) che avrebbe ancora trovato espressione nei di Empedocle: nel caso della forma poetica
(rivestimento poetico, poetische Einkleidung) privilegiata da
Epimenide per la propria rivelazione (Offenbarung), ritroveremmo, per esempio, il prototipo della narrazione in prima persona (Icherzhlung) di unesperienza di Incubation, quale riferita da Alessandro di Tiro:
.
,
,
.
.
<
>
.
Venne ad Atene anche un altro Cretese, di nome
Epimenide: nemmeno costui seppe dire chi gli sia stato
maestro, ma era straordinariamente competente nelle
questioni divine, tanto che, facendo offrire sacrifici, riusc
a salvare la citt degli Ateniesi, afflitta dalla peste e dalla
discordia civile. Ed era cos esperto in questa materia non
perch l'avesse imparata, ma si diceva che suo maestro
fosse stato un lungo sonno con un sogno. Arriv un
tempo ad Atene un Cretese, di nome Epimenide, portando
un racconto difficile da credere, formulato nei seguenti
termini: disse che, sdraiatosi a mezzogiorno nella grotta di
zeus Ditteo, rimase immerso in un sonno profondo per
molti anni, e si intrattenne in sogno con di e discorsi di
di, con la Verit e con la Giustizia (contesto DK 3 B1.
Traduzione di I. Ramelli e G. Reale).
228
229
Perch la poesia?
Il problema della natura e portata del proemio strettamente
connesso a quello, pi generale, della scelta di fondo da parte di
Parmenide - del medium poetico, di cui la narrazione riflette alcuni motivi tradizionali, culturalmente di grande significato teoretico anche nella prospettiva specifica del poema. Ci si riferisce in
particolare allintimo nesso tra poesia, rivelazione e mito, certamente una chiave per decifrare limpianto creativo del
, in cui si intrecciano racconto, comunicazione divina della
parola () e verit ().
230
231
Parmenide e la poesia
Nella scelta poetica di Parmenide questi elementi, come si avr opportunit di rilevare, si ricompongono in modo originale,
soprattutto nel plasmare latteggiamento del destinatario della
comunicazione divina: un fatto, tuttavia, che essi siano presenti
nel , che il mito assuma la forma del manifestarsi di
ci che originario, di quanto viene altrimenti designato come il
divino ( ).
Significativamente, la introdurr (B2) lassiomatica della
sua istruzione intorno alla Verit ricorrendo proprio alla formula
e tu abbi cura della parola, una volta ascoltata (
): il giovane () esplicitamente sollecitato
a prendersi cura () del divino, che dischiude la
comprensione della realt. Dei termini greci arcaici per parola
ritroviamo dunque nel poema:
(i) (B2.1; B8.1), la forma primitiva per esprimere ci
che realmente, effettivamente accaduto: la parola che d notizia
del reale, che stabilisce qualcosa, e, in questo senso, autorevole;
(ii) (B7.5), che ha il valore di di ci che stato ponderato, che serve a convincere (donde il valore di ragione)7, della
parola ragionevole. In questo senso, in B7.5, la Dea innominata
inviter il a valutare razionalmente ( , giudica
con il ragionamento) largomento proposto.
6
7
232
233
234
unintenzione didascalica, linteresse al recupero di uno strumento culturale ed educativo essenziale della tradizione. Possiamo allora considerare tale opzione come un facilitatore per la comunicazione del sapiente: come i poemi epici di Omero ed Esiodo, il
poema di Parmenide tratta della verit e offre educazione. Chiara
Robbiano ha giustamente rilevato come scrivere in versi fosse la
soluzione espressiva pi naturale per chi intendesse affrontare una
materia del massimo rilievo: evocando alcune categorie epiche
familiari al pubblico, era poi possibile rimodellarle in una nuova
prospettiva filosofica14. Nel caso di Parmenide si trattava di suscitare aspettative, soprattutto se - ammettendo la circolazione di idee nel complesso del mondo greco, orientale e occidentale - interpretiamo la scelta poetica come alternativa ai modelli in prosa
provenienti dalla Ionia. Da un poema in esametri il pubblico poteva aspettarsi: (i) una comunicazione di verit; (ii) la proposta di
un modello di comportamento 15 . A conferma, significativo il
fatto che, nella cultura tra VI e IV secolo a.C., a pi riprese, Senofane, Eraclito e Platone abbiano attaccato Omero ed Esiodo, cos
denunciando lincidenza (e lefficacia) dellepica arcaica su mentalit e costumi.
Non va trascurata la possibilit che Parmenide abbia valutato
limpatto didattico della performance poetica, la forza comunicativa della recitazione pubblica, caratteristica di un contesto culturale ancora decisamente segnato dalla tradizione orale. Anche in
questo senso Parmenide avrebbe potuto sfruttare i vantaggi che
garantiva il richiamo alla sapienza del canto poetico omerico ed
esiodeo (facilitare diffusione e memorizzazione della propria
scrittura, attingere a un repertorio di immagini e analogie di sicuro effetto), con la possibilit, poi, di dar forma in piena autonomia a nuovi concetti e formule astratte16.
14
235
236
Ivi, p. 49.
Robbiano, op. cit., p. 49.
23
Wilkinson, op. cit., p. 32.
24
E. Passa, Parmenide. Tradizione del testo e questioni di lingua, Edizioni
Quasar, Roma 2009, p. 25.
22
237
, ,
,
, ,
[B7.1-2]
Questo discorso ha osato supporre che ci che non
sia; il falso, infatti, non potrebbe prodursi in altro modo. Il
grande Parmenide, tuttavia, figlio mio, a noi che eravamo
ancora bambini, cominciando e fino alla fine testimoniava
contro questo discorso, ribadendo ogni volta con le sue
parole e i suoi versi che:
Questo infatti mai sar forzato: che siano cose che
non sono;
Ma tu da questa via di ricerca allontana il pensiero.
Si tratta di un fotogramma di interno scolastico 25: la memorizzazione dei contenuti fondamentali (cui la scelta dei versi sarebbe stata funzionale) era affiancata dal commento e dall'argomentazione dettagliata del maestro, che approfondiva e chiariva i
temi (comunicando probabilmente informazioni supplementari,
non divulgabili all'esterno). Il poema potrebbe essere, almeno in
parte, un reperto di tale situazione didattica: donde le sue asperit
e l'impressione che fosse probabilmente rivolto a una cerchia ristretta26.
Parmenide poeta
significativo che, in quella che potrebbe essere la pi antica
allusione a Parmenide, egli sia annoverato tra i poeti:
25
26
238
,
,
;
Mi chiedo se vista e udito abbiano una qualche verit
per gli uomini, oppure se queste cose stiano proprio come
sempre ci ripetono i poeti: che non udiamo n vediamo
alcunch di preciso. (Fedone 65b),
a dispetto di una tradizione che avrebbe poi, a pi riprese, manifestato un certo disappunto di fronte ai versi dellEleate:
, .
I poemi di Empedocle e Parmenide, le Teriache di
Nicandro e le Sentenze di Teognide sono discorsi che,
servendosi della poesia come di un veicolo, ne prendono il
metro e la dignit, per evitare la prosa [il prosaico].
(Plutarco; DK 28 A15)
,
[...]
Ad Archiloco si potrebbe rimproverare il soggetto, a
Parmenide il modo di fare versi [] (Plutarco; DK 28
A16)
.
Parmenide, pur risultando oscuro a causa della poesia,
espone e afferma a sua volta le stesse cose. (Proclo; DK
28 A17).
medium espressivo, cui si sarebbe applicato in un secondo momento, valutandone limpatto comunicativo: donde i compromessi e le incongruenze cui accenna Proclo:
.
. [B 8, 25. 5.
44. 45]
< > .
Lo stesso Parmenide, nel poema, pur essendo costretto,
certamente a causa della forma poetica, a far ricorso a
metafore, figure e tropi, privilegi tuttavia una forma
desposizione disadorna, controllata e semplice. Mostra
ci in questi versi [B8.25, 5, 44, 45] e in tutti gli altri di
questo tenore, cos che il suo discorso sembra piuttosto
prosa che poesia. (Proclo; DK 28 A18).
240
Parmenide ed Empedocle sarebbero stati campioni in un genere, quello dei poemi fisici ( ), vere e proprie indagini sulla natura (), riconosciuto nellantichit
(Platone). Simplicio suggerisce, dal canto suo, un ulteriore interessante accostamento:
[ 8, 43],
.
[fr. 70, 2 Kern]
;
Se [Parmenide] afferma che lessere uno simile a
massa di ben rotonda palla [B8.43], non ci si deve
meravigliare: a causa della poesia, infatti, egli ricorre
anche a qualche finzione mitica. Che differenza c
dunque tra questo modo di esprimersi e quello di Orfeo:
uovo dargento? (Simplicio; DK 28 A20).
241
del verso nel campo dindagine della natura: i modelli epici potrebbero tuttavia non ridursi ai poemi omerici ed esiodei, e comprendere anche (soprattutto per la seconda parte del poema) la
produzione orfica, soprattutto teogonica e cosmogonica 30, attribuita a Museo, Epimenide e Onomacrito 31.
La rivelazione di Parmenide
La scelta di una portavoce divina esprimerebbe per alcuni il
desiderio di Parmenide di marcare l'oggettivit del suo metodo 32:
se lesito della ricerca fosse stato avanzato semplicemente come
la sua verit, avrebbe finito per riproporsi come un punto di vista,
lopinione di un mortale in concorrenza con le opinioni degli altri
(mortali) 33. Secondo il modulo epico, invece, il poeta-pensatore
non che portavoce della Dea e della Verit: come il contemporaneo Eraclito rimarcava che:
,
non me, ma il logos ascoltando, saggio convenire che
tutto uno (DK 22 B50),
30
242
Rivelazione e verit
In realt Parmenide, come Senofane, sembra per lo pi aderire
alla concezione pessimistica della condizione umana espressa tradizionalmente nella poesia arcaica. Leszl, in proposito, cita il contemporaneo Teognide (vv. 139-41):
,
.
Nessuno degli uomini ottiene quanto nei suoi
desideri;
si scontra infatti con i limiti postigli dalla dura
inettitudine.
Uomini come siamo, coltiviamo illusioni, senza sapere
nulla,
mentre gli dei pervengono alla realizzazione di tutto
quanto hanno in mente35.
significativo che proprio dalla poesia Parmenide ricavi i tratti con cui, in B6 e B7, caratterizzer limpotenza dei mortali
(): essi sono apostrofati come (che nulla
sanno, come in Omero, Teognide, Mimnermo, Semonide); la loro incapacit di realizzare ci che nei loro intenti stigmatizzata
35
243
36
244
40
245
t43. Veridicit ed essenzialit44, in effetti, erano fondamentali obiettivi poetici che le opere di Omero ed Esiodo si proponevano e
rivendicavano (implicitamente o esplicitamente): gli inni teogonici, per esempio, articolavano il pantheon riconducendolo
allorigine del cosmo, cos assicurando, in forza della rivelazione
della Musa, una conoscenza superumana di cose distanti nel tempo e nello spazio45.
Quando le Muse di Esiodo dichiarano:
,
sappiamo dire molte menzogne simili al vero,
ma sappiamo anche, quando vogliamo, il vero cantare
(Teogonia 27-28),
246
() ,
Omero ed Esiodo, secondo Senofane di Colofone:
Numerosissime azioni illegittime hanno narrato degli
dei:
rubare, commettere adulterio e vicendevolmente
imbrogliarsi (DK 21 B12).
48
49
247
,
davvero l'evidente verit nessun uomo conobbe, n
mai ci sar
sapiente intorno agli dei e alle cose che io dico, su
tutte:
se, infatti, ancora gli capitasse di dire la verit
compiuta in sommo grado,
lui stesso non lo saprebbe: opinione data su tutte le
cose (DK 21 B34).
La scelta di Parmenide - di far ruotare intorno a una figura divina la comunicazione del poema - potrebbe allora simboleggiare
50
248
Viaggio ed erramento
Dei cinque aspetti rilevati 55 nella struttura di questo motivo
(motif) omerico - (i) progresso nel viaggio di ritorno, (ii) regresso
ed erramento; (iii) navigazione esperta; (iv) azione folle; (v) ricerca di informazioni sul ritorno da parte dei parenti a casa i
52
249
56
250
Per questi aspetti ancora molto utile M.M. Sassi, "Parmenide al bivio. Per
un'interpretazione del proemio", La Parola del Passato, cit., pp. 383-396.
60
F. Ferrari, La fonte del cipresso bianco. Racconto e sapienza dall'Odissea alle
lamine misteriche, Utet, Torino 2007, p. 115.
61
Sassi, op. cit., p. 386.
251
solo consentir al poeta l'accesso al mondo dei morti (per testimoniarne), ma soprattutto l'incontro con la e, conseguentemente, la sua istruzione. Un tragitto che, a suo tempo, in uno
studio pionieristico, Morrison aveva connotato come quello del
poeta-sciamano in cerca di conoscenza 63, accostandolo all'esperienza del platonico Er.
In modo sorprendentemente simile, le istruzioni (incise su laminetta aurea) per l'anima del defunto nel sepolcro di Ipponio
(circa 400 a.C.) prevedono:
Quando ti toccher di morire
andrai alle case ben costrutte di Ade 64,
dove, presso la palude di Mnemosine ( ), l'anima sarebbe stata affrontata e interpellata dai custodi
():
[ h ]
che ti chiederanno nel loro denso cuore
Cosa vai cercando nelle tenebre di Ade rovinoso 65.
62
La Sassi (pp. 387-8) ricorda come nel mito oltremondano del Fedone (107d
ss.) le anime dei defunti, per coprire il cammino verso l'Ade, abbiano
bisogno di che le conducano come .
63
J.D. Morrison, "Parmenides and Er", Journal of Hellenic Studies, 75, 1955,
pp. 59-68. La citazione a p. 59.
64
G. Colli, La sapienza greca, vol. I, Adelphi, Milano 1977, pp. 172-3.
65
Colli, op. cit., pp. 172-3.
66
Sassi, op. cit., pp. 390-1.
252
c' alla destra una fonte,
e accanto a essa un bianco cipresso diritto
[...]
A questa fonte non andare neppure troppo vicino;
ma di fronte troverai fredda acqua che scorre
dalla palude di Mnemosine (laminetta di Ipponio)
.
,
E troverai alla sinistra delle case di Ade una fonte,
e accanto a essa un bianco cipresso diritto:
a questa fonte non accostarti neppure, da presso.
E ne troverai un'altra, fredda acqua che scorre
dalla palude di Mnemosine (laminetta di Petelia, circa
350 a.C.)
,
.
< >
Troverai alla destra delle case di Ade una fonte,
e accanto a essa un bianco cipresso diritto:
a quella fonte non accostarti neppure, da presso.
E pi avanti troverai la fredda acqua che scorre
253
Cos come l'iniziato preventivamente istruito di fronte all'alternativa delle fonti cui attingere per placare la propria sete, la
Dea di Parmenide, conclusa la propria allocuzione introduttiva e
richiamata l'attenzione del :
,
Ors, io dir - e tu abbi cura della parola, una volta
ascoltata (B2.1),
254
Esperienze sciamaniche
Abbiamo citato Morrison a proposito del suo accostamento del
viaggio di Parmenide al tragitto di un poeta-sciamano: la figura
dello sciamano - il cui rilievo nellambito della cultura arcaica era
stato notato, qualche anno prima del contributo di Morrison, da
Dodds, in una delle opere pi originali sulla civilt greca 73 -
quella di un mediatore tra uomini e dei, che ha la capacit di lasciare in trance il proprio corpo e di viaggiare in cielo o
nelloltretomba, per accompagnare altre anime o ricevere istruzioni mediche o cultuali da una divinit. Egli spesso poeta o
cantore e tipicamente narra in prima persona dei suoi viaggi celesti e delle sue esperienze: il suo viaggio (il mezzo di trasporto
talvolta un carro volante) difficoltoso e pu presentare momenti
di erramento prima del desiderato confronto con la divinit.
70
Ivi, p. 119.
Ivi, p. 124.
72
Ibidem.
73
E.R. Dodds, I Greci e lIrrazionale, La Nuova Italia, Firenze 1959 (edizione
originale 1951), capitolo V (Gli sciamani e le origini del puritanesimo).
71
255
256
ro78). Qui plausibile che Parmenide si rifacesse a modelli letterari, che coniugavano il tema della discesa nellAde in quanto luogo
della rivelazione (Odissea XI), a un determinato contesto cosmologico (Teogonia 736-774) e a particolari figure di predestinati,
come leroe Eracle79 o il leggendario poeta Orfeo (in questo senso
da leggere, analogamente a Dodds80, come sciamano).
A conferma della propria lettura (che in realt si regge su tradizioni posteriori), Kingsley porta testimonianze ricavate dallarte
vascolare dellepoca e della regione di Elea, che ritraggono
lincontro di Eracle con Persefone secondo lo schema ripreso da
Parmenide, ovvero quello di Orfeo con la stessa dea infera, e la
presenza sullo sfondo di Dike81. In questo modo sarebbe attestato,
se non un motivo poetico-letterario, almeno un retroterra culturale, tradizionale e locale, in cui il poeta poteva inserire i propri riferimenti, permettendosi l'anonimit della dea82. In effetti, che il
ruolo di divina interlocutrice sia ricoperto da Persefone, suggerito dalla stessa accoglienza del kouros da parte della : non
una sorte infausta (la morte?) lo ha allontanato dal mondo degli
uomini, ma un destino di conoscenza sotto legida della giustizia
divina. Come se, appunto, ella fosse preoccupata di rassicurare il
poeta circa la sua presenza nel mondo dei morti.
Daltra parte, assai probabile che il poeta si attenesse a norme compositive, ricorrendo a scelte espressive non improvvisate e
per lo pi funzionali a un determinato obiettivo. Kingsley richiama esemplarmente il ricorso alla ripetizione costante del verbo
nei primi versi, la cui frequenza sarebbe difficilmente tollerabile, da un punto di vista poetico, se non per leffetto performativo (immaginando la recitazione), di incantamento e trasporto. Lattenzione per alcuni dettagli fa inoltre pensare che Parmenide evocasse precisi riferimenti cultuali (se non poetici), cos inquadrando la propria rivelazione in uno sfondo comprensibile ai
78
257
83
258
, , ,
.
, ,
.
Parmenide, come afferm Sozione, ebbe familiarit
anche con Aminia, figlio di Diochete, pitagorico, uomo
povero, ma nobile e retto, ci che tanto pi ne favor
linfluenza. Quando questi mor, Parmenide, che era di
famiglia illustre e ricca, eresse per lui un monumento
funebre. Fu proprio Aminia, non Senofane, a volgerlo alla
tranquillit di una vita di studio (Diogene Laerzio; DK 28
A1).
259
260
261
,
,
,
, ,
.
.
,
,
, ,
,
,
,
, ,
, .
,
,
.
,
,
L della terra nera e del Tartaro oscuro,
del mare infecondo e del cielo stellato,
di seguito, di tutti vi sono le scaturigini e i confini,
luoghi penosi e oscuri che anche gli di hanno in odio,
voragine enorme; n tutto un anno abbastanza sarebbe
per giungere al fondo a chi passasse dentro le porte,
262
Come ci ricorda Privitera95, abbiamo nella cultura greca arcaica due prospettive sull'alternanza di luce e oscurit: una fisica,
rintracciabile nell'Odissea, l'altra mitica, presente invece in Esiodo, ma con riscontri anche nell'Iliade. La prima sarebbe "orizzontale", dal momento che i fenomeni coinvolti (il movimento del
Sole, nel suo trascorrere celeste da oriente a occidente, e il suo
94
95
263
tragitto di ritorno a oriente navigando su Oceano intorno alla Terra) hanno luogo sulla Terra e nel cielo sovrastante. La seconda, al
contrario, "verticale", in quanto i fenomeni terrestri e celesti sono
radicati nel mondo "infero"96. Non si tratta di prospettive incompatibili, come puntigliosamente dimostra lo studioso: nel caso di
Parmenide (come nel precedente di Stesicoro 97) registreremmo un
originale tentativo di inquadrare il rapporto tra Luce-Sole-Notte
entro una cornice cosmica in cui si completano le due prospettive
tradizionali 98. Nella lettura di Privitera, ci avrebbe comportato
concentrare strutturalmente il baricentro del proemio sul percorso
solare, trasferendo la Porta del Giorno e della Notte dall'Ade sulla
Terra: sarebbe in questo senso esclusa qualsiasi forma di katabasis verso il regno dei morti.
Eppure i versi esiodei, a dispetto delle divergenze che pur ne
caratterizzano le interpretazioni cosmologiche 99 , si prestano a
suggestioni diverse, proiettando decisamente verso il mondo infero la ripresa proemiale di Parmenide.
Dopo la narrazione della Titanomachia (665 ss.), della sconfitta dei Titani (713 ss.) e della loro segregazione in un remoto luogo infero (720 ss.), Esiodo ci informa che sopra quella prigione,
nelle profondit sotterranee, si sviluppano le radici del mare e della terra (729): come intendesse garantire sulla sicurezza della detenzione, il poeta fornisce particolari sulle modalit di reclusione
dei Titani (immobilizzati da lacci tremendi 718), e sulla localit
di carcerazione (un'oscura regione, all'estremo della terra prodigiosa, cintata tutta intorno e assicurata da portali di bronzo, e
guardiani infernali, 731-5). La descrizione del mondo sotterraneo
dunque organicamente inserita nel contesto teogonico, sottolineando la rassicurante distanza infera delle ostili forze titaniche:
96
Ivi, p. 449.
Ivi, p. 453.
98
Ibidem.
99
Si vedano, per esempio la discussione specifica in Pellikaan-Engel (op. cit.,
capp. II-III), ma anche le annotazioni di Arrighetti (op. cit., pp. 151-2).
97
264
,
, .
,
,
, .
L della terra oscura e del Tartaro tenebroso,
del mare infecondo e del cielo stellato,
di seguito, di tutti, sono le scaturigini e i confini,
luoghi squallidi e oscuri, che anche gli di hanno in
odio.
L sono le porte splendenti e la bronzea soglia,
inconcussa, su radici infinite commessa,
nata spontaneamente; davanti, lontano da tutti gli di,
i Titani hanno la loro dimora, di l dal caos
tenebroso100 (vv. 807-814).
265
Ivi, p. 38.
Teogonia, cit., p. 113.
266
direzione delloltretomba, in altre parole del luogo tradizionalmente privilegiato per le rivelazioni.
Parmenide
provvisorie
la
poesia:
conclusioni
268
involgere (emotivamente e intellettualmente) il pubblico destinatario (plausibilmente un gruppo ristretto di discepoli109). Ci comportava, naturalmente, anche consapevoli opzioni simboliche, per
le quali egli poteva attingere allimmaginario dellepica e, probabilmente, della stessa poesia apocalittica: il poema appare in effetti concentrato sulleffetto (il mutamento della prospettiva cognitiva e la correlata trasformazione dellattitudine personale)
dellimpatto con la verit, della scoperta del reale assetto del tutto
cosmico.
109
269
270
271
111
272
Zeus nellatto di relegare i Titani nel Tartaro 115 - troverebbe in tale scenario la propria naturale collocazione: nellAde i morti subiscono il giudizio divino e ricevono, conseguentemente, la punizione delle colpe commesse in vita.
La plausibile destinazione individuata per il viaggio del poeta
avrebbe, tuttavia, anche un secondo e non meno rilevante risvolto
nella prospettiva del poema. Il percorso indicato, infatti, richiama
la visione mitica del cosmo espressa in Esiodo e Omero, in cui i
confini del mondo coincidono con quelli della terra (la cui superficie piatta), sui cui limiti estremi poggia il cielo-cupola116: in
questo senso, nel caso dellOdissea, la katabasis non intesa tanto come discesa sotto la superficie della terra, piuttosto come raggiungimento di un luogo oltre i limiti della superficie terrestre117.
La nozione del limite (e del suo superamento) poi significativamente evocata dal vettore e dalla scorta, che richiamano
limmagine del carro del Sole e il mito di Fetonte 118.
In effetti, la conduzione delle Eliadi (figlie di Helios, il Sole
appunto) e il tragitto verso i battenti dei sentieri di Notte e Giorno ( , v. 11), che complessivamente tracciano i contorni celesti, se da un lato sembrano insistere sul punto di vista privilegiato garantito al poeta, dallaltro,
indirettamente, attraverso limplicita rievocazione di Fetonte (fratello delle Eliadi, la cui imperizia nel condurre il carro, sottratto di
nascosto al padre Sole, richiese lintervento riparatore di Zeus),
suggeriscono anche lidea della regolarit e della misura cosmica,
rafforzata dalla presenza severa di Dike. Come in Esiodo e in altri
pensatori arcaici (Anassimandro e il contemporaneo Eraclito), la
processualit della natura lalternanza di notte e giorno ai confini del cosmo - si svolge in conformit con le prescrizioni della
giustizia119. Al poeta dunque attribuito garante Dike il favore
115
273
Al di l dell'esperienza quotidiana
Leccezionalit dell'esperienza del poeta, sottolineata nel suo
indirizzo dalla , non sarebbe allora riducibile semplicemente a
una discesa () agli inferi, ovvero a una ascesa
() celeste: quanto risulta marcato nei versi del proemio
la distanza della via seguita nel corso del viaggio dal percorso
degli uomini ( , v. 27). La
porta del Sole, identificata con la Porta dellAde (Iliade VIII, 1316; Odissea XXIV, 11-14; Esiodo, Teogonia 740 ss; 744-757;
811-814), , in effetti, miticamente situata nelloccidente estremo,
lontanissima quindi dalle regioni abitate: poggia sulla superficie
terrestre, al di sotto della quale si radica nel profondo, mentre i
suoi pilastri si elevano tanto da toccare il cielo. Oltre essa
labisso, il mondo dei morti, il regno di Ade e Persefone 120. Come
ricorda Cerri, si tratta di una porta cosmica, sia in quanto discrimina il percorso del sole e quindi giorno e notte, sia in quanto
separa il mondo dei vivi e quello dei morti 121.
Ci che, in realt, viene sottolineato nel resoconto parmenideo
non lallontanamento dalla terra per pervenire alla porta del cielo, superare i confini del mondo e incontrare, nelletere celeste, la
dea rivelatrice (Mansfeld), n propriamente il viaggio
nelloltretomba (Burkert) ovvero verso il centro del cosmo (Pellikaan-Engel). Il poeta, scortato dalle Eliadi sul carro solare, perviene presso e oltrepassa la porta cosmica, raggiungendo, dunque, il punto privilegiato che accesso, a un tempo, allAde e al
cielo (con la duplice valenza, quindi, di rivelazione e illuminazione). In ogni caso, la tradizionale oscurit dellAde appare, per la
meta del viaggio, pi giustificata nel contesto rispetto alla luce
120
121
274
celeste122: sono le Eliadi a doversi portare verso la luce, muovendo dalla dimora della Notte (dove hanno soggiornato durante la pausa notturna: il loro viaggio comincia, dunque, presumibilmente allalba), a cui ritornano, con la compagnia del poeta,
percorrendo, plausibilmente, il consueto tragitto solare (cio al
tramonto, quando Notte ha nuovamente abbandonato la propria
dimora per dar cambio a Giorno). In questo senso, pur ribadendo
la convinzione che a Parmenide prema soprattutto evidenziare
loltrepassammento dell'esperienza quotidiana e la distanza
dellaccesso alla Verit rispetto allordinario spazio delle relazioni umane, la katabasis certamente offre al poeta un paradigma influente.
Al nodo della direzione del viaggio poi legato quello dei
suoi tempi. Il poema si apre con il presente:
,
Le cavalle che mi portano fin dove il [mio] desiderio
potrebbe giungere (v. 1),
quasi a marcare unabitudine123 ovvero, allinterno della narrazione, un elemento di sfondo, indipendente dallo sviluppo del
racconto, come i successivi rilievi (sempre riferiti al presente) sulla strada [] della divinit:
...
che porta ... luomo sapiente (v. 3),
275
Martina Stemich, nella sua ricerca su Eraclito (Heraklit. Der Werdegang des
Weisen, Grner, Amsterdam 1996, pp. 41 ss.), rintraccia una precondizione
filosofica analoga nel frammento DK 22 B18: Se uno non spera, non potr
trovare linsperabile, perch esso difficile da trovare e impervio.
125
In questo senso ingressivo la Stemich (Parmenides Einbung in die
Seinserkenntnis, cit., pp. 39-40) interpreta lintera esperienza del proemio:
sebbene il percorso verso la Dea sia gi stato compiuto, esso in quanto
motivo connesso a una trasformazione comprensibile solo come sviluppo
sistematico diventerebbe emblematico della graduale approssimazione alla
conoscenza ricercata dal filosofo.
126
Coxon, op. cit., p. 14.
276
,
[Le cavalle] mi guidavano, dopo che, conducendomi,
mi ebbero avviato sulla via ricca di canti
della divinit che porta ... luomo sapiente.
Su questa via ero portato, perch su questa via mi
portavano molto avvedute cavalle,
trainando il carro: fanciulle mostravano la via (vv. 25).
Luso dei tempi verbali impone sia la prospettiva dello sviluppo e della continuit dellazione nel passato (imperfetto, che, comunque, qualcuno 127 interpreta come imperfetto storico traducendolo con il presente), sia quella delle sue successive e puntuali
sequenze compiute (aoristo), rafforzata, nel verso 2, anche dal ricorso alla congiunzione (dopo che). Lintero proemio costruito intorno a questo ordito temporale che, se valorizziamo
lopposizione presente-passato, potrebbe alludere come intendono Mansfeld 128 e Ferrari 129 - al presente della condizione sapienziale del poeta, conseguita grazie alla rivelazione della Dea e
dunque giustificata dalla narrazione, dal passato. Nel presente della performance recitativa il poeta evoca lavventura della conoscenza che lo ha visto fortunato protagonista al cospetto della divinit, del cui dono si propone di far partecipi gli altri mortali: il
sapiente, luomo che sa ( ), tale per essere stato guidato, condotto lungo la via della divinit (il genitivo ha
valore soggettivo e oggettivo a un tempo: della divinit perch
a essa appartiene ovvero a essa conduce); il canto poetico documenta quel privilegio.
Questa prospettiva temporale, che collegherebbe al presente
dei versi 1 e 3 una condizione di conoscenza giustificata dall'e127
277
278
279
questa circostanza, che i versi dellesordio poetico possono richiamare, Parmenide si proporrebbe come una sorta di nuovo Fetonte, sebbene, nel suo caso, come ricorda la Dea, il viaggio proceda (vv. 26-8) sotto buoni auspici136: di questo le Eliadi devono
convincere Dike, perch autorizzi il passaggio lungo la traiettoria
solare. Se accettiamo questo accostamento, la divinit allusa nei
vv. 2-3 potrebbe essere proprio il Sole: il carro su cui viaggia il
poeta potrebbe essere allora il suo, cos come la via quella che il
Sole percorre, e che conduce ai confini del mondo.
Ma lassociazione tra Eliadi e Dike evocatrice anche in
unaltra direzione: abbiamo ricordato come, nella cosmologia mitica esiodea ricostruita puntualmente dalla Pellikaan-Engel, la
dimora della Notte sia collocata nelle profondit del Tartaro (il
mondo infero), in prossimit dell'accesso all'Ade (il mondo dei
morti), in una regione in cui hanno le loro radici la terra, il mare,
il cielo, abisso senza fine (caos), luogo terrificante anche per gli
dei137. In tale dimora soggiornano alternativamente Notte e Giorno: da essa muovono e a essa conducono le Eliadi. Esse, uscite
dalla porta cosmica del Giorno e della Notte (su questo punto in
Esiodo c' un'incongruenza: dovrebbero essere due, collocate alle
estremit orientali e occidentali), prelevano Parmenide (allalba:
si tolgono i veli notturni) e lo guidano alla stessa porta, alta tra la
terra e il cielo, seguendo verso occidente il percorso del Sole. Al
di l c il mondo infero: il suo vestibolo a livello della superficie terrestre (descrizione omerica), ma immediatamente dopo si
spalanca il baratro immenso. Parmenide ha il privilegio (come iniziato, ) di varcarne, ancora vivo, la soglia, per attingere la conoscenza: Dike al suo posto, nella misura in cui deve
giudicare i requisiti; le Eliadi tutelano il poeta viaggiatore in qualit di patrocinatrici (impiegano parole suasive per ammansire la
inflessibile sorvegliante dei confini) 138.
Gli elementi che abbiamo riassunto suggeriscono che
leccezionalit dellimpresa cantata coincida con il massimo pri136
280
vilegio previsto per un mortale nelluniverso mitico: come Odisseo e Orfeo, al poeta concesso di accedere (anche se non forse
propriamente discendere) allAde, per incontrare la divinit che
vi regina, Persefone. In questo senso, probabilmente, Parmenide
insiste inizialmente sulluso del presente contrastato da quello del
passato: per marcare lo straordinario esito della sua esperienza, la
cui specifica difficolt consiste proprio nel ritorno alla luce, tra i
vivi, al presente della condizione umana.
Prima di concludere su questo punto, ancora necessario chiarire un aspetto. Abbiamo continuato a interpretare il proemio in
un senso prossimo alla sua lettera, come si trattasse del resoconto
di un viaggio dal poeta effettivamente compiuto, rigettando,
quindi, le letture allegoriche secondo il prototipo proposto dallo
stesso Sesto Empirico. Questo non comporta trascurare il valore
simbolico delle scelte espressive di Parmenide, evitare di attendere alle implicazioni che certe immagini o situazioni concrete dovevano gi avere assunto nella attivit poetica allepoca di Parmenide: la pratica allegorica stava compiendo solo i primi passi,
ma possibile che il simbolismo avesse un peso nella cultura pitagorica cui si dovrebbe, secondo alcuni139, ricondurre la formazione di Parmenide. Il contemporaneo Pindaro, per esempio, nella
Olimpica VI, faceva ricorso al motivo del viaggio con intento manifestamente metaforico, sebbene laccostamento a Parmenide risulti difficile (il viaggio di costui appare ben pi complesso). In
ogni caso, forse la natura stessa delleccezione evocata a rendere plausibile unintenzione simbolica del proemio: l'esperienza
liminare (un viaggio oltre i confini del mondo) compiuta dall'anima del poeta (spiritualmente), prefigurava, nell'insegnamento
della Dea, una vicenda conoscitiva di cui altri avrebbero potuto
fruire. Cos, sfruttando al massimo lincidenza dei dettagli concreti della scena cosmica, Parmenide avrebbe, con la propria "odissea", delineato un modello per le avventure dellanima nel
grande mito del Fedro platonico 140.
139
140
281
La sequenza del racconto e il progressivo (non casuale) coinvolgimento di quelle divinit fanno comunque apparire poco convincenti le letture che marcano nel proemio la mera figurazione
allegorica di opzioni gnoseologiche o la semplice legittimazione,
in chiave di illuminazione superiore, di una proposta filosofica.
Lautore, invece, proprio attraverso la narrazione in prima persona del viaggio, ha la possibilit di coinvolgere il suo pubblico in
un'esperienza di trasformazione radicale della persona, che richiede lidentificazione con il protagonista (donde ladozione della prospettiva del viaggiatore) 141. la futura condotta di vita il vero obiettivo delle istruzioni della dea: il viaggio, in tal senso, sarebbe rappresentazione di una forma di 142. Lo sciamanesimo di Parmenide potrebbe leggersi in questa prospettiva: non
traduzione poetica di una trance onirica (incubazione), ma assunzione della pervasivit emotivo-esistenziale (forse direttamente
esperita) di quella prova al servizio di uno sforzo di profondo riorientamento teorico e pratico nella realt quotidiana.
Alla concretezza di un fenomeno culturale (la pratica sciamanica), forse radicato nellambiente eleatico 143, Parmenide associa
un percorso di conoscenza, proposto esemplarmente ai propri uditori, in cui la dimensione di estraneazione dalle distorsioni della
quotidianit funzionale a un processo di trasformazione spirituale e a una prassi di vita. Il corso delle Eliadi ai limiti del mondo,
la sanzione di Dike e la verit di Persefone scandiscono evidentemente una ricerca destinata a modificare lintera personalit: in
un contesto in cui il sapere salvifico era appannaggio di iniziazioni e incubazioni, il filosofo avrebbe cos fatto ricorso, in termini
simbolici, all'efficacia coinvolgente (da cui lattenzione per alcuni
141
282
Non stata la morte, un disgraziato destino, a condurre il poeta al cospetto della dea infera, per una via ben lungi dai sentieri
comunemente battuti: la rassicurazione divina sottintende che
quella distanza dai mortali sia da considerare un privilegio e non
un accidente, e che lo straordinario incontro non sia da ascrivere
tanto all'iniziativa del protagonista (che stato piuttosto spinto da
Moira) quanto alleccezionalit della scorta.
La via () che gli consente di raggiungere la residenza
divina ( la nostra casa) probabilmente la stessa
(via ricca di canti della divinit vv. 23), lungo la quale le cavalle conducevano il poeta allesordio: in
283
Imparare tutto
Leccezionalit della situazione si riflette anche nella completa
disponibilit della Dea, nella sua accoglienza e nellinformazione
successiva: rilevando didascalicamente - secondo il tradizionale
paradigma144 oppositivo tra conoscenza umana e conoscenza divina - lopportunit per il giovane di tutto apprendere (
), ella propone un programma articolato in due momenti,
chiaramente scanditi in greco (vv. 29-30) dalle congiunzioni
. (sia sia), in conclusione ulteriormente precisati (v.
31) ricorrendo alla formula (congiunzione avversativa + avverbio), da rendere come nondimeno, eppure anche
cos. Linterpretazione di questo passaggio molto controversa,
ma anche decisiva, dal momento che all'articolazione programmatica presumibilmente corrisponde poi la struttura del poema (cio
la successiva esplicitazione dei contenuti della rivelazione), e
dunque dall'interpretazione di quella dipende la comprensione di
questo.
Il kouros apprender, imparer, sar informato su tutto:
144
284
,
sia di Verit ben rotonda il cuore fermo,
sia dei mortali le opinioni, in cui non reale credibilit
(vv. 29-30).
Si tratta dellopposizione fondamentale, che genera tutti i contenuti del poema: il nucleo essenziale (, cuore) di Verit
(), di ogni verit (, ben rotonda), la sua necessit immanente ( , letteralmente cuore che non
trema); le incerte opinioni dei mortali ( ), che non
sono veramente credibili: esse risultano, letteralmente, inaffidabili, in esse non risiede (reale fiducia). La qualificazione umana delle doxai giustifica la loro debolezza, assumendo per scontato che la proposta della Verit sia divina. Il modello
ancora quello di Teogonia vv. 27-28:
,
sappiamo dire molte menzogne simili al vero,
ma sappiamo anche, quando vogliamo, il vero cantare,
,
Eppure anche queste cose imparerai: come le cose
accolte nelle opinioni
era necessario fossero effettivamente, tutte insieme
davvero esistenti (vv. 31-32).
Nellimpegno a tutto insegnare, la Dea non si limita attraverso l'illustrazione della norma di verit a denunciare
linattendibilit delle convinzioni umane (come vedremo, rintracciandone la distorsione genetica), ma intende proporre una ricostruzione affidabile () della totalit degli enti che quelle
opinioni travisavano. Il ricorso a suggerisce, nel contesto,
l'intenzione della Dea di riconsiderare comunque il materiale delle inverosimili , cos da fornirne un quadro attendibile (credibile alla luce della verit).
Possiamo dunque articolare il programma della Dea in tre
momenti145:
(i) lesplicitazione della norma immanente (le vie di ricerca
per pensare), dell'intima necessit della verit (B2, B6), con la
conseguente manifestazione della struttura essenziale della realt
(B8);
(ii) la denuncia dellerrore di base delle opinioni dei mortali
(B6, B7);
(iii) la riformulazione dei contenuti di quelle opinioni (quindi
del mondo della esperienza umana) conformemente a quella norma (B9 ss.).
Tale scansione ha dunque risconto nella struttura del poema:
(a) una prima sezione (primo logos), indicata convenzionalmente come Verit () dalla formula:
(discorso affidabile e pensiero intorno alla
verit B8.50-51), in cui, in successione e strettamente connessi,
sono affrontati i momenti (i) e (ii): i principi del corretto ricercare
e le origini dell'errore dei mortali;
145
286
287
Sarebbe dunque ribadita la contrapposizione omerica tra incerte convinzioni umane (elaborate inferenzialmente nel caso di Alcmeone) e conoscenza divina: Parmenide si limiterebbe semplicemente a riformularla nel senso di un contrasto tra forme cognitive: una affidabile perch in grado di manifestare il reale, laltra
opinabile e convenzionale, espressione di meri punti di vista. Solo
riconoscendo linsufficienza dell'esperienza ordinaria, gli uomini
hanno la possibilit della certezza: ci che Parmenide avrebbe
tentato nella seconda parte del poema appunto una ridefinizione
del campo delle doxai in termini non contraddittori.
Questa interpretazione si scontra, tuttavia, con una lunga tradizione che attribuisce valore diverso alle parole della Dea, per lo
pi assimilando i punti (ii) e (iii): alla saldezza (razionale) della
verit (i), Parmenide contrapporrebbe lincertezza (empirica)
dellopinare umano (ii), di cui offrirebbe comunque, a scopo esemplificativo e\o critico, esposizione (o ricostruzione) coerente
(iii).
Leszl 148 ritiene, in effetti, che la distinzione verit-opinioni,
che chiude la comunicazione della dea nel proemio, corrisponda
alla distinzione, enunciata dalle Muse esiodee, tra verit e falsit:
in entrambi i casi le divinit si rivelano in dominio completo
dellambito del vero e di quello dellingannevole (da Esiodo considerato tale perch simile al vero), sebbene, a differenza delle
Muse che si limitano a esporre il vero, la dea di Parmenide espone
anche ci che non vero, nellintento di coprire tutto, di offrire
un sapere globale che non ritroviamo in Esiodo.
Lo stesso parallelismo con linno alle Muse della Teogonia
sfruttato da Mansfeld149, il quale riscontra, nel doppio resoconto
prospettato dalla Dea, lanaloga pretesa delle Muse di dire verit e
menzogne: in questo modo, evidentemente, tutto quanto si riferisce allambito della doxa stigmatizzato come ingannevole, con
il risultato paradossale di ridurre proprio la sezione cosmogonica
e teogonica, pi vicina al modello divinamente ispirato del poema
148
149
288
esiodeo, a occasione per repertare gli errori dei mortali (sottolineando come dovrebbero essere ma non sono150).
Non da escludere, invece, che proprio il secondo logos rappresentasse il nucleo centrale e originario del progetto di Parmenide, quello in continuit con la riflessione arcaica
(donde la titolazione tradizionale), di cui la sezione sulla Doxa
riprodurrebbe anche la logica di riduzione di , delle
cose accettate nelle opinioni, a principi, forme () nel
lessico parmenideo (B8.53); ma che lelemento di originalit (da
cui lattenzione tra gli antichi e la conservazione nelle testimonianze) fosse costituito dalle premesse ontologiche contenute nel
primo logos, che forniscono la cornice e le condizioni di una coerente enciclopedia del mondo naturale, denunciando a un tempo le
debolezze delle ricostruzioni alternative151.
150
151
Ivi, p. 210.
Il dibattito sulla natura della doxa parmenidea sterminato: a parte il vecchio
aggiornamento di G. Reale a E. Zeller R. Mondolfo, La filosofia dei Greci
nel suo sviluppo storico, Parte I, Volume III: Eleati, cit., la questione stata
sistematicamente ripresa nello specifico da P.A. Meijer, Parmenides Beyond
the Gates. The Divine Revelation on Being, Thinking and the Doxa, Brill
Academic Publishers, Amsterdam 1997. Molto utili J. Frere, "Parmnide et
l'ordre du monde: fr. VIII, 50-61", in tudes sur Parmnide, sous la direction de P. Aubenque, t. II Problmes d'interprtation, Vrin, Paris 1987, pp.
192-212; R. Brague, "La vraisemblance du faux (Parmnide, fr. 1, 31-32)",
ivi, pp. 44-68; A. Nehamas, Parmenidean Being/Heraclitean Fire in Presocratic Philosophy, edited by V. Caston & D.W. Graham, Ashgate, Aldershot 2002, pp. 45-64; H. Granger, "The Cosmology of Mortals", ivi, pp.
101-116; P. Curd, The Legacy of Parmenides. Eleatic Monism and Later
Presocratic Thought, Princeton University Press, Princeton 1998, cap. III:
"Doxa and Deception"; le pagine di D.W. Graham, Explaining the Cosmos.
The Ionian Tradition of Scientific Philosophy, Princeton U.P., Princeton
2006 dedicate all'argomento (pp. 169-184).
289
152
N.-L. Cordero, By Being, It Is. The Thesis of Parmenides, Parmenides Publishing, Las Vegas 2004, p. 30.
153
Ivi, p. 32.
154
G. Cerri, Testimonianze e frammenti di scienza parmenidea, in Parmenide
scienziato?, a cura di L. Rossetti e F. Marcacci, Academia Verlag, Sankt
Augustin 2008, p. 80.
155
Torneremo sull'argomento commentando l'ultima parte di B8 e i frammenti
del "secondo logos".
290
291
292
293
Verit e opinione
Sul programma introdotto dalla dea innominata in conclusione
del proemio (vv. 28-32), possiamo ancora osservare come, a livello espressivo, larticolazione su cui abbiamo insistito emerga
chiaramente nelle scelte verbali:
, .
,
.
295
quella di ricostruire la genesi dellerrore dei mortali, ovvero quella di proporne una versione pi coerente, piuttosto quella di mostrare come le cose accolte nelle opinioni avrebbero dovuto
(era necessario\opportuno, con possibile valore di irrealt) essere intese nella loro totalit come (esistenti), in altre parole
considerate alla luce della Verit, ovvero come genuina realt.
La precisazione di Parmenide, con le sue scelte lessicali
(, ), e la struttura del poema, con un secondo logos
di natura enciclopedica, suggeriscono di considerare positivamente il terzo punto del programma della dea, ben distinto dal secondo (che riceve indiscutibilmente una connotazione negativa), di
cui tuttavia sembra condividere due elementi essenziali:
(i) il contenuto materiale, costituito dalla pluralit delle cose
che accogliamo sulla base della esperienza;
(ii) la prospettiva (espressa dallinsistenza sulle forme in ),
il punto di vista mortale, che appunto quello che passa attraverso lesperienza, ma che, non per questo, deve essere giudicato inaffidabile.
La Dea proceder quindi:
(i) in primo luogo, a introdurre quella verit di cui esplicitamente (e tradizionalmente) garante (B2): si tratta delle premesse
(B2.3, B2.5) da cui possibile procedere per manifestare la struttura della realt (B8);
(ii) poi, a stigmatizzare (sbrigativamente), sulla scorta della
forma (logica) di quelle premesse (necessit dellessere e impossibilit del non-essere), l'infondatezza dei comuni assunti circa le
cose e il loro divenire;
(iii) infine, a illustrare, attraverso una ricostruzione coerente
con i parametri veritativi della Dea, l'ordine del mondo
(), vero obiettivo dell'opera.
In questo modo, il poema contiene, complessivamente, la rivelazione di tutta la Verit: della sua natura intrinseca (cuore fermo), fraintesa nel comune, superficiale pregiudizio, e della sua
adeguata applicazione al campo dellesperienza umana. Parmenide si riferisce a due ambiti distinti, divino e umano, che nella rivelazione si sovrappongono: la meditazione della parola
() della Dea, che segnala la traccia che conduce ad ,
296
Per via
Prima di concludere lesame del proemio e dopo averne considerato gli ultimi versi e il programma contenutovi, opportuno
ritornare riassumere i nostri risultati.
Parmenide compone nei moduli della tradizione epica, evocandone il rilievo veritativo e educativo e sviluppandone in particolare il tema del viaggio, centrale non solo per lepica omerica
ma anche, in generale, per lesperienza culturale e religiosa arcaica (sciamanesimo). Modulando tali paradigmi, il poeta insiste
sulleccezionalit della propria esperienza, sia per gli auspici che
ne assicurano lo svolgimento, sia per la meta oltremondana, sia,
infine, per lincontro con la dea rivelatrice: ci comporta, da parte
sua, valorizzare, con la lezione divina, anche il percorso del viag297
162
298
del punto di vista tale da investire non solo loggetto della comprensione, ma
anche - alla fine del viaggio - il soggetto ( p. 37).
299
Dire, ascoltare
La continuit con B1 segnata proprio dalla modalit direttiva
della comunicazione, in cui esortazione e insegnamento marcano
lo scarto tra il ruolo della Dea ( , io dir) e la ricezione
(lascolto attento) del poeta ( , e tu abbi cura
1
Ricordiamo che, nella cesura di B8.50-1, la Dea si riferisce a quel che precede
come ; B2.4 sembra riferirsi alla
stessa materia con l'espressione .
2
Coxon, op. cit., p. 173: la sequenza proposta , nella numerazione DK (diversa
da quella ricostruita dallautore), B2, B3, B6, B4, B7.
3
Per esempio Heitsch in Parmenides, Die Fragmente, griechisch-deutsch,
herausgegeben, bersetzt und erlatert von Ernst Heitsch, Sammlung
Tusculum, Artemis & Winkler, Zrich 19953.
4
Per esempio Leszl, op. cit., p. 85.
300
.
,
Migliore infatti della forza
di uomini e cavalli la nostra sapienza.
Ma si valuta questo in modo veramente dissennato: e invece
non giusto
preferire la forza alla buona sapienza.
Lo stesso Senofane aveva cos introdotto la propria sapienza:
301
Io, tu
La polarit comunicativa - introduce anche la dialettica
del testo parmenideo: essa, in effetti, sottolinea lurgenza di illustrare la forza persuasiva del messaggio al destinatario (B2.4:
- : di Persuasione il
percorso - a Verit infatti si accompagna) e dunque la dimensione argomentativa (che si impone soprattutto in B8). A dispetto del
tono e della situazione solenni, progressivamente sul piano della
(co)stringente discussione () che si sviluppa la rivelazione
della Dea, quasi assumendo il tu come muto interlocutore, di
cui B8 sembrerebbe confutare il punto di vista ordinario. In questa prospettiva, la dialettica comunicativa esprime lintenzione
educativa anche nella forma di una lezione sulluso degli strumenti razionali.
B2 proporrebbe allora, in modo originale, le premesse di base
della successiva trattazione: Mansfeld, in particolare, ha sostenuto
che il ruolo condizionante della divinit e della sua rivelazione si
manifesterebbe nei due passaggi introdotti dalle forme verbali in
prima persona8, negli asserti imposti dallautorit di (io):
[]
Ors, io dir (B2.1a)
bisogna che in primo luogo celebrino il dio uomini assennati,
con racconti adeguati e puri discorsi (B1.13-14);
e:
,
da lodare, poi, tra gli uomini, colui che, bevendo, pronuncia
belle parole,
conformemente a memoria e aspirazione alla virt (B1.20-1).
8
Op. cit., pp. 61-2.
302
Proprio questa ti dichiaro (B2.6a).
Ivi, p. 86.
Conche, op. cit., pp. 79-80.
11
La tesi secondo cui Parmenide sarebbe il primo filosofo ad argomentare, a
dare ragioni a supporto della propria posizione, a elaborare consapevolmente
10
303
Il verso presenta alcune difficolt, non indifferenti per l'interpretazione relativa e complessiva. Quale valore riconoscere a
? Quale a ? Come rendere ? Come ?
La Dea, riferendosi a , ritorna (dopo averlo gi
fatto in B1.2, B1.5 e soprattutto B1.26-7) sul tema della via, impiegando un'espressione di nuovo conio, che rientra tuttavia a
pieno titolo nel motivo omerico del viaggio 13. Il termine parmeniil proprio ragionamento con metodo, di Cordero (By Being, It Is, cit., p.
38).
12
Su questo aspetto della cultura greca, interessante la messa a fuoco di L.
Brisson, "Mito e sapere", in Il sapere greco. Dizionario critico, a cura di J.
Brunschwig e G.E.R. Lloyd, vol. I, Einaudi, Torino 2005, pp. 49-62.
13
Mourelatos, op. cit., p. 67.
304
deo infatti di derivazione epica, essendo utilizzato in Omero per ricercare persone o animali perduti ovvero
nel senso lato di concepire: esso implica desiderio del e interesse nelloggetto ricercato (la cui esistenza quindi non sarebbe in
discussione). La formula alluderebbe allora a un investigare impegnato a raccogliere informazioni che conducano
alloggetto desiderato.
significativo che il contemporaneo Eraclito usi nel
senso di ricercare in profondit:
Quelli che cercano oro rivoltano molta terra, ma
trovano poco [oro] (DK 22 B22),
marcando la propria direzione dindagine verso quanto nascosto e inaccessibile ai pi: la ricerca della , in contrapposizione alla di poeti e sapienti tradizionali. Eraclito, tuttavia, sottopone il verbo a unulteriore, originale, torsione:
ho indagato me stesso (DK 22 B101),
Luso arcaico di sottolinea, insomma, il fatto che si ricerca intorno a qualcosa che non manifesto o accessibile fin
dallinizio. In questo senso il nesso stabilito nei versi 3-4 tra la
prima e :
14
305
-
di Persuasione il percorso - a Verit infatti si
accompagna.
15
16
306
Ma il testo pone anche il problema della resa di : generico pensare, o, secondo luso arcaico, apprendere, conoscere17? La traduzione in questo caso impone un'opzione interpretativa: pensare rischia di risultare troppo indefinito rispetto all'unicit conclamata delle vie, consentendo, per esempio, di ammettere, oltre alle razionalmente legittime, anche le vie
dellirrazionale (illuminazioni, rivelazioni, ispirazioni ecc.), illegittime agli occhi della ragione18, come in effetti alcuni frammenti
del poema (soprattutto B6 e B7) sembrano suggerire.
Daltra parte, si potrebbe obiettare che, rendendo in senso forte
con apprendere\conoscere, come pur giustificato dalla
conclusione del proemio19, risulterebbe poi problematica la comprensione della via introdotta in B2.5 (letteralmente):
che non e che necessario non essere.
Mourelatos, op. cit., p. 70. Tra gli editori contemporanei, anche Heitsch opta
per erkennen. Per una discussione aggiornata si veda ora Palmer, op. cit., pp.
69 ss..
18
Come nel caso di Conche, op. cit., p. 77.
19
Ch.H. Kahn, The Thesis of Parmenides, in Id., Essays on Being, O.U.P, Oxford 2009, pp. 146-147.
307
Eppure proprio questa difficolt a risultare illuminante rispetto alla natura e alla funzione delle uniche vie di ricerca per
pensare ( ): solo la nozione di
come pensare del tutto intellettuale, capace di prescindere dalle
sembianze sensibili e afferrare ci che realmente dato, appare in
grado di giustificare l'alternativa ( ... ...) prospettata nei
versi B2.3 e B2.5. Intendendo come un pensare generico,
si pu ridurre il paradosso di una via di ricerca per pensare
connotata come sentiero del tutto privo di informazioni
( ) e, addirittura, come impensabile e inesprimibile ( ), ricorrendo alla distinzione tra la
sua prospettazione a priori e l'effettiva (a posteriori) sua praticabilit. Crediamo, tuttavia, che sia solo la comprensione di
secondo la prospettiva omerica (improntata all'analogia con il vedere) di una relazione percettiva immediata con l'oggetto 20, a dare
senso alla disgiunzione -non : essa allora esprimer, per
quella funzione ricettiva, l'alternativa radicale tra necessit di rivolgersi a una realt che , e impossibilit di afferrare ci che non
.
La Dea annuncia nel contesto quali siano le uniche vie di ricerca per pensare: tre sono gli elementi da considerare: (i) la ricerca (), (ii) i percorsi lungo per cui essa si sviluppa, (iii)
la finalit che essa intende realizzare, designata dall'infinito aoristo : pensare, svelare la realt (verit), ovvero, come
suggerisce Palmer21, comprendere, giungere a comprensione.
Il contesto di B2 suggerisce palesemente anche l'obiettivo conclusivo delle ricerca, che traduce in risultato la finalit dell'unico effettivo percorso di ricerca: come abbiamo gi osservato, della
prima via di ricerca ( ) la Dea
sottolinea che (a) percorso di Persuasione ( ),
20
21
308
Lungo la prima via (per pensare), la ricerca si sviluppa riflettendo a partire dall'immediata evidenza: ( ), rimanendo
saldamente sul terreno dell'essere (escludendo cio la possibilit del non-essere). La seconda modalit, invece, prospetta una
ricerca che si svolga a partire dalla negazione di quella evidenza:
non ( ), pretendendo di svilupparsi conseguentemente
sul terreno del non essere. Delineata come alternativa alla precedente, essa si rivela di fatto impercorribile, dal momento che il
pensiero non avrebbe alcunch da afferrarvi e manifestarvi:
-
Proprio questa ti dichiaro essere sentiero del tutto
privo di informazioni:
poich non potresti conoscere ci che non (non
infatti cosa fattibile),
n potresti indicarlo.
309
Per pensare
Prima di procedere alla determinazione delle vie, opportuno, tuttavia, in relazione al verso 2, soffermarsi ancora sulle implicazioni dellannuncio della Dea:
[...]
.
Come ricordato in nota al testo, Kahn (Ch.H. Kahn, The Thesis of Parmenides, cit., p. 147) ha sostenuto che costituirebbe equivalente
poetico del termine ionico (ricerca scientifica).
310
allesperienza umana ( ); (iii) nella sua diffusa distorsione ( ). La realt da scoprire (Verit) rimane, in effetti, al centro anche di B2, come abbiamo in precedenza sottolineato a proposito della espressione e della sua derivazione
dallomerico , alimentando un possibile ulteriore paradosso. Secondo una corrente interpretazione dei primi versi del proemio, la Dea stata raggiunta a conclusione di un viaggio lungo
la strada ricca di canti ( ) che conduce
luomo che sa: ella rivela di non essere la fonte diretta da cui
attingere la Verit; suo compito solo quello di indicare il (nuovo) percorso per conseguirla 23. questo decentramento della verit dalla Dea che giustifica, per esempio, la lezione di Untersteiner, il quale fa coincidere la verit con la via stessa.
In ogni caso, nelleconomia complessiva del testo, il riferimento al del poeta e del lettore\ascoltatore essenziale
per coglierne lintenzione pedagogica. Il discorso si snoder a
partire dalla comprensione delle implicazioni di due enunciati divini, insistendo sulla centralit della relazione tra e :
tale comprensione risulter ugualmente vincolante per la Dea e
per i mortali (manifestando un decisivo, comune denominatore
razionale): (i) legittimando, da un lato, il taglio argomentativo di
alcuni dei frammenti della prima sezione (segnatamente B8, parzialmente B6) e l adottato dalla divina interlocutrice per
istruire il ; (ii) contribuendo dallaltro a determinare
loggetto intorno a cui verte il discorso, indicato dallo stesso Parmenide (nella formula pi astratta) come .
23
311
luna che e che non [possibile] non essere (B2.3)
laltra che non e che necessario non essere (B2.5)
ovvero, volendo risolvere le infinitive in una soggettive esplicite (come appare pi naturale):
luna che e che non possibile che non sia
laltra che non e che necessario che non sia.
La nostra preferenza per la resa infinitiva legata alla possibilit di rimanere pi aderenti alla costruzione greca e soprattutto di
sfruttarne gioco espressivo e ambiguit.
In apparenza, lalternativa ( ... ...) reitera pur senza
sovrapposizione, come vedremo - lo schema oppositivo gi impiegato dalla Dea nella propria allocuzione di saluto, quando aveva sottolineato al lesigenza di tutto apprendere:
,
sia di Verit ben rotonda il cuore fermo,
sia dei mortali le opinioni, in cui non vera credibilit
(B1.29-30).
L'una - laltra
Ammettendo la sostanziale continuit tra B1 e B2, le due opposizioni, cariche di significato in forza delle reciproche introduzioni (nel primo caso - B1.28 lurgenza di
; nel secondo linterrogativo implicito in
), appaiono evidentemente collegate,
312
anche se non (come vorrebbe qualcuno24) nel senso di una puntuale correlazione.
Nel caso di B2, lopposizione emerge non solo, sul piano espressivo, nella scelta della costruzione ( ... ), ma
soprattutto, sul piano logico, nella peculiare costruzione degli enunciati, che possiamo rispettivamente articolare nei due emistichi dei versi 3 e 5, quindi:
[] (B2.3a)
[] (B2.5a)
(B2.3b)
(B2.5b).
Letteralmente dovremmo tradurre, attribuendo (come prevalentemente si fa) a e il valore di congiunzioni (subordinanti) dichiarative (sottintendendo, dunque che dice ovvero
che pensa):
luna [che pensa] che 25 [] (B2.3a)
laltra [che pensa] che non [] (B2.5a),
e che non [possibile] non essere (B2.3b)
e che necessario non essere (B2.5b).
24
313
quanto quella proposta da Ferrari 27, almeno per quel che concerne la resa di e con secondo cui, che ben suggerisce
l'idea delle diverse prospettive di ricerca.
Il rilievo oppositivo delle vie pu essere rafforzato se come possibile e per certi versi naturale nel contesto B2.3b (
) reso con espressione modale; avremmo cos:
e che: non possibile non essere [ovvero: che non
sia] (B2.3b)
e che: necessario non essere [ovvero: che non sia]
(B2.5b).
In questo caso, sarebbe evidente come Parmenide abbia deliberatamente costruito le vie di ricerca facendo leva sulle opposizioni non e non [possibile] non essere - necessario non essere: la Dea per acclarare
- ricorre a due formule coordinate 28 : (i)
[pensare] che A e che B per la prima via; (ii) [pensare] che
non-A e che non-B per la seconda. In greco abbiamo: A = ;
non-A = ; B = ; non-B =
. Nello schema che cos si delinea, da un punto di vista logico non-B dovrebbe corrispondere alla negazione di non possibile non essere e dunque a possibile non essere, non a
necessario non essere. In questo senso, stato giustamente osservato (Kahn, Mourelatos, Lloyd, Leszl) che, alla luce della posteriore logica aristotelica, gli enunciati 2.3a e 2.5a sarebbero effettivamente contraddittori29, mentre gli enunciati 2.3b e 2.5b (costruiti sulla opposizione non possibile...- necessario...) solo contrari30, e che dunque la formulazione alternativa non sarebbe esaustiva. Eppure nell'insieme appare chiara (Aubenque,
27
314
Heitsch) lintenzione di Parmenide di esprimersi attraverso alternative esclusive (quindi in termini di espressioni incompatibili)31.
In questo senso la nostra scelta di rendere il testo greco con subordinate implicite:
luna: e non possibile non essere
laltra: non ed necessario non essere,
- non
Il primo interrogativo ovviamente suscitato dall'assenza, in
greco, di un soggetto per - : dal momento che le
principali lingue moderne richiedono che esso sia in qualche modo esplicitato, la traduzione del testo ha sopportato svariati tentativi di completamento: dalla scelta dell'assoluta indeterminatezza33, a quella della forma impersonale34, dal ricorso a pronomi35
31
32
33
Tipicamente Calogero.
Frnkel.
35
Si tratta della soluzione pi frequente.
34
315
(it, es, on), sostantivi (lessere36, la via37, la Verit38, il mondo reale39, il corpo40), all'uso di intere formule sottintese - whatever can
be thought and talked about41 (come viene da alcuni tradotto il
primo emistichio di B6.1), whatever we inquire into 42.
Da un punto di vista filologico lipotesi di una lacuna relativa
al soggetto - azzardata per esempio da Cornford 43 e Loenen44, i
quali propongono rispettivamente (l'essere) e (qualcosa)
appare forzata: i codici conservati di Proclo e Simplicio, infatti,
presentano lo stesso identico testo 45 e loperazione sul verso risponde quindi a un'esigenza essenzialmente interpretativa. Parmenide, evidentemente, ha scelto di esprimere i suoi enunciati in
questo passaggio del poema senza un soggetto esplicito. Pu essere in questo senso provocatorio il suggerimento della Wilkinson,
la quale, in considerazione della naturale destinazione recitativa
del poema, considera lassenza di un soggetto definito per
come una modalit intenzionale per esaltarne, nella ripetizione, la
formula: la sua rarit nella poesia arcaica fa supporre che per
laudience di Parmenide il termine (soprattutto senza soggetto o
come soggetto esso stesso) fosse una novit46.
Daltra parte, lesame del frammento consente di individuare
un soggetto implicito: la stessa logica di costruzione delle vie
comporta, infatti, che, nel momento stesso in cui la Dea sottolinea:
36
Tipicamente Cornford.
Untesteiner.
38
Verdenius.
39
Casertano.
40
Burnet.
41
Russell, Owen.
42
Barnes.
43
F.M. Cornford, Plato and Parmenides, Routledge & Kegan Paul, London
1939.
44
J.H.M.M. Loenen, Parmenides, Melissus, Gorgias: A Reinterpretation of
Eleatic Philosophy, Van Gorcum, Assen 1959.
45
Come osserva Cordero (By Being, It is, cit., p. 37), curioso che le citazioni
di questi versi (in Proclo e Simplicio) siano posteriori al poema di un
millennio.
46
Wilkinson, op. cit., pp. 93 ss..
37
316
-
non potresti conoscere ci che non (non infatti cosa
fattibile),
n potresti indicarlo (B2.7-8),
Questo rilievo in R. Mondolfo, Discussioni su un testo parmenideo (fr. 8.56), Rivista critica di storia della filosofia, 19 (1964), p. 311. Si veda
anche Coxon, op. cit., p. 177.
48
Op. cit., p. 175.
317
318
tempo, la totalit degli enti (di ognuno dei quali si dice che ci
58
319
61
320
[]
che senza nascita ci che e senza morte (B8.3),
per questo non incompiuto lessere lecito che sia
(B8.32).
63
321
La via () che pensa che non- [e che necessario non essere] abbandonata, in quanto impensabile [e] inesprimibile,
perch non genuina ( ). In B2.6-7 si parla di sentiero
del tutto privo di informazioni: conoscere ci che non ovvero indicarlo non in effetti cosa fattibile. Laltra si invece
deciso () sia\esista () e sia reale\genuina\vera ( ). Se in B2, nelleconomia della
lezione divina, essenziale soprattutto focalizzare lattenzione sul
valore decisivo della espressione verbale , preparando il terreno alla comprensione delle implicazioni nella formulazione delle vie, in B8, al contrario, riscontriamo gli effetti della sistematica applicazione alla prima via, con altrettanto sistematica esclusione della seconda.
La prima via per pensare (comprendere) afferma ; la seconda lo nega ( ). La prima via completa e assolutizza
laffermazione con la negazione del non-essere (
), ovvero della possibilit del non-essere. La seconda via assolutizza la negazione affermando la necessit del non-essere (
). Con la prima via, attraverso lesplicito (e incondizionato) rilievo di e dellimpossibilit di , viene implicitamente imposto loggetto pienamente positivo della
ricerca (, ); con la seconda, che nega quanto la prima afferma, viene, di conseguenza, delineato loggetto alternativo, radicalmente negativo, indicato come , dichiarato al v. 7
come oggetto indisponibile alla conoscenza o alla manifestazione.
In B6.1-2a:
,
322
Non pare che alla seconda delle vie di ricerca si debba attribuire la contraddizione che, invece, viene denunciata nelle opinioni
dei mortali: condivisibile su questo punto quanto sottolineato da
Mansfeld 66 . Lidentificazione della seconda via con quella del
mondo dellesperienza errata: ricordiamo come la seconda via
ancora connotata in B8.17-18:
-
- .
[Si deciso] di lasciare luna [via] impensabile [e]
inesprimibile (poich non
via genuina).
Della via non non si pu concepire un contenuto reale: essa allora , ma anche (letteralmente senza
nome: non si pu indicare ci che non in senso assoluto). Ma
sono proprio i nomi a caratterizzare il mondo fenomenico, come sottolinea la stessa divinit (B8.38b.41):
,
,
, ,
Per esso tutte le cose saranno nome,
quante i mortali stabilirono, convinti che fossero reali:
nascere e morire, essere e non essere,
cambiare luogo e mutare luminoso colore.
A rimanere senza nome definitivamente ci che (necessariamente) nulla, quanto appunto espresso nella formulazione
della seconda via, e designato come .
Le due enunciazioni divine (affermativa e negativa) in quanto vie di ricerca, le uniche per pensare - devono essere reciprocamente alternative ma in s incontraddittorie, e tracciare i percorsi (, ) per i quali: (i) generare le nozioni di
essere e non-essere; (ii) valutare, in relazione al coerente ri66
324
325
Il percorso di Persuasione
La rivelazione divina delle vie di ricerca accompagnata da
due rilievi.
Relativamente alla via che e che non possibile non essere, la Dea osserva che:
- di Persuasione il percorso (a Verit infatti si
accompagna) (B2.4),
In Fedone 79e:
, , , ,
, ,
Mi sembra disse - che chiunque, Socrate, anche il pi
tardo, muovendo da questa via [ ], debba
convenire che l'anima , in tutto e per tutto, pi simile a ci che
sempre che a ci che non lo .
69
326
Linsistenza sul processo (la via, il percorso) importante perch sottolinea come la Dea prospetti, nellimmediato, essenzialmente la direzione di una ricerca, aperta al coinvolgimento razionale del . In questo senso, la dimensione della (progressiva)
scoperta della realt autentica (Verit), che culminer in B8, se da
un lato conferma lassociazione (heideggeriana) tra e disvelamento (non-nascondimento), dallaltro accentua gli aspetti di
attivo condizionamento del ricercare, donde il rilievo della cognizione critica (B7.5: giudica con il ragionamento,
) e il ruolo riconosciuto (B3, B4) a e .
La realt (Verit) obiettivo del percorso di Persuasione (che
a Verit, osserva la Dea, si accompagna, ovvero tien dietro,
), proposto come oggetto di apprendimento, conoscenza e
discorso70: il percorso sar genuino, vero, nella misura in cui svela
la realt. Che essa (Verit) si manifesti (a colui che ricerca con
intelligenza) lungo la via (che pensa o afferma) che e che non
[possibile] non essere ulteriormente marcato come abbiamo
pi volte rilevato dall'indicazione con cui la Dea stigmatizza
l'alternativa, seconda via (B2.6-8):
; ;
Ebbene, non proprio questo itinerario che chiami
dialettica?
Poche righe sotto (532 d-e), Glaucone invita Socrate a determinare la natura
della dialettica:
,
,
, , ,
Devi dirci allora quale sia il modo della facolt della
dialettica, quali siano le specie in cui divisa, e quali le vie;
queste infatti, come pare, sono le vie che potranno condurre l
dove, pervenuti, potr esservi riposo dal cammino e fine del
viaggio.
70
327
-
Proprio questa ti dichiaro essere sentiero del tutto
privo di informazioni:
poich non potresti conoscere ci che non (non
infatti cosa fattibile),
n potresti indicarlo.
Si tratta di un rilievo decisivo: la divinit mette in gioco l'autorevolezza del proprio io ( , ti dichiaro) per rivelare,
della via che non e che necessario non essere, che essa un
sentiero (, tracciato secondario) per cui non si accede
alla realt, lungo il quale non si pu fare esperienza o imparare
raccogliendo informazioni.
Ci-che-non-
in questo contesto che la Dea introduce la formula
(participio sostantivato). Nella cornice di un processo di indagine
che evoca il tradizionale motivo omerico del viaggio 71, la precisazione netta: il ricercatore che pretendesse lasciarsi guidare
dall'assunto non ed necessario non essere, non potrebbe
propriamente incontrare, n indicare () qualcosa. Pensare che non e che necessario non essere non porta da nessuna
parte: nemmeno la guida divina pu tracciare concretamente tale
via, portando a casa un risultato conoscitivo:
-
poich non potresti conoscere ci che non - non
infatti cosa fattibile (B2.7).
328
Ivi., p. 78.
Su questo punto oggi da valutare quanto scrive Palmer, op. cit., pp. 83 ss..
74
Leszl, op. cit., p. 105.
73
329
concludere (letteralmente) nella onto-logia. Ci comporta riconoscere, con Cordero75, che l'assolutizzazione del concetto di essere ottenuta da Parmenide attraverso la negazione della contraddittoria nozione di non-essere. Il focus ontologico del poema (sinteticamente ribadito con formula ,
: [possibile] infatti essere, il nulla invece non )
cos proposto contestualmente allunico, fondamentale rilievo sul
non-essere: non [possibile] non essere.
75
76
330
331
79
Ivi., p. 220.
332
333
La collocazione
Nel tentativo di offrire contesto e senso al frammento si per
lo pi operato in due direzioni, che appaiono legittime:
(i) ricondurlo a complemento di B2.7-85 e quindi proporlo a
sostegno () dell'indicazione secondo cui il non-essere non pu
essere n indicato n conosciuto 6;
(ii) proiettarlo verso B6.1-2 e B8.34-37, come in particolare
oggi propone Cordero7, con argomenti convincenti.
B3 e B2
Nel primo caso si insiste soprattutto sulla compatibilit metrica e logica8 con lultimo verso di B2: i termini coinvolti e
sono chiaramente correlati nella prospettazione delle due
vie (le uniche per pensare), mentre in B2.7 Parmenide utilizza
lespressione per indicare loggetto su cui andrebbe a
vertere la seconda via: oggetto che non pu essere conosciuto e
indicato. B3, dunque, non farebbe che esplicitare il nesso identita-
OBrien, op. cit., p. 19. Daltra parte il senso della citazione di Proclo (Theol.
plat. I, 66) appare indiscutibile:
,
334
335
conceiving16). Luso arcaico di evoca effettivamente funzioni analoghe a quelle del verbo (normalmente tradotto
con conoscere), sebbene suggerisca in primo luogo il riconoscimento, la capacit di penetrazione intellettuale 17.
B3, B6.1 e B8.34-7
e soprattutto B8.34-7, in cui Parmenide attribuirebbe al pensiero una sola causa20: il fatto d'essere:
.
o , [invece di ]
,
(B8.34-36a)
pensare e ci a causa del quale c il pensiero sono la
stessa cosa
dal momento che senza l'essere, grazie a 21 cui
espresso,
14
Heitsch.
Sellmer.
16
Coxon.
17
Leszl, op. cit., p. 68.
18
Cordero, By Being, It Is, cit., p. 83.
19
Usiamo, traducendo in italiano, la versione dello stesso Cordero.
20
Come si vedr, noi interpretiamo il passo in modo diverso.
21
Cordero utilizza la versione (invece di ), unanimente attestata nei
manoscritti di Proclo.
15
336
337
Nel citare i versi 3-8 di B2, Simplicio precisa che essi contengono le premesse () del discorso di Parmenide:
,
,
,
25
26
338
La congettura adottata da Mansfeld, per giustificare a un tempo luso implicito di B3 come assioma nella tradizione peripatetica, e la sua autonomia da B2 attestata dalla tradizione neoplatonica, quella di proporlo come modificazione della conclusione
dellargomento di B2, per noi solo implicita 29:
< >
solo lessere (ci che ) vi allora per pensare e dire.
27
339
Solo lessere pu essere oggetto per pensare: con Parmenide avrebbe introdotto qualcosa che manca nella enunciazione
della prima premessa (la prima via) del sillogismo di B2 (la cui
conclusione, quindi, avrebbe dovuto essere: solo la prima via
che e che non possibile non essere per pensare).
Lintroduzione del soggetto sarebbe giustificata proprio da
B3: nel testo tradito di B2 ci si limita a rilevare limpossibilit
(non infatti cosa fattibile) di procedere lungo la seconda via,
designata dalla espressione ; B3 potrebbe rinviare immediatamente come precisazione - alla conclusione formale, in
cui essere e pensiero sarebbero stati esplicitamente correlati. La
Dea allora sottolineerebbe in B3 quella che dal suo punto di vista
una evidenza: lidentit di essere e pensiero (vi ritorner in
B8.34 ss. con una pi articolata riflessione).
Essere e pensare
Nella nostra traduzione abbiamo scelto di mantenere la struttura sintattica pi naturale del verso greco, cercando, allo stesso
tempo, di preservarne lambiguit: la Dea di Parmenide didascalicamente reitererebbe, in positivo, limplicito (nei nostri frammenti) risultato dellargomento delineato in B2:
(i) da un lato per marcare il nesso tra e e la sua natura intellettuale - cos preparando la nota discriminante rispetto
all , all'abitudine alle molte esperienze (B7.3);
(ii) dallaltro per richiamare lattenzione del sul contenuto della prima via (altrimenti espresso con ovvero ).
Il pensare introdotto in B2 come esercizio avulso da riscontri
empirici; unattivit in cui si semplicemente chiamati a riconoscere un'evidenza: che pur considerando la possibile alternativa
per pensare e conoscere la verit c una sola via da percorrere.
Nello stesso tempo, lidentit affermata in B3 sottolinea lo stretto
rapporto tra il percorso (la sola via di ricerca che effettivamente
possibile seguire) e il suo esito: la via in qualche modo impo340
Quale identit?
Nel suo commento Cerri 31 ha segnalato, nell'identificazione
dei due verbi, stranezza apparente e sinteticit paradossale:
, infatti, evidenzia un atto della mente (che viene reso come
capire), uno stato delle cose. Latto intellettivo sarebbe
dunque solo laspetto soggettivo dellidentit tra due cose (esse
sembrano diverse, essendo in realt la stessa cosa); quell
identit, invece, laspetto oggettivo dellatto intellettivo.
32
Ruggiu sottolinea, da un lato, laspetto linguistico dellidentit,
la connessione immediata tra termini nel linguaggio ordinario non
considerati identici; dallaltro laspetto che potremmo definire
dialettico della relazione: lidentit anche distinzione e si costituisce come rapporto di reciproca implicazione. Thanassas, infine, rileva come lidentit tra essere e pensiero non sia da intendere in senso matematico: il testo greco con suggerisce
uninterazione, una mutua connessione e reciproca referenza.
Nessun pensare senza essere, nessun essere senza pensare 33.
Dallincrocio con B2, B6 e B8 abbiamo ricavato segnali abbastanza definiti circa la relazione cui allude la sintetica formula del
frammento: (i) rilevata limpossibilit di percorrere un corno della
disgiunzione tra le vie ( e non possibile non essere - non ed
necessario non essere), in quanto non si pu conoscere
() n indicare () ci che non , e (ii) probabilmente integrato il rilievo con la necessaria conclusione positiva
circa la effettiva praticabilit della via alternativa (conoscere e indicare , ci che ), la Dea (iii) estrae quella che nella sua ot30
341
342
tendendolo come atto di riconoscimento immediato; in abbiamo individuato la forma verbale con cui Parmenide esprime
levidenza presupposta per ogni attivit di pensiero: quanto possiamo indicare come essere ovvero il fatto di esistere.
Una certa tensione sussiste tra B2 e B3 riguardo al valore di
. Mentre in apertura della propria comunicazione la Dea salda lalternativa delle vie di ricerca a (esse, ribadiamolo,
sono le uniche per pensare), dunque collegando al verbo non
solo la via positiva, ma anche quella negativa - non solo quella
che avr il proprio soggetto in (B8.32), ma anche quella che
(non) lo trova (B2.7) in -, nella formula sintetica del
nostro frammento il pensare sembra vincolato allessere, addirittura si afferma che pensare ed essere sono la stessa cosa. In che
senso, allora, possibile sostenere la relazione tra e la via:
che non ?
Abbiamo gi osservato in sede di traduzione come i curatori
delle edizioni dei frammenti abbiano spesso optato per determinare in modo da evitare di renderlo genericamente come pensare; ma non facile aggirare la difficolt, a meno di non decidere di mantenere il valore generico in B2.2 e introdurne uno specifico (comprendere, capire) in B3. Operazione legittima ma un
po forzata. Secondo Leszl 36 , invece, B2.2 presenterebbe
come atto puramente intellettuale (implicitamente da contrapporre
allimmediatezza del riscontro sensibile), che coglie lalternativa
delle vie in quanto possibilit del tutto astratte. Tale atto, tuttavia,
sarebbe in ultima analisi riconducibile a un caso di intellezione
immediata delloggetto, consistendo di fatto nel riconoscimento
(intuitivo) della validit del principio del terzo escluso.
In attesa di trovar sottolineato in B4 un ulteriore, essenziale
carattere della facolt indicata come - la capacit di rendere
presente qualcosa che pu essere lontano nello spazio e nel tempo
-, possiamo provvisoriamente concludere che:
36
343
37
Ivi, p. 68.
344
345
Lautore alessandrino sottolinea come quel che Parmenide afferma in B4 alluda enigmaticamente (questo il senso del verbo
: adombrare, alludere per enigmi) alla (e alla
) cristiana: il saper rappresentare (rendere presente) il futuro
da parte dellintelligenza (). In questo senso, Parmenide riconoscerebbe al la capacit di rendere presenti enti assenti e
346
lontani 5 . La prospettiva appare certamente gnoseologica, investendo una facolt cognitiva che Clemente decisamente caratterizza rispetto allorgano di senso: un vedere () con il
pensiero ( ) contrapposto (con lavversativa) al vedere
con gli occhi ( ). Ad accentuare lopposizione
troviamo anche lindicazione di oggetti specifici ( ) per
lintelligenza, diversi (significativo laccostamento a ,
le cose a venire) da quelli immediatamente colti sensibilmente:
si osserva, infatti:
,
nessuna di queste cose mai vediamo con gli occhi, ma
solo con il pensiero.
La Dea, che ha la parola, invita il a osservare e prendere in considerazione come cose assenti (o lontane) ( )
possano risultare al pensiero () a un tempo presenti (o
prossime) (). Precisando ulteriormente:
non impedirai, infatti che l'essere sia connesso
all'essere (B4.2).
5
347
chiaro come la possibilit di pensare (rappresentare) cose assenti o lontane come presenti o prossime passi attraverso la consapevolezza dellomogeneit di : il raccoglie e supera,
nella omogeneit di , le differenze che si impongono sul piano empirico. Il , in questo modo, si impone come uno sguardo altro rispetto a quello dei sensi, in grado di superarne le discriminazioni alla luce di una realt che solo lintelligenza stessa
dischiude. indicativo il fatto che Parmenide scelga un verbo
etimologicamente legato a (nel linguaggio omerico chiaro, limpido), che porta con s dunque lidea di chiarezza, luminosit, trasparenza 6. Un verbo che pu essere direttamente messo in relazione con (), per assumere il valore di
chiarire con il pensiero [l'intelligenza].
I primi due versi di B4, quindi, si prestano alla curvatura gnoseologica che il contesto della citazione di Clemente implica, senza tuttavia comportarne necessariamente le opposizioni; senza
imporre, in particolare, lopposizione tra due inconciliabili visioni, sensibile e spirituale, come ha correttamente rilevato la Stemich, sottolineando come in siano a un tempo coinvolti entrambi gli elementi 7 . Possiamo inoltre marcare come il
frammento non autorizzi a retroiettare in Parmenide una teoria dei
due mondi (sensibile e intelligibile, ovvero presente e futuro), ma
semplicemente registri due distinte modalit di guardare alla realt: limmediato sguardo sensibile e la pi accorta considerazione
dellintelligenza, che ne supera le contraddizioni. Con il risultato
(che traspare in B4.1-2) di offrire, della stessa realt, due prospettive, una soggetta a distorsioni, laltra corretta (che nelleconomia
del poema sono accentuate come opinioni dei mortali e Verit).
nostra convinzione (che presuppone una complessiva interpretazione del pensiero di Parmenide) che proprio da questo
frammento possano ricavarsi preziose indicazioni riguardo alla
capacit dellintelligenza di superare la frammentazione del dato
6
7
348
empirico, raccogliendone pluralit e differenze nella unit e compattezza dellEssere. Luso del plurale -, quindi
del singolare , segnalerebbe appunto come siano (-), in quanto mantiene lunit e la
compattezza (nellEssere) di tutti i suoi momenti 8. Elementi che
puntano in direzione della seconda sezione del poema.
I due versi iniziali autorizzano, dunque, ad associare a (e
) due distinte ma coordinate operazioni:
(i) superare i vincoli spazio-temporali presentificando la pluralit dispersa (spazio-temporalmente), rappresentando presenti
cose assenti;
(ii) cogliere la loro connessione (veicolata dal verbo )
in (ovvero il fatto che connesso a ).
La seconda operazione propriamente ontologica, nel senso
che riconosce e traduce in termini di la molteplicit espressa nei due plurali del primo verso (-): la si voluta leggere anche come un portare le cose lontane-assenti alla
presenza dellessere9. Lo spessore gnoseologico (ed epistemologico) del passaggio consiste nel fatto che loggetto ( ) cui il
riferito, direttamente 10 o indirettamente 11 , diverso dagli
oggetti molteplici ai sensi (senza tuttavia trasformarsi in una entit che neghi la molteplicit del mondo 12): li abbraccia e li raccoglie interamente, senza dislocarsi su un piano di realt altro.
Come nota puntualmente Leszl, ci fa di unattivit che
si spinge oltre limmediato sensibile, rendendo presente lassente,
senza la sua preliminare evidenza percettiva: un pensare del tutto
intellettuale, che ha per oggetto qualcosa che si impone
8
349
saldamente presenti
Ritornando sullapertura di B4, chiaro che luso
dellavverbio (saldamente) nel primo verso, e lintero
contenuto del secondo contribuiscono a determinare come un
pensiero che conduce alla continuit e stabilit dellessere:
Considera come cose assenti siano comunque al
pensiero saldamente presenti;
non impedirai, infatti, che l'essere [ci che ] sia
connesso all'essere (B4.1-2).
13
350
Effetto delloperare del la solidit della connessione degli enti (-), al di l delle loro coordinate spazio-temporali, e
il riconoscimento del loro comune denominatore nellEssere (
). Pi precisamente: il quello sguardo che, da una parte,
illumina e unifica e (nell), dallaltra si vieta
di introdurre discriminazioni (spazio-temporali) in 17. Alla
luce di B3, esso aderisce completamente all: lavverbio
veicolerebbe allora lidea di stabilit, costanza, caratteristica delloggetto ( , appunto), ma suggerirebbe pure qualcosa circa latteggiamento di chi sulla strada della verit: la certezza e affidabilit (ricordiamo di B1.29) di un modo
di vedere, corrispondente a un modo dessere; a un saldo e
pieno di fiducia18.
Dal momento che manca una specifica argomentazione a sostegno della affermazione di B4.2, alcuni interpreti (Kirk-Raven,
West, Gallop) hanno messo in relazione B4 con B8.22-5:
,
, ,
, .
N divisibile, poich tutto omogeneo;
n c qui qualcosa di pi che possa impedirgli di
essere continuo,
n [l] qualcosa di meno, ma tutto pieno di ci che .
perci tutto continuo: ci che si stringe infatti a ci
che .
Questa indicazione, concettualmente apprezzabile, non comporta inevitabilmente una presa di posizione sulla collocazione
del frammento nel complesso del poema. Non implica, in altre parole, necessariamente la dipendenza di B4 da B8 e dunque a una
sua dislocazione nella sezione sulla Doxa (o addirittura allinterno
dello stesso B8, dopo i versi 22-5). Forse, accettandone le impli17
18
351
352
Il noos e il cosmo
Che egli possa aver imboccato tra i primi - questa seconda
direzione, suggerito dai passi paralleli - segnalati dagli editori in Empedocle (B17.18-21; riferimento gi in Clemente) e Anassagora (B8), in cui la dimensione cosmologica indiscutibilmente
centrale, implicando unontologia influenzata da Parmenide:
,
, ,
,
,
Fuoco e Acqua e Terra e laltezza immensa dellAria,
e Contesa, disgiunta da essi ma di pari peso, ovunque,
e Amore, in essi, uguale in lunghezza e larghezza.
Osservala con lintelligenza, non restare con sguardo
stupito (Empedocle; DK 31 B17.18-21).
Nellunico universo non si trovano separate le cose, le
une dalle altre, e non risultano tagliati a scure n il caldo
dal freddo n il freddo dal caldo (Anassagora; DK 59 B8).
353
354
Ivi, p. 175.
355
Disperdendosi, concentrandosi
I versi 3-4 alludono a qualche specifico precedente cosmologico-cosmogonico, ovvero dobbiamo pensare a un riferimento generico? Gli interpreti sono divisi anche su questo punto: qualcuno, come Coxon22, vi coglie una polemica nei confronti della teoria di una sostanza prima soggetta a condensazione e rarefazione
(Anassimene23, pur non escludendo il coinvolgimento polemico di
Eraclito DK 22 B9124); altri, come Guthrie25, ritengono Parmenide
22
<
>
356
alluda a Eraclito (B91)26; altri ancora, come Conche27, valorizzando lintenzione ontologica del frammento, dubitano che possa riferirsi a fenomeni di condensazione-rarefazione, giudicando tale
lettura obiettivista, superficiale e banale.
In realt, se si prende sul serio linteresse cosmologico del poema di Parmenide, pare corretto individuarne un obiettivo polemico, da cui il filosofo avrebbe preso le distanze: nella logica
dellopera si potrebbe ipotizzare che la riflessione pi strettamente ontologica offra gli strumenti concettuali per contestare alternativi modelli esplicativi della natura e fondare una pi consapevole
e coerente teoria fisica. Schematicamente convincente la lezione
di Graham28, il quale, ammiccando a Thomas Kuhn, individua tre
paradigmi scientifici, successivamente attivi tra VI e V secolo
a.C.:
(i) quello con cui originariamente si ricerc la scaturigine
() degli enti, il loro principio (), e si tent di inquadrare
i fenomeni naturali, indicato come Generating Substance Theory
(GST);
(ii) quello che avrebbe, secondo lautore, radici nella seconda
parte del poema parmenideo e sarebbe poi stato sviluppato, pi o
meno coerentemente, dai pensatori tradizionalmente designati
come pluralisti (Empedocle, Anassagora, atomisti), definito
come Elemental Substance Theory (EST);
( ,
)
Non possibile scendere due volte nello stesso fiume,
secondo Eraclito, n si pu toccare due volte una sostanza
mortale nell'identico stato; ma, per lo slancio e la velocit del
mutamento, si disperde e di nuovo si raccoglie (piuttosto, non di
nuovo n dopo, ma a un tempo si riunisce e si separa), viene e
va.
25
357
358
Il frammento di Parmenide un breve passaggio nelle centinaia di versi complessivi del poema potrebbe dunque essere risultanza di una pi o meno esplicita evocazione dei precedenti ionici, per marcare l'originalit del contributo eleatico soprattutto in
termini di coerenza come attesterebbe linsistenza sul e sul
suo operare - con i presupposti taciti nella stessa concezione della
realt della - ionica.
Proprio questa possibile funzione critica farebbe di B4 una
sorta di passe-partout per il poema:
359
34
360
361
La verit che il apprender la verit del Tutto, un sapere compiuto: i limiti delluomo non consentono tuttavia che tale
sapere sia acquisito tutto in una volta. necessario un ordine, corrispondente alle tappe di una ricerca, modalit tipicamente umana
di accedere alla conoscenza. Il percorso, la via da seguire (affermazione di una via ed esclusione di unaltra, ecc.) rappresentano
un escamotage didattico che ha senso solo per il discepolo, non
per la Dea: per lei il punto di partenza e lordine di esposizione
sono indifferenti. In relazione a una verit definita nel poema
(ben rotonda), Cerri valorizza, a sua volta, la prospettiva didascalica del frammento5, rafforzata dal possibile accostamento a Eraclito (DK 22 B1036) e dalleco nel Sofista platonico
(237a 7 ): Parmenide implicherebbe una sorta di circolarit della
ricerca scientifica e del discorso che la espone8.
4
Comune , in effetti, nella circonferenza del cerchio il
principio e la fine.
7
Il passo il seguente:
.
, ,
362
,
[DK 28 B7.1-2]
Questo discorso ha osato supporre che sia ci che non : il
falso, in effetti, non potrebbe generarsi in altro modo. Il grande
Parmenide, invece, ragazzo mio, a noi che eravamo ragazzini
proprio contro questo discorso testimoniava dall'inizio alla fine,
in prosa e in versi, che [citazione B7.1-2].
8
363
364
che lo stesso Simplicio salda esplicitamente allargomento ontologico successivo (B8). In effetti, il primo verso e il primo emistichio del secondo sono richiamati dal commentatore, in altro contesto, proprio per marcare il nesso tra pensiero ed essere:
[B6.1-2a].
,
Ma che la nozione di tutte le cose sia una e la stessa,
quella dell'essere, Parmenide sostiene in questi versi:
[B6.1-2a]
Se proprio l'essere ci di cui possibile dire e
pensare, di tutte le cose vi sar una sola nozione, quella
dell'essere (In Aristotelis Physicam 86, 25-30).
Per la sua discussa interpretazione corretto e inevitabile rinviare al complesso B2-B3, a maggior ragione ipotizzando che gli
attuali B4 e B5 siano fuori posto (in particolare che B5 possa precedere immediatamente B2 e B4 trovarsi a cavaliere tra prima e
seconda sezione). possibile, infatti, intravedere nei versi e nel
contesto della citazione la centralit del riferimento critico a
(
),
.
, ,
, ,
Cos, in quanto chiaro che [gli assiomi] appartengono a
tutte le cose in quanto sono (l'essere infatti ci che comune a
tutti), proprio di colui che indaga l'essere in quanto essere
anche lo studio di questi [assiomi]. Perci, nessuno di coloro che
si limitano all'indagine di una parte si cura di dire qualcosa di
essi, se siano veri o no: non il geometra, n il matematico. Ne
parlarono, tuttavia, alcuni dei fisici, e a ragione: credevano in
effetti di essere gli unici a ricercare sul complesso della natura e
sull'essere.
365
La nostra traduzione4 ricava due formule modali ( necessario, possibile) dal testo greco, che appare invece immediatamente costruito su tre formule tautologiche:
(letteralmente: ci che [l'essere] ),
(che si potrebbe rendere letteralmente:
essere ovvero [l']essere ),
(letteralmente: ni-ente non ).
Lessere dellente
Il primo emistichio costituito da tre blocchi testuali:
(i) lespressione verbale , che abbiamo reso come necessario: si tratta di una formula con cui la Dea rileva un passaggio
significativo della propria comunicazione, proposto come conclusione di un argomento (le premesse introdotte dall'indicatore );
(ii) le due forme verbali allinfinito e precedute da , con valore di articolo sostantivante (il [fatto di] dire,
il [fatto di] pensare), ovvero, come crede qualcuno, di dimostrativo in funzione prolettica (dire questo e pensare questo:
.); in ogni caso evidente che la Dea (Parmenide) coinvolge
due verbi particolarmente pregnanti nel contesto della sua rivelazione: richiama immediatamente B3 e B2.2 (), mentre
pu collegarsi a (B2.6-8);
(iii) linsieme verbale , formato dal participio presente del verbo essere (, forma ionica di : essente, ovvero ente o ancora ci che e quindi anche essere) e
dallinfinito dello stesso verbo ( nella forma epica), che
4
367
368
Delle due vie di ricerca di B2 le uniche per pensare quella che pensava che non di fatto indisponibile, perch,
come abbiamo ricordato, ci che non non conoscibile n
esprimibile; questo porta la Dea in B3 a rilevare il nesso tra
e , tra il pensiero che svela () e lunico suo reale oggetto
possibile () alla luce delliniziale alternativa tra le vie.
Nellapertura di B6, ai due infiniti ( e ) viene esplicitamente attribuito un oggetto: la dichiarativa (ci che
). La Dea non si limita in questo modo a riprendere ed esplicitare la propria tesi: sottolinea anche come pensiero e discorso
debbano correttamente ammetterla 9 . A tale scopo, in B6.1b-2a,
ella reitera nella sostanza le risultanze di B2:
,
essere, infatti, possibile,
7
369
Traducendo letteralmente:
,
370
zione tautologica (quindi vera). Per molti versi si tratta della versione pi naturale10, ma ha lo svantaggio di non dare del tutto ragione delluso di . Seguendo una affermazione (
), esso dovrebbe introdurre le proposizioni
in grado di giustificarla: ora la doppia tautologia (si tratta
dellaspetto che rende pi perplessi) sembra semplicemente riformulare la dichiarativa ( funge da soggetto in sostituzione
di ), negando lessere al soggetto contrario ([il] ni-ente). La
Dea, dunque, sosterrebbe la propria tesi direttamente, marcando la
non esistenza del non-essere: oggetto del dire e del pensare non
pu allora che essere ci che , perch solo ci che [lessere]
[esiste].
Il vantaggio di questa soluzione quello di mettere in valore la
possibile struttura delle due vie di B2: come abbiamo osservato,
la disgiunzione \ riformulata in termini tautologici,
dunque investirebbe in realt due verit, in questo senso proposte
come le uniche vie di ricerca per pensare 11, una delle quali (sviluppare coerentemente la premessa che ) feconda, laltra (sviluppare coerentemente la premessa che non ) assolutamente
improduttiva. Questo spiegherebbe il tono del discorso della Dea,
che cambia e si fa sprezzante solo quando denuncia la confusione
dei che incrociano le due vie: come fa osservare Giorgio
10
Tra l'altro potrebbe essere suffragata dal fatto che due codici (BC) di
Simplicio riportano .
11
In questo senso la lettura della Germani, op. cit., p. 191.
371
Colli 12 , la via enunciata in B2.5 non era stata rifiutata con disprezzo, perch volgare, come accade invece con quella formulata
a partire da B6.4.
Le altre due soluzioni, in fondo, non si allontanano concettualmente dalla precedente, trovando comunque nel contesto dei
frammenti una loro sensata giustificazione. Nel primo caso (poich essere, il nulla, invece, non ) sarebbe messo in valore l'essere di ci che (), dell'ente, ribadendo la non esistenza del
nulla, del "ni-ente"; nel secondo (la costruzione appare meno naturale) la Dea otterrebbe lo stesso risultato sottolineando che ci
che essere e non nulla.
Poich possibile essere ed impossibile che il ni-ente sia, dire e pensare (presupposti nel ragionamento) dovranno riconoscere
come loro oggetto necessario lente. Come ricorda lautore 13, infatti, i candidati a essere oggetto di tali attivit sono e : il
primo pu esistere, il secondo no.
La difficolt di questa interpretazione principalmente legata
alla lingua greca, in cui assume valore potenziale in relazione
con un infinito: dunque legittima la traduzione del secondo emistichio del v.1, problematica la traduzione di B6.2a, nella quale,
12
372
Le due vie di B2 in B6
In apertura di B6, insomma, la Dea ritorna sullalternativa delineata in B2, precisandola: sottolinea la necessit (correttezza)
del riconoscimento dell come oggetto di e , escludendo che ( di B2.7), teorico contenuto della via di
ricerca non ed necessario non essere, esista. In pratica ci
troviamo di fronte a una riproposizione in positivo della conclusione di B2. La puntualizzazione riguarda le uniche vie di ricerca per pensare: alla pura formulazione oppositiva \
si sostituiscono le espressioni tautologiche
, , e , con lesplicitazione, dunque, di adeguati soggetti logici.
14
373
In B2 la Dea aveva prospettato due potenziali percorsi di indagine gli unici per pensare:
(i) l'uno, ricercava pensando
, in pratica sviluppando le implicazioni dell'affermazione di
esistenza - - e negando possibilit al non-essere: valorizzando
il significato arcaico di (come un vedere che coglie immediatamente il proprio oggetto), si potrebbe sostenere che lungo
questa pista di indagine il focus era destinato a concentrarsi assolutamente sull'essere;
(ii) laltro, al contrario, tentava la ricerca imboccando la direzione opposta, pensando cio
, nello sforzo di ricavare le implicazioni della negazione
non rinforzata dal vincolo di necessit: in tal modo la seconda
via di ricerca per pensare tracciava un percorso verso il nulla,
subito inibito in quanto in tale direzione non vi era ni-ente
() da vedere e riferire.
La seconda via poteva essere delineata solo come radicale alternativa alla prima e sostanzialmente per confermarne la necessit: non possibile , nel senso originario di percezione mentale, se non di ci che . La Dea, infatti, aveva immediatamente
connotato la prima via come , in quanto capace
di condurre alla vera realt ( ): un convincente
chiarimento in merito era giunto per solo nei versi successivi,
quando, a proposito della via alternativa, ella aveva ammonito che
indisponibile alleffettiva conoscenza ed espressione.
In B2.7 la Dea aveva dunque estratto l'oggetto della seconda via,
implicitamente ponendo quello della prima. In B6.1-2a, abbiamo
l'indicazione in positivo dell'oggetto della ricerca:
e l'esplicitazione dei soggetti logici adeguati delle formule delle vie: ci che (ovvero l'essere ) e il nulla [ovvero, letteralmente: ni-ente] non .
A questa lettura che ha conseguenze, come vedremo, sull'interpretazione dellintero frammento - si contrappone in particolare
374
quella di Cordero (ma condivisa da altri), secondo cui nel complesso 6.1b-6.2a si registrerebbe la presentazione della prima
via18: il nulla non esiste di B6.2a sarebbe una semplice riformulazione di 2.3b: non possibile non essere, riferendosi quindi
alla prima via19. In questo senso si orientato di recente anche
Palmer20. Alla seconda via, a detta di Cordero, la Dea alluderebbe
invece subito dopo, connotando l'indiscriminata combinazione di
essere e non-essere: le cose dovrebbero essere e non essere allo
stesso tempo, come segnalato da B7.1 ( che esistano cose che non sono).
La struttura argomentativa, tuttavia, suggerisce che quanto
necessario riconoscere (dire e pensare) - la compiuta, esplicita espressione della formula per la prima via; a sua
giustificazione sono addotte la possibilit dell'essere e l'inesistenza del nulla. decisivo soprattutto questo rilievo. In B2.6-8 la
Dea aveva infatti sottolineato il nesso tra la seconda via e
: essa era sentiero del tutto privo di informazioni
( ) in quanto ci che non inconoscibile e
indiscernibile. La sua negativit ora tradotta nella tautologia
, come elemento dimostrativo per richiamare
lattenzione sulla necessit dell'opposto . Il guadagno
teorico su B2 riguarda sia la riconsiderazione critica (argomentativa) del (percorso di Verit), inizialmente
introdotto in forma direttiva, sia la definizione ufficiale del suo
oggetto: .
375
Queste cose io ti esorto a considerare,
in B6.3, allora, ella ribadisce (immediatamente dopo aver affermato che il nulla invece non ):
< >
Da questa prima via di ricerca, infatti, ti < tengo
lontano >.
Questa versione del testo greco, con lintegrazione della lacuna dei codici assunta da Diels (sulla base di una tradizione che risale alla edizione aldina del 1526), stata vigorosamente avversata da Cordero e abbandonata anche da Nehamas 21 (e dalla Curd22),
i quali propongono, rispettivamente, di integrare con il verbo
- (forma media), cominciare:
21
376
< >
since you < will begin > with this first way of investigation,
<< >
For, first, < I will begin > for you from this way of inquiry.
Noto, per inciso che, nel caso del verso B6.3, Cordero preferisce la lezione
dei codici BC a quella (pronome personale) di D (con E e F), di cui si era
sottolineata, per la lezione del verso precedente, la bont. Traducendo con il
personale ti, lintegrazione proposta risulterebbe impraticabile nel caso di
Cordero, meno naturale nel caso di Nehamas (comincer per te).
24
Che appare comunque plausibile, dal momento che la costruzione +
caratteristica nella letteratura greca arcaica.
377
Una sequenza che potrebbe alludere alle due sezioni del poema, e richiamare B8.50-52, considerato passaggio conclusivo della Altheia e introduzione alla Doxa:
A questo punto pongo termine per te al discorso
affidabile e al pensiero
intorno alla Verit; da questo momento in poi opinioni
mortali
impara, lordine delle mie parole ascoltando, che pu
ingannare.
378
Nel suo epocale K. Reinhardt, Parmenides und die Geschichte der griechischen Philosophie, Vittorio Klostermann, Frankfurt a.M. 1916.
26
Sulla questione molto chiara la ricostruzione di Leszl, op. cit., pp. 120-1.
379
parole (io dir - e tu abbi cura della parola, una volta ascoltata)
suggeriscono il rilievo cruciale dell'alternativa per il kouros (e
dunque anche per il discepolo, lascoltatore e il lettore);
(v) difficile quindi ipotizzare che Parmenide attribuisca alla
Dea la responsabilit di sostenere come possibile via di indagine
(per pensare!) la tesi contradditoria: - via dell'errore, come vorrebbe Cordero27: vero, piuttosto, che alla seconda via si alluder (B8.17-8) come (via non genuina), percorso di indagine che non pu concretizzarsi in conoscenza;
(vi) dalle due vie, invece, potranno essere estratte due verit
basilari per le successive argomentazioni: l'essere necessariamente, il non-essere non esiste. Mentre si potr procedere ulteriormente a determinare la prima via (seguendo i di B8),
nulla potr dirsi di pi della seconda, evocata solo per marcare la
necessit della direzione d'indagine alternativa.
Come segnala la Germani 28 (e, in una prospettiva diversa,
Cordero 29 ), potrebbe in questo senso non essere casuale l'eco
parmenidea della formulazione aristotelica del principio del terzo
escluso:
,
dire che l'essere non o che il non essere infatti
falso; [dire] che l'essere e il non essere non invece
vero (Metafisica IV, 7 1011 b26-27).
27
380
Il testo significativo, secondo noi, perch scandisce efficacemente le sequenze del procedimento parmenideo: (a) introduzione (logica: le vie sono per pensare) della disgiunzione \non
; (b) esclusione della via che non in quanto e
(che richiamano le connotazioni di B2.7-8); (c) riconoscimento dellunica via praticabile per la ricerca: essa esiste vera\reale (), mentre laltra non lo (non genuina,
), non pu costituirsi, per sua natura, come effettivo percorso di ricerca.
Liquidata la via in
quanto percorso di ricerca impraticabile (il nulla non ), prima
ancora di dedicarsi al sondaggio dellunica via genuina (
), la Dea si sofferma sullerronea
invenzione dei mortali che nulla sanno (
), effetto del colpevole misconoscimento delle implicazioni
nellalternativa . Ancorch prospettata come
, la strada imboccata dai chiara-
30
381
382
383
ne (, si inventano) di una via: invenzione evidentemente frutto della confusione delle uniche vie di ricerca per
pensare. Denuncia la loro , la debolezza per cui la loro
mente () cede allattrazione del non-essere - alla vertigine del
nulla, come si esprime Conche 36. In tal modo ella collega a un
impulso irrazionale la chiave dellerranza dei mortali:
, nei loro petti, potrebbe riferirsi a una localizzazione
dello che consenta di differenziarne la funzione rispetto al
.
Queste determinazioni negative sono ulteriormente accentuate
con espressioni che sottolineano la fenomenologia del disorientamento:
.
, ,
Essi sono trascinati,
a un tempo sordi e ciechi, sgomenti, schiere scriteriate
(B6.6-7).
I mortali, dunque, non sono in controllo di s; il loro atteggiamento ne svela la radicale incomprensione, che si manifesta a
tre livelli: (i) nella perdita di contatto con la realt: gli organi di
senso deputati (la vista e ludito) producono nel loro caso dei
mortali isolamento, distorsione; (ii) nella conseguente tonalit emotiva della sorpresa37, da intendere nel contesto non come
positiva apertura alla comprensione, bens come sintomo della
condizione contraria: profonda confusione; (c) nella mancanza di
giudizio38, di discernimento (, ), con cui spregiativamente la Dea connota le schiere () dei , cio la loro
massa, il loro insieme indistinto, come confusa la loro percezione della realt.
36
384
385
Senza voler entrare nel dettaglio dellinterpretazione del pensiero di Eraclito, sufficiente osservare come nelle citazioni sia
marcato lisolamento del sapiente rispetto alle opinioni condivise
dai pi: il suo discorso consapevole () che annuncia come
tutto accada secondo il logos (che manifesta dunque la struttura
stabile del mutamento) contrapposto allincomprensione (mancanza di intelligenza della realt) degli altri (uomini). Le espressioni impiegate denunciano chiaramente una condizione di
inversione: pur essendo il logos alla base della realt (in Eraclito
abbiamo una delle prime attestazioni di come ordine del
mondo) che li circonda, gli uomini () ne ignorano la
normativit; essi vivono cos non da desti () in una
condizione di torpore, stordimento: una sorta di sonnambulismo.
Ladesione al logos adesione a ci che comune ( ) e
quindi sensato, oggettivo, diversamente dallottusit della incon386
Non a caso editore sia dei frammenti parmenidei, sia di quelli eraclitei!
Conche, op. cit., p. 107.
41
Ivi, p. 108.
40
387
fondamentale e, pur impercorribile, poteva almeno essere prospettata correttamente, questa presunta terza via stigmatizzata
come invenzione di coloro che nulla sanno, dunque come logicamente insostenibile.
Le due vie di B2 possono essere ritradotte in forma tautologica
in apertura di B6: e ; anche per la seconda via, dunque, a dispetto della sua negativit, possibile,
dunque, estrarre un soggetto, ancorch puramente formale ( ,
ovvero ). Dei - che nel loro scorretto argomentare e confuso parlare si fingono un commercio
delle due vie alternative - si rileva invece:
per i quali esso considerato essere e non essere la
stessa cosa
e non la stessa cosa (B6.8-9).
Precisa inoltre:
Dopo aver biasimato coloro che congiungono lessere
e il non-essere nellintelligibile (Simplicio, Phys. 78, 2;
DK 28 B6).
388
390
, ,
.
Pitagora, figlio di Mnesarco, esercit la ricerca pi di
tutti gli uomini e raccogliendo questi scritti ne produsse la
propria sapienza, il saper molte cose, cattiva arte (Diogene
Laerzio; DK 22 B129).
392
393
Secondo la Timpanaro Cardini47, dalla testimonianza aristotelica si pu concludere che, come alla fisica ionica andava probabilmente ricondotta l'originaria dualit pitagorica (-),
cos alla cultura scientifica milesia dovevano risalire quelle opposizioni (riscontrate poi nella pratica medica) che Alcmeone contribu a introdurre nell'ambiente pitagorico, dove avrebbero ricevuto una elaborazione sistematica.
Insomma, non da escludere, a livello teorico, che le allusioni
critiche dei versi parmenidei possano investire temi e figure di
una tradizione che doveva risultare riconoscibile nello humus locale: in unepoca per la quale difficile valutare lincidenza della
distanza degli ambienti culturali, non vi dubbio che appaia plausibile una referenza pitagorica. Sul rapporto con la tradizione pitagorica avremo comunque modo di tornare nel commento a B8.
47
394
Nel testo di Parmenide si valorizzano per il confronto gli ultimi due versi (per lo pi tradotti diversamente49):
,
per i quali esso considerato essere e non essere la
stessa cosa
e non la stessa cosa: ma di [costoro] tutti il percorso
torna all'indietro.
49
395
Secondo Tarn, la sottolineatura parmenidea riferirebbe a Eraclito (DK 22 B10) lidentit dei contrari come identit-nelladifferenza, secondo un modello del s e no 50, che lEleate ricondurrebbe all'opposizione fondamentale essere-non essere (per cui
appunto lessere e il non essere sono considerati la stessa cosa e
non la stessa cosa). In questo senso, secondo Couloubaritsis,
lattacco di Parmenide sarebbe rivolto a una impostazione (quella
eraclitea) ancora prossima alla logica ambivalente del mito, in cui
la complementarit degli opposti suppone un legame indissociabile. Eppure lo studioso belga, nella modalit eraclitea di pensare
gli opposti, riconosce gi una presa di distanze da quella ambivalenza, soprattutto per lintroduzione di unopposizione pi inglobante, comune a tutti, quella appunto di essere e non-essere (DK
22 B49a, B91)51. Proprio la rottura radicale di quella logica caratterizzerebbe la della Dea parmenidea, discriminante dunque allo stesso tempo anche rispetto alla posizione di Eraclito 52.
Ancora di recente, Graham53 ha proposto di leggere lontologia
parmenidea come reazione prodotta dallimpatto dellopera di Eraclito, la cui provocazione sarebbe consistita nella esasperazione
della polarit presente nel modello ionico, con labbandono
dellidea di primato di una sostanza generatrice a vantaggio di
quella di processo universale, regolato da una legge di scambio di
masse elementari (fuoco, terra, acqua).
A questi elementi di contenuto o struttura, si aggiunge poi il
riscontro di uneco espressiva eraclitea, quasi Parmenide intendesse colpire un avversario evocandone le parole. Sebbene Tarn,
a proposito del conclusivo ,
metta in guardia dalla tentazione di leggervi un puntuale riferimento alle parole di Eraclito (DK 22 B51)54, altri hanno molto insistito su questo punto: tra i contemporanei, per esempio, Cerri
50
396
trova conferma in B6.9 di una vera e propria tecnica della citazione, gi emersa nel proemio con la evocazione del mito di Fetonte e delle Eliadi55.
Come Tarn e Couloubaritsis, anche lo studioso italiano marca
vicinanza e distanza specifica della posizione di Parmenide rispetto a Eraclito, il quale, pur avendo anticipato la teoria dell'identit
nella (apparente) differenza, manifest nei suoi enunciati paradossali viva consapevolezza della problematicit di tale verit, delle
oggettive contraddizioni insite nella realt naturale e umana 56 .
Cos non vi dubbio, secondo Cerri, che siano proprio le formule
scelte da Eraclito, del tipo e non , a essere imputate da Parmenide: il filosofo di Efeso avrebbe infatti praticato quella (presunta) terza via denunciata dallEleate 57.
Lo studioso italiano, inoltre, sottolinea come le scelte lessicali
di Simplicio, nel citare B6, mostrino come egli avesse inteso che
la (presunta) terza via del frammento non si riferisse a un ingenuo atteggiamento ordinario della mente umana, ma alla tesi specifica di un indirizzo filosofico: il linguaggio impiegato dal commentatore, infatti, sarebbe quello con cui la tradizione peripatetica
connotava inequivocabilmente la dottrina eraclitea 58.
Questa osservazione, tuttavia, non comporta alcunch riguardo
all'identificazione del referente dellattacco di Parmenide: tra gli
specialisti noto, infatti, come le ricostruzioni platonica e aristotelica propongano unanomalia di fondo, che si ritiene effetto dei
peculiari canali nella ricezione delle opinioni dei pensatori arcaici. Le prime collezioni delle loro tesi, infatti, sarebbero da attribuirsi, nella seconda met del V secolo a.C., ai sofisti Ippia 59, che
avrebbe approntato una selezione per temi, e Gorgia, che invece
avrebbe disposto il materiale per contrapposizioni teoriche:
dunque molto probabile che la versione offerta da chi (Platone e
55
397
398
al fondo delle cose afferrandone la natura e la semplice, superficiale erudizione () o la percezione parziale e distorta
che impronta le credenze degli uomini (). La pluralit
delle cose da lui colta come unitaria connessione cosmica,
allinterno di due limiti essenziali: i) il logos che sempre (
); ii) la totalit degli enti che sempre
divengono secondo questo logos (
).
Eraclito sottolinea il valore di norma del rispetto a ogni
accadere, con allusioni allunit della legge civile () - cui si
riconduce la identit della polis - e alla unicit della legge divina
(cui si riducono quelle umane), e ne afferma la funzione strutturante allinterno dei singoli enti. Cos, con riferimento al ,
tutto uno63, sia nel senso che le cose sono tra loro unitariamente organizzate secondo il suo piano, sia nel senso che nella
natura di ogni singola cosa si riflette il suo schema. Il la
legge che regola il prodursi e il divenire degli enti nel mondo, pur
rimanendo natura nascosta allo sguardo superficiale.
in considerazione di questi elementi teorici (al di l dei problemi di cronologia relativa, di non facile risoluzione 64 ) che la
supposizione di una polemica specificamente antieraclitea appare
esagerata, a meno di non insistere su un atteggiamento in realt
pi complesso (come sembrano fare Graham, Cerri e Couloubaritsis). Cerri, per esempio, riconoscendo come a Eraclito sia da attribuire un ruolo decisivo (da archegeta) nella ricostruzione della dottrina dellessere, giustifica lattacco di Parmenide come
effetto dellirritazione di fronte a unincongruenza (la combina-
63
DK 22 B50:
,
non me ascoltando, ma il logos, saggio convenire che tutto
uno.
64
Su questo tra gli altri Conche (p. 108) e Colli (p. 178).
399
400
68
401
402
B7.6[a] con B8.1[b]6. Attribuire l'origine delle difficolt a una libera citazione antologica da parte di Sesto, ovvero a una sua citazione da antologia poco affidabile7, non appare del tutto convincente, soprattutto alla luce del fatto che da Sesto abbiamo l'unica
citazione dell'intero proemio, con tracce della redazione psilotica
originaria (quindi di una tradizione alternativa a quella attica):
possibile, dunque, che egli disponesse di una buona copia del
proemio, derivata verosimilmente da un esemplare di tutto il poema8. Nel caso della sua citazione sarebbe semmai da valutare
l'intenzione teoretica di fondo: mentre Simplicio esplicitamente si
impegnava a documentare passi di un'opera ormai irreperibile,
Sesto potrebbe aver consapevolmente "montato" parti del poema
originariamente distinte, in funzione di un assunto generale: respingere la validit della sensazione come vero strumento di conoscenza9.
Nonostante perduranti perplessit, negli ultimi decenni la critica si mostrata tuttavia propensa a riconoscere la fondatezza della ricostruzione di Diels-Kranz anche riguardo al presente frammento. Non in discussione, in ogni caso, il suo ruolo critico, per
noi condizionato dalla ricezione di B6 e dalla soluzione del problema delle vie.
403
Mai, infatti, questo sar forzato: che siano cose che
non sono.
Ma tu da questa via di ricerca allontana il pensiero
(B7.1-2).
Un pensare selvaggio
Due elementi spingono in questa direzione: (i) lespressione
introduttiva (o ) secondo cui inammissibile che cose che non sono ( ) sono [esitono] ();
(ii) il sostantivo , che, come vedremo, pu essere messo in
relazione sia con la formula , (giudica invece con
il ragionamento ovvero valuta discorsivamente, attraverso l'argomentazione), sia, per contrasto, con ,
labitudine nata dalle molte esperienze.
Per quanto riguarda il primo aspetto, la traduzione che abbiamo adottato sostanzialmente quella tradizionale, che Diels sugger sulla scorta della lezione platonica e Tarn ha difeso per la
sua sensatezza. Da OBrien e Conche ne stata proposta una versione pi letterale (di cui si data notizia in nota alla traduzione),
che aiuta a comprendere il valore dellaffermazione
: Jamais, en effet, cet nonc ne sera dompt, For never
shall this [wild saying] be tamed (OBrien); Car jamais ceci se404
Ci che viene stigmatizzato piuttosto il fraintendimento corrente, consapevole o meno: il nume si riferisce a quelle posizioni
che assumono esplicitamente o comunque implicano lesistenza
del non-essere.
10
405
11
406
Una posizione diversa e pi specifica in proposito quella espressa da Coxon17, secondo cui il contesto di B7 sarebbe quello
di una critica non genericamente condotta nei confronti dell'esperienza sensibile o del suo fraintendimento, ma delle teorie fisiche
precedenti e contemporanee. Ci sarebbe confermato da Simplicio (In Aristotelis Physicam 650, 11-2), che cita il verso 2 proiettandolo nella discussione aristotelica degli argomenti del V secolo
a favore o contro lesistenza dello spazio vuoto:
,
non pu esservi il vuoto in ci che in senso pieno,
cos come non pu esservi il non-essere.
407
,
, ,
[]
Anche i Pitagorici affermavano che esistesse il vuoto e
che esso dall'illimitato soffio penetrasse nell'universo
come se questo respirasse, e che il vuoto a delimitare le
nature, quasi il vuoto fosse una sorta di separatore e
divisore delle cose che sono in successione. Questo accade
in primo luogo tra i numeri: il vuoto, infatti, distingue la
loro natura (Aristotele, Fisica IV, 6 213 b22-27).
408
409
21
22
410
Ci che non immediatamente percepito comunque razionalmente raccolto nellessere ( ), perch il impedisce
di considerare lessere a intermittenza, quasi fosse alternato al
non-essere. Sono i sensi ad attestare presenza e assenza immediate degli enti; labitudine a tale oscillante attestazione empirica a
tradire la corretta comprensione: una superficiale lettura dei dati
empirici spinge a riscontravi la successione di essere (presenza) e
non-essere (assenza). I sensi, in verit, non rilevano (n potrebbero) il non-essere, come giustamente ricorda Ruggiu23: essi attestano la presenza di qualcosa, quindi la sua assenza; mai, per, propriamente il nulla. Ci che la Dea contesta dunque una superficiale inferenza condotta dai mortali a partire dalla loro esperienza:
in Parmenide, come in Eraclito, non in discussione il valore dei
sensi, ma quello dei giudizi dei mortali 24.
Ma tu
Leggiamo ancora una volta lattacco di B7:
Mai, infatti, questo sar forzato: che siano cose che
non sono.
Ma tu da questa via di ricerca allontana il pensiero
(B7.1-2).
23
24
411
< >, []
da quella [via di ricerca] che mortali che nulla sanno
< sinventano >, uomini a due teste []
Nel frammento precedente si era iniziato a costruire lo stereotipo degli sprovveduti mortali, impaniati nella contraddizione: il
loro, in fondo, era solo un preteso percorso dindagine, in realt
forgiato indebitamente (, sinventano).
In B7, invece, si punta su due elementi: (a) la dura presa di posizione ( ) rispetto alla pretesa che siano
cose che non sono; (b) lappello personale ( ) a trattanersi - evidentemente contrapposto con enfasi agli , alle
schiere scriteriate (B6.7), impotenti a discriminare essere e
non-essere.
Questo richiamo personale segue:
(i) liniziale allocuzione di saluto della dea al kouros (B1.2428) con lillustrazione del suo programma di istruzione (B1.28b:
);
(ii) linvito ad aver cura della comunicazione introduttiva sulle
due vie alternative di ricerca, da cui dipende la possibilit di accedere alla Verit (B2.1: ,
);
(iii) lesortazione ad atteggiare coerentemente la propria intelligenza (B4.1 e B6.2:
; );
(iv) la dissuasione dalla tentazione irriflessa di adeguarsi a uno
stile di pensiero (e comportamento) diffuso ma logicamente contraddittorio (B6.3-4: 25 <
>, ...).
In B7 registriamo dunque il compimento dello sforzo dissuasivo della dea nei confronti del kouros, esplicitamente sollecitato a
marcare il proprio atteggiamento intellettuale rispetto
allimpotenza dei mortali, a condividere razionalmente la disamina critica della Dea. La presunta "terza via" delineata es25
412
26
413
rebbe, infatti, essere assimilati a una tipologia umana con cui nessuno intende identificarsi29.
414
Il pensiero e labitudine
I versi che seguono lavviso della Dea contribuiscono probabilmente a chiarire lorigine dello sviamento dei mortali che nulla sanno:
,
n abitudine alle molte esperienze su questa strada ti
faccia violenza,
a dirigere locchio che non vede e lorecchio risonante
e la lingua (B7.3-5).
Costume irriflesso
Di quale abitudine si tratta? La Dea la qualifica come
, probabilmente per marcarne lorigine dalle frequenti
415
416
Ivi, p. 122.
Ivi, p. 121.
35
C. Ramnoux, Parmnide et ses successeurs immdiats, Monaco, Ed. du Rocher, 1979, p. 111. La referenza di Conche, op. cit., p. 121.
34
417
36
418
419
negherebbe lo statuto di essere, attribuendo al commercio quotidiano con esse, allesperienza multipla, quella violenza sul pensiero che si traduce nella identificazione del reale con il divenire44. In verit, la Dea insegnerebbe che il loro statuto quello di
nome (): svuotate di ogni consistenza ontologica, le cose sono cos destinate a sparire. Secondo lautore belga, dunque,
questa prima forma di nominalismo condannerebbe ogni tentativo di attribuire realt alle cose come vuoto parlare, parlare
per non dire niente45.
Noi riteniamo che in B7 Parmenide rilanci la propria denuncia
contro il modo comune di guardare alle cose e di esperirle: i mortali implicano il non-essere nel tentativo di comprendere la realt
attraverso il dato sensibile: dunque, per riprendere una osservazione della Robbiano 46 , la Dea ammonisce la propria audience
che quando si coinvolge il non-essere, non si trover la verit. Per
riprendere una formulazione, che ci pare efficace, della Wilkinson47, la Dea non critica i mortali perch percepiscono in modo
scorretto, piuttosto critica i mortali perch nominano in modo
scorretto quello che percepiscono48.
Logos e elenchos
Il frammento si chiude con una esortazione notevole:
Giudica invece con il ragionamento la prova polemica
da me enunciata (B7.5-6).
Linteresse del passo legato alla connessione tra vocaboli destinati a diventare tecnici nelle filosofie posteriori - e
44
420
421
modo il verbo abbia assunto il senso di mettere alla prova, verificare, accertare qualcosa.
Lespressione sembra dunque riferirsi proprio alla critica, sviluppata tra B6 e B7, nei confronti della presunta sapienza tradizionale, probabilmente delle tesi di pensatori
ionici e forse pitagorici. Una vera e propria confutazione, se consideriamo che la polemica consistita essenzialmente nel denunciare la contraddizione implicita in quelle posizioni.
La Dea dapprima (B2.3a; B2.5a) propone lespressione diretta
della semplice e immediata esperienza della realt, , contrapponendole la negazione ( ): da questa alternativa fondamentale e radicale, pu ulteriormente ricavare (B2.7)
e (B42; B6.1) come soggetti (ancorch il primo solo logico, il secondo reale) delle due coerenti vie per pensare. Quindi, dopo aver riformulato (B6.1-2) in termini tautologici (
; ) il contenuto delle vie, ella si concentra (B6.4-9; B7) sul cortocircuito prodotto nel pensiero () dei
mortali dalla loro contraddizione 50, cio dallincauta contravvenzione delle norme: (B2.3b);
(B2.5b).
In questo senso la prova intorno a cui la Dea invita il kouros
a meditare , nella posteriore accezione aristotelica, una confutazione (), deduzione di una contraddizione (),
cio procedimento dialettico per eccellenza 51.
50
51
422
Alla luce di quanto risulta dalla nostra analisi di B1, tale struttura emerge dal programma annunciato dalla Dea in B1.28b ss.:
, .
,
Ora necessario che tutto tu apprenda:
sia di Verit ben rotonda il cuore fermo,
sia dei mortali le opinioni, in cui non reale
credibilit.
Nondimeno anche questo imparerai: come le cose
accolte nelle opinioni
era necessario fossero effettivamente, tutte insieme
davvero esistenti.
424
Secondo Passa (op. cit., p. 31), infatti, Sesto avrebbe utilizzato fonti diverse per
il testo del proemio e per la sua parafrasi: nel secondo caso, la fonte potrebbe
effettivamente essere stoica; nel primo caso, invece, la tradizione sestana
l'unica a conservare traccia dell'antica redazione psilotica del poema. Passa
ne conclude che plausibile che Sesto disponesse di una buona copia del
proemio, derivata verosimilmente da un esemplare dell'intero poema.
3
Alexander Nehamas ("Parmenidean Being/Heraclitean Fire", in Presocratic
Philosophy. Essays in Honour of Alexander Mourelatos, edited by V. Caston
and D.W. Graham, Ashgate, Aldershot 2002, pp. 51-2) sottolinea come,
nonostante i presocratici posteriori avessero mutuato le caratteristiche
ontologiche illustrate da Parmenide, nessuno si sentisse in dovere di
sostenere l'introduzione di una pluralit di elementi giustificandola
argomentativamente. Quasi non ce ne fosse bisogno: un segno, forse, di
continuit con il poema. D'altra parte, Melisso, che non attribuisce
esplicitamente a Parmenide le proprie posizioni, si impegn a giustificare il
proprio numerical monism: un segno, forse, di discontinuit con il poema.
425
La via che
Lattacco del frammento (vv. 1-3a) non sembra lasciare dubbi
sul contenuto:
,
Unica parola ancora, della via
che , rimane; su questa [via] sono segnali
molto numerosi: che...
426
Nel sottolineare la bont del proprio argomento, la Dea ricostruisce sinteticamente la ratio per cui []
(unica parola ancora [] rimane B8.1-2), evocando
lalternativa dilemmatica - (espressione sincopata delle [] di B2.2) e la conseguente, necessaria esclusione della via che non (B2.7-8): non
fattibile ( ) conoscere () e indicare ()
ci che non ( ). In questo senso va intesa la coppia di
aggettivi impensabile () e indicibile (senza nome,
): la via ( ) effettivamente impalpabile (B2.6), sentiero del tutto privo di informazioni ( ). La decisione (il giudizio,
) conseguente: come destino (necessit, ), ricorda la Dea, si riconosciuto che non si tratta di via genuina (
), lungo la quale sia realmente possibile inoltrarsi e incontrare qualcosa.
Allinizio di B8, delle uniche vie di ricerca [] per pensare,
non rimane quindi che imboccare quella reale ( ), quella, appunto, ( ): muoversi sul
terreno di e non possibile non essere, rinunciando a dare
427
consistenza a non- ed necessario non essere, garantisce intelligibilit e comprensione della realt 7.
La parola (il discorso) di Verit della Dea traccia i contorni della realt attraverso lesclusione sistematica di ci che,
nella propria inconsistenza ( ), si rivela
. Si tratta della rigorosa applicazione argomentativa della
formula della prima via:
7
Sul rapporto tra il tema della via e lunicit del discorso in apertura di B8 si
veda in particolare L. Couloubaritsis, Les multiples chemins de Parmnide,
in tudes sur Parmnide, cit., t. II, pp. 29-30.
428
luna: e non possibile non essere.
In questo senso, in B7.5 ella aveva chiaramente esortato a valutare discorsivamente ( ) la prova polemica
( ) fornita: donde forse ipotizzando una sostanziale continuit tra B7 e B8 (come attesterebbero le citazioni e
il commento di Sesto Empirico, Adversus mathematicos VII, 111
e 114) lapertura con lespressione []
.
Il discorso uno, perch una sola in effetti la via riconosciuta percorribile; molti i segni () che consentono di identificarla8, molti gli argomenti che possono essere addotti per metterla alla prova: di qui il nesso tra ,
e . Come rivela il precedente epico del riconoscimento di
Odisseo da parte di Penelope, essi, infatti, possono essere usati
per provare (sottoporre a elenchos) lidentit di una persona9.
Sar allora lo stesso intreccio dei segni a rivelare unit e
omogeneit di e dunque a mostrare lalterit tra il
della Dea e i discorsi dei mortali: essi ipostatizzano quanto, in
vero, solo nome; assumono come evidenza ultimativa la molteplicit di enti, senza ricondurla allidentit dellessere. Il
che la articola in B8.1-49 corrisponde a quanto
annunciato (B2.4) come (percorso di Persuasione) in quanto (tien dietro a Verit): lungo la
8
9
429
430
431
432
433
Segnali
La Dea ne propone un catalogo, nel seguito utilizzato (anche
se non integralmente) per lanalisi:
,
, ,
,
che senza nascita ci che e senza morte,
tutto intero, uniforme, saldo e senza fine;
n un tempo era n [un tempo] sar, poich ora tutto
insieme,
uno, continuo.
I segnali molto numerosi sulla via sarebbero dunque caratteristiche che si possono legittimamente riferire a ci
che , sulla scorta come risulter pi chiaramente nel corso
della esposizione divina (e come abbiamo anticipato) - della
: . Formulando diversamente lo stesso concetto: predicati essenziali di , implicati (e deducibili) dalla
12
Come segnalato in nota, Leszl, Heitsch e di recente Palmer (tra gli altri), fanno
iniziare lanalisi dei segni dal v. 5, con ci considerando gli attributi dei vv.
5-6 gi parte della discussione e non propriamente .
434
I segnali potrebbero dunque costituire il materiale concettuale su cui esercitare la razionalit del kouros, con un duplice scopo: (i) fargli prendere confidenza con ; (ii) fargli prendere
coscienza delle inconsistenze di altre posizioni teoriche (ioniche,
forse pitagoriche). Si tratta ovviamente di due risvolti della stessa
strategia, nella misura in cui il riconoscimento della natura di ci
che comporta, per un verso, la presa di distanza dalla superficiale lettura del dato sensibile, per altro la contestazione di lezioni
concorrenti. Cos ritroveremo riaffermato (B8.34-36a) il nesso tra
pensiero (addirittura nella formulazione astratta ) e essere:
.
, ,
La stessa cosa invero pensare e il pensiero che :
giacch non senza lessere, in cui [il pensiero]
espresso,
troverai il pensare.
435
436
Anche la dea di Parmenide invia segnali ai mortali, per far conoscere cose normalmente oltre la loro portata: Robbiano e Cerri
hanno probabilmente ragione nel sottolineare come il termine
non si riferisca allora tanto ai predicati enumerati in B8.26, quanto ai successivi argomenti, risultando essenziale nella relazione tra lumano e il divino il momento dell'interpretazione dei
segni per giungere alla verit. In questa prospettiva come rilevato da Mourelatos17 - e ( ) si salderebbero nel
motivo della quest: per raggiungere il fine della ricerca necessa15
437
18
438
439
Lattacco di B8 sottolinea dunque una volta di pi il ruolo della guida divina e la centralit del tema della via: la Dea, infatti, a
ricordare come rimanga ancora solo la possibilit di un ; la
Dea ad annunciare i segnavia () e quindi che il percorso
sar discorsivo. la Dea, insomma, che non solo anticipa al kouros lidentit della via che resta ( ), ma prospetta pure la
prova () che il giovane discepolo deve sostenere. Come
opportunamente osservato da Coxon20, B8 introdotto da un resoconto delle evidenze lungo la via, sulla quale, nella narrazione,
il kouros deve ancora viaggiare: gli argomenti di B8 valgono
quindi come guida (filosofica), grazie a cui possibile mantenere
la direzione e percorrere fino in fondo la via genuina (
), in B2.4 connotata come .
Come anticipato, Parmenide sembra articolare un doppio registro di evidenze da sottoporre allattenzione; in effetti il testo recita (vv. 3-6):
,
, ,
,
che senza nascita ci che e senza morte,
tutto intero, uniforme, saldo e senza fine;
n un tempo era n [un tempo] sar, poich ora tutto
insieme,
uno, continuo.
440
estinta nascita e morte oscura (B8.21)
tutto omogeneo (B8.22)
Identico e nellidentica condizione perdurando, in se
stesso riposa,
e, cos, stabilmente dove persiste (B8.29-30)
non incompiuto lessere [] lecito che sia:
non , infatti, manchevole [di alcunch] (B8.32-33).
21
22
441
Ingenerato (e imperituro)
Il vero e proprio attacco argomentativo del frammento formulato come interrogazione (vv. 6-7)26:
;
;
Quale nascita, infatti, ricercherai di esso?
Come e donde cresciuto?
23
442
Limplicita opzione discutiva impronter lo sviluppo discorsivo: la Dea non si limiter a ragionare con il proprio (muto) ascoltatore, ma mimer un autentico confronto dialettico, attribuendogli le convinzioni teoriche (o di senso comune) che necessario
confutare per dimostrare la propria tesi.
27
443
Largomento insieme agli interrogativi che lo introducono ha come soggetto sottinteso (nella nostra traduzione) (v. 3):
per escluderne generazione ( ; - quale nascita di
esso?) e derivazione ( ; - come e donde cresciuto?), la Dea non concede:
(i) che esso possa nascere () originando dal nulla (
) - da ci che non ( );
(ii) che esso origini (i) dallessere ( < >
).
Non rimanendo alternative, ella conclude il proprio ragionamento (a dimostrazione della tesi:
) appoggiandosi alla superiore garanzia di Dike (il nume tutelare dei limiti e delle prerogative a essi associate), la quale vincola ci che a essere (e ).
La struttura dellargomento risulterebbe dilemmatica, come
segnalato dall'uso di (v. 7) e (v. 12): non vero questo,
e neppure vero questaltro, dove questo e questaltro rappresentano le uniche due possibilit concepibili in proposito 28 ,
appunto (v. 7) e < > (v. 12 emendato).
Di questa struttura si trova conferma nello scritto Sul non-essere
di Gorgia (versione Sesto Empirico, Adversus mathematicos VII,
71):
.
, .
[...] [...]
E ancora, l'essere non pu neppure essere generato: se
stato generato, infatti, certamente stato generato o
dall'essere o dal non-essere; ma non stato generato n
dall'essere [...] n dal non essere [...]. L'essere, di
conseguenza, non stato generato;
28
444
29
445
(
)
Anche Parmenide infatti sosteneva che l'essere in
senso pieno ingenerato: mostrava che esso non si genera
n dall'essere (poich non c' qualche essere oltre a esso),
n dal non essere (162.11).
Accettando questa lezione, ritroveremmo Parmenide impegnato a elaborare una dimostrazione dialettica rigorosa31:
(i) gli interrogativi (retorici: [...] ;)
introducono lipotesi contraddittoria alla tesi che lautore intende
dimostrare (nella forma gorgiana: ), in questo modo
delineando la struttura dilemmatica di base: ci che ingenerato ( ) - ci che generato (Gorgia:
);
(ii) tale ipotesi viene articolata in un nuovo dilemma: nascita e
crescita implicano necessariamente unorigine o (a) o
(b) < > (secondo lo schema citato da Simplicio);
(iii) dal momento che entrambe le possibilit sono razionalmente insostenibili, lipotesi (nascita e crescita di ci che ) si rivela infondata, e la sua contraddittoria, la tesi difesa da Parmenide, dimostrata: che ci che ingenerato (
).
Come abbiamo gi segnalato, anche il contesto appare implicitamente dialettico: viene (monologicamente) mimato il dibattito
tra un sostenitore (che pone gli interrogativi) e un oppositore (di
cui si anticipano le risposte possibili) della tesi di Parmenide.
Compito (retorico-persuasivo) della Dea rispetto al kouros (e al
pubblico di ascoltatori e lettori di Parmenide) di illustrare i passaggi della (virtuale) discussione, marcando il nesso tra forza di
31
446
32
447
33
448
Nascita e crescita
Abbiamo sottolineato come la prima sezione argomentativa si
apra con tre interrogativi, che offrono alla Dea lopportunit di
dimostrare ; essi sono cos
formulati (vv. 6b-7a):
;
;
Quale nascita, infatti, ricercherai di esso?
Come e donde cresciuto?
449
37
450
..
(
= )
immortale .... e indistruttibile ( Aristotele; DK 12 B3).
38
39
451
Il frammento B1 ci conservato nella testimonianza di Simplicio, il quale nel suo commento alla Fisica aristotelica si serve
del prezioso contributo di Teofrasto (uno degli ultimi a disporre
probabilmente dellopera del Milesio) nelle sue Opinioni dei fisici: la citazione, che appare sostanzialmente accurata 40, inserita
in una presentazione delle opinioni di Anassimandro che necessario non perdere di vista per intenderne correttamente le parole:
[A.] [...]
, .
,
,
... [B 1],
.
,
,
. [...]
dichiar lapeiron principio e elemento delle cose che
sono, adottando per primo questo nome di principio.
Egli sostiene, infatti, che esso non sia n acqua n alcun
altro di quelli che sono detti elementi, ma che sia una certa
altra natura infinita, da cui originano tutti i cieli e i mondi
in essi: [ B1] , parlando di queste cose cos in termini
piuttosto poetici. evidente allora che, avendo
considerato la reciproca trasformazione dei quattro
elementi, non ritenne adeguato porre alcuno di essi come
sostrato, ma qualcosa di diverso, al di l di essi. Egli poi
non fa discendere la generazione dall'alterazione
dellelemento, ma dalla separazione dei contrari, a causa
del movimento eterno. [...] (Simplicio; DK 12 A9).
40
452
41
453
42
Secondo S.A. White ("Thales and the Stars", in Presocratic Philosphy cit., p.
4) l'espressione rifletterebbe le conquiste astronomiche di Talete. Sullo
stesso tema l'autore tornato pi diffusamente in "Milesian Measures: Time,
Space and Matter", in The Oxford Handbook of Presocratic Philosophy cit.,
pp. 89-133).
43
Op. cit., pp. 168 ss..
454
44
45
455
46
456
Secondo l'acuta lettura di Graham, Explaining the Cosmos, cit., pp. 48 ss..
457
ma alcuni di quelli che sostengono lunit, come
sopraffatti da una tale ricerca, affermano che luno
immobile e cos anche l'intera natura, non solo rispetto
alla generazione e alla corruzione (questa infatti
convinzione antica, su cui tutti concordavano), ma anche
rispetto a ogni altro mutamento: e questo era loro
peculiare (984 a29-984 b1).
Linciso nel passo rende ancora pi evidente lassunto aristotelico secondo cui gi i primi filosofi accettarono la doxa che impossibile che qualcosa sia generato da ci che non , sviluppando
sistemi in coerenza con essa: la peculiarit della posizione eleatica (a Parmenide si accenna esplicitamente due righe sotto) risultato della estremizzazione della stessa doxa adottata dagli Ionici50. In pratica, Aristotele da un lato avalla una sorta di continuit
tra la posizione ionica e quella eleatica - nella condivisione del
principio esplicativo di fondo, dallaltro rileva lo scarto alla base
della deviazione eleatica dall'indagine peri physes nella radicalizzazione dellapplicazione di quel principio, che avrebbe condotto alla negazione di ogni forma di divenire e dunque fuori
dellambito della filosofia della natura.
Torneremo pi sotto sul modello cosmogonico e cosmologico
milesio e sullo schema interpretativo aristotelico. tuttavia opportuno anticipare come il complesso delle testimonianze (di matrice essenzialmente peripatetica) faccia in realt intravedere la
possibilit di una lettura diversa: dalla natura individuata come
origine () si sarebbero generate, per effetto in ultima analisi
del moto intrinseco, alcune realt elementari indipendenti (connesse ai contrari: Pseudo-Plutarco accenna a fuoco, aria e terra), da cui deriverebbe tutto il resto. Un modello pluralistico, che
50
458
ancora risentirebbe del politeismo teogonico esiodeo 51, e che avrebbe suscitato dunque almeno due ordini di problemi di "second'ordine" (metacosmologici) per la riflessione posteriore:
(i) perch una realt dovrebbe avere una precedenza, un primato (ontologico) sulle altre?
(ii) come possibile che una natura ne produca altre?
459
che abbia la propria ragione, cio la propria causa, in una situazione che possa produrlo (e quindi anche spiegarlo). La pi antica, esplicita formulazione del principio in Leucippo (dalle fonti
ellenistiche supposto discepolo di Zenone e dunque considerato
vicino alla concettualit eleatica):
,
nulla accade invano, ma tutto da ragione e necessit
(DK 67 B2).
52
53
461
Nel caso del Milesio lindifferenza (e quindi lassenza di ragione per il movimento in una direzione o nellaltra) espressa
in relazione ai limiti celesti; Parmenide lavrebbe applicata al
tempo, nel senso di negare la possibilit che nel nulla si dia ragione per fare differenza, ai fini di unipotetica generazione
dellessere, tra un momento e laltro.
Appare tuttavia pi plausibile che il filosofo intendesse semplicemente marcare la mancanza di una ragione per cui, originando dal nulla, ci che si possa formare in un qualsiasi
momento: nella completa negativit del non-essere non pu tro-
462
varsi alcuna necessit che possa generarlo, nulla che possa fungere da ragione (causa) per la sua generazione 54.
Al termine del secondo argomento, al v.11, abbiamo un rilievo:
Cos necessario sia per intero o non sia per nulla.
Insistendo sul valore avverbiale di , qui non ritroveremmo la conclusione del ragionamento ma solo una sottolineatura
importante: ci che deve essere integralmente ingenerato ovvero assolutamente non essere. In pratica la Dea ribadirebbe
lalternativa fondamentale della propria rivelazione, escludendo
che tra le due vie possa darsi una via intermedia e dunque un
commercio tra essere e non-essere. Come indicato in nota al testo,
McKirahan55 ha riconosciuto al verso una funzione prolettica: segnalerebbe che quanto stabilito rilevante per la successiva discussione. In effetti, appare plausibile parafrasi di
tutto omogeneo ( ), tutto pieno dessere (
) - discussi a partire dal v. 22 piuttosto che di
ingenerato o ingenerato e incorruttibile.
Se invece, come per lo pi si riscontra tra gli interpreti, si attribuisce a valore conclusivo (perci), il verso risulterebbe comunque anticipare la krisis dei vv. 15-16 (Il giudizio in
proposito dipende da ci: "" o "non "), ribadendo lassoluta
incompatibilit di essere e non-essere e dunque negando un passaggio dal non-essere allessere (e viceversa): nel contesto questo
significa bandire definitivamente la possibilit di generazione
dal nulla, ovvero che ci possa essere una diversit dellessere
nel tempo56. Leszl, in particolare, convinto che luso degli avverbi
sottolinei nei vv. 9-10 la preoccupazione parmenidea rispetto alla
generazione nel tempo, interpreta: in ogni momento lessere c
tutto o non c per nulla57. In questo senso la conclusione e54
463
scludendo il variare nel tempo di ci che effettivamente diventa anche funzionale alla successiva discussione della sua omogeneit.
N mai dallessere...
Accettando lemendazione di Karsten, i vv. 12-13a risultano:
< >
N mai <dallessere> conceder forza di convinzione
che nasca qualcosa accanto a esso.
In pratica, dopo aver eliminato la possibilit di una derivazione di ci che dal non-essere, la Dea si sbarazza rapidamente
anche della possibilit alternativa: che ci che si generi da altro essere.
In che senso, infatti, qualcosa () potrebbe generarsi
() dallessere ( < > )? Parmenide assume
che la nozione di < > introduca implicitamente la prospettiva di qualcosa di diverso dallessere, cio che
accanto [o oltre] a esso ( ) possa prodursi altro.
plausibile che anche qui egli si confronti direttamente con la riflessione sull: nella misura in cui si riconosca l come
ci che e si tenga fermo il principio di esclusione del nonessere, che cosa potrebbe generarsi accanto [oltre] a esso?
In pratica ammettere la generazione dallessere comporterebbe
riconoscere che:
siano cose che non sono (B7.1).
La Dea in proposito pu ricorrere a una formula di divieto diversa da quella personale utilizzata in B8.7 ( ... non
permetter che...): in questo caso la proibizione risulta pi astratta, vincolata a una considerazione razionale ( ...
464
465
466
Mondolfo64, in particolare, nel complesso della sezione B8.521 non coglie semplicemente la negazione del divenire come processo di generazione e corruzione, in antitesi ai modelli cosmogonico e teogonico, ma lattacco a una concezione determinata, di
cui lo studioso ritiene si possano tracciare i contorni definiti: una
dottrina che affermava la molteplicit in connessione con la discontinuit; che introduceva la generazione dellessere, senza precisarne processo e necessit, e, soprattutto, suscitava il problema
dellinizio, suscettibile di accrescimento in relazione al nonessere. Come risulta appunto dall'attestazione aristotelica, si sarebbe trattato della cosmologia pitagorica, levocazione della quale spiegherebbe convincentemente anche la sequenza di interrogativi ai vv. 6-7 e in genere la scelta dei dellessere da parte
di Parmenide.
Pur non escludendo le due possibilit - (i) che la versione dei
codici di Simplicio sia quella corretta e (ii) che lallusione sia effettivamente alla respirazione cosmica, che avrebbe lasciato anche altre tracce antiche (in Senofane e Pindaro, secondo Mondolfo65) limpressione che in realt linsistenza del poeta sia essenzialmente su e e che leventuale riferimento
dottrinale sia da individuare allinterno di una discussione pi
ampia, in cui per Parmenide era fondamentale attaccare le posizioni che in qualche misura ancora implicavano e .
In questa prospettiva, lemendazione che abbiamo accolto e la
connessa ricostruzione argomentativa (in cui al v. 12 richiama al v. 7) appaiono pi convincenti.
Sarebbe forse praticabile unaltra strada 66 per linterpretazione
di , tuttavia pi complessa e meno plausibile: ammettere che lespressione abbia un senso, nella lettura parmenidea,
proprio in relazione alle nozioni di , e , quasi
64
E. Zeller R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte
Prima, vol. II: Ionici e Pitagorici, a cura di R. Mondolfo, La Nuova Italia,
Firenze 1967, pp. 652-3.
65
Ivi, p. 653.
66
Su questo Conche, op. cit., pp. 143-4.
467
che alle concezioni dei pensatori milesi e pitagorici fosse connaturato il non-essere. Aristotele ancora prezioso:
, , ,
468
Ivi, p. 146.
Tarn, op. cit., p. 117.
69
Un aspetto, questo, registrato da Couloubaritsis nelle prime edizioni della sua
opera e accentuato nellultima edizione, La pense de Parmnide, cit..
68
469
470
Giudizio ed essere
Daltra parte, che la tutela di Giustizia sia essenzialmente logica si mostra nei vv. 15b-18:
, ,
-
72
471
-
Il giudizio in proposito dipende da ci:
o non . Si dunque deciso, secondo necessit,
di lasciare luna [via] impensabile [e] inesprimibile
(poich non
una via genuina), e che laltra invece esista e sia reale.
Essere e tempo
I versi che seguono (vv. 19-21) e concludono la prima sezione
argomentativa del frammento sono ancora di controversa interpretazione:
; ;
, , .
E come potrebbe esistere in futuro lessere? E come
potrebbe essere nato?
Se nacque, infatti, non , e neppure [] se dovr essere
in futuro.
Cos estinta nascita e morte oscura.
473
474
. ,
,
Sempre era ci che era [qualsiasi cosa era] e sempre
sar. Se, infatti, fosse nato, necessario che, prima di
nascere, non fosse nulla; ora, se non era nulla, in nessun
modo nulla potrebbe nascere dal nulla (DK 30 B1)
[] ,
, ,
.
,
[...] se diventa altro, infatti, necessario che lessere
non sia uguale, ma che si distrugga ci che era prima e si
generi ci che non . Se allora si alterasse di un solo
capello in diecimila anni, si distruggerebbe tutto quanto
per tutto il tempo (DK 30 B7, 2)
verbali e forme avverbiali temporali: da un lato n un tempo era ( ) e n [un tempo] sar ( ), dallaltro
ora ( ). Le due proposizioni coordinate sono a loro
volta subordinate da un nesso causale - poich () alla terza ( ora tutto insieme, uno, continuo): in altre parole il rilievo della completezza, omogeneit e integrit ( , ,
) di ci che a escludere qualsiasi forma di discontinuit e dunque di autentica discriminazione temporale.
Questa costruzione si rifletterebbe anche nellargomento complessivo dei vv. 6-21: la Dea dapprima si concentra
sulleventualit che ci che sia divenuto (nato e cresciuto),
quindi (v. 19) considera interrogativamente che possa esistere in futuro:
; ;
, ,
E come potrebbe esistere in futuro lessere? E come
potrebbe essere nato?
Se nato, infatti, non , e neppure [] se dovr essere
in futuro.
possiamo notare come la Dea insista a marcare l'incompatibilit tra esistenza passata e\o esistenza futura (che implicano
) e quella condizione presente ( ) che si esprime nell79
e ne riflette il valore stativo80.
79
476
In entrambi i casi, laccettazione di un venire a essere ovvero di una distruzione dellessere comporterebbe limplicita
ammissione di ci che non , il riferimento a un impraticabile
passaggio dal o verso il nulla. Comunque sia tradotto il verso (si
vedano le annotazioni al testo), sulla scorta delle argomentazioni
precedenti, Parmenide chiude la propria esposizione relativamente a un punto essenziale nel quadro della cultura contemporanea:
che senza nascita ci che e senza morte (v. 3).
Omogeneo e continuo
I vv. 22-25 costituiscono un nuovo blocco a giustificazione dei
: (intero), (uniforme), (tutto insieme), (continuo):
,
, ,
, .
.
478
479
480
Il segnavia indicherebbe dunque un'identit di genere, di natura, ununiformit tale da escludere qualsiasi forma di
potenziale discriminazione allinterno dellessere: in questo senso
sarebbe impiegato nel nostro frammento in antitesi alla dicotomia che il filosofo pone al fondo delle opinioni mortali
( v. 51), costruite intorno a una coppia di forme
( v. 53) distinte oppositivamente (
v. 55), e reciprocamente separate (
vv. 55b-56a).
Accettando la lettura di Mourelatos, risulta ancora pi evidente
il ruolo decisivo della richiamata al v. 16: .
sulla scorta di essa, infatti, che la Dea pu marcare linesorabile
uni-genericit (o meglio uniformit) di ci che , escluderne
differenziazioni, proporlo come un blocco compatto nellessere.
Concentrandosi su ed escludendo , possibile affermare (di ): . Una piena applicazione della
formula della prima via di B2.3:
.
481
482
.
, [...]
Anassimene, anche lui milesio, figlio di Euristrato,
disse che il principio aria infinita, da cui si generano le
cose che nascono e le cose che sono nate e quelle che
nasceranno e gli dei e le cose divine, mentre le altre cose
derivano da quanto da essa prodotto. (2) Laspetto
dellaria questo: quando del tutto uniforme, essa risulta
invisibile; si mostra invece con il freddo e il caldo e
lumidit e il movimento. Si muove sempre: le cose che
mutano, infatti, non muterebbero, se essa non si
muovesse. (3) Quando condensata e rarefatta, infatti,
appare in modo diverso: quando si dirada fino a essere
molto rarefatta, diventa fuoco; mentre i venti, a loro volta,
sono aria condensata; dallaria poi, per compressione, si
formano le nuvole, e, crescendo ancora la condensazione,
lacqua, e, crescendo di pi, la terra, e, crescendo al
massimo, le pietre. Cos gli elementi fondamentali della
generazione sono contrari, il caldo e il freddo (Ippolito;
DK 13 A7).
484
Questo mondo ordinato, lo stesso per tutti, nessuno
degli dei o degli uomini produsse, ma fu sempre, e sar
fuoco sempre vivo, che si accende secondo misura e si
estingue secondo misura (Clemente Alessandrino; DK 22
B30)
Tutte le cose sono scambio con fuoco e il fuoco
scambio con tutte le cose, come i beni sono scambio con
oro e loro scambio con beni (Plutarco; DK 22 B90)
,
, ,
485
85
486
Immobile e identico
probabile che allo stesso contesto rinviino i versi successivi
(26-31), che sottolineano immobilit e immutabilit di ci che :
,
, .
, ,
Inoltre, immobile nei vincoli di grandi catene,
senza inizio e senza fine, poich nascita e morte
sono state respinte ben lontano: convinzione genuina
[le] fece arretrare.
Identico e nellidentica condizione perdurando, in se
stesso riposa,
e, cos, stabilmente dove persiste: dal momento che
Necessit potente
487
Nellidentica condizione
Insomma, Parmenide appare interessato a escludere dallessere
la possibilit di intrinseca motilit (connaturata invece, secondo le
testimonianze, alla milesia) - donde forse laggettivo
del v. 4 - e dunque, rispetto allo schema esplicativo che
abbiamo riscontrato, di trasformazione (): da un punto di
vista linguistico sono dominanti le espressioni che accentuano
saldezza (stabilmente dove persiste ) e staticit (in se stesso riposa ), figurativamente
accompagnate dalla suggestione dei vincoli di grande catene
( ), e del rinserramento dellessere (
) a opera di Necessit potente ( ).
Come abbiamo segnalato in nota al testo, il passo ricco di
echi letterari e riflette su un nodo (mutamento) ben documentato
anche nella cultura filosofica arcaica:
- ,
.
488
-
.
- ;
.
- ;
,
A. Ma sempre gli dei furono presenti e mai vennero
meno:
queste cose sono sempre uguali e sempre per s stesse.
B. Eppure si dice che Caos primo venne allessere
degli dei.
A. Come possibile? Come primo non aveva da cosa
derivare n verso cosa procedere.
B. Nulla allora procedette per primo? A. Nemmeno per
secondo, per Zeus, ,
almeno delle cose di cui ora stiamo discorrrendo in
questo modo, ma esse furono sempre [...]. (Epicarmo; DK
23 B1)
[...]
,
,
.
,
[...]
[...] Cos ora considera
anche gli uomini: luno cresce, laltro, invece,
deperisce:
tutti sono in mutamento durante tutto il tempo.
Ora, ci che muta per natura e non mai nella stessa
condizione permane,
sarebbe gi diverso da quel che era [...] (Epicarmo; DK
23 B2)
489
Le citazioni di Senofane ed Epicarmo attestano, nella elaborazione contemporanea, la preoccupazione per il mutamento in associazione al tempo: tradizionalmente riferite al rapporto tra
lumano e il divino (Epicarmo), esse complessivamente contrastano i processi di crescita e deperimento, linstabilit sostanziale
degli esseri umani, con limmota identit delle realt divine (uguali e sempre per s stesse ), connotata sia rispetto al tempo (sempre gli dei furono presenti e mai
vennero meno, ), sia
rispetto allo stato (ci che muta per natura, e mai nella stessa
condizione permane,
)86. Significativamente, nel suo breve frammento Senofane sembra giustificare limmobilit divina con una considerazione di opportunit: n gli si addice [] spostarsi ora in
un luogo ora in un altro.
La Dea di Parmenide, da parte sua, coniuga immobilit, immutabilit e identit sulla base di tre considerazioni:
(i) generazione e corruzione sono state allontanate dallo scenario dellessere con argomento conclusivo (convinzione genuina
[le] fece arretrare ): dunque indiscutibilmente sottratto alla linearit della relazione inizio-fine a
causa della contraddizione che essa comporta;
nel senso che non diviene;
(ii) ingenerabilit, incorruttibilit, pienezza, omogeneit e continuit (sottolineate nei versi precedenti) pongono laccento
sullidentit di con se stesso: essa appare il nuovo baricentro del discorso divino. La Dea, tuttavia, non propone un argomento a sostegno, n esplicitamente si appoggia al precedente,
86
490
Non incompiuto...
Anche largomento a sostegno dellimmutabilit di ci che
dipende dunque, in ultima analisi, dalla dei vv. 15-16:
. Su quel giudizio, in effetti, poggia saldamente la
che esclude, dallorizzonte della riflessione
sullessere, e . Tale immutabilit , a sua volta, utilizzata (vv. 32-33) come prova a favore della perfezione di
88:
.
E per questo non incompiuto lessere [] lecito che sia:
non , infatti, manchevole [di alcunch]; il non essere,
invece, mancherebbe di tutto.
87
88
491
se lessere fosse in qualche misura o per qualche aspetto carente, porterebbe con s non-essere e ne sarebbe distrutto, come
gi marcato (o anticipato) al v. 11:
deve essere per intero o non essere per nulla.
492
Essere e pensiero
appunto nella discussione di questo nodo che Parmenide inserisce (vv. 34-38a) quanto appare come un excursus, oggetto di
un articolato dibattito, filologico e interpretativo, cui abbiamo accennato in nota al testo:
.
, ,
o;udn < >
,
La stessa cosa invero pensare e il pensiero che :
giacch non senza lessere, in cui [il pensiero]
espresso,
troverai il pensare. N, infatti, esiste n esister
altro oltre allessere, poich Moira lo ha costretto
a essere intero e immobile.
493
90
494
495
quanto in realt essi nominano: sebbene non ne siano consapevoli, ogni nome afferma lessere. Allorizzonte (trascendentale)
dellessere non pu sottrarsi il nominare dei mortali 93.
Nel contesto, insomma, a dispetto di una lunga tradizione interpretativa, intenzione della Dea sarebbe non tanto aprire una parentesi per discutere dell'inattendibilit dellesperienza umana,
quanto rilevare lillusione che altro (dallessere e dai suoi segnali) possa essere lambito del pensare. In questione sarebbe allora
la consistenza del mondo attestato empiricamente, ma non in
quanto di per s illusorio, risultato di un inganno dei sensi, piuttosto perch non inquadrato coerentemente, da un punto di vista logico, nell'unitaria cornice dessere, e dunque frainteso. In quest'ottica, al linguaggio inadeguato dei mortali contrapposto il linguaggio della verit dellessere94.
A chi si riferisce il termine ? Agli esseri umani in genere, evocando il tradizionale rilievo della loro debolezza cognitiva
(rispetto alla conoscenza divina) e dunque accentuando la natura
eccezionale dell'esperienza del poeta? Ovvero a un gruppo o a
gruppi di sapienti rivali? Osservando le scelte espressive di Parmenide ( , ,
), potremmo riconoscere sia
una generica allusione alle modalit ordinarie di lettura della realt (cambiamento di luogo, mutamento qualitativo), sia laccenno
a un linguaggio pi specifico (nascere e morire, essere e non essere): quello che sopra abbiamo individuato nelle testimonianze relative agli schemi cosmologici (e cosmogonici) milesi e nei
frammenti eraclitei.
A noi sembra, tuttavia, che questo passo - apparentemente una
pausa nella sequenza argomentativa del frammento faccia emergere un aspetto peculiare dellapproccio di Parmenide, una
nuova dimensione speculativa. Ipotizzando che lEleate abbia
preso le mosse dallanalisi delle implicazioni (ontologiche) di affermazioni relative alla o all', denunciando le incongruenze delle lezioni cosmologiche (e cosmogoniche) circolanti,
93
94
496
Moira lo ha costretto...
Per la terza volta nel frammento, la Dea assicura il proprio ragionamento ricorrendo a unimmagine mitica (e a una formula epica): Moira ha costretto () a essere intero e immobile ( ). in forza di tale destino
che nulla esiste o esister ( ) oltre allessere
( ): ci, in primo luogo, comporta ancora (come
nel caso di Giustizia e Necessit) che la garanzia di Moira risulti
formalmente essenziale per affermare integrit, unicit e immutabilit dellessere (e dunque per sostenere come i nomi dei
mortali si riferiscano in vero sempre e solo allessere). Ma la
superiore tutela di Moira impone, in secondo luogo, anche
lidentit di essere e pensiero, nel momento in cui marca, appunto, come non possa esistere (altro oltre
allessere).
In questo senso, rispetto a e , essa riveste una funzione trascendentale: richiamando implicitamente le immagini dei
legami () e delle catene () ed esplicitamente la fissi95
G.E.R. Lloyd usa lespressione secondordine, per esempio nel suo Le pluralisme de la vie intellectuelle avant Platon, in A. Laks et C. Louguet (ds),
Quest-ce que la Philosophie Prsocratique?..., cit., p. 44.
96
Graham, Explaining the Cosmos, cit., p. 166.
497
Compiuto e omogeneo
I versi (42-49) che concludono la sezione sulla Verit ne riassumono lontologia, insistendo particolarmente su compiutezza e
omogeneit di ci che , attraverso un ampio ricorso a metafore
spaziali:
,
, ,
.
,
,
,
, .
Inoltre, dal momento che [vi ] un limite estremo, [ci
che ] compiuto
da tutte le parti, simile a massa di ben rotonda palla,
498
C un limite estremo
Anche in questo caso come in altri passaggi del poema appare evidente il debito nei confronti dellimmaginario epico:
,
,
,
499
, ,
.]
[
L della terra nera e del Tartaro oscuro,
del mare infecondo e del cielo stellato,
di seguito, di tutti vi sono le scaturigini e i confini,
luoghi penosi e oscuri che anche gli dei hanno in odio,
voragine enorme; n tutto un anno abbastanza sarebbe
per giungere al fondo a chi passasse dentro le porte,
ma qua e l lo porterebbe tempesta sopra tempesta
crudele; tremendo anche per gli dei immortali
tale prodigio. E di Notte oscura la casa terribile
sinalza, da nuvole livide avvolta (Teogonia 736-745.
Traduzione di G. Arrighetti).
500
immobile nei vincoli di grandi catene (v. 26)
poich Moira lo ha costretto
a essere intero e immobile (vv. 37b-38a)
,
dal momento che Necessit potente
nelle catene del vincolo [lo] tiene (vv. 30a-31b)
,
dal momento che [vi ] un limite estremo, [ci che ]
compiuto (v. 42).
Sono i legami variamente evocati a impedire allessere di essere esposto a generazione e corruzione ( o),
ovvero al mutamento (), e a garantirne integrit (o%ulon
) e perfezione ( , ). Come
abbiamo in precedenza osservato, significativamente alle immagini di catene e vincoli sono associate figure di garanzia: Giustizia, Necessit, Moira. Lidea quella di costrizione come destino
ovvero legge dellessere97, ma nel contesto, in relazione al pronunciamento circa l'esistenza di un confine estremo (
), all'accostamento al corpo di una palla ben rotonda
( ) e alle altre formule spaziali
(, ) utilizzate, potremmo trovarci in presenza di
una suggestione cosmologica. Secondo Schreckenberg98, l'idea di
un estremo vincolo cosmico sarebbe antica e avrebbe avuto origine in ambiente pitagorico, come documenterebbe Atius:
97
501
Pitagora afferm che la necessit circonda il cosmo 99,
e confermerebbe la nozione pitagorica di (limite del cosmo). In effetti, Atius attribuisce proprio a Pitagora
l'introduzione del termine cosmo per indicare il tutto:
.
Pitagora per primo chiam l'insieme di tutte le cose
cosmo, per l'ordine che vi regna (DK 14 A21)
502
sere (), rispetto alla quale svaniscono tutti gli elementi di discriminazione spaziale (cos come erano stati neutralizzati tutti i
riferimenti temporali)100.
Nell'essere si riassumono omogeneamente tutte le cose: ci
che si stringe infatti a ci che (v. 25: ).
In considerazione dell'alternativa radicale -non , ci che
risulta compatto (v. 19: ), coeso (v. 25:
), compiuto (v. 27:
):
,
Non vi , infatti, non essere, che possa impedirgli di
giungere
a omogeneit (vv. 46-47a).
100
503
,
a se stesso, infatti, da ogni parte uguale,
uniformemente entro i [suoi] limiti rimane (v. 49).
La compiutezza (in ogni direzione) di ci che che sostenuta sulla base della sua "densit" ontologica:
n ci che esiste cos che ci sia - di ci che qui pi, l meno (vv. 47b-48a).
Nulla pu alterarne l'equilibrio, ovvero impedirne l'omogeneit ( ): affermare l'essere comporta escluderne (con il non-essere) ogni possibile deficienza e dunque equivale ad affermarne eguaglianza, uniformit, totale identit con se stesso, in altre parole la inviolabilit ( ).
Simile a massa...
Estremamente controversa a livello interpretativo la similitudine introdotta dalla Dea all'inizio del nostro passo (ma in conclusione della sua comunicazione di Verit!):
,
simile a massa di ben rotonda palla,
a partire dal centro ovunque di ugual consistenza (vv.
43b-44a).
Come abbiamo rilevato in nota al testo, tre punti sono criticamente determinanti:
(i) il soggetto (sottinteso) della similitudine (con cui concorda );
(ii) (simile) si riferisce non a palla ()
ma a massa ();
504
505
cenza di ci che in se stesso (dunque nel presente); analogamente sono superate tutte le distinzioni di luogo, nella sua compiuta, omogenea, coesa estensione. Insomma, del cosmo milesio
(e probabilmente pitagorico) sono evaporati i fattori cosmogonici
- i contrari, la natura-principio, le masse elementari - ed rimasto
, espressione che solo in questo senso designa qualcosa di
astratto, non immediatamente riconducibile ai sensi: un intero indiscriminato 102, in cui si riassume la realt dell'universo, la totalit
delle cose considerate appunto come essere 103.
Solo in coerenza con l'esigenza di permanenza, stabilit e identit incarnata da questa realt-verit sar possibile ripensare il
mondo della esperienza. Se vero che Parmenide non propone
nella Via della Verit una propria cosmologia, ne fissa certamente
le condizioni di possibilit, come la riflessione posteriore, da Empedocle agli atomisti, avrebbe mostrato.
La similitudine con la massa di ben rotonda palla introdotta per illustrare plasticamente un nodo decisivo della esposizione
della Dea:
,
103
506
Moira) e ai loro vincoli immobilizzanti, piuttosto attraverso il riferimento al carattere ultimo dellestremit entro cui lessere uniformemente nei limiti rimane ( )104. Il limite estremo: come in Esiodo si d, rispetto all'abisso spalancato (, ), una barriera insormontabile in cui tutte le
cose hanno radice ( ), in Parmenide oltre
il confine non c nulla, al di qua tutto lessere, di conseguenza
perfetto, compiuto () da ogni parte ()105. La
similitudine insiste sullestensione compatta e sulla tensione uniforme: sulluguale consistenza, dal centro al perimetro della sfera.
Mourelatos ha osservato 106 come la sfera si prestasse, tra le varie
figure, all'estrazione di criteri di completezza, dal momento che
quella che ha estensione sempre identica con se stessa.
Che questi versi (i pi citati del poema nell'antichit) fossero
destinati a un forte impatto cosmologico, rivelato soprattutto
dalle riprese platoniche: come hanno puntualmente confermato le
ricerche di Palmer107, la rappresentazione della grandiosa creazione del cosmo fisico da parte del demiurgo, sulla scorta del modello del vivente intelligibile, nel Timeo platonico propone
unimpressionante concentrazione di allusioni (e parole) parmenidee:
.
,
,
,
,
.
.
, ,
104
507
,
,
,
.
[...]
E gli diede una figura a s congeniale e congenere. Ma
la figura congeniale al vivente che doveva contenere in s
tutti i viventi non poteva essere che quella che
comprendesse in s tutte le figure possibili; per cui, lo
torn come una sfera, in una forma circolare in ogni parte
ugualmente distante dal centro alle estremit, che la pi
perfetta di tutte le figure e la pi simile a se stessa,
giudicando il simile assai pi bello del dissimile. E ne rese
perfettamente liscio l'intero contorno esterno per molte
ragioni. Infatti, non aveva affatto bisogno di occhi, perch
nulla era rimasto da vedere all'esterno, n di orecchie,
perch nulla era rimasto da sentire; n vi era bisogno di un
organo per ricevere in s il nutrimento o per eliminarlo in
seguito, dopo averlo assimilato. Nulla, del resto, poteva da
esso separarsi e nulla a esso aggiungersi da nessuna parte,
perch nulla vi era al di fuori [...] (Timeo 33b-c7)108.
108
508
plausibile che Proemio e prima parte complessivamente risultassero marcatamente pi brevi rispetto alla seconda, di cui per abbiamo conservati soltanto quaranta versi (dei 150 circa complessivamente superstiti: 32 del solo B1 e 61 di B8!): 1/10, secondo le stime tradizionali, dellintera sezione, che doveva coprire i 2/3 del poema1. Su questo elemento strutturale avremo modo
di riflettere ancora pi avanti.
509
,
[vv. 50-59]
Concluso infatti il discorso intorno all'intelligibile,
Parmenide aggiunge [citazione vv. 50-61] (Simplicio,
Phys. 38, 28)
Passando dagli intelligibili ai sensibili, o dalla verit,
come lui si esprime, all'opinione, Parmenide, in quei versi
in cui afferma [citazione vv. 50-52], pone a sua volta i
principi elementari delle cose generate, secondo la prima
antitesi che egli chiama luce e tenebra o fuoco e terra o
denso e raro o identico e diverso, affermando, subito dopo
i versi in precedenza citati, [citazione vv. 50-59]
(Simplicio, Phys. 30, 13).
Pur ipotizzando la posteriorit della suddivisione e sottotitolazione (Verit e Opinione) delle sezioni, non rimangono dubbi circa la funzione di cerniera di questo passo. Il linguaggio peripatetico del commentatore riflette in effetti un'altra celebre testimonianza sulla Doxa parmenidea, proposta nel primo libro della Metafisica aristotelica:
,
, , [...],
,
,
, ,
.
Parmenide, invece, sembra in qualche modo parlare
con maggiore perspicacia: dal momento che, ritenendo
che, oltre allessere, il non-essere non esista affatto, egli
crede che lessere sia di necessit uno e nientaltro. []
Costretto, tuttavia, a seguire i fenomeni, e assumendo che
luno sia secondo ragione, i molti invece secondo
sensazione, pone, a sua volta, due cause e due principi,
chiamandoli caldo e freddo, ossia fuoco e terra. E di questi
510
Verit e opinioni
Il testo del frammento , d'altra parte, a sua volta esplicito nel
rilevare la svolta nell'esposizione divina:
.
A questo punto pongo termine per te al discorso
affidabile e al pensiero
intorno a Verit; da questo momento in poi opinioni
mortali
impara, lordine delle mie parole ascoltando, che pu
ingannare (vv. 50-52).
Da un lato la Dea sottolinea al proprio interlocutore la conclusione della comunicazione attendibile ( ) e della
riflessione sulla verit ( ) e, insieme, l'introduzione di punti di vista mortali ( ), mettendolo sull'avviso: la costruzione verbale ( ) potr
risultare fuorviante (). Dall'altro, comunque la Dea a
tenere lezione (donde l'esortazione al kouros: ), e le stesse
scelte espressive richiamano puntualmente il programma educativo del prologo del poema.
La rivelazione della dea innominata comprevedeva tre momenti distinti (ma concettualmente correlati): (i) l'indiscutibile
Verit, (ii) le inaffidabili opinioni dei mortali, (iii) un adeguato
resoconto dei contenuti di quelle opinioni, - le cose
accettate nelle opinioni, ovvero le cose che appaiono. Nostra
convinzione che le premesse di B2 consentano di individuare
espressamente in B8.1-49 la trattazione del primo punto, e complessivamente in B6, B7, B8 allusioni al secondo, non fatto oggetto di riscontro puntuale, ma solo genericamente di rilievi di fondo
511
512
La seconda parte, in fondo, rientrava nei canoni della produzione cosmogonico-cosmologica milesia: non un caso che di essa siano state tramandate, probabilmente, apertura e conclusione.
Due dati risultano fuori discussione: (i) l'abbandono dell'esposizione della Verit; (ii) il passaggio alla considerazione di
punti di vista mortali ( ), in altri termini di una
prospettiva diversa rispetto a quella divina. Nel contesto della
narrazione ci comporta da parte della Dea che si rivolge a un
essere umano adeguare il proprio registro espressivo: pur continuando la propria lezione, ella avverte circa il potenziale disturbo
(alla corretta intelligenza della realt) conseguenza dell'adozione
di un lessico adeguato a quei punti di vista.
Come im precedenza denunciato (B8.38b-42), il linguaggio
della pluralit e del divenire virtualmente foriero di contraddizione e il relativo correlato oggettivo, il mondo delle cose in mutamento, , dal punto di vista dellessere, apparenza. Dal momento che nonostante le denunce di B6, B7 e dello stesso B8 la
513
chiamo a ), come rivelano in particolare le connotazioni delle due forme ( ), e dunque l'adeguamento
della prospettiva della comunicazione divina: donde l'urgenza di
ridefinire i tradizionali strumenti (il modello oppositivo) di illustrazione dei fenomeni naturali, cos da evitare le contraddizioni
stigmatizzate nei frammenti precedenti. Complessivamente la
preoccupazione quella di fornire una spiegazione del mondo naturale () comunque superiore a quella della concorrenza.
Rispetto alla sezione sulla Verit, in cui era essenziale determinare, con lo sguardo dell'intelligenza, la compatta fisionomia
dell'essere (attraverso i segni di B8), l'urgenza avvertita nelle
parole della Dea quella di non abbandonare all'insignificanza il
mondo dell'esperienza.
Un ordinamento verosimile
Pu essere utile, per comprendere le movenze intellettuali di
Parmenide, richiamare il testo di B4:
.
Considera come cose assenti siano comunque al
pensiero saldamente presenti;
non impedirai, infatti, che lessere sia connesso
allessere,
n disperdendosi completamente in ogni direzione per
il cosmo,
n concentrandosi.
516
Da un lato Parmenide riconosce nel fatto d'essere la dimensione omogeneizzante che raccoglie a identit gli enti, ricavandone
attraverso l'esclusione del non-essere le propriet. Dall'altro,
dopo aver denunciato le contraddizioni di fondo che minavano le
cosmologie contemporanee, offre nella Doxa una ricostruzione
che colloca quanto si manifesta nell'esperienza ( ) in
un sistema esplicativo () adeguato () in esplicita coerenza con le indicazioni dei segni () della via che
( ), come evidenzia ancora B9:
,
,
Ma poich tutte le cose luce e notte sono state
denominate,
e queste, secondo le rispettive propriet, [sono state
attribuite] a queste cose e a quelle,
tutto pieno egualmente di luce e notte invisibile,
di entrambe alla pari, perch insieme a nessuna delle
due [] il nulla,
impiegando un lessico che indiscutibilmente quello della conoscenza e non dell'errore, come conferma B10:
,
,
517
Diagnosi di un errore
Dopo aver annunciato il passaggio dalla riflessione intorno a
Verit ( ) alle opinioni mortali (
) e il mutamento di registro - dalla necessaria enunciazione di ci che ( , B6.1)
all'ascolto dellordine delle mie parole che pu ingannare
( , B8.52) la Dea concentra
la propria attenzione, con una formula non priva di ambiguit, su
uno schema linguistico di cui riscontra e stigmatizza, in un verso
dal significato molto discusso, il limite concettuale:
-
Presero la decisione, infatti, di dar nome a due forme,
delle quali lunit non [per loro] necessario
[nominare]: in ci sono andati fuori strada (B8.53-4).
condo. La nostra traduzione tiene conto delle diverse proposte interpretative (e filologiche), senza pretendere di fare chiarezza:
probabile, come suggerito da Mourelatos2, che il costrutto verbale
fosse intenzionalmente ambiguo, se non addirittura ironico, forse
concepito per un efficace attacco ad hominem. La diagnosi ruota
intorno al punto (b): la Dea, in altre parole, stando alla nostra ricostruzione del significato dei versi parmenidei, censura (senza
addebito esplicito) il mancato riconoscimento dell'unit nelle due
forme introdotte per dar conto dei fenomeni. Una lettura
nell'antichit gi proposta da Simplicio:
si sono ingannati coloro che non colgono l'unit nella
opposizione degli elementi che producono la generazione
(Fisica 31.8-9).
Per quanto ci dato ricostruire dallo scarso materiale conservato, nelle battute che segnano il passaggio alla Doxa la Dea si
intrattiene dapprima su un errore che evidentemente Parmenide
considerava strutturale almeno in certi resoconti cosmologici: ci
per assumerne un modello (pitagorico?), evitandone a un tempo le
implicazioni contraddittorie con l'insegnamento della Altheia. La
preoccupazione di rilevare con precisione ( , in ci...) la natura dell'erranza probabilmente indice dell'esigenza di procedere
comunque con lo schema dualistico, tenendo lontano lo spettro
del non-essere. Si spiegherebbe cos la cautela della Dea, la sua
segnalazione delle potenzialit fuorvianti del proprio discorso sulle opinioni mortali: non a caso, dello schema adottato, subito si
denuncia un impiego improprio, per poi (B9) marcare la corretta
impostazione ontologica:
[...]
,
[...] tutto pieno egualmente di luce e notte invisibile,
2
520
Il riscontro tra il passo conclusivo di B8 e B9 che doveva seguire dappresso, secondo le indicazioni di Simplicio (contesto di
B9: ..., poco dopo aggiunge...) pu autorizzare la lettura di Thanassas, secondo il quale l'aggettivo
andrebbe riferito alle opinioni dei mortali criticate in
B8.54-9, in stretta relazione con la formula in questo si sono ingannati ( ): essa esprimerebbe lerrore
delle ingannevoli , preparando la correzione della
appropriata () Doxa divina3.
In effetti la Dea cos passa a determinare il modello dualistico
introdotto al v. 53:
, ,
, , ,
,
Scelsero invece [elementi] opposti nel corpo e segni
imposero
separatamente gli uni dagli altri: da una parte, della
fiamma etereo fuoco,
che mite, molto leggero, a se stesso in ogni direzione
identico,
rispetto allaltro, invece, non identico; dallaltra parte,
anche quello in se stesso,
le caratteristiche opposte: notte oscura, corpo denso e
pesante (vv. 55-59).
521
,
,
.
, , ,
,
poi da quella [via] che mortali che nulla sanno
sinventano, uomini a due teste: impotenza davvero nei
loro
petti guida la mente errante. Essi sono trascinati,
a un tempo sordi e ciechi, sgomenti, schiere scriteriate,
per i quali esso considerato essere e non essere la
stessa cosa
e non la stessa cosa: ma di [costoro] tutti il percorso
torna all'indietro.
Nel contesto delle citazioni (DK 28 B6), Simplicio indica l'errore contestato: i mortali che nulla sanno hanno trascurato la
(decisione, scelta) tra , imponendo cos di
fatto l'identit ( ) tra essere e non-essere. Diverso il discorso a proposito delle opinioni mortali criticate in
B8, ancora secondo Simplicio:
si sono ingannati coloro che non colgono l'unit nella
opposizione degli elementi che producono la generazione
(Fisica 31, 8-9).
In questo caso, ci che viene censurato sostanzialmente l'errore opposto: il mancato rilievo dell'unit delle forme nell'essere. Si pu notare, allora, accostando l'attenzione descrittiva di
B8.55-59 alla dura requisitoria contro la confusione dei
di B6, come nella conclusione di B8 la Dea manifesti una diversa
indulgenza per quelle convinzioni, di cui sembra rilevare pregi e
difetti. Ella in pratica parrebbe, a un tempo, insistere sullo schema
oppositivo e prendere le distanze, per i criteri ontologici della Altheia, da una sua specifica applicazione. In questo senso, in parti522
colare, l'insistenza su una opposizione i cui membri risultano interamente separati e indipendenti:
[...]
[...] ,
[...]
Scelsero invece [elementi] opposti nel corpo e segni
imposero
separatamente gli uni dagli altri [...]
[...] a se stesso in ogni direzione identico,
rispetto allaltro, invece, non identico; dallaltra parte,
anche quello in se stesso,
le caratteristiche opposte [...].
523
Un modello elementare
Abbiamo inizialmente utilizzato il contesto della citazione dei
versi conclusivi di B8 da parte di Simplicio per osservare come il
commentatore segnalasse il passaggio tra le due sezioni del poema. Ora dobbiamo riprendere quel contesto per determinare il
modello proposto nella Doxa:
.
[vv. 50-61]
.
, ,
[vv. 50-52],
,
< >
,
[vv. 50-59]
Concluso infatti il discorso intorno all'intelligibile,
Parmenide aggiunge [citazione vv. 50-61] (Simplicio,
Phys. 38, 28)
Passando dagli intelligibili ai sensibili, o dalla verit,
come lui si esprime, all'opinione, Parmenide, in quei versi
in cui afferma [citazione vv. 50-52], pone a sua volta i
principi elementari delle cose generate, secondo la prima
antitesi che egli chiama luce e tenebra o fuoco e terra o
denso e raro o identico e diverso, affermando, subito dopo
i versi in precedenza citati, [citazione vv. 50-59]
(Simplicio, Phys. 30, 13).
524
, , [...]
[...] [...]
,
da una parte, della fiamma etereo fuoco,
che mite, molto leggero [...]
[...] dallaltra parte [...]
le caratteristiche opposte: notte oscura, corpo denso e
pesante (vv. 56b-59).
526
pu suggerire l'ipotesi che l'Eleate abbia ricavato da contemporanee correnti pitagoriche lo schema cui sommariamente riferirsi8.
In alternativa, sfruttando il prezioso lavoro di Charles Kahn
sull'origine degli "elementi" nel mondo greco arcaico, si potrebbe
rintracciare in Parmenide l'eco di una tradizione che aveva fatto di
Gaia () e Urano () i progenitori di tutti gli esseri, come si pu ancora cogliere in Esiodo:
,
,
,
,
Salve, figlie di Zeus, datemi l'amabile canto;
celebrate la sacra stirpe degli immortali, sempre
viventi,
8
Dobbiamo tuttavia ricordare, con Patricia Curd, che non si conosce alcuna
cosmogonia presocratica che cominci con Luce e Notte (The Legacy of
Parmenides, cit., p. 117).
527
Testo greco e traduzione di G. Colli, La sapienza greca, vol. I, Adelphi, Milano 1977, pp. 172-175.
10
Anaximander and the Origins of Greek Cosmology, Hackett, Indianapolis
1994, p. 152.
11
Secondo alcuni codici di Simplicio.
528
In ogni modo, come sappiamo, Parmenide intervenne a correggere quello schema cosmogonico su un punto essenziale: l'assoluta posizione della separazione delle due forme:
[...]
[...] ,
[...]
529
Complessivamente il recupero e la correzione vanno nella direzione della determinazione di due elementi-principi, qualitativamente connotati in funzione della spiegazione dei fenomeni, di
cui si rimarca che non sono frutto di una indebita confusione tra
essere e non-essere: in questo senso, come ha rilevato Nehamas 12,
essi danno ragione di molteplicit e cambiamento nel mondo sensibile mescolandosi in proporzioni differenti, senza che nessuno
dei due si trasformi nell'altro.
530
non-identit ( ), ovvero nella mutua esclusione, appaiono foriere di potenziale contraddizione: donde l'esigenza di denunciare il rischio13.
La situazione appare paradossale, perch da un lato Parmenide, di fronte al compito di spiegare , avrebbe recuperato il dualismo giudicandolo pi coerente con i criteri ontologici,
rispetto, per esempio, alla cosmologia ionica che cerca di dar ragione dei fenomeni facendo appello alle trasformazioni di un singolo principio di base14; dall'altro, per, avrebbe avvertito l'implicita debolezza del modello. Come abbiamo sopra sottolineato, il
lessico dei frammenti superstiti che lessico di conoscenza
(B10: conoscerai, apprenderai, conoscerai) - segnala che in qualche modo tale debolezza era stata
aggirata.
La nostra lettura, tuttavia, non sembra aver superato il paradosso: perch introdurre due forme e poi insistere sulla loro unit? Aristotele, come abbiamo inizialmente avuto occasione di
ricordare, interpreta a suo modo:
,
, , [...],
,
,
, ,
.
Parmenide, invece, sembra in qualche modo parlare
con maggiore perspicacia: dal momento che, ritenendo
che, oltre allessere, il non-essere non esista affatto, egli
crede che lessere sia di necessit uno e nientaltro. []
13
531
Solo per dar ragione dei fenomeni, Parmenide avrebbe recuperato due principi (secondo i precedenti cosmologici) e solo analogicamente avrebbe accostato la loro opposizione a quella di essere
e non-essere15: Simplicio ne coglie il senso citando B9:
[...] "
"
532
,
n abitudine alle molte esperienze su questa strada ti
faccia violenza,
a dirigere locchio che non vede e lorecchio risonante
e la lingua.
16
534
come alternativa alle cosmologie ioniche 17: una grande sintesi enciclopedica che avrebbe dovuto illustrare la superiorit della sua
analisi ontologica. L'orgoglio dell'impresa potrebbe ancora riflettersi nelle battute conclusive del frammento:
,
Questo ordinamento, del tutto verosimile, per te io
espongo,
cos che mai alcuna opinione dei mortali possa
superarti (vv. 60-61).
,
Davvero l'evidente verit nessun uomo la conosce, n
mai ci sar
17
535
536
-
,
sulle cose mortali gli dei possiedono la certezza, ma a noi, in
quanto uomini, dato solo di trovare degli indizi.
537
538
e soprattutto (iii):
2
539
,
N divisibile, poich tutto omogeneo (B8.22).
disce l'assoluta esclusione del nulla (). Insomma, il linguaggio della doxa ripropone quello della altheia, sottolineando,
sul terreno dell'apparire, la propria continuit con il
, quasi che la doxa, nel suo insieme e a dispetto dell'insidia degli , ne costituisse la diretta prosecuzione3.
Perch, ci si potrebbe chiedere, Parmenide avrebbe dovuto affiancare alla Verit il resoconto plausibile di una realt gi ridotta,
nei suoi tratti caratterizzanti, ai di B8? B9 pu contribuire
a una risposta, soprattutto considerandone la collocazione a ridosso della dichiarazione conclusiva di B8:
,
Questo ordinamento, del tutto appropriato, per te io
espongo,
cos che mai alcuna opinione dei mortali possa
superarti.
Ibidem.
541
542
La consistenza del mondo della nostra esperienza dipende dalla coerenza della sua costruzione linguistica: dopo (i) aver rifiutato le interpretazioni che pretendevano coniugare essere e nonessere (B6 e B7), (ii) aver individuato un modello (linguistico) di
base, imperniato sullo schema polare delle nozioni luce-notte
(B8.53-4), (iii) averne rilevato i limiti (B8.55-59), e (iv) bandito
esplicitamente l'implicazione del nulla (B9.4), Parmenide se ne
serve (v) distribuendone le rispettive propriet su tutte le cose.
In altre parole, egli procede a connotare, attraverso gli
delle due e i relativi -, i vari aspetti fenomenici:
la luce associata a caldo, leggero, raro; la notte a freddo, pesante, denso, come possiamo evincere da B8.56-9 e dallo scolio a B8
di Simplicio:
,
tra i versi riportato un passo in prosa come fosse
dello stesso Parmenide; esso afferma: per questo ci che
raro anche caldo, e luce e morbidezza e leggerezza; per
la densit invece il freddo indicato come oscurit,
durezza e pesantezza.
Quanto stato denominato conformemente a tale strategia assume lo spessore di un mondo comune, condiviso: non a caso,
dopo aver impiegato in premessa l'espressione
, al v. 3 la Dea conclude che
.
543
544
545
.
[citazione B11]
.
Parmenide intorno alle cose sensibili afferma di aver
intenzione di dire [citazione B11] e descrive l'origine delle
cose che si generano e si corrompono, fino alle parti degli
animali.
Evidentemente la funzione dei due testi citati era prolettica rispetto alla vera e propria descrizione cosmogonica e cosmologica:
dal momento che Plutarco (Contro Colote 1114b, contesto di DK
28 B10) ci documenta l'articolazione della Doxa parmenidea, utilizzando ancora la sua testimonianza possiamo tracciare una loro
plausibile posizione:
, ,
Ha costruito anche un sistema del mondo e
mescolando come elementi la luce e la tenebra, fa derivare
tutti i fenomeni da questi e mediante questi. Ha detto in
effetti molte cose sulla Terra, e sul Cielo e sul Sole e sulla
Luna e tratta anche dell'origine degli uomini: nulla ha
taciuto circa le cose pi importanti, come si addice a uomo
arcaico nello studio della natura e che ha composto uno
scritto proprio non distruzione di un altro.
nea l'originalit dell'impresa scientifica. Ci ribadito in conclusione: ha composto uno scritto proprio non distruzione di un
altro ( , );
(ii) poi che la scelta degli elementi () funzionale al
progetto scientifico: la ricognizione cosmologica () implica la ricostruzione comogonica; la struttura del cosmo la sua
produzione. Con la proposta di due principi il filosofo assicura la
spiegazione fenomenica (conclusione di B8 e B9): mescolando
come elementi la luce e la tenebra (
), egli produce il suo . Da e per mezzo di
quegli elementi ( [...] ) ricava ()
tutti i fenomeni ( );
(iii) infine che il progetto scientifico doveva essere ambizioso,
dire molto (molte cose, ) sulla Terra, e sul Cielo e sul
Sole e sulla Luna: si tratta evidentemente del tema cui alludono
programmaticamente B10-11 e che B12 sviluppa. Doveva poi
procedere a delineare l'origine degli uomini (
): ne abbiamo tracce in B13 (e successivi).
Potremmo cos avere conferma della bont dell'attuale successione, ovvero supporre una sistemazione leggermente diversa. La
natura programmatica di B10 e B11, attestata dalla ricorrenza di
formule illocutorie (, , ) che ricorda la protasiinvocazione alle Muse della Teogonia esiodea1, unitamente alla
considerazione che B9 ne costituisce il fondamento (funzione dei
principi), potrebbe suggerire una posposizione dello stesso B9 2. A
ci osta sostanzialmente l'indicazione (comunque approssimativa)
di Simplicio, nel contesto di B9, circa la prossimit della citazione alla conclusione della precedente (B8.53-9).
D'altra parte chiaro come B10 costituisca una sorta di indirizzo della Dea a Parmenide, analogo a quello che chiude il proemio: ci troveremmo in questo senso in presenza di un "secondo"
1
2
547
Conoscere la natura
La Dea dunque preannuncia (promette) al proprio discepolo un
grandioso disegno scientifico:
,
,
.
Per questo in passato Bicknell propose di integrare i versi di B10 nel prologo
del poema (P.J. Bicknell, Parmenides, fragment 10, Hermes 95, 1968, pp.
629.631).
4
tudes sur Parmnide, cit., I, p. 246-7 (in particolare nota 33).
548
549
Conche5 ha osservato, a proposito di questi rilievi, come Simplicio evidenzi l'ampiezza e la verticalit dell'indagine parmenidea, evocando nelle scelte verbali (generazione-corruzione, parti
degli animali) i temi poi trattati da Aristotele, e la centralit dei
processi naturali nell'esplicazione dei fenomeni: il mondo opera
della natura.
D'altra parte non sfuggita agli studiosi l'eco di questo indirizzo cosmogonico di B10 in Empedocle (DK 31 B38):
,
,
.
Ors, ti dir delle cose prime e <uguali per principio>;
da cui divenne manifesto tutto quanto ora vediamo,
terra e mare dalle molte onde e aria umida
e il Titano etere che cinge in cerchio tutte le cose.
550
che abbiamo per lo pi tradotto come natura - designa appunto ci che d origine (, dare origine), la cui attivit generatrice si traduce in .
Conoscere la natura significa allora riconoscere i processi di
formazione, il manifestarsi dell'origine ( , ) nei
segni (), nei fenomeni celesti; Parmenide evidentemente
non allude con a unimmota identit, a un'essenza che con
la propria stabile determinatezza consenta di classificare i fenomeni 7 : in questo senso la formula donde ebbero origine
( ) riprende e rilancia la ricerca milesia
dell'8. Nell'indirizzo della Dea allora possibile intravedere
una doppia direzione di indagine: (i) quella che dai , dagli
, dai fenomeni astronomici risale alla natura che li esprime;
(ii) quella che dalla discende ai relativi 9.
Nella stessa direzione, precisando il disegno, B11:
.
[...] come Terra e Sole e Luna,
l'etere comune e la Via Lattea e l'Olimpo
estremo e degli astri l'ardente forza ebbero impulso
a generarsi.
In questo caso, di alcuni elementi essenziali del quadro cosmologico si prospetta la genesi marcandone lo spunto immanente: a
conferma del fatto che Parmenide non intende semplicemente descrivere un ordine cosmico, stabilire ruoli e posizioni relative, ma
produrre una cosmogonia. La combinazione di e
indicativa della sua nozione di : essa in ogni fenomeno la
7
In questa direzione anche la lettura di Conche, op. cit., pp. 204-5. A noi pare,
tuttavia, che Parmenide intenda esporre anche la costituzione dell'etere o
della luna, analizzarne la composizione.
8
Su questo punto si veda Ruggiu, op. cit., pp. 333-5.
9
Ibidem.
551
do l'attacco di B9:
Ma poich tutte le cose luce e notte sono state
denominate,
e queste, secondo le rispettive propriet [],
[sono state attribuite] a queste cose e a quelle (vv.1-2),
potremmo concordare con Ruggiu 10 che le due forme originarie Luce e Notte si manifestano come nella
di ogni cosa: esse, sotto questo profilo, costituirebbero l'unica natura delle cose.
10
11
Ibidem.
Sia nella forma, da noi accolta, dell'aoristo, sia in quella del perfetto medio
(), proposta in alternativa.
552
Ma che lo sguardo del poeta nei versi superstiti - non sia rivolto tanto alla contemplazione di un ordine da cui ricavare o in
cui riscontrare armonie ed equilibri strutturali, ovvero modelli geometrici, quanto al compiaciuto rilevamento della fecondit,
dell'impeto () generativo che nell'universo manifesta la natura, emerge nei versi in cui la Dea riferendosi a Sole e Luna
insiste non sulla loro posizione relativa nel sistema o sulla loro
relazione reciproca (a Parmenide dobbiamo il riconoscimento della riflessione lunare della luce solare), ma sulle loro opere, rispettivamente invisibili (ovvero distruttive) e periodiche,
cio sul loro contributo ai processi cosmici.
553
Corone cosmiche
Il processo cui alludono i versi doveva fornire le coordinate
essenziali per la comprensione dell'universo parmenideo, relati554
12
555
, .
Parmenide [afferma che] ci sono corone, l'una intorno
all'altra in successione, una costituita dal raro, l'altra dal
denso; tra queste ve ne sono altre miste di luce e oscurit.
Ci che tutte le avvolge solido come un muro, sotto il
quale una corona ignea; solido anche ci che al
centro di tutto, intorno al quale , ancora, una corona
ignea 13 . Delle corone miste [di fuoco e oscurit], quella
pi centrale per tutte principio e causa di movimento e
generazione: [Parmenide] la indica anche come Divinit
che governa e Giustizia che tiene le chiavi14 e Necessit.
L'aria secrezione della Terra, evaporata a causa della sua
[della Terra] compressione pi intensa, e il Sole e la Via
Lattea sono esalazioni del fuoco; la Luna mescolanza di
entrambi, dell'aria e del fuoco. L'etere poi avvolge tutto
dall'esterno [dalla posizione superiore], e al di sotto di
esso disposto quell'elemento igneo che abbiamo
chiamato cielo; sotto di questo le regioni intorno alla Terra
(Atius; DK 28 A37).
Il testo greco ,
sarebbe in realt interpolato: come sottolinea Franco Ferrari (nel suo recente
Il migliore dei mondi impossibili. Parmenide e il cosmo dei presocratici, cit.,
pp. 88-9), infatti una integrazione, e un emendamento. Il
testo alternativo restaurato sarebbe: < >
, e la circonferenza al centro di tutte [le corone] di nuovo
[una corona] ignea.
14
Il greco stabilito da Diels - emendazione del testo dei
manoscritti: , Giustizia che indirizza le sorti. Simplicio,
dopo aver citato B13, osserva in effetti:
, , [Parmenide
sostiene che la dea] invia le anime talora dal visibile all'invisibile, talora in
senso opposto.
556
15
558
, .
L'etere poi avvolge tutto dall'esterno [dalla posizione
superiore], e al di sotto di esso disposto quell'elemento
igneo che abbiamo chiamato cielo; sotto di questo le
regioni intorno alla Terra (Atius; DK 28 A37)
19
Ivi, p. 227.
Op. cit., p. 343.
21
Op. cit., p. 266.
20
559
Parmenide avrebbe previsto, nel suo cosmo, una doppia funzione per il cielo, che ancora pu intravedersi nei frammenti: esso
, per un verso, (i) , quindi fisicamente limitante, circoscrivente; per altro (ii) vincolante: Necessit guidando lo vincol a tenere i confini degli astri (
). Il cielo, dunque, anche legame
per tutti gli elementi celesti: gli astri, dislocati sulle , con
i rispettivi moti, immersi al suo interno nell'etere ( )22.
In effetti risulta evidente, nelle testimonianze, il nesso tra cielo
ed etere. Parmenide avrebbe indicato due aree nell'etere celeste:
(i) l'etere che si estende tutto intorno al cosmo, libero da astri; (ii)
l'etere popolato da astri, condensazioni di fuoco23. A questo alluderebbero le espressioni e di Atius
A40a:
. ,
,
, ,
Parmenide dispone per primo nell'etere Eos,
considerato da lui identico a Espero. Dopo quello dispone
il Sole, sotto il quale sono gli astri nella zona ignea che
chiama cielo.
Alla luce delle indicazioni che si possono ricavare dai frammenti e soprattutto da Atius, l'etere si estenderebbe tra la fascia
pi interna del sistema cosmico - densa di aria secreta dalla
Terra ( A37) - e la volta esterna ( ), che tuttavia potrebbe essere stata concepita
a sua volta come etere rigido. Il termine appare nelle testimonianze di Atius con i significati correnti nella tradizione peripatetica (Teofrasto): molto chiaramente la struttura celeste delineata e il lessico adottato riflettono la lezione di Aristotele:
22
23
560
,
.
,
, .
,
.
.
,
.
Prima dobbiamo dichiarare che cosa diciamo essere il
cielo e in quanto modi lo diciamo, perch diventi pi
chiaro l'oggetto d'indagine.
In un senso dunque diciamo cielo la sostanza
dell'estrema volta del tutto, cio il corpo naturale
nell'estrema volta del tutto; appunto la regione estrema e
pi elevata che siamo soliti chiamare cielo, in cui
affermiamo aver sede tutto quanto divino.
In altro senso [diciamo cielo] il corpo contiguo
all'estrema volta del tutto, in cui sono la Luna e il Sole e
alcuni degli astri; anche questi, in effetti, affermiamo
essere nel cielo.
In un altro senso ancora, diciamo cielo il corpo
abbracciato [compreso] dall'estrema volta; siamo soliti,
infatti, definire cielo l'universo e il tutto [ovvero: l'intero
universo].
Essendo inteso il cielo in questi tre modi, l'intero
abbracciato dall'estrema volta consiste di necessit di tutto
il corpo naturale e sensibile, poich nessun corpo esiste,
561
La e il cosmo
Il contesto e la citazione di B12, insieme alla relativa testimonianza di Atius, pongono un ulteriore problema interpretativo:
quello relativo alla posizione e al ruolo della che l viene
evocata:
. . .
. [...]
.
. . . . [...]
.
poco dopo [B8.61], dopo aver parlato dei due
elementi, introduce la causa efficiente, dicendo cos [vv.
1-3]. [...] La causa efficiente non solo dei corpi soggetti a
generazione, ma anche degli incorporei che concorrono
alla generazione, Parmenide ha esposto chiaramente,
dicendo [vv. 2-6] [...] Egli pone la causa efficiente una e
comune, la dea che sta in mezzo al tutto ed causa di ogni
generazione
563
in mezzo a queste [corone] la Dea che tutte le cose
governa.
Di tutte le cose ella sovrintende all'odioso parto e
allunione,
spingendo lelemento femminile a unirsi al maschile,
e, al contrario,
il maschile al femminile (B12.3-6)
<
> < > ,
Delle corone miste [di fuoco e oscurit], quella pi
centrale per tutte principio e causa di movimento e
generazione: [Parmenide] la indica anche come Divinit
che governa e Giustizia che tiene le chiavi e Necessit
(Atius; DK 28 A37).
564
alla
565
.
,
,
.
Filolao definisce il fuoco in mezzo attorno al centro
focolare del tutto [dell'universo] e casa di Zeus e
madre degli dei, altare e vincolo e misura della
natura; l'altro fuoco in alto invece l'involucro. Sostiene
che primo per natura sia quello in mezzo, intorno a cui si
muovono dieci corpi divini, primo il cielo delle stelle
fisse, poi i cinque pianeti, poi il Sole, quindi la Luna, poi
la Terra, poi l'Antiterra; dopo queste cose il fuoco del
focolare, che risiede intorno al centro. Chiama la parte pi
alta dell'involucro, in cui ritiene risieda la purezza degli
elementi, Olimpo; quella che porta sotto l'Olimpo, in
cui sono collocati i 5 pianeti con il Sole e la Luna,
cosmo; dopo queste, poi, la parte sublunare e
circumterrestre, entro cui sono le cose della generazione
mutevole, cielo. E intorno alla disposizione delle cose
celesti verte la sapienza, intorno al disordine delle cose in
divenire verte la virt: quella perfetta, questa imperfetta
(Atius; DK 44 A16).
te, impiegato da Parmenide anche in sede ontologica, nella sezione sulla Verit (vv. B8.9 ss.):
.,
[ ]
Parmenide e Democrito sostengono che la Terra,
essendo a uguale distanza da tutte le parti, rimanga in
equilibrio, non avendo causa per cui debba inclinare da
una parte piuttosto che dall'altra (Atius; DK 28 A44).
L'accostamento alla posteriore cosmologia (e cosmogonia) filolaica - in cui si depositava e sistemava plausibilmente la primitiva lezione pitagorica - utile, tuttavia, soprattutto nella determinazione del ruolo cosmico della parmenidea. Simplicio,
nelle due citazioni che costituiscono B12, sembra interessato a
rilevare come Parmenide postulasse nella sua fisica una potenza
distinta dalla forma Fuoco come causa efficiente (
): la dea che governa tutte le cose. Secondo Coxon24, il
rilievo del commentatore sarebbe stato diretto contro il modello
interpretativo della doxa proposto da Alessandro sulla scorta di
Teofrasto, secondo il quale al Fuoco spettava il ruolo di
e alla terra (Notte) quello di :
Egli pone la causa efficiente una e comune, la dea che
sta in mezzo al tutto ed causa di ogni generazione.
24
567
Le testimonianze e i frammenti superstiti consentono di affermare che effettivamente Parmenide attribuiva alla una
funzione cosmogonica (
, di tutte le cose ella sovrintende all'odioso parto e
allunione B12.4). Evidentemente aperta invece la questione
della sua collocazione cosmologica e della sua identificazione.
Su questo punto molto importante la messa a fuoco di Passa, op. cit, pp. 2728.
568
non solo dei corpi soggetti a generazione, ma anche degli incorporei che concorrono alla generazione (
); Plutarco fa di Afrodite la generatrice di
Eros e dunque nomina la . Ovviamente non possiamo sta-
bilire se l'identificazione fosse per lui scontata o solo una speculazione ovvero riscontrata invece nel testo, ma la precisazione:
nella cosmogonia ( ) - sembra avvalorare l'ultima possibilit. In ogni caso, nella misura in cui B12 assegna alla
il governo di tutto, B13 sembra suggerire che ci avvenga
attraverso la generazione di Eros e il controllo dell'accoppiamento26.
D'altra parte, poich la testimonianza di Atius colloca la dea
al centro degli anelli misti di Notte e Fuoco, assimilandola di fatto
a uno di essi, possibile, incrociando le due testimonianze, ipotizzare che essa coincidesse con un'entit astrale concreta, fonte
fisica dell'influenza cosmogonica, Afrodite appunto. Parmenide, il
primo a identificare Eos ( ovvero Fosforo/, la stella
del mattino) e Espero (, la stella della sera):
. ,
,
Parmenide per primo pone nell'etere Eos, considerato
da lui identico a Espero (DK 28 A40a),
569
570
proposto da Diels, per cui il nucleo centrale dell'universo risulterebbe una sfera di puro Fuoco, circondata dalla superficie terrestre
(sfera di pura Notte).
Coxon29, rilevando le difficolt implicite nelle testimonianze di
Atius e Simplicio, ha sostenuto, sulla scorta di Cicerone (A37),
una diversa soluzione circa natura e collocazione della divinit.
Come abbiamo gi riscontrato, in Cicerone, infatti, la dea appare
come una sfera di fuoco e di luce che avvolge il cielo:
coronae simile efficit ( appellat),
continentem ardorum < et > lucis orbem qui cingit
caelum, quem appellat deum
immagina una corona (egli la chiama ), cio
una sfera di fuoco e di luce che avvolge il cielo e che egli
denomina dio;
571
,
. , ,
,
.
,
Ogni cosa, in effetti, o principio o [deriva] da
principio; dell'apeiron per non v' principio, dal
momento che vi sarebbe un limite di esso [apeiron]. E
ancora, esso ingenerato e incorruttibile, in quanto un
principio: necessario, infatti, che ci che generato
abbia una fine, e vi un termine finale di ogni corruzione.
Proprio per questo motivo diciamo che di esso [principio]
non vi sia principio, ma che sembra essere esso stesso
principio di tutte le altre cose, e comprenderle
[abbracciarle] tutte e tutte governarle, come affermano
quanti non pongono oltre all'infinito altre cause, per
esempio Intelligenza o Amore. E questo il divino:
infatti senza morte e senza distruzione, come sostengono
Anassimandro e la maggioranza degli studiosi della
natura. (Aristotele; DK 12 A15)
.
. ' , ,
,
' (
).
Anassimene, figlio di Euristrato, milesio, afferm che
principio delle cose l'aria: da essa tutto si genera e in
essa di nuovo si risolve. Dice: come la nostra anima, che
aria, ci governa, cos soffio e aria abbracciano l'interno
universo (aria e soffio sono utilizzati come sinonimi)
(Atius; DK 13 B2)
, ,
572
Ivi, p. 242.
Ferrari, op. cit., p. 106 nota.
573
prattutto Ruggiu32, per il quale la sembra essere la personificazione della stessa forza vivificatrice (mana) presente in tutte
le cose: l'impulso immanente alla generazione (B11.3-4
). Nel senso di una attribuzione ad Afrodite
della forza demiurgica orientato anche il commentatore (IV secolo) della teogonia (V secolo) del papiro Derveni, e conferme
ulteriori si potrebbero cogliere nel riferimento alla nascita di Eros,
che potrebbe coinvolgere il complesso sfondo delle presunte teogonie orfiche, documentate negli Uccelli (vv. 695-9) di Aristofane.
Un ruolo, come sappiamo, ben documentato nel linguaggio peripatetico di Simplicio (contesto B12):
32
574
. . .
. [...]
.
. . . . [...]
.
poco dopo [B8.61], dopo aver parlato dei due
elementi, introduce la causa efficiente, dicendo cos [vv.
1-3]. [...] La causa efficiente non solo dei corpi soggetti a
generazione, ma anche degli incorporei che concorrono
alla generazione, Parmenide ha esposto chiaramente,
dicendo [vv. 2-6] [...] Egli pone la causa efficiente una e
comune, la dea che sta in mezzo al tutto ed causa di ogni
generazione,
575
. . .
perci Parmenide mostra Eros come la prima delle
opere di Afrodite scrivendo nella cosmogonia [B13].
576
Quelli che abbiamo elencato sono i testi che complessivamente autorizzano la speculazione sulla cosmo-teogonia parmenidea.
Pochi gli elementi sufficientemente certi:
(i) la testimonianza di Simplicio che pone la funzione della
in relazione diretta con i due elementi (
) Fuoco e Notte insiste decisamente sulla divinit come causa efficiente ( ) una e comune (
), origine di ogni generazione ( );
(ii) la sua causalit efficiente appare come impulso alla mescolanza ( ) dei due contrari: la divinit causa comune in quanto, attraverso la mescolanza delle di Fuoco e
Notte, rende possibile quanto i mortali definiscono generazione e
corruzione33;
(iii) a nascita e morte allude probabilmente Simplicio quando
osserva che [la dea] invia le anime talora dal visibile all'invisibile, talora in senso opposto (
, ); allo stesso fenomeno si
riferisce Parmenide in B12.4 con l'espressione:
di tutte le cose sovrintende al doloroso parto e
all'unione.
Ivi, p. 340.
Op. cit., pp. 225 ss..
577
578
37
579
Nella tradizione stato a essi attribuito sostanzialmente un significato poetico e solo subordinatamente astronomico. Si insistito sulla costruzione ritmica2 ovvero sull'immaginario sentimentale cui ricorre Parmenide: la Luna come donna innamorata rivolta a contemplare il proprio amante (il Sole), illuminata dai suoi
sguardi (raggi). Situazione e immagine che Empedocle avrebbe
poi puntualmente ripreso, come abbiamo segnalato in nota al testo.
1
2
580
la diversa commisurazione degli elementi base, pur derivando Sole e Luna dalla stessa fascia celeste (la Via Lattea), a produrre, nel caso della seconda, effetti fisici (fenomenici) pi deboli
581
582
Il contesto peripatetico
Abbiamo di B16 due citazioni integrali peripatetiche - in Aristotele (Metafisica IV, 5 1009 b21) e Teofrasto (De sensu 3) e
due parafrasi Alessandro di Afrodisia e Asclepio nei loro commenti al testo aristotelico.
Aristotele
583
. <
> , ' |
.
[B16]
584
In effetti i primi due versi del frammento parmenideo sono costruiti sulla connessione .... :
1
,
2
come, in effetti, di volta in volta, si ha temperamento
di membra molto vaganti,
1
questa la forma verbale prevalente nei codici: nello stabilire il testo abbiamo
accolto tuttavia la lectio difficilior (congiuntivo).
2
Nella versione greca del frammento abbiamo accolto la versione
dei codici di Teofrasto.
585
,
,
586
Il testo di Omero, in effetti, intende marcare la costitutiva debolezza della comprensione umana e la sua totale dipendenza
dall'operare divino. Esso riflette un punto di vista che circolava
nella poesia arcaica: il dell'uomo come (impotente)
rispetto a quello divino. Possiamo rintracciare lo stesso motivo in
587
Secondo Coxon3, Teofrasto avrebbe avuto chiaramente presenti l'argomento e la citazione del maestro, pur utilizzando il frammento per motivi diversi e ricavandolo da un testo indipendente:
non si comprenderebbe altrimenti su quali basi B16 troverebbe
collocazione all'interno di una riflessione (De
Sensu) e come potrebbe riferirsi al dibattito sull'origine della sensazione (dal simile o dai contrari), se non appunto per la precedente (incrociata) lettura aristotelica:
,
. .
,
. (3) .
,
.
, ,
, , . . . (B 16).
,
, , .
,
,
. .
.
3
588
A differenza della discussione aristotelica dei presunti presupposti ontologici materialistici e del conseguente sensismo soggettivistico di marca protagorea, il contesto teofrasteo quello di
un'analisi decisamente gnoseologica. Dobbiamo tuttavia trattenerci dall'intendere il frammento in chiave di gnoseologia generale4:
n Aristotele n Teofrasto utilizzano i termini parmenidei e
, limitandosi a correlare e ovvero
i derivati e . possibile, dunque, che nessuno
dei due intendesse realmente attribuire a Parmenide la riduzione
della conoscenza a percezione5, riferendosi entrambi piuttosto alla
sua teoria della conoscenza del mondo sensibile.
4
5
589
La seconda novit della testimonianza teofrastea che, immediatamente di seguito, essa valorizza un particolare trascurato da
Aristotele:
,
[...] ma solo che, essendo due gli elementi, la
conoscenza si produce secondo l'elemento che prevale.
Su questo B. Cassin-M. Narcy, "Parmnide sophiste. La citation aristotlicienne du fr. XVI", in tudes sur Parmnide, cit., vol. II, p. 281.
590
ci che prevale, infatti, il pensiero.
Dal punto di vista di Teofrasto questa la peculiarit del contributo parmenideo in campo conoscitivo: il principio della dipendenza del pensiero dall'elemento che prevale nella mescolanza.
Il terzo rilievo interessante della testimonianza quello conclusivo:
Nel complesso [sostiene] anche che tutto l'essere abbia
una qualche capacit conoscitiva.
591
,
Che egli faccia dipendere la percezione anche dal
contrario in s considerato [cio dal freddo], evidente
laddove afferma che il morto non percepisce n luce, n
caldo, n suono, per la perdita del fuoco, ma che
percepisce freddo, silenzio e i contrari;
592
Come, in effetti, di volta in volta, si ha temperamento
di membra molto vaganti,
cos il pensiero si presenta agli uomini.
Come abbiamo segnalato in nota al testo, esistono varie soluzioni per il soggetto del primo verbo () e per il suo valore
(transitivo, intransitivo). Complessivamente, tuttavia, si conferma
un'indicazione fondamentale: la condizione mentale degli uomini
correlata alla loro situazione fisiologica. Negli esseri umani in
generale (), alle variazioni ( ) dell'amalgama corporea ( ), corrisponde il manifestarsi ( ) del pensiero (ovvero della mente,
). Come abbiamo registrato, quanto Aristotele rendeva con
la correlazione -. Si tratta di una tesi di antropologia
generale che trova indirettamente conferma nella tradizione dossografica:
, ,
, .
[?]
,
. ,
,
.
Disse che due sono gli elementi fuoco e terra e che
l'uno ha funzione di artefice, l'altro di materia. Disse che
la generazione degli uomini deriva in primo luogo dal
Sole e che a quello [uomo] spettano come elementi il
caldo e il freddo, da cui tutte le cose sono costituite. Disse
anche che l'anima e l'intelligenza sono la stessa cosa,
come ricorda anche Teofrasto nella sua Fisica, dove
espone le dottrine di quasi tutti [i filosofi] (Diogene
Laerzio; DK 28A1).
Parmenides ex terra et igne [sc. animam esse].
. . .
. .
593
,
Parmenide dice che l'anima costituita di terra e fuoco
(Macrobio; DK 28 A45)
Parmenide e Ippaso dicono che l'anima ignea.
Parmenide dice che in tutto il petto ha sede l'egemonico.
Parmenide ed Empedocle e Democrito dicono che
l'intelligenza e l'anima sono la stessa cosa; secondo loro
nessun animale sarebbe completamente senza ragione
(Atius; DK 28 A45).
594
10
11
Ivi, p. 176.
Ivi, pp. 162-3.
595
Il lessico di Teofrasto lessico di "conoscenza" (); quello del frammento appare piuttosto lessico di "pensiero" ( ,
): in assenza del contesto, la determinazione del pensiero
attraverso gli equilibri fisiologici che sembra posta al centro
dell'attenzione. La Dea, secondo costume (Omero, Archiloco), informa il , destinatario diretto della comunicazione, circa
l'inevitabile condizionamento del pensiero umano: in altre parole,
all'interno della complessiva illustrazione della realt cosmica e
12
13
596
597
598
15
599
18
Per queste notizie Kingsley, In the Dark Places of Wisdom, cit., pp. 55 ss.;
Gemelli-Marciano, Die Vorsokratiker, cit., II, pp. 42 ss.; Ferrari, Il migliore
dei mondi impossibili, cit., pp. 141 ss..
19
Kingsley, op. cit., pp. 120-7.
600
Proprio l'intenzione di confermare le proprie convinzioni biologiche e l'assenza di indicazioni che attestino il rimando diretto
al poema hanno fatto avanzare dubbi sull'attendibilit di quella
che rimane comunque una "scheggia" testuale 1.
A Celio Aureliano (V secolo?), traduttore di opere della tradizione medica greca - in particolare, nel caso specifico, delle due
parti del monumentale (Sulle malattie acute e croniche) di Sorano di Efeso (I-II secolo) - dobbiamo invece la parafrasi in versi che Diels-Kranz hanno classificato
come B18. La citazione proposta nel seguente contesto:
Parmenides libris quos d e n a t u r a scripsit, eventu
inquit conceptionis molles aliquando seu subactos
homines generari. cuius quia graecum est epigramma, et
hoc versibus intimabo. latinos enim ut potui simili modo
composui, ne linguarum ratio misceretur. f e m i n a . . .
s e x u m .
Parmenide, nei libri Sulla natura, afferma che,
secondo le modalit di concezione, si generano talvolta
1
601
Celio Aureliano mette dunque sull'avviso: la sua non citazione letterale, ma traduzione-rielaborazione2, sebbene, come ha
osservato Coxon3, la facilit con cui si possono volgere in greco i
suoi versi latini attesta la loro fedelt al greco (come segnalato
dalla precisazione: ut potui simili modi).
Per mettere a fuoco il nodo cui i passaggi del poema evocati
dalle citazioni si riferivano, sono essenziali le testimonianze di
Atius e Censorino:
, . [sc.
]
, .
,
igitur semen unde exeat inter sapientiae professores
non constat. P. enim tum ex dextris tum e laevis partibus
oriri putavit
Anassagora e Parmenide sostengono che i semi della
parte destra sono gettati nella parte destra dell'utero, quelli
della sinistra nella parte sinistra. Se la fecondazione
invertita, si generano femmine.
Tra i cultori della sapienza non vi certezza circa la
provenienza del seme [lett.: da dove esca il seme].
Parmenide, infatti, credeva che provenisse ora dalla parte
destra, ora dalla parte sinistra (28 DK A53).
602
603
604
Ivi, p. 254.
605
. [...].
Ci che mantiene la salute, afferma Alcmeone,
l'equilibrio di forze: umido, secco, freddo caldo, amaro,
dolce e cos via; la supremazia di una di esse, invece,
foriera di malattia: micidiale , in effetti, il predominio di
ognuno degli opposti. [...] La salute, invece, mescolanza
misurata delle qualit.
Alcmeone condivideva con Parmenide la convinzione che entrambi i genitori contribuissero con semina () al concepimento, pur avendo sull'origine dello sperma un'opinione diversa:
. (sc. )
Alcmeone sosteneva che [il seme fosse] parte del
cervello (Atius; DK 24 A13).
606
tradizione ionica, la stessa che dovette ispirare le tavole pitagoriche, ma anche il modello parmenideo: l'orizzonte fisico appare
ancora quello delle origini e non va dimenticato che le osservazioni biologiche di Parmenide sono inquadrate all'interno di una
complessiva interpretazione del mondo naturale in chiave oppositiva (Fuoco-Notte). Il primo riferimento all'unione sessuale e alla
riproduzione che abbiamo registrato nell'analisi dei frammenti
(B12) le introduceva direttamente in chiave cosmica:
.
in mezzo a queste la Dea che tutte le cose governa.
Di tutte le cose ella sovrintende all'odioso parto e
allunione,
spingendo lelemento femminile a unirsi al maschile,
e, al contrario,
il maschile al femminile (B12.3-6).
607
Su questo sfondo piuttosto sfumato possibile parlare di comuni obiettivi scientifici nella ricerca di Parmenide e Alcmeone,
di convergenze nei risultati, sulla scorta di paradigmi esplicativi
condivisi, forse anche pitagorici. A Crotone una fiorente scuola
medica preesisteva all'arrivo di Pitagora, a testimoniare l'autonomia dell'indagine e della pratica medica, sebbene poi esse siano
documentate anche nell'ambito della tradizione pitagorica antica,
a conferma che la medicina fu avvertita come essenziale11.
10
608
B19
Il frammento B19 ci conservato esclusivamente da Simplicio
(In Aristotelis de caelo 558), in un contesto particolare (557-8), in
cui si susseguono in poche righe tre citazioni del poema parmenideo (B1.28-32, B8.50-53 e appunto B19):
,
,
,
,
, .
[B1.28-32].
[B8.50-53].
[B19].
,
;
,
;
Quegli uomini [Parmenide, Melisso] posero una
duplice ipostasi: quella dell'essere che veramente,
dell'intelligibile, e quella dell'essere che diviene, del
sensibile, il quale essi non ritennero opportuno chiamare
essere in senso assoluto, ma essere che appare. Per questo
afferma[no] che la verit riguarda l'essere, l'opinione il
divenire. Parmenide, infatti, dice: [B1.28-32]. Ma anche
una volta completato il ragionamento intorno all'essere
che veramente, e sul punto di introdurre [la trattazione
sul]l'ordinamento delle cose sensibili, aggiunse: [B8.5053]. Dopo aver fornito esposizione sistematica delle cose
sensibili, aggiunse ancora: [B19]. Ma come ha potuto
Parmenide supporre esistessero solo le cose sensibili, lui
che intorno alle cose intelligibili era stato in grado di
condurre riflessioni di tale consistenza e mole da non
609
Riflettendo sulle indicazioni qui fornite da Simplicio, e incrociandole con le sue stesse citazioni, dovremmo concludere che:
(i) il poema si articolava in due sezioni principali, per le quali
il commentatore trova conferma in B1.28b-32;
(ii) il passaggio tra le due sezioni avviene ai vv. B8.50-53;
(iii) il nostro B19 era apposto a compimento di quella che il
commentatore designa come (sulla
scorta del di B8.60): ci non autorizza tuttavia la deduzione che esso chiudesse il poema1.
Non tutti concordano su questo punto: Conche (op. cit., p. 265), per esempio,
non concede che il frammento naturale conclusione della cosmologia del
poema ne costituisse anche la vera e propria chiusa.
610
611
,
,
. ,
< >,
,
.
,
; .
[Parmenide] non elimina alcuna delle due nature, ma a
ognuna conferendo ci che le proprio, pone l'intelligibile
nella classe dell'uno e dell'essere, definendolo essere in
quanto eterno e incorruttibile, e ancora uno per
uguaglianza a se stesso e per non accogliere differenza; il
sensibile invece in quella di ci che disordinato e in
mutamento. Il criterio di ci possibile vedere: il cuore
preciso della Verit ben convincente, che raggiunge
l'intelligibile e quanto sempre nelle medesime
condizioni, e le opinioni dei mortali in cui non vera
certezza, perch esse sono congiunte con cose che
accolgono ogni forma di mutamento, di affezioni e
disuguaglianze. Come avrebbe potuto allora conservare
sensazioni e opinione, non conservando il sensibile e
l'opinabile? Non possibile sostenerlo (Plutarco, Adversus
Colotem 1114 d-e),
612
Ma chiaramente all'origine di questa valutazione delle prospettive (in termini di contenuto e struttura) del poema parmenideo
troviamo l'analisi aristotelica:
,
, , [...]
,
,
, ,
Parmenide, invece, sembra in qualche modo parlare
con maggiore perspicacia: dal momento che, ritenendo
che, oltre allessere, il non-essere non esista affatto, egli
crede che lessere sia di necessit uno e nientaltro. []
Costretto tuttavia a seguire i fenomeni, e assumendo che
luno sia secondo ragione, i molti invece secondo
sensazione, pone, a sua volta, due cause e due principi,
chiamandoli caldo e freddo, ossia fuoco e terra. E di questi
dispone il caldo sotto lessere, il freddo sotto il non-essere
(Metafisica I, 5 986 b27 - 987 a1).
Possiamo leggere il passo aristotelico proprio come un tentativo di sottrarsi agli schemi della originaria ricezione sofistica
(giorgiana in particolare) del pensiero eleatico: Aristotele intende
marcare, nello specifico, l'opzione teorica di Parmenide da quella
di Melisso, il monismo rispetto alla definizione (ovvero ragio613
614
B19 e la doxa
I tre versi del nostro frammento, poco pi di una scheggia testuale, ribadiscono sinteticamente i termini della discussione: come abbiamo indicato in nota, la formula introduce effettivamente la ricapitolazione del discorso sulle cose fisiche considerate nel loro insieme (e ne traggono, in questo senso, la lezione metafisica 5):
t
Ecco, in questo modo, secondo opinione, queste cose
ebbero origine e ora sono,
e poi, in seguito sviluppatesi, avranno fine.
A queste cose, invece, un nome gli uomini imposero,
distintivo per ciascuna.
615
616
617