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PARMENIDE

SULLA NATURA
Introduzione, traduzione, note e commento a cura di Dario Zucchello

PREMESSA

Il lavoro qui proposto il risultato di anni di confronto con il


testo e la letteratura parmenidei, sollecitato dalla discussione con
lamico Livio Rossetti, cui sono riconoscente per stimoli, idee ed
esempio, e alla cui vivacit e intelligenza dapproccio alla cultura
preplatonica sono debitore di non pochi elementi di riflessione.
Per rintracciare nel tempo le origini di questo specifico interesse
eleatico, devo invece risalire agli anni universitari pisani, alle lezioni di Giorgio Colli, nel periodo in cui i volumi della Sapienza
greca stavano vedendo la luce presso leditore Adelphi: il primo
impatto con il pensatore di Elea avvenne infatti nei riferimenti alla discussione intorno alla natura della dialettica arcaica e
allorigine della filosofia, nonch attraverso la lettura del Parmenide platonico, proprio in occasione di un corso seguito, tra gli
altri, anche da due affermati studiosi e recenti editori dellopera
del sapiente di Elea: Angelo Tonelli e Riccardo Di Giuseppe.
Prima dellimpegnativo lavoro di esegesi che ha richiesto una
paziente frequentazione delle interpretazioni classiche e contemporanee, la mia fatica (la fatica di chi non ha ricevuto
uneducazione filologica) si concentrata sulla restituzione di un
testo greco che tenesse conto dei contributi originali degli editori
pi recenti, conservando tuttavia, a dispetto delle molte suggestioni, una coerenza complessiva. La traduzione non ha alcuna
pretesa di conservare le qualit letterarie del verso epico, puntando piuttosto alla massima prossimit possibile ai termini e alla costruzione dei versi stessi. Il mio sforzo non attende quindi riconoscimenti per originalit ed efficacia nella resa del testo parmenideo: esso ha puntato piuttosto, sin dallinizio, a ricostruire la fi-

sionomia di unopera complessa, cercando di strapparla alle ipoteche metafisiche da cui stata spesso condizionata la lettura.
Ho gi avuto modo di proporre le mie idee sulla posizione del
poema nel quadro della storia della sapienza arcaica in due saggi
stesi in parallelo alla composizione della presente edizione: Parmenide e la tradizione del pensiero greco arcaico (ovvero, della
sua eccentricit), in Il quinto secolo. Studi di filosofia antica in
onore di Livio Rossetti, a cura di S. Giombini e F. Marcacci, Aguaplano, Perugia 2011; Parmenide e la , in
Elementi eleatici, a cura di I. Pozzoni, Limina Mentis, Villasanta
(MB) 2012. Il lettore trover nel commento ai frammenti e nella
introduzione generale unampia difesa della lettura cosmologica
del poema, ma, allo stesso tempo, attenzione per le tracce delle
interazioni di Parmenide con la cultura del suo tempo: un campo
dindagine che ritengo ancora del tutto aperto a nuove
suggestioni.
Nel presentare il risultato del mio lavoro mi sia concesso
ringraziare i miei anziani genitori per il sostegno che non mi
hanno fatto mai mancare e che ha reso possibile le mie ricerche e
i mei studi, e Umbi e Gig per la loro pazienza. Nonostante tutto.
A loro questa fatica dedicata.
Dario Zucchello
Como, febbraio 2014

INTRODUZIONE

IL POEMA E IL SUO TEMA


Secondo quanto ci attesta Diogene Laerzio (II-III secolo),
Parmenide sarebbe autore di un'unica opera:
[sc. ] ,
.,
altri Melisso, Parmenide e Anassagora [lasciarono]
un unico scritto (DK 28 A13),

un poema in esametri, cui la tradizione posteriore attribuisce la


titolazione di :

. ...
,


Sia Melisso sia Parmenide intitolarono i loro scritti
Sulla natura .... E certo in questi scritti trattano non solo di
ci che oltre la natura, ma anche delle cose naturali e per
questo probabilmente non disdegnarono di intitolarli Sulla
natura (Simplicio; DK 28 A14).

L'indagine
Che in effetti tale intestazione potesse risalire a Parmenide
stato sostenuto da Guthrie1, sulla scorta della parodia che ne avrebbe fatto Gorgia con il suo , anche se comune la convinzione che, prima dei sofisti, la designazione di un testo avvenisse attraverso la citazione dellincipit (che
doveva risultare particolarmente incisivo), con l'indicazione del
contenuto, preceduta dal nome dell'autore (sulla prima riga del
testo, analogamente a quanto registriamo nel caso di Erodoto)2.
Il trattato ippocratico Sull'antica medicina riferisce la formula
indentificativa almeno ai testi della met del V secolo
a.C.:

Empedocle e gli altri che scrissero sulla natura
(De prisca medicina cap. 20).

opinione ampiamente condivisa che essa abbia funzionato, a


posteriori, da etichetta per classificare una certa tipologia di scritti, manifestandone il tema: in questa direzione possibile che, in
particolare, la di Ippia abbia contribuito a fissare un certo numero di categorie storiografiche tradizionali, tra cui appunto
la nozione unificante di , la denominazione , il
termine generico 3. Si tratta, infatti, di uno dei primi4
sforzi "dossografici", un'opera (molto utilizzata da Platone e Aristotele) intesa a selezionare, raccogliere, mettere in relazione e
commentare gli enunciati trovati in ogni genere testuale (poetico e
1

W.K.C. Guthrie, The Sophists, C.U.P., Cambridge 1971, p. 194.


G. Naddaf, The Greek Concept of Nature, SUNY Press, New York 2005, p. 16;
W. Leszl, Parmenide e lEleatismo, Dispensa per il corso di Storia della
filosofia antica, Universit degli Studi di Pisa, Pisa 1994, p. 12.
3
J.-F. Balaud, Hippias le passeur, in La costruzione del discorso filosofico
nellet dei Presocratici, a cura di M.M. Sassi, Edizioni della Normale, Pisa
2006, p. 296.
4
Gorgia ne avrebbe portato avanti uno analogo, ma connotato pi in senso
critico, per sottolineare gli insolubili contrasti tra filosofie. Gorgia avrebbe
influenzato direttamente Isocrate, Platone e lo stesso Aristotele.
2

in prosa), di ogni epoca, per coglierne convergenze e stabilire linee di continuit5.


In ogni caso, al di l della discussione sull'attendibilit storica
di quel titolo per le opere del V secolo a.C., non contestato il
fatto che tra V e IV secolo a.C. fosse individuabile un gruppo di
autori , impegnato, in altre parole, in ricerche sulla natura delle cose: sebbene risulti problematico accertare se coloro
che chiamiamo filosofi presocratici fossero consapevoli di contribuire a una specifica impresa culturale (sottolineandola nell'intestazione o incipit dei propri contributi), tuttavia difficile negare che, almeno tra i contemporanei di Platone, si fosse diffusa la
convinzione dell'esistenza di una tradizione di ricerca sulla natura
(), iniziata con Talete e conclusasi con Socrate6.

L'espressione
A quali contenuti ci si intendeva riferire con l'etichetta
? Quale significato da attribuire a tale espressione? Secondo Naddaf7, che al problema ha dedicato un'ampia indagine,
con si doveva intendere una storia dell'universo, dalle origini alla presente condizione: una storia che abbracciava nel suo insieme lo sviluppo del mondo (naturale e umano),
dall'inizio alla fine.
In effetti, origini e sviluppo sono etimologicamente implicati
in : nella forma attiva-transitiva , il radicale del sostantivo significa crescere, produrre, generare; in quella mediopassiva-intransitiva , invece, crescere, originare, nascere.
La prima occorrenza del termine , nel libro X dell'Odissea
(303), si registra nell'ambito delle istruzioni (da parte di Hermes
all'eroe) per la preparazione di una pozione efficace (
5

Balaud, op. cit., p. 291.


W. Leszl, Aristoteles on the Unity of Presocratic Philosophy. A Contribution to
the Reconstruction of the Early Retrospective View of Presocratic Philosophy, in La costruzione del discorso filosofico nellet dei Presocratici, cit.,
p. 357.
7
Op. cit., pp. 28-29.
6

) contro gli effetti delle pozioni velenose (


) di Circe: Odisseo racconta come Hermes, estratta dalla terra ( ) una pianta medicamentosa (), ne illustrasse la natura ( ). Per un verso, in quel
contesto, pu apparire immediatamente sinonimo di ,
, , termini (ricorrenti in Omero) indicanti la forma:

per altro evidente, tuttavia, che quanto Hermes rivela non riguarda semplicemente l'aspetto esteriore, identificativo della pianta,
piuttosto le sue effettive qualit e la costituzione interna da cui
esse discendono. In particolare Hermes si riferisce alla radice, nera, da cui cresce il fiore dal colore opposto, bianco: utilizza il termine, quindi, per denotare non tanto la forma fenomenica, n
propriamente quella che potremmo anacronisticamente definire
l'essenza della pianta, quanto la sua origine (la radice), differente
da quel che appare (il fiore, che ne comunque sviluppo).
In questo senso il termine occorre nelle pi antiche citazioni della sapienza greca:


,
,

.
,
Di questo logos che sempre gli uomini si rivelano
senza comprensione, sia prima di udirlo, sia subito dopo
averlo udito; sebbene tutto infatti accada secondo questo
logos, si mostrano privi di esperienza, mentre si misurano
con parole e azioni quali quelle che io presento,
analizzando ogni cosa secondo natura e mostrando come
. Ma agli altri uomini rimane celato [sfugge] quello che
fanno da svegli [dopo essersi destati], cos come sono
dimentichi di quello che fanno dormendo (Sesto Empirico;
DK 22 B1)

la natura, secondo Eraclito, ama [ solita] nascondersi


(Temistio; DK 22 B123).

Sebbene nell'incipit dello scritto di Eraclito l'espressione


sia per lo pi resa dagli interpreti moderni intendendo
come natura, essenza, incrociando i due frammenti eraclitei
inevitabile pensare al passo omerico sull'erba moly: l'origine
che si cela dietro il fenomeno 8. In questa accezione la secondo l'Efesio ama nascondersi. Kahn9 ha marcato, invece,
come la formula del frammento B1 di Eraclito attesti gi un uso
"tecnico" del termine nel linguaggio contemporaneo, per designare il carattere essenziale di una cosa, unitamente al processo da
cui scaturirebbe: la comprensione della natura di una cosa passerebbe attraverso la ricostruzione del suo processo di sviluppo.
Analogamente Naddaf valorizza la dimensione dinamica implicita
in : la costituzione reale di una cosa cos come si realizza
dall'inizio alla fine con tutte le sue propriet10.

Il modello nella tradizione medica


Se ora torniamo al trattato ippocratico sull'Antica medicina, da
cui abbiamo tratto conferma dell'esistenza (almeno alla met di V
secolo a.C.) di una produzione a posteriori classificata come
, possiamo evincere dal contesto alcuni elementi del modello:



.
,
8

M.L. Gemelli Marciano, Lire du dbut. Quelques observations sur les incipit
des prsocratiques, Philosophie Antique, 7, 2007 (Prsocratiques), pp.
16-17.
9
Ch.H. Kahn, Anaximander and The Origins of Greek Cosmology, Hackett Publishing Company, Indianapolis 1994 (edizione originale 1960), pp. 201-202.
10
Naddaf, op. cit., p. 15.

,
.
,
,
.
.
Alcuni medici e sapienti [sofisti] sostengono che
nessuno possa conoscere la <scienza> medica a meno di
non sapere che cosa sia l'uomo, ma che ci debba
conoscere colui che intenda curare correttamente gli
uomini. Il loro discorso verte dunque sulla filosofia,
proprio come nel caso di Empedocle o degli altri che
scrissero sulla natura: che cosa sia dal principio l'uomo,
come sia stato dapprima generato e come costituito. Io
ritengo che quanto stato scritto da medici e filosofi sulla
natura abbia pi a che fare con il disegno che con la
medicina. Ritengo che in nessun altro modo si possa
conoscere qualcosa di chiaro sulla natura se non attraverso
la medicina (De prisca medicina cap. 20).

L'autore, evidentemente polemico, marca in effetti lo scarto tra


indagine medica e indagine : nell'apertura dell'opera
aveva contrapposto all'approccio di coloro che ricorrevano a postulazioni e ipotesi () cio speculazioni - per l'indagine dei fenomeni celesti e terrestri (
), il principio e il metodo ( ) della medicina, in altre parole le scoperte ( ) avvenute nel corso del tempo e l'osservazione11. Per avere un'idea pi precisa dell'impostazione alternativa che egli andava criticando, possiamo leggere un
altro trattato ippocratico il De carnibus il cui estensore sottolinea di prendere le mosse da convinzioni condivise (
):
,
,
, , ,

11

Naddaf, op. cit., pp. 24-25.

,
, .
Non devo parlare di questioni celesti se non per quanto
necessario a mostrare, rispetto all'uomo e a tutti gli altri
viventi, come si sono generati e sviluppati, che cosa sia
l'anima, che cosa la salute e la malattia, che cosa sia cattivo
e buono nell'uomo, e perch muoia (De carnibus 1).

Il passo rivela quelle che dovevano essere le comuni assunzioni (le contro cui polemizza l'Antica medicina) nella tradizione della : lo schema adottato infatti il
seguente: (i) originaria caoticit e indistinzione di tutte le cose;
(ii) processo di discriminazione degli elementi (etere, aria, terra);
(iii) formazione dei corpi. Centrale risulta il parallelo tra formazione dei viventi e formazione del cosmo che deve aver effettivamente costituito un asse portante nella cultura arcaica, sin dalla
produzione teogonica. Ci risulta confermato dall'autore anonimo
del De diaeta:


,

,

,

Affermo che colui che intenda scrivere correttamente


sul regime di vita dell'uomo deve prima conoscere e
riconoscere la natura di tutto l'uomo: conoscere allora da
quali cose composto dal principio, riconoscere da quali
parti governato. Se non conosce infatti quella composizione originaria, sar incapace di conoscere quanto da
essa generato; se poi non conosce quel che prevale nel
corpo, non sar in grado di prescrivere all'uomo il
trattamento adeguato (De diaeta I, 2)

Conoscere la natura di tutto l'uomo ( )


condizione del corretto intervento medico: ci implica eviden10

temente conoscere (i) quanto costituisce originariamente l'uomo


( ), per rintracciarne e riconoscerne
gli effetti ( ), e (ii) le componenti che lo
governano ( ). Conoscere la natura
comporta, insomma, risalire alla composizione originaria e al
successivo processo. Significativamente questa riduzione al principio riconduce tutte le cose a due elementi originari, fuoco e
acqua:

, ,
,
I viventi e tutte le altre cose e anche l'uomo sono
composti da due elementi, l'uno ha il potere di
differenziare, l'altro il temperamento che combina:
intendo il fuoco e l'acqua (De diaeta I, 3)

L'analogia tra formazione biologica dell'individuo umano (nel


senso dell'odierna embriologia) e processi di strutturazione dell'universo (cosmogonia), un dato riscontrato anche nelle testimonianze relative ad Anassimandro e autori pitagorici, oltre che nei
precedenti mitici 12 : l'antropologia non poteva prescindere dalla
antropogonia, come la cosmologia dalla cosmogonia.

Altre tracce antiche del modello


Se queste indicazioni - ricavate dalla letteratura scientifica risalente plausibilmente al V-IV secolo a.C. consentono di farsi
un'idea circa la ricezione antica della e dunque
dell'argomento cui i pensatori arcaici avevano dedicato le loro opere, alle origini della letteratura filosofica, prima che il modello
si affermasse e consolidasse definitivamente nella narrazione peripatetica, un primo abbozzo ne era stato tracciato in un celebre
passo del Fedone platonico:

12

Naddaf, op. cit., pp. 22-23.

11

, , ,

,
,

Io, Cebete, da giovane ero straordinariamente
affascinato da quella sapienza che chiamano indagine
sulla natura. Mi sembrava fosse magnifico conoscere le
cause di ogni cosa, perch ogni cosa si generi, perch si
corrompa e perch esista (96a).

Il filosofo racconta la storia della fascinazione esercitata (non


chiaro se effettivamente sul protagonista Socrate o sullo stesso
autore) da una forma di sapere evidentemente gi riconoscibile
e dunque assestato, come rivela la formula impiegata (che chiamano, ) - in grado di rispondere agli interrogativi
sulla generazione e corruzione, e cos di dar ragione dell'esistenza
di ciascuna cosa. Anticipando lo schema del primo libro della Metafisica aristotelica, Platone disegna una storia della sapienza incentrata sull'efficacia della esplicazione causale, nella quale intende marcare la svolta radicale rappresentata dalla propria seconda navigazione ( ): il filosofo non discute la necessit di ricondurre le cose alla loro ragion dessere; contesta invece la riduzione limitata allorizzonte delle cause fisiche, per
Platone insufficienti a dar adeguatamente conto del perch della
disposizione del tutto. probabile che, pur attingendo a raccolte
dossografiche organizzate in ambito sofistico, egli ne adottasse il
materiale in modo creativo, allo scopo di giustificare e valorizzare
una prospettiva filosofica peculiare 13.
Un'ulteriore attestazione dell'originaria accezione dell'espressione ritroviamo, tra i contemporanei di Platone, nel riscontro accidentale di un non-specialista come Senofonte:

13

M. Adomenas, Plato, Presocratics and the Question of Intellectual Genre, in


La costruzione del discorso filosofico nellet dei Presocratici, cit., p. 344.

12


.
,
,


Ma nessuno mai vide o sent Socrate fare o dire
alcunch di irreligioso o empio. Egli infatti non si
interessava della natura di tutte le cose, alla maniera della
maggior parte degli altri, indagando come fatto ci che i
sapienti chiamano "cosmo" e per quali necessit si
produca ciascuno dei fenomeni celesti (Senofonte,
Memorabili I, 1, 11).

Non solo appare assodata - a livello di opinione diffusa - (i) la


sostanziale equivalenza tra sapienza e ricerca sulla natura di tutte
le cose ( ), ma anche (ii) la funzionalit di cosmogonia e cosmologia ( [...] ), e ulteriormente (iii) l'attenzione per la spiegazione di fenomeni specifici
( [...] ).
Una "istantanea" che aiuta a fissare, dall'esterno, i caratteri del
naturalismo presocratico infine costituita dal frammento
dellAntiope di Euripide (fr. 910 Nauck)14:

,

,

,
.


14

A. Laks, Philosophes Prsocratiques. Remarque sur la construction dune


catgorie de lhistoriographie philosophique, in A. Laks et C. Louguet
(ds), Quest-ce que la Philosophie Prsocratique? What is Presocratic Philosophy?, Presses Universitaires du Septentrion, Villeneuve dAscq (Nord)
2002, p. 20.

13

Beato colui che alla ricerca


ha dedicato la sua vita;
egli n i suoi concittadini dannegger
n contro di loro compir atti malvagi,
ma, osservando della immortale natura
l'ordine che non invecchia, ricercher
da quale origine fu composto e in che modo.
Tali individui non saranno mai coinvolti in atti turpi.

In questo caso, addirittura, abbiamo il privilegio di veder sottolineato dal poeta il nesso tra contemplazione ()
dell'ordine che non invecchia ( ) della natura
immortale ( ) e ricostruzione delle sue modalit
di formazione. A dispetto degli aggettivi coinvolti - e
(di uso omerico ed esiodeo) evidentemente il oggetto d'attenzione l'ordinamento attuale dei fenomeni percepito come il risultato di un processo di composizione (
), e il suo studio non pu prescindere
dall'indagine (speculativa) sulle sue tappe.

Il modello peripatetico
Della la storiografia peripatetica ha certamente fissato il canone interpretativo che ha pesato su tutta la tradizione: nella ricostruzione aristotelica delle origini della filosofia, infatti, si attribuisce alla maggioranza di coloro che per primi
filosofarono ( ) la convinzione che principi di tutte le cose ( ) fossero
solo quelli nella forma di materia ( ), cos
argomentando:

,
,
,
,

14

ci da cui, infatti, tutte le cose derivano il loro essere,


e ci da cui dapprima si generano e verso cui infine si
corrompono, permanendo per un verso la sostanza, per
altro invece mutando nelle affezioni, questo sostengono
essere elemento e questo principio delle cose, e per questo
credono che n si generi n si distrugga alcunch, dal
momento che una tale natura si conserva sempre.
(Metafisica I, 3 983 b8-13)

Nella lettura di Aristotele, la specificit del contributo dei


primi filosofi risiederebbe nella riduzione degli enti (
) soggetti a divenire alla stabilit della soggiacente, ovvero, come lo stesso Aristotele precisa:
,

come affermano coloro che sostengono che il tutto
[l'universo] una certa, unica natura, quale l'acqua o il
fuoco o qualcosa di intermedio (Fisica I, 6 189 b2),

all'unit di una sostanza materiale originaria, elemento


() e principio () delle cose ( ). Il quadro si
definisce ulteriormente nella ricostruzione che Teofrasto propone
delle origini in Anassimandro:
[A.] [...]
, .

, ,



[B 1],
.


,
,

15

.
[...]
Anassimandro [...] afferm linfinito principio e
elemento delle cose che sono, adottando per primo questo
nome di principio. Egli sostiene, infatti, che esso non sia
n acqua n alcun altro di quelli che sono detti elementi,
ma che sia una certa altra natura infinita, da cui originano
tutti i cieli e i mondi in essi: secondo necessit che
verso le stesse cose, da cui le cose che sono hanno origine,
avvenga anche la loro distruzione; esse, infatti, pagano la
pena e reciprocamente il riscatto della colpa, secondo
lordine del tempo [B1]. Cos si esprime in termini molto
poetici. evidente allora che, avendo considerato la
reciproca trasformazione dei quattro elementi, non ritenne
adeguato porre alcuno di essi come sostrato, preferendo
piuttosto qualcosaltro al di l di essi. Egli poi non fa
discendere la generazione dalla alterazione dellelemento,
ma dalla separazione dei contrari, a causa del movimento
eterno [...] (Simplicio; DK 12 A9).

Senza scendere nel dettaglio dell'analisi, la testimonianza e la


citazione lasciano intravedere chiaramente alcuni punti su cui si
sarebbe concentrata l'indagine del Milesio:
(i) l'individuazione di un principio-origine delle cose (
) sottoposte a generazione () e corruzione ();
(ii) la formazione nel linguaggio peripatetico della testimonianza - degli elementi (), costitutivi materiali da cui (
, dalle quali cose) le cose hanno la loro generazione, e verso
cui ( , verso quelle stesse cose) si produce () la
loro corruzione;
(iii) le modalit del processo dalla natura originaria, attraverso
gli elementi, agli enti: secondo necessit ( ), secondo lordine del tempo ( );
(iv) il perch, la causa del processo: il costante e compensativo
confronto conflittuale tra i contrari (
).
Le osservazioni di Teofrasto documentano quindi, agli albori
dell'indagine , un'attenzione che non si esaurisce nella
determinazione della materia originaria (secondo l'interpretazione
16

di Burnet15), ma si rivolge almeno anche ai processi di formazione


delle cose che sono (come pensava Jaeger, accostando e
16 ). Complessivamente ci doveva conferire alla ricerca
quella caratteristica impronta speculativa da cui l'autore dell'Antica medicina prendeva le distanze.
Che l'interesse non dovesse comunque risolversi in una mera
dimensione archeologica e abbracciare invece anche i risultati dei
processi, e dunque l'ordinamento dei fenomeni, suggerito da varie fonti. Aristotele, per esempio, marca in modo sufficientemente
netto il focus cosmologico:


, ,
, ,
,
, ,
, , .
.
Gli antichi, che per primi filosofarono intorno alla
natura, indagarono, circa il principio materiale e la causa
siffatta, che cosa e quale fosse, e in che modo da questa si
generasse l'intero, e da che cosa <si generasse> il
movimento, ad esempio dall'odio o dall'amore, o
dall'intelletto, o dal caso, poich la materia sostrato ha una
certa siffatta natura per necessit, ad esempio calda quella
del fuoco, fredda quella della terra, una leggera, l'altra
pesante; in questo modo, infatti <questi principi>
generano anche il cosmo. (Aristotele, Le parti degli
animali, 640 b4-12. Traduzione di A. Carbone, BUR
Rizzoli, Milano 2002).

La ricerca degli antichi primi filosofi (


) sarebbe stata variamente modulata intorno a:
15
16

J. Burnet, Early Greek Philosophy, Black, London 19203, pp. 11-12.


W. Jaeger, La teologia dei primi pensatori greci, La Nuova Italia, Firenze
1961, p. 32.

17

(i) natura e propriet del principio materiale (


);

(ii) individuazione della causa del movimento (


);

(iii) modalit di generazione dell'intero (


) ovvero del cosmo ( ).

Parmenide e la
Tornando ora alla titolazione del Poema parmenideo, le testimonianze di coloro che hanno contribuito a trasmetterne citazioni
sopra tutti Sesto Empirico e Simplicio (il secondo molto probabilmente disponeva di copia dell'opera, il primo plausibilmente)
sono univoche nell'attribuirgli l'intestazione . Abbiamo gi letto le affermazioni di Simplicio (
.), in linea con quelle
di Sesto:
[...]

Il discepolo di lui (= Senofane), Parmenide [...]
iniziando appunto il Peri physes scrive in questo modo
[] (Adv. Math. VII, 111).

Si tratta ora di capire entro quali schemi avvenisse la ricezione


dell'opera e del pensiero di Parmenide nella tradizione
.

Parmenide nella
Prescindendo dagli inquadramenti della produzione per noi
frammentaria di Gorgia e Ippia, alla collocazione e al ruolo di
Parmenide nel quadro della sapienza antica pens per primo Platone. Delineando in un lungo passo del Sofista (242 b6-251 a4),
che costituisce indubbiamente l'antecedente diretto della disamina
18

dossografica aristotelica, il panorama delle teorie dellessere, egli


introduce di fatto alcune categorie destinate a grande fortuna storiografica: l'occasione fornita proprio da un rilievo su Parmenide:



Mi sembra che con leggerezza si siano rivolti a noi
Parmenide e tutti coloro che a un certo punto si sono
impegnati a determinare gli enti: quanti e quali enti
esistano (242 c4-6).

Lopposizione tra pensatori pluralisti e unitari, e la battaglia


di giganti () tra coloro che riducono tutto a corpo
( ) e coloro che, al contrario, pongono l'essere
() nelle idee ( ), sono fatte scaturire proprio dai
problemi ( , quanti e quali enti esistano)
sollevati (anche) dal Poema. L'ottica "ontologica" adottata non
pu nascondere, nel contesto, il riferimento all'indagine
, e, in particolare, l'equivalenza tra e 17:

, ,
,

,
,
Mi sembra che ognuno racconti una storia, come
fossimo bambini: l'uno [racconta] che gli esseri sono tre,
alcuni di essi talvolta sono in qualche modo in lotta
reciproca, talvolta al contrario, diventano amici, si
sposano, fanno figli e procurano nutrimento alla progenie;
un altro, invece, sostiene che [gli esseri] sono due - umido
17

Su questo punto N.L. Cordero nel suo commento a Platon, Le Sophiste,


traduction et presentation par N.L. Cordero, Flammarion, Paris 1993, p. 240;
J. Palmer, Plato's Reception of Parmenides, Clarendon Press, Oxford 1999,
p. 190.

19

e secco ovvero caldo e freddo -, li fa convivere e li unisce


in matrimonio (242 c8-d4).

appunto all'interno di questo ampio disegno di ricostruzione


della tradizione di pensiero precedente che Platone fa della stirpe
eleatica ( )18 il prototipo del monismo. chiaro
nel contesto come esso sia, tuttavia, da intendere non ingenuamente - non come se esistesse una sola cosa -, ma in riferimento
alla discussione sulla realt fondamentale: alcuni pongono tre
principi, altri due, gli Eleati uno solo:
,
,

da noi la stirpe eleatica - che ha avuto inizio da
Senofane e anche prima riferisce le proprie storie
secondo cui ci che chiamato "tutto" [tutte le cose] non
che un solo essere (Sofista 242 d5-6).

Nell'intenzione di Platone, ricondurre l'eleatismo a Senofane


era probabilmente funzionale alla sua collocazione entro un dibattito culturalmente definito 19: nella prospettiva di questa ricerca, in
particolare, risulta significativa la scelta di non isolare il contributo di Parmenide dallo sfondo d'indagine sui principi (
).
In termini analoghi il Parmenide (180a) delinea le posizioni di
Parmenide e Zenone:
,

,
. ,
18

probabile che la genealogia sfumata del gruppo eleatico (


) fosse motivata dall'intenzione di accentuare
la "profondit" (l'antichit) della dottrina di Parmenide in direzione delle
origini. Su questo il commento di F. Fronterotta in Platone, Sofista, a cura di
F. Fronterotta, BUR Rizzoli, Milano 2007, p. 341-342.
19
Palmer, op. cit., pp. 191-192.

20

,

Tu [Parmenide], infatti, nel tuo poema affermi che il
tutto [l'universo] uno, e porti prove di ci in modo
brillante ed efficace; questi [Zenone], invece, sostiene che
i molti non esistono, e anche lui porta prove molto
numerose e consistenti. Il primo dice quindi che esiste
l'uno, l'altro che i molti non esistono: cos ciascuno parla
in modo che sembri che non sosteniate alcunch di simile,
mentre in realt affermate le stesse cose,

mentre il Teeteto (180e) sottolinea la continuit tra Parmenide


e Melisso:

,

e le altre [dottrine] che i vari Melissi e Parmenidi


propongono con convinzione, opponendosi a tutti costoro
[i sostenitori della dottrina del flusso universale], secondo
cui tutte le cose sono uno e questo rimane stabile in se
stesso, non avendo luogo in cui muoversi.

Ci che questi passi confermano almeno nellelaborazione


della maturit di Platone20 - la riduzione della dottrina eleatica alla formula (ovvero ), con unimplicita valenza
cosmologica che si affaccia, oltre che in Parmenide (180a), nel
Sofista (244e):
, ,
,

,

20 Sulle fasi della ricezione platonica di Parmenide oggi fondamentale J.


Palmer, Plato's Reception of Parmenides, cit..

21

,

Se allora un intero, come sostiene anche Parmenide:
da tutte le parti simile a massa di ben rotonda palla,
a partire dal centro ovunque di ugual consistenza:
necessario infatti che esso non sia in qualche misura di
pi,
o in qualche misura di meno, da una parte o
dallaltra,
essendo tale ci che avr un centro e dei limiti
estremi, e, avendoli, necessariamente avr parti,

e che il Timeo sembra esplicitare21, riferendo l'opera di produzione del cosmo da parte del demiurgo:
.


,
, ,
,
.
.
,
, ,
,

,
.
- -


E gli diede una figura a s congeniale e congenere. Ma
la figura congeniale al vivente che doveva contenere in s
21

Secondo le indicazioni di Palmer (op. cit., pp. 193 ss.) sulla concentrazione di
termini parmenidei nel dialogo.

22

tutti i viventi non poteva essere che quella che


comprendesse in s tutte le figure possibili; per cui, lo
torn come una sfera, in una forma circolare in ogni parte
ugualmente distante dal centro alle estremit, che la pi
perfetta di tutte le figure e la pi simile a se stessa,
giudicando il simile assai pi bello del dissimile. E ne rese
perfettamente liscio l'intero contorno esterno per molte
ragioni. Infatti, non aveva bisogno di occhi, perch nulla
era rimasto da vedere all'esterno, n di orecchie, perch
nulla era rimasto da sentire; n vi era intorno aria, che
dovesse essere respirata, n aveva bisogno di un organo
per ricevere in s il nutrimento o per eliminarlo in seguito,
dopo averlo assimilato. Nulla, del resto, poteva da esso
separarsi e nulla a esso aggiungersi da nessuna parte,
perch nulla vi era al di fuori; infatti, stato prodotto in
modo da offrire a se stesso, come nutrimento, la propria
corruzione e da avere in s e da s ogni azione e ogni
passione (33 b-c)22.

Indizi lessicali che invitano a supporre che Platone vedesse


nell'Essere di Parmenide una sorta di entit cosmica23, nell'interpretazione platonica modellata secondo il precedente della divinit cosmica di Senofane24. Come ha prospettato Brisson25, la stessa
discussione del Parmenide potrebbe essere imperniata sull'alternativa:
(a) tutte le cose (l'universo) costituiscono una realt unica (
) come sarebbe stato affermato da Parmenide; la
molteplicit degli enti solo apparente, dal momento che la loro
pluralit reale condurrebbe a paradossi: in questo senso i molti
non esistono ( ) - secondo quanto argomentato da
Zenone;

22

Platone, Timeo, introduzione, traduzione e note di F. Fronterotta, BUR


Rizzoli, Milano 2003.
23
E. Passa, Parmenide. Tradizione del testo e questioni di lingua, Edizioni
Quasar, Roma 2009, p. 24.
24
Su questo punto Palmer, op. cit., pp. 193 ss..
25
L. Brisson, Introduction a Platon, Parmnide, prsentation et traduction par L.
Brisson, Flammarion, Paris 1994, pp. 20-21.

23

(b) esistono realmente molteplici realt sensibili, esse sono


componenti dell'universo a loro volta costituite da componenti elementari26.

Eccentricit di

Parmenide

nella

Nel terzo capitolo del primo libro della Metafisica, Aristotele,


riprende uno schema platonico, contrapponendo coloro [...] che
sostennero che uno solo il sostrato ( [...]
) a coloro che ammettono pi principi (
), ribadendone poi (nel quinto capitolo) le implicazioni cosmologiche, in conclusione della discussione sui Pitagorici:



,
.
Da queste cose possibile intendere a sufficienza il
pensiero degli antichi che sostenevano la pluralit di
elementi della natura. Ci sono poi coloro che parlarono del
tutto [dell'universo] come di un'unica natura, ma non tutti
allo stesso modo, n per convenienza n per conformit
alla natura (986 b8-12).

Evidentemente in relazione a Parmenide e ai suoi seguaci, Aristotele osserva:



(

,
,
26

Ivi, p. 21.

24

, )
.
Una discussione intorno a costoro esula dallesame
attuale delle cause: essi, infatti, non parlano come alcuni
dei naturalisti, i quali, posto lessere come uno, fanno
comunque nascere [le cose] dalluno come da materia;
essi parlano, invece, in altro modo. Mentre quelli, in
effetti, aggiungono il movimento, facendo nascere il tutto
[luniverso], questi, al contrario, sostengono che [il tutto]
sia immobile. Almeno quanto [segue], tuttavia,
appropriato alla presente ricerca (986 b12-18).

Nell'ambito di una indagine sulle cause e sui principi primi, il


confronto con le dottrine eleatiche non avrebbe dovuto trovare
spazio: in questo senso marcata una radicale differenza rispetto
alla ricerca dei naturalisti ( ). Essendosi espressi sull'universo [sul tutto] come fosse un'unica natura [realt] ( ), immobile ()
e immutabile, gli Eleati, in effetti, lo avevano pensato incausato27.
In De Caelo si sottolinea ulteriormente la peculiare posizione di
Parmenide e Melisso:


.


, ,
, , ,


.

,
, ,

27

Perplessit analoghe sono espresse e discusse da Aristotele nei primi capitoli


della Fisica (I, 2 e 3).

25

Coloro dunque che dapprima filosofarono intorno alla


verit sono stati in disaccordo sia rispetto ai discorsi che
noi proponiamo, sia reciprocamente.
Gli uni, infatti, eliminarono completamente
generazione e corruzione: sostengono in vero che nessuna
delle cose che sono si generi o si corrompa, ma
semplicemente che ci sembra a noi. Cos i seguaci di
Melisso e Parmenide, i quali, anche se si esprimono
adeguatamente sulle altre cose, tuttavia non si deve
credere che parlino da un punto di vista fisico, dal
momento che l'essere alcuni degli enti ingenerati e
completamente immobili proprio piuttosto di
un'indagine diversa e prima rispetto a quella fisica.
Costoro, invece, da un lato non ritenevano esistesse altro
oltre la sostanza dei sensibili, dall'altro per primi
pensarono delle nature di tale specie, se doveva esserci
una qualche forma di conoscenza o intelligenza: cos
trasferirono su questi enti [sensibili] i ragionamenti riferiti
a quell'ambito(Aristotele, De Caelo III, 1 298 b12-24).

Alludendo esplicitamente a Melisso e Parmenide, Aristotele ne


disloca il contributo rispetto a una ricerca incardinata sulla ricostruzione dei processi di generazione e corruzione (
): considerare gli enti ingenerati () e completamente immobili ( ) proprio di un'indagine diversa
e prima rispetto a quella fisica (
).
Eppure l'analisi della Metafisica rivela come, secondo Aristotele, leleatismo presentasse al proprio interno incrinature e fratture che l'appiattimento operato dalla dossografia sofistica doveva
aver coperto o trascurato28. Nel primo libro (, 3 984 a27-b4)
dopo aver discusso l'opinione circa la natura (
) dei pensatori orientati a ricercare la causa prima (
) in ambito materiale (di cui Talete sarebbe stato i28

J. Palmer, Parmenides & Presocratic Philosophy, OUP, Oxford 2009, p. 35


giustamente sottolinea come i raggruppamenti operati da Gorgia nel suo
Sulla natura o sul non essere avessero incoraggiato l'assimilazione
"riduttiva" di Parmenide e Melisso. Aristotele avrebbe avuto il merito di
recuperare le differenze tra le relative posizioni.

26

niziatore, ) lo Stagirita marca una discontinuit nel


contributo di Parmenide, capace di individuare la causa specifica
del mutamento ( ):


,
, ,

(
)
.

,


Coloro, dunque, che fin dallinizio aderirono
completamente a tale tipologia di ricerca e sostennero che
uno solo il sostrato, non si resero conto di questa
difficolt, ma alcuni di coloro che affermano tale unicit,
quasi sopraffatti da questa ricerca, sostengono che luno
immobile e che lo anche la natura nel suo complesso,
non solo rispetto a generazione e corruzione - questa ,
infatti, [convinzione] antica, su cui tutti concordavano -,
ma anche rispetto a ogni altro genere di mutamento.
Questa loro peculiarit. A nessuno, pertanto, di coloro
che affermarono che il tutto [luniverso] uno capitato
di scoprire tale tipologia di causa, tranne, forse, a
Parmenide, e a costui nella misura in cui pone non solo
luno, ma anche che le cause sono in un certo modo due.

significativo che, illustrando queste affermazioni di Aristotele nel proprio commento (in Metaphys. , 3 984 b3), Alessandro
di Afrodisia citi Teofrasto:
. (
[] ) .

,

27

,
,

, ,
.
Venuto dopo costui (si riferisce a Senofane),
Parmenide - figlio di Pyres, da Elea - percorse entrambe le
strade. Dichiara infatti che il tutto eterno, e cerca anche
di spiegare la generazione degli enti, pur non affrontando
entrambe allo stesso modo: piuttosto sostenendo, secondo
verit, che il tutto uno e ingenerato e di aspetto sferico;
ponendo invece, secondo lopinione dei molti allo scopo
di spiegare la generazione dei fenomeni [delle cose che
appaiono] - che i principi siano due, fuoco e terra, l'una
come materia, l'altro come causa e agente (DK 28 A7).

Condizionata dalla stessa ricezione schematica, in entrambi i


casi la valutazione del contributo di Parmenide chiaramente orientata dalla prospettiva della : non solo per
l'attenzione alla natura nel suo complesso ( ), al
tutto uno ( ), ma soprattutto per l'evidenza della ricerca dell'altro principio ( ), cio del principio del movimento ( ), per spiegare la produzione dei fenomeni ( ).
In questo senso Teofrasto poteva proporre Parmenide al centro di
una delle due serie di pensatori affrontati sistematicamente: quella
che collegava i primi a rivelare ai Greci lindagine intorno alla
natura ( )29 agli atomisti30.

29

G. Colli, La sapienza greca, Vol. II, Milano 1978, Adelphi, p. 247. Teofrasto,
in effetti, prospetta Parmenide discepolo di Senofane - come riferiscono
Diogene Laerzio (IX, 21, DK 28 A1), e i commentatori aristotelici
Alessandro e Simplicio (DK 28 A7) - e di Anassimandro (secondo quanto
attesta sempre Diogene Laerzio), associandolo poi a Empedocle ammiratore () e imitatore () di Parmenide (DK 28 A9) e Leucippo - unito a Parmenide nella filosofia (
, DK 28 A8).

28

Per quanto possa apparire inverosimile da un punto di vista


cronologico, laccostamento ad Anassimandro non tuttavia sorprendente31 e rivela il modus operandi di Teofrasto nelle sue ricostruzioni: egli insegue le tracce di problemi che sarebbero giunti
ad adeguata formulazione solo successivamente, cogliendone lo
sviluppo attraverso la connessione tra le principali personalit
(per altro allinterno di rigide categorie aristoteliche) 32. In questa
prospettiva, allora, Parmenide, come abbiamo sopra registrato,
avrebbe compiuto quanto da Anassimandro solo impostato: non si
sarebbe limitato a mantenere la prospettiva del divenire distinta
da quella del sostrato materiale, ma ne avrebbe anche individuato
chiaramente i principi diversi 33.
Un secondo elemento di discontinuit all'interno dell'eleatismo
da Aristotele individuato nella concezione dell'unit dell'universo ( ), di cui si sottolineano le
ricadute interessanti anche sull'indagine in corso intorno alle
cause ( ). Parmenide, infatti, avrebbe
inteso luno secondo la nozione [forma] ( ), ovvero come unit finita (essendo la finitezza espressione di determinatezza); Melisso, da parte sua, secondo la materia (
), come unit indeterminata e quindi infinita. Senofane - il
primo tra costoro a essere partigiano dell'Uno (
) e per ci ancora una volta riconosciuto maestro di Parmenide si sarebbe invece limitato, volgendosi all'universo nel suo
30

Laltra doveva raccogliere Anassimandro, Anassimene, Anassagora,


Archelao, Empedocle, Diogene di Apollonia. Determinante il ruolo
riconosciuto complessivamente ad Anassimandro.
31
Nella ricerca contemporanea stata sottolineata la dipendenza della
cosmologia del poema Sulla natura dalla cosmologia e cosmogonia
attribuite al Milesio: si veda in particolare Naddaf, op. cit., p. 138. Daltra
parte, a dispetto di singoli elementi di convergenza, David Furley ha
opportunamente marcato la distanza tra the centrifocal universe del poema
e quello lineare delle cosmologie milesie (D. Furley, The Greek
Cosmologists.Volume I: The formation of the atomic theory and its earliest
critics, C.U.P., Cambridge 1987, pp. 53 ss.).
32
Unampia discussione della storiografia teofrastea sui presocratici si trova in
G. Colli, La natura ama nascondersi. Physis kruptesthai philei, a cura di E.
Colli, Adelphi, Milano 1998, cap. II (Storicismo peripatetico).
33
G. Colli, La sapienza greca, Vol. II, cit., p. 327.

29

insieme ( ), ad affermarne la divinit (


).
Ribadendo un giudizio di valore gi espresso nel Teeteto platonico (183e), lo Stagirita registra l'acutezza del contributo di
Parmenide, a dispetto della sua eccentricit rispetto al focus "aitiologico". Messi da parte Melisso e Senofane come un po troppo grossolani ( ), egli infatti sottolinea:

,
, , (
),
,

,
, ,

.
Parmenide, invece, sembra in qualche modo parlare
con maggiore perspicacia: dal momento che, ritenendo
che, oltre allessere, il non-essere non esista affatto, egli
crede che lessere sia di necessit uno e nientaltro. []
Costretto tuttavia a seguire i fenomeni, e assumendo che
luno sia secondo ragione, i molti invece secondo
sensazione, pone, a sua volta, due cause e due principi,
chiamandoli caldo e freddo, ossia fuoco e terra. E di questi
dispone il caldo sotto lessere, il freddo sotto il non-essere
(986 b27-987 a1).

Nella ricostruzione aristotelica due sarebbero i cardini della


dottrina parmenidea:
(i) la convinzione circa l'unit dell'essere ( ) - da
un punto di vista razionale ( ) necessaria (
), imposta dalla disgiunzione e mutua esclusione tra essere
e non-essere: non esiste ci che non al di l di ci che (
);
(ii) la presa d'atto dell'evidenza fenomenica: cos, secondo noi,
da intendere l'espressione greca
30

(letteralmente costretto a essere guidato dai fenome-

ni [cose che appaiono]).


Proprio l'ineludibile rilievo empirico della molteplicit (
) avrebbe imposto un nuovo campo d'indagine,
inducendo Parmenide a introdurre due cause e due principi (
), ci legittimando la sua rilevanza per
la discussione aristotelica. Si tratta di una lettura che trova conferma nella dossografia successiva, anche in un autore, Plutarco,
che attingeva probabilmente a una tradizione accademica, relativamente autonoma rispetto alla linea teofrastea:
,

,

,
. ,
< >,
,
(Parmen. B 1, 29. 30)

.
,
; .
[Parmenide] non elimina alcuna delle due nature, ma a
ognuna conferendo ci che le proprio, pone l'intelligibile
nella classe dell'uno e dell'essere, definendolo "essere" in
quanto eterno e incorruttibile, e ancora uno per
uguaglianza a se stesso e per non accogliere differenza; il
sensibile invece in quella di ci che disordinato e in
mutamento. Il criterio di ci possibile vedere: il cuore
preciso della Verit ben convincente, che raggiunge
l'intelligibile e quanto sempre nelle medesime
condizioni, e le opinioni dei mortali in cui non vera
certezza [B1.29-30], perch esse sono congiunte con
cose che accolgono ogni forma di mutamento, di affezioni
e disuguaglianze. Come avrebbe potuto allora conservare
sensazioni e opinione, non conservando il sensibile e

31

l'opinabile? Non possibile sostenerlo (Plutarco, Adversus


Colotem 1114 d-e).

Le osservazioni di Plutarco sono particolarmente significative


perch intervengono a correggere l'interpretazione "melissiana" di
Parmenide (proposta da Colote), secondo cui Parmenide cancella ogni cosa postulando l'essere uno (
): appunto contro questo fraintendimento che il platonico attribuisce anacronisticamente all'Eleate
l'articolazione della realt in intelligibile ( ) e sensibile ( ), avendo in precedenza ricordato lo sforzo del
Poema di produrre un sistema del mondo (), in conformit con quanto ci si poteva attendere da un naturalista arcaico ( ):





,
,
Ha costruito anche un sistema del mondo e
mescolando come elementi la luce e la tenebra, fa derivare
tutti i fenomeni da questi e mediante questi. Ha detto in
effetti molte cose sulla terra, e sul cielo e sul sole e sulla
luna e tratta anche dell'origine degli uomini: nulla ha
taciuto circa le cose pi importanti, come si addice a
uomo arcaico nello studio della natura e che ha composto
uno scritto proprio non distruzione di un altro (Adversus
Colotem 1114b, DK 28 B10).

Questa testimonianza rafforza la convinzione che - sia per la


tradizione dossografica antica, sia per la posteriore (in gran parte
per dipendente da quella) - il tema del Poema parmenideo fosse
anche la (nel senso sopra sommariamente ricostruito), seb-

32

bene se ne registrasse la "eccentricit"34 e quindi la problematica


riducibilit al paradigma della .

Tra ricerca e ricerca

Aristotele, introducendo lindagine sullessere in quanto essere ( ), su ci che appartiene a tutte le cose in quanto enti ( ), la differenzia rispetto a ricerche pi
specifiche: ci che la connota , infatti, accanto alla eziologia
propria di ogni sapere, l'apertura alla totalit della realt. Riguardo alla , tuttavia, la sua posizione pi sfumata: l'originale speculazione sullessere in quanto essere proposta, infatti, in continuit con la precedente tradizione:
,

.
,


Dal momento che ricerchiamo i principi e le cause
supreme,

evidente
come
esse
riguardino
necessariamente una certa natura [realt] in quanto tale. Se
dunque coloro che ricercano gli elementi delle cose
ricercavano questi principi, necessario che fossero anche
gli elementi dell'essere non per accidente ma in quanto
essere. Per questo motivo dobbiamo comprendere le cause
prime dell'essere in quanto essere (Metafisica IV, 1 1003
a26-32).

Gli elementi costitutivi delle cose che sono (


) nella misura in cui sono intesi come principi di tutte
34

Ci siamo occupati di questo aspetto in Parmenide e la tradizione del pensiero


greco arcaico (ovvero della sua eccentricit), in Il quinto secolo. Studi di
filosofia antica in onore di Livio Rossetti, a cura di S. Giombini e F.
Marcacci, Aguaplano, Perugia 2011, pp. 165-178.

33

risultano in effetti elementi dell'essere in quanto tale (


), costitutivi di tutto ci che . In questo
senso la cifra sapienziale comune alla scienza dell'essere in
quanto essere ( ) e all'indagine dei
data, in definitiva, dalla convergente modalit di realizzazione: ricercare i principi e le cause prime (
) della realt. Pi avanti nello stesso libro,
infatti, Aristotele rileva come alcuni dei fisici (
) si fossero mostrati evidentemente consapevoli di ricercare
sulla natura [realt] nella sua interezza e sullessere (
, Metafisica IV, 3 1005 a3233), intendendo quindi la natura come una totalit omogenea
(dal punto di vista dell'essere), cui ineriscono determinate propriet riconducibili a principi universali.
Ritenendo cos che e coincidessero, che la
cio costituisse tutta la realt, quei fisici avrebbero manifestato interesse per gli assiomi (), i principi pi generali
di tutti, quelli che appartengono a tutti gli enti (
), la cui discussione non di competenza dello specialista (che si limita ad applicarli) ma appunto della ricerca del filosofo ( []). Il riferimento indeterminato ed stato precisato in modo diverso dagli interpreti: noi riteniamo che esso coinvolga direttamente Eraclito (per la riflessione
sul logos) e in particolare Parmenide, soprattutto in considerazione del lessico dei frammenti B2 e B8. Un lessico che effettivamente sembra istituire la riflessione ontologica, sia con l'analisi
dei segni (), delle propriet che manifestano , sia
con l'insistenza sulla reciproca implicazione di verit ed essere.

Natura, essere, verit


Lo Stagirita, in effetti, rilegge la tradizione anche alla luce di
un'intenzione veritativa di fondo:

34




consideriamo comunque anche coloro che prima di noi
hanno proceduto alla ricerca intorno agli enti e hanno
filosofato intorno alla verit (Metafisica I, 3 983 b1),

Espressioni come coloro che dapprima filosofarono intorno


alla verit ( ,
De Caelo III, 1 298 b12), ovvero che indagarono la verit intorno agli enti ( , Metafisica
IV, 5 1010 a1), rivelano come Aristotele intendesse l'indagine sulla natura come indagine sulla verit, la prima comportando una
presa di posizione circa ci che Realt35. In questo senso i primi
filosofi avevano contribuito allindagine sugli enti (
): in quanto convinti che la natura fosse la
realt fondamentale, ricercando sulla natura [realt] nella sua interezza ( ) essi avevano offerto anche riflessioni sullessere ( ):


,


,
( )
.

.
Coloro che per primi hanno ricercato secondo
filosofia, indagando la verit e la natura degli enti, furono
sviati come su una certa altra strada, sospinti
dall'inesperienza: essi sostennero che delle cose che sono
nessuna si generi o si distrugga, poich ci che si genera
origina o da ci che o da ci che non ; ma ci
35

W. Leszl, Parmenide e lEleatismo, Dispensa per il corso di Storia della


filosofia antica, Universit degli Studi di Pisa, Pisa 1994, p. 16.

35

impossibile da entrambi i punti di vista. Ci che , infatti,


non si genera (dal momento che gi); n da ci che non
possibile si generi alcunch: richiesto in effetti
qualcosa che funga da sostrato. E aggravando in questo
modo la conseguenza immediata, affermarono che non
esistano i molti ma che esista solo l'essere stesso (Fisica I,
8 191 a25 ss.).

Il passo di grande interesse: nell'ambito di una discussione


sui principi (il primo libro della Fisica compare nei cataloghi antichi come ), Aristotele (i) intende la riflessione dei
primi filosofi ( ) come indagine a un tempo sulla natura e sulla verit (
), e (ii) attribuisce il loro "sviamento", la loro erranza, a
una precoce analisi ontologica condotta con imperizia (
). Bench spesso riferita dai commentatori specificamente
agli Eleati, la difficolt segnalata potrebbe intendersi rivolta a
coloro che avevano operato la riduzione a elementi base (questo
appare il significato nel contesto di )36. In tal caso Aristotele riconoscerebbe all'indagine dei fisici un filo conduttore ontologico, che in Parmenide sarebbe stato pienamente esplicitato.
significativo che dalle intestazioni attribuite (probabilmente
sin dall'antichit37) alle opere di Melisso e Gorgia (di una generazione posteriore a quella di Parmenide) emergesse gi la consapevolezza dell'inadeguatezza del tradizionale repertorio
, con la proposta di , nel primo
caso, e nel secondo; e che in ambi36

Su questo in particolare Palmer, Parmenides & Presocratic Philosophy, cit.,


pp. 130 ss..
37
tradizionalmente riconosciuto che l'intenzione dello scritto gorgiano era di
ribaltare le tesi eleatiche (per esempio, W.K.C. Guthrie, The Sophists,
C.U.P., Cambridge 1971, pp. 270-271). I due resoconti dell'opera quello di
Sesto Empirico (che ci fornisce anche la titolazione completa) e quello
dell'Anonimo del De Melisso, Xenophane et Gorgia (forse I secolo d.C.)
potrebbero dipendere da Teofrasto ed essere stati semplicemente elaborati in
modo diverso. In alternativa, per la seconda redazione, si supposta la mano
di un peripatetico antico (si veda la nota di M. Untersteiner in Sofisti,
Testimonianze e frammenti, a cura di M. Untersteiner, con la collaborazione
di A. Battegazzore, Bompiani, Milano 2009, p. 234).

36

to sofistico proliferassero opere sulla Verit ( e


sono le titolazioni attribuite alle opere principali rispettivamente di Antifonte e di Protagora). Aristotele, in ogni caso, con
la formula indagine sulla verit intende unindagine sulla realt
genuina, tesa ad accertare quale essa sia, spingendosi oltre le apparenze che la occultano38. Illuminante un passo di De generatione et corruptione:
,

,
.


,

A partire dunque da questi ragionamenti, e spingendosi
oltre la sensazione e ignorandola, dal momento che si
dovrebbe seguire il ragionamento, alcuni dicono che il
tutto [l'universo] uno, immobile e infinito: il limite,
infatti, confinerebbe con il vuoto. Costoro, dunque, in
questo modo e per queste ragioni si sono espressi sulla
verit: ora, alla luce dei ragionamenti sembra che queste
cose accadano cos; alla luce dei fatti, invece, il pensare
cos sembra quasi follia (Aristotele, De generatione et
corruptione I, 8 325 a13ss.).

Qui Aristotele stigmatizza, per la sua paradossalit (sintomatico il riferimento alla follia), una forma di razionalismo eleatico39 che, nel riferimento all'infinito, appare sostanzialmente melissiano40: il contributo all'indagine sulla verit scaturisce da una
38

Leszl, op. cit., p. 17.


Cos Migliori, Aristotele, La generazione e la corruzione, traduzione,
introduzione e commento di M. Migliori, Loffredo Editore, Napoli 1976, p.
200.
40
Non un caso che Reale abbia accolto le prime righe del passo aristotelico
come un vero e proprio frammento di Melisso: Melisso, Testimonianze e
frammenti, traduzione, introduzione e commento di G. Reale, Firenze 1970,
La Nuova Italia, pp. 98-104.
39

37

ricerca volta alla comprensione della realt naturale nel suo insieme ( ). Una ricerca, dunque, a un tempo "ontologica" ed
"epistemologica" (in senso lato), nella misura in cui la determinazione della realt genuina dipende da considerazioni di ordine
gnoseologico (delineate nella contrapposizione ).
Ora, nei frammenti parmenidei non mancano indizi (come rivelano le letture antiche) della possibilit che l'espressione
(ci che ovvero l'essere), di cui si definiscono propriet
strutturali - senza nascita () senza morte
(), tutto intero (), uniforme (),
saldo () (B8.4-5) si riferisca a quel che Aristotele
indica come , il Tutto delluniverso41: Parmenide, nel suo
sforzo di evitare le incongruenze colte nelle coeve indagini sull'origine e sulla struttura del mondo naturale 42, avrebbe trasfigurato
lo spazio cosmico nel compiuto, omogeneo, immutabile campo
dellessere, cos spingendo la filosofia naturale ai limiti di logica e metafisica43. N, d'altra parte, mancano tracce di una trattazione 44: la prima sezione del Poema si apre e si
chiude con chiare menzioni della Verit intesa come la Realt
oggetto dell'esposizione stessa, mentre l'impianto dicotomico
dell'opera trdita riflette la tensione tra il resoconto genuino di
quella realt e una sua accettabile ricostruzione a partire dall'esperienza che gli uomini ne hanno.
41

Interpreta in questo senso D. Furley, The Greek Cosmologists, cit., p. 54.


Conche in Parmnide, Le Pome: Fragments, texte grec, traduction,
prsentation et commentaire par M. Conche, PUF, Paris 1996, p. 182
osserva come lessere abbia a che fare con il Tutto, con linsieme di ci che
, e sia dunque coestensivo al mondo. Una prospettiva analoga a quella che
proponiamo espressa da M. Kraus, "Sein, Raum und Zeit im Lehrgedicht
des Parmenides", in G. Rechenauer (Hg.), Frgriechisches Denken,
Vandenhoeck & Ruprecht, Gttingen 2005, pp. 252-269. Di particolare
rilievo le pagine 260-1.
42
Lasciamo qui indeterminati i bersagli possibili, da ricercare comunque in
ambito ionico e pitagorico.
43
D.W. Graham, Empedocles and Anaxagoras: Responses to Parmenides, in
The Cambridge Companion to Early Greek Philosophy, edited by A.A.
Long, C.U.P., Cambridge 1999, p. 175.
44
Leszl, op. cit., p. 19.

38

Natura e verit in Parmenide


In effetti, nel caso del poema di Parmenide, presumendone unitariet e coerenza, possiamo registrare:
(i) lo squilibrio di struttura: la (seconda) sezione dedicata all'esposizione dell'ordinamento [del mondo] del tutto appropriato
( , B8.60) doveva essere assai pi consistente di quella (la prima) relativa al percorso di Persuasione,
che si accompagna a Verit ( -
, B2.4);
(ii) il costante richiamo, nell'introduzione del , a un
lessico di conoscenza: B10 appare, in questo senso, un vero e
proprio programma di istruzione cosmologica e cosmogonica, tra
l'altro in sintonia con il modello poetico esiodeo della Teogonia45:


,

[5] ,

.
Conoscerai la natura eterea e nelletere tutti
i segni e della pura fiamma dello splendente sole
le opere invisibili e donde ebbero origine,
e le opere apprenderai periodiche della luna
dallocchio rotondo,
e la [sua] natura; conoscerai anche il cielo che tutto
intorno cinge,
donde ebbe origine e come Necessit guidandolo lo
vincol
a tenere i confini degli astri.

45

Laccostamento naturale in Aristotele, quando, in apertura di Metafisica I, 4,


introduce lanalisi della causalit efficiente, rinviando proprio ai precedenti
di Esiodo e Parmenide sul ruolo cosmogonico di Amore.

39

Che l'articolata indagine prospettatavi possa essere rubricata


come sembra, alla luce delle considerazioni
introduttive, indiscutibile, cos come appare chiara la sua intenzione cognitiva: nella costruzione del Poema, allora possibile
rintracciare una corrispondenza tra la ricerca della seconda sezione e l'impegno ontologico-veritativo dei frammenti B2-B8. L'obiettivo dichiarato (nel proemio) della comunicazione divina
compiutamente conoscitivo, scandito da espressioni verbali dalla
inequivocabile valenza cognitiva, in relazione tanto a
quanto ai :


, .
,

Ora necessario che tutto tu apprenda:
sia di Verit ben rotonda il cuore fermo,
sia dei mortali le opinioni, in cui non reale
credibilit.
Nondimeno anche questo imparerai: come le cose
accolte nelle opinioni
era necessario fossero effettivamente, tutte insieme
davvero esistenti (B1.28b-32).

La Dea sottolinea il proprio impegno a (i) rivelare la realt genuina (), tradizionale appannaggio divino, e (ii) denunciare le infondate (senza reale credibilit, ) opinioni
dei mortali ( ), in ci riflettendo il canonico pessimismo sulla condizione e comprensione umana che aveva trovato
espressione nella poesia e nella sapienza antica:
,

[, .]
,

,

40

.
,
.
Per questo io ti dico e tu ascolta e comprendi:
nulla pi inconsistente dell'uomo tra tutte le cose
che nutre la terra, e sulla terra camminano e si
muovono.
Egli sostiene che nulla di male mai gli accadr,
fin quando gli dei concedono forza e le membra sono
in movimento.
Quando invece gli dei beati infliggono anche dolori,
pure questi sopporta, suo malgrado, con animo
paziente.
Tale la comprensione degli uomini che vivono sulla
terra,
quale il giorno che manda il padre degli dei e degli
uomini (Odissea XVIII, 129-137)
,

il mortale deve pensare cose mortali, non cose


immortali (Epicarmo, DK 23 B20)

soltanto dio conosce la verit, a tutti dato solo


opinare (Senofane, DK 21 A24).

Ma il programma non si esaurisce nella contrapposizione tra


comprensione divina e incomprensione umana, pur limpidamente
e criticamente evocata. La rivelazione della realt autentica - per
la quale Parmenide ricorre a una perifrasi, impiegando due immagini: letteralmente cuore che non trema ( ) di Verit ben rotonda ( ovvero, secondo altri codici,
ben convincente, ) - certamente occasione per condannare di fronte al giovane poeta () linattendibilit delle
convinzioni umane. Essa, nell'economia del poema, appare tuttavia funzionale anche alla presentazione di un resoconto alternativo, plausibile (), del mondo dell'esperienza ( ):
41

a dispetto dell'inaffidabilit delle correnti opinioni mortali, possibile delinearne una sintesi compatibile con la lezione di verit
della prima istruzione.
Difficile credere che Parmenide non fosse in qualche misura
convinto della bont del punto di vista espresso negli attuali
frammenti B9-B1246, ovvero della tracciatavi,
anche perch i rilievi del testo richiamano puntualmente i divieti
di B2-B8:

,

,
Ma poich tutte le cose luce e notte sono state
denominate,
e queste, secondo le rispettive propriet, [sono state
attribuite] a queste cose e a quelle,
tutto pieno ugualmente di luce e notte invisibile,
di entrambe alla pari, perch insieme a nessuna delle
due [] il nulla (B9).

Discorso
verosimile

affidabile

ordinamento

Eppure il passaggio tra le due sezioni marcato in modo inequivocabile:





A questo punto pongo termine per te al discorso
affidabile e al pensiero
intorno a Verit; da questo momento in poi opinioni
mortali
impara, lordine delle mie parole ascoltando che pu
ingannare (B8.50-2).
46

Lesher, op. cit., p. 240.

42

In questi versi si incrociano le due prospettive che Parmenide


tenta di salvaguardare all'interno della tradizionale opposizione
tra umano e divino:
(i) da un lato la "superiore" ottica della divinit, che si esprime
in un logos degno di fiducia: svolgendo rigorosamente la propria
disamina dall'alternativa e non possibile non essere-non
ed necessario non essere, esso riconosce che:
,

, ,
,
senza nascita ci che e senza morte,
tutto intero, uniforme, saldo e senza fine;
n un tempo era n [un tempo] sar, poich ora tutto
insieme,
uno, continuo (B8.3b-6a),

(ii) dall'altro i punti di vista umani, molteplici e concorrenti,


insidiosi e potenzialmente dispersivi: esplicitamente all'interno
di questo orizzonte che la Dea introduce la seconda sezione:
,

Questo ordinamento, del tutto appropriato, per te io
espongo,
cos che mai alcuna opinione dei mortali possa
superarti.

Nessun resoconto cosmologico, nella misura in cui si riferisca


alle vicende di una molteplicit di enti in divenire (instabili e mutevoli), pu essere considerato completamente affidabile, come,
invece, il discorso su ci che ( ), sulla realt colta come
totalit (unitaria, immutevole, essendo nel suo complesso tutto ci
che ). Per valutare correttamente l'impresa parmenidea dobbiamo
tenere conto di due elementi:

43

(a) del contributo scientifico47 (prevalentemente in campo cosmologico48) riconosciuto a Parmenide nellantichit: ancora una
volta interessante soprattutto il fatto che Teofrasto (DK 28 A44)
gli attribuisse la scoperta della sfericit della Terra:

, [Phys. Opin.
17] ,
[in riferimento a Pitagora] ma fu anche il primo a
chiamare il cielo cosmo e la terra sferica; per Teofrasto fu
invece Parmenide, per Zenone Esiodo,

e che altre fonti risalissero allEleate per osservazioni sulla identit di Espero e Lucifero (DK 28 A40a):
. ,
,
, ,

Parmenide pone come primo nell'etere Eos, lo stesso
da lui chiamato anche Espero; dopo di esso pone il Sole,
sotto questo, nella parte ignea che chiama cielo, gli astri,

e sulla natura solare della luce della Luna:


. [sc. ]

47

Per una recente valorizzazione di questo aspetto G. Cerri, La riscoperta del


vero Parmenide, introduzione a Parmenide di Elea, Poema sulla natura,
introduzione, testo, traduzione e note a cura di G. Cerri, Milano 1999, BUR
Rizzoli (in particolare pp. 52-57); D.W. Graham, Explaining the
Cosmos.The Ionian Tradition of Scientific Philosophy, Princeton University
Press, Princeton and Oxford 2006, pp. 179-182.
48
Naddaf ha daltra parte segnalato come il modello cosmogonico della seconda
sezione del poema dovesse essere influenzato da una prospettiva biologica e
ricordato opportunamente le tracce di una antropogonia, attestata da
Diogene Laerzio (DK 28A1). Si veda G. Naddaf, The Greek Concept of Nature, cit., pp. 137-138.

44

Parmenide [dice che] la luna uguale al sole: da esso


infatti illuminata (DK 28 A42);

(b) dell'evidente contrasto tra la condanna della confusione


"mortale" tra le due vie:

,
per i quali esso considerato essere e non essere la
stessa cosa
e non la stessa cosa: ma di [costoro] tutti il percorso
torna all'indietro (B6.8-9)

Mai questo sar forzato: che siano cose che non sono
(B7.1),

ovvero dellirrisolta opposizione nelle cosmogonie correnti


(ioniche? pitagoriche?):

-
Presero la decisione, infatti, di dar nome a due forme,
delle quali lunit non [per loro] necessario
[nominare]: in ci sono andati fuori strada (B8.53-4),

e la sottolineatura (nel gi citato B9) della riduzione omogenea


all'essere delle forme introdotte per il :

,

,
Ma poich tutte le cose luce e notte sono state
denominate,
e queste, secondo le rispettive propriet, [sono state
attribuite] a queste cose e a quelle,
tutto pieno ugualmente di luce e notte invisibile,
di entrambe alla pari, perch insieme a nessuna delle
due [] il nulla (B9).

45

La distinzione tra i due momenti dell'istruzione divina sembra


quindi consapevolmente delineare due distinte forme di conoscenza:
(a) la certezza della comprensione razionale evocata dalla reiterazione di (comprendere, concepire, pensare) e (intelligenza, pensiero), nonch di espressioni come
(giudica con il ragionamento) - degli attributi universali di ci
che ( , il complesso della realt colto come tutto-intero);
(b) la plausibilit di una conoscenza l'uso di verbi di conoscenza indiscutibile nei frammenti attribuiti alla seconda sezione - che possiamo definire "empirica", dal momento che si concentra sulla natura delle cose che incontriamo nella nostra esperienza49.
In realt il quadro pi complesso, perch fortemente condizionato da una cornice religiosa che deve indurre cautela.
Intanto, quella che abbiamo indicato come conoscenza razionale (via d'accesso privilegiata alla Verit) proposta come contenuto diretto di una rivelazione (B1) che costituisce il contesto
dell'intera esposizione del Poema, e che pone immediatamente
(B2) le premesse da cui dipendono i ragionamenti successivi.
Come avremo modo di sottolineare nel commento, tale rivelazione non appare un semplice escamotage poetico, estrinseco rispetto alla comunicazione di verit, ma, al contrario, il vero nucleo
propulsivo dellopera, la condizione di continuit entro cui le due
sezioni assumono il loro senso e il loro statuto 50. Un elemento andato perduto nella ricezione di Parmenide nel IV secolo a.C. (che,
infatti, non ci ha conservato citazioni dal proemio), ma in s di
grande interesse per la collocazione culturale dell'Eleate e per la
valutazione del suo contributo.
L'oggetto di tale conoscenza - appare, a sua volta, nei
frammenti sia come risultato di una costruzione logica:

49
50

Lesher, op. cit., p. 241.


Su questo punto insiste Lambros Couloubaritsis, nella nuova edizione (La
pense de Parmnide, ditions Ousia, Bruxelles 2008) del suo Mythe et Philosophie chez Parmnide.

46


, ,
-
-
Il giudizio in proposito dipende da ci:
o non . Si dunque deciso, secondo necessit,
di lasciare luna [via] impensabile [e] inesprimibile
(poich non
una via genuina), e che laltra invece esista e sia reale
(B8.15b-18),

sia come concrezione di una sintesi intuitiva, a partire dallo


sguardo rivolto alla molteplicit degli enti:




Considera come cose assenti siano comunque al
pensiero saldamente presenti;
non impedirai, infatti, che lessere sia connesso
allessere,
n disperdendosi completamente in ogni direzione per
il cosmo,
n concentrandosi (B4).

In questo secondo caso, la costante presenza dell'essere giustapposta alla presenza-assenza degli enti, prefigurando l'opposizione tra l'immutabile presente dell'uno:
, ,
,
n un tempo era n [un tempo] sar, poich ora tutto
insieme,
uno, continuo (B8.5-6a)

e il divenire - scandito da passato, presente e futuro degli altri:


47


Ecco, in questo modo, secondo opinione, queste cose
ebbero origine e ora sono,
e poi, in seguito sviluppatesi, avranno fine (B19.1-2).

Ci pu suggerire che i due momenti del discorso divino riflettano l'originale rielaborazione parmenidea della tensione, implicita nella cultura delle origini, tra la dimensione temporale delle cose in divenire ( , le cose
che sono, le cose che sono state e le cose che saranno, Iliade I,
70) e quella peculiare alla concezione arcaica del divino (
, dei che sono sempre, Iliade I, 290)51.
La distinzione ben delineata nei frammenti trditi, come abbiamo visto, quella tra:
(i) la certezza ( ) che scaturisce dal giudizio razionale su :
,

Dire e pensare: ci che , necessario: essere
infatti possibile,
il nulla, invece, non (B6.1-2a);

(ii) la verosimiglianza del resoconto cosmologico, che pur legittimato dalla parola divina:
,

Questo ordinamento, del tutto appropriato, per te io
espongo,
cos che mai alcuna opinione dei mortali possa
superarti (B8.60-1)

si rivolge all'origine e sviluppo di fenomeni prodotti dall'azione celeste:



51

Ivi, p. 102.

48


,


Conoscerai la natura eterea e nelletere tutti
i segni e della pura fiamma dello splendente Sole
le opere invisibili e donde ebbero origine,
e le opere apprenderai periodiche della Luna
dallocchio rotondo,
e la [sua] natura (B10.1-5a),

e, ulteriormente, ai fondamenti cosmogonici e cosmologici (in


questo senso alle condizioni generali del mondo naturale):



conoscerai anche il cielo che tutto intorno cinge,
donde ebbe origine e come Necessit guidando lo
vincol
a tenere i confini degli astri (B10.5b-7).

La certezza prodotto del percorso di Persuasione (


) associato a Verit () ed essere ( ): Parmenide insiste sulla necessit di tale sapere, chiaramente correlata a
immutabilit, identit e stabilit del suo oggetto. La ricostruzione
del riflette, d'altra parte, la mutevolezza dei fenomeni fissati dall'arbitrio delle denominazioni umane: in questo
senso, rispetto all'affidabilit del percorso di Persuasione che
manifesta la genuina realt (la Verit), essa proposta dalla Dea
come , secondo opinione.

Essere e natura in Parmenide


Nel proprio schema (Metafisica I, 5 986 b27-987 a1) - che gi
abbiamo commentato - Aristotele aveva dunque colto sostanzialmente nel segno:
49


,
, , (
),
,

,
, ,

.
Parmenide, invece, sembra in qualche modo parlare
con maggiore perspicacia: dal momento che, ritenendo
che, oltre allessere, il non-essere non esista affatto, egli
crede che lessere sia di necessit uno e nientaltro. []
Costretto tuttavia a seguire i fenomeni, e assumendo che
luno sia secondo ragione, i molti invece secondo
sensazione, pone, a sua volta, due cause e due principi,
chiamandoli caldo e freddo, ossia fuoco e terra. E di questi
dispone il caldo sotto lessere, il freddo sotto il non-essere.

La lettura aristotelica suggerisce, infatti, che l'oggetto apparentemente diverso - delle due sezioni del Poema sia in verit identico, sebbene prospettato secondo differenti modalit gnoseologiche: secondo ragione ( ) e secondo sensazione ( ). Una considerazione puramente razionale
fa emergere la realt (naturale) come uno-tutto; il riferimento
all'esperienza manifesta la pluralit dei fenomeni: nel primo caso
il livello di astrazione fa perdere di vista i connotati fenomenici e
risaltare i tratti di fondo della realt; nel secondo l'urgenza di dar
conto dei fenomeni spinge all'individuazione di efficaci principi
esplicativi. Come non possibile parlare di due oggetti diversi,
cos non pu sfuggire nei frammenti il tentativo di Parmenide di
ripensare il problema dei principi in termini ontologici, attribuendo cio ai principi alcune caratteristiche dei segni di :

, ,
, , ,

50


Scelsero invece [elementi] opposti nel corpo e segni
imposero
separatamente gli uni dagli altri: da una parte, della
fiamma etereo fuoco,
che mite, molto leggero, a se stesso in ogni direzione
identico,
rispetto allaltro, invece, non identico; dallaltra parte,
anche quello in se stesso,
le caratteristiche opposte: notte oscura, corpo denso e
pesante (B8.55-9)
,

,

,
Ma poich tutte le cose luce e notte sono state
denominate,
e queste, secondo le rispettive propriet, [sono state
attribuite] a queste cose e a quelle,
tutto pieno ugualmente di luce e notte invisibile,
di entrambe alla pari, perch insieme a nessuna delle
due [] il nulla (B9).

Questo autorizza l'ipotesi che la prima sezione pur compiuta,


autosufficiente e autonoma fosse effettivamente intesa come
preparatoria alla seconda, con la quale l'autore entrava in competizione (come sottolineato anche dalle parole della divinit) con
altre cosmologie. plausibile che il modello esplicativo del mondo naturale che vi si delinea abbia profondamente influenzato
quello, fondato sulla nozione di mescolanza, adottato da Empedocle e Anassagora52, sensibili, tra l'altro, ai rilievi ontologici di

52

In modo diverso giungono a sostenere questa ipotesi P. Curd, The Legacy of


Parmenides. Eleatic Monism and Later Presocratic Thought, Princeton University Press, Princeton 1998; P. Thanassas, Parmenides, Cosmos, and Being. A Philosophical Interpretation, cit.; D.W. Graham, Explaining the Cosmos, cit..

51

Parmenide53 come risulterebbe da una serie di frammenti (DK


31 B8, B9, B11, B12; DK 59 B17).

53

D.W. Graham, Empedocles and Anaxagoras: Responses to Parmenides, in


The Cambridge Companion to Early Greek Philosophy, cit., p. 167. Per una
pi meditata e articolata riflessione sullo stesso tema, si pu ora consultare
D.W. Graham, Explaining the Cosmos, cit..

52

IL TESTO DI PARMENIDE E LA SUE FONTI


Si ipotizza che la consistenza dell'unica opera di cui la tradizione sostiene Parmenide sia stato autore, fosse approssimativamente di un migliaio di versi, 160 (circa) dei quali abbiamo ricevuto attraverso posteriori citazioni da parte di altri autori. Essi riferivano in qualche caso direttamente da una copia del poema, in
altri indirettamente da selezioni antologiche ovvero da citazioni
altrui. Riflettendo sulla storia di queste citazioni testuali, possiamo concludere che il poema di Parmenide sia stato oggetto di due
distinti momenti di attenzione, a distanza di 4 secoli luno
dallaltro, prima di scomparire definitivamente54.

Il materiale del Poema


Possiamo supporre che una prima diffusione di copie del Poema avvenisse sotto il controllo dell'autore e che forme di controllo
sul testo e sulla sua circolazione fossero esercitate dagli allievi nel
periodo immediatamente successivo alla sua morte. plausibile
che nel mondo greco occidentale si conservasse una memoria testuale autonoma, da collegare forse ad ambienti pitagorici 55 , e
che, analogamente, tradizioni del testo si affermassero anche in
altre aree di civilizzazione greca, come l'Asia Minore, dove il poema sembra essere stato conosciuto abbastanza presto. Si tratta
solo di congetture, dal momento che non disponiamo di evidenze
di questa fase pre-platonica, ma, secondo Passa 56, non da escludere che a una di queste tradizioni abbia attinto Sesto Empirico.
La prima attestazione del Poema risale a Platone, che cita per
cinque volte Parmenide: nel Teeteto (180d a proposito della tesi
dellunit e della immobilit dellUno-Tutto), nel Simposio (178b
54

N.-L- Cordero, Lhistoire du texte de Parmnide, in tudes sur Parmnide,


sous la direction de P. Aubenque, t. II, Problmes dinterpretation, Vrin, Paris 1987, p. 4.
55
E. Passa, Parmenide. Tradizione del testo e questioni di lingua, Edizioni
Quasar, Roma 2009, p. 143.
56
Ibidem.

53

a proposito del primato di Eros), tre volte nel Sofista (237a e 258d
a proposito del parricidio; 244e a proposito della struttura e indivisibilit del Tutto). Aristotele, a sua volta, replica la descrizione del Tutto gi citata da Platone (Fisica 207 a18), cita il verso su
Eros (Metafisica 984 b26) e trascrive l'attuale frammento 16 (Metafisica IV, 5 1009 b22). Lultima citazione della prima "esistenza
postuma" del Poema in Teofrasto, che riprende tre volte il fr. 16
(in una versione diversa da quella aristotelica). probabile che le
citazioni del frammento 8 nello pseudo-aristotelico Su Melisso,
Senofane e Gorgia e in Eudemo derivino da Platone57.
Dopo un lungo silenzio - segnale, secondo Cordero58, non propriamente di scomparsa del testo parmenideo, piuttosto di mancato utilizzo - il platonico Plutarco (I secolo d.C.) torna a fare
uso abbondante dei frammenti del poema, aprendo di fatto la seconda stagione dattenzione per l'opera - la pi ricca di citazioni
testuali - che dura fino a tutto il VI secolo. Caratteristica di questa
fase il ricorso al Poema non per illustrare la posizione dell'autore, ma per confermare o chiarire il tema oggetto di analisi da parte
dei commentatori: probabile che le citazioni non siano di prima
mano, ma dipendano in gran parte da Platone, Aristotele e Teofrasto.
A Simplicio, lultimo autore conosciuto che abbia usato un
manoscritto dellintera opera di Parmenide 59 , dobbiamo la citazione (in gran parte come unica fonte) dei due terzi dei 160 versi
trditi del poema: egli cita estensivamente anche perch consapevole della rarit del testo gi nella sua epoca (clamorosamente
quella in cui aumenta il numero di autori che direttamente o indirettamente citano Parmenide: Damascio, Filopono, Asclepio, Boezio, Olimpiodoro60):
,

57

Cordero, op. cit., pp. 4-5.


Ivi, p. 5.
59
A.H. Coxon, The Fragments of Parmenides, Van Gorcum, Assen/Maastricht
1986, p. 1.
60
Cordero, op. cit., p. 6.
58

54

anche a costo di sembrare insistente, vorrei aggiungere


a questi miei appunti i non molti versi di Parmenide
sull'essere uno, sia per il credito delle cose da me dette, sia
per la rarit dello scritto parmenideo (DK 28 A21).

Cordero giudica molto probabile sulla scorta del lavoro filologico di Diels l'utilizzazione da parte di Proclo (V secolo) e
Simplicio (VI secolo) di due differenti versioni del poema di
Parmenide 61 . Damascio (V-VI secolo d.C.) cita sulla scorta del
commento perduto di Giamblico (III-IV secolo d.C.) al Parmenide platonico. Altri autori antichi (V e VI secolo d.C.) come Ammonio, Filopono, Olimpiodoro e Asclepio potrebbero non aver
avuto la possibilit di accedere direttamente a copia dellintero
poema62.

Le fonti e i loro problemi


Da un punto di vista culturale, possiamo rileggere questa storia
disponendo le fonti in tre raggruppamenti63:
(i) Platone, Aristotele, Teofrasto e Eudemo (tutti del IV secolo
a.C.), gravitanti intorno alle due principali istituzioni filosofiche
ateniesi: Accademia e Liceo;
(ii) figure eterogenee appartenenti a centri di cultura ellenistico-romana: Plutarco (I sec.), Galeno (II sec.), Clemente Alessandrino e Sesto Empirico (II-III sec.), Diogene Laerzio (III sec.);
(iii) figure cronologicamente e geograficamente distanti, ma
unite culturalmente dal fondamentale neoplatonismo: Plotino (III
sec.), Giamblico (III-IV sec.), Proclo (IV-V sec.), Damascio e
Ammonio (V-VI sec.): Simplicio loro discepolo.

61

Cordero, op. cit., p. 5.


Coxon, op. cit., p. 2.
63
Seguiamo Passa, op. cit., p. 21.
62

55

Fonti attiche

Possiamo supporre che le fonti del primo gruppo abbiano avuto accesso a copie del poema: secondo Passa 64, si pu facilmente
dimostrare, tuttavia, che in molti casi esse citano a memoria, ma
probabile che sfruttassero anche la prima sistemazione del materiale presocratico a opera dei sofisti. Si ritiene, infatti, che Platone
e Aristotele ricorressero alle selezioni approntate nella seconda
met del V secolo a.C. da Ippia (che nella sua aveva estratto, messo in relazione e commentato tesi presenti in opere
poetiche e in prosa65) e Gorgia (che, a sua volta, aveva estrapolato
dalla prima produzione filosofica enunciati teorici che potevano
essere organizzati per contrapposizioni, cos sottolineando gli insolubili contrasti tra filosofie: un'impostazione che certamente ha
lasciato tracce ancora nelle opere ippocratiche, in Senofonte e Isocrate). Platone e Aristotele, che rivelano nelle loro opere di
combinare i due approcci, pur avendo modo di consultare direttamente almeno una parte delle opere attribuite ai primi filosofi,
sarebbero stati comunque condizionati dagli schemi sofistici nella
loro lettura66.
Se plausibile, dunque, che le nostre fonti pi antiche - Platone, Aristotele e i suoi discepoli Teofrasto e Eudemo - avessero
accesso a copie dellintero poema, tuttavia significativo che Teofrasto e Eudemo non siano fonti primarie dei versi che citano e
che lo stesso Aristotele citi (3 volte su 4) probabilmente sulla
scorta dei dialoghi platonici (per altro poco accurati nel riportare
il testo parmenideo)67. La disponibilit, inoltre, di differenti versioni dello stesso frammento (B16) in Aristotele e Teofrasto pu
essere indizio dellesistenza, gi nel IV secolo a.C., di almeno due
distinte tradizioni manoscritte. Nonostante sia praticamente impossibile per noi risalire oltre la redazione attica del poema pos64

Ivi, p. 25.
J.-F. Balaud, Hippias le passeur, in La costruzione del discorso filosofico
nellet dei Presocratici, a cura di M.M. Sassi, Edizioni della Normale, Pisa
2006, pp. 288 ss..
66
J. Mansfeld, Sources, in The Cambridge Companion to Early Greek Philosophy, cit., pp. 26-27.
67
Ivi, pp. 2-3.
65

56

seduta dall'Accademia e dal Peripato, dunque almeno ipotizzabile discriminare al suo interno tra il testo usato (o citato a memoria) da Platone e Aristotele e quello usato da Teofrasto. N, come
abbiamo in precedenza segnalato, si pu escludere che redazioni
alternative autonome siano sopravvissute nella tradizione pi tarda68.
La recente ricerca linguistica69 sottolinea come Platone citi da
una versione gi in parte "atticizzata" del Poema, che aveva dunque sopportato interventi simili a quelli operati (nello stesso periodo) sul testo omerico: modificazioni del vocalismo e introduzione di aspirazioni (in origine il testo doveva essere psilotico). Il testo riportato da Platone nel complesso accurato, sebbene, secondo Passa, proprio a Platone si possa far risalire la spiccata
propensione a interpretarlo, che diventer poi norma per i neoplatonici, con conseguenti gravi alterazioni nelle loro redazioni. Da
Platone e dalla sua scuola deriver, fino a Proclo, quella tradizione "accademica" da cui tratta la maggioranza delle citazioni del
Poema disponibili.
In considerazione di quanto sopra osservato, plausibile che
Aristotele, a sua volta, dipenda da Platone, mentre Teofrasto potrebbe aver attinto da fonte alternativa: dalla ricerca dell'allievo
di Aristotele che si sarebbe formata, in ambiente peripatetico, la
tradizione "dossografica", quella delle fonti che derivano le proprie citazioni da compilazioni 70.
68

Passa, op. cit., p. 26.


Ibidem.
70
La tradizione dossografica si apre in effetti con le (nella
tradizione per lo pi indicato come Physicorum Opiniones) di Teofrasto (in
16 libri): integrata in periodo ellenistico, lopera sarebbe stata poi utilizzata
dagli Epicurei, Cicerone, Varrone, Enesidemo (fonte di Sesto Empirico,
seconda met II secolo), dal fisico Sorano (I-II secolo), Tertulliano (II-III
secolo). Diels denomin questa revisione Vetusta Placita. Essa sarebbe stata
ulteriormente rivisitata, abbreviata e integrata nel I secolo da un autore
indicato come Atius, la cui raccolta, per noi perduta, stato ricostruita da
Diels. Il filologo tedesco ha mostrato come i Placita attribuiti a Plutarco (in
realt pseudo-Plutarco, II secolo) fossero una sintesi dellopera di Atius (e
il De historia philosophica di Galeno unulteriore riduzione di pseudoPlutarco) e soprattutto come da Atius (anche attraverso il materiale
riassunto da pseudo-Plutarco) dipendessero la monumentale antologia (solo
69

57

Fonti ellenistico-romane

Plutarco (esponente di punta della Media Accademia) il primo autore, dopo il lungo silenzio dell'et ellenistica, a citare passi
del Poema: gli attuali frammenti B1.29-30, B8.4, B13, B14, B15
hanno Plutarco come fonte; degli ultimi due egli la nostra unica
fonte. Sebbene dichiari di ricorrere ad appunti (), alcune varianti di testo fanno supporre che egli citi da fonti attendibili 71. probabile attingesse a una tradizione vicina o identica a
quella "accademica" (le sue citazioni presentano coincidenze con
varianti trasmesse da Proclo), prima, tuttavia, delle alterazioni intervenute nella successiva tradizione neoplatonica. La redazione
plutarchea di B1.29, infatti, coincide con quella di Sesto Empirico
e Diogene Laerzio, ed alternativa a quelle di Proclo e Simplicio72. Indicativo della validit della fonte plutarchea soprattutto
il caso di B13 (trasmesso anche da Platone, Aristotele, Sesto Empirico, Simplicio, Stobeo): Plutarco l'unico testimone in grado
di menzionare chiaramente soggetto e contesto del frammento,
con l'indicazione della sezione cui la citazione apparteneva (un
unicum nelle fonti)73.
Dimestichezza con il Poema, secondo Coxon 74 , mostrerebbe
nel complesso Clemente Alessandrino (per noi fonte pi antica di
quasi tutto ci che cita75: B1.29 s., B3, B4, B8.3 s., B10), ma il
fatto che di B8.4 egli sia l'unico a riportare la variante
(nella dossografia impiegata per sottolineare l'accordo di Parmenide con Senofane) - dove Simplicio presenta - fa suppore, nella ricezione del testo, un condizionamento da parte di

in parte conservata) di Stobeo (V secolo), Eclogae physicae, e la Graecarun


affectionum curatio di Teodoreto (V secolo). A Teofrasto sarebbero in
ultimo da ricondurre anche la Refutatio omnium haeresium di Ippolito (III
secolo), gli Stromateis di altro pseudo-Plutarco (conservato da Eusebio), i
capitoli dedicati ai primi filosofi greci nelle Vitae philosophorum di Diogene
Laerzio (III secolo). Su questo Mansfeld, op. cit., pp. 23-24.
71
Passa, op. cit., p. 27.
72
Ivi, pp. 27-28.
73
Ivi, p. 28.
74
Coxon, op. cit., p. 5.
75
Ivi, p. 3.

58

versioni dossografiche. Pi recisa la valutazione di Passa 76, secondo cui gli atticismi delle citazioni rivelerebbero come Clemente lavorasse su un testo fortemenete modificato, di fonti atticizzate. Il livello di corruttela farebbe escludere (contro l'ipotesi di Coxon) la disponibilit di copia integrale del Poema.
La ricerca di Passa ha evidenziato la peculiarit del contributo
di Sesto Empirico nella storia del testo del Poema: egli sarebbe, in
effetti, il solo a conservare nelle proprie citazioni tracce di una
tradizione testuale alternativa a quella attica 77. In particolare Sesto - cui dobbiamo anche la citazione di B7.2-7 e B8.1-2) l'unica fonte del Proemio (B1.1-30) e una sua interpretazione allegorica: in genere si afferma che esse dipendano da fonte intermedia,
probabilmente di ambiente vicino a Posidonio, ma lo studioso italiano ha avanzato l'ipotesi che Sesto abbia utilizzato fonti diverse
per il testo del proemio e per la sua parafrasi78. Questa dipenderebbe effettivamente da commento stoico; nel caso del testo del
Proemio, tuttavia, Sesto l'unico a conservare traccia dell'antica
redazione psilotica del poema: probabile, dunque, che egli disponesse di una buona copia del Proemio, verosimilmente da esemplare di tutto il poema79. Che Sesto (ovvero la sua fonte) possa
aver attinto a una terza tradizione testuale, ipotesi che anche
Cordero80 avanza, sebbene la citazione di B1.29-30 in tre lezioni
differenti non ne possa costituire prova conclusiva. A tradizione
testuale molto vicina a quella sestana (quindi non attica), potrebbe
aver attinto anche Diogene Laerzio, che fornisce identica redazione di B1.29 e, con Sesto, una buona porzione di B7 (vv. 3-5)81.
Fonti neoplatoniche

La prima fonte neoplatonica ovviamente dopo lo stesso Plotino (III secolo d.C.), che cita solo di passaggio frammenti isolati:
76

Passa, op. cit., p. 32.


Passa, op. cit., p. 29.
78
Ivi, p. 31.
79
Ibidem.
80
Cordero, op. cit., p. 5.
81
Coxon (op. cit., pp. 2-3) presume invece, nel caso di Sesto e di Diogene, fonti
peripatetiche e stoiche.
77

59

B3, B8.5, B8.25, B8.43 - costituita da Proclo, che fu scolarca


dell'Accademia fino alla morte (fine V secolo). A lui dobbiamo
un consistente numero di citazioni: gli attuali B1.29-30, B2, B3,
B4.1, B5, B8.4, B8.5, B8.25, B8.26, B8.29-32, B8.35-36, B8.4345, che rivelano la sua familiarit con lopera parmenidea82, ci
suggerendo la possibilit che avesse accesso a testo completo.
Oggi si concorda83 sostanzialmente sulla notevole approssimazione dei suoi riferimenti, probabilmente risultato di citazioni a memoria, eppure si conviene che, in considerazione delle coincidenze non casuali con la versione di Plutarco, il testo di Proclo dovesse essere antico almeno quanto quello di Plutarco, e derivare
dalla medesima tradizione testuale accademica 84, sebbene ormai
modificata dall'interpretazione neoplatonica di Parmenide.
Nella propria edizione del Poema (1897)85 Hermann Diels attribu a Simplicio - come fonte per la ricostruzione dell'opera di
Parmenide - enorme valore. A conclusione della propria introduzione, il filologo tedesco da un lato assumeva che l'esemplare di
Simplicio dovesse essere di qualit eccellente (im Ganzen vortrefflich), forse (vermutlich) risalente alla stessa biblioteca della scuola di Platone86, di cui egli fu uno degli ultimi esponenti prima della chiusura a opera di Giustiniano (529 d.C.); dall'altro, per, riconosceva anche come Simplicio e Proclo non potessero aver ricavato dalla stessa copia le rispettive citazioni. Cos, nonostante
risultassero legati alla stessa istituzione, secondo Diels i due
commentatori neoplatonici avrebbero utilizzato codici diversi 87 ,
esemplari di versioni testuali alternative all'interno della stessa
tradizione accademica.
L'impostazione dielsiana nello specifico stata di recente discussa con acribia da Passa 88, secondo il quale difficile credere

82

Coxon, op. cit., pp. 2-3.


Coxon, op. cit., pp. 5-6; Passa, op. cit., pp. 38-39.
84
Passa, op. cit., p. 39.
85
H. Diels, Parmenides Lehrgedicht, Academia Verlag, Sankt Augustin 2001 2,
pp. 25-26.
86
Ivi, p. 26.
87
Ibidem.
88
Op. cit., pp. 35 ss.
83

60

che Simplicio potesse derivare la propria copia dalla biblioteca


dell'Accademia, dal momento che:
(i) dopo la chiusura decretata nel 529 dall'editto di Giustiniano, i filosofi neoplatonici (il diadoco Damascio e l'allievo Simplicio) prima si recarono in esilio presso il re persiano Cosroe (531),
per ritirarsi poi (532) entro i confini dell'impero bizantino, a Harran (Mesopotamia) o in Siria;
(ii) tutti i trattati simpliciani furono stesi dopo il ritorno dalla
Persia, secondo questo ordine: (i) de caelo, (ii) in physicam, (iii)
in categorias, (iv) de anima89.
Simplicio cui dobbiamo citazioni degli attuali B1.28-32,
B2.3-8, B6, B7.1-2, B8, B10, B11, B12, B13, B20 - stato, in effetti, generalmente considerato fonte attendibile anche dagli editori successivi: ancora Coxon90 giudicava l'esemplare a disposizione
di Simplicio a rare and excellent copy. Nonostante si possa registrare come un certo numero di sue citazioni sia ricavato da testi
platonici, e plausibilmente sospettare che sia ricorso a
e/o compilazioni antologiche (conosce infatti due redazioni di
B8.4, di cui una molto vicina all'esemplare di Plutarco e Proclo)91,
a favore dell'affidabilit dell'attestazione di Simplicio depongono
l'esplicito impegno a trasmettere documenti del pensiero antico
ritenuti fondamentali e il fatto che egli mostri di padroneggiare la
struttura del Poema sin dal primo commento aristotelico (de caelo)92. Soprattutto hanno pesato, nella valutazione del suo contributo, i suoi espliciti rilievi, in precedenza citati: vorrei aggiungere
a questi miei appunti i non molti versi di Parmenide sull'essere
uno, sia per il credito delle cose da me dette, sia per la rarit dello
scritto parmenideo (DK 28 A21).
Passa93 ha tuttavia messo in dubbio l'attendibilit della redazione simpliciana, facendo leva in particolare su un indizio: citando i vv. B8.53-59, Simplicio (in physicam 31, 3) segnala:
89

Ivi, p. 36.
Coxon, op. cit., p. 6.
91
Passa, op. cit. p. 40.
92
Ibidem.
93
Ivi, pp. 41-43.
90

61

tra i versi si riferisce un passo in prosa come dello


stesso Parmenide, che dice cos: per questo ci che raro
anche caldo, e luce e morbidezza e leggerezza; per la
densit invece il freddo indicato come oscurit, durezza
e pesantezza.

Dopo B8.57, evidentemente, nella copia utilizzata da Simplicio, uno scolio era stato incorporato (da un copista che non si era
reso conto trattarsi di , di un passo in
prosa) all'interno del testo del Poema. Il commentatore, tuttavia,
nel citare il passaggio, non sembra preoccuparsene, riferendolo
sostanzialmente allo stesso Parmenide ( )!
Whittaker94 ne ha inferito che: (i) l'esemplare simpliciano del Poema doveva presentarsi come the product of unintelligent transcription from an annotated source; (ii) la competenza del commentatore (che non si avvede dell'inquinamento del testo) in relazione al testo parmenideo doveva essere discutibile. Una valutazione che dovrebbe far riflettere sulla problematica situazione testuale del Poema, soprattutto accreditando l'ipotesi di Deichgrber95 che tutta la copia di Simplicio fosse corredata di scolii.
Passa ha proposto un'interessante spiegazione dell'atteggiamento del commentatore neoplatonico: il mancato allarme di
fronte all'inserto in prosa nel corpo esametrico del Poema deriverebbe dalla piena assimilazione del quadro proposto nel Sofista
platonico (237a):

94

J. Whittaker, God, Time, Being. Two Studies in the Transcendental Tradition


in Greek Philosophy, Osloae 1971, p. 21. Citato da Passa, op. cit., pp. 41-2.
95
K. Deichgrber, "Xenophanes' ", Rheinisches Museum 87,
1938, p. 3.

62


.
, ,
,
, ,

[B7.1-2]
Questo discorso ha osato ammettere che il non essere
sia: il falso, in effetti, non potrebbe darsi diversamente. Il
grande Parmenide, invece, caro figliolo, a noi che
eravamo ragazzi testimoniava contro ci dall'inizio alla
fine, ribadendo ogni volta, nelle sue parole e nei suoi
versi, che:
Mai, infatti, questo sar forzato: che siano cose che
non sono.
Ma tu da questa via di ricerca allontana il pensiero.

Platone documentava una pratica di insegnamento in cui si intrecciavano la memorizzazione dei contenuti fondamentali del
Poema, l'esposizione dettagliata del maestro, l'approfondimento e
il chiarimento di temi attraverso la comunicazione di informazioni supplementari96: possibile che in tal modo egli recuperasse un
modello effettivamente operante in ambito eleatico 97. Non va inoltre dimenticato che, proprio a partire da questa "testimonianza" platonica, nella tradizione tarda (come attesta Suda, X secolo)
si diffuse la convinzione che Parmenide avesse composto, oltre al
Poema, anche opere in prosa:
,
,
. [...]
,

96
97

Passa, op. cit., p. 25.


Ne sono sostanzialmente convinti sia Cerri sia Passa, che richiamano questo
punto.

63

Parmenide, figlio di Pireto, filosofo eleate, fu


discepolo di Senofane di Colofone; secondo Teofrasto, al
contrario, di Anassimandro di Mileto. [...] Scrisse di
scienza della natura in versi e di altri argomenti in prosa,
come ricorda Platone (DK 28 A2).

Non sorprender, quindi, che Simplicio, poco avveduto sul piano filologico, potesse frettolosamente ricondurre l'inserto in prosa a commento dello stesso autore. Queste considerazioni contribuiscono a ridimensionare la fiducia nell'attendibilit dell'attestazione simpliciana, che Passa98 giudica fondamentale ma sopravvalutata:
[Simplicio] mancava infatti sia della capacit di
inquadrare correttamente Parmenide nel suo vero contesto
storico-culturale, sia di strumenti critici in grado di
smascherare i vizi dell'esemplare in suo possesso.

Quel che per risulta pi preoccupante per l'editore del Poema


parmenideo la prospettiva che nelle citazioni simpliciane si riflettano interventi diretti sul testo, operati all'interno della scuola
platonica, perch rispondesse alle sue aspettative teoriche: proprio
il caso di Simplicio potrebbe essere esemplare, se accettiamo la
ricostruzione di Passa99.
Nell'ambiente siriaco in cui Simplicio avrebbe sviluppato tutta
la sua opera di commento, si era radicata, a partire dal II secolo,
una tradizione che, da Numenio a Giamblico (III secolo), aveva
puntato a una rilettura della storia della filosofia (
era il titolo della grandiosa ricostruzione del maestro di
Giamblico, il neoplatonico Porfirio, allievo diretto di Plotino) imperniata sulla rivelazione della Verit: la filosofia vi era infatti interpretata come recupero, con gradi variabili di approssimazione,
di una verit eterna, di cui Pitagora (erede delle antiche dottrine di
Zarathustra, Anassimandro, Egizi, Fenici, Caldei ed Ebrei) prima,

98
99

Passa, op. cit., p. 145.


Ivi, pp. 35 ss..

64

e poi soprattutto Platone sarebbero stati i pi lucidi testimoni100.


Caratteristica dell'interpretazione siriaca di Giamblico (cui si deve
un importante "canone" di lettura tematico-gerarchica dell'opera
platonica 101 ) rispetto all'interpretazione porfiriana 102 era la valorizzazione dell'essenza "pitagorica" del pensiero di Platone (e Aristotele), che finiva per coinvolgere, in prospettiva, anche i pensatori presocratici: cos, per esempio, Parmenide figurava nel catalogo dei pitagorici103. in tale ambiente che Simplicio avrebbe
recuperato in genere gli strumenti necessari al ripensamento di
Platone e Parmenide (visto come anello di congiunzione 104) e il
materiale per le proprie citazioni.
Le citazioni di Simplicio rimangono comunque fondamentali
(in particolare per la possibilit del commentatore di ricorrere direttamente a esemplare del Poema, che consente di conservare caratteristiche formali autentiche, perdute in altri settori della tradizione 105 ), ma non senza riconoscimento e consapevolezza della
presenza - all'interno delle citazioni stesse - di (i) un evidente processo di adattamento linguistico (contrazioni, crasi) al modello
attico; (ii) un possibile intervento sul lessico per impreziosire il
testo106; (iii) una probabile "normalizzazione" 107 del testo sul piano dei contenuti, alla luce della chiave di lettura neoplatonizzante
e pitagorizzante.

100

Molto utili per la ricostruzione di questo quadro il saggio introduttivo di G.


Girgenti, Interpetazione filosofica della Vita di Pitagora, in Porfirio, Vita di
Pitagora, a cura di A.R. Sodano e G. Girgenti, Rusconi, Milano 1998, e
l'introduzione dello stesso Sodano alla sua edizione di Porfirio, Storia della
filosofia, Rusconi, Milano 1997.
101
(i) Platone-etico: Alcibiade Primo, Gorgia e Fedone; (ii) Platone-logico:
Cratilo, Teeteto; (iii) Platone-fisico: Sofista e Politico; (iv) Platone-teologo:
Fedro, Simposio, Filebo (per il sommo bene). Il tutto era poi ricomposto
nella lettura di Timeo e Parmenide, che riassumevano tutto l'insegnamento
platonico sulla natura e la teologia.
102
Girgenti, op. cit., p. 11.
103
Passa, op. cit., p. 37.
104
Ivi, p. 145.
105
Ivi, p. 42.
106
Operazione caratteristica del Neopitagorismo secondo Passa, ibidem.
107
Ibidem.

65

BIBLIOGRAFIA

Edizioni del testo consultate


Per il testo greco e la traduzione ho tenuto conto delle seguenti
edizioni contemporanee:
H. Diels W. Kranz, Die Fragmente der Vorsokratiker, Band
I, Weidmannsche Verlagsbuchhandlung, Berlin 19526
[indicheremo l'edizione come Diels-Kranz ovvero DK. Per la traduzione italiana, quando non abbiamo personalmente tradotto,
abbiamo utilizzato quella, a cura di G. Reale: I presocratici,
Bompiani, Milano 2006]
P. Albertelli, Gli Eleati. Testimonianze e frammenti, Laterza,
Bari 1939 (ristampa Arno Press, New York 1976) [indicheremo
l'edizione come Albertelli]
I presocratici. Frammenti e testimonianze. I. La filosofia ionica. Pitagora e lantico pitagorismo. Senofane. Eraclito. La filosofia elatica, introduzione, traduzione e note a cura di A. Pasquinelli, Einaudi, Torino 1958 [indicheremo l'edizione come Pasquinelli]
Parmenide, Testimonianze e frammenti, Introduzione, traduzione e commento a cura di M. Untersteiner, La Nuova Italia, Firenze 1958 [indicheremo l'edizione come Untersteiner]
G.S. Kirk, J.E. Raven, The Presocratic Philosophers. A Critical History with a Selection of Texts, C.U.P., Cambridge 1963
[indicheremo l'edizione come Kirk-Raven]
Parmenides. A Text with Translation, Commentary and Critical Essays, by L. Tarn, Princeton University Press, Princeton
1965 [rimane, per i problemi testuali e la loro discussione, una edizione di riferimento. La indicheremo com Tarn]
Parmenides, ber das Sein, bersetzt von J. Mansfeld, herausgegeben von H. von Steuben, Reclam, Stuttgart 1981
Les deux chemins de Parmnide, dition critique, traduction,
tudes et bibliographie par N.-L. Cordero, Vrin, Paris 1984 [da
66

integrare con lopera interpretativa aggiornata - dello stesso autore By Being, It Is, Parmenides Publisher, Las Vegas 2004: complessivamente offrono un grande contributo testuale, grazie alla
discussione delle difficolt e al confronto costante con la tradizione dei manoscritti. Indicheremo lo studio del 2004 come Cordero]
Parmnide, Le pome, prsent par J. Beaufret, PUF, Paris
19863 (edizione originale 1955)
A.H. Coxon, The Fragments of Parmenides, Van Gorcum, Assen/Maastricht 1986 [fondamentale, anche per i riferimenti alla
tradizione testuale e ai manoscritti, nonostante le riserve di
OBrien. La indicheremo come Coxon]
tudes sur Parmnide, sous la direction de P. Aubenque, t. I,
Le Pome de Parmnide, texte, traduction, essai critique par D.
OBrien, Vrin, Paris 1987 [strumento molto utile per la discussione delle difficolt testuali, ma anche per la doppia traduzione,
francese e inglese, con le scelte conseguenti. Lo indicheremo
come O'Brien]
Parmenides of Elea, Fragments. A Text and Translation with
an Introduction by D. Gallop, University of Toronto Press, Toronto 1987 [indicheremo l'edizione come Gallop]
Parmenide, Poema sulla Natura. I frammenti e le testimonianze indirette, presentazione, traduzione e note a cura di G. Reale,
saggio introduttivo e commentario filosofico a cura di L. Ruggiu,
Rusconi, Milano 1991 [non si distingue tanto come strumento filologico, quanto per lampio commentario filosofico di corredo.
Indicheremo la traduzione come Reale e il commento come Ruggiu]
Parmenides, Die Fragmente, herausgegeben von E. Heitsch,
Artemis & Winkler, Zrich 1995 [indicheremo l'edizione come
Heitsch]
Parmnide, Sur la nature ou sur ltant. La langue de ltre?,
prsent, traduit et comment par B. Cassin, ditions du Seuil,
Paris 1998 [indicheremo l'edizione come Cassin]
Parmnide, Le Pome: Fragments, texte grec, traduction, prsentation et commentaire par M. Conche, PUF, Paris 1999 (edizione originale 1996) [indicheremo l'edizione come Conche]
67

Parmenide di Elea, Poema sulla Natura, introduzione, testo,


traduzione e note di commento di G. Cerri, BUR, Milano 1999
[strumento essenziale pur trattandosi di edizione tascabile - per
la discussione dei principali problemi testuali, e la chiarificazione
dei nessi con la letteratura greca arcaica. Lo indicheremo come
Cerri]
H. Diels, Parmenides Lehrgedicht mit einem Anhang ber
griechische Tren und Schlsser, mit einem neuen Vorwort von
W. Burkert und einer revidierten Bibliographie von D. De Cecco,
Academia Verlag, Sankt Augustin 2003 2 (edizione originale
1897) [rimane opera fondamentale, soprattutto per la comprensione dellambiente culturale e i motivi del poema. La indicheremo come Diels]
Parmenide, Poema sulla natura, a cura di V. Guarracino, Edizioni Medusa, Milano 2006
Parmenide, SullOrdinamento della Natura. Per unascesi filosofica, a cura di Raphael, Edizioni Asram Vidya, Roma 2007
Die Vorsokratiker, Band II (Parmenide, Zenon, Empedokles),
Auswahl der Fragmente und Zeugnisse, bersetzung und Erluterung von M. Laura Gemelli Marciano, Artemis & Winkler Verlag, Dsseldorf 2009 [indicheremo l'edizione come Gemelli Marciano]
Le parole dei Sapienti. Senofane, Parmenide, Zenone, Melisso,
traduzione e cura di A. Tonelli, Feltrinelli, Milano 2010 [indicheremo l'edizione come Tonelli]
The Texts of Early Greek Philosophy. The Complete Fragments and Selected Testimonies of the Major Presocratics, translated and edited by D.W. Graham, Part I, C.U.P., Cambridge
2010 [indicheremo l'edizione come Graham]
Per specifici problemi testuali risulta ancora illuminante
A.P.D. Mourelatos, The Route of Parmenides. A Study of Word,
Image and Argument in the Fragments, Yale University Press,
New Haven London 1970 (ora in edizione aggiornata presso
Parmenides Publisher, Las Vegas 2008) [indicheremo l'opera
genericamente come Mourelatos].
68

Molto utili per la discussione di singoli problemi interpretativi


J. Mansfeld, Die Offenbarung des Parmenides und die menschliche Welt, Van Gorchum, Assen 1964 [indicheremo l'opera genericamente come Mansfeld] e W. Leszl, Parmenide e lEleatismo,
Dispensa per il corso di Storia della filosofia antica, Universit
degli Studi di Pisa, Pisa 1994 [indicheremo l'opera genericamente
come Leszl].
In generale, per lo status interpretativo fino alla seconda met
degli anni Sessanta, strumento di inquadramento
laggiornamento, a cura di G. Reale, di E. Zeller R. Mondolfo,
La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte I, Volume
III: Eleati, La Nuova Italia, Firenze 1967 (ora ristampato come E.
Zeller, R. Mondolfo, G. Reale, Gli Eleati, Bompiani, Milano
2011, con aggiornamento bibliografico a cura di G. Girgenti).
Per una dettagliata analisi del frammento B8 e delle sue premesse davvero illuminante la lettura di R. McKirahan, Signs
and Arguments in Parmenides B8, in The Oxford Handbook of
Presocratic Philosophy, edited by. P. Curd D.W. Graham,
O.U.P., Oxford 2008, pp. 189-229.
Per la storia e lo stato del testo di rilievo, insieme al fondamentale Les deux chemins de Parmnide cit., il recente lavoro di
E. Passa, Parmenide. Tradizione del testo e questioni di lingua,
Edizioni Quasar, Roma 2009 [che indicheremo come Passa].

Letteratura critica consultata


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swahl der Fragmente und Zeugnisse, bersetzung und Erluterung von M. Laura Gemelli Marciano, Artemis & Winkler Verlag, Dsseldorf 2007 [indicheremo questa edizione come Gemelli
Marciano]
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The Oxford Handbook of Presocratic Philosophy, edited by. P.
Curd D.W. Graham, O.U.P., Oxford 2008
Ch.H. Kahn, Essays on Being, O.U.P, Oxford 2009
Die Vorsokratiker, Band II (Parmenides, Zenon, Empedokles),
Auswahl der Fragmente und Zeugnisse, bersetzung und Erluterung von M. Laura Gemelli Marciano, Artemis & Winkler Verlag, Dsseldorf 2009
G. Whrle (Hrsg.), Die Milesier: Thales, De Gruyter, Berlin
2009 [Traditio Praesocratica]
Die Vorsokratiker, Band III (Anaxagoras, Melissos, Diogenes
von Apollonia, die antiken Atomisten), Auswahl der Fragmente
und Zeugnisse, bersetzung und Erluterung von M. Laura
Gemelli Marciano, Artemis & Winkler Verlag, Dsseldorf 2010
Il quinto secolo. Studi di filosofia antica in onore di Livio Rossetti, a cura di S. Giombini e F. Marcacci, Aguaplano, Perugia
2011
La Sagesse Prsocratique. Communications des Savoirs en
Grce Archaque: des Lieux et des Hommes, sous la direction de
M.-L. Desclos et F. Fronterotta, Armand Colin, Paris 2013
Con la sigla LSJ indichiamo H.G. Liddell, R. Scott, GreekEnglish Lexicon, revised and augmented throghout by H.S. Jones,
Clarendon Press, Oxford 1996

74

PARMENIDE
SULLA NATURA

Frammenti
testo greco e traduzione italiana 1

Le note al testo greco si riferiscono a problemi di determinazione del testo


originale; quelle alla traduzione, invece, a problemi di resa del testo greco e
di interpretazione.

DK B1
, ,
,
1, ... 2

[5] , .
< >3
-
-,
, N4
[10] , 5 .
,
6

7 .
[15]
1

Diels-Kranz (ma non Diels nella sua originaria edizione del poema
parmenideo, 1897) accolgono la correzione (Stein, 1867) del genitivo
nel nominativo , di cui oggi si riconosce l'arbitrariet.
2
Non si tratta di lacuna testuale, ma di testo presumibilmente corrotto:
KATAPANTATH, trasmesso nei codici come (N),
(L), (E), (codices deteriores). Diels
legge: < > (partendo dall'errore di decodifica del codice
N da parte di Mutschmann). Per il resto gli editori hanno fatto ricorso a
congetture plausibili nel contesto: Cerri: ; Cordero:
; Coxon suggerisce < > < >. Per la
traduzione si veda nota relativa.
3
< > correzione di Diels (1897) a del codice N,
(codici EL).
4
Scegliamo, seguendo Diels, di considerare nome proprio della divinit,
cos come nel caso del successivo .
5
Il genitivo dei codici stato emendato in da Karsten e il
da Diels.
6
La forma pronominale greca evoluzione dell'accusativo plurale di
terza persona in uso nell'epica arcaica () all'interno della aedica ionica: la
presenza della forma in Parmenide considerata notevole da Passa (pp. 99-100).
7
La forma degli editori moderni: nei codici .

76

,
8


[20] 9 10
11 .
,
,
12 ,
[25] 13 ,

La forma del genitivo trasmessa dai codici potrebbe rivelare (Passa, p.


84) la familiarit di Parmenide con la dizione epica, manifestando in
particolare la vicinanza a Esiodo. Si tratta comunque di un caso dubbio di
metatesi quantitativa. Diels, nell'edizione del poema (1897), si interrogava
(pp. 26-27) sull'opportunit di conservare in vece di .
9
La forma duale stata restaurata da Bergk e generalmente accolta
dagli editori. Si distingue Cordero, che conserva la forma del participio
plurale dei codici NE e deteriores.
10
Il genitivo in , accolto per lo pi dagli editori, conservato dal solo
codice N; gli altri (LE e deteriores) riportano . Sarebbe esemplare
dello stile solenne (di ascendenza epica ionica) adottato da Parmenide. Diels,
in verit, nell'edizione del poema (1897), optava per , come oggi fa
Cordero. Effettivamente si possono trovare precedenti omerici (Iliade XII,
424) e esiodei (Scutum 237) nella formula : rimane comunque
il sospetto (Passa, p. 85) che la lezione apparentemente superiore del codice
N, copia di uno scriba doctus, rifletta un tentativo di "omerizzazione" del
poema.
11
Si veda la successiva nota a del v. 20.
12
I codici di Sesto Empirico attestano unanimemente , il cui
vocalismo - appare fuori posto in un poema in esametri, composto da
un autore ionico. In Omero attestato , preferito da Brandis (1813)
e, nel nostro secolo, da Coxon ( ). Diels (1897) rifiut
la correzione, seguito dalla quasi totalit di editori successivi. La scelta di
Diels stata di recente difesa, su diverse basi interpretative, da Passa (pp.
132-137), che vede nel vocalismo - il segno di una incidenza della
lirica corale nella letteratura arcaica e tardo-arcaica: non lezione
dei codici attici del poema (che dovevano riportare ), ma
probabilmente la forma voluta dallo stesso Parmenide, che se ne
appropriava appunto in quanto forma di successo nella poesia
contemporanea.

77

, 14
- -,
15 16 . 17
18 19 20
13

I codici LE riportano ; N riproduce ; i codices deteriores . Come


osserva J. Palmer (Parmenides & Presocratic Philosophy, O.U.P., Oxford
2009, p. 378): the postpositive connective is required here. La presenza di
nei codici si giustifica probabilmente per l'eco quasi letterale del v. 1,
che pu aver confuso i copisti: i codici, infatti, riproducono per B1.1 la
stessa lezione data in B1.25 (Passa, p. 59). Passa fa tuttavia osservare come
il passaggio da un originale (nella scriptio continua dei codici) al
della copia non sia facilmente spiegabile, mentre pi naturale ipotizzare
che, meccanicamente, sia stato reso come . probabile che il copista
di N abbia corretto (come ha fatto in altri punti) il testo che aveva di fronte
(), allineando la lezione dei versi 1 e 25, ovvero rilevando una sintassi
difettosa: introducendo l'aspirazione, l'originale sarebbe stato copiato
appunto come . Secondo Passa, probabile invece che la tradizione di
Sesto Empirico riportasse , da rendere come , senza aspirazione:
sarebbe forma normalizzata di (congiunzione seguita dal
pronome relativo senza aspirazione), che conserverebbe traccia di psilosi,
la mancanza di aspirazione, comune nel dialetto ionico in cui il poema fu
originariamente composto. A conferma lo studioso italiano porta, sempre nel
proemio, il caso di del v. 20, conservato dai migliori codici
di Sesto Empirico (NLE), in luogo della forma aspirata , da
attendersi. possibile, dunque, che la redazione del proemio da cui discende
la tradizione sestana fosse psilotica.
14
Scegliamo, a differenza degli altri editori, di considerare nome proprio,
coerentemente con il contesto divino.
15
La scelta della maiuscola solo di alcuni editori.
16
Secondo M.E. Pellikaan-Engel, Hesiod and Parmenides. A new view on their
cosmologies and on Parmenides Proem, Hakkert, Amsterdam 1974, p. 59,
l'uso della minuscola in questo caso sarebbe legittimo, in quanto non ci
troveremmo di fronte alla nozione concreta di incontrata al v. 14.
17
Un caso di metatesi: forma epica da . L'epica conosce anche la
forma pi antica (Passa, p. 77-9).
18
interessante segnalare che in questo caso, nelle vecchie edizioni (Diels
1897; Diels-Kranz), il testo greco riportava il maiuscolo ,
evidentemente classificando Verit tra le rappresentazioni divine. In
considerazione della posizione - che, seguendo Passa (p. 53), si potrebbe
definire di ipostasi divina - riconosciutale anche in B2.4, reintroduciamo
la maiuscola iniziale. La stessa scelta stata compiuta da Gemelli Marciano
(II, p. 12).

78

[30] , .
, 21
22 23.

19

Degli ultimi versi del proemio abbiamo, oltre a quella (vv. 1-30) di Sesto
Empirico, diverse citazioni: Simplicio cita 28b-32 nel commentario al De
Caelo aristotelico; Diogene Laerzio cita 28b-30, mentre Plutarco, Clemente
di Alessandria, Proclo e ancora Sesto (nella discussione) citano 29-30. Il
testo di Simplicio riporta (ben rotonda), accolto da Diels in
forza della qualit e interezza (presunte) del manoscritto di Simplicio. Il
filologo tedesco stato in passato seguito (tra gli altri) da Untersteiner,
Guthrie, Tarn, Hlscher, e oggi da Cordero, Reale, Cerri, Ferrari, Tonelli,
Palmer. I manoscritti ellenistici (quello di Plutarco, Sesto Empirico e
Diogene Laerzio), tuttavia riportavano (che viene tradotto come
ben convincente), che i pi (tra gli altri Mansfeld, Mourelatos, Coxon,
Conche, O'Brien, Gallop, Curd, Gemelli Marciano, Passa) preferiscono. Solo
Proclo usa (risplendente), poco attendibile. Come in altri casi,
si rivelata decisiva la convinzione della affidabilit della redazione di
Simplicio. Passa certamente colui che, con maggiore acribia, ha
argomentato, in tempi recenti, la propria opzione (pp. 55 ss.), tra l'altro
all'interno di una ricostruzione delle tradizioni testuali del poema che mette
in discussione proprio l'affidabilit della versione di Simplicio, che
risentirebbe pesantemente di adattamenti platonizzanti (come quella di
Proclo). Di diverso avviso Cerri (p. 184), per il quale Simplicio sarebbe
invece molto attento alla conservazione del testo e del lessico parmenidei.
Buone osservazioni a difesa della lezione , si trovano ora in
Palmer (op. cit. pp. 378-80).
20
Plutarco, Diogene Laerzio e Sesto Empirico (in math. 7.111) trasmettono
(non torto). Sulla lezione ha pesato la liquidazione di
Diels (1897, pp. 54 ss.), che vi ha colto una trivializzazione, riconoscendo,
invece, nell'alternativa un predicato caratteristico dell'
parmenideo. A contestare la liquidazione dielsiana, riproponendo la lezione
, stato di recente Passa (pp. 53 ss.), il quale ha dimostrato come
l'aggettivo non implichi alcuna trivialit, vantando invece precedenti illustri
in Omero e Pindaro. Come tutto il verso, anche sarebbe stato
vittima di un rimaneggiamento secondario.
21
Passa (p. 121) segnala come la forma contratta sia molto
probabilmente un atticismo nella tradizione del testo: egli esclude che
(come anche in B6.6) sia lezione autentica. La lezione
sarebbe stata sostituita a o .
22
Nella sua edizione del poema (1897) Diels propose di leggere
come () . Tra gli editori novecenteschi Untersteiner tra i
pochi ad aver rilanciato tale lezione, seguito di recente da R. Di Giuseppe,

79

[vv. 1-30 Sesto Empirico, Adversus Mathematicos VII, 111;


vv. 28b-32 Simplicio, In Aristotelis De Caelo 557-558; vv. 28b30 Diogene Laerzio IX, 22; vv. 29-30 Plutarco, Adversus Colotem
1114 d-e; Clemente Alessandrino, Stromata V, 9 (II, 366); Proclo,
In Platonis Timaeum I, 345; Sesto Empirico, Adversus Mathematicos VII, 114]

Le Voyage de Parmnide, Orizons, Paris 2011, che documenta ampiamente,


anche nella tradizione latina, le ragioni della propria scelta.
23
La lezione dei codici DEF di Simplicio , che accogliamo,
mentre il solo codice A riporta (tutte le cose pervadendo),
per lo pi preferito dagli editori, sulla scorta del precedente omerico (Iliade
XXI.281 ss.). Ferrari (Il migliore dei mondi impossibili. Parmenide e il
cosmo dei presocratici, Aracne, Roma 2010, p. 43) osserva che la forma
(da ) non ha riscontri nelle parti del poema che ci sono
pervenute. Passa (p. 127-8), incerto sulla lezione, ritiene che, accettando
l'opzione , si debba comunque correggere la forma attica del
participio di in quella ionica : in rapporto a un verbo
fondamentale, nell'uso e nella frequenza, all'interno del poema, plausibile
che Parmenide abbia voluto usare sempre la stessa forma, quella propria
del suo dialetto.

80

Le cavalle 1 che mi portano 2 fin dove il [mio] desiderio 3 potrebbe giungere4,


1

Il testo greco riporta , con il sostantivo dunque al femminile (come in


Pindaro, Bacchilide e Sofocle). Il tema del tiro di cavalle sarebbe di
origine omerica: secondo Tarn (p. 9) sarebbe forzato cogliervi prova di una
influenza orfica.
2
Il verbo al presente, che, come tempo verbale, si alterna nel
proemio allimperfetto (che indica abitualmente azioni continuate) e
allaoristo (impiegato normalmente per azioni puntuali). Secondo Coxon (p.
14) luso del presente sottolineerebbe come il poeta sia ancora sul carro, con
un viaggio ancora davanti a s. possibile, invece, che Parmenide
intendesse effettivamente marcare delle sequenze temporali, costruendo un
proemio in cui nel canto (presente) del poeta fosse rivissuta un'esperienza di
rivelazione (passato): rivelazione con cui il poeta stesso giustificherebbe la
propria attivit, la scelta della via poetica ( , via ricca di
canti). G.A. Privitera ("La porta della Luce in Parmenide e il viaggio del
Sole di Mimnermo", Rendiconti dell'Accademia Nazionale dei Lincei.
Classe di scienza morali, storiche e filologiche s. 9, v. 20, 2009, pp. 447464) osserva come il Proemio sia fondato sulla memoria e
autobiografico: Parmenide avrebbe elevato alla dignit di proemio una
sua lontana esperienza. A proposito dell'uso dei tempi verbali, il presente
mi portano indicherebbe in particolare che sono state le solite cavalle di
adesso e di sempre ad averlo indirizzato nel viaggio; il successivo
imperfetto che l'azione avvenuta nel passato; il sostantivo
(v. 24) segnalerebbe l'et in cui il viaggio fu intrapreso. (p. 449).
3
Traduciamo come desiderio, ritenendo che il termine greco, nel
contesto dinamico in cui inserito, abbia il valore di slancio, ovvero ma
il significato appare pi generico - di animo. plausibile che si
riferisca non alle cavalle () ma al poeta che parla: il termine, tuttavia,
pu essere simbolicamente collegato anche allo sforzo della corsa delle
cavalle (Coxon, p. 157). Secondo Chiara Robbiano (Becoming Being. On
Parmenides Transformative Philosophy, Academia Verlag, Sankt Augustin
2006, p. 124), che interpreta come se i primi versi rinviassero all'inizio del
viaggio verso la rivelazione, la scelta di nellapertura del poema
suggerirebbe come la guida possa dirigere allobiettivo solo se si gi
motivati e disposti ad assumere un ruolo attivo nel perseguirlo.
4
Lottativo stato considerato (Tarn, Coxon) iterativo, indicante cio
unindefinita frequenza (dunque: giunge), ma nella poesia omerica
attestato un uso potenziale (senza ricorso alla particella : Robbiano, op.
cit., pp. 65-6, n. 189), che autorizza la traduzione che proponiamo. Anche
Mourelatos (The Route of Parmenides. A Study of Word, Image and
Argument in the Fragments, Yale University Press, New Haven London

81

mi guidavano5, dopo che, conducendomi, mi ebbero avviato 6


sulla via7 ricca di canti8

1970, p. 17, n. 21) sottolinea sulla scorta di precedenti omerici - che la


modalit rilevante quella della possibilit. Cerri (p. 166) segnala come la
metafora del moto del pensiero, paragonato al moto traslatorio, sia molto
radicata nellimmaginario greco arcaico.
5
Il verbo greco allimperfetto (): l'uso di imperfetto durativo e
participio presente ( v. 4, v.5, v. 5)
denoterebbe che l'apertura del proemio proietta al centro dell'azione in corso;
le forme dell'aoristo ( v. 2, v. 9), secondo uno schema
ricorrente in Omero (OBrien, p. 8), indicano, per contrapposizione, quanto
precede. Conche interpreta come imperfetto storico, optando
dunque per una traduzione con il presente indicativo. Ferrari, nella sua
analisi del proemio (F. Ferrari, La fonte del cipresso bianco. Racconto e
sapienza dallOdissea alle lamine misteriche, Utet, Torino 2007, p. 104; ora
anche Il migliore dei mondi impossibili. Parmenide e il cosmo dei
Presocratici, Aracne, Roma 2010, p. 162), ha sottolineato come lintreccio
dei verbi al presente e allimperfetto sembri evidenziare la continuit tra il
presente e il ritorno dalloltretomba.
6
Ferrari (La fonte del cipresso bianco, cit., p. 102) coglie in questo passaggio
uneco dell'iniziazione poetica di Esiodo: ci che Parmenide intenderebbe
suggerire che le cavalle (figure dello slancio interiore del poeta) del suo
lo hanno avviato sulla via poetica (connotata come ,
via ricca di canti), che gli permetterebbe di comunicare la rivelazione
ricevuta nellAde. Parmenide porrebbe in primo piano il risultato
dellincontro con la divinit iniziatrice.
7
La , ...
contrapposta secondo Cerri (p. 170) alla strada pubblica, frequentata da
tutti (secondo precedente omerico). Possiamo individuare nel rilievo la
possibile eco di un precetto pitagorico riferito da Porfirio:
(non percorrere le strade popolari). Maria Michela Sassi
("Parmenide al bivio", in La Parola del Passato, vol. XLIII, 1988, pp. 383396) accostando sistematicamente il Proemio ai frammenti di letteratura
orfica, alle laminette e ai miti escatologici platonici interpreta l'espressione
come indicante la via che precede la porta dell'oltretomba, oltre la quale
Parmenide trover la dea (p. 387): simbolicamente vi si potrebbe cogliere il
riferimento al processo di iniziazione (donde poi il coinvolgimento di
termini "tecnici" come o . Questo potrebbe spiegare anche
la presenza di guide divine: come rivelano i miti platonici (Fedone 107 ss.),
le anime devono percorrere un certo cammino per giungere propriamente
nell'Ade; cammino non agevole, per il quale richiedo l'intervento di
come .

82

della divinit9 che10 porta ... 11 luomo sapiente12.


Ma l'espressione potrebbe pi semplicemente riferirsi all'attivit poetica
intrapresa (con eco esiodea), proposta in un contesto pubblico (come
suggerirebbe l'eco omerica di ). O ancora, come sostiene con
buoni argomenti Palmer (J. Palmer, Parmenides & Presocratic Philosophy,
O.U.P., Oxford 2010, p. 56) in relazione al contesto, essa potrebbe designare
il percorso che il carro del Sole deve tracciare ogni giorno.
8
Il termine qui reso in senso attivo, a indicare labbondanza di
canti, leggende, ma anche voci, suoni e informazioni: si tratta del valore pi
antico, omerico, riferito per esempio a una piazza (che risuona di voci e
rumori), come di recente ribadito da Ferrari (La fonte del cipresso bianco,
cit., p. 102). Diels e altri decidono invece di tradurre, sottolineandone il
valore passivo, come molto celebrata.
9
Il termine (maschile o femminile, secondo i contesti) potrebbe riferirsi
al successivo (v. 22) : alla Dea interlocutrice del poeta. Di diverso avviso
Ferrari (La fonte del cipresso bianco, cit., pp. 106-7): riferendo il successivo
pronome alla divinit (e non alla via), egli osserva che il ritmo stesso del
verso suggerisce di considerare la relativa come una perifasi che sollecita
lidentificazione della daimn. In tal senso, essa non coinciderebbe n con
la divinit in genere (come crede invece Cerri, il quale traduce
come strada divina), n con Dike, n con la del v. 22: i
paralleli omerici ed esiodei inducono a credere che questa divinit
femminile, che guida su un carro condotto dalle figlie del Sole luomo
sapiente, sia da identificare con , la figlia di Notte, ovvero ,
Aurora. In Odissea XXIII.241-246 troviamo Aurora condotta attraverso
lEtere dai cavalli che portano luce ai mortali, un possibile modello per
Parmenide. Il genitivo da considerare possessivo. Unalternativa
suggestiva richiamata dal successivo coinvolgimento delle figure mitiche
delle Eliadi (vedi v. 9) - quella secondo cui lallusione sarebbe al Sole, sul
cui carro il poeta starebbe viaggiando (Leszl, p. 147).
10
Mantengo lambiguit di riferimento del relativo : alla Dea o alla via ():
lanalisi convincente di Ferrari spinge nella prima direzione, ma la nostra
soluzione lascia aperta la possibilit che il relativo possa riferirsi a un tempo
alla divinit Helios, il Sole e al tracciato celeste che essa percorre
quotidianamente.
11
Abbiamo gi segnalato in nota al testo greco il problema della corruzione del
passo. Le principali proposte degli editori:
< > (Diels, seguito da molti), per tutti i luoghi ovvero,
letteralmente, per tutte le citt;
(Cordero), l riguardo a tutto; Conche, che accoglie la
proposta di Cordero, interpreta tuttavia non come forma avverbiale,
bens come dativo del dimostrativo femminile, riferito a ;
< > < > (Coxon), through every stage straight onwards;

83

Su questa via13 ero portato14, su questa via mi portavano 15 molto avvedute16 cavalle,
(Cerri), per tutte le cose che siano.
Ferrari (op. cit., nota p. 114) ha sostenuto a pi riprese lopportunit di
recuperare la lettura < > , come emendamento anche se
non pi come lezione tramandata. In questo caso sarebbe tuttavia
necessario tenere ben distinta la dell'apertura del
proemio da quella di cui proprio la Dea sottolinea il fatto che
(lontana dalla pista degli uomini).
12
Lespressione greca si riferisce, per alcuni (Bowra, Untersteiner,
Burkert), alla figura delliniziato, secondo la terminologia propria della
tradizione misterica: espressione quasi tecnica in tal senso, come nota la
Sassi (op. cit., p. 387), attestata nei frammenti orfici (fr. 233 Kern). Per altri
(Frnkel, Tarn), invece, alluomo che gi conosce la via per averla
percorsa; Coxon e Cerri insistono sul riferimento alle competenze e
conoscenze preventivamente richieste per la piena conquista della verit. Di
diverso avviso Mansfeld (J. Mansfeld, Die Offenbarung des Parmenides und
die menschliche Welt, Van Gorchum, Assen 1964, pp. 226-7), il quale,
partendo da Senofane B34, sottolinea come abbia un valore legato
allesperienza visiva, che si conserverebbe in Parmenide: la conoscenza che
il poeta rivendica dunque legata a un esperire, vedere, diretto. Il termine
dovrebbe rendersi allora come [luomo] che ha visto ovvero che
ha conoscenza. Nella stessa direzione si mosso Ferrari (op. cit., pp. 102
ss.), il quale sottolinea come la qualifica di sapiente, che indirettamente
viene attribuita al poeta narrante, presupponga che l'incontro con la Dea e la
rivelazione siano gi avvenuti. La qualifica di indica, infatti, ancora in
Aristofane e Euripide, la condizione del miste, di colui che ha ormai
superato la prova delliniziazione. Limmagine del sapiente che per il mondo
diffonde con la paola poetica la verit conquistata, suggerirebbe dunque di
riferire la situazione (e la condizione del poeta) a un tempo successivo
allincontro con la .
13
Intendo la forma avverbiale (), ribadita nello stesso verso, come se si
riferisse non a un luogo determinato ma alla via lungo la quale il poeta
condotto: lungo questa via, dunque, o al limite qui. Scegliendo di
tradurre in questo modo e non come per lo pi si fa (l), intendo marcare
questa sequenza concentrata sul viaggio-missione del poeta - dalla
successiva, che si apre (v. 11) con un altro locativo () e che
propriamente introduce alla rivelazione. La traduzione in questo caso ha un
peso: dal momento che pu rendersi tanto con qui che con l, le
indicazioni di luogo, analogamente ai tempi verbali, possono avere
un'incidenza nellinterpretazione complessiva. Abbiamo scelto una perifrasi,
cercando di conservare, anche in questa occasione, l'ambiguit: questa via

84

[5] trainando il carro 17: fanciulle18 mostravano la via.


Nei mozzi emetteva un sibilo acuto19 lasse,
pu riferirsi alla via su cui al momento si muove il poeta nella sua missione
pubblica, ovvero la via al centro del successivo racconto.
14
Le due forme verbali del verso e sono imperfetti in diatesi
passiva e attiva: sottolineano l'azione di trasporto (delle cavalle) e il
privilegio di essere trasportato (del poeta).
15
Si tratta dellennesima ripetizione di una forma del verbo nei versi
iniziali. Tale ripetizione, sottolineata dagli interpreti, intesa da alcuni
(Mourelatos, p. 35) come un difetto, un limite della poesia di Parmenide, da
altri (P. Kingsley, In the Dark Places of Wisdom, Duckworth, London 1999,
p. 135), invece, come mezzo per incidere sullaudience: la ripetizione
sarebbe una tecnica per creare un effetto incantatorio. Secondo Chiara
Robbiano (op. cit., p. 124), essa avrebbe essenzialmente una funzione
retorica: preparerebbe laudience al concetto di guida, centrale nel second
journey, cio nel viaggio intrapreso, appunto sotto la direzione della Dea,
verso la verit.
16
Laggettivo , riferito alle cavalle, significa letteralmente che
hanno molto da dire: supponendo che comporti intensit, si pu
rendere con molto avvedute, molto sagge. Parmenide vuole forse
sottolineare le affinit tra le cavalle e le guide cui si allude ai vv. 5 e 9.
17
Cerri (pp. 96-7) ricorda come il carro trainato da cavalle o cavalli sia chiara
metafora della poesia, impiegata spesso nella lirica corale: il poeta sul carro
guidato dalle Muse avviato allitinerario espressivo pi adeguato
alloccasione. Daltra parte anche lo sciamano mediatore tra uomini e dei,
come sottolinea Mourelatos (pp. 42-3), ha la capacit di lasciare in trance il
proprio corpo e viaggiare in cielo o nelloltretomba, per accompagnare altre
anime o ricevere istruzioni mediche o cultuali da una divinit. Il suo viaggio,
pericoloso, avviene talvolta su un carro volante: frequentemente accostata a
certi animali, come i cavalli, la figura dello sciamano - spesso poeta o
cantore - narra in prima persona le sue esperienze celesti. Lassociazione con
le (v. 9) e i riferimenti (v. 9) alla dimora della Notte
( ) e (v. 11) alla porta dei sentieri di Notte e Giorno
( ) suggeriscono un nesso tra il
carro () di cui si parla e il carro del Sole. La possibile
contestualizzazione oltremondana del viaggio fa pensare, d'altra parte, al
carro di Hades.
18
Si tratta, come risulta dal v. 9, delle Eliadi.
19
Cos traduciamo , letteralmente lamento di siringa [organetto
a canne]. Ferrari rende con sibilo di zufolo. Si tratta del sibilo prodotto
dallasse nella sua rotazione allinterno delle sedi () che lo fissano al
carro. Kingsley (op. cit., pp. 89 ss.) ha rilevato che le fonti antiche (Ippolito,
Plutarco, Giamblico) collegano lesperienza del suono della a

85

incandescente20 (poich era mosso da due rotanti


cerchi da ambo i lati), mentre si affrettavano21 a scortar[mi]22
le fanciulle Eliadi 23 , avendo abbandonato 24 la dimora 25 della
Notte
resoconti di incubation, cio a esperienze di trance: uno dei segni che
accompagnano il passaggio a un diverso stadio di consapevolezza (tra sonno
e veglia) sarebbe appunto il fischio della .
20
Laggettivo letteralmente infiammato, ma anche surriscaldato.
21
Lottativo avrebbe, secondo Coxon (p. 161) e altri, valore
iterativo (come , v. 1). OBrien (p. 10), invece, ne rileva sulla scorta
di analoghe espressioni omeriche luso per designare semplice
concomitanza di azioni.
22
Il testo greco non riporta alcun complemento pronominale, ma ovviamente
da sottintendere, come nel precedente v. 4, che si riferisca al poeta.
Coxon (p. 161) fa osservare come il soggetto di - e quindi anche
della conduzione del carro del poeta - a questo punto non siano pi le cavalle
ma le Eliadi.
23
L'espressione greca determina il precedente (v. 5) uso
indefinito di : si tratta delle Eliadi, le figlie del Sole. In Omero
(Odissea XII.127-36) esse attendono all'immortale bestiame del genitore, ma
nel mito, cantato in un frammento esiodeo (fr. 311 Merkelbach-West) e
ripreso in un'opera perduta (, appunto) di Eschilo (alla cui
rappresentazione in Siracusa Parmenide potrebbe aver presenziato, secondo
quanto ipotizza A. Capizzi, "Quattro ipotesi eleatiche", La Parola del
Passato, XLIII, 1988, pp. 42-60; il riferimento a p. 52), sono direttamente
coinvolte nella drammatica vicenda del fratello Fetonte, al quale consegnano
il carro del Sole, all'insaputa del padre. In questo modo esse sono
corresponsabili della sua impresa punita dall'intervento di Zeus con la morte
di Fetonte. Per punizione Zeus le mut in pioppi: le loro lacrime si
trasformarono in ambra. Nel contesto significativo ricordare che la prole
del Sole connotata nelluniverso mitico in termini sapienziali (Cerri, p.
173), e, d'altra parte, appariva funzionale all'economia del racconto, del
viaggio e della rivelazione.
24
Il participio aoristo secondo il precedente omerico - indica il
punto di partenza dell'azione corrente (la conduzione del poeta da parte delle
Eliadi). La dimora della Notte - luogo di soggiorno alternato di Notte e
Giorno , dunque, naturale luogo di destinazione delle Eliadi che
accompagnano il poeta.
25
Il termine al plurale (case), probabilmente per accentuare le
dimensioni della casa della Notte. Lespressione N richiama
lanaloga N esiodea (Teogonia, 744) e fa pensare, dunque, a una
collocazione nellabisso del mondo infero (che in Esiodo domina sulla

86

[10] verso la luce26, rimossi con le mani i veli dal capo27.

26

prigione dei Titani): la casa della Notte - in cui alternativamente soggiornano


Notte e Giorno probabilmente situata, oltre la porta presso cui essi si
danno il cambio, nel sottostante. In questo senso potrebbe leggersi
l'indicazione del v. 11 a i battenti dei sentieri di Notte e Giorno (
). Mantenendo il riferimento esiodeo,
sembrerebbe quindi che Parmenide alluda in questi passaggi non a una
locazione genericamente ai limiti occidentali della Terra, ma a una direzione
sotterranea, verso le regioni del Tartaro e dellAde (Cerri, p. 173). Nella
letteratura orfica (fr. 105 Kern) abbiamo attestata l'espressione
(sulla porta dell'antro della Notte). Da
notare che, in questo caso, l'antro sorvegliato da Dike, Adrasteia e
Nomos. Daltra parte, le porte di Notte e Giorno potrebbero intendersi come
le omeriche porte del cielo (Iliade V.754 ss.), sorvegliate dalle Ore: Dike - in
Esiodo - proprio una di loro (Mourelatos, p. 15). possibile, tuttavia, che
sia Esiodo sia Parmenide in realt si appoggino a una tradizione
mesopotamica: W. Heimpel ("The Sun at Night and the Doors of Heaven in
Babylonian Texts", Journal of Cuneiform Studies, 38, 127-51) ha mostrato
come i testi sumerici e accadici presentassero esattamente lo stesso
immaginario celeste e infero, con analogo ruolo dei cancelli del cielo
rispetto al passaggio del Sole, analoga descrizione dei loro meccanismi di
apertura, analogo soggiorno notturno presso un dimora locata tra mondo
celeste e mondo infero (il Sole in effetti avrebbe svolto anche funzioni di
giudice oltremondano). Su questo Palmer, op. cit., pp. 55-6.
Lespressione pu essere riferita a (v. 8), nel senso di
scortare verso la luce, ovvero, come pi naturale, a (v. 9),
scelta preferibile, anche per la prossimit del collegamento. Quindi: [le
fanciulle Eliadi] abbandonata la dimora della notte [muovendo] verso la
luce. In ogni caso la costruzione appare intenzionalmente ambigua e
l'interpretazione stata spesso condizionata dalla punteggiatura: DielsKranz, per esempio, inserivano la virgola prima di , forzando il suo
riferimento a . Lespressione ricca di implicite possibilit
simboliche: un viaggio verso il regno della luce metafora appropriata per
una esperienza di illuminazione (Mourelatos, p. 15) ovvero di rivelazione;
ma potrebbe richiamare il fatto che il poeta accede all, alla estrema
regione di fuoco delluniverso fisico, di cui la dea innominata
successivamente (v. 22) citata sarebbe personificazione (Coxon, p. 163). Ma
la luce potrebbe anche rappresentare il nostro mondo, se interpretiamo il
racconto come resoconto di un , di un periglioso viaggio di ritorno
dal mondo dellAde, dove il poeta ha ricevuto la rivelazione (cos Ruggiu,
pp. 162-3). Cerri (p. 173) segnala come lespressione ricorra in altri testi
arcaici, per indicare lazione portentosa del riemergere dallAde. Ferrari
(op. cit., pp. 101-2) con buoni argomenti sostiene questo tipo di lettura: nel

87

L28 sono i battenti29 dei sentieri30 di Notte e Giorno:


proemio il tempo del racconto scorrerebbe a ritroso: il ritorno finale alla luce
precederebbe il racconto della catabasi nel regno della Notte. Secondo
Privitera (op. cit., p. 460), invece, proprio l'indicazione
N rappresenterebbe precisazione inequivocabile e
scoglio funesto, contro cui destinata a naufragare ogni interpretazione
catabatica del viaggio di Parmenide.
27
Esiodo descrive la dimora della Notte avvolta nelle tenebre:


E di Notte oscura la casa terribile
sinnalza di nuvole livide avvolta (Teogonia 744-745).
Nella stessa opera, le Muse sono introdotte come figure notturne:


Di l levatesi, nascoste da molta nebbia,
notturne andavano (Teogonia 9-10).
I due passi, che non sono sfuggiti a Cerri (p. 174), potrebbero concorrere a
illustrare il moto e i gesti delle Eliadi nel dettaglio fornito da Parmenide.
Anche Palmer (op. cit., p. 57) suggerisce l'accostamento.
28
Cerri (p. 174) segnala come lavverbio locativo ricorra nella tradizione
epico-teogonica in relazione allAde come connotazione aggiuntiva. Nella
lettura di Ferrari, a questo punto comincia il resoconto dellesperienza
oltremondana (p. 103).
29
Il testo greco presenta il plurale , letteralmente piloni ovvero i pilastri
che sorreggono un grande portale a due battenti (su questo punto si leggano
le osservazioni di OBrien, p. 11, e Conche, p. 49). Altri (Cordero 1984, p.
180, Coxon, pp. 161-2) riferiscono il plurale a due porte distinte, una in
faccia allaltra: Coxon, per esempio, seguendo le letture neoplatoniche di
Simplicio e Numenio, crede che le porte si riferiscano a quelle celesti, per
le quali le anime sono condotte, rispettivamente, a discendere
(alla generazione, incarnazione) e ad ascendere (verso le
divinit), in altre parole a viaggi di genere opposto. Il verso successivo
sembra tuttavia smentire tale lettura. In Omero attestata l'espressione
(Iliade V, 646; IX, 312; Odissea XIV, 156) per indicare i
cancelli che immettono al mondo infero; uso analogo ( ) nella
tragedia eschilea. Secondo Privitera (op. cit., p. 453), che ricostruisce
l'immagine del mondo nel mito arcaico attraverso i versi di Omero, Esiodo,
Mimnermo e Stesicoro, Parmenide avrebbe rinnovato il quadro che

88

architrave e soglia31 di pietra li incornicia32;

30

31

emergeva dalla tradizione unificando quelle che erano in precedenza due


porte distinte: la Porta dell'Ade (attraverso cui si davano il cambio Notte e
Giorno) e la Porta del Sole (attraversando la quale, a occidente, l'astro
trascorreva, sul bordo dell'Oceano, verso una porta orientale, per tornare a
risplendere all'alba). Secondo lo studioso italiano, Parmenide avrebbe
trasferito la Porta della Notte e del Giorno sulla Terra e l'avrebbe unificata
con la Porta del Sole (sdoppiandola dunque in una porta occidentale e in una
orientale): la Porta varcata dalle Eliadi riassumerebbe allora la doppia
funzione nella tradizione distribuita tra Porta del Giorno e della Notte e
Porta del Sole.
Gi negli usi omerici e nella tragedia eschilea, il termine pu
indicare, secondo il contesto, via, sentiero, strada, ma anche ci che
viene effettuato lungo quella via, cio viaggio ovvero spedizione. Il
plurale potrebbe rendersi in questo caso, mediando tra i due
significati segnalati, come percorsi, come suggerisce anche Ferrari (op.
cit., p. 109): si tratta in effetti degli itinerari compiuti da Giorno () e
Notte (). La Sassi (op. cit., p. 388) fa notare come la porta, presso cui si
incontrano e attraverso cui accedono alternativamente al cosmo Giorno e
Notte, dia accesso a un luogo mitico, analogo al Tartaro, dove, come in
Esiodo (Teogonia 736 ss.) situata la dimora della Notte.
LOlimpica VI di Pindaro si apre con un analogo riferimento alla soglia
(), a indicare lesordio del canto. In relazione alla espressione
probabile che sia da intendere
come entrata del mondo infero, accettando il suggerimento di Cerri (p. 175)
di accostare il passo parmenideo ai versi esiodei di Teogonia 748-751:
[]

,
, ,

,
,
[] l dove Notte e Giorno incontrandosi
si salutano, al momento di varcare la grande soglia
di bronzo, luno per scendere dentro, laltra per la porta
se ne va, n mai entrambi a un tempo la casa trattiene dentro
di s,
ma sempre luno, fuori della casa,
la terra percorre, laltra, dentro casa,
attende la propria ora di viaggio, finch non giunga.

89

essi, alti nellaria33, sono agganciati34 a grande telaio35.

Nel poema di Parmenide troviamo invece di ,


come appunto in Esiodo e Omero (Iliade VIII, 15). Secondo Cerri (p. 176) la
correzione nelluso dellaggettivo potrebbe essere dettata dalla finalit del
poema fisico dellEleate: la collocazione nelle viscere della terra avrebbe
consigliato pietrigna piuttosto che bronzea.
32
Rendiamo come incorniciare: il poeta intende segnalare i limiti
verticali (la soglia e l'architrave appunto) della struttura, che, cos descritta
non pu essere propriamente un cancello ma un vero e proprio portale.
Sembra da escludere anche la possibilit delle due porte.
33
Laggettivo si riferirebbe, secondo una certa tradizione interpretativa
(Deichgrber, Coxon), alla collocazione della porta nella regione estrema del
cielo; per altri, pi semplicemente, il poeta sottolineerebbe la dimensione in
altezza del portale (Cerri: battenti che toccano il cielo; Ferrari: alta fino
al cielo). Alcune traduzioni (Tarn, OBrien) privilegiano il valore
materiale dellaggettivo, dunque la natura eterea della porta: vero per che
Parmenide marca che essa di pietra. Proprio con lincrocio lessicale di
pietra ed etere egli potrebbe allora suggerire che la porta punto di incontro
di terra e cielo (Leszl, p. 151). La scelta dell'aggettivo sarebbe significativa,
secondo Privitera (op. cit., p. 453), perch rivelerebbe come la porta che le
Eliadi stanno per varcare non quella dell'Ade, la cui volta descritta da
Esiodo come sottostante il soffitto del Tartaro. Al contrario, la PellikaanEngel (op. cit., p. 57) ritiene che l'espressione potrebbe
essere ripresa sintetica del verso esiodeo:

Di fronte a essa il figlio di Iapeto tiene il cielo ampio
(Teogonia 746).
Il riferimento ad Atlante, che con i piedi piantati per terra solleva il cielo con
testa e braccia, potrebbe (come vuole Burkert) essere avvalorato proprio
dall'uso di (soglia di pietra) in relazione a ,
quasi a indicare gli estremi (terra e cielo) dello sforzo del titano. Parmenide
potrebbe dunque aver avuto Esiodo come modello per la sua porta dei
sentieri di Notte e Giorno, replicando l'analogo portale di Atlante
(Pellikaan-Engel, op. cit., pp. 57-8).
34
La strana (Passa, op. cit., p. 100) forma verbale ha ingannato gli
editori: normalmente la si riferisce a (riempire), ma, come ha
con acribia dimostrato Passa (pp. 100-4), va ricondotta a
(avvicinarsi), di cui rappresenterebbe forma "corta" del perfetto medio
(). Rendiamo, come suggerito dallo stesso Passa per il nostro
contesto.

90

Dike36, che molto castiga37, ne38 detiene le chiavi dalluso alterno39.


[15] Placandola40, le fanciulle, con parole compiacenti,
35

Anche in questo caso molti editori sono stati imprecisi, lasciandosi sfuggire il
significato tecnico del termine , che plurale tantum usato anche
come variante di (porta), ma il cui valore primario telaio [della
porta], come correttamente inteso da Coxon e recentemente ribadito da
Passa.
36
Nella tradizione omerica ed esiodea, Dike era, con Eunomia e Irene, una delle
Ore, sorelle delle Moire, figlie di Zeus e Temi: compito delle Ore (Iliade V,
749; VIII, 393) era quello di sorvegliare le porte del Cielo. significativo
che anche Eraclito (DK B94) alluda a Dike e alle coadiutrici Erinni come
garanti del corretto percorso del Sole. Secondo Robbiano (p. 155), la figura
di Dike tradizionalmente introdotta in relazione al rispetto dei confini: non
a caso la ritroviamo a sorvegliare il cancello che discrimina i percorsi di
Giorno e Notte. Essa sarebbe responsabile delle divisioni e distinzioni
allinterno di natura e societ (dei confini tra parti e gruppi): in questo senso
sarebbe garante di equilibrio (p. 157). Tuttavia, come la studiosa
correttamente segnala (p. 158), lordine cui sovrintende la Dike parmenidea,
rivelato nei versi successivi, non quello tradizionalmente inteso.
37
Lespressione Dkh attestata nella letteratura orfica (fr. 158
Kern), ma la datazione incerta (Coxon, p. 163). D'altra parte, come
abbiamo gi avuto modo di segnalare, Dike compare nella stessa tradizione
(fr. 105 Kern) come sorvegliante (con Adrasteia e Nomos) dell'antro della
Notte. Molto critico su questa prospettiva orfica Cerri (p. 104). Certamente,
come osserva Mourelatos (p. 15), la figura di , che tiene le
chiavi (delle retribuzioni?), ricorda quella di una divinit infernale. Ferrari
nella stessa direzione traduce come Dike sanzionatrice. Nell'economia del
racconto proemiale, accettando l'ipotesi di una katabasis, la funzione di Dike
sarebbe quella di permettere al poeta di accedere, vivo, alla realt
oltremondana (Sassi, op. cit., p. 389).
38
L'interpunzione dell'edizione Diels-Kranz autorizza a intendere il genitivo
pronominale iniziale riferito (come il pronome , nella stessa
posizione del verso precedente) a .
39
Laggettivo raro sembrerebbe indicare successione: potrebbe
riferirsi al fatto che le chiavi consentono lapertura alternata della porta
(Coxon, p. 164) ovvero al loro uso complementare (OBrien, p. 11). Nel
contesto probabile che il riferimento sia allalternanza di Notte e Giorno:
Dike regolerebbe con la propria sorveglianza il passaggio del Sole. Questo
potrebbe spiegare la situazione drammatica di seguito descritta: non era in
effetti plausibile che Dike potesse lasciar passare il mortale viaggiatore.
40
Il verbo () ha un valore simile al successivo , ed
spesso associato all'inganno (come segnalato da LSJ). In questo senso forse

91

[la] persuasero 41 sapientemente affinch per loro la barra del


chiavistello
togliesse rapidamente dai battenti 42. E questi43 nel telaio
vuoto enorme44 produssero aprendosi, i bronzei
cardini nelle cavit in senso inverso facendo ruotare,
[20] applicati per mezzo di ferri e chiodi45. Per di l46,
anche la scelta del complemento , per sottolineare la
gentilezza dell'espressione.
41
Il racconto della (possibile) catabasi, introdotto con la descrizione del portale
al v. 11, ha qui il suo effettivo inizio, segnalato dalluso del primo aoristo
( al v. 2 era stato utilizzato allinterno di una subordinata), cui
seguono quelli ai vv. 18, 22, 23. Il racconto, secondo Ferrari cui si devono
queste osservazioni (op. cit., p. 105), prospettato come premessa e ragione
del ritorno, cui sono stati dedicati i versi iniziali del proemio.
42
Un analogo repertorio di immagini, movimenti, meccanismi di chiusura e
apertura di portali, cos come analogo superamento divino dello stesso
portale che discrimina mondo celeste e mondo infero a opera del Sole
documentato negli antichi testi sumerici (per i quali si rinvia ancora a
Heimpel e Palmer, op. cit., pp. 55-6).
43
Anche in questo caso, come nei precedenti ai vv. 13-14, il pronome si
riferisce a .
44
Lespressione sembra evocare il esiodeo (in
entrambi i casi in relazione con il genitivo ), il baratrochaos che Esiodo nella Teogonia (740) pone al di l della soglia della porta
di Giorno e Notte: si tratta della voragine al fondo della quale collocata la
prigione in cui, al termine della titanomachia, furono rinchiusi i titani
sconfitti. Leszl fa notare (p. 151), comunque, come non si abbia
limpressione che la porta di cui parla Parmenide sia la porta di accesso alla
casa della Notte. La Robbiano (p. 150), invece, rileva la funzione
drammatica dellimmagine, che si frappone, con la soglia petrigna, tra la
quotidiana esperienza mortale del viaggiatore e lincontro con la divinit. A
rendere estremamente probabile la diretta evocazione di Esiodo da parte di
Parmenide contribuisce un dato significativo: il termine non ricorre
in letteratura almeno fino alla met del V secolo a.C. (M.E. Pellikaan-Engel,
op. cit., p. 53).
45
A struttura e dinamica della porta dedicano spazio i commenti di Diels e
Conche, che si servono anche di opportune illustrazioni a sostegno della
spiegazione.
46
Seguiamo Ferrari nel rendere in italiano la formula greca ,
costruita con la particella avverbiale locativa e il complemento di (moto
attraverso) luogo. Letteralmente si dovrebbe tradurre: L, attraverso quella
[porta].

92

dritto condussero le fanciulle lungo la via maestra47 carro e cavalli.


E la Dea48 benevola mi accolse: con la mano [destra] la [mia]
mano
47

L'aggettivo (qui in forma sostantivata) , comunemente associato a


, indica la strada attrezzata per il passaggio dei carri, quindi,
derivatamente, una strada principale. Secondo la Pellikaan-Engel (op. cit., p.
54), la scelta del termine segnalerebbe che dalla porta al luogo dell'incontro
con la Dea il percorso non breve. In questo senso potrebbe dunque
approfondirsi la dimensione sotterranea del viaggio.
48
Traduco con la Dea per accentuarne il valore religioso: mi pare
plausibile alla luce del suo ruolo personale di interlocutrice privilegiata, che
guida, sollecita, espone, proibisce ecc.. Per l'identificazione dellanonima
divinit, tra le proposte degli ultimi decenni interessante lindicazione di
Cerri (pp. 180-1): nelle citt della Magna Grecia (Locri, Posidonia e varie
altre) erano diffuse iscrizioni alla dea infera, ninfa infera o
semplicemente alla dea, in cui il riferimento era chiaramente a Persefone.
A conclusioni analoghe giunto, indipendentemente, Kingsley (op. cit., pp.
93 ss.). Anche Passa ( p. 53) ha di recente riconosciuto in Persefone la dea
rivelatrice del poema. Secondo West (M.L. West, La filosofia greca arcaica
e l'Oriente, Il Mulino, Bologna 1993, p. 289 n. 57), la alluderebbe a
(Tia), in Esiodo (Teogonia 135) una delle Titanidi (come Temi), figlie
di Urano e Gea, e madre di Sole, Luna e Aurora (371-4). Anche in Pindaro
(Istmiche V.1) invocata come Madre del Sole. Pugliese Carratelli
(La di Parmenide, La Parola del Passato XLIII, 1988, pp. 337-346)
ha proposto sulla scorta di una laminetta orfica dedicata a ,
ritrovata nel 1974 a Ipponio l'identificazione della dea appunto con
Mnemosyne (a sua volta una Titanide). La stessa ipotesi avanzata su basi
analoghe da Sassi (op. cit., p. 393). Ferrari (op. cit., pp. 107-8), sulla scia di
J.S. Morrison ("Parmenides and Er", Journal of Hellenic Studies, 75,
1955, pp. 59-68) e W. Burkert ("Das Promium des Parmenides und die
Katabasis des Pythagoras", Phronesis, 14, 1969, pp. 1-30), ha di recente
concluso che la non meglio definita divinit del v. 22 altri non sarebbe che
(Notte), variamente attestata nella tradizione oracolare e orfica. In
particolare egli ha osservato come, nella tradizione epica, luso di senza
ulteriori determinazioni sia anaforico: nel contesto, a parte Dike guardiana
del portale, lunica divinit nominata appunto . Anche Palmer (op. cit.,
pp. 58-61), seguendo Morrison e Mansfeld (pp. 244-7), tornato a insistere
su , giustificando la propria opzione non solo nel contesto del proemio,
ma rinviando anche all'ambiente culturale orfico, in particolare al poema
oggetto di commento nel Papiro di Derveni, e alle funzioni oracolari
associate alla figura di Notte nel mondo greco. A suo tempo la Pellikaan-

93

destra prese49, e cos parlava e si rivolgeva50 a me:


O giovane51, che, compagno52 a immortali guide53
Engel (op. cit., pp. 61-2) aveva opposto a questa proposta di identificazione
l'osservazione sensata che la compresenza di Eliadi e Notte era quanto mai
improbabile, proprio alla luce del precedente esiodeo. In alternativa, quindi,
aveva suggerito l'esiodea (il Giorno), da Parmenide evocata come
. A , invece, ha pensato Mourelatos (op. cit., p. 161). Di
recente, riprendendo il suggerimento di Hermann Frnkel, Privitera (op. cit.,
pp. 461-2) ha proposto la Musa, portando sostanzialmente tre argomenti: (i)
la ricorrenza del termine all'interno del proemio di un poema epico; (ii)
l'analogia con Iliade, nel cui primo verso la Musa allusa appunto come
; (iii) il costume che prevedeva una invocazione alla Musa per poema
"epico" di argomento sapienziale. In ogni caso, significativo che questa
subito interpelli il poeta: ci ha riscontro nell'immaginario viaggio
oltremondano tratteggiato nelle laminette orfiche conservate, dove l'iniziato
interrogato da custodi () presso la palude di Mnemosine (Sassi,
op. cit, p. 390).
49
Kingsley (op. cit., pp. 93 ss.) rinvia a testimonianze vascolari che ritraggono
Persefone nell'atto di accogliere nell'Ade Eracle e Orfeo, offrendo loro
appunto la mano destra.
50
Il verbo greco allimperfetto, come il successivo (v.
26: spingeva): i verbi che esprimono lidea di un ordine o di una missione
sono impiegati allimperfetto perch implicano uno sforzo e indicano il
punto di partenza di uno sviluppo. Cos per i verbi che significano dire
(OBrien, p. 8): la forma epica , in effetti, pu essere anche imperfetto.
51
Il termine vocativo non si riferisce necessariamente alla giovinezza del
poeta, potrebbe piuttosto marcare lo scarto tra la natura divina e quella
umana degli interlocutori. Il termine (forma epica e ionica di ),
relativamente raro nei testi arcaici, indica sia il giovane contrapposto
allanziano, sia il figlio, sia il ragazzo contrapposto alla ragazza. Esso pu
implicare anche un legame particolare con la divinit, dal momento che
o erano chiamati i giovani addetti ai sacrifici, ma anche i figli degli dei
(negli inni omerici a Hermes e Pan, e in Pindaro Olimpiche VI): in ogni
caso, il termine sarebbe titolo di onore (Coxon e Kingsley). Conche (p. 59)
fa notare come lappellativo sia coerente con il contesto educativo,
giustificando la disponibile e benevola accoglienza della dea. La Sassi (op.
cit., p. 387) associa l'appellativo a , come espressione
legata a una prospettiva iniziatica.
52
Il termine non significa semplicemente accompagnato da, ma
associato a, collegato a: la traduzione compagno sufficientemente
ambigua da accoglierne le sfumature. Etimologicamente connesso a
(aggiogare), con il significato immediato di aggiogato
insieme: anche in questo caso, dunque, evidente il debito del proemio

94

[25] e cavalle che ti conducono, giungi alla nostra casa54,


rallegrati, poich non Moira55 infausta ti spingeva a percorrere
questa via56 (la quale in effetti lontana dalla pista degli uomini57),
ma Temi 58 e Dike 59 . Ora 60 necessario 61 che tutto 62 tu 63 apprenda64:
parmenideo all'immaginario dell'ippica (Passa, p. 137). Da sottolineare il
fatto che la formula utilizzata dalla Dea fa del in questo modo un
compagno delle Eliadi, a loro volta presentate (v. 5) come .
Secondo Couloubaritsis (Mythe et Philosophie chez Parmnide, Ousia, Bruxelles 1986, p. 93), il rilievo della Dea si riferirebbe alla comune giovinezza
delle Eliadi - e del poeta - .
53
Il sostantivo maschile designa chi guida un carro, l'auriga;
derivatamente utilizzato anche per indicare chi governa e indirizza una
nave, e, in senso lato chi guida e governa. Nel contesto il termine si riferisce
alle Eliadi.
54
Secondo Ferrari (op. cit., p. 107), l'espressione (la nostra casa)
richiamerebbe N (la dimora della Notte) del v. 9, spingendo
alla conclusione che la Dea sia da identificare appunto con .
55
In Esiodo abbiamo tre Moire, figlie di Zeus e Temi. Lespressione
ricorre in Iliade XIII, 602 per indicare la morte: nel contesto, dunque,
essa potrebbe alludere a un luogo preciso dellincontro con la divinit:
loltretomba. In questo senso Cerri e Ferrari traducono come sorte
maligna: i traduttori, in effetti, per lo pi preferiscono associare al termine,
nel nostro contesto, il valore di fato o destino. Cos intende anche la
Sassi (op. cit., p. 389).
56
L'espressione sottolinea, con il dimostrativo, il privilegio del
: a partire dalla prima evocazione (vv. 2-3) della
, il tema della strada/via rimasto dominante sullo sfondo del
racconto, che si sviluppato lungo l'itinerario del poeta.
57
Conche (p. 60) osserva che il riferimento coinvolge costumi, abitudini, modi
di pensare diffusi tra gli uomini. probabile ritrovare in questo passaggio
uneco del precetto pitagorico conservato da Porfirio (e sopra citato proprio
in relazione alla dei vv. 2-3):
(non percorrere le strade popolari).
58
In alternativa: norma divina, ovvero legge (). Temi era una delle
Titanidi, figlie di Urano e Gea, madre delle Moire e delle Ore, nonch una
delle spose di Zeus.
59
Complessivamente il coinvolgimento di Temi e Dike sembrerebbe essere
proposto a garanzia della eccezionalit dellevento rivelativo. Il riferimento
a Temi potrebbe giustificare lintervento delle Eliadi presso Dike per
persuaderla ad aprire una porta che avrebbe altrimenti dovuto rimanere

95

sia di Verit65 ben rotonda66 il cuore67 fermo68,


serrata per un mortale (in vita), e il rilievo della associazione delle due dee
nelle parole della divinit innominata. Tenendo conto della associazione
delle due dee con la norma e la giustizia divine, il loro coinvolgimento
proietta e impone sulla successiva rivelazione una forte impronta dordine
e di necessit (cosmici). In questo senso Tonelli, nella sua edizione dei
frammenti (p. 116), rileva come Moira, Temi e Dike, unitamente ad Ananke
(Necessit), rappresenterebbero la divinit femminile nella sua dimensione
di norma cosmica.
60
Pochi traduttori traducono la particella . Ferrari le riconosce valore
avversativo (Ma), altri continuativo: Diels (so), Gemelli Marciano
(also), Tonelli (e). L'introduzione della particella non legata forse solo
a ragioni di equilibrio metrico, ma anche al senso della rassicurazione
iniziale della Dea: ella dapprima tranquillizza il poeta circa il suo destino,
quindi sottolinea il compito che lo aspetta.
61
Il termine associato nell'epica a , che nelle fasi antiche dell'epica
era utilizzato come vero e proprio nome femminile: nel corso del tempo esso
fu trattato come un neutro. Analogamente , che, preso il posto di ,
fin per diventare un sinonimo di (Passa, p. 77-8). La formula (con
copula sottintesa) rende una necessit soggettiva, dunque opportunit,
convenienza, piuttosto che una costrizione oggettiva: si potrebbe rendere
anche con giusto, opportuno. In ogni modo, luso di tale formula
implica che quanto la Dea sta per esprimere parte del compito, del dovere
che il viaggiatore deve assumere (Robbiano, op. cit., p. 75). Ferrari (op. cit.,
p. 104) giustamente osserva come il kouros per la dea sia in fondo solo un
apprendista (apostrofato appunto come ).
62
La scelta del pronome neutro plurale (tutto, ovvero tutte le cose)
significativa perch garantisce al programma della comunicazione
(rivelazione) della Dea un orizzonte di verit piena, totale, giustificandone le
articolazioni annunciate negli ultimi versi.
63
L'insistenza sui pronomi personali confermata anche nei frammenti
successivi (soprattutto la polarit tu e io, in contrapposizione ai
mortali).
64
Il verbo ha il valore di imparare per sentito dire (raccogliendo
informazioni) ovvero imparare per indagine. Pu implicare dunque sia
un atteggiamento di passiva ricezione, sia di attiva ricerca (di tutto fare
esperienza).
65
Secondo Coxon (p. 168) il sostantivo e laggettivo non
significherebbero nel contesto del poema verit e vero, ma realt e
reale. Di recente Palmer (op. cit., pp. 89-93) ha rilanciato con buoni
argomenti. Anche Ferrari traduce con Realt. Nel suo Parmenides und die
Anfnge der Erkenntniskritik und Logik (Auer, Donauwrth 1979, pp. 33
ss.), E. Heitsch mostra, sulla scorta della preistoria del termine, come

96

etimologicamente (non occultamento e non dimenticanza)


suggerisca una originaria affinit tra il senso oggettivo e soggettivo di verit:
verrebbe per esempio a significare riportare nel discorso
qualcosa che nel mondo si mostra come non nascosto. In effetti, in Omero
e compaiono in dipendenza da verba dicendi: Gloria
Germani (" in Parmenide", in La Parola del Passato, vol. XLIII,
1988, pp. 177-206) ha sottolineato in questo senso la peculiarit sintattica
del termine nella individuazione del processo unitario che connette soggetto
e oggetto (p. 181). Tipico di sarebbe infatti il riferimento a chi
parla: l'oggetto si manifesta solo se c' un soggetto a cogliere tale
manifestazione. Il termine designerebbe dunque una relazione in cui
conoscere e realt si completano e si realizzano a vicenda (p. 185).
In effetti, gi Aristotele, riferendosi ai pensatori presocratici (Metafisica IV, 5
1010 a1-3), poteva sottolineare:

,

la causa di questa opinione presso di loro che essi


certamente ricercavano la verit intorno agli esseri, ma
supponevano che gli enti fossero solo quelli sensibili.
L'accostamento verit-realt (sensibile) proprio in relazione ai pensatori
presocratici ribadito in Aristotele, per esempio:


Coloro che per primi hanno ricercato secondo filosofia,
indagando la verit e la natura degli enti (Fisica I, 8 191 a25).
Ma rispetto al nostro contesto significativo, come ha fatto notare Leszl (p. 16),
il fatto che, a un certo punto, in relazione alle opere di Melisso e Gorgia
(seconda met V secolo a.C.), siano state utilizzate, accanto alla corrente
indicazione , rispettivamente le formule e
(rivelando una certa consapevolezza della inadeguatezza della
tradizionale titolazione).
Passa (p. 53), che interpreta il proemio come itinerario dell'iniziato verso la
Verit, sostiene che esso contiene la rappresentazione poetica di esperienze
sciamaniche vissute da Parmenide: , in questo senso, sarebbe
figura del contenuto essenziale rivelato dalla dea, assurto esso stesso a
ipostasi divina. Come segnala l'autore, per altro, Verit ritorna,
"ipostatizzata", anche nei reperti archeologici (placche d'osso) recuperati a
Olbia Pontica.

97

allora da soppesare con attenzione l'ipotesi interpretativa che fa della figura


divina appena introdotta il perno simbolico della ripresa e della soluzione
parmenidea del problema della verit, dopo la profonda incrinatura
dell'orizzonte arcaico, soprattutto a opera di Senofane: il tema dell'accesso
alla verit potrebbe fungere da chiave di lettura generale (oltre che,
specificamente, dello stesso proemio). Su questo punto ancora la Germani,
op. cit., pp. 186-7.
66
Accogliendo la lezione rendiamo letteralmente con [Verit] ben
rotonda. Effettivamente ci sarebbero buone ragioni per l'adozione di
, se si potesse senza problemi tradurre come persuasiva (o ben
persuasiva). Nel verso successivo si rilever come nelle opinioni dei
mortali ( ) non vi sia vera credibilit ( ): con
una inversione, Parmenide passerebbe da una verit ()
persuasiva [credibile] () a una vera () credibilit
(). In B2.4, la Dea rimarcher come la via che ( ) sia
sentiero di Persuasione ( ), in quanto a Verit si
accompagna ( ). In conclusione della sua esposizione della
verit, la stessa Dea sottolineer (B8.50-1):


A questo punto pongo termine per te al discorso affidabile e
al pensiero
intorno alla verit.
indiscutibile l'insistenza parmenidea sul nesso tra e , che in
B2 sono proposte sostanzialmente come ipostasi divine. Il vero problema
dell'opzione che il significato antico dell'aggettivo
attestato ancora in Platone e Aristotele - quello di obbediente
disponibile/pronto all'obbedienza: il significato di persuasivo posteriore.
Nell'economia del poema, anche l'aggettivo attestato sia in
Pindaro sia in Eschilo comunque denso di implicazioni, soprattutto in
relazione ai versi del poema pi citati in assoluto nell'antichit (vv. B8.43-5),
dove ritroviamo il ricorso a un'immagine:
(simile a massa di ben rotonda palla).
67
Il sostantivo era impiegato prevalentemente per animali, uomini, dei,
quindi in senso non astratto: il suo significato sarebbe vicino a quello di ,
per veicolare lidea di unattivit intellettuale emotivamente tonalizzata. In
Omero il termine (insieme a ), come , sembrerebbe
coinvolgere soprattutto la sfera degli affetti, dei sentimenti. significativo che
Parmenide opti di correlare a , la verit alluomo che la deve
conoscere (Stemich, op. cit., pp. 78-80): nella letteratura arcaica piuttosto

98

[30] sia dei mortali le opinioni69, in cui non reale credibilit .


70

connesso al corpo (Passa, p. 52). Il termine pu indicare la coscienza


vigile (un cuore di bronzo, in Omero), da cui la fermezza rilevata da
Parmenide, ma anche la parte essenziale delluomo: in riferimento al Tutto, la
verit ben rotonda, compiuta, perfetta (Ruggiu, p. 199). R.B. Onians (The
Origins of the European Thought, C.U.P., Cambridge 1951, p. 106) vi vede
racchiusa la sostanza della coscienza, cui associata la sede del linguaggio.
Questo pu significare che all'espressione Parmenide intendesse
far corrispondere la sostanza conoscitiva e insieme linguistica del messaggio in
esso [poema] contenuto (Passa, p. 53).
68
L'aggettivo (letteralmente che non trema), variamente tradotto (per
adeguarlo al contesto) come intrepido (Ferrari), saldo (Reale),
incrollabile (Cerri, che rende per la formula come il
sapere incrollabile), suggerisce immobilit, saldezza (e in questo senso lo
ritroveremo annoverato tra i in B8.4).
69
Contrapposte alla Verit, la Dea propone (opinioni dei
mortali), insistendo sia sul tradizionale discrimine tra sapere divino e
ignoranza umana, sia sulla opposizione tra luomo che sa ( , v.
3) e i mortali che nulla sanno ( B6.4): a dispetto dei
mortali che non hanno conoscenza, il kouros deve conoscere tutto. Per
connotare il punto di vista dei mortali, la dea (Parmenide) ricorre a un
termine che, a differenza del mero manifestarsi () e di
una passiva registrazione empirica, implica giudizio e accettazione
(ancorch affrettati e scorretti), opinione assunta attraverso una decisione, di
cui, dunque, i mortali non sono vittime ma responsabili. In questo senso
Couloubaritsis, per esempio, traduce con considerazioni. allora
opportuno il rilievo di Conche (p. 66): Parmenide evita di contrapporre la
sua verit a quella degli altri, un punto di vista ad altri alternativi. Il poeta,
invece, presentato come portavoce di una divinit anonima, scevra della
soggettivit dei mortali, impersonale: ella non altro che la Verit stessa.
Significativo laccostamento a Eraclito:
,

non me, ma il logos ascoltando, saggio convenire che tutto
uno (DK 22 B50).
Interessante il rilievo di Leszl (p. 37), in conclusione di un lungo esame della
nozione di : indicherebbe a un tempo lopinione che abbiamo
circa le cose e il modo in cui le cose si presentano a noi.
70
Il termine greco conserverebbe secondo Heitsch (Parmenides, Die
Fragmente, p. 95) il valore di prova, dimostrazione per credibilit o

99

Nondimeno71 anche questo72 imparerai73: come le cose accolte


nelle opinioni74
fiducia o semplicemente di prova, dimostrazione (Beweis) sia negli
oratori attici, sia in Platone e Aristotele. Egli propone di utilizzare questo
valore anche nel contesto di B1. Palmer (op. cit., p. 92) osserva, invece,
come sia in questo passaggio impiegato con valore soggettivo,
dunque nel senso di trustworthiness: tale (non genuina) credibilit si
riferirebbe, tuttavia, non direttamente alle , ma alla loro
esposizione nel resoconto della Dea.
71
Come segnala LSJ, la formula - composta da congiunzione
avversativa () e avverbio () impiegata nel greco omerico
come sinonimo di (all the same, nevertheless, nondimeno), pi tardi
con valore pi debole (at any rate, yet, tuttavia, comunque). Cordero (p.
32) osserva come la formula sia utilizzata in Omero per
introdurre una restrizione di senso rispetto a quanto appena enunciato: nel
nostro contesto, dunque, secondo lo studioso argentino, la Dea intenderebbe
sottolineare il fatto che, a dispetto della loro non-verit, il kouros dovr
essere informato sulle opinioni. La stessa convinzione era stata espressa da
un altro grande interprete di Parmenide, Tarn: i vv. 31-32 del frammento
show the purpose that the goddess has in mind in asking Parmenides to
learn the opinions of men in spite [rilievo nostro] of the fact that they are
false (p. 211).
72
Il pronome (letteralmente queste cose) pu indicare quanto precede
immediatamente, quindi riferirsi alle opinioni dei mortali, ovvero
specificare ulteriormente (tutto, v. 28), riferendosi a quanto segue
(in funzione prolettica rispetto a quanto introdotto con ). La prima
soluzione appare pi naturale rispetto all'uso corrente, tuttavia possibile la
lettura dei due versi finali con un futuro programmatico () e una
proposizione dipendente introdotta per definirne gli obiettivi. In effetti, come
nota Cerri, nelluso corretto greco, per anticipare quanto segue sarebbe stato
pi naturale ; ma, come dimostra M.C. Stokes (One and Many in
Presocratic Philosophy, The Center for Hellenic Studies, Washington 1971,
p. 302 nota 27) con paralleli in Erodoto, l'uso contemporaneo non escludeva
un valore prolettico del pronome. Nella nostra lettura, la Dea,
effettivamente, si riferisce ancora alle opinioni dei mortali (
), i cui contenuti (le cose accolte nelle opinioni, )
intende riscattare: , quindi, a un tempo (e ambiguamente) evoca quel
che precede, precisandone il senso, e introduce lultimo punto del
programma della rivelazione (corrispondente alla seconda grande sezione
del poema).
73
Il verbo ha il valore di imparare per esperienza o studio
(analogamente a ), ma anche di comprendere, discernere.

100

74

Patricia Curd (The Legacy of Parmenides. Eleatic Monism and Later


Presocratic Thought, Princeton University Press, Princeton 1998, pp. 113-4)
ha marcato le differenti implicazioni semantiche rispetto al precedente
: suggerisce che si raccolga informazioni e
apprenda per esperienza, mentre suggerisce piuttosto
apprendimento e comprensione acquisiti con un atto di giudizio.
Abbiamo scelto questa traduzione faticosa per , cercando di
salvarne le implicazioni semantiche. L'espressione participiale
indica le cose accettate nella opinione di qualcuno, ovvero che sono accolte
nel giudizio di qualcuno. Non si tratta di punti di vista soggettivi, quanto del
loro contenuto, delle cose cui ci si riferisce (che si manifestano) in quei punti
di vista, delle cose (plurale), di quelle che sono dette anche
(Ruggiu, p. 207). Cordero (p. 33) rende come ci che appare nelle
opinioni, le cose che sembrano, che sono pensate, tra i mortali: il mondo
come visto dai mortali. Conche (p. 64) parla, a proposito di ,
di correlati intenzionali (nel senso della fenomenologia) delle doxai.
Mourelatos (p. 204), che ha scritto pagine illuminanti sul significato dei
termini greci in radice dok-*, marca lambiguit del valore di :
le cose che i mortali ritengono accettabili, ma anche le cose come i
mortali [le] ritengono accettabili. Parmenide intenderebbe, insomma,
suggerire che i termini con cui i mortali accettano o riconoscono le cose
costituiscono l'identit propria delloggetto della accettazione dei mortali.
Brague (tudes sur Parmnide, t. II, Problmes d'interpretation, pp. 54-5)
ricorda come in Simplicio ricorra la formula , lessere
apparente, ci che sembra [essere] ente in contrapposizione a
, lessere in senso pieno, assoluto. Una formulazione senza
paralleli, che potrebbe quindi essere eco di una espressione autenticamente
parmenidea. Couloubaritsis (op. cit., pp. 267 ss.), ribadendo il doppio
registro semantico di ( ) - in una direzione rivolto al
discorso, in altra alla cosa - segnala il posteriore accostamento aristotelico
(Confutazioni sofistiche, 33, 182 b38) di a e in
genere la convergenza insistita in ambito peripatetico tra
e . La specificit di rispetto all'altro
termine sarebbe tuttavia da rintracciare proprio nell'aspetto opinativo,
nell'implicazione di un giudizio. Il nesso con (considerare) si
preciser in relazione all'atto del nominare: in quanto legata alla parola e
all'imposizione di nomi, che la via della doxa viene sviluppata nel poema. In
questo senso Couloubaritsis (op. cit., pp. 269-270) crede che l'espressione
rimandi alle cose in quanto designate dai mortali piuttosto che da
loro percepite. Pi puntualmente: le cose che i mortali hanno designato per
spiegare il mondo in divenire.

101

era necessario 75 fossero effettivamente76, tutte insieme77 davvero esistenti78.

75

76

Limperfetto seguito dallinfinito pu indicare un tempo reale del


passato (pensando soprattutto allorigine delle erronee opinioni mortali e
all'alternativa proposta esplicativa di Parmenide), ovvero un tempo irreale,
del passato o del presente. Nel contesto, come segnala Robbiano (p. 180), la
forma verbale pu riferirsi a un requisito nel passato che o stato o non
stato ottemperato. Ricordiamo che nel greco arcaico il verbo esprime
piuttosto convenienza che necessit logica (quindi giusto, opportuno).
La concomitante presenza di rende, secondo noi, pi logico pensare
che Parmenide intendesse contrapporre alle opinioni dei mortali una
prospettiva esplicativa alternativa e plausibile rivolta agli stessi oggetti di
quell'opinare: questo passaggio del testo colto efficacemente nella resa di
Palmer (op. cit., p. 363): Nonetheless these things too will you learn, how
what they resolved had actually to be [...].
Lavverbio qui usato come complemento dellinfinito : il
predicato in effetti pu essere espresso da un avverbio, facendo cos
assumere al verbo essere il suo valore pieno di esistenza. Lavverbio pu
tradursi sia con plausibilmente, accettabilmente (Mourelatos, p. 204),
sia con realmente, genuinamente (secondo luso eschileo). Rendendo
limperfetto () come forma di irrealt, si determina una costruzione
ambigua, che afferma e nega a un tempo (come irreale) unesistenza
qualificata come reale ovvero plausibile. Ne deriva una sorta di gioco
espressivo, del tipo rintracciabile nei frammenti di Eraclito (OBrien, pp. 134). Ferrari (Il migliore dei mondi impossibili, cit., p. 43) cita in proposito DK
22 B28:
, ...
(anche) l'uomo pi considerato conosce e custodisce cose
apparenti [ovvero opinioni].

Secondo lo studioso italiano, proprio la relazione tra e


comporterebbe un cortocircuito etimologico: il participio sostantivato, con
le sue potenzialit semantiche negative (parvenze), coniugato con un
avverbio dal significato positivo di accettabilit, plausibilit.
deriva da (accettabile, approvato, stimato); il verbo
conferma il senso di mettere alla prova e approvare:
l'avverbio ha dunque in s implicite le sfumature di come conviene e di
realmente, veramente. La sua radice indoeuropea *dek- evidenzierebbe
il senso di adeguazione, conformit (Couloubaritsis, op. cit., p. 271).
Accettando, invece, la vecchia lezione di Diels (() ), ripresa, tra
gli altri, da Untersteiner e recentemente da Di Giuseppe, il senso di

102

() sarebbe: come era necessario


acconsentire (riconoscere) che le cose che appaiono ai mortali sono.
77
Traduco in questo modo il testo greco, intendendo come
una formula, secondo il suggerimento di Mourelatos (p. 204), il quale fa leva
su paralleli testuali che vanno dalla letteratura ippocratica a quella platonica.
Essi suggeriscono la traduzione tutte [le cose] insieme (all of them
together), ovvero tutte [le cose] continuamente. Sulla scorta delluso
platonico (Repubblica, 429b-430b), Mourelatos (p. 205) propone di leggere
in il riferimento alle prove sopportate nel corso di una
competizione. In alternativa si traduce come in ogni senso
(Tonelli), in un tutto (Cerri), dappertutto (Ferrari), mantenendo
autonomo il significato e la funzione di (tutte le cose).
78
Si dato notizia, in nota al testo greco, delle due lezioni ( e )
dei codici di Simplicio. Come ha giustamente fatto notare la Curd (op. cit.,
p. 114, nota 52), entrambe le letture rendono complessivamente lo stesso
significato. Traduciamo come participio e non come sostantivo
(manca, in effetti, larticolo ), ricordando, tuttavia, come il termine, in
Omero e Esiodo, designasse le realt che esistono davvero e nei filosofi
ionici loggetto della ricerca, la realt permanente del mondo (Brague, pp.
61-2).

103

DK B2
1 , ,

2 ,
3 - 4 -,
[5] 5 ,
6 7
- 8 1

Coxon, invece di (proposto come emendazione dei codici di Proclo


da Karsten e accolto da Diels-Kranz e dagli editori posteriori), legge con i
codici , (ors, parler di queste cose), difendendo la propria
scelta con la consuetudine epica del genitivo di argomento in dipendenza da
verba dicendi. La proposta di Karsten non solo considerata pi naturale dal
punto di vista paleografico, ma valorizza anche lopposizione - , che
nel testo pare significativa. La forma riflette l'uso omerico, che
dissimulava l'antico digamma perduto nel dialetto degli aedi ionici: per
eliminare gli iati creatisi nella dizione, fu introdotto nel testo omerico
(Passa, p. 74 nota). Qui il di supplisce il digamma iniziale di .
2
Come segnala Cordero (N.L. Cordero, "Histoire du texte de Parmnide", in
tudes sur Parmnide, cit., t. II: Problmes d'interprtation, p. 21),
correzione di Mullach: la tradizione manoscritta conserva . Il codice
moscovita W di Simplicio l'unico a presentare la forma similare .
Passa (p. 97) osserva come i sei casi, in Parmenide, di con efelcistico
davanti a consonante rappresentino una vistosa innovazione rispetto alla
dizione omerica.
3
Come in casi precedenti, intendo come nome personale.
4
Seguiamo Gemelli Marciano (II, p. 14) nell'intendere il sostantivo greco
maiuscolo. I codici di Proclo e Simplicio riportano :
proposta degli editori.
5
La formula tipica della prosa: nella tragedia e in Pindaro si trova
solo l'uso assoluto dell'accusativo , nel senso di (Passa, p. 79).
6
I codici di Proclo riportano e ; quelli di Simplicio
, forma corretta, come rivela il confronto con Odissea III, 88.
Secondo Passa (p. 38), evidente che in questo caso Proclo cita a memoria.
7
Si tratta della forma ionica - dell'attico (da ).
8
I codici di Proclo riportano (che si pu raggiungere, da
), quelli di Simplicio . La lezione di Proclo, che presenta
paralleli in Empedocle (B133) e Democrito (B58, B59), ha una sua

104

[vv. 1-8 Proclo, In Platonis Timaeum I, 345; vv. 3-8 Simplicio,


In Aristotelis Physicam 116-7; vv. 5b-6 Proclo, In Platonis Parmenidem, 1078, 4-5]

plausibilit, ma la forma (che pu essere compiuto) ha riscontri


"eleatici" in Melisso (B2 e B7), e si trova ancora in Anassagora (B5). In
questa occasione Proclo potrebbe nuovamente aver fatto ricorso alla
citazione a memoria: il significato di prossimo a quello di
: risultato che non si pu raggiungere.

105

Ors1, io dir - e tu2 abbi cura3 della parola4 una volta ascoltata 5

La formula per ors ampiamente attestata nellepica, anche in


relazione al pronome (Cerri p. 187 - cita a esempio un verso formulare
che ricorre identico in molti luoghi di Iliade e Odissea).
2
Il pronome personale tu () si riferisce al poeta\filosofo, cui la Dea si
rivolge. Questa interpretazione d continuit a B1 e B2. Untersteiner (p.
LXXX) ipotizza, invece, che a parlare sia lo stesso Parmenide: alcune
espressioni che ricorrono nei frammenti (in relazione ai mortali)
confermano la lettura tradizionale.
3
Il senso dellimperativo aoristo quello di ricezione e cura (come di
cosa preziosa), forse anche di trasmissione (come vuole Mansfeld, pp. 95-6).
Tonelli (p. 119) rende questo complesso di significati con accompagna la
mia parola. Ferrari (Il migliore dei mondi impossibili, cit., p. 135) recupera,
invece, da Kingsley il senso di take away e traduce come riporta con te.
4
Il termine greco , che nella lingua greca tarda significa (come il latino
fabula) una narrazione meravigliosa, in origine indicava qualcosa di
completamente diverso: la parola, la parola che esprime ci che
realmente, effettivamente accaduto, implicando quindi la dimensione della
oggettivit: la parola che d notizia del reale, che stabilisce qualcosa, e, in
questo senso, autorevole (W.F. Otto, Il mito e la parola (1952-3), in W.F.
Otto, Il mito, a cura di G. Moretti, Il Melangolo, Genova 1993, pp. 30-32).
Parola, quindi, intesa non come termine isolato, ma come discorso,
comunicazione di verit. Mourelatos (p. 94, nota) contesta la traduzione di
Tarn (word), preferendole nel contesto di B2.1 account, quanto la Dea
ha da dire, la sua comunicazione. In questo senso egli si appoggia a Omero,
in cui il valore del termine quello di discorso, pensiero o consiglio.
Solo progressivamente, nelluso post-omerico, il significato di discorso
sarebbe sfumato in quello di resoconto, finendo poi per indicare mito.
Anche alla luce di tale evoluzione, altri autori (Coxon, Robbiano, Curd)
hanno preferito tradurre con story. Morgan (K. Morgan, Myth and
Philosophy From the Presocratics to Plato, C.U.P., Cambridge 2000, pp.
17-18) distingue tra luso di per parola o genericamente
affermazione e quello di , che, come rivelerebbero alcune ricorrenze
omeriche, si riferirebbe a un authoritative speech act. In questo senso, di
recente Couloubaritsis, nella nuova edizione del suo volume su Parmenide,
ha insistito su una resa poco familiare ma attenta a conservare un aspetto
essenziale del valore originario del termine greco: egli traduce (La pense de
Parmnide, , Ousia, Bruxelles, 2008, p. 541) come ma faon de parler
autorise. Una traduzione di compromesso potrebbe essere: e tu abbi cura
delle mie parole dopo averle ascoltate.
5
Tutto il verso ha una forte assonanza con Odissea XVIII, 129:

106

quali sono le uniche6 vie7 di ricerca8 per pensare9:


,
Per questo io ti dico e tu ascolta e comprendi.
6

Il valore di stato da alcuni interpreti relativizzato, intendendolo nel


senso debole di le sole legittime (Conche, p. 76), da altri reso in senso
forte, come se le vie di ricerca indicate costituissero le due sole possibilit
per pensare (Cordero, p. 39). In effetti difficile scindere il valore di
dal successivo infinito e dal relativo significato.
7
interessante segnalare come il termine che, nota Cerri (p. 60),
ossessivamente ritorna nel versi parmenidei non abbia solo il valore
metaforico di metodo, cio del percorso lungo il quale si sviluppa
unindagine per giungere alla verit: esso pu suggerire anche lidea di
direzione di vita, linea di condotta (Stemich, op. cit., p. 199), come
possibile riscontrare in Eraclito, letteralmente e metaforicamente (in
riferimento al comportamento da assumere nella ricerca della verit). In
Parmenide, tuttavia, nel ricorso a prevarrebbe la suggestione di un
peculiare metodo di pensiero e ricerca. La Stemich in questo senso indica
(op. cit., pp. 200-1) una convergenza tra lillustrazione parmenidea del
metodo per giungere alla conoscenza dellessere inteso come via che
conduce oltre lambito sensibile in un ambito metafisico - e il percorso di
ascesi filosofica all'idea del Bello nel Simposio di Platone.
8
Coxon (p. 173) osserva come lespressione occorra solo in
Parmenide (e in un frammento orfico di dubbia congettura), forse per
sottolineare la peculiarit della propria ricerca rispetto a quella ionica.
Secondo Kahn (Ch.H. Kahn, Essays on Being, O.U.P, Oxford 2009, p. 147)
costituirebbe equivalente poetico del termine ionico
(ricerca scientifica). Oggetto di investigazione (B6-B8) lessere ( ),
ovvero (B1.29 e B8.51) la realt (): vie di ricerca, dunque, perch
hanno come obiettivo la verit. Leszl (pp. 124-5) rileva come il verbo
, corrente in Omero nel significato di ricercare una persona o cosa
scomparsa, ovvero ricercare per identificare qualcuno, assuma il senso
definito di indagare (e anche interrogare) in Eraclito e Erodoto.
Lespressione sottolineerebbe cos che la ricerca riguarda qualcosa
che non manifesto o accessibile fin dallinizio. Secondo Chiara Robbiano
(op. cit., p. 125) il termine suggerisce anche lattiva partecipazione richiesta
per lindagine stessa.
9
Come puntualmente rileva Cordero (p. 40), linfinito aoristo ha valore
di infinito finale o consecutivo, ma spesso stato letto con valore passivo,
come se (sono) avesse a sua volta valore di possibilit (siano
[possibili] da pensare, logicamente pensabili). La scelta del valore attivo

107

luna10: [che11] 12 e [che] non possibile13 non essere14


comporta che sia pi facile spiegare la presenza delle successive
congiunzioni dichiarative (, ), che possono corrispondere alla attivit
di pensare (luna per pensare che , laltra per pensare che ).
possibile inoltre trovare un riscontro nel poema Sulla natura di Empedocle,
dove il frammento DK 31 B3.12 presenta costruzione analoga:
(dove ci sia passaggio per conoscere). OBrien (pp.
153-4) fa dipendere invece da ovvero dallunit sintattica
+ : Je dirai quelles sont les voies de recerche, les seuls <quon
ait> concevoir. La Robbiano (op. cit., p. 82) valorizza lambiguit
nellespressione di Parmenide, e propone, di conseguenza, di accettare
contestualmente entrambe le interpretazioni: quella che fa delle vie loggetto
del (da pensare) e quella che fa del la meta delle vie (per
pensare). Contro la resa attiva e finale dellinfinito le osservazioni di Sellmer
(S. Sellmer, Argumentationsstrukturen bei Parmenides. Zur Methode des
Lehrgedichts und ihren Grundlagen, Peter Lang, Frankfurt a.M. 1998, pp.
11-12), in particolare il problema dellimpraticabilit della seconda via per il
pensiero. Contro la lettura potenziale di Kahn, Essays on Being,
cit., p. 146, nota 4.
Abbiamo reso genericamente con pensare, ma come suggerito da vari
interpreti - si potrebbe scegliere una espressione pi specifica, come
comprendere, o anche afferrare, che ancora conservano traccia
dell'originario valore di percezione mentale, capace di vedere in profondit e
pi lontano, nel tempo e nello spazio (su questo punto Mourelatos, pp. 68
ss.). Vero che nei frammenti ci si riferisce a ( , B6.6)
anche per designare una intelligenza offuscata, confusa: ci potrebbe
indicare che Parmenide non si senta vincolato a un uso di e derivati nel
loro significato cognitivo pi forte, che, a nostro giudizio, rimane, tuttavia,
l'unico a giustificare l'alternativa che la Dea qui propone. Recentemente
Palmer (op. cit., pp. 69 ss.), nel tentativo di mediare tra una resa generica e
una pi specifica, ha proposto understanding ovvero achieving
understanding. Tonelli, invece, rende direttamente come intuire, per la
continuit tra il verbo greco e l'intueor latino, che implica un vedere che
attraversa e penetra l'oggetto di conoscenza [...] facendosi tutt'uno con
esso (p. 118).
10
Lindicazione delle uniche vie introdotta (v. 3 e v. 5) dalla formula : si tratta di una alternativa ulteriormente delineata con coerente
corrispondenza anche nella costruzione sintattica.
11
Consideriamo in questo contesto e il successivo congiunzioni che
introducono una dichiarativa (retta da un sottinteso: per pensare ovvero
che pensa, che dice). In questo senso, suggeriamo la possibilit di

108

di Persuasione 15 il percorso16 (a Verit 17 infatti si accompagna)


leggere il verso come: luna: e non possibile non essere (analogamente
il v. 5: laltra: non ed necessario non essere).
Luso di e per introdurre le due vie sarebbe secondo Chiara Robbiano
(op. cit., p. 82) - illuminante: esso suggerisce che esse sono due modi di
guardare alle cose, due prospettive: sarebbe, infatti, preferito a
quando si voglia accentuare una affermazione come opinione, ovvero
introdurre qualcosa intorno a cui esistano opinioni differenti. Per la studiosa
italiana (p. 83), insomma, \, con le loro implicazioni avverbiali,
servirebbero a esprimere uno stato di cose da una certa prospettiva,
manifestando dunque il proprio punto di vista. Analogamente Ferrari (Il
migliore dei mondi impossibili, cit., p. 40), il quale rende in entrambi i casi
con secondo cui.
12
La terza persona singolare - del presente di , essere, qui resa
letteralmente, senza decidere del suo valore (esistenziale, copulativo,
veritativo), per conservarle tutte le sfumature. Tra i traduttori moderni, Tarn
sceglie di renderla con exists, Conche con il y a, per sottolineare lidea
di presenza. In coerenza con il testo greco, non attribuiamo un soggetto al
verbo, lasciandolo sottinteso: si rinvia al commento per un chiarimento.
Coxon ricorda che lomissione del pronome indefinito come soggetto sia
ampiamente diffusa nellepica e nel greco posteriore (p. 175).
13
Letteralmente si potrebbe rendere come che non
[c]/esiste non essere, ovvero, sostantivando il finale, che il
non-essere non , cui corrisponderebbe, simmetricamente
: che, come necessario, il non essere . Ma, proprio considerando
lemistichio 5b (dove la traduzione necessario che appare pi naturale),
optiamo per attribuire a valore potenziale e considerare come
infinitiva: che non possibile non essere (pi ambigua), ovvero che non
possibile che non sia. Si tratta, in ogni caso, di un passaggio controverso,
anche per le sue implicazioni logiche, per le quali molto lucida lanalisi di
Leszl (pp. 131 ss.).
14
La nostra traduzione vicina a quella di Heitsch: Der eine, (der da lautet) es
ist, und Sein ist notwendig. Frre (J. Frre, Parmnide ou le Souci du
Vrai. Ontologie, Thologie, Cosmologie, Kim, Paris 2012) rende: Le
premier chemin nonant: est, et aussi: il nest pas possible de ne pas tre.
15
Come divinit, Persuasione nella cultura arcaica (Pindaro) collegata ad
Afrodite, alla dea dell'Amore, in quanto esercita fascinazione e seduzione.
dunque originale e significativa la connessione stabilita da Parmenide, in
apertura della comunicazione divina, tra e : nel suo caso i
legami persuasivi saranno il risultato del rigore e della coerenza logica

109

[5] laltra: [che] non e [che] necessario 18 non essere19.


Proprio20 questa ti dichiaro 21 essere sentiero 22 del tutto privo di
informazioni23:
impliciti nella affermazione appena introdotta : e non possibile non
essere.
16
Il termine viene da Coxon distinto da come il viaggio lungo
la via, contribuendo in questo modo a determinare successivamente
(Platone) la nozione di , e di filosofia appunto come viaggio (p.
174).
17
Abbiamo gi segnalato in nota a B1, come nel poema (e )
significhino reale e realt. Heitsch (p. 97) argomenta a favore
di una resa pi esplicita, che ricava dai contraddittori caratteri negativi di
(verso 7): egli traduce, infatti, con evidenza (Evidenz). Palmer ricorre
a una formula inequivocabile: true reality. Pur concordando che la Dea si
riferisce alla realt, insistiamo nel tradurre con il nostro verit e con la
maiuscola, intendendo Verit come entit divina. In ogni modo, come nel
linguaggio omerico, anche in Parmenide il contrario di non sar il
falso, indicato da o , ma l'assenza di , la mancata
manifestazione della realt (su questo Germani, op. cit., pp. 183-4).
18
Colleghiamo, come appare naturale, lespressione greca al verbo ,
traducendo con necessario, conservando il valore modale. Come segnala
Leszl (p. 136), pu stare da solo, inteso come un participio ( ),
che, preceduto da , assume valore avverbiale: potrebbe essere
dunque inciso avverbiale in una frase il cui significato complessivo non
sarebbe modale (come conveniente). Il termine usato nella cultura greca
arcaica (e non) in espressioni come (Anassimandro DK
12B1: that which must be secondo LSJ), ma per lo pi nell'espressione
[] con il significato di ( necessario).
19
Considerato come infinito sostantivato e interpretato
avverbialmente, la traduzione del secondo emistichio potrebbe essere: e,
come conveniente, il non-essere . Si tratta di una possibilit, che suona
tuttavia piuttosto improbabile. Cos come la traduzione proposta da Ferrari
(Il migliore dei mondi impossibili, cit., pp. 137-8): l'una (via) secondo cui
lecito e non possibile che non sia lecito... l'altra secondo cui non lecito ed
necessario che non sia lecito. Coerentemente con la scelta del v. 3,
Heitsch traduce: Der andere, (der da lautet) es ist nicht, und Nicht-Sein ist
notwendig; Frre (J. Frre, Parmnide ou le Souci du Vrai, cit.) rende:
Lautre chemin nonant: nest pas, et aussi: il est ncessaire de ne pas
tre.
20
Traduciamo avverbialmente la particella , che molti decidono di non
rendere ovvero di rendere come congiunzione (e) per marcare una

110

poich non potresti conoscere ci che non 24 (non infatti cosa fattibile25),
n potresti indicarlo 26.
transizione nel discorso della Dea. In effetti, frequentemente posposto a
un pronome (nel nostro contesto con funzione pronominale), con il
risultato di accentuare il rilievo nella frase.
21
Coxon osserva che il verbo , che in epica significa indicare,
evidenziare, usato da Parmenide con oggetto diretto o accusativo e
infinito nel senso (poi regolare) di spiegare (p. 177).
22
Il termine contrapposto a e , impiegati in B1 (vv. 2 e
11) e qui ai vv. 2 e 4: mentre in B1.21 eravamo informati del fatto che il
poeta viaggiava lungo la via maestra, in questo passaggio,
accennando alla seconda via, Parmenide ricorre a unespressione che veicola
l'idea di sentiero, tracciato secondario, scorciatoia.
23
Laggettivo pu indicare attribuendogli senso passivo - ci che
del tutto ignoto, ovvero, in senso attivo, appunto ci che del tutto privo
di informazioni, ovvero imperscrutabile (Tonelli p. 119), come la via che
pensa che non . Si tratta, nell'economia del discorso divino (e del
poema), di un punto essenziale: la seconda via delineata non proposta
come falsa, non scartata come follia (non prodotto di un
, come si sottolinea in B6.6 a proposito della presunta
inventata da coloro che sono apostrofati come ); di
essa si afferma che sentiero lungo il quale non si possono raccogliere
informazioni, che non pu manifestare la realt, come chiarisce
immediatamente il verso successivo.
24
Lespressione si potrebbe rendere anche come il non essere.
Secondo Coxon (p. 177) essa si riferisce al soggetto della seconda via, di
non , come manifestato in B6.2 dalluso del pronome indefinito
(nulla). In effetti l'espressione introdotta a giustificazione della
dichiarazione del verso precedente, dunque per identificare il presunto
contenuto della seconda via, necessariamente priva di informazioni.
25
Laggettivo verbale attestato in Simplicio: con la precedente
negazione (), il valore da (fare, compiere) - quello di cosa che
non possibile compiere. Nel suo commento (p. 220), Ruggiu sottolinea
come il valore di sia prossimo a quello del termine :
esprime una impossibilit che scaturisce da ontologica impotenza.
Mourelatos (p. 100) insiste sull'idea di impraticabilit che porta
con s: that which cannot be consummated.
26
La traduzione di con indicare vuol rendere il senso di manifestare
in segni (anche a parole): ci che non non pu rendersi (e essere reso)
manifesto attraverso tracce, come saranno i dell in B8.

111

Mourelatos (p. 76) segnala che impiegato nellOdissea allinterno


del motivo del viaggio, in riferimento al gesto di una guida che mostri a un
viaggiatore il luogo o il percorso della sua destinazione. Si potrebbe rendere
, restringendo il campo semantico del verbo, con n potresti
parlarne.

112

DK B3
... 1 .

[Clemente Alessandrino, Stromata VI, 2.23 (II, 440); Plotino,


Enneadi V, 1.8; V, 9.5; Proclo, In Plat. Parm. 1152, Theologia
platonica I, 66 (ed. Saffrey, Westerink)]
1

Il codice di Clemente riporta ; il testo di Plotino, in due luoghi diversi,


e . correzione degli editori.

113

La stessa cosa, infatti, 1 pensare2 ed essere3.


1

Zeller, seguito da Burnet, Cornford, Raven e altri, rende i due infiniti come
dipendenti da (non ) con valore potenziale (analogamente a B2.3:
), quindi con denn dasselbe kann gedacht werden und sein.
Tarn, che accetta il suggerimento di Zeller, rende con for the same thing
can be thought and can exist. Anche per OBrien (pp. 19-20) i due infiniti
sono complementi del pronome ( ) o dellunit sintattica pronomeverbo. Questuso completivo dellinfinito () ammetterebbe che lo si
traduca come un passivo o equivalente: C'est en effet une seule et mme
chose que l'on pense et qui est (For there is the same thing for being
thought and for being). Il fatto che, optando per questa soluzione
interpretativa, il soggetto di uno dei due infiniti () diventi oggetto
dellaltro (), non rappresenterebbe un problema, essendo gi attestato
nei poemi omerici. un fatto, comunque, come osserva Conche (op. cit., p.
89), che Parmenide ha scritto e non . Daltra parte, seguendo
Plotino, la resa pi fedele (Heitsch, p. 144), il senso ovvio del greco
(Conche, p. 89) sarebbe pensare ed essere sono la stessa cosa, con
predicato, e soggetti della frase. Unalternativa sensata, che tiene
conto di analoghe costruzioni nei frammenti sopravvissuti e soprattutto del
senso dei vv. 34-36a di B8:
.
[35] , ,

quella di Coxon (for the same thing is for conceiving as is for being), variata
nella recente resa di Palmer (op. cit., p. 122): for the same thing is (there)
for understanding and for being.
2
Secondo Cerri (p. 194), qui per la prima volta assumerebbe il significato
specifico di capire razionalmente, significato che, tuttavia, non si pu
regolarmente attribuire a (e ) nei frammenti. In una sua classica
ricerca filologica, von Fritz (K. von Fritz, , and Their
Derivatives in Presocratic Philosophy (Excluding Anaxagoras). I: From the
Beginnings to Parmenides, Classical Philology 40, 1945, pp. 223-242)
osserva come in Omero significhi comprendere una situazione e
come questo valore sia ancora presente nel poema di Parmenide, indicando
qualcosa di diverso da un processo di deduzione logica: sarebbe ancora sua
funzione primaria essere in contatto con la realt ultima (p. 237). Abbiamo
sopra ricordato come Tonelli renda come intuire, cogliendo la
continuit tra il verbo greco e l'intueor latino, nella percezione che

114

attraversa e penetra l'oggetto di conoscenza [...] facendosi tutt'uno con


esso (p. 118).
3
Gallop (p. 8) e Heitsch (p. 144) osservano che, sebbene la continuit di B3 con
B2 sia incerta, metricamente B3 costituirebbe con B2.8 una perfetta linea di
testo. Calogero (op. cit., pp. 22-23) aveva in effetti gi proposto di leggere
B3 come prosecuzione di B2, integrando il testo trdito in questo modo:
- [B2.7-8]

< >,
Ch quel che non non lo puoi n pensare n dire: pensare
infatti lo stesso che dire che quel che pensi!.

115

DK B4
1
2

.

[vv. 1-4 Clemente Alessandrino, Stromata V, 2 (II, 335); v. 1


Proclo, In Platonis Parmenidem 1152; Teodoreto, Graecarum Affectionum Curatio I, 72 (22); v. 2 Damascio, Dubitationes et Solutiones de Primis Principiis in Platonis Parmenidem I, 67]
La proposta e l'integrazione sono state poi ancora rilanciate da Giannantoni.
1
Due codici di Teodoreto con la citazione di Clemente riportano
(ugualmente) in vece di . Tra gli editori moderni solo Hlscher e
Untersteiner preferiscono quella lezione.
2
I manoscritti di Clemente riportano , quelli di Damascio :
sarebbe effetto di una atticizzazione del testo parmenideo,
probabilmente antica (come evidenziato dall'unanimit dei manoscritti).
Secondo Passa (pp. 34-5), come avevano colto gli editori ottocenteschi che
correggevano in , la forma verbale corretta sarebbe
quella della seconda persona singolare del futuro medio () nella
probabile trascrizione di un esemplare attico.

116

Considera 1 come cose assenti 2 siano comunque 3 al pensiero 4


saldamente5 presenti6;
1

Il verbo gi impiegato da Omero (Couloubaritsis, pp. 336-7) per


indicare la capacit di considerare simultaneamente passato e avvenire per
comprendere il presente: capacit associata alla maturit dellanziano, al suo
discernimento, contrapposto alla precipitazione dei giovani. Molti traduttori
optano per una resa che ne accentui il valore percettivo: osserva,
guarda. Etimologicamente, daltra parte, il verbo deriva dallaggettivo
, che nel linguaggio omerico significa chiaro, limpido: porta con
s, dunque, lidea di chiarezza, luminosit, trasparenza, come nellitaliano
chiarire, rischiarare.
2
Ovvero cose lontane. Il verbo , come il successivo , ha un
valore a un tempo materiale e mentale, indicando la distanza ( la
vicinanza) nel tempo e nello spazio. Manteniamo in traduzione un senso
indefinito.
3
Traduciamo cos la congiunzione : nelle varie versioni, il suo valore
oscilla tra lavversativo e il concessivo, secondo i contesti. Dal momento che
possibile legare il termine sia al verbo iniziale, sia a , Ruggiu (p.
238) suggerisce che la collocazione sia intenzionalmente polisignificante,
secondo lo stile attestato anche in Eraclito.
4
A chi debba essere immediatamente riferito il dativo oggetto di
discussione: possibile infatti accostarlo direttamente a l, nel senso di
chiarisci con intelligenza\intendimento, ovvero lasciarlo legato a
, sottolineando come il nesso - dipenda dalla
visione dellintelligenza: lespressione avrebbe appunto il
valore di essere presente alla mente, allo spirito.
5
Lavverbio (saldamente) pu essere collegato direttamente al verbo,
come suggerisce Coxon (p. 188): gaze steadily with your mind. Lo
studioso giustifica la proposta per il parallelo con il verso di Empedocle DK
31 B17.30:
,
Guardala con intelligenza, non restare con sguardo
esterefatto.
La collocazione dellavverbio fa pensare tuttavia a un rapporto stretto con
, di cui esprimerebbe il modo dessere, la solidit, la permanenza.
Lavverbio veicola infatti lidea di stabilit, ma anche quella di costanza e
lealt. Robbiano (op. cit., p. 130) rileva la connessione con

117

non impedirai7, infatti, che lessere8 sia connesso allessere,


(B1.29): esprimerebbe lattitudine delluomo che ricerca sulla via
della verit; un modo di guardare, ma anche un modo dessere.
6
Ovvero prossime. Sulla struttura del verso (l
) ha richiamato di recente lattenzione Graham
(Explaining the Cosmos. The Ionian Tradition of Scientific Philosophy, Princeton University Press, Princeton and Oxford 2006, p. 151), il quale ne ha
rilevato la struttura a chiasmo, che ricorderebbe quella di alcuni frammenti
eraclitei, per esempio DK 22 B25:

destini di morte pi grandi ottengono sorti pi grandi.


7

La forma verbale pu essere terza persona singolare del futuro


indicativo attivo (cos intendono per lo pi gli editori moderni,
sottintendendo come soggetto), ovvero, considerando la probabile
atticizzazione del testo parmenideo, come forma (attica appunto) della
seconda persona singolare dellindicativo futuro medio: tu non
impedirai. Secondo Passa (pp. 34-5) sarebbe questa, in coerenza con
analoghe espressioni del poema (, allontana B7.2b; ,
impara B8.52; , troverai B8.36), l'interpretazione corretta del
passo.
8
Traduciamo il participio preceduto dallarticolo ( ) come lessere,
senza articolo come ci che : per noi si tratta di espressioni sinonime, ma
la formula con articolo pi astratta. Come nota Cordero (By Being, It is,
cit., p. 169), Parmenide molto raramente usa larticolo davanti al
participio ; in effetti participio senza articolo cattura pi precisamente il
carattere dinamico della presenza denotata da : essendo, . Il
problema della traduzione del termine comunque complesso: Heidegger
(M. Heidegger, Was heisst Denken, Niemeyer, Tbingen 1954, p. 133)
richiam lattenzione sul duplice valore di questo participio: nominale (ci
che ) e verbale (lEssere di ci che ), per sostenere la tesi che gi con
Parmenide la filosofia sarebbe scivolata nelloblio dellEssere, non
riuscendo a mantenere distinti i due valori, confondendo quindi Essere e
enti. Di recente Thanassas (pp. 44-5) ha insistito sul fatto che Parmenide
avrebbe impiegato esclusivamente in senso verbale, come equivalente
semantico di . Il rischio di intendere il participio nel valore nominale
sarebbe quello di riconoscerne implicitamente lesistenza come unico ente,
negando dunque la pluralit del mondo. Il che sarebbe contraddetto dalluso
frequente di plurali () nella sezione sulla (B4.1-2, B8.25,
B8.47-8). Lidentit semantica e la sinonimia tra e sarebbe inoltre

118

n disperdendosi9 completamente10 in ogni direzione per il cosmo11,


n concentrandosi.
confermata da Parmenide nel poema stesso (B6.1-2). Thanassas sostiene che
possa identificarsi estensionalmente con la totalit degli enti che
appaiono; intensionalmente (dal punto di vista del suo contenuto
concettuale), invece, sembrerebbe distinto da essa: il suo significato
verbale, insomma, non si limiterebbe ad abbracciare la totalit degli enti, ma
farebbe del loro Essere il proprio obiettivo.
9
Il participio , come il successivo , si riferisce a
.
10
La funzione dellavverbio (interamente, completamente) sarebbe, in
congiunzione con laltro avverbio (dappertutto, ovunque), quella di
intensificarne valore spaziale.
11
Lespressione appare come uno dei pi antichi passi presocratici
in cui il termine assume il valore di ordinamento del mondo,
cosmo (Cerri, p. 199). Tarn, tuttavia, contesta che la nostra espressione
possa tradursi (cos come abbiamo fatto) con un complemento di moto nel
mondo (o per il mondo), preferendo renderla letteralmente come in
order, con il significato, dunque, di conformit a un ordine. Analogamente
la Stemich (p. 190) sottolinea come dalla Dea il kouros sia chiamato a non
alterare lessere secondo lordine delle cose, attribuendo quindi alla
formula valore normativo. Coxon sottolinea il precedente omerico,
traducendo in regular order. Noi preferiamo attribuirgli il valore cosmico,
considerando insieme alla forma avverbiale precedente (
).

119

DK B5
,
1 .

[Proclo, In Platonis Parmenidem 708]


1

La forma correzione degli editori: i codici di Proclo riportano


.

120

Indifferente1 per me
da dove cominci, dal momento che l, ancora una volta, far
ritorno.
1

Bicknell (Parmenides, DK 28 B5, Apeiron, 13, 1979, pp. 9-11) ha proposto di tradurre come a basic point: It is a basic point from which
I shall begin: I shall come back to it repeatedly. Collocando il frammento
subito prima di B2, il senso complessivo effettivamente assicurato e, come
stato notato (Gallop, p. 37), suggestivo. Difficile per avere un riscontro
della traduzione proposta per .

121

DK B6
1 2 ,
3 .
4 ... 5,
1

I codici di Simplicio riportano unanimente ; nel 1835 Karsten congettur


invece , ripreso poi da Diels. Il testo corretto, dopo la riscoperta a
opera di Tarn e la ripresa da parte di Cordero, tuttavia accolto solo da una
minoranza di editori contemporanei.
2
I codici D e E di Simplicio riportano , il codice F : correzione
degli editori.
3
Il testo greco in DK , secondo la lezione di Bergk. Cordero (pp.
101-2) preferisce la versione del codice D di Simplicio (considerato il pi
affidabile dallo stesso Diels 1897): . Il codice E riporta: ; il
codice F: .
4
Il codice D di Simplicio riporta (cos come E e F); B e C, invece, .
5
La tradizione manoscritta presenta a questo punto una lacuna: la proposizione
manca del verbo. Congettura Diels, tradizionalmente accettata:
(tengo lontano, distolgo), sulla scorta di B7.2 (
- ma tu da questa via di ricerca allontana il
pensiero). Congettura Mourelatos: (tenevo lontano), in
riferimento al rifiuto della seconda via di B2. Congettura Cordero:
(comincerai). Congettura Nehamas: (comincer), ripresa di
recente anche da Patricia Curd, che la preferisce alla precedente in quanto
mantiene il baricentro del discorso sulla divinit, coerentemente con gli altri
versi del poema. La Curd insiste in particolare sul parallelismo con i versi
B8.50-52:



A questo punto pongo termine al discorso affidabile e al
pensiero
intorno alla Verit; da questo momento in poi opinioni
mortali
impara, ascoltando lordine delle mie parole che pu
ingannare.
Lespressione pongo termine corrisponderebbe a comincer per te appunto
di B6.3, cos come da questo momento in poi a da questa via di ricerca.
A pi riprese (cominciando da B1.28-30) la dea sarebbe ritornata sulla

122

,
[5] < >6,
7
, , ,

, .

[vv. 1-2a Simplicio, In Aristotelis Physicam 86; vv. 1b-9 Simplicio, In Aristotelis Physicam 117; vv. 8-9a Simplicio, In Aristotelis Physicam 78]
propria strategia, enunciando i suoi principi fondamentali (B2), ribadendoli
(B6.3-4) e ricontestualizzando la propria esposizione in B8.50-52 (Curd, The
Legacy of Parmenides, cit., p. 58). Tarn, che pur accetta la congettura
Diels, suppone una lacuna successiva, tra i versi 3 e 4.
6
La tradizione manoscritta di Simplicio riporta , dichiarato corrotto
in apparato da Kranz. In effetti sarebbe, secondo Cordero e
Cerri (p. 210), atticizzazione (intervenuta nella tradizione manoscritta stessa)
di , da (mi invento). Dello stesso avviso O'Brien
e Gemelli Marciano (II, p. 82). Coxon (p. 183) sostiene la derivazione (per
corruzione) da (vagano). Diels fa della espressione una
corrutela medievale di , variante dialettale di ,
utilizzato nel poema (e in altri autori) per indicare sbandamento intellettuale,
errore. Una recente messa a punto della questione testuale si trova in Passa
(pp. 104 ss.), il quale ha con acribia sostenuto, su basi parzialmente diverse,
la soluzione dielsiana con precoce corruzione di in
. Ferrari (Il migliore dei mondi impossibili, cit., p. 47 nota) ha
contestato tale ricostruzione, preferendo tornare alla vecchia correzione
, coerente con e (v. 6). Accogliamo la
correzione , pur considerando l'emendazione , come
sinteticamente insegna Ferrari, una valida alternativa.
7
I codici DE di Simplicio riproducono , il codice F , forma
preferita da diversi editori (Coxon, O'Brien, Conche, Cerri, Gemelli
Marciano, Palmer).

123

Dire e pensare1: ci che 2, necessario 3; essere4 infatti


possibile,
1

Accogliendo la restituzione del testo originale di Simplicio proposta da


Cordero (su indicazione di Tarn), abbiamo qui due infiniti (, )
introdotti da , da intendere: (i) come articolo determinativo (sarebbe allora
pi corretto rendere con il [fatto di] dire e il [fatto di] pensare), ovvero (ii)
come pronome dimostrativo (dire questo e pensare questo). Nella nostra
traduzione abbiamo seguito la prima soluzione: i due infiniti articolari
costituiscono soggetto congiunto del quasi impersonale , come
suggerisce Palmer (Parmenides & Presocratic Philosophy, cit., p. 111; ma si
devono registrare le riserve di Cassin, p. 146).
Costruzioni alternative:
(a) regge direttamente , di cui e sono soggetti; il
loro articolo e il loro complemento oggetto ( necessario che dire e
pensare ci che sia): cos, per esempio, Frnkel e Untersteiner. Una
variante interessante quella sostenuta da Tarn e Cordero (Les deux
chemins de Parmnide, Vrin, Paris 1984, pp. 111-2): essi suppongono la
costruzione () ( necessario
dire e pensare ci che . Cordero, tuttavia, nella revisione (2004) della sua
opera, traduce diversamente: It is necessary to say and to think that by being, it is.
(b) regge direttamente , di cui e sono soggetti;
articolo e nome del predicato di (dire e pensare necessario
che siano un essere): cos, per esempio, Diels (1897), Heidel, Verdenius.
Coxon (pp. 181-2) sostiene l'uso predicativo di , supportandolo con
paralleli ( ) in autori influenzati da Parmenide (Gorgia, Leucippo,
Platone, Aristotele). La sua traduzione (che accoglie il testo emendato da
Karsten) , di conseguenza: it is necessary to assert and conceive that this is
Being. Soggetto della proposizione sarebbe , pronome (che Coxon
riferisce a di B3).
(c) regge direttamente , di cui ... soggetto, da cui dipendono
e (ci che da dire e pensare necessario che sia): cos, tra
gli altri, Burnet e Raven.
2
Traduciamo con essere, per mantenere l'ambiguit che a nostro
avviso caratterizza il testo, attribuendogli tuttavia valore decisamente
esistenziale.
3
Limpersonale formula di necessit ma anche di opportunit: il valore del
vincolo implicato pu variare in intensit, dal necessario, al corretto,
allopportuno. Ha insistito su questo punto Patricia Curd (1998, p. 53),

124

il nulla5, invece, non 6. Queste cose7 io ti esorto a considerare .


8

riducendo cos limpianto modale dei primi due versi del frammento. Ma il
nesso con B2 suggerisce la forma di necessit.
4
Nel caso di B6.1b, l'impegno per l'interprete doppio. Si ripresenta infatti il
problema di traduzione di e si aggiunge quello della traduzione
dellinfinito in questo contesto: si tratta di due problemi correlati. Se,
come scelgono di fare alcuni traduttori, si considera come infinito
sostantivato, soggetto di , avremmo: l'"essere" esiste (Cerri); infatti
l'essere (Reale), denn Sein ist (Kranz), for there is Being (Tarn).
Analogamente intende la Germani (op. cit., p. 191). Questa lettura potrebbe
essere avvalorata dal fatto che due codici (BC) di Simplicio riportano
(Cordero, Les deux chemins de Parmnide, cit., p. 24). Nel caso si
accolga tale soluzione, in 6.1b-6.2a avremmo la piena esplicitazione dei
soggetti delle vie di B2.3 e B2.5: rispettivamente e . Per certi
versi questa traduzione appare naturale, sebbene non risulti del tutto
perspicuo l'uso di , a meno di privarlo del suo valore esplicativo per
riconoscergli una funzione confermativa.
Se, invece, si intende come infinito retto da , allora naturale
attribuire a questo valore di possibilit (che sembrerebbe dare un senso alla
particella ). Alcuni sottintendono come soggetto, traducendo: solo
esso infatti possibile che sia (Pasquinelli); For it is for being (Coxon);
possibile, infatti, che sia (Giannantoni); perch pu essere (Tonelli,
Ferrari). Altri, come O'Brien e Cordero, optano per una formula
impersonale: car il est possible d'tre; for it is possibile to be.
5
Secondo Coxon (p. 182) conserverebbe in questo caso il suo significato
pi stretto, quello di non una cosa. Lintera frase, dunque, asserirebbe che
ci che non ha essere, non per niente una cosa. Kranz (in apparato)
riteneva che equivalesse a (citando in questo senso B8.10:
). Ferrari (Il migliore dei mondi impossibili, cit., p. 46
nota) considera possibile un rimando al non-essere, intendendo la lezione
(corrotta) del codice greco di Simplicio (Phys. 117) come .
6
Anche in questo caso conserviamo l'ambiguit dell'essere, intendendolo
comunque in senso esistenziale: la necessit di affermare lesistenza
dellessere sarebbe giustificata incrociando la possibilit dellessere e
l'inesistenza del nulla. Guthrie decide di attribuire al verbo essere nellintera
formula valore di possibilit: for it is possible for it to be, but impossible
for nothing to be. Analogamente Mansfeld: denn dieses (sc. Das Seiende)
kann sein, ein Nichts hingegen kann nicht sein. OBrien (p. 27) convinto
che i due indicativi e abbiano valore potenziale, con
linfinito in funzione completiva, e suppone un secondo infinito per
completare lespressione negativa : il nest pas possible

125

Per prima, infatti, da questa via di ricerca 9 ti <tengo lontano>10,


e poi da quella11 che appunto12 mortali che nulla sanno13
( ) que <soit> () ce qui nest rien (). Lalternativa,
seguita da alcuni, quella di rimanere fermi, in entrambi i casi, al valore
esistenziale, affermando (Tarn): for there is Being, but nothing is not.
possibile, tuttavia, attribuire senso potenziale a e senso esistenziale alla
negazione , come fanno Cordero (2004) e, seguendo Colli, Tonelli,
a dispetto delle obiezioni di OBrien, che ritiene improbabile la soluzione.
Per conservare il senso modale di B2.3, Palmer (p. 113) propone di considerare
unico soggetto sottinteso di B6.b-2a ( ,
), e rendendo con valore predicativo: (What is) is to be, but
nothing it is not. Letteralmente pi aderente al greco la traduzione senza
articolo: nulla [ovvero niente] non .
7
Il pronome (accusativo neutro plurale) difficilmente pu essere riferito
esclusivamente al contenuto dei vv. 1-2a: invece probabile che esso alluda
a quanto seguiva B2 precedendo immediatamente B6, cio la esclusione
della via che non e che necessario non essere come effettivo percorso
di indagine.
8
La formula mutuata da Omero ed Esiodo:
richiama lattenzione sullesclusione della via che non e che necessario
non essere.
9
Concordiamo con Ferrari (Il migliore dei mondi impossibili, cit., p. 49) nel
considerare questo riferimento alla prima via di ricerca (
) vincolato alla discussione di cui B6.1-2a costituisce la
conclusione, e che doveva vertere sul non-essere. Si tratta della discussione
cui allude Simplicio nel contesto della citazione di B8.1-52:

Le cose stanno in questo modo dopo l'eliminazione del non
essere.
Per evitare confusione, alcuni traduttori hanno fatto ricorso a costruzioni meno
ambigue: this is the first way of inquiry from which I hold you back
(Kirk-Raven-Schofield); Questa la via di ricerca da cui ti distolgo per
prima (Cerri); Questa la prima via di ricerca da cui ti tengo lontano
(Tonelli). Come quella che proponiamo, si tratta di soluzioni interpretative,
che indubbiamente forzano la resa pi naturale. In ogni caso, per rimanere
pi aderenti alla costruzione greca, abbiamo considerato in funzione
predicativa.
10
Manteniamo, pur con prudenza, la congettura Diels.

126

[5] <si inventano>, uomini a due teste14: impotenza15 davvero


nei loro
petti16 guida la mente errante17. Essi sono trascinati18,
11

Il compemento riferisce il pronome a : questo porta


Coxon a concludere che nel contesto Parmenide si riferisca a filosofi,
ricercatori.
12
Normalmente si lascia cadere in traduzione , che pure, seguendo un
pronome relativo, ne enfatizza la posizione nella frase. L'uso nel contesto
potrebbe alludere alla discussione che precede B6.
13
Lespressione greca riprende il tradizionale contrasto
tra sapienza divina e ignoranza umana, riferendolo in particolare a una
tipologia di errore che nasce dal fraintendimento della di B2. La
delle schiere scriteriate ( ) manifesta la loro
impotenza (). Nellepica e nella lirica lespressione
ritorna frequentemente per caratterizzare il fatto che i mortali
non conoscono la totalit del passato, n possono prevedere il futuro, ristretti
alla limitatezza del loro presente (Ruggiu p. 259). Nello specifico,
lignoranza dei mortali implicitamente contrastata dalla conoscenza che
Parmenide ha rivendicato per s in B1.3 ( ).
14
Il greco si riferisce alla condizione di coloro che manifestano una
sorta di schizofrenia e in questo senso hanno una testa (una mente) divisa in
due: affermano a un tempo essere e non-essere, fingendo di poter incrociare
due vie in realt (verit) incompatibili. Robbiano (op. cit., pp. 104-5) segnala
come nella lirica arcaica il tema della indecisione-confusione propria della
condizione umana fosse espresso nel riferimento a un diviso
(Teognide) o a una sorta di doppia mente (Saffo).
15
Il sostantivo greco segnala la mancanza di mezzi, di aiuti per
risolvere una situazione di difficolt: insomma, una condizione di
impotenza. In Omero gli dei possiedono , un saper fare (abilit nella
costruzione di oggetti) che garantisce loro una vita facile, mentre gli uomini,
ignoranti, conducono una esistenza dura. In Esiodo grazie a Prometeo che
gli uomini hanno potuto strappare agli dei alcuni dei loro segreti, facendo
fronte alla propria impotenza.
16
Lespressione rinvia a Omero, dove marcato il nesso tra
e , la cui sede appunto nel petto. Coxon (p. 184) assume
che nel contesto ci possa alludere a un ruolo di distinto da ,
secondo il modello pitagorico ripreso nellimmagine iniziale del carro (e poi
reso celebre nel mito del Fedro platonico).
17
Lespressione sottolinea lo sbandamento, lerramento in primo
luogo della mente (cos traduciamo in questo caso ) e quindi del
pensiero: la mente, invece di essere guida sicura, conduce fuori strada.

127

a un tempo sordi e ciechi19, sgomenti, schiere scriteriate20,


per i quali esso21 considerato22 essere e non essere la stessa
cosa
e non la stessa cosa: ma di [costoro] tutti 23 il percorso torna
all'indietro 24.
18

La forma verbale rafforza il senso di sbandamento, deriva, cui


conduce la mente dissennata dei mortali che nulla sanno.
19
Lespressione greca vuol marcare una condizione di
disorientamento, a un tempo () di isolamento uditivo e visivo. Anche
Eraclito utilizzava laggettivo kwfj denunciare la stoltezza manifestata
dalle opinioni correnti.
20
Il greco sottolinea lincapacit, da parte di un gruppo numeroso
( indica razza, trib, classe, genia), di giudicare, di discernere.
Evidentemente la Dea intende marcare, per contrasto, la prospettiva di
ricerca aperta in B2 con l'alternativa delle vie di ricerca per pensare: in
questo caso, la mente erra, e i mortali non conoscono alcunch. Alcuni
ritengono (tra gli altri anche Cerri, p. 212), che Parmenide si riferisca qui ai
seguaci di Eraclito.
21
Traduciamo in questo modo il pronome , che, come aveva a suo tempo
rilevato Burnet (seguito poi da Coxon e ora da Palmer), potrebbe fungere da
articolo per sostantivare , ma non . Nel contesto del
frammento da riferire a del v. 1. Palmer (Parmenides & Presocratic
Philosophy, pp. 115-6), oltre a ricordare il frequente impiego da parte di
Parmenide dell'articolo come dimostrativo (secondo l'uso arcaico), ha
segnalato una costruzione analoga in B8.44b-45:


necessario, infatti, che esso non sia in qualche misura di
pi,
o in qualche misura di meno, da una parte o dallaltra,
in cui rinvia a del v. 37.
22
Il perfetto medio-passivo ha attirato lattenzione di Jaeger (La
teologia dei primi pensatori greci, cit., p. 170, n. 36), il quale lo riferisce non
allopinione di un uomo o di qualche individuo, ma alla malignit del
dominante (costume, tradizione), alla opinio communis degli uomini. Leszl
in questo senso osserva (p. 230) come il passivo di abbia il
significato di pratica corrente. Il ricorso a , con la soggettivit
implicata, fungerebbe, secondo Coxon (p. 185), da contrasto ai positivi (e
oggettivi) e .

128

23

Il genitivo plurale pu essere qui inteso come neutro, riferito dunque a


tutte le cose, ovvero come maschile, riferito quindi ai mortali, come il
precedente relativo , per i quali. Coxon traduce: and for all of whom;
analogamente O'Brien, Palmer, Gemelli Marciano, che abbiamo seguito. La
Gemelli Marciano (II, p. 83) segnala la composizione ad anello, con cui
nell'ultimo emistichio Parmenide riprenderebbe il v. 4.
24
Secondo Mourelatos (p. 100), il senso dellaggettivo sarebbe da
vedere in connessione con (B2.7), indicando linfinita
regressione della ricerca lungo la via dei mortali. Potremmo dire che la Dea
in questo modo stigmatizzi la inconcludenza della presunta via di ricerca
inventata dai mortali, e quindi il destino di erranza che colpisce chi pretenda
di seguirla. Secondo coloro che propendono per una interpretazione del
frammento in chiave anti-eraclitea, qui avremmo una eco di DK 22 B51:


non capiscono che ci che differente concorda con se
stesso, armonia di contrari, come larmonia dellarco e della lira.
Contro questa interpretazione, tra gli altri, di recente A. Nehamas (Parmenidean
Being/Heraclitean Fire, in Presocratic Philosophy, edited by V. Caston &
D.W. Graham, Ashgate, Aldershot 2002, pp. 55-6), il quale sottolinea come
il termine si riferisca qui in realt ai mutamenti sequenziali
delle cose reali l'una nell'altra (come nella cosmologia milesia); in Eraclito,
invece, esso sarebbe impiegato in riferimento a un equilibrio statico.

129

DK B7
1
2
,

, 3 4
.

[vv. 1-2 Platone, Sofista, 237 a 8-9, 258 d 2-3; Simplicio, In


Aristotelis Physicam 135, 143-144; v. 1 Aristotele, Metafisica
1089 a; vv. 2-6 Sesto Empirico, Adversus Mathematicos VII, 111;
v. 2 Simplicio, In Aristotelis Physicam 78, 650; vv. 3-5 Diogene
Laerzio IX, 22]
1

Alcuni codici di Aristotele (EJ) e Simplicio (DE) riportano , quelli


di Platone . Sono attestate anche le forme
(Simplicio F), (Simplicio D), (Aristotele recc.).
2
I codici di Sesto e Simplicio riportano (nelle varianti dialettali
, ), quelli di Platone il participio .
3
Nonostante i codici di Sesto e Diogene Laerzio riportino la forma del dativo
, Kingsley (P. Kingsley, Reality, The Golden Sufi Center, Inverness
(CA) 2003, pp. 139-140), all'interno di una lunga discussione sul valore da
attribuire al termine (prima di Platone), propone (seguito da Gemelli
Marciano) di leggere, in alternativa, il genitivo .
4
Il testo di Diogene Laerzio riporta , quello di Sesto .

130

Mai, infatti1, questo2 sar forzato3: che siano cose che non sono .
Ma tu da questa via di ricerca5 allontana il pensiero 6;
4

Coxon (p. 190) osserva giustamente che la presenza di presuppone


un'asserzione da giustificare, per noi mancante: questo solleva dubbi
sull'effettivo riferimento del successivo .
2
Cerri (p. 215) osserva luso apparentemente irregolare di in funzione
prolettica (per la quale sarebbe stato naturale piuttosto ): nel contesto il
pronome sembra in realt riferirsi anche a quanto precede (per noi perduto).
3
Seguiamo Tarn (e Diels) nel preferire questa resa a quelle suggerite da O
Brien e Conche: Jamais, en effet, cet nonc ne sera dompt (Mai,
infatti, questo enunciato sar domato) ovvero Car jamais ceci ne sera mis
sous le joug (Poich mai questo sar posto sotto il giogo). Secondo
lindicazione di Diels (Parmenides Lehrgedicht, p. 74), il senso dellaoristo
congiuntivo passivo di \ da ricavare dalle citazioni
platoniche del Teeteto (196b: viene usato ) e del Sofista (241 d57):

,
.
Ci troviamo di fronte alla necessit, per difenderci, di
mettere alla prova il pensiero del padre, Parmenide, e di forzarlo
[bizesqai] col dire che il non-essere , sotto un certo
aspetto; e che, per converso, lessere, in un certo senso, non
(traduzione M. Vitali, Bompiani, Milano 1992).
A rafforzare questo valore, c anche il del v. 3.
Interessante anche il suggerimento specifico di Liddell-Scott-Jones, di rendere il
verbo in senso lato come sar provato, che Cerri (p. 215) difende, pur
apprezzando linterpretazione del passo offerta da OBrien. Contro la scelta
di Diels e LSJ argomenta tuttavia in modo convincente Coxon (p. 190). A
suo tempo Calogero (Studi sulleleatismo, cit., pp. 24-5, nota) aveva
puntualmente contestato l'ipotesi , preferendole
(l'emistichio risultava cos: Non ti lasciar mai insegnare questo). Alle
osservazioni di Calogero si richiama oggi la Gemelli Marciano (II, p. 84).
4
Il non-essere in questo caso espresso con il participio plurale , cose
che non sono. Secondo Tarn (p. 75), ci si collegherebbe alla successiva
polemica contro il dato dei sensi.

131

n abitudine7 alle molte esperienze8 su questa strada ti faccia


violenza9,
5

Simplicio (Fisica 78, 2) sembra riferire lespressione


- questa via di ricerca - alla seconda via:
,

[B6.1b-2] < > [B6.3-9]

[B6.8-9]
[B7.2], [B8.1 ss.]
sostiene che la contraddizione non sia vera [cio: le
proposizioni contraddittorie non siano vere] a un tempo in quei
versi in cui biasima coloro che mettono insieme gli opposti: dice
infatti [citazione B6.1b-2a] e aggiunge [citazione B6.3-9]. (In
Aristotelis Physicam 117, 2)
Dopo aver biasimato infatti coloro che congiungono l'essere
e il non-essere nell'intelligibile [citazione B6.8-9] e aver
allontanato dalla via che ricerca il non-essere [citazione B7.2],
soggiunge [citazione B8.1 ss.].

Secondo Simplicio, insomma, B7.2 alluderebbe alla via che conduce al nonessere; inoltre B7.1-2 seguirebbero B6.8-9, precedendo B8.1. Come fa
osservare Tarn (p. 76), Simplicio sembra distinguere anche tra lobiettivo
polemico di B6 e quello di B7.
6
Il sostantivo qui impiegato probabilmente nel significato gi
omerico - di mente, intelligenza, organo del pensiero e della comprensione.
I primi due versi del frammento sono citati da Platone e Simplicio: essi
costituiscono un primo blocco testuale. Diogene cita isolatamente i vv. 3-5,
secondo blocco. Sesto consente di cucire i due blocchi, citando i vv. 3-6
dopo il verso 2. nella sua citazione, tuttavia, non c posto per il verso 1.
Non sorprender, dunque, che nella storia delle interpretazioni il frammento
abbia subito vari smembramenti e montaggi. Noi scegliamo di conservare
lordinamento che si pu ricavare da Simplicio, lultimo autore che si ha
fondato motivo di ritenere disponesse di una copia del poema (ancorch non
esente da rielaborazioni linguistiche e contenutistiche).
7
Coxon (p. 191) legge in contrapposizione a (abitudine versus
analisi intellettuale): la prima forzerebbe, la seconda condurrebbe in modo
persuasivo.
8
Dal momento che si connoterebbe autonomamente in contrasto a ,
secondo Coxon (p. 191) sarebbe da riferire a :
contribuirebbe a determinarne il valore rispetto a del verso

132

a dirigere10 locchio che non vede, lorecchio risonante 11


[5] e la lingua12. Giudica13 invece con il ragionamento14 la pro15
va polemica16
precedente. Cerri (p. 216) giudica tuttavia inaccettabile la proposta (anche)
per ragioni metriche. Robbiano (p. 97) segue Coxon, insistendo
sullabitudine generata lungo la via di cui i mortali hanno molta esperienza.
Anche Nehamas (op. cit., p. 59 nota 50) preferisce riferire a
, ma suggerisce la possibilit che Parmenide intendesse riferirlo anche a
. Per quanto riguarda la traduzione, abbiamo optato per una resa che
sottolinei nellaggettivo il riferimento allorigine dalle molte esperienze; altri
scelgono, invece, di marcare leffetto implicito in esse, rendendo quindi con
molto esperta, molto abile.
9
Il verbo si potrebbe rendere anche con induca: come informa Cerri
(p. 217), esso ricorre frequentemente nella poesia tra fine VI secolo e inizi
del V (Simonide, Pindaro, Bacchilide, Eschilo) nel senso di violenza
esercitata dalla menzogna sulla verit.
10
Cerri (p. 217) osserva che nel linguaggio epico significa muovere,
dirigere con abilit e destrezza.
11
Cerri (p. 217) rileva la natura ossimorica del verso: e
evocano le metafore eraclitee. Lo studioso giustamente le
collega a B6.7, trovandosi per in difficolt nellinterpretazione. In B6,
infatti, esse sarebbero riferite agli eraclitei, qui, invece, recuperate (nella
stessa prospettiva eraclitea) contro il sapere tradizionale.
12
Coxon (p. 192) sottolinea come lepiteto qualifichi tanto
quanto : la lingua replicherebbe la confusione degli occhi e delle
orecchie. La sua proposta contestata, per ragioni semantiche (il significato
dellaggettivo - risuonante - mal si accorderebbe nel contesto con
), da Tarn (p. 77), il quale suggerisce invece di considerare
riferito tanto a quanto a e , con il valore
avverbiale di senza scopo, a caso. Come riconosce lo stesso Tarn,
tuttavia, la lettera del verso 4, con i due aggettivi immediatamente riferiti ai
due sostantivi, rende pi plausibile la solitudine di : il termine, in
relazione a , indica il linguaggio ordinario. Heitsch (p. 161)
suggerisce che, nel contesto, senza ulteriori predicazioni, non sia da
porre sullo stesso piano degli altri organi di senso: qui, dunque, il termine
indicherebbe non lorgano del gusto ma lorgano del linguaggio, come
riconosce anche Robbiano (pp. 97-98), insistendo sullorgano che produce
nomi che non sono in grado di riflettere la verit.
13
Kingsley (Reality, cit., p. 140) rende come judge in favor of, nel
senso di scegli (opzione adottata anche da Ferrari, Il migliore dei mondi
impossibili, cit., p. 50); la Gemelli Marciano (II, p. 19) preferisce
entscheide dich fr (deciditi per).

133

14

Secondo Cerri (p. 218), del termine corradicale di (dire) e


dunque originariamente sinonimo di - qui sarebbe valorizzato
laspetto semantico del ragionamento mentale (emergente anche in Eraclito),
mentre nella seconda occorrenza nel poema (B8.50) laspetto semantico del
discorso che verbalizza il ragionamento ( in tal caso complementare
a ). Tonelli (p. 126), insistendo sul parallelo con il contemporaneo
Eraclito, mantiene una stretta connessione tra e : non
indicherebbe qui il raziocinio ma la facolt umana di cogliere il senso. A
suo tempo Conche (p. 122) aveva sottolineato come, a differenza del
che pu errare (B6.6), il non si allontani dalla verit, evidentemente
intendendo con il termine la facolt razionale. Ma di recente Kingsley
(Reality, cit., pp. 129-50) ha lungamente argomentato che tale significazione
solo platonica e post-platonica, mentre in Parmenide avrebbe ancora
il valore di discorso o discussione: in questo senso, egli preferisce
(come segnalato in nota al testo greco) emendare il dativo in genitivo,
facendone dunque una specificazione di . Contro la tendenza a
contrapporre, in Parmenide, il all'esperienza, si esprime anche
Cordero (By Being, It Is, cit., pp. 136-137), convinto che il significato base
sia ancora quello di discorso. A noi pare che la resa con ragione sia
forzata, e che l'invito espresso dalla Dea sia quello di valutare
discorsivamente, argomentativamente: il suggerimento di Cerri, insomma,
evitando l'identificazione di una facolt (la ragione appunto) e limitandosi a
evocare un esercizio di controllo della discussione (, ), pare
prudente e funzionale.
15
Si tratta di una delle prime attestazioni del termine . Liddell-ScottJones, con esplicito riferimento al nostro testo, indica come significato
argument of disproof, refutation. Di recente, Chiara Robbiano (pp. 106107) che legge B7 e B8 come costituissero un testo continuo - ha ricordato
come debba riferirsi non solo alla contestazione gi implicita nei
versi precedenti, ma anche agli argomenti di B8, che hanno la forma di un
elenchos. In B8.1-49 la dea metterebbe alla prova varie strategie
tradizionalmente ritenute in grado di condurre alla conoscenza. Interpretando
correttamente il suo (della dea) logos, laudience non solo sarebbe stata
completamente persuasa dal non seguire la seconda via, ma avrebbe anche
riconosciuto alcuni dei caratteri dellEssere che concorrono allobiettivo
della prima via: la comprensione (insight) dellEssere.
16
Laggettivo sarebbe, secondo Coxon (p. 192), di conio
parmenideo, e si riferirebbe alla polemica contro la fisica ionica e pitagorica,
poi ripresa da Zenone. In come osserva Conche (p. 123) - c
lidea di lotta, di combattimento (): la forza della ragione opposta alla
forza dellabitudine. Liddell-Scott-Jones con esplicito riferimento al nostro
testo - rende con una espressione di senso passivo: molto contestata.

134

da me enunciata17.
Interessante l'analisi di Patricia Curd (The Legacy of Parmenides, cit., p.
104): The elenchos (testing) is poludris (rich in strife) because it must repeatedly fight against habit and experience; it is a battle to be won over and
over. Efficace la resa di A. Nehamas (Parmenidean Being/Heraclitean Fire, cit., p. 59), il quale traduce come
giudica con la ragione l'argomento che molto contesta.
17
Mentre Diels e Calogero riferiscono la prova (che cos sarebbe genericamente
annunciata) alla sezione sulla Doxa, Verdenius, Tarn e Mourelatos la
intendono riferita ai passaggi precedenti (il participio va allora tradotto pi
opportunamente con enunciata), in cui la Dea ha introdotto le due vie e
argomentato contro la presunta terza via. Si tratta della posizione prevalente
tra gli interpreti, tenuto conto delluso del participio aoristo , che
proietta il termine cui si riferisce () verso un passato appena
compiuto. Preferiamo lasciare sospeso il riferimento, tenendo conto anche
del suggerimento di R.J. Hankinson ("Parmenides and the Metaphysics of
Changelessness", in Presocratic Philosophy, cit., p. 76) di tradurre in questo
caso il participio aoristo come when it has been spoken by me.

135

DK B8 vv. 1-49
1 2 3

, ,
4 5
1

possibile, sulla scorta della citazione di Sesto (Adversus Mathematicos VII,


111), che il verso iniziale di B8 costituisse il secondo emistichio (b) di B7.6a
( ). Il testo dei codici di Sesto -
- tuttavia improbabile in epica, dove si attenderebbe , forma
(presente nei codici DE di Simplicio) che, in effetti, alcuni editori
preferiscono; d'altra parte, rettificandola, l'intero verso non reggerebbe
metricamente. Di recente Passa (p. 87) si espresso per la continuit tra B7
e B8, ritenendo di dover accettare come forma autenticamente
parmenidea.
2
In vece di , i codici DEF di Simplicio e LEV di Sesto riportano ; il
codice C di Sesto . Il contesto, tuttavia, suggerisce ladozione
largamente prevalente tra gli editori dell'attuale versione.
3
Sesto in vece di riporta .
4
L'emistichio lezione attestata in Simplicio (commento
alla Fisica 120.23, 145.4, 30.2, 78.13, 87.21 e al De Caelo 557.18),
Clemente e Teodoreto (che tuttavia non considerato fonte indipendente),
originariamente accolta anche da Diels e per lo pi ripresa dagli editori
contemporanei. Nella V edizione dei Vorsokratiker a cura di Kranz, tuttavia,
essa fu sostituita dalla trascrizione dei codici di Plutarco (Contro Colote
1114 c) ( infatti intero [nelle sue membra]), accolta
tra gli altri anche da OBrien e Reale. Come segnala Coxon (p. 195),
potrebbe essere formula introduttiva di Plutarco: Passa fa notare,
tuttavia, come la stessa formula sia ripetuta in B8.33. Proclo cita (commento
al Parmenide 6.1007.25, 6.1084.29-30) in un caso solo , ma,
quando riporta l'intero verso (nello stesso commentario, 6.1152.25), il testo
del primo emistichio . Si ha quindi l'impressione di
una citazione a memoria (in effetti il testo per il resto identico a quello
citato da Simplicio). La forma , come suggerisce Passa (p. 63),
potrebbe essersi insinuata nella tradizione testuale parmenidea a partire
dall'atmosfera pitagoreggiante dell'Accademia, tra II sec. a. C. e I sec. d. C..
Analogamente, deformazione del testo a noi tramandato dai codici
simpliciani potrebbe essere anche , attestato in PseudoPlutarco, Teodoreto ed Eusebio.
5
La ricostruzione del testo di questo secondo emistichio molto controversa. La
versione pi attestata nelle fonti antiche : .

136

[5] , 6,
, 7 ;
; 8

. 9
[10] , , ;
10 .
Tuttavia Simplicio presenta anche (nel commentario alla Fisica 30.2, 78.13,
145.4) la variante . La forma non pare
sostenibile, in quanto ripetizione di del verso precedente. Sulla
variante esistono comunque dubbi e non mancano le trascrizioni alternative
nei codici: , , , .
Il testo potrebbe dunque essere corrotto, dal momento che il suo senso
appare contraddetto da (v. 32) e ...
(vv. 42-3). Accettando la variante di Simplicio e volendone evitare le
implicazioni contraddittorie, Karsten propose di emendare il testo come
(quindi e perfetto), seguito poi da Tarn e Cordero. Owen e altri
(Kirk-Raven-Schofield, McKirahan, sostanzialmente Mourelatos e Coxon)
hanno proposto (e completo). Una minoranza (ma
significativa: Hlscher, Cassin, Leszl, Gemelli Marciano) ha ripreso la
versione di Brandis: .
6
Del verso esiste una variante attestata (con leggere differenze) in Ammonio,
Asclepio, Filopono, Olimpiodoro:
. A seconda della punteggiatura potrebbe rendersi come: poich non
era, non sar, tutto intero insieme, ma solamente, ovvero: poich non
era, non sar, ma solamente, tutto intero insieme.
7
I codici di Simplicio riportano , ; in Asclepio attestato invece
(di natura intera), lezione difesa e preferita da Untersteiner.
8
Alla forma , riportata da alcuni codici di Simplicio, da preferire ,
presente nei codici omerici e per lo pi anche in quelli di Simplicio (che
presentano anche la variante ).
9
Nell'epica forma recente di : essa attestata in Odissea nel
significato originario di debito e in quello secondario di bisogno (che ha
riscontri in lirica e tragedia), come sottolinea Passa (pp. 82-3).
10
I codici attestano qui unanimemente ; al v. 45, dove troviamo
formula analoga, le lezioni si dividono: alcuni codici riportano .
Passa (pp. 80 ss.) ha discusso specificamente il rapporto tra le forme e
, sottolineando come sia accettabile in Parmenide (analogamente a
quanto riscontriamo nel caso di Erodoto) la forma ionica recente ,

137

< > 11

,
[15]
, ,
-
- .
12; ;
[20] 13, , .
14 .
,
, ,
, .
[25] .
mentre sarebbe atticismo: a confermare un meccanismo di
atticizzazione parallelo a quello operante sul testo omerico.
11
Il codice di Simplicio riporta (da ci che non ): lemendazione
proposta da Karsten - consente di concludere la dimostrazione
come si trattasse di dilemma: lessere non pu avere origine dal non-essere
(v. 7), n dallessere, dunque senza origine (). La necessit
dellemendazione analiticamente sostenuta da Tarn (pp. 95-102), ma
combattuta con buone osservazioni da Coxon (pp. 200-201). Accogliamo,
con qualche riserva sia relativamente alla fonte emendata i codici di
Simplicio rendono sostanzialmente in modo unanime il testo emendato sia
alle implicazioni teoriche, la correzione, in considerazione soprattutto del
senso della successiva proposizione .
12
I codici DE di Simplicio riportano , generalmente accettato; il
codice F rende (potrebbe essere ci che , essendo, potrebbe
essere), che una minoranza di editori (tra gli altri Coxon e Cassin) fanno
proprio. Karsten propose di emendare il testo come
(potrebbe poi perire ci che ), soluzione accolta da Kranz (Vorsokratiker,
V edizione), ma oggi abbandonata.
13
La forma [ ] correzione (Preller) non attestata nei manoscritti
simpliciani della edizione di Simplicio, che riportano invece (EF) e
(D).
14
Qui, in vece di (De Caelo A e Fisica F), nei codici DE del
commento al De Caelo abbiamo (incessante), nel commento
alla Fisica (ed. aldina) (incredibile), in Fisica DE il testo corrotto
.

138


,
15 , .
16
[30]
, ,

17 .
.
[35] , 18 19 ,
15

Cordero ha restituito sulla base dei codici EW di Simplicio (Phys.); i


codici DF riportano ( Ea).
16
Della prima parte del verso abbiamo due redazioni: i codici di Simplicio
(Phys.) riproducono (con varianti) ; quelli di
Proclo (in Parmenidem 1134.22, 1177.5/6)
(identico, resta in un identico [luogo]).
17
La prima parte del verso trasmessa con varianti nei manoscritti di Simplicio
(Phys.): (30, 10, 40, 6 EaF) ovvero (30, 10.
40, 6 DE); (146, 6 EF) o (146, 6 D). Da un
punto di vista metrico, non regge; d'altra parte non
forma epica: Cerri (pp. 234-5), che discute ampiamente i problemi
connessi con la scelta del testo greco pi plausibile, propende con riserve
per ladozione della soluzione , accettabile appunto per la misura del
verso. Analogamente Coxon (p. 208). Vari editori (Tarn, O'Brien, Palmer,
Graham), invece, seguendo la proposta di Bergk, espungono ,
conservando la forma epica . Passa (pp. 112 ss.) ha con buoni
argomenti suffragato la scelta di Cerri, marcando come riflettesse in
origine, prima ancora dell'atticizzazione del testo, l'adozione da parte di
Parmenide, autore tardo-ionico, di forme dello ionico parlato, in cui gi era
caduta la pi antica forma indoeuropea [w]: egli avrebbe preferito all'
parlato la sinizesi , la sola grafia adeguata a un testo scritto.
Preferiamo, pertanto, evitare di ricorrere alla espunzione proposta da Bergk,
conservando .
18
I manoscritti di Simplicio riportano , quelli di Proclo , dal
significato sostanzialmente equivalente. O'Brien (p. 55) ipotizza che in
origine la formula di Proclo dovesse essere glossa per precisare il senso di
. La lezione di Proclo adottata da Cordero, seguito da Couloubaritsis.
19
I codici di Proclo e Simplicio (Phys. 146, 8; 87, 15 F; 143, 23-24 EF)
riportano , privilegiato dagli editori; altri manoscritti di

139

< > 20
,
21 22 23,
,
[40] , ,
Simplicio (Phys. 87, 15 DE; 143, 23-4 D) presentano invece
( illuminato).
20
Il testo del codice di Simplicio (Phys. 146, 9) riporta
(nemmeno se il tempo esiste), che, metricamente accettabile, appare poco
sensato nel contesto. Coxon (seguito da Conche) ha accolto la variante
(And time is not), che, a sua volta, non risulta per illuminante.
Tra le proposte per aggiustare il senso del verso troviamo quella di Bergk (n esisteva infatti) e soprattutto quella di Preller (la pi
adottata), che (con qualche perplessit) seguiamo: <> [+
]. Essa riprende (integrandola con la congiunzione ) una citazione
di Simplicio (Phys. 86, 31) . Va dato comunque atto a
Coxon che il suo argomento a favore della lezione di Simplicio in
Phys. 146, 9 buono: essa si trova, in effetti, nel contesto della citazione
continua dei primi 52 versi del frammento (B8), quasi a garanzia di uno
sforzo di attenta trascrizione delloriginale, mentre laltra lezione (Phys. 86,
31) ha pi laria di una libera parafrasi. Le difficolt di questo passaggio
potrebbero dunque suffragare l'ipotesi di interventi di montaggio sulla copia
del poema disponibile a Simplicio.
21
I manoscritti EF di Simplicio (Phys. 146, 11; 87, 1) riportano (D );
l'Anonimo (In Theaet.) (solo); Platone (Teeteto 180 e1), Eusebio,
Teodoreto (come).
22
I manoscritti di Simplicio riportano (Phys. 146, 11) ovvero
(Phys. 87, 1 EF; D ); quelli di Platone, Eusebio,
Teodoreto (e Simplicio Phys. 29, 18; 143, 10) ; l'Anonimo .
23
Il secondo emistichio di difficile decifrazione nei manoscritti. Nei codici di
Simplicio prevalgono tuttavia due lezioni, prevalentemente adottate dagli
editori: (i) (Diels-Kranz, Tarn, Cordero, Coxon,
O'Brien, Conche, Cassin, Reale, Cerri); (ii) (Mourelatos,
Casertano, Kirk-Raven-Schofield, Gallop). Gli accertamenti pi recenti sui
manoscritti sembrerebbero suffragare questa seconda lettura, che ha un
riscontro anche in B9.1. Accanto a varianti secondarie, abbiamo come
lezione alternativa il testo di Platone (Teeteto 180 e1), seguito dal
commentatore anonimo del Teeteto, Eusebio, Teodoreto: ()
. Abbiamo mantenuto la lezione Diels-Kranz perch, nel contesto, ci
sembra pi naturale il senso che se ne pu ricavare, anche in traduzione.

140

.
,
, ,

[45] 24 .
25 , 26
, 27 28
,
29 , 30.

[Fonti principali: vv. 1-52 Simplicio, In Aristotelis Physicam


145-146, vv. 1-14 id. 78]
24

Si veda l'annotazione a , v. 11. In questo caso i manoscritti riportano sia


la forma , sia la forma (sul piano filologico lectio difficilior),
che, come sottolinea Passa (p. 81) difficilmente pu intendersi come
corruzione di . Manteniamo dunque la forma , consapevoli
dell'improbabilit del fatto che Parmenide impiegasse la stessa formula
... , ricorrendo ora a ora a .
25
La lezione dei codici di Simplicio (ovvero ): ledizione
aldina emend in , per lo pi accettato. Diels (1897) prefer
lalternativa (= ), forma rara dellindefinito.
26
La forma attestata in Simplicio (Phys. DE), accolta dagli editori.
Simplicio F riporta invece .
27
Il testo dei codici di Simplicio , emendato da Karsten in .
28
La forma emendazione di Karsten: i codici DEF di Simplicio riportano
; l'edizione aldina .
29
La lettura (dativo del pronome personale) si affermata nel corso
dellultimo secolo, a partire dalla proposta di Diels, il quale per intendeva
come un relativo (verso cui). I manoscritti (DEF) di Simplicio riportano
(articolo determinativo ovvero dimostrativo), emendato nelledizione
aldina come (espressione omerica per in effetti, certo).
30
Cos gi leggeva Diels; i manoscritti di Simplicio riportano in effetti
(EF), ovvero (D): emendazione degli editori.

141

Unica1 parola2 ancora, della via3


che4 , rimane; su questa [via] sono5 segnali6
1

Il complesso della costruzione greca (aggettivo, avverbio, sostantivo e verbo)


accentua la connessione logica del frammento con
quanto precede: prospettate le due vie, esclusa una delle due come
impercorribile, discusse le contaminazioni dei mortali, rimane una sola via
da esaminare, quella, appunto, . Sebbene chiaramente laggettivo

mnoj si riferisca a , molti traduttori di fatto lo applicano a :


One path only is left for us to speak of (Burnet), ovvero So bleibt nur
noch Kunde von Einen Wege (Diels), One way only is left to be spoken
of (Raven).
2
Ricordiamo che il termine ricorreva gi in B2.1, qualificato dalla fonte
divina: la parola (ovvero il discorso) proferita dalla Dea doveva essere
accolta, meditata e custodita dal kouros. Il valore del termine sembrerebbe
dunque nel contesto quello di parola, discorso di Verit. Nella relativa nota
di B2.1 abbiamo richiamato alcune recenti posizioni interpretative: Morgan
(K. Morgan, Myth and Philosophy From the Presocratics to Plato, cit., pp.
17-18) sottolinea nelluso di mythos il valore di authoritative speech act;
Couloubaritsis (La pense de Parmnide, cit., p. 541) insiste sullo stesso
valore con una traduzione poco familiare: ma faon de parler autorise.
3
Il genitivo per lo pi reso come genitivo oggettivo, di argomento, in
relazione a , di cui specificherebbe il contenuto. Cerri (p. 219) difende
una sua interpretazione partitiva (di via, resta soltanto una parola),
riferendolo alle vie prese in esame.
4
Il valore della congiunzione sarebbe secondo Mansfeld (p. 93)
complesso: non significherebbe semplicemente che, ma anche come.
Per tale valore si veda il parallelo di B1.31.
5
Coxon (p. 194) sottolinea la contrapposizione tra e il successivo
(v. 55) (posero segni): alla convenzionalit
dellimposizione umana opposta l'oggettivit delle evidenze dellEssere.
6
Il greco pu rendersi nel contesto come indizi, segnali, anche
evidenze (monuments, Coxon p.194). Essi possono essere intesi anche
come i riferimenti che consentono di mantenere la propria direzione lungo
una via: essi garantirebbero, in altre parole, al pensiero di non perdersi. Cos,
secondo Cordero (By Being, It Is, cit., p. 168), i sarebbero
indicazioni, prove del carattere necessario e unico del fatto di essere:
pietre miliari e segnavia che indicano che il pensiero sta seguendo la via
giusta. Thanassas (p. 44), a sua volta, ritiene che i rigorosamente
parlando non siano da intendere come segni dellEssere, ma della sua via,
con la funzione, quindi, di guidare lungo il percorso di conoscenza
dellEssere: il concetto di assicurerebbe alla via la determinazione

142

specifica. A Thanassas (pp. 54-5) si deve soprattutto un rilievo: i segni


fungerebbero essenzialmente da monito contro possibili deviazioni dalla via
dellEssere, quindi non tanto da attributi positivi, piuttosto da segnali
negativi, che escludono ogni sovrapposizione con il Non-Essere. Un aspetto
valorizzato anche da Scuto (G. Scuto, Parmenides Weg. Vom WahrScheinenden zum Wahr-Seienden. Mit einer Untersuchung zur Beziehung
des parmenideischen zum indischen Denken, Academia Verlag, Sankt
Augustin 2005, p. 142): tutti i segni ricavati da Parmenide sarebbero
conseguenze necessarie e inconfutabili della applicazione del principio di
fondo secondo cui lessere non pu sorgere dal non-essere. La Stemich (pp.
211-2) propone di analizzare i segni in quanto indicatori e a un tempo
strumenti di orientamento per il kouros, segnavia ma anche descrittori della
sua condizione spirituale nel momento in cui attinga la conoscenza. Da
ricordare, in ogni caso, che il termine designa anche i segni augurali
interpretati dagli indovini (Cerri p. 219); per Mansfeld (p. 104) il
mezzo di rivelazione di una potenza superiore. Leco religiosa potrebbe
essere deliberatamente evocata dallautore anche per predisporre la propria
audience (interna ed esterna) alla disamina successiva. Sempre Mansfeld
segnala (p. 104) come sia sinonimo poetico di , termine che
ritroviamo in Melisso (B8) e negli usi giuridici. Mourelatos (p. 94) inserisce
linterpretazione dei allinterno del motivo della quest: per
raggiungere il fine della quest necessario percorrere la strada ; per fare
ci necessario tenere docchio i segnavia. Rimanendo fedele
allimmaginario epico, Mourelatos propone di leggere i segnavia come
imperativi del tipo: cerca sempre ci che .. Di recente Chiara
Robbiano (pp. 108-9) ha segnalato il nesso tra e : essi, in
effetti, come rivela la letteratura arcaica, possono essere usati per provare,
mettere alla prova (sottoporre a elenchos) lidentit di una persona.
Robbiano si riferisce allepisodio del riconoscimento di Odisseo da parte di
Penelope, dove il termine messo in relazione alla verifica
dellidentit del mendicante: offrendo segni che Odisseo persuade della
propria identit. Sempre alla Robbiano (pp. 125-6) dobbiamo il rilievo circa
il nesso tra e loro interpretazione. La dea guida attraverso ,
che laudience deve interpretare. La consapevolezza della necessit di
interpretare segni per giungere alla verit richiamerebbe Eraclito DK 22
B93:
, ,

Il signore che ha il suo oracolo in Delfi non dice, non
nasconde, ma d segni.
Il modello che la dea in questo caso evocherebbe sarebbe, dunque, quello di un
dio che invia segnali ai mortali, per far loro conoscere cose normalmente

143

molto numerosi: che7 senza nascita8 ci che 9 e senza morte ,


10

fuori della loro portata. La Robbiano, per altro, concorda con Cerri (p. 214)
sul fatto che non si riferirebbe ai predicati enumerati in B8.2-6, ma
ai successivi argomenti. A una funzione essenzialmente argomentativa dei
ha pensato invece Colli (Gorgia e Parmenide, cit., p. 146): i
segni costituirebbero gli argomenti della dimostrazione, coincidendo di
fatto con gli attributi fondamentali dellessere. Essi sarebbero in parte
dimostrati nel seguito, in parte assunti senza dimostrazione, fungendo da
medi aristotelici e contribuendo al carattere razionale della dimostrazione.
7
Della proposizione introdotta da ( )
esistono varie traduzioni possibili: (a) intendendo come congiunzione
dichiarativa: Being is ungenerable and imperishable (Tarn p. 85); whatis is ungenerable and imperishable (Mourelatos p. 94); (b) intendendo
come congiunzione causale: since it exists it is unborn and imperishable
(Guthrie p. 26); tant inengendr, <il> est aussi imprissable (OBrien, p.
171); analogamente Colli (Gorgia e Parmenide, cit., p. 146). La costruzione
a pu (e probabilmente intende nel nostro contesto) indicare sia
la significazione del come (dellEssere) in senso descrittivo, sia il che
(dellEssere) in senso dichiarativo. I segni devono rivelare l e dunque la
loro funzione pu sembrare quella di indicare il che; al contempo,
manifestandolo, consentono di prendere consapevolezza della sua natura
(per cui il come potrebbe essere giustificato). Da apprezzare (secondo
Mourelatos, p. 95), infine, la struttura che viene introdotta a partire da questo
punto: Parmenide annuncia programmaticamente tutti i segnavia, quindi
procede a una loro giustificazione.
8
Il greco ricorre in pensatori contemporanei o di poco posteriori a
Parmenide, come Eraclito (citazione di Ippolito di B50):
. ,
, , , ,
,
. .
Eraclito sostiene che il tutto diviso indiviso, generato
ingenerato, mortale immortale, logos eterno, padre figlio, dio
giusto, e afferma: non me ascoltando, ma il logos, saggio
convenire che tutto uno,
ed Empedocle (B7, dal Lessico di Esichio):
: .
Ingenerati: gli elementi secondo Empedocle.

144

L'aggettivo indica dunque ci che ingenerato in contrapposizione a ci che ha


nascita (Eraclito), ovvero gli elementi primordiali, che non sono generati da
altro ma che tutto generano. Diogene Laerzio sostiene (IX, 19) che Senofane
sarebbe stato il primo ad affermare che tutto ci che generato
corruttibile ( , ).
Secondo Coxon (p. 195), il termine potrebbe essere di conio parmenideo.
Della stessa idea Mourelatos (p. 97), secondo cui esso ricorrerebbe qui per la
prima volta nella letteratura greca, assumendo un significato pi forte del
semplice ingenerato: in Parmenide escluderebbe ogni forma di
processo in cui qualcosa venga allessere. Possiamo qui notare di passaggio
che la caratteristica essenziale dei segni parmenidei quella di presentarsi
come negazioni (alfa privativo + aggettivo) di qualcosa di significante
allinterno del linguaggio e della esperienza dei mortali (Ruggiu p. 277).
9
Come gi segnalato, traduciamo come ci che , segnalando invece
come lessere: per noi si tratta di espressioni sinonime, ma la seconda,
con larticolo, la formula pi astratta. Nel contesto , come forma
participiale, potrebbe essere reso con valore verbale (come fa, per esempio
Leszl, p. 171): essendo ingenerato anche imperituro. In tal caso, per, le
altre determinazioni rischierebbero di essere subordinate alle prime due. Si
pu segnalare in questo contesto quanto sottolineato da Scuto (op. cit., p.
141), secondo cui in Parmenide assisteremmo al passaggio da un valore
ancora temporale del participio a un significato atemporale: si tratterebbe di
una netta correzione nella direzione dell'astrazione, con cui dallesperienza
della costante mutevolezza degli enti si concluderebbe nella certezza di un
essere sottratto al tempo.
10
Lespressione , come la precedente - - formata con lalfa
privativo, indica letteralmente ci che senza distruzione [morte]
(). Si tratta di termine veramente raro nella letteratura arcaica:
prima di Parmenide ricorre una volta in Omero (Iliade XIII.761); dopo
Parmenide ricompare per la prima volta solo in Platone (Cerri, p. 220). Nella
testimonianza di Aristotele (Fisica III, 4 203 b13, DK 12 A15; 12 B3), in
riferimento ad Anassimandro, abbiamo:
[B
3],
E tale sembra essere il divino; infatti immortale e
imperituro, come dicono Anassimandro e la maggior parte dei
filosofi della natura.
Ci potrebbe significare che laggettivo era stato effettivamente impiegato dai
pensatori arcaici: Conche (p. 131) convinto che il termine sia
anassimandreo. In ogni caso, i due aggettivi ingenerato e imperituro
corrispondono alle tradizionali connotazioni degli dei come sempre esistenti,
immortali.

145

tutto intero 11, uniforme12, saldo13 e senza fine14;


11

Il termine (che rendiamo come tutto intero per dar ragione sia della
totalit sia della integrit implicite) di diretta eco senofanea:
, ,
Tutto intero vede, tutto intero pensa, tutto intero ode (DK 21
B24).

12

Nonostante le difficolt rilevate (Kranz, poi ripreso da Reale) nell'uso di


dopo (v. 3), Tarn (p. 92) ha buon gioco nel marcare
il valore derivato dellaggettivo, che anche in Eschilo (Agamennone 808)
non ha significato letterale di unigenito, ma quello di unico. Cerri (p.
221), collegando allepiteto sacrale di Ecate (secondo Esiodo,
Teogonia 426, 488), valorizza la metafora arditissima proprio nella
contraddizione sarcastica ad . In realt la radice * esprime sia
la nozione di nascere, divenire, sia quella di essere, esistere. Il
termine potrebbe alludere a piuttosto che a e
dunque veicolare lidea di unicit. Mourelatos (pp. 113-4) suppone che
Parmenide usi in diretta opposizione alla formula tradizionale
per esprimere distinzioni, familiare da Esiodo:
,

Non cera dunque un solo genere di Eris; sulla erra
ce ne sono due (Opere e giorni 11-12).

Laggettivo si contrapporrebbe a (B8.53): dietro


ci sarebbe dunque il rifiuto della contrariet. Alcuni interpreti
(Barnes, per esempio) associano a : "monogeneity" e
immobilit sarebbero poi contestualmente riprese ai vv. 26-33. Secondo R.J.
Hankinson ("Parmenides and the Metaphysics of Changelessness", in Presocratic Philosophy, cit., p. 73) questa soluzione grammaticalmente pi
consona rispetto alla associazione alternativa a , sebbene rimanga
preferibile considerare l'aggettivo indipendentemente, nel significato di
uniforme.
13
Laggettivo esprime stabilit, solidit, immutabilit: Conche (p. 133)
vi coglie la calma dellEssere, in contrasto con linquietudine degli enti.
Coxon (p. 195) associa laggettivo alle successive espressioni (vv.
26 e 38: immobile), (v. 29: identico e
nellidentica condizione perdurando) e (v. 30:
stabilmente dove rimane): esse denoterebbero identit esente da
mutamento temporale. Alle stesse connessioni rinvia anche McKirahan (R.
McKirahan, Signs and Arguments in Parmenides B8, in The Oxford

146

[5] n un tempo15 era16 n [un tempo] sar, poich17 ora18 tutto insieme19,
Handbook of Presocratic Philosophy, edited by. P. Curd D.W. Graham,
O.U.P., Oxford 2008, p. 210), il quale per insiste nel suggerire che
laggettivo sia inteso a esprimere il fatto che ci-che- pienamente e non
pu cessare di essere pienamente, effetto dei limiti che costringono la sua
natura. Esso sarebbe, quindi, impiegato per indicare qualcosa di pi e di
diverso dalla mera assenza di cambiamento e movimento fisico. Colli
(Gorgia e Parmenide, cit., p. 147), tra gli altri, leggendo il verso come
, lo avvicina a Platone, Fedro 250 c3:


integralmente perfette e semplici e senza tremore e felici
erano le visioni cui eravamo iniziati.
Si tratterebbe di un riferimento ai misteri eleusini, dove
(integralmente perfette) corrisponderebbe a , indicando la
completezza di struttura fisica, mentre ritorna identico, evocando
di Verit ben rotonda il cuore fermo (
B1.29). La ripresa platonica suggerirebbe allora una direzione interpretativa
alternativa: uno sguardo sul mondo della altheia indimostrato, il cui
apprendimento intuitivo, tanto da essere paragonato alla conoscenza
misterica.
14
Leggo con DK, Coxon, OBrien, Conche, Reale, Heitsch e
altri attestato da Simplicio. Il valore da attribuire a dovrebbe
essere, nel contesto, quello di senza fine, senza termine. Cerri (pp. 2223) interpreta laggettivo letteralmente come incompiuto, riferendolo, senza
interpunzione, alla riga successiva: incompiuto mai fu un tempo, n sar,
poich ora tutto omogeneo. Da notare che Simplicio (Phys. 30, 4),
volendo accostare Parmenide a Melisso, asserisce che lessere di Parmenide
, con ci intendendo probabilmente (Tarn, p. 93).
15

16

Intendendo e come formula avverbiale, avremmo non mai,


giammai. Abbiamo preferito conservare e come avverbio separato dalla
negazione, riferendolo sia a sia a . Ruggiu (p. 283) interpreta
come indicatore della generale dimensione temporale, cui Parmenide
contrapporrebbe l rafforzato dal , a esprimere il presente
atemporale.
In questo verso, come ha fatto giustamente osservare OBrien (Ltre et
lternit, in tudes sur Parmnide, sous la direction de P. Aubenque,
Tome II Poblmes dinterprtation, p. 149), gli avverbi (, ) sono
fondamentali come le tre forme verbali di (, , ).

147

17

Non chiaro se si riferisca immediatamente solo a o anche a


, , , cio se anche questi attributi concorrano alla
determinazione delle due affermazioni iniziali del v. 5:
: appare, in effetti, pi semplice escludere la possibilit che ci che
() sia stato (e in qualche modo non sia pi) o debba essere in futuro (e in
qualche modo non sia ancora) per il fatto che esso ora tutto insieme, uno e
compatto, cio che pienamente, senza mancare di alcunch che coinvolga
in qualche modo non (McKirahan, p. 207).
18
Lavverbio , come giustamente sottolinea Coxon (p. 196), non denota un
istante o una unit temporale, ma la simultaneit. Secondo Conche (p. 136),
lessere , ora, irriducibile a un istante senza durata, o a una durata
temporale, che implichi successione di prima e poi. Cos lora
indicherebbe una durata senza successione (come il durare di Dio
secondo Tommaso). OBrien (tudes, II, pp. 335-362) sottolinea il nesso
con e : la Dea intenderebbe escludere generazione e
corruzione e dunque, in quanto ingenerabile e indistruttibile, lEssere
sarebbe eterno. Secondo Cordero (By Being, It Is, cit., p. 171) Parmenide usa
il tempo presente per marcare la presenza propria dellora (),
cio il permanente presente dellessere: lessere non avrebbe nulla a che fare
con il tempo strutturato in momenti temporali. A queste letture si
contrappongono tradizionalmente quelle che, nel rilievo dellavverbio
temporale e nella contestuale negazione di passato e futuro, colgono la
presenza di una concezione ardita e profonda: lEssere sarebbe presente
eterno, fuori dal tempo. Privilegiano questa dimensione della atemporalit
dellEssere parmenideo, tra gli altri, Calogero, Mondolfo, Gigon,
Untersteiner, Reale (e Ruggiu nel suo commento). Mourelatos (pp. 103 ss.)
ritrova nelluso parmenideo dell il richiamo a una pratica consolidata in
ambito matematico: proposizioni senza implicazioni temporali (tenseless)
sono le verit necessarie - definizioni, verit classificatorie e implicazioni
logiche cui la predicazione speculativa di Parmenide si sarebbe ispirata.
In B8.5 lenfasi ancora su , che suggerirebbe un
condizionamento temporale. Il senso del verso, tuttavia, sarebbe, secondo
Mourelatos: n mai era, n sar, n ora, dal momento che semplicemente
. In direzione analoga si muove Thanassas (p. 47), per il quale lintenzione
di Parmenide in B8.5 sarebbe quella di marcare lirrilevanza dello sviluppo
del tempo in passato, presente e futuro per il suo progetto ontologico:
lEssere non nel tempo, non ha storia n futuro, risultando estraneo a ogni
mutamento. Tarn (p. 95) insiste, a sua volta, per intendere il verso nel senso
di una continua durata temporale. significativo, comunque, che sia assente
una esplicita argomentazione di , che per McKirahan (p. 206)
sarebbe conseguenza di ci-che- (B2.7-8, B6.1-2) e riconducibile
allessenziale pienezza dellessere di ci-che-. Hankinson ("Parmenides and
the Metaphysics of Changelessness", cit., p. 73) propone una lettura

148

uno20, continuo21. Quale nascita22, infatti, ricercherai di esso?

originale: in forza degli attributi che possiede ora (completezza,


autosufficienza ecc.), non ha senso supporre che possa non esistere in
qualche momento del passato o del futuro.
19
Conche (pp. 137-8), che valorizza il nesso con lavverbio precedente, traduce
come tout entier la fois, accostandolo al tota simul con cui
Boezio (e poi Tommaso) caratterizzava leternit.
20
Tra i segni destinati a gravare sul destino del pensiero parmenideo, questo
senzaltro il pi importante. Nel contesto, tuttavia, solo uno dei segni,
inserito in una sequenza - , , in cui lautore sembra
insistere sulla compiutezza, integrit e omogeneit dellessere piuttosto che
sulla sua unicit. Come opportunamente marcato da McKirahan (p. 215),
infatti, probabile che e fossero sostanzialmente intesi come
sinonimi, in relazione al gruppo di attributi , , , la
cui giustificazione argomentativa ritroviamo ai vv. 22-25. Come giustamente
rileva Conche (p. 138), lessere uno, non lUno della posteriore
tradizione platonica-neoplatonica. Alla lezione , di Simplicio,
Untersteiner preferisce quella alternativa di Asclepio: , un tutto
naturale. Coxon osserva (p. 196) che questo lunico luogo in cui sia usato
da Parmenide il termine , il cui posto sar poi preso da o (v.
22), con cui qui e in v. 25 virtualmente sinonimo. Mourelatos
(p. 95, nota) legge come un unico blocco , interpretando
come predicato modificato dallavverbio e dal pronome : il senso
complessivo sarebbe all of it together one. Secondo Cordero (By Being, It
Is, cit. p. 177), Parmenide intenderebbe marcare come il fatto dessere sia
denominatore comune a tutte le cose, affermando che esso unico, non che
tutte le cose sono uno ovvero che lessere lUno. Ruggiu (p. 286), pur non
accettando la variante , ritiene che lEssere valga come intero:
esso non espungerebbe il molteplice, ricomprendendolo piuttosto in s.
21
Laggettivo , in relazione con il precedente , sottolinea il fatto che
ci che uno con se stesso (Conche p. 139). Non del tutto perspicua
la connessione di questa ultima serie di attributi con quella introdotta ai vv.
3-4: si tratta di implicazioni dei precedenti ovvero di nuovi attributi? In ogni
caso, qui termina lelenco dei segni. Da questo momento in avanti si apre la
loro discussione argomentativa, che altri (per esempio Heitsch, Leszl,
Plamer) fanno iniziare dal v. 5.
22
Il termine potrebbe tradursi pi semplicemente con origine, ma,
seguendo il suggerimento di Coxon (p. 197), insistiamo sul valore biologico
della espressione. possibile che come nota la Stemich (Parmenides Einbung in die Seinserkenntnis, cit., p. 214) in questo passaggio il filosofo
contrapponga alla comune accezione religiosa (per cui le divinit sono s

149

Come23 e donde cresciuto 24? Da ci che non non permetter25


che tu dica e pensi; non infatti possibile dire e pensare 26
che non 27. Quale bisogno28, inoltre29, lo avrebbe spinto 30,
[10] originando31 dal nulla, a nascere32 pi tardi o33 prima34?
immortali, ma non senza nascita) la sua concezione dellessere, appunto
senza nascita e senza morte.
23
La formula interrogativa potrebbe rendersi (con OBrien e Cassin):
verso dove e da dove?, accentuandone le implicazioni spaziali, insistendo
cio su direzione e verso della crescita. Anche Mourelatos (p. 98, nota),
attribuisce senso locale a .
24
Il passaggio dal sostantivo () al participio aoristo (), con
relativo cambio di sintassi, e il successivo (v. 8) implicito riferimento
allinfinito aoristo (essere cresciuto) in relazione agli infiniti
e , evocherebbero, secondo Coxon (p. 197) una tipica
situazione di dibattito (quindi di oralit). McKirahan (p. 193) ha sottolineato
le implicazioni tra le tre domande: assumendo che generazione e crescita
siano equivalenti (come ragionevolmente attestato dai successivi vv. 9-10),
la seconda e la terza domanda possono essere interpretate come riferentesi
alle sue condizioni necessarie: la generazione un processo (come) che
richiede unorigine (donde).
25
La formula (futuro preceduto dalla negazione) vuol marcare la
proibizione logica imposta e fatta rispettare dalla razionalit della Dea.
26
Letteralmente dovrebbe rendersi come non
infatti dicibile e pensabile, con la proposizione introdotta da come
soggettiva. I due aggettivi - e hanno dunque
complessivamente il senso di cosa che si possa dire e pensare.
27
Hankinson ("Parmenides and the Metaphysics of Changelessness", cit., p. 77)
suggerisce come soggetto implicito di the potential generator:
la generazione dal non-essere che impensabile.
28
La formula ; corrispettivo poetico dellordinario interrogativo
; quale circostanza? (Coxon p. 198). Gemelli Marciano (II, p. 87)
rinvia a Pindaro e Eschilo per la sua traduzione (Verpflichtung, dovere,
servizio).
29
Come segnalato da O'Brien nel suo commento (p. 50), la funzione di in
questo caso non solo avverbiale: esso rinforza l'interrogazione.
30
Rendiamo in questo modo la forma irreale dellinterrogativo (che
suggerisce una risposta negativa) veicolata da + laoristo.
31
Rendiamo in questo modo il participio aoristo , che in realt
dovrebbe implicare anteriorit rispetto all'azione espressa dall'infinito :
altri preferiscono ricorrere a perifrasi: se comincia dal nulla (Pasquinelli),
se fosse nato dal nulla (Cerri), se trae inizio dal nulla (Tonelli).

150

Cos35 necessario 36 sia per intero o non sia per nulla37.


32

L'infinito aoristo pu essere reso come nascere\sorgere o crescere: i


traduttori si dividono.
33
La particella pu avere funzione disgiuntiva (o), ovvero esprimere una
comparazione (= quam).
34
Traduco letteralmente . Le versioni pi diffuse sono:
frher oder spter (Diels), prima o poi (Calogero), later or sooner
(Tarn), dopo o prima (Reale), dopo piuttosto che prima (Cerri), later
or before (Coxon), plus tard, plutt qu [] auparavant (OBrien). In
effetti comparativo dellavverbio, ma no: quindi,
letteralmente pi tardi che [\o] prima, sebbene la costruzione possa
sembrare asimmetrica.
Nei versi 9-10 avremmo una delle prime applicazioni del cosiddetto principio
di ragion sufficiente: nulla si verifica senza una ragione sufficiente a
spiegare perch si verifichi cos e non altrimenti. Secondo Conche (p. 141),
si tratterebbe della seconda applicazione, dopo quella di Anassimandro (per
dimostrare la centralit immobile della Terra nel cosmo), e dominerebbe nel
complesso il pensiero dellessere di Parmenide. Una opinione diversa in
proposito espressa da Leszl (pp. 182-5), che interpreta come se Parmenide
intendesse marcare lassenza di una ragione (causa) perch lessere si generi
in un qualsiasi momento: il non-essere, nella sua completa negativit, non
potrebbe offrirne alcuna. In realt, come viene rilevato acutamente da
McKirahan (p. 194), delle due possibili traduzioni di ,
pi tardi o pi presto ovvero pi tardi piuttosto che pi presto, la prima
evidenzia come manchi una ragione per cui ci che debba generarsi, cio
non ce ne sia in alcun momento; la seconda, invece, in modo pi sofisticato
e coinvolgendo il principio di indifferenza, sottolineerebbe come non ci
sia ragione perch esso si generi in un momento qualsiasi piuttosto che in
un altro. Sempre McKirahan osserva come largomento sia formulato in
termini di domanda retorica, che presuppone una risposta del tipo: in
nessuna circostanza, da ci che non potrebbe generarsi qualcosa.
35
McKirahan (p. 194) ha contestato la tradizionale traduzione di come
cos, perci, che introdurrebbe la conclusione di un'argomentazione.
Secondo lo studioso, infatti, in tal caso il senso del v. 11 appare nel
contesto - problematico: pi naturalmente collegato
all'analisi dei successivi vv. 22 ss., piuttosto che a quel che immediatamente
precede. La sua proposta dunque quella di tradurre lavverbio
collegandolo alla alternativa : il suo valore sarebbe
allora in questo modo (cio essendo ingenerato). La sua funzione
sarebbe prolettica: quanto detto nel contesto sarebbe rilevante per la
discussione successiva. A noi pare, comunque, che B8.11 concluda un
passaggio (esclusione della generazione) dell'argomento avviato nei versi
precedenti. In questo senso confermiamo la traduzione pi comune.

151

N mai <dallessere>38 conceder forza di convinzione 39


36

McKirahan (p. 194) traduce come giusto: il suo significato nel contesto dellalternativa - sarebbe quello di
prospettarne i corni come le uniche possibilit da considerare
relativamente a ci che .
37
Come segnala Coxon (p. 199) la formula sta per
o non deve essere per niente. Parmenide sottolinea la
contraddizione e lesclusione di una terza via (adottando di fatto il principio
del terzo escluso): la via dellessere esclude non solo la via del non-essere,
ma anche un'impossibile combinazione tra essere e non-essere (Conche p.
142). Secondo Mourelatos (p. 101), questo verso non costituisce elemento
della prova successiva, ma serve solo a ricordare la krisis radicale, la
decisione, operata in connessione con le due vie.
38
Avendo accolto con cautela la correzione di Karsten del testo trdito,
dobbiamo comunque osservare che lo stesso Simplicio, parafrasando due
volte il nostro passo (Phys. 77, 9; 162, 11), offre il senso della emendazione:

(
)
Anche Parmenide infatti sosteneva che l'essere in senso
pieno ingenerato: mostrava che esso non si genera n
dall'essere (poich non c' qualche essere oltre a esso), n dal
non essere (162, 11).
D'altra parte, analoga impostazione dilemmatica attestata anche da Aristotele
in un celebre passo della Fisica (I, 8 191 a28-33), con chiara allusione anche
agli Eleati (Palmer Parmenides & Presocratic Philosophy, cit., pp. 129133 - ha contestato, con buoni argomenti, che il testo si riferisca
esclusivamente agli Eleati):
,
.

,


,
( )
.

.

152

che nasca qualcosa40 accanto41 a esso 42. Per questo43 n nascere


n morire concesse Giustizia44, sciogliendo le catene45,
Che cos solamente si risolva anche la difficolt dei pensatori
antichi, lo diremo in quel che segue. Coloro, infatti, che per
primi hanno indagato in modo filosofico la realt e la natura
delle cose furono sviati come spinti lungo una via diversa dalla
loro inesperienza. Essi sostengono in effetti che degli enti
nessuno n si genera n si distrugge: poich ci che si genera,
necessariamente, si genera o da ci che o da ci che non , ma
impossibile che ci accada in entrambi i casi. L'essere, infatti,
non si genera (perch gi) e nulla pu generarsi dal non essere,
dal momento che qualcosa deve fungere da sostrato. E
sviluppandone ulteriormente le conseguenze, affermavano allora
che non esiste il molteplice, ma solo l'essere stesso.
39

Lespressione variamente tradotta: la forza di una certezza


(Reale), forza di prova, ovvero forza di argomentazione (Cerri). In ogni
caso, come osserva Cerri (p. 224), chiaro dal contesto che termine
da Parmenide impiegato nel valore di convinzione razionale. Coxon (p.
199) rileva come lEleate scelga di esprimersi come se la certezza (,
appunto) avesse un potere attivo e non solo critico.
40
Nel Conche (p. 145) coglie un riferimento allente: dallessere non pu
essere generato n lessere n un ente qualunque (esso non potrebbe che
essere generato da un altro ente).
41
Attribuiamo a valore locativo. In alternativa gli interpreti propongono
oltre a, ovvero in addizione a.
42
L'infinitiva sembrerebbe giustificare la scelta della
variante di Karsten - . Difficile, infatti, trovare altrimenti un
senso. Per chi assume la lezione dei codici - pi naturale
cogliere in un riferimento al non-essere, che appare per problematico:
si dovrebbe ammettere che la Dea introduca ipoteticamente l'esistenza del
non-essere (contraddicendo i precedenti divieti), per marcare come da esso
nulla di diverso possa derivare ovvero nulla accanto, oltre a esso possa
sorgere. Mourelatos (pp. 101-2), che segue il testo greco non emendato,
riferisce comunque il pronome a ci che : nella sua lettura lespressione
che da ci-che-non- qualcosa venga a essere accanto a esso - interpretata
come equivalente a (accrual, accretion) - suggerisce lidea
di crescita come addizione (accretion) a qualcosa gi esistente.
43
La preposizione , con il dimostrativo, introduce quel che segue
come conseguenza di quel che precede (Conche p. 146).
44
Intendo come nome personale: Conche (p. 146), invece, nega
consistenza mitica al riferimento, riconoscendolo come metafora della
legge dellessere. Dike svolge in questo contesto quel tradizionale ruolo

153

[15] ma [lo] tiene46. Il giudizio47 in proposito48 dipende da ci:


o non . Si dunque deciso, secondo necessit 49,
di lasciare luna [via] impensabile [e] inesprimibile 50 (poich
non
una via genuina51), e che laltra invece esista e sia reale 52.
equilibratore, di preservazione delle distinzioni e dei limiti, che abbiamo
notato nel proemio. In questo caso come osserva Robbiano (p. 163) il
limite che la dea deve rigidamente sorvegliare quello che (al v. 42)
definito , limite estremo, allinterno del quale riposa
sicura lintera realt. Leffetto allora quello di fungere, in quanto rigorosa
garante della separazione (tra essere e non-essere), da sorvegliante
dellinterezza e integrit dellessere.
45
I termini impiegati da Parmenide (, , nella riga successiva
) insistono sul lessico giudiziario, probabilmente per rendere con
efficacia la forza della necessit logica. In effetti, come sottolinea Cordero
(By Being, It Is, cit., p. 171), Dike, con Ananke e Moira, assicura a un tempo
l'immutabile identit di ci che e linesorabilit della via.
46
Intendiamo come oggetto sottinteso di , per analogia a quanto sotto
(verso 26) affermato, appunto a proposito di .
47
Il termine greco cos come il successivo verbo veicola
ancora, insieme alla formalit del giudizio, lautorevolezza della decisione: a
marcare la forza razionale del passaggio nella dimostrazione della Dea.
esplicito nel contesto il riferimento all'alternativa di B2: .
In questo senso, Mourelatos ritiene che i vv. 17-18 abbiano la funzione di
richiamare (come il v. 11) la decisione tra le due vie.
48
Letteralmente: a proposito di queste cose, ovvero sulla questione della
generazione e della corruzione o della nascita e della morte.
49
Letteralmente come necessit: rendiamo (preceduto da ) con
il suo valore generico, non personale.
50
La coppia di aggettivi (proposti senza congiunzione)
sono, a nostro avviso, da intendersi congiuntamente come connotazione
dellimpalpabilit della seconda via (
).
51
Lespressione si riferisce al fatto che la via che
non ( ) non conduce in vero da nessuna parte e, in questo
senso, non una via genuina (vera). Conche (p. 147) insiste piuttosto sul
fatto che non si tratti della vera via: in altre parole, di una via che conduca
alla Verit. A conclusione del verso troviamo, invece, lespressione
, che sottolinea come laltra [via] invece
esista e sia reale, cio una via che conduce effettivamente a una
destinazione. Coxon (p. 168) ricorda come nelle occorrenze del poema,
(B1.29) e (B8.17, 39) si riferiscano non al pensiero o al

154

E come potrebbe esistere 53 in futuro lessere 54 ? E come potrebbe essere nato 55?
[20] Se nacque, infatti, non 56, e neppure [] se57 dovr essere58 in futuro.
linguaggio ma alla realt oggettiva. Cordero (By Being, It Is, cit., p. 179)
sostiene che per Parmenide la verit prerogativa di un logos presentato da
una via: solo per illegittima generalizzazione, la via stessa sarebbe da
considerare vera. La verit risiede in un logos che, se valido, ha il privilegio
di essere accompagnato dalla verit: cos B2.4 recitava:
- (di Persuasione percorso a Verit,
infatti, si accompagna). Pi avanti (B8.51) Parmenide, introducendo la
sezione del poema dedicata alla Doxa, utilizzer la formula []
(pensiero intorno alla Verit). Anche per la Wilkinson (Parmenides and To Eon, cit., pp. 87 ss.) impropriamente una via pu definirsi
vera: seguendo Mourelatos, ella suggerisce che nel poema si
riferisca non alla via ma alla dea: la verit connessa a Persuasione, ,
che sarebbe la dea stessa del poema; al centro del poema ci sarebbe il
riferimento al discorso della dea; la via potrebbe intendersi come il mio
discorso .
52
Il valore di (vero, genuino, reale) sostanzialmente coincidente con
quello di : i due termini sono impiegati sostanzialmente come
sinonimi. Per le differenze Germani, op. cit., pp. 184-5.
53
Coxon (pp. 202-3) difende il testo del codice F: o
, e, rilevando in formula ricorrente (tre volte) in
Omero, in cui lavverbio si riferisce alle asserzioni che seguono,
rende diversamente lintero verso: And how could what becomes have
being, how come into being?. Il senso sarebbe quello di contestare che ci
che diviene (what becomes) possa essere Essere o diventare Essere. La
variante (oggi trascurata) di Karsten -
(potrebbe poi perire ci che ) - invece, introdurrebbe un argomento
contro la corruzione.
54
Qui Parmenide usa eccezionalmente lespressione .
55
Ovvero venuto a essere o divenuto, essere stato.
56
Tarn (p. 105) ritiene che il senso dellaffermazione si colga nella
contrapposizione tra il passato ipotetico di aoristo che pu
riferirsi sia al processo compiuto di venire ad essere, sia a una condizione
remota (fu) - e il presente di : dunque, se venuto a essere, ora
diverso da come fu (Tarn p. 105). Analogamente per il secondo emistichio:
se sar, se avr da essere, ora diverso da ci che sar. Anche Mourelatos
(pp. 102-3) richiama lattenzione sulla scelta dei modi e dei tempi verbali di
questo passaggio: , ottativo, non porta riferimento al tempo; o,

155

Cos estinta59 nascita e morte oscura60.


aoristo, si riferisce a una azione puntuale nel passato; , presente, veicola
durata e continuit: se x in un certo momento, allora non in senso
continuo e assoluto. OBrien (Ltre et lternit, in tudes sur
Parmnide, cit., Tome II, p. 153) osserva come il presente non si
riferisca al momento fuggevole intercalato tra passato e futuro, ma a un
presente logico: al nulla anteriore a ogni possibilit di nascita (pi
tardi o prima). Analogamente Cerri, che parafrasa: se nato (rinato), non
esiste (nel momento in cui non ancora nato\rinato) [...] (p. 227).
57
Qui dovremmo intendere se [ vero che].
58
Il verbo seguito da infinito futuro () pu rendersi come essere
sul punto di, avere lintenzione di. Si suppone che lazione o la condizione
indicata dallinfinito debba ancora avvenire. La presenza dellavverbio
() rafforza questo aspetto temporale dellespressione (OBrien, Ltre
et lternit, in tudes sur Parmnide, cit., t. II, p. 139).
McKirahan (p. 196) interpreta i vv. 19-20 come rivolti contro la generazione nel
futuro, a completamento dellargomento di B8.5-6, per cui ci che non pu
essere in futuro. Era rimasta aperta la possibilit che qualcosa che non ora
possa venire a essere in futuro: B8.19-20 negherebbero questa possibilit.
Mourelatos (pp. 106-7) parafrasa diversamente il verso: ci che una cosa
arriva a essere non ci che la cosa realmente , nella sua essenza o natura.
Egli vi coglie un contrasto non tra arrivare a essere e essere
durevolmente, piuttosto tra tempo e atemporalit.
59
OBrien e Cerri pongono ( estinta\spenta) come complemento
verbale sia di (genesi, nascita) sia di (distruzione, morte).
Soluzione che abbiamo preferito a quella, adottata da molti, che invece
sottintende il verbo essere nel secondo emistichio e fa di una due
proposizioni coordinate: Cos generazione estinta e distruzione ignorata.
Secondo Thanassas (p. 46), lanalisi del primo segno intreccia
intenzionalmente divenire e tempo, anticipando la correlazione aristotelica di
tempo e mutamento. Gli enti individuali certamente sono sottomessi al
divenire incessante: Parmenide non negherebbe ci, dedicando al problema
la parte pi consistente del suo poema; ma nella Altheia i segni non si
riferiscono a enti particolari, bens unicamente al loro Essere: solo questo
Essere pu rivendicare la estraneit a ogni forma di mutamento (pp. 48-9).
60
Cerri (pp. 227-8) osserva come sulla scorta di assonanze omeriche
lespressione possa essere resa come morte oscura (ma
anche ignorata, oggetto di oblio). Molto diversa la resa di McKirahan:
Thus generation has been extinguished and perishing cannot be
investigated (p. 196). Egli insiste (p. 223) sul legame tra e il verbo
(imparare, investigare, cercare), da cui anche
(B2.6), la via di ricerca scartata perch impossibile da investigare,
da cui era impossibile, dunque, ricavare informazioni. In B8.21

156

N divisibile61, poich62 tutto omogeneo63;


n c qui qualcosa di pi64 che possa impedirgli di essere continuo65,
conserverebbe lo stesso valore: la corruzione, la morte non possono essere
oggetto di indagine, in quanto, come la generazione, impongono di seguire
una via che non pu assolutamente essere investigata. Si tratta di una
osservazione gi proposta da Mourelatos (p. 97), secondo il quale Parmenide
non avrebbe ritenuto necessario argomentare contro la corruzione,
rubricandola allinterno della via negativa: ci spiegherebbe appunto luso di
aggettivi come e , riferiti alla via negativa e a
.
61
L'espressione pu rendersi (ed effettivamente tradotta) sia
come divisibile, sia come diviso: come osserva Leszl (p. 202),
concettualmente la prima possibilit dipende dalla seconda, dal momento
che loperazione intellettuale della divisione non fa che rivelare divisioni gi
oggettivamente presenti (come attestato anche dagli argomenti di Zenone).
Anche Thanassas (p. 50) rileva come, nella discussione del secondo segno,
Parmenide punti a escludere la precondizione per ogni discriminazione
interna delleon: esso non ha parti in cui possa essere articolato. Ne
seguirebbe che, considerando ogni ente non come questa o quella cosa ma
come Essere, non sarebbe possibile riconoscere differenze: ogni
determinatezza svanirebbe allinterno della uniforme prospettiva dellEssere.
62
Coxon (p. 203) sottolinea come da dipendano tutte le asserzioni
successive (vv. 22-25).
63
Traduciamo cos laggettivo , che altri rendono come uguale: ci
sembra logicamente pi efficace rispetto alla indivisibilit ( ).
possibile anche una lettura avverbiale e non predicativa di , da
rendere (come fanno Owen, Guthrie, Stokes e Gallop): esiste tutto allo
stesso modo. Tarn e Mourelatos hanno tuttavia, con buoni argomenti,
contestato tale lettura. McKirahan intende sia sia con valore
avverbiale: ci-che- non avrebbe dunque lattributo di essere tutto uguale (o
omogeneo), piuttosto ci-che- in un certo modo, cio tutto uguale,
interamente e uniformemente (v. 11: ). lomogeneit
che rende impossibile ogni discriminazione e divisione di ci che .
Mourelatos (p. 114) ritiene che Parmenide sostenga logicamente
con . In ogni caso la fondatezza della premessa di
omogeneit stata molto discussa: mancherebbe un argomento a sostegno
nei versi precedenti.
64
Traduciamo lespressione genericamente come qualcosa di pi:
Coxon accentua il valore intensivo del comparativo (any more in degree).
65
McKirahan (p. 197) sottolinea come suggerisca non tanto
continuit quanto holding together, tenersi insieme, e accosta il significato

157

n [l] qualcosa di meno66, ma 67 tutto pieno 68 di ci che 69.


[25] perci tutto continuo 70: ci che si stringe71 infatti a ci
che 72.
del verbo a quello dellattributo (v. 5), che egli traduce come all
together. Robbiano (p. 130) segnala come possa riferirsi a
unioni strette: lunione sessuale di individui o le estremit annodate di una
cintura. Il senso comunque quello di estrema coesione.
66
Rendiamo come qualcosa di meno, per rimanere coerenti con
la scelta effettuata traducendo . Coxon (p. 204) sottolinea ancora il
valore intensivo dellaggettivo: Parmenide in questo senso avrebbe usato
(inferiore) e non *hsson (meno).
67
Intendiamo come soggetto sottinteso; altri intendono come soggetto
(but all is full of Being, Tarn).
68
Lespressione vuol marcare come ci che esiste solo
lessere, quindi esso continuo, omogeneo, denso dessere (uguale in tutto
e per tutto a se stesso). Tarn (p. 108) osserva come la continuit sia dedotta
dalla omogeneit. Coxon (p. 204) parafrasa: Being is adjacent to Being,
che implica lassenza di qualsiasi cosa di diverso dallEssere. McKirahan (p.
197) insiste invece sulla completa pienezza di ci che , che consegue dal
bando di non . Si tratterebbe, nella sua lettura complessiva di B8, di un
segno fondamentale, che riformulerebbe del v. 11, cui
essenzialmente si riferirebbero molti altri attributi. Thanassas (Parmenides,
Cosmos, and Being, cit., p. 50), sottolineando come il contesto non sia
quello di unanalisi fisica, ma di una considerazione ontologica (condotta
alla luce della distinzione fondamentale tra Essere e Non-Essere), insiste
nellintendere lespressione come rilievo della
pienezza ontologica (ontological plenitude) che non ha nulla da
condividere con spazialit fisica, vuoto e massa.
69
McKirahan (p. 197) sottolinea il nesso tra e
(v. 22): egli, infatti, intende in entrambi i casi
avverbialmente (come nel successivo v. 25 ), cos che
risulterebbe equivalente a .
70
Ovvero coeso. Riformulazione dellinziale indivisibilit: Coxon (p. 204)
osserva giustamente che, a parte la solitaria occorrenza di nel v. 6,
lunico termine parmenideo per uno. McKirahan traduce
diversamente il greco: dal suo punto di vista (p. 224), la relazione con
suggerisce di valorizzare il fatto che ci che si tiene
insieme (holds together); cos in vece di continuo, con la sua ambiguit
spazio-temporale, egli preferisce usare per la formula, di difficile
resa italiana, holding together.
71
Il verbo suggerisce lidea di avvicinamento. In questo senso potrebbe
essere tematicamente collegato tanto alla via quanto al viaggio che trascorre

158

Inoltre73, immobile74 nei vincoli75 di grandi catene76,


lungo la via, seguendo i suoi segni. Robbiano (p. 133) insiste nel cogliere
nella immagine la suggestione dellultimo passo di un
viaggio che si avvicina alla sua meta: lEssere.
72
Abbiamo qui un passaggio in cui dato intravedere come, facendo leva sui
due "assiomi" di B2 - e non possibile non-essere, non ed
necessario non-essere - e dunque escludendo sistematicamente il ricorso al
non-essere, Parmenide abbia potuto superare, nella nozione di , la
molteplicit dispersa degli enti, uniti e omogenei nell'essere. In effetti
Colli (Gorgia e Parmenide, cit., p. 153) osserva come questi versi
documentino il continuo, dimostrando razionalmente il contatto di ci
che con ci che : lunit dellessere sembrerebbe non escludere una
sorta di molteplicit. Egli pone giustamente in relazione questo passo con
B4. McKirahan (p. 197) sottolinea invece il valore figurato dellespressione:
una interpretazione letterale susciterebbe difficolt.
73
Improbabile che nel contesto abbia valore avversativo: preferiamo
attribuirgli valore progressivo (vedi Curd, The Legacy of Parmenides, cit.,
pp. 83-4).
74
Laggettivo verbale pu discendere dalla voce attivo-passiva o da
quella media di : nel primo caso il suo significato sarebbe non
suscettibile di essere mosso dal proprio luogo; nel secondo non capace di
muoversi dal proprio luogo (Mourelatos, op. cit., pp. 117-120). Tarn
giustamente sottolinea il nesso tra e (v. 4). Laggettivo
si riferirebbe sia alla immobilit sia, pi in generale, alla
immutabilit. Su questo si veda il commento. Una nuova, convincente luce
sulla questione stata a nostro avviso proiettata dalla lettura di
McKirahan (p. 200), il quale insiste sul contesto immediato: immobile ha
a che fare con i limiti dei grandi legami piuttosto che con assenza di
generazione e corruzione. I vv. 27-28 ricavano dai precedenti vv. 6-21 due
ulteriori conseguenze dellessere ingenerato e incorruttibile, cio senza
inizio o fine, di ci-che- (). Attributi che non hanno in alcun modo a
che vedere con lassenza di moto. Nel contesto lespressione immobile
coinvolgerebbe lidea della natura fissa, limitata e costretta di ci-che-. In
questa prospettiva rimane aperta la questione circa le convinzioni
parmenidee sul movimento o cambiamento di ci-che-. Thanassas (p. 51)
privilegia nella propria lettura unimmobilit fondata nellassenza di
relazioni con il Non-Essere: Parmenide escluderebbe il movimento
ontologico che avvicina Essere e Nulla.
75
Ovvero nei limiti (). Mourelatos (pp. 117-9) mostra efficacemente
come alla nozione omerica di fosse associata non la nostra idea di
traslazione rispetto a un punto di riferimento stazionario, ma quella di uscita,
allontanamento da una posizione originaria e dai suoi limiti: il caso
paradigmatico sarebbe, insomma, quello di "e-gresso", concettualmente

159

senza inizio e senza fine77, poich nascita e morte


sono state respinte78 ben lontano 79: convinzione genuina80 [le]
fece arretrare.
contrastante con la nozione di (via). Mentre il viaggiatore lungo la
via raggiunge il luogo di destinazione, colui che si muove, invece,
abbandona il suo luogo, supera, appunto, i suoi limiti. Il concetto di via
centripeto, quello di centrifugo. La locomozione, in questo senso,
sarebbe qualcosa di simile a un autoestraniamento: muoversi essere oltre s
stessi, essere dove uno non : questa nozione di locomozione a essere
oggetto di attacco nel paradosso della freccia di Zenone. Si esprime lidea
arcaica, ma ancora operante in Aristotele (la teoria dei luoghi naturali) che il
luogo di una cosa, con i suoi limiti-confini, sia parte della sua identit. La
relazione tra e escluderebbe dunque la locomozione
intesa come moto assoluto, "e-gresso" dal proprio luogo specifico.
76
Giustamente Cerri (p. 229) segnala il cambiamento nel registro espressivo
dellautore, il cui linguaggio torna alle movenze epiche del proemio.
Questo passaggio, in particolare, evocativo del mito prometeico, cos come
giuntoci nel dramma eschileo. Della relativa, breve discussione di Cerri,
sembra opportuno valorizzare la possibilit che Parmenide e Eschilo
(evitando improbabili contatti diretti) si ispirassero, per il tema
dellincatenamento e della conseguente immobilit, a un modello gi
presente nella cultura mitico-filosofica della tarda arcaicit. Non chiaro,
tuttavia, il senso preciso dellaggettivo mitico-filosofica. Mourelatos (p.
115, nota), a sua volta, evoca un passo omerico (Odissea VIII, 296-98), che
costituirebbe buon parallelo per limmaginario parmenideo:

,

e tutto intorno le catene
ingegnose chiuse, dellastuto Efesto,
ed essi non potevano pi muoversi n sollevarsi.
77

Gli aggettivi marcano la peculiare immutabilit


dellEssere, diversa dalla immobilit di ci che si genera e corrompe. Per
questo potrebbero implicare se si accetta la lezione adottata la formula
del v. 4. Coxon (p. 206) vi coglie uneco delle affermazioni
di Anassimandro (DK 12 A15):
, [...]

di esso non c' principio [...] immortale e indistruttibile.

160

Identico e nellidentica condizione 81 perdurando82, in se stesso riposa84,


83

78

Allaoristo possibile associare sia un significato attivo (Coxon:


becoming and perishing have strayed very far away), sia un significato
passivo (indicato in questo caso da Liddel-Scott): come suggerisce OBrien
(p. 53), il secondo emistichio del verso giustifica la resa passiva.
79
Coxon ricorda (p. 207) come lespressione a occorra una sola volta
in Omero ed Esiodo, dove si allude alla distanza del Tartaro: Parmenide
potrebbe usarla per marcare analoga distanza dallEssere di generazione e
corruzione.
80
Traduco non con reale credibilit - come in B1.30: il diverso
contesto in particolare la sua impronta argomentativa, autorizza una
differente accentuazione del valore di , intesa come convinzione,
convincimento che scaturisce dallesame condotto correttamente. In effetti il
termine ha un suo specifico uso giudiziario (Heidel citato da Tarn p. 113),
in cui designa levidenza o la prova addotta in tribunale. Il legame con la
Realt\Verit, espresso dall'aggettivo (reale, vera, veritiera,
genuina), tuttavia, suggerisce di privilegiare il significato di convinzione.
81
Lespressione greca idiomatica, con valore variabile tra
restare nello stesso luogo e restare nello stesso stato (Cerri p. 231).
Heitsch (p. 172) e Coxon (p. 207) insistono piuttosto sulla condizione,
Coxon escludendo il significato locale (come confermerebbe luso analogo
dellespressione in Epicarmo, Sofocle, Euripide, Aristofane). Abbiamo
privilegiato la seconda lettura per la sua portata pi generale rispetto ai
fenomeni del mutamento che Parmenide intende escludere dallessere.
McKirahan (p. 201) interpreta tutto il passo come una nuova sottolineatura
del fondamentale rilievo della pienezza di ci-che-, riformulato nel
linguaggio del limite, dei legami e della costrizione: in questo senso
identico e nellidentico sarebbero implicazioni di pienamente. Anche
le scelte verbali - perdurare, rimanere, riposare - supporterebbero
questa lettura: ci-che- pienamente e non pu cessare di essere in quel
modo.
82
L'intero verso 29 sembra evocare il frammento DK 21 B26 di Senofane:


Sempre nello stesso posto permane, e per nulla si muove,
n gli si addice spostarsi ora in un posto ora in un altro.
83

McKirahan (p. 201) rileva come possa significare sia per s,


solo, solitario, ma anche indipendente (prossimo al valore che gli
dar Platone in riferimento alle Idee). Nella sua prospettiva si tratta di una

161

[30] e, cos, stabilmente85 dove 86 persiste87: dal momento che


Necessit88 potente89

84

espressione plausibile per descrivere qualcosa che pienamente e non pu


cessare di essere in quel modo.
Opportunamente Conche (p. 155) richiama, per contrasto, le posizioni di
Eraclito e, soprattutto, nellaccentuazione dello spirito eracliteo, di Epicarmo
DK 23 B2.9:

ora ci che muta non rimane mai nel medesimo posto.

I versi 29-30 sembrano riecheggiare, in negativo, quella concezione. Mourelatos


(p. 119) osserva come la formula manifesti noninterazione: il v. 29, dunque, esprimerebbe a un tempo, nella sua prima
parte, autocontenimento e autoconsistenza, nella seconda parte isolamento,
risultando complementare allattributo . Thanassas (p. 52)
valorizza il nesso tra e identit: la saldezza delleon non si ridurrebbe
alla semplice immobilit, al rifiuto di ogni relazione con il Non-Essere, ma
scaturirebbe anche dal rilievo della identit (sameness) delleon con se
stesso.
85
Rendiamo avverbialmente , che indica stabilit, fissit: come
correttamente osserva McKirahan (p. 200), il termine nei suoi valori copre
complessivamente le tre condizioni elencate al v. 29.
86
Traduciamo in questo modo per evitare qui, l, che appaiono
limitativi e troppo immediati (anche se non da escludere a priori che
proprio tale immediatezza fosse ricercata dallautore). Conche (p. 156),
invece, preferisce qui, che indicherebbe in parallelo con che un
ora non temporale un qui non spaziale.
87
Come segnalano i commentatori, formula epica, che
richiama il celebre episodio in cui Odisseo si fa legare allalbero maestro
della nave per resistere al canto delle Sirene (Odissea XII, 160-2):

, ,
,
ma con funi
saldissime dovete legarmi, perch io resti immobile,
ritto alla base dellalbero ad esso siano fissate le corde.
Nel nostro contesto il valore della espressione non tanto locale quanto
temporale: segnala lesenzione dellessere da qualsiasi variazione temporale
(Coxon p. 208). Ruggiu (p. 299) sottolinea il carattere militare di
: stare saldo in battaglia. In gioco sarebbe non la stabilit spaziale o

162

nelle catene del vincolo90 [lo] tiene, che tutto intorno lo rinserra .
91

temporale, ma lesclusione di ogni alterit e il radicamento dellidentit.


Come gi segnalato in relazione a , McKirahan (p. 210) suggerisce
una sostanziale sinonimia tra i due aggettivi: entrambi esprimerebbero il
fatto che ci-che- pienamente e non pu cessare di essere pienamente,
effetto dei limiti che costringono la natura di ci-che-.
88
Intendiamo come nome proprio. Come Giustizia e Moira, Necessit
figura tradizionale e incarnazione della ineluttabile legge del destino (Tarn
p. 117). Mourelatos, che identifica Necessit, Fato, Giustizia e Persuasione,
traduce come Constraint: limmagine della Costrizione che tiene ci-che-
nel suo luogo rafforza la sua tesi secondo cui escluderebbe la
locomozione intesa come moto assoluto, egresso dal proprio luogo specifico
(pp. 118-9). Dalla triangolazione Giustizia, Fato (Moira), Costrizione
risulterebbe che in Parmenide il concetto di rettitudine (Giustizia) assimila il
concetto di necessit (Mourelatos p. 120). In un classico lavoro dedicato al
concetto (W. Gundel, Beitrge zur Entwicklungsgeschichte der Begriffe
Ananke und Heimarmene, Giessen 1914), Gundel individu il significato di
nel passo in questione come Naturnotwendigkeit. Schreckenberg (H.
Schreckenberg Ananke.
Untersuchungen zur
Geschichte des
Wotgebrauchs, Zetemata 36, Mnchen 1964, pp. 1-188, cap. I) ne ha
invece marcato la connessione tematica con altri termini, come giogo,
catene, corde, con lidea di legame, imprigionamento, schiavit, rilevando
cos come sotto ananke non si sia in grado di scegliere che cosa fare.
Limmagine platonica di avrebbe origine proprio
in ambiente pitagorico, come Schreckenberg cerca di provare appoggiandosi
alla testimonianza di Atius
- e collegandola alla nozione pitagorica di (limite del
cosmo) e allabbraccio cosmico di Ananke. In questo senso essa avrebbe la
funzione di destino o legge di natura: qualcosa che si pu esprimere in
termini di legami che vincolano, luomo o luniverso (pp. 75-6).
89
Lespressione richiama lesiodea (Teogonia 517 ss.)
, nella descrizione di Atlante che sostiene lampio
cielo per una potente necessit ai confini della terra, come segnalano vari
commentatori.
90
Ovvero nelle catene del limite ( ). Ancora
linsistenza sui vincoli, ancora da intendere sostanzialmente in senso logico,
nonostante la tendenza da parte di alcuni interpreti a insistere sui limiti
spaziali. Lassociazione di Giustizia (v. 14) e Necessit suggerisce in effetti
a McKirahan (p. 200) che in gioco siano soprattutto forza e\o costrizione.
Nel riferimento ai vincoli e alle catene Barbara Cassin (Le chant des Sirnes dans le Pome de Parmnide. Quelques remarques sur le fr. 8.34", in

163

Per questo 92 non incompiuto93 lessere [] lecito che sia94:


tudes sur Parmnide, cit., t. II, pp. 163-169) ha colto uneco di Odissea
XII, 158-162:

.

, ,
,
Per prima cosa ci impone delle Sirene
di evitare il canto e il loro prato fiorito.
Posso ascoltarlo solo io, ma con fune
saldissima dovete legarmi, cos che io resti immobile,
ritto alla base dellalbero ad esso siano fissate le funi.
91

Il confinamento da parte di Necessit-Costrizione paradigmatico della


concezione tradizionale greca per cui giustizia mantenere il proprio luogo
specifico, rispettare il proprio ruolo (Mourelatos, p. 119).
92
La congiunzione ha etimologicamente ( ) il significato di
ragion per cui, cosa a causa della quale; ha anche il significato di
poich, a causa del fatto che (privilegiato da Frnkel), e pu essere
usata come con il valore di che, il fatto che. Nel contesto preferiamo
la resa etimologica (privilegiata da Diels), ritenendo che la perfezione
dellessere sia giustificata in quel che precede, ancorch con il ricorso a
unimmagine (la costrizione delle catene di Necessit) di probabile matrice
letteraria.
93
Secondo Coxon (p. 208), Parmenide impiegherebbe nella sua
valenza omerica di unfinished. Rendiamo con incompiuto,
imperfetto. Mansfeld (p. 100) sottolinea il nesso tra lessere vincolato e
lessere compiuto e perfetto, recuperando come implicito nel greco anche il
valore di realizzazione e, di conseguenza, lidea di un vincolo che
legherebbe la cosa alla propria realizzazione. Si veda per questo R.B.
Onians, The Origins of European Thought about the Body, the Mind, the
Soul, the World, Time and Fate, C.U.P., Cambridge19882, pp. 426-66.
Mourelatos (p. 121) sottolinea come il verbo sia collegato al motivo
del viaggio e abbia un'importante relazione con il verbo (consumare) e
forse con lidea di , come legame circolare. Nellepica in generale il
verbo esprime compimento, realizzazione di promesse, desideri, predizioni e
compiti (comprensivi di viaggi). in relazione a questa idea di compimento
che il termine ammetterebbe il valore - pi debole - di fine, nel senso di
estremit o termine.
94
Abbiamo cercato di conservare la costruzione del verso greco, forzando la
costruzione italiana.

164

non , infatti, manchevole [di alcunch]; il non essere 95, invece, mancherebbe di tutto.
La stessa cosa96 invero pensare97 e il pensiero98 che99 :
95

Intendiamo lespressione come participio sostantivo, in


contrapposizione al precedente : quindi il non essere ovvero ci
che non (espressione tuttavia meno felice nel contesto). Ci troveremmo in
presenza di una articolazione del discorso imperniata su essere ( ) e
non-essere ( ): non lecito che lessere sia incompiuto: in effetti non
manca di niente; il non-essere, invece, mancherebbe di tutto. D'altra parte,
pu essere reso in senso verbale: letteralmente la Dea ipotizzerebbe:
se [lessere] non fosse [non-manchevole], mancherebbe di tutto.
96
A questo punto avrebbe inizio secondo Mansfeld (p. 101) un excursus che
impegnerebbe Parmenide fino al verso 41. Dello stesso orientamento anche
Guthrie e Kirk-Raven, cui si oppone, per esempio, Mourelatos (p. 165).
Molto convincente la lettura di McKirahan (p. 202): i vv. 34-41
esplorerebbero le implicazioni del precedente (B2.7-8) non potresti
conoscere ci che non [] n indicarlo. Se qualcosa possibile
conoscere o affermare, deve trattarsi non di ci-che-non-, ma (come
conseguenza dellalternativa) di ci-che-. Esiste una proposta
(originariamente suggerita da Calogero) di restauro del testo greco da parte
di Theodor Ebert ("Wo beginnt der Weg der Doxa? Eine Textumstellung im
Fragment 8 des Parmenides", Phronesis, 34, 1989, pp. 121-138), secondo
il quale il blocco di versi 34-41 andrebbe rilocato dopo il verso 52. Come ha
di recente sottolineato anche J. Palmer (Parmenides & Presocratic
Philosophy, cit., pp. 352-4), il testo guadagnerebbe in coerenza sia nel
blocco centrale del frammento, sia in quello conclusivo. Dello stesso avviso
Ferrari (Il migliore dei mondi impossibili, cit., pp. 32 ss.). Ci
significherebbe, tuttavia, mettere in discussione l'affidabilit della redazione
del poema utilizzata da Simplicio (che Diels riteneva im Ganzen
vortrefflich): come ha sostenuto Passa nella prima parte del suo lavoro, il
testo simpliciano ha alle spalle, in misura pi accentuata rispetto ad altre
fonti, un'interpretazione del poema di Parmenide in chiave neoplatonizzante
e pitagorizzante, che pu averne alterato la ricezione. Passa si limita tuttavia
a indicare scelte espressive, mentre l'ipotesi Ebert (e ora Palmer e Ferrari)
implica un vero e proprio montaggio del testo, aprendo una serie di possibili
altri problemi testuali relativi ad altri passaggi dei codici manoscritti. A
Ebert va dato atto, nello specifico, di aver sollevato un problema serio:
nessun'altra fonte antica cita il v. 34 dopo il v. 33 o il v. 42 dopo il v. 41.
97
Rendiamo letteralmente. Sulla traduzione, tuttavia, esiste grande
discordanza. Prevalgono due orientamenti, che optano per una resa diversa:
(i) thinking is (Owen, Sedley); (ii) is to be thought (Mourelatos), is
there to be thought (Kirk-Raven-Schofield), is for thinking (Curd).
McKirahan (p. 203) traduce is to be thought of intendendo lespressione

165

[35] giacch non senza lessere, in cui 100 [il pensiero] espresso ,
101

come un richiamo di B2.2: ci che disponibile per il pensiero (ovvero per


essere pensato).
98
Intendiamo il verso nel suo insieme come una ricapitolazione di B3 (a sua
volta conclusione di B2): ci che lunico reale oggetto del pensiero. Solo
ci che disponibile come oggetto del pensiero e non esiste altro oltre ci
che : quindi solo ci che pu essere pensato (McKirahan, pp. 203-4).
Sulla scorta di questa interpretazione, McKirahan suggerisce di interpretare
anche laffermazione di B5: indifferente per me donde debba iniziare: l,
infatti, ancora una volta far ritorno.
99
Intendiamo , in questo caso, come congiunzione equivalente a
(che), come, tra gli altri, Calogero (La stessa cosa il pensare e il
pensiero che ), Guthrie (What can be thought [apprehended] and the
thought that it is are the same), Tarn (It is the same to think and the
thought that [the object of thought] exists), OBrien (Cest une mme
chose que penser, et la pensee <affirmant>: est), Conche (Cest le mme
penser et la pense quil y a), Cassin (C'est la mme chose penser et la
pense que "est"). L'alternativa rendere come formula
pronominale, composta dal pronome neutro (caso genitivo) + preposizione.
Questa lettura difesa tra gli interpreti recenti - da Reale (Lo stesso il
pensare e ci a causa del quale il pensiero), Coxon (The same thing is
for conceiving as is cause of the thought conceived), Heitsch (Dasselbe
aber ist Erkenntnis und das, woraufhin Erkenntnis ist), Cerri (La stessa
cosa capire e ci per cui si capisce), Cordero (Thinking and that because
of which there is thinking are the same), Gemelli Marciano (Dasselbe ist
zu denken und das, was den Gedanken verursacht). Diels, intendendo come
con valore finale (ci in vista di cui), aveva reso: Denken und
des Gedankens Ziel ist eins. Lo ha seguito Beaufret (Or cest le mme,
penser et ce dessein de quoi il y a pense). Lunga disamina critica in
Tarn, pp. 120-3. Di recente McKirahan (p. 203) ha difeso la lettura causale
di , ma ha avanzato lipotesi suggestiva che lespressione abbia
contemporaneamente anche una sfumatura finale.
100
Per evitare la difficolt di una traduzione che sottolinea come il pensiero sia
espresso nellessere, sono state proposte varie alternative. Zeller, Burnet,
Cornford, Raven (tra gli altri) preferiscono rendere con una perifrasi: a
soggetto del quale, in riferimento al quale, rispetto al quale. A
conclusione di una lunga discussione (pp. 123-8), Tarn (seguendo Albertelli
e Mondolfo) propone in what has been expressed. A questa traduzione
(cui ricorre anche Sedley) sono state tuttavia opposte obiezioni di ordine
grammaticale (si veda Robbiano, p. 170). La Robbiano (pp. 169-170)
intende come equivalente a , proponendo come
soggetto di . Il passo in traduzione risulta quindi: for
without Being you will not find understanding in that where understanding

166

troverai il pensare. N102, infatti, esiste, n esister


altro oltre103 allessere104, poich105 Moira lo ha costretto106
a essere intero e immobile107. Per esso108 tutte le cose saranno
nome109,
has been given expression. In questo caso non si riferirebbe a ,
ma a una formula implicita per le mie parole, i versi del mio poema. La
dea spiegherebbe, insomma, che non si pu trovare in ci che esprime
, se non si trova lEssere ( ): per raggiungere la comprensione non
sufficiente ascoltare le parole della dea, ma si deve trovare lEssere.
Preferiamo, come versione pi naturale, la traduzione (per lo pi adottata
dagli interpreti recenti) che risale a Diels (denn nicht ohne das Seiende, in
dem sich jenes ausgesprochen findet, kannst Du das Denken antreffen).
101
Secondo Ruggiu (p. 303, nota), indicherebbe non solo che il
pensiero manifestativo dellEssere, ma che lEssere tale in quanto
fondamento di ogni manifestabilit. In questo senso, sarebbe
equivalente a e (B8.8) e -
- (B2.7-8).
102
Rendiamo le due congiunzioni < >... precedute da come nn.
103
La formula adattamento di analoga formula epica (
).
104
Secondo Mansfeld (p. 101) Parmenide affermerebbe in questo passaggio
lidentit di pensiero e essere, implicando che il pensiero non possa essere
qualcosa di altro, indipendente, contrapposto allessere o comunque estraneo
a esso.
105
Anche in questo caso la costrizione della divinit di turno (Moira) a
giustificare compiutezza e unicit dellessere parmenideo.
106
Si ripete, con , la suggestione dellincatenamento, della costrizione
(da intendere, fuor di metafora, in senso logico). La formula
epica.
107
Le due connotazioni - marcano lintegrit e immutabilit,
reiteratamente richiamate nel frammento. Per , tuttavia, vale quanto
segnalato sopra: la sua comprensione, come suggerisce McKirahan,
probabilmente da collegare alla metafora dei legami e della costrizione.
Cos, lintegrit di ci che (espressa da ) sostenuta dallimmagine
della costrizione a essere pienamente ci che .
108
Seguiamo Palmer (op. cit., pp. 171-2) nell'intendere come pronome
relativo (riferito a ): dal momento che egli accoglie la lettura
del secondo emistichio, la sua traduzione risulta: to it all things
have been given as names. Lo studioso si appoggia a una costruzione
analoga presente in Empedocle B8.4:

167

quante i mortali stabilirono110, persuasi che fossero reali111:


[40] nascere e morire, essere e non essere,
cambiare luogo 112 e mutare luminoso colore113.
natura data come nome a questi [processi di mescolanza e
separazione] dagli uomini.
La resa pronominale di comunque assolutamente compatibile anche con la
lezione Diels-Kranz da noi adottata:

Per esso [ ] tutte le cose saranno nome.
Per lo pi gli editori hanno reso con valore assoluto come perci.
109
Il greco singolare, per marcare lidentit nominale dei neutri plurali
e : genericamente cose, eventi, fenomeni, la cui natura mutevole
si rivela solo nome. La lezione alternativa dei codici di Simplicio -
- variamente tradotta: wherefore it has been named all things
(Gallop), attribuendo a valore avverbiale, ma anche With reference to it
[the real world], are all names given (Woodbury), intendendo come un
dimostrativo riferentesi a , ovvero (Leszl p. 231) in relazione a
questo assegnato, come nome. Da osservare che una lunga tradizione
risalente a Diels, ha tradotto lemistichio introducendo un implicito
aggettivo peggiorativo (blosser, ovvero mero) al sostantivo nome,
assolutamente assente nel testo greco. Una diversa tendenza si manifestata
nelle versioni degli ultimi decenni.
110
Il verbo ricorre tre volte nei frammenti del poema (qui, in B8.53 e
B19.3): sottolinea la matrice linguistica della ordinaria comprensione del
mondo.
111
Il greco . McKirahan (p. 202) ha, secondo noi, correttamente colto il
senso complessivo del passo: i vv. 34-38 argomentano che lunico possibile
oggetto di pensiero e linguaggio ci-che-; i vv. 38-41 ricavano la
conclusione che, a prescindere da ci cui i mortali pretendano di riferirsi nei
loro pensieri e discorsi, ci cui essi realmente (veramente) pensano e
possono pensare ci-che-. Ci-che- loggetto dei loro pensieri, anche di
quei pensieri che ricorrono a formule proibite come generazione e
corruzione. Leszl (p. 231) osserva come la tesi di Parmenide sarebbe che i
mortali applicano all'essere commettendo un errore tutte le
designazioni: il loro errore consisterebbe dunque nell'imporre nomi all'essere
stesso, non nell'applicarli alle cose.
112
Tarn (pp. 138-9) ammette che, nella espressione , il
sostantivo molto probabilmente significa spazio vuoto. Parmenide,
tuttavia, non sarebbe qui interessato a una polemica nei confronti dei

168

Inoltre, dal momento che [vi ] 114 un limite115 estremo116, [ci


che ] compiuto117
da tutte le parti 118, simile 119 a massa 120 di ben rotonda121 palla122,
sostenitori della esistenza del vuoto, ma solo a rilevare la contraddittoriet
del fenomeno del moto locale.
113
Il secondo emistichio - variamente tradotto.
Coxon (pp. 211-2) rende con change their bright complexion to dark and
from dark to bright. Come Reinhardt, egli coglie un'allusione alla
successiva teoria (DKB9) della composizione degli enti. Le differenze nelle
traduzioni dipendono soprattutto dallintendere accusativo di ,
colore - come ovvero , superficie. OBrien (p. 56) sottolinea
come al significato di complessione (cui si riferisce anche Coxon) sia nel
contesto da preferire quello pi generico di colore.
114
La proposizione introdotta da pu omettere : la traduzione pu
renderlo in questo caso come predicato verbale (come abbiamo fatto) ovvero
come copula: il limite estremo.
115
Mourelatos (pp. 128-9) nota come limmagine dei legami e dei limiti si faccia
progressivamente pi plastica e concreta man mano che B8 procede, per
raggiungere il proprio culmine appunto in questo passaggio.
116
Laggettivo significa estremo, ultimo: in Omero indica, per
esempio, il bordo estremo di uno scudo, ci che lo limita e oltre il quale non
c pi scudo (Conche p. 176).
117
Lespressione indica la completezza di ci che ,
risultando equivalente di . Come ha convincentemente
marcato McKirahan (pp. 212-213), le indicazioni spaziali, letteralmente
disseminate nei vv. 42-49, possono essere intese anche in senso metaforico.
Si tratta di naturali sviluppi della nozione di , le cui prime occorrenze,
anche in ambito filosofico, hanno a che fare con i limiti spaziali, ma che
presto usata anche per altre finalit, non spaziali (come attesta il
contemporaneo di Parmenide Eschilo). Thanassas (pp. 53-4), dal canto suo,
valorizza una interessante implicazione: il limite che abbraccia e conserva
linterezza del reale (preservandola dal Non-Essere), consente da un lato di
riconoscere leon completo da ogni lato, dallaltro di intendere tutte le
apparenze (appearances) come equivalenti, come esseri. Ci richiamerebbe
laffermazione conclusiva della dea nel proemio, che nella versione accolta
da Thanassas e da noi condivisa suona: , tutte
insieme davvero esistenti.
118
Lavverbio , sia che lo si intenda riferito a
(come nel nostro caso), sia che lo si riferisca, invece, a
, sembra esprimere comunque un punto di vista, una
prospettiva esterna (Mourelatos p. 126). Come, daltra parte, per lo pi

169

suggeriscono anche le altre immagini del frammento (lacci, legami, catene


che rinserrano tutto intorno).
119
Laggettivo introduce indubbiamente una comparazione, che
tuttavia non si riferisce, si badi bene, direttamente a (palla, sfera),
ma a (massa, estensione).
120
Il termine pu tradursi come massa, volume fisico (Coxon p. 214):
in tal senso da intendersi dunque la ben rotonda palla. Parmenide si
riferisce probabilmente all'estensione fisica, tridimensionale, e alla forma
geometrica compiuta. Conche (p. 177) suggerisce grosseur o corps. Di
recente McKirahan (pp. 213-4), riprendendo la questione, ha ritenuto
significativo che Parmenide non dica che ci-che- una sfera o simile a
una sfera, ma simile al corpo di una sfera, una espressione giudicata
inaspettatamente elusiva. Non si tratterebbe, infatti, n di massa (nel senso
di peso) della sfera, n della sua misura, n di altre qualit fisiche, n, pur
avendo a che fare con la forma della sfera, di forma o superficie.
Lespressione potrebbe approssimativamente tradursi come estensione
fisica: fisica per suggerire che non si tratta di astratta nozione
geometrica; estensione, in vece di misura, per evitare la tentazione di
pensarla come una quantit determinata. Mourelatos (p. 126) aveva a suo
tempo segnalato il fatto che espressione parmenidea per estensione
tridimensionale e che il carattere che essa accentua rispetto alla sfera la
forma.
121
Come suggerisce Mourelatos (p. 127), intendendo riferito a
, laggettivo definirebbe un
oggetto che, osservato da tutte le parti, ha il contorno di un cerchio perfetto.
Come abbiamo in precedenza ricordato, Tonelli (p. 117 e pp. 133-4) ha
sottolineato il nesso tra - riferito a
e (B1.29): la forma sferica
forma archetipica della perfezione e della totalit.
122
Seguo Leszl (p. 211) nel tradurre come palla, analogamente
allomerico (giocare a palla). Ci rende pi efficace
laccostamento: Leszl osserva che se lessere fosse detto simile a una
sfera, limplicazione potrebbe essere che esso non veramente una sfera,
mentre se detto simile a una palla, la giustificazione per
questaffermazione pu essere precisamente che una sfera. Lespressione
rivelerebbe invece, secondo Coxon (p. 214), che
Parmenide qui non intende genericamente un corpo a palla, ma proprio la
sfera (), la cui perfetta rotondit sottolineata dallepiteto .
In ogni caso ancora da osservare con Mourelatos (p. 126) - come la
comparazione proposta non sia direttamente tra ci-che- e una palla,
piuttosto tra la completezza di ci-che- e lespansione-estensione di una
palla perfetta, ben-rotonda. Lanalogia si riferirebbe alla curvatura esterna
della sfera.

170

a partire dal centro123 ovunque di ugual consistenza124: giacch


necessario che esso non sia in qualche misura di pi,
Diels e Brehier hanno voluto cogliere dietro lespressione linfluenza pitagorica:
essa alluderebbe, quindi, a una immagine geometrica. Conche (p. 177)
ribatte marcando come, in tal caso, non avrebbe senso precisare .
Limmagine sarebbe invece fisica. Il sostenitore pi coerente della natura
geometrico-spaziale dellEssere parmenideo De Santillana (Le origini del
pensiero scientifico, Sansoni, Firenze 1966): lEssere sarebbe il risultato di
un processo di astrazione in cui Parmenide avrebbe tenuto presenti spazio
del matematico e spazio del fisico. LEssere sarebbe dunque un plenum,
un'estensione corporea densa, cristallina: la realt fisica non sarebbe
illusoria, ma avrebbe luogo nello spazio geometrico, occupandolo.
Coerentemente con la propria interpretazione dei segni come indici della
consapevolezza cognitiva del kouros, la Stemich (op. cit., p. 212) ritiene che
limmagine della sfera, cio della pi perfetta di tutte le forme, attesti che la
conoscenza dellessere la forma pi pura del pensiero: la somma facolt di
pensiero del kouros, nel momento della conoscenza dellessere,
completamente conchiusa in se stessa, coincidendo a tutto tondo con la
verit della Dea.
123
Dal momento che difficile attribuire parti allessere, il termine
stato spesso volto in senso metaforico. Concordiamo con Conche (p. 180),
che il centro cui si riferisce la Dea sia quello del mondo e che ella sottolinei
come in ogni parte delluniverso lessere sia lo stesso. Coxon (p. 217),
invece, sottolinea come lequilibrio cui Parmenide allude con
sia di carattere non-fisico, e funga da complemento alla
nozione di perfezione universale (somiglianza con il volume della sfera),
marcando la sussistenza in se stessa di questa perfezione, la sua totale ed
eguale dipendenza dal suo proprio centro.
124
Intendiamo lespressione come un rilievo della
compattezza dellEssere: concorda con il neutro \ , non
con il maschile (o il femminile ), dunque con il soggetto
sottinteso (ci che ), non con massa di ben rotonda palla. Dal centro
alla superficie della sfera si esprime la stessa forza (Diels, Tarn), ovvero lo
stesso peso, lo stesso equilibrio, la stessa spinta. Ruggiu (p. 309),
riprende (da Calogero, Vlastos, Mourelatos e Guthrie) lidea che limmagine
della sfera esprima una uguaglianza dinamica: forza e potenza dellEssere
si estendono in modo uguale dal centro alla periferia e dalla periferia al
centro, senza possibilit di differenza alcuna in intensit o potenza dessere.
OBrien e Conche preferiscono rendere come uguale a se stesso,
privilegiando laspetto della omogeneit a quello dinamico dellaggettivo:
in particolare rilevante la sottolineatura, da parte di Conche (p. 180), di un
fatto che nel contesto pu sfuggire: si riferisce allEssere e non
alla sfera. Secondo Mourelatos (p. 127) avremmo qui, invece, la definizione

171

[45] o in qualche misura di meno 125 , da una parte o


dallaltra126.
Non vi , infatti, non essere127, che possa impedirgli di giungere
a omogeneit128, n ci che esiste cos che ci sia - di ci che
129
qui pi, l meno130, poich131 tutto inviolabile132.

di equidistanza: esprimerebbe lidea di espansione uguale in ogni


direzione.
125
Rendiamo in questo modo , per sottolineare
lomogeneit dellEssere in senso intensivo: non c un pi o un meno
dessere. Si vedano anche i successivi (v. 48).
126
Ruggiu (pp. 309-10) osserva come perfezione e stabilit dellEssere non
dipendano da vincoli esterni, ma dalla simmetrica distribuzione delle forze
interne e dallassoluta uguaglianza che sussiste tra le parti.
127
Traduciamo letteralmente . Cerri (p. 239) osserva che,
in questo caso, significa n pi n meno che vuoto, spazio
vuoto, assenza di essere\materia.
128
Traduciamo cos lespressione : il non-essere potrebbe teoricamente
interrompere e discriminare lidentit e luguaglianza con se stesso di ci
che . In questa direzione anche le traduzioni di OBrien ( la similitude
<avec soi-mme>) e Conche ( legalit soi-mme).
129
Utilizziamo la forma dellinciso (traducendo come di ci che ), per
facilitare la lettura in italiano. Avremmo potuto impiegare il pronome di
esso, ma abbiamo scelto di rimanere aderenti alla ripetizione greca.
130
Lespressione ribadisce sostanzialmente omogeneit
e uniformit gi argomentate, e dunque la pienezza dessere di ci che .
Come ha osservato McKirahan (p. 213), Parmenide ha ogni motivo per
concludere la trattazione di ci-che- sottolineando limportanza della tesi
che ci-che- pienamente, esprimendola in modi differenti per catturare
lattenzione del suo pubblico e condurlo a comprendere il suo punto pi
chiaramente.
131
Recentemente Palmer (op. cit., pp. 157-8) per evitare di fare del v. 49 (
, ) la ragione ()
dell'affermazione di v. 48b ( ), a sua volta proposta a
giustificazione () dei vv. 47-48a, che contengono una delle ragioni a
sostegno di quanto affermato ai vv. 44b-45, rischiando cos la circolarit
ha proposto di inserire un punto prima di , legando quindi il v. 48b al v.
49b: Poich tutto inviolabile dal momento che a se stesso da ogni
parte uguale uniformemente entro i suoi limiti rimane. In questo modo

172

A se stesso, infatti, da ogni parte uguale 133, uniformemente134


entro i [suoi] limiti rimane135.

introdurrebbe la ragione per l'affermazione (riassuntiva) finale:


uniformemente entro i [suoi] limiti rimane.
132
Il termine evoca uno sfondo religioso: era concetto del
linguaggio giuridico religioso e indicava la condizione di inviolabilit di
persone o luoghi sacri, associati al culto, la violenza nei confronti dei quali
era perseguita, come sacrilegio, con la condanna capitale. Secondo Colli
(Gorgia e Parmenide, cit., p. 150) lallusione religiosa andrebbe posta in
relazione con la rivelazione del proemio. Nel contesto linviolabilit pu
intendersi come altra faccia della costrizione che tiene insieme ci che , che
gli impedisce di essere diversamente da come : impossibilit che gli siano
sottratti i suoi attributi o gliene siano imposti altri che non ha (McKirahan p.
213).
133
Parmenide afferma leguaglianza dellessere con se stesso (
) - che esclude non-essere e possibili gradi dessere in relazione ai
suoi limiti. Come osserva Coxon (p. 216), lEssere universalmente uguale
a se stesso nel senso che uniformemente confinato da un limite (
), il quale, essendo estremo, non lo divide da qualcosaltro ma
lo determina a essere quello che e identifica la sua perfezione. Mourelatos
(p. 127) suggerisce una lettura diversa: in riferimento alla sfera, si
valorizzerebbe il fatto che un oggetto sempre uguale a se stesso, da
qualsiasi prospettiva lo si guardi.
134
Cos rendiamo , che si dovrebbe pi letteralmente tradurre come
ugualmente, allo stesso modo. Mourelatos (p. 127) sottolinea come dire
di qualcosa che presente ugualmente entro i suoi limiti sia un modo di
affermare che simmetrico.
135
Colli (Gorgia e Parmenide, cit., p. 150) traduce come tende: il verbo
introdurrebbe un elemento dinamico, in tensione con la precedente
connotazione statica dellessere, presentando lessere quasi fosse un
organismo vivente, che tende a espandersi come un respiro verso i suoi
limiti. In questo modo lessere sarebbe presentato dallinterno: dallesterno
ne sarebbe dunque accentuata limmobilit, dallinterno il dinamismo.

173

DK B8 vv. 50-61
[50]
1
.
2
- -
[55] 3
, ,
4, 5, ,

, .
[60] 6 ,
7 8.
1

Come in B1.29 indendiamo come nome divino.


I codici DEEaF di Simplicio Phys. 39, 1 riportano , forma per lo pi
accolta dagli editori; i codici DEF di Phys. 30, 23 e DEF2 di Phys. 180, 1
riportano invece .
3
codici DE di Simplicio riportano ; alcuni editori leggono .
4
Nei codici DE di Simplicio ritroviamo in vece di .
5
I codici delle tre citazioni di Simplicio riproducono il verso 57 con evidenti
irregolarit metriche, per la presenza di (rarefatto) prima di
. Il testo risulterebbe dunque: che mite, molto rarefatto e
leggero..... Si per lo pi ritenuto che uno dei due aggettivi fosse glossa
dell'altro, con conseguente espunzione. La versione del testo che suggeriamo
quella per lo pi adottata. Cerri, che sceglie di conservare il testo dei
codici, senza espunzioni, in una lunga nota testuale, con grande acribia
ricostruisce la probabile fisionomia del testo di Simplicio in questa
forma: , . Da osservare che il
termine (raro, rarefatto) probabilmente da considerare un
termine tecnico della cosmogonia milesia (Anassimandro DK 12 A22,
Anassimene DK 13 B1). Al contrario, il termine non attestato nel
linguaggio fisico presocratico. Coxon (p. 223) considera certamente
parmenideo, in quanto utilizzato come opposto di da Melisso e
Anassagora e nella tradizione dossografica sulla fisica di Parmenide.
6
L'aggettivo dimostrativo concordato con . Karsten propose di
correggere il testo dei codici con . Il senso sarebbe allora: relativamente
a queste cose, io ti espongo ordinamento del tutto verosimile.
2

174

[Fonti principali: vv. 1-52 Simplicio, In Aristotelis Physicam


145-146; vv. 50-61 Simplicio, In Aristotelis Physicam 38-39]
7

Nella trascrizione dei codici, alcuni editori (Stein, tra i contemporanei seguito
tra gli altri da Coxon, O'Brien) intendono . Il significato complessivo
del verso cambia di poco: cos che nessuno dei mortali possa esserti
superiore nell'opinione ovvero nel giudizio (o practical judgement
Coxon).
8
I codici EaF di Simplicio riportano , i codici DE : gli
editori hanno corretto in .

175

[50] A questo punto pongo termine per te al discorso affidabile e al pensiero


intorno a Verit2; da questo momento3 in poi opinioni4 mortali5
impara6, lordine7 delle mie8 parole9 ascoltando 10, che pu ingannare11.
1

L'aggettivo immediatamente riferito a , ma pu riferirsi anche a


: in qualche caso le traduzioni scelgono questa strada. Qui abbiamo
preferito mantenere distinti i due oggetti - e
che ci sembrano reiterare e rafforzare lo stesso concetto.
2
Si potrebbe rendere e si deve comunque intendere anche come pensiero intorno alla realt.
3
I due versi 50-51 segnano il passaggio tra una sezione l'altra: la conclusione
della Verit segnalata da , l'attacco della Doxa da
[...] .
4
Ovvero convinzioni o considerazioni.
5
L'espressione in considerazione del soggetto divino della
comunicazione - potrebbe forse rendersi semplicemente con opinioni
umane.
6
L'imperativo riprende, nell'introdurre la sezione sulla Doxa, il
programmatico futuro di B1.31. Cerri (p. 242) sottolinea il valore
"scientifico" che il verbo venne ad assumere all'epoca, non indicando il mero
ascoltare e memorizzare, ma l'essere fatto partecipe di una elaborazione
scientifica, di una dimostrazione rigorosa ed esaustiva. Interessante
soprattutto ritrovare un verbo come , senza dubbio positivamente
connotato in termini gnoseologici, nell'imminenza dellesposizione della
Doxa: B10 presenter ancora (conoscerai), (apprenderai),
(conoscerai). Lo stesso B11 doveva esordire con un'esortazione
simile. Tutti indizi di consistenza, evidentemente riconosciuta dalla divinit
al sapere che andava a esporre.
7
Si potrebbe forse rendere come costrutto verbale, sintassi
verbale. In ogni modo da preferire una resa letterale del sostantivo
(come suggerisce O' Brien, p. 57: arrangement) nel senso di
(Anassimandro). Mourelatos (p. 226) indica come possibilit anche forma.
Nella cultura arcaica l'espressione ricorre tra l'altro in Solone (
fr. 2.2 Diels); nel V-IV secolo in Democrito (DK 68 B21): in
entrambi i casi si sottolinea la composizione, l'artificio poetico. Coxon (p.
218), che rende il greco come composition, sostiene che il termine sarebbe
stato scelto per la sua congruit con il successivo , sistema, che
la composizione deve esporre. Una interpretazione radicalmente diversa
quella di J. Frre ("Parmnide et l'ordre du monde: fr VIII, 50-61", in tudes

176

sur Parmnide cit., vol. II, pp. 199-200), che legge il genitivo
come complemento indiretto (dalle mie parole) di , e
come ordine del mondo. Robbiano (op. cit., p. 182) avanza l'ipotesi che
mantenesse in Parmenide il suo valore omerico (disposizione
ordinata che conveniente, che funziona e che anche bella da vedere: il
prodotto di un essere intelligente), precedente al riferimento (che per altro
conservava aspetti della accezione originaria) all'universo (per la prima volta
forse in Eraclito B30). Nello specifico, secondo la studiosa, kosmos si
riferirebbe a prodotto della mente e della parola umana: a ci che vediamo
da una certa prospettiva (umana) e non a ci che (e come) le cose sono
nell'ottica divina. Nehamas ("Parmenidean Being/Heraclitean Fire", cit., p.
60) ha invece ipotizzato che significhi nel contesto il mondo di cui
la dea parla: da questo punto in avanti, impara le opinioni mortali, venendo
a conoscere (attraverso l'ascolto) il mondo ingannevole cui le mie parole si
riferiscono. possibile che le affermazioni di cui consta la Doxa, la teoria
che essa contiene, non siano di per s erronee, che descrivano correttamente
un mondo di per s ingannevole, in quanto mascherato da realt quando
solo apparenza.
8
L'uso dell'aggettivo possessivo sottolinea l'autorit della comunicazione e
l'assunzione di responsabilit nell'introduzione della sezione sulla Doxa:
analogamente ai pronomi personali (B2.1), (B5.1), (B6.2),
(v. 60).
9
Coxon (p. 218) segnala l'opposizione di a : discorso
poetico sarebbe contrapposto a discorso razionale. D'altra parte la cultura
del V secolo riconosceva un nesso tra e (come risulta da Euripide,
Eracle 111). Cerri (p. 243) non , tuttavia, disposto a esagerarne, nel
contesto, le implicazioni: in particolare, l'irrazionalit e l'ingannevolezza
delle parole che seguono sarebbero solo relative. Tarn (p. 221) sottolinea
come la Dea, pur impiegando parole secondo le regole della grammatica e
della poesia, non potr evitare che il suo discorso risulti decettivo.
10
Nuovamente (dopo B2.1) il viene invitato ad ascoltare, a manifestare
con la disponibilit all'ascolto la propria aspirazione alla conoscenza.
11
Dobbiamo a J. Frre (op. cit., p. 201) il rilievo circa il significato antico di
: che non sarebbe, come per il corrispettivo moderno,
ingannevole, piuttosto suscettibile di ingannare. La sua resa francese
la seguente: [un ordre du monde], o l'on peut se trompeur. Lo studioso
propone in effetti di collegare e , senza fare di
un genitivo dipendente da , ma vedendovi un complemento di
(p. 199). Reale sceglie di rendere l'aggettivo con seducente:
Ruggiu nel suo commento (pp. 313) sottolinea come il senso dell'aggettivo
vada colto nella relazione di apertura alla verit e all'errore (come sarebbe
proprio di ogni seduzione), alla luce del suo oggetto, l'apparire. Mourelatos
(p. 227) ha valorizzato le potenziali ambiguit della formula

177

Presero12 la decisione13, infatti14, di dar nome15 a due16 forme17,


: la stessa combinazione di parole a celare la tensione di idee
contrarie. L'espressione indica, in effetti, parlare
veritativamente, appropriatamente: la polarit - segnalerebbe
sia che le sono decettive, sia che l'ordinamento delle parole della dea
o il loro contesto pu suggerire molteplici e\o confliggenti significati. In
questo senso Mourelatos invita a tenere a mente la formula esiodea
(simili a cose vere, Teogonia 27) e l'espressione
(da tradursi come come double talk, Teogonia 229), che
Esiodo intenderebbe deliberata e maliziosa. Affascinante l'accostamento
omerico all'episodio di Odisseo e Polifemo. Lo studioso ne ricava (p. 228)
nel contesto una lezione di ironia da parte di Parmenide: i mortali praticano
"anfilogia" innocentemente (senza saperlo), cadendo quindi in errore; la dea
usa l'anfilogia in modo pienamente consapevole, svelando quindi la verit
sulle opinioni umane!
12
Anche chi, come Coxon (p. 219), ritiene che il modello dualistico proposto
nella Doxa possa risalire al pitagorismo antico, convinto che
abbia comunque come soggetto genericamente gli esseri umani, cogliendo
una connessione tra lo stabilire nomi di questo verso e quanto sostenuto nei
vv. 34-41. Tuttavia il problema del soggetto del verbo si pone: Frre (p.
203), per esempio, osserva come sia difficile pensare che tutti i mortali
possano essere assunti come dualisti, e decide di indicare come soggetto
alcuni (certains). Seguendo la proposta di Ebert ("Wo beginnt der Weg
der Doxa? Eine Textumstellung im Fragment 8 des Parmenides", cit.) di
leggere la sequenza dei vv. 34-41 dopo il v. 52, il soggetto di (e
dei successivi e ) diventerebbe . Ma quali?
Couloubaritsis (Mythe et philosophie, cit., p. 261) ritiene, per esempio, che,
diversamente dai mortali (senza discernimento, che nulla sanno) di B6, i
di cui la Dea parla negli ultimi versi di B8 si siano smarriti solo su un
punto preciso (B8.54).
13
Secondo Cerri (p. 245), la sequenza di aoristi (, , )
rivelerebbe un riferimento del discorso della Dea a un lontano passato.
Secondo Diels (Parmenides Lehrgedicht, cit., p. 92)
sarebbe da considerare formula abituale: Liddell-Scott traducono nel nostro
caso come recorded their decision, decided
to name. Si potrebbe rendere come si decisero a nominare. In alternativa
si potrebbe costruire il verso facendo dipendere da
(stabilirono) (due forme) e attribuendo all'infinito
valore finale (per dar nome), con come oggetto diretto:
stabilirono due forme per dar nome ai loro punti di vista (soluzione vicina
a quella adottata da Cerri). O ancora, considerare (come Deichgrber) sia
sia come oggetti retti da (posero due forme

178

14

15

[come] principi per nominare). Cordero fa, invece, di l'oggetto


diretto di e traduce quindi: They estabilished two viewpoints to
name external forms. Couloubaritsis (Mythe et philosophie cit., pp. 278-9)
propone una soluzione analoga, intendendo come marque signifiante; ne risulta: En effect, ils proposrent deux formes pour nommer les
marques signifiantes. Pur essendo la struttura della frase molto diversa,
nella sostanza il significato non muterebbe, come sottolinea anche Conche
(p. 190). Frre (p. 203), invece, sottolinea come non possa in
questo caso essere costruito con il complemento diretto. Tenendo conto del
fatto che (i) i vari significati del termine sono riconducibili
essenzialmente a giudicare, pensare e (conseguentemente) decidere; (ii) nel
contesto si dovrebbe rendere con opinioni, giudizi, punti di
vista; (iii) esiste nei codici DEF la variante : se accolta, la
traduzione dovrebbe risultare: [Uomini] stabilirono, infatti, due forme per
nominare sulla base delle [loro] opinioni; (iv) in alternativa
potrebbe essere inteso come accusativo di relazione (Frre: en leurs
jugements) tutto ci considerato, optiamo per la soluzione pi lineare:
quella di intendere come risolvettero i [loro] punti di
vista e dunque tradurre presero la decisione, si decisero a. Va
menzionata l'analisi di Mourelatos (pp. 228-9), che riscontra nel verso una
costruzione a conferma della sua lettura "anfilogica" della sezione: l'effetto
sarebbe quello di far avvertire all'uditore/lettore la tensione tra
(essi decisero) e (l'opposto: essi erano
di due opinioni, vacillavano; situazione che pu richiamare quanto espresso
da , B6.5).
Palmer (Parmenides & Presocratic Philosophy, cit., p. 354) ha di recente
sottolineato come qui abbia poco senso nel contesto, in quanto quel che
segue non sembra giustificare le affermazioni della dea nei vv. 51-2:
assumerebbe altro valore accettando la proposta di Ebert di "restaurare" i vv.
34-41 dopo il v. 52. In realt la Dea, in quel che segue, illustra proprio come
e dove possa annidarsi la distorsione nel punto di vista umano che va a
presentare.
La decisione di nominare implica unarbitrariet che Parmenide ha gi
stigmatizzato in B8.38b-39:
,

Perci tutte le cose saranno nome,
quante i mortali stabilirono, convinti che fossero reali.

Sullo stesso motivo ancora in B19:

179


t
.
Cos appunto, secondo opinione, queste cose ebbero origine
e ora sono,
e poi, a partire da ora, sviluppatesi, moriranno.
A queste cose un nome gli uomini imposero, particolare per
ciascuna.
Se teniamo conto della proposta di restauro del testo (vv. 34-41 dopo v. 52) da
parte di Ebert, potremmo effettivamente concludere che l'arbitrio della
convenzione linguistica indissociabile dalla concezione parmenidea della
Doxa. Leszl (p. 230) ha colto in questo unanticipazione della distinzioneopposizione tra nomos e physis.
16
Interessante la proposta di Leszl (p. 230): egli suppone infatti che abbia
una doppia associazione, traducendo: i mortali con doppia mente hanno
dato nome a due forme. La descrizione dei mortali corrisponderebbe cos a
quella di B6.4-5.
17
Il valore di sarebbe nel contesto, secondo Cerri (p. 246) quello di
strutture categoriali, create dall'uomo in funzione delle sue (due) sensazioni
pi urgenti, sulla base delle quali si costruirebbe successivamente la trama
complessa delle parole. Un parallelo in Platone, che sembra evocare
direttamente il verso parmenideo:
, , ,
,
vuoi che stabiliamo, disse, due categorie di tutto ci che ,
l'una del visibile, l'altra dell'invisibile? (Fedone 79 a 6-7).
Nella stessa direzione Robbiano (op. cit., p. 181), che vede nelle due forme
opposte la possibilit di ridurre il molteplice dell'esperienza to a minimal
number of categories. Per rimanere vicino all'uso arcaico del termine,
Cordero (By Being, It Is, cit., p. 156) insiste per rendere come
external forms. Analogamente Frre (p. 204) che opta per figures,
anche alla luce del successivo riferimento a , che designa corpo e
aspetto fisico - e Mourelatos, che rende con perceptible forms. Granger
(The Cosmology of Mortals, in Presocratic Philosophy, cit., p. 112)
osserva come la scelta di (che significa appunto anche forme
esteriori, apparenze per un osservatore) potrebbe segnalare il fatto che la
dea si volta dalla realt alle apparenze.

180

delle quali lunit18 non [per loro]19 necessario [nominare]20:


in ci sono andati fuori strada21.
18

L'interpretazione del valore di stata oggetto di interminabile


dibattito (che origina nell'antichit!). La traduzione pi fortunata quella
(proposta tra gli altri da Zeller e alla fine accolta anche da Diels,
inizialmente critico) che intende rilevare come, delle due forme imposte dai
mortali, una non avrebbe dovuto essere introdotta, una di troppo (ci si
riferisce spesso alle due forme come repliche di Essere e Non-Essere: la
seconda non avrebbe dovuto essere nominata); ci costituirebbe l'errore dei
mortali secondo la Dea. Si tratta di fatto dellinterpretazione di Aristotele;
essa stata oggetto di critica, in quanto: (i) da un punto di vista linguistico
intende come se fosse (non si potrebbe leggere in il
significato di una delle due); (ii) da un punto di vista interpretativo
accosta arbitrariamente essere e luce e non-essere e tenebra. Una seconda
linea di lettura (proposta tra i contemporanei in particolare da Kirk-Raven)
sottolinea come i mortali abbiano stabilito di nominare due forme, di cui non
si deve nominare una sola (cio una senza l'altra), come specificato da
Raven: two forms, of which it is not right to name one only (i.e. without the
other). Coxon segue la stessa linea. Una terza esegesi (anticipata da
Reinhardt e Kranz e poi seguita Verdenius, Deichgrber, Untersteiner,
Pasquinelli, Schofield) fu proposta da Cornford, intendendo =
: i mortali hanno errato nell'introdurre (oltre all'essere) due forme:
nessuna delle due avrebbe dovuto essere nominata: mortals have decided to
name two Forms, of which it is not right to name (so much as) one. La
Curd l'ha riproposta all'interno della sua analisi delle due forme come
enantiomorfe. Tarn (p. 219) ha sottolineato come tale resa sottintenda
qualcosa ( ) che il testo greco non propone. Una quarta possibile
interpretazione quella che abbiamo seguito: si pu ritrovare gi
nell'edizione del poema di Diels (1897), ma stata soprattutto ripresa e
approfondita da H. Schwabl ("Sein und Doxa bei Parmenides", Wiener
Studien, 1953, p. 53 ss.) e poi adottata da Tarn (for they decided to name
two forms, a unity of which is not necessary), Couloubaritsis e da Reale.
Gli uomini pongono due principi che non si possono ridurre a unit, in ci
cadendo in errore. Il genitivo del pronome () non pu essere partitivo (in
tal caso avremmo ) ma collettivo, e riferirsi a entrambe le .
Conclusione: (da intendere in senso numerico) deve essere una unit
delle . Insomma l'errore consisterebbe nel porre due forme e nel
non cogliere che sono riconducibili a un'unica realt (l'essere). Fondamentale
dunque l'accurata traduzione di Schwabl dei vv. 53-4, che alcuni ritengono
l'unica grammaticalmente accettabile (Mansfeld, p. 126):
denn sie legten ihre Meinung dahin fest, zwei Formen zu benennen,

181

von denen die Eine (d.h. eine einheitliche, die beiden


zusammenfassende Gestalt) nicht notwendig ist; in diesem Punkte sind sie in die Irre gegangen.
Si tratta di una lettura sollecitata dallo stesso commento di Simplicio (Fisica 31,
8-9):


[si sono ingannati] coloro che non colgono l'unit nella
opposizione degli elementi che producono la generazione.
Su queste esegesi si diffonde Reale nel suo aggiornamento a Zeller-Mondolfo,
Eleati, cit., pp. 244 ss.. Di recente Palmer (op. cit., pp. 169-170) ha
contestato la soluzione di Schwabl, ribadendo che il significato di
one of these, portando a esempio un testo di Erodoto (IX, 122), dove,
per riferito a una pluralit di luoghi ( ) e
non all'alternativa tra due elementi (che richiederebbe appunto ).
19
Importante per il senso complessivo stabilire se la mancata postulazione tesi
della Dea ovvero parte della sua analisi dell'errore dei mortali. Abbiamo
scelto di seguire questa seconda opzione, che ci sembra suggerita anche
dalla relativa seguente. Dello stesso avviso J.H.M.M. Loenen, Parmenides
Melissus, Gorgias. A Reinterpretation of Eleatic Philosophy, Van Gorchum,
Assen 1959, pp. 117-120.
20
L'espressione con valore modale richiede l'infinito:
sottintendiamo . Nei precedenti (B2.5; B8.11, B8.45) Parmenide
utilizza o , ma l'accusativo suggerisce nel contesto
.
21
Il perfetto medio-passivo equivale a si sono sbagliati:
conserviamo il valore implicito in . Coxon (p. 220) osserva come
l'uso del perfetto distingua l'allusione storica ai pensatori ionici dall'analisi
dello status delle due forme espresso dall'aoristo . In particolare,
richiamerebbe B6.4-6, per l'uso di (la
variante che Coxon accoglie in vece di ) e dell'espressione
. In questo modo si chiarisce anche che le allusioni di quel
frammento erano ai pensatori ionici. La natura dell'errore cui si allude
dipende dalla lettura dell'emistichio precedente: aver posto due principi,
distruggendo il monismo ontologico, ovvero aver posto due principi senza
coglierne l'unit; aver posto un solo principio. Secondo Patricia Curd (The
Legacy of Parmenides, cit., pp. 104 ss.) l'errore dei mortali sarebbe da
ravvisare nel fatto che essi hanno fondato la Doxa su due opposti di genere
speciale: enantiomorphs, oggetti che sono immagini speculari l'uno

182

[55] Scelsero22 invece23 [elementi]24 opposti25 nel corpo26 e segni imposero


27

dell'altro [...] definiti in termini di ci che l'altro non (p. 107), dunque in
una sorta di intreccio di essere e non-essere. Thanassas rimarca la
connessione tra e :
la formula in questo essi si sono ingannati concorrerebbe a restringere la
validit del termine ingannevole alle opinioni mortali criticate in 8.549, cos da aprire la possibilit di una nuova comprensione della relativa
incidentale ( ). Essa esprimerebbe esattamente
lerrore denunciato in quel che segue, poi corretto dalla appropriata Doxa
divina (p. 65).
22
Seguiamo Coxon (p. 221) nel rendere secondo il consueto uso epico di
- come scelsero. Anche in questo caso si pone il
problema del soggetto: si tratta dello stesso soggetto di ? Ovvero,
come crede Frre (p. 204), di altro soggetto, per cui alcuni presero la
decisione di dar nome a due forme e alcuni invece scelsero ... e segni
imposero? Optiamo per la continuit di un soggetto indefinito.
23
Traduciamo attribuendogli valore avversativo (per lo pi non tradotto o
gli viene aatribuito valore copulativo), nella convinzione che la Dea, faccia
seguito al proprio rilievo critico del verso precedente.
24
Forzando l'interpretazione, sottintendiamo elementi (e non genericamente
cose) nel neutro plurale . Simplicio in effetti parla di e
. Mansfeld (p. 140), sulla scorta di Deichgrber, sostiene che i
segni con cui sono connotate le due forme concorrano a definire la
nozione di elemento, con cui, nella sua trattazione, sostituisce il termine
forma.
25
Alcuni interpreti (per esempio O' Brien e Frre) intendono come
avverbio (in modo contrario, oppositivamente) riferendolo alle due
forme nominate, relativamente al corpo (, accusativo di relazione).
Altri, invece, pongono come oggetto diretto di e pongono
l'avverbio in relazione a esso. Coxon, dal canto suo, fa di e gli
oggetti diretti e di un predicativo. Intendiamo come neutro
plurale.
26
Il termine sempre riferito a corpi viventi: secondo Coxon (p. 221) ci
rivelerebbe che Parmenide considera le due forme come divinit. Conche
(pp. 194-5) ritiene che il significato omerico di forma corporea non possa
funzionare nel contesto: risalendo al valore di (che indicherebbe un
certo modo di costruire, per sovrapposizione di linee uguali), egli individua
struttura come resa pi sensata.
27
Il termine avrebbe, secondo Cerri (p. 248), qui il valore di segni di
lingua, parole. Nella scelta di e di , Mansfeld (p. 131)

183

separatamente28 gli uni dagli altri: da una parte, della fiamma


etereo fuoco29,
che mite30, molto leggero, a se stesso in ogni direzione identico31,
coglie una ripresa della disgiunzione () di B2 e delle propriet
dellessere (B8).
28
Rendiamo come espressione avverbiale, per ribadire
l'opposizione ( ).
29
Coxon (p. 221) ritiene che Parmenide, pur concordando nella sostanza con
Eraclito sul fatto che il fuoco costituente ultimo del mondo fisico, nella
scelta della coppia luce-notte rivelerebbe come sua fonte immediata la tavola
degli opposti pitagorica. Charles Kahn, invece - nel suo fondamentale
Anaximander and the Origins of Greek Cosmology, Hackett, Indianapolis
1994 (originariamente Columbia U.P., New York 1960), p. 148 -, ha
mostrato come l'espressione risenta della omerica
connotazione di (da , accendere, infiammare) come celestial
light, originariamente indicante una condizione del cielo e solo
derivatamente l'elemento luminoso e raggiante connesso alla regione
superiore dell'atmosfera, a contatto con la copertura celeste (): nel
tempo, insieme al correlato , avrebbe modificato il proprio significato,
finendo nel V secolo a.C. per indicare una regione di puro fuoco (come
ancora attesta Anassagora in DK 59 B1, B2, B15). I sostantivi e
(accusativi) sottintendono un verbo reggente: nella nostra traduzione si tratta
di .
30
L'aggettivo per lo pi tradotto con mite, che nel contesto, dopo il
richiamo a , potrebbe apparire insensato: in alternativa
Cerri (p. 249) propone utile o propizio. Ma anche questa soluzione,
soprattutto nel confronto oppositivo con i segni di notte oscura, appare
poco convincente. Manteniamo mite, nel senso fisico, suggerito da Frre
(pp. 207-8), di non intenso.
31
La due forme - fuoco etereo e notte oscura - sono poste a un tempo con la
caratteristica identit uniforme dell'essere e con la non-identit rispetto alla
forma opposta. Si tratta di caratteri fondamentali per l'interpretazione della
cosmologia parmenidea: il sistema di spiegazione adottato riflette propriet
emerse dall'analisi della Verit. Su questo punto in particolare Graham (pp.
170-1). Couloubaritsis (Mythe et philosophie cit., pp. 281 ss.) vede in questo
rilievo una sorta di indulgenza della Dea nei confronti dei mortali in
questione, i quali si attengono parzialmente alla legge dell'essere: ci
consentirebbe di riconoscere i Pitagorici dietro alle espressioni parmenidee.
Come abbiamo sopra ricordato, Mansfeld (p. 140) individua nei segni con
cui Parmenide connota le due forme la nascita della nozione di elemento:

184

rispetto allaltro, invece, non identico 32; dallaltra parte, anche


quello in se stesso 33,
le caratteristiche opposte34: notte oscura35, corpo denso e pesante36.
proprio auto-identit e non-identit rispetto alla forma contraria ne
sarebbero i costitutivi concettuali decisivi.
32
Forse proprio questo rilievo a segnalare il limite della posizione criticata:
come suggerisce Couloubaritsis (Mythe et philosophie cit., p. 288) non aver
saputo cogliere fino in fondo la legge della identit e non aver posto, per la
conoscenza, l'orizzonte dell'unit. possibile che il gioco di -
richiami le schiere scriteriate ( ) di cui in B6.8-9a si
dice:

[...]
per i quali esso considerato essere e non essere la stessa
cosa
e non la stessa cosa.
A questo ha di recente prestato attenzione Granger ("The Cosmology of
Mortals", in Presocratic Philosophy, cit., p. 111). Mansfeld (pp. 133-4) ha
osservato come lidentit dellessere sia differente da quella delle due forme:
lauto-identit dellessere identit nella quiete. Lauto-identit delle forme,
inoltre, auto-identit di aspetto che non esclude ma anzi concede allo
stesso tempo una contraria auto-identit di aspetto. Nehamas (Parmenidean
Being/Heraclitean Fire, in Presocratic Philosophy, cit., p. 55) ha invece
sottolineato come i due principi della Doxa - separati l'uno dall'altro, ognuno
completamente identico a s e differente dall'opposto - non si mescolino in
alcun modo l'uno con l'altro: la loro separazione radicale sarebbe dunque,
linguisticamente e filosoficamente, contraria alla pervasiva confusione di
essere e non-essere denunciata in B6.
33
Diels (DK vol. I, p. 240) legge come se avesse valore
avverbiale (gerade) e reggesse (all'opposto).
34
L'espressione qui intesa come + (gli opposti, le cose
opposte), come oggetto indeterminato del verbo reggente (),
utilizzato per introdurre il vero oggetto () e le sue connotazioni.
35
L'aggettivo indica l'impossibilit di discernere, percepire, conoscere
(costruzione con alfa privativo del verbo , imparare, conoscere,
percepire): absence de sens, secondo O'Brien (p. 60), ma anche
absence de lumire (). Liddell-Scott indica come secondo valore
oscuro, proprio in questa occorrenza nel poema di Parmenide. Coxon (p.

185

[60] Questo ordinamento 37, del tutto 38 appropriato 39 , per te40


io espongo42,
41

223) preferisce rendere l'aggettivo in senso attivo come unintelligent.


O'Brien in francese rende con l'obscure nuit, in inglese offre una versione
pi sfumata: dull mindless night. da notare come questa connotazione di
Notte possa essere intesa in senso epistemico negativo (impenetrabilit
conoscitiva): ci potrebbe aver spinto all'accostamento aristotelico tra Notte
e non-essere. Su questo si veda Granger (op. cit. p. 113). Da osservare
inoltre che alcune delle caratteristiche qui associate a (in particolare
oscurit e densit) richiamano quelle arcaiche di , connotata come
nebbia densa, oscura, fredda (per esempio Esiodo, Opere e giorni 547-556).
Sulla origine e sui caratteri degli elementi nella cultura greca arcaica
ancora essenziale il contributo di Kahn, op. cit., pp. 119-165. A proposito di
le evidenze testuali mostrano come in origine il termine non designasse
una regione o un elemento specifico, ma una condizione: la condizione che
rende invisibili le cose, assimilabile dunque sia a (nuvola) sia
all'oscurit, intesa come positiva realt (p. 143).
36
Mansfeld (pp. 132-3) vede nella corrispondente sequenza di segni delle due
forme tre distinti aspetti: (i) denominativo ( /), (ii) teoreticoconoscitivo (/), (iii) fisico ( /
). Una quarta corrispondenza ritrovata nel rilievo della comune autoidentit e etero-differenza delle due forme.
37
Mourelatos (p. 230) coglie nell'uso di un aspetto decettivo. Esso
pu indicare ordine del mondo, ma suggerire anche attivit: un
ordinamento in divenire nel tempo, una cosmogonia. Inoltre, in relazione a
e (B12.5), l'implicazione di ordine () di
sarebbe rovesciata nel senso di segregazione, divisione: il
dei mortali sarebbe dunque, in realt, un campo di battaglia. Il
termine tuttavia impiegato anche in Aristotele per indicare l'ordinamento
cosmico pitagorico e in genere anche nella forma verbale
conserva una valore positivo. Robbiano (op. cit., p. 183), riprendendo la
propria interpretazione del termine , osserva come sia qui
utilizzato per ribadire all'audience che il kosmos non un aspetto della
realt, non esiste oggettivamente; che vedere un kosmos vedere ed
esprimere la realt usando parole. Thanassas (Parmenides, Cosmos, and
Being, cit., pp. 64-5) osserva, invece, come il termine diakosmos implichi
un intreccio delle due forme, che prelude alla introduzione della nozione di
mescolanza, impiegata per la Doxa appropriata. In questo senso, le
espressioni ordine ingannevole delle mie parole e ordinamento del
mondo del tutto appropriato denoterebbero due diversi livelli e obiettivi
della Doxa: importante che essi non siano confusi (pp. 67-8).

186

38

Mourelatos e Couloubaritsis intendono come aggettivo, concordato con


: this whole ordering [system, framework]; l'ordonnance
totale.
39
Il significato del participio usato con valore assoluto secondo
Liddell-Scott seeming like, like ovvero fitting, seemly. La
verosimiglianza qui da intendere in relazione ai caratteri attribuiti alle due
forme, in analogia con quelli dell'essere. Ruggiu osserva come, per
connotare la doxa, Parmenide ricorra ad aggettivi, con caratterizzazione
positiva, che hanno radice nell'apparire: e (B1.32). RealeRuggiu scelgono comunque di rendere come veritiero, seguendo
Schwabl e il suo suggerimento di leggere l'aggettivo sulla base del
linguaggio spontaneo di Omero (p. 323), piuttosto che con quello della
(posteriore) sofistica. In Omero effettivamente il significato prevalente di
appropriato, adeguato. Untersteiner (pp. CLXXVII ss.), in questo
senso, insiste sul nesso con Senofane B35 ( ),
marcando l'accordo e la coerenza con i fatti. Anche Couloubaritsis (Mythe et
Philosophie chez Parmnide, cit., pp. 264-5) sottolinea la positivit del
termine, optando per il valore di conveniente, adeguato, analogo a quello
(appunto) dell'avverbio . La dea segnalerebbe al giovane la propria
intenzione di esporre l'ordinamento delle cose che conviene, cio tenendo
conto della critica rivolta ai mortali (B8.54). Di diverso avviso Mourelatos
(p. 231), per il quale anche manifesterebbe lo stesso gioco di
positivit e negativit che in genere impronta la Doxa parmenidea: per i
mortali non iniziati significherebbe adeguato, appropriato,
probabile, per la dea e il kouros apparente. Per Robbiano (op. cit., p.
183), la dea ricorrerebbe qui a per correggere l'impressione negativa
che l'audience poteva associare al precedente . Leszl
osserva (p. 223) come in questo verso di solito si renda
come ordine (disposizione di cose) conveniente, ritenendo che non
possa qui valere come simile (a qualcosa), in quanto sarebbe assente il
termine di paragone. Ammettendo tuttavia che in questo verso vi sia un
richiamo al v. 52 (-) e che la descrizione tradizionale
(omerico-esiodea) della falsit sia quella di dire cose simili a quelle vere
( ), in effetti il termine di paragone risulterebbe introdotto
indirettamente: l'essere, concepito come la realt genuina.
40
Si susseguono i due pronomi personali : abbiamo di nuovo ben
marcato nell'interlocutore diretto il destinatario dell'esposizione ancora
rivendicata dalla dea. Qui il dativo di interesse (Coxon p. 223).
41
Coxon (p. 223) rileva come, nonostante la dea attribuisca la decisione di
nominare due forme e la scelta di luce e notte agli esseri umani,
considerandole integrali alla natura dell'esperienza umana, ella invece
sottolinea con che il sistema del mondo (caratterizzato come )

187

cos che mai alcuna opinione43 dei mortali possa superarti 44.
suo. Un aspetto rilevato anche da Thanassas (op. cit., p. 71): il pronome
personale , in greco non necessario, sarebbe impiegato per enfatizzare il
carattere rivelativo di quel che segue, cos segnando il passaggio dalla Doxa
ingannevole a quella appropriata.
42
Coxon (p. 224) intende come io dichiaro, modificando la struttura
della frase: This order of things I declare to you to be likely in its entirety.
Couloubaritsis (Mythe et philosophie, cit., pp. 262-3) sottolinea come, nel
linguaggio corrente, fosse utilizzato per indicare una promessa, un
impegno. Come se la scelta verbale di Parmenide impegnasse la Dea nella
esposizione che segue. Interessanti le implicazioni lessicali: il sostantivo
in effetti significa parola, in particolare la parola di un dio o di un
oracolo; ma anche ci che si dice di qualcuno, una voce e, di
conseguenza, la rinomanza. Si tratta, dunque, di espressione ambigua, il
cui valore oscilla tra verit e discorso inverificabile. Utilizzato dalla Dea,
viene da un lato a significare parola vera (B8.35), che dovr
permettere al giovane di acquisire rinomanza, cos da risultare credibile
come uomo divino ( ). Questo spiegherebbe, secondo
Couloubaritsis, il passaggio alla proposizione conclusiva: nessun sapere
umano potr superare quello cos acquisito dal giovane. In ogni caso, anche
per una valutazione complessiva della sezione sulla Doxa, opportuno
marcare (seguendo Frre, op. cit., p. 209) come rinvii, all'interno di
questo frammento, alla parola che manifesta l'Essere (vv. 35-36a:
, , ).
43
Il termine ha uno spettro semantico piuttosto ampio, che spazia da
pensiero, giudizio, opinione, a decisione, massima pratica,
proposito. Reale-Ruggiu (pp. 316-7) interpretano l'espressione
come se non indicasse semplicemente altre opinioni, altri giudizi dei
mortali, ma una forma di "saggezza" (come quella veicolata attraverso gli
enunciati "gnomici" appunto, massime di saggezza pratica) tutta umana, che
si riduce a mere parole. Tarn traduce in effetti come wisdom e
Couloubaritsis come savoir.
44
Il verbo ha il significato di passare, superare. Mourelatos (p.
226 nota) osserva che il verbo appartiene al vocabolario delle corse di carri.
Il senso sarebbe dunque da rintracciare nel superamento/sorpasso
(outstrip), ma anche nel rivelarsi superiore in ingegno (outwit).
Untersteiner ha sottolineato anche il valore di portare fuori strada,
sviare, seguito da Reale-Ruggiu e anche da Cerri. Manteniamo la
traduzione pi comune. Su questa conclusione ha fatto per molto tempo leva
l'interpretazione "dialettica" della Doxa parmenidea: uno strumento, il
migliore possibile, per concorrere con successo con cosmologie rivali. Ma
pur sempre "ingannevole"! Una recente ripresa, ben argomentata, quella di

188

Granger (op. cit., pp. 102-3): l'impegno della Dea sarebbe stato quello di
fornire il miglior strumento per individuare l'inganno che si annida nelle
cosmologie. Nella misura in cui il giovane allievo fosse stato in grado di
riconoscere i difetti del pensiero dei mortali nella cosmologia che la Dea
aveva approntato, nessuna opinione mortale avrebbe pi potuto
sorprenderlo: la cosmologia pi ingannevole, in effetti, quella pi vicina
alla realt. Tarn (p. 207) aveva marcato come i due versi finali del
frammento non affermino che la ragione per esporre il sia che
esso il migliore, ma solo che lintero ordinamento offerto perch nessuna
sapienza umana possa superare Parmenide.

189

DK B9
1
,

, .

[Simplicio, In Aristotelis Physicam 180]


1

La forma verbale in realt nei codici DEF2 , corretta


dagli editori per ragioni metriche.

190

Ma poich tutte le cose luce e notte sono state denominate1,


e queste2, secondo le rispettive3 propriet4, [sono state attribuite] a queste cose e a quelle5,
tutto6 pieno ugualmente7 di luce e notte invisibile8,
1

Coxon (p. 232) difende l'inversione tra soggetto e predicato: dal momento che
in B8.53-59 si parla di nominare due forme, luce e notte dovrebbero
essere soggetto della proposizione, mentre tutte le cose diventerebbe
predicativo. I due nomi sarebbero, insomma, la sostanza della molteplicit di
enti fisici.
2
Il pronome dimostrativo neutro plurale secondo Tarn (p. 161), seguito da
Conche (p. 198), si riferisce a ; Diels, invece, seguito da altri
(per esempio Pasquinelli, Coxon), lo intende riferito a . Gigon,
Frnkel, Raven rendono il verso come espressione semplice: le cose in
accordo con le qualit di luce e notte sono state attribuite a queste cose e a
quelle.
3
Laggettivo possessivo pu essere tradotto con valore riflessivo
(proprie) o meno: il valore dipende dalla decisione circa il significato da
attribuire a .
4
Il termine avrebbe qui, secondo Tarn (p. 162) e Coxon (p. 233) un
valore analogo a quello di . Conche (p. 199), a nostro avviso
giustamente, interpreta come le qualit opposte associate a luce e notte.
Untersteiner (p. CLXXXIV, nota 66) vi coglie invece sinonimia con .
In effetti il termine dovrebbe nel contesto significare propriet, qualit
essenziale. vero per che la dimensione entro cui Parmenide inserisce la
Doxa certamente anche linguistica, donde la scelta di Tarn di tradurre con
meanings. Coxon sottolinea nella implicazione tra e un
carattere della posteriore associazione tra e o .
5
L'espressione si riferisce agli enti fisici, con i loro opposti
caratteri.
6
Il pronome pu essere riferito al Tutto ovvero a tutte le cose, alla totalit
delle cose: nel secondo caso, l'insieme delle cose a essere pieno di luce e
tenebra, non ogni singola cosa. B12.1 sembra avvalorare la seconda lettura,
cos come Teofrasto in DK 28 A46. Tra gli altri, Tarn (p. 162), Coxon (p.
233), e Gallop (p. 77) la sostengono. Conche (p. 200) esplicitamente
contesta questa lettura: come possibile che la totalit delle cose sia ripiena
a un tempo di luce e notte se non non lo sono anche le singole cose? Guthrie
(vol. II, p. 57) e Cerri (p. 255) insistono sulla equipollenza quantitativa.
Ruggiu (p. 328) esplicitamente sottolinea come ogni cosa sia costituita
insieme e ugualmente di Luce e Notte.

191

di entrambe alla pari9, perch insieme a nessuna delle due [] il


nulla10.
7

L'avverbio pu rendersi come insieme, allo stesso tempo,


egualmente. Se il valore sia da intendere nel senso di una rigorosa misura
quantitativa, dipende da come si interpreta .
8
L'aggettivo usato per marcare come, bench invisibile, la notte,
opposta alla luce, pur qualcosa (Coxon p. 233).
9
All'espressione si pu riconoscere valore quantitativo - come
fanno Diels e Reinhardt e di recente, per esempio, Cerri (p. 255), per il quale
Parmenide preciserebbe come i due principi debbano essere
quantitativamente equipollenti ovvero, come preferisce Tarn (p. 163),
interpretare nel senso di una equivalenza funzionale, ovvero di status o
potere, come vuole Coxon (p. 233). Empedocle (DK 31, B17.27):

questi sono infatti tutti uguali e coevi,
sembra alludere a una equivalenza (non quantitativa) di funzioni delle quattro
radici. Le due forme concorrono alla composizione del mondo: la loro
complicit nell'opposizione assicura la stabilit del mondo (Conche, p. 201).
L'idea di un equilibrio di forze, tuttavia, sembra comportare una
interpretazione quantitativa.
10
L'espressione stata variamente tradotta, ci
comportando una diversa accentuazione del suo senso complessivo: (i)
Diels, Burnet, Reinhardt, Cornford, Riezler, Untersteiner: poich nessuna
delle due ha potere sull'altra; (ii) H. Gomperz, Coxon: con nessuna delle
due c' il vuoto; (iii) Schwabl, Kirk-Raven, Beaufret, Hlscher,
Mourelatos, Kirk-Raven-Schofield, Austin, Reale, Palmer: poich insieme
a nessuna delle due il nulla (ovvero, Mourelatos: since nothingness
partakes in neither); (iv) Zafiropulo, Casertano: perch non esiste
alcunch che non dipenda dall'una e dall'altra; (v) Frnkel, Calogero,
Verdenius, Tarn, O' Brien:perch non c' nulla che non appartenga all'uno
o all'altro dei principi; (vi) Guthrie, Conche, Pasquinelli, O'Brien, Tonelli:
poich niente partecipa di nessuna delle due.
Abbiamo preferito la terza soluzione, in quanto sembra marcare con decisione la
svolta rispetto all'errore imputato alle opinioni mortali criticate in B8.5359: come sottolinea Ruggiu (p. 329), il rilievo della Dea ribadisce come tutte
le cose siano, come in esse si manifesti l'Essere. La lettura di Simplicio
sembra corroborante:
[...]

192

e poco dopo ancora [citazione B9]; e se insieme a nessuna


delle due il nulla, egli dice chiaramente che entrambi sono
principi e che sono opposti.
Da segnalare come Gomperz e Coxon (suo allievo) ritornino sulla questione
dell'equazione nulla-vuoto: in un contesto fisico secondo lo studioso
anglosassone (p. 234) significherebbe spazio vuoto, la cui esistenza
Parmenide avrebbe rigettato implicitamente (in B8, insistendo sul pieno),
Melisso esplicitamente.

193

DK B10


1 ,
2
[5] ,
3 4
.

[Clemente Alessandrino, Stromata V, 14 (419)]


1

Si tratta di correzione degli editori; il codice di Clemente riporta .


Gli editori moderni hanno corretto la forma del codice di Clemente
in .
3
Il codice di Clemente riporta, dopo , , poi espunto dagli editori.
4
La forma correzione moderna: il codice di Clemente riporta .
2

194

Conoscerai1 la natura2 eterea3 e nelletere tutti


i segni4 e della pura5 fiamma dello splendente6 Sole
le opere invisibili7 e donde ebbero origine8,
1

La forma del futuro , come la successiva , epica. Da sottolineare


il valore positivo del verbo: insieme a e sottolinea la natura
programmatica del frammento e la sua funzione di cerniera nell'opera.
2
Il termine stato in questo contesto tradotto (Coxon, Conche) come
nascita: Parmenide non si proporrebbe di esporre la costituzione o
l'essenza (Diels traduceva con Wesen) dell'etere o della luna,
analizzarne la composizione, ma di spiegare il loro venire a essere, la
generazione dei costituenti del mondo e la genesi dei fenomeni (Conche, pp.
204-5). Non pare tuttavia naturale rendere l'espressione
come la nascita dell'etere, n necessario intendere natura come
essenza: il riferimento alla costituzione dei fenomeni implica, nel caso
della cosmogonia della Doxa, illustrarne l'origine.
3
Dalla testimonianza di Aezio (DK 28 A37) possiamo intravedere come
Parmenide intendesse come l'atmosfera pi pura, rarefatta, nella quale
si muovono gli astri, e , invece, si riferisse all'atmosfera sublunare,
dislocata a ridosso della superficie terrestre, pi densa, meno pura.
4
In questo caso assume il suo valore comune nella lingua greca arcaica
(Omero): gli astri intesi in generale come segni per l'orientamento.
5
Il termine , pura, ha un valore prossimo a una delle accezioni di
(con alfa breve), utilizzato in questo verso nel senso di splendente
( con alfa lunga): si tratta di purezza anche in senso religioso.
6
Abbiamo gi detto di (con alfa lunga) con valore di splendente, da
preferire all'altra forma, (con alfa breve), per ragioni metriche (Cerri,
p. 260).
7
L'espressione attestata in Omero, dove significa azioni odiose
(Iliade V, 897): in questo contesto si potrebbe rendere come fanno molti
traduttori - come operazioni distruttive. Ma l'aggettivo
costruito con alfa privativo e la radice - di vedere - pu indicare tanto la
capacit di far sparire, rendere invisibile (dunque distruttivo), quanto la
indisponibilit alla vista (quindi oscuro, ignoto). Nell'insieme il
significato di invisibile appare pi convincente. Ricordiamo, inoltre, come
fa notare Cerri (p. 260), che in B8.57 la Dea aveva connotato il fuoco come
(mite, utile). Conche (pp. 205-7) sostiene la sua traduzione les
oeuvres destructrices du pur flambeau du brillant soleil rinviando alle
funzioni cosmogoniche di Fuoco e Notte: la loro unione implica generazione
del mondo, la loro dissociazione distruzione del mondo. Nella misura in cui
il fuoco solare si purifica al punto di liberarsi dalla componente notturna,

195

e le opere apprenderai periodiche9 della Luna dallocchio rotondo10,


[5] e la [sua] natura11; conoscerai anche il cielo che tutto intorno cinge12,
donde ebbe origine13 e come Necessit14 guidando lo vincol15
a tenere16 i confini degli astri.
esso diviene funesto e dunque dissociatore della mescolanza e distruttore
della realt.
8
Il verbo (aoristo medio) , alla terza persona, riferito a tutti i
termini elencati in precedenza, e non semplicemente al neutro plurale
: si troverebbe altrimenti alla terza persona singolare.
9
Seguiamo Conche (pp. 207-8) nel tradurre come opere
periodiche, evitando vaganti, troppo generico e fuorviante rispetto al
senso implicito nell'aggettivo (che LSJ traducono nel contesto come
revolving): quello di una ripetizione costante: gi nell'ambito del
pitagorismo, infatti, la lunazione sarebbe stata fissata in 4 periodi di 7 giorni.
Il senso del rilievo parmenideo sarebbe allora quello di sottolineare la
periodicit dell'azione lunare. Tonelli (p. 137) preferisce riferire a senso
a (della luna errante).
10
Qui ha il valore di occhio rotondo (LSJ round-eyed) e non si
riferisce ovviamente al gigante dall'occhio solo, il Polifemo omerico.
11
In questo caso, come scelgono di fare alcuni traduttori (per esempio Coxon,
Conche), potrebbe rendersi con il suo valore etimologico di origine,
nascimento.
12
L'espressione (letteralmente cielo che tiene intorno)
si riferisce alla funzione del cielo nel sistema astronomico di Parmenide:
quella di racchiudere in s l'universo, l'insieme di etere (contenente gli astri)
e di aria (che fascia la Terra).
13
L'espressione interrogativa rivelerebbe l'insistenza sulla
spiegazione a partire dall'origine (Conche, p. 209).
14
Ritroviamo , a governare () il cielo e soprattutto a costringere
entro i limiti ( ). In B8 costringeva l'Essere
alla identit e immutabilit; qui garantisce l'ordine dell'universo e la sua
costanza. Coxon (pp. 229-230) sottolinea la relazione di somiglianza,
analoga a quella che intercorre (in conclusione di B8) tra le due forme e
l'Essere.
15
Letteralmente leg (): torna anche in questo luogo l'eco
prometeica che il verbo porta con s (Cerri, p. 262).
16
Significativo il fatto che il Cielo abbia una doppia funzione: avvolgente
( ) e limitante rispetto alla marcia astrale (
).

196

DK B11


1
2.

[Simplicio, In Aristotelis De Caelo 559]


1
2

I codici DE di Simplicio riportano .


I codici AF riportano .

197

[...] come Terra e Sole e Luna,


l'etere comune1 e la Via Lattea2 e l'Olimpo
estremo3 e degli astri l'ardente forza4 ebbero impulso5
a generarsi6.
1

L'espressione si riferisce probabilmente al fatto che tutti gli astri


sono immersi nello spazio etereo.
2
La formula greca - significa letteralmente latte celeste.
L'uso dell'aggettivo potrebbe autorizzare a pensare (Conche, p. 211) che per
Parmenide la Via Lattea fosse composta di stelle.
3
Nel contesto l'espressione - Olimpo ultimo o Olimpo
estremo - si riferisce chiaramente a quanto sopra abbiamo trovato indicato
come , il cielo che tutto attorno cinge. Esso
costituisce l'estremo limite dell'universo, cos forzando in circolo il corso
degli astri.
4
In Empedocle (DK 31 B115.9) abbiamo un'espressione analoga:
. Il valore di sarebbe quello di forza vitale. L'impiego
dell'aggettivo si spiega con la natura ignea degli astri.
5
Significativo nel contesto il ricorso al verbo , che sottolinea la spinta,
l'impulso interiore: tale impulso a guidare il processo di costituzione delle
cose. In B12.4 Parmenide lo attribuir alla potenza immanente di una
.
6
Come sottolinea la scelta espressiva ( ), il contenuto del
frammento comunque in continuit con il tema cosmogonico-cosmologico
del precedente.

198

DK B12
1 2,
,

<>3
[5] 4 5
.

[vv. 1-3 Simplicio, In Aristotelis Physicam 39; vv. 2-6 Simplicio, In Aristotelis Physicam 31]
1

I codici di Simplicio riportano (Ea), (D1), (D2E),


(edizione aldina). Bergk ipotizz prima (1842) (adottato da
Diels), quindi (1864) , per ragioni metriche. Gli editori
contemporanei sono divisi: alcuni (Tarn, Kirk-Rave-Schofield, O'Brien)
preferiscono , che risulta tuttavia pi improbabile dal punto di vista
paleografico; altri la forma da noi adottata, , che presenta difficolt
metriche.
2
La forma correzione di Bergk: i codici riportano (DEa),
(EF), (edizione aldina).
3
Il testo greco dei manoscritti DEF , problematico a
livello metrico. Karsten e Diels propongono l'introduzione del pronome
dopo . Cos ancora Cordero e Reale. Mullach prefer correggere
in , seguito da alcuni editori (Tarn, Coxon, O' Brien). Altri,
appoggiandosi al manoscritto W, ignoto a Diels, leggono : cos molti
editori contemporanei: Mansfeld, Kirk-Raven-Schofield, Conche, Gallop. Si
tratterebbe comunque, secondo Franco Ferrari (Il migliore dei mondi
impossibili, cit., p. 86 nota), di congettura bizantina.
4
La forma correzione di Bergk: i codici riportano (DE),
(F).
5
La forma si trova nel codice F: DE riportano .

199

Quelle1 pi strette2, infatti, si riempirono3 di fuoco non mescolato;


le successive4 [si riempirono] di notte, ma insieme si immette5
una porzione6 di fuoco;
1

L'articolo , qui usato con valore pronominale, e l'aggettivo si


riferiscono probabilmente a , come insegna Cicerone (DK 28
A37), il quale traduce il termine come corona e orbis. Coxon (p. 235)
osserva giustamente come i versi che precedevano le citazioni di Simplicio
dovessero vertere sugli elementi e sulla struttura delle sfere, evocate senza
dettagli o nomi qualificanti in apertura.
2
Simplicio, nel contesto della citazione, si limita a dire che i versi seguivano un
passo sui due elementi, e non chiarisce quindi a quale sostantivo l'aggettivo
si riferisse: si intende comunemente . In questo senso
qualificherebbe quelle pi strette, ovvero quelle interne, dunque le
corone pi vicine al centro del sistema. Nell'interpretazione complessiva che
Diels proponeva gi nell'edizione del poema (1897), il riferimento sarebbe
alle corone interne di una doppia coppia, che costituirebbe centro e periferia
del sistema cosmico: (i) la coppia di corone non mescolate (quindi una
esterna di pura Notte, una interna di puro Fuoco) posta al centro
costituirebbe la struttura terrestre con la sua crosta solida e il suo interno
infuocato (fuoco vulcanico); (ii) quella alla periferia corrisponderebbe alla
solida (di pura Notte) parete esterna contenente (indicata anche come
in B11, ovvero come cielo che tiene tutto intorno,
, in B10), e alla corona di puro Fuoco, evocata in
B11 come .
3
L'aoristo () di significa decisamente divennero\furono
riempite: Parmenide sta dunque alludendo alla formazione delle corone
(Coxon, p. 237).
4
L'espressione significa letteralmente quelle sopra [ovvero
dopo] queste: per mantenere l'ambiguit di riferimento, abbiamo deciso di
rendere con le successive (cos Tonelli). I due pronomi dimostrativi ( e
) si intendono riferiti sempre a : il problema capire
esattamente a quali corone si alluda. Nell'ipotesi di Diels, di recente
rilanciata da Ferrari, si tratterebbe delle corone comprese tra la coppia
centrale e quella periferica (composte di "elemento puro", di Fuoco
all'interno, di Notte all'esterno); corone "miste" di Notte e Fuoco.
5
Si passa dal passato () al presente (), forse per marcare la
perduranza degli effetti cosmogonici: il valore dei versi dunque sia
cosmogonico sia cosmologico.

200

in mezzo a queste7 la Dea8 che tutte le cose governa9.


6

Letteralmente termine omerico - si dovrebbe tradurre con parte.


Parmenide preferisce l'espressione poetica, rara negli autori presocratici, a
.
7
L'espressione ambigua, come fa notare tra gli altri Tarn
(p. 248): essa pu riferirsi al centro dell'universo o al centro delle corone
miste. Nel contesto la seconda sembrerebbe la soluzione pi naturale.
8
Atius esplicitamente identifica la con una delle corone miste:
< >
< > ,

Delle corone frammiste [di fuoco e oscurit], quella centrale


principio e causa di movimento e generazione: [Parmenide] la
indica anche come Divinit che governa e Giustizia che tiene le
chiavi e Necessit (DK 28A37),
facendola coincidere con e . In tal modo egli salda nella teogonia e
cosmogonia della Doxa i riferimenti sparsi in B1, B8 e B10 a e
.
Ma Simplicio, evidentemente interpretando diversamente da Atius il
riferimento di , intende la dea come collocata al centro
dell'universo:

Egli pone la causa efficiente una e comune, la dea che sta in


mezzo al tutto ed causa di ogni generazione (contesto di B12).
Qualcuno ha suggerito che ci avvenisse in quanto il commentatore accostava la
parmenidea alla Hestia pitagorica: si veda, per esempio Filolao B7:
, ,

la prima cosa ben composta, l'uno, nel mezzo della sfera si
chiama Hestia (DK 44 B7).
9

L'espressione sarebbe, secondo Tarn (pp. 248-9),


probabilmente connessa con l'idea, pi o meno corrente all'epoca di
Parmenide, di una divinit suprema che governa l'universo. Coxon (p. 242)

201

Di tutte le cose ella sovrintende 10 all'odioso 11 parto e


allunione12,
[5] spingendo lelemento femminile a unirsi al maschile 13, e, al
contrario,
il maschile al femminile.
vi ha voluto cogliere un'analogia con Eraclito, per cui il potere razionale del
fuoco governa ogni cosa (DK 22B41).
10
Il senso pi appropriato di , in un contesto in cui si parla dell'azione
della Dea che tutto governa ( ), sembra essere
quello di presiede, sovrintende. Si potrebbe rendere anche come
principio di ovvero all'origine di.
11
L'uso di (da , avere in orrore) rivelerebbe il pessimismo di
fondo di Parmenide, eco della Stimmung della sua epoca, come riscontrato
soprattutto nella poesia, epica e lirica. Da notare (Conche, pp. 225 ss.) che in
questo caso il riferimento non esclusivamente alla nascita umana, ma alla
genesi di tutte le cose: la condanna del filosofo sarebbe rivolta al divenire
come tale (p. 227). Altri, tuttavia, attenuano il senso negativo dell'aggettivo
proprio in relazione al sostantivo , traducendo doloroso [ovvero duro]
parto (Reale), riferendolo quindi esclusivamente alla pena del travaglio,
non ai suoi effetti.
12
Il greco reso, alla luce del verso successivo, come unione sessuale,
coito (Cerri), amplesso (Tonelli). In realt non si deve dimenticare che
qui il poeta si riferisce non solo all'unione sessuale di maschio e femmina,
ma in genere all'unione dei due principi.
13
Le forme aggettivali sostantivate (il maschile) e (il
femminile) alludono forse - come nella tradizione pitagorica (secondo
quanto attesta Aristotele) - alla riduzione del primo elemento alla luce e del
secondo alla notte.

202

DK B13

[v. 1 Platone, Simposio, 178b; Plutarco, Amatorius 13; Sesto


Empirico, Adversus Mathematicos IX, 9; Stobeo, Anthologium I,
9, 6; Simplicio, In Aristotelis Physicam 39; v. 1b Aristotele, Metafisica, 1, 4 984 b 23]

203

Primo tra gli dei tutti ella1 concep2 Amore.


1
2

La di B12.
Traduciamo in questo modo (ambiguamente) : il senso nel contesto
garantito dalle testimonianze di Platone e Aristotele (che pur lasciano incerto
il riferimento al soggetto), Plutarco (che riferisce il verbo a Afrodite) e
Simplicio (che invece esplicitamente identifica il soggetto nella di
B12) - dovrebbe essere quello di generare, ma il significato del verbo
meditare, deliberare, pianificare. Il verbo qualifica dunque la
dea come una potenza razionale (Coxon, p. 243).

204

DK B14
1

[Plutarco, Adversus Colotem 1116 A]


1

La forma correzione dello Scaligero: il codice di Plutarco riporta


.

205

di notte splendente1, vagando intorno alla Terra2, luce d'altri3


1

Il composto greco significa letteralmente di notte


visibile\splendente. Come fa notare Cerri (p. 274), in tutti i composti del
tipo - il primo elemento ha valore di determinazione temporale (di
notte). Questo il senso che anche Conche (pp. 234-5) attribuisce al
composto : brillant la nuit, contestando la poco convincente
resa di Coxon (shining like night?!). L'aggettivo ricorre solo un'altra volta
in Orphica, Hymnii 54, 10: , in relazione ai riti dionisiaci,
che si tenevano (evidentemente) alla luce delle torce. Aristotele documenta
analoga interessante costruzione in riferimento al Sole: , di
notte nascosto. Rivendicato da Jaeger come citazione parmenidea,
l'aggettivo stato accolto come frammento nella edizione Untersteiner. Lo
facciamo seguire come B14a.
2
L'espressione riferisce alla Luna il moto di rivoluzione
intorno alla Terra: in B10.4 Parmenide aveva usato la formula
(le opere periodiche della luna dall'occhio
rotondo), alludendo gi con al regolare movimento (e quindi
all'azione periodica) dell'astro. L'espressione sembrerebbe poi implicare la
sfericit della Terra, come attestato anche da Teofrasto (Diogene Laerzio):


questi [Parmenide] fu il primo a sostenere che la Terra ha
forma di sfera e giace al centro [dell'universo] (DK 28 A44).
3

L'espressione , da intendere letteralmente come luce altrui, si


riferisce alla luce riflessa della luna (luce presa in prestito, come traduce
Conche). Parmenide consapevolmente gioca sull'assonanza con l'omerico
(straniero). Come osserva Cerri (p. 275), tale formula era
evidentemente opposta a , luce propria. Espressione analoga in
Empedocle (DK 31 B45):

in forma di cerchio introno alla Terra si aggira luce non
propria (ovvero straniera).

206

B14a
[..., ... ]

[Aristotele, Metafisica, VII, 15 1040 a31]

207

[... il Sole, ... colui che va intorno alla Terra o] il di notte nascosto 1
1

Secondo l'editore della Metafisica - W.D. Ross in questo caso Aristotele non
avrebbe citato Parmenide, ma forgiato il termine in analogia
con Parmenide ().

208

DK B15
.

[Plutarco, Quaestiones Romanae 282 B; Plutarco, De facie in


orbe lunae 929 B]

209

sempre volta e attenta1 ai raggi2 del sole.


1

Il participio dovrebbe letteralmente tradursi come guardando


attentamente. Come segnala Cerri (p. 276), qui molto probabile che
Parmenide giochi sulle implicazioni della relazione tra i due termini,
maschile () e femminile (): la Luna innamorata volge il suo
sguardo intenso verso il Sole. Immagine analoga in Empedocle (DK 31
B47):

contempla di fronte a s il fulgido disco del suo signore.

Come osserva Cerri (p. 276), vale non solo raggi ma anche sguardi.

210

DK B15a
[. ] [ ]

[Scolio a Basilio di Cesarea]

211

[Parmenide nei suoi versi dice che la Terra] ha radici nell'acqua1


1

Secondo Conche (p. 242), che si sofferma a lungo a chiarire l'affermazione di


Basilio, la Terra cui si allude quella ricoperta di flora e fauna, la Terra
vivente, di cui l'acqua effettivamente fonte di nutrimento. Non vi sarebbe
dunque alcuna implicazione genetica: alla luce delle testimonianze, non
l'acqua all'origine della Terra, semmai il contrario. Coxon (pp. 246-7)
ritiene, invece, che il riferimento sia alla massa di terre emerse (forse per
spiegare fenomeni come i terremoti). Di diverso avviso, in passato Paula
Philippson (Origini e forme del mito greco, Torino 1949, pp. 269 ss.), che
riscontra in questo riferimento all'acqua una allusione al mito di Okeanos,
che avrebbe circondato la Terra.

212

DK B16
1 2 3 4,
5

6 .

[vv. 1-4 Aristotele, Metafisica IV, 5 1009 b21; Teofrasto, De


sensu, 3; vv. 1-2a Alessandro di Afrodisia, In Aristotelis Metaphysicam (parafrasi del testo) IV, 5; Asclepio, In Aristotelis Metaphysicam (parafrasi) 277; vv. 3-4 Alessandro di Afrodisia, In
Aristotelis Metaphysicam (parafrasi del testo) IV, 5]
1

lcuni codici aristotelici riportano (ciascuno), preferito da DielsKranz; altri o . Il codice di Asclepio . Gli editori
contemporanei (Tarn, Coxon, Conche, O'Brien, Cerri) hanno optato per la
versione di Teofrasto e di autorevoli codici aristotelici (i pi antichi) della
Metafisica: (lectio difficilior).
2
Seguiamo Coxon e Cerri nel preferire - attestata da un solo codice (E)
aristotelico a (per lo pi accolta dagli editori) o : come spiega
Cerri (p. 280), il congiuntivo non solo lectio difficilior, ma anche
scelta pi sensata nel contesto. Passa (p. 48) sottolinea l'opportunit della
scelta di Cerri e Coxon, trovando riscontri nell'uso omerico delle
comparative.
3
La forma attestata in Aristotele e Teofrasto (in unione a o ).
Estienne modific in , ancora accolto da alcuni editori (Tarn, KirkRaven-Schofield, O'Brien, Conche). A alcuni (Coxon, Palmer)
preferiscono la forma ionica . Passa (p. 120) avanza perplessit in
proposito.
4
Il testo aristotelico, Alessandro e Asclepio riportano (dai
molteplici movimenti). Il testo di Teofrasto , preferito dagli
editori.
5
I codici aristotelici (insieme a quelli di Alessandro e Asclepio) riportano il
presente , accolto da Diels-Kranz (e di recente ancora difeso da
Passa, pp. 48-51), di cui tuttavia stata segnalata l'impossibilit metrica. La
tradizione teofrastea propone invece il perfetto (che ha
esattamente lo stesso valore), metricamente accettabile. La forma
degli editori.
6
I codici di Aristotele e Teofrasto riportano ; quello di Alessandro .

213

Come, infatti, di volta in volta si ha1 temperamento2 di membra molto vaganti4,


cos il pensiero5 si presenta agli uomini6: poich precisamente la stessa cosa
3

Attribuiamo al verbo valore impersonale. Per l'alternativa costruzione


personale sono state proposte diverse possibili candidature al ruolo di
soggetto del verbo: del v. 2 (Diels 1897: l'unico soggetto rafforzerebbe
la correlazione ... ), ovvero, adottando il testo greco di Diels-Kranz,
, o ancora un soggetto implicito (Cerri: qualcuno, ciascuno,
l'uomo) o sottinteso (Ferrari: 8.61). Altri, emendando
in , hanno fatto della mescolanza il soggetto.
2
Il termine ha un valore pi forte di : quello di perfetta fusione,
mescolanza in cui non sia pi possibile discernere le componenti (come
invece accade in una , semplice mescolanza). La trasforma gli
elementi in una nuova entit unitaria e armonica: per questo il termine viene
reso con fusione (Ferrari) ovvero impasto (Cerri), unione (Tonelli).
Va tuttavia osservato che, sulla scorta della testimonianza di Teofrasto (DK
28 A46), anche tale amalgama presuppone una composizione variabile dei
due elementi base. Traduciamo quindi come temperamento, anche in
considerazione della lezione che giunge dalla tradizione della medicina
ippocratica, dove l'idea di era associata a quella di riconduzione del
molteplice a unit (Stemich, op. cit., pp. 157 ss.).
3
Ricordiamo che nei poemi omerici il termine non indica mai ci che noi
comunemente intendiamo con corpo, bens il suo contrario, il cadavere.
Omero non rappresenta il corpo delluomo come unit di una molteplicit:
impiega infatti termini per lo pi al plurale, come (o ) appunto,
che noi traduciamo con membra. Ci cui qui Parmenide intenderebbe
riferirsi con il termine non sono dunque gli organi di senso (Diels)
o gli elementi (Schwabl), ma il corpo, come ha ben rilevato Tarn (p.
170). tuttavia interessante la proposta di Cassin-Narcy (B. Cassin M.
Narcy, Parmnide Sophiste, in tudes sur Parmnide, cit., II, p. 289) di
mantenere al termine la doppia significazione, riferendolo sia
immediatamente al corpo, sia mediatamente alle componenti universali.
4
Traduciamo l'espressione come
temperamento di membra molto vaganti [erranti], intendendola riferita
all'unit del corpo umano, che articolata appunto in appendici mobili, che
si agitano in molte direzioni.
5
Rendiamo il termine con pensiero ritenendo che in questo caso
Parmenide non si riferisca genericamente alla facolt (mente), ma alla sua

214

ci che pensa7 negli uomini, la costituzione8 del [loro] corpo9,


condizione in relazione alla situazione del corpo. La costruzione dei primi
due versi e il loro contenuto propongono un'eco omerica:
,

tale il pensiero degli uomini che vivono sulla terra,
quale il giorno che manda il padre degli uomini e degli dei
(Odissea XVIII, 136-7).
6

significativo che in questo contesto la Dea non ricorra a un'espressione come


ma a : il termine assume un valore descrittivo, marcando
l'identica natura degli esseri umani tutti ( ).
7
Ricostruzione letterale dei vv. 2b-4a: perch la stessa cosa ci che pensa (
) la natura del corpo ( ) negli
uomini, in tutti e in ciascuno ( ). Nella
letteratura recente si distinta la proposta (Thanassas, Meijer e ora anche
Marcinkowska-Ros) di tradurre linearmente il testo greco, supponendo
come soggetto (sottinteso) di : sarebbe complemento
oggetto e soggetto del verbo ():
perch [esso (il pensiero)] precisamente la stessa cosa
che la costituzione del corpo pensa negli uomini,
in tutti e in ciascuno.
Un'alternativa classica (Verdenius, ripreso da Vlastos e, tra gli altri, da
Hlscher, Barnes, Bormann, Mansfeld) quella di fare di a un tempo il
soggetto di e : la natura delle membra negli uomini la stessa
cosa che [essa] pensa.
Tarn, Heitsch, Mourelatos, Gallop, O'Brien, Gadamer (tra gli altri) hanno
avanzato a loro volta una traduzione letterale, che fa di il soggetto
di , di un accusativo, e di il soggetto di : la stessa
cosa, infatti, ci che la natura delle membra pensa negli uomini. In questo
modo si lega a , marcando quindi
l'identit dell'oggetto del pensiero.
8
Intendiamo in questo contesto come natura, costituzione (
: costituzione del corpo). Giorgio Colli (Gorgia e Parmenide, cit., p.
189) intende come essenza: il , come elemento della struttura
dell'uomo, operebbe una fusione nella molteplicit delle membra. Tonelli
riprende nella sua traduzione queste indicazioni.
9
Rendiamo il plurale come corpo, secondo l'uso omerico segnalato
sopra.

215

in tutti e in ciascuno: ci che prevale 10, infatti, il pensiero11.


10

In questo caso intendiamo come comparativo di (molto):


non vale dunque il pieno ( aggettivo: pieno), ma il pi,
quanto prevale, riferito, a quanto si ricava dal contesto della citazione
teofrastea, agli elementi (Fuoco-Notte, ovvero caldo e freddo). Teofrasto
interpreta infatti: la conoscenza si produce secondo l'elemento che prevale
( ). Tra coloro che interpretano
come il pieno, interessante la posizione di Tarn (pp. 256-60), che
argomenta a lungo a partire dallo stesso contesto teofrasteo. Teofrasto,
infatti, citerebbe il frammento per marcare come determinante per il pensiero
non tanto l'elemento che prevale, ma una certa proporzione tra i componenti
(). Cos, quando una certa proporzione delle componenti di Luce
e Notte presente nel corpo, ne risulterebbe lo stesso pensiero, dal momento
che il pensiero il risultato dell'intera mescolanza. Coxon (p. 87) interpreta
the plenum come the subject whose nature has been expounded in the
Way of Truth: esso sarebbe il solo contenuto del pensiero. Recentemente
M. Marcinkowska-Ros, in Die Konzeption des "Noein" bei Parmenides
von Elea, De Gruyter, Berlin-New York 2010, p. 187, ha proposto di leggere
come pronome dimostrativo (= ) in funzione prolettica, come
avverbio, e ipotizzando una relativa in funzione di completamento: [denn
dies ist mehr das Denken], was in der Mischung jeweils berwiegt.
11
Qui decisamente il risultato dell'atto di pensare.

216

DK B17
1 , 2

[Galeno, In Hippocr. Epid. VI, 48 (XVII, 1002)]


1

La forma intervento degli editori: il codice di Galeno riporta


.
2
Il testo di Galeno riporta : per ragioni metriche stato emendato in
(Scaligero, poi Karsten). Cerri (pp. 283-4) ha contestato tale emendazione
come inutile banalizzazione.

217

a destra1 i maschi, a sinistra le femmine.


1

Le due forme dative e sono riferite nel contesto del


discorso di Galeno (che cita) alle parti dell'utero:

.
.
Molti altri tra gli antichi hanno sostenuto che il maschio sia
concepito nella parte destra dell'utero. Parmenide infatti
afferma....

Gli aggettivi andrebbero dunque riferiti alle parti dell'utero.

218

DK B18
Femina virque simul Veneris cum germina miscent,
Venis informans diverso ex sanguine virtus
Temperiem servans bene condita corpora fingit.
Nam1 si virtutes permixto semine pugnent
Nec faciant unam permixto in corpore, dirae
Nascentem gemino vexabunt semine sexum.

[Celio Aureliano, Tardarum sive chronicarum passionum libri


IV, 9]
1

Nella tradizione si trova At come alternativa a Nam.

219

Quando femmina e maschio mescolano insieme i semi1 di Venere,


la potenza2 formatrice nelle vene3, che [deriva] da sangue4 opposto5,
conservando la giusta misura plasma corpi ben fatti.
Se, infatti, una volta mescolato il seme, le forze confliggono
[5] e non diventano un'unica potenza nel corpo prodotto dalla
mescolanza, malefiche
affliggeranno il sesso nascente con il [loro] duplice seme 6.
1

Dalla parafrasi di Celio Aureliano troviamo conferma della tradizione


dossografica secondo cui Parmenide credeva che esistessero semi maschili e
femminili, e che giocassero entrambi un ruolo nella riproduzione. Tale
convinzione risale probabilmente ad Alcmeone di Crotone, ma fu contestata
nell'antichit da Anassagora e Diogene di Apollonia.
2
Il latino virtus traduce il greco (potenza, forza, qualit, propriet).
3
L'ablativo venis deve riferirsi o alle vene dei genitori o a quelle dell'embrione:
la costruzione, con l'uso di diverso ex sanguine suggerisce che la seconda
alternativa sia pi probabile (Coxon, p. 254).
4
Evidentemente per Parmenide i semi deriverebbero dal sangue, rispettivamente
maschile e femminile. Coxon (pp. 254-5) segnala come ci differenzi la
posizione di Parmenide da quella di Alcmeone (che faceva derivare il seme
dal cervello), mentre al sangue pare rinviasse Pitagora.
5
Come suggerito da Conche (p. 262), diversus non ha qui valore generico,
ma, in relazione al sangue maschile e femminile, il significato di opposto,
contrario.
6
Si allude alla situazione in cui l'individuo generato risulti possessore sia del
seme maschile sia di quello femminile, caratteristici normalmente di uomini
e donne separatemente (Coxon, p. 255).

220

DK B19
1 2

.

[Simplicio, In Aristotelis De Caelo 558]


1
2

I codici DE di Simplicio, in vece di , riportano .


I codici di Simplicio riportano correzione degli editori.

221

Ecco, in questo modo1, secondo opinione2, queste cose3 ebbero


origine4 e ora5 sono6,
1

La formula impiegata per riassumere quanto detto: introduce quindi


una ricapitolazione ovvero la "lezione" che si ricava dal discorso precedente
(Conche, p. 265).
2
In conclusione della seconda sezione del poema, nella quale la Dea affrontava
come recita B8.51 - , appare legittimo tradurre
come secondo opinione. In realt, molti scelgono di insistere sulla
radice in , traducendo l'espressione come secondo parvenza,
secondo apparenza (Tonelli), selon ce qui semble (Conche), according
to belief (Coxon). Il senso della formula a noi pare comunque
salvaguardato: la Dea conclude la propria trattazione della realt dal punto di
vista dell'esperienza umana, cio di quel punto di vista che matura a partire
da (le cose che appaiono e sono assunte sulla base della
esperienza: Simplicio, a proposito di tale punto di vista parla di
), ribadendo il carattere che contraddistingue i
fenomeni che registriamo (): nascita (), sviluppo (), morte
(t). Nella sua interpretazione introduttiva, Simplicio impiega
una formulazione platonico-aristotelica: egli parla di
ma anche di . Come ha fatto osservare
Coxon (p. 256), i due versi B19.1-2 mettono in contrasto la natura delle cose
che appaiono nell'esperienza umana con la natura attribuita all'Essere in
B8.5: , .
3
Il pronome dimostrativo qui impiegato per designare l'insieme dei
fenomeni cosmici oggetto della trattazione ( nel
linguaggio di Simplicio) precedente. Secondo Conche (p. 265) si riferisce
alle cose che i mortali hanno sotto gli occhi: queste cose qui, di cui il
discorso cosmogonico ha spiegato l'origine, la natura e il destino.
4
Il testo greco riporta una irregolarit nell'uso del verbo: il plurale neutro
regge sia la terza persona singolare , sia la terza plurale e
: il passaggio da singolare a plurale nell'ambito di una stessa
frase esistono comunque precedenti in Omero e Senofane (DK 21 B29).
5
La formula , come segnalano Diels e Coxon, comune in Pindaro (e
Omero).
6
Come abbiamo gi segnalato, chiaro come in questo passo queste cose
siano connotate da un punto di vista temporale in senso opposto rispetto a
: i tempi verbali (passato, presente futuro), gli avverbi (, ),
le scelte verbali (, , ) contrastano la determinazione
dell'essere come , di B8.5.

222

e poi, in seguito7 sviluppatesi, avranno fine8.


A queste cose, invece9, un nome gli uomini10 imposero11, distintivo12 per ciascuna.
7

La formula avverbiale (letteralmente dopo, a partire da


ora) contrasta la labile puntualit di . Leggiamo
collegato al participio .
8
La costruzione greca - consente diverse soluzioni
nella traduzione (Cerri, p. 289): (i) la combinazione di futuro medio e
participio aoristo pu intendersi nel senso del compimento dell'azione
indicata dal participio, quindi: porteranno a termine la propria crescita;
ovvero (ii) nel senso di una cessazione di quell'azione, quindi: cesseranno
di crescere (si interromper il oro sviluppo); o ancora (iii) subordinando
l'azione indicata dal futuro a quella indicata dal participio: una volta
cresciuti/sviluppati, avranno fine.
9
Sottolineiamo il valore avversativo di , seguendo Untesteiner e Ruggiu: ci
contribusce a conferire senso critico al rilievo successivo.
10
Anche in questo caso, come in B16, il poeta opta per : la Dea ricorre
insomma a una designazione diversa rispetto alla diminutiva .
Sintomo, forse, del fatto che in questo contesto la polemica stata
abbandonata per lasciare il posto a una ricostruzione oggettiva.
11
L'espressione richiama puntualmente B8.38b-39a:
,

e B8.53:

secondo quella che Cerri (p. 289) definisce la pi tipica movenza della
"composizione ad anello".
12
L'aggettivo si riferisce alla funzione (in questo caso attribuita a
) di distinguere, contraddistinguere (-). All'instabilit del
nascere, crescere, morire sovrapposta la relativa stabilit del nome.

223

COMMENTO

224

IL VIAGGIO [B1]

Introduzione
Sesto Empirico, unica nostra fonte per i primi trenta versi del
poema (Sulla natura), ne contestualizza il proemio in
questi termini:

,
, ,
, , < >
.

Il discepolo di lui (= Senofane), Parmenide, svalut il
discorso opinativo intendo quello che ha concezioni
deboli -, e assunse come criterio quello scientifico, cio
quello infallibile, avendo preso le distanze anche lui dalla
fiducia nelle sensazioni. Iniziando appunto il Peri physes
scrive in questo modo (Adv. Math. VII, 111).

Il successivo commento (112-114), nel quale Sesto identifica il viaggio del poeta con lo studio filosofico (
), ha nei secoli condizionato la ricezione
del proemio, sia nel senso di proporlo come mera approssimazione metaforica allistruzione filosofica del poema, sia, conseguentemente, nel senso di misconoscerne il rilievo teoretico, riducendolo a orpello poetico (in fondo trascurabile):


[1],
,

[2. 3],
[5],

225

... [7. 8],


, ,
[9],
[9] < >
.

[14],
.
[22]
[29],
,
... [30],
, .
In questi versi Parmenide dice che le cavalle lo
portano, [intendendo] gli impulsi e i desideri irrazionali
dell'anima (1), e che esse avanzano lungo la via ricca di
canti della divinit, [intendendo] nella ricerca secondo la
ragione filosofica; la quale ragione guida a guisa di
divinit, per la conoscenza di tutte le cose (2, 3); le
fanciulle che lo precedono sono le sensazioni (5): di esse
accenna all'udito laddove dice due rotanti cerchi (7, 8),
cio i cerchi delle orecchie, attraverso cui esse ricevono il
suono. Chiama gli occhi fanciulle Eliadi (9), che avendo
abbandonato la dimora della Notte (9) vanno verso la
luce> (10), poich senza luce non pu esservi uso di essi.
Dice che procedono verso la Giustizia che molto
punisce e che tiene le chiavi dall'uso alterno (14),
[intendendo] la ragione che possiede una conoscenza certa
delle cose. Essa lo accoglie (22) e promette di insegnare
queste due cose: il cuore saldo di verit ben persuasiva
(29), che il fondamento immutabile della scienza, e
l'altra le opinioni dei mortali in cui non reale
credibilit (30), cio tutto quanto ricade nell'opinione,
che non saldo.

In realt, sin dalla fine del XIX secolo dall'edizione (1897)


del poema a opera di Hermann Diels - si reagito al rischio di
una banale allegoresi della poesia parmenidea, recuperando, proprio nel proemio, uno sfondo frastagliato di prospettive e possibili
226

suggestioni culturali, che hanno in comune leffetto di renderne la


relazione con i successivi frammenti molto pi complessa.
Dobbiamo alla competenza del filologo tedesco
linquadramento dellopera di Parmenide allinterno di
unarticolata cornice di plausibili precedenti (e motivi) poetici,
che appaiono rilevanti per apprezzarne loriginalit. Nella consapevolezza che la conoscenza della tradizione poetica intermedia
(secoli VII-VI a.C.) tra le fonti omeriche ed esiodee e il poema
parmenideo , per noi, in gran parte compromessa, Diels valorizzava in particolare1:
(i) il modello della speculazione cosmogonica e cosmologica
di Esiodo, che avrebbe improntato soprattutto la seconda sezione
del , ma da cui dipenderebbe la sua stessa struttura
bipartita - corrispondente all'iniziale sottolineatura delle Muse in
Teogonia, vv. 27-28:
,

sappiamo dire molte menzogne simili al vero,
ma sappiamo anche, quando vogliamo, il vero cantare,

insieme al motivo della doppia via (verit ed errore), che


evocherebbe lanaloga alternativa tra miseria morale () e
valore morale () in Opere e giorni (vv. 287 ss.);
(ii) il modello della poesia orfica, di cui nel poema riecheggerebbero termini e immagini: nel riconoscerne limportanza, le
connessioni con altre correnti religiose contemporanee (misteri) e
il radicamento nella tradizione pi antica, lo studioso ne marcava
lampia incidenza nella cultura greca in genere, rilevando tracce
del pessimismo (Pessimismus) di questo movimento di riforma (Reformation) anche nel razionalismo (Rationalimus) della filosofia ionica.

H. Diels, Parmenides Lehrgedicht mit einem Anhang ber griechische Tren


und Schlsser, mit einem neuen Vorwort von W. Burkert und einer revidierten Bibliographie von D. De Cecco, Academia Verlag, Sankt Augustin
20032 (edizione originale 1897), pp. 12 ss.

227

In tale prospettiva, Diels richiamava lattenzione sulla tradizione dei leggendari profeti del misticismo greco arcaico (Epimenide, Onomacrito, Museo) che avrebbe ancora trovato espressione nei di Empedocle: nel caso della forma poetica
(rivestimento poetico, poetische Einkleidung) privilegiata da
Epimenide per la propria rivelazione (Offenbarung), ritroveremmo, per esempio, il prototipo della narrazione in prima persona (Icherzhlung) di unesperienza di Incubation, quale riferita da Alessandro di Tiro:
.

,

,
.
.
<
>

.
Venne ad Atene anche un altro Cretese, di nome
Epimenide: nemmeno costui seppe dire chi gli sia stato
maestro, ma era straordinariamente competente nelle
questioni divine, tanto che, facendo offrire sacrifici, riusc
a salvare la citt degli Ateniesi, afflitta dalla peste e dalla
discordia civile. Ed era cos esperto in questa materia non
perch l'avesse imparata, ma si diceva che suo maestro
fosse stato un lungo sonno con un sogno. Arriv un
tempo ad Atene un Cretese, di nome Epimenide, portando
un racconto difficile da credere, formulato nei seguenti
termini: disse che, sdraiatosi a mezzogiorno nella grotta di
zeus Ditteo, rimase immerso in un sonno profondo per
molti anni, e si intrattenne in sogno con di e discorsi di
di, con la Verit e con la Giustizia (contesto DK 3 B1.
Traduzione di I. Ramelli e G. Reale).

228

Proprio Epimenide (nei suoi , in particolare) sarebbe


figura esemplare di uno sciamanismo, presente nelle credenze religiose elleniche (in associazione con fenomeni rilevanti, anche a
livello letterario, come le epifanie, i sogni, i sacrifici), in cui, rispetto al pi generale tema della purificazione e della relativa iniziazione, decisivo diventa il motivo del viaggio ultraterreno, del
contatto con una realt trascendente: in questa direzione la poesia
genericamente orfica avrebbe incrociato lelemento estatico, di
cui appunto il viaggio celeste (Himmelreise) costituirebbe
frammento.
Allinterno di tale orizzonte culturale, il si propone in una luce diversa, tale da suggerire maggiore cautela ermeneutica nella riduzione dei suoi contenuti ai moduli del dibattito
contemporaneo (come accade negli approcci analitici ai frammenti). Nel caso del suo proemio, in particolare, si rischia il fraintendimento proponendolo come mera introduzione doccasione o tributo formale, in cui il sapiente (un filosofo!), per opportunit letteraria e compiacenza verso il proprio pubblico, avrebbe optato
per un mascheramento allegorico della propria concettualit (assumendo limplausibile veste del poeta!): necessario invece
conservare al testo la sua polisemia e al complesso dellimpresa
teorica di Parmenide uno spessore originale 2.
2

Ogni edizione del poema e ogni saggio su Parmenide si intrattengono su questo


nodo interpretativo: la sintesi pi recente del lungo dibattito si pu leggere in
L. Couloubaritsis, La pense de Parmnide [si tratta delle terza edizione di
Mythe et philosophie chez Parmnide], Ousia, Bruxelles 2008, cap. II "Le
Prome comme producteur de chemins". Molto utile anche lintroduzione
(Parmenides and His Predecessors) di M.J. Henn al suo Parmenides of
Elea: A Verse Translation with Interpretative Essays and Commentary to the
Text, Praeger Publishers, Westport 2003, che si apre la propria introduzione
sul tema The Poet as Shaman and Singer of Mysteries in the Homeric
Style, dedicando molto spazio allanalisi della struttura dellesametro
parmenideo. Una riconsiderazione complessiva della poesia del
proposta da L.A. Wilkinson, Parmenides and To Eon. Reconsidering Muthos and Logos, Continuum International Publishing, London New
York 2009: le pagine 69-79 sono dedicate al problema del proemio.
Unampia e sostenuta lettura del proemio come chiave per linterpretazione
del poema oggi proposta in R. Di Giuseppe, Le Voyage de Parmnide, Orizons, Paris 2011.

229

Come di recente ha ricordato Maria Laura Gemelli Marciano 3,


il proemio parmenideo non inutile orpello o artificio letterario:
esso invece fondamentale per comprendere carattere, metodo e
finalit del poema. Nel contesto storico-geografico, sociale e religioso in cui si muoveva Parmenide, cantare unesperienza eccezionale, rappresentare, nel ritmo e nella musicalit proprie delle
forme esametriche, un viaggio nell'aldil, evocando un linguaggio
iniziatico e performativo, era cosa ben diversa dallerudita esercitazione che lallegoresi di Sesto presuppone: il poeta Parmenide si
rivolgeva a unaudience, un pubblico convenuto per ascoltare le
parole di una dea e partecipare allesperienza evocata in versi.
significativo, per la comprensione storica del poema, che del proemio non resti traccia nelle citazioni antiche, che esso sia stato
ignorato da coloro (Platone e Aristotele) che hanno contribuito a
fissare i contorni della figura di Parmenide per la tradizione successiva.

Perch la poesia?
Il problema della natura e portata del proemio strettamente
connesso a quello, pi generale, della scelta di fondo da parte di
Parmenide - del medium poetico, di cui la narrazione riflette alcuni motivi tradizionali, culturalmente di grande significato teoretico anche nella prospettiva specifica del poema. Ci si riferisce in
particolare allintimo nesso tra poesia, rivelazione e mito, certamente una chiave per decifrare limpianto creativo del
, in cui si intrecciano racconto, comunicazione divina della
parola () e verit ().

Rimane ancora molto utile il vecchio aggiornamento, a cura di G. Reale, di E.


Zeller R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte I,
Volume III: Eleati, La Nuova Italia, Firenze 1967.
3
"Lire du dbut. Quelques observations sur les incipit des prsocratiques", Philosophie Antique, 7, 2007 (Prsocratiques), pp. 7-37. l'osservazione alle
pp. 11-12.

230

Poesia, mito, verit


In un frammento (fr. 12 Bowra) del perduto Inno a Zeus di
Pindaro, contemporaneo di Parmenide, noi troviamo una sorta di
autointerpretazione mitica del ruolo del poeta e della poesia nella
societ greca tra VI e V secolo a.C.. Pindaro racconta come, dopo
aver ordinato il mondo e il regno degli dei, Zeus avesse loro domandato se, per caso, mancasse ancora qualcosa alla sua fatica:
essi, allora, lo avevano pregato di creare alcune divinit per celebrare con parole e musica quelle grandi opere e lintero suo ordinamento4. A tale scopo, per onorare la bellezza delledificio
cosmico, e manifestarlo nella sua totalit, Zeus introduce nuove
divinit, le Muse: cos la sua opera si compie con la nascita della
parola, del canto (originariamente identici), espressioni divine che
ne rivelano lessere. Per il grande filologo tedesco Walter Friedrich Otto, il supremo evento del mito che lessere delle cose si
riveli nella parola con la sua divinit 5: ogni mito genuino si rivolge alla totalit del reale, come uno sguardo complessivo sulla sua
manifestazione originaria.
In questa prospettiva, lesperienza del mito intesa come esperienza, a un tempo, della bellezza e della verit: da cui
limpressione arcaica che il poeta possa avvicinare, pi degli altri
uomini, lessere delle cose; che la sua parola possa afferrare la realt in profondit in forza della sua ispirazione. Linvocazione
alle Muse dellantica poesia greca palesa la recettivit del poeta:
l osserva Otto - non si apre con la superbia (tipicamente moderna) di una coscienza creatrice, ma con la modestia di chi ascolta. la divinit a cantare, il poeta solo suo mediatore: in questo
senso la poesia unombra dellessenza del mito.
Eppure il poeta (tipicamente per noi il poeta omerico), sebbene
non sia riconosciuto autore di ci che canta, rimane in ogni caso il
recettore dello spirito delle Muse: egli si distingue dalla massa
degli altri uomini ed pi vicino agli di in quanto sua la voce
4

Citato in W.F. Otto, Il mito e la parola (1952-3), in Id., Il mito, a cura di G.


Moretti, Il Melangolo, Genova 1993, pp. 43-44.
5
W.F. Otto, Il mito (1955), ivi, p. 60.

231

attraverso cui le Muse si esprimono. Egli un maestro di verit


(Detienne), le cui parole proclamano piuttosto che suggerire: per
questo poeti come Senofane e Parmenide (che compongono entro
la tradizione omerica) rivendicano una condizione privilegiata rispetto a quella dei mortali. Donde il carattere spesso esoterico
della filosofia antica 6.

Parmenide e la poesia
Nella scelta poetica di Parmenide questi elementi, come si avr opportunit di rilevare, si ricompongono in modo originale,
soprattutto nel plasmare latteggiamento del destinatario della
comunicazione divina: un fatto, tuttavia, che essi siano presenti
nel , che il mito assuma la forma del manifestarsi di
ci che originario, di quanto viene altrimenti designato come il
divino ( ).
Significativamente, la introdurr (B2) lassiomatica della
sua istruzione intorno alla Verit ricorrendo proprio alla formula
e tu abbi cura della parola, una volta ascoltata (
): il giovane () esplicitamente sollecitato
a prendersi cura () del divino, che dischiude la
comprensione della realt. Dei termini greci arcaici per parola
ritroviamo dunque nel poema:
(i) (B2.1; B8.1), la forma primitiva per esprimere ci
che realmente, effettivamente accaduto: la parola che d notizia
del reale, che stabilisce qualcosa, e, in questo senso, autorevole;
(ii) (B7.5), che ha il valore di di ci che stato ponderato, che serve a convincere (donde il valore di ragione)7, della
parola ragionevole. In questo senso, in B7.5, la Dea innominata
inviter il a valutare razionalmente ( , giudica
con il ragionamento) largomento proposto.

6
7

L. Atwood Wilkinson, Parmenides and To Eon, cit., p. 29.


W.F. Otto, Il mito e la parola, in Id., Il mito, cit., pp. 30-32.

232

Gi nel registro verbale possibile intravedere lintervento


creativo di Parmenide sulla tradizione.
Nel rilevare la contrapposizione apparente del poema di Parmenide con la razionalit ionica sul terreno dei contenuti e dello
stile, Ruggiu8 ha colto nella ripresa della forma e del metro epico
una modalit espressiva appropriata alla parola come : il
contenuto dellepica costituito, insieme, da le cose che sono,
quelle che sono state e quelle che saranno (
, Calcante in Iliade I, 70) e (le
Muse in Teogonia 28), da intendere come sinonimi. Dal momento
che, anche per Parmenide, valore primario la Verit (Realt),
attribuire a una divinit la rivelazione del contenuto dellopera sarebbe dunque escamotage espressivo coerente con la tradizione
sapienziale arcaica: il disvelarsi del reale si palesa come manifestazione del divino stesso 9. questo, allora, il motivo che induce
all'adozione della forma e del metro epico? Parmenide ancora
persuaso che il discorso cantato come pratica comunicativa garantisca la possibilit di una comunicazione vera, di un autentico
contatto (Vernant) con il divino 10?
Proprio il proemio, in effetti, sembra giustificare le scelte di
Parmenide alla luce dei suoi possibili modelli di riferimento: (i)
linno alla divinit in funzione di proemio rapsodico (nel campo
della poesia epica), ovvero linvocazione alle Muse in funzione di
protasi; (ii) i proemi delle opere di Esiodo, Epimenide e Aristea
(nel campo della poesia cosmogonica), che celebrano linvestitura
poetica e la rivelazione da parte della divinit11. Non vi dubbio
che, optato per il medium della rivelazione, ladozione della forma poetica fosse scontata e il metro dellepica tradizionalmente

Parmenide, Poema sulla Natura. I frammenti e le testimonianze indirette,


presentazione, traduzione e note a cura di G. Reale, saggio introduttivo e
commentario filosofico a cura di L. Ruggiu, Rusconi, Milano 1991, pp. 155156.
9
Ivi, p. 160.
10
Wilkinson, op. cit., p. 67.
11
Parmenide di Elea, Poema sulla Natura, introduzione, testo, traduzione e note
di commento di G. Cerri, BUR, Milano 1999, pp. 109-110.

233

funzionale allistruzione 12 ; ma anche vero che la scelta


dellepica avrebbe a suo modo naturalmente comportato quel medium (almeno nella forma dell'ispirazione) tradizionale. Si tratta
di due prospettive distinte e complementari, che potremmo cos
schematicamente caratterizzare: la prima opzione sottolinea
lorizzonte della verit in cui si iscrivono i contenuti del poema,
che la divinit garantisce con la propria autorit e autorevolezza;
la seconda richiama soprattutto la sua efficacia comunicativa, un
aspetto spesso trascurato, ma che di recente ha assunto grande rilievo nella letteratura critica13.

Poesia, educazione e vita


Proprio considerando i plausibili modelli che si celano dietro
le scelte e i moduli espressivi di Parmenide, non pare azzardato
sostenere che il proemio annunci un processo di trasformazione
della persona (il istruito dalla Dea), in cui il momento cognitivo tradizionalmente privilegiato dagli interpreti in realt
funzionale a una modificazione radicale dellesistenza di colui
che destinato a ricevere la comunicazione divina. Non a caso
esso stato spesso accostato in passato ai miti escatologici di Platone: in particolare il mito conclusivo della Repubblica (mito di
Er) e quello centrale del Fedro (mito dellauriga).
Almeno alcuni elementi fanno in questo senso indiscutibilmente riflettere: (i) la ripresa di un motivo, quello del viaggio,
centrale non solo nella letteratura omerica ma anche in quella religiosa; (ii) la meta del viaggio: lincontro con la divinit; (iii) la
scenografia cosmica dellincontro; (iv) le modalit della rivelazione divina.
Gli interpreti sostanzialmente concordano nel riconoscere nella scelta parmenidea del metro (esametro) dellepica
12

Parmenides. A Text with Translation, Commentary and Critical Essays, by L.


Tarn, Princeton University Press, Princeton 1965, p. 31.
13
Mi riferisco, in particolare, ai contributi di Chiara Robbiano (2006) e Martina
Stemich (2008).

234

unintenzione didascalica, linteresse al recupero di uno strumento culturale ed educativo essenziale della tradizione. Possiamo allora considerare tale opzione come un facilitatore per la comunicazione del sapiente: come i poemi epici di Omero ed Esiodo, il
poema di Parmenide tratta della verit e offre educazione. Chiara
Robbiano ha giustamente rilevato come scrivere in versi fosse la
soluzione espressiva pi naturale per chi intendesse affrontare una
materia del massimo rilievo: evocando alcune categorie epiche
familiari al pubblico, era poi possibile rimodellarle in una nuova
prospettiva filosofica14. Nel caso di Parmenide si trattava di suscitare aspettative, soprattutto se - ammettendo la circolazione di idee nel complesso del mondo greco, orientale e occidentale - interpretiamo la scelta poetica come alternativa ai modelli in prosa
provenienti dalla Ionia. Da un poema in esametri il pubblico poteva aspettarsi: (i) una comunicazione di verit; (ii) la proposta di
un modello di comportamento 15 . A conferma, significativo il
fatto che, nella cultura tra VI e IV secolo a.C., a pi riprese, Senofane, Eraclito e Platone abbiano attaccato Omero ed Esiodo, cos
denunciando lincidenza (e lefficacia) dellepica arcaica su mentalit e costumi.
Non va trascurata la possibilit che Parmenide abbia valutato
limpatto didattico della performance poetica, la forza comunicativa della recitazione pubblica, caratteristica di un contesto culturale ancora decisamente segnato dalla tradizione orale. Anche in
questo senso Parmenide avrebbe potuto sfruttare i vantaggi che
garantiva il richiamo alla sapienza del canto poetico omerico ed
esiodeo (facilitare diffusione e memorizzazione della propria
scrittura, attingere a un repertorio di immagini e analogie di sicuro effetto), con la possibilit, poi, di dar forma in piena autonomia a nuovi concetti e formule astratte16.

14

C. Robbiano, Becoming Being. On Parmenides Transformative Philosophy,


International Pre-Platonic Studies, Academia Verlag, Sankt Augustin 2006,
p. 42.
15
Ibidem.
16
M. Stemich, Parmenides Einbung in die Seinserkenntnis, Ontos Verlag,
Frankfurt 2008, pp. 30-31.

235

Della poesia greca arcaica17, il , nel suo proemio,


conserva senzaltro il riferimento paradigmatico al mito come
memoria per recuperare creativamente temi e motivi della tradizione in funzione didascalica, insieme al rilievo dellispirazione
divina (donde listituto stesso del proemio, cio labitudine di far
cominciare il canto - epico o lirico - con linvocazione alle Muse
o ad altre divinit) e alla (probabile) destinazione performativa
pubblica, collegata alla scelta della forma metrica (esametro), secondo le indicazioni interne alla stessa tradizione omerica (laedo
Demodoco nellottavo libro dellOdissea). Gentili segnala18 come
alla fine del VI sec. (504-501) il rapsodo Cineto di Chio fosse il
primo a recitare Omero a Siracusa (in unarea geografica non
remota dalla Magna Grecia di Elea: pare che Parmenide soggiornasse presso la corte di Ierone, che aveva richiamato artisti e intellettuali da tutta la Grecia 19 ), inserendo nellordito dei poemi
omerici originali versi epici.
Non va dimenticato come, in un sistema culturale quale
quello greco arcaico - fondato quasi esclusivamente sulloralit
della comunicazione del messaggio poetico, il cantore epico fosse
destinato a trasmettere, attraverso la narrazione, lenciclopedia del
sapere (tecnico, giuridico, scientifico) in cui, per secoli (nel caso
dellepos omerico), si era riconosciuta (e intorno a cui si era venuta organizzando) la societ ellenica 20. Per la comprensione del testo di Parmenide, che noi oggi leggiamo, quindi essenziale la
contestualizzazione, non solo per le trame teoriche, ma anche per
quelle formali: ci consente - rispetto a quelle arcaiche forme enciclopediche, in cui tutta la saggezza era incorporata nella concretezza della narrazione - di apprezzarne la specifica natura, l'originalit dellimpianto e laudacia dei suoi assunti (astratti e sistematici).
17

Ricavo questi elementi dal primo capitolo (Oralit e cultura arcaica) di B.


Gentili, Poesia e pubblico nella Grecia antica. Da Omero al V secolo,
Feltrinelli, Milano 2006.
18
Ivi, p. 22.
19
Su questo A. Capizzi, "Quattro ipotesi eleatiche", in La Parola del Passato,
XLIII, 1988, pp. 42-60; riferimento alle pp. 52-53.
20
Gentili, op. cit., p. 69.

236

Non va comunque trascurato il fatto che la scelta espressiva


probabilmente condizionata da esigenze di diffusione e trasmissione (non ultima la stessa memorizzazione) implicava, in quello sfondo culturale, la dimensione spettacolare (recitazione e
canto) della sua ricezione21, che Parmenide non poteva ignorare.
Questa considerazione, da un mero punto di vista formale, aiuta a
comprendere la solennit dellesordio poetico del e
linsieme drammatico del proemio (viaggio, difficolt, incontro
con la divinit), cos come la sua intenzione di coinvolgere il
pubblico destinatario, non solo a livello intellettuale, ma anche
emozionale, incoraggiandolo a seguire lesperienza trasformativa del poeta, convertito dal contatto con la verit 22.
In questo senso, rispetto alla tradizione, opportuno osservare
come il poema suggerisca:
(i) una diversa modalit di approccio alla Verit: nella poesia
omerica, la presenza del divino era evocata e invocata attraverso
la Musa e i versi originavano dalla memoria divina23; nel poema in generale, e nel proemio soprattutto, l'invocazione sostituita da un incontro divinamente garantito e da una diretta comunicazione divina, che fanno del poeta qualcosa di pi di un semplice
tramite ispirato;
(ii) una probabile integrazione della dimensione performativa:
l'invito alla valutazione razionale ( ) fa pensare a
una relazione educativa del tipo delineato dal Sofista platonico
(237a): come ha di recente sottolineato Passa24, la rievocazione,
per bocca dello Straniero di Elea, di una lezione tenuta da Parmenide ai discepoli potrebbe essere indicativa oltre che dello stesso modello pedagogico dell'Accademia di un'originale impronta
dell'Eleate:

.
21

Ivi, p. 49.
Robbiano, op. cit., p. 49.
23
Wilkinson, op. cit., p. 32.
24
E. Passa, Parmenide. Tradizione del testo e questioni di lingua, Edizioni
Quasar, Roma 2009, p. 25.
22

237

, ,
,

, ,

[B7.1-2]
Questo discorso ha osato supporre che ci che non
sia; il falso, infatti, non potrebbe prodursi in altro modo. Il
grande Parmenide, tuttavia, figlio mio, a noi che eravamo
ancora bambini, cominciando e fino alla fine testimoniava
contro questo discorso, ribadendo ogni volta con le sue
parole e i suoi versi che:
Questo infatti mai sar forzato: che siano cose che
non sono;
Ma tu da questa via di ricerca allontana il pensiero.

Si tratta di un fotogramma di interno scolastico 25: la memorizzazione dei contenuti fondamentali (cui la scelta dei versi sarebbe stata funzionale) era affiancata dal commento e dall'argomentazione dettagliata del maestro, che approfondiva e chiariva i
temi (comunicando probabilmente informazioni supplementari,
non divulgabili all'esterno). Il poema potrebbe essere, almeno in
parte, un reperto di tale situazione didattica: donde le sue asperit
e l'impressione che fosse probabilmente rivolto a una cerchia ristretta26.

Parmenide poeta
significativo che, in quella che potrebbe essere la pi antica
allusione a Parmenide, egli sia annoverato tra i poeti:

25
26

Cerri, op. cit., p. 94.


Questo rilievo in M.L. Gemelli Marciano, "Le contexte culturel des Prsocratiques: adversaires et destinataires", in A. Laks et C. Louguet (ds), Questce que la Philosophie Prsocratique? What is Presocratic Philosophy?,
Presses Universitaires du Septentrion, Villeneuve dAscq (Nord) 2002, pp.
89-90, che accosta in questo senso Parmenide a Eraclito.

238


,
,
;
Mi chiedo se vista e udito abbiano una qualche verit
per gli uomini, oppure se queste cose stiano proprio come
sempre ci ripetono i poeti: che non udiamo n vediamo
alcunch di preciso. (Fedone 65b),

a dispetto di una tradizione che avrebbe poi, a pi riprese, manifestato un certo disappunto di fronte ai versi dellEleate:



, .
I poemi di Empedocle e Parmenide, le Teriache di
Nicandro e le Sentenze di Teognide sono discorsi che,
servendosi della poesia come di un veicolo, ne prendono il
metro e la dignit, per evitare la prosa [il prosaico].
(Plutarco; DK 28 A15)
,
[...]
Ad Archiloco si potrebbe rimproverare il soggetto, a
Parmenide il modo di fare versi [] (Plutarco; DK 28
A16)
.

Parmenide, pur risultando oscuro a causa della poesia,
espone e afferma a sua volta le stesse cose. (Proclo; DK
28 A17).

La forza del pensiero sarebbe stata, insomma, artificiosamente


costretta in una forma espositiva inadeguata, producendo un duplice effetto negativo: loscurit dellespressione e la scadente
qualit dei versi. Scontato, per la tradizione platonica, che Parmenide avesse elaborato il proprio contributo indipendentemente dal
239

medium espressivo, cui si sarebbe applicato in un secondo momento, valutandone limpatto comunicativo: donde i compromessi e le incongruenze cui accenna Proclo:
.



. [B 8, 25. 5.
44. 45]
< > .
Lo stesso Parmenide, nel poema, pur essendo costretto,
certamente a causa della forma poetica, a far ricorso a
metafore, figure e tropi, privilegi tuttavia una forma
desposizione disadorna, controllata e semplice. Mostra
ci in questi versi [B8.25, 5, 44, 45] e in tutti gli altri di
questo tenore, cos che il suo discorso sembra piuttosto
prosa che poesia. (Proclo; DK 28 A18).

Sembra rivendicare invece loriginaria e originale intenzione


poetica dellopera parmenidea Genetlio:
[sc. ]
[vgl. 31 A 23]. []
,

,
.
.
... . ,
.
Inni fisici, come quelli composti da Parmenide,
Empedocle e dai loro seguaci [] Essi sono tali quando,
levando un inno ad Apollo, diciamo che il sole e
discutiamo della natura del sole, e di Era diciamo che
laria, di Zeus che il calore: inni di questo tipo infatti
riguardano lindagine sulla natura. Si servono di questa
forma despressione Parmenide ed Empedocle in modo
rigoroso [] Parmenide ed Empedocle infatti fanno da

240

guida e Platone lo ricorda brevemente. (Genetlio; DK 28


A20).

Parmenide ed Empedocle sarebbero stati campioni in un genere, quello dei poemi fisici ( ), vere e proprie indagini sulla natura (), riconosciuto nellantichit
(Platone). Simplicio suggerisce, dal canto suo, un ulteriore interessante accostamento:

[ 8, 43],
.
[fr. 70, 2 Kern]
;
Se [Parmenide] afferma che lessere uno simile a
massa di ben rotonda palla [B8.43], non ci si deve
meravigliare: a causa della poesia, infatti, egli ricorre
anche a qualche finzione mitica. Che differenza c
dunque tra questo modo di esprimersi e quello di Orfeo:
uovo dargento? (Simplicio; DK 28 A20).

La ricerca contemporanea ha documentato la matrice omerica


praticamente dellintero lessico del poema (Coxon27), e rilevato la
raffinatezza della sua composizione ritmica e musicale (Henn), a
dispetto della complessit della sua materia (rispetto ai precedenti
di riferimento, Omero ed Esiodo), rivendicando quindi la dimensione poetica dellopera di Parmenide e soprattutto la sua formazione di rapsodo (Schwabl 28), riconoscendo, in altre parole, che
Parmenide era un bardo omerico, erede dei tesori di secoli di recitazione orale (Henn29), impegnato a comporre allinterno della
tradizione epica e non contro di essa.
Parmenide, insomma, era (come Empedocle, probabilmente)
in primo luogo un poeta, interessato a sperimentare le potenzialit
27

A.H. Coxon, The Fragments of Parmenides, Van Gorcum, Assen/Maastricht


1986, pp. 9-13.
28
H. Schwabl, Hesiod und Parmenides, Zur Formung des parmenideischen
Prooimions (28 B1), Reinisches Museum, 106 (1963), pp. 134-142.
29
M.J. Henn, Parmenides of Elea, cit., p.5.

241

del verso nel campo dindagine della natura: i modelli epici potrebbero tuttavia non ridursi ai poemi omerici ed esiodei, e comprendere anche (soprattutto per la seconda parte del poema) la
produzione orfica, soprattutto teogonica e cosmogonica 30, attribuita a Museo, Epimenide e Onomacrito 31.

La rivelazione di Parmenide
La scelta di una portavoce divina esprimerebbe per alcuni il
desiderio di Parmenide di marcare l'oggettivit del suo metodo 32:
se lesito della ricerca fosse stato avanzato semplicemente come
la sua verit, avrebbe finito per riproporsi come un punto di vista,
lopinione di un mortale in concorrenza con le opinioni degli altri
(mortali) 33. Secondo il modulo epico, invece, il poeta-pensatore
non che portavoce della Dea e della Verit: come il contemporaneo Eraclito rimarcava che:
,

non me, ma il logos ascoltando, saggio convenire che
tutto uno (DK 22 B50),

cos Parmenide non intende riferire la verit immediatamente a


un soggetto, ma alla divinit, per garantirne lassolutezza 34.

30

Sullorfismo in generale si vedano ora i numerosi e preziosi saggi contenuti in


A. Bernab y F. Casadess (coords.), Orfeo y la tradicon rfica. Un
reencuentro, 2 voll., Akal, Madrid 2008. In particolare, nel primo volume A.
Bernab, Caratersticas de los textos rficos, pp. 241-246; M. Herrero,
Tradicin rfica y tradicin homrica, cit., pp. 247-278.
31
Per questi aspetti R.B. Martnez Nieto, Otros poetas griegos prximos a
Orfeo, ivi, pp. 549-576.
32
Tarn, op. cit., p. 31.
33
Parmnide, Le Pome: Fragments, texte grec, traduction, prsentation et
commentaire par M. Conche, PUF, Paris 1999 (edizione originale 1996), p.
66.
34
Ivi, p. 65.

242

Questa plausibile spiegazione della cornice religiosa non pu


tuttavia non tenere conto proprio della natura argomentativa della
prima sezione del poema - indicata dalla Dea come discorso affidabile e pensiero intorno alla Verit (
B8.50-1) - che la stessa Dea evoca come
(disamina, prova), invitando il a giudicare razionalmente
( ): consapevolezza che sembrerebbe contraddire
lurgenza di un pegno divino per il logos proferito.

Rivelazione e verit
In realt Parmenide, come Senofane, sembra per lo pi aderire
alla concezione pessimistica della condizione umana espressa tradizionalmente nella poesia arcaica. Leszl, in proposito, cita il contemporaneo Teognide (vv. 139-41):
,
.


Nessuno degli uomini ottiene quanto nei suoi
desideri;
si scontra infatti con i limiti postigli dalla dura
inettitudine.
Uomini come siamo, coltiviamo illusioni, senza sapere
nulla,
mentre gli dei pervengono alla realizzazione di tutto
quanto hanno in mente35.

significativo che proprio dalla poesia Parmenide ricavi i tratti con cui, in B6 e B7, caratterizzer limpotenza dei mortali
(): essi sono apostrofati come (che nulla
sanno, come in Omero, Teognide, Mimnermo, Semonide); la loro incapacit di realizzare ci che nei loro intenti stigmatizzata
35

W. Leszl, Parmenide e lEleatismo, Dispensa per il corso di Storia della


filosofia antica, Universit degli Studi di Pisa, Pisa 1994, p. 162.

243

come (impotenza, inettitudine, come in Teognide e


nellInno Omerico ad Apollo, vv. 189-193); la loro attitudine cognitiva liquidata come (mente errante, con paralleli in Archiloco fr. 58)36.
A dispetto di questo quadro, del fatto che luomo, con le sole
sue forze, non possa pervenire alla conoscenza piena della realt,
il proemio narra come lintervento e la benevolenza delle divinit
consentano almeno al poeta di ricevere e partecipare di quel
sapere che appannaggio divino37. Non sorprende che tale rivelazione investa in primo luogo le premesse (B2) della successiva
disamina razionale (B6-8), che il kouros invece sollecitato a valutare, come se ormai, grazie alla comunicazione dei principi, potesse concludere autonomamente; n che, alla luce delle tradizioni
evocate nello stesso proemio, essa si sostanzi essenzialmente in
termini contemplativi (B3-4), facendo quasi coincidere la percezione intelligente () con il proprio oggetto ()38.
La specifica cornice letteraria e limplicito motivo della comunicazione divina sarebbero allora sfruttati, consapevolmente e
strumentalmente, allo scopo di certificare verit e disponibilit dei
principi dellargomentazione: Parmenide, insomma, avrebbe attribuito i fondamenti della propria enciclopedia a unanonima docenza divina, per assicurarne incontestabilit e universalit. Ovvero, come intende Conche, il sapiente-poeta avrebbe conservato,
nella finzione della Dea, lidea tradizionale dellonniscienza divina, idea di un sapere che tocca la realt nel suo insieme: avremmo
in questo senso, come gi nel caso di Senofane, non pi una divinit religiosa ma filosofica39.

36

Ivi, pp. 163-4.


Ivi, p. 166.
38
Su questo ancora Leszl, op. cit., p. 168.
39
Conche, op. cit., p. 66.
37

244

Il problema della verit


Nella pratica poetica sembrava dunque risolversi un cruciale
problema cognitivo40: dal momento che gli esseri umani, nella loro impotenza, sono soggetti a illusoni, come pu il sapiente riconoscere la verit, sottrarsi a quella condizione di diffusa deficienza (cognitiva) e pretendere di sapere? Nella cultura greca arcaica,
solo un dio poteva essere fonte di verit, e il linguaggio della comunicazione divina era quello dei versi: Omero ed Esiodo validavano la loro poesia marcando il fatto che essa annunciava la verit, la cui conoscenza (sovrumana) era garantita dalla Musa epica41. In questo senso, il motivo poetico della comunicazione divina in Parmenide pervasivo, abbracciando entrambe le sezioni
del poema42: lintero campo del sapere esplicitamente ricondotto
alla lezione della Dea, tanto le tesi intorno allessere, quanto
lenciclopedia del sistema cosmico (), senza alcuno
spazio per una piena rivendicazione autoriale da parte del poeta.
Se consideriamo la struttura dell'opera delineata in conclusione del proemio, e i passi superstiti della prima sezione, risulta evidente, nella narrazione, come il rilievo della lezione divina sia
funzionale alla focalizzazione del problema dell'accesso alla veri-

40

Su questo punto fondamentale il contributo di G.W. Most, "The poetics of


early Greek philosophy", in The Cambridge Companion to Early Greek Philosophy, edited by A.A. Long, C.U.P., Cambridge 1999, pp. 332-362. Nello
specifico rinvio a p. 353.
41
Ivi, p. 343.
42
Sulla scorta delle indicazioni del testo (DK 28 B8.50-52):


[]
A questo punto pongo termine per te al discorso affidabile e
al pensiero
intorno a Verit; da questo momento in poi opinioni mortali
impara []
le due sezioni sono tradizionalmente designate come Verit e Opinione.

245

t43. Veridicit ed essenzialit44, in effetti, erano fondamentali obiettivi poetici che le opere di Omero ed Esiodo si proponevano e
rivendicavano (implicitamente o esplicitamente): gli inni teogonici, per esempio, articolavano il pantheon riconducendolo
allorigine del cosmo, cos assicurando, in forza della rivelazione
della Musa, una conoscenza superumana di cose distanti nel tempo e nello spazio45.
Quando le Muse di Esiodo dichiarano:
,

sappiamo dire molte menzogne simili al vero,
ma sappiamo anche, quando vogliamo, il vero cantare
(Teogonia 27-28),

lintenzione non di mettere in guardia dal contenuto della


buona poesia, piuttosto dalla comprensione della maggioranza
degli uomini, cos scadente da non poter discernere il vero dal falso46. Senofane, probabilmente nello stesso ambiente culturale di
Parmenide47, aveva gi chiaramente manifestato segni di scetticismo nei confronti del mito e di quella tradizione poetica:
,
,

ogni cosa agli dei attribuirono Omero ed Esiodo,
43

Su questo punto G. Germani, " in Parmenide", in La Parola del


Passato, vol. XLIII, 1988, pp. 177-206.
44
Most, op. cit., p. 343.
45
K. Algra, "The beginnings of cosmology", in The Cambridge Companion to
Early Greek Philosophy, cit., pp. 45-65. Il passo cui ci riferiamo a p. 49.
46
Most, op. cit., p. 343.
47
La tradizione dossografica antica costantemente associa Parmenide a
Senofane: tale relazione stata conservata nella tradizione fino al XX
secolo, nel corso del quale essa risultata profondamente scossa. Con buoni
argomenti ha di recente rilanciato la dipendenza di Parmenide dal pensatore
di Colofone John Palmer (Plato's Reception of Parmenides, Clarendon
Press, Oxford 1999, pp. 186 ss.; Parmenides & Presocratic Philosophy, cit.,
pp. 324 ss.).

246

quanto presso gli uomini cosa riprovevole e


censurabile:
rubare, commettere adulterio e vicendevolmente
imbrogliarsi (DK 21 B11)

() ,

Omero ed Esiodo, secondo Senofane di Colofone:
Numerosissime azioni illegittime hanno narrato degli
dei:
rubare, commettere adulterio e vicendevolmente
imbrogliarsi (DK 21 B12).

Egli (come Eraclito) prende apertamente posizione contro la


falsit dei contenuti di quella poesia, contro la distorsione della
corretta concezione del divino: significativo, in questo senso,
che proprio a cavallo tra VI e V secolo a.C. si sviluppi la pi importante misura di recupero 48 a protezione dei poeti: l'interpretazione allegorica. A Teagene di Reggio dovremmo, in effetti, il
tentativo di sanare la frattura tra le fonti tradizionali dell'autorit
poetica e i pi recenti criteri di argomentazione concettuale 49.
Certamente la critica di Senofane rischiava di accentuare il divario tra piano umano e piano divino, come emerge da alcuni dei
frammenti conservati, rendendo conseguentemente problematico
l'accesso alla verit:
,

non vero che dal principio tutte le cose gli dei ai
mortali svelarono,
ma nel tempo, ricercando, essi trovano ci che
meglio (DK 21 B18)

48
49

L'espressione di Most, op. cit., p. 339.


Ibidem. Sulla relazione tra Senofane, Paremnide e Teagene si veda A. Capizzi,
"Quattro ipotesi eleatiche", in La Parola del Passato, cit..

247



,

davvero l'evidente verit nessun uomo conobbe, n
mai ci sar
sapiente intorno agli dei e alle cose che io dico, su
tutte:
se, infatti, ancora gli capitasse di dire la verit
compiuta in sommo grado,
lui stesso non lo saprebbe: opinione data su tutte le
cose (DK 21 B34).

Bench testo e significato dell'ultimo frammento rimangano


ancora controversi50, esso sembra anticipare la conclusione scettica per cui non esiste criterio per stabilire una verit evidente e del
tutto affidabile. Analogamente si esprimeva, tra i contemporanei
di Parmenide, Alcmeone:

,
,

Alcmeone di Crotone, figlio di Piritoo, ha detto queste
cose a Brotino, Leonte e Batillo: sulle cose invisibili, sulle
cose mortali gli dei possiedono la certezza, ma a noi, in
quanto uomini, dato solo trovare degli indizi 51 (DK 24
B1).

La scelta di Parmenide - di far ruotare intorno a una figura divina la comunicazione del poema - potrebbe allora simboleggiare
50

J.H. Lesher, "Early interest in knowledge", in The Cambridge Companion to


Early Greek Philosophy, cit., pp. 225-249. Il riferimento a p. 229.
51
Dal passo iniziale del frammento vero e proprio ( ,
) la Gemelli Marciano propone di espungere la virgola, offrendo
quindi la seguente traduzione: sulle cose invisibili che riguardano i
mortali ("Lire du dbut. Quelques observations sur les incipit des prsocratiques", Philosophie Antique, 7, 2007 [Prsocratiques], p. 19).

248

la ripresa e la soluzione parmenidea del problema della verit 52.


Non va quindi trascurata la possibilit di cogliere, negli echi della
poesia religiosa e della stessa poesia esiodea (con la ripresa di elementi cosmologici della Teogonia), la specificit dell'esperienza
narrata nel proemio come prefigurazione del complesso dei contenuti dellopera.

Motivi poetici e suggestioni


In uno studio molto innovativo per lattenzione alla forma poetica del , Mourelatos 53 individu alcuni motivi 54
dellepica chiaramente presenti nel poema. Tra questi appaiono di
particolare interesse (i) quello del viaggio, certamente il pi importante, anche per le possibili implicazioni (in precedenza segnalate) con la poesia religiosa; (ii) quello dellistruzione, marcata
dalluso della seconda persona nella comunicazione divina, e dal
ricorso a formule programmatiche ( ;
; ; ; ), memori
di Esiodo (Le opere e i giorni) e Omero.

Viaggio ed erramento
Dei cinque aspetti rilevati 55 nella struttura di questo motivo
(motif) omerico - (i) progresso nel viaggio di ritorno, (ii) regresso
ed erramento; (iii) navigazione esperta; (iv) azione folle; (v) ricerca di informazioni sul ritorno da parte dei parenti a casa i
52

Germani, op. cit., p. 187.


A.P.D. Mourelatos, The Route of Parmenides. A Study of Word, Image and
Argument in the Fragments, Yale University Press, New Haven London
1970, pp. 12-14.
54
Non mi addentro nella distinzione, proposta dallo studioso, tra tema o
concetto, per cui le pure forme poetiche fungono da veicolo (oggetto della
iconografia), e motivo o significato complessivo, valore simbolico
(oggetto della iconologia). Ibidem, pp. 11-12.
55
Ivi, p. 18.
53

249

primi quattro appaiono marcatamente sfruttati nel poema. La


compiuta circolarit del viaggio nell'Odissea pone in primo piano
il ritorno a casa (), per cui esiste una specifica impresa di
ricerca ( ): nel proemio si alluderebbe esplicitamente o implicitamente a seconda delle interpretazioni alla
stessa situazione (viaggio alla dea e ritorno tra gli uomini). In ogni caso centrali risulterebbero, nelleconomia del poema, la conduzione () delle guide (divine) di scorta al viaggiatore e
per contrasto lerramento () dei mortali: analogamente,
leroe omerico - accorto e istruito dalle divinit - sa di dover osservare un certo comportamento, mentre i suoi compagni, privi di
lungimiranza, si rendono colpevoli di azioni irresponsabili,
dostacolo al viaggio di ritorno56. Cos, al kouros la Dea non manca di riferire le coordinate (i segni, ) della via corretta
(B8.1-2: ), mettendolo in guardia dalle insidie
della abitudine nata dalle molte esperienze (B7.3:
); alla cui deriva, invece, come i compagni di Odisseo,
si abbandonano i mortali che nulla sanno (B6.4:
), connotati come uomini a due teste ().
Ma il motivo del viaggio non riconduce solo al paradigma
omerico: probabile ne esistesse una variante letteraria nella poesia apocalittica 57 , diffusa nei circoli pitagorici, a partire dai
del leggendario Epimenide sopra ricordato. Non solo
Diels a crederlo; tra gli specialisti del XX secolo, Guthrie 58, per
esempio, coglie, almeno a livello verbale, echi orfici, che tuttavia
non dimostrerebbero altro che il radicamento nella tradizione della poesia pi antica e in quella contemporanea (Pindaro, Bacchilide, Simonide), mentre ritiene pi consistente la possibilit di una
influenza dello sciamanesimo, proprio sulla scorta dei precedenti
di Epimenide e altri (Aristea, Abari, Ermotimo).

56

Ivi, pp. 18-21.


Uso laggettivo come Diels nel suo significato etimologico da
(scoprire, rivelare appunto).
58
W.K.C. Guthrie, A History of Greek Philosophy. II. The Presocratic Tradition
from Parmenides to Democritus, C.U.P., Cambridge 1965, pp. 10 ss..
57

250

Esperienze dell'altro mondo


Come segnalato in nota ai versi del proemio, alcune scelte espressive di Parmenide per esempio il vocativo (con cui
la apostrofa il viaggiatore giunto al suo cospetto) e soprattutto la formula (con cui indirettamente designato il
poeta) hanno fatto pensare a un esplicito richiamo a modelli misterici, destinati a fortunate riprese in particolare da parte di Platone59.
Rivestono in questo senso un notevole interesse le laminette
funerarie classificate come "orfiche" (le pi antiche risalenti al VIV secolo a.C.) e altri frammenti riconducibili a quell'ambiente
religioso, sia per il motivo del viaggio (per giungere all'Ade: non
agile, non lineare; dunque bisognoso di guida) e della connessa
esperienza che propongono (il giudizio della anime a opera di Dike), sia per specifici elementi che presuppongono (l'iniziazione) e
impongono (la necessit di operare una scelta di fronte a un bivio). Di recente Ferrari tornato a segnalare come l'itinerario del
poeta nel proemio, con la sua destinazione infera, abbia molto in
comune con quegli itinerari iniziatici che i defunti percorrevano
nell'oltretomba, seguendo pi o meno puntuali istruzioni 60.
Non si tratterebbe solo di dettagli di contorno (come segnaliamo in nota) che Parmenide avrebbe recuperato per garantire solennit alla propria composizione, ma di suggestioni che l'avrebbero informata, fornendo il nesso profondo tra il racconto del proemio e il resto del poema, saldando il tema dell'iniziazione alla
fondazione logica del sistema 61.
Cos sarebbe possibile ricostruire la topografia del viaggio
parmenideo: percorso privilegiato (sotto la conduzione delle EliaEliadi: , v. 5) di un "iniziato" (
) lungo la via che conduce alla porta dell'oltretomba (
59

Per questi aspetti ancora molto utile M.M. Sassi, "Parmenide al bivio. Per
un'interpretazione del proemio", La Parola del Passato, cit., pp. 383-396.
60
F. Ferrari, La fonte del cipresso bianco. Racconto e sapienza dall'Odissea alle
lamine misteriche, Utet, Torino 2007, p. 115.
61
Sassi, op. cit., p. 386.

251

, vv. 2-3)62 sorvegliata da Dike, la quale non

solo consentir al poeta l'accesso al mondo dei morti (per testimoniarne), ma soprattutto l'incontro con la e, conseguentemente, la sua istruzione. Un tragitto che, a suo tempo, in uno
studio pionieristico, Morrison aveva connotato come quello del
poeta-sciamano in cerca di conoscenza 63, accostandolo all'esperienza del platonico Er.
In modo sorprendentemente simile, le istruzioni (incise su laminetta aurea) per l'anima del defunto nel sepolcro di Ipponio
(circa 400 a.C.) prevedono:


Quando ti toccher di morire
andrai alle case ben costrutte di Ade 64,

dove, presso la palude di Mnemosine ( ), l'anima sarebbe stata affrontata e interpellata dai custodi
():
[ h ]

che ti chiederanno nel loro denso cuore
Cosa vai cercando nelle tenebre di Ade rovinoso 65.

Ma le laminette propongono soprattutto un'altra suggestione,


che potrebbe emergere in Parmenide (per giungere poi ai miti
dell'aldil platonico) come riflesso di un fondo escatologico comune 66 : la possibilit che una tappa nell'itinerario tracciato da

62

La Sassi (pp. 387-8) ricorda come nel mito oltremondano del Fedone (107d
ss.) le anime dei defunti, per coprire il cammino verso l'Ade, abbiano
bisogno di che le conducano come .
63
J.D. Morrison, "Parmenides and Er", Journal of Hellenic Studies, 75, 1955,
pp. 59-68. La citazione a p. 59.
64
G. Colli, La sapienza greca, vol. I, Adelphi, Milano 1977, pp. 172-3.
65
Colli, op. cit., pp. 172-3.
66
Sassi, op. cit., pp. 390-1.

252

Parmenide sia costituita dal bivio dell'oltretomba ben attestato


nelle laminette (e nei testi platonici):
< > ,

[...]

[ h ]


c' alla destra una fonte,
e accanto a essa un bianco cipresso diritto
[...]
A questa fonte non andare neppure troppo vicino;
ma di fronte troverai fredda acqua che scorre
dalla palude di Mnemosine (laminetta di Ipponio)


.
,

E troverai alla sinistra delle case di Ade una fonte,
e accanto a essa un bianco cipresso diritto:
a questa fonte non accostarti neppure, da presso.
E ne troverai un'altra, fredda acqua che scorre
dalla palude di Mnemosine (laminetta di Petelia, circa
350 a.C.)
,

.

< >
Troverai alla destra delle case di Ade una fonte,
e accanto a essa un bianco cipresso diritto:
a quella fonte non accostarti neppure, da presso.
E pi avanti troverai la fredda acqua che scorre

253

dalla palude di Mnemosine (laminetta di Farsalo, circa


330 a.C.)67.

Cos come l'iniziato preventivamente istruito di fronte all'alternativa delle fonti cui attingere per placare la propria sete, la
Dea di Parmenide, conclusa la propria allocuzione introduttiva e
richiamata l'attenzione del :
,
Ors, io dir - e tu abbi cura della parola, una volta
ascoltata (B2.1),

evoca (B2.2) l'immagine delle vie di ricerca, evidentemente


biforcate:
(i) (B2.3);
(ii) (B2.5);
per trattenerlo dal tentativo di percorrere la seconda, come invece accade (analogamente alle anime che si gettano verso l'acqua
della prima fonte) ai mortali che nulla sanno (
, B6.4)68.
Sono stati compiuti, negli ultimi anni, tentativi per individuare
un modello unitario per tutto il materiale funerario di questo tipo
(che si riferisce a reperti risalenti ai secoli V-II a.C.), giungendo
addirittura a fissare la serie di stazioni che farebbero da sfondo
alle istruzioni per le anime dei defunti 69. Pi prudentemente, riferendosi alle laminette di Ipponio, Petelia, Farsalo e Entella (fine
V- fine IV secolo a.C.), Ferrari ha sottolineato come ci si trovi di
fronte a una traccia poetica sostanzialmente unica e unitaria, ma
altres che le rimodulazioni dei vari testimoni risultano a tratti
67

Colli, op. cit., pp. 172-7.


Sassi, op. cit., pp. 392-3.
69
Il tentativo pi sistematico quello di A. Bernab, Poetae epici Graeci.
Testimonia et fragmenta, II: Orphicorum et Orphicis similium testimonia et
fragmenta, II, K.G. Saur, Mnche-Leipzig 2005, p. 13. di ci d conto
Ferrari in La fonte del cipresso bianco, cit., pp. 115-6.
68

254

importanti e complesse 70. In ogni caso, un elemento risulta nel


nostro contesto significativo: il fatto che nelle laminette (pur recuperate in localit diverse e in qualche caso distanti: si va dalla
Magna Grecia per le prime due laminette, alla Tessaglia per la
terza, alla Sicilia per l'ultima) si faccia ripetuta menzione di
Mnemosine come divinit che dispensa il dono di ricordare 71, e
che rivelerebbe l'appartenenza dei defunti a circoli pitagorici, a
quella cultura, in altre parole, che appunto alla memoria assegnava un ruolo cruciale nel processo di ascesi e di perfezionamento della persona 72. Non un caso che Pugliese Carratelli, editore
delle laminette, proponga, in relazione all'ambiente e allo specifico richiamo del proemio di Parmenide a quella temperie, Mnemosine come la innominata di Parmenide.

Esperienze sciamaniche
Abbiamo citato Morrison a proposito del suo accostamento del
viaggio di Parmenide al tragitto di un poeta-sciamano: la figura
dello sciamano - il cui rilievo nellambito della cultura arcaica era
stato notato, qualche anno prima del contributo di Morrison, da
Dodds, in una delle opere pi originali sulla civilt greca 73 -
quella di un mediatore tra uomini e dei, che ha la capacit di lasciare in trance il proprio corpo e di viaggiare in cielo o
nelloltretomba, per accompagnare altre anime o ricevere istruzioni mediche o cultuali da una divinit. Egli spesso poeta o
cantore e tipicamente narra in prima persona dei suoi viaggi celesti e delle sue esperienze: il suo viaggio (il mezzo di trasporto
talvolta un carro volante) difficoltoso e pu presentare momenti
di erramento prima del desiderato confronto con la divinit.

70

Ivi, p. 119.
Ivi, p. 124.
72
Ibidem.
73
E.R. Dodds, I Greci e lIrrazionale, La Nuova Italia, Firenze 1959 (edizione
originale 1951), capitolo V (Gli sciamani e le origini del puritanesimo).
71

255

Anche Mourelatos 74 riconosce le somiglianze tra litinerario


del kouros e il complesso di elementi focalizzati da Dodds e ripresi, in relazione a Parmenide, da Guthrie. Se concediamo la
presenza di certi tratti sciamanici nella Grecia arcaica, il riferimento, nel proemio, al viaggio del protagonista e alla sua scorta
divina (Guthrie parla di odissea spirituale dello sciamano) avrebbe
allora
potuto
immediatamente
evocare,
nellimmaginazione di un ascoltatore "iniziato" a tali pratiche, i
segni dellesperienza sciamanica. In questo senso appare ancor
pi significativo laccostamento a Odisseo. In particolare, Mourelatos convinto che, dietro o sotto la poesia di Parmenide, si possa rintracciare, oltre a Omero (e a Esiodo), un consistente corpo di
poesia cultuale e profetica del VII-VI secolo a.C.. Il problema in
proposito la mancanza di esemplari per valutarne la reale incidenza, forse pi importante di quella omerico-esiodea. probabile, tuttavia, che limportanza di questo retroterra dipenda in larga
misura da motivi e temi condivisi dallepica precedente, sebbene
impiegati in una nuova prospettiva e con una nuova contestualizzazione. Parmenide avrebbe cos usato il complesso del viaggio
sciamanico come modello per il suo viaggio speculativo.
Nonostante lassenza di evidenze testuali che autorizzino a
parlare di un motivo letterario, allusioni al paradigma dell'esperienza sciamanica sarebbero rintracciabili, secondo Kingsley 75 ,
proprio nel proemio, quasi a inquadrare la successiva dottrina in
una cornice sapienziale indiscutibile. Anche per l'autore inglese,
infatti, il modo di presentarsi del poeta (come uomo che sa,
) costituirebbe uno standard nel mondo greco arcaico
per indicare liniziato76, colui che, in virt delle proprie conoscenze, poteva giungere dove ad altri era proibito. Analogamente
lespressione con cui la Dea si rivolge al poeta denoterebbe una figura al limite (e tramite) tra mondo umano e divino 77:
lesperienza descritta, infatti, sarebbe quella di uneccezionale
74

Op. cit., pp. 44-5.


P. Kingsley, In the Dark Places of Wisdom, Duckworth, London 1999.
76
Ivi, p. 62.
77
Ivi, p. 72.
75

256

, autorizzata da Dike (divinit associata al mondo infe-

ro78). Qui plausibile che Parmenide si rifacesse a modelli letterari, che coniugavano il tema della discesa nellAde in quanto luogo
della rivelazione (Odissea XI), a un determinato contesto cosmologico (Teogonia 736-774) e a particolari figure di predestinati,
come leroe Eracle79 o il leggendario poeta Orfeo (in questo senso
da leggere, analogamente a Dodds80, come sciamano).
A conferma della propria lettura (che in realt si regge su tradizioni posteriori), Kingsley porta testimonianze ricavate dallarte
vascolare dellepoca e della regione di Elea, che ritraggono
lincontro di Eracle con Persefone secondo lo schema ripreso da
Parmenide, ovvero quello di Orfeo con la stessa dea infera, e la
presenza sullo sfondo di Dike81. In questo modo sarebbe attestato,
se non un motivo poetico-letterario, almeno un retroterra culturale, tradizionale e locale, in cui il poeta poteva inserire i propri riferimenti, permettendosi l'anonimit della dea82. In effetti, che il
ruolo di divina interlocutrice sia ricoperto da Persefone, suggerito dalla stessa accoglienza del kouros da parte della : non
una sorte infausta (la morte?) lo ha allontanato dal mondo degli
uomini, ma un destino di conoscenza sotto legida della giustizia
divina. Come se, appunto, ella fosse preoccupata di rassicurare il
poeta circa la sua presenza nel mondo dei morti.
Daltra parte, assai probabile che il poeta si attenesse a norme compositive, ricorrendo a scelte espressive non improvvisate e
per lo pi funzionali a un determinato obiettivo. Kingsley richiama esemplarmente il ricorso alla ripetizione costante del verbo
nei primi versi, la cui frequenza sarebbe difficilmente tollerabile, da un punto di vista poetico, se non per leffetto performativo (immaginando la recitazione), di incantamento e trasporto. Lattenzione per alcuni dettagli fa inoltre pensare che Parmenide evocasse precisi riferimenti cultuali (se non poetici), cos inquadrando la propria rivelazione in uno sfondo comprensibile ai
78

Ivi, pp. 62-3.


Ivi, p. 61.
80
Op. cit., pp. 186-7.
81
Op. cit., p. 94.
82
Ivi, p. 97.
79

257

propri ascoltatori (iniziati): potrebbe dunque non essere casuale il


particolare rilievo iniziale del suono (sibilo acuto, ) emesso dallasse del carro nei mozzi [] incandescente, dal
momento che esso ritorna nella posteriore tradizione dei papiri
magici greci, associato proprio al silenzio della incubazione e
al viaggio cosmico83.
Maria Laura Gemelli Marciano 84 ha inoltre richiamato l'attenzione sullo spazio (21 versi) dedicato nel proemio (che consideriamo conservato integralmente) alla descrizione del viaggio e
sullacribia con cui ne viene resa l'esperienza sensoriale (acustica
e ottica), nonch la topografia: ricchezza di dettagli che sembra
escludere il mero impiego simbolico, tanto pi considerando 85 la
stretta relazione tra suoni (sibilo, ), movimenti rotatori (i
cerchi rotanti dei vv. 7-8) segnali di alterazione dello stato di coscienza - e il manifestarsi delle figure divine86. Indizi che possono autorizzare la lettura del poema come
resoconto di un viaggio estatico.
Alcuni elementi esteriori concorrono in effetti a collegare
Parmenide a questo retroterra apocalittico. Nel 1962 fu ritrovata a
Velia (lantica Elea) un'iscrizione su blocco marmoreo che recita87: [] . Parmenide, figlio
di Pireto, riconosciuto come Ouliades, seguace di Apollo Oulios
(venerato nellarea anatolica, da cui provenivano i profughi focesi
che fondarono nel VI secolo a.C. Elea), e physikos, a un tempo
ricercatore della natura e medico: dal momento che ad Apollo Oulios era riconducibile la tecnica dei guaritori, possibile che la
figura del filosofo fosse ufficialmente associata alla iatromantica
(di cui larcheologia conferma la pratica in Velia), nel solco dello
sciamanesimo (Epimenide) attestato dalla tradizione testuale.
Nella stessa direzione punta unaltra evidenza dossografica:

83

Ivi, pp. 129-130.


Die Vorsokratiker, II, p. 54.
85
Sulla scia dello stesso Kingsley.
86
Gemelli Marciano, Die Vorsokratiker, cit., II, p. 55.
87
Kingsley, op. cit., pp. 139 ss..
84

258


, , ,
.

, ,
.
Parmenide, come afferm Sozione, ebbe familiarit
anche con Aminia, figlio di Diochete, pitagorico, uomo
povero, ma nobile e retto, ci che tanto pi ne favor
linfluenza. Quando questi mor, Parmenide, che era di
famiglia illustre e ricca, eresse per lui un monumento
funebre. Fu proprio Aminia, non Senofane, a volgerlo alla
tranquillit di una vita di studio (Diogene Laerzio; DK 28
A1).

Il termine - qui tradotto come tranquillit di una vita


di studio - avrebbe in realt un valore molto diverso, soprattutto
riferito allo stile di vita esemplare del pitagorico Aminia: qualcuno parla di vita contemplativa, ovvero di vita filosofica, ma letteralmente il significato quello di quiete, riposo, silenzio, immobilit. Lascetico Aminia sarebbe stato maestro di incubazione, avrebbe cio avviato Parmenide alle tecniche di concentrazione gi in uso presso i gruppi pitagorici 88.
Come ha rilevato la Gemelli Marciano89, l'incubazione pu
fornire la chiave per collegare la iatromantica, riferita all'Eleate
dalle evidenze archeologiche, all'attivit di legislatore attribuitagli
sempre da Diogene Laerzio (sulla scorta di Speusippo): almeno
secondo lo schema che Platone ricorda nelle Leggi (624b) in relazione al mitico Minosse, ma che abbiamo ritrovato in Epimenide
e che potrebbe emergere anche nel caso di Zaleukos, legislatore di
Locri, di cui si sosteneva avesse ricevuto le leggi direttamente dagli dei.
Sebbene non sia dato cogliere in quale modo questo insieme di
elementi potesse costituire un motivo letterario, possibile ipotizzare una sua codifica in una qualche forma recitativa (come nel
88
89

Kingsley, op. cit., pp. 179-181.


Op. cit., II, p. 45-6.

259

caso delle Purificazioni di Epimenide), cui Parmenide potrebbe


essersi ispirato (viaggio, incontro con Giustizia e Verit ecc.), evocando situazioni e particolari significativi in una societ ancora
legata a quelle pratiche (importate, come crede Kingsley, dalla
patria di origine, Focea, sulle coste dellAsia Minore).

La cornice cosmologica: Esiodo


Il motivo del viaggio e della sua destinazione divina con le
diverse, possibili suggestioni - risulta comunque proiettato, nel
proemio, allinterno di uno sfondo cosmico (parzialmente delineato nelle allusioni del testo) modulato su un terzo grande modello poetico, probabilmente decisivo nellelaborazione letteraria
di Parmenide: la Teogonia di Esiodo. Sulla sua incidenza pochi
hanno dubbi, anche quando, come Mourelatos 90 , privilegino il
confronto con Omero. Sommariamente, infatti, possiamo rilevare:
(i) le analogie tra il proemio del poema e linno alle Muse91
della Teogonia;
(ii) in particolare la possibile criticit del gi citato rilievo delle Muse in Teogonia 27-28:
,

sappiamo dire molte menzogne simili al vero,
ma sappiamo anche, quando vogliamo, il vero cantare
-,

rispetto al programma didattico proposto in conclusione di B1,


con l'opposizione tra verit e incerto opinare umano;
(iii) la presenza strutturale di dettagli dello scenario cosmologico dell'opera esiodea nel proemio, oltre alla chiara intenzione
cosmogonica (e teogonica) della seconda sezione del poema.
90
91

Op. cit., p. 33.


Su questo, tra gli altri, concordano Leszl, Couloubaritsis, e soprattutto M.
Pellikaan-Engel, Hesiod and Parmenides. A New View on Their Cosmologies and on Parmenides Proem, Hakkert, Amsterdam 1974.

260

Quasi Parmenide volesse sovrapporre o contrapporre la propria


verit a quella del poeta di Ascra.
A livello formale, lo sforzo da parte di Parmenide di utilizzare
creativamente il precedente esiodeo appare evidente. Egli si muove in effetti allinterno delle novit da questi introdotte nella tradizione aedica: il riferimento dellautore a se stesso nellesordio
dellopera e la funzionalit del proemio rispetto al poema. In relazione all'originalit esiodea del primo aspetto, Arrighetti ha colto,
nel modo di proporsi del poeta rispetto alla memoria letteraria, il
doppio risvolto della contrapposizione polemica e, soprattutto,
del distacco critico, garantito dalla rivelazione delle Muse 92 :
linvestitura poetica e il dono divino della verit, come proposti in
apertura della Teogonia, giustificano la pretesa di una poesia diversa dalla tradizionale, in cui lautore fondatamente rivendica
una visione unitaria del cosmo.
Daltra parte, anche la risorsa proemiale da Esiodo sfruttata
in modo peculiare, nella misura in cui essa non si riduce ad artificio estrinseco rispetto al canto poetico vero e proprio, a inno propiziatorio da recuperare nel repertorio di evocazioni dedicate, sul
tipo degli inni tramandati come omerici: il nesso tra proemio e
poema , nel caso della Teogonia, molto stretto, sia per il coinvolgimento diretto del poeta e della sua esperienza personale, sia,
in particolare, perch tale esperienza illumina la sostanza complessiva dellopera: il proemio, con il racconto della epifania
delle Muse, costituisce la garanzia del carattere di veridicit del
contenuto del poema93.
A richiamare lattenzione dell'interprete sul precedente esiodeo sono tuttavia soprattutto alcuni elementi di contenuto, in primo luogo lo scenario complessivo del proemio parmenideo, con
un viaggio che conduce, lungo la direttrice del sentiero di Notte e
Giorno (il percorso lungo cui essi si alternano), a un imponente
portale (a protezione della dimora divina), il quale, aprendosi, rivela un vuoto enorme ( ), eco delle porte ()
che chiudono (e dischiudono) loscuro Tartaro esiodeo:
92
93

Esiodo, Teogonia, a cura di G. Arrighetti, BUR, Milano 1984, pp. 7-8.


Ivi, pp. 129-130.

261



,
,
,
, ,

.

.


,

,
, ,

,
,
,
, ,
, .
,
,

.

,
,


L della terra nera e del Tartaro oscuro,
del mare infecondo e del cielo stellato,
di seguito, di tutti vi sono le scaturigini e i confini,
luoghi penosi e oscuri che anche gli di hanno in odio,
voragine enorme; n tutto un anno abbastanza sarebbe
per giungere al fondo a chi passasse dentro le porte,

262

ma qua e l lo porterebbe tempesta sopra tempesta


crudele; tremendo anche per di immortali
tale prodigio. E di Notte oscura la casa terribile
s'inalza, da nuvole livide avvolta.
Di fronte a essa il figlio di Iapeto tiene il cielo ampio
reggendolo con la testa e con infaticabili braccia,
saldo, l dove Notte e Giorno venendo vicini
si salutano passando alterni il gran limitare
di bronzo, l'uno per scendere dentro, l'altro attraverso
la porta
esce, n mai entrambi ad un tempo la casa dentro
trattiene,
ma sempre l'uno fuori della casa
la terra percorre e l'altro dentro la casa
aspetta l'ora del suo viaggio fin che essa venga;
l'uno tenendo per i terrestri la luce che molto vede,
l'altra ha Sonno fra le sue mani, fratello di Morte,
la Notte funesta, coperta di nube caliginosa.
L hanno dimora i figli di Notte oscura,
Sonno e Morte, terribili di; n mai loro
Sole splendente guarda coi raggi,
sia che il cielo ascenda o il cielo discenda.
Di essi l'uno la terra e l'ampio dorso del mare
Tranquillo percorre e dolce per gli uomini,
dell'altra ferreo il cuore e di bronzo l'animo,
spietata nel petto; e tiene per sempre colui che lei
prende
degli uomini, nemica anche agli di immortali. 94 (vv.
736-766).

Come ci ricorda Privitera95, abbiamo nella cultura greca arcaica due prospettive sull'alternanza di luce e oscurit: una fisica,
rintracciabile nell'Odissea, l'altra mitica, presente invece in Esiodo, ma con riscontri anche nell'Iliade. La prima sarebbe "orizzontale", dal momento che i fenomeni coinvolti (il movimento del
Sole, nel suo trascorrere celeste da oriente a occidente, e il suo
94
95

Esiodo, Teogonia, cit., pp. 111-3.


G.A. Privitera "La porta della Luce in Parmenide e il viaggio del Sole in
Mimnermo", Rendiconti dell'Accademia Nazionale dei Lincei, s. 9, v. 20,
2009, pp. 447-464.

263

tragitto di ritorno a oriente navigando su Oceano intorno alla Terra) hanno luogo sulla Terra e nel cielo sovrastante. La seconda, al
contrario, "verticale", in quanto i fenomeni terrestri e celesti sono
radicati nel mondo "infero"96. Non si tratta di prospettive incompatibili, come puntigliosamente dimostra lo studioso: nel caso di
Parmenide (come nel precedente di Stesicoro 97) registreremmo un
originale tentativo di inquadrare il rapporto tra Luce-Sole-Notte
entro una cornice cosmica in cui si completano le due prospettive
tradizionali 98. Nella lettura di Privitera, ci avrebbe comportato
concentrare strutturalmente il baricentro del proemio sul percorso
solare, trasferendo la Porta del Giorno e della Notte dall'Ade sulla
Terra: sarebbe in questo senso esclusa qualsiasi forma di katabasis verso il regno dei morti.
Eppure i versi esiodei, a dispetto delle divergenze che pur ne
caratterizzano le interpretazioni cosmologiche 99 , si prestano a
suggestioni diverse, proiettando decisamente verso il mondo infero la ripresa proemiale di Parmenide.
Dopo la narrazione della Titanomachia (665 ss.), della sconfitta dei Titani (713 ss.) e della loro segregazione in un remoto luogo infero (720 ss.), Esiodo ci informa che sopra quella prigione,
nelle profondit sotterranee, si sviluppano le radici del mare e della terra (729): come intendesse garantire sulla sicurezza della detenzione, il poeta fornisce particolari sulle modalit di reclusione
dei Titani (immobilizzati da lacci tremendi 718), e sulla localit
di carcerazione (un'oscura regione, all'estremo della terra prodigiosa, cintata tutta intorno e assicurata da portali di bronzo, e
guardiani infernali, 731-5). La descrizione del mondo sotterraneo
dunque organicamente inserita nel contesto teogonico, sottolineando la rassicurante distanza infera delle ostili forze titaniche:


96

Ivi, p. 449.
Ivi, p. 453.
98
Ibidem.
99
Si vedano, per esempio la discussione specifica in Pellikaan-Engel (op. cit.,
capp. II-III), ma anche le annotazioni di Arrighetti (op. cit., pp. 151-2).
97

264

,
, .
,
,

, .
L della terra oscura e del Tartaro tenebroso,
del mare infecondo e del cielo stellato,
di seguito, di tutti, sono le scaturigini e i confini,
luoghi squallidi e oscuri, che anche gli di hanno in
odio.
L sono le porte splendenti e la bronzea soglia,
inconcussa, su radici infinite commessa,
nata spontaneamente; davanti, lontano da tutti gli di,
i Titani hanno la loro dimora, di l dal caos
tenebroso100 (vv. 807-814).

In questa sua intenzione, possibile che Esiodo effettivamente


giustapponesse (come vogliono Privitera e Arrighetti) prospettiva
orizzontale e verticale, oscillando tra una dislocazione occidentale
e una sotterranea dell'al di l, ma, come ha puntualmente indicato nella sua analisi la Pellikaan-Engel101, va presa seriamente in
considerazione l'ipotesi che il poeta alludesse a un quadro cosmologico diverso da quello (sostanzialmente emisferico) della tradizione omerica. La Terra vi comparirebbe come un disco piatto
(ancorch ondulato sulle due superfici), immobile, circondato dalla solida, rotante sfera celeste, il cui emisfero sovrastante sarebbe
stato designato propriamente come cielo; quello sottostante avrebbe invece costituito quella regione infera in cui proiettare la
minaccia titanica e localizzare il sistema di tutele contro la sua risorgenza.
In questo senso, allora, possibile che, alla luce del ruolo e del
corso cosmico e mitico del Sole, Esiodo incrociasse, rispetto all'esperienza terrestre, il tradizionale orientamento orizzontale (estovest, secondo la direzione quotidiana dell'astro), con la prospet100
101

Teogonia, cit., p. 115.


Op. cit.. Si veda in particolare il capitolo II.

265

tiva verticale rappresentata dalle opposte estremit, a ridosso della


sfera celeste avvolgente, dell'Olimpo e del Tartaro. Una certa confusione (stridente in qualche dettaglio) si avrebbe semmai, secondo quanto rileva la Pellikaan-Engel102, tra fenomeni (diurni e notturni) e loro personificazione (Giorno e Notte). Cos, nel quadro
che possiamo ricostruire dai versi citati, all'estremo limite occidentale della Terra, dove Atlante (il figlio di Iapeto) sorregge la
sfera celeste (per impedirle di gravare direttamente sulla superficie terrestre e impedire il passaggio del Sole), si incontrano e
danno il cambio Giorno e Notte, i quali, alternativamente, discendono verso il mondo infero per soggiornare nella casa della Notte, e ascendere poi, quando giunge il loro turno, verso il mondo
terrestre (che quindi passa regolarmente dal regime diurno a quello notturno).
A tale ciclo e struttura cosmici si riferirebbero i versi del proemio: i battenti dei sentieri di Notte e Giorno avrebbero la funzione di discriminare i due mondi, attraverso cui si succedono i
passaggi delle due divinit, consentendo l'accesso al mondo infero, in cui sarebbe locata la dimora della Notte ( N).
Ad accentuare tale prospettiva "verticale" la possibile associazione tra tale sito e l'accesso all'Ade, proprio come nella poesia esiodea:

L davanti del dio degli inferi la casa sonora,


del possente Ade e della terribile Persefoneia,
s'inalza [...]103 (vv. 767-769a)

Sebbene possano essere sollevati dubbi circa l'esatta struttura


cosmologica che fa da sfondo al racconto parmenideo, le analogie
con il modello esiodeo potrebbero dunque autorizzare l'ipotesi
che il superamento della soglia sorvegliata da Dike apra al poeta
non genericamente uno spazio oltremondano, ma propriamente la
102
103

Ivi, p. 38.
Teogonia, cit., p. 113.

266

direzione delloltretomba, in altre parole del luogo tradizionalmente privilegiato per le rivelazioni.

Parmenide
provvisorie

la

poesia:

conclusioni

probabilmente questa la cornice entro cui Parmenide decide


di concentrare gli altri elementi della propria creazione, elaborando, consapevolmente e in modo originale, materiali tradizionali,
significativi nella comprensione dei contemporanei. Questo non
implica che egli abbia semplicemente puntato alleffetto comunicativo, curandosi essenzialmente dellimpatto persuasivo
dellimmaginario cos plasmato.
Accogliendo le suggestioni di Kingsley (e ancora della Gemelli Marciano) circa il radicamento del pensatore allinterno di un
sistema di credenze e pratiche ereditate dai costumi e culti del suo
popolo, potremmo ipotizzare che lintenzione di Parmenide fosse
quella di veicolare, nelle forme ispirate della tradizionale poesia
epica, arricchite delleco suggestiva (suoni, movimenti ecc.) di
una straordinaria esperienza sciamanica, un nuovo punto di vista,
maturato nella ricerca personale e nel confronto con la cultura ionica e pitagorica, e la conseguente condotta di vita. Una prospettiva interpretativa che, a partire dalla centralit dellelaborazione
poetica, impone il problema di determinare il nesso tra gli elementi di immediatezza ed emotivit di quello sfondo culturale e
l'indiscutibile impianto logico del .
Anticipando le conclusioni delle successive analisi, da rilevare come la difficolt dellinterprete, nel caso di Parmenide, risieda proprio nella determinazione della continuit tra esperienze
religiose, il cui retroterra emerge nellespressione poetica, e razionalit scientifica, che prende corpo nelle due sezioni del poema. Le strade per lo pi battute nella storia delle interpretazioni
sono, in realt, quelle (maggioritarie) che scorporano i frammenti
successivi dal proemio, quasi si trattasse di corpo estraneo
alloriginale comunicazione parmenidea, ovvero quelle (minorita267

rie) che unilateralmente insistono sullevento rivelativo (e sui suoi


contorni), trascurando poi il fatto che il tutto cosmico era
loggetto di analisi (anche dettagliata) nellopera, come attestato
dalla titolazione tradizionale e, soprattutto, dalla sua consistente
seconda sezione.
plausibile, al contrario, che il complesso del proemio prefiguri le tesi del filosofo e che queste non siano estranee a un intento trasformativo (Robbiano), indistricabilmente connesso alle esperienze evocate. In questo senso, si pu condividere il suggerimento (Robbiano e Stemich) di cogliere nella sapienza comunicata nel poema essenzialmente uno stile di vita, prefigurante
laccezione di filosofia poi affermatasi (secondo la lezione di Hadot104) nel socratismo e soprattutto nella cultura ellenistica. In dissenso da Mourelatos, per il quale, invece, gli imperativi della dea
sono tutti rivolti a unattivit di tipo cognitivo, non al bios o al
prattein105.
D'altra parte, contestualizzando la lettura del proemio, prudente rigettare un approccio meramente allegorico, rintracciandovi piuttosto lespressione di unesperienza vissuta. Appare fondata losservazione di Leszl106, secondo cui un'interpretazione allegorica - come quella fornita da Sesto Empirico - si scontra con il
fatto che la pratica dellallegoresi era, al tempo (fine VI secolo
a.C.), solo agli inizi, con Teagene di Reggio (forse, come Parmenide, legato allambiente pitagorica 107. Possiamo supporre108, allora, che, nella narrazione del viaggio del poeta Parmenide, siano
confluiti elementi eterogenei - il resoconto di una genuina esperienza visionaria, allusioni cosmologiche, intenzioni didascaliche:
il poeta avrebbe plasmato, nel modulo espressivo pi vicino alla
sua formazione rapsodica, immagini e contenuti a un tempo adeguati a manifestare le sue conquiste spirituali, ed efficaci per co104

P. Hadot, Exercices spirituels et philosophie antique, Albin Michel, Paris


20022.
105
Op. cit., p. 45.
106
Op. cit., p. 144.
107
Allegoristi dellet classica, Opere e frammenti, a cura di I. Ramelli,
Bompiani, Milano 2007, p. XII.
108
Come fanno lo stesso Leszl, op. cit., p. 145, e Coxon, op. cit., p. 156.

268

involgere (emotivamente e intellettualmente) il pubblico destinatario (plausibilmente un gruppo ristretto di discepoli109). Ci comportava, naturalmente, anche consapevoli opzioni simboliche, per
le quali egli poteva attingere allimmaginario dellepica e, probabilmente, della stessa poesia apocalittica: il poema appare in effetti concentrato sulleffetto (il mutamento della prospettiva cognitiva e la correlata trasformazione dellattitudine personale)
dellimpatto con la verit, della scoperta del reale assetto del tutto
cosmico.

Il viaggio e la sua esperienza


Lesplicita indicazione di Sesto Empirico ci attesta come abbiamo riscontrato introduttivamente - la tradizione integrale
dellincipit del poema in quello che classificato, nella edizione
Diels-Kranz, come frammento B1: il privilegio di disporre
dellesordio nella sua originale interezza offre lopportunit di valutarne costruzione, impronta e ufficio allinterno dellimpresa
complessiva di Parmenide.
Comunque se ne interpreti il messaggio, chiaro come il poeta
intenda marcare leccezionalit dell'esperienza cantata, che abbiamo sottolineato - non appare mera, scontata formula di indirizzo, sebbene, prendendo in considerazione i contenuti dellopera
conservati nei frammenti successivi, laura del mito possa superficialmente risultare stridente con gli incoraggiamenti alla ponderazione razionale (B7 e B8) e con le fatiche argomentative di B8.
Come abbiamo gi rilevato, plausibile, infatti, che il preambolo
proponesse quella veste proprio in funzione di quei contenuti e
degli obiettivi educativi che il filosofo-poeta si prefiggeva.

109

Questa l'impressione della Gemelli Marciano (M.L. Gemelli Marciano, "Le


contexte culturel des Prsocratiques: adversaires et destinataires", in A. Laks
et C. Louguet (ds), Quest-ce que la Philosophie Prsocratique? What is
Presocratic Philosophy?, Presses Universitaires du Septentrion, Villeneuve
dAscq (Nord) 2002, pp. 83-114. Il riferimento alle pp. 89-90.

269

Nel segno delleccezione


Nonostante i particolari sfumati della rappresentazione
dinsieme - dettagliata in alcuni passaggi (descrizione del carro e
della apertura della porta) e molto indeterminata in altri (tragitto
oltre la porta)110 - abbiano dato adito a vari tentativi di contestualizzazione del viaggio, il suo carattere straordinario segnalato da
due momenti ben evidenziati nei versi parmenidei:
(i) lintervento delle Eliadi ( ) presso Dike, austera (, che molto punisce) guardiana del portale, per
persuaderla a consentire il passaggio del carro che conduce il poeta: le fanciulle devono placarla con parole compiacenti
( ) e sapientemente () convincerla
a concedere una possibilit evidentemente non garantita ad altri
mortali;
(ii) la formula di accoglienza della Dea, la quale rileva che: (a)
non stata Moira infausta ( , destino infausto) a
spingere il giovane () al suo cospetto; (b) la via () per
cui stato guidato lontana dal percorso degli uomini (
).
Incrociando i rilievi, si evince che lesperienza di cui protagonista il poeta eccede i limiti dellumano e che ci accade secondo un disegno cui concorrono le aspirazioni () del filosofo (v. 1):
,
Le cavalle che mi portano fin dove il [mio] desiderio
potrebbe giungere,

e il decisivo ausilio divino (vv. 8b-9a):




mentre si affrettavano a scortar[mi]
le fanciulle Eliadi.
110

Leszl, op. cit., p. 141.

270

Leccezione coinvolge in particolare due aspetti. Il poeta ha


chiaramente lopportunit: (i) di spingersi oltre i confini stabiliti
per le ambizioni mortali, e, in tal modo, (ii) di accedere non semplicemente alla rivelazione della verit, ma pi esattamente a una
lezione articolata, che lo informer circa (a) la natura della realt
(vv. 28b-29):


Ora necessario che tutto tu apprenda:
sia di Verit ben rotonda il cuore fermo,

(b) la natura del comune fraintendimento (v. 30):


,
sia dei mortali le opinioni, in cui non reale
credibilit,

(c) fornendo soprattutto (pensando alla struttura del poema),


alla luce di quegli errori, gli strumenti corretti di comprensione
del mondo della nostra esperienza (vv. 31-2):
,

Eppure anche questo imparerai: come le cose accolte
nelle opinioni
era necessario fossero realmente, tutte insieme davvero
esistenti.

A sancire tale eccezione registriamo, insomma, un triplice avallo divino:


(i) la scorta delle Eliadi, che si muovono a sostenere e realizzare lo sforzo del poeta\filosofo;
(ii) la condiscendenza di Dike, che veglia sulle infrazioni ed
garante dei limiti;

271

(iii) la comunicazione della senza nome - che pu offrire


la chiave per giungere alla Verit - meta del viaggio cui viene finalizzata laspirazione del poeta\filosofo.
Il quadro , nellinsieme, una modulazione di quello arcaico
tradizionale: sotto protezione divina al poeta permesso accostarsi a una condizione sovrumana111, che descriveremmo in termini
di ispirazione, illuminazione e rivelazione. In altre parole, il privilegio della conoscenza superiore costituisce una sorta di trascendimento dello status mortale: nel rispetto, tuttavia,
dellindiscutibile primato del divino.
Come anticipato nelle pagine precedenti e nelle annotazioni al
testo del frammento, le indicazioni del proemio sembrano dislocare tale trascendimento nel mondo infero. In tal senso si pu interpretare il riferimento della dea a Moira infausta (ovvero destino infausto) e, soprattutto, alludendo a N, allabisso
del Tartaro descritto meticolosamente da Esiodo (Teogonia 736745)112, con la prossimit della dimora della Notte (scortata nel
suo corso da Sonno e Morte) alla porta del possente Ade e della
terribile Persefoneia (vv. 758-778).
In analoga direzione concorrono vari elementi esteriori (rilievi
archeologici113, dati storici114), cui abbiamo sopra accennato, che
confermano, nel caso di Parmenide e di Elea, la probabile relazione con il culto di Persefone, che potrebbe dunque essere la ,
innominata in quanto scontato referente. Daltra parte il viaggio
nel regno dei morti, anche senza voler fare eccessivo affidamento
sulle credenze sciamaniche, gi in Omero (Odissea XI) risultava
cruciale per la conoscenza della verit. La stessa figura di
- laggettivo ricorre solo in un altro testo,
un poema attribuito a Orfeo (fr. 158 Kern), in cui Dike affianca

111

Leszl, op. cit., p. 167.


Cerri, op. cit., p. 173.
113
Kingsley conferma che figurazioni vascolari rappresentano Persefone che
accoglie nellAde Eracle e Orfeo, stringendo loro la mano destra, proprio
come la dea innominata fa con il kouros del proemio. Op. cit., pp. 93-100.
114
Elea era centro di un culto dedicato a Demetra e Persefone (Cerri, op. cit., p.
108).
112

272

Zeus nellatto di relegare i Titani nel Tartaro 115 - troverebbe in tale scenario la propria naturale collocazione: nellAde i morti subiscono il giudizio divino e ricevono, conseguentemente, la punizione delle colpe commesse in vita.
La plausibile destinazione individuata per il viaggio del poeta
avrebbe, tuttavia, anche un secondo e non meno rilevante risvolto
nella prospettiva del poema. Il percorso indicato, infatti, richiama
la visione mitica del cosmo espressa in Esiodo e Omero, in cui i
confini del mondo coincidono con quelli della terra (la cui superficie piatta), sui cui limiti estremi poggia il cielo-cupola116: in
questo senso, nel caso dellOdissea, la katabasis non intesa tanto come discesa sotto la superficie della terra, piuttosto come raggiungimento di un luogo oltre i limiti della superficie terrestre117.
La nozione del limite (e del suo superamento) poi significativamente evocata dal vettore e dalla scorta, che richiamano
limmagine del carro del Sole e il mito di Fetonte 118.
In effetti, la conduzione delle Eliadi (figlie di Helios, il Sole
appunto) e il tragitto verso i battenti dei sentieri di Notte e Giorno ( , v. 11), che complessivamente tracciano i contorni celesti, se da un lato sembrano insistere sul punto di vista privilegiato garantito al poeta, dallaltro,
indirettamente, attraverso limplicita rievocazione di Fetonte (fratello delle Eliadi, la cui imperizia nel condurre il carro, sottratto di
nascosto al padre Sole, richiese lintervento riparatore di Zeus),
suggeriscono anche lidea della regolarit e della misura cosmica,
rafforzata dalla presenza severa di Dike. Come in Esiodo e in altri
pensatori arcaici (Anassimandro e il contemporaneo Eraclito), la
processualit della natura lalternanza di notte e giorno ai confini del cosmo - si svolge in conformit con le prescrizioni della
giustizia119. Al poeta dunque attribuito garante Dike il favore

115

Cerri, op. cit., pp. 104-5.


Leszl, op. cit., p. 149.
117
Ivi, p. 144.
118
Bench in genere laccostamento non sia sfuggito ai commentatori, mi pare
particolarmente felice la lettura che ne propone Leszl (p. 147).
119
Ibidem.
116

273

di seguire il corso del Sole, abbracciando cos nel tragitto mitico


lintera realt cosmica e accedendo ai misteri delloltremondo.

Al di l dell'esperienza quotidiana
Leccezionalit dell'esperienza del poeta, sottolineata nel suo
indirizzo dalla , non sarebbe allora riducibile semplicemente a
una discesa () agli inferi, ovvero a una ascesa
() celeste: quanto risulta marcato nei versi del proemio
la distanza della via seguita nel corso del viaggio dal percorso
degli uomini ( , v. 27). La
porta del Sole, identificata con la Porta dellAde (Iliade VIII, 1316; Odissea XXIV, 11-14; Esiodo, Teogonia 740 ss; 744-757;
811-814), , in effetti, miticamente situata nelloccidente estremo,
lontanissima quindi dalle regioni abitate: poggia sulla superficie
terrestre, al di sotto della quale si radica nel profondo, mentre i
suoi pilastri si elevano tanto da toccare il cielo. Oltre essa
labisso, il mondo dei morti, il regno di Ade e Persefone 120. Come
ricorda Cerri, si tratta di una porta cosmica, sia in quanto discrimina il percorso del sole e quindi giorno e notte, sia in quanto
separa il mondo dei vivi e quello dei morti 121.
Ci che, in realt, viene sottolineato nel resoconto parmenideo
non lallontanamento dalla terra per pervenire alla porta del cielo, superare i confini del mondo e incontrare, nelletere celeste, la
dea rivelatrice (Mansfeld), n propriamente il viaggio
nelloltretomba (Burkert) ovvero verso il centro del cosmo (Pellikaan-Engel). Il poeta, scortato dalle Eliadi sul carro solare, perviene presso e oltrepassa la porta cosmica, raggiungendo, dunque, il punto privilegiato che accesso, a un tempo, allAde e al
cielo (con la duplice valenza, quindi, di rivelazione e illuminazione). In ogni caso, la tradizionale oscurit dellAde appare, per la
meta del viaggio, pi giustificata nel contesto rispetto alla luce

120
121

Cerri, op. cit., p. 98.


Ivi, p. 99.

274

celeste122: sono le Eliadi a doversi portare verso la luce, muovendo dalla dimora della Notte (dove hanno soggiornato durante la pausa notturna: il loro viaggio comincia, dunque, presumibilmente allalba), a cui ritornano, con la compagnia del poeta,
percorrendo, plausibilmente, il consueto tragitto solare (cio al
tramonto, quando Notte ha nuovamente abbandonato la propria
dimora per dar cambio a Giorno). In questo senso, pur ribadendo
la convinzione che a Parmenide prema soprattutto evidenziare
loltrepassammento dell'esperienza quotidiana e la distanza
dellaccesso alla Verit rispetto allordinario spazio delle relazioni umane, la katabasis certamente offre al poeta un paradigma influente.
Al nodo della direzione del viaggio poi legato quello dei
suoi tempi. Il poema si apre con il presente:
,
Le cavalle che mi portano fin dove il [mio] desiderio
potrebbe giungere (v. 1),

quasi a marcare unabitudine123 ovvero, allinterno della narrazione, un elemento di sfondo, indipendente dallo sviluppo del
racconto, come i successivi rilievi (sempre riferiti al presente) sulla strada [] della divinit:
...
che porta ... luomo sapiente (v. 3),

sulla struttura della porta cosmica e sul ruolo di Dike:


,


Dkh .
L sono i battenti dei sentieri di Notte e Giorno:
architrave e soglia di pietra li incornicia;
122
123

Ci a dispetto delle osservazioni di G.A. Privitera, op. cit..


Guthrie, op. cit., p. 7.

275

essi, alti nellaria, sono agganciati a grande telaio.


Dike, che molto castiga, ne detiene le chiavi dalluso
alterno (vv. 11-14).

Nel primo caso sarebbe accentuato il tratto sciamanico della


figura del poeta, avvezzo a straordinarie escursioni; nel secondo
valorizzata, invece, la sua disposizione al sapere, la sua aspirazione (, desiderio) alla verit124, condizione dell'esperienza di
conoscenza annunciata nel poema quanto la successiva rivelazione della Dea. In ogni caso, luso del presente comporta che le
cavalle, soggetto della relativa, abbiano una relazione non episodica con il poeta-narratore e dunque siano irriducibili a mero
vettore in una esperienza eccezionale, che continuino, cio, a operare nella contemporaneit, siano parte di unesperienza di verit
che possa ripetersi (a cui altri, al limite, possano essere avviati125).
Nel senso allegorico proposto da Coxon126, il poeta ancora sul
carro, con un viaggio ancora davanti a s, con le cavalle che continuano a essere le sue forze motrici: il viaggio diverrebbe allora
figura del conseguimento metodico della filosofia, secondo la lezione ricevuta; le cavalle figura della forza () che lo spinge a
filosofare.
Nel passaggio al secondo verso, al contrario, appare chiara
lintenzione di Parmenide di raccontare, nelle sue sequenze, la vicenda che lo ha visto privilegiato discepolo della Dea:
,
, ...
124

Martina Stemich, nella sua ricerca su Eraclito (Heraklit. Der Werdegang des
Weisen, Grner, Amsterdam 1996, pp. 41 ss.), rintraccia una precondizione
filosofica analoga nel frammento DK 22 B18: Se uno non spera, non potr
trovare linsperabile, perch esso difficile da trovare e impervio.
125
In questo senso ingressivo la Stemich (Parmenides Einbung in die
Seinserkenntnis, cit., pp. 39-40) interpreta lintera esperienza del proemio:
sebbene il percorso verso la Dea sia gi stato compiuto, esso in quanto
motivo connesso a una trasformazione comprensibile solo come sviluppo
sistematico diventerebbe emblematico della graduale approssimazione alla
conoscenza ricercata dal filosofo.
126
Coxon, op. cit., p. 14.

276


,
[Le cavalle] mi guidavano, dopo che, conducendomi,
mi ebbero avviato sulla via ricca di canti
della divinit che porta ... luomo sapiente.
Su questa via ero portato, perch su questa via mi
portavano molto avvedute cavalle,
trainando il carro: fanciulle mostravano la via (vv. 25).

Luso dei tempi verbali impone sia la prospettiva dello sviluppo e della continuit dellazione nel passato (imperfetto, che, comunque, qualcuno 127 interpreta come imperfetto storico traducendolo con il presente), sia quella delle sue successive e puntuali
sequenze compiute (aoristo), rafforzata, nel verso 2, anche dal ricorso alla congiunzione (dopo che). Lintero proemio costruito intorno a questo ordito temporale che, se valorizziamo
lopposizione presente-passato, potrebbe alludere come intendono Mansfeld 128 e Ferrari 129 - al presente della condizione sapienziale del poeta, conseguita grazie alla rivelazione della Dea e
dunque giustificata dalla narrazione, dal passato. Nel presente della performance recitativa il poeta evoca lavventura della conoscenza che lo ha visto fortunato protagonista al cospetto della divinit, del cui dono si propone di far partecipi gli altri mortali: il
sapiente, luomo che sa ( ), tale per essere stato guidato, condotto lungo la via della divinit (il genitivo ha
valore soggettivo e oggettivo a un tempo: della divinit perch
a essa appartiene ovvero a essa conduce); il canto poetico documenta quel privilegio.
Questa prospettiva temporale, che collegherebbe al presente
dei versi 1 e 3 una condizione di conoscenza giustificata dall'e127

Conche, op. cit., p. 44..


J. Mansfeld, Die Offenbarung des Parmenides und die menschliche Welt,
Van Gorchum, Assen 1964, pp. 228-229.
129
F. Ferrari, La fonte del cipresso bianco, cit., cap. VIII "Il ritorno del
kouros"; id., Il migliore dei mondi impossibili. Parmenide e il cosmo dei
Presocratici, Aracne, Roma 2010, capitolo V "Il ritorno".
128

277

sperienza ( implica etimologicamente lesperienza visiva)


narrata in quelli successivi 130 , pu essere messa in discussione
partendo dalluso che, dell'espressione , si sarebbe fatto,
nella ritualit misterica, per indicare liniziato (analogamente,
come sappiamo, potrebbe intendersi anche il ricorso a al v.
24), e che potrebbe dunque designare una minoranza predisposta,
per intelligenza e tirocinio, alla scoperta della verit 131. Il termine
si potrebbe allora riferire alla conoscenza pregressa di Parmenide: in relazione allobiettivo da raggiungere, ci garantirebbe
un senso anche a (v. 1), allo slancio dellanimo del poeta
verso il contatto con la verit.
Nulla vieta, tuttavia, di mantenere distinte le qualit necessarie
per accedere alla verit che il poeta\sapiente avrebbe evocato
con il paradigma iniziatico dell dalla piena cognizione di essa, disponibile allinterno del tradizionale modello oppositivo tra conoscenza umana e conoscenza divina in virt
delleccezionale prerogativa di una rivelazione divina. In tal caso
la condizione che consente al poeta di annunciare la verit (presente) conseguita grazie alla comunicazione divina (passato), in
cui si realizza comunque la sua originaria aspirazione. Accentuando (arbitrariamente) la significazione e composizione simbolica nel racconto, si potrebbero identificare due movimenti quello del poeta sul carro tirato dalle cavalle e quello delle Eliadi che
intervengono a scortarlo presso le divinit come rievocazione
della tensione religiosa del verso lesperienza della rivelazione ovvero figurazione della ricerca di un accesso alla piena conoscenza della realt.

Ancora sul nodo delle divinit


Abbiamo gi avuto modo di portare lattenzione
nelleconomia complessiva del frammento B1 e nello specifico
130
131

Si tratta appunto della proposta di Mansfeld, op. cit., pp. 226-7.


Cerri, op. cit., pp. 169-170.

278

rilievo dell'eccezionalit dell'esperienza celebratavi sul ruolo


delle figure divine proposte nel proemio:
(i) lincarico di direzione, guida e tutela delle Eliadi;
(ii) la funzione di garanzia e sanzione di Dike;
(iii) lufficio rivelativo della anonima, rispetto a cui, globalmente, nella vicenda cantata, gli altri due risultano subordinati.
In un contesto gi popolato da molte altre potenziali 132 entit
divine (Notte, Giorno, Temi, Moira, Verit), il loro rilievo non
pu essere meramente narrativo, ma, nell'insieme dell'esperienza
che il poeta intendeva comunicare, doveva probabilmente celare
anche una valenza simbolica. Riprendiamo brevemente la questione.
Dike deve essere persuasa dalle Eliadi ad accondiscendere
alleccezione, proprio per consentire la rivelazione: la dea evocata in una mansione che il pensiero arcaico le riconosce, come
ipostasi mitica della legge della physis133, che vincola elementi
e fenomeni nellequilibrio del tutto. significativo che anche in
Eraclito essa si esplichi in relazione al movimento solare e in genere alla regolare alternanza di giorno e notte (che tanto rilievo
cosmologico hanno nel proemio):
,

le Erinni che troveranno Helios, qualora egli oltrepassi
le sue misure, sono ministre di Dike (DK 22 B94).

Incrociando nelluniverso mitico la sua figura con quella delle


Eliadi (divinit solari dell'illuminazione) 134, Parmenide si rifaceva
al mito di Fetonte, che esse, in una variante della storia (ripresa in
una perduta tragedia eschilea le Eliadi appunto -, alla cui rappresentazione a Siracusa Parmenide potrebbe aver presenziato 135)
aiutarono nellimpresa di guidare il carro del Sole. Alla luce di
132

Se se ne accetta la personificazione, giustificata dallinsieme dellindirizzo e


del tono religioso del poema.
133
Cerri, op. cit., pp. 104-5.
134
Come ricorda Cerri, op. cit., p. 173.
135
Capizzi, op. cit, p. 52.

279

questa circostanza, che i versi dellesordio poetico possono richiamare, Parmenide si proporrebbe come una sorta di nuovo Fetonte, sebbene, nel suo caso, come ricorda la Dea, il viaggio proceda (vv. 26-8) sotto buoni auspici136: di questo le Eliadi devono
convincere Dike, perch autorizzi il passaggio lungo la traiettoria
solare. Se accettiamo questo accostamento, la divinit allusa nei
vv. 2-3 potrebbe essere proprio il Sole: il carro su cui viaggia il
poeta potrebbe essere allora il suo, cos come la via quella che il
Sole percorre, e che conduce ai confini del mondo.
Ma lassociazione tra Eliadi e Dike evocatrice anche in
unaltra direzione: abbiamo ricordato come, nella cosmologia mitica esiodea ricostruita puntualmente dalla Pellikaan-Engel, la
dimora della Notte sia collocata nelle profondit del Tartaro (il
mondo infero), in prossimit dell'accesso all'Ade (il mondo dei
morti), in una regione in cui hanno le loro radici la terra, il mare,
il cielo, abisso senza fine (caos), luogo terrificante anche per gli
dei137. In tale dimora soggiornano alternativamente Notte e Giorno: da essa muovono e a essa conducono le Eliadi. Esse, uscite
dalla porta cosmica del Giorno e della Notte (su questo punto in
Esiodo c' un'incongruenza: dovrebbero essere due, collocate alle
estremit orientali e occidentali), prelevano Parmenide (allalba:
si tolgono i veli notturni) e lo guidano alla stessa porta, alta tra la
terra e il cielo, seguendo verso occidente il percorso del Sole. Al
di l c il mondo infero: il suo vestibolo a livello della superficie terrestre (descrizione omerica), ma immediatamente dopo si
spalanca il baratro immenso. Parmenide ha il privilegio (come iniziato, ) di varcarne, ancora vivo, la soglia, per attingere la conoscenza: Dike al suo posto, nella misura in cui deve
giudicare i requisiti; le Eliadi tutelano il poeta viaggiatore in qualit di patrocinatrici (impiegano parole suasive per ammansire la
inflessibile sorvegliante dei confini) 138.
Gli elementi che abbiamo riassunto suggeriscono che
leccezionalit dellimpresa cantata coincida con il massimo pri136

Leszl, op. cit., p. 146.


Ivi, p. 147.
138
Cerri, op. cit., pp. 106-7.
137

280

vilegio previsto per un mortale nelluniverso mitico: come Odisseo e Orfeo, al poeta concesso di accedere (anche se non forse
propriamente discendere) allAde, per incontrare la divinit che
vi regina, Persefone. In questo senso, probabilmente, Parmenide
insiste inizialmente sulluso del presente contrastato da quello del
passato: per marcare lo straordinario esito della sua esperienza, la
cui specifica difficolt consiste proprio nel ritorno alla luce, tra i
vivi, al presente della condizione umana.
Prima di concludere su questo punto, ancora necessario chiarire un aspetto. Abbiamo continuato a interpretare il proemio in
un senso prossimo alla sua lettera, come si trattasse del resoconto
di un viaggio dal poeta effettivamente compiuto, rigettando,
quindi, le letture allegoriche secondo il prototipo proposto dallo
stesso Sesto Empirico. Questo non comporta trascurare il valore
simbolico delle scelte espressive di Parmenide, evitare di attendere alle implicazioni che certe immagini o situazioni concrete dovevano gi avere assunto nella attivit poetica allepoca di Parmenide: la pratica allegorica stava compiendo solo i primi passi,
ma possibile che il simbolismo avesse un peso nella cultura pitagorica cui si dovrebbe, secondo alcuni139, ricondurre la formazione di Parmenide. Il contemporaneo Pindaro, per esempio, nella
Olimpica VI, faceva ricorso al motivo del viaggio con intento manifestamente metaforico, sebbene laccostamento a Parmenide risulti difficile (il viaggio di costui appare ben pi complesso). In
ogni caso, forse la natura stessa delleccezione evocata a rendere plausibile unintenzione simbolica del proemio: l'esperienza
liminare (un viaggio oltre i confini del mondo) compiuta dall'anima del poeta (spiritualmente), prefigurava, nell'insegnamento
della Dea, una vicenda conoscitiva di cui altri avrebbero potuto
fruire. Cos, sfruttando al massimo lincidenza dei dettagli concreti della scena cosmica, Parmenide avrebbe, con la propria "odissea", delineato un modello per le avventure dellanima nel
grande mito del Fedro platonico 140.

139
140

Coxon, op. cit., p. 14.


Su questo punto ampia la convergenza degli interpreti.

281

La sequenza del racconto e il progressivo (non casuale) coinvolgimento di quelle divinit fanno comunque apparire poco convincenti le letture che marcano nel proemio la mera figurazione
allegorica di opzioni gnoseologiche o la semplice legittimazione,
in chiave di illuminazione superiore, di una proposta filosofica.
Lautore, invece, proprio attraverso la narrazione in prima persona del viaggio, ha la possibilit di coinvolgere il suo pubblico in
un'esperienza di trasformazione radicale della persona, che richiede lidentificazione con il protagonista (donde ladozione della prospettiva del viaggiatore) 141. la futura condotta di vita il vero obiettivo delle istruzioni della dea: il viaggio, in tal senso, sarebbe rappresentazione di una forma di 142. Lo sciamanesimo di Parmenide potrebbe leggersi in questa prospettiva: non
traduzione poetica di una trance onirica (incubazione), ma assunzione della pervasivit emotivo-esistenziale (forse direttamente
esperita) di quella prova al servizio di uno sforzo di profondo riorientamento teorico e pratico nella realt quotidiana.
Alla concretezza di un fenomeno culturale (la pratica sciamanica), forse radicato nellambiente eleatico 143, Parmenide associa
un percorso di conoscenza, proposto esemplarmente ai propri uditori, in cui la dimensione di estraneazione dalle distorsioni della
quotidianit funzionale a un processo di trasformazione spirituale e a una prassi di vita. Il corso delle Eliadi ai limiti del mondo,
la sanzione di Dike e la verit di Persefone scandiscono evidentemente una ricerca destinata a modificare lintera personalit: in
un contesto in cui il sapere salvifico era appannaggio di iniziazioni e incubazioni, il filosofo avrebbe cos fatto ricorso, in termini
simbolici, all'efficacia coinvolgente (da cui lattenzione per alcuni

141

La Robbiano (pp. 65 ss.) dedica ampio spazio a questo punto, individuando


due elementi che, da un lato, favoriscono lidentificazione tra pubblico e
viaggiatore, dallaltro contribuiscono alla costruzione di una nuova attitudine
mentale: (i) la focalizzazione e linvenzione della autobiografia: le strategie
dellIo; (ii) il ritratto e le strategie del tu.
142
Coxon (op. cit., pp. 15-6) parla di katharsis pitagorica.
143
Come confermerebbero i rilievi di Kingsley e le osservazioni della Gemelli
Marciano.

282

dettagli riconducibili, secondo Kingsley, all'esperienza dello


sciamano) di una forma di ascesi estatico-religiosa.

La rivelazione e il suo programma


Con il concorso delle Eliadi e la condiscendenza di Dike (guadagnata proprio grazie allintervento persuasivo delle figlie del
Sole), il poeta superata la porta cosmica in cui si incontrano i
sentieri di Giorno e Notte giunge infine presso la Dea: che ella
rappresenti la meta degli sforzi sottolineati nei primi 23 versi,
chiaro nelle parole con cui la stessa accoglie e rincuora (rallegrati!) lattonito visitatore. Esse rivelano come viaggio e accompagnamento non siano n casuali, n naturali, ma risultato di
un disegno:

-
-,
Qmij Dkh
Non Moira infausta, infatti, ti spingeva a percorrere
questa via (la quale in effetti lontana dalla pista degli
uomini),
ma Temi e Dike (vv. 26-28).

Non stata la morte, un disgraziato destino, a condurre il poeta al cospetto della dea infera, per una via ben lungi dai sentieri
comunemente battuti: la rassicurazione divina sottintende che
quella distanza dai mortali sia da considerare un privilegio e non
un accidente, e che lo straordinario incontro non sia da ascrivere
tanto all'iniziativa del protagonista (che stato piuttosto spinto da
Moira) quanto alleccezionalit della scorta.
La via () che gli consente di raggiungere la residenza
divina ( la nostra casa) probabilmente la stessa
(via ricca di canti della divinit vv. 23), lungo la quale le cavalle conducevano il poeta allesordio: in
283

ogni caso una strada principale, come chiarisce l'indicazione


(lungo la via maestra) percorsa sotto legida della
giustizia, in compagnia di immortali guide (
). Le scelte espressive di Parmenide il vocativo
(giovane) e il nominativo in funzione vocativa
(compagno) apparentemente descrittive della condizione giovanile del poeta e della sua scorta, potrebbero alludere, in realt,
alla sua dedizione religiosa, sottolinearne liniziazione, e dunque
legittimarne il privilegio.

Imparare tutto
Leccezionalit della situazione si riflette anche nella completa
disponibilit della Dea, nella sua accoglienza e nellinformazione
successiva: rilevando didascalicamente - secondo il tradizionale
paradigma144 oppositivo tra conoscenza umana e conoscenza divina - lopportunit per il giovane di tutto apprendere (
), ella propone un programma articolato in due momenti,
chiaramente scanditi in greco (vv. 29-30) dalle congiunzioni
. (sia sia), in conclusione ulteriormente precisati (v.
31) ricorrendo alla formula (congiunzione avversativa + avverbio), da rendere come nondimeno, eppure anche
cos. Linterpretazione di questo passaggio molto controversa,
ma anche decisiva, dal momento che all'articolazione programmatica presumibilmente corrisponde poi la struttura del poema (cio
la successiva esplicitazione dei contenuti della rivelazione), e
dunque dall'interpretazione di quella dipende la comprensione di
questo.
Il kouros apprender, imparer, sar informato su tutto:

144

Secondo Cerri (p. 182) la fraseologia dellincontro tra il poeta e la dea


riprende tipicamente quella delle scene di incontro tra dei e mortali in
Omero.

284

,
sia di Verit ben rotonda il cuore fermo,
sia dei mortali le opinioni, in cui non reale credibilit
(vv. 29-30).

Si tratta dellopposizione fondamentale, che genera tutti i contenuti del poema: il nucleo essenziale (, cuore) di Verit
(), di ogni verit (, ben rotonda), la sua necessit immanente ( , letteralmente cuore che non
trema); le incerte opinioni dei mortali ( ), che non
sono veramente credibili: esse risultano, letteralmente, inaffidabili, in esse non risiede (reale fiducia). La qualificazione umana delle doxai giustifica la loro debolezza, assumendo per scontato che la proposta della Verit sia divina. Il modello
ancora quello di Teogonia vv. 27-28:
,

sappiamo dire molte menzogne simili al vero,
ma sappiamo anche, quando vogliamo, il vero cantare,

sebbene in Parmenide l'opposizione tra proferire menzogne


( ), cio contraffazioni del genuino stato delle cose,
ed esprimere le cose reali ( ) sia rimodulata
nella tensione tra la salda stabilit nella relazione con la realt
(di Verit il cuore fermo) illustrata dalla Dea, da un lato, e l'incredibilit dei punti di vista mortali, dall'altro. Nel poema non vi
propriamente traccia dell'esplicita e secca contrapposizione verofalso: cos loscillazione esiodea tra cose false () e cose
vere () diventa nel contesto parmenideo opposizione determinata oggettivamente da una norma (esplicitata in B2). La divinit di Parmenide meno volubile delle Muse esiodee: la sua
rivelazione vincolata alla manifestazione della realt (Verit) e,
conseguentemente, alla denuncia dell'origine degli sviamenti umani nelle molteplici opinioni. In questo senso, allora, possiamo
leggere la conclusione del programma:
285

,

Eppure anche queste cose imparerai: come le cose
accolte nelle opinioni
era necessario fossero effettivamente, tutte insieme
davvero esistenti (vv. 31-32).

Nellimpegno a tutto insegnare, la Dea non si limita attraverso l'illustrazione della norma di verit a denunciare
linattendibilit delle convinzioni umane (come vedremo, rintracciandone la distorsione genetica), ma intende proporre una ricostruzione affidabile () della totalit degli enti che quelle
opinioni travisavano. Il ricorso a suggerisce, nel contesto,
l'intenzione della Dea di riconsiderare comunque il materiale delle inverosimili , cos da fornirne un quadro attendibile (credibile alla luce della verit).
Possiamo dunque articolare il programma della Dea in tre
momenti145:
(i) lesplicitazione della norma immanente (le vie di ricerca
per pensare), dell'intima necessit della verit (B2, B6), con la
conseguente manifestazione della struttura essenziale della realt
(B8);
(ii) la denuncia dellerrore di base delle opinioni dei mortali
(B6, B7);
(iii) la riformulazione dei contenuti di quelle opinioni (quindi
del mondo della esperienza umana) conformemente a quella norma (B9 ss.).
Tale scansione ha dunque risconto nella struttura del poema:
(a) una prima sezione (primo logos), indicata convenzionalmente come Verit () dalla formula:
(discorso affidabile e pensiero intorno alla
verit B8.50-51), in cui, in successione e strettamente connessi,
sono affrontati i momenti (i) e (ii): i principi del corretto ricercare
e le origini dell'errore dei mortali;

145

Ruggiu, op. cit., p. 196.

286

(b) una seconda sezione (secondo logos, considerevolmente


pi consistente), convenzionalmente nota come Opinione
() e nel poema denotata per i suoi contenuti:
(opinioni mortali): in essa si concentrava il punto (iii) del programma, naturalmente pi composito (riferendosi al complesso
dell'esperienza).
Variante di questa prospettiva di lettura quella di Coxon146,
secondo cui, invece, Parmenide, in conclusione di B1, rievocherebbe le posizione espresse da Senofane e Alcmeone nei passi sopra citati:


,

davvero l'evidente verit nessun uomo conobbe, n
mai ci sar
sapiente intorno agli dei e alle cose che io dico, su
tutte:
se, infatti, ancora gli capitasse di dire la verit
compiuta in sommo grado,
lui stesso non lo saprebbe: opinione data su tutte le
cose (DK 21 B 34).

,
,

Alcmeone di Crotone, figlio di Piritoo, ha detto queste
cose a Brotino, Leonte e Batillo: sulle cose invisibili, sulle
cose mortali gli dei possiedono la certezza, ma a noi, in
quanto uomini, dato solo trovare degli indizi 147 (DK 24
B1).
146
147

Op. cit., p. 169.


Dal passo iniziale del frammento vero e proprio ( ,
) la Gemelli Marciano propone di espungere la virgola, offrendo
quindi la seguente traduzione: sulle cose invisibili che riguardano i
mortali ("Lire du dbut", cit., p. 19).

287

Sarebbe dunque ribadita la contrapposizione omerica tra incerte convinzioni umane (elaborate inferenzialmente nel caso di Alcmeone) e conoscenza divina: Parmenide si limiterebbe semplicemente a riformularla nel senso di un contrasto tra forme cognitive: una affidabile perch in grado di manifestare il reale, laltra
opinabile e convenzionale, espressione di meri punti di vista. Solo
riconoscendo linsufficienza dell'esperienza ordinaria, gli uomini
hanno la possibilit della certezza: ci che Parmenide avrebbe
tentato nella seconda parte del poema appunto una ridefinizione
del campo delle doxai in termini non contraddittori.
Questa interpretazione si scontra, tuttavia, con una lunga tradizione che attribuisce valore diverso alle parole della Dea, per lo
pi assimilando i punti (ii) e (iii): alla saldezza (razionale) della
verit (i), Parmenide contrapporrebbe lincertezza (empirica)
dellopinare umano (ii), di cui offrirebbe comunque, a scopo esemplificativo e\o critico, esposizione (o ricostruzione) coerente
(iii).
Leszl 148 ritiene, in effetti, che la distinzione verit-opinioni,
che chiude la comunicazione della dea nel proemio, corrisponda
alla distinzione, enunciata dalle Muse esiodee, tra verit e falsit:
in entrambi i casi le divinit si rivelano in dominio completo
dellambito del vero e di quello dellingannevole (da Esiodo considerato tale perch simile al vero), sebbene, a differenza delle
Muse che si limitano a esporre il vero, la dea di Parmenide espone
anche ci che non vero, nellintento di coprire tutto, di offrire
un sapere globale che non ritroviamo in Esiodo.
Lo stesso parallelismo con linno alle Muse della Teogonia
sfruttato da Mansfeld149, il quale riscontra, nel doppio resoconto
prospettato dalla Dea, lanaloga pretesa delle Muse di dire verit e
menzogne: in questo modo, evidentemente, tutto quanto si riferisce allambito della doxa stigmatizzato come ingannevole, con
il risultato paradossale di ridurre proprio la sezione cosmogonica
e teogonica, pi vicina al modello divinamente ispirato del poema
148
149

Op. cit., pp. 153-4.


Op. cit., p. 33.

288

esiodeo, a occasione per repertare gli errori dei mortali (sottolineando come dovrebbero essere ma non sono150).
Non da escludere, invece, che proprio il secondo logos rappresentasse il nucleo centrale e originario del progetto di Parmenide, quello in continuit con la riflessione arcaica
(donde la titolazione tradizionale), di cui la sezione sulla Doxa
riprodurrebbe anche la logica di riduzione di , delle
cose accettate nelle opinioni, a principi, forme () nel
lessico parmenideo (B8.53); ma che lelemento di originalit (da
cui lattenzione tra gli antichi e la conservazione nelle testimonianze) fosse costituito dalle premesse ontologiche contenute nel
primo logos, che forniscono la cornice e le condizioni di una coerente enciclopedia del mondo naturale, denunciando a un tempo le
debolezze delle ricostruzioni alternative151.

150
151

Ivi, p. 210.
Il dibattito sulla natura della doxa parmenidea sterminato: a parte il vecchio
aggiornamento di G. Reale a E. Zeller R. Mondolfo, La filosofia dei Greci
nel suo sviluppo storico, Parte I, Volume III: Eleati, cit., la questione stata
sistematicamente ripresa nello specifico da P.A. Meijer, Parmenides Beyond
the Gates. The Divine Revelation on Being, Thinking and the Doxa, Brill
Academic Publishers, Amsterdam 1997. Molto utili J. Frere, "Parmnide et
l'ordre du monde: fr. VIII, 50-61", in tudes sur Parmnide, sous la direction de P. Aubenque, t. II Problmes d'interprtation, Vrin, Paris 1987, pp.
192-212; R. Brague, "La vraisemblance du faux (Parmnide, fr. 1, 31-32)",
ivi, pp. 44-68; A. Nehamas, Parmenidean Being/Heraclitean Fire in Presocratic Philosophy, edited by V. Caston & D.W. Graham, Ashgate, Aldershot 2002, pp. 45-64; H. Granger, "The Cosmology of Mortals", ivi, pp.
101-116; P. Curd, The Legacy of Parmenides. Eleatic Monism and Later
Presocratic Thought, Princeton University Press, Princeton 1998, cap. III:
"Doxa and Deception"; le pagine di D.W. Graham, Explaining the Cosmos.
The Ionian Tradition of Scientific Philosophy, Princeton U.P., Princeton
2006 dedicate all'argomento (pp. 169-184).

289

Opinioni: credibili e non


Secondo uno dei pi accreditati studiosi ed editori contemporanei di Parmenide - Cordero152 - la Dea prospetterebbe, introduttivamente, il contenuto del suo corso di filosofia nellambizioso
riferimento alla totalit delle cose, precisato in due oggetti complementari: (i) il cuore della verit e (ii) le opinioni dei mortali. A completamento del suo programma, ella avrebbe poi illustrato anche un possibile modello per le opinioni: la verit assente dalle opinioni, ma riconoscere che le opinioni non sono vere vero153. Ci che rende, a nostro avviso, implausibile questa
proposta di lettura soprattutto lestensione e larticolazione che
supponiamo il secondo logos dovesse avere, configurandosi come
poema didascalico, manuale o trattato scientifico, a carattere enciclopedico154. necessario dunque intendersi preliminarmente sul
valore delle opinioni155.
Una prima indicazione ci giunge dalle testimonianze dei lettori
antichi: Aristotele, per esempio, osserva:

,
, , [...]
,

,
, ,

152

N.-L. Cordero, By Being, It Is. The Thesis of Parmenides, Parmenides Publishing, Las Vegas 2004, p. 30.
153
Ivi, p. 32.
154
G. Cerri, Testimonianze e frammenti di scienza parmenidea, in Parmenide
scienziato?, a cura di L. Rossetti e F. Marcacci, Academia Verlag, Sankt
Augustin 2008, p. 80.
155
Torneremo sull'argomento commentando l'ultima parte di B8 e i frammenti
del "secondo logos".

290

Parmenide, invece, sembra in qualche modo parlare


con maggiore perspicacia: ritenendo, infatti, che non esista
affatto, oltre allessere, il non-essere, egli crede che, di
necessit, lessere sia uno e nientaltro. [] Costretto
tuttavia a tener conto dei fenomeni, e assumendo che
luno sia secondo ragione, i molti invece secondo
sensazione, pone, a sua volta, due cause e due principi,
chiamandoli caldo e freddo, ossia fuoco e terra. E di questi
dispone il caldo sotto lessere, il freddo sotto il non-essere
(Aristotele, Metafisica I, 5 986 b27 - 987 a1; DK 28 A24).

A sua volta, Teofrasto (secondo quanto attestato da Alessandro


di Afrodisia) rileva:
.
.
,
,
,

, ,
.
Parmenide figlio di Pyres, da Elea [] percorse
entrambe le strade. Mostra, infatti, che il tutto eterno, e
cerca anche di spiegare la generazione delle cose che
sono, non avendo sulle due vie le stesse convinzioni:
piuttosto, secondo verit egli sostiene che il tutto uno e
ingenerato e di aspetto sferico; secondo lopinione dei
molti, invece, al fine di spiegare la generazione delle cose
che appaiono, pone due principi, fuoco e terra, l'uno come
materia, l'altro invece come causa e agente (DK 28 A7).

Il problema dei due logoi era gi delineato come incrocio tra


due forme diverse di esplorazione della realt, che potremmo
sbrigativamente indicare come razionale ed empirica: la seconda
parte del poema avrebbe cos riproposto un approccio alla physis,
dai fenomeni ai loro principi, analogo a quello ionico; la prima

291

parte, originale, avrebbe invece introduttivamente messo a fuoco


le implicazioni ontologiche a priori dellindagine156.
Certamente il programma della Dea prevede un momento critico, che investe indiscutibilmente le opinioni dei mortali, in
cui non risiede reale credibilit: individuare la norma di verit
comporta necessariamente denunciare lorigine di erronee convinzioni circa il mondo dellesperienza, senza escludere tuttavia
la possibilit che la stessa materia sia passibile di una trattazione
diversa, rigorosa e plausibile. Questo il senso della precisazione
introdotta dal restrittivo : tra la saldezza della Verit
(illustrazione della realt) annunciata dalla Dea e la (contraddittoria, come vedremo) inconsistenza delle diffuse, illusorie convinzioni umane, si annuncia la possibilit di una credibile (in quanto
coerente con i presupposti che fondano la ricerca) ricostruzione
dei fenomeni. Bench lintervento divino sia teso a legittimare la
norma di verit (che non pu giustificarsi empiricamente),
limpianto educativo del poema, la scelta del kouros e la sollecitazione critica nei suoi confronti sembrerebbero autorizzare un'interpretazione positiva dei versi conclusivi del proemio.
Ci che colpisce, nellarticolazione della lezione divina, , in
ogni caso, soprattutto il punto (iii) del programma, che risulta nel
contesto meno scontato: comunque si intenda, infatti, la direzione
del viaggio cantato nei versi parmenidei, indiscutibilmente la sua
meta rappresentata dalla rivelazione divina, che presuppone, con
lesito veritativo, lopposizione tra il sapere che la Dea pu manifestare e quello che gli esseri umani possono attingere. Cos la
compiuta (, ben rotonda 157 ), salda consistenza
( , cuore fermo) di Verit (naturalmente e tradizionalmente) contrapposta alla debole ( , non reale
156

Si tratta di una relazione che potrebbe ancora trovare riscontro


nellorganizzazione del poema Sulla natura di Empedocle, nei cui
frammenti (DK 31 B8, 9, 11) troviamo leco della ontologia di Parmenide
chiaramente saldata alla prospettiva di una positiva indagine della physis.
157
Per la lettura che proponiamo, sarebbe pi naturale accogliere la variante
(ben convincente) della versione di Plutarco, Clemente, Sesto
Empirico e Diogene Laerzio, prevalentemente accolta dagli editori moderni,
di cui diamo notizia in nota al testo greco.

292

[genuina]) credibilit () riconosciuta alle :


nondimeno, a proposito di queste opinioni, il poeta apprender,
dallistruzione della Dea, anche come le cose accolte nelle opinioni ( : il contenuto empirico di tali opinioni) siano
da intendere effettivamente (: realmente, genuinamente), considerandole tutte insieme davvero esistenti (
), in altre parole riconducendole rigorosamente alla
via di ricerca lungo la quale effettivamente possibile procedere (B2.3).
Senza questa precisazione il percorso formativo destinato al
kouros sarebbe incompleto: la formula () che lo introduce
sottolinea come esso sia opportuno, adeguato a conseguire una
nuova consapevolezza della realt 158. A tale scopo non sufficiente (almeno non per la formazione del kouros) conoscerne
lessenza e dunque prendere coscienza della genesi delle opinioni
erronee: per il poeta, destinato a tornare tra gli uomini e a rivaleggiare con altri presunti sapienti, necessario saper affrontare i
contenuti dellesperienza umana. Non pare come invece molti
sostengono 159 - che la vera novit parmenidea sia rappresentata
dal fatto che la Dea offra agli uomini la possibilit di imparare e
la verit e le opinioni, se per doxai si intendono quelle illusorie
dei mortali: esse saranno sbrigativamente liquidate (B6-7) in conseguenza della enunciazione (B2) dei criteri di verit. Ci che, invece, risulta originale nella rivelazione della Dea del poema, a dispetto della tradizionale frattura tra sapere umano e sapere divino,
lardita combinazione di rigorosa affermazione (B2, B8) di una
realt non immediatamente manifesta allesperienza umana, e articolata esposizione di un accettabile ordinamento (,
B8.60) dei fenomeni naturali. La comunicazione dellanonima divinit avrebbe insomma abbracciato sia quanto tradizionalmente
considerato appannaggio esclusivo del dio (la verit), sia
loggetto della contemporanea ricerca ( ): in
questo modo, il poema avrebbe ridefinito, nel suo insieme, il quadro cosmologico (e cosmogonico) della Teogonia esiodea.
158
159

Robbiano, op. cit., p. 77.


Tra gli altri Robbiano, op. cit., pp. 51-2.

293

Verit e opinione
Sul programma introdotto dalla dea innominata in conclusione
del proemio (vv. 28-32), possiamo ancora osservare come, a livello espressivo, larticolazione su cui abbiamo insistito emerga
chiaramente nelle scelte verbali:


, .
,
.

Intanto risultano essenziali due verbi - e


il cui valore quello di apprendere per esperienza, imparare
per indagine, ma anche discernere: essi possono veicolare,
dunque, sia lidea di ricettivit, sia quella di ricerca, perfettamente
in contesto laddove la docenza (divina: ) guida il processo di
apprendimento, marcando a un tempo i temi su cui verter la lezione impartita ( ; ; ) e
lurgenza di comprensione da parte dellallievo ().
La prima formula didattica sottolinea lopportunit che tutto
tu apprenda: come in precedenza rilevato, netta la costruzione
oppositiva dei vv. 29-30, in cui la saldezza della Verit contrastata esplicitamente dalla incertezza delle opinioni, e la garanzia di verit del nesso - implicitamente alla inaffidabilit dei mortali: la rivelazione del cuore fermo di Verit ben rotonda comporter la contestazione della consistenza delle loro
convinzioni. La seconda formula introduce gli ultimi due versi,
testualmente molto tormentati: il fatto di ribadire imparerai
sembra implicare che questa sezione della lezione divina sia ulteriore e autonoma rispetto alla prima opposizione (verit e credenza non vera), sebbene il complemento oggetto - anche queste cose - plausibilmente rinvii al contenuto delle opinioni dei morta294

li160 e soprattutto sia evidente il vincolo lessicale rappresentato


dalla comune radice () di , e .
Come Mourelatos 161 ha chiarito nella sua ricerca, il verbo
pu significare sia (a) aspettarsi, pensare, supporre,
sia (b) sembrare, nel senso (i) di pensare, ma anche (ii) di
apparire: presenta dunque a subject-oriented sense e an objectoriented sense. Mentre e sarebbero riconducibili al
primo valore e alla sua funzione criteriologica, il ricorso al
termine rivela piuttosto le implicazioni oggettive di (b),
nonostante la derivazione da lo renda irriducibile a una
funzione fenomenologica (quella dei derivati di ). In
(opinione-convinzione) e (rendendo lavverbio come plausibilmente) troveremmo allora coinvolta lidea di valutazione e accettazione, di approvazione; di conseguenza in
(o , come in Simplicio) le cose ritenute accettabili ovvero le cose come sono accettate. Ma lavverbio
impiegato dal contemporaneo Eschilo con il valore di
realmente (Liddell-Scott) e quindi potrebbe a sua volta rinviare
allaccezione oggettiva, a una situazione di fatto, a come stanno
effettivamente le cose (cos lo abbiamo inteso nella nostra traduzione). In ogni caso, le - che vengono denunciate
come non fededegne - non rappresentano mere impressioni ma
punti di vista assunti, condivisi e diffusi, con cui ha evidentemente senso ingaggiare polemica: alla soggettivit di tali punti di
vista che viene contrapposta la verit comunicata dalla dea.
Gli ultimi due versi del proemio ritornano sulla materia di
quelle confuse assunzioni, per riproporla in modo adeguato: in
questo caso Parmenide impiega non il termine ma
: non i punti di vista ma le cose che in essi sono accolte.
A collega la complessa (e testualmente controversa)
espressione participiale , che abbiamo
reso come tutte insieme davvero esistenti. La scelta appare non
160

In funzione prolettica, Parmenide avrebbe di norma - dovuto impiegare


, non , che sembra invece riferito a quanto precede.
161
Op. cit., pp. 195 ss..

295

quella di ricostruire la genesi dellerrore dei mortali, ovvero quella di proporne una versione pi coerente, piuttosto quella di mostrare come le cose accolte nelle opinioni avrebbero dovuto
(era necessario\opportuno, con possibile valore di irrealt) essere intese nella loro totalit come (esistenti), in altre parole
considerate alla luce della Verit, ovvero come genuina realt.
La precisazione di Parmenide, con le sue scelte lessicali
(, ), e la struttura del poema, con un secondo logos
di natura enciclopedica, suggeriscono di considerare positivamente il terzo punto del programma della dea, ben distinto dal secondo (che riceve indiscutibilmente una connotazione negativa), di
cui tuttavia sembra condividere due elementi essenziali:
(i) il contenuto materiale, costituito dalla pluralit delle cose
che accogliamo sulla base della esperienza;
(ii) la prospettiva (espressa dallinsistenza sulle forme in ),
il punto di vista mortale, che appunto quello che passa attraverso lesperienza, ma che, non per questo, deve essere giudicato inaffidabile.
La Dea proceder quindi:
(i) in primo luogo, a introdurre quella verit di cui esplicitamente (e tradizionalmente) garante (B2): si tratta delle premesse
(B2.3, B2.5) da cui possibile procedere per manifestare la struttura della realt (B8);
(ii) poi, a stigmatizzare (sbrigativamente), sulla scorta della
forma (logica) di quelle premesse (necessit dellessere e impossibilit del non-essere), l'infondatezza dei comuni assunti circa le
cose e il loro divenire;
(iii) infine, a illustrare, attraverso una ricostruzione coerente
con i parametri veritativi della Dea, l'ordine del mondo
(), vero obiettivo dell'opera.
In questo modo, il poema contiene, complessivamente, la rivelazione di tutta la Verit: della sua natura intrinseca (cuore fermo), fraintesa nel comune, superficiale pregiudizio, e della sua
adeguata applicazione al campo dellesperienza umana. Parmenide si riferisce a due ambiti distinti, divino e umano, che nella rivelazione si sovrappongono: la meditazione della parola
() della Dea, che segnala la traccia che conduce ad ,
296

assicurer al la consapevolezza degli errori comuni tra gli


uomini e dunque un'avveduta prospettiva sul mondo della sua esperienza. In questo senso, le due sezioni (Verit e Opinione)
hanno lo stesso oggetto (non potrebbe essere diversamente per la
logica del poema): la realt, manifestata nella sua unitotalit essenziale dall'intelligenza, e nella pluralit dei processi naturali
dallesperienza.
La scansione di tale programma nei moduli della tradizionale
istruzione poetica significativa: lo scarto tra sapere umano e sapere divino, proposto nella cornice dell'eccezionale tragitto ai limiti del cosmo, dove cielo e terra, notte e giorno, mondo dei vivi
e mondo dei morti si incontrano, ribadito non solo nella relazione didascalica tra e , ma anche nella complementarit
dei loro due diversi sguardi sulla realt. Quello della Dea si rivolge impassibile (logicamente coerente e inattaccabile) allessere,
alla totalit razionalmente afferrata nella sua omogeneit e identit ontologica; quello dei mortali invece condizionato (e per lo
pi sviato) dal filtro dellesperienza. Compito del poema condannare le distorsioni e produrre con la lezione divina una consapevole mediazione.

Per via
Prima di concludere lesame del proemio e dopo averne considerato gli ultimi versi e il programma contenutovi, opportuno
ritornare riassumere i nostri risultati.
Parmenide compone nei moduli della tradizione epica, evocandone il rilievo veritativo e educativo e sviluppandone in particolare il tema del viaggio, centrale non solo per lepica omerica
ma anche, in generale, per lesperienza culturale e religiosa arcaica (sciamanesimo). Modulando tali paradigmi, il poeta insiste
sulleccezionalit della propria esperienza, sia per gli auspici che
ne assicurano lo svolgimento, sia per la meta oltremondana, sia,
infine, per lincontro con la dea rivelatrice: ci comporta, da parte
sua, valorizzare, con la lezione divina, anche il percorso del viag297

gio, la via ( ) che la dea innominata ci


informa essere lontana dalla pista degli uomini. A sancire tale
percorso e la legittimit della percorrenza, Parmenide colloca Dike e Temi, giustizia e norma divina: laccesso alla verit, dunque,
non casuale, accidentale, ma risultato di uno slancio educato (il
poeta in apertura evoca la spinta del proprio desiderio, ),
forse di una iniziazione (come rivelerebbe, in particolare, luso
della espressione ).
La lezione della Dea non si limita a manifestare la Verit (di
cui rileva la saldezza, il nucleo inattaccabile), mediandola a un
mortale, ancorch favorito, ma attenta anche a dar conto del
mondo dellesperienza, delle convinzioni umane, sia per denunciarne gli stravolgimenti, sia per offrirne unillustrazione adeguata, coerente, nei suoi principi esplicativi, con la realt annunciata (l'essere). I modelli e i temi interessati suggeriscono che la
comunicazione di verit, certamente centrale nei frammenti disponibili, non fosse fine a se stessa, ma costituisse lelemento intorno a cui realizzare un profondo ri-orientamento della esperienza umana e una radicale ri-determinazione del rapporto tra soggetto umano e realt (come cercheremo di dimostrare in B3 e
B8) 162 . La formazione alla verit porter il kouros a vedere il
mondo in una prospettiva lontana dalla quotidianit, ma soprattutto a scegliere diversamente dalla societ163.

162

Analizzando il valore di nella cultura arcaica, la Stemich (op. cit.,


pp. 84-6), convinta che in Parmenide non si possa delimitarne nettamente la
prospettiva oggettiva (che insiste sul referente, sullentit data al di fuori
dellindividuo) da quella soggettiva (come nelle espressioni dire vero, fare
vero, in cui sottolineata la relazione delluomo alla verit), osserva
comunque che Parmenide (come gi Eraclito) insista piuttosto sulla seconda,
ovvero sulla condizione che consente alluomo di superare il senso comune
quotidiano.
163
significativo che, di recente, oltre a Martina Stemich anche Chiara
Robbiano (op. cit., p. 56) abbia richiamato lattenzione su questo punto: la
rivelata, prioritaria nel programma educativo della Dea, sarebbe il
risultato di un punto di vista (che il kouros deve maturare), e dunque
soggettiva, ma, dal momento che esso svela lessenza della realt, allo stesso
tempo oggettiva. In questo senso il poema riguarderebbe una trasformazione

298

Che si tratti di percorso astrale quello solare che conduce


alla porta cosmica, chiave di volta non solo dellalternanza giorno-notte ma anche dellaccessibilit al mondo infero, ovvero di
itinerario celeste, verso una trascendenza extra-cosmica (come
vuole Mansfeld), o ancora di discesa verso il mondo infero, il viaggio verso la divinit comunque destinato a un impatto che sarebbe riduttivo considerare esclusivamente sotto il profilo conoscitivo, come per lo pi si fatto nella tradizione. Levento decisivo non solo per quello che consentir di conoscere ma per
come consentir di condursi nellesistenza: questa forse la ragione della scelta comunicativa di Parmenide, con le sue potenzialit performative (la recitazione) e le allusioni a esperienze (rivelazioni, illuminazioni ecc.) note soprattutto per la loro incidenza esistenziale. Non a caso, dunque, il poema si apre con riferimenti allo , all , alla accortezza delle cavalle di
scorta, e allegida divina di Temi e Dike, per procedere
allincontro con una dea (che potrebbe essere Persefone) la quale
introdurr la propria rivelazione (B2) con levocazione
dellimmagine di un bivio, di fronte al quale il kouros chiamato
a scegliere.

del punto di vista tale da investire non solo loggetto della comprensione, ma
anche - alla fine del viaggio - il soggetto ( p. 37).

299

LE VIE E LA VERIT [B2]


Nonostante i vari problemi di traduzione e interpretazione suscitati dai versi di B2, con certezza possiamo asserirne, come nel
caso del precedente B1, la collocazione: allinizio della prima sezione del poema 1 , a ridosso del proemio (se non addirittura in
continuit e contiguit con esso). Possiamo inoltre ragionevolmente ritenere che B2 costituisca, con i successivi B3, B6, B7 2,
un blocco argomentativo continuo: lintroduzione dei presupposti
per manifestare (B8) i segni (), le propriet della Realt
concepita come un tutto, ovvero di quanto anticipato (B1.29) come (di Verit ben rotonda il
cuore fermo).
Allinterno di uno schema espositivo che esplicitamente richiama lattenzione sul rilievo fondativo dei versi B2.2-8 (la Dea,
infatti, marca la significativit del proprio , sollecitando
linterlocutore a prenderne nota e averne cura), alcuni hanno voluto valorizzare la condizionante presenza dei principi della logica
occidentale3, altri invece vi hanno colto le premesse dell'ontologia4.

Dire, ascoltare
La continuit con B1 segnata proprio dalla modalit direttiva
della comunicazione, in cui esortazione e insegnamento marcano
lo scarto tra il ruolo della Dea ( , io dir) e la ricezione
(lascolto attento) del poeta ( , e tu abbi cura
1

Ricordiamo che, nella cesura di B8.50-1, la Dea si riferisce a quel che precede
come ; B2.4 sembra riferirsi alla
stessa materia con l'espressione .
2
Coxon, op. cit., p. 173: la sequenza proposta , nella numerazione DK (diversa
da quella ricostruita dallautore), B2, B3, B6, B4, B7.
3
Per esempio Heitsch in Parmenides, Die Fragmente, griechisch-deutsch,
herausgegeben, bersetzt und erlatert von Ernst Heitsch, Sammlung
Tusculum, Artemis & Winkler, Zrich 19953.
4
Per esempio Leszl, op. cit., p. 85.

300

della parola), destinata, a sua volta, a trasformarsi, attraverso il


canto, nella mediazione della verit a un discepolo: il (tu)
impiegato dalla divinit rivolto tanto da questa al poeta, quanto
da questi al proprio ascoltatore. La Dea sottolinea: ti dir e tu ascolta e riferisci. Al poeta, giunto alla meta del viaggio (infero),
non sono riservate privilegiate visioni o rivelazioni immediate; lo
attendono, invece, parole, di cui si raccomanda l'ascolto5. La sua
ricerca della Verit dovr dunque muovere da esse: parole con cui
la Dea non nomina se stessa, non descrive se stessa o la casa in
cui risiede, non designa neppure puntualmente un soggetto 6. Un
solo impegno stato assunto e quindi fa da sfondo alla sua parola:
necessario che tutto tu apprenda ( ).
Come sar sottolineato in altro luogo (B7.5), lespressione
(e tu abbi cura della parola una
volta ascoltata) certamente sollecita attenzione per la verit del
messaggio (), ma implica anche nella ricezione\cura - la
sua valutazione e trasmissione. Sintomatica nel contesto la scelta
del termine , la parola divinamente ispirata del poeta, la
parola che veicola, attraverso il poeta, il canto delle Muse, e dunque sancisce, a un tempo, il vincolo di dipendenza del mortale
dallimmortale, ma anche leccezionale rilievo del poeta, la sua
peculiare posizione sociale, la sua 7.
5

L. Atwood Wilkinson, Parmenides and To Eon cit., pp. 89-90.


Ivi, p. 79.
7
Su questo punto in particolare la Wilkinson (pp. 40 ss.), che richiama
Senofane, DK 21 B2.11-14:
6


.
,

Migliore infatti della forza
di uomini e cavalli la nostra sapienza.
Ma si valuta questo in modo veramente dissennato: e invece
non giusto
preferire la forza alla buona sapienza.
Lo stesso Senofane aveva cos introdotto la propria sapienza:

301

Io, tu
La polarit comunicativa - introduce anche la dialettica
del testo parmenideo: essa, in effetti, sottolinea lurgenza di illustrare la forza persuasiva del messaggio al destinatario (B2.4:
- : di Persuasione il
percorso - a Verit infatti si accompagna) e dunque la dimensione argomentativa (che si impone soprattutto in B8). A dispetto del
tono e della situazione solenni, progressivamente sul piano della
(co)stringente discussione () che si sviluppa la rivelazione
della Dea, quasi assumendo il tu come muto interlocutore, di
cui B8 sembrerebbe confutare il punto di vista ordinario. In questa prospettiva, la dialettica comunicativa esprime lintenzione
educativa anche nella forma di una lezione sulluso degli strumenti razionali.
B2 proporrebbe allora, in modo originale, le premesse di base
della successiva trattazione: Mansfeld, in particolare, ha sostenuto
che il ruolo condizionante della divinit e della sua rivelazione si
manifesterebbe nei due passaggi introdotti dalle forme verbali in
prima persona8, negli asserti imposti dallautorit di (io):
[]
Ors, io dir (B2.1a)



bisogna che in primo luogo celebrino il dio uomini assennati,
con racconti adeguati e puri discorsi (B1.13-14);
e:
,

da lodare, poi, tra gli uomini, colui che, bevendo, pronuncia
belle parole,
conformemente a memoria e aspirazione alla virt (B1.20-1).
8
Op. cit., pp. 61-2.

302


Proprio questa ti dichiaro (B2.6a).

Il primo momento coinciderebbe con lenunciazione (B2.2)


delle uniche vie di ricerca per pensare (solo A e B sono per
pensare, A e B sono immediatamente incompatibili), in questi
termini (letterali):

luna che e che non [possibile] non essere (B2.3)
[]

laltra che non e che necessario non essere (B2.5).

Il secondo con lasserzione dell'impercorribilit della seconda


via:

Proprio questa ti dichiaro essere sentiero del tutto
privo di informazioni (B2.6).

Che (i) e non rappresentino alternative incompatibili e


che (ii) non sia effettivamente disponibile per un'autentica ricerca, costituirebbero le matrici (garantite dall'iniziativa divina) della successiva discussione, come evidenziato dall'invito
allascolto 9 : il poeta paleserebbe in questo modo sia il proprio
proposito argomentativo sia la consapevolezza del suo articolarsi.
Anche non condividendo la tesi di Mansfeld, appare comunque
indiscutibile lintenzione di Parmenide di sfruttare la presenza
della Dea per muovere da una verit fondamentale. Altri, invece,
riconoscendo luso didascalico del mito, vi hanno colto la rivendicazione di una verit indiscutibile (che non mera opinione
umana) 10 , ovvero lespressione della matura consapevolezza
delloggetto e dei mezzi propri della filosofia11: non sarebbe stato
9

Ivi, p. 86.
Conche, op. cit., pp. 79-80.
11
La tesi secondo cui Parmenide sarebbe il primo filosofo ad argomentare, a
dare ragioni a supporto della propria posizione, a elaborare consapevolmente
10

303

pi sufficiente enunciare la verit; era necessario assicurarla con


la costrizione del logos.
Forse, pi semplicemente, per il sapiente-poeta, che componeva all'interno di una cultura in cui, in un modo o nell'altro, ogni
sapere era radicato nella sfera della comunicazione divina 12, era
scontato rispettare la convenzione e fondare le premesse dei propri argomenti sulla parola della Dea.

Uniche vie di ricerca per pensare


All'esortazione di apertura che lio della Dea rivolge al tu
del poeta (v. 1), invitandolo ad aver cura di () ovvero
prender nota, meditare e trasmettere quanto ella sta per rivelare, fa immediatamente seguito (v. 2), sintatticamente retto
dallimpegnativa espressione omerica (dir, proclamer),
la prima indicazione concreta sul contenuto della rivelazione:

che abbiamo reso come:


quali sono le uniche vie di ricerca per pensare.

Il verso presenta alcune difficolt, non indifferenti per l'interpretazione relativa e complessiva. Quale valore riconoscere a
? Quale a ? Come rendere ? Come ?
La Dea, riferendosi a , ritorna (dopo averlo gi
fatto in B1.2, B1.5 e soprattutto B1.26-7) sul tema della via, impiegando un'espressione di nuovo conio, che rientra tuttavia a
pieno titolo nel motivo omerico del viaggio 13. Il termine parmeniil proprio ragionamento con metodo, di Cordero (By Being, It Is, cit., p.
38).
12
Su questo aspetto della cultura greca, interessante la messa a fuoco di L.
Brisson, "Mito e sapere", in Il sapere greco. Dizionario critico, a cura di J.
Brunschwig e G.E.R. Lloyd, vol. I, Einaudi, Torino 2005, pp. 49-62.
13
Mourelatos, op. cit., p. 67.

304

deo infatti di derivazione epica, essendo utilizzato in Omero per ricercare persone o animali perduti ovvero
nel senso lato di concepire: esso implica desiderio del e interesse nelloggetto ricercato (la cui esistenza quindi non sarebbe in
discussione). La formula alluderebbe allora a un investigare impegnato a raccogliere informazioni che conducano
alloggetto desiderato.
significativo che il contemporaneo Eraclito usi nel
senso di ricercare in profondit:


Quelli che cercano oro rivoltano molta terra, ma
trovano poco [oro] (DK 22 B22),

marcando la propria direzione dindagine verso quanto nascosto e inaccessibile ai pi: la ricerca della , in contrapposizione alla di poeti e sapienti tradizionali. Eraclito, tuttavia, sottopone il verbo a unulteriore, originale, torsione:

ho indagato me stesso (DK 22 B101),

che Mourelatos14 legge in relazione a:


,

i limiti dellanima non potrai mai trovarli, sebbene tu ti
spinga per tutte le strade: tanto profondo il suo logos
(DK 22 B45).

Luso arcaico di sottolinea, insomma, il fatto che si ricerca intorno a qualcosa che non manifesto o accessibile fin
dallinizio. In questo senso il nesso stabilito nei versi 3-4 tra la
prima e :
14

Mourelatos, op. cit., p. 68.

305

-
di Persuasione il percorso - a Verit infatti si
accompagna.

necessario un percorso di ricerca per appalesare quanto


immediatamente nascosto: la via conduce alla scoperta della realt, e in questo senso alla verit. La verit richiede dunque una
specifica ricerca: solo seguendo una pista (termini come ,
, sono ricorrenti nei primi due frammenti) non
casuale possibile cogliere ci che genuinamente reale. Parmenide sceglie di ricorrere all'espressione vie di ricerca proprio
per dare risalto al fatto che esse hanno come obiettivo essenziale
la realt (verit)15.
La Dea proclama dunque solennemente:

(letteralmente: quali vie uniche di ricerca sono per
pensare).

La costruzione greca ha autorizzato sia (i) la lettura che insiste


sulla concepibilit delle vie ( in senso potenziale, da
rendere come: sono possibili da pensare, possono essere pensate, sono pensabili/concepibili), sia (ii) quella che, come pare
corretto nel contesto, facendo leva (a) sul valore finaleconsecutivo dellinfinito, (b) sul suo nesso con , e (c) sulla
successiva determinazione delle con formule introdotte da
e , esprime il lato attivo del pensare (dunque: quali sono
le uniche vie per pensare), introducendo due modi di pensare
(pensare che...). Qualcuno 16 ha ipotizzato che Parmenide intendesse evocare entrambi i valori, intenzionalmente giocando
sullambiguit (in analogia con le modalit di comunicazione del
contemporaneo Eraclito): una chiave interpretativa che potrebbe
applicarsi ad altri passaggi del testo.

15
16

Leszl, op. cit., p. 124.


Robbiano, op. cit., pp. 81-2.

306

Ma il testo pone anche il problema della resa di : generico pensare, o, secondo luso arcaico, apprendere, conoscere17? La traduzione in questo caso impone un'opzione interpretativa: pensare rischia di risultare troppo indefinito rispetto all'unicit conclamata delle vie, consentendo, per esempio, di ammettere, oltre alle razionalmente legittime, anche le vie
dellirrazionale (illuminazioni, rivelazioni, ispirazioni ecc.), illegittime agli occhi della ragione18, come in effetti alcuni frammenti
del poema (soprattutto B6 e B7) sembrano suggerire.
Daltra parte, si potrebbe obiettare che, rendendo in senso forte
con apprendere\conoscere, come pur giustificato dalla
conclusione del proemio19, risulterebbe poi problematica la comprensione della via introdotta in B2.5 (letteralmente):

che non e che necessario non essere.

Di essa, in effetti, la Dea si affretta subito a osservare:



-
Proprio questa di dichiaro essere sentiero del tutto
privo di informazioni:
poich non potresti conoscere ci che non (non
infatti cosa fattibile),
n potresti indicarlo (B2.6-8);

sottolineatura ripresa e accentuata ancora in B8.17-8:


-

17

Mourelatos, op. cit., p. 70. Tra gli editori contemporanei, anche Heitsch opta
per erkennen. Per una discussione aggiornata si veda ora Palmer, op. cit., pp.
69 ss..
18
Come nel caso di Conche, op. cit., p. 77.
19
Ch.H. Kahn, The Thesis of Parmenides, in Id., Essays on Being, O.U.P, Oxford 2009, pp. 146-147.

307

impensabile [e] inesprimibile (poich non


una via genuina).

Eppure proprio questa difficolt a risultare illuminante rispetto alla natura e alla funzione delle uniche vie di ricerca per
pensare ( ): solo la nozione di
come pensare del tutto intellettuale, capace di prescindere dalle
sembianze sensibili e afferrare ci che realmente dato, appare in
grado di giustificare l'alternativa ( ... ...) prospettata nei
versi B2.3 e B2.5. Intendendo come un pensare generico,
si pu ridurre il paradosso di una via di ricerca per pensare
connotata come sentiero del tutto privo di informazioni
( ) e, addirittura, come impensabile e inesprimibile ( ), ricorrendo alla distinzione tra la
sua prospettazione a priori e l'effettiva (a posteriori) sua praticabilit. Crediamo, tuttavia, che sia solo la comprensione di
secondo la prospettiva omerica (improntata all'analogia con il vedere) di una relazione percettiva immediata con l'oggetto 20, a dare
senso alla disgiunzione -non : essa allora esprimer, per
quella funzione ricettiva, l'alternativa radicale tra necessit di rivolgersi a una realt che , e impossibilit di afferrare ci che non
.
La Dea annuncia nel contesto quali siano le uniche vie di ricerca per pensare: tre sono gli elementi da considerare: (i) la ricerca (), (ii) i percorsi lungo per cui essa si sviluppa, (iii)
la finalit che essa intende realizzare, designata dall'infinito aoristo : pensare, svelare la realt (verit), ovvero, come
suggerisce Palmer21, comprendere, giungere a comprensione.
Il contesto di B2 suggerisce palesemente anche l'obiettivo conclusivo delle ricerca, che traduce in risultato la finalit dell'unico effettivo percorso di ricerca: come abbiamo gi osservato, della
prima via di ricerca ( ) la Dea
sottolinea che (a) percorso di Persuasione ( ),

20
21

Germani, op. cit., p. 189.


Op. cit., pp. 72-3.

308

in quanto (b) attende alla Verit ( ). L'apertura di


B6 preciser (letteralmente):

necessario il dire e il pensare che ci che ,

fissando quindi in quanto espresso da l'oggetto specifico di


comprensione.
D'altra parte, le vie annunciate sono uniche ( ) in
forza di ci che esse si propongono di pensare: in B8.16 sinteticamente proposto come ( o non ), esso in
B2 rinforzato da due formule modali:

luna che e che non [possibile] non essere (B2.3)
[]

laltra che non e che necessario non essere (B2.5).

Lungo la prima via (per pensare), la ricerca si sviluppa riflettendo a partire dall'immediata evidenza: ( ), rimanendo
saldamente sul terreno dell'essere (escludendo cio la possibilit del non-essere). La seconda modalit, invece, prospetta una
ricerca che si svolga a partire dalla negazione di quella evidenza:
non ( ), pretendendo di svilupparsi conseguentemente
sul terreno del non essere. Delineata come alternativa alla precedente, essa si rivela di fatto impercorribile, dal momento che il
pensiero non avrebbe alcunch da afferrarvi e manifestarvi:

-
Proprio questa ti dichiaro essere sentiero del tutto
privo di informazioni:
poich non potresti conoscere ci che non (non
infatti cosa fattibile),
n potresti indicarlo.

309

Per pensare
Prima di procedere alla determinazione delle vie, opportuno, tuttavia, in relazione al verso 2, soffermarsi ancora sulle implicazioni dellannuncio della Dea:
[...]
.

Comunque si valutino queste parole, evidente come in esse


Parmenide anticipi il senso di un messaggio (divino) che investe
indiscutibilmente la dimensione cognitiva del : si tratter di
riassumere, nella schematica astrazione di due forme (vie), le
modalit di fondo del ricercare, del portare a conoscenza 22, discriminandole rispetto all'ampia fenomenologia di tentativi e
sviamenti mortali (le ). Se si pu riconoscere alla
narrazione del proemio anche un'intenzione simbolica, ricordiamo
come la , accogliendo il , rilevasse (B1.27):
[...]
.

Il filo che lega lesordio della comunicazione della (B1.24


ss.) alla rivelazione di B2 costituito dal tema della : la Dea
dapprima (B1.27) con riferimento alla via che, grazie
allintervento di eccezionali coadiutrici, ha condotto al suo cospetto - segnala come essa sia lontana dalla pista degli uomini
( ); in B2 ella ne rievoca il tema nelle
, precisando in modo rigoroso i criteri per valutare la fondatezza di ogni punto di vista. In gioco esplicitamente (B1.29) la Verit: (i) nella sua essenza (
); (ii) nella sua manifestazione
22

Come ricordato in nota al testo, Kahn (Ch.H. Kahn, The Thesis of Parmenides, cit., p. 147) ha sostenuto che costituirebbe equivalente
poetico del termine ionico (ricerca scientifica).

310

allesperienza umana ( ); (iii) nella sua diffusa distorsione ( ). La realt da scoprire (Verit) rimane, in effetti, al centro anche di B2, come abbiamo in precedenza sottolineato a proposito della espressione e della sua derivazione
dallomerico , alimentando un possibile ulteriore paradosso. Secondo una corrente interpretazione dei primi versi del proemio, la Dea stata raggiunta a conclusione di un viaggio lungo
la strada ricca di canti ( ) che conduce
luomo che sa: ella rivela di non essere la fonte diretta da cui
attingere la Verit; suo compito solo quello di indicare il (nuovo) percorso per conseguirla 23. questo decentramento della verit dalla Dea che giustifica, per esempio, la lezione di Untersteiner, il quale fa coincidere la verit con la via stessa.
In ogni caso, nelleconomia complessiva del testo, il riferimento al del poeta e del lettore\ascoltatore essenziale
per coglierne lintenzione pedagogica. Il discorso si snoder a
partire dalla comprensione delle implicazioni di due enunciati divini, insistendo sulla centralit della relazione tra e :
tale comprensione risulter ugualmente vincolante per la Dea e
per i mortali (manifestando un decisivo, comune denominatore
razionale): (i) legittimando, da un lato, il taglio argomentativo di
alcuni dei frammenti della prima sezione (segnatamente B8, parzialmente B6) e l adottato dalla divina interlocutrice per
istruire il ; (ii) contribuendo dallaltro a determinare
loggetto intorno a cui verte il discorso, indicato dallo stesso Parmenide (nella formula pi astratta) come .

Le vie e i loro problemi: natura e


articolazione della ricerca
Le uniche vie di ricerca per pensare, come abbiamo visto,
sono proposte letteralmente come:

23

Ruggiu, op. cit., p. 211.

311


luna che e che non [possibile] non essere (B2.3)

laltra che non e che necessario non essere (B2.5)

ovvero, volendo risolvere le infinitive in una soggettive esplicite (come appare pi naturale):
luna che e che non possibile che non sia
laltra che non e che necessario che non sia.

La nostra preferenza per la resa infinitiva legata alla possibilit di rimanere pi aderenti alla costruzione greca e soprattutto di
sfruttarne gioco espressivo e ambiguit.
In apparenza, lalternativa ( ... ...) reitera pur senza
sovrapposizione, come vedremo - lo schema oppositivo gi impiegato dalla Dea nella propria allocuzione di saluto, quando aveva sottolineato al lesigenza di tutto apprendere:

,
sia di Verit ben rotonda il cuore fermo,
sia dei mortali le opinioni, in cui non vera credibilit
(B1.29-30).

L'una - laltra
Ammettendo la sostanziale continuit tra B1 e B2, le due opposizioni, cariche di significato in forza delle reciproche introduzioni (nel primo caso - B1.28 lurgenza di
; nel secondo linterrogativo implicito in
), appaiono evidentemente collegate,

312

anche se non (come vorrebbe qualcuno24) nel senso di una puntuale correlazione.
Nel caso di B2, lopposizione emerge non solo, sul piano espressivo, nella scelta della costruzione ( ... ), ma
soprattutto, sul piano logico, nella peculiare costruzione degli enunciati, che possiamo rispettivamente articolare nei due emistichi dei versi 3 e 5, quindi:
[] (B2.3a)
[] (B2.5a)
(B2.3b)
(B2.5b).

Letteralmente dovremmo tradurre, attribuendo (come prevalentemente si fa) a e il valore di congiunzioni (subordinanti) dichiarative (sottintendendo, dunque che dice ovvero
che pensa):
luna [che pensa] che 25 [] (B2.3a)
laltra [che pensa] che non [] (B2.5a),
e che non [possibile] non essere (B2.3b)
e che necessario non essere (B2.5b).

L'alternativa pi credibile a questa costruzione dichiarativa


non pare tanto quella avverbiale discussa da Mourelatos 26:
luna come e come non sia non essere
laltra come non e come sia necessario non essere,

24

In modo coerente per esempio Cordero.


Il virgolettato vuol sottolineare il contenuto dichiarato.
26
Op. cit., pp. 49.51. Untersteiner rende in modo apparentemente analogo, ma in
realt con valore interrogativo: come una esista e che non possibile che
non esista (p. LXXXVI).
25

313

quanto quella proposta da Ferrari 27, almeno per quel che concerne la resa di e con secondo cui, che ben suggerisce
l'idea delle diverse prospettive di ricerca.
Il rilievo oppositivo delle vie pu essere rafforzato se come possibile e per certi versi naturale nel contesto B2.3b (
) reso con espressione modale; avremmo cos:
e che: non possibile non essere [ovvero: che non
sia] (B2.3b)
e che: necessario non essere [ovvero: che non sia]
(B2.5b).

In questo caso, sarebbe evidente come Parmenide abbia deliberatamente costruito le vie di ricerca facendo leva sulle opposizioni non e non [possibile] non essere - necessario non essere: la Dea per acclarare
- ricorre a due formule coordinate 28 : (i)
[pensare] che A e che B per la prima via; (ii) [pensare] che
non-A e che non-B per la seconda. In greco abbiamo: A = ;
non-A = ; B = ; non-B =
. Nello schema che cos si delinea, da un punto di vista logico non-B dovrebbe corrispondere alla negazione di non possibile non essere e dunque a possibile non essere, non a
necessario non essere. In questo senso, stato giustamente osservato (Kahn, Mourelatos, Lloyd, Leszl) che, alla luce della posteriore logica aristotelica, gli enunciati 2.3a e 2.5a sarebbero effettivamente contraddittori29, mentre gli enunciati 2.3b e 2.5b (costruiti sulla opposizione non possibile...- necessario...) solo contrari30, e che dunque la formulazione alternativa non sarebbe esaustiva. Eppure nell'insieme appare chiara (Aubenque,
27

Il migliore dei mondi impossibili, cit., pp. 135 ss..


Proposta da Cordero, By Being, It Is, cit., p. 43.
29
Ammettendo, ovviamente, l'identit di soggetto: uno necessariamente vero,
laltro necessariamente falso.
30
Non potrebbero essere, quindi, veri entrambi, ma potrebbero essere entrambi
falsi.
28

314

Heitsch) lintenzione di Parmenide di esprimersi attraverso alternative esclusive (quindi in termini di espressioni incompatibili)31.
In questo senso la nostra scelta di rendere il testo greco con subordinate implicite:
luna: e non possibile non essere
laltra: non ed necessario non essere,

quasi la Dea puntasse ad associare allimmediato rilievo dello


stato dessere () la forma infinitiva32 (essere), in altre parole ad anticipare, nel gioco verbale, i due oggetti al centro della disamina (B3, B4, B6, B7, B8): , , .
Una volta delineata la formulazione oppositiva delle vie
dindagine, due questioni delicate (da un punto di vista interpretativo complessivo) si impongono: a chi o che cosa si riferiscono
affermazione e negazione (quale il loro soggetto)? Quale valore
(esistenziale, copulativo, veritativo) attribuire al verbo essere?

- non
Il primo interrogativo ovviamente suscitato dall'assenza, in
greco, di un soggetto per - : dal momento che le
principali lingue moderne richiedono che esso sia in qualche modo esplicitato, la traduzione del testo ha sopportato svariati tentativi di completamento: dalla scelta dell'assoluta indeterminatezza33, a quella della forma impersonale34, dal ricorso a pronomi35

31
32

Si veda la discussione in Cordero, op. cit., p. 71.


Heitsch rende ancora pi esplicitamente questa situazione:
Der eine, (der da lautet) es ist, und Sein ist notwendig
Der andere, (der da lautet) es ist nicht, und Nicht-Sein ist
notwendig.

33

Tipicamente Calogero.
Frnkel.
35
Si tratta della soluzione pi frequente.
34

315

(it, es, on), sostantivi (lessere36, la via37, la Verit38, il mondo reale39, il corpo40), all'uso di intere formule sottintese - whatever can
be thought and talked about41 (come viene da alcuni tradotto il
primo emistichio di B6.1), whatever we inquire into 42.
Da un punto di vista filologico lipotesi di una lacuna relativa
al soggetto - azzardata per esempio da Cornford 43 e Loenen44, i
quali propongono rispettivamente (l'essere) e (qualcosa)
appare forzata: i codici conservati di Proclo e Simplicio, infatti,
presentano lo stesso identico testo 45 e loperazione sul verso risponde quindi a un'esigenza essenzialmente interpretativa. Parmenide, evidentemente, ha scelto di esprimere i suoi enunciati in
questo passaggio del poema senza un soggetto esplicito. Pu essere in questo senso provocatorio il suggerimento della Wilkinson,
la quale, in considerazione della naturale destinazione recitativa
del poema, considera lassenza di un soggetto definito per
come una modalit intenzionale per esaltarne, nella ripetizione, la
formula: la sua rarit nella poesia arcaica fa supporre che per
laudience di Parmenide il termine (soprattutto senza soggetto o
come soggetto esso stesso) fosse una novit46.
Daltra parte, lesame del frammento consente di individuare
un soggetto implicito: la stessa logica di costruzione delle vie
comporta, infatti, che, nel momento stesso in cui la Dea sottolinea:
36

Tipicamente Cornford.
Untesteiner.
38
Verdenius.
39
Casertano.
40
Burnet.
41
Russell, Owen.
42
Barnes.
43
F.M. Cornford, Plato and Parmenides, Routledge & Kegan Paul, London
1939.
44
J.H.M.M. Loenen, Parmenides, Melissus, Gorgias: A Reinterpretation of
Eleatic Philosophy, Van Gorcum, Assen 1959.
45
Come osserva Cordero (By Being, It is, cit., p. 37), curioso che le citazioni
di questi versi (in Proclo e Simplicio) siano posteriori al poema di un
millennio.
46
Wilkinson, op. cit., pp. 93 ss..
37

316

-
non potresti conoscere ci che non (non infatti cosa
fattibile),
n potresti indicarlo (B2.7-8),

conoscibilit ed esprimibilit negate a - debbano


essere riferite a un ancora implicito [] 47, come chiarito in
B6.1-2a (letteralmente):

,

necessario il dire e il pensare che ci che ; infatti
[possibile] essere,
[il] nulla, invece, non .

Se vero, come segnala Coxon48, che lomissione del pronome


indefinito (denotante la cosa in questione) come soggetto ampiamente diffusa nellepica e nel greco posteriore, nel contesto
dellattuale B2, in altre parole allesordio della comunicazione divina, tuttavia assai probabile che Parmenide rinunciasse intenzionalmente al soggetto (per altro non immediatamente desumibile e quindi difficile da sottintendere per lascoltatore), insistendo
piuttosto sullimpatto espressivo dellintreccio oppositivo (con relative formule modali), per (i) catturare progressivamente lattenzione dellascoltatore e (ii) coinvolgerne
limpegno intellettuale, lungo le due vie delineate,
nellenucleazione della verit. Saremmo, in questo senso, in presenza di unambiguit ricercata a scopo pedagogico.
Se, come per lo pi si conviene, lordinamento DK dei frammenti della prima parte del poema relativamente plausibile, allora, da B2 a B8, assisteremmo a una graduale manifestazione del
47

Questo rilievo in R. Mondolfo, Discussioni su un testo parmenideo (fr. 8.56), Rivista critica di storia della filosofia, 19 (1964), p. 311. Si veda
anche Coxon, op. cit., p. 177.
48
Op. cit., p. 175.

317

soggetto sottinteso 49 in B2.3: dalla pura affermazione si


passerebbe, in B6.1, a un soggetto () sotto forma di participio
ricavato dallo stesso verbo , determinato poi, in B.8, come
vera e propria nozione ( ), con relative propriet50.
La scelta espressiva di Parmenide (rinunciare a un esplicito
soggetto per - ) che imbarazza il traduttore moderno, spesso costretto a ricorrere al pronome neutro come mero
soggetto grammaticale51 - ha leffetto di porre in risalto nei versi
(per il lettore), ovvero nella recitazione (per lascoltatore)
lassolutezza di ( )52, una ricorrenza insistente nel
poema53. L'impertinenza linguistica di Parmenide 54 si sarebbe
concentrata deliberatamente su una forma verbale esposta
allambiguit, per la rottura dello schema sintattico soggettopredicato verbale, e luso (di conseguenza incondizionato) della
terza persona singolare indicativa (). Con leffetto di richiamare lattenzione sullesperienza del reale55 implicita nel linguaggio ordinario: l'evidenza del puro fatto dessere56. Come verbo assoluto, senza vincoli grammaticali e logici (soggetto, predicato),
esprimerebbe immediatamente lo stato puro57 della realt,
49

Su questa proposta convengono alcuni recenti interpreti: Couloubaritsis,


Cassin, Aubenque, Ruggiu.
50
OBrien, op. cit., p. 164.
51
Che preannuncia il vero (reale) soggetto: Conche, op. cit., p. 79.
52
Grazie al supporto delle formule modali e
.
53
Su questo aspetto, in particolare, Wilkinson, op. cit., p. 94.
54
P. Thanassas, Parmenides, Cosmos, and Being. A Philosophical Interpretation, Marquette University Press, Milwaukee (Wisconsin USA) 2007, p. 35:
lenfasi sull sorgerebbe da una certa awareness of language, e sarebbe
in realt funzionale al rilievo delle implicazioni delluso pre-filosofico del
verbo essere.
55
R. Di Giuseppe, Le Voyage de Parmnide, cit., p. 89.
56
Convincente per questo aspetto la lettura di Cordero, By Being, It Is, cit., pp.
61 ss.. Va per altro osservato come Parmenide coniughi il rilievo
con la formula , che certamente lo rafforza: a partire
dalla sua assolutezza che si potr procedere all'estrazione (B6-B8) di un
soggetto (con lintroduzione di o ).
57
R. Di Giuseppe, Le Voyage de Parmnide, cit., p. 93.

318

presupposto in ogni affermazione 58. Per questo laggiunta di un


pronome indefinito (qualcosa, in greco) tradirebbe (attenuandola) la radicalit dellindicazione della Dea, che potrebbe piuttosto
essere intesa come veicolo delloriginario stupore per, della primitiva attenzione al fatto dessere. Nella lettura che proponiamo, infatti, allimmediata rilevanza dell la Dea farebbe seguire, con una sequenza verbale ad effetto 59, ,
cio lestrazione e laffermazione (attraverso la doppia negazione)
di .
Per quanto si valorizzino le implicazioni linguistiche (come
segnalato da Calogero, e da altri poi in vario modo ribadito60), il
contesto della dichiarazione della Dea rimane comunque quello
della determinazione di vie di ricerca per pensare, nel senso di
percorsi prospettati per giungere a comprensione della realt:
Parmenide intende dunque riferirsi in ultima analisi alla realt sottesa a quelle espressioni, delineata nella sua assolutezza (non
possibile non essere). Cos, quando afferma (letteralmente):

necessario il dire e il pensare che ci che (B6.1a),
emerge come espressione concettuale, consapevole sviluppo astratto, dellimmediato contenuto di , denotando, a un

tempo, la totalit degli enti (di ognuno dei quali si dice che ci
58

In questa prospettiva, forse ancora utile l'indicazione di Calogero, rilanciata


da Giannantoni (G. Giannantoni, "Le due 'vie' di Parmenide", La Parola del
Passato, cit., pp. 207-221), circa la scelta dell' in quanto puro elemento
logico e verbale dell'affermazione (G. Calogero, Studi sulleleatismo, La
Nuova Italia, Firenze 19772, pp. 20-2).
59
Leffetto musicale in greco della sequenza verbale in
non facilmente riproducibile in traduzione,
mantenendo il valore potenziale di .
60
Riflessione intorno alluso della copula (Thanassas, op. cit., p.32; Cerri, op.
cit., p. 60), alla sua funzione speculativa nel rivelare il predicato
essenziale di un soggetto (la copula funzionerebbe da conveyer verso la
realt della cosa: Mourelatos, op. cit., p. 59); riflessione sul fatto che, in
greco, il linguaggio quotidiano indica le cose come (Cordero, op. cit.,
p. 60.).

319

che , /), ma richiama anche la attenzione sullessere (,


) di quegli enti61.

[Pensare] che , [pensare] che non


La seconda questione suscitata dalla formulazione delle vie
di ricerca [] per pensare relativa al valore da attribuire al
verbo essere negli enunciati:

luna che e che non [possibile] non essere (B2.3)

laltra che non e che necessario non essere (B2.5).

L'insistenza sullincrocio oppositivo di e risalta sia


in lettura sia allascolto: \non-, non [possibile] nonessere- necessario non-essere. A partire da questo dato testuale aperta la discussione tra gli interpreti su come intendere le
espressioni verbali.
Nella conclusione dellesame precedente abbiamo posto in relazione laffermazione di B2.3 con il primo emistichio di B6.1:
.

All'interno del verso, essere (qui nella forma epica )


riferito a un esplicito soggetto, il participio , con un valore
che appare, naturalmente, esistenziale (predicato verbale: esiste). Ora, volgendoci 62 , senza forzature, a B8, possiamo ulteriormente rilevare due passi chiaramente significativi:

61

Thanassas, op. cit., p. 45. Interessante il rilievo secondo cui l di


Parmenide sarebbe in questo senso direttamente comparabile alla
espressione aristotelica .
62
Seguendo lesempio di OBrien, op. cit., pp. 170 ss..

320

[]
che senza nascita ci che e senza morte (B8.3),

per questo non incompiuto lessere lecito che sia
(B8.32).

In questi casi si individua ancora esplicitamente il soggetto nel


participio (B8.3) e nel participio sostantivato 63 (B8.32),
mentre e sono impiegati con valore copulativo 64. Pi
complessa la situazione di B8.5-6:
, ,
,
n un tempo era n [un tempo] sar, poich ora tutto
insieme,
uno, continuo (B8.5-6),

dove soggetto sottinteso di cui sopra (B8.3), e ha


un duplice ruolo: a un tempo valore esistenziale (con lavverbio:
ora) e funzione copulativa 65.
Se poi guardiamo alla ricostruzione delle premesse
dellargomento della Dea (B8-15-18), dove Parmenide rievoca la
(decisione) intorno a o non , il senso dell in B2
si approfondisce:

, ,
-
- .
[] Il giudizio in proposito dipende da ci:
o non . Si dunque deciso, secondo necessit,

63

Che certamente comporta valore esistenziale.


In realt per B8.3 la situazione pi complicata, in quanto il testo greco
potrebbe rendersi diversamente: essendo, ingenerato e indistruttibile;
essendo ingenerato, lessere anche indistruttibile.
65
OBrien, op. cit., p. 177.
64

321

di lasciare luna [via] impensabile [e] inesprimibile


(poich non
via genuina), e che laltra invece esista e sia reale
(B8.15-18).

La via () che pensa che non- [e che necessario non essere] abbandonata, in quanto impensabile [e] inesprimibile,
perch non genuina ( ). In B2.6-7 si parla di sentiero
del tutto privo di informazioni: conoscere ci che non ovvero indicarlo non in effetti cosa fattibile. Laltra si invece
deciso () sia\esista () e sia reale\genuina\vera ( ). Se in B2, nelleconomia della
lezione divina, essenziale soprattutto focalizzare lattenzione sul
valore decisivo della espressione verbale , preparando il terreno alla comprensione delle implicazioni nella formulazione delle vie, in B8, al contrario, riscontriamo gli effetti della sistematica applicazione alla prima via, con altrettanto sistematica esclusione della seconda.
La prima via per pensare (comprendere) afferma ; la seconda lo nega ( ). La prima via completa e assolutizza
laffermazione con la negazione del non-essere (
), ovvero della possibilit del non-essere. La seconda via assolutizza la negazione affermando la necessit del non-essere (
). Con la prima via, attraverso lesplicito (e incondizionato) rilievo di e dellimpossibilit di , viene implicitamente imposto loggetto pienamente positivo della
ricerca (, ); con la seconda, che nega quanto la prima afferma, viene, di conseguenza, delineato loggetto alternativo, radicalmente negativo, indicato come , dichiarato al v. 7
come oggetto indisponibile alla conoscenza o alla manifestazione.
In B6.1-2a:

,

322

necessario il dire e il pensare che ci che : poich


possibile essere,
il nulla, invece, non .

con la piena esplicitazione del contenuto delle due vie, avr


poi inizio la disamina critica.
Se questa prospettiva corretta, allora in B2 le formule della
pura affermazione () e della pura negazione ( ) - sostenute dalle relative formule modali, possono generare, in quanto
vie di ricerca (le sole per pensare), due soggetti diversi e due
espressioni tautologiche, su cui appunto Parmenide fa leva in B6.
La necessit di dire e pensare che ci che (il participio
) , esiste fonda la propria legittimit sulla duplice premessa:
(i) che essere () possibile ();
(ii) che il nulla () non ( ).
Il comune errore dellopinare umano si accompagna proprio al
fraintendimento della portata di queste tautologie, nella contraddizione generata dallaffermazione incrociata (ancorch solo implicita) di essere e non-essere.
Alla luce di questa considerazione ribadendo quanto sopra a
proposito della deliberata opzione parmenidea per forme verbali
( - ), nel contesto immediatamente impersonali
(senza soggetto e predicato) e dal valore (esistenziale, copultativo,
veritativo) ambiguo appare insostenibile il tentativo di attribuire
come soggetto comune sottinteso (in B2.3 e B2.5). Dalle
due formule saranno ricavati due soggetti distinti: uno reale (
, appunto, lessere), laltro fittizio, pura espressione verbale
e funzione logica ( , il non-essere, il nulla),
segnavia di una pista che la ragione riconosce subito impraticabile. In questo senso possiamo parlare di due vie: (i) una manifesta la realt () di ci che (necessariamente); (ii) l'altra spinge a riconoscere (come evidenzia l'intervento della Dea)
l'indisponibilit effettiva di ci che non (necessariamente),
che pertanto andr sistematicamente escluso dall'orizzonte
dell'umano indagare.
323

Non pare che alla seconda delle vie di ricerca si debba attribuire la contraddizione che, invece, viene denunciata nelle opinioni
dei mortali: condivisibile su questo punto quanto sottolineato da
Mansfeld 66 . Lidentificazione della seconda via con quella del
mondo dellesperienza errata: ricordiamo come la seconda via
ancora connotata in B8.17-18:
-
- .
[Si deciso] di lasciare luna [via] impensabile [e]
inesprimibile (poich non
via genuina).

Della via non non si pu concepire un contenuto reale: essa allora , ma anche (letteralmente senza
nome: non si pu indicare ci che non in senso assoluto). Ma
sono proprio i nomi a caratterizzare il mondo fenomenico, come sottolinea la stessa divinit (B8.38b.41):
,
,
, ,

Per esso tutte le cose saranno nome,
quante i mortali stabilirono, convinti che fossero reali:
nascere e morire, essere e non essere,
cambiare luogo e mutare luminoso colore.

A rimanere senza nome definitivamente ci che (necessariamente) nulla, quanto appunto espresso nella formulazione
della seconda via, e designato come .
Le due enunciazioni divine (affermativa e negativa) in quanto vie di ricerca, le uniche per pensare - devono essere reciprocamente alternative ma in s incontraddittorie, e tracciare i percorsi (, ) per i quali: (i) generare le nozioni di
essere e non-essere; (ii) valutare, in relazione al coerente ri66

Op. cit., p. 55.

324

spetto dellalternativa concettuale prodottasi, la consistenza dei


punti di vista umani.
Daltra parte, il motivo dellintransitabilit della seconda via
non il suo carattere contraddittorio - come accade appunto nel caso della presunta via (B6.5-9) che i mortali che nulla sanno
( , uomini a due teste - ), si fingono
-, ma il fatto che (B2.6-8) non potresti conoscere ci che non ,
n potresti indicarlo, in quanto cosa non fattibile. Prospettata
(con la negazione ) come alternativa a , la via che
pensa che non e che necessario non essere percorso
() assolutamente privo di contenuti, e quindi indicato
come . Lunica via, per la piena consistenza dei suoi contenuti, effettivamente accessibile e percorribile per pensare
(cio per afferrare la realt) , di conseguenza, la prima, il cui
soggetto sar esplicitato come (B6.1) ovvero (B8.32),
ma gi implicitamente individuabile, nella forma oppositiva di
B2, come formula contraddittoria rispetto a .
Si detto67 che lunico modo per rispettare il valore oppositivo
delle vie che la Dea propone di mantenere lo stesso soggetto per
entrambe: abbiamo, per, ipotizzato che la linea di pensiero di
Parmenide sia stata in realt unaltra, che in B2 si lascia intravedere.
Attraverso l'asseverazione della tesi ( ), pura espressione dellimmediata esperienza della realt, coniugata con
la contestuale negazione modale dellantitesi (non possibile
non essere, ), la divinit pone le premesse per
l'estrazione della nozione positiva di , che indicher ovviamente ci che in senso pieno e necessario, il soggetto ontologico di cui si manifesteranno le propriet in B8: la prima via in
questa prospettiva percorso di Persuasione ( ).
Nei versi 5-8, invece, dallaltrettanto pura negazione (
) di quelloriginaria esperienza, coniugata con la relativa
formula modale ( necessario non essere,
), ella ricava la nozione di , marcandone subito l'in67

Cordero (pp. 44-5), Ruggiu (p. 221).

325

disponibilit facendo leva su unulteriore, immediata evidenza:


non cosa fattibile () conoscere e indicare il nonessere ( ).

Il percorso di Persuasione
La rivelazione divina delle vie di ricerca accompagnata da
due rilievi.
Relativamente alla via che e che non possibile non essere, la Dea osserva che:
- di Persuasione il percorso (a Verit infatti si
accompagna) (B2.4),

marcando, dunque, con un genitivo a un tempo oggettivo e


soggettivo, come il viaggio per tale via conduca a scoprire la realt (): essa appare, allora, come un'istruzione (affermazione d'essere e sistematica esclusione del non-essere) da seguire
nell'indagine. Nella stessa prospettiva, le formule modali di B2.3
e B2.5 possono essere intese come ammonimenti divini, affinch
siano evitati gli sviamenti tipici dei mortali che nulla sanno: il
percorso () lungo la anticipa effettivamente lidea
della che Platone introduce68, prospettando poi la filosofia
(dialettica) come viaggio 69.
68

In Fedone 79e:
, , , ,
, ,

Mi sembra disse - che chiunque, Socrate, anche il pi
tardo, muovendo da questa via [ ], debba
convenire che l'anima , in tutto e per tutto, pi simile a ci che
sempre che a ci che non lo .

69

Coxon, op. cit., p. 174. Il passo di Repubblica (532b) il seguente:

326

Linsistenza sul processo (la via, il percorso) importante perch sottolinea come la Dea prospetti, nellimmediato, essenzialmente la direzione di una ricerca, aperta al coinvolgimento razionale del . In questo senso, la dimensione della (progressiva)
scoperta della realt autentica (Verit), che culminer in B8, se da
un lato conferma lassociazione (heideggeriana) tra e disvelamento (non-nascondimento), dallaltro accentua gli aspetti di
attivo condizionamento del ricercare, donde il rilievo della cognizione critica (B7.5: giudica con il ragionamento,
) e il ruolo riconosciuto (B3, B4) a e .
La realt (Verit) obiettivo del percorso di Persuasione (che
a Verit, osserva la Dea, si accompagna, ovvero tien dietro,
), proposto come oggetto di apprendimento, conoscenza e
discorso70: il percorso sar genuino, vero, nella misura in cui svela
la realt. Che essa (Verit) si manifesti (a colui che ricerca con
intelligenza) lungo la via (che pensa o afferma) che e che non
[possibile] non essere ulteriormente marcato come abbiamo
pi volte rilevato dall'indicazione con cui la Dea stigmatizza
l'alternativa, seconda via (B2.6-8):

; ;
Ebbene, non proprio questo itinerario che chiami
dialettica?
Poche righe sotto (532 d-e), Glaucone invita Socrate a determinare la natura
della dialettica:
,
,
, , ,

Devi dirci allora quale sia il modo della facolt della
dialettica, quali siano le specie in cui divisa, e quali le vie;
queste infatti, come pare, sono le vie che potranno condurre l
dove, pervenuti, potr esservi riposo dal cammino e fine del
viaggio.
70

Mourelatos, op. cit., p. 66.

327


-
Proprio questa ti dichiaro essere sentiero del tutto
privo di informazioni:
poich non potresti conoscere ci che non (non
infatti cosa fattibile),
n potresti indicarlo.

Si tratta di un rilievo decisivo: la divinit mette in gioco l'autorevolezza del proprio io ( , ti dichiaro) per rivelare,
della via che non e che necessario non essere, che essa un
sentiero (, tracciato secondario) per cui non si accede
alla realt, lungo il quale non si pu fare esperienza o imparare
raccogliendo informazioni.

Ci-che-non-
in questo contesto che la Dea introduce la formula
(participio sostantivato). Nella cornice di un processo di indagine
che evoca il tradizionale motivo omerico del viaggio 71, la precisazione netta: il ricercatore che pretendesse lasciarsi guidare
dall'assunto non ed necessario non essere, non potrebbe
propriamente incontrare, n indicare () qualcosa. Pensare che non e che necessario non essere non porta da nessuna
parte: nemmeno la guida divina pu tracciare concretamente tale
via, portando a casa un risultato conoscitivo:
-
poich non potresti conoscere ci che non - non
infatti cosa fattibile (B2.7).

Possiamo allora, per contrasto, confermare che, lungo la via


imboccata seguendo l'assunto e non [possibile] non essere,
71

Mourelatos, op. cit., p. 76.

328

ci si muove verso ci-che- (verso la realt-Verit), e che tale


percorso pu essere compiuto (cio fattibile - a differenza dell'altro): la guida divina, in effetti, potr fornire i segni
o i criteri della via72.
Dal momento che come rivela la dea senza nome - non in
assoluto possibile (cosa fattibile) conoscere, ovvero determinare ci che (necessariamente) non , solo la prima via, che pensa
e afferma che e che non possibile non essere, che muove
dalla evidenza , in grado di manifestare la verit, di estrarre
dall indicazioni positive e ultimative riguardo alla realt
(donde il successivo impiego delle nozioni equivalenti di e
). I dati fondamentali su cui il invitato a riflettere sono dunque:
(i) l'esclusivit delle vie di ricerca per pensare [comprendere] (in questo senso esse sono appunto designate come
: l'infinito per pensare ne specifica la natura);
(ii) la loro reciproca incompatibilit (sottolineata dal ricorso
combinato alla negazione e alle formule modali - su cui ancora tra
breve);
(iii) limpercorribilit della seconda via: non possibile conoscere o indicare ci che non ;
(iv) la loro (conseguente) natura ontologica, ovvero, propriamente, il loro annunciare opposti modi d'essere: la modalit
dell'essere necessario e quella del necessario non-essere73.
B2 attesta un ricorso precoce al surrogato per nonessere, probabilmente dandone per scontata limmediata evidenza per il lettore\ascoltatore. Nella contrapposizione delle vie, ci
induce ad anticipare le formule opposte ( e ). In questo
senso, largomentazione di Parmenide appare sollecitata dalla
preoccupazione di istituire e fondare la contrapposizione tra
(essere) e (non-essere)74, marcando (a) la loro reciproca incompatibilit, (b) lintransitabilit del non-essere, cos da
72

Ivi., p. 78.
Su questo punto oggi da valutare quanto scrive Palmer, op. cit., pp. 83 ss..
74
Leszl, op. cit., p. 105.
73

329

concludere (letteralmente) nella onto-logia. Ci comporta riconoscere, con Cordero75, che l'assolutizzazione del concetto di essere ottenuta da Parmenide attraverso la negazione della contraddittoria nozione di non-essere. Il focus ontologico del poema (sinteticamente ribadito con formula ,
: [possibile] infatti essere, il nulla invece non )
cos proposto contestualmente allunico, fondamentale rilievo sul
non-essere: non [possibile] non essere.

Due formule: non possibile non essere,


necessario non essere
Torniamo allora ancora una volta alla formulazione delle due
vie per concentrarci sulla loro struttura formale:

luna: e non [possibile] non essere (B2.3)

laltra: non ed necessario non essere(B2.5).

La presentazione di ognuna consiste (nella nostra traduzione)


in un verbo semplice (enunciato non modale), in forma impersonale, coniugato con un enunciato modale: , non possibile
non essere; non , necessario non essere 76.
Ogni verso articolato in due coppie di emistichi corrispondenti, (a) e (b); la prima coppia (a):

luna [che pensa] che ,

laltra [che pensa] che non ;

75
76

Op. cit., pp. 64-5.


OBrien, op. cit., p. 182.

330

la seconda coppia (b):



e che non [possibile] non essere [ovvero: che non
possibile non sia],

e che necessario non essere [ovvero: che necessario
che non sia].

La formula della prima coppia (primo emistichio) propone


l'opposizione tra affermazione e negazione: la traduzione, supponendo la dipendenza di e da (le uniche per pensare: luna che pensa che , laltra che pensa che) ovvero (come spesso si fatto) da verba dicendi (luna che dice che,
laltra che dice che), non presenta particolari problemi di resa
a parte quelli (essenziali) gi ricordati, relativi al soggetto inespresso e al valore da attribuire al verbo essere.
Nel caso della seconda coppia (secondo emistichio) si impongono invece difficolt nella resa dal greco. Il greco pu
essere predicato verbale (non esiste, non c), ovvero, come
pu apparire naturale alla luce del corrispondente uso dell'espressione ( necessario) in B2.5b, e della (comune) relazione con lo stesso infinito ( ), pu tradursi con epressione
modale (non possibile). Se, in questo caso, seguendo Aubenque77, interpretiamo la formula modale come sinonima di
(impossibile), traspare allora lintenzione parmenidea di
proporre lalternativa in termini netti: nellenunciare la tesi della
prima via (laffermazione ), Parmenide marca, indirettamente,
la sua necessit sottolineando limpossibilit della antitesi (la negazione non ). Quanto affermato nella tesi non pu essere negato, non pu rovesciarsi nella antitesi: nella argomentazione della Dea, laffermazione collegata strettamente alla posizione della necessit logica e della impossibilit logica78. Resa italiana in
77

P. Aubenque, "Syntaxe et Smantique de ltre dans le Pome de Parmnide",


in tudes sur Parmnide, cit., vol. II, p. 109.
78
Ruggiu, op. cit., p. 218.

331

questo senso pi efficace potrebbe essere: e non possibile che


non sia.
A sua volta la formula della seconda via, (non ),
vede accentuata la propria forza di negazione da unespressione che ribadisce lintensit della antitesi ( necessario che non sia). L'enunciazione delle vie evidenzia, quindi,
per un verso, la loro assolutezza, per altro la loro reciproca incompatibilit. Non si deve tuttavia perdere di vista il fatto che la
Dea, nel mettere in guardia il rispetto alla seconda via, si
riferisca a essa con l'espressione , stigmatizzando
limpossibilit di afferrarne e determinarne la negativit (
, non infatti cosa fattibile, in cui spicca come nel
termine epico - la strutturale impotenza)79. Le vie non
hanno, quindi, una mera consistenza logica, ma finiscono per enucleare due distinte nozioni ontologiche.

79

Ivi., p. 220.

332

PENSARE ED ESSERE [B3]


Il frammento ( proprio il caso di usare il termine) ha assunto
nel corso dei secoli il valore di sintetica espressione dellessenza
della filosofia di Parmenide1: esito paradossale dellelaborazione
della tradizione, dal momento che, oggettivamente, esistono difficolt per la sua contestualizzazione allinterno del poema, e dunque anche per la sua intellezione. A ci si aggiunga che, da parte
degli interpreti, sono talvolta considerati con sospetto contesto e
cotesto delle testimonianze di Clemente 2 e Plotino3, che citano il
verso parmenideo: anzi, soprattutto a causa della citazione delle
Enneadi, quella che appare la traduzione pi naturale stata spes1
2

Tarn, op. cit., p. 41.


Il contesto di Clemente riporta:
,
<
>
Aristofane ha detto: il pensare ha lo stesso potere
dell'agire, e prima di lui Parmenide: [B3].

Il contesto di Plotino (Enneadi V, I, 8) il seguente:



,

. -
, ,
,
,
Gi Parmenide aveva in precedenza aderito a una opinione
simile a questa, quando riconduceva a unit essere e pensiero, e
non poneva l'essere nell'ambito delle cose sensibili, affermando:
[B3]. E dice anche che immobile, dal momento che avendo
aggiunto il pensare gli toglie ogni movimento corporeo,
affinch rimanga nell'identico stato, definendolo simile alla
massa di una palla, in quanto raccoglie tutto in s e il pensare
non gli esterno ma interno.

333

so rifiutata, a favore di altre meno immediate e pi tormentate dal


punto di vista grammaticale, in quanto si intravisto il rischio di
fare di Parmenide un neoplatonico ante litteram4.

La collocazione
Nel tentativo di offrire contesto e senso al frammento si per
lo pi operato in due direzioni, che appaiono legittime:
(i) ricondurlo a complemento di B2.7-85 e quindi proporlo a
sostegno () dell'indicazione secondo cui il non-essere non pu
essere n indicato n conosciuto 6;
(ii) proiettarlo verso B6.1-2 e B8.34-37, come in particolare
oggi propone Cordero7, con argomenti convincenti.
B3 e B2

Nel primo caso si insiste soprattutto sulla compatibilit metrica e logica8 con lultimo verso di B2: i termini coinvolti e
sono chiaramente correlati nella prospettazione delle due
vie (le uniche per pensare), mentre in B2.7 Parmenide utilizza
lespressione per indicare loggetto su cui andrebbe a
vertere la seconda via: oggetto che non pu essere conosciuto e
indicato. B3, dunque, non farebbe che esplicitare il nesso identita-

OBrien, op. cit., p. 19. Daltra parte il senso della citazione di Proclo (Theol.
plat. I, 66) appare indiscutibile:
,

Come fanno pi o meno decisamente Giannantoni, Ruggiu, Coxon,


Sellmer, Heitsch, Gallop, e, in passato, Calogero. Scettici Tarn, Conche,
OBrien.
6
Ruggiu, op. cit., p. 233. Secondo Calogero (p. 19), B3 andrebbe congiunto a
B2.8, con laggiunta d : si avrebbe cos: perch
pensare lo stesso che dire che quello che tu pensi esiste.
7
E a suo tempo propose Giorgio Colli.
8
Coxon (p. 180); Sellmer (p. 33); Gallop (p. 8).

334

rio tra e : le relative nozioni si implicherebbero inscidibilmente9.


Questa conclusione non in discussione: essa appare effettivamente il perno della tesi di Parmenide anche in B6.1 e B8.3437, sebbene le traduzioni possano diversamente modulare la relazione tra i due termini. In discussione , invece, il fatto che
limpossibilit di afferrare il nulla (B2.7-8) abbia bisogno della
dimostrazione introdotta da (B3): non immediatamente
chiaro che nel nulla non c nulla da conoscere, concepire, pensare10? Daltra parte, limplicazione tra essere e pensare non sembra, a sua volta, aver bisogno della mediazione di un argomento:
stato giustamente osservato come, nelluso greco arcaico, il verbo
non veicolasse la possibilit di immaginare qualcosa di non
esistente, denotando fondamentalmente un atto di riconoscimento
immediato 11. Concepito in analogia con la percezione sensibile,
comportava nelluso che si pensasse appunto qualcosa di dato indipendentemente dall'attivit stessa del pensare, e che il rapporto con loggetto fosse del tutto immediato, una sorta di contatto con esso12.
possibile che la Dea, in B2.7, si limiti a rilevare come
non possa essere conosciuto, osservando semplicemente:
, non infatti cosa fattibile, quasi a richiamare
un'evidenza, per cui non necessario ulteriore argomento. A questo corrisponderebbe il rilievo di B3, secondo cui si identifica con : leggendo in continuit i due frammenti, non dovremmo riconoscere alla congiunzione un valore esplicativo,
piuttosto intenderne nel contesto la presenza a conferma della tesi
di fondo. Dovremmo inoltre, in traduzione, attribuire a non
il generico significato di pensare, ma, come suggerito da vari
interpreti, quello specifico di conoscere o comprendere (capire 13 , Erkennen 14 , Erfassen 15 o ancora, pi debolmente,
9

Heitsch, op. cit., p. 144.


Conche, op. cit., p. 87.
11
Guthrie, op. cit., pp. 17-8.
12
Leszl, op. cit., p. 67.
13
Cerri.
10

335

conceiving16). Luso arcaico di evoca effettivamente funzioni analoghe a quelle del verbo (normalmente tradotto
con conoscere), sebbene suggerisca in primo luogo il riconoscimento, la capacit di penetrazione intellettuale 17.
B3, B6.1 e B8.34-7

Anche Cordero ammette che in B2 si stabilisca una relazione


tra un oggetto (lessere), il pensare quelloggetto e lesprimerlo in
un discorso: i versi B2.7-8 mirerebbero a marcare il carattere assoluto e necessario di tale oggetto, essendo la sua negazione impossibile. Come conseguenza, pensare e parlare non possono fare
a meno di questo oggetto 18. Ma per lo studioso rilevante la connessione con B6.1, inteso a dimostrare la necessit di quella relazione:
(B6.1a)
necessario dire e pensare che essendo - 19;

e soprattutto B8.34-7, in cui Parmenide attribuirebbe al pensiero una sola causa20: il fatto d'essere:
.
o , [invece di ]
,
(B8.34-36a)
pensare e ci a causa del quale c il pensiero sono la
stessa cosa
dal momento che senza l'essere, grazie a 21 cui
espresso,
14

Heitsch.
Sellmer.
16
Coxon.
17
Leszl, op. cit., p. 68.
18
Cordero, By Being, It Is, cit., p. 83.
19
Usiamo, traducendo in italiano, la versione dello stesso Cordero.
20
Come si vedr, noi interpretiamo il passo in modo diverso.
21
Cordero utilizza la versione (invece di ), unanimente attestata nei
manoscritti di Proclo.
15

336

non troverai il pensare22.

Cordero osserva come nei due versi successivi si precisi che


senza l'essere ( ) [] non troverai il pensare, ci comportando che designi sinteticamente quanto introdotto come
(ci a causa del quale c il pensiero). Senza
, risulta privo di fondamento, poich (), come osserva Parmenide, c solo l'essere (B8.36-7)23:
< >

N, infatti, esiste, n esister
altro oltre allessere.

chiaro come (B8.34) equivalga a


(B3) e quindi plausibile che
(B8.34) articoli la formula pi secca (B3). In
forza di questo accostamento, difficile sostenere linterpretazione
idealistica che vorrebbe lessere dipendente dal pensiero: senza
l'essere ( ), il pensiero non esiste; ovvero, positivamente, esso esiste solo quando esprime qualcosa su ci che 24.
Da B2 a B3

Mantenendo aperte le due prospettive e dunque collocando B3


concettualmente tra B2, B6 e B8, il frammento andrebbe tematicamente inquadrato tra lesclusione della concreta possibilit di
riferirsi al nulla nel pensiero e nel discorso (quindi della via che
non ), la conseguente affermazione della via alternativa alla
precedente (che ), e lesplicitazione delle sue implicazioni per
il pensiero e il linguaggio. Lestrapolazione non consente di stabilire se B3 fosse effettivamente parte di un argomento ovvero, come sopra abbiamo prospettato, semplice precisazione a sostegno
della tesi di B2. Certamente in B8 limplicazione tra pensiero
22

Come per B6.1, traduciamo il testo di Cordero.


Cordero, By Being, It Is, cit., p. 85.
24
Ivi, pp. 88-9.
23

337

(, con il suo specifico valore conoscitivo) e essere inserita


in una cornice argomentativa.
Un elemento testuale deve far riflettere linterprete: Clemente,
Plotino e Proclo citano B3 senza collegarlo in alcun modo a B225.
In altre parole, le tre fonti del frammento vi leggono lasserzione
dellidentit di pensare (o conoscere) ed essere, indipendentemente dalla discussione sulle vie di ricerca 26. Plotino, in particolare,
mostra di intendere B3 chiaramente nellorizzonte di B8, insistendo sulla riduzione a unit di pensiero ed essere e sulla posizione dellessere al di fuori del campo sensibile (non poneva
lessere nellambito delle cose sensibili), e parafrasando in tal
senso proprio B8.
Le ricostruzioni peripatetiche (Teofrasto e Eudemo) del logos
di Parmenide (secondo Simplicio che riferisce in proposito la testimonianza di Alessandro di Afrodisia) fanno tuttavia intravedere
il nesso tra B2 e B3:

ci che oltre lessere, non ; ci che non , nulla;
dunque, lessere uno (Teofrasto; DK 28 A28)
,

ci che oltre lessere, non ; ma lessere si dice in un
solo senso, dunque lessere uno (Eudemo; DK 28 A28).

Nel citare i versi 3-8 di B2, Simplicio precisa che essi contengono le premesse () del discorso di Parmenide:

,
,
,

25
26

Un punto richiamato da Mansfeld, op. cit., p. 73.


Coxon, op. cit., p. 179.

338

Se invece qualcuno desidera ascoltare da Parmenide


stesso queste premesse, quella che dice che ci che oltre
lessere non ed nulla, che la stessa di quella che dice
che lessere si dice in un modo solo, le trover in questi
versi [B2.3-8].

Significativamente Diels annota che B3 si connette a questo:


in effetti, lespressione peripatetica , che
chiaramente Eudemo propone come premessa del sillogismo 27 ,
comporta la determinazione dellessere come
(uno secondo il concetto), versione aristotelica di B3. Come rilevato da Mansfeld 28, lunit concettuale dellessere funge logicamente da assioma nella ricostruzione peripatetica di B2: un assioma indipendente, implicito, che Aristotele non introduce formalmente nella sua ricostruzione:

[]
,
, ,
Parmenide sembra aver inteso luno secondo la forma
(il concetto) []
Poich egli ritiene che oltre lessere non ci sia affatto il
non essere, necessariamente deve credere che lessere sia
uno e nullaltro (Aristotele, Metafisica I, 5 986 b18, 986
b27; DK 28 A24).

La congettura adottata da Mansfeld, per giustificare a un tempo luso implicito di B3 come assioma nella tradizione peripatetica, e la sua autonomia da B2 attestata dalla tradizione neoplatonica, quella di proporlo come modificazione della conclusione
dellargomento di B2, per noi solo implicita 29:
< >
solo lessere (ci che ) vi allora per pensare e dire.
27

Mansfeld, op. cit., pp. 78-9.


Ivi, p. 73.
29
Ivi, pp. 82-4.
28

339

Solo lessere pu essere oggetto per pensare: con Parmenide avrebbe introdotto qualcosa che manca nella enunciazione
della prima premessa (la prima via) del sillogismo di B2 (la cui
conclusione, quindi, avrebbe dovuto essere: solo la prima via
che e che non possibile non essere per pensare).
Lintroduzione del soggetto sarebbe giustificata proprio da
B3: nel testo tradito di B2 ci si limita a rilevare limpossibilit
(non infatti cosa fattibile) di procedere lungo la seconda via,
designata dalla espressione ; B3 potrebbe rinviare immediatamente come precisazione - alla conclusione formale, in
cui essere e pensiero sarebbero stati esplicitamente correlati. La
Dea allora sottolineerebbe in B3 quella che dal suo punto di vista
una evidenza: lidentit di essere e pensiero (vi ritorner in
B8.34 ss. con una pi articolata riflessione).

Essere e pensare
Nella nostra traduzione abbiamo scelto di mantenere la struttura sintattica pi naturale del verso greco, cercando, allo stesso
tempo, di preservarne lambiguit: la Dea di Parmenide didascalicamente reitererebbe, in positivo, limplicito (nei nostri frammenti) risultato dellargomento delineato in B2:
(i) da un lato per marcare il nesso tra e e la sua natura intellettuale - cos preparando la nota discriminante rispetto
all , all'abitudine alle molte esperienze (B7.3);
(ii) dallaltro per richiamare lattenzione del sul contenuto della prima via (altrimenti espresso con ovvero ).
Il pensare introdotto in B2 come esercizio avulso da riscontri
empirici; unattivit in cui si semplicemente chiamati a riconoscere un'evidenza: che pur considerando la possibile alternativa
per pensare e conoscere la verit c una sola via da percorrere.
Nello stesso tempo, lidentit affermata in B3 sottolinea lo stretto
rapporto tra il percorso (la sola via di ricerca che effettivamente
possibile seguire) e il suo esito: la via in qualche modo impo340

sta dalla realt stessa (cui si allude forse con l'infinito ). La


via (o il metodo) concepita come la via del discorso ( ) che
ha lessere (ovvero la realt) come contenuto 30.

Quale identit?
Nel suo commento Cerri 31 ha segnalato, nell'identificazione
dei due verbi, stranezza apparente e sinteticit paradossale:
, infatti, evidenzia un atto della mente (che viene reso come
capire), uno stato delle cose. Latto intellettivo sarebbe
dunque solo laspetto soggettivo dellidentit tra due cose (esse
sembrano diverse, essendo in realt la stessa cosa); quell
identit, invece, laspetto oggettivo dellatto intellettivo.
32
Ruggiu sottolinea, da un lato, laspetto linguistico dellidentit,
la connessione immediata tra termini nel linguaggio ordinario non
considerati identici; dallaltro laspetto che potremmo definire
dialettico della relazione: lidentit anche distinzione e si costituisce come rapporto di reciproca implicazione. Thanassas, infine, rileva come lidentit tra essere e pensiero non sia da intendere in senso matematico: il testo greco con suggerisce
uninterazione, una mutua connessione e reciproca referenza.
Nessun pensare senza essere, nessun essere senza pensare 33.
Dallincrocio con B2, B6 e B8 abbiamo ricavato segnali abbastanza definiti circa la relazione cui allude la sintetica formula del
frammento: (i) rilevata limpossibilit di percorrere un corno della
disgiunzione tra le vie ( e non possibile non essere - non ed
necessario non essere), in quanto non si pu conoscere
() n indicare () ci che non , e (ii) probabilmente integrato il rilievo con la necessaria conclusione positiva
circa la effettiva praticabilit della via alternativa (conoscere e indicare , ci che ), la Dea (iii) estrae quella che nella sua ot30

Leszl, op. cit., p. 64.


Op. cit., p.193.
32
Op. cit., pp. 233 ss..
33
Thanassas, op. cit., p. 39.
31

341

tica unevidenza basilare, implicita nella impostazione di B2,


espressa in termini astratti, generali, con due infiniti. Il verbo
non pi assunto a designare genericamente un'operazione
intellettuale, ma connotato specificamente per veicolare un atto di
riconoscimento (che riassuma sostanzialmente lo spettro degli altri due verbi, e ); , impiegato per denotare
quanto si ritrova, come suo oggetto necessario, al fondo di un
pensare che sia riconoscere-esprimere-indicare: il fatto dessere.
Ma nellidentit accennata da , la Dea non si riferisce
semplicemente alla connessione tra pensare e essere, ma soprattutto alla reciproca implicazione: non solo il pensiero deve avere
come oggetto ci che , ma lessere deve essere espresso, manifestato nel pensiero. In apertura di una comunicazione di verit,
questa osservazione capitale: pur prospettato (pi avanti, in
B8.34) come causa del pensiero (Cordero), lessere deve svolgersi completamente davanti al pensiero 34, deve essere pensabile
(il che non comporta che dipenda dal pensiero). Dal punto di vista
della Dea, almeno, nulla, di diritto, sfugge al pensiero: il sapere
che la Dea comunica al filosofo (e di cui questi tramite rispetto
ai propri discepoli e al pubblico di ascoltatori\lettori) un sapere
assoluto35.

Ancora su pensare e essere


Abbiamo insistito, nel commentare il frammento, sul rilievo
della sua collocazione per una corretta attribuzione di significato;
in particolare, proponendolo come sentenza con cui la Dea, ellitticamente, svela un principio fondamentale della sua rivelazione,
dellesposizione della Verit. B3 loccasione per interrogarsi sul
valore di e .
Abbiamo gi colto indicazioni in tal senso: ipotizzando la
prossimit testuale e logica di B2 e B3, abbiamo determinato il
campo semantico di in relazione a e , in34
35

Conche, op. cit., p. 90.


Ibidem

342

tendendolo come atto di riconoscimento immediato; in abbiamo individuato la forma verbale con cui Parmenide esprime
levidenza presupposta per ogni attivit di pensiero: quanto possiamo indicare come essere ovvero il fatto di esistere.
Una certa tensione sussiste tra B2 e B3 riguardo al valore di
. Mentre in apertura della propria comunicazione la Dea salda lalternativa delle vie di ricerca a (esse, ribadiamolo,
sono le uniche per pensare), dunque collegando al verbo non
solo la via positiva, ma anche quella negativa - non solo quella
che avr il proprio soggetto in (B8.32), ma anche quella che
(non) lo trova (B2.7) in -, nella formula sintetica del
nostro frammento il pensare sembra vincolato allessere, addirittura si afferma che pensare ed essere sono la stessa cosa. In che
senso, allora, possibile sostenere la relazione tra e la via:
che non ?
Abbiamo gi osservato in sede di traduzione come i curatori
delle edizioni dei frammenti abbiano spesso optato per determinare in modo da evitare di renderlo genericamente come pensare; ma non facile aggirare la difficolt, a meno di non decidere di mantenere il valore generico in B2.2 e introdurne uno specifico (comprendere, capire) in B3. Operazione legittima ma un
po forzata. Secondo Leszl 36 , invece, B2.2 presenterebbe
come atto puramente intellettuale (implicitamente da contrapporre
allimmediatezza del riscontro sensibile), che coglie lalternativa
delle vie in quanto possibilit del tutto astratte. Tale atto, tuttavia,
sarebbe in ultima analisi riconducibile a un caso di intellezione
immediata delloggetto, consistendo di fatto nel riconoscimento
(intuitivo) della validit del principio del terzo escluso.
In attesa di trovar sottolineato in B4 un ulteriore, essenziale
carattere della facolt indicata come - la capacit di rendere
presente qualcosa che pu essere lontano nello spazio e nel tempo
-, possiamo provvisoriamente concludere che:
36

Op. cit., p. 69. Leszl intende B2.2 ( )


come quali sono le vie di ricerca, le uniche che sono da pensare, quindi
attribuendo a nosai valore passivo.

343

(i) inizialmente introdotto in relazione alle due vie di


ricerca, come loro finalizzazione (le uniche per pensare) - evidentemente designando un atto di comprensione che d senso
allindagine -, ovvero, intendendo diversamente il testo greco,
come loro condizione di possibilit (le uniche da pensare\pensabili), quindi accentuandone il significato logico;
(ii) pur non ancora esplicitamente contrapposto ai sensi
riceve una connotazione metaempirica: le vie sono per pensare, non sono fatte per essere esperite percettivamente; in
grado di evidenziare quanto celato o sfocato nella percezione;
(iii) dunque attivit che si spinge oltre limmediato sensibile, nel nostro contesto probabilmente oltre la complessit dei
dati empirici, per ridurli al loro essenziale, al loro comune denominatore (fondamento) ontologico: nello specifico, il fatto
dessere (condizione del pensare stesso) e la nozione (opposta) di
. In questo senso giusto designarne la facolt come
penetrazione intellettuale37.
Daltra parte costantemente riscontrato su o termini connessi: le vie sono determinate come luna che (e che
non possibile non essere), laltra che non (e che necessario
non essere); loggetto della seconda ulteriormente ripreso come ci che non ; attraverso la formula ,
sovrapposto a . Allacume e intelligenza di sguardo del
corrispondono dunque la profondit e comprensione della nozione
di , che appare designare, nel contesto, analogamente al termine , ci che genericamente indicheremmo come la realt, ci che accomuna le cose che sono. Nelluso quotidiano
essere sempre oscurato da questa o quella cosa, sempre presupposto in ogni possibile predicazione (): il riconosce
come proprio oggetto specifico e condizione appunto questo presupposto, questa realt.

37

Ivi, p. 68.

344

ENTI ED ESSERE [B4]


Conservatoci nella sua interezza dalla sola citazione di Clemente di Alessandria, il frammento ha sempre costituito una croce per gli interpreti, divisi sul problema della sua collocazione assoluta e relativa: incerti riguardo alla sua appartenenza alla prima
o alla seconda sezione del poema e (ulteriormente) alla sua posizione e funzione allinterno di esse. In proposito abbiamo due
proposte estreme:
(a) Diels, nella sua edizione del 1897, presentava il nostro testo come primo frammento della prima sezione, collocandolo subito dopo il Proemio (che in quella edizione, tuttavia, includeva
anche B7.2-6);
(b) Bicknell 1 e Hlscher 2 , al contrario, lo hanno considerato
conclusione dellopera (collocandolo, quindi, dopo B19)3, quindi
nella seconda sezione.
Possiamo considerare intermedie tutte le altre proposte, variamente schierate, che fanno registrare convergenze su un punto da
valorizzare, anche perch potrebbe spiegare la oggettiva difficolt
degli interpreti: il ruolo di cerniera di B4. Secondo Ruggiu, per
esempio, esso collegherebbe i contenuti propri dellOpinione (
), al tema primario della Verit ( ), marcando il radicamento del molteplice nellEssere 4.
Che cosa rende di cos difficile contestualizzazione, allinterno
del poema, i versi del frammento? Che cosa contribuisce al disorientamento degli interpreti arrivati con Frnkel a negare piena
intelligibilit a B4? Si possono agevolmente individuare tre questioni:
1

P.J. Bicknell, Parmenides' Refutation of Motion and an Implication,


Phronesis, 1, 1967, pp. 1-6.
2
U. Hlscher, Parmenides von Wesen des Seienden. Die Fragmente, Frankfurt
a.M. 1969.
3
In questo sono stati seguiti anche da L. Couloubaritsis (Mythe et Philosophie
chez Parmnide, Ousia, Bruxelles 1986), il quale, tuttavia, nell'ultima
edizione della sua opera (La Pense de Parmnide, Ousia, Bruxelles 2008),
ha optato per un inserimento all'interno di B8 (tra i vv. 41 e 42).
4
Op. cit., p. 245.

345

(i) il ruolo del e la probabile valenza gnoseologica del


frammento;
(ii) il nesso tra - e (vv. 1-2) e
lulteriore implicazione tra gnoseologia e ontologia;
(iii) i possibili riferimenti cosmogonici e relativi obiettivi polemici (vv. 3-4).

Il noos e il suo operare


Per decidere del significato del frammento importante il contesto della citazione di Clemente Alessandrino (V, 15):
.
[B4],

. ,
,
,
.
Ma anche Parmenide, nel suo poema, alludendo alla
speranza, sostiene cose di questo genere: [citazione], in
quanto anche colui che spera, come colui che ha fede, con
il pensiero vede le cose intelligibili e quelle a venire. Se
ora affermiamo che c' qualcosa di giusto, diciamo anche
che c' qualcosa di bello, ma anche che c' qualcosa di
vero: nessuna di queste cose, tuttavia, mai vediamo con gli
occhi, ma solo con il pensiero.

Lautore alessandrino sottolinea come quel che Parmenide afferma in B4 alluda enigmaticamente (questo il senso del verbo
: adombrare, alludere per enigmi) alla (e alla
) cristiana: il saper rappresentare (rendere presente) il futuro
da parte dellintelligenza (). In questo senso, Parmenide riconoscerebbe al la capacit di rendere presenti enti assenti e

346

lontani 5 . La prospettiva appare certamente gnoseologica, investendo una facolt cognitiva che Clemente decisamente caratterizza rispetto allorgano di senso: un vedere () con il
pensiero ( ) contrapposto (con lavversativa) al vedere
con gli occhi ( ). Ad accentuare lopposizione
troviamo anche lindicazione di oggetti specifici ( ) per
lintelligenza, diversi (significativo laccostamento a ,
le cose a venire) da quelli immediatamente colti sensibilmente:
si osserva, infatti:

,
nessuna di queste cose mai vediamo con gli occhi, ma
solo con il pensiero.

Cose assenti presenti


Ora, se passiamo alla citazione, possiamo effettivamente intravedere la ragione del suo recupero da parte di Clemente:

Considera come cose assenti siano comunque al
pensiero saldamente presenti (B4.1).

La Dea, che ha la parola, invita il a osservare e prendere in considerazione come cose assenti (o lontane) ( )
possano risultare al pensiero () a un tempo presenti (o
prossime) (). Precisando ulteriormente:

non impedirai, infatti che l'essere sia connesso
all'essere (B4.2).
5

Per lanalisi della testimonianza di Clemente essenziale e convincente il


contributo di C. Viola, Aux origines de la gnosologie: Rflexions sur le
sens du fr. IV du Pome de Parmnide , in tudes sur Parmnide, cit., t. II,
pp. 69-101.

347

chiaro come la possibilit di pensare (rappresentare) cose assenti o lontane come presenti o prossime passi attraverso la consapevolezza dellomogeneit di : il raccoglie e supera,
nella omogeneit di , le differenze che si impongono sul piano empirico. Il , in questo modo, si impone come uno sguardo altro rispetto a quello dei sensi, in grado di superarne le discriminazioni alla luce di una realt che solo lintelligenza stessa
dischiude. indicativo il fatto che Parmenide scelga un verbo
etimologicamente legato a (nel linguaggio omerico chiaro, limpido), che porta con s dunque lidea di chiarezza, luminosit, trasparenza 6. Un verbo che pu essere direttamente messo in relazione con (), per assumere il valore di
chiarire con il pensiero [l'intelligenza].
I primi due versi di B4, quindi, si prestano alla curvatura gnoseologica che il contesto della citazione di Clemente implica, senza tuttavia comportarne necessariamente le opposizioni; senza
imporre, in particolare, lopposizione tra due inconciliabili visioni, sensibile e spirituale, come ha correttamente rilevato la Stemich, sottolineando come in siano a un tempo coinvolti entrambi gli elementi 7 . Possiamo inoltre marcare come il
frammento non autorizzi a retroiettare in Parmenide una teoria dei
due mondi (sensibile e intelligibile, ovvero presente e futuro), ma
semplicemente registri due distinte modalit di guardare alla realt: limmediato sguardo sensibile e la pi accorta considerazione
dellintelligenza, che ne supera le contraddizioni. Con il risultato
(che traspare in B4.1-2) di offrire, della stessa realt, due prospettive, una soggetta a distorsioni, laltra corretta (che nelleconomia
del poema sono accentuate come opinioni dei mortali e Verit).
nostra convinzione (che presuppone una complessiva interpretazione del pensiero di Parmenide) che proprio da questo
frammento possano ricavarsi preziose indicazioni riguardo alla
capacit dellintelligenza di superare la frammentazione del dato
6
7

Viola, op. cit., p. 80.


Stemich, op. cit., p. 178.

348

empirico, raccogliendone pluralit e differenze nella unit e compattezza dellEssere. Luso del plurale -, quindi
del singolare , segnalerebbe appunto come siano (-), in quanto mantiene lunit e la
compattezza (nellEssere) di tutti i suoi momenti 8. Elementi che
puntano in direzione della seconda sezione del poema.
I due versi iniziali autorizzano, dunque, ad associare a (e
) due distinte ma coordinate operazioni:
(i) superare i vincoli spazio-temporali presentificando la pluralit dispersa (spazio-temporalmente), rappresentando presenti
cose assenti;
(ii) cogliere la loro connessione (veicolata dal verbo )
in (ovvero il fatto che connesso a ).
La seconda operazione propriamente ontologica, nel senso
che riconosce e traduce in termini di la molteplicit espressa nei due plurali del primo verso (-): la si voluta leggere anche come un portare le cose lontane-assenti alla
presenza dellessere9. Lo spessore gnoseologico (ed epistemologico) del passaggio consiste nel fatto che loggetto ( ) cui il
riferito, direttamente 10 o indirettamente 11 , diverso dagli
oggetti molteplici ai sensi (senza tuttavia trasformarsi in una entit che neghi la molteplicit del mondo 12): li abbraccia e li raccoglie interamente, senza dislocarsi su un piano di realt altro.
Come nota puntualmente Leszl, ci fa di unattivit che
si spinge oltre limmediato sensibile, rendendo presente lassente,
senza la sua preliminare evidenza percettiva: un pensare del tutto
intellettuale, che ha per oggetto qualcosa che si impone
8

Ruggiu, op. cit., p. 241.


Couloubaritsis, Mythe et Philosophie, cit., p. 336.
10
Se accettiamo che sia terza persona singolare dellindicativo
futuro, con appunto soggetto sottinteso del verbo.
11
Nel caso si legga (come facciamo noi, ma di recente anche Palmer e Tonelli)
lo stesso verbo in seconda persona singolare futuro indicativo medio, e la
Dea quindi si limiti a esortare il a non ostacolare la connessione di
.
12
Thanassas, op. cit., p. 43.
9

349

allintelligenza13. Non deve per essere trascurato un aspetto del


passaggio: il movimento dalla assenza alla presenza rivela che
luomo comunque radicato nel mondo, legato allo spazio\tempo14. Cos, nel contesto di un discorso che verte sulle vie
di ricerca, che focalizza il percorso di Persuasione (
), non pu sfuggire il fatto che il sia connotato dinamicamente, attraverso quel movimento, che porta con s anche
la potenzialit del suo errare 15: la sua conoscenza esposta alla
distorsione.
possibile che loperare del riceva ulteriore significazione dallaccostamento a , che Omero utilizzava per indicare
la capacit di considerare simultaneamente passato e avvenire per
comprendere il presente 16 . Una capacit associata alla maturit
dellanziano, al suo discernimento rispetto alla precipitazione dei
giovani, e che nel poema potrebbe avere un riscontro nella relazione didascalica tra e .

saldamente presenti
Ritornando sullapertura di B4, chiaro che luso
dellavverbio (saldamente) nel primo verso, e lintero
contenuto del secondo contribuiscono a determinare come un
pensiero che conduce alla continuit e stabilit dellessere:


Considera come cose assenti siano comunque al
pensiero saldamente presenti;
non impedirai, infatti, che l'essere [ci che ] sia
connesso all'essere (B4.1-2).

13

Op. cit., p. 68.


Couloubaritsis, op. cit., p. 340.
15
Viola, op. cit., pp. 94-5.
16
Couloubaritsis, op. cit., pp. 336-7.
14

350

Effetto delloperare del la solidit della connessione degli enti (-), al di l delle loro coordinate spazio-temporali, e
il riconoscimento del loro comune denominatore nellEssere (
). Pi precisamente: il quello sguardo che, da una parte,
illumina e unifica e (nell), dallaltra si vieta
di introdurre discriminazioni (spazio-temporali) in 17. Alla
luce di B3, esso aderisce completamente all: lavverbio
veicolerebbe allora lidea di stabilit, costanza, caratteristica delloggetto ( , appunto), ma suggerirebbe pure qualcosa circa latteggiamento di chi sulla strada della verit: la certezza e affidabilit (ricordiamo di B1.29) di un modo
di vedere, corrispondente a un modo dessere; a un saldo e
pieno di fiducia18.
Dal momento che manca una specifica argomentazione a sostegno della affermazione di B4.2, alcuni interpreti (Kirk-Raven,
West, Gallop) hanno messo in relazione B4 con B8.22-5:
,
, ,
, .

N divisibile, poich tutto omogeneo;
n c qui qualcosa di pi che possa impedirgli di
essere continuo,
n [l] qualcosa di meno, ma tutto pieno di ci che .
perci tutto continuo: ci che si stringe infatti a ci
che .

Questa indicazione, concettualmente apprezzabile, non comporta inevitabilmente una presa di posizione sulla collocazione
del frammento nel complesso del poema. Non implica, in altre parole, necessariamente la dipendenza di B4 da B8 e dunque a una
sua dislocazione nella sezione sulla Doxa (o addirittura allinterno
dello stesso B8, dopo i versi 22-5). Forse, accettandone le impli17
18

Viola, op. cit., p. 100.


Robbiano, op. cit., p. 130.

351

cazioni cosmologiche, la funzione di B4 potrebbe essere stata


prolettica, nella introduzione del discorso della Dea, che poi B8
avrebbe articolato e precisato. significativo che nella sua prima
edizione del poema (1897), come abbiamo sopra ricordato, Diels
proponesse lattuale B4 come B2, dunque allinizio sostanzialmente della prolusione divina. Rimane comunque l'impressione
che il frammento possa aver svolto, nell'economia dell'esposizione divina, un ufficio di raccordo, tra le due sezioni, analogamente
a B9.
In alternativa, valutando soprattutto il contesto della citazione
di Clemente e la sua intenzione di marcare la differenza tra visione percettiva e visione spirituale, e convenendo con Coxon 19 che
Parmenide non sia in questo frammento interessato alla natura
dellEssere (la cui indivisibilit sar argomentata proprio in
B8.22-5), ma alla natura del come capacit intellettuale, potremmo ipotizzare il posizionamento di B4 in relazione ai rilievi
di B6 e B7 sui rischi della abitudine alle molte esperienze (
).

Lespressione kata kosmon e le implicazioni


cosmologiche
Sono comunque gli ultimi due versi (3-4) del frammento a
rappresentare il maggior cruccio per gli interpreti, soprattutto per
la determinazione del valore del greco e del senso
della dinamica imperniata intorno ai due participi e
, che indicano dispersione e raccoglimento. Essi sono riferiti immediatamente a , della cui connessione interna
(rilevata dal ) costituiscono una alternativa:



19

Op. cit., p. 187.

352

non impedirai, infatti, che l'essere sia connesso


all'essere,
n disperdendosi completamente in ogni direzione per
il cosmo,
n concentrandosi (B4.2-4).

Parmenide si limita a stigmatizzare la prospettiva di un moto


ordinato (conforme a un ordine) - di disseminazione e concentrazione degli enti, quale potrebbe essere rappresentato dalle cosmogonie ioniche, ovvero, pi specificamente si riferisce a un modello, intenzionalmente impiegando il termine per designare
lassetto complessivo della realt?

Il noos e il cosmo
Che egli possa aver imboccato tra i primi - questa seconda
direzione, suggerito dai passi paralleli - segnalati dagli editori in Empedocle (B17.18-21; riferimento gi in Clemente) e Anassagora (B8), in cui la dimensione cosmologica indiscutibilmente
centrale, implicando unontologia influenzata da Parmenide:
,
, ,
,
,
Fuoco e Acqua e Terra e laltezza immensa dellAria,
e Contesa, disgiunta da essi ma di pari peso, ovunque,
e Amore, in essi, uguale in lunghezza e larghezza.
Osservala con lintelligenza, non restare con sguardo
stupito (Empedocle; DK 31 B17.18-21).



Nellunico universo non si trovano separate le cose, le
une dalle altre, e non risultano tagliati a scure n il caldo
dal freddo n il freddo dal caldo (Anassagora; DK 59 B8).

353

Nel suo commento a B4, Cerri ha invece richiamato


lattenzione sulla pagina iniziale del trattato Sul cosmo per Alessandro attribuito ad Aristotele (ma pi probabilmente di autore
genericamente peripatetico20), che contiene passaggi che sembrano effettivamente riecheggiare i versi parmenidei:

, , ,

,

,
,

.

,
, ,
,
, ,

, , , ,
,
. ,
,

Ho pi volte pensato che la filosofia sia cosa
veramente divina e sovrumana, o Alessandro, e soprattutto
in quell'aspetto per cui essa, da sola, innalzandosi alla
contemplazione dei componenti della realt nella loro
totalit, si impegnata a conoscere la verit che in essi.
E, mentre tutte le altre scienze si tennero lontane da questa
verit a motivo della sua altezza e grandezza, la filosofia
non temette l'impresa e non si reput indegna delle cose
20

Rivendica la paternit aristotelica dellopera G. Reale, A.P. Bos, Il trattato Sul


cosmo per Alessandro attribuito ad Aristotele, Vita e Pensiero, Milano 1996.

354

pi belle, e, anzi, ritenne che la conoscenza di quelle cose


fosse in sommo grado congenere alla propria natura e
massimamente conveniente. Infatti, poich non era
possibile col corpo raggiungere i luoghi celesti, lasciare la
terra e contemplare quelle sacre regioni, come follemente
tentarono gli Aloadi, l'anima, mediante la filosofia, preso
l'intelletto come conduttore, varc il confine e abbandon
l'ambiente che le familiare, avendo trovato una via che
non stanca. E le cose pi lontane fra loro nello spazio essa
riun insieme nel pensiero, con facilit, credo, perch
riconobbe le cose che le sono congeneri e con il divino
occhio dell'anima colse le cose divine, rivelandole poi agli
uomini. E questo le accadde perch desiderava, nella
misura in cui era possibile, far partecipi senza restrizione
tutti gli uomini dei suoi tesori21.

Quello che risulta interessante - in chiave eleatica , nei versi


empedoclei e nelle righe peripatetiche, il nesso tra lo sguardo del
pensiero (, ) e la dimensione del tutto - le quattro radici in Empedocle, il riferimento agli elementi della totalit nello
pseudo-Aristotele; nel frammento anassagoreo, invece, luso di
nel senso evidentemente di universo, complesso del mondo (e non genericamente di ordine), come rivelato dal riferimento
ai tradizionali contrari cosmogonici caldo-freddo, unitamente
alla negazione della separazione delle cose nella unit del .
Lo stesso Empedocle (DK 31 B26.5) impiega nella formula (in un unico mondo) nellambito della descrizione degli effetti cosmogonici dellalternanza ciclica di Amore e
Contesa; mentre in Eraclito (B30: ), il termine presente in senso gi prossimo al valore cosmico, per indicare cio
lordine delle cose.
Lespressione del pensatore agrigentino osservala con l'intelligenza ( ) sembra effettivamente ricalcare il
parmenideo , cos come la pseudo-aristotelica le cose
pi lontane fra loro nello spazio essa riun insieme nel pensiero
(
21

Ivi, p. 175.

355

) richiama complessivamente B4.1 (


). Limpressione che i versi del
, i loro cenni al , alle cose lontane e vicine, assenti e presenti, allo sguardo del , fossero chiaramente signi-

ficativi in prospettiva cosmologica gi nel V secolo (Empedocle,


Anassagora), a ridosso della sua composizione: forse perch estrapolati dalla sezione cosmologica del poema, forse perch in
quel senso andava inteso linsieme dellimpegno parmenideo
(come si evincerebbe in particolare dalla ripresa peripatetica, che
risente tuttavia della lezione aristotelica).
La possibile (probabile) implicazione cosmica, laccenno alla
dinamica di concentrazione-dispersione (eco plausibile della cosmogonia di Anassimene), e, in relazione a , il rilievo della
funzione omogeneizzante del potrebbero suggerire ancora
una posizione introduttiva del frammento rispetto alla revisione
cosmologica proposta dallEleate (sulla scorta della lezione di
B8): premessa, dunque, alla vera e propria esposizione fisicocosmologica della seconda sezione.

Disperdendosi, concentrandosi
I versi 3-4 alludono a qualche specifico precedente cosmologico-cosmogonico, ovvero dobbiamo pensare a un riferimento generico? Gli interpreti sono divisi anche su questo punto: qualcuno, come Coxon22, vi coglie una polemica nei confronti della teoria di una sostanza prima soggetta a condensazione e rarefazione
(Anassimene23, pur non escludendo il coinvolgimento polemico di
Eraclito DK 22 B9124); altri, come Guthrie25, ritengono Parmenide
22

Op. cit., p. 189.


Su questo concordano Reinhardt, Gigon, Albertelli.
24
Il frammento recita:
23


<
>

356

alluda a Eraclito (B91)26; altri ancora, come Conche27, valorizzando lintenzione ontologica del frammento, dubitano che possa riferirsi a fenomeni di condensazione-rarefazione, giudicando tale
lettura obiettivista, superficiale e banale.
In realt, se si prende sul serio linteresse cosmologico del poema di Parmenide, pare corretto individuarne un obiettivo polemico, da cui il filosofo avrebbe preso le distanze: nella logica
dellopera si potrebbe ipotizzare che la riflessione pi strettamente ontologica offra gli strumenti concettuali per contestare alternativi modelli esplicativi della natura e fondare una pi consapevole
e coerente teoria fisica. Schematicamente convincente la lezione
di Graham28, il quale, ammiccando a Thomas Kuhn, individua tre
paradigmi scientifici, successivamente attivi tra VI e V secolo
a.C.:
(i) quello con cui originariamente si ricerc la scaturigine
() degli enti, il loro principio (), e si tent di inquadrare
i fenomeni naturali, indicato come Generating Substance Theory
(GST);
(ii) quello che avrebbe, secondo lautore, radici nella seconda
parte del poema parmenideo e sarebbe poi stato sviluppato, pi o
meno coerentemente, dai pensatori tradizionalmente designati
come pluralisti (Empedocle, Anassagora, atomisti), definito
come Elemental Substance Theory (EST);

( ,
)
Non possibile scendere due volte nello stesso fiume,
secondo Eraclito, n si pu toccare due volte una sostanza
mortale nell'identico stato; ma, per lo slancio e la velocit del
mutamento, si disperde e di nuovo si raccoglie (piuttosto, non di
nuovo n dopo, ma a un tempo si riunisce e si separa), viene e
va.
25

Op. cit., p. 32.


Su questo concordano Diels, Nestle, Cornford, Vlastos, Calogero, Mondolfo.
27
Op. cit., p. 94.
28
D.W. Graham, Explaining the Cosmos. The Ionian Tradition of Scientific Philosophy, Princeton University Press, Princeton and Oxford 2006.
26

357

(iii) quello espresso pienamente nei frammenti di Diogene di


Apollonia, riconosciuto come Material Monism (MM).
Il primo corrisponde al programma scientifico ionico, cos riassunto per punti29:
a) esiste una sostanza originaria da cui tutto il resto sorto;
b) esiste un processo per cui gli elementi costitutivi del cosmo
scaturiscono dalla sostanza originaria;
c) tali elementi si dispongono negli strati materiali del cosmo;
d) le strutture e i materiali del cosmo si stabilizzano
nellordine che conosciamo;
e) emergono gli esseri viventi;
f) unampia variet di fenomeni spiegabile secondo il modello.
Rispetto a questo paradigma (modulato da Anassimene nel
senso di una vera e propria teoria del mutamento 30), Eraclito (cui
dedicata da Graham unanalisi convincente 31) avrebbe abbandonato lidea di primato della sostanza generatrice a vantaggio di
quella di processo universale, regolato da una legge di scambio di
masse elementari (fuoco, terra, acqua). alla luce di questi precedenti, in particolare dellimpatto della lezione di Eraclito 32, che
Graham interpreta lontologia di Parmenide.
La prima parte del metterebbe in campo tutti gli
strumenti concettuali per negare il divenire come generazione dal
non-essere e affermare una concezione di ci che che lautore
ritiene compatibile con il pluralismo di sostanze ingenerate, incorruttibili, omogenee, immutabili e complete (Graham parla di Eleatic Substantialism): la seconda sezione (Doxa) avrebbe quindi
proposto una cosmologia basata sulle propriet focalizzate nella
Aletheia, coerente con i principi della metafisica di Parmenide 33.
Lasciando per il momento in sospeso altre valutazioni, la collocazione della riflessione dellEleate proposta da Graham appare
29

Ivi, pp. 8-9.


Ivi, pp. 45-84. La rivalutazione del contributo del terzo milesio uno degli
aspetti pi interessanti dellopera.
31
Ivi, pp. 113-147.
32
Ivi, pp. 148-162.
33
Ivi, pp. 182-5.
30

358

sensata e potrebbe aiutare a leggere correttamente anche il nostro


frammento. Da un lato, infatti, i versi attestano un ruolo del
chiaramente inteso a ricondurre gli alla presenza di
, negando quindi lo spazio del non-essere potenzialmente implicito nel movimento assenza-presenza; dallaltro anticipano
(ovvero sottintendono) i rilievi di B8 sullomogeneit dellessere,
per rifiutare quelle proposte esplicative che sembravano comportare, di fatto, accanto allessere del principio\natura, limplicita
ammissione del non-essere.
Anassimene (DK 13 B1), in effetti, sulla base di quanto espone Plutarco, avrebbe sostenuto:

,
( )
[Anassimene] dice infatti che la parte dellaria che si
contrae e si condensa fredda, mentre la parte che
dilatata e allentata ( proprio questa l'espressione che
usa) calda [] (DK 13 B1).

Eraclito, a sua volta:


[...]

[] si disperde e di nuovo si raccoglie [] viene e va


(DK 22 B91).

Il frammento di Parmenide un breve passaggio nelle centinaia di versi complessivi del poema potrebbe dunque essere risultanza di una pi o meno esplicita evocazione dei precedenti ionici, per marcare l'originalit del contributo eleatico soprattutto in
termini di coerenza come attesterebbe linsistenza sul e sul
suo operare - con i presupposti taciti nella stessa concezione della
realt della - ionica.
Proprio questa possibile funzione critica farebbe di B4 una
sorta di passe-partout per il poema:

359

(i) come controparte gnoseologica dellargomentazione di B8


e dunque degli effetti paradossali di una coerente riflessione ontologica rispetto ai dati del senso comune;
(ii) come trait d'union tra la sezione ontologica e quella cosmologica, a sottolinearne la continuit, cio nellambito di una
positiva interpretazione della sulla scorta della Verit, come
vuole Ruggiu34.

34

Op. cit., p. 251.

360

UNESPOSIZIONE CIRCOLARE [B5]


Il breve frammento ci conservato in una citazione di Proclo,
che lo connette a B8.25 ( , ci che si stringe infatti a ci che ) e B8.44 ( , a partire dal centro ovunque di ugual consistenza), riferendolo dunque allEssere. In realt, come spesso stato riconosciuto, difficile sfuggire allimpressione di una decontestualizzazione disorientante.
Se lindicazione di Proclo pu suggerire un suo significato ontologico, in linea, per altro, con la relazione tra e che
emerge da B3 e la dinamica -- di B4, forte tuttavia tra gli interpreti lopzione metodologica, che appare in
qualche lettura particolarmente convincente1. Anche nel caso di
B5, la questione del suo significato decisiva per la sua collocazione. Laddove prevalga il rilievo del suo senso ontologico,
lattuale sequenza pu essere mantenuta 2. Laddove, al contrario,
sia privilegiato il senso metodologico del frammento, il suo posizionamento nellattuale ordinamento del materiale andrebbe rivisto (come fanno, tra gli altri, Pasquinelli e Coxon), a ridosso di
B1 e prima di B2, come preliminare della esposizione divina.
Registrata la ricorrenza dellimmagine del cerchio allinterno
delle citazioni del poema - la verit ben rotonda (B1.29); l'analogia tra e (massa di ben rotonda
palla, B8.43); il discorso sulla verit indicato come
(B8.51); il concetto di limite estremo ( ,
B8.42) appare comunque forzata la conclusione di Ruggiu 3, secondo cui B5 esporrebbe la forma nella quale lEssere esprime la
propria natura. Soprattutto se teniamo conto della possibilit che
il materiale conservato rappresenti solo una quota minoritaria dei
versi del poema integrale. Nellambito della comunicazione della
Dea, invece, il passo potrebbe essere inteso e marcare lo scarto tra
1

il caso dellanalisi di Coxon e di quella di Conche.


Ovvero, ipotizzando una (improbabile) lacuna in B8 (Cornford), potrebbe
essere accettato il suo inserimento tra i due riferimenti di Proclo.
3
Op. cit., p. 253.
2

361

sapere divino e sapere umano: la necessit di un ordine espositivo


rivolto al e la sua indifferenza rispetto alla conoscenza di
chi lo propone.
Conche4 ha giustamente messo in relazione il frammento con
il programma di insegnamento annunciato dalla Dea:

necessario che tutto tu apprenda (B1.28).

La verit che il apprender la verit del Tutto, un sapere compiuto: i limiti delluomo non consentono tuttavia che tale
sapere sia acquisito tutto in una volta. necessario un ordine, corrispondente alle tappe di una ricerca, modalit tipicamente umana
di accedere alla conoscenza. Il percorso, la via da seguire (affermazione di una via ed esclusione di unaltra, ecc.) rappresentano
un escamotage didattico che ha senso solo per il discepolo, non
per la Dea: per lei il punto di partenza e lordine di esposizione
sono indifferenti. In relazione a una verit definita nel poema
(ben rotonda), Cerri valorizza, a sua volta, la prospettiva didascalica del frammento5, rafforzata dal possibile accostamento a Eraclito (DK 22 B1036) e dalleco nel Sofista platonico
(237a 7 ): Parmenide implicherebbe una sorta di circolarit della
ricerca scientifica e del discorso che la espone8.
4

Op. cit., p. 98.


Pur non escludendo, a priori, la possibilit di un suo coinvolgimento
allinterno di una (in vero implausibile) specifica argomentazione
geometrica.
6
Il frammento recita:
5


Comune , in effetti, nella circonferenza del cerchio il
principio e la fine.
7

Il passo il seguente:

.
, ,

362

In ogni caso, alla luce della successiva trattazione dellEssere


e del mondo della natura, sembra difficile poter insistere su tale
circolarit, come ha opportunamente segnalato Coxon9: nel primo
caso, infatti, lo sviluppo argomentativo procede in una direzione
lineare; nel secondo lesposizione delle opinioni dei mortali
doveva diffondersi sul piano storico-descrittivo. N plausibile
che la circolarit indifferente possa riferirsi al complesso delle
due esposizioni, dipendendo la comprensione della seconda dalle
analisi della prima10. Indifferente e circolare, invece, potrebbe essere considerata la discussione delle possibili vie di ricerca, non
necessariamente legata a un ordine di sequenza e in questo senso
indifferente rispetto allargomento da articolare. Come segnala
Coxon11, la circolarit di quella preliminare discussione sarebbe
contrapposta alla linearit degli argomenti sviluppati lungo la via
imboccata verso la Verit (B8). Una variante interessante quella
avanzata da Bicknell12, che abbiamo registrato nelle annotazioni
alla traduzione: intendendo come a basic point, B5 potrebbe essere immediatamente anteposto alla di B2, per marcare come a essa largomentazione della Dea avrebbe dovuto ripetutamente richiamarsi.

,
[DK 28 B7.1-2]
Questo discorso ha osato supporre che sia ci che non : il
falso, in effetti, non potrebbe generarsi in altro modo. Il grande
Parmenide, invece, ragazzo mio, a noi che eravamo ragazzini
proprio contro questo discorso testimoniava dall'inizio alla fine,
in prosa e in versi, che [citazione B7.1-2].
8

Cerri, op. cit., p. 202.


Op. cit., pp. 171-2.
10
In questo senso non convince il rilievo di Pasquinelli (I presocratici, p. 396)
sulla presunta comunanza di tutti i punti del discorso della Dea.
11
Op. cit., pp. 171-2.
12
P.J. Bicknell, Parmenides, DK 28 B5, cit., pp. 9-11.
9

363

ESSERE E NULLA [B6]


Il frammento, ricostruito a partire dalle sole sparse citazioni di
Simplicio (quindi, come osserva Cordero 1, ricomparso a un millennio dalla stesura del poema), dallo stesso commentatore per
un verso direttamente connesso a B22, per altro proiettato su B7 e
B8:
,

[B6.1b-2] <
> [B6.3-9]

[B6.8-9]
[B7.2], [B8.1
ss.]
Sostiene che le proposizioni contraddittorie non siano
a un tempo vere [letteralmente: la contraddizione non sia
vera] in quei versi in cui biasima coloro che mettono
insieme gli opposti: dice infatti [citazione B6.1b-2a] e
aggiunge [citazione B6.3-9]. (In Aristotelis Physicam 117,
2)
Dopo aver biasimato infatti coloro che congiungono
l'essere e il non-essere nell'intelligibile [citazione B6.8-9]
e aver allontanato dalla via che ricerca il non-essere
[citazione B7.2], soggiunge [citazione B8.1 ss.] (In
Aristotelis Physicam 78, 2).

dunque introduttivamente importante, per una valutazione


del senso e della posizione del testo, ricordare che la citazione di
Simplicio intesa a confermare luso condizionante del principio
di contraddizione 3 (donde laccostamento a B2) come premessa

By Being, It Is, cit., p. 90.


Simplicio cita B6.1b-9 subito dopo aver citato B2.3-8.
3
In questo senso Simplicio ne confermava limplicita attribuzione a Parmenide
da parte di Aristotele (Metafisica IV, 3 1005 a28-35):
2

364

che lo stesso Simplicio salda esplicitamente allargomento ontologico successivo (B8). In effetti, il primo verso e il primo emistichio del secondo sono richiamati dal commentatore, in altro contesto, proprio per marcare il nesso tra pensiero ed essere:

[B6.1-2a].
,

Ma che la nozione di tutte le cose sia una e la stessa,
quella dell'essere, Parmenide sostiene in questi versi:
[B6.1-2a]
Se proprio l'essere ci di cui possibile dire e
pensare, di tutte le cose vi sar una sola nozione, quella
dell'essere (In Aristotelis Physicam 86, 25-30).

Per la sua discussa interpretazione corretto e inevitabile rinviare al complesso B2-B3, a maggior ragione ipotizzando che gli
attuali B4 e B5 siano fuori posto (in particolare che B5 possa precedere immediatamente B2 e B4 trovarsi a cavaliere tra prima e
seconda sezione). possibile, infatti, intravedere nei versi e nel
contesto della citazione la centralit del riferimento critico a
(
),
.
, ,
, ,


Cos, in quanto chiaro che [gli assiomi] appartengono a
tutte le cose in quanto sono (l'essere infatti ci che comune a
tutti), proprio di colui che indaga l'essere in quanto essere
anche lo studio di questi [assiomi]. Perci, nessuno di coloro che
si limitano all'indagine di una parte si cura di dire qualcosa di
essi, se siano veri o no: non il geometra, n il matematico. Ne
parlarono, tuttavia, alcuni dei fisici, e a ragione: credevano in
effetti di essere gli unici a ricercare sul complesso della natura e
sull'essere.

365

(Simplicio: ), formula estratta dalla seconda via di

ricerca di B2, che evidentemente aveva costituito il preliminare


oggetto di discussione nella parte mancante del primo logos della
Dea.
Come rivela lampio dibattito intorno alla traduzione del testo
greco e alla sua intellezione, il frammento decisivo per determinare: (i) la natura delle vie di ricerca per pensare; (ii) il numero
di tali vie; (iii) lobiettivo della polemica parmenidea.
In particolare, relativamente allultimo punto, dallOttocento
oggetto di contesa lattribuzione esatta dei riferimenti a
(mortali che nulla sanno), (uomini a
due teste), e (schiere scriteriate), che molti hanno
inteso come allusioni a Eraclito e seguaci, trovando nelle espressioni degli ultimi versi un possibile riscontro verbale (come abbiamo segnalato in nota):

,
per i quali esso considerato essere e non essere la
stessa cosa
e non la stessa cosa: ma di [costoro] tutti il percorso
torna all'indietro (B6.8-9).

La natura delle vie


Il primo verso e il primo emistichio del secondo, che sembrano
fornire nellinsieme un asserto e le condizioni che lo giustificano
(come evidenziato dal ricorso allindicatore di premessa ), introducono il primo problema interpretativo:

,

che pu rendersi letteralmente come:


366

necessario il dire e il pensare che ci che ; poich


possibile essere [ovvero, come preferiamo: possibile
infatti essere],
il nulla, invece, non .

La nostra traduzione4 ricava due formule modali ( necessario, possibile) dal testo greco, che appare invece immediatamente costruito su tre formule tautologiche:
(letteralmente: ci che [l'essere] ),
(che si potrebbe rendere letteralmente:
essere ovvero [l']essere ),
(letteralmente: ni-ente non ).

Lessere dellente
Il primo emistichio costituito da tre blocchi testuali:
(i) lespressione verbale , che abbiamo reso come necessario: si tratta di una formula con cui la Dea rileva un passaggio
significativo della propria comunicazione, proposto come conclusione di un argomento (le premesse introdotte dall'indicatore );
(ii) le due forme verbali allinfinito e precedute da , con valore di articolo sostantivante (il [fatto di] dire,
il [fatto di] pensare), ovvero, come crede qualcuno, di dimostrativo in funzione prolettica (dire questo e pensare questo:
.); in ogni caso evidente che la Dea (Parmenide) coinvolge
due verbi particolarmente pregnanti nel contesto della sua rivelazione: richiama immediatamente B3 e B2.2 (), mentre
pu collegarsi a (B2.6-8);
(iii) linsieme verbale , formato dal participio presente del verbo essere (, forma ionica di : essente, ovvero ente o ancora ci che e quindi anche essere) e
dallinfinito dello stesso verbo ( nella forma epica), che
4

Per le costruzioni e traduzioni alternative rinviamo alle note testuali al


frammento.

367

abbiamo reso, come appare naturale, come proposizione infinitiva


(dichiarativa) retta da e : si tratta della prima formulazione ambigua (per la multivocit del verbo essere) della tautologia centrale ( non fa che esprimerla in negativo: da
una lato lente di cui si afferma lessere, dallaltro il ni-ente
di cui si nega lo stesso essere).
Nel contesto la traduzione proposta appare plausibile, ed evidenzia la difficolt di interpretazione dellultimo blocco: la scelta
di Parmenide chiaramente quella di sfruttare la densit semantica della coppia participio-infinito dello stesso essere, per marcare lidentit di soggetto e verbo. Leffetto ricercato potrebbe essere quello su cui giustamente insiste la lettura heideggeriana di
Beaufret 5 e Conche 6 - di richiamare lattenzione sull
() dell, sullessere di ci che ; ovvero, pi semplicemente, sul fatto dessere, sull'evidenza dell'esistenza. da tener
presente che, in B2.7-8, la Dea aveva denunciato come:
-
poich non potresti conoscere ci che non (non
infatti cosa fattibile),
n potresti indicarlo.

B6 si apre appunto sostituendo allespressione negativa


di B2.7 il positivo ; al rilievo dellimpossibilit di conoscere e indicare (esprimere) ci che non , quello della necessit di
dire e pensare lessere dell. Nel passaggio interviene
limportante novit dellintroduzione del soggetto di
(), appunto: laffermazione e non possibile non
essere (B2.3: ) che caratterizzava il , percorso di Persuasione, trova in
B6.1a come proprio naturale soggetto di referimento. Nella
sequenza B2-B6, possiamo intendere come formula concettuale scaturita dalla riflessione sull'espressione della prima via di
5
6

Parmnide, Le pome, prsent par J. Beaufret, cit., p. 81.


Op. cit., p. 102.

368

ricerca per pensare7: formula che manifesta lessere di ci di cui si


afferma , ovvero come formula sintetica riassumente la totalit delle cose che si manifestano nella esperienza (come ricorda
Thanassas8, frequente luso del plurale nella sezione sulla
Altheia) di cui focalizza il fatto dessere: ci che , lente,
la cosa, , esiste. Siamo portati decisamente a credere che,
nel contesto, il valore di sia esistenziale, pur avendolo reso ambiguamente con essere.
Luso delliniziale anche senza volergli attribuire il significato forte di necessit logica funzionale alla ripresa della
conclusione negativa di B2 riguardo a , integrata dal rilievo di B3:

La stessa cosa, infatti, pensare ed essere.

Delle due vie di ricerca di B2 le uniche per pensare quella che pensava che non di fatto indisponibile, perch,
come abbiamo ricordato, ci che non non conoscibile n
esprimibile; questo porta la Dea in B3 a rilevare il nesso tra
e , tra il pensiero che svela () e lunico suo reale oggetto
possibile () alla luce delliniziale alternativa tra le vie.
Nellapertura di B6, ai due infiniti ( e ) viene esplicitamente attribuito un oggetto: la dichiarativa (ci che
). La Dea non si limita in questo modo a riprendere ed esplicitare la propria tesi: sottolinea anche come pensiero e discorso
debbano correttamente ammetterla 9 . A tale scopo, in B6.1b-2a,
ella reitera nella sostanza le risultanze di B2:
,

essere, infatti, possibile,
7

Thanassas, op. cit. p. 45.


Ivi, p. 44. B4.1-2, B8.25, B8.47-8.
9
Cordero, op. cit., p. 92. Preferiamo attenuare il carattere di necessit logica che
Cordero attribuisce a .
8

369

il nulla, invece, non .

La formula pu estrarsi positivamente dall'insieme


di affermazione e proibizione nella prima via di ricerca per pensare:
.

L'espressione , a sua volta, ribadisce l'assolutezza della seconda via:


,

attribuendo coerentemente a un adeguato soggetto


logico.
La traduzione dei due emistichi e la loro interpretazione sono
comunque particolarmente controverse.
Essere, non-essere

Traducendo letteralmente:
,

abbiamo almeno tre possibili costruzioni e relative plausibili


soluzioni:
(i) intendere il precedente come soggetto del primo emistichio e del secondo:
poich [ovvero: infatti] essere,
il nulla, invece, non ;

(ii) intendere come soggetto di entrambi, con predicato (come ):


poich [ovvero: infatti] essere,
e non nulla;

370

(iii) intendere come soggetto del primo emistichio e


del secondo:
poich [ovvero: infatti] l'essere ,
il nulla, invece, non .

Nell'ultimo caso, esplicitamente ritroveremmo la disgiunzione


\ , accompagnata dai due soggetti logici (il primo
, il secondo ) che la trasformano in una duplice asser-

zione tautologica (quindi vera). Per molti versi si tratta della versione pi naturale10, ma ha lo svantaggio di non dare del tutto ragione delluso di . Seguendo una affermazione (
), esso dovrebbe introdurre le proposizioni
in grado di giustificarla: ora la doppia tautologia (si tratta
dellaspetto che rende pi perplessi) sembra semplicemente riformulare la dichiarativa ( funge da soggetto in sostituzione
di ), negando lessere al soggetto contrario ([il] ni-ente). La
Dea, dunque, sosterrebbe la propria tesi direttamente, marcando la
non esistenza del non-essere: oggetto del dire e del pensare non
pu allora che essere ci che , perch solo ci che [lessere]
[esiste].
Il vantaggio di questa soluzione quello di mettere in valore la
possibile struttura delle due vie di B2: come abbiamo osservato,
la disgiunzione \ riformulata in termini tautologici,
dunque investirebbe in realt due verit, in questo senso proposte
come le uniche vie di ricerca per pensare 11, una delle quali (sviluppare coerentemente la premessa che ) feconda, laltra (sviluppare coerentemente la premessa che non ) assolutamente
improduttiva. Questo spiegherebbe il tono del discorso della Dea,
che cambia e si fa sprezzante solo quando denuncia la confusione
dei che incrociano le due vie: come fa osservare Giorgio

10

Tra l'altro potrebbe essere suffragata dal fatto che due codici (BC) di
Simplicio riportano .
11
In questo senso la lettura della Germani, op. cit., p. 191.

371

Colli 12 , la via enunciata in B2.5 non era stata rifiutata con disprezzo, perch volgare, come accade invece con quella formulata
a partire da B6.4.
Le altre due soluzioni, in fondo, non si allontanano concettualmente dalla precedente, trovando comunque nel contesto dei
frammenti una loro sensata giustificazione. Nel primo caso (poich essere, il nulla, invece, non ) sarebbe messo in valore l'essere di ci che (), dell'ente, ribadendo la non esistenza del
nulla, del "ni-ente"; nel secondo (la costruzione appare meno naturale) la Dea otterrebbe lo stesso risultato sottolineando che ci
che essere e non nulla.

necessario, possibile, non possibile


Uninteressante soluzione alternativa alla traduzione letterale
quella proposta da OBrien: essa, rendendo \ con valore potenziale, ricava da B6.1-2a tre espressioni modali: necessit (), possibilit (), impossibilit ( ):
Il faut dire ceci et penser ceci: ltre est; car il est possible dtre,
il nest pas possible que <soit> ce qui nest rien.

Poich possibile essere ed impossibile che il ni-ente sia, dire e pensare (presupposti nel ragionamento) dovranno riconoscere
come loro oggetto necessario lente. Come ricorda lautore 13, infatti, i candidati a essere oggetto di tali attivit sono e : il
primo pu esistere, il secondo no.
La difficolt di questa interpretazione principalmente legata
alla lingua greca, in cui assume valore potenziale in relazione
con un infinito: dunque legittima la traduzione del secondo emistichio del v.1, problematica la traduzione di B6.2a, nella quale,
12

Gorgia e Parmenide. Lezioni 1965-1967, a cura di E. Colli, su appunti di E.


Berti, Adelphi, Milano 2003, p. 175.
13
OBrien, tudes sur Parmnide, cit., vol. I, p. 214.

372

non a caso, OBrien sottintende un infinito ( <


>). Anche Mansfeld 14 opta per una (diversa15) resa potenziale in entrambi i casi, proprio per garantire la corrispondenza, pur
riconoscendo ininfluente la traduzione con valore esistenziale di
B6.2a (come abbiamo scelto di fare). Parmenide potrebbe dunque
aver derivato, dallaffermazione della possibilit dellessere e dalla negazione del nulla, la necessit che l'essere sia 16. Resta comunque valida lobiezione, avanzata da Leszl 17 , per cui, attribuendo alle due ricorrenze di valori diversi, verrebbe meno la
simmetria e soprattutto l'uniformit nellimpiego del verbo.

Le due vie di B2 in B6
In apertura di B6, insomma, la Dea ritorna sullalternativa delineata in B2, precisandola: sottolinea la necessit (correttezza)
del riconoscimento dell come oggetto di e , escludendo che ( di B2.7), teorico contenuto della via di
ricerca non ed necessario non essere, esista. In pratica ci
troviamo di fronte a una riproposizione in positivo della conclusione di B2. La puntualizzazione riguarda le uniche vie di ricerca per pensare: alla pura formulazione oppositiva \
si sostituiscono le espressioni tautologiche
, , e , con lesplicitazione, dunque, di adeguati soggetti logici.
14

Op. cit., p. 90.


Traduce: denn dieses (das Seiende) kann sein, ein Nichts hingegen kann
nicht sein.
16
Colli (Gorgia e Parmenide, cit., p. 174) ha osservato come l'affermazione
iniziale di B6.1 ( ) sia l'enunciazione della prima via di B2,
mentre B6.2 enuncerebbe la seconda. Ci confermerebbe, secondo Colli, i
soggetti delle due vie: ci che , ci che non . Questa lettura fa
cogliere un nuovo aspetto: nel frammento 6 ci sarebbe una congiunzione
delle due vie. Tra la possibilit che lessere sia e la necessit che il nulla non
sia, dovremmo scegliere la possibilit, che cos diventerebbe a sua volta
necessit.
17
Op. cit., p. 133.
15

373

In B2 la Dea aveva prospettato due potenziali percorsi di indagine gli unici per pensare:
(i) l'uno, ricercava pensando
, in pratica sviluppando le implicazioni dell'affermazione di
esistenza - - e negando possibilit al non-essere: valorizzando
il significato arcaico di (come un vedere che coglie immediatamente il proprio oggetto), si potrebbe sostenere che lungo
questa pista di indagine il focus era destinato a concentrarsi assolutamente sull'essere;
(ii) laltro, al contrario, tentava la ricerca imboccando la direzione opposta, pensando cio
, nello sforzo di ricavare le implicazioni della negazione
non rinforzata dal vincolo di necessit: in tal modo la seconda
via di ricerca per pensare tracciava un percorso verso il nulla,
subito inibito in quanto in tale direzione non vi era ni-ente
() da vedere e riferire.
La seconda via poteva essere delineata solo come radicale alternativa alla prima e sostanzialmente per confermarne la necessit: non possibile , nel senso originario di percezione mentale, se non di ci che . La Dea, infatti, aveva immediatamente
connotato la prima via come , in quanto capace
di condurre alla vera realt ( ): un convincente
chiarimento in merito era giunto per solo nei versi successivi,
quando, a proposito della via alternativa, ella aveva ammonito che
indisponibile alleffettiva conoscenza ed espressione.
In B2.7 la Dea aveva dunque estratto l'oggetto della seconda via,
implicitamente ponendo quello della prima. In B6.1-2a, abbiamo
l'indicazione in positivo dell'oggetto della ricerca:

e l'esplicitazione dei soggetti logici adeguati delle formule delle vie: ci che (ovvero l'essere ) e il nulla [ovvero, letteralmente: ni-ente] non .
A questa lettura che ha conseguenze, come vedremo, sull'interpretazione dellintero frammento - si contrappone in particolare
374

quella di Cordero (ma condivisa da altri), secondo cui nel complesso 6.1b-6.2a si registrerebbe la presentazione della prima
via18: il nulla non esiste di B6.2a sarebbe una semplice riformulazione di 2.3b: non possibile non essere, riferendosi quindi
alla prima via19. In questo senso si orientato di recente anche
Palmer20. Alla seconda via, a detta di Cordero, la Dea alluderebbe
invece subito dopo, connotando l'indiscriminata combinazione di
essere e non-essere: le cose dovrebbero essere e non essere allo
stesso tempo, come segnalato da B7.1 ( che esistano cose che non sono).
La struttura argomentativa, tuttavia, suggerisce che quanto
necessario riconoscere (dire e pensare) - la compiuta, esplicita espressione della formula per la prima via; a sua
giustificazione sono addotte la possibilit dell'essere e l'inesistenza del nulla. decisivo soprattutto questo rilievo. In B2.6-8 la
Dea aveva infatti sottolineato il nesso tra la seconda via e
: essa era sentiero del tutto privo di informazioni
( ) in quanto ci che non inconoscibile e
indiscernibile. La sua negativit ora tradotta nella tautologia
, come elemento dimostrativo per richiamare
lattenzione sulla necessit dell'opposto . Il guadagno
teorico su B2 riguarda sia la riconsiderazione critica (argomentativa) del (percorso di Verit), inizialmente
introdotto in forma direttiva, sia la definizione ufficiale del suo
oggetto: .

Il numero delle vie


indicativa la formula utilizzata per valorizzare largomento
proposto in apertura di B6: la Dea, infatti, con espressione caratteristica dellepica omerica ed esiodea, insiste:
18

By Being, It Is, cit., p. 99.


Ivi, p. 105.
20
Parmenides & Presocratic Philosophy, cit., pp. 112-3. Palmer offre comunque
un'interpretazione diversa delle vie.
19

375


Queste cose io ti esorto a considerare,

che sembra richiamare linvito iniziale di B2:


,
Ors, io dir - e tu abbi cura della parola, una volta
ascoltata.

Come in quel caso, la Dea sottolinea il rilievo dellalternativa


tra le due vie per la corretta comprensione della realt: il fraintendimento della loro natura, in effetti, allorigine della confusione
dei mortali che nulla sanno, come appureremo tra breve. Analogamente, dopo aver presentato la via ed necessario non essere, la Dea si premura di osservare (B2.6):

Questa ti dichiaro essere sentiero del tutto privo di
informazioni;

in B6.3, allora, ella ribadisce (immediatamente dopo aver affermato che il nulla invece non ):
< >
Da questa prima via di ricerca, infatti, ti < tengo
lontano >.

Questa versione del testo greco, con lintegrazione della lacuna dei codici assunta da Diels (sulla base di una tradizione che risale alla edizione aldina del 1526), stata vigorosamente avversata da Cordero e abbandonata anche da Nehamas 21 (e dalla Curd22),
i quali propongono, rispettivamente, di integrare con il verbo
- (forma media), cominciare:

21

A. Nehamas, On Parmenides Three Ways of Inquiry, Deucalion, 33-34,


1981, pp. 197-211.
22
Di ci diamo conto in nota al testo greco.

376

< >
since you < will begin > with this first way of investigation,
<< >
For, first, < I will begin > for you from this way of inquiry.

Lesigenza di mettere in discussione la lezione tradizionale,


sebbene giustificata da un punto di vista filologico dalla oggettiva
corruzione del testo dei manoscritti (con lulteriore possibilit che
la lacuna si estenda a pi versi), dettata soprattutto dalla incoerenza cui si va incontro interpretando i primi due versi del frammento come ripresa della sola via che e che non possibile
non essere, da cui, ovviamente la Dea non potrebbe trattenere
ovvero tenere lontano23, bens solo cominciare o invitare a
cominciare.
Pur segnalando la lacuna e riconoscendo la coerenza degli argomenti filologici di Cordero, non crediamo necessario integrare
secondo la sua lezione 24 , ma offrirla solo come possibilit.
Linterpretazione che proponiamo coerente con la lettura tradizionale, dal momento che consente di riferire il complemento iniziale e il dimostrativo alla formula . Essa
evocava l'unica indicazione desumibile dalla via di indagine che
non e che necessario non essere: l'oggetto che se ne pu estrarre in verit non esiste. probabile che dopo l'enunciazione
delle due vie la Dea avesse condotto la discussione a partire dalla
seconda, mettendo in guardia dal suo coinvolgimento: B6 e B7
rappresenterebbero la conclusione di tale disamina, mirata ad affermare la necessit del riconoscimento che . In questo
23

Noto, per inciso che, nel caso del verso B6.3, Cordero preferisce la lezione
dei codici BC a quella (pronome personale) di D (con E e F), di cui si era
sottolineata, per la lezione del verso precedente, la bont. Traducendo con il
personale ti, lintegrazione proposta risulterebbe impraticabile nel caso di
Cordero, meno naturale nel caso di Nehamas (comincer per te).
24
Che appare comunque plausibile, dal momento che la costruzione +
caratteristica nella letteratura greca arcaica.

377

senso, la seconda via prospetta diventa prima nellordine espositivo.

Da questa prima via di ricerca, poi da


quella.
Per chi (come Cordero, come noi e come altri) fa leva su B2
per sostenere un modello duale per le vie parmenidee, B6.4-5
propone una difficolt, che la soluzione di Cordero e Nehamas
effettivamente sembra risolvere, indicando una sequenza
nellesposizione della Dea. Adottando la congettura di Cordero
avremmo:
< >
,
< >
con questa prima via di ricerca comincerai,
poi con quella che mortali che nulla sanno
sinventano.

Una sequenza che potrebbe alludere alle due sezioni del poema, e richiamare B8.50-52, considerato passaggio conclusivo della Altheia e introduzione alla Doxa:



A questo punto pongo termine per te al discorso
affidabile e al pensiero
intorno alla Verit; da questo momento in poi opinioni
mortali
impara, lordine delle mie parole ascoltando, che pu
ingannare.

378

Nella tradizione interpretativa, stata decisiva (come per altri


aspetti) la presa di posizione di Karl Reinhardt25, il quale, dal confronto tra B2 e B6, ricav lindicazione di tre vie: (i) quella che
affermerebbe l'essere (ricavata da B2); (ii) quella che affermerebbe (a) l'essere non (ricavata da B2) ovvero (b) il nonessere (ricavata da B7.1); (iii) infine quella che affermerebbe
l'essere sia sia non ovvero sia l'essere sia il non-essere sono. La prima via da evitare (nella lettura tradizionale di Diels di
B6.3) sarebbe la seconda via di B2; laltra via da evitare (B6.4)
sarebbe allora una terza via rispetto alle due menzionate in B2:
dal momento che essa esplicitamente coinvolge la condizione dei
mortali, Reinhardt concludeva che dovesse concernere lambito
dell'opinione26. proprio per precisare questo passaggio classico
delle interpretazioni parmenidee che il nodo delle vie richiede di
essere affrontato e risolto (per quanto possibile) in questa sede.
A noi appaiono indiscutibili alcuni punti:
(i) B2 delinea in modo netto una alternativa ( ...
), marcando lesaustivit (le uniche per pensare ) delle vie
di ricerca prospettate;
(ii) B2 offre con le uniche vie di ricerca per pensare due direzioni d'indagine lungo le quali dirigersi:
(a) la prima muove dallimmediata evidenza:
(), estraendone essere () e respingendo la
possibilit della sua antitesi ( );
(b) la seconda dalla connessa negazione: non (
), marcando la necessit del non-essere (
);
(iii) lo stesso B2 registra immediatamente l'asimmetria delle
due vie indicate: l'indagine, infatti, non potr in realt procedere
lungo la seconda, in quanto non potrebbe discernervi alcunch:
non possibile conoscere n indicare ci che non ;
(iv) le vie di ricerca per pensare sono introdotte come vere e
proprie premesse della complessiva esposizione della Dea: le sue
25

Nel suo epocale K. Reinhardt, Parmenides und die Geschichte der griechischen Philosophie, Vittorio Klostermann, Frankfurt a.M. 1916.
26
Sulla questione molto chiara la ricostruzione di Leszl, op. cit., pp. 120-1.

379

parole (io dir - e tu abbi cura della parola, una volta ascoltata)
suggeriscono il rilievo cruciale dell'alternativa per il kouros (e
dunque anche per il discepolo, lascoltatore e il lettore);
(v) difficile quindi ipotizzare che Parmenide attribuisca alla
Dea la responsabilit di sostenere come possibile via di indagine
(per pensare!) la tesi contradditoria: - via dell'errore, come vorrebbe Cordero27: vero, piuttosto, che alla seconda via si alluder (B8.17-8) come (via non genuina), percorso di indagine che non pu concretizzarsi in conoscenza;
(vi) dalle due vie, invece, potranno essere estratte due verit
basilari per le successive argomentazioni: l'essere necessariamente, il non-essere non esiste. Mentre si potr procedere ulteriormente a determinare la prima via (seguendo i di B8),
nulla potr dirsi di pi della seconda, evocata solo per marcare la
necessit della direzione d'indagine alternativa.
Come segnala la Germani 28 (e, in una prospettiva diversa,
Cordero 29 ), potrebbe in questo senso non essere casuale l'eco
parmenidea della formulazione aristotelica del principio del terzo
escluso:

,
dire che l'essere non o che il non essere infatti
falso; [dire] che l'essere e il non essere non invece
vero (Metafisica IV, 7 1011 b26-27).

B6.1-2 costituirebbe, quindi, lo sviluppo della conclusione di


B2: la Dea, rievocando (implicitamente) l'alternativa tra le vie,
afferma la necessit di riconoscere che ci che (
), attraverso il rilievo della possibilit di essere (

27

By Being, It Is, cit., p. 73.


Op. cit., p. 193.
29
By Being, It Is, cit., p. 105 nota.
28

380

), e dellinesistenza del nulla ( )30. In B8.15-18

il passaggio sar richiamato:



, ,
-
-
Il giudizio in proposito dipende da ci:
o non . Si dunque deciso, secondo necessit,
di lasciare luna [via] impensabile [e] inesprimibile
(poich non
una via genuina), e che laltra invece esista e sia reale.

Il testo significativo, secondo noi, perch scandisce efficacemente le sequenze del procedimento parmenideo: (a) introduzione (logica: le vie sono per pensare) della disgiunzione \non
; (b) esclusione della via che non in quanto e
(che richiamano le connotazioni di B2.7-8); (c) riconoscimento dellunica via praticabile per la ricerca: essa esiste vera\reale (), mentre laltra non lo (non genuina,
), non pu costituirsi, per sua natura, come effettivo percorso di ricerca.
Liquidata la via in
quanto percorso di ricerca impraticabile (il nulla non ), prima
ancora di dedicarsi al sondaggio dellunica via genuina (
), la Dea si sofferma sullerronea
invenzione dei mortali che nulla sanno (
), effetto del colpevole misconoscimento delle implicazioni
nellalternativa . Ancorch prospettata come
, la strada imboccata dai chiara-

30

Largomento sarebbe quindi: (i) , (ii)


.

381

mente caratterizzata, nelle scelte espressive dellautore, come illusione31.

Limpotenza dei mortali


Il registro linguistico allinterno dei frammenti del poema muta sensibilmente, per assumere i toni della risentita disapprovazione:
,
< >,

e poi da quella che appunto mortali che nulla sanno
<si inventano>, uomini a due teste: impotenza davvero
nei loro
petti guida la mente errante (B6.4-6).

Questi versi assumono una grande importanza soprattutto per


lo sfondo culturale che sembrano evocare: Gigon, Verdenius, Pasquinelli, Frnkel sottolineano come la terminologia parmenidea,
ricavata da formule consolidate dellepica e della lirica greca arcaica, veicoli un senso tragico dellesistenza. Non a caso Jaeger 32
richiama i versi del Prometeo eschileo (probabilmente di pochi
decenni posteriore al poema Sulla natura):
,

,
,


31

Soprattutto se intendiamo il verbo retto da come forma di ,


mi invento e non di vado errando, come interpreta Diels, seguito
da molti altri.
32
W. Jaeger, La teologia dei primi pensatori greci, cit., p. 155. Lautore osserva:
par di sentire leco di unesortazione religiosa.

382

Parler senza disprezzo per gli uomini,


narrando solo del favore dei miei doni.
Dapprima essi, pur avendo occhi, in vano osservavano;
avendo orecchi non ascoltavano; solo di sogni
simili alle forme, la lunga vita
impastavano tutta senza disegno (Eschilo, Prometeo
incatenato 445-50).

Non vi dubbio che Parmenide, nei versi di B6, sia impegnato


a stigmatizzare una condizione mortale, facendo riecheggiare
spunti della tradizione letteraria che si possono ancora riscontare
nella produzione filosofica del V secolo in Eraclito ed Empedocle. La segna la costituzione dei (ricordiamo che
una divinit a parlare, ribadendo un consolidato stereotipo gi
impiegato dal poeta nel proemio): limpotenza si traduce in una
sorta di paralisi della comprensione, in una confusa percezione
della realt e in un vano orientamento. Proprio come denunciato
da Prometeo. Ma, rispetto al luogo comune fissato nel mito, Parmenide pone laccento sull'incapacit di discriminare tra le due
vie, e dunque su un intreccio perverso di essere e non-essere:
lobiettivo polemico appare dunque una falsa interpretazione del
mondo reale, dellesperienza, di cui si sottolineer
linconsapevole consolidamento nel linguaggio del sentire comune, in una vera e propria seconda natura ( di B7.3)33.
La Dea riferisce ai mortaliuna prima serie di caratteristiche
negative. Li qualifica come , che nulla sanno, una
formula frequentemente impiegata nellepica e nella lirica per indicare la limitatezza dellorizzonte umano 34 (concentrato sul presente, immemore del passato e ignorante del futuro) 35. Li connota
come , uomini a due teste, coniando un termine ad hoc
per alludere allo specifico deficit di comprensione: la mancata discriminazione tra le due vie comporta che quei mortali guardino
contemporaneamente in due direzioni. Attribuisce loro la finzio33

Su questo Ruggiu, op. cit., p. 257.


Ivi, p. 259.
35
A questa situazione mortale era stata contrapposta la conoscenza rivendicata
in B1.3 ( ).
34

383

ne (, si inventano) di una via: invenzione evidentemente frutto della confusione delle uniche vie di ricerca per
pensare. Denuncia la loro , la debolezza per cui la loro
mente () cede allattrazione del non-essere - alla vertigine del
nulla, come si esprime Conche 36. In tal modo ella collega a un
impulso irrazionale la chiave dellerranza dei mortali:
, nei loro petti, potrebbe riferirsi a una localizzazione
dello che consenta di differenziarne la funzione rispetto al
.
Queste determinazioni negative sono ulteriormente accentuate
con espressioni che sottolineano la fenomenologia del disorientamento:
.
, ,
Essi sono trascinati,
a un tempo sordi e ciechi, sgomenti, schiere scriteriate
(B6.6-7).

I mortali, dunque, non sono in controllo di s; il loro atteggiamento ne svela la radicale incomprensione, che si manifesta a
tre livelli: (i) nella perdita di contatto con la realt: gli organi di
senso deputati (la vista e ludito) producono nel loro caso dei
mortali isolamento, distorsione; (ii) nella conseguente tonalit emotiva della sorpresa37, da intendere nel contesto non come
positiva apertura alla comprensione, bens come sintomo della
condizione contraria: profonda confusione; (c) nella mancanza di
giudizio38, di discernimento (, ), con cui spregiativamente la Dea connota le schiere () dei , cio la loro
massa, il loro insieme indistinto, come confusa la loro percezione della realt.
36

Op. cit., p. 108.


Con formula omerica (): in Omero (Odissea XXIII, 105) lo
sgomento era attribuito allo e localizzato nel petto ( ).
38
Si tratta, a nostro avviso, dellindicazione pi importante nellinsieme del
frammento.
37

384

Le due sequenze su cui ci siamo concentrati sono interessanti


perch mostrano lo sforzo di Parmenide, per bocca della divinit,
di ridefinire lo stereotipo tradizionale della fragilit mortale: cos
nel poeta-sapiente non troviamo alcuna condanna delluomo in
quanto tale, semmai, sin dal proemio, il tentativo di individuare la
norma razionale che vincoli umano e divino (Untersteiner). In
questo senso la posizione di Parmenide appare vicina a quella del
contemporaneo Eraclito:



,
,
.
,

Di questo logos che sempre gli uomini si rivelano
senza comprensione, sia prima di udirlo, sia subito dopo
averlo udito; sebbene tutto infatti accada secondo questo
logos, si mostrano privi di esperienza, mentre si misurano
con parole e azioni quali quelle che io presento,
analizzando ogni cosa secondo natura e mostrando come
. Ma agli altri uomini rimane celato [sfugge] quello che
fanno da svegli [dopo essersi destati], cos come sono
dimentichi di quello che fanno dormendo (Sesto Empirico;
DK 22 B1)

, ,
,
proprio dal logos con cui hanno sempre costantemente
rapporto, essi discordano, e quelle cose in cui si imbattono
quotidianamente appaiono loro estranee (Marco Aurelio;
DK 22 B72)

385

ascoltando senza comprensione assomigliano a sordi;


di loro testimone il detto: pur presenti sono assenti
(Clemente Alessandrino; DK 22 B34)
.
,

E. dice che per coloro che sono desti il mondo unico
e comune, invece ciascuno di coloro che dormono ritorna
a un proprio mondo privato (Plutarco; DK 22 B89)

, , .



Coloro che vogliono parlare con intendimento devono
fondarsi su ci che a tutti comune, come la citt sulla
legge, e ancora pi fermamente. Tutte le leggi umane,
infatti, si alimentano dellunica legge divina: poich
quella domina quanto vuole, basta per tutte le cose e
avanza (Stobeo; DK 22 B114).

Senza voler entrare nel dettaglio dellinterpretazione del pensiero di Eraclito, sufficiente osservare come nelle citazioni sia
marcato lisolamento del sapiente rispetto alle opinioni condivise
dai pi: il suo discorso consapevole () che annuncia come
tutto accada secondo il logos (che manifesta dunque la struttura
stabile del mutamento) contrapposto allincomprensione (mancanza di intelligenza della realt) degli altri (uomini). Le espressioni impiegate denunciano chiaramente una condizione di
inversione: pur essendo il logos alla base della realt (in Eraclito
abbiamo una delle prime attestazioni di come ordine del
mondo) che li circonda, gli uomini () ne ignorano la
normativit; essi vivono cos non da desti () in una
condizione di torpore, stordimento: una sorta di sonnambulismo.
Ladesione al logos adesione a ci che comune ( ) e
quindi sensato, oggettivo, diversamente dallottusit della incon386

sapevole esperienza quotidiana, che convince falsamente di un


mondo frammentario, discontinuo, caotico (il tema
dellestraneit).
Lio della Dea di Parmenide e lio personale di Eraclito
sono come correttamente segnalato da Conche 39 - dalla stessa
parte, in quanto cooperatori del vero; dallaltra ci sono coloro
che non giudicano con la ragione: il segreto dellerranza dei
mortali nel loro stesso pensiero 40. A noi pare che lo studioso
francese abbia colto nel segno sottolineando come lespressione
evochi luomo collettivo, incapace di assumere la
decisione () riguardo alle due vie: in questo senso, analogamente a quanto registriamo nei frammenti dellEfesio, giudicare con intelligenza possibile solo allindividuo che si distacchi
intellettualmente dalle credenze collettive 41.

Una via inventata


Per riassumere e concludere sulle vie di B6, ribadiamo la convinzione che Parmenide reiteri, in apertura del frammento,
lalternativa di B2, introducendo poi, in relazione a essa, il tema
specifico dellerrore di fondo dei mortali. Il passaggio alla confusa combinazione delle vie accompagnato nel testo dal recupero del motivo tradizionale dellimpotenza umana (tanto pi significativamente in quanto affidato alle parole di una divinit), che
viene tuttavia curvato per corrispondere alle peculiari esigenze
polemiche dellautore. Il linguaggio parmenideo sembra insistere
soprattutto sulla natura illusoria di una (via di ricerca), scaturita in realt dalla presunzione e debolezza cognitiva
dei mortali. In questo senso esso non avalla alcuna terza via,
non le riconosce alcuna consistenza, nemmeno sul piano strettamente logico: mentre la via che pensa che non e che necessario non essere si presentava come uno dei corni della alternativa
39

Non a caso editore sia dei frammenti parmenidei, sia di quelli eraclitei!
Conche, op. cit., p. 107.
41
Ivi, p. 108.
40

387

fondamentale e, pur impercorribile, poteva almeno essere prospettata correttamente, questa presunta terza via stigmatizzata
come invenzione di coloro che nulla sanno, dunque come logicamente insostenibile.
Le due vie di B2 possono essere ritradotte in forma tautologica
in apertura di B6: e ; anche per la seconda via, dunque, a dispetto della sua negativit, possibile,
dunque, estrarre un soggetto, ancorch puramente formale ( ,
ovvero ). Dei - che nel loro scorretto argomentare e confuso parlare si fingono un commercio
delle due vie alternative - si rileva invece:


per i quali esso considerato essere e non essere la
stessa cosa
e non la stessa cosa (B6.8-9).

opportuno ricordare che Simplicio cita B6.1b-3 (dopo B2),


tralasciando lesordio del nostro frammento e concentrandosi sulla disgiunzione essere-non essere:
,


Sostiene che le proposizioni contraddittorie non siano
a un tempo vere [letteralmente: la contraddizione non sia
vera] in quei versi in cui biasima coloro che mettono
insieme gli opposti (In Aristotelis Physicam 117, 2).

Precisa inoltre:


Dopo aver biasimato coloro che congiungono lessere
e il non-essere nellintelligibile (Simplicio, Phys. 78, 2;
DK 28 B6).

388

Pur non concordando con lanalisi specifica di Leszl (vicina a


quella di Cordero), mi sembra inoppugnabile la sua osservazione:
Simplicio intende rilevare la contraddizione in cui cadono i mortali combinando termini incompatibili (essere e non-essere). Dei
mortali che nulla sanno la Dea parmenidea denuncia essenzialmente lincapacit di discriminare (essere e non essere), (la stessa cosa e non la
stessa cosa), che finiscono per essere contraddittoriamente riferiti a . Nella loro finzione, secondo la Dea, essi indifferentemente assumono e combinano termini in realt contraddittori, senza
rendersi evidentemente conto della loro incompatibilit: proprio
nella contestazione di tale ingiustificata, infondata assunzione, in
questo come nei due successivi frammenti, si appalesa
laccanimento verbale di Parmenide.

Lobiettivo della polemica


Ma chi sono i mortali cui si rivolge lattacco parmenideo?
possibile individuare un obiettivo specifico, ovvero dobbiamo
pensare a una generica presa di posizione? Parmenide si limita a
marcare la strutturale, originaria impotenza umana (come vuole
Reinhardt), magari per legittimare la funzione rivelatrice della divinit (come vuole Mansfeld), oppure dobbiamo intravedere nei
versi di B6 (come nei successivi di B7) la condanna di un errore
determinato? Pi precisamente: le assonanze espressive giustificano il coinvolgimento di Eraclito (e di suoi non meglio precisati
seguaci) come oggetto delle critiche (come credono in molti), o
dobbiamo piuttosto supporre che Parmenide prenda posizione in
generale rispetto allo sfondo complessivo (e grandioso) della sapienza milesia (come sostengono, tra gli altri e in modo diverso,
Untersteiner e Gadamer)?
In un certo senso, citando a conferma della nostra lettura i
frammenti eraclitei, abbiamo indirettamente gi preso posizione,
almeno rispetto ad alcune posizione consolidate del dibattito interpretativo.
389

Quella che mortali che nulla sanno


sinventano
Se da un lato corretta losservazione di Coxon, per cui in
B6.4 il complemento pronominale ( ) si riferisce alla
del verso precedente, e dunque a ricercatori,
dallaltro possibile che Parmenide abbia colto loccasione per polemizzare nei confronti di coloro (il greco indica genericamente
, mortali) che propongono un punto di vista ordinario,
teoreticamente ingenuo, in una veste ispirata o sapienziale. Nel
linguaggio della Dea sarebbero allora apostrofati (nulla sanno,
) presunti sapienti che esprimono, in verit, solo opinioni volgari.
Lerrore ascritto la mancata discriminazione delle due vie di
B2 - potrebbe genericamente riferirsi allincapacit di offrire una
coerente (con le uniche vie di ricerca per pensare) spiegazione
dei processi naturali, preoccupazione esplicitata in B8.38-41 e soprattutto nella seconda sezione del poema. Ricordiamo che anche
Eraclito ha modo di sviluppare, nei frammenti pervenutici, una
polemica analoga: la sua nuova nozione di saggezza da un lato lo
spinge a rifiutare i modelli della tradizione, discutendone lo spessore (il caso di Omero) o la competenza (Esiodo), dallaltro a contestare lenciclopedismo dei contemporanei:


Sosteneva che Omero fosse degno di essere cacciato
dagli agoni e frustato e analogamente Archiloco (Diogene
Laerzio; DK 22 B42)

,

Maestro dei pi Esiodo costui credono sapesse una
gran quantit di cose, lui che non aveva conoscenza di
giorno e notte: sono infatti la stessa cosa (Ippolito; DK 22
B57)

390

l'apprendimento di molte cose non insegna la sapienza,


altrimenti l'avrebbe insegnata a Esiodo e Pitagora e ancora
a Senofane e Ecateo (Diogene Laerzio; DK 22 B40)


, ,
.
Pitagora, figlio di Mnesarco, esercit la ricerca pi di
tutti gli uomini e raccogliendo questi scritti ne produsse la
propria sapienza, il saper molte cose, cattiva arte (Diogene
Laerzio; DK 22 B129).

Lobiettivo, nel caso di Parmenide, potrebbe dunque essere


generale, e coinvolgere le alternative al modello di sapienza filosofica che proprio la Dea interveniva a delineare, sollecitando il
kouros a meditare le sue parole e a giudicare con intelligenza.
Sul terreno filosofico difficile pensare che le posizioni della
tradizione milesia potessero meritare un'attenzione cos critica e
sprezzante. Il quadro offerto da Parmenide appare per molti versi
analogo a quello delineato a Mileto, con la fondamentale differenza che, nel suo caso, non si punta a riscattare linstabilit del
divenire nella permanenza della -: nel complesso dei
frammenti si pu cogliere, semmai, la denuncia della debolezza
degli schemi interpretativi ionici, come abbiamo gi registrato nel
commento a B4. Una polemica, aspra nei toni, come quella di B6
e B7 apparirebbe comunque eccessiva se rivolta effettivamente
verso la cultura scientifica di Mileto (sempre ammettendo la praticabilit, allepoca, di confronti del genere). Limpressione che
essa si rivolga piuttosto a una volgare contraffazione del sapere:
Conche ha probabilmente ragione a cogliervi un riferimento alla
massa di non filosofi, sordi e ciechi quando si tratta di intendere
la parola della Dea, la parola della Verit. Anche in questo caso,
potrebbe valere lanalogia con Eraclito.
391

Uomini a due teste


Allinizio del secolo scorso Dring 42 propose di leggere i versi
B6.4-9 come polemica antipitagorica: una prospettiva rilanciata
dalladesione di una quota minoritaria degli specialisti (tra i pi
autorevoli certamente Raven 43). Tra gli assunti di Dring 44 , soprattutto la convinzione che i primi pitagorici asserissero
lesistenza del vuoto, considerato identico al non-essere: posizione che Parmenide avrebbe riaffermato nella sua terza via, combinando essere e non-essere. Si tratta, evidentemente, di tesi discutibili, che speculano su una materia molto controversa, non solo per le carenze documentarie, ma anche per la complessit di
quel movimento culturale, con la sua tendenza a retroiettare verso
lorigine conquiste teoriche maturate nel tempo.
vero, daltra parte, che proprio queste difficolt non consentono di escludere che Parmenide, sulle cui relazioni con ambienti
pitagorici si molto insistito, potesse attaccarne posizioni specifiche, immediatamente comprensibili nel contesto storico-culturale
in cui erano avanzate, a un pubblico essenzialmente di uditori o
discepoli. Raven, in particolare, ha ravvisato in B6.4-9 un riferimento al modello dualistico pitagorico 45, in cui lo studioso riconosce un'impronta antica, pre-parmenidea. Esso troverebbe espressione nella tavola degli opposti attestata da Aristotele, riconducibile alla originaria opposizione di limite () e illimite
(), cooperanti nella generazione di tutti gli enti 46.
42

A. Dring, Geschichte der griechischen Philosophie, vol. I, Leipzig 1903.


Dello stesso autore Das Weltsystem des Parmenides, Zeitschrift fr Philosophie und philosophische Kritik, 104, 1894, pp. 161-177.
43
J.E. Raven, Pythagoreans and Eleatics. An Account of the Interaction between
the Two Opposed Schools during the Fifth and Early Fourth Centuries B.C.,
Cambridge University Press, Cambridge 1948.
44
Si veda Tarn, p. 68.
45
Sebbene nella successiva opera con Kirk tale riferimento cada, a favore della
possibilit del tradizionale coinvolgimento di Eraclito.
46
Aristotele, Metafisica, I, 5 986 a17-21:
,
,

392

In questo senso, gli uomini a due teste () cui allude


Parmenide potrebbero essere genericamente pitagorici oppure i
pitagorici responsabili dellelaborazione di quel modello dualistico: la testimonianza aristotelica, infatti, a dispetto dellaccenno a
un contributo specifico dedicato allargomento, rivela, (come nel
ricorso allespressione i cosiddetti pitagorici,
), incertezze di documentazione e difficolt di determinazione, ricostruendo un percorso di ricerca (dallo studio matematico all'applicazione dei suoi principi a tutta la realt) che potrebbe implicare un'evoluzione delle posizioni interne alla scuola.
In ogni caso per noi significativo il riferimento ad Alcmeone
(contempoaneo di Parmenide) in relazione alla tavola delle due
serie di contrari:

,
[
] [ ,]
[]
,
[...]
In tal modo pare pensasse anche Alcmeone Crotoniate,
sia che questi prendesse tale dottrina da quelli, sia quelli
da questo; poich, quanto a et, Alcmeone fior quando
Pitagora era vecchio, e si espresse in modo molto simile a
costoro. Sosteneva, infatti, che la maggior parte delle cose
umane sono dualit, pur non determinando, come fanno
questi, le opposizioni, ma proponendole a caso [...]
(Metafisica I, 5 986a 27-34).
( ),
, , ,

[Essi pongono] come elementi del numero il pari e il dispari;
di questi, il primo illimitato, l'altro limitato. LUno deriva da
entrambi questi elementi (, infatti, insieme, e pari e dispari).
DallUno, poi, deriva il numero; e i numeri, come s detto,
costituirebbero lintero universo.

393

Secondo la Timpanaro Cardini47, dalla testimonianza aristotelica si pu concludere che, come alla fisica ionica andava probabilmente ricondotta l'originaria dualit pitagorica (-),
cos alla cultura scientifica milesia dovevano risalire quelle opposizioni (riscontrate poi nella pratica medica) che Alcmeone contribu a introdurre nell'ambiente pitagorico, dove avrebbero ricevuto una elaborazione sistematica.
Insomma, non da escludere, a livello teorico, che le allusioni
critiche dei versi parmenidei possano investire temi e figure di
una tradizione che doveva risultare riconoscibile nello humus locale: in unepoca per la quale difficile valutare lincidenza della
distanza degli ambienti culturali, non vi dubbio che appaia plausibile una referenza pitagorica. Sul rapporto con la tradizione pitagorica avremo comunque modo di tornare nel commento a B8.

Il percorso torna all'indietro


Sin dallOttocento (Bernays) maturata tra un numero consistente di accreditati interpreti (Diels, Kranz, Mondolfo, Guthrie,
Tarn, Couloubaritsis, Giannantoni, Cerri, Graham, tra gli altri) la
convinzione che il vero obiettivo della polemica di B6.4-9 sia Eraclito (o, in alternativa, suoi presunti seguaci). Si va dalla supposizione motivata da considerazioni di contenuto (Guthrie 48), alla
lettura sostenuta dall'attenzione per la forma logica dei frammenti
(Tarn e Couloubaritsis), alle conclusioni giustificate da assonanze espressive (per esempio Cerri). Sono spesso impiegati, come
possibili evidenze testuali, le seguenti citazioni eraclitee:

47

Pitagorici antichi, Testimonianze e frammenti, a cura di M. Timpanaro


Cardini, Bompiani, Milano 2010 (edizione originale 1958-1964), pp. 134135.
48
Op. cit., p. 23.

394

non capiscono che ci che differente concorda con se


medesimo: armonia di contrari, come larmonia dellarco
e della lira (Ippolito; DK 22 B51)
,
, ,

congiungimenti: intero e non intero, concorde
discorde, armonico disarmonico, da tutte le cose luno e
dalluno tutte le cose (Pseudo-Aristotele [de mundo 5 396
b7]; DK 22 B10)

,
Negli stessi fiumi entriamo e non entriamo, siamo e
non siamo (Eraclito; DK 22 B49a)

non si pu discendere due volte nel medesimo fiume
(Plutarco; DK 22 B91a).

Nel testo di Parmenide si valorizzano per il confronto gli ultimi due versi (per lo pi tradotti diversamente49):

,
per i quali esso considerato essere e non essere la
stessa cosa
e non la stessa cosa: ma di [costoro] tutti il percorso
torna all'indietro.

49

La resa italiana pi frequente la seguente:


per i quali lessere e il non essere sono considerati la stessa
cosa
e non la stessa cosa: di tutte le cose c un percorso che torna
indietro.

395

Secondo Tarn, la sottolineatura parmenidea riferirebbe a Eraclito (DK 22 B10) lidentit dei contrari come identit-nelladifferenza, secondo un modello del s e no 50, che lEleate ricondurrebbe all'opposizione fondamentale essere-non essere (per cui
appunto lessere e il non essere sono considerati la stessa cosa e
non la stessa cosa). In questo senso, secondo Couloubaritsis,
lattacco di Parmenide sarebbe rivolto a una impostazione (quella
eraclitea) ancora prossima alla logica ambivalente del mito, in cui
la complementarit degli opposti suppone un legame indissociabile. Eppure lo studioso belga, nella modalit eraclitea di pensare
gli opposti, riconosce gi una presa di distanze da quella ambivalenza, soprattutto per lintroduzione di unopposizione pi inglobante, comune a tutti, quella appunto di essere e non-essere (DK
22 B49a, B91)51. Proprio la rottura radicale di quella logica caratterizzerebbe la della Dea parmenidea, discriminante dunque allo stesso tempo anche rispetto alla posizione di Eraclito 52.
Ancora di recente, Graham53 ha proposto di leggere lontologia
parmenidea come reazione prodotta dallimpatto dellopera di Eraclito, la cui provocazione sarebbe consistita nella esasperazione
della polarit presente nel modello ionico, con labbandono
dellidea di primato di una sostanza generatrice a vantaggio di
quella di processo universale, regolato da una legge di scambio di
masse elementari (fuoco, terra, acqua).
A questi elementi di contenuto o struttura, si aggiunge poi il
riscontro di uneco espressiva eraclitea, quasi Parmenide intendesse colpire un avversario evocandone le parole. Sebbene Tarn,
a proposito del conclusivo ,
metta in guardia dalla tentazione di leggervi un puntuale riferimento alle parole di Eraclito (DK 22 B51)54, altri hanno molto insistito su questo punto: tra i contemporanei, per esempio, Cerri
50

Tarn, op. cit., p. 71.


Couloubaritsis, op. cit., p. 199.
52
Ivi, p. 200.
53
Per esempio, sia in Explaining the Cosmos, sia in The Texts of Early Greek
Philosophy.
54
Semmai vi si dovrebbe ravvisare la caratterizzazione delle vedute degli
assertori dellidentit dei contrari (p. 72).
51

396

trova conferma in B6.9 di una vera e propria tecnica della citazione, gi emersa nel proemio con la evocazione del mito di Fetonte e delle Eliadi55.
Come Tarn e Couloubaritsis, anche lo studioso italiano marca
vicinanza e distanza specifica della posizione di Parmenide rispetto a Eraclito, il quale, pur avendo anticipato la teoria dell'identit
nella (apparente) differenza, manifest nei suoi enunciati paradossali viva consapevolezza della problematicit di tale verit, delle
oggettive contraddizioni insite nella realt naturale e umana 56 .
Cos non vi dubbio, secondo Cerri, che siano proprio le formule
scelte da Eraclito, del tipo e non , a essere imputate da Parmenide: il filosofo di Efeso avrebbe infatti praticato quella (presunta) terza via denunciata dallEleate 57.
Lo studioso italiano, inoltre, sottolinea come le scelte lessicali
di Simplicio, nel citare B6, mostrino come egli avesse inteso che
la (presunta) terza via del frammento non si riferisse a un ingenuo atteggiamento ordinario della mente umana, ma alla tesi specifica di un indirizzo filosofico: il linguaggio impiegato dal commentatore, infatti, sarebbe quello con cui la tradizione peripatetica
connotava inequivocabilmente la dottrina eraclitea 58.
Questa osservazione, tuttavia, non comporta alcunch riguardo
all'identificazione del referente dellattacco di Parmenide: tra gli
specialisti noto, infatti, come le ricostruzioni platonica e aristotelica propongano unanomalia di fondo, che si ritiene effetto dei
peculiari canali nella ricezione delle opinioni dei pensatori arcaici. Le prime collezioni delle loro tesi, infatti, sarebbero da attribuirsi, nella seconda met del V secolo a.C., ai sofisti Ippia 59, che
avrebbe approntato una selezione per temi, e Gorgia, che invece
avrebbe disposto il materiale per contrapposizioni teoriche:
dunque molto probabile che la versione offerta da chi (Platone e
55

Cerri, op. cit., p. 208.


Ivi, p. 206.
57
Ibidem.
58
Ivi, p. 208.
59
J. Mansfeld, Aristotle, Plato and the Preplatonic doxography and
chronography, in G. Cambiano (ed.), Storiografia e dossografia nella
filosofia antica, Torino 1986, pp. 1-59. A. Patzer, Der Sophist Hippias als
Philosophiehistoriker, Mnich 1986.
56

397

Aristotele appunto) diede inizio alle prime forme di storiografia


filosofica risentisse profondamente di quegli schemi riduttivi 60.
Mansfeld 61 ha marcato come ci risulti particolarmente evidente proprio nel caso di Eraclito e di Parmenide: del primo sarebbero stati esasperati la dottrina del flusso universale e della diversit (a scapito delle affermazioni su unit e stabilit); del secondo il motivo dellUno e dellimmobilit62. In realt, come abbiamo gi avuto modo di rilevare in precedenza, possibile leggere i frammenti di Eraclito in una prospettiva alternativa, tale da
rendere problematici le facili schematizzazioni.
LEfesio, in effetti, proprio nelle citazioni sopra riportate, potrebbe essere impegnato in un'operazione analoga a quella parmenidea: considerare i modelli cosmologici e cosmogonici della
prima riflessione ionica e delle teogonie poetico-religiose per estrapolarne gli schemi ricorrenti, sviluppando cos la prima indagine sistematica sulle forme della razionalit applicata alla ricerca. Concretamente questo si sarebbe tradotto nel rilievo di tre aspetti essenziali: i) l'universale pervasivit del divenire; ii) la forma inerente al divenire; iii) la stabilit persistente nel divenire.
Significativa anche laltra convergenza gi segnalata: Eraclito esplicitamente polemizza con alcune figure della tradizione - Omero, Esiodo, Archiloco - e intellettuali contemporanei - Pitagora,
Senofane, Ecateo - dalla cui sapienza egli si proponeva, evidentemente, di prendere le distanze, per delinearne, consapevolmente, quasi marcandone la novit, una propria.
Eraclito manifesta una verit relativa alla costituzione del
mondo fisico e umano - a cui, pur avendone potenzialmente accesso attraverso esperienza e riflessione, la maggioranza degli
uomini - indicata spregiativamente con lespressione i molti (
) - rimane estranea. In questo senso, analogamente al kouros privilegiato dalla rivelazione della Dea, egli avverte e marca il
proprio isolamento, sottolineando lo scarto tra una visione che va
60

Sebbene sia plausibile che Platone e Aristotele (e i suoi discepoli Teofrasto e


Eudemo) avessero accesso a un manoscritto dellintero poema.
61
F. Mansfeld, Sources, in A.A. Long (ed.), The Cambridge Companion to
Early Greek Philosophy, C.U.P., Cambrdige 199, pp. 22-44.
62
Ivi, p. 27.

398

al fondo delle cose afferrandone la natura e la semplice, superficiale erudizione () o la percezione parziale e distorta
che impronta le credenze degli uomini (). La pluralit
delle cose da lui colta come unitaria connessione cosmica,
allinterno di due limiti essenziali: i) il logos che sempre (
); ii) la totalit degli enti che sempre
divengono secondo questo logos (
).
Eraclito sottolinea il valore di norma del rispetto a ogni
accadere, con allusioni allunit della legge civile () - cui si
riconduce la identit della polis - e alla unicit della legge divina
(cui si riducono quelle umane), e ne afferma la funzione strutturante allinterno dei singoli enti. Cos, con riferimento al ,
tutto uno63, sia nel senso che le cose sono tra loro unitariamente organizzate secondo il suo piano, sia nel senso che nella
natura di ogni singola cosa si riflette il suo schema. Il la
legge che regola il prodursi e il divenire degli enti nel mondo, pur
rimanendo natura nascosta allo sguardo superficiale.
in considerazione di questi elementi teorici (al di l dei problemi di cronologia relativa, di non facile risoluzione 64 ) che la
supposizione di una polemica specificamente antieraclitea appare
esagerata, a meno di non insistere su un atteggiamento in realt
pi complesso (come sembrano fare Graham, Cerri e Couloubaritsis). Cerri, per esempio, riconoscendo come a Eraclito sia da attribuire un ruolo decisivo (da archegeta) nella ricostruzione della dottrina dellessere, giustifica lattacco di Parmenide come
effetto dellirritazione di fronte a unincongruenza (la combina-

63

DK 22 B50:
,

non me ascoltando, ma il logos, saggio convenire che tutto
uno.

64

Su questo tra gli altri Conche (p. 108) e Colli (p. 178).

399

zione di e non ), che rischiava di vanificarne lintuizione


scientifica65.
In questo senso, per, le battute parmenidee sembrano destinate a stigmatizzare un errore ovvero un'incoerenza che il sapiente
poteva cogliere non solo nelle espressioni della cultura tradizionale, ma anche nelle posizioni della stessa sapienza ionica. Ipotizzando per le opere degli autori presocratici come ha fatto di recente Maria Laura Gemelli Marciano 66 - un contesto culturale e
pragmatico molto concorrenziale, e concedendo quindi una
circolazione sufficientemente ampia delle idee nel bacino del Mediterraneo, potremmo attribuire alla polemica parmenidea un riferimento generico e specifico a un tempo: (i) agli ignoranti colpevoli di fondamentali fraintendimenti dei propri dati sensoriali (da
cui linsistenza sullottundimento degli organi percettivi: cecit,
sordit); (ii) ai poeti responsabili della divulgazione di quel volgare stravolgimento della realt; (iii) ai pensatori ionici, che non avevano evitato unambiguit di fondo, riconoscendo la forza del
principio a un elemento a scapito degli altri, concentrando
lessere in unarea della realt, piuttosto che in unaltra; (iv) al limite allo stesso Eraclito, essenzialmente per le sue provocatorie
enunciazioni di un logos che, per altri versi, Parmenide avrebbe
dovuto apprezzare: formule in cui, pericolosamente dal punto di
vista eleatico, essere e non-essere si trovavano accostati.
Al centro dellattacco dellEleate come confermer B7 sono gli uomini della contraddizione, coloro che implicano consapevolmente o meno67 lassurdo: che siano cose che non sono; in altre parole coloro (schiere senza giudizio) che, affidandosi acriticamente al dato empirico, condizionati dai meccanismi irriflessi dellabitudine, avanzano una inaccettabile terza via.
65

Cerri, op. cit., p. 209.


M.L. Gemelli Marciano, "Le contexte culturel des Prsocratiques: adversaires
et destinataires", in A. Laks et C. Louguet (ds), Quest-ce que la Philosophie Prsocratique? What is Presocratic Philosophy?, Presses Universitaires du Septentrion, Villeneuve dAscq (Nord) 2002, pp. 83-114.
67
In questo senso la lettura di Gallop (pp. 11-12), che attribuisce alle
convinzioni dei mortali riguardo a pluralit e divenire lassurda
implicazione che essere e non-essere sono la stessa cosa e non la stessa
cosa.
66

400

Come osserva Coxon68, la formulazione


da leggere in opposizione alla tesi
di B6.1a: : il verbo , con
la sua soggettivit, contrastato dai positivi (e oggettivi) e
. Conche giustamente pu marcare come lespressione mortali che nulla sanno si riferisca alla massa di non filosofi, che
Parmenide trova sordi e ciechi quando tenta di far intendere la parola della Dea, la parola della Verit 69. N va dimenticato un rilievo di Jaeger: evocherebbe non lopinione di un uomo o di qualche individuo, ma la communis opinio, la perversione del nomos dominante (cio della tradizione)70.
A questa ignoranza, tuttavia, possibile fossero associate nella
condanna anche quelle espressioni scientifico-filosofiche in cui il
discrimine tra le uniche vie di ricerca per pensare appariva debole o confuso: un fronte potenzialmente ampio, dai Milesi a Eraclito, passando per i pitagorici, la cui reale presenza polemica
comunque solo ipotetica.

68

Op. cit., p. 185.


Op. cit., p. 109.
70
W. Jaeger, La teologia dei primi pensatori greci, cit., p. 170, nota 36.
69

401

ESPERIENZA, ABITUDINE, GIUDIZIO [B7]


Il frammento, ricostruito nel corso delle successive edizioni
Diels e Diels-Kranz, un collage di diverse citazioni:
(i) Platone (Sofista 237 a 8-9) e Simplicio (In Aristotelis
Physicam 143, 31144, 1) riportano il secondo emistichio del
primo verso e lintero secondo verso;
(ii) Aristotele (Metafisica XIV, 2 1089 a) riproduce lintero
primo verso;
(iii) Sesto Empirico (Adversus Mathematicos VII, 111) trascrive i versi 2-6, citandoli di seguito a B1.28-32 e completandoli
con B8.1b-2a;
(iv) Diogene Laerzio (IX, 22) ci conserva i versi 3-5.
Le sovrapposizioni sembrano quindi assicurare la plausibilit
dellattuale ricostruzione e la ragionevole unitariet del frammento1, nonch la sua probabile saldatura con B8, in considerazione
del fatto che il secondo emistichio dellultimo verso di B7 citato
da Sesto corrisponde al primo verso della citazione dellattacco di
B8 in Simplicio. Anche da un punto di vista argomentativo appare
piuttosto stretto il nesso tra B6, B7 e B82 e la loro dipendenza logica da B2 e B3. Coxon3 ritiene possibile che B7 seguisse B4, a
causa delluso iniziale del plurale che richiamerebbe
- (B4.1). Mansfeld4 - che propone la sequenza di
tre blocchi logici (B2-B3, B6-B7, B8) riconosce la possibilit
che B5 si collochi tra il primo e secondo blocco.
Rispetto all'attuale ricomposizione del frammento, rimane aperto il problema della (parziale) citazione sestiana in continuit
con il proemio (e per questo accolta originariamente da Diels nel
primo frammento del poema 5 ), cui possiamo aggiungere anche
quello linguistico e metrico, ipotizzando l'ulteriore continuit di

Tarn, op. cit., p. 76.


Mansfeld, op. cit., pp. 91-2.
3
Op. cit., p 189.
4
Op. cit., p. 92.
5
Di recente Ferrari (Il migliore dei mondi impossibili, cit., pp. 49 ss.), che
sostanzialmente tornato a riproporre l'originale versione dielsiana.
2

402

B7.6[a] con B8.1[b]6. Attribuire l'origine delle difficolt a una libera citazione antologica da parte di Sesto, ovvero a una sua citazione da antologia poco affidabile7, non appare del tutto convincente, soprattutto alla luce del fatto che da Sesto abbiamo l'unica
citazione dell'intero proemio, con tracce della redazione psilotica
originaria (quindi di una tradizione alternativa a quella attica):
possibile, dunque, che egli disponesse di una buona copia del
proemio, derivata verosimilmente da un esemplare di tutto il poema8. Nel caso della sua citazione sarebbe semmai da valutare
l'intenzione teoretica di fondo: mentre Simplicio esplicitamente si
impegnava a documentare passi di un'opera ormai irreperibile,
Sesto potrebbe aver consapevolmente "montato" parti del poema
originariamente distinte, in funzione di un assunto generale: respingere la validit della sensazione come vero strumento di conoscenza9.
Nonostante perduranti perplessit, negli ultimi decenni la critica si mostrata tuttavia propensa a riconoscere la fondatezza della ricostruzione di Diels-Kranz anche riguardo al presente frammento. Non in discussione, in ogni caso, il suo ruolo critico, per
noi condizionato dalla ricezione di B6 e dalla soluzione del problema delle vie.

Una via che impossibile addomesticare


Lattacco del frammento, infatti, ci proietta ancora sulla krisis
di B2, ribadita allinizio di B6:

Nella citazione di Sesto, il verso iniziale di B8 costiuisce il secondo emistichio


(b) di B7.6a ( ). Ma la forma trdita -
- improbabile in epica, dove si troverebbe (in vece di
); d'altra parte, rettificandola, l'intero verso non reggerebbe
metricamente.
7
Per esempio Plamer, Parmenides & Presocratic Philosophy, cit., p. 380.
8
E. Passa, Parmenide. Tradizione del testo e questioni di lingua, Edizioni
Quasar, Roma 2009, p. 31.
9
Ivi, p. 30.

403



Mai, infatti, questo sar forzato: che siano cose che
non sono.
Ma tu da questa via di ricerca allontana il pensiero
(B7.1-2).

Il senso del primo verso coincide con la reiterazione della


condanna della contraddizione, da cui la Dea mette in guardia il
kouros, con scelte espressive ( , ma anche
, se accettiamo lintegrazione Diels per la lacuna di B6.2)
che richiamano evidentemente il frammento precedente. Il nume
sembra ancora impegnato a denunciare gli uomini a due teste
(), uomini della contraddizione appunto, formalizzandone
in questo passaggio, nei termini delle uniche vie di ricerca per
pensare ( [] B2.2), lassurdit.

Un pensare selvaggio
Due elementi spingono in questa direzione: (i) lespressione
introduttiva (o ) secondo cui inammissibile che cose che non sono ( ) sono [esitono] ();
(ii) il sostantivo , che, come vedremo, pu essere messo in
relazione sia con la formula , (giudica invece con
il ragionamento ovvero valuta discorsivamente, attraverso l'argomentazione), sia, per contrasto, con ,
labitudine nata dalle molte esperienze.
Per quanto riguarda il primo aspetto, la traduzione che abbiamo adottato sostanzialmente quella tradizionale, che Diels sugger sulla scorta della lezione platonica e Tarn ha difeso per la
sua sensatezza. Da OBrien e Conche ne stata proposta una versione pi letterale (di cui si data notizia in nota alla traduzione),
che aiuta a comprendere il valore dellaffermazione
: Jamais, en effet, cet nonc ne sera dompt, For never
shall this [wild saying] be tamed (OBrien); Car jamais ceci se404

ra mis sous le joug (Conche). Ci che la Dea vuol manifestare


linsostenibilit, lillegittimit della tesi che pu ricavarsi dalla
confusa posizione dei mortali che nulla sanno. La contraddittoria commistione delle due vie (che si fondano sullimmediata
evidenza e sulla sua negazione), il mancato apprezzamento
della loro disgiunzione, si traducono in una selvaggia (bestiale)
contaminazione, che impossibile domare, aggiogare, ricondurre a norma. Liddell-Scott-Jones propongono per damzw, in
questo caso, proprio in relazione a questa attestazione parmenidea, lo specifico valore di to be proved.
La durezza della presa di posizione della Dea, che reitera le
formule sprezzanti del frammento precedente, non si giustifica
come semplice messa in guardia rispetto alla inconcludenza della
seconda via ( ), il cui statuto, ricordiamolo, era stato
immediatamente definito in termini inequivocabili 10:

-
Proprio questa ti dichiaro essere sentiero del tutto
privo di informazioni:
poich non potresti conoscere ci che non (non
infatti cosa fattibile),
n potresti indicarlo (B2.6-8).

Ci che viene stigmatizzato piuttosto il fraintendimento corrente, consapevole o meno: il nume si riferisce a quelle posizioni
che assumono esplicitamente o comunque implicano lesistenza
del non-essere.

10

Insiste su questo punto, in diversi passaggi del capitolo 5 (Parmenides


Poem), la Wilkinson; in particolare pp. 77-8.

405

Cose che non sono


Non ovviamente sfuggito agli interpreti il fatto che in questi
versi Parmenide utilizzi il plurale - (una infinitiva,
per altro, con soggetto senza articolo, cos da lasciarlo indeterminato). Si per lo pi voluto cogliere in questa scelta un rilievo polemico nei confronti dell'esperienza sensibile 11, di una via dei
sensi che cerca di attribuire esistenza a cose che non esistono.
Anzi, secondo Cordero12, la critica delle attestazioni sensibili salderebbe gli ultimi versi di B6 allintero B7, in un complessivo attacco al dei mortali. Insomma, linfinitiva iniziale
( ), riassumendo B6.8-9, denuncerebbe lesito di un
modo di pensare quello di mortali che nulla sanno (
) condizionato, dalla fiducia nel dato sensibile e
dalla guida di un intelletto instabile, a credere che esistano cose
che non sono13.
Parmenide avrebbe impiegato il plurale ( ) e non il singolare ( ) perch il pensiero "selvaggio" di chi si allontana
dalla strada dellessere esercitato a partire dalle cose che si presentano nellesperienza14. In questo passaggio il filosofo non intenderebbe, tuttavia, riferirsi al non-essere, non sarebbe impegnato a rigettare la seconda via 15, ma a rilevare la contraddizione
indotta dal fraintendimento dellesperienza 16. Linsistenza su questo punto nei due frammenti che precedono (secondo le ipotesi di
ricostruzione cui abbiamo introduttivamente accennato) la lunga
analisi della prima via in B8.1-49, rivela come esso sia cruciale
nella economia del discorso di Parmenide, soprattutto in funzione
della seconda sezione del poema.

11

Tarn, op. cit., p. 77.


By Being, It Is, cit., p. 129.
13
Ivi, p. 130.
14
Ruggiu, op. cit., p. 263.
15
Come ritengono Cordero e Tarn.
16
Conche, op. cit., p. 117.
12

406

Una posizione diversa e pi specifica in proposito quella espressa da Coxon17, secondo cui il contesto di B7 sarebbe quello
di una critica non genericamente condotta nei confronti dell'esperienza sensibile o del suo fraintendimento, ma delle teorie fisiche
precedenti e contemporanee. Ci sarebbe confermato da Simplicio (In Aristotelis Physicam 650, 11-2), che cita il verso 2 proiettandolo nella discussione aristotelica degli argomenti del V secolo
a favore o contro lesistenza dello spazio vuoto:
,

non pu esservi il vuoto in ci che in senso pieno,
cos come non pu esservi il non-essere.

Nella sottolineatura parmenidea dell'inesistenza di cose che


non sono, avremmo allora una contestazione delle teorie ioniche
(i processi di condensazione-rarefazione cui alluderebbe anche
B4, i cui - sarebbero evocati appunto da
), e probabilmente delle posizioni di alcuni pitagorici sul
vuoto: logicamente B7.1-2 dipenderebbe da B2 e B4, in quanto a
essere coinvolta nellattacco sarebbe appunto la supposizione che
esista il vuoto (equiparato al non-essere), condizione per discriminare lEssere in . In pratica la Dea richiamerebbe il kouros (in questa prospettiva essenziale lenfasi sul tu personale)
dalla tentazione di seguire coloro che asseriscono lesistenza del
non-essere (vuoto)18. In effetti, come ci ricorda anche la Wilkinson19, il concetto di non-essere sarebbe associato nella riflessione arcaica al termine e alla nozione pitagorica di (illimitato): come risulta dalla testimonianza aristotelica, i Pitagorici
sostenevano che, dall'esterno illimitato soffio (
), il vuoto ( ) fosse penetrato nell'universo
() come respiro (), costituendo lo spazio discriminante e distanziante le cose:
17

Op. cit., p. 189.


Ivi, pp. 190-191.
19
Op. cit., p. 101.
18

407

,

, ,
[]


Anche i Pitagorici affermavano che esistesse il vuoto e
che esso dall'illimitato soffio penetrasse nell'universo
come se questo respirasse, e che il vuoto a delimitare le
nature, quasi il vuoto fosse una sorta di separatore e
divisore delle cose che sono in successione. Questo accade
in primo luogo tra i numeri: il vuoto, infatti, distingue la
loro natura (Aristotele, Fisica IV, 6 213 b22-27).

Come abbiamo osservato commentando B6, lipotesi di un


confronto con le tesi pitagoriche suggestiva, anche per
lambiente culturale cui si rivolgono i versi di Parmenide: le indicazioni di Coxon, in effetti, sono supportate dalluso di aggettivi
come (B8.24) riferito a - ovvero (B9.3) per
pieno:
,
, ,
,
N divisibile, poich tutto omogeneo;
n c qui qualcosa di pi che possa impedirgli di
essere continuo,
n [l] qualcosa di meno, ma tutto pieno di ci che .
(B8.22-24).


,

,
Ma poich tutte le cose luce e notte sono state
denominate,

408

e queste, secondo le rispettive propriet, <sono state


attribuite> a queste cose e a quelle,
tutto pieno ugualmente di luce e notte invisibile,
di entrambe alla pari, perch insieme a nessuna delle
due [] il nulla. (B9).

Nei due diversi contesti la sezione sulla Verit per B8, e,


quasi certamente, quella sulla Opinione, per B9 -, Parmenide associa a e omogeneit e pienezza, evidenziando, nel secondo caso, lassenza del nulla. Ci farebbe supporre implicito il rifiuto del vuoto ( ) e la sua identificazione con il nonessere (, nulla appunto), che solo Melisso avrebbe esplicitamente sostenuto:


N esiste alcunch di vuoto: il vuoto, infatti, nulla; e
ci che nulla non pu esistere (DK 30 B7.7).

Coxon 20 nota come Aristotele nella discussione sul vuoto


commentata da Simplicio (In Aristotelis Physicam 650, 11), cui si
riferisce la citazione di B7.2 coinvolga sul tema, oltre a Leucippo e Democrito, solo i Pitagorici: essi avrebbero appunto attribuito al vuoto una funzione discriminante, allorigine della pluralit
(in primo luogo dei numeri).
La proposta di Coxon non , tuttavia, del tutto convincente
nello specifico, in quanto non sufficiente a spiegare il ricorso a
per indicare il vuoto. Forse giustificato per designare i
supposti enti molteplici, effetto dellassunzione del vuoto-nulla,
luso del plurale come conferma anche il lessico di Melisso sembra improprio in riferimento a qualcosa che in s indiscriminabile e inconsistente.
Appare dunque pi probabile che lapertura dellattuale B7 riprenda la polemica aperta in B6 contro gli uomini a due teste,
formalizzandola in relazione alla krisis di B2: il del primo
verso sottolinea una continuit argomentativa che potrebbe trova20

Coxon, op. cit., pp. 189-190.

409

re, nella formula contraddittoria , la possibilit di


stigmatizzare con rigore lassurdit implicita nelle assunzioni di
. Forse la lettura di Mansfeld 21 incauta
nellassumere la validit dellintegrazione di Diels per B6.3,
ma la proposta complessiva di grande interesse: i primi due versi di B7 riformulerebbero B6; (B7.2) richiamerebbe
(B6.3), completandone il senso con un chiaro esempio di composizione ad anello. Lattacco ai mortali che nulla sanno sarebbe
dunque compreso tra il primo richiamo alla disgiunzione fondamentale (B6.1-2: , ) e linvito a
giudicare con il ragionamento ( ): due modi per
evocare la krisis di B2, prima e dopo la descrizione del mondo
umano 22.

Che siano cose che non sono


La Dea mette in guardia il kouros: a dispetto dellalternativa
rappresentata dalle uniche vie di ricerca per pensare e dunque
contro una coerente considerazione razionale della realt, si tenta
di far accettare lesistenza di cose che non sono. In gioco la presunta pluralit di non-enti ( ) in qualche modo associata,
nei versi successivi a , abitudine alle molte esperienze, un costume mentale scaturito dal commercio quotidiano
con il mondo. B4.1-2 pu essere su questo di aiuto alla comprensione:


Considera come cose assenti siano comunque per la
mente saldamente presenti;
non impedirai, infatti, che lessere sia connesso
allessere.

21
22

Op. cit., p. 91.


Ibidem.

410

Ci che non immediatamente percepito comunque razionalmente raccolto nellessere ( ), perch il impedisce
di considerare lessere a intermittenza, quasi fosse alternato al
non-essere. Sono i sensi ad attestare presenza e assenza immediate degli enti; labitudine a tale oscillante attestazione empirica a
tradire la corretta comprensione: una superficiale lettura dei dati
empirici spinge a riscontravi la successione di essere (presenza) e
non-essere (assenza). I sensi, in verit, non rilevano (n potrebbero) il non-essere, come giustamente ricorda Ruggiu23: essi attestano la presenza di qualcosa, quindi la sua assenza; mai, per, propriamente il nulla. Ci che la Dea contesta dunque una superficiale inferenza condotta dai mortali a partire dalla loro esperienza:
in Parmenide, come in Eraclito, non in discussione il valore dei
sensi, ma quello dei giudizi dei mortali 24.

Ma tu
Leggiamo ancora una volta lattacco di B7:


Mai, infatti, questo sar forzato: che siano cose che
non sono.
Ma tu da questa via di ricerca allontana il pensiero
(B7.1-2).

La Dea esorta il kouros a trattenere il pensiero ( )


dall'incosciente illusione che esistano cose che non sono (
). Ritorna il riferimento alla via di ricerca (
), che richiama B6.4-5:
[] [ ],

23
24

Op. cit., p. 266.


Conche, op. cit., p. 122.

411

< >, []
da quella [via di ricerca] che mortali che nulla sanno
< sinventano >, uomini a due teste []

Nel frammento precedente si era iniziato a costruire lo stereotipo degli sprovveduti mortali, impaniati nella contraddizione: il
loro, in fondo, era solo un preteso percorso dindagine, in realt
forgiato indebitamente (, sinventano).
In B7, invece, si punta su due elementi: (a) la dura presa di posizione ( ) rispetto alla pretesa che siano
cose che non sono; (b) lappello personale ( ) a trattanersi - evidentemente contrapposto con enfasi agli , alle
schiere scriteriate (B6.7), impotenti a discriminare essere e
non-essere.
Questo richiamo personale segue:
(i) liniziale allocuzione di saluto della dea al kouros (B1.2428) con lillustrazione del suo programma di istruzione (B1.28b:
);
(ii) linvito ad aver cura della comunicazione introduttiva sulle
due vie alternative di ricerca, da cui dipende la possibilit di accedere alla Verit (B2.1: ,
);
(iii) lesortazione ad atteggiare coerentemente la propria intelligenza (B4.1 e B6.2:
; );
(iv) la dissuasione dalla tentazione irriflessa di adeguarsi a uno
stile di pensiero (e comportamento) diffuso ma logicamente contraddittorio (B6.3-4: 25 <
>, ...).
In B7 registriamo dunque il compimento dello sforzo dissuasivo della dea nei confronti del kouros, esplicitamente sollecitato a
marcare il proprio atteggiamento intellettuale rispetto
allimpotenza dei mortali, a condividere razionalmente la disamina critica della Dea. La presunta "terza via" delineata es25

Il codice D di Simplicio riporta (cos come E e F); B e C, invece, .

412

senzialmente per distogliere da essa: B6 e B7 svolgono, in questo


senso, l'ufficio critico di liberare la mente dell'allievo (e dell'uditorio) da presupposti invalsi e premesse fallaci per concentrarla
sul compito arduo di riconoscere i segni scaglionati lungo la Via
dell'essere26.
Chiara Robbiano, interessata a valorizzare in chiave performativa lefficacia comunicazionale del poema, ha sottolineato lo
specifico effetto identificativo sullaudience. Essa stata incoraggiata a immedesimarsi nel destinatario della comunicazione divina: un uomo che sa (B1.3), partner degli dei (B1.24) sotto
legida di Themis e Dik (B1.28). Allaudience stata prospettata
quindi la scelta tra le alternative per pensare proposte dalla Dea: la via lungo la quale lei stessa a condurre alla manifestazione
dei segni della realt genuina, e laltra, da cui ella mette in
guardia, dal momento che, come abbiamo sopra ricordato:
- .

Ora, le vie dei mortali, nel loro sforzo di comprensione della


realt, implicano il nulla: cos in B7.4-5 la Dea metterebbe
sullavviso la propria audience contro il modo comune di guardare alle cose e di esperirle27, insistendo a stigmatizzarne confusione
e distorsione.
In questo senso, rispetto alla marcata contrapposizione del
tu ai mortali (e alle loro vie confuse), il riferimento della
Robbiano allo schema dissuasivo dellantimodello28: tra B6 e B7
la Dea connoterebbe uno stereotipo negativo (un antimodello, appunto), cos da condizionare nella scelta la propria audience interna (il kouros) ed esterna. Imboccare la via sbagliata impliche-

26

Ferrari, Il migliore dei mondi impossibili, cit., pp. 48-9.


Robbiano, op. cit., p. 97.
28
Secondo la lezione di Ch. Perelman & L. Olbrechts-Tyteca, Trait de
largumentation. La nouvelle rhtorique, Paris 1958, 80: le modle et
lantimodle.
27

413

rebbe, infatti, essere assimilati a una tipologia umana con cui nessuno intende identificarsi29.

Da questa via di ricerca


Come abbiamo segnalato in nota, nella testimonianza di Simplicio (forse direttamente dal testo del poema) la via di ricerca
da cui la Dea inviterebbe a tenersi alla larga (B7.2) sarebbe la seconda di B2 ( ), diversa da quella evocata in B6.4, inventata da mortali che nulla sanno:

[B6.8-9]
[B7.2], [B8.1
ss.]
Dopo aver biasimato infatti coloro che congiungono
l'essere e il non-essere nell'intelligibile [citazione B6.8-9]
e aver allontanato dalla via che ricerca il non-essere
[citazione B7.2], soggiunge [citazione B8.1 ss.] (In
Aristotelis Physicam 78, 2).

Certamente la seconda via coinvolta nel rilievo della Dea,


ma non nel senso che a essa immediatamente ci si riferisca: essa,
piuttosto, risulta implicata nella posizione espressa dai mortali
che combinano indiscriminatamente essere e non-essere. Ed per
questo motivo che B7.1 denuncia l'insostenibile contraddizione:
, dove, come abbiamo gi segnalato, il neutro plurale plausibilmente si salda alla prospettiva del fraintendimento
empirico di cui si renderebbero colpevoli i mortali.
Condividiamo dunque la lettura di B7.2 che Conche30 (e altri)
hanno avanzato: la via di ricerca incriminata sarebbe quella che
illusoriamente si forgiano, quella appunto
che pretende che i non-enti siano. Si tratta impropriamente di una
29
30

Robbiano, op. cit., pp. 103-4.


Op. cit., p. 120.

414

terza via, illegittima dal punto di vista della Dea: in B2 sono


definite le uniche vie legittime da un punto di vista razionale
(quello della Dea).

Il pensiero e labitudine
I versi che seguono lavviso della Dea contribuiscono probabilmente a chiarire lorigine dello sviamento dei mortali che nulla sanno:
,


n abitudine alle molte esperienze su questa strada ti
faccia violenza,
a dirigere locchio che non vede e lorecchio risonante
e la lingua (B7.3-5).

Appena invitato il kouros a trattenere il pensiero () dalla


fittizia via di indagine lungo la quale si trascinano i (o meglio certi) mortali, il nume richiama lattenzione sulle insidie
dellabitudine (), che allignano nella irriflessa consuetudine
quotidiana, con leffetto di stravolgerne il quadro: i termini in
gioco sono appunto (i) , che guadagna la sua forza dal contrasto con (ii) . Il linguaggio dei versi 4-5 riprende chiaramente la fenomenologia degli (B6.7): labitudine
contrastata con la valutazione intellettuale implicita in , che
pu dissolvere le illusorie (perch in s contraddittorie) certezze
empiriche.

Costume irriflesso
Di quale abitudine si tratta? La Dea la qualifica come
, probabilmente per marcarne lorigine dalle frequenti

415

esperienze, e ne rileva lazione a un tempo dispotica e insidiosa:


evidentemente il quotidiano rapporto sensibile con le cose, quanquando non guidato dall'intelligenza, pu indurre assuefazione e
spingere, inconsapevolmente, a ritenere che siano cose che non
sono. La nuova messa in guardia giustificata dai meccanismi
irriflessi che condizionano il nostro orientamento: proprio per
questo i sensi non possono essere separati dalla ragione 31.
sufficientemente chiaro che la condanna rivolta al cattivo
uso dei sensi per effetto dellabitudine e non ai sensi stessi: infatti marcato nel testo come sia l a forzare
() la percezione. Daltra parte, se la Dea esorta a giudicare
con la ragione perch lungo la via sconsigliata la ragione non
impiegata, sotto leffetto appunto dellabitudine 32. Costantemente
sottoposti a input sensibili che richiederebbero di essere correttamente analizzati, i mortali sviluppano una acritica dimestichezza
con le cose, progressivamente avviluppandosi in una spirale di
incomprensioni.
Eraclito aveva espresso forse lo stesso punto di vista:


Cattivi testimoni per gli uomini sono occhi e orecchi,
se essi hanno anime barbare [balbettanti] (Sesto Empirico;
DK 22 B107).

LEfesio riconosce allanima una funzione intellettuale la


presenza a s stessi, la consapevolezza - testimoniata da prontezza
di direzione, controllo sui gesti e in genere sul corpo (si vedano,
per esempio, i frammenti B85 e B118) integrata dalla capacit
di discernimento, senza la quale, sostiene il filosofo, i sensi sono
fuorvianti. I dati sensoriali in s considerati sono insufficienti, richiedendo il vaglio critico della psych, proposta come istanza
indipendente rispetto alla sensibilit. Interessante, nella prospettiva parmenidea, luso dellaggettivo barbaro, in cui stata ravvisata la probabile implicazione linguistica: il termine si riferisce,
31
32

Ruggiu, op. cit., p. 267.


Conche, op. cit., p. 121.

416

infatti, o al balbettare di chi non ha un buon controllo della lingua


(gli stranieri) o alla incomprensione di chi non conosce il linguaggio. A sottolineare lessenziale ruolo dellanima come facolt
di raccolta, decifrazione e intellezione dei dati empirici.
In Parmenide, come in Eraclito, non in gioco il valore dei
sensi, ma quello dei giudizi e del linguaggio dei mortali: i sensi,
in effetti, non fanno che attestare presenza e assenza; il resto
frutto del giudizio e del linguaggio umani, che attribuiscono ai dati sensoriali una consistenza ontologica che essi non rivendicano 33 . Lerramento dei mortali marcato dalla Dea (come in
B6.4-9) come erramento del pensiero, intellettuale: se consideriamo il contesto del suo discorso, assicurato da B1, potremmo
convenire con Conche che, se la via della Dea discosta dalla
pista degli uomini ( B1.27),
labitudine, al contrario, pare proprio trattenere e intrattenere su
quel percorso 34. In questa prospettiva lesortazione rivolta al kouros in B7.2 ( ) pu essere letta di nuovo in parallelo con il frammento B1 di Eraclito
(gi utilizzato nel commento a B6): lisolamento del sapiente rispetto alle opinioni condivise dagli altri uomini (
) si rivela nella tensione tra il suo discorso consapevole
- che annuncia il dominio del logos su tutta la realt - e
lincomprensione degli uomini (nei frammenti connotata come
torpore, stordimento, una sorta di sonnambulismo) per le cose che
li circondano, tanto pi grave in quanto essi pure si muovono
nellambito di quella legge universale e eterna, cui improntato il
divenire di tutti gli enti.
Ramnoux35 preferisce allora al termine abitudine il termine
costume, per evidenziarne un effetto: esso ci spinge a giudicare
come tutti gli altri, ad assumere un punto di visto ordinario, come
se il nostro sguardo fosse privo di una propria identit. Per questo,
dunque, lappello personale della Dea al discepolo affinch valuti
33

Ivi, p. 122.
Ivi, p. 121.
35
C. Ramnoux, Parmnide et ses successeurs immdiats, Monaco, Ed. du Rocher, 1979, p. 111. La referenza di Conche, op. cit., p. 121.
34

417

ragionando. Conche 36 ne ricava un'indicazione suggestiva:


labitudine esercita il suo potere in modo insidioso, facendo leva
sulla pressione sociale, con il risultato di alienare il giudizio personale nel giudizio collettivo. La via ordinaria la via collettiva
dei mortali; la via della Dea, la via della Verit, la via singolare del kouros37.
Sempre in relazione a Eraclito, ma allinterno del pi generale
quadro di riferimento della cultura arcaica, Cerri 38 valorizza
lespressione , il vezzo di molto sapere. I termini e (in greco sinonimo di e
) indicherebbero lattitudine alle molte esperienze, a collezionare notizie, denotando in ultima analisi una forma di cultura
nozionistica, nellantichit attribuita per esempio a Solone39, impartita con la memorizzazione scolastica, che Platone (Leggi
7.811 a-b) esplicitamente condanna (come e
), ma gi duramente stigmatizzata, come in precedenza
ricordato, da Eraclito (DK 22 B40; B129). Appoggiandosi a Gemelli Marciano40, anche Chiara Robbiano ha di recente ricordato
come nel contesto presocratico (in particolare in Senofane, Eraclito ed Empedocle) sia costante la polemica nei confronti di altri
filosofi ma soprattutto di altre autorit in campo culturale e sapienziale. In questo senso sarebbero da leggere le aspre critiche di
Parmenide in B7: il riferimento sarebbe alla come sapienza tradizionale, che raccoglie e accumula conoscenza intorno
a molte cose41.

36

Che, ricordiamolo, anche editore di Eraclito.


Conche, op. cit., p. 122.
38
Op. cit., pp. 61-2.
39
Il quale (Plutarco, Sol. 2.1) avrebbe compiuto viaggi in giovinezza a scopo di
esperienza molteplice e di indagine conoscitiva.
40
M.L. Gemelli Marciano, Le contexte culturel des Prsocratiques: adversaires
et destinataires, cit., pp. 83-114.
41
Robbiano, op. cit., p. 102.
37

418

Occhio, orecchio e lingua


La forza della consuetudine dunque contrastata dalla persuasivit (B2.4) che caratterizza il viaggio lungo la via autentica42: il logos deve rettificare leco confusa della comune ricezione
empirica, la cui cifra , ribadiamolo, essenzialmente la distorsione:
,


n abitudine alle molte esperienze su questa strada ti
faccia violenza,
a dirigere locchio che non vede e lorecchio risonante
e la lingua (B7.3-5).

Parmenide recupera un motivo tradizionale, che ha riscontri in


Omero43 e nei lirici e ritorner ancora in Empedocle (DK 31 B3),
ma soprattutto, come abbiamo gi ricordato a proposito di B6.7,
in Eschilo:
,
,


Dapprima essi [gli uomini], pur avendo occhi, in vano
osservavano;
avendo orecchi non ascoltavano; solo di sogni
simili alle forme, la lunga vita
impastavano tutta senza disegno (Eschilo, Prometeo
incatenato 447-50).

Couloubaritsis ritiene che i (analogamente a


) sarebbero da identificare con le cose, cui Parmenide
42
43

Coxon, op. cit., p. 191.


Coxon (p. 192) sottolinea la risonanza omerica (non luso che se ne fa )
dellintero verso 4.

419

negherebbe lo statuto di essere, attribuendo al commercio quotidiano con esse, allesperienza multipla, quella violenza sul pensiero che si traduce nella identificazione del reale con il divenire44. In verit, la Dea insegnerebbe che il loro statuto quello di
nome (): svuotate di ogni consistenza ontologica, le cose sono cos destinate a sparire. Secondo lautore belga, dunque,
questa prima forma di nominalismo condannerebbe ogni tentativo di attribuire realt alle cose come vuoto parlare, parlare
per non dire niente45.
Noi riteniamo che in B7 Parmenide rilanci la propria denuncia
contro il modo comune di guardare alle cose e di esperirle: i mortali implicano il non-essere nel tentativo di comprendere la realt
attraverso il dato sensibile: dunque, per riprendere una osservazione della Robbiano 46 , la Dea ammonisce la propria audience
che quando si coinvolge il non-essere, non si trover la verit. Per
riprendere una formulazione, che ci pare efficace, della Wilkinson47, la Dea non critica i mortali perch percepiscono in modo
scorretto, piuttosto critica i mortali perch nominano in modo
scorretto quello che percepiscono48.

Logos e elenchos
Il frammento si chiude con una esortazione notevole:


Giudica invece con il ragionamento la prova polemica
da me enunciata (B7.5-6).

Linteresse del passo legato alla connessione tra vocaboli destinati a diventare tecnici nelle filosofie posteriori - e
44

Mythe et Philosophie, cit., p. 201.


Ivi, pp. 201-2.
46
Op. cit., p. 97.
47
Op. cit., p. 105.
48
Enfasi dellautrice.
45

420

: il kouros invitato a valutare, a sottoporre a scrutinio,

con il logos (con il discorso, con l'argomentazione) lelenchos


(qualificato come , polemico, ma anche molto contestato) appena proposto (sulle implicazioni temporali del participio aoristo si veda la nota alla traduzione). La Dea, con
trasparenza, sollecita il proprio interlocutore a prendere piena coscienza della forza (razionale) della contestazione condotta: (i)
ogni distanza (tra umano e divino) cos annullata sul terreno
dellargomentazione: il potere del logos pu accomunare docente
e discente; (ii) giudicare e discriminare appaiono come operazioni
implicanti il logos e riferentesi a una prova destinata a contestare: in senso aristotelico, un argomento che intende accertare
una contraddizione.
Il termine indicava originariamente lattivit e il risultato
del raccogliere (), donde una prima associazione semantica alla numerazione e le successive due linee di sviluppo: (i)
enumerazione e racconto (inteso appunto come raccolta e ordinamento di fatti), quindi discorso; (ii) conteggio, calcolo,
stima, ragionamento. Nel nostro contesto, e nella associazione
con , espressione di operativit razionale: argomentazione, riflessione. Nel contemporaneo Eraclito, risulta polivalente, designando a un tempo il discorso, la sua espressione
scritta, il suo significato; con una forte valenza ontologica, nella
misura in cui viene utilizzato per designare la struttura della realt, la sua misura interna. Secondo Ruggiu49, anche in Parmenide,
come in Eraclito B1, indicherebbe quella peculiare forma di
conoscenza razionale che (analogamente al ) consente di penetrare il senso profondo delle cose.
A determinarne laccezione proprio lassociazione con
: il valore etimologico originario del verbo (da cui
discende il sostantivo ) provocare vergogna, una vergogna che scaturisce dalla cattiva figura; collegato a esso il significato di smentire una menzogna, riuscire a provare che
qualcuno colpevole di una menzogna. possibile che in questo
49

Op. cit., p. 267.

421

modo il verbo abbia assunto il senso di mettere alla prova, verificare, accertare qualcosa.
Lespressione sembra dunque riferirsi proprio alla critica, sviluppata tra B6 e B7, nei confronti della presunta sapienza tradizionale, probabilmente delle tesi di pensatori
ionici e forse pitagorici. Una vera e propria confutazione, se consideriamo che la polemica consistita essenzialmente nel denunciare la contraddizione implicita in quelle posizioni.
La Dea dapprima (B2.3a; B2.5a) propone lespressione diretta
della semplice e immediata esperienza della realt, , contrapponendole la negazione ( ): da questa alternativa fondamentale e radicale, pu ulteriormente ricavare (B2.7)
e (B42; B6.1) come soggetti (ancorch il primo solo logico, il secondo reale) delle due coerenti vie per pensare. Quindi, dopo aver riformulato (B6.1-2) in termini tautologici (
; ) il contenuto delle vie, ella si concentra (B6.4-9; B7) sul cortocircuito prodotto nel pensiero () dei
mortali dalla loro contraddizione 50, cio dallincauta contravvenzione delle norme: (B2.3b);
(B2.5b).
In questo senso la prova intorno a cui la Dea invita il kouros
a meditare , nella posteriore accezione aristotelica, una confutazione (), deduzione di una contraddizione (),
cio procedimento dialettico per eccellenza 51.

50
51

Heitsch, op. cit., p. 161.


Su questo si vedano in particolare i contributi di Enrico Berti, ora raccolti in
E. Berti, Nuovi studi aristotelici. I Epistemologia, logica e dialettica,
Morcelliana, Brescia 2004.

422

PERCORSI NELLESSERE [B8 VV. 1-49]


Il frammento B8 ci interamente conservato da Simplicio, in
due passi del suo commento alla Fisica aristotelica, ma brevi citazioni (per lo pi di singoli versi) sono riscontrabili nello stesso
commentatore, in Platone, Aristotele, Pseudo Aristotele, Aetius,
Plutarco, Clemente, Eusebio, Plotino, Teodoreto, Proclo, Ammonio, Filopono, Asclepio, Damascio. La collazione dei codici ha
creato, almeno in alcuni casi, non pochi problemi per la ricostruzione del testo originale, con conseguenti, profonde divergenze
interpretative, come abbiamo gi documentato nelle note.
Lacribia nella discussione critica si giustifica per il rilievo del
lungo frammento, attestato dalla stessa messe di citazioni e comunque dalla sua eccezionale tradizione (B8 rimane uno dei pi
lunghi passi superstiti della sapienza greca arcaica): con tutta probabilit in questi versi Simplicio ci ha conservato (consapevole
della rarit dellopera) lintera comunicazione di verit del poema
- dopo le premesse (B2, B3) e un primo esame critico (B6 e B7) insieme con lintroduzione della sezione convenzionalmente designata come Doxa (che, secondo i calcoli contemporanei, da sola
doveva coprire i 2\3 dellopera):
,



.

anche a costo di sembrare insistente, vorrei aggiungere
a questi miei appunti i non molti versi di Parmenide
sull'essere uno, sia per il credito delle cose da me dette, sia
per la rarit dello scritto parmenideo. Dopo l'esclusione
del non essere, le cose stanno cos: [B8.1-52] (Simplicio,
Commentario alla Fisica 144, 25-29).

Nella nostra edizione e nel nostro commento abbiamo deciso


di dividere i due segmenti, ma solo per ragioni di omogeneit:
abbiamo in altre parole preferito concentrare lattenzione prima
423

sulla presunta ontologia del poema, per passare poi in modo pi


sistematico a discuterne i principi interpretativi della natura.

La via che e la Verit


Diogene Laerzio (IX.22), a proposito delle tesi di Parmenide,
afferma:
,
,
Disse che la filosofia si divide in due parti, luna
secondo verit, laltra secondo opinione.

Alla luce di quanto risulta dalla nostra analisi di B1, tale struttura emerge dal programma annunciato dalla Dea in B1.28b ss.:


, .
,

Ora necessario che tutto tu apprenda:
sia di Verit ben rotonda il cuore fermo,
sia dei mortali le opinioni, in cui non reale
credibilit.
Nondimeno anche questo imparerai: come le cose
accolte nelle opinioni
era necessario fossero effettivamente, tutte insieme
davvero esistenti.

Nella prima sezione (dopo il proemio) indicata - per antica


consuetudine, sulla scorta di tale programma - come Verit1, ritroveremmo dunque - concentrato essenzialmente in B8 linsegnamento (, anche imparare) del cuore fermo di
1

E che ricordiamolo - Parmenide in B2.4 designa come percorso di Persuasione.

424

Verit ben rotonda ( ), correlato


alla denuncia (B6, B7 e ancora B8) dellerrore insito nelle opinioni dei mortali ( ). La sezione indicata come Opinione sarebbe (nella nostra interpretazione) da mettere invece in
relazione allultimo punto del programma: conterrebbe cio una
lezione (, apprenderai) adeguata su , sui
contenuti dellesperienza.
significativo dell'originalit della sezione sulla Verit soprattutto di B8 - il fatto che le citazioni relative siano pi numerose e consistenti. Dei tre blocchi testuali in cui supponiamo fosse
articolato il poema Proemio, Verit, Opinione - lapertura proemiale, che si prestava allallegoresi, dovette riscuotere particolare attenzione in et ellenistica: probabilmente da una tradizione
stoica dipende, infatti, la sua interpretazione da parte di Sesto
Empirico, che anche l'unico a riprodurne integralmente il testo
(forse da fonte non attica 2). In genere, per, gi la produzione del
V secolo a.C. attesta lincidenza del modello argomentativo e della concettualit della Verit, che doveva costituire novit rispetto
all'arcaica elaborazione ionica, sebbene, come vedremo, sia molto
probabile che i "naturalisti" posteriori, da Empedocle agli atomisti3, abbiano adottato uno schema interpretativo desunto dalla Opinione. Anche la consistente eco parmenidea in Platone e Aristotele per lo pi riferita alla Verit e solo subordinatamente (so2

Secondo Passa (op. cit., p. 31), infatti, Sesto avrebbe utilizzato fonti diverse per
il testo del proemio e per la sua parafrasi: nel secondo caso, la fonte potrebbe
effettivamente essere stoica; nel primo caso, invece, la tradizione sestana
l'unica a conservare traccia dell'antica redazione psilotica del poema. Passa
ne conclude che plausibile che Sesto disponesse di una buona copia del
proemio, derivata verosimilmente da un esemplare dell'intero poema.
3
Alexander Nehamas ("Parmenidean Being/Heraclitean Fire", in Presocratic
Philosophy. Essays in Honour of Alexander Mourelatos, edited by V. Caston
and D.W. Graham, Ashgate, Aldershot 2002, pp. 51-2) sottolinea come,
nonostante i presocratici posteriori avessero mutuato le caratteristiche
ontologiche illustrate da Parmenide, nessuno si sentisse in dovere di
sostenere l'introduzione di una pluralit di elementi giustificandola
argomentativamente. Quasi non ce ne fosse bisogno: un segno, forse, di
continuit con il poema. D'altra parte, Melisso, che non attribuisce
esplicitamente a Parmenide le proprie posizioni, si impegn a giustificare il
proprio numerical monism: un segno, forse, di discontinuit con il poema.

425

prattutto in Aristotele) alla Opinione, cio a quella che doveva


presentarsi come una pi tradizionale trattazione peri physes.
inoltre interessante osservare come, anche da un punto di vista musicale, dellesperienza di ascolto dellintero poema, B8 si
distacchi dal resto, deviando spesso dalla cadenza del verso omerico: solo nei versi nella terza sezione il linguaggio ritorna alla
semantica convenzionale e ordinaria e alle relazioni sintattiche
caratteristiche del proemio4. La reiterazione di (senza soggetto) produce (i) uninterruzione di ritmo (suono) e (ii) una dissociazione di significato 5, come se Parmenide intenzionalmente
rompesse la sintassi, le regolari relazioni semantiche e le relazioni
logiche o strutturali: sia che il poema si legga in silenzio, sia che
si ascolti in lettura, in B2 e B8 (senza soggetto) incombe, con
eco amplificata dal ritorno al ritmo poetico consueto nei due terzi
finali del discorso della dea6.

La via che
Lattacco del frammento (vv. 1-3a) non sembra lasciare dubbi
sul contenuto:


,
Unica parola ancora, della via
che , rimane; su questa [via] sono segnali
molto numerosi: che...

Esplicito il richiamo a B2 (; ) e ai suoi esiti: rimane


ununica parola da ascoltare, dopo che si riconosciuto
limpraticabilit di alternative. giunto dunque il momento di in-

L.A. Wilkinson, Parmenides and To Eon, cit., p. 107.


Ivi, p. 96.
6
Ivi, p. 107.
5

426

camminarsi lungo la via che appartiene a e . Su


questo Parmenide ancora pi netto nei vv. 15-18:

, ,
-
- .
Il giudizio in proposito dipende da ci:
o non . Si dunque deciso, secondo necessit,
di lasciare luna [via] impensabile [e] inesprimibile
(poich non
una via genuina), e che laltra invece esista e sia reale.

Nel sottolineare la bont del proprio argomento, la Dea ricostruisce sinteticamente la ratio per cui []
(unica parola ancora [] rimane B8.1-2), evocando
lalternativa dilemmatica - (espressione sincopata delle [] di B2.2) e la conseguente, necessaria esclusione della via che non (B2.7-8): non
fattibile ( ) conoscere () e indicare ()
ci che non ( ). In questo senso va intesa la coppia di
aggettivi impensabile () e indicibile (senza nome,
): la via ( ) effettivamente impalpabile (B2.6), sentiero del tutto privo di informazioni ( ). La decisione (il giudizio,
) conseguente: come destino (necessit, ), ricorda la Dea, si riconosciuto che non si tratta di via genuina (
), lungo la quale sia realmente possibile inoltrarsi e incontrare qualcosa.
Allinizio di B8, delle uniche vie di ricerca [] per pensare,
non rimane quindi che imboccare quella reale ( ), quella, appunto, ( ): muoversi sul
terreno di e non possibile non essere, rinunciando a dare

427

consistenza a non- ed necessario non essere, garantisce intelligibilit e comprensione della realt 7.

Una sola parola


Leco inziale del che la Dea aveva invitato il kouros ad
accogliere e conservare - e che dunque propone i tratti di un authoritative speech act (Morgan) funzionale alla successiva notifica della vanit del nominare mortale (B8.38b-39):
,

Per esso tutte le cose saranno nome,
quante i mortali stabilirono, persuasi che fossero reali,

ma anche al rilievo della svolta introdotta in conclusione del


frammento (vv. 50 ss.), con una formula indicativa:


.
A questo punto pongo termine per te al discorso
affidabile e al pensiero
intorno a Verit; da questo momento in poi opinioni
mortali
impara, lordine delle mie parole ascoltando, che pu
ingannare (B8.50-52).

La parola (il discorso) di Verit della Dea traccia i contorni della realt attraverso lesclusione sistematica di ci che,
nella propria inconsistenza ( ), si rivela
. Si tratta della rigorosa applicazione argomentativa della
formula della prima via:
7

Sul rapporto tra il tema della via e lunicit del discorso in apertura di B8 si
veda in particolare L. Couloubaritsis, Les multiples chemins de Parmnide,
in tudes sur Parmnide, cit., t. II, pp. 29-30.

428


luna: e non possibile non essere.

In questo senso, in B7.5 ella aveva chiaramente esortato a valutare discorsivamente ( ) la prova polemica
( ) fornita: donde forse ipotizzando una sostanziale continuit tra B7 e B8 (come attesterebbero le citazioni e
il commento di Sesto Empirico, Adversus mathematicos VII, 111
e 114) lapertura con lespressione []
.

Tale relativo alla via: ( ), di cui


la Dea informa (vv. 2b-3a):


su questa [via] sono segnali
molto numerosi.

Il discorso uno, perch una sola in effetti la via riconosciuta percorribile; molti i segni () che consentono di identificarla8, molti gli argomenti che possono essere addotti per metterla alla prova: di qui il nesso tra ,
e . Come rivela il precedente epico del riconoscimento di
Odisseo da parte di Penelope, essi, infatti, possono essere usati
per provare (sottoporre a elenchos) lidentit di una persona9.
Sar allora lo stesso intreccio dei segni a rivelare unit e
omogeneit di e dunque a mostrare lalterit tra il
della Dea e i discorsi dei mortali: essi ipostatizzano quanto, in
vero, solo nome; assumono come evidenza ultimativa la molteplicit di enti, senza ricondurla allidentit dellessere. Il
che la articola in B8.1-49 corrisponde a quanto
annunciato (B2.4) come (percorso di Persuasione) in quanto (tien dietro a Verit): lungo la
8
9

Secondo gli interessanti rilievi di Robbiano, op. cit., pp. 108-9.


Ibidem

429

via: e non possibile non essere si esprime non solo per


lautorevolezza dell'indicazione divina, ma per lintrinseca costruzione razionale quella (B8.28) che era stata
negata (B1.30) alle opinioni dei mortali (
, in cui non reale credibilit). Con una differenza significativa: nel proemio il kouros doveva semplicemente registrare un annuncio; la rappresentava quella credibilit
che la Dea disconosceva alle convinzioni correnti. In B8 lo stesso convincimento, maturato argomentativamente, a trattenere
dalla distorsione tipica dei mortali che nulla sanno: considerare
() (B8.27-28):

,
poich nascita e morte
sono state respinte ben lontano: convinzione genuina
[le] fece arretrare.

Analogamente, in B6.4-9 e B7.1-5 la Dea aveva duramente


stigmatizzato la confusione teorica corrente, mettendo in guardia
il kouros:
,
< > [] ,

[]
[ti tengo lontano] da quella [via] che appunto mortali
che nulla sanno
<si inventano>, [] schiere scriteriate,
per i quali esso considerato essere e non essere la
stessa cosa
e non la stessa cosa []



Mai, infatti, questo sar forzato: che siano cose che
non sono.

430

Ma tu da questa via di ricerca allontana il pensiero;


n abitudine alle molte esperienze su questa strada ti
faccia violenza.

In B8.38 ss. lo stesso (articolato in relazione ai


) a svelare in che cosa effettivamente consista quello stravolgimento: perdere di vista il fatto che, prescindendo dallunico
referente reale (lessere), i vari nomi con cui designiamo i fenomeni della nostra esperienza sono, in realt, solo simboli:
,
,
, ,

Per esso tutte le cose saranno nome,
quante i mortali stabilirono, persuasi che fossero reali:
nascere e morire, essere e non essere,
cambiare luogo e mutare luminoso colore.

Lessere ( ), ovvero ci che (), la sola cosa


che possa essere pensata ed espressa nel linguaggio: a qualsiasi
cosa i mortali pensino o di qualsiasi cosa i mortali parlino e in
qualsiasi modo ne pensino o parlino, essi in realt pensano o parlano di ci-che-10. Questa la lezione che si ricava dalla parola della Dea: trasfigurazione del linguaggio dellesperienza, della
rappresentazione ingenua, ma anche della (contestata) cosmologia
ionica. Una lezione che discende, dunque, dalla krisis (
), condotta escludendo : lunica via praticabile trover manifestazione rigorosa attraverso i segnali che possono
identificarla per la ragione.
In questa prospettiva i vv. 50-52 marcano effettivamente un
passaggio, dal momento che spostano lattenzione (e listruzione)
del kouros da quella manifestazione il discorso affidabile
( ) che esprime la Verit ( )
allambito delle nostre convinzioni empiriche (
10

R. McKirahan, Signs and Arguments in Parmenides B8, cit., p. 205.

431

B1.31), da ridurre a uno schema interpretativo adeguato (


B1.32).
la stessa divinit a connotare la propria comunicazione
(): a rilevarne con formule ( ) la cogenza, la dipendenza dalla ( ),e, attraverso
figure (, , ), lo statuto trascendentale. La parola, infatti, nel suo procedere argomentativo, appalesa, della realt
( ), ordine e superiore garanzia: Giustizia [lo] tiene ( ),
Necessit potente [lo] tiene (), Moira (Destino) lo ha costretto ().
La nuova sezione, introdotta al v. 50, , a sua volta, esplicitamente determinata: sempre la divinit a sottolinearne la materia
diversa conseguenza delladozione di un punto di vista che potremmo definire umano:
(da questo momento in poi opinioni mortali impara B8.51-2).
Contestualmente, nellabbandonare la parola garantita e il suo oggetto immutabile ( e i suoi ), la Dea stessa a mettere in guardia sul passaggio dal rigore del discorso affidabile
( ), del pensiero intorno alla Verit (
), alla ricostruzione potenzialmente fuorviante (
, ascoltando lordine delle mie parole che pu ingannare). Il poeta segnala il cambio di registro
anche a livello espressivo, tornando, come abbiamo in precedenza
ricordato, alla semantica convenzionale e alle relazioni sintattiche
caratteristiche del proemio: in questo senso, rispetto ai versi centrali della Verit, (passibile di inganno) appare effettivamente lorganizzazione stessa delle parole 11.
Lattuale frammento B19 confermer la natura umana della
prospettiva ( ) adottata, e la sua peculiare costruzione
linguistica:

t

11

L.A. Wilkinson, Parmenides and To Eon, cit., p. 107.

432

Ecco, in questo modo, secondo opinione, queste cose


ebbero origine e ora sono,
e poi, in seguito sviluppatesi, avranno fine.
A queste cose, invece, un nome gli uomini imposero,
distintivo per ciascuna.

La via e i suoi segnali


La Dea si affretta a osservare (B8.2-3), riguardo alla (
), come:


su questa [via] sono segnali
molto numerosi.

Il rilievo importante perch sottolinea la fondatezza della


comunicazione divina, sottraendola allarbitrio, e la sua intenzione razionale: essa allude a segni, propriet, evidentemente da
riconoscere come genuini indicatori della realt, e implicitamente
introdotta la loro discussione. La presenza di segnavia lungo
un percorso () naturale, cos come la loro funzione di
orientamento: trattandosi di , il compito educativo della Dea diventa quello di illustrarli e, cos facendo, di sviluppare la conoscenza della via, di guidare alla comprensione
dellessere.
I si riferiscono immediatamente alla , non a ,
ma la loro discussione, il riconoscimento della loro funzione, contribuisce a determinare e far prendere consapevolezza della nozione di : la via, in effetti, indicata come . In
questo caso la natura descrittiva dei segnali rispetto al percorso
di conoscenza si fa ancora pi netta. Simplicio (Phys. 78, 11) parla di , che potremmo tradurre come
connotazioni dellessere che veramente .

433

Segnali
La Dea ne propone un catalogo, nel seguito utilizzato (anche
se non integralmente) per lanalisi:
,

, ,
,
che senza nascita ci che e senza morte,
tutto intero, uniforme, saldo e senza fine;
n un tempo era n [un tempo] sar, poich ora tutto
insieme,
uno, continuo.

Dei molti problemi testuali abbiamo dato notizia in nota. Qui


interessa tentare di comprendere che cosa i rappresentino
per lautore.
Una prima risposta possiamo ricavare dalla versione che abbiamo proposto (una delle possibili): la via tradotta in
termini proposizionali, con un soggetto (, lo stesso emerso in
B6.1) e, apparentemente12, due serie di predicati:
(i) , , ,
, ;
(ii) , , .

I segnali molto numerosi sulla via sarebbero dunque caratteristiche che si possono legittimamente riferire a ci
che , sulla scorta come risulter pi chiaramente nel corso
della esposizione divina (e come abbiamo anticipato) - della
: . Formulando diversamente lo stesso concetto: predicati essenziali di , implicati (e deducibili) dalla
12

Come segnalato in nota, Leszl, Heitsch e di recente Palmer (tra gli altri), fanno
iniziare lanalisi dei segni dal v. 5, con ci considerando gli attributi dei vv.
5-6 gi parte della discussione e non propriamente .

434

stessa nozione di ( [...] ), con esclusione di ( [...] ); attribuiti


allessere, essi ne manifestano la natura. plausibile nel contesto
che la Dea intenda e non disgiuntamente, in altre
parole che lorientamento conoscitivo richieda non semplicemente il catalogo, ma largomentazione che lo sostiene. Anzi, dal punto di vista della lezione divina, la valutazione razionale del giovane allievo appare preoccupazione primaria, come marcato in
B7.5-6:


Giudica invece con il ragionamento la prova polemica
da me enunciata.

I segnali potrebbero dunque costituire il materiale concettuale su cui esercitare la razionalit del kouros, con un duplice scopo: (i) fargli prendere confidenza con ; (ii) fargli prendere
coscienza delle inconsistenze di altre posizioni teoriche (ioniche,
forse pitagoriche). Si tratta ovviamente di due risvolti della stessa
strategia, nella misura in cui il riconoscimento della natura di ci
che comporta, per un verso, la presa di distanza dalla superficiale lettura del dato sensibile, per altro la contestazione di lezioni
concorrenti. Cos ritroveremo riaffermato (B8.34-36a) il nesso tra
pensiero (addirittura nella formulazione astratta ) e essere:
.
, ,

La stessa cosa invero pensare e il pensiero che :
giacch non senza lessere, in cui [il pensiero]
espresso,
troverai il pensare.

Un rilievo che ribadisce appunto lequazione di B3:



La stessa cosa, infatti, pensare ed essere,

435

e soprattutto richiama la funzione ontologica del di


B4.1-2:


Considera come cose assenti siano comunque al
pensiero saldamente presenti;
non impedirai, infatti, che lessere sia connesso
allessere.

Laspetto che appare tuttavia peculiare nella relazione tra


e il fatto che alcuni dei segnali fondamentali
siano evidentemente costruiti - sul piano linguistico con luso
dellalfa privativo, mentre su quello argomentativo (attraverso
, confutazione) tutti siano sostenuti ribaltando il dato di
senso comune (nascita e morte, accrescimento e diminuzione,
mobilit ecc.). Un risultato che a loro modo anche la sapienza ionica aveva ottenuto, ma, come rivelerebbe la discussione parmenidea, in modo contraddittorio. In questo senso, i possono
essere letti come elementi concettuali espressamente rivolti a contestare i metodi tradizionali di interpretazione delluniverso 13. Il
catalogo e la relativa discussione investirebbero direttamente alcuni contributi della elaborazione cosmologica arcaica 14:
(i) il paradigma di fondo della cosmogonia (B8.6-21);
(ii) il modello esplicativo per successive differenziazioni
quale possibile intravedere nelle testimonianze su Anassimandro e Anassimene (B8.22-25);
(iii) la riflessione sul mutamento cui possono ricondursi in
parte i frammenti di e le testimonianze su Anassimene e Eraclito
(B8.26-31);
(iv) il modello biologico di sviluppo delluniverso, che possiamo ritrovare nelle testimonianze su Anassimandro (B8.32-49).
allora possibile che la natura dei non fosse quella di
predicati astratti, concettualmente dedotti dalla nozione di esse13
14

Robbiano, op. cit., p. 109.


Ibidem.

436

re, bens quella di contrafforti dialettici scaturiti dal confronto


con specifiche dottrine, e, in questo senso, storicamente, culturalmente determinati. La loro funzione segnica rispetto alla via consisterebbe nellevitare che essa possa essere abbandonata,
seguendo il richiamo di assunzioni acritiche ovvero di presunte,
scorrette, teorie. Donde limpronta discutiva e confutatoria
dellanalisi di Parmenide.

La via, i segnali e la guida


Daltra parte evidente nel testo come la Dea scelga di riferirsi ai segnali nel contesto della propria istruzione al kouros, del
proprio esercizio di guida. Anzi: ella guida attraverso , che
impegnano razionalmente. La tradizione li conosceva come segni augurali che gli indovini dovevano interpretare15, come mezzi di rivelazione di una potenza superiore 16 . In questo senso il
contemporaneo Eraclito evocava lo stesso modello:
, ,

Il signore, di cui l'oracolo in Delfi, non dice, non
nasconde ma d un segno (Plutarco; DK 22 B93).

Anche la dea di Parmenide invia segnali ai mortali, per far conoscere cose normalmente oltre la loro portata: Robbiano e Cerri
hanno probabilmente ragione nel sottolineare come il termine
non si riferisca allora tanto ai predicati enumerati in B8.26, quanto ai successivi argomenti, risultando essenziale nella relazione tra lumano e il divino il momento dell'interpretazione dei
segni per giungere alla verit. In questa prospettiva come rilevato da Mourelatos17 - e ( ) si salderebbero nel
motivo della quest: per raggiungere il fine della ricerca necessa15

Cerri, op. cit., p. 219.


Mansfeld, op. cit., p. 104.
17
Op. cit., p. 94.
16

437

rio percorrere la strada che ; per fare ci necessario tenere


docchio i segnavia.
Laccostamento al modello oracolare - giustificato non solo
dalle implicazioni tra e , ma pure dal nesso lessicale tra e , termine per segno divinatorio (di
qualsiasi tipo), e responso oracolare (testo verbale) ricco di
risvolti significativi nel contesto.
Il segno divinatorio, infatti, proviene dalla sfera divina: nel segno la sapienza divina irrompe nell'ambito umano, per condensarsi poi nel responso,: la parola del responso umana come suono,
ma rivela una conoscenza che separa l'uomo dal dio 18. Ora, non vi
dubbio che Parmenide rielabori, in forme originali, questi elementi: la rivelazione, lo scarto conoscitivo e il suo rilievo esistenziale, la comunicazione di verit come evento privilegiato. Come
ricorda la Robbiano19, la dea di Parmenide evoca un dio che manda segnali ai mortali per far loro conoscere cose normalmente
fuori della loro portata: non dobbiamo dimenticare che in Omero
la divinazione comporta la conoscenza delle cose che sono, di
quelle che saranno e di quelle che sono state in passato:
[]
,
,

,
Si alz allora
Calcante, figlio di Testore, di gran lunga il migliore
degli indovini,
il quale conosceva le cose che sono, le cose che
saranno, le cose che furono,
e aveva guidato le navi degli Achei fino a Ilio
grazie allarte profetica che gli don Febo Apollo
(Iliade I, 68-72).

18

Su questo punto si veda G. Manetti, Le teorie del segno nell'antichit classica,


Bompiani, Milano 1987.
19
Op. cit., p. 126.

438

In Parmenide la divinit stessa a indicare i segnali che


tracciano la via al pieno dispiegamento della realt (Verit) nella
conoscenza, e a interpretarli per il kouros; la divinit stessa a
tradurre la propria sapienza in immagini e discorsi: essa riassorbe
in s, insieme alla funzione rivelativa, anche quella di e
, marcando leccezionalit del privilegio concesso. Il
colpo docchio [del dio] che conosce ogni cosa (Pindaro), la
visione simultanea di passato, presente e futuro, si presenta nei
segni che lindovino deve riversare in parole (enigmatiche) e
linterprete chiarire per i mortali. In questo senso la divinit di
Parmenide ha un ruolo simile a quello delle Muse (le quali garantiscono al poeta la trasposizione della loro sinossi nello sviluppo
del canto), ma laicizzato: analoga lintenzione pedagogica, comunque diversamente declinata.
La Dea, infatti, propriamente non ispira un canto, piuttosto insegna argomentando; pur marcando lo scarto tra umano e divino,
ella comunica razionalmente, insistendo sulla forza di convinzione ( ), sulla convinzione genuina (ovvero reale credibilit, ), per illustrare i al proprio
interlocutore (cui richiesto di non accogliere supinamente, ma
riflettere su quanto comunicato): interpretarli significa, nel nostro
contesto, giustificarli razionalmente alla luce dei principi (le vie) introdotti in B2. Alla ripresa del motivo tradizionale segue,
dunque, una sostanziale revisione: attraverso che la Dea
sviluppa il tracciato della via che ""; contestando ed escludendo errate assunzioni di senso comune e contributi teorici concorrenti che ella viene determinandola dialetticamente.
indicativo del retroterra culturale il fatto che Parmenide
scelga di proporre in prima istanza un catalogo (memorizzabile)
di segni, quindi un prolungato sforzo argomentativo un unicum nel panorama della produzione arcaica , sostenuto da una
serie di immagini plastiche (catene, legami, sfera) e figure (divine). Ritroviamo sapientemente intessuti , metafora e mito,
quasi costituissero ancora tre aspetti inscindibili di una stessa esperienza comunicativa.
Segnavia

439

Lattacco di B8 sottolinea dunque una volta di pi il ruolo della guida divina e la centralit del tema della via: la Dea, infatti, a
ricordare come rimanga ancora solo la possibilit di un ; la
Dea ad annunciare i segnavia () e quindi che il percorso
sar discorsivo. la Dea, insomma, che non solo anticipa al kouros lidentit della via che resta ( ), ma prospetta pure la
prova () che il giovane discepolo deve sostenere. Come
opportunamente osservato da Coxon20, B8 introdotto da un resoconto delle evidenze lungo la via, sulla quale, nella narrazione,
il kouros deve ancora viaggiare: gli argomenti di B8 valgono
quindi come guida (filosofica), grazie a cui possibile mantenere
la direzione e percorrere fino in fondo la via genuina (
), in B2.4 connotata come .
Come anticipato, Parmenide sembra articolare un doppio registro di evidenze da sottoporre allattenzione; in effetti il testo recita (vv. 3-6):
,

, ,
,
che senza nascita ci che e senza morte,
tutto intero, uniforme, saldo e senza fine;
n un tempo era n [un tempo] sar, poich ora tutto
insieme,
uno, continuo.

Ne abbiamo sopra estratto due liste di attributi di :


(i) , , ,
, ;
(ii) , , .

Largomento di B8 pur coinvolgendoli complessivamente


sembra costruito per privilegiare questi enunciati:
20

Op. cit., p. 193.

440


estinta nascita e morte oscura (B8.21)

tutto omogeneo (B8.22)


Identico e nellidentica condizione perdurando, in se
stesso riposa,
e, cos, stabilmente dove persiste (B8.29-30)


non incompiuto lessere [] lecito che sia:
non , infatti, manchevole [di alcunch] (B8.32-33).

In questo senso appare plausibile la ricostruzione di


Mourelatos21 (ripresa di recente anche da Robbiano 22), elaborata
tenendo conto delle convergenze tra gli interpreti sui seguenti
blocchi testuali e relativi smata di riferimento:
B8.6-21: (ingenerato) e (imperituro);
B8.22-25: (continuo) e\o (indiviso);
B8.26-31: (immobile, immutabile);
B8.32-33: (non incompiuto);
B8.42-49: (compiuto).
Possiamo precisare leggermente questo schema e privilegiare
la discussione () di quattro di base, riferibili, in
quanto segnavia, direttamente a (ma, nella nostra
traduzione, predicati di ), cui poi possibile ricollegare gli
altri: (i) senza nascita e morte (, B8.5-21);
(ii) tutto omogeneo ( B8.22-25); (iii) immobile

21
22

Op. cit., p. 95.


Op. cit., p. 108.

441

B8.26-31); (iv) compiuto ( ,


B8.32-49).
Di recente McKirahan23 ha proposto un elenco pi minuzioso,
classificando con una pi articolata suddivisione in gruppi tutti i
predicati:
A: (ingenerato) (imperituro)
B: (intero) 24 (completo) (tutto insieme)
(che si tiene insieme)
C: (n un tempo era) (n sar)
( ora)
D: (immobile) (immutabile)
E: (stabile)
F: (unico25) (uno).
Nella nostra esposizione seguiremo lo schema di Mourelatos
che abbiamo precisato, integrandolo con le osservazioni
desumibili dallelenco di McKirahan.

Ingenerato (e imperituro)
Il vero e proprio attacco argomentativo del frammento formulato come interrogazione (vv. 6-7)26:
;
;
Quale nascita, infatti, ricercherai di esso?
Come e donde cresciuto?

23

Signs and Arguments in Parmenides B8, in The Oxford Handbook of


Presocratic Philosophy, edited by. P. Curd D.W. Graham, O.U.P., Oxford
2008, p. 191.
24
McKirahan legge hd tleion in vece di .
25
Noi abbiamo preferito rendere come uniforme.
26
Ma alcuni sostengono che l'argomentazione cominci al verso precedente con
...

442

Limplicita opzione discutiva impronter lo sviluppo discorsivo: la Dea non si limiter a ragionare con il proprio (muto) ascoltatore, ma mimer un autentico confronto dialettico, attribuendogli le convinzioni teoriche (o di senso comune) che necessario
confutare per dimostrare la propria tesi.

Un possibile modello argomentativo


I versi 7-15 nella versione (a dire il vero tormentata) che abbiamo accolto e tradotto27 - possono esemplificare efficacemente
la struttura del procedimento razionale di Parmenide:


.
, , ;
.
< >

,

Da ci che non non permetter
che tu dica e pensi; non infatti possibile dire e
pensare
che non . Quale bisogno, inoltre, lo avrebbe spinto,
originando dal nulla, a nascere pi tardi o prima?
Cos necessario sia per intero o non sia per nulla.
N mai <dallessere> conceder forza di convinzione
che nasca qualcosa accanto a esso. Per questo n
nascere
n morire concesse Giustizia, sciogliendo le catene,
ma [lo] tiene.

27

Come risulta dalle annotazioni al testo greco, abbiamo accettato


l'emendazione proposta da Karsten della forma attestata dai
codici, in < > .

443

Largomento insieme agli interrogativi che lo introducono ha come soggetto sottinteso (nella nostra traduzione) (v. 3):
per escluderne generazione ( ; - quale nascita di
esso?) e derivazione ( ; - come e donde cresciuto?), la Dea non concede:
(i) che esso possa nascere () originando dal nulla (
) - da ci che non ( );
(ii) che esso origini (i) dallessere ( < >
).
Non rimanendo alternative, ella conclude il proprio ragionamento (a dimostrazione della tesi:
) appoggiandosi alla superiore garanzia di Dike (il nume tutelare dei limiti e delle prerogative a essi associate), la quale vincola ci che a essere (e ).
La struttura dellargomento risulterebbe dilemmatica, come
segnalato dall'uso di (v. 7) e (v. 12): non vero questo,
e neppure vero questaltro, dove questo e questaltro rappresentano le uniche due possibilit concepibili in proposito 28 ,
appunto (v. 7) e < > (v. 12 emendato).
Di questa struttura si trova conferma nello scritto Sul non-essere
di Gorgia (versione Sesto Empirico, Adversus mathematicos VII,
71):
.
, .
[...] [...]

E ancora, l'essere non pu neppure essere generato: se
stato generato, infatti, certamente stato generato o
dall'essere o dal non-essere; ma non stato generato n
dall'essere [...] n dal non essere [...]. L'essere, di
conseguenza, non stato generato;

28

Leszl, op. cit., p. 177.

444

e in Aristotele (Fisica I, 8 191 a23 ss.), con chiara allusione


anche agli Eleati29:

, .


,

,

( )
.

.
Che cos solamente si risolva anche la difficolt dei
pensatori antichi, lo diremo in quel che segue. Coloro,
infatti, che per primi hanno indagato in modo filosofico la
realt e la natura delle cose furono sviati come spinti
lungo una via diversa dalla loro inesperienza. Essi
sostengono in effetti che degli enti nessuno n si genera n
si distrugge: poich ci che si genera, necessariamente, si
genera o da ci che o da ci che non , ma impossibile
che ci accada in entrambi i casi 30. L'essere, infatti, non si
genera (perch gi) e nulla pu generarsi dal non essere,
dal momento che qualcosa deve fungere da sostrato. E
sviluppandone ulteriormente le conseguenze, affermavano
allora che non esiste il molteplice, ma solo l'essere stesso.

Lo stesso Simplicio, parafrasando due volte il testo (Phys. 77,


9; 162, 11), offre questo senso:

29

Palmer (Parmenides & Presocratic Philosophy cit., pp. 129-133) ha


contestato, con buoni argomenti, che il testo si riferisca esclusivamente agli
Eleati.
30
Enfasi nostra.

445


(
)
Anche Parmenide infatti sosteneva che l'essere in
senso pieno ingenerato: mostrava che esso non si genera
n dall'essere (poich non c' qualche essere oltre a esso),
n dal non essere (162.11).

Accettando questa lezione, ritroveremmo Parmenide impegnato a elaborare una dimostrazione dialettica rigorosa31:
(i) gli interrogativi (retorici: [...] ;)
introducono lipotesi contraddittoria alla tesi che lautore intende
dimostrare (nella forma gorgiana: ), in questo modo
delineando la struttura dilemmatica di base: ci che ingenerato ( ) - ci che generato (Gorgia:
);
(ii) tale ipotesi viene articolata in un nuovo dilemma: nascita e
crescita implicano necessariamente unorigine o (a) o
(b) < > (secondo lo schema citato da Simplicio);
(iii) dal momento che entrambe le possibilit sono razionalmente insostenibili, lipotesi (nascita e crescita di ci che ) si rivela infondata, e la sua contraddittoria, la tesi difesa da Parmenide, dimostrata: che ci che ingenerato (
).
Come abbiamo gi segnalato, anche il contesto appare implicitamente dialettico: viene (monologicamente) mimato il dibattito
tra un sostenitore (che pone gli interrogativi) e un oppositore (di
cui si anticipano le risposte possibili) della tesi di Parmenide.
Compito (retorico-persuasivo) della Dea rispetto al kouros (e al
pubblico di ascoltatori e lettori di Parmenide) di illustrare i passaggi della (virtuale) discussione, marcando il nesso tra forza di
31

Contro questa ricostruzione, che presume lintroduzione (consapevole) di un


modello argomentativo dilemmatico da parte dellautore, pu valere
losservazione di Leszl (p. 178) secondo cui la sequenza di tre argomenti
(vv. 7b-9a; vv. 9b-11; vv. 12-13a) rende improbabile una struttura
dilemmatica.

446

convinzione ( ), giudizio (), necessit


( ).
Appare trasparente nella confutazione della prima possibilit:



Da ci che non non permetter
che tu dica e pensi; non infatti possibile dire e
pensare
che non

il riferimento a B2.7-8 e B6.1:


-
poich non potresti conoscere ci che non (non
infatti cosa fattibile),
n indicarlo

necessario il dire e il pensare che ci che .

Questo comporta che quanto leggiamo a livello frammentario


fosse in realt organizzato in una costruzione argomentativa complessa, che il discorso della Dea in B8 presuppone (e talvolta richiama esplicitamente): in particolare il di B2. Il modello
delle uniche vie di ricerca per pensare ricavate dallalternativa
-non-, il rifiuto del secondo corno sulla scorta della sua inconsistenza (assenza di contenuto da pensare, dire e indicare) e
dunque la piena accettazione della prima via di indagine (che
), insieme alla conseguente esclusione di una effettiva terza
via (B6.4-5, 8-9; B7.1), consentono a Parmenide di operare di
fatto con i principi di non-contraddizione e del terzo escluso32:
donde limpossibilit di sostenere che ci che non sia, ovvero

32

Conche, op. cit., p. 142.

447

ammettere qualcosa che possa comportare che ci che non


sia33.
Daltra parte la pervasiva presenza della Dea - che pone domande e risponde (vv. 6b-7a: ;
;), che sottolinea i passaggi (v. 7b: ... ;) e
richiama le condizioni (v. 15b: ...),
che complessivamente ribadisce il rigore del procedimento seguito (v. 16b: , ...) e ne conferma i risultati con il proprio commento (linciso ai vv. 17b-18a:
) ci ricorda che il contesto narrativo entro cui
si inserisce il ragionamento comunque quello di una rivelazione.
Il fatto che alcune premesse rimangano implicite si giustifica
forse proprio con la forma apodittica della comunicazione divina:
come osserva Mansfeld 34 , i segni sono ricavati - immediatamente o mediatamente - dalla disgiunzione di B2, le cui premesse
sono garantite dal della Dea. Questo potrebbe anche spiegare la scelta dellespressione , il mezzo di comunicazione di
una potenza superiore: Parmenide sceglie di lasciare la parola
della Dea a fondamento di tutti i processi (e progressi) del pensiero in B835. Ella sollecita lautonomia del discepolo, ma lo invita a
registrare e ad aver cura di un contrapposto a quanto comunemente assunto dai mortali: il suo ruolo pedagogicamente
eccede lo stesso esercizio razionale, assicurandone i principi,
cos come le altre divinit evocate nel frammento (Dike, Ananke,
Moira) trascendono (garantendolo) , ci che, secondo
listruzione razionale, pretende di dominare di fronte al pensiero
senza eccezione36.

33

McKirahan, op. cit., p. 192.


Op. cit., pp. 103-4.
35
Mansfeld, op. cit., p. 106.
36
Su questo in particolare la terza edizione dellopera di Couloubaritsis, pi
volte citata, Mythe et Philosophie chez Parmnide, ora con nuova titolazione: La pense de Parmnide (en appendice traduction du Pome), ditions
Ousia, Bruxelles 2008, per esempio p. 247.
34

448

Nascita e crescita
Abbiamo sottolineato come la prima sezione argomentativa si
apra con tre interrogativi, che offrono alla Dea lopportunit di
dimostrare ; essi sono cos
formulati (vv. 6b-7a):
;
;
Quale nascita, infatti, ricercherai di esso?
Come e donde cresciuto?

possibile intenderli come introduzione ai tre successivi argomenti:


(i) vv. 7b-9a:



Da ci che non non permetter
che tu dica e pensi; non infatti possibile dire e
pensare
che non ;

(ii) vv. 9b-10:



, , ;
Quale necessit lo avrebbe mai spinto,
originando dal nulla, a nascere pi tardi o prima?

(iii) vv. 12-13a:


< >

N mai <dallessere> conceder forza di convinzione
che nasca qualcosa accanto a esso.

449

Le relative risposte negative sarebbero formulate espressamente ai vv. 13b-15a:



,

Per questo n nascere
n morire concesse Giustizia, sciogliendo le catene,
ma [lo] tiene.

Piuttosto che sollevare problemi diversi (ancorch collegati) e


rinviare a distinti argomenti, la progressione delle domande, il ricorso a interrogativi retorici (vv. 9-10) e la possibile articolazione
dilemmatica sembrano evocare lincalzare dialettico di un confronto, i cui termini di riferimento il sostantivo (nascita,
generazione) e il participio (cresciuto, da ,
crescere, incrementare) puntano direttamente al problema
dellorigine, come esplicitamente rivelato dalluso di due espressioni verbali indicative: (da , iniziare, cominciare, dare origine, da cui , principio) e (da , generare, produrre, ma anche sorgere, nascere, da cui , natura).
In questo senso le tre formule inquisitive ( ,
, ) potrebbero essere assunte come equivalenti: la seconda e la terza, in particolare, come riferentesi alle
condizioni necessarie alla nascita: essa un processo (questo
spiega il come?) che richiede unorigine (donde?)37. Analogamente gli argomenti possono essere letti come momenti della
stessa progressione negativa contro lipotesi di di :
le domande ne articolerebbero le implicazioni per consentire di
confutarne pi efficacemente le condizioni di possibilit.

37

McKirahan, op. cit., p. 193; Robbiano, p. 112.

450

Nascita e morte oscura


Proprio la connessione tra e (di cui nascita esprimerebbe uno dei significati originari) ha fatto supporre38 che
Parmenide nel nostro passo discuta il senso stesso della nozione
di , scomponendola nei suoi originari termini costitutivi, di
fatto attaccando la riduzione dellEssere a . Obiettivi della
confutazione sarebbero, in particolare, Esiodo (il quale aveva posto il problema: chi venne per primo?) e i pensatori ionici (per la
ricerca della )39. Esemplari in questa prospettiva i frammenti
di Anassimandro:
n ... ...


.
principio delle cose che sono linfinito ... secondo
necessit che verso le stesse cose, da cui le cose che sono
hanno origine, avvenga anche la loro distruzione [ovvero
letteralmente: le cose dalle quali invero le cose che sono
hanno la loro origine, verso quelle stesse cose avviene la
loro distruzione secondo necessit]; esse, infatti, pagano le
une alle altre pena e riscatto della colpa, secondo
lordinamento del tempo (Simplicio; DK 12 B1)
(sc. )

che essa [una certa natura dellinfinito] eterna e non
invecchia (Hippolitus; DK 12 B2)

..

(
= )
immortale .... e indistruttibile ( Aristotele; DK 12 B3).

38
39

Per esempio a Ruggiu, op. cit., p. 289.


Ivi, p. 290.

451

Il frammento B1 ci conservato nella testimonianza di Simplicio, il quale nel suo commento alla Fisica aristotelica si serve
del prezioso contributo di Teofrasto (uno degli ultimi a disporre
probabilmente dellopera del Milesio) nelle sue Opinioni dei fisici: la citazione, che appare sostanzialmente accurata 40, inserita
in una presentazione delle opinioni di Anassimandro che necessario non perdere di vista per intenderne correttamente le parole:
[A.] [...]
, .

,
,
... [B 1],
.


,
,

. [...]
dichiar lapeiron principio e elemento delle cose che
sono, adottando per primo questo nome di principio.
Egli sostiene, infatti, che esso non sia n acqua n alcun
altro di quelli che sono detti elementi, ma che sia una certa
altra natura infinita, da cui originano tutti i cieli e i mondi
in essi: [ B1] , parlando di queste cose cos in termini
piuttosto poetici. evidente allora che, avendo
considerato la reciproca trasformazione dei quattro
elementi, non ritenne adeguato porre alcuno di essi come
sostrato, ma qualcosa di diverso, al di l di essi. Egli poi
non fa discendere la generazione dall'alterazione
dellelemento, ma dalla separazione dei contrari, a causa
del movimento eterno. [...] (Simplicio; DK 12 A9).
40

Per lanalisi relativa si rinvia al fondamentale contributo di Ch. Kahn,


Anaximander and the Origins of Greek Cosmology, Hackett, Indianapolis
19943, in particolare alla prima parte, dedicata alla documentazione
dossografica.

452

Dal complesso di testimonianza e citazione possiamo in effetti


intravedere nel testo di Anassimandro sei aspetti su cui si sarebbe
concentrata la sua indagine:
(i) l come principio delle cose che sono (
);
(ii) le cose che sono ( ), la totalit degli enti della nostra esperienza41, sottoposti ai processi di generazione () e
corruzione ();
(iii) le cose dalle quali ( ) le altre (le cose che sono)
hanno origine: nel contesto molto probabile il riferimento agli elementi () nel linguaggio peripatetico della testimonianza; pi plausibile intendere i contrari ( ) da cui
esse si fomerebbero direttamente, come documentato da PseudoPlutarco:



[Anassimandro] sostiene anche che ci che, derivato


dalleterno, produttivo di caldo e freddo fu separato alla
generazione di questo mondo, e da esso una sfera di
fiamma si svilupp intorno all'aria che circonda la terra,
come la scorza intorno all'albero (DK 12 A10);

(iv) le cose verso cui ( ) si produce () la


corruzione delle altre cose: gli elementi (ovvero i contrari) cui esse si riducono;
(v) il come tale processo si sviluppa: secondo necessit
( ), secondo lordine del tempo (
)42;

41

Su questo punto la nostra interpretazione diverge da quella di Kahn (pp. 180


ss.), che costituisce ancora un riferimento imprescindibile.

453

(vi) il perch, la causa del processo: il costante e compensativo


confronto conflittuale tra i contrari (
).
Da un punto di vista filologico, Kahn 43 ha convincentemente
insistito sulla probabile genuinit della citazione, rilevando, con
riscontri nella letteratura del periodo, le ascendenze ioniche e arcaiche del lessico del frammento: per noi di particolare interesse
la conferma addirittura nella costruzione sintattica delluso
omerico di nel senso di generazione ma anche di origine causale e - accanto alla plausibile autenticit di (termine non attestato prima di Erodoto e Eschilo), come in Parmenide impiegato nella letteratura ippocratica in contrapposizione a
(crescita) - la possibilit di (morte), presente,
con forme verbali derivate (), in Senofane ( B27)
e appunto in Parmenide ( B19).
Secondo quanto attesta Ippolito:
,

. [B 2],
.

[Anassimandro] disse che principio delle cose che
sono una certa natura dell'apeiron, da cui si generano i
cieli e l'ordine [il mondo] che in essi. Essa eterna e non
invecchia, e inoltre circonda tutti i mondi.
<Anassimandro> parla poi del tempo in quanto la
generazione, l'esistenza e la dissoluzione risultato ben
delimitate (DK 12 A11),

42

Secondo S.A. White ("Thales and the Stars", in Presocratic Philosphy cit., p.
4) l'espressione rifletterebbe le conquiste astronomiche di Talete. Sullo
stesso tema l'autore tornato pi diffusamente in "Milesian Measures: Time,
Space and Matter", in The Oxford Handbook of Presocratic Philosophy cit.,
pp. 89-133).
43
Op. cit., pp. 168 ss..

454

di quella certa natura dellinfinito ( )


Anassimandro avrebbe inoltre sostenuto che (i) eterna
() e (ii) non invecchia (). Predicati analoghi a quelli
- senza morte ( , immortale) e senza distruzione
( ) - che Aristotele, riferendosi esplicitamente anche
ad Anassimandro, aveva a sua volta citato, nel discutere
dell come principio: non a caso marcandone il nesso con
il divino ( ).
Ora, possibile che Parmenide, nel complesso della sezione
B8.6-21, tenesse presenti proprio il modello se non addirittura lo
scritto di Anassimandro: le assonanze verbali (ovviamente per
quanto la filologia ha potuto ricostruire del testo del Milesio) appaiono esplicite, cos come l'esigenza di escludere che (i) da ci
che non ( ) qualcosa possa essere cresciuto
() ovvero che qualcosa possa nascere () originando dal nulla ( ); appare chiaro soprattutto il disegno di sistematica contestazione di nozioni come
e (cui si deve aggiungere ) e dellidea stessa
che (ii) da ci che ( < > ) possa generarsi qualcosa accanto [o oltre] a esso ( ).
una evidenza che la Dea, nella propria confutazione, insista
sulla , senza produrre, in effetti, una specifica argomentazione a supporto dellincorruttibilit (): sebbene poi
sottolinei (vv. 14 e 21) di averlo fatto. Dobbiamo concludere 44 che
Parmenide giudicasse gli argomenti a sostegno di sufficienti anche per (considerando laffermazione
dellindistruttibilit dellessere implicita nellesclusione della sua
generabilit45); ovvero che non ritenesse necessario confutare la
corruzione in quanto processo analogo, ancorch opposto, al precedente; o ancora che la rubricasse tra le espressioni della via negativa. Significativamente, egli connota (morte, distruzione) come (oscura, oggetto di oblio) come aveva fat-

44
45

Con McKirahan, op. cit., p. 193.


Tarn, op. cit., p. 106.

455

to per la via negativa con (del tutto privo di informazioni B2.6)46.


Daltra parte, lidea di forze elementari a un tempo immortali e tuttavia generate era parte della tradizionale concezione del
mondo omerica ed esiodea (donde il genere teogonico) 47 . Lo
schema della testimonianza teofrastea ribadita da Simplicio potrebbe confermarne il residuo nella distinzione anassimandrea tra:
(i) principio - , pensato eterno e stabile, in contrapposizione allinstabilit degli elementi ();
(ii) contrari ( : di base caldo e freddo) che
scaturiscono per separazione ( ), a
causa del movimento eterno ( ), e che
producono con il proprio conflitto il processo cosmogonico (ovvero, pi correttamente, la cosmo-gono-phthoria48);
(iii) cose ( ) sottoposte alla vicissitudine di generazione e corruzione.
Il resoconto della Dea avrebbe dimostrato come, secondo ragione, ci-che-, oltre a implicare la stessa incorruttibilit abitualmente attribuita al divino e a quanto a esso immediatamente
connesso (i cieli), escludesse in ogni modo la possibilit stessa di
generazione, nel duplice senso di derivazione da qualcosa di
altro dall'essere o di produzione di altro essere.

Aristotele, i Milesi e Parmenide


Possiamo trovare un'eco della discussione arcaica sulla generazione nella ricostruzione aristotelica delle origini della filosofia (Metafisica I, 3): a proposito della posizione della maggioranza di coloro che per primi filosofarono (
), secondo cui principi di tutte le co-

46

Mourelatos, op. cit., p. 97.


Ibidem.
48
A. Laks, Introduction la philosophie prsocratique, PUF, Paris 2006, p.
10.
47

456

se ( ) sarebbero solo quelli nella forma di materia


( ), Aristotele osserva:

,
,
,

,
ci da cui, infatti, tutte le cose derivano il loro essere, e
ci da cui dapprima si generano e verso cui infine si
corrompono, permanendo per un verso la sostanza, per
altro invece mutando nelle affezioni, questo sostengono
essere elemento e questo principio delle cose, e per questo
credono che n si generi n si distrugga alcunch, dal
momento che una tale natura si conserva sempre (983 b813).

Nello schema interpretativo di Aristotele, dunque, alle origini


della tradizione filosofica ritroveremmo, per dar conto del divenire degli enti, lapplicazione di un principio: nulla si genera (dal
nulla) e nulla si distrugge (nel nulla). Ci avrebbe di fatto imposto
una forma di monismo materialistico49, di riduzione del molteplice empirico all'unit soggiacente del principio materiale. Il
movimento dal principio e verso il principio, cio verso quella
natura che si conserva sempre (
), richiama quasi letteralmente (il complemento di
origine espresso al singolare e non al plurale) il frammento anassimandreo. Pi avanti, precisando tale posizione che riconosce
unico il sostrato ( ), Aristotele si riferisce implicitamente agli Eleati in questi termini:
,
,

( )
49

Secondo l'acuta lettura di Graham, Explaining the Cosmos, cit., pp. 48 ss..

457



ma alcuni di quelli che sostengono lunit, come
sopraffatti da una tale ricerca, affermano che luno
immobile e cos anche l'intera natura, non solo rispetto
alla generazione e alla corruzione (questa infatti
convinzione antica, su cui tutti concordavano), ma anche
rispetto a ogni altro mutamento: e questo era loro
peculiare (984 a29-984 b1).

Linciso nel passo rende ancora pi evidente lassunto aristotelico secondo cui gi i primi filosofi accettarono la doxa che impossibile che qualcosa sia generato da ci che non , sviluppando
sistemi in coerenza con essa: la peculiarit della posizione eleatica (a Parmenide si accenna esplicitamente due righe sotto) risultato della estremizzazione della stessa doxa adottata dagli Ionici50. In pratica, Aristotele da un lato avalla una sorta di continuit
tra la posizione ionica e quella eleatica - nella condivisione del
principio esplicativo di fondo, dallaltro rileva lo scarto alla base
della deviazione eleatica dall'indagine peri physes nella radicalizzazione dellapplicazione di quel principio, che avrebbe condotto alla negazione di ogni forma di divenire e dunque fuori
dellambito della filosofia della natura.
Torneremo pi sotto sul modello cosmogonico e cosmologico
milesio e sullo schema interpretativo aristotelico. tuttavia opportuno anticipare come il complesso delle testimonianze (di matrice essenzialmente peripatetica) faccia in realt intravedere la
possibilit di una lettura diversa: dalla natura individuata come
origine () si sarebbero generate, per effetto in ultima analisi
del moto intrinseco, alcune realt elementari indipendenti (connesse ai contrari: Pseudo-Plutarco accenna a fuoco, aria e terra), da cui deriverebbe tutto il resto. Un modello pluralistico, che
50

Sulla ricostruzione aristotelica delle origini della filosofia sono molto


interessanti le osservazioni di Leszl in W. Leszl, Aristoteles on the Unity of
Presocratic Philosophy. A Contribution to the Reconstruction of the Early
Retrospective View of Presocratic Philosophy, in La costruzione del
discorso filosofico nellet dei Presocratici, a cura di M.M. Sassi, Edizioni
della Normale, Pisa 2006, pp. 355-380, in particolare pp. 362 ss..

458

ancora risentirebbe del politeismo teogonico esiodeo 51, e che avrebbe suscitato dunque almeno due ordini di problemi di "second'ordine" (metacosmologici) per la riflessione posteriore:
(i) perch una realt dovrebbe avere una precedenza, un primato (ontologico) sulle altre?
(ii) come possibile che una natura ne produca altre?

Da ci che non ...


Tornando ora al testo, per mostrare linsensatezza degli interrogativi sullorigine di ci che espressi allinizio della sezione:
;
;
Quale nascita, infatti, ricercherai di esso?
Come e donde cresciuto?,

la Dea, come abbiamo gi osservato, procede a considerare


una prima eventualit: che sia scaturito (nato e cresciuto)
. Tale possibilit scartata sulla base di due successive
argomentazioni: la prima si richiama alla linea di pensiero sviluppata nei frammenti precedenti:



Da ci che non non permetter
51

Su questo schema interpretativo si veda in particolare Graham, Explaining the


Cosmos, cit., capp. 3 e 4. Il tema era gi stato affrontato dall'autore in
saggi precedenti: per esempio in "Heraclitus' criticism of Ionian
philosophy", Oxford Studies in Ancient Philosophy, 1997, 15, pp. 1-50.
A. Nehamas ("Parmenides Being/Heraclitean Fire", in Presocratic
Philosophy, cit., pp. 45-64), con qualche distinguo, accetta lo schema
proposto da Graham. Elabora un modello analogo S.A. White, Milesian
Measures: Time, Space, and Matter, in The Oxford Handbook of
Presocratic Philosophy, cit., pp. 112 ss..

459

che tu dica e pensi; non infatti possibile dire e


pensare
che non . (vv. 7b-9a).

Abbiamo sopra rilevato in questo caso la ripresa delle tesi di


B2.7-8 e B6.1, e dunque di quanto immediatamente rivelato dalla
Dea: (i) esistono solo due vie di ricerca per pensare (B2.2); (ii)
una: (B2.3), laltra: non (B2.5); (iii) la seconda di fatto
impercorribile, in quanto (sentiero del tutto
privo di informazioni B2.6);
(iv) allora necessario che ci che sia (c
B6.1).
Il primo argomento dipende direttamente dallautorevolezza (e
dallautorit) del divino, per escludere, con le sue logiche
implicazioni (la formula , con le sue sfumature di cogenza,
correttezza e opportunit), un percorso di ricerca che coinvolga la
via negativa, cio comporti concettualmente a qualunque titolo
il ricorso a ci che non .
A questa contestazione fa seguito un secondo, pi discusso,
argomento (vv. 9b-10):

, , ;
Quale bisogno lo avrebbe mai spinto,
originando dal nulla, a nascere pi tardi o prima?

Come abbiamo segnalato nel commento, il testo greco lascia


adito a due possibili interpretazioni. (i) Perch mai, in un momento qualsiasi, ci che dovrebbe generarsi? Nel nulla, in effetti, manca una ragione per cui esso debba sorgere. (ii) Per quale
circostanza ammettendo che sia generato - ci che dovrebbe
generarsi in un momento dato piuttosto che in un altro (pi tardi
piuttosto che prima)? In realt - originando dal nulla - non c
ragione per cui un momento debba essere privilegiato rispetto a
un altro: non vi affatto ragione, dunque, per la sua generazione.
In entrambi i casi ci troviamo in presenza dellapplicazione del
principio di ragione, per cui un evento determinato necessario
460

che abbia la propria ragione, cio la propria causa, in una situazione che possa produrlo (e quindi anche spiegarlo). La pi antica, esplicita formulazione del principio in Leucippo (dalle fonti
ellenistiche supposto discepolo di Zenone e dunque considerato
vicino alla concettualit eleatica):
,

nulla accade invano, ma tutto da ragione e necessit
(DK 67 B2).

In questo senso, la risposta di Parmenide agli interrogativi


sullorigine di ci che netta: nel nulla non possibile rintracciare tale causa; non c ragione per cui ci che debba nascere () dal nulla.
Ma nella seconda interpretazione, al comune terreno rappresentato dal principio di ragione si aggiungerebbe unulteriore implicazione: il ricorso consapevole all'indifferenza rispetto al tempo52, per cui nulla si verifica senza che vi sia una ragione sufficiente a spiegare perch cos e non altrimenti. La nascita in un
momento piuttosto che in un altro non casuale, ma conseguenza
necessaria di una causa determinata53: (i) affinch ci che si
possa generare, necessario si generi in un certo momento; (ii)
ma, derivando dal nulla, non c ragione per cui si generi in un
momento piuttosto che in un altro; (iii) non essendoci ragione per
cui esso si generi in un qualche momento, esso non potr mai generarsi. Insomma: deve esserci qualcosa che faccia la differenza:
il non-essere non pu fare differenza. qui possibile ancora
uneco di Anassimandro, nel cui scritto sarebbe stata presente una
particolare applicazione cosmologica del principio, per giustificare limmobilit e la centralit della Terra allinterno della sfera
celeste:

52
53

Leszl, op. cit., p. 183.


Conche, op, cit., p. 140.

461

La Terra sospesa, da nulla dominata: rimane nel suo


luogo a causa della equidistanza da tutto [da tutti i punti
della circonferenza celeste?] (Ippolito; DK 12 A11)

la terra giace in mezzo, occupando la posizione
centrale (Diogene Laerzio; DK 12 A1)

,




vi sono alcuni, come Anassimandro tra gli antichi, che
sostengono che essa [la terra] rimanga in posizione a
causa della equidistanza: una cosa stabilita al centro,
infatti, e equidistante rispetto agli estremi, non conviene si
porti verso lalto piuttosto che verso il basso o
orizzontalmente; ma poich impossibile muoversi
contemporaneamente
in
direzioni
opposte,
necessariamente rimane in posizione (Aristotele, De Caelo
295 b11-16; DK 12 A26).

Nel caso del Milesio lindifferenza (e quindi lassenza di ragione per il movimento in una direzione o nellaltra) espressa
in relazione ai limiti celesti; Parmenide lavrebbe applicata al
tempo, nel senso di negare la possibilit che nel nulla si dia ragione per fare differenza, ai fini di unipotetica generazione
dellessere, tra un momento e laltro.
Appare tuttavia pi plausibile che il filosofo intendesse semplicemente marcare la mancanza di una ragione per cui, originando dal nulla, ci che si possa formare in un qualsiasi
momento: nella completa negativit del non-essere non pu tro-

462

varsi alcuna necessit che possa generarlo, nulla che possa fungere da ragione (causa) per la sua generazione 54.
Al termine del secondo argomento, al v.11, abbiamo un rilievo:

Cos necessario sia per intero o non sia per nulla.

Insistendo sul valore avverbiale di , qui non ritroveremmo la conclusione del ragionamento ma solo una sottolineatura
importante: ci che deve essere integralmente ingenerato ovvero assolutamente non essere. In pratica la Dea ribadirebbe
lalternativa fondamentale della propria rivelazione, escludendo
che tra le due vie possa darsi una via intermedia e dunque un
commercio tra essere e non-essere. Come indicato in nota al testo,
McKirahan55 ha riconosciuto al verso una funzione prolettica: segnalerebbe che quanto stabilito rilevante per la successiva discussione. In effetti, appare plausibile parafrasi di
tutto omogeneo ( ), tutto pieno dessere (
) - discussi a partire dal v. 22 piuttosto che di
ingenerato o ingenerato e incorruttibile.
Se invece, come per lo pi si riscontra tra gli interpreti, si attribuisce a valore conclusivo (perci), il verso risulterebbe comunque anticipare la krisis dei vv. 15-16 (Il giudizio in
proposito dipende da ci: "" o "non "), ribadendo lassoluta
incompatibilit di essere e non-essere e dunque negando un passaggio dal non-essere allessere (e viceversa): nel contesto questo
significa bandire definitivamente la possibilit di generazione
dal nulla, ovvero che ci possa essere una diversit dellessere
nel tempo56. Leszl, in particolare, convinto che luso degli avverbi
sottolinei nei vv. 9-10 la preoccupazione parmenidea rispetto alla
generazione nel tempo, interpreta: in ogni momento lessere c
tutto o non c per nulla57. In questo senso la conclusione e54

Leszl, op. cit., p. 185.


Op. cit., p. 194.
56
Leszl, op. cit., pp. 185-186.
57
Ivi, p. 185.
55

463

scludendo il variare nel tempo di ci che effettivamente diventa anche funzionale alla successiva discussione della sua omogeneit.

N mai dallessere...
Accettando lemendazione di Karsten, i vv. 12-13a risultano:
< >

N mai <dallessere> conceder forza di convinzione
che nasca qualcosa accanto a esso.

In pratica, dopo aver eliminato la possibilit di una derivazione di ci che dal non-essere, la Dea si sbarazza rapidamente
anche della possibilit alternativa: che ci che si generi da altro essere.
In che senso, infatti, qualcosa () potrebbe generarsi
() dallessere ( < > )? Parmenide assume
che la nozione di < > introduca implicitamente la prospettiva di qualcosa di diverso dallessere, cio che
accanto [o oltre] a esso ( ) possa prodursi altro.
plausibile che anche qui egli si confronti direttamente con la riflessione sull: nella misura in cui si riconosca l come
ci che e si tenga fermo il principio di esclusione del nonessere, che cosa potrebbe generarsi accanto [oltre] a esso?
In pratica ammettere la generazione dallessere comporterebbe
riconoscere che:

siano cose che non sono (B7.1).

La Dea in proposito pu ricorrere a una formula di divieto diversa da quella personale utilizzata in B8.7 ( ... non
permetter che...): in questo caso la proibizione risulta pi astratta, vincolata a una considerazione razionale ( ...
464

N mai conceder forza di convinzione

[certezza], B8.12), alla linea di pensiero espressa nel testo precedente.


Una versione alternativa dellultimo argomento quella tradizionalmente accolta sulla scorta dellautorevolezza del codice di
Simplicio:


N mai dal non essere conceder forza di convinzione
che nasca qualcosa accanto a esso. (B8.12-3)

Si tratterebbe di un ulteriore sostegno (il terzo) alla negazione


della possibilit di generazione dal nulla, che presenta tuttavia
una difficolt: il riferimento, nel contesto, dellespressione
. Coxon58, per esempio, traduce:
Nor will the strength of conviction ever impel anything
to come to be alongside it from Not-being,

riconoscendo a valore locativo e riferendolo


allessere. In modo analogo intendono il passo, tra gli altri, Mansfeld59, per sottolineare come ogni origine dal nulla sia impossibile (il nulla lassoluto nihil), e Cerri60, che vi intravede addirittura
la dimostrazione che lEssere e , .
Altri, come Leszl61 esplicitamente, riferiscono a , e
colgono una (nuova) giustificazione del principio di ragione (ex
nihilo nihil fit): il non-essere, per la sua negativit, non pu essere
la causa di qualcosa. Conche 62 segnala, in questo caso, come risulti incomprensibile attribuire valore comparativo ad (autre chose que lui-mm), dal momento che cos la Dea implicherebbe lesistenza del Non-essere.
58

Op. cit., p. 197.


Op. cit., p. 95.
60
Op. cit., p. 224.
61
Op. cit., p. 187.
62
Op. cit., p. 143.
59

465

Alcuni 63 di coloro che mantengono la lezione dei codici di


Simplicio - e quindi non riconoscono struttura dilemmatica
allargomentazione parmenidea, rilevandovi piuttosto tre successive, insistite contestazioni contro la possibilit della genesi e
dellaccrescimento dal non-essere - colgono nel passo un riferimento al concetto pitagorico di vuoto (= non-essere), cos attestato in Aristotele:
,

, ,
[]


Anche i Pitagorici affermarono ci fosse il vuoto, e che
esso penetrasse, dallinfinito soffio, nel cielo [universo]
come se [questo] respirasse, e che fosse il vuoto che
delimita le realt, quasi essendo il vuoto qualcosa di
separato delle cose successive e di distinzione;
affermarono anche che questo avvenga dapprima nei
numeri: il vuoto, infatti, distingue la loro natura
(Aristotele, Fisica IV, 6 213 b)


,

,

Non si deve allora essere per nulla esitanti circa la
questione se i Pitagorici non assumano o assumano la
generazione: essi, infatti, affermano chiaramente che, una
volta costituito luno sia da superfici, sia da un piano, sia
da un seme, sia da cose che sono in difficolt a indicare
subito la parte prossima dellinfinito fu attirata e
delimitata dal limite (Aristotele, Metafisica XIV, 3 1091
a13-18).
63

Cornford, Raven, Untersteiner, Mondolfo, per esempio.

466

Mondolfo64, in particolare, nel complesso della sezione B8.521 non coglie semplicemente la negazione del divenire come processo di generazione e corruzione, in antitesi ai modelli cosmogonico e teogonico, ma lattacco a una concezione determinata, di
cui lo studioso ritiene si possano tracciare i contorni definiti: una
dottrina che affermava la molteplicit in connessione con la discontinuit; che introduceva la generazione dellessere, senza precisarne processo e necessit, e, soprattutto, suscitava il problema
dellinizio, suscettibile di accrescimento in relazione al nonessere. Come risulta appunto dall'attestazione aristotelica, si sarebbe trattato della cosmologia pitagorica, levocazione della quale spiegherebbe convincentemente anche la sequenza di interrogativi ai vv. 6-7 e in genere la scelta dei dellessere da parte
di Parmenide.
Pur non escludendo le due possibilit - (i) che la versione dei
codici di Simplicio sia quella corretta e (ii) che lallusione sia effettivamente alla respirazione cosmica, che avrebbe lasciato anche altre tracce antiche (in Senofane e Pindaro, secondo Mondolfo65) limpressione che in realt linsistenza del poeta sia essenzialmente su e e che leventuale riferimento
dottrinale sia da individuare allinterno di una discussione pi
ampia, in cui per Parmenide era fondamentale attaccare le posizioni che in qualche misura ancora implicavano e .
In questa prospettiva, lemendazione che abbiamo accolto e la
connessa ricostruzione argomentativa (in cui al v. 12 richiama al v. 7) appaiono pi convincenti.
Sarebbe forse praticabile unaltra strada 66 per linterpretazione
di , tuttavia pi complessa e meno plausibile: ammettere che lespressione abbia un senso, nella lettura parmenidea,
proprio in relazione alle nozioni di , e , quasi
64

E. Zeller R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte
Prima, vol. II: Ionici e Pitagorici, a cura di R. Mondolfo, La Nuova Italia,
Firenze 1967, pp. 652-3.
65
Ivi, p. 653.
66
Su questo Conche, op. cit., pp. 143-4.

467

che alle concezioni dei pensatori milesi e pitagorici fosse connaturato il non-essere. Aristotele ancora prezioso:
, , ,

per questo diciamo che di esso [riferimento


all] non c principio, ma che esso stesso sembra
essere principio di tutte le cose e tutte comprendere
[abbracciare] e tutte governare (Fisica IV, 4 203 b10-12;
DK 12 A15).

Marcando lorigine degli enti nel loro complesso da un


- che anche (avvolge tutte le cose), A-

nassimandro cos come i pensatori che ne ereditarono a vario


titolo lo schema cosmogonico - ne avrebbe fatto un non-ente,
qualcosa di diverso dagli enti di cui sarebbe stato principio.
chiaro, comunque, che in questa accezione l- difficilmente avrebbe potuto essere inteso propriamente come nulla e
appare dubbia la possibilit che in questo senso Parmenide vi si
possa rivolgere polemicamente.

Giustizia e le sue catene


A questo punto del suo ragionamento - una volta esclusa la
possibilit di sia dal non-essere sia dallessere e ribadito
che ci che non non dicibile e pensabile - la Dea pu concludere provvisoriamente (vv. 13-15a):

,

Per questo n nascere
n morire concesse Giustizia, sciogliendo le catene,
ma [lo] tiene.

468

Linteresse del rilievo legato al fatto che Parmenide sceglie,


nel contesto della narrazione avviata con il proemio, allinterno
del discorso che la Dea rivolge al proprio interlocutore, e in particolare di un passaggio argomentativo, di riconoscere a Dike e
poi a Ananke e Moira - un ruolo di garanzia: esso si presta a una
lettura simbolica, quasi che la citazione della figura (e della funzione) mitica fosse semplice metafora67. Cos intendono molti
interpreti, per i quali i tre numi tradizionali, proprio per il loro intrinseco riferimento al rispetto dei limiti, sottolineerebbero la ineluttabile legge dellEssere 68 : in altre parole, come lEssere
debba sempre essere identico a se stesso.
La questione , in realt, pi complessa, sia dal punto di vista
della costruzione del poema, sia da quello delle specifiche implicazioni:
(i) elemento strutturale della narrazione: le
sono espressamente attribuite una collocazione liminare e, in relazione a essa, una (tradizionale) mansione di sorveglianza;
(ii) essa, tuttavia, sin dal proemio, anche parte dellazione:
persuasa dallintervento delle Eliadi, Giustizia vien meno al proprio compito di tutela del mondo infero e dei confini, consentendo
laccesso a un mortale;
(iii) e sono espressamente evocate dall'anonima divinit allesordio del suo discorso: il viaggio del poeta si compie
non sotto limpulso di , ma sotto legida della Giustizia.
Le figure del mito (Dike, Ananke, Moira), insieme allo schema del cammino () - ovvero pista () o via
(), costituiscono la struttura portante nell'architettura
dellopera69, elementi di continuit nella sua articolazione, le sue
condizioni trascendentali: il contesto entro cui le specifiche trattazioni su ci che e sulla Doxa assumono il proprio senso e
statuto. Certamente le tre figure svolgono la propria mansione di
67

Ivi, p. 146.
Tarn, op. cit., p. 117.
69
Un aspetto, questo, registrato da Couloubaritsis nelle prime edizioni della sua
opera e accentuato nellultima edizione, La pense de Parmnide, cit..
68

469

garanzia trascendendo ci che (), ovvero danno


limpressione, nelle parole della Dea, di sovrintendere (problematicamente) allEssere dallesterno 70, a dispetto della sua assolutezza.
In questa prospettiva, Dike, in particolare, assume nel poema
una posizione peculiare: essa protegge da e
avvolgendolo e trattenendolo in catene, in altri termini preservandone il perfetto equilibrio attraverso lesclusione della coppia oppositiva nascita-morte71. Se nel proemio il suo ruolo era stato, secondo costume, quello di consegna al portale discriminante del
mondo infero, di salvaguardia dei confini tra mondo della vita e
mondo della morte, nel nostro passo tale connotazione si modifica
nel senso che la garanzia passa per la discriminazione tra essere e
non-essere, con conseguente immobilizzazione e omogeneizzazione dellessere stesso: oltre lessere non si d un mondo altro.
Possiamo solo registrare alcune espressioni indicative:

,

n nascere
n morire concesse Giustizia, sciogliendo le catene,
ma [lo] tiene (B8.13-15a)


Necessit potente
nelle catene del laccio [lo] tiene (B8.30-31)

Moira [lo] ha costretto... (B8.37).

La Robbiano ha accostato, su questo punto, la posizione di


Parmenide a quella di Anassimandro, per cui, come sappiamo,
l circonda e governa ogni cosa: Parmenide, reagendo
70
71

Robbiano, op. cit., pp. 166-7.


Ivi, pp. 174-5.

470

forse a questa soluzione e allidea pitagorica di confine cosmico,


avrebbe introdotto il riferimento a un limite estremo della realt,
sorvegliato da figure di garanzia. A dispetto delle differenze, entrambi gli autori avrebbero inteso marcare immutabilit ed equilibrio delluniverso, che nulla pu giungere a turbare dallesterno.
Mentre l, tuttavia, appare come ipostatizzazione della
causa dellequilibrio, Dike, Ananke e Moira, pur sovrintendendo
allEssere dallesterno (come l), non hanno consistenza
ontologica, ma solo lufficio di orientare, guidare la comprensione dellaudience cui il poema si rivolgeva72.
In realt, il recupero del mito nel contesto, con la sua eccedenza rispetto al dato argomentativo, e la conseguente (apparente) messa in questione dellassolutezza dellessere, potrebbe
segnalare, come vuole Couloubaritsis73, la difficolt di Parmenide
a giustificare argomentativamente uno stato limite o ultimo:
nellargomentazione sviluppata, infatti, nulla autorizzerebbe a ricavare non-miticamente la limitazione dellessere. Il mito, attraverso luso che ne fa la dea, supplirebbe a questa mancanza, rivelando che il logos non ha autonomia assoluta: utilizzate per significare lessere come se lo trascendessero, le figure delle tre divinit tradizionali acquisirebbero cos uno statuto trascendentale e sarebbero il segno di un'integrazione, allinterno del poema, tra discorso significante e discorso mitico 74.

Giudizio ed essere
Daltra parte, che la tutela di Giustizia sia essenzialmente logica si mostra nei vv. 15b-18:

, ,
-
72

Ivi, pp. 166-8.


Mythe et philosophie, cit., p. 217.
74
Ivi, p. 250.
73

471

-
Il giudizio in proposito dipende da ci:
o non . Si dunque deciso, secondo necessit,
di lasciare luna [via] impensabile [e] inesprimibile
(poich non
una via genuina), e che laltra invece esista e sia reale.

Il linguaggio e le immagini insistite - sciogliendo le catene


( v. 14), nei vincoli di grandi catene
( v. 26), nelle catene del vincolo [lo]
tiene ( v. 31) puntano, da un lato, direttamente alla pratica razionale della decisione giudiziaria,
dallaltro alla conseguente restrizione di libert: il vincolo che
Giustizia impone non arbitrario; la condizione che essa prescrive logicamente incontrovertibile, donde la formula secondo
necessit ( ).
Come abbiamo sopra ricordato, il passaggio evoca sinteticamente le ragioni della scelta dell:
(i) ripresa dellalternativa tra le formule contraddittorie
;
(ii) esclusione della via : in quanto non genuina (
), essa anche ;
(iii) conseguente concentrazione su : che laltra esista e
sia reale ( ).
Sulla scorta di premesse individuabili negli esordi della sua
comunicazione (B2), e di cui era stato opportunamente segnalato
il rilievo, la Dea pu ribadire limpraticabilit del non-essere e
delle nozioni che in qualche misura lo implichino, come appunto
e . Con una precisazione interessante: delineata
come alternativa tra formule contraddittorie, , in
verit la krisis di B2 tale solo apparentemente, dal momento che
- la Dea deve riconoscere - la via non genuina, via
solo in teoria, in quanto costruita sulla contraddizione con lunica
realt: . da escludere, dunque, che la stessa divinit possa
in qualche misura servirsene, per esempio nella seconda sezione
del poema, come qualche interprete vorrebbe.
472

Essere e tempo
I versi che seguono (vv. 19-21) e concludono la prima sezione
argomentativa del frammento sono ancora di controversa interpretazione:
; ;
, , .

E come potrebbe esistere in futuro lessere? E come
potrebbe essere nato?
Se nacque, infatti, non , e neppure [] se dovr essere
in futuro.
Cos estinta nascita e morte oscura.

Che la dimensione temporale sia centrale chiaro nelluso dei


tempi verbali e degli avverbi, cos come esplicita la connessione
tra temporalit e -. Il testo e la sua resa presentano
difficolt, di cui abbiamo dato notizia in nota.
A un primo livello di lettura, appare evidente come Parmenide
giochi sulla contrapposizione tra forme del verbo essere ( :
, , , ma anche ) e forme di venire a essere
(: , o, ). La convinzione da veicolare
con tale costruzione verbale che se lessere ( ) coinvolto
in processi (nacque ovvero dovr essere [in seguito]), e dunque diviene, esso propriamente non (ovvero non sempre allo stesso modo75), cos contraddicendo limmediata evidenza della
via: - che comportava laltrettanto immediata ammissione:
non possibile non essere ( ). Ci che
propriamente ( ) sempre uguale a se stesso, come suggerisce luso (durativo) di ; ci che diviene ( pu valere
genericamente come venire a essere), come tale, instabile, e
non- (non pi o non ancora).
Gi a livello verbale, dunque, Parmenide intende rilevare la
reciproca incompatibilit delle condizioni designate dai due verbi.
75

Leszl, op. cit., p. 190.

473

Se venuto a essere, ora diverso da come fu; se verr a


essere in seguito, ora diverso da ci che sar 76: il mutamento che
implichiamo nelle espressioni temporali inconciliabile con la
natura dellEssere (ingenerato e immortale). Interpretando, potremmo affermare, con Conche 77, che quel che vale per la temporalit degli enti della nostra esperienza irriflessa non vale per
lessere di cui la Dea traccia i contorni: lessere ora, nel senso
che sempre uguale a se stesso.
In alternativa, in vece della polarit passato-presente ovvero
venire a essere-essere ( , ), possibile valorizzare l'implicazione tra venire a essere e non-essere: ogni
venire all'esistenza, in effetti, presuppone sempre - indipendentemente dalla prospettiva temporale (passato remoto o futuro prossimo: o - ) - una non-esistenza (
).
In ogni caso, appare a questo punto evidente il nesso
dellargomento nel suo complesso con i vv. 5-6:
, ,
,
n un tempo era n [un tempo] sar, poich ora tutto
insieme,
uno, continuo.

Negare il passaggio da non-essere a essere e viceversa come


nei vv. 6-18 ovvero leventualit di un mutamento dellessere
nel tempo, significa riconoscere che in ogni momento lessere
c tutto o non c per nulla78 (
v. 11), e dunque collegare il ragionamento che porta a escludere e al rilievo dellidentit di ci che con se
stesso e alla problematica caratterizzazione di rispetto alla
temporalit che ritroviamo nei vv. 5-6. Interessante la ripresa del
nesso in Melisso:
76

Tarn, op. cit., p. 105.


Op. cit., p. 148
78
Leszl, op. cit., p. 186.
77

474

. ,

,
Sempre era ci che era [qualsiasi cosa era] e sempre
sar. Se, infatti, fosse nato, necessario che, prima di
nascere, non fosse nulla; ora, se non era nulla, in nessun
modo nulla potrebbe nascere dal nulla (DK 30 B1)
[] ,
, ,
.
,
[...] se diventa altro, infatti, necessario che lessere
non sia uguale, ma che si distrugga ci che era prima e si
generi ci che non . Se allora si alterasse di un solo
capello in diecimila anni, si distruggerebbe tutto quanto
per tutto il tempo (DK 30 B7, 2)

La stessa preoccupazione, di marcare lindifferenza dellessere


rispetto al tempo, negare, in altre parole, la possibilit che il tempo possa comportare una differenza per lessere, espressa chiaramente in termini pi lineari e immediati, sottolineando soprattutto la durevole identit temporale dellessere. In questo senso, la
sintetica connotazione melissiana di - eterno, infinito,
uno, tutto uguale ( ,
DK 30 B7, 1) - interpreterebbe la formula parmenidea ora tutto insieme, uno, continuo ( , , ), in cui
necessario considerare lavverbio unitamente agli attributi, per
intendere correttamente il primo emistichio del v. 5:
.
Ci che la Dea sembra negare la possibilit di pensare coerentemente: [in] un tempo [passato] era ovvero [in] un
tempo [a venire] sar. Accettando la nostra traduzione, espressioni verbali come era e sar sono rifiutate in quanto modificate dallavverbio (un tempo, una volta). Il verso manifesterebbe allora il proprio senso nella contrapposizione tra tempi
475

verbali e forme avverbiali temporali: da un lato n un tempo era ( ) e n [un tempo] sar ( ), dallaltro
ora ( ). Le due proposizioni coordinate sono a loro
volta subordinate da un nesso causale - poich () alla terza ( ora tutto insieme, uno, continuo): in altre parole il rilievo della completezza, omogeneit e integrit ( , ,
) di ci che a escludere qualsiasi forma di discontinuit e dunque di autentica discriminazione temporale.
Questa costruzione si rifletterebbe anche nellargomento complessivo dei vv. 6-21: la Dea dapprima si concentra
sulleventualit che ci che sia divenuto (nato e cresciuto),
quindi (v. 19) considera interrogativamente che possa esistere in futuro:
; ;
, ,
E come potrebbe esistere in futuro lessere? E come
potrebbe essere nato?
Se nato, infatti, non , e neppure [] se dovr essere
in futuro.

Se riscontriamo i vv. 5 e 20:


,
, ,

possiamo notare come la Dea insista a marcare l'incompatibilit tra esistenza passata e\o esistenza futura (che implicano
) e quella condizione presente ( ) che si esprime nell79
e ne riflette il valore stativo80.
79

Ma come insegna Palmer, forma riassuntiva di


; o, come preferiamo, esprime immediatamente
levidenza, di cui contestuale inferenza.
80
R. Di Giuseppe, Le Voyage de Parmnide, cit., p. 94. Sulla questione lo
studioso italiano richiama i numerosi lavori di Kahn, ora riuniti in Ch.H.
Kahn, Essays on Being, O.U.P, Oxford 2009.

476

Isolando (e assolutizzando) le espressioni verbali (, ,


, , ), si avvertito in queste battute il delinearsi di un punto di vista ardito: lidea delleternit come atemporalit, totale estraneit dellessere al tempo. Valorizzando, invece, le funzioni avverbiali (, ), forse pi prudente limitarsi a segnalare come pur sempre allinterno di una prospettiva
temporale (che privilegia il presente) la Dea rifiuti di riconoscere, in relazione a , la validit (sensatezza) del riferimento
alle dimensioni temporali del passato e del futuro. Limpressione
che Parmenide insista sul presente per sottolineare l'identit
dellessere rafforzata dalla reiterazione di formule di persistenza
(e stabilit) gi ricordate:

,

n nascere
n morire concesse Giustizia, sciogliendo le catene,
ma [lo] tiene (vv. 13-15a)


Necessit potente
nelle catene del laccio [lo] tiene (vv. 30-31),

cui possiamo aggiungere quella che forse la formulazione


pi pregnante:


Identico e nellidentica condizione perdurando, in se
stesso riposa,
e, cos, stabilmente dove persiste (vv. 29-30),

dove la costruzione verbale (, , ) e avverbiale


( ma anche le espressioni , ) segnala
nuovamente la preoccupazione di fondo dellautore circa identit
477

e immutabilit di ci che , e sua estraneit a processi che possano contraddirle.


Al v. 21 si conclude il lungo argomento, con lesplicita esclusione dei due indicatori fondamentali del divenire (e, per quel che
abbiamo potuto notare, della temporalit):

Cos estinta nascita e morte oscura.

In entrambi i casi, laccettazione di un venire a essere ovvero di una distruzione dellessere comporterebbe limplicita
ammissione di ci che non , il riferimento a un impraticabile
passaggio dal o verso il nulla. Comunque sia tradotto il verso (si
vedano le annotazioni al testo), sulla scorta delle argomentazioni
precedenti, Parmenide chiude la propria esposizione relativamente a un punto essenziale nel quadro della cultura contemporanea:

che senza nascita ci che e senza morte (v. 3).

Lestinzione dei processi veicolati dai termini e


passa attraverso (i) la decisione tra e non-, (ii)
linaccettabilit della loro commistione, (iii) il riconoscimento
che il nulla inindagabile: donde forse la caratterizzazione della
morte (distruzione) come , inaudita, inconcepibile.

Omogeneo e continuo
I vv. 22-25 costituiscono un nuovo blocco a giustificazione dei
: (intero), (uniforme), (tutto insieme), (continuo):
,
, ,
, .
.

478

N divisibile, poich tutto omogeneo;


n c qui qualcosa di pi che possa impedirgli di
essere continuo,
n [l] qualcosa di meno, ma tutto pieno di ci che .
perci tutto continuo: ci che si stringe infatti a ci
che .

Impermeabile al non-essere, ci che non pu che essere


omogeneo ( letteralmente tutto uguale), pieno
(), continuo (): in altre parole, tutto (,
termine ripetuto tre volte in quattro versi) identico a se stesso (uniforme). In questo senso, esiste indubbiamente, tra questo gruppo di , il precedente e i successivi, la forte connessione garantita dai versi sopra citati:


Identico e nellidentica condizione perdurando, in se
stesso riposa,
e, cos, stabilmente dove persiste (vv. 29-30).

Lindivisibilit, lirriducibilit dellessere seguono alla sua


omogeneit, alla sua densit, in ultima analisi al bando della via
non : nulla pu inframezzarsi a ci che . In poche battute
la Dea sottolinea coerentemente tale omogeneit con una serie di
espressioni: (i) non c alunch che possa impedirgli di essere
continuo; (ii) tutto pieno di ci che ; (iii) tutto continuo; (iv) ci che si stringe a ci che . Ora, chiaro che centrale risulta la (ii): ; una affermazione
che sembra ricavata direttamente dalla enunciazione della tesi di
fondo di B2 ( [...] ), esplicitata in
B6.1-2a:

,
.

479

Dal riconoscimento dellidentit dellessere con se stesso (


), e dal contestuale bando del nulla (
), seguono sia che tutto pieno di ci che , sia che
nulla possa impedirgli di essere continuo, e, ulteriormente, le
due caratterizzazioni equivalenti del verso finale del passo: tutto continuo e ci che si stringe a ci che .

Tutto intero, uniforme


Parmenide suggerisce compattezza, coesione e identit, in forza di scelte espressive che escludono la possibilit di distinzione,
riduzione, separazione: , , ,
, . Le implicazioni materiali e psicologiche della pienezza e dei vincoli evocati sono state messe in valore nellanalisi
di Mourelatos81, il quale ha marcato la presenza sullo sfondo di
due elementi: (i) la semplicit inqualificata di ci-che-; (ii) la
negazione di dualismi. Questo consente di collegare il passo in
questione con liniziale rilievo (v. 4) dellespressione tutto intero, uniforme ( ), che, sempre secondo Mourelatos82, anticiperebbe largomento a sostegno dell'indivisibilit, anche grazie allamplificazione di B8.5b-6a: , , .
Come abbiamo segnalato in nota al testo, per il significato della formula lo studioso richiama un importante precedente esiodeo, che Parmenide avrebbe avuto ben presente e in opposizione al quale avrebbe coniato la propria espressione:
,
,

Non vi era dunque un solo genere di Eris [Contesa],
ma sulla terra
ce ne sono due: luna potrebbe onorare chi la
comprenda;
81
82

Op. cit., pp. 111-2.


Ivi, p. 95.

480

laltra da riprovare; hanno animo diverso e opposto


(Le opere e i giorni 11-13).

Il segnavia indicherebbe dunque un'identit di genere, di natura, ununiformit tale da escludere qualsiasi forma di
potenziale discriminazione allinterno dellessere: in questo senso
sarebbe impiegato nel nostro frammento in antitesi alla dicotomia che il filosofo pone al fondo delle opinioni mortali
( v. 51), costruite intorno a una coppia di forme
( v. 53) distinte oppositivamente (
v. 55), e reciprocamente separate (
vv. 55b-56a).
Accettando la lettura di Mourelatos, risulta ancora pi evidente
il ruolo decisivo della richiamata al v. 16: .
sulla scorta di essa, infatti, che la Dea pu marcare linesorabile
uni-genericit (o meglio uniformit) di ci che , escluderne
differenziazioni, proporlo come un blocco compatto nellessere.
Concentrandosi su ed escludendo , possibile affermare (di ): . Una piena applicazione della
formula della prima via di B2.3:
.

possibile che linsistenza su coesione e omogeneit


dellessere riveli ancora un'intenzione polemica nei confronti del
modello cosmogonico ionico: come abbiamo gi avuto modo di
ricordare, le testimonianze su Anassimandro e Anassimene supportano uno schema di base, per cui lorigine del processo di formazione del mondo coinciderebbe con un atto di separazione da
uno stato primitivo di indifferenziazione:

[Anassimandro] sostiene che ci che, derivato


dalleterno, produttivo di caldo e freddo fu separato alla

481

generazione di questo mondo (Pseudo-Plutarco; DK 12


A10)
. ,
,
,
, ,
.
,
, , , ,
, .
,
Anassimene, figlio di Euristrato, milesio, discepolo di
Anassimandro, afferma, come quello, che unica e infinita
la natura soggiacente, non indefinita, tuttavia - come
sosteneva quello - ma determinata, chiamandola aria.
Afferma inoltre che essa si differenzia nelle sostanze per
rarefazione e condensazione. Rarefacendosi, infatti,
diventa fuoco, condensandosi invece vento, poi nuvola, e
quando pi condensato acqua, poi terra, poi pietre. Tutto il
resto deriva da queste cose. Anchegli pone eterno il
movimento per cui si produce il mutamento. (Simplicio;
DK 13 A5).
. , ,
,

, . (2)
,
,
.
, . (3)

,
, ,
< > ,
,

482

.
, [...]
Anassimene, anche lui milesio, figlio di Euristrato,
disse che il principio aria infinita, da cui si generano le
cose che nascono e le cose che sono nate e quelle che
nasceranno e gli dei e le cose divine, mentre le altre cose
derivano da quanto da essa prodotto. (2) Laspetto
dellaria questo: quando del tutto uniforme, essa risulta
invisibile; si mostra invece con il freddo e il caldo e
lumidit e il movimento. Si muove sempre: le cose che
mutano, infatti, non muterebbero, se essa non si
muovesse. (3) Quando condensata e rarefatta, infatti,
appare in modo diverso: quando si dirada fino a essere
molto rarefatta, diventa fuoco; mentre i venti, a loro volta,
sono aria condensata; dallaria poi, per compressione, si
formano le nuvole, e, crescendo ancora la condensazione,
lacqua, e, crescendo di pi, la terra, e, crescendo al
massimo, le pietre. Cos gli elementi fondamentali della
generazione sono contrari, il caldo e il freddo (Ippolito;
DK 13 A7).

La fonte comune di Pseudo-Plutarco, Simplicio e Ippolito


Teofrasto, un teste affidabile: ricorrente - a dispetto della convinzione che di tutto unica sia la scaturigine in una -
lidea che:
(i) fondamentale per la cosmogonia sia lazione dei contrari
(Ippolito lo afferma chiaramente:
): essa si dispiega, in Anassimandro, a partire da ci che
produttivo di, ovvero ci che pu generare () caldo e
freddo, ovvero, in Anassimene, dai processi di rarefazione e condensazione;
(ii) la separazione del principio generativo degli opposti
(), nel primo caso, ovvero la doppia azione esercitata
sullaria, nel secondo, sarebbero a loro volta effetto di un movimento eterno ( ) nella , da Simplicio
riconosciuto (per entrambi) come causa diretta del mutamento
().
483

Il lessico peripatetico delle testimonianze fa intravedere la


possibile sovrapposizione di due schemi esplicativi, che potrebbero ambiguamente essere stati compresenti nelle cosmologie (e cosmogonie) ioniche.
Il primo delineato dalle affermazioni di Simplicio su Anassimene secondo cui la natura soggiacente ( )
si differenzia nelle sostanze per rarefazione e condensazione
( ), e confermato da qualche passaggio di Ippolito (condensata e rarefatta,
infatti, appare in modo diverso
; ovvero i venti, a loro volta, sono aria condensata ) quello che
prevale in Aristotele (e che possibile ritrovare esplicitato in
Diogene di Apollonia): la materia originaria ed eterna subisce alterazioni a causa del suo interno moto incessante, presentandosi
cos in varie forme fenomeniche. In questo schema le sostanze
della lista proposta 83 (fuoco, venti, nuvole, acqua, terra, pietre)
non sarebbero realt indipendenti, ma semplici stadi di passaggio
nel ciclo di trasformazione dellunico principio materiale. Conseguentemente, in questa prospettiva monistica, tutte le cose si
ridurrebbero ad aria84.
Il secondo espressamente sottolineato da Simplicio in Anassimandro (citato in precedenza):
[...]
,
[...]
Egli poi non fa discendere la generazione
dall'alterazione dellelemento, ma dalla separazione dei
contrari, a causa del movimento eterno (DK 12 A9),
83

Che ha laria di essere citazione dalloriginale teofrasteo: in questo caso non


ritroveremmo una semplice parafrasi, con la proiezione della dottrina
peripatetica dei 4 elementi, ma forse il riferimento a un elenco
effettivamente anassimeneo. Su questo punto Kahn, Anaximander and the
Origins of Greek Science cit., pp. 149-150.
84
Secondo un paradigma riduttivo gi presente nel mito greco di Proteo, come
segnala Kahn, op. cit., p. 151.

484

ma rilevabile anche nelle testimonianze su Anassimene, dove


si marca la generazione di tutte le altre cose da un nucleo di sostanze (fuoco, vento, nuvola, acqua, terra, pietre). Secondo questo schema (pluralistico, con probabile eco del politeismo teogonico esiodeo), dal principio materiale (
) si sarebbero generate, come effetto di compressione e rarefazione, alcune realt elementari indipendenti (le sostanze elencate), da cui risulterebbero tutte le altre cose.
Una possibile, analoga oscillazione tra i due schemi si lascia
cogliere anche nel contemporaneo Eraclito:
, ,
,


Questo mondo ordinato, lo stesso per tutti, nessuno
degli dei o degli uomini produsse, ma fu sempre, e sar
fuoco sempre vivo, che si accende secondo misura e si
estingue secondo misura (Clemente Alessandrino; DK 22
B30)


Tutte le cose sono scambio con fuoco e il fuoco
scambio con tutte le cose, come i beni sono scambio con
oro e loro scambio con beni (Plutarco; DK 22 B90)
,
, ,

per le anime morte diventare acqua, per lacqua,


invece, morte diventare terra, ma dalla terra si genera
lacqua, dallacqua a sua volta [si genera] lanima
(Clemente Alessandrino; DK 22 B36)

, ,

485

Il fuoco vive la morte della terra e laria vive la morte


del fuoco, lacqua vive la morte dellaria, la terra la morte
dellacqua (Massimo di Tiro; DK 22 B76).

Da un lato, soprattutto i primi due frammenti suscitano


limpressione che Eraclito riduca ogni cosa a fuoco, la natura originaria che si cela dietro ogni trasformazione; dallaltro il lessico
(, , , ) di B36 e B76 suggerisce lidea di
un ciclo di produzione di elementi, che scaturiscono gli uni dagli
altri, senza una reale identit di base 85.
I limiti di documentazione (anche nel caso dei frammenti eraclitei) e il lessico e limpostazione peripatetici delle testimonianze
non consentono di stabilire con certezza quale schema fosse effettivamente operante negli autori ionici: in ogni modo chiaro che,
rispetto allimpegno argomentativo di Parmenide, essi potrebbero
far sentire la loro presenza da due punti di vista.
Intanto, come in precedenza segnalato, nellinsistenza parmenidea sul nesso - e nelleco biologica di molti termini ed espressioni ricorrenti nel poema ( , ,
, , , ), che potrebbero evocare la centralit della dimensione generativa decisiva nel secondo modello.
Un lessico biologico attribuito chiaramente, nelle testimonianze, in particolare ad Anassimandro, come rivelano luso del
termine per indicare il nucleo originario dei processi reattivi che conducono alla formazione di un mondo (una sorta di base seminale del mondo stesso), e la scelta di un verbo (da ) che evoca attivit di secrezione.
L stesso sarebbe stato proposto, allora, come fertile, feconda matrice, una sorta di genitore (in senso letterale), cui imputare in ultima analisi lorigine.
In secondo luogo evidente, nel poema, la riflessione sulle
implicazioni ontologiche dei due possibili paradigmi esplicativi
che possiamo cogliere nello schema attribuito dalle testimonianze
ad Anassimene: (i) esiste una natura soggiacente (

85

Graham, Explaining the Cosmos, cit., pp. 124 ss..

486

), unica e infinita ( ), dalla quale, (ii) a causa di


movimento eterno ( ), (iii) si produce il mutamento ( ), consistente nel (iv) suo differenziarsi in sostanze ( ), (v) da cui
discenderebbero tutte le altre cose ( ). A

Parmenide non sarebbero sfuggiti:


(a) la difficolt di coniugare la consistenza dessere della
, la sua eterna irrequietezza, e la realt sostanziale delle altre cose;
(b) il fatto che lattivit discriminante (differenziare,
) riferita alla realt originaria ne minasse la compattezza
(portando con s la nozione di non-essere);
(c) il problema della giustificazione dello stesso processo di
generazione dal principio e\o della sua trasformazione.
In effetti si tratta delle questioni di fondo che abbiamo ritrovato commentando i primi 25 versi di B8.

Immobile e identico
probabile che allo stesso contesto rinviino i versi successivi
(26-31), che sottolineano immobilit e immutabilit di ci che :

,
, .


, ,
Inoltre, immobile nei vincoli di grandi catene,
senza inizio e senza fine, poich nascita e morte
sono state respinte ben lontano: convinzione genuina
[le] fece arretrare.
Identico e nellidentica condizione perdurando, in se
stesso riposa,
e, cos, stabilmente dove persiste: dal momento che
Necessit potente

487

nelle catene del vincolo [lo] tiene, che tutto intorno lo


rinserra.

Luso del termine non deve ingannare: ci che in


gioco in questo passaggio non tanto, nello specifico, il movimento, quanto il mutamento in generale, come suggerito da:
(i) accostamento tra e altri due aggettivi senza inizio () e senza fine () esplicitamente giustificati dalla precedente esclusione di e ;
(ii) insistenza su identit durevole, fissit di stato e persistenza
di ;
(iii) variazione nel registro espressivo, con la reiterazione di
immagini che suggeriscono certamente anche inabilit al moto,
ma, nel contesto, soprattutto impossibilit di sviluppo, di cambiamento della propria situazione.

Nellidentica condizione
Insomma, Parmenide appare interessato a escludere dallessere
la possibilit di intrinseca motilit (connaturata invece, secondo le
testimonianze, alla milesia) - donde forse laggettivo
del v. 4 - e dunque, rispetto allo schema esplicativo che
abbiamo riscontrato, di trasformazione (): da un punto di
vista linguistico sono dominanti le espressioni che accentuano
saldezza (stabilmente dove persiste ) e staticit (in se stesso riposa ), figurativamente
accompagnate dalla suggestione dei vincoli di grande catene
( ), e del rinserramento dellessere (
) a opera di Necessit potente ( ).
Come abbiamo segnalato in nota al testo, il passo ricco di
echi letterari e riflette su un nodo (mutamento) ben documentato
anche nella cultura filosofica arcaica:
- ,
.

488

-
.
- ;
.
- ;

,
A. Ma sempre gli dei furono presenti e mai vennero
meno:
queste cose sono sempre uguali e sempre per s stesse.
B. Eppure si dice che Caos primo venne allessere
degli dei.
A. Come possibile? Come primo non aveva da cosa
derivare n verso cosa procedere.
B. Nulla allora procedette per primo? A. Nemmeno per
secondo, per Zeus, ,
almeno delle cose di cui ora stiamo discorrrendo in
questo modo, ma esse furono sempre [...]. (Epicarmo; DK
23 B1)
[...]
,
,
.

,
[...]
[...] Cos ora considera
anche gli uomini: luno cresce, laltro, invece,
deperisce:
tutti sono in mutamento durante tutto il tempo.
Ora, ci che muta per natura e non mai nella stessa
condizione permane,
sarebbe gi diverso da quel che era [...] (Epicarmo; DK
23 B2)

489

sempre nella stessa condizione permane, e per nulla si


muove,
n gli si addice spostarsi ora in un luogo ora in un altro
(Senofane; DK 21 B26).

Le citazioni di Senofane ed Epicarmo attestano, nella elaborazione contemporanea, la preoccupazione per il mutamento in associazione al tempo: tradizionalmente riferite al rapporto tra
lumano e il divino (Epicarmo), esse complessivamente contrastano i processi di crescita e deperimento, linstabilit sostanziale
degli esseri umani, con limmota identit delle realt divine (uguali e sempre per s stesse ), connotata sia rispetto al tempo (sempre gli dei furono presenti e mai
vennero meno, ), sia
rispetto allo stato (ci che muta per natura, e mai nella stessa
condizione permane,
)86. Significativamente, nel suo breve frammento Senofane sembra giustificare limmobilit divina con una considerazione di opportunit: n gli si addice [] spostarsi ora in
un luogo ora in un altro.
La Dea di Parmenide, da parte sua, coniuga immobilit, immutabilit e identit sulla base di tre considerazioni:
(i) generazione e corruzione sono state allontanate dallo scenario dellessere con argomento conclusivo (convinzione genuina
[le] fece arretrare ): dunque indiscutibilmente sottratto alla linearit della relazione inizio-fine a
causa della contraddizione che essa comporta;
nel senso che non diviene;
(ii) ingenerabilit, incorruttibilit, pienezza, omogeneit e continuit (sottolineate nei versi precedenti) pongono laccento
sullidentit di con se stesso: essa appare il nuovo baricentro del discorso divino. La Dea, tuttavia, non propone un argomento a sostegno, n esplicitamente si appoggia al precedente,
86

da osservare, in particolare, luso in entrambi gli autori dellespressione


(in Senofane lequivalente poetico ), nella
duplice valenza (locativa e di stato) che ritroviamo in Parmenide.

490

limitandosi invece a citare la garanzia della vigilanza di


(Necessit-Costrizione) e, per due volte, dei suoi vincoli e catene;
(iii) limmobilit collegata, attraverso la sottrazione dei processi di generazione e corruzione e il rilievo dellidentit di stato,
allargomento complessivo: il movimento viene assimilato a un
mutamento di condizione dellessere e quindi escluso 87.

Non incompiuto...
Anche largomento a sostegno dellimmutabilit di ci che
dipende dunque, in ultima analisi, dalla dei vv. 15-16:
. Su quel giudizio, in effetti, poggia saldamente la
che esclude, dallorizzonte della riflessione
sullessere, e . Tale immutabilit , a sua volta, utilizzata (vv. 32-33) come prova a favore della perfezione di
88:

.
E per questo non incompiuto lessere [] lecito che sia:
non , infatti, manchevole [di alcunch]; il non essere,
invece, mancherebbe di tutto.

Interessante nel passaggio il fatto che Parmenide ricorra a una


congiunzione (, per questo) che riferisce laffermazione
successiva a quel che immediatamente precede: largomento si
sostiene quindi sia sulla e le sue conseguenze, sia sulle
immagini di vincoli e catene, immobilizzanti ma anche identitarie. La suggestione divina di opera a garanzia della compiutezza dellessere, sorvegliandone e salvaguardandone la pienezza ( ; ).

87
88

Leszl, op. cit., p. 209.


Su questo passaggio P. Curd, Eleatic Arguments, in Methods in Ancient Philosophy, edited by J. Gentzler, Clarendon Press, Oxford 1998, p. 18.

491

La Dea, insomma, annoda immobilit, immutabilit, identit e


perfezione: come (intero, uniforme), (tutto insieme), (continuo, coeso) discende dal rigetto della via , e rivela dunque un carattere essenziale dellessere. Lalternativa radicale ,
con linvito a valutare discorsivamente la robustezza degli argomenti (B7.5) e a concentrarsi su e sui suoi segnali (B8.12), comporta, infatti, la progressiva sottrazione di ogni negativit
che potrebbe attentare allintegrit dellessere, come manifesto
nel v. 33, comunque lo si intenda:
(i) lessere non pu essere in difetto in alcun modo (poich
deve essere per intero o non essere per nulla); il non-essere, invece, sarebbe totale assenza di realt;
(ii) traducendo diversamente, invece, avremmo:

non , infatti, manchevole [di alcunch]; se non fosse
[non-manchevole], invece, mancherebbe di tutto (v. 33);

se lessere fosse in qualche misura o per qualche aspetto carente, porterebbe con s non-essere e ne sarebbe distrutto, come
gi marcato (o anticipato) al v. 11:

deve essere per intero o non essere per nulla.

Se ora consideriamo, nel suo complesso, il nodo di questi versi


centrali del frammento, possiamo forse cogliervi una presa di posizione nei confronti delle tesi che avevano delineato a un tempo
il primato di un principio e i suoi sviluppi o le sue trasformazioni:
che lo avevano considerato divino, attribuendogli eterna durata e
vitalit, per garantire gli enti nella loro totalit; proteiforme (laria
di Anassimene?) per giustificarne le traduzioni fenomeniche; infinitamente fecondo per sostenere gli incessanti processi di generazione e corruzione.

492

Essere e pensiero
appunto nella discussione di questo nodo che Parmenide inserisce (vv. 34-38a) quanto appare come un excursus, oggetto di
un articolato dibattito, filologico e interpretativo, cui abbiamo accennato in nota al testo:
.
, ,
o;udn < >
,

La stessa cosa invero pensare e il pensiero che :
giacch non senza lessere, in cui [il pensiero]
espresso,
troverai il pensare. N, infatti, esiste n esister
altro oltre allessere, poich Moira lo ha costretto
a essere intero e immobile.

Accettando la nostra traduzione del v. 34, in effetti qui la Dea


recupererebbe affermazioni avanzate in precedenza:

La stessa cosa, infatti, pensare ed essere (B3)

Dire e pensare: ci che , necessario (B6.1a).

Ribadendo la connessione, che fa da sfondo a tutta


lesposizione divina, tra e - e dunque anche
limpossibilit che ci che non ( ) possa realmente essere oggetto del pensiero89, secondo le indicazioni di B2.7-8:
-
89

Questo quanto i versi in questione mostrerebbero secondo Curd, Eleatic


Arguments, cit., p. 19.

493

poich non potresti conoscere ci che non (non


infatti cosa fattibile),
n indicarlo -

lobiettivo sarebbe quello di escludere che possa darsi per


lintelligenza della realt oggetto diverso dallessere (
), che possa in altre parole essere assunto come
realt quanto si manifesta a livello di senso comune. Questa lettura sembra confermata da quel che segue immediatamente (vv.
38b-41):
,
,
, ,

Per esso [ci che ] tutte le cose saranno nome,
quante i mortali stabilirono, convinti che fossero reali:
nascere e morire, essere e non essere,
cambiare luogo e mutare luminoso colore.

Gli eventi che i mortali () registrano quotidianamente


e che in modo irriflesso interpretano come fenomeni di mutamento (nascere e morire, cambiare luogo e mutare luminoso colore) designandoli, illusi () della loro genuina consistenza () - si rivelano, all'intelligenza critica sollecitata dalla
Dea, per quello che in verit sono: nome. Gli uomini, in altre
parole, utilizzano una pluralit di espressioni - dalla Dea gi esplicitamente proibite: nascere e morire, essere e non essere,
cambiare luogo - per articolare e cadenzare una realt che, correttamente valutata, risulta essenzialmente estranea a ogni accadere e mutare. Lunico genuino (vero) oggetto di intelligenza e linguaggio ci-che-: indipendentemente da quel che i mortali
pretendono di riferire nei loro pensieri e discorsi, ci cui essi realmente pensano e possono pensare 90.

90

McKirahan, op. cit., p. 202.

494

Prima di tornare a discutere i segnali lungo la via


in particolare prima di riprendere e ulteriormente determinare il
nodo cruciale dellimmobilit, immutabilit e compiutezza
dellessere la Dea di Parmenide richiama lattenzione su quanto
implicito nelle sue affermazioni iniziali (B2-B3): per un pensare
intelligente, capace cio di afferrare consapevolmente il proprio
oggetto, non pu darsi altro orizzonte che , dal momento che
ci che non ( ) intrinsecamente inconsistente. Molto
discussa la formula impiegata (vv. 34-36a):
.
, ,

La stessa cosa pensare e e il pensiero che :
giacch non senza lessere, in cui [il pensiero]
espresso,
troverai il pensare.

Rispetto ai due enunciati (B3 e B6.1a) sopra ricordati, qui non


si tratta semplicemente di unaffermazione di identit (generica)
tra pensare ed essere (B3) ovvero di una presa datto della necessit per il pensiero di ammettere che ci che (B6.1a). Qui la
Dea si spinge a delineare a un tempo due relazioni - di identit
( ) e di dipendenza (espressa da , che traduciamo come equivalente a che91) - i cui membri risultato da un
lato , dallaltro appunto il pensiero () che "". Non
c altro oltre allessere, quindi lessere non pu che essere
loggetto del pensiero: la Dea sottolinea, infatti, come lessere sia
propriamente ci in cui il pensiero espresso, il campo entro
cui necessariamente il pensiero si manifesta. Dal momento che
in verit il solo contenuto realmente pensato ed espresso nel
linguaggio, qualsiasi cosa i mortali pensino o dicano e in qualsiasi
modo la pensino o dicano, essi stanno parlando di ci-che-92. C
tensione, dunque, tra quanto essi sono convinti di nominare e
91
92

Ma che altri scelgono di rendere come a causa di.


McKirahan, op. cit., p. 205.

495

quanto in realt essi nominano: sebbene non ne siano consapevoli, ogni nome afferma lessere. Allorizzonte (trascendentale)
dellessere non pu sottrarsi il nominare dei mortali 93.
Nel contesto, insomma, a dispetto di una lunga tradizione interpretativa, intenzione della Dea sarebbe non tanto aprire una parentesi per discutere dell'inattendibilit dellesperienza umana,
quanto rilevare lillusione che altro (dallessere e dai suoi segnali) possa essere lambito del pensare. In questione sarebbe allora
la consistenza del mondo attestato empiricamente, ma non in
quanto di per s illusorio, risultato di un inganno dei sensi, piuttosto perch non inquadrato coerentemente, da un punto di vista logico, nell'unitaria cornice dessere, e dunque frainteso. In quest'ottica, al linguaggio inadeguato dei mortali contrapposto il linguaggio della verit dellessere94.
A chi si riferisce il termine ? Agli esseri umani in genere, evocando il tradizionale rilievo della loro debolezza cognitiva
(rispetto alla conoscenza divina) e dunque accentuando la natura
eccezionale dell'esperienza del poeta? Ovvero a un gruppo o a
gruppi di sapienti rivali? Osservando le scelte espressive di Parmenide ( , ,
), potremmo riconoscere sia
una generica allusione alle modalit ordinarie di lettura della realt (cambiamento di luogo, mutamento qualitativo), sia laccenno
a un linguaggio pi specifico (nascere e morire, essere e non essere): quello che sopra abbiamo individuato nelle testimonianze relative agli schemi cosmologici (e cosmogonici) milesi e nei
frammenti eraclitei.
A noi sembra, tuttavia, che questo passo - apparentemente una
pausa nella sequenza argomentativa del frammento faccia emergere un aspetto peculiare dellapproccio di Parmenide, una
nuova dimensione speculativa. Ipotizzando che lEleate abbia
preso le mosse dallanalisi delle implicazioni (ontologiche) di affermazioni relative alla o all', denunciando le incongruenze delle lezioni cosmologiche (e cosmogoniche) circolanti,
93
94

Ruggiu, op. cit., pp. 307-8.


Ibidem.

496

possibile si sia a un certo punto concentrato sulle condizioni di


comprensione della realt (dunque sulla stessa attivit di ):
questione di secondo livello 95 (meta-cognitiva), intesa a far
prendere consapevolezza, oltre che dei segni dellessere, anche
dei presupposti del pensare. Lontologia che viene delineata traccia cos a un tempo i requisiti necessari (stabilit, identit) alla
conoscenza: la comprensione () esige determinate condizioni
formali (propriet) per lintelligibilit del proprio oggetto; condizioni che Parmenide potrebbe aver fatto emergere nel confronto
serrato (meta-critico) con le teorie della natura della tradizione
ionica96.

Moira lo ha costretto...
Per la terza volta nel frammento, la Dea assicura il proprio ragionamento ricorrendo a unimmagine mitica (e a una formula epica): Moira ha costretto () a essere intero e immobile ( ). in forza di tale destino
che nulla esiste o esister ( ) oltre allessere
( ): ci, in primo luogo, comporta ancora (come
nel caso di Giustizia e Necessit) che la garanzia di Moira risulti
formalmente essenziale per affermare integrit, unicit e immutabilit dellessere (e dunque per sostenere come i nomi dei
mortali si riferiscano in vero sempre e solo allessere). Ma la
superiore tutela di Moira impone, in secondo luogo, anche
lidentit di essere e pensiero, nel momento in cui marca, appunto, come non possa esistere (altro oltre
allessere).
In questo senso, rispetto a e , essa riveste una funzione trascendentale: richiamando implicitamente le immagini dei
legami () e delle catene () ed esplicitamente la fissi95

G.E.R. Lloyd usa lespressione secondordine, per esempio nel suo Le pluralisme de la vie intellectuelle avant Platon, in A. Laks et C. Louguet (ds),
Quest-ce que la Philosophie Prsocratique?..., cit., p. 44.
96
Graham, Explaining the Cosmos, cit., p. 166.

497

t ( - ) dei ceppi (), con la figura di Moira la


Dea, da un lato, ribadisce la stabilit dellessere, dallaltro indica
in quella invariabilit un carattere fondamentale della conoscenza.
Questa connessione tra saldezza di ci che e costanza del
che la coglie la stessa allusa in B4.1-2:


Considera come cose assenti siano comunque al
pensiero saldamente presenti;
non impedirai, infatti, che lessere sia connesso
allessere.

La Dea le contrappone la precariet tutta umana e artificiale


(saranno nome ) di quanto ( [...] ) i mortali stabilirono ( ), lasciandosi poi traviare
( ).

Compiuto e omogeneo
I versi (42-49) che concludono la sezione sulla Verit ne riassumono lontologia, insistendo particolarmente su compiutezza e
omogeneit di ci che , attraverso un ampio ricorso a metafore
spaziali:
,
, ,

.
,
,
,
, .
Inoltre, dal momento che [vi ] un limite estremo, [ci
che ] compiuto
da tutte le parti, simile a massa di ben rotonda palla,

498

a partire dal centro ovunque di ugual consistenza:


giacch necessario che esso non sia in qualche misura di
pi,
o in qualche misura di meno, da una parte o dallaltra.
Non vi , infatti, non essere, che possa impedirgli di
giungere
a omogeneit, n ci che esiste cos che ci sia - di ci
che qui pi, l meno, poich tutto inviolabile.
A se stesso, infatti, da ogni parte uguale,
uniformemente entro i [suoi] limiti rimane.

I versi propongono contestualmente due diverse prospettive:


laccostamento alla massa di ben rotonda palla (
) presuppone infatti un punto di vista esterno, per comunicare unimpressione ottica (da fuori) della
compatta estensione dellessere, della sua compiuta integrit;
daltra parte, la sottolineatura dellequa distribuzione (
) a partire dal centro (), manifesta piuttosto un
punto di vista interno (dal centro alla superficie perimetrale).
Complessivamente il testo vuol riproporre come totalit piena,
densa, uniforme, e a tale scopo fa leva sulla nozione di limite estremo ( ), di un confine che rende plasticamente
lassoluto discrimine tra e , logicamente essenziale a
tutto il ragionamento della Dea.

C un limite estremo
Anche in questo caso come in altri passaggi del poema appare evidente il debito nei confronti dellimmaginario epico:


,
,
,

499

, ,

.]
[

L della terra nera e del Tartaro oscuro,
del mare infecondo e del cielo stellato,
di seguito, di tutti vi sono le scaturigini e i confini,
luoghi penosi e oscuri che anche gli dei hanno in odio,
voragine enorme; n tutto un anno abbastanza sarebbe
per giungere al fondo a chi passasse dentro le porte,
ma qua e l lo porterebbe tempesta sopra tempesta
crudele; tremendo anche per gli dei immortali
tale prodigio. E di Notte oscura la casa terribile
sinalza, da nuvole livide avvolta (Teogonia 736-745.
Traduzione di G. Arrighetti).

Il passo esiodeo di un certo rilievo nel nostro contesto, in


quanto lega il tema delle scaturigini e dei confini di tutte le
cose ( ) a uno scenario infero in cui
inserito il riferimento alla casa terribile di Notte oscura
( ), probabile prototipo della dimora
della Notte ( N) evocata nel proemio di Parmenide.
N va dimenticato che la Dea promette nel poema di tutto informare (B1.28): almeno didascalicamente, lottica della sua
comunicazione situata effettivamente al limite del dicibile
(dellessere).
Agli interpreti non sfuggito il peso peculiare che nello sviluppo argomentativo di B8 progressivamente assumono le immagini che afferiscono al limite () vincolante per lessere:

,

Per questo n nascere
n morire concesse Giustizia, sciogliendo le catene,
ma [lo] tiene (vv. 13b-15a)

500


immobile nei vincoli di grandi catene (v. 26)


poich Moira lo ha costretto
a essere intero e immobile (vv. 37b-38a)

,
dal momento che Necessit potente
nelle catene del vincolo [lo] tiene (vv. 30a-31b)
,
dal momento che [vi ] un limite estremo, [ci che ]
compiuto (v. 42).

Sono i legami variamente evocati a impedire allessere di essere esposto a generazione e corruzione ( o),
ovvero al mutamento (), e a garantirne integrit (o%ulon
) e perfezione ( , ). Come
abbiamo in precedenza osservato, significativamente alle immagini di catene e vincoli sono associate figure di garanzia: Giustizia, Necessit, Moira. Lidea quella di costrizione come destino
ovvero legge dellessere97, ma nel contesto, in relazione al pronunciamento circa l'esistenza di un confine estremo (
), all'accostamento al corpo di una palla ben rotonda
( ) e alle altre formule spaziali
(, ) utilizzate, potremmo trovarci in presenza di
una suggestione cosmologica. Secondo Schreckenberg98, l'idea di
un estremo vincolo cosmico sarebbe antica e avrebbe avuto origine in ambiente pitagorico, come documenterebbe Atius:

97

H. Schreckenberg, "Ananke. Untersuchungen zur Geschichte des


Wotgebrauchs", Zetemata 36, Mnchen 1964, pp. 75-6. Citato in Robbiano,
op. cit., p. 141.
98
Op. cit., pp. 103 ss.. Citato in Robbiano, op. cit., p. 140.

501


Pitagora afferm che la necessit circonda il cosmo 99,

e confermerebbe la nozione pitagorica di (limite del cosmo). In effetti, Atius attribuisce proprio a Pitagora
l'introduzione del termine cosmo per indicare il tutto:
.

Pitagora per primo chiam l'insieme di tutte le cose
cosmo, per l'ordine che vi regna (DK 14 A21)

Ricordiamo, inoltre, come il tema dellequilibrio del cosmo


garantito dal confine cosmico si colleghi ad Anassimandro, del
cui principio (lapeiron) Aristotele afferma:
[...] , ,


[...] per questo motivo diciamo che di esso [principio]
non vi sia principio, ma che sembra essere esso stesso
principio di tutte le altre cose, e comprenderle
[abbracciarle] tutte e tutte governarle (DK 12 A15).

A suo modo Parmenide avrebbe potuto dunque fare proprio


dall'ambiente culturale del tardo VI secolo il motivo dell'immutabilit e della stabilit delluniverso, espresso soprattutto nell'ultimo verso (v. 49) di questa sezione:
,
A se stesso, infatti, da ogni parte uguale,
uniformemente entro i [suoi] limiti rimane.

Rispetto alla tradizione, tuttavia, muta profondamente l'ottica


adottata: all'interno della sezione sulla Verit, l'Eleate rivolge il
proprio sguardo alla realt cosmica rilevando la dimensione d'es99

H. Diels, Doxographi Graeci, De Gruyter, Berlin 1965, 321 b4.

502

sere (), rispetto alla quale svaniscono tutti gli elementi di discriminazione spaziale (cos come erano stati neutralizzati tutti i
riferimenti temporali)100.
Nell'essere si riassumono omogeneamente tutte le cose: ci
che si stringe infatti a ci che (v. 25: ).
In considerazione dell'alternativa radicale -non , ci che
risulta compatto (v. 19: ), coeso (v. 25:
), compiuto (v. 27:
):
,

Non vi , infatti, non essere, che possa impedirgli di
giungere
a omogeneit (vv. 46-47a).

La proibizione di percorrere la via che pensa che non fa


sentire ancora la propria forza coinvolgente, nel determinare i
contorni della realt. In effetti, la recisa affermazione della Dea:
vi un confine estremo ( ) sebbene ancora
formalmente giustificata, a questo punto, dall'insistenza (mitica
e\o metaforica) su vincoli e catene, e dalla sorveglianza dei relativi numi (Dike, Ananke, Moira) - interviene a completare il quadro ontologico, marcando in particolare l'integrit di ci che
come totalit (v. 4: ; v. 5: ), di cui non a
caso si enuncia: tutto inviolabile ( ). La reiterazione di un avverbio connette inizio e fine del passo:

[ci che ] compiuto


da tutte le parti (vv. 42b-43a)

100

Su questo punto il saggio di M. Kraus, Sein, Raum und Zeit im Lehrgedicht


des Parmenides, in Frhgriechisches Denken, a cura di G. Rechenhauer,
Vandenhoeck & Ruprecht, Gttingen 2005, pp. 252-269, in particolare pp.
260-1 e 267-8.

503

,
a se stesso, infatti, da ogni parte uguale,
uniformemente entro i [suoi] limiti rimane (v. 49).

La compiutezza (in ogni direzione) di ci che che sostenuta sulla base della sua "densit" ontologica:


n ci che esiste cos che ci sia - di ci che qui pi, l meno (vv. 47b-48a).

Nulla pu alterarne l'equilibrio, ovvero impedirne l'omogeneit ( ): affermare l'essere comporta escluderne (con il non-essere) ogni possibile deficienza e dunque equivale ad affermarne eguaglianza, uniformit, totale identit con se stesso, in altre parole la inviolabilit ( ).

Simile a massa...
Estremamente controversa a livello interpretativo la similitudine introdotta dalla Dea all'inizio del nostro passo (ma in conclusione della sua comunicazione di Verit!):
,

simile a massa di ben rotonda palla,
a partire dal centro ovunque di ugual consistenza (vv.
43b-44a).

Come abbiamo rilevato in nota al testo, tre punti sono criticamente determinanti:
(i) il soggetto (sottinteso) della similitudine (con cui concorda );
(ii) (simile) si riferisce non a palla ()
ma a massa ();
504

(iii) (di ugual consistenza) attributo del soggetto


sottinteso (ci che ) della affermazione iniziale, non di massa
di ben rotonda palla.
Se da escludere l'equazione tra ci che e corpo sferico,
difficile tuttavia proprio in forza dell'eco spaziale di questi versi
e dei successivi sottrarsi all'impressione che Parmenide stia parlando di qualcosa comunque esteso: il tutto indifferenziato e omogeneo di cui si parla potrebbe dunque coincidere con la realt
universale ( , come suggerisce Furley 101), colta "in quanto
essere", in altre parole intuita appunto come (ci che ),
ovvero pi astrattamente come (l'essere), con le relative conseguenze logiche.
La novit della sezione sulla Verit (che culmina nei versi in
esame) sarebbe, allora, non quella di volgersi a una realt diversa
da quella cosmica, ma quella di concentrarsi sul tutto ( ,
, ) - come gi documentato negli autori ionici in
una prospettiva diversa dalla cosmologia milesia: le scelte espressive di Parmenide ci suggeriscono di definirla "ontologica". Essa
consiste nel trasfigurare la realt la stessa realt attestata
dallesperienza alla luce di rigorose esigenze razionali, che la
Dea introduce assiomaticamente in B2 e ribadisce in B8.15 (
). Parmenide indica questa attitudine
con formule che evocano sia l'esame e la fatica argomentativa
(B7.5: valuta con il ragionamento la prova polemica,
), sia lo sguardo logicamente educato a
evitare la contraddizione (B4.1: la possibile connessione tra
e ).
Il risultato di questa considerazione originale della realt cosmica l'abbandono degli schemi esplicativi cosmologici e cosmogonici milesi e la riduzione del tutto alla compatta uniformit di : nella sua identit logicamente garantita
dalleffettiva indisponibilit di , ogni divenire e ogni discriminazione temporale sono sospesi, nelleterna, continua gia101

D. Furley, The Greek Cosmologists. Volume 1: The formation of the atomic


theory and its earliest critics, CUP, Cambridge 1987, p. 54.

505

cenza di ci che in se stesso (dunque nel presente); analogamente sono superate tutte le distinzioni di luogo, nella sua compiuta, omogenea, coesa estensione. Insomma, del cosmo milesio
(e probabilmente pitagorico) sono evaporati i fattori cosmogonici
- i contrari, la natura-principio, le masse elementari - ed rimasto
, espressione che solo in questo senso designa qualcosa di
astratto, non immediatamente riconducibile ai sensi: un intero indiscriminato 102, in cui si riassume la realt dell'universo, la totalit
delle cose considerate appunto come essere 103.
Solo in coerenza con l'esigenza di permanenza, stabilit e identit incarnata da questa realt-verit sar possibile ripensare il
mondo della esperienza. Se vero che Parmenide non propone
nella Via della Verit una propria cosmologia, ne fissa certamente
le condizioni di possibilit, come la riflessione posteriore, da Empedocle agli atomisti, avrebbe mostrato.
La similitudine con la massa di ben rotonda palla introdotta per illustrare plasticamente un nodo decisivo della esposizione
della Dea:
,

dal momento che [vi ] un limite estremo, [ci che ]


compiuto
da tutte le parti (vv. 42-43a).

L'impressione che Parmenide cerchi di utilizzare l'immagine


della massa sferica per confermare l'intuizione della compiuta integrit dell'essere senza ricorrere a una tutela esterna, come avvenuto nei versi precedenti grazie alle figure divine (Dike, Ananke,
102

103

Kraus (p. 261) evoca in proposito una forma di esperienza immediata


descritta da Ernst Mach, in cui l'universo nella sua interezza si sarebbe
rivelato come massa indiscriminata e coesa.
Thanassas (Parmenides, Cosmos, and Being, cit., p. 45) sottolinea in
proposito come l' di Parmenide sia direttamente comparabile alla
espressione aristotelica t $on *h? $on, in quanto denoterebbe la totalit
degli enti (t $on), richiamando tuttavia l'attenzione (nel secondo $on)
sullEssere di quegli enti.

506

Moira) e ai loro vincoli immobilizzanti, piuttosto attraverso il riferimento al carattere ultimo dellestremit entro cui lessere uniformemente nei limiti rimane ( )104. Il limite estremo: come in Esiodo si d, rispetto all'abisso spalancato (, ), una barriera insormontabile in cui tutte le
cose hanno radice ( ), in Parmenide oltre
il confine non c nulla, al di qua tutto lessere, di conseguenza
perfetto, compiuto () da ogni parte ()105. La
similitudine insiste sullestensione compatta e sulla tensione uniforme: sulluguale consistenza, dal centro al perimetro della sfera.
Mourelatos ha osservato 106 come la sfera si prestasse, tra le varie
figure, all'estrazione di criteri di completezza, dal momento che
quella che ha estensione sempre identica con se stessa.
Che questi versi (i pi citati del poema nell'antichit) fossero
destinati a un forte impatto cosmologico, rivelato soprattutto
dalle riprese platoniche: come hanno puntualmente confermato le
ricerche di Palmer107, la rappresentazione della grandiosa creazione del cosmo fisico da parte del demiurgo, sulla scorta del modello del vivente intelligibile, nel Timeo platonico propone
unimpressionante concentrazione di allusioni (e parole) parmenidee:
.


,
,
,
,
.
.
, ,
104

Couloubaritsis, Mythe et philosophie cit., p. 249.


Ruggiu, op. cit., p. 309.
106
Op. cit., pp. 127-8.
107
J. Palmer, Plato's Reception of Parmenides, O.U.P., Oxford 1999, pp. 193
ss..
105

507

,
,
,
.
[...]
E gli diede una figura a s congeniale e congenere. Ma
la figura congeniale al vivente che doveva contenere in s
tutti i viventi non poteva essere che quella che
comprendesse in s tutte le figure possibili; per cui, lo
torn come una sfera, in una forma circolare in ogni parte
ugualmente distante dal centro alle estremit, che la pi
perfetta di tutte le figure e la pi simile a se stessa,
giudicando il simile assai pi bello del dissimile. E ne rese
perfettamente liscio l'intero contorno esterno per molte
ragioni. Infatti, non aveva affatto bisogno di occhi, perch
nulla era rimasto da vedere all'esterno, n di orecchie,
perch nulla era rimasto da sentire; n vi era bisogno di un
organo per ricevere in s il nutrimento o per eliminarlo in
seguito, dopo averlo assimilato. Nulla, del resto, poteva da
esso separarsi e nulla a esso aggiungersi da nessuna parte,
perch nulla vi era al di fuori [...] (Timeo 33b-c7)108.

108

Traduzione da Platone, Timeo, a cura di F. Fronterotta, BUR, Milano 2003.

508

DALLESSERE ALLE FORME [B8 VV. 50-61]


Sin dalla antichit si presentato il poema di Parmenide come
suddiviso in un proemio e due sezioni, di diversa ampiezza: Verit (o via della Verit) e Opinione (o via della Opinione), secondo
lo schema attestato da Diogene Laerzio:
,
,
Disse che la filosofia si divide in due parti, luna
secondo verit, laltra secondo opinione. (DK 28 A1).

plausibile che Proemio e prima parte complessivamente risultassero marcatamente pi brevi rispetto alla seconda, di cui per abbiamo conservati soltanto quaranta versi (dei 150 circa complessivamente superstiti: 32 del solo B1 e 61 di B8!): 1/10, secondo le stime tradizionali, dellintera sezione, che doveva coprire i 2/3 del poema1. Su questo elemento strutturale avremo modo
di riflettere ancora pi avanti.

Discorso affidabile e opinioni mortali


Gli ultimi 12 versi del frammento 8 DK, conservatici da Simplicio, segnano evidentemente il passaggio tra le due sezioni (Verit e Opinione), come rivela il contesto delle citazioni:
.
[vv. 50-61]
.
, ,
[vv. 50-52],
,
< >

L. Atwood Wilkinson, Parmenides and To Eon, cit., p. 104.

509

,
[vv. 50-59]
Concluso infatti il discorso intorno all'intelligibile,
Parmenide aggiunge [citazione vv. 50-61] (Simplicio,
Phys. 38, 28)
Passando dagli intelligibili ai sensibili, o dalla verit,
come lui si esprime, all'opinione, Parmenide, in quei versi
in cui afferma [citazione vv. 50-52], pone a sua volta i
principi elementari delle cose generate, secondo la prima
antitesi che egli chiama luce e tenebra o fuoco e terra o
denso e raro o identico e diverso, affermando, subito dopo
i versi in precedenza citati, [citazione vv. 50-59]
(Simplicio, Phys. 30, 13).

Pur ipotizzando la posteriorit della suddivisione e sottotitolazione (Verit e Opinione) delle sezioni, non rimangono dubbi circa la funzione di cerniera di questo passo. Il linguaggio peripatetico del commentatore riflette in effetti un'altra celebre testimonianza sulla Doxa parmenidea, proposta nel primo libro della Metafisica aristotelica:

,
, , [...],
,

,
, ,

.
Parmenide, invece, sembra in qualche modo parlare
con maggiore perspicacia: dal momento che, ritenendo
che, oltre allessere, il non-essere non esista affatto, egli
crede che lessere sia di necessit uno e nientaltro. []
Costretto, tuttavia, a seguire i fenomeni, e assumendo che
luno sia secondo ragione, i molti invece secondo
sensazione, pone, a sua volta, due cause e due principi,
chiamandoli caldo e freddo, ossia fuoco e terra. E di questi

510

dispone il caldo sotto lessere, il freddo sotto il non-essere


(Metafisica I, 5 986 b 31- 987 a 2).

Verit e opinioni
Il testo del frammento , d'altra parte, a sua volta esplicito nel
rilevare la svolta nell'esposizione divina:


.
A questo punto pongo termine per te al discorso
affidabile e al pensiero
intorno a Verit; da questo momento in poi opinioni
mortali
impara, lordine delle mie parole ascoltando, che pu
ingannare (vv. 50-52).

Da un lato la Dea sottolinea al proprio interlocutore la conclusione della comunicazione attendibile ( ) e della
riflessione sulla verit ( ) e, insieme, l'introduzione di punti di vista mortali ( ), mettendolo sull'avviso: la costruzione verbale ( ) potr
risultare fuorviante (). Dall'altro, comunque la Dea a
tenere lezione (donde l'esortazione al kouros: ), e le stesse
scelte espressive richiamano puntualmente il programma educativo del prologo del poema.
La rivelazione della dea innominata comprevedeva tre momenti distinti (ma concettualmente correlati): (i) l'indiscutibile
Verit, (ii) le inaffidabili opinioni dei mortali, (iii) un adeguato
resoconto dei contenuti di quelle opinioni, - le cose
accettate nelle opinioni, ovvero le cose che appaiono. Nostra
convinzione che le premesse di B2 consentano di individuare
espressamente in B8.1-49 la trattazione del primo punto, e complessivamente in B6, B7, B8 allusioni al secondo, non fatto oggetto di riscontro puntuale, ma solo genericamente di rilievi di fondo
511

(che poi gli interpreti proiettano in una direzione o nell'altra).


Quella che tradizionalmente chiamata Doxa doveva invece
svolgere l'ufficio positivo di rileggere il quadro dell'esperienza in
termini compatibili con le indicazioni della Verit: in pratica
secondo il costume dei precedenti ionici offriva cosmogonia,
cosmologia e zoogonia, probabilmente con dovizia di contributi,
come risulta limpidamente dalla preziosa testimonianza di Plutarco (Contro Colote 1114b; DK 28 B10):






, ,
Ha costruito anche un sistema del mondo e
mescolando come elementi la luce e la tenebra, fa derivare
tutti i fenomeni da questi e mediante questi. Ha detto in
effetti molte cose sulla terra, e sul cielo e sul sole e sulla
luna e tratta anche dell'origine degli uomini: nulla ha
taciuto circa le cose pi importanti, come si addice a uomo
arcaico nello studio della natura e che ha composto uno
scritto proprio non distruzione di un altro.

significativo il fatto che di questo cos poco sia


stato conservato: come documenta anche l'urgenza della citazione
di B8 da parte di Simplicio, plausibile che fossero gli elementi
pi originali del poema soprattutto premesse ed esposizione della Verit - ad attrarre l'attenzione dei compilatori:
,




anche a costo di sembrare insistente, vorrei aggiungere
a questi miei appunti i non molti versi di Parmenide

512

sull'essere uno, sia per il credito delle cose da me dette, sia


per la rarit dello scritto parmenideo (DK 28 A21).

La seconda parte, in fondo, rientrava nei canoni della produzione cosmogonico-cosmologica milesia: non un caso che di essa siano state tramandate, probabilmente, apertura e conclusione.

...l'ordine delle mie parole...


Come abbiamo sottolineato in precedenza, la Dea mette
sull'avviso il proprio giovane interlocutore circa il mutamento di
registro:


.
A questo punto pongo termine per te al discorso
affidabile e al pensiero
intorno a Verit; da questo momento in poi opinioni
mortali
impara, lordine delle mie parole ascoltando, che pu
ingannare (vv. 50-52).

Due dati risultano fuori discussione: (i) l'abbandono dell'esposizione della Verit; (ii) il passaggio alla considerazione di
punti di vista mortali ( ), in altri termini di una
prospettiva diversa rispetto a quella divina. Nel contesto della
narrazione ci comporta da parte della Dea che si rivolge a un
essere umano adeguare il proprio registro espressivo: pur continuando la propria lezione, ella avverte circa il potenziale disturbo
(alla corretta intelligenza della realt) conseguenza dell'adozione
di un lessico adeguato a quei punti di vista.
Come im precedenza denunciato (B8.38b-42), il linguaggio
della pluralit e del divenire virtualmente foriero di contraddizione e il relativo correlato oggettivo, il mondo delle cose in mutamento, , dal punto di vista dellessere, apparenza. Dal momento che nonostante le denunce di B6, B7 e dello stesso B8 la
513

Dea insiste perch il kouros apprenda () quei contenuti,


possiamo inferire che la sua esposizione: (a) non si concentrasse
su opinioni che il giovane allievo potesse da s ricavare dall'esperienza; (b) n, diffondendosi (secondo quanto ci attesta Plutarco)
sugli aspetti fondamentali della realt naturale, avallasse opinioni
erronee (per circa i 2\3 del poema!); (c) piuttosto riconducesse l'esperienza umana all'interno della cornice della verit.
A sostegno di questa lettura possiamo addurre i versi conclusivi del frammento (vv. 60-61):
,

Questo ordinamento, del tutto appropriato, per te io
espongo,
cos che mai alcuna opinione dei mortali possa
superarti.

Si tratta in pratica dell'osservazione finale di un inciso lungo


12 versi, a cavallo tra Verit e Opinione, in cui la Dea (e il poeta
attraverso la Dea) offre indicazioni sul passaggio tra le due sezioni.
Le scelte lessicali sottolineano che l'esposizione successiva riguarder l'organizzazione di una pluralit: cos al
del v. 52 corrisponde, al v. 60 l'espressione
. Che si tratti dell'ordine verbale ovvero dell'ordinamento cosmico, comunque implicito il rinvio a una molteplicit di elementi da sistemare: possibile che Parmenide giocasse
proprio sulla doppia valenza semantica di , costrutto, disposizione, ma anche mondo, accentuando i rischi della costruzione verbale (che pu risultare ingannevole, ).
L'enunciazione divina comunque connotata positivamente: il
rilievo dei pronomi personali (, , ) marca l'impegno e la
responsabilit della Dea, nei confronti del kouros, di fornire in
ogni modo una ricostruzione almeno relativamente plausibile del
quadro complesso dei fenomeni naturali.
L'adozione di un'ottica mortale implica la dimensione qualitativa dell'esperienza (in questo senso sembrerebbe scontato il ri514

chiamo a ), come rivelano in particolare le connotazioni delle due forme ( ), e dunque l'adeguamento
della prospettiva della comunicazione divina: donde l'urgenza di
ridefinire i tradizionali strumenti (il modello oppositivo) di illustrazione dei fenomeni naturali, cos da evitare le contraddizioni
stigmatizzate nei frammenti precedenti. Complessivamente la
preoccupazione quella di fornire una spiegazione del mondo naturale () comunque superiore a quella della concorrenza.
Rispetto alla sezione sulla Verit, in cui era essenziale determinare, con lo sguardo dell'intelligenza, la compatta fisionomia
dell'essere (attraverso i segni di B8), l'urgenza avvertita nelle
parole della Dea quella di non abbandonare all'insignificanza il
mondo dell'esperienza.

Un ordinamento verosimile
Pu essere utile, per comprendere le movenze intellettuali di
Parmenide, richiamare il testo di B4:



.
Considera come cose assenti siano comunque al
pensiero saldamente presenti;
non impedirai, infatti, che lessere sia connesso
allessere,
n disperdendosi completamente in ogni direzione per
il cosmo,
n concentrandosi.

Se B4, la cui collocazione nel poema rimane molto discussa,


mostrava come per il la molteplicit dispersa degli enti
() nel cosmo ( ) si riconducesse alla identit
di , alla sua inscindibile connessione (
515

), a partire dalla conclusione dell'attuale B8, dopo aver il-

lustrato quellidentit in cui tutte le cose si riassumono e averne


analizzato le propriet, la Dea percorre in un certo senso la direzione opposta. Ella indica, infatti, come quella molteplicit che si
manifesta all'esperienza, in cui l'intelligenza riconosce l'identit
dell'essere, possa essere correttamente intesa nelle sue dinamiche,
senza pregiudizio per la realt annunciata dall'intelligenza.
Parmenide non annuncia una distinzione di piani di realt (anticipando Platone), ma rileva come all'unica realt si possa guardare nell'ottica immediata dell'esperienza, ovvero attraverso il
sondaggio dell'intelligenza, ricavandone due immagini sostanzialmente diverse: nel primo caso il quadro multiforme e plurale
di dati mutevoli, nel secondo la sua estrema rarefazione negli attributi di B8.1-49, in cui molteplicit, differenza, movimento ecc.
sono evaporati nella compattezza dell'essere. A partire dalle consuetudini empiriche (richiamate in B7.3 nell'espressione
, abitudine alle molte esperienze) si spinti a considerare reale una molteplicit di enti in divenire, che si rivelano in
contraddizione con gli esiti dell'esame cui l'intelligenza sottopone
ci che ().
Si tratterebbe, in fondo, di una diversa, pi coerente e radicale
modulazione del progetto di indagine ionico, almeno dando credito alla interpretazione peripatetica delle origini, con la riduzione
di tutti gli enti ( ) all'unit di una sostanza soggiacente ( ), a un tempo principio (), elemento () e natura () delle cose ( ):

,
,
,

,
ci da cui, infatti, tutte le cose derivano il loro essere, e
ci da cui dapprima si generano e verso cui infine si
corrompono, permanendo per un verso la sostanza, per
altro invece mutando nelle affezioni, questo sostengono

516

essere elemento e questo principio delle cose, e per questo


credono che nulla n si generi n si distrugga, dal
momento che una tale natura si conserva sempre
(Aristotele, Metafisica I, 3 983 b8-13).

Da un lato Parmenide riconosce nel fatto d'essere la dimensione omogeneizzante che raccoglie a identit gli enti, ricavandone
attraverso l'esclusione del non-essere le propriet. Dall'altro,
dopo aver denunciato le contraddizioni di fondo che minavano le
cosmologie contemporanee, offre nella Doxa una ricostruzione
che colloca quanto si manifesta nell'esperienza ( ) in
un sistema esplicativo () adeguato () in esplicita coerenza con le indicazioni dei segni () della via che
( ), come evidenzia ancora B9:


,

,
Ma poich tutte le cose luce e notte sono state
denominate,
e queste, secondo le rispettive propriet, [sono state
attribuite] a queste cose e a quelle,
tutto pieno egualmente di luce e notte invisibile,
di entrambe alla pari, perch insieme a nessuna delle
due [] il nulla,

impiegando un lessico che indiscutibilmente quello della conoscenza e non dell'errore, come conferma B10:


,

,

517

Conoscerai la natura etere e nelletere tutti


i segni e della pura fiamma dello splendente sole
le opere invisibili e donde ebbero origine,
e le opere apprenderai periodiche della luna
dallocchio rotondo,
e la [sua] natura; conoscerai anche il cielo che tutto
intorno cinge,
donde ebbe origine e come Necessit guidandolo lo
vincol
a tenere i confini degli astri.

Diagnosi di un errore
Dopo aver annunciato il passaggio dalla riflessione intorno a
Verit ( ) alle opinioni mortali (
) e il mutamento di registro - dalla necessaria enunciazione di ci che ( , B6.1)
all'ascolto dellordine delle mie parole che pu ingannare
( , B8.52) la Dea concentra
la propria attenzione, con una formula non priva di ambiguit, su
uno schema linguistico di cui riscontra e stigmatizza, in un verso
dal significato molto discusso, il limite concettuale:

-
Presero la decisione, infatti, di dar nome a due forme,
delle quali lunit non [per loro] necessario
[nominare]: in ci sono andati fuori strada (B8.53-4).

Di che cosa si tratta e a chi riferita la decisione? Abbiamo


indicato in nota al testo le principali opzioni interpretative contemporanee: in estrema sintesi, gli studiosi hanno individuato i
destinatari della contestazione o genericamente nei mortali, intendendo l'universale approccio umano al mondo naturale, o specificamente in una determinata posizione teorica (per lo pi nel
pitagorismo antico). Ma non appare plausibile che il modello
518

(dualistico) cui la Dea allude possa essere fatto valere in generale


per gli esseri umani, n che esso, in particolare, possa univocamente riferirsi alla riflessione cosmologica milesia (sebbene lo
schema polare vi svolga un ruolo rilevante). D'altra parte, la scelta
di lasciare implicito il riferimento potrebbe spiegarsi all'interno
della cultura aurale in cui matura l'opera di Parmenide con la
possibilit da parte dell'audience di individuare facilmente il soggetto: in questo senso potrebbe considerarsi credibile, a dispetto
delle nostre incertezze circa la sua fisionomia antica, la candidatura pitagorica.
Riteniamo, in ogni caso, che il poeta intenda contestare non
ogni possibile approccio "mortale", ma quello di un certo gruppo
di pensatori, da cui evidentemente egli ha interesse a prendere le
distanze, per introdurre poi un resoconto appropriato, in relazione al quale impiega (in B9-10, come abbiamo sopra segnalato)
espressioni indiscutibilmente positive, difficilmente riferibili a
posizioni giudicate erronee.

Due forme e la loro unit


L'errore fuorviante ( : in ci sono andati fuori strada v. 54b) che viene imputato dalla Dea delineato
dapprima in termini formali, distinguendone due momenti per focalizzare esattamente la sua genesi:
(a)
Presero la decisione, infatti, di dar nome a due forme...
(v. 53)
(b)
delle quali lunit non [per loro] necessario
[nominare] (v. 54a).

I due versi, come risulta anche dalla nostra rapida sintesi in


nota al testo, sono stati oggetto di tormentate analisi linguistiche,
per decidere della costruzione del primo e del significato del se519

condo. La nostra traduzione tiene conto delle diverse proposte interpretative (e filologiche), senza pretendere di fare chiarezza:
probabile, come suggerito da Mourelatos2, che il costrutto verbale
fosse intenzionalmente ambiguo, se non addirittura ironico, forse
concepito per un efficace attacco ad hominem. La diagnosi ruota
intorno al punto (b): la Dea, in altre parole, stando alla nostra ricostruzione del significato dei versi parmenidei, censura (senza
addebito esplicito) il mancato riconoscimento dell'unit nelle due
forme introdotte per dar conto dei fenomeni. Una lettura
nell'antichit gi proposta da Simplicio:


si sono ingannati coloro che non colgono l'unit nella
opposizione degli elementi che producono la generazione
(Fisica 31.8-9).

Per quanto ci dato ricostruire dallo scarso materiale conservato, nelle battute che segnano il passaggio alla Doxa la Dea si
intrattiene dapprima su un errore che evidentemente Parmenide
considerava strutturale almeno in certi resoconti cosmologici: ci
per assumerne un modello (pitagorico?), evitandone a un tempo le
implicazioni contraddittorie con l'insegnamento della Altheia. La
preoccupazione di rilevare con precisione ( , in ci...) la natura dell'erranza probabilmente indice dell'esigenza di procedere
comunque con lo schema dualistico, tenendo lontano lo spettro
del non-essere. Si spiegherebbe cos la cautela della Dea, la sua
segnalazione delle potenzialit fuorvianti del proprio discorso sulle opinioni mortali: non a caso, dello schema adottato, subito si
denuncia un impiego improprio, per poi (B9) marcare la corretta
impostazione ontologica:
[...]

,
[...] tutto pieno egualmente di luce e notte invisibile,
2

Op. cit., pp. 228-9.

520

di entrambe alla pari, perch insieme a nessuna delle


due [] il nulla (B9.3-4).

Il riscontro tra il passo conclusivo di B8 e B9 che doveva seguire dappresso, secondo le indicazioni di Simplicio (contesto di
B9: ..., poco dopo aggiunge...) pu autorizzare la lettura di Thanassas, secondo il quale l'aggettivo
andrebbe riferito alle opinioni dei mortali criticate in
B8.54-9, in stretta relazione con la formula in questo si sono ingannati ( ): essa esprimerebbe lerrore
delle ingannevoli , preparando la correzione della
appropriata () Doxa divina3.
In effetti la Dea cos passa a determinare il modello dualistico
introdotto al v. 53:

, ,
, , ,

,
Scelsero invece [elementi] opposti nel corpo e segni
imposero
separatamente gli uni dagli altri: da una parte, della
fiamma etereo fuoco,
che mite, molto leggero, a se stesso in ogni direzione
identico,
rispetto allaltro, invece, non identico; dallaltra parte,
anche quello in se stesso,
le caratteristiche opposte: notte oscura, corpo denso e
pesante (vv. 55-59).

Rispetto alle precedenti allusioni agli errori dei mortali, qui


indubbiamente la situazione si presenta molto diversa. Confrontiamo, per esempio, questa analisi con la requisitoria contro la
richiamata ai versi B6.4-9:

Op. cit., p. 65.

521

,
,
.
, , ,

,
poi da quella [via] che mortali che nulla sanno
sinventano, uomini a due teste: impotenza davvero nei
loro
petti guida la mente errante. Essi sono trascinati,
a un tempo sordi e ciechi, sgomenti, schiere scriteriate,
per i quali esso considerato essere e non essere la
stessa cosa
e non la stessa cosa: ma di [costoro] tutti il percorso
torna all'indietro.

Nel contesto delle citazioni (DK 28 B6), Simplicio indica l'errore contestato: i mortali che nulla sanno hanno trascurato la
(decisione, scelta) tra , imponendo cos di
fatto l'identit ( ) tra essere e non-essere. Diverso il discorso a proposito delle opinioni mortali criticate in
B8, ancora secondo Simplicio:


si sono ingannati coloro che non colgono l'unit nella
opposizione degli elementi che producono la generazione
(Fisica 31, 8-9).

In questo caso, ci che viene censurato sostanzialmente l'errore opposto: il mancato rilievo dell'unit delle forme nell'essere. Si pu notare, allora, accostando l'attenzione descrittiva di
B8.55-59 alla dura requisitoria contro la confusione dei
di B6, come nella conclusione di B8 la Dea manifesti una diversa
indulgenza per quelle convinzioni, di cui sembra rilevare pregi e
difetti. Ella in pratica parrebbe, a un tempo, insistere sullo schema
oppositivo e prendere le distanze, per i criteri ontologici della Altheia, da una sua specifica applicazione. In questo senso, in parti522

colare, l'insistenza su una opposizione i cui membri risultano interamente separati e indipendenti:

[...]
[...] ,

[...]
Scelsero invece [elementi] opposti nel corpo e segni
imposero
separatamente gli uni dagli altri [...]
[...] a se stesso in ogni direzione identico,
rispetto allaltro, invece, non identico; dallaltra parte,
anche quello in se stesso,
le caratteristiche opposte [...].

Diventa allora difficile credere che in B8.60-61, laddove afferma che:


,

Questo ordinamento, del tutto adeguato, per te io
espongo,
cos che mai alcuna opinione dei mortali possa
superarti,

la dea si riferisca alle erronee concezioni dei mortali appena


determinate 4 , mentre si rafforza l'impressione che il materiale
frammentario della Doxa costituisca il residuo di uno sforzo positivo di comprensione del mondo naturale, definitosi proprio in relazione alla revisione di quello schema oppositivo (come confermerebbe B9).

Su questo punto in particolare J.H. Lesher, Early interest in knowledge, cit., p.


239.

523

Un modello elementare
Abbiamo inizialmente utilizzato il contesto della citazione dei
versi conclusivi di B8 da parte di Simplicio per osservare come il
commentatore segnalasse il passaggio tra le due sezioni del poema. Ora dobbiamo riprendere quel contesto per determinare il
modello proposto nella Doxa:
.
[vv. 50-61]
.
, ,
[vv. 50-52],
,
< >
,
[vv. 50-59]
Concluso infatti il discorso intorno all'intelligibile,
Parmenide aggiunge [citazione vv. 50-61] (Simplicio,
Phys. 38, 28)
Passando dagli intelligibili ai sensibili, o dalla verit,
come lui si esprime, all'opinione, Parmenide, in quei versi
in cui afferma [citazione vv. 50-52], pone a sua volta i
principi elementari delle cose generate, secondo la prima
antitesi che egli chiama luce e tenebra o fuoco e terra o
denso e raro o identico e diverso, affermando, subito dopo
i versi in precedenza citati, [citazione vv. 50-59]
(Simplicio, Phys. 30, 13).

La Dea prende dunque le mosse da uno schema in cui due


sono selezionate come opposti nel corpo (
) e connotate con propriet reciprocamente ben
distinte ( ): i segni fisici erano

essenziali e funzionali evidentemente alla concreta esplicazione


dei fenomeni:
,

524

, , [...]
[...] [...]
,
da una parte, della fiamma etereo fuoco,
che mite, molto leggero [...]
[...] dallaltra parte [...]
le caratteristiche opposte: notte oscura, corpo denso e
pesante (vv. 56b-59).

Dalla testimonianza aristotelica sappiamo che, tra i primi


seguaci di Pitagora, qualcuno produsse un sistema seriale di opposizioni entro cui possibile riscontrare anche quella sfruttata da
Parmenide:

,
[] , [] , [] ,
[] , [] ,
[] , [] , []
, [] , []

,

[ ] [
,] []
Altri di questi stessi [Pitagorici] sostengono che i
principi sono dieci, disposti in serie di opposti: limite e
illimite, dispari e pari, uno e molti, destro e sinistro,
maschio e femmina, fermo e mosso, diritto e curvo, luce e
tenebra, buono e cattivo, quadrato e rettangolo.
Analogamente sembra pensasse Alcmeone, sia che egli
recuperasse da loro questa dottrina, sia che quelli la
prendessero da lui: Alcmeone, infatti, fior quando
Pitagora era vecchio e profess una teoria simile alla loro
(Metafisica I, 5 986 a22-31).

Non chiaro da dove Aristotele - che, secondo la tradizione


dossografica, avrebbe sviluppato specifiche ricerche sui Pitagorici
(Diogene gli attribuisce nel suo elenco delle opere sia un
525

sia un ) abbia ricavato

quella tavola degli opposti, la cui antichit sarebbe attestata solo


dal vago accostamento alle idee del contemporaneo di Parmenide
Alcmeone. Gli specialisti sono divisi: Schofield 5 ritiene che non
ci siano in realt elementi per stabilirne l'originalit pitagorica,
ipotizzando piuttosto una sua dipendenza dal modello parmenideo. Pi plausibile allora l'associazione con l'ambiente di Filolao
(seconda met del V secolo a.C.)6. Ma di recente Kahn7, pur rilevando nella doppia lista la possibilit di un'eco accademica, osserva come la modalit con cui opposti astratti e concreti, matematici ed estetico-morali sono combinati potrebbe rinviare effettivamente a uno schema arcaico.
Essendo implausibile (a causa dellespliito riferimento a una
decisione: ) che la fisica dualistica proposta
rispecchiasse una prospettiva genericamente umana, e che si riferisse direttamente solo alle cosmologie milesie (in cui il dualismo
oppositivo indubbiamente agisce), ammettendo che essa dovesse
risultare in ogni caso perspicua agli originari destinatari del poema, la considerazione del contesto geografico e culturale entro cui
Parmenide oper, e le tenui indicazioni della tradizione dossografica: di; meno affidabile Giamblico DK 28 A4):

(
).
.
,
, , .

,
5

Nel suo rifacimento dei capitoli pitagorici di Kirk-Raven (nel capitolo su


Filolao): G.S. Kirk, J.E. Raven, M. Schofield, The Presocratic Philosophy,
C.U.P., Cambridge 19832, p. 339.
6
Una indicazione analoga si pu ricavare dal saggio di C.A. Huffman, The
Pythagorean tradition, in Early Greek Philosophy cit., p. 78 ss..
7
Ch.H. Kahn, Pythagoras and the Pythagoreans, Hackett, Indianapolis 2001,
pp. 65-6.

526

Parmenide Eleate, figlio di Pireto, fu discepolo di


Senofane (Teofrasto nella Epitome dice che costui fu
discepolo di Anassimandro). Tuttavia, pur essendo stato
discepolo anche di Senofane, non lo segu. Secondo
quanto ha affermato Sozione, egli si associ al pitagorico
Aminia, figlio di Diochete, un uomo povero ma di grande
valore. Costui prefer seguire, e quando mor, dal
momento che Parmenide era di una distinta casata e ricco,
gli eresse un monumento funebre. E da Aminia, non da
Senofane, egli fu avviato alla tranquillit [della vita
contemplativa] (Diogene Laerzio; DK 28 A1)


Anche gli eleati Zenone e Parmenide appartenevano
alla scuola pitagorica (Giamblico; DK 28 A4),

pu suggerire l'ipotesi che l'Eleate abbia ricavato da contemporanee correnti pitagoriche lo schema cui sommariamente riferirsi8.
In alternativa, sfruttando il prezioso lavoro di Charles Kahn
sull'origine degli "elementi" nel mondo greco arcaico, si potrebbe
rintracciare in Parmenide l'eco di una tradizione che aveva fatto di
Gaia () e Urano () i progenitori di tutti gli esseri, come si pu ancora cogliere in Esiodo:
,
,
,
,
Salve, figlie di Zeus, datemi l'amabile canto;
celebrate la sacra stirpe degli immortali, sempre
viventi,
8

Dobbiamo tuttavia ricordare, con Patricia Curd, che non si conosce alcuna
cosmogonia presocratica che cominci con Luce e Notte (The Legacy of
Parmenides, cit., p. 117).

527

che da Gaia nacquero e da Urano stellato,


da Notte oscura e quelli che nutr il salso Mare
(Teogonia 104-107, traduzione Arrighetti),

e pi tardi nelle laminette orfiche (V-IV secolo a.C.):



sono figlio della Greve e di Cielo stellante (laminetta
di Ipponio)

sono figlio di Terra e Cielo stellante (laminetta di
Petelia) 9.

Unopposizione ricorrente nella cultura arcaica, intrecciata a


quella tra regione celeste (), e regione della oscurit (Ade,
Notte), in cui, come mostra ancora Kahn 10, avrebbe poi sostituito , e assorbito i caratteri della oscurit (come
rivela, anche etimologicamente, la formula omerica ,
oscurit nebbiosa).
In Parmenide, insomma, sarebbe possibile rintracciare
unestrema essenzializzazione e concentrazione del lessico delle
teogonie e cosmogonie, nell'alveo della riflessione cosmologica
dei Milesi, la quale, in estrema sintesi, aveva ricostruito gli opposti elementari disponendo da un lato caldo, secco, luminoso e raro, dall'altro freddo, umido, oscuro, denso. In questo senso egli
avrebbe estratto le sue due serie di propriet () fondamentali: (i) (etereo), [] 11 (rarefatto),
(mite), (molto leggero) sono riferiti a
(fuoco di fiamma); (ii) (oscura) attributo diretto
di nx (notte), mentre (denso), (pesante)
concordano con (corpo), a sua volta in apposizione a .
9

Testo greco e traduzione di G. Colli, La sapienza greca, vol. I, Adelphi, Milano 1977, pp. 172-175.
10
Anaximander and the Origins of Greek Cosmology, Hackett, Indianapolis
1994, p. 152.
11
Secondo alcuni codici di Simplicio.

528

Se consideriamo nel complesso le due liste, e riscontriamo


l'incidenza di quelle connotazioni nella tradizione delle opposizioni e degli elementi, non abbiamo in realt bisogno di coinvolgere indefiniti gruppi pitagorici: di quella tradizione Parmenide
avrebbe semplicemente riferito alla polarit \ i poteri
() cosmogonici essenziali, che altri avevano concentrato
in sole e terra e che Anassagora fisser in e . significativo che ancora in Empedocle, colui cui generalmente si riconosce l'introduzione del modello elementare (le quattro radici), l'opposizione luce-oscurit giochi un ruolo rilevante:
,
,
,
,
,

.
Ors, considera questa attestazione delle cose dette
prima,
se mai anche nelle cose dette prima mancato
qualcosa alla forma:
il sole splendente a vedersi e caldo dappertutto,
quante cose imperiture sono immerse nel calore e nella
luce irradiante,
la pioggia in tutte le cose oscura e gelida;
e la terra da cui sorgono cose compatte e solide (DK
30 B21.1-6).

In ogni modo, come sappiamo, Parmenide intervenne a correggere quello schema cosmogonico su un punto essenziale: l'assoluta posizione della separazione delle due forme:

[...]
[...] ,

[...]

529

Scelsero invece [elementi] opposti nel corpo e segni


imposero
separatamente gli uni dagli altri [...]
[...] a se stesso in ogni direzione identico,
rispetto allaltro, invece, non identico; dallaltra parte,
anche quello in se stesso,
le caratteristiche opposte [...] (vv. 55-59a),

emendata con la sottolineatura del fatto che esse sono e sono


nell'essere:
-
delle quali lunit non [per loro] necessario
[nominare]: in ci sono andati fuori strada (v. 54).

Complessivamente il recupero e la correzione vanno nella direzione della determinazione di due elementi-principi, qualitativamente connotati in funzione della spiegazione dei fenomeni, di
cui si rimarca che non sono frutto di una indebita confusione tra
essere e non-essere: in questo senso, come ha rilevato Nehamas 12,
essi danno ragione di molteplicit e cambiamento nel mondo sensibile mescolandosi in proporzioni differenti, senza che nessuno
dei due si trasformi nell'altro.

Identico, non identico


Comunque sia stato ricavato, dalla lezione di contemporanei
pitagorici, come alcuni credono, ovvero distillando un modello
dalla tradizione, come abbiamo ipotizzato, lo schema che Parmenide introduce ai vv. 53 ss. rivela, una volta sottoposto all'esame
dei criteri ontologici di B8.1-49, la propria falla. Inquadrate all'interno della fondamentale alternativa -non , le polarit oppositive, nella loro identit con s stesse ( ) e reciproca
12

A. Nehamas, Parmenidean Being/Heraclitean Fire, in Presocratic Philosophy, cit., pp. 61-62.

530

non-identit ( ), ovvero nella mutua esclusione, appaiono foriere di potenziale contraddizione: donde l'esigenza di denunciare il rischio13.
La situazione appare paradossale, perch da un lato Parmenide, di fronte al compito di spiegare , avrebbe recuperato il dualismo giudicandolo pi coerente con i criteri ontologici,
rispetto, per esempio, alla cosmologia ionica che cerca di dar ragione dei fenomeni facendo appello alle trasformazioni di un singolo principio di base14; dall'altro, per, avrebbe avvertito l'implicita debolezza del modello. Come abbiamo sopra sottolineato, il
lessico dei frammenti superstiti che lessico di conoscenza
(B10: conoscerai, apprenderai, conoscerai) - segnala che in qualche modo tale debolezza era stata
aggirata.
La nostra lettura, tuttavia, non sembra aver superato il paradosso: perch introdurre due forme e poi insistere sulla loro unit? Aristotele, come abbiamo inizialmente avuto occasione di
ricordare, interpreta a suo modo:

,
, , [...],
,

,
, ,

.
Parmenide, invece, sembra in qualche modo parlare
con maggiore perspicacia: dal momento che, ritenendo
che, oltre allessere, il non-essere non esista affatto, egli
crede che lessere sia di necessit uno e nientaltro. []
13

In questo senso la Curd riferisce correttamente la natura enantiomorfa del


modello delineato nei versi conclusivi di B8, ma secondo noi sbaglia ad
attribuirlo a Parmenide, il quale, invece, lo propone per sottolinearne il
limite.
14
Nehamas, op. cit., pp. 61-62.

531

Costretto tuttavia a seguire i fenomeni, e assumendo che


luno sia secondo ragione, i molti invece secondo
sensazione, pone, a sua volta, due cause e due principi,
chiamandoli caldo e freddo, ossia fuoco e terra. E di questi
dispone il caldo sotto lessere, il freddo sotto il non-essere
(Metafisica I, 5 986 b27 - 987 a1).

Solo per dar ragione dei fenomeni, Parmenide avrebbe recuperato due principi (secondo i precedenti cosmologici) e solo analogicamente avrebbe accostato la loro opposizione a quella di essere
e non-essere15: Simplicio ne coglie il senso citando B9:
[...] "
"

e poco dopo ancora [citazione B9]; e se "insieme a


nessuna delle due il nulla", egli dice chiaramente che
entrambi sono principi e che sono opposti.

Il commentatore rileva l'interesse del passo parmenideo


nellesplicitazione del duplice aspetto di e : per le loro
propriet costitutive - che condensano le tradizionali opposizioni
elementari e nella misura in cui escludano il nulla, esse possono
fungere da . Pur opposte nei loro segni, entrambe sono:
luce e notte . Insomma, l'Eleate avrebbe conservato un
consolidato schema esplicativo del mondo fenomenico, emendandone le implicazioni inaccettabili sul piano ontologico: la mutua
esclusione degli opposti doveva evitare la trasformazione dell'uno
nell'altro, senza spingersi tuttavia fino alla loro assolutizzazione.

Presero la decisione di dar nome...


Il passaggio dalla prima alla seconda sezione del poema sottolineato dalla antitesi tra pensiero intorno a Verit (
)e opinioni mortali ( ): come gi
15

Cos interpreta Mansfeld, op. cit., pp. 137-139.

532

indicato nei versi che precedono, una componente essenziale


dell'opinare umano riscontrata nel linguaggio, o, meglio,
nell'arbitrio delle convenzioni linguistiche. In questo senso era
stata netta la presa di posizione di B8.38b-41:
,
,
, ,

Per esso [ci che ] tutte le cose saranno nome,
quante i mortali stabilirono, convinti che fossero reali:
nascere e morire, essere e non essere,
cambiare luogo e mutare luminoso colore.

Alla necessit (unica parola ancora rimane,


) con cui, in apertura di B8, si erano imposti la prospettiva della via che ( ) e il riconoscimento della relativa sequenza di segni (su questa [via] sono segnali molto numerosi: che ..., , ...), la
Dea ha modo di contrapporre, introducendo le opinioni mortali,
la decisione di nominare ( ), ovvero la scelta di opposti ( ) e l'imposizione di segni
( ). Non sorprende, dunque, che ella metta sull'avviso
il kouros circa le potenzialit fuorvianti dell'espressione di quelle
convinzioni umane ( ).
Il passaggio fa registrare dunque una significativa svolta
nell'atteggiamento
intellettuale
proposto
all'interno
dellesposizione divina. Da una considerazione puramente razionale della realt, che abbraccia con l'intelligenza il tutto come tale, omogeneizzandolo nell'essere e guadagnandone argomentativamente le propriet, nella seconda sezione l'attenzione si sposta
sul complesso dei fenomeni e quindi non pu prescindere dal dato
sensibile: questo non comporta comunque una forma di "empirismo", come confermano appunto i rilievi circa la rielaborazione
"umana" della Doxa attraverso lo schema degli opposti. La posizione introdotta non assimilabile a quella stigmatizzata in B7.35a:
533

,


n abitudine alle molte esperienze su questa strada ti
faccia violenza,
a dirigere locchio che non vede e lorecchio risonante
e la lingua.

L'operazione di riduzione dei fenomeni naturali alla coppia


luce-notte certamente altra cosa rispetto alla meccanica e irriflessa assuefazione al dato empirico ( ), pur avendo di mira la stessa realt attestata e accettata sulla scorta dell'esperienza ( ). La rielaborazione valorizzata da Parmenide soprattutto nella sua dimensione linguistica e\o categoriale: l'insistenza su formule verbali che implicano valutazione
(, ) e disposizione () infatti associata al
rilievo del nominare (). Cos la Dea attribuisce il
compito di ordinare il campo dei fenomeni all'umana risorsa del
classificare (attraverso i nomi), sebbene ella individui esplicitamente nei nomi l'origine di un potenziale fraintendimento della
realt (come denuncia B8.38b-41). Anche questo contribuisce a
spiegare il cambiamento di registro all'interno del poema e il richiamo ai rischi impliciti nella comunicazione della Doxa.
Questi rilievi non devono spingere a concludere che il mondo
della Doxa sia appunto un mondo puramente "verbale", inconsistente, illusorio: non condividiamo l'opinione di Nehamas, secondo cui la Doxa proporrebbe una descrizione accurata di apparenze, la quale, per quanto accurata, rimarrebbe pur sempre descrizione di apparenze, dunque di un mondo falso16. vero piuttosto
che Parmenide aveva denunciato tale illusione nell'immagine della realt - in s contraddittoria caratteristica di coloro che in
B6.4-5 sono apostrofati come e . La
seconda sezione del poema, al contrario, era probabilmente intesa

16

A. Nehamas, Parmenidean Being/Heraclitean Fire, cit., p. 63.

534

come alternativa alle cosmologie ioniche 17: una grande sintesi enciclopedica che avrebbe dovuto illustrare la superiorit della sua
analisi ontologica. L'orgoglio dell'impresa potrebbe ancora riflettersi nelle battute conclusive del frammento:
,

Questo ordinamento, del tutto verosimile, per te io
espongo,
cos che mai alcuna opinione dei mortali possa
superarti (vv. 60-61).

D'altra parte, se l'intelligenza applicata alla riflessione su ci


che , alla totalit dell'essere, manifestava propriet rigorosamente riconducibili all'alternativa -non-, risulta invece evidente, nei versi trditi della seconda sezione, l'impegno a dare
conto dell'impianto della realt fenomenica, delle strutture portanti del cosmo dell'esperienza umana. L'eco, nelle parole della Dea,
del tradizionale motivo dell'opposizione di sapere umano e divino, nonch l'uso di espressioni, come (B1.32, realmente, ma anche plausibilmente) e (B8.60, appropriato,
adeguato, ma anche verosimile, probabile) potrebbero segnalare, da parte di Parmenide, la consapevolezza dei limiti della
. Spesso nella letteratura si , su questo punto,
evocato il possibile esempio di Senofane:


,

Davvero l'evidente verit nessun uomo la conosce, n
mai ci sar

17

Come ipotizza Graham (Explaining the Cosmos, cit., p. 184), forse


possibile che la sfida fosse lanciata anche a Esiodo, considerato alla stregua
di un cosmologo.

535

chi sappia intorno agli dei e alle cose che io dico, su


tutte:
se, infatti, ancora gli capitasse di dire la verit
compiuta in sommo grado,
lui stesso non lo saprebbe; opinione data su tutte le
cose (DK 21 B34)

Siano queste cose credute simili a cose vere (DK 21
B35)

Tutte le cose che essi [gli dei] hanno mostrato ai
mortali perch le osservassero (DK 21 B36)
,

Gli dei dall'inizio non hanno rivelato tutte le cose ai
mortali,
ma nel tempo ricercando essi trovano ci che meglio
(DK 21 B18).

Graham 18 ha di recente rilanciato l'accostamento, rilevando


come i frammenti di Senofane avrebbero presentato, tra VI e V
secolo, qualcosa di simile a uno status quaestionis, una prima
meditazione sui limiti della conoscenza del mondo naturale, concludendo che essa non sarebbe sicura. Posizione analoga a quella
del giovane contemporaneo Alcmeone:
, -
,
Sulle cose invisibili, sulle cose mortali gli dei
possiedono la certezza, ma gli uomini devono imparare
per inferenza (DK 24 B1)19.
18
19

Explaining the Cosmos, cit., p. 176.


Come abbiamo in precedenza ricordato, del testo greco esiste oggi una
versione proposta da M.L. Gemelli Marciano (Lire du dbut, cit., pp. 737), che ha espunto la virgola tra i due complementi iniziali, offrendo quindi
un senso profondamente diverso:

536

Il pensatore di Crotone (che Diogene Laerzio vuole discepolo


di Pitagora e dunque proveniente dalla stessa area geografica e
culturale di Parmenide) avrebbe ripreso la tradizionale opposizione ( ... ) per precisare come gli uomini abbiano solo la possibilit di procedere per evidenze sensibili e relative
inferenze.
Parmenide potrebbe aver reagito alle provocazioni di Senofane
indicando come in realt fosse possibile una conoscenza dimostrativa sicura di ci che , sforzandosi poi, negli ultimi versi
del nostro frammento, di rintracciare delle linee di stabilit che
consentissero di riordinare il campo fenomenico alla luce delle
indicazioni ontologiche, come rivelerebbero chiaramente i segni attribuiti alle due forme.

-
,
sulle cose mortali gli dei possiedono la certezza, ma a noi, in
quanto uomini, dato solo di trovare degli indizi.

537

LE FORME, LESSERE, IL NULLA [B9]


Simplicio offre, nel caso di B9, un'indicazione preziosa, ancorch approssimativa, circa la sua collocazione nel poema parmenideo. Afferma infatti il commentatore (contesto DK 28 B9):
[citazione B9]


e dopo poco aggiunge ancora: [citazione B9]. E se
"con nessuna delle due il nulla", egli dice chiaramente
che entrambi sono principi e che sono opposti.

Dal momento che il rilievo posto subito dopo la citazione di


B8.53-59, facile concludere che i quattro versi di B9 seguissero
dappresso la conclusione di B8, anche se non necessariamente
come prosecuzione (come ipotizza Cerri 1). Appare di conseguenza discutibile la scelta di alcuni editori (Coxon, Collobert) di collocarli dopo B10 e B11 (ovvero di ipotizzare la successione B11B10-B9, come fa O' Brien), o addirittura, dopo altri intervalli testuali, subito prima di B19 (Mansfeld), nonostante l'evidenza di
una relazione tra B9, 10 e 11, come introduzione generale all'esposizione cosmologico-cosmogonica della Doxa.

Tutte le cose sono state denominate


In effetti, dopo l'esordio di B8.50-61, B9 condivide con B19
l'importante riferimento agli e all'attivit di ,
che abbiamo visto essere centrale nella costruzione della cosmologia parmenidea. In particolare, nelle prime battute di B9 troviamo un accenno al ruolo d'ordine delle due :


1

Op. cit., p. 255.

538

Ma poich tutte le cose luce e notte sono state


denominate,
e queste, secondo le rispettive propriet, [sono state
attribuite] a queste cose e a quelle (vv. 1-2).

Nella dimensione plurale delle cose ( ) attestate


dallesperienza e che l'intelligenza ha riassunto nellomogeneit
dell'essere, il compito di quello di classificare e discriminare: secondo il modello che abbiamo riscontrato nel commento al frammento precedente, lo schema oppositivo distribuisce sul complesso dei fenomeni le propriet (, potenze), i che accompagnano le due , cos riordinando,
attraverso un'articolazione elementare, il mondo empirico.
Dopo aver messo a fuoco la nozione di , comune denominatore che contraddistingue la realt, raccogliendo a unit la
totalit degli enti, e averne approfondito le implicazioni (alla luce
della : ), Parmenide delinea una strategia
conseguente di recupero del cosmo dellesperienza umana: Luce e
Notte dovranno spiegare l'apparire senza che venga ammesso come principio il nulla 2. Alcuni accostamenti verbali manifestano
questa operazione.
Al verso B8.24b la Dea aveva sottolineato (i):

ma tutto pieno di ci che ,

dopo aver ricordato (ii):


, ,

n c qui qualcosa di pi che possa impedirgli di
essere continuo,
n [l] qualcosa di meno (B8.23-24a),

e soprattutto (iii):
2

Ruggiu, op.cit., p. 326.

539

,
N divisibile, poich tutto omogeneo (B8.22).

A questa rappresentazione della omogeneit e compattezza


dell'essere possiamo far corrispondere l'affermazione centrale del
nostro frammento:


tutto pieno ugualmente di luce e notte invisibile
di entrambe alla pari (B9.3-4a),

dove l'originario nesso ontologico di totalit e pienezza (


) declinato al duale (
), salvaguardando comunque l'esigenza di uniforme
densit e continuit veicolata in B8 da espressioni come
(B8.5), (B8.22), oltre che da (B8.6) e
(B8.23) e ribadita in B9 dalla formula
e dalla precisazione incidentale .

Insieme a nessuna delle due il nulla


Ma, al di l di queste convergenze che paiono indiscutibili, il
proposto dalla Dea esplicitamente rileva il dato discriminante rispetto alle narrazioni cosmogoniche, la preoccupazione
ontologica essenziale a tutela della fondatezza della ricostruzione:

perch insieme a nessuna delle due [] il nulla (B9.4).

Per quanto orientata a ordinare ci che registrato a livello


empirico e che (il pensare) ovvero il (l'intelligenza) o
ancora il (il discorso argomentativo) confermano nell'unit
di , la scelta del modello oppositivo e della relativa disposizione seriale (l'aristotelica ) di (propriet) riba540

disce l'assoluta esclusione del nulla (). Insomma, il linguaggio della doxa ripropone quello della altheia, sottolineando,
sul terreno dell'apparire, la propria continuit con il
, quasi che la doxa, nel suo insieme e a dispetto dell'insidia degli , ne costituisse la diretta prosecuzione3.
Perch, ci si potrebbe chiedere, Parmenide avrebbe dovuto affiancare alla Verit il resoconto plausibile di una realt gi ridotta,
nei suoi tratti caratterizzanti, ai di B8? B9 pu contribuire
a una risposta, soprattutto considerandone la collocazione a ridosso della dichiarazione conclusiva di B8:
,

Questo ordinamento, del tutto appropriato, per te io
espongo,
cos che mai alcuna opinione dei mortali possa
superarti.

L'orizzonte dell'esperienza ineludibile per un mortale; cos


l'insegnamento divino della verit proceduto di pari passo con
una puntuale disamina degli errori umani, in larga misura condizionati da scriteriate assunzioni empiriche:
,


n abitudine alle molte esperienze su questa strada ti
faccia violenza,
a dirigere locchio che non vede e lorecchio risonante
e la lingua (B7.3-5a).

Proprio per la sua ineludibilit, la Dea si impegna a fornire gli


strumenti per una ricostruzione adeguata di quell'orizzonte, che ne
conservi la fisionomia pluralista e qualitativa, senza contraddire
nella sostanza le indicazioni della Verit. B9 si inserisce appunto
in questo contesto, con le sue "istruzioni" circa l'ordinamento lin3

Ibidem.

541

guistico del mondo dell'esperienza e il suo "riempimento" a opera


delle due forme nominate, con opportuno esorcismo del nulla. Una soluzione per garantire in ogni senso la superiorit del
discente dalla concorrenza di potenziali resoconti alternativi. In
questa prospettiva, la probabile ampia articolazione della Doxa
ancora attestata come sappiamo - da Plutarco (Contro Colote
1114b; DK 28 B10):






, ,
Ha costruito anche un sistema del mondo e
mescolando come elementi la luce e la tenebra, fa derivare
tutti i fenomeni da questi e mediante questi. Ha detto in
effetti molte cose sulla terra, e sul cielo e sul sole e sulla
luna e tratta anche dell'origine degli uomini: nulla ha
taciuto circa le cose pi importanti, come si addice a uomo
arcaico nello studio della natura e che ha composto uno
scritto proprio non distruzione di un altro,

pu far sorgere il sospetto che la relativamente pi contenuta


trattazione della Verit fosse funzionale al coerente consolidamento della trattazione cosmologica e cosmogonica.

Tutto pieno di luce e notte


Se osserviamo la costruzione del frammento, possiamo notare
un passaggio significativo per la complessiva interpretazione della Doxa:

[...]

542

Ma poich tutte le cose luce e notte sono state


denominate,
[...]
tutto pieno ugualmente di luce e notte invisibile.

La consistenza del mondo della nostra esperienza dipende dalla coerenza della sua costruzione linguistica: dopo (i) aver rifiutato le interpretazioni che pretendevano coniugare essere e nonessere (B6 e B7), (ii) aver individuato un modello (linguistico) di
base, imperniato sullo schema polare delle nozioni luce-notte
(B8.53-4), (iii) averne rilevato i limiti (B8.55-59), e (iv) bandito
esplicitamente l'implicazione del nulla (B9.4), Parmenide se ne
serve (v) distribuendone le rispettive propriet su tutte le cose.
In altre parole, egli procede a connotare, attraverso gli
delle due e i relativi -, i vari aspetti fenomenici:
la luce associata a caldo, leggero, raro; la notte a freddo, pesante, denso, come possiamo evincere da B8.56-9 e dallo scolio a B8
di Simplicio:



,


tra i versi riportato un passo in prosa come fosse
dello stesso Parmenide; esso afferma: per questo ci che
raro anche caldo, e luce e morbidezza e leggerezza; per
la densit invece il freddo indicato come oscurit,
durezza e pesantezza.

Quanto stato denominato conformemente a tale strategia assume lo spessore di un mondo comune, condiviso: non a caso,
dopo aver impiegato in premessa l'espressione
, al v. 3 la Dea conclude che
.

543

Le due forme concorrono alla composizione del mondo: la


loro complicit nell'opposizione assicura la stabilit del mondo 4.
Il fatto che entrambe siano parte dell'Essere rende possibile una
fisica della mescolanza ()5. La funge cos da principio di costituzione di tutte le cose: l'uguaglianza delle due forme e
la presenza delle rispettive potenze spiega come ogni cosa sia costituita insieme (anche se non nella stessa misura) di Luce e Notte6.
tuttavia necessario ricordare con Conche 7 - che le due
parmenidee non sono assimilabili agli elementi di Empedocle o degli atomisti: non si tratta di principi eterni e immutabili,
ma di forme nominate dai mortali, di cui la Dea si serve ad hoc,
per una adeguata spiegazione dell'universo delle opinioni mortali. Ci deve rendere cauti rispetto a una loro ontologizzazione:
nulla ne giustifica l'assolutizzazione al di fuori di questo mondo.

Conche, op. cit., p. 201.


Ruggiu, op. cit., p. 327.
6
Ivi, p. 328.
7
Op. cit., p. 200.
5

544

UN GRANDE AFFRESCO COSMICO [B10-11-1213]


I tre frammenti B10-11-12 sono conservati da due fonti diverse: Clemente Alessandrino (II-III secolo d.C.) e Simplicio (tuttavia B11 in un passo del commento al De caelo, B12 in due passi
del commento alla Fisica): solo il secondo ci fornisce, per B12,
unindicazione approssimativa circa la collocazione relativa:

[...]
poco pi avanti [B8.61], dopo aver parlato dei due
elementi, introduce la causa efficiente, dicendo cos
[B12.1-3] [...]

Ricordiamo che con analoga approssimazione (poco dopo)


era stata introdotta la citazione di B9, il cui testo avrebbe seguito
dappresso B8.59. Almeno i versi di B12, dunque, dovevano trovarsi a ridosso di B8 e B9: certamente dopo B8. Il contesto delle
altre due citazioni e il loro contenuto concorrono a suggerire una
stretta relazione di B12 con B10 e B11, e, ulteriormente, dei tre
frammenti con B9, anche se sono state proposte diverse soluzioni
circa la loro effettiva sequenza. B13, infine, conservato da varie
fonti (Platone, Aristotele, Plutarco, Sesto Empirico, Stobeo, Simplicio), viene citato da Simplicio in stretta connessione con B12.
Clemente (autore che rivela dimestichezza con il poema, risultando unica fonte di quasi tutto quello che cita) introduce e accompagna B10 con queste parole:


. . .
pervenuto alla vera conoscenza [di Cristo], chi vuole
ascolti Parmenide di Elea che promette tu conoscerai ...
degli astri.

Il commentatore neoplatonico, a sua volta, ci informa che:

545

.
[citazione B11]

.
Parmenide intorno alle cose sensibili afferma di aver
intenzione di dire [citazione B11] e descrive l'origine delle
cose che si generano e si corrompono, fino alle parti degli
animali.

Evidentemente la funzione dei due testi citati era prolettica rispetto alla vera e propria descrizione cosmogonica e cosmologica:
dal momento che Plutarco (Contro Colote 1114b, contesto di DK
28 B10) ci documenta l'articolazione della Doxa parmenidea, utilizzando ancora la sua testimonianza possiamo tracciare una loro
plausibile posizione:






, ,
Ha costruito anche un sistema del mondo e
mescolando come elementi la luce e la tenebra, fa derivare
tutti i fenomeni da questi e mediante questi. Ha detto in
effetti molte cose sulla Terra, e sul Cielo e sul Sole e sulla
Luna e tratta anche dell'origine degli uomini: nulla ha
taciuto circa le cose pi importanti, come si addice a uomo
arcaico nello studio della natura e che ha composto uno
scritto proprio non distruzione di un altro.

Plutarco offre diversi spunti per il nostro orientamento nella


seconda parte del poema, suggerendo almeno tre cose fondamentali sulla sua struttura:
(i) intanto che la costruzione del sistema del mondo, annunciata in conclusione di B8, , per quanto consta all'autore, chiaramente responsabilit di Parmenide: sottoli546

nea l'originalit dell'impresa scientifica. Ci ribadito in conclusione: ha composto uno scritto proprio non distruzione di un
altro ( , );
(ii) poi che la scelta degli elementi () funzionale al
progetto scientifico: la ricognizione cosmologica () implica la ricostruzione comogonica; la struttura del cosmo la sua
produzione. Con la proposta di due principi il filosofo assicura la
spiegazione fenomenica (conclusione di B8 e B9): mescolando
come elementi la luce e la tenebra (
), egli produce il suo . Da e per mezzo di
quegli elementi ( [...] ) ricava ()
tutti i fenomeni ( );
(iii) infine che il progetto scientifico doveva essere ambizioso,
dire molto (molte cose, ) sulla Terra, e sul Cielo e sul
Sole e sulla Luna: si tratta evidentemente del tema cui alludono
programmaticamente B10-11 e che B12 sviluppa. Doveva poi
procedere a delineare l'origine degli uomini (
): ne abbiamo tracce in B13 (e successivi).
Potremmo cos avere conferma della bont dell'attuale successione, ovvero supporre una sistemazione leggermente diversa. La
natura programmatica di B10 e B11, attestata dalla ricorrenza di
formule illocutorie (, , ) che ricorda la protasiinvocazione alle Muse della Teogonia esiodea1, unitamente alla
considerazione che B9 ne costituisce il fondamento (funzione dei
principi), potrebbe suggerire una posposizione dello stesso B9 2. A
ci osta sostanzialmente l'indicazione (comunque approssimativa)
di Simplicio, nel contesto di B9, circa la prossimit della citazione alla conclusione della precedente (B8.53-9).
D'altra parte chiaro come B10 costituisca una sorta di indirizzo della Dea a Parmenide, analogo a quello che chiude il proemio: ci troveremmo in questo senso in presenza di un "secondo"

1
2

Cerri, op. cit., p. 263.


Ruggiu, op. cit., p. 332.

547

proemio3. B10 e B11 annunciano Clemente parla di Parmenide


che promette () - e descrivono sommariamente il
programma scientifico (spiegazione cosmogonica e cosmologica)
che B12 contribuisce a realizzare. Con B10 e B11 siamo, insomma, ancora al prologo, al profilo preliminare; con B12 alla descrizione dei processi e della struttura del cosmo, che Atius e Cicerone (DK 28 A37) ci aiutano a ricostruire.
B9, in questo contesto, sembra effettivamente, pi che una tessera programmatica vera e propria, un rilievo delle conseguenze
immediate, sul piano cosmologico e cosmogonico, dell'opzione
per le due forme (B8.53-59), e quindi fungere solo in questo
senso da cerniera introduttiva. O'Brien 4, in alternativa, vi ha colto,
dopo l'annuncio degli argomenti principali (B11) e il passaggio
alle opere del Sole e della Luna (B10), una precisazione sulla
natura delle due forme, prima dell'introduzione della
che le governa (la sequenza sarebbe dunque: B11-B10-B9B12). La disposizione proposta da Diels-Kranz appare comunque
credibile e soprattutto compatibile con le indicazioni di Simplicio.

Conoscere la natura
La Dea dunque preannuncia (promette) al proprio discepolo un
grandioso disegno scientifico:


,

,

.

Per questo in passato Bicknell propose di integrare i versi di B10 nel prologo
del poema (P.J. Bicknell, Parmenides, fragment 10, Hermes 95, 1968, pp.
629.631).
4
tudes sur Parmnide, cit., I, p. 246-7 (in particolare nota 33).

548

Conoscerai la natura eterea e nelletere tutti


i segni e della pura fiamma dello splendente Sole
le opere invisibili e donde ebbero origine,
e le opere apprenderai periodiche della Luna
dallocchio rotondo,
e la [sua] natura; conoscerai anche il cielo che tutto
intorno cinge,
donde ebbe origine e come Necessit guidandolo lo
costrinse
a tenere i confini degli astri.

La promessa quella di:


(i) far conoscere () la natura eterea (
) e tutti i segni ( ) nell'etere;
(ii) e le opere invisibili (distruttive) ( ) del Sole e
ci da cui () esse si generarono ();
(iii) far apprendere () le opere () della Luna
e la [sua] natura ();
(iv) far conoscere () il cielo () che tiene
tutto intorno ( ) e da che cosa () scatur
();
(v) far conoscere come Necessit () incaten
() il cielo a mantenere nei loro limiti ( ) gli
astri.
Il contesto della citazione di B11 (nel commento di Simplicio
al De caelo) conferma questo disegno di Parmenide:
.
[citazione B11]

.
Parmenide intorno alle cose sensibili afferma di aver
intenzione di dire [B11] e descrive l'origine delle cose che
si generano e si corrompono, fino alle parti degli animali.

549

Conche5 ha osservato, a proposito di questi rilievi, come Simplicio evidenzi l'ampiezza e la verticalit dell'indagine parmenidea, evocando nelle scelte verbali (generazione-corruzione, parti
degli animali) i temi poi trattati da Aristotele, e la centralit dei
processi naturali nell'esplicazione dei fenomeni: il mondo opera
della natura.
D'altra parte non sfuggita agli studiosi l'eco di questo indirizzo cosmogonico di B10 in Empedocle (DK 31 B38):
,
,

.
Ors, ti dir delle cose prime e <uguali per principio>;
da cui divenne manifesto tutto quanto ora vediamo,
terra e mare dalle molte onde e aria umida
e il Titano etere che cinge in cerchio tutte le cose.

L'impressione che Empedocle si sia direttamente ispirato al


modello parmenideo introducendo la sezione astronomica del
proprio poema6.

Le opere della natura


Di questo programma scientifico (abbiamo gi osservato, nel
commento di B8.50-61, l'insistenza della Dea sulle formule di conoscenza di B10) sono da notare in particolare: (a) il nesso ribadito tra e , e (b) l'uso di espressioni come
(che abbiamo reso come donde ebbero origine) e
l'equivalente . Al centro della comunicazione della Dea
ritroviamo dunque un modello di sapere che si definisce per la
capacit di ricostruire la generazione dei fenomeni, con l'esplicito accostamento di e : nel contesto il primo termine
5
6

Op. cit., pp. 210-11.


Cerri, op. cit., p. 259.

550

che abbiamo per lo pi tradotto come natura - designa appunto ci che d origine (, dare origine), la cui attivit generatrice si traduce in .
Conoscere la natura significa allora riconoscere i processi di
formazione, il manifestarsi dell'origine ( , ) nei
segni (), nei fenomeni celesti; Parmenide evidentemente
non allude con a unimmota identit, a un'essenza che con
la propria stabile determinatezza consenta di classificare i fenomeni 7 : in questo senso la formula donde ebbero origine
( ) riprende e rilancia la ricerca milesia
dell'8. Nell'indirizzo della Dea allora possibile intravedere
una doppia direzione di indagine: (i) quella che dai , dagli
, dai fenomeni astronomici risale alla natura che li esprime;
(ii) quella che dalla discende ai relativi 9.
Nella stessa direzione, precisando il disegno, B11:



.
[...] come Terra e Sole e Luna,
l'etere comune e la Via Lattea e l'Olimpo
estremo e degli astri l'ardente forza ebbero impulso
a generarsi.

In questo caso, di alcuni elementi essenziali del quadro cosmologico si prospetta la genesi marcandone lo spunto immanente: a
conferma del fatto che Parmenide non intende semplicemente descrivere un ordine cosmico, stabilire ruoli e posizioni relative, ma
produrre una cosmogonia. La combinazione di e
indicativa della sua nozione di : essa in ogni fenomeno la
7

In questa direzione anche la lettura di Conche, op. cit., pp. 204-5. A noi pare,
tuttavia, che Parmenide intenda esporre anche la costituzione dell'etere o
della luna, analizzarne la composizione.
8
Su questo punto si veda Ruggiu, op. cit., pp. 333-5.
9
Ibidem.

551

che si esprime in segni e opere. Ovvero, richiaman-

do l'attacco di B9:


Ma poich tutte le cose luce e notte sono state
denominate,
e queste, secondo le rispettive propriet [],
[sono state attribuite] a queste cose e a quelle (vv.1-2),

potremmo concordare con Ruggiu 10 che le due forme originarie Luce e Notte si manifestano come nella
di ogni cosa: esse, sotto questo profilo, costituirebbero l'unica natura delle cose.

Opere invisibili, opere periodiche


Quello che, nei versi del poema che ci sono conservati, ancora
possiamo "catturare" della grandiosa sintesi cosmologica cui allude Plutarco lo sforzo di elaborazione cosmogonica. Essa traspare, come abbiamo rilevato, nella insistenza sulla , nella
centralit del tema della , ma anche nelle scelte verbali che
tendono a marcare - si veda, per esempio, il passaggio dal passato11 di al presente di in B12.1-2 - gli effetti durevoli
dei processi generativi nella struttura cosmica:
,
,
Quelle pi strette [interne], infatti, si riempirono di
fuoco non mescolato;
le successive [si riempirono] di notte, ma insieme si
immette una porzione di fuoco.

10
11

Ibidem.
Sia nella forma, da noi accolta, dell'aoristo, sia in quella del perfetto medio
(), proposta in alternativa.

552

infatti probabile che B12 alluda proprio alla formazione e


articolazione dello spazio cosmico (come vedremo meglio pi avanti), delineando costituzione del centro terrestre del sistema
(sfera terrestre e suo interno infuocato), della periferia celeste
(sfera solida esterna e sfera ignea interna), e dello spazio intermedio in cui si muovono i corpi celesti. Esplicita in B12.3 anche
l'introduzione della Dea che tutto governa (
) e della sua funzione "copulatrice":




in mezzo a queste [corone] la Dea che tutte le cose
governa.
Di tutte le cose ella sovrintende all'odioso parto e
allunione,
spingendo lelemento femminile a unirsi al maschile,
e, al contrario,
il maschile al femminile (B12.3-6).

Ma che lo sguardo del poeta nei versi superstiti - non sia rivolto tanto alla contemplazione di un ordine da cui ricavare o in
cui riscontrare armonie ed equilibri strutturali, ovvero modelli geometrici, quanto al compiaciuto rilevamento della fecondit,
dell'impeto () generativo che nell'universo manifesta la natura, emerge nei versi in cui la Dea riferendosi a Sole e Luna
insiste non sulla loro posizione relativa nel sistema o sulla loro
relazione reciproca (a Parmenide dobbiamo il riconoscimento della riflessione lunare della luce solare), ma sulle loro opere, rispettivamente invisibili (ovvero distruttive) e periodiche,
cio sul loro contributo ai processi cosmici.

553

Il sistema del mondo


Articolando il programma scientifico annunciato in B10, B11
si riferisce al come () Terra, Sole, Luna e etere ebbero impulso a generarsi ( ), dunque al processo di
formazione del cosmo a partire dalle due potenze originarie. Il legame con B9, infatti, doveva essere molto stretto, perch, come
abbiamo gi ricordato, la citazione dei primi 3 versi di B12 registrata nel seguente contesto:

[...]
poco pi avanti [B8.61], dopo aver parlato dei due
elementi, introduce la causa efficiente, dicendo cos [vv.
1-3].

Se valida la ricostruzione per lo pi accettata, i versi di B12


dovevano seguire di poco B9, e dunque l'introduzione degli elementi materiali (); d'altra parte essere dappresso anche a
un primo riferimento alla struttura delle corone () cosmiche, di cui ci d notizia Atius (A37), dal momento che a esse
rinviano implicitamente in apertura:
,
,

Quelle pi strette [interne], infatti, si riempirono di
fuoco non mescolato;
le successive [si riempirono] di notte, ma insieme si
immette una porzione di fuoco;
in mezzo a queste la Dea che tutte le cose governa.

Corone cosmiche
Il processo cui alludono i versi doveva fornire le coordinate
essenziali per la comprensione dell'universo parmenideo, relati554

vamente alla sua configurazione e composizione. La scarsit (nei


numeri e nella consistenza) dei frammenti superstiti, purtroppo,
non ci consentono di delinearle se non in modo estremamente approssimativo: cos sappiamo (B10.5-7) del cielo che tutto intorno cinge ( ) e di come esso sia stato vincolato da Necessit ( ) a tenere i confini degli
astri ( ); B11 conferma la presenza di un Olimpo estremo ( ) il cielo di cui sopra, umschliessende Firmament come lo definisce Diels12 - e di uno spazio etereo ( ), con esso (ma la relazione indefinita
nel testo) nominando Terra (che secondo la tradizione delle testimonianze antiche consideriamo il centro del sistema) e pianeti;
B12 poi, come abbiamo ricordato, sintatticamente sembra sottendere il riferimento a una struttura ad anelli o corone
() concentrici.
Un senso complessivo a questi cenni cosmologici riusciamo a
garantirlo grazie alla preziosa (quanto discussa) testimonianza di
Atius, che fornisce, partendo da Teofrasto, il quadro d'insieme
entro cui collocarli:
. , ,
,
.
,
,
, [sc. ].
< > <
> ,

.
,

. ,
.

12

Parmenides Lehrgedicht, cit., p. 104.

555


, .
Parmenide [afferma che] ci sono corone, l'una intorno
all'altra in successione, una costituita dal raro, l'altra dal
denso; tra queste ve ne sono altre miste di luce e oscurit.
Ci che tutte le avvolge solido come un muro, sotto il
quale una corona ignea; solido anche ci che al
centro di tutto, intorno al quale , ancora, una corona
ignea 13 . Delle corone miste [di fuoco e oscurit], quella
pi centrale per tutte principio e causa di movimento e
generazione: [Parmenide] la indica anche come Divinit
che governa e Giustizia che tiene le chiavi14 e Necessit.
L'aria secrezione della Terra, evaporata a causa della sua
[della Terra] compressione pi intensa, e il Sole e la Via
Lattea sono esalazioni del fuoco; la Luna mescolanza di
entrambi, dell'aria e del fuoco. L'etere poi avvolge tutto
dall'esterno [dalla posizione superiore], e al di sotto di
esso disposto quell'elemento igneo che abbiamo
chiamato cielo; sotto di questo le regioni intorno alla Terra
(Atius; DK 28 A37).

Parmenide avrebbe introdotto una cosmologia fondata sulla


nozione di , da intendere probabilmente come anello
cilindrico (Cicerone traduce coronae similem). Secondo Teofrasto, dunque, il cosmo celeste dell'Eleate era costituito da
concentriche, anelli alternativamente di rado ( ) e
13

Il testo greco ,
sarebbe in realt interpolato: come sottolinea Franco Ferrari (nel suo recente
Il migliore dei mondi impossibili. Parmenide e il cosmo dei presocratici, cit.,
pp. 88-9), infatti una integrazione, e un emendamento. Il
testo alternativo restaurato sarebbe: < >
, e la circonferenza al centro di tutte [le corone] di nuovo
[una corona] ignea.
14
Il greco stabilito da Diels - emendazione del testo dei
manoscritti: , Giustizia che indirizza le sorti. Simplicio,
dopo aver citato B13, osserva in effetti:
, , [Parmenide
sostiene che la dea] invia le anime talora dal visibile all'invisibile, talora in
senso opposto.

556

di denso ( ), che presentavano quindi la purezza


degli elementi-principi. Tra questi ( ) erano poi dislocate altre corone miste di luce e oscurit (
), con una evidente corrispondenza nei segni:
/ , / . Il cosmo finito era avvolto da una sfera solida (
), secondo quanto indicato in B10.5:
, altrimenti evocato (B11.2-3) come .
L'espressione conclusiva suggerisce che al centro del
sistema cosmico si trovasse la Terra, come confermano, sempre
sulla scorta di Teofrasto, Diogene Laerzio e Atius (DK 28 A1,
A44):


questi [Parmenide] fu il primo a sostenere che la Terra
ha forma di sfera e giace al centro [dell'universo]
.,
[ ]

,
Parmenide e Democrito sostengono che la Terra,
essendo a uguale distanza da tutte le parti, rimane in
equilibrio, non avendo causa per cui debba inclinare da
una parte piuttosto che dall'altra. Per questo trema soltanto
e non si muove.

La struttura del cosmo


Seguendo le indicazioni di Teofrasto riferite da Atius, analogamente al centro sferico ( [...]
) dobbiamo supporre sferica almeno la solida parete esterna ( ) del cosmo - ci che tutto avvolge
( ). Qui incontriamo una prima difficolt: la
557

consistenza attribuita al contenitore cosmico (appunto la parete


solida esterna cui allude Atius) dovrebbe comportare per rispettare i associati alle due la sua natura densa e
oscura; d'altra parte Atius sottolinea come l'etere avvolga tutto
dall'esterno [ovvero dalla posizione superiore] (
).
Diels15 identificava tale muro (Mauer) con una sfera di pura
Notte, esterna a una sfera di puro Fuoco, che complessivamente
costituivano la coppia di concentriche periferiche, contrastate, al centro del sistema, da una coppia corrispondente: una
sfera esterna di Notte densa (la superficie terrestre) e una interna
di puro fuoco (fuoco vulcanico). Di recente Franco Ferrari 16 ha
ribadito questo modello, tra l'altro proponendo una revisione del
testo greco di Atius che rende coerente l'ipotesi di Diels con le
indicazioni che giungevano da Teofrasto. Anche Tarn17 sottolinea la corrispondenza tra (A37),
(B10) e (B11), riducendolo a una
solida sfera di Notte, sebbene poi la sua struttura cosmica diverga
in parte da quella dielsiana, per una diversa interpretazione delle
(coincidenti, secondo lo studioso americano,
con gli anelli che contengono le stelle).
Altri, tuttavia, hanno contestato questa ricostruzione. Coxon18,
per esempio, pur rilevando che la testimonianza di Atius appare
parafrasi dei versi di B12, e concedendo che l'accostamento al
muro di una citt ( ) potrebbe essere stato dello
stesso Parmenide (dal momento che ricorre in un contesto pitagorico alla fine di un saggio di Massimo di Tiro, II secolo), denuncia come l'asserzione su risulti fraintendimento di : l' di Parmenide non sarebbe dunque solido (cio composto di Notte), ma etereo, come si ricaverebbe dall'incrocio delle attestazioni di Atius e Cicerone:

15

Nella sua edizione del 1897, cit., p. 104.


Il migliore dei mondi impossibili, cit., pp. 88-90.
17
Op. cit., p. 241.
18
Op. cit., pp. 235-236.
16

558



, .
L'etere poi avvolge tutto dall'esterno [dalla posizione
superiore], e al di sotto di esso disposto quell'elemento
igneo che abbiamo chiamato cielo; sotto di questo le
regioni intorno alla Terra (Atius; DK 28 A37)

nam P. quidem commenticium quiddam: coronae


simile efficit ( appellat), continentem ardorum
< et > lucis orbem qui cingit caelum, quem appellat
deum [...]
Parmenide elabora qualcosa di fittizio: simile a una
corona (egli la chiama ), una sfera di fuoco e di
luce che avvolge il cielo e che egli denomina dio [...]
(Cicerone; DK 28 A37).

L'orbis lucis di Cicerone coinciderebbe con l' di Atius:


Parmenide distinguerebbe il fuoco dall'etere: l'etere secondo
Atius costituirebbe in Parmenide la regione estrema dell'universo, governando il cielo delle stelle fisse ( )19. Ruggiu20
interpreta le indicazioni dei frammenti e delle testimonianze in
modo analogo. Il termine nel pensiero arcaico designerebbe una formazione di tipo circolare sviluppata intorno a un
punto centrale: dal momento che al centro delle in Parmenide sta la Terra, concepita come sferica, la struttura dei cieli
sarebbe sferica: la periferia sarebbe occupata da una sfera di fuoco; l'elemento che tutto contiene, ancora igneo, sarebbe della consistenza di un solido muro. D'accordo sostanzialmente Cerri 21: nel
complesso delle corone sferiche concentriche la pi
esterna, il confine limite dell'universo visibile, sarebbe formata da
uno strato di etere rigido, avvolgente un'altra corona di etere
rarefatto e igneo, denominata .

19

Ivi, p. 227.
Op. cit., p. 343.
21
Op. cit., p. 266.
20

559

Parmenide avrebbe previsto, nel suo cosmo, una doppia funzione per il cielo, che ancora pu intravedersi nei frammenti: esso
, per un verso, (i) , quindi fisicamente limitante, circoscrivente; per altro (ii) vincolante: Necessit guidando lo vincol a tenere i confini degli astri (
). Il cielo, dunque, anche legame
per tutti gli elementi celesti: gli astri, dislocati sulle , con
i rispettivi moti, immersi al suo interno nell'etere ( )22.
In effetti risulta evidente, nelle testimonianze, il nesso tra cielo
ed etere. Parmenide avrebbe indicato due aree nell'etere celeste:
(i) l'etere che si estende tutto intorno al cosmo, libero da astri; (ii)
l'etere popolato da astri, condensazioni di fuoco23. A questo alluderebbero le espressioni e di Atius
A40a:
. ,
,
, ,

Parmenide dispone per primo nell'etere Eos,
considerato da lui identico a Espero. Dopo quello dispone
il Sole, sotto il quale sono gli astri nella zona ignea che
chiama cielo.

Alla luce delle indicazioni che si possono ricavare dai frammenti e soprattutto da Atius, l'etere si estenderebbe tra la fascia
pi interna del sistema cosmico - densa di aria secreta dalla
Terra ( A37) - e la volta esterna ( ), che tuttavia potrebbe essere stata concepita
a sua volta come etere rigido. Il termine appare nelle testimonianze di Atius con i significati correnti nella tradizione peripatetica (Teofrasto): molto chiaramente la struttura celeste delineata e il lessico adottato riflettono la lezione di Aristotele:

22
23

Ruggiu, op. cit., p. 336.


Conche, op. cit., p. 213.

560


,
.

,


, .

,
.


.
,



.
Prima dobbiamo dichiarare che cosa diciamo essere il
cielo e in quanto modi lo diciamo, perch diventi pi
chiaro l'oggetto d'indagine.
In un senso dunque diciamo cielo la sostanza
dell'estrema volta del tutto, cio il corpo naturale
nell'estrema volta del tutto; appunto la regione estrema e
pi elevata che siamo soliti chiamare cielo, in cui
affermiamo aver sede tutto quanto divino.
In altro senso [diciamo cielo] il corpo contiguo
all'estrema volta del tutto, in cui sono la Luna e il Sole e
alcuni degli astri; anche questi, in effetti, affermiamo
essere nel cielo.
In un altro senso ancora, diciamo cielo il corpo
abbracciato [compreso] dall'estrema volta; siamo soliti,
infatti, definire cielo l'universo e il tutto [ovvero: l'intero
universo].
Essendo inteso il cielo in questi tre modi, l'intero
abbracciato dall'estrema volta consiste di necessit di tutto
il corpo naturale e sensibile, poich nessun corpo esiste,

561

n possibile si generi fuori del cielo (Aristotele, De


caelo I, 9 278 a9-25).

plausibile che nella propria sintesi Aristotele tenesse conto


anche della cosmologia parmenidea ovvero di un modello analogo o condiviso (pitagorico?) dall'Eleate: in effetti il corpo naturale nell'estrema volta del tutto (
) richiama sia il cielo che tutto intorno cinge (B10.5 ) sia l'Olimpo estremo (B11.23 ), anche per la sua associazione al divino (
). per altro chiaro che quando
Atius (A40a) parla di astri nella zona ignea che [Parmenide]
chiama cielo ( , ) si
riferisce a ci che Aristotele indicava come il corpo contiguo
all'estrema volta del tutto, in cui sono la Luna e il Sole e alcuni
degli astri ( ,
).
Interessante il rilievo aristotelico circa l'accezione "cosmica"
di : l'intero abbracciato dall'estrema volta consiste di necessit di tutto il corpo naturale e sensibile, poich nessun corpo
esiste, n possibile si generi fuori del cielo. La tentazione di
una lettura "cosmica" di Parmenide B8 molto forte: la compiutezza dell'essere manifestata dalla sfericit, traduceva in immagine ontologica la perfezione che la doxa poteva riscontrare nell'universo compiuto e intero ( ) di cui parla Aristotele.
In conclusione non si pu dunque non ribadire la difficolt
nella ricostruzione del quadro cosmologico del poema: troppo
frammentarie le citazioni e troppo condizionate dal lessico e dalla
concettualit della posteriore tradizione le testimonianze. Come
abbiamo constatato, sono pochi i dati certi sulla struttura cosmica:
(i) la forma complessivamente sferica del centro (Terra) e della periferia ( , ovvero , Olimpo estremo), pensata come una parete solida (
);
562

(ii) l'esistenza di una prima fascia celeste superiore eterea,


composta cio di corone, anelli cilindrici, di puro Fuoco; di una
seconda fascia intermedia di corone in cui Fuoco e Notte sono
compresenti; di una terza fascia a ridosso della superficie della
Terra, corrispondente a una atmosfera aerea prodotta dalle evaporazioni terrestri;
(iii) la distribuzione dei corpi celesti tra le prime due fasce
(sulla loro disposizione le indicazioni non sono concordi).

La e il cosmo
Il contesto e la citazione di B12, insieme alla relativa testimonianza di Atius, pongono un ulteriore problema interpretativo:
quello relativo alla posizione e al ruolo della che l viene
evocata:

. . .
. [...]

.
. . . . [...]


.
poco dopo [B8.61], dopo aver parlato dei due
elementi, introduce la causa efficiente, dicendo cos [vv.
1-3]. [...] La causa efficiente non solo dei corpi soggetti a
generazione, ma anche degli incorporei che concorrono
alla generazione, Parmenide ha esposto chiaramente,
dicendo [vv. 2-6] [...] Egli pone la causa efficiente una e
comune, la dea che sta in mezzo al tutto ed causa di ogni
generazione

563



in mezzo a queste [corone] la Dea che tutte le cose
governa.
Di tutte le cose ella sovrintende all'odioso parto e
allunione,
spingendo lelemento femminile a unirsi al maschile,
e, al contrario,
il maschile al femminile (B12.3-6)
<
> < > ,


Delle corone miste [di fuoco e oscurit], quella pi
centrale per tutte principio e causa di movimento e
generazione: [Parmenide] la indica anche come Divinit
che governa e Giustizia che tiene le chiavi e Necessit
(Atius; DK 28 A37).

Il neoplatonico Anatolio di Laodicea (III secolo d.C.) offre


un'ulteriore indicazione:

,
[...].


,


Oltre a queste cose [i Pitagorici] sostenevano che nel
mezzo dei quattro elementi sta un cubo unitario di fuoco,
la cui posizione centrale era nota anche a Omero [...].
Sembra che abbiano in questo seguito i Pitagorici i
discepoli di Empedocle e Parmenide e per lo pi i [lett.:
quasi la maggioranza dei] sapienti antichi, dal momento
che affermano che la natura monadica posta al centro
come focolare [Estia], e che conserva la stessa sede in

564

forza dell'equiposizione [dell'equilibrio rispetto


perimetro del sistema] (DK 28 A44).

alla

Indubbiamente il cosmo parmenideo presenta affinit con


quello filolaico, quale possiamo ricostruire da frammenti e testimonianze:
,

. < >
.
.
,
Il cosmo uno; inizi a formarsi dal mezzo e dal
mezzo verso l'alto, e attraverso gli stessi passaggi verso il
basso. Le cose che sono al di sopra del mezzo <infatti>
giacciono in senso opposto a quelle che sono al di sotto. In
effetti le cose che sono in mezzo si trovano rispetto a
quelle sotto come rispetto a quelle sopra e le altre in modo
simile: dal momento che rispetto al mezzo entrambe si
trovano nella stessa relazione, solo capovolte (DK 44
B17)
.
[B 7]

. .
,
, [] <
> , ,
, , ,

. ,
,
, ,
,
,
, ,

565

.
,
,
.
Filolao definisce il fuoco in mezzo attorno al centro
focolare del tutto [dell'universo] e casa di Zeus e
madre degli dei, altare e vincolo e misura della
natura; l'altro fuoco in alto invece l'involucro. Sostiene
che primo per natura sia quello in mezzo, intorno a cui si
muovono dieci corpi divini, primo il cielo delle stelle
fisse, poi i cinque pianeti, poi il Sole, quindi la Luna, poi
la Terra, poi l'Antiterra; dopo queste cose il fuoco del
focolare, che risiede intorno al centro. Chiama la parte pi
alta dell'involucro, in cui ritiene risieda la purezza degli
elementi, Olimpo; quella che porta sotto l'Olimpo, in
cui sono collocati i 5 pianeti con il Sole e la Luna,
cosmo; dopo queste, poi, la parte sublunare e
circumterrestre, entro cui sono le cose della generazione
mutevole, cielo. E intorno alla disposizione delle cose
celesti verte la sapienza, intorno al disordine delle cose in
divenire verte la virt: quella perfetta, questa imperfetta
(Atius; DK 44 A16).

probabile che alcuni particolari delle concezioni pitagoriche


siano stati utilizzati per ricostruire a posteriori il quadro del cosmo parmenideo, sempre che quegli elementi non fossero sullo
sfondo della stessa elaborazione eleatica, almeno come tratti consolidati di una tradizione.
Atius (che si appoggia alla lezione di Teofrasto) riferisce come anche Filolao definisse la parte pi alta dell'involucro, in cui ritiene risieda la purezza degli elementi, distribuendo
poi gli astri in due regioni e compatibilmente
con la rappresentazione parmenidea. La citazione filolaica sottolinea la preoccupazione per la struttura sferica, che potrebbe riflettersi nellinsistenza delle testimonianze sul modello arcaico delle
corone, probabilmente di matrice anassimandrea, in Parmenide:
al pensatore di Mileto punta anche l'argomento per la centralit
della Terra, precoce applicazione del principio di ragion sufficien566

te, impiegato da Parmenide anche in sede ontologica, nella sezione sulla Verit (vv. B8.9 ss.):
.,
[ ]

Parmenide e Democrito sostengono che la Terra,
essendo a uguale distanza da tutte le parti, rimanga in
equilibrio, non avendo causa per cui debba inclinare da
una parte piuttosto che dall'altra (Atius; DK 28 A44).

L'accostamento alla posteriore cosmologia (e cosmogonia) filolaica - in cui si depositava e sistemava plausibilmente la primitiva lezione pitagorica - utile, tuttavia, soprattutto nella determinazione del ruolo cosmico della parmenidea. Simplicio,
nelle due citazioni che costituiscono B12, sembra interessato a
rilevare come Parmenide postulasse nella sua fisica una potenza
distinta dalla forma Fuoco come causa efficiente (
): la dea che governa tutte le cose. Secondo Coxon24, il
rilievo del commentatore sarebbe stato diretto contro il modello
interpretativo della doxa proposto da Alessandro sulla scorta di
Teofrasto, secondo il quale al Fuoco spettava il ruolo di
e alla terra (Notte) quello di :



Egli pone la causa efficiente una e comune, la dea che
sta in mezzo al tutto ed causa di ogni generazione.

D'altra parte in B12 leggiamo che:



al centro di queste [corone] la Dea che tutte le cose
governa,

24

Op. cit., p. 234.

567

e Atius sottolinea come:


<
> < > ,


Delle corone miste [di fuoco e oscurit], quella pi
centrale per tutte principio e causa di movimento e
generazione: [Parmenide] la indica anche come Divinit
che governa e Giustizia che tiene le chiavi e Necessit,

mentre Plutarco, citando B13, osserva:


.

. . .
perci Parmenide mostra Eros come la prima delle
opere di Afrodite scrivendo nella cosmogonia [B13].

Le testimonianze e i frammenti superstiti consentono di affermare che effettivamente Parmenide attribuiva alla una
funzione cosmogonica (
, di tutte le cose ella sovrintende all'odioso parto e
allunione B12.4). Evidentemente aperta invece la questione
della sua collocazione cosmologica e della sua identificazione.

La dislocazione cosmica della


L'indicazione di Plutarco un punto di partenza: oggi si infatti convinti che Plutarco non solo avesse accesso a una copia del
poema di Parmenide, ma potesse attingere a una versione attendibile25. Il passo propone di fatto l'identificazione della con
Afrodite: Simplicio sottolinea come la dea sia causa efficiente
25

Su questo punto molto importante la messa a fuoco di Passa, op. cit, pp. 2728.

568

non solo dei corpi soggetti a generazione, ma anche degli incorporei che concorrono alla generazione (

); Plutarco fa di Afrodite la generatrice di
Eros e dunque nomina la . Ovviamente non possiamo sta-

bilire se l'identificazione fosse per lui scontata o solo una speculazione ovvero riscontrata invece nel testo, ma la precisazione:
nella cosmogonia ( ) - sembra avvalorare l'ultima possibilit. In ogni caso, nella misura in cui B12 assegna alla
il governo di tutto, B13 sembra suggerire che ci avvenga
attraverso la generazione di Eros e il controllo dell'accoppiamento26.
D'altra parte, poich la testimonianza di Atius colloca la dea
al centro degli anelli misti di Notte e Fuoco, assimilandola di fatto
a uno di essi, possibile, incrociando le due testimonianze, ipotizzare che essa coincidesse con un'entit astrale concreta, fonte
fisica dell'influenza cosmogonica, Afrodite appunto. Parmenide, il
primo a identificare Eos ( ovvero Fosforo/, la stella
del mattino) e Espero (, la stella della sera):
. ,
,
Parmenide per primo pone nell'etere Eos, considerato
da lui identico a Espero (DK 28 A40a),

potrebbe aver dato per primo il nome di Afrodite all'astro 27.


Contro questa identificazione e collocazione si pongono le informazioni che giungono dal contesto delle citazioni di Simplicio,
che chiaramente parla a favore della centralit cosmica della
: in effetti, l'espressione parmenidea -
- con cui essa viene introdotta, ambigua, potendosi riferire sia al centro delle corone miste (come appare pi
probabile nel contesto) sia al centro dell'universo. Difficile pensare, tuttavia, che il commentatore, che certamente disponeva di una
26
27

Cerri, op. cit., pp. 267-268.


Ibidem.

569

copia del poema, potesse fraintenderne il testo su questo punto; n


la sua indicazione contraddice quella di Plutarco, il quale si limita
a identificare la come .
La testimonianza di Anatolio di Laodicea dello stesso tenore,
marcando in particolare la continuit con le cosmologie e cosmogonie pitagoriche: la natura monadica ( )
posta da Parmenide (ed Empedocle) al centro ( ) al modo
di un focolare ( ). I riscontri delle citazioni di Filolao e delle relative testimonianze confermano che nella tradizione
pitagorica del V secolo il fuoco in mezzo attorno al centro (
) coincideva con il divino focolare del
tutto ( ), ovvero dimora di Zeus (
) o madre degli dei ( ), connotazione
che ritorna anche negli Inni orfici:
[]
Hestia [...] che hai dimora al centro del fuoco eterno
(Orphica, Hymnii 84.1-2)
[]
,
da te [Hestia] ebbe nascita la stirpe degli immortali e
dei mortali (Orphica, Hymnii 27.7)28,

e che ritroviamo nel contesto simpliciano della citazione di


B13:
[ ]
[B13]
la [dea che tutto governa] considera causa anche degli
dei, affermando [B13].

La collocazione della al centro del sistema cosmico, le


possibili convergenze con il pitagorismo del V secolo sul motivo
della Hestia divina, potrebbero avvalorare il modello cosmologico
28

F. Ferrari, Il migliore dei mondi impossibili, cit., pp. 104-5.

570

proposto da Diels, per cui il nucleo centrale dell'universo risulterebbe una sfera di puro Fuoco, circondata dalla superficie terrestre
(sfera di pura Notte).
Coxon29, rilevando le difficolt implicite nelle testimonianze di
Atius e Simplicio, ha sostenuto, sulla scorta di Cicerone (A37),
una diversa soluzione circa natura e collocazione della divinit.
Come abbiamo gi riscontrato, in Cicerone, infatti, la dea appare
come una sfera di fuoco e di luce che avvolge il cielo:
coronae simile efficit ( appellat),
continentem ardorum < et > lucis orbem qui cingit
caelum, quem appellat deum
immagina una corona (egli la chiama ), cio
una sfera di fuoco e di luce che avvolge il cielo e che egli
denomina dio;

incrociando il dato cosmologico con quello fornito da Atius:




, .
L'etere poi tutto avvolge dall'esterno [dalla posizione
superiore] e al di sotto di esso posto proprio l'elemento
igneo che abbiamo chiamato cielo (Atius; DK 28 A37),

si potrebbe concludere come abbiamo visto - che l'orbis lucis


(secondo Cicerone, indicata da Parmenide come dio), la corona ignea e luminosa che abbraccia il cielo, coincida con l'
di Atius, che avvolge . Questa identificazione sarebbe
compatibile sia con la tradizione peripatetica (che attribuiva al
fuoco il ruolo di principio efficiente), sia con i dati relativi alla
tradizione ionica:
,
.

29

Op. cit., pp.239 ss..

571

,
. , ,

,
.


,

Ogni cosa, in effetti, o principio o [deriva] da
principio; dell'apeiron per non v' principio, dal
momento che vi sarebbe un limite di esso [apeiron]. E
ancora, esso ingenerato e incorruttibile, in quanto un
principio: necessario, infatti, che ci che generato
abbia una fine, e vi un termine finale di ogni corruzione.
Proprio per questo motivo diciamo che di esso [principio]
non vi sia principio, ma che sembra essere esso stesso
principio di tutte le altre cose, e comprenderle
[abbracciarle] tutte e tutte governarle, come affermano
quanti non pongono oltre all'infinito altre cause, per
esempio Intelligenza o Amore. E questo il divino:
infatti senza morte e senza distruzione, come sostengono
Anassimandro e la maggioranza degli studiosi della
natura. (Aristotele; DK 12 A15)
.

. ' , ,
,
' (
).
Anassimene, figlio di Euristrato, milesio, afferm che
principio delle cose l'aria: da essa tutto si genera e in
essa di nuovo si risolve. Dice: come la nostra anima, che
aria, ci governa, cos soffio e aria abbracciano l'interno
universo (aria e soffio sono utilizzati come sinonimi)
(Atius; DK 13 B2)
, ,

572

esiste una sola sapienza: riconoscere la ragione, che


governa tutto attraverso tutto (Diogene Laerzio; DK 22
B41)
[
]
, ,
.
[ ]
[Eraclito sostiene anche che abbia luogo un giudizio
sul mondo e su tutto ci che si trova in esso, attraverso il
fuoco, in tal modo:] il fulmine dirige il tutto, ossia [il dio]
lo guida [con il fulmine], intendendo con fulmine il fuoco
eterno. Dice anche che questo fuoco dotato di
intelligenza, e che esso [causa] dell'ordinamento
[dell'universo] (Ippolito; DK 22 B64).

Le assonanze espressive potrebbero avvalorare la convergenza


parmenidea sulle posizioni di coloro che, alle origini della speculazione cosmologica, avevano accennato alla divinit della naturaprincipio ( ), assegnandole anche un compito
direttivo sui processi cosmici: abbracciare e pilotare tutte le cose (Anassimandro: ), ovvero abbracciare l'universo (Anassimene:
), in analogia con il controllo dell'anima sulle nostre funzioni vitali ( ). In B12.4, in effetti, ritroviamo il verbo , che, come vuole Coxon30, potrebbe alludere direttamente ad Anassimandro (cui Teofrasto riconosce il merito di
aver introdotto il termine tecnico di ).
tuttavia possibile che la parmenidea
, da Plutarco identificata come , sia in realt
solo l'espressione mitica della potenza generatrice cui alluderanno
Empedocle e Lucrezio, il quale - ci ricorda Ferrari31 - utilizzava
espressioni analoghe a quelle del filosofo greco (quae ... rerum
naturam sola gubernas, I.21). A insistere per questa lettura so30
31

Ivi, p. 242.
Ferrari, op. cit., p. 106 nota.

573

prattutto Ruggiu32, per il quale la sembra essere la personificazione della stessa forza vivificatrice (mana) presente in tutte
le cose: l'impulso immanente alla generazione (B11.3-4
). Nel senso di una attribuzione ad Afrodite
della forza demiurgica orientato anche il commentatore (IV secolo) della teogonia (V secolo) del papiro Derveni, e conferme
ulteriori si potrebbero cogliere nel riferimento alla nascita di Eros,
che potrebbe coinvolgere il complesso sfondo delle presunte teogonie orfiche, documentate negli Uccelli (vv. 695-9) di Aristofane.

La funzione cosmo-teogonica della


B12 allude quindi chiaramente a un processo cosmogonico e,
in relazione a esso, al ruolo direttivo (, ) della
, la quale spinge all'unione ( )di femminile () e maschile ():




in mezzo a queste [corone] la Dea che tutte le cose
governa.
Di tutte le cose ella sovrintende all'odioso parto e
allunione,
spingendo lelemento femminile a unirsi al maschile,
e, al contrario,
il maschile al femminile (B12.3-6).

Un ruolo, come sappiamo, ben documentato nel linguaggio peripatetico di Simplicio (contesto B12):

32

Op. cit., p. 344.

574


. . .
. [...]

.
. . . . [...]


.
poco dopo [B8.61], dopo aver parlato dei due
elementi, introduce la causa efficiente, dicendo cos [vv.
1-3]. [...] La causa efficiente non solo dei corpi soggetti a
generazione, ma anche degli incorporei che concorrono
alla generazione, Parmenide ha esposto chiaramente,
dicendo [vv. 2-6] [...] Egli pone la causa efficiente una e
comune, la dea che sta in mezzo al tutto ed causa di ogni
generazione,

e connesso a una (probabilmente correlata) analoga funzione


teogonica:

. . . .
,
.
sostiene che questa stessa [la dea] sia causa anche
degli dei, dicendo [B13], e sostiene che invia le anime
talora dal visibile all'invisibile, talora in senso opposto
(Simplicio; contesto B13).

L'indicazione di Simplicio suggerisce una prossimit almeno


tematica tra B12 e B13:

Primo tra gli dei tutti ella concep Amore,

confermata dalla testimonianza di Plutarco (contesto B13):

575

. . .
perci Parmenide mostra Eros come la prima delle
opere di Afrodite scrivendo nella cosmogonia [B13].

Un'ulteriore cerniera tra i due frammenti si pu cogliere nel


contesto della citazione aristotelica di B13 (Metafisica I, 4
984b23-7):

,
.

, [ B 1 3 ]
Si potrebbe sospettare che Esiodo per primo abbia
ricercato una [causa] del genere, anche se qualcun altro
pose negli enti, come principio, amore o desiderio, per
esempio Parmenide. Questi, infatti, ricostruendo la genesi
del tutto, afferm: [B13].

Ancora utile, sebbene condizionata dall'esplicita liquidazione


(e incomprensione) della strategia parmenidea, anche la testimonianza di Cicerone (DK 28 A37):
nam P. quidem commenticium quiddam: coronae
simile efficit ( appellat), continentem ardorum
< et > lucis orbem qui cingit caelum, quem appellat
deum; in quo neque figuram divinam neque sensum
quisquam suspicari potest. multaque eiusdem < modi >
monstra: quippe qui B e l l u m , qui D i s c o r d i a m , qui
C u p i d i t a t e m [B 13] ceteraque generis eiusdem ad
deum revocat, quae vel morbo vel somno vel oblivione
vel vetustate delentur; eademque de sideribus, quae
reprehensa in alio iam in hoc omittantur
Parmenide immagina qualcosa di fittizio: una corona
(egli la chiama ), una sfera di fuoco e di luce
che avvolge il cielo e che egli chiama dio; in cui non si

576

pu supporre ci sia figura divina n sensibilit alcuna.


Inoltre, indica moltre altre assurdit di tale specie:
riferisce infatti dio a Guerra, Discordia, Passione [B13] e
tutte le altre cose del genere, le quali sono distrutte o da
malattia o dal sonno o dall'oblio o dalla vecchiaia. Le
medesime cose sono dette anche degli astri: essendo gi
state criticate in altro luogo, possiamo ometterle in questo.

Quelli che abbiamo elencato sono i testi che complessivamente autorizzano la speculazione sulla cosmo-teogonia parmenidea.
Pochi gli elementi sufficientemente certi:
(i) la testimonianza di Simplicio che pone la funzione della
in relazione diretta con i due elementi (
) Fuoco e Notte insiste decisamente sulla divinit come causa efficiente ( ) una e comune (
), origine di ogni generazione ( );
(ii) la sua causalit efficiente appare come impulso alla mescolanza ( ) dei due contrari: la divinit causa comune in quanto, attraverso la mescolanza delle di Fuoco e
Notte, rende possibile quanto i mortali definiscono generazione e
corruzione33;
(iii) a nascita e morte allude probabilmente Simplicio quando
osserva che [la dea] invia le anime talora dal visibile all'invisibile, talora in senso opposto (
, ); allo stesso fenomeno si
riferisce Parmenide in B12.4 con l'espressione:

di tutte le cose sovrintende al doloroso parto e
all'unione.

Conche (tra gli altri) si soffermato 34 sull'uso di (da


, avere in orrore), che a suo credere rivelerebbe il pessimismo di fondo di Parmenide, portato di una Stimmung riscontrata soprattutto nella poesia arcaica: un pessimismo proiettato nel
33
34

Ivi, p. 340.
Op. cit., pp. 225 ss..

577

suo caso, rispetto alla poesia, dalla condizione umana al divenire


nel suo complesso;
(iv) la mescolanza () ulteriormente connotata come (o
almeno accostata a) una forma di unione sessuale: questo spiega
probabilmente il ruolo di Eros. Simplicio, infatti, introducendo
B13, precisa che la anche causa degli dei ( ),
mentre Aristotele esplicitamente attribuisce al concepimento di
Eros una funzione cosmogonica (ricostruendo la genesi del tutto, );
(v) a dire di Cicerone, altre figure divine (Guerra, Discordia,
Passione) dovevano cooperare all'attivit direttiva della :
evidente l'analogia con le forze cosmogoniche di Empedocle (che,
ribadiamo, potrebbe essersi ispirato direttamente al modello parmenideo).
In quella che Plutarco chiama , possibile dunque
che Parmenide impiegasse un doppio registro: l'esposizione propriamente cosmogonica era accompagnata e intrecciata a una versione immediatamente teogonica. Ci suggerito, da un lato,
dall'uso, in B11.3-4, della formula ebbero impulso a generarsi
( ), che sembra implicare una spinta immanente, dall'interno della natura stessa del cosmo, dall'altro, dalla
attribuzione aristotelica a Eros di una funzione analoga. Secondo
Ruggiu35 l'impulso (cosmogonico) a congiungersi e mescolarsi (e
quindi il processo di costituzione delle cose) sarebbe guidato dalla
potenza immanente, da quella forza vivificatrice denominata
(o forse ), di cui Eros (insieme alle altre divinit cui allude Cicerone) sarebbe espressione teogonica e cosmogonica a un tempo, nella misura in cui l'unione sessuale rientra tipicamente nelle forme di congiunzione\mescolamento, essenziali, nello schema parmenideo che prevedeva due principi elementari di base, per produrre generazione e corruzione. Sarebbe, insomma, in vista dell'odioso parto e dell'unione che la
dea avrebbe concepito (letteralmente meditato, pensato) Eros36. Si pu dunque osservare ulteriormente che:
35
36

Op. cit., p. 340.


Coxon, op. cit., p. 242.

578

(vi) la , di cui si sottolineano, con linguaggio nautico


(: pilotare, timonare), sia il ruolo di governo, sia l'azione
di dare inizio ai processi, sembra dominarli in ultima analisi attraverso il pensiero (: meditare, deliberare, ma anche concepire, inventare). A dispetto del contesto e della tradizione teogonica
evocata, il poeta intenderebbe cos rilevare un rapporto di pura
filiazione concettuale37.

37

Cerri, op. cit., p. 273.

579

NOTTE DI LUNA [B14-14A-15-15A]


I quattro frammenti sono propriamente delle schegge del testo
del poema (B14a, per altro, normalmente non considerato frammento autentico ma imitazione aristotelica), di difficile contestualizzazione, e il cui valore discusso. significativo, in particolare, il fatto che B14 e B15 siano citati da Plutarco non per documentare il sistema astronomico di Parmenide, ma, strumentalmente, per illustrare altre relazioni (B14) ovvero (B15) per le implicazioni etiche (obbedienza volontaria a un superiore) 1:

,
[B14: ]
.
nemmeno chi nega che il ferro incandescente sia fuoco
o la Luna Sole, ma come Parmenide: di notte splendente,
vagando intorno alla Terra, luce d'altri elimina l'uso del
ferro o la natura della Luna.

.
.
Nell'abbondanza di tali entit nel cielo la sola [Luna]
va in giro bisognosa di luce altrui, secondo Parmenide.
...sempre rivolta verso i raggi del sole.

Nella tradizione stato a essi attribuito sostanzialmente un significato poetico e solo subordinatamente astronomico. Si insistito sulla costruzione ritmica2 ovvero sull'immaginario sentimentale cui ricorre Parmenide: la Luna come donna innamorata rivolta a contemplare il proprio amante (il Sole), illuminata dai suoi
sguardi (raggi). Situazione e immagine che Empedocle avrebbe
poi puntualmente ripreso, come abbiamo segnalato in nota al testo.
1
2

Coxon, op. cit., pp. 244-5.


Cerri, op. cit., p. 274.

580

Dai pochi versi si possono tuttavia ricavare anche interessanti


indicazioni cosmologiche:
(i) la conferma della natura circolare del moto di rivoluzione
della Luna (vagante intorno alla Terra, );
(ii) donde l'inferenza circa la probabile sfericit della stessa,
confermata dalle testimonianze teofrastee;
(iii) l'attestazione della relazione di dipendenza della luce lunare dalla luce solare ( ). Su questo punto necessario precisare che, attraverso Atius, siamo informati della origine
e composizione di Luna e Sole:
.
,
,
.
Parmenide sostiene che il Sole e la Luna si siano
formati per distacco dal cerchio della Via Lattea: il primo
costituito dalla mescolanza pi rarefatta, che calda;
l'altra dalla pi densa, che fredda (DK 28 A43)
,

La luna mescolanza di entrambi, di aria e di fuoco
(DK 28 A37)
. [sc. ]. .
[sc. ]
.
. , . ...
Parmenide sostiene [che la Luna ] di fuoco.
Parmenide sostiene [che la Luna ] simile [per grandezza]
al Sole: in effetti illuminata da esso. Talete per primo
disse che [la Luna] illuminata dal Sole; analogamente
Pitagora, Parmenide ......

la diversa commisurazione degli elementi base, pur derivando Sole e Luna dalla stessa fascia celeste (la Via Lattea), a produrre, nel caso della seconda, effetti fisici (fenomenici) pi deboli
581

rispetto a quelli del Sole (giustificandone cos la dipendenza): il


pallore della Luna connesso al fatto che il fuoco non riesce a
renderla calda e quindi neppure splendente 3.

Conche, op. cit., pp. 235-6.

582

IL CORPO E IL PENSIERO [B16]


Frammento di interpretazione estremamente controversa, B16
costituisce effettivamente una sfida per il traduttore: accanto ai
problemi di determinazione del testo all'interno della tradizione
manoscritta, troviamo nello specifico difficolt per quanto concerne la sua comprensione. In assenza del contesto immediato,
infatti, la costruzione sintattica non del tutto perspicua e univoca, e le possibili, diverse soluzioni producono per lo pi significati diversi. Incerta risulta anche la sua collocazione all'interno della
struttura del poema. Prevalente l'orientamento di Diels, che consider i versi come appartenenti alla sezione sulla Doxa, ma non
sono mancate - in passato e tra gli studiosi contemporanei (Mourelatos, Robinson, Stemich, Ferrari) le proposte di assegnarlo
alla sezione sulla Verit, analogamente a B4: per gli uni il frammento esprimerebbe una concezione soggettivistica del comune
pensare umano, costantemente condizionato dalla situazione fisiologica dell'individuo pensante; per gli altri, invece, esso affermerebbe la stretta relazione tra pensiero e realt.
L'esame del contesto delle citazioni pu aiutare a comprendere
il senso dei versi parmenidei e a decidere del suo posizionamento
nell'opera.

Il contesto peripatetico
Abbiamo di B16 due citazioni integrali peripatetiche - in Aristotele (Metafisica IV, 5 1009 b21) e Teofrasto (De sensu 3) e
due parafrasi Alessandro di Afrodisia e Asclepio nei loro commenti al testo aristotelico.
Aristotele

Aristotele cita il frammento all'interno di una disamina critica


delle dottrine relativistiche di stampo protagoreo (tutte le opinioni
sarebbero egualmente vere ed egualmente false), che lo Stagirita

583

fa derivare dalla combinazione di un assunto teorico di fondo e di


due assunti specifici.
Per quanto riguarda il primo, lo scenario entro cui il filosofo
posiziona gli autori citati, egli osserva (a pi riprese):


la verit circa le cose che appaiono ad alcuni derivata
dalle cose sensibili (Metafisica IV, 5 1009 b1)

,

causa di questa convinzione per costoro che essi
ricercavano s la verit intorno agli enti, ma supponendo
che gli enti fossero solo quelli sensibili (1010 a1-3).

Il discorso aristotelico che coinvolge anche Parmenide verte,


dunque, in generale, su una ontologia "materialistica" e sulla conoscenza associata all'esperienza sensibile. Le assunzioni specifiche riguardano invece la sensazione (): essa intesa come (i) pensiero (), ovvero (ii) processo di alterazione fisica (). La citazione di B16 avviene appunto in questo
contesto:

, ,




. <
> , ' |
.
[B16]

584

Generalmente, poich pensano che la sensazione sia


pensiero e che sia una alterazione, sostengono che ci che
appare secondo la sensazione di necessit sia vero.
partendo in vero da queste considerazioni che Empedocle,
Democrito e, per cos dire, ciascuno degli altri [naturalisti]
si sono ritrovati soggetti a tali opinioni. Empedocle,
infatti, afferma che, mutando la condizione, muti il
pensiero: in relazione alla situazione presente, in vero,
agli uomini cresce la mente; e altrove dice che: per
quanto mutano diventando diversi, di tanto sempre a loro
si presenta il pensare cose diverse. Anche Parmenide si
esprime nello stesso modo: [B16].

interessante notare come Aristotele interpreti Empedocle:


Empedocle, infatti, afferma che, mutando la
condizione ( ), muti il pensiero
( ),

prima di citarlo (due volte), facendo corrispondere e


, come, a suo dire, Parmenide avrebbe fatto nei suoi
versi:

anche Parmenide si esprime nello stesso modo.

In effetti i primi due versi del frammento parmenideo sono costruiti sulla connessione .... :
1
,
2
come, in effetti, di volta in volta, si ha temperamento
di membra molto vaganti,
1

questa la forma verbale prevalente nei codici: nello stabilire il testo abbiamo
accolto tuttavia la lectio difficilior (congiuntivo).
2
Nella versione greca del frammento abbiamo accolto la versione
dei codici di Teofrasto.

585

cos il pensiero si presenta agli uomini,

cos che la citazione, nel contesto del discorso aristotelico,


suggerisce di riscontrare la correlazione precedente ( ): si spinti, insomma a leggere l'espressione
come corrispettivo di , e come corrispettivo di
. A ci va aggiunto che la seconda citazione empedoclea:
< > , '

per quanto mutano diventando diversi, di tanto sempre
a loro si presenta il pensare cose diverse,

richiama, nella formulazione, a sua volta i primi due versi


parmenidei, in particolare per l'espressione
, in cui il comune verbo riferito in un caso
a nell'altro a .
Indubbiamente, anche evitando il commento diretto, Aristotele
imponeva di fatto le coordinate di lettura di B16.
Al medesimo nodo teorico, lo stesso Aristotele si richiama ancora in De Anima:

,
,
(
),




,
,

,
,

586

L'anima per lo pi definita in base a due elementi: il


movimento locale e il pensare, il riflettere e il sentire.
Sembra che il pensare e il riflettere siano qualcosa come il
sentire (in entrambi i casi, infatti, l'anima discrimina e
conosce qualcosa degli enti), e del resto gli antichi
sostengono che il pensare e il sentire siano la stessa cosa.
Cos Empedocle afferm: in relazione alla situazione
presente, in vero, agli uomini cresce la mente; e altrove:
per quanto mutano diventando diversi, di tanto sempre a
loro si presenta il pensare cose diverse. La stessa cosa
intende l'affermazione di Omero: tale infatti la mente.
Tutti costoro, in effetti, sostengono che il pensare sia
qualcosa di corporeo come il sentire, e che sentire e
pensare siano del simile attraverso il simile, come
abbiamo detto inizialmente nel nostro discorso (De Anima
III, 3 427 a17-29).

Bench non evocato direttamente, Parmenide rimane coinvolto


doppiamente: perch l'equazione aristotelica tra pensare e percepire/sentire ( ) genericamente
rivolta agli antichi ( ), analogamente alla connotazione conclusiva del pensare come qualcosa di corporeo come il
sentire ( ), attribuita a
tutti costoro ( , cio, ancora, gli antichi).
Significativi il costante riferimento a Empedocle e la citazione
omerica (in Metafisica IV, 5 1009 b28-30 si evocava Iliade
XXIII, 698), di cui molti studiosi ritrovano eco in B16:
,

tale il pensiero degli uomini che vivono sulla terra,
quale il giorno che manda il padre degli uomini e degli
dei (Odissea XVIII, 136-7).

Il testo di Omero, in effetti, intende marcare la costitutiva debolezza della comprensione umana e la sua totale dipendenza
dall'operare divino. Esso riflette un punto di vista che circolava
nella poesia arcaica: il dell'uomo come (impotente)
rispetto a quello divino. Possiamo rintracciare lo stesso motivo in
587

Archiloco (fr. 68.1-2 Diehl), Simonide (fr. 1.1-5) e Teognide (vv.


1171-4).
Teofrasto

Secondo Coxon3, Teofrasto avrebbe avuto chiaramente presenti l'argomento e la citazione del maestro, pur utilizzando il frammento per motivi diversi e ricavandolo da un testo indipendente:
non si comprenderebbe altrimenti su quali basi B16 troverebbe
collocazione all'interno di una riflessione (De
Sensu) e come potrebbe riferirsi al dibattito sull'origine della sensazione (dal simile o dai contrari), se non appunto per la precedente (incrociata) lettura aristotelica:

,
. .
,
. (3) .
,
.
, ,


, , . . . (B 16).


,
, , .
,


,
. .

.
3

Op. cit., p. 247.

588

Riguardo alla sensazione le opinioni pi numerose e


diffuse sono due: gli uni la fanno derivare dal simile, gli
altri dal contrario. Parmenide, Empedocle e Platone dal
simile, i seguaci di Anassagora e Eraclito dal contrario...
Parmenide, in effetti, nellinsieme non ha precisato
alcunch, ma solo che, essendo due gli elementi, la
conoscenza si produce secondo l'elemento che prevale:
qualora infatti prevalga il caldo o il freddo, il pensiero
cambia [diventa altro], ma migliore e pi puro
comunque quello secondo il caldo. Anche questo, tuttavia,
richiede una certa proporzione. [citazione B16]. Parla del
percepire e del pensare come della stessa cosa: perci
anche la memoria e l'oblio derivano da queste cose
attraverso la mescolanza. Non precisa ulteriormente
invece circa l'eventualit che gli elementi siano
equivalenti nella mistione: se ci sar pensiero o no, e quale
la sua costituzione. Che egli faccia dipendere la
percezione anche dal contrario in s considerato [cio dal
freddo], evidente laddove afferma che il morto non
percepisce n luce, n caldo, n suono, per la perdita del
fuoco, ma che percepisce freddo, silenzio e i contrari. Nel
complesso sostiene che tutto l'essere abbia una qualche
capacit conoscitiva. Cos, dunque, egli sembra eliminare
in apparenza le difficolt che derivano dalla sua teoria.

A differenza della discussione aristotelica dei presunti presupposti ontologici materialistici e del conseguente sensismo soggettivistico di marca protagorea, il contesto teofrasteo quello di
un'analisi decisamente gnoseologica. Dobbiamo tuttavia trattenerci dall'intendere il frammento in chiave di gnoseologia generale4:
n Aristotele n Teofrasto utilizzano i termini parmenidei e
, limitandosi a correlare e ovvero
i derivati e . possibile, dunque, che nessuno
dei due intendesse realmente attribuire a Parmenide la riduzione
della conoscenza a percezione5, riferendosi entrambi piuttosto alla
sua teoria della conoscenza del mondo sensibile.
4
5

Cerri, op. cit., pp. 277-8.


Coxon, op. cit., p. 251.

589

In ogni caso, Teofrasto introduce il riferimento a Parmenide


all'interno dell'esame delle due opinioni prevalenti (secondo lo
schema delle testimonianze aristoteliche che doveva gi risultare
condizionante6): la prima novit rispetto all'indicazione del maestro, infatti, interviene proprio su questo punto:

,
. .
,

Riguardo alla sensazione le opinioni pi numerose e


diffuse sono due: gli uni la fanno derivare dal simile, gli
altri dal contrario. Parmenide, Empedocle e Platone dal
simile, i seguaci di Anassagora e Eraclito dal contrario.

Parmenide viene classificato tra i sostenitori della derivazione


della percezione dall'azione del simile sul simile, sebbene all'inizio della trattazione specifica Teofrasto segnali come:
.
Parmenide, in effetti, nellinsieme non ha precisato
alcunch [...].

La seconda novit della testimonianza teofrastea che, immediatamente di seguito, essa valorizza un particolare trascurato da
Aristotele:
,

[...] ma solo che, essendo due gli elementi, la
conoscenza si produce secondo l'elemento che prevale.

Si tratta probabilmente di un riferimento proprio alla conclusione di B16:

Su questo B. Cassin-M. Narcy, "Parmnide sophiste. La citation aristotlicienne du fr. XVI", in tudes sur Parmnide, cit., vol. II, p. 281.

590


ci che prevale, infatti, il pensiero.

Dal punto di vista di Teofrasto questa la peculiarit del contributo parmenideo in campo conoscitivo: il principio della dipendenza del pensiero dall'elemento che prevale nella mescolanza.
Il terzo rilievo interessante della testimonianza quello conclusivo:

Nel complesso [sostiene] anche che tutto l'essere abbia
una qualche capacit conoscitiva.

La convinzione espressa potrebbe discendere dai fondamenti


della "fisica" parmenidea: i due costitutivi "materiali" (Fuoco e
Notte) presenti in tutte le cose hanno propriet () per
cui funzionano anche come principi di movimento e conoscenza.
Possiamo cos riassumere le preziose informazioni teofrastee
sulle concezioni gnoseologiche di Parmenide:
(i) due sono gli elementi coinvolti nella conoscenza ():
il caldo ( ) e il freddo ( );
(ii) essa si produce con il prevalere di uno dei due (
): a seconda della preponderanza, il
pensiero cambia [diventa altro] ( );
(iii) il pensiero () qualitativamente migliore (
) quello secondo il caldo ( );
(iv) una certa proporzione [degli elementi] tuttavia sempre
implicata ( );
(v) percepire e pensare sono considerati la stessa cosa (
);
(vi) la percezione del simile attraverso il simile (evidentemente Teofrasto ha presente una parte del poema per noi perduta):

,

591

,

Che egli faccia dipendere la percezione anche dal
contrario in s considerato [cio dal freddo], evidente
laddove afferma che il morto non percepisce n luce, n
caldo, n suono, per la perdita del fuoco, ma che
percepisce freddo, silenzio e i contrari;

(vii) tutta la realt dotata di capacit di conoscere (


): chiaro nel contesto, dove ripetutamente si accenna ai due elementi, che Teofrasto riferisce questa
asserzione agli enti sensibili, al mondo fisico.
Al centro dell'esposizione della dottrina parmenidea sono comunque i punti (ii) e (iii), che giustificano la citazione di B16:
Teofrasto ritrova evidentemente nel poema il rilievo esplicito
dell'incidenza della sulla qualit del pensiero, ma
solo sotto il profilo della prevalenza di uno dei due elementi
(), sottolineando invece l'assenza in Parmenide di una
perspicua considerazione degli effetti dell'eventuale loro equilibrio. L'impressione che il frammento parmenideo sia impiegato
non tanto per sostenere una prospettiva rigorosamente conoscitiva
(non per marcare la relazione tra il pensiero e il suo oggetto),
quanto piuttosto per rimarcare la relazione psico-fisica che vi
tematizzata7.

Ricostruzione dei vv. 1-2a


I primi due versi del frammento sono di interpretazione relativamente pi agevole rispetto agli ultimi due: nonostante le divergenze nella ricostruzione sintattica, il senso generale non cambia
di molto:
,

M. Marcinkowska-Ros, Die Konzeption des "Noein" bei Parmenides von


Elea, De Gruyter, Berlin-New York 2010, p. 181.

592


Come, in effetti, di volta in volta, si ha temperamento
di membra molto vaganti,
cos il pensiero si presenta agli uomini.

Come abbiamo segnalato in nota al testo, esistono varie soluzioni per il soggetto del primo verbo () e per il suo valore
(transitivo, intransitivo). Complessivamente, tuttavia, si conferma
un'indicazione fondamentale: la condizione mentale degli uomini
correlata alla loro situazione fisiologica. Negli esseri umani in
generale (), alle variazioni ( ) dell'amalgama corporea ( ), corrisponde il manifestarsi ( ) del pensiero (ovvero della mente,
). Come abbiamo registrato, quanto Aristotele rendeva con
la correlazione -. Si tratta di una tesi di antropologia
generale che trova indirettamente conferma nella tradizione dossografica:
, ,
, .
[?]
,
. ,
,
.
Disse che due sono gli elementi fuoco e terra e che
l'uno ha funzione di artefice, l'altro di materia. Disse che
la generazione degli uomini deriva in primo luogo dal
Sole e che a quello [uomo] spettano come elementi il
caldo e il freddo, da cui tutte le cose sono costituite. Disse
anche che l'anima e l'intelligenza sono la stessa cosa,
come ricorda anche Teofrasto nella sua Fisica, dove
espone le dottrine di quasi tutti [i filosofi] (Diogene
Laerzio; DK 28A1).
Parmenides ex terra et igne [sc. animam esse].
. . .
. .

593

,

Parmenide dice che l'anima costituita di terra e fuoco
(Macrobio; DK 28 A45)
Parmenide e Ippaso dicono che l'anima ignea.
Parmenide dice che in tutto il petto ha sede l'egemonico.
Parmenide ed Empedocle e Democrito dicono che
l'intelligenza e l'anima sono la stessa cosa; secondo loro
nessun animale sarebbe completamente senza ragione
(Atius; DK 28 A45).

Parmenide avrebbe ricondotto rigorosamente ai suoi principi


(Fuoco e Notte, ovvero Fuoco e Terra) la natura umana, attribuendo alla loro interazione la stessa attivit percettiva e conoscitiva. In particolare, la scelta di potrebbe rivelare la vicinanza di Parmenide alle scuole mediche (il termine ritorna in Alcmeone ed Empedocle, nonch in Democrito): l'idea trasmessa
sarebbe quella del temperamento delle componenti in un'amalgama coesa.
Nel testo, comunque, il genitivo () non si
riferirebbe (se non indirettamente) agli elementi, ma immediatamente alle membra corporee, secondo il costume omerico di
designare il complesso fisico con il rinvio alle parti. L'Eleate pare
dunque, in primo luogo, attento a rilevare, nella relazione psicofisica, l'interdipendenza tra disciplina delle membra e condizione della mente 8 : in tal caso, il tradizionale motivo poetico
dell'instabilit ed eteronomia9 della comprensione umana risulterebbe decisamente piegato all'esigenza di marcare non tanto una
generica dipendenza del pensiero () umano dalle circostanze
esterne - come nella formula omerica sopra ricordata (ed evocata
anche da Aristotele in De Anima):
,

tale il pensiero degli uomini che vivono sulla terra,
8
9

Su questo M. Stemich, op. cit., pp. 139-142.


Riprendo l'espressione da Marcinkowska-Ros, op. cit., p. 162.

594

quale il giorno che manda il padre degli uomini e degli


dei,

quanto il suo condizionamento da parte del mutevole equilibrio fisiologico corporeo10.


L'attenzione di Parmenide sembrerebbe allora, in secondo luogo, tesa a marcare proprio la mutevolezza, l'instabilit della situazione psico-fisica, come rivelerebbe la scelta dell'avverbio
(ogni volta, di volta in volta) e dell'aggettivo composto (molto vaganti, dai molteplici movimenti, volubili). Nel complesso, quindi, nella prospettiva antropologica
adottata nei versi in esame, non v' dubbio che sia proposta una
concezione del pensare come attivit (e del pensiero come prodotto: ) che sopravviene (anche in questo caso la scelta espressiva indicativa: , si presenta) dall'esterno, dal temperamento cangiante di membra che molto si agitano (
), di cui, insomma, il soggetto non sembra essere in
controllo 11.

Ricostruzione dei vv. 2b-4


Il frammento prosegue:



perch precisamente la stessa cosa
ci che pensa negli uomini, la costituzione del [loro]
corpo,
in tutti e in ciascuno: ci che prevale, in vero, il
pensiero.

10
11

Ivi, p. 176.
Ivi, pp. 162-3.

595

Si tratta di uno dei passaggi pi controversi dell'intero poema


sopravvissuto. Nella nostra ricostruzione sintattica del testo greco,
la Dea, riferendosi alla propria asserzione secondo cui la qualit
del pensiero dipende dal temperamento delle membra (vv. 1-2a),
precisa dapprima come ci accada in virt del fatto che ci che
pensa negli uomini ( ) coincide (
) con la costituzione del loro corpo ( ). La soluzione interpretativa seguita nella traduzione , nella sostanza,
quella proposta originariamente da Diels (1897), che appare, rispetto all'insieme del frammento, la pi equilibrata, a dispetto del
limite denunciato nella tradizione critica (Frnkel, Hlscher): la
costruzione richiesta, con come apposizione (con
valore esplicativo12), risulta un po' artificiosa13.
A questo chiarimento la Dea fa seguire una puntualizzazione:
il pensiero (, qui da intendere come contenuto di pensiero) coincide con ci che prevale ( ). Il senso chiarito
nella testimonianza teofrastea, come abbiamo avuto modo di registrare:


[...] essendo due gli elementi, la conoscenza si produce
secondo l'elemento che prevale.

Il lessico di Teofrasto lessico di "conoscenza" (); quello del frammento appare piuttosto lessico di "pensiero" ( ,
): in assenza del contesto, la determinazione del pensiero
attraverso gli equilibri fisiologici che sembra posta al centro
dell'attenzione. La Dea, secondo costume (Omero, Archiloco), informa il , destinatario diretto della comunicazione, circa
l'inevitabile condizionamento del pensiero umano: in altre parole,
all'interno della complessiva illustrazione della realt cosmica e
12
13

Come spiegano nel loro contributo B. Cassin e M. Narcy (p. 290).


Per una aggiornata disamina della discussione critica in merito alle possibili
soluzioni nella traduzione si veda ora Marcinkowska-Ros, op. cit., pp. 164
ss..

596

dei suoi processi di formazione, ella inserisce un resoconto dei


meccanismi fisiologici alla base delle attivit spirituali.
In realt, la sua una modalit didascalica per mettere in
guardia la propria audience. Soprattutto se consideriamo che, a
differenza di quel che accadeva nella rappresentazione omerica
che teneva unite dimensione corporea e dimensione spirituale, il
ricorrente impiego di , , (B2, B3, B4, B6, B7, B8)
suggerisce, nel caso di Parmenide, una consapevole distinzione
delle nozioni di corpo () e spirito/pensiero () e la
conseguente valutazione delle loro implicazioni reciproche.
Il stato invitato a:
(i) sottrarsi al giogo della assuefazione empirica:



n abitudine alle molte esperienze su questa strada ti
faccia violenza
a dirigere locchio che non vede e lorecchio risonante
e la lingua (B7.3-5a),

(ii) tenersi lontano dalla strada per lo pi battuta dai mortali:


una strada che disorienta, ottundendo i loro sensi e la loro comprensione della realt:
,
< >,
.
, ,
da quella [via di ricerca] che appunto mortali che nulla
sanno
<si inventano>, uomini a due teste: impotenza davvero
nei loro
petti guida la mente errante. Essi sono trascinati,
a un tempo sordi e ciechi, sgomenti, schiere scriteriate
(B6.4-5a),

597

(iii) imparare attivamente, giudicando criticamente la comunicazione della Dea:



Giudica invece con il ragionamento la prova polemica
(B7.5b),

(iv) riflettere sulla specifica capacit di attualizzazione del


pensiero:

Considera come cose assenti siano comunque al
pensiero saldamente presenti (B4.1),

(v) e sulla effettiva natura del suo oggetto:



La stessa cosa, infatti, pensare ed essere (B3).

In B16, infine, la Dea esplicitamente ricorda come il prodursi


del pensiero sia da inquadrare all'interno di un'ineludibile cornice
psico-fisica: averne cognizione e coscienza comporta, in prospettiva, potersene avvantaggiare, garantendo al pensiero le condizioni ideali14. Potrebbe allora non essere casuale la relazione lessicale tra mente errante ( , B6.5b-6a):


impotenza davvero nei loro
petti guida la mente errante,

e membra molto vaganti ( , B16):


,

come, in effetti, di volta in volta, si ha temperamento
di membra molto vaganti,
14

Cos la Stemich, op. cit., pp. 164-5.

598

cos il pensiero si presenta agli uomini.

Forse proprio il disordine e l'agitazione del corpo, espressi da


, possono spiegare la confusione che domina il

pensiero dei mortali. Per converso, possiamo ipotizzare che ai


segni di stabilit e compattezza del (B8)
dovesse corrispondere il miglior temperamento degli elementi
corporei: nella testimonianza teofrastea il pensiero secondo il
caldo ( ). Forse l'illustrazione dei meccanismi fisiologici condizionanti aveva (direttamente o indirettamente) la specifica funzione di guidare il kouros a una loro corretta
gestione: difficile, infatti, immaginare che il
potesse essere affidato a un accidentale equilibrio psico-fisico, su
cui il destinatario non avesse opportunit di controllo 15.
Queste supposizioni assumono maggiore consistenza se accettiamo i riscontri giunti dalla ricerca archeologica 16, i quali, dopo i
ritrovamenti dell'ultimo mezzo secolo, fanno intravedere la possibilit che la scuola eleatica fosse qualcosa di molto diverso da
un cenacolo di filosofi razionalisti 17: probabilmente un sodalizio consacrato ad Apollo (guaritore, risanatore), dunque
una scuola di medicina, istituita forse dallo stesso Parmenide, il
quale evocato in uniscrizione recuperata a Velia (l'odierno sito
dell'antica Elea) come []
(Parmenide, figlio di Pyres, medico di Apollo Guaritore). Altre
iscrizioni recuperate nello stesso luogo confermano l'esistenza di
una tradizione locale di guaritori - apostrofati come
, letteralmente risanatore medico signore della caverna -, che onoravano un , un medico-

15

A meno di non interpretare il discorso della Doxa, come si fatto


tradizionalmente, come una messa in guardia nei confronti di una
elaborazione segnata strutturalmente dall'illusione e dall'inganno: abbiamo
visto, per, che ci sono motivi per credere che non fosse questa l'intenzione
del pensatore di Elea.
16
In precedenza richiamati nel commento al proemio.
17
Passa, op. cit., p. 17.

599

indovino sacerdote di Apollo, da identificare probabilmente con


lo stesso Parmenide18.
possibile, dunque, che egli praticasse un'arte che si collocava
tra medicina e mantica vera e propria, ricorrendo al , cio
a una sorta di "incubazione", analoga alla letargia invernale
dell'animale nella tana (). Non dovrebbe allora sorprendere
il rilievo circa la relazione psico-fisica all'interno della esposizione della Doxa. Il medico-indovino, in effetti, diagnosticava il male in uno stato di trance, decifrando segni e ricavandone indicazioni terapeutiche idonee 19. Nel caso dell'incubazione, l'esperienza avveniva, dopo una adeguata preparazione cultuale, rimanendo immobili in assoluto silenzio, in un luogo consacrato, inaccessibile ai profani: il sonno avrebbe portato con s il manifestarsi
del dio in sogni e visioni, che lo iatromantis poteva interpretare.
Parmenide potrebbe aver suggerito al kouros una trasformazione
della condizione psicofisica, cos da garantire, attraverso il suo
controllo, la perfetta amalgama dei dati percettivi, la loro omogenea fusione nel pensare corretto.

18

Per queste notizie Kingsley, In the Dark Places of Wisdom, cit., pp. 55 ss.;
Gemelli-Marciano, Die Vorsokratiker, cit., II, pp. 42 ss.; Ferrari, Il migliore
dei mondi impossibili, cit., pp. 141 ss..
19
Kingsley, op. cit., pp. 120-7.

600

MASCHI E FEMMINE [B17 E B18]


I due frammenti (B18 pu essere solo impropriamente definito
tale) trattano della differenziazione dei sessi (B17) e della trasmissione dei caratteri sessuali (somatici e psichici), delineando
un abbozzo di spiegazione embriogenetica. Non a caso sono il risultato di citazioni scientifiche: a Galeno dobbiamo quella di B17,
che doveva corroborare la sua opinione circa l'originaria formazione del feto maschile:


. .
Molti altri tra gli antichi affermarono che il maschio
sia concepito nella parte destra dell'utero. Parmenide in
effetti dice [B17].

Proprio l'intenzione di confermare le proprie convinzioni biologiche e l'assenza di indicazioni che attestino il rimando diretto
al poema hanno fatto avanzare dubbi sull'attendibilit di quella
che rimane comunque una "scheggia" testuale 1.
A Celio Aureliano (V secolo?), traduttore di opere della tradizione medica greca - in particolare, nel caso specifico, delle due
parti del monumentale (Sulle malattie acute e croniche) di Sorano di Efeso (I-II secolo) - dobbiamo invece la parafrasi in versi che Diels-Kranz hanno classificato
come B18. La citazione proposta nel seguente contesto:
Parmenides libris quos d e n a t u r a scripsit, eventu
inquit conceptionis molles aliquando seu subactos
homines generari. cuius quia graecum est epigramma, et
hoc versibus intimabo. latinos enim ut potui simili modo
composui, ne linguarum ratio misceretur. f e m i n a . . .
s e x u m .
Parmenide, nei libri Sulla natura, afferma che,
secondo le modalit di concezione, si generano talvolta
1

Conche, op. cit., p. 258.

601

uomini molli e sottomessi. Dal momento che il suo testo


greco in versi, lo proporr io pure in versi: ho composto,
infatti, versi latini di tenore analogo, per quanto mi stato
possibile, per non confondere il carattere specifico delle
due lingue. [B18] [...].

Celio Aureliano mette dunque sull'avviso: la sua non citazione letterale, ma traduzione-rielaborazione2, sebbene, come ha
osservato Coxon3, la facilit con cui si possono volgere in greco i
suoi versi latini attesta la loro fedelt al greco (come segnalato
dalla precisazione: ut potui simili modi).
Per mettere a fuoco il nodo cui i passaggi del poema evocati
dalle citazioni si riferivano, sono essenziali le testimonianze di
Atius e Censorino:
, . [sc.
]
, .
,
igitur semen unde exeat inter sapientiae professores
non constat. P. enim tum ex dextris tum e laevis partibus
oriri putavit
Anassagora e Parmenide sostengono che i semi della
parte destra sono gettati nella parte destra dell'utero, quelli
della sinistra nella parte sinistra. Se la fecondazione
invertita, si generano femmine.
Tra i cultori della sapienza non vi certezza circa la
provenienza del seme [lett.: da dove esca il seme].
Parmenide, infatti, credeva che provenisse ora dalla parte
destra, ora dalla parte sinistra (28 DK A53).

Evidentemente Parmenide prendeva posizione nel confronto


scientifico circa natura e meccanismi del concepimento, e loro effetti sul sesso dell'embrione. In particolare, la testimonianza di
Atius interviene a integrare e correggere l'indicazione di Galeno.
Questi richiama Parmenide come uno dei primi sostenitori della
2
3

Cerri, op. cit., p. 285.


Op. cit., p. 253

602

tesi secondo cui il maschio sarebbe concepito nel lato destro


dell'utero: tesi attribuita da Aristotele (De generatione animalium
IV, 1 763 b30 ss.) ad Anassagora e altri fisiologi (
):

,

, ,
,


Alcuni sostengono che tale opposizione si trovi gi in
origine nei semi, come Anassagora e altri fisiologi. Il
seme, infatti, origina dal maschio, la femmina invece
fornisce il luogo; e il maschio viene da destra, la femmina
da sinistra, e i maschi si formano nelle parti destre
dell'utero, le femmine nelle parti sinistre,

e associata a quella secondo cui il carattere sessuale preesiste


nel seme (fornito esclusivamente dal genitore maschio) al concepimento: il seme che trasmette carattere maschile proviene dalla
parte destra, quello che trasmette carattere femminile dalla sinistra. Integrando Galeno, si pu fondatamente avanzare l'ipotesi
che Parmenide facesse derivare i maschi e le femmine rispettivamente dalla parte destra e dalla parte sinistra dei genitali maschili
e femminili.
La versione latina di Celio Aureliano aiuta in particolare a
chiarire la posizione di Parmenide circa il contributo al concepimento:
Femina virque simul Veneris cum germina miscent,
Venis informans diverso ex sanguine virtus
Temperiem servans bene condita corpora fingit.
Quando femmina e maschio mescolano insieme i semi
di Venere,
la potenza formatrice nelle vene, che [deriva] da
sangue opposto,

603

conservando la giusta misura plasma corpi ben fatti


(B18.1-3).

Il testo (di tenore parmenideo4) offre, in effetti, alcune informazioni importanti:


(i) i semi originano dal sangue (maschile e femminile);
(ii) esistono quindi due tipologie di semi, rispettivamente maschile e femminile: essi sono opposti come il sangue da cui provengono5 (da sangue opposto, diverso ex sanguine);
(iii) i due semi, maschile e femminile, cooperano nella riproduzione.
Incrociando queste informazioni con i riferimenti delle testimonianze e dei contesti delle citazioni, possiamo cos ricostruire
la probabile posizione parmenidea sulla relazione genetica dei figli ai genitori6: entrambi i semi delle parti (genitali) destre generano maschi simili ai padri; entrambi i semi delle parti sinistre generano femmine simili alle madri; negli altri due casi (semi delle
parti sinistra e destra, maschile e femminile), maschi simili alle
madri o femmine simili ai padri.
Parmenide probabilmente riteneva che dalla corretta mescolanza di seme maschile e seme femminile dovesse scaturire un'equilibrata costituzione psico-fisica: le due tipologie di seme, infatti, conferivano specifiche propriet (virtutes, ), che, mescolandosi i semi, erano destinate a combinarsi in un'unica potenza formatrice (informans virtus). quanto si ricava dal rilievo in
negativo che chiude B18:
Nam si virtutes permixto semine pugnent
Nec faciant unam permixto in corpore, dirae
Nascentem gemino vexabunt semine sexum.
Se, infatti, una volta mescolato il seme, le forze
confliggono
e non diventano un'unica potenza nel corpo prodotto
dalla mescolanza, malefiche

Conche, op. cit., p. 262.


Ibidem.
6
Coxon, op. cit., p. 253.
5

604

affliggeranno il sesso nascente con il [loro] duplice


seme (B18.4-6),

e dal commento di Celio Aureliano alla sua citazione:


vult enim seminum praeter materias esse virtutes, quae
si se ita miscuerint, ut eiusdem corporis faciant unam,
congruam sexui generent voluntatem; si autem permixto
semine corporeo virtutes separatae permanserint,
utriusque veneris natos adpetentia sequatur
Pretende infatti che i semi abbiano, oltre a materia,
anche virt formatrici (virtutes), le quali se si mescolano
cos da produrre dello stesso corpo una sola virt,
generano carattere (voluntatem) conforme al sesso; nel
caso in cui, invece, una volta mescolato il seme corporeo,
le virt siano rimaste separate, deriva ai nati desiderio di
entrambi i tipi di amore.

Se la misura nella opposizione dei semi fosse stata rispettata


(temperiem servans) nella loro mescolanza (permixto semine), si
sarebbe realizzata complementarit nelle loro propriet, garantendo cos un'unione equilibrata e armoniosa (unam permixto in corpore). In caso contrario la disarmonia si sarebbe instaurata nei
corpi, producendo disagio sessuale e psichico 7: lo sviluppo coerente della personalit sessuale (congruam sexui voluntatem) era
funzione dell'armonia dei contrari nella costituzione dell'essere
umano.
Le presunte tesi biologiche di Parmenide presentano certamente affinit con quanto attestato del pensiero del contemporaneo
Alcmeone, nella tradizione dossografica proposto come discepolo di Pitagora (Diogene Laerzio; 24 DK A1). Nel frammento B4
del suo leggiamo infatti:
.
, , , ,
, , ,

7

Ivi, p. 254.

605

. [...].

Ci che mantiene la salute, afferma Alcmeone,
l'equilibrio di forze: umido, secco, freddo caldo, amaro,
dolce e cos via; la supremazia di una di esse, invece,
foriera di malattia: micidiale , in effetti, il predominio di
ognuno degli opposti. [...] La salute, invece, mescolanza
misurata delle qualit.

Sono evidenti le consonanze lessicali (, ) ed


probabile l'accordo sulla tesi fondamentale di Alcmeone: che la
salute del corpo sia funzione della isonomia degli elementi contrari, e la malattia espressione di uno squilibrio. Le testimonianze
accentuano le convergenze anche nello specifico:
ex quo parente seminis amplius fuit, eius sexum
repraesentari dixit A.
Alcmeone afferma che il feto ha il sesso di quello, tra i
genitori, il cui seme stato pi abbondante (Censorino;
DK 24 A14).

Alcmeone condivideva con Parmenide la convinzione che entrambi i genitori contribuissero con semina () al concepimento, pur avendo sull'origine dello sperma un'opinione diversa:
. (sc. )
Alcmeone sosteneva che [il seme fosse] parte del
cervello (Atius; DK 24 A13).

Mentre Coxon8 nota in questo senso come Parmenide seguisse


Alcmeone, Ruggiu9 tende a rovesciare la relazione, convinto che
nello specifico l'influenza sia stata esercitata da Parmenide su Alcmeone. La questione in effetti complessa.
probabile che Alcmeone ricavasse le proprie opposizioni
(umido-secco, freddo-caldo, amaro-dolce ecc.) dalla pi antica
8
9

Op. cit., p. 252.


Op. cit., p. 366.

606

tradizione ionica, la stessa che dovette ispirare le tavole pitagoriche, ma anche il modello parmenideo: l'orizzonte fisico appare
ancora quello delle origini e non va dimenticato che le osservazioni biologiche di Parmenide sono inquadrate all'interno di una
complessiva interpretazione del mondo naturale in chiave oppositiva (Fuoco-Notte). Il primo riferimento all'unione sessuale e alla
riproduzione che abbiamo registrato nell'analisi dei frammenti
(B12) le introduceva direttamente in chiave cosmica:



.
in mezzo a queste la Dea che tutte le cose governa.
Di tutte le cose ella sovrintende all'odioso parto e
allunione,
spingendo lelemento femminile a unirsi al maschile,
e, al contrario,
il maschile al femminile (B12.3-6).

possibile, come abbiamo in precedenza argomentato, che


Parmenide abbia effettivamente elaborato il proprio sistema
() misurandosi con le proposte pitagoriche proprio sul
terreno decisivo della cosmogonia e cosmologia; probabile che
ci sia avvenuto comunque tenendo ben presenti le soluzioni ioniche. Dal momento che le testimonianze, soprattutto i recenti rilievi archeologici, fanno supporre uno specifico interesse medico,
non deve sorprendere la possibilit che un confronto sia intervenuto anche in ambito biologico. Il tema dell'opposizionericomposizione degli elementi risulta per altro ricorrente: come
sottolineava Maria Timpanaro Cardini a proposito di Alcmeone:
come alla fisica ionica si ricollegava probabilmente la
primitiva dualit pitagorica - [...], cos da
quella stessa fisica trasse verosimilmente Alcmeone

607

alcune opposizioni [...] le cui potenze egli constatava nella


pratica della medicina10.

Su questo sfondo piuttosto sfumato possibile parlare di comuni obiettivi scientifici nella ricerca di Parmenide e Alcmeone,
di convergenze nei risultati, sulla scorta di paradigmi esplicativi
condivisi, forse anche pitagorici. A Crotone una fiorente scuola
medica preesisteva all'arrivo di Pitagora, a testimoniare l'autonomia dell'indagine e della pratica medica, sebbene poi esse siano
documentate anche nell'ambito della tradizione pitagorica antica,
a conferma che la medicina fu avvertita come essenziale11.

10

M. Timpanaro Cardini, Pitagorici antichi. Testimonianze e frammenti,


Bompiani, Milano 2010 (edizione originale 1958-1964), pp. 134-5.
11
Ivi, p. 133.

608

B19
Il frammento B19 ci conservato esclusivamente da Simplicio
(In Aristotelis de caelo 558), in un contesto particolare (557-8), in
cui si susseguono in poche righe tre citazioni del poema parmenideo (B1.28-32, B8.50-53 e appunto B19):
,
,
,
,
, .
[B1.28-32].

[B8.50-53].
[B19].

,
;


,

;
Quegli uomini [Parmenide, Melisso] posero una
duplice ipostasi: quella dell'essere che veramente,
dell'intelligibile, e quella dell'essere che diviene, del
sensibile, il quale essi non ritennero opportuno chiamare
essere in senso assoluto, ma essere che appare. Per questo
afferma[no] che la verit riguarda l'essere, l'opinione il
divenire. Parmenide, infatti, dice: [B1.28-32]. Ma anche
una volta completato il ragionamento intorno all'essere
che veramente, e sul punto di introdurre [la trattazione
sul]l'ordinamento delle cose sensibili, aggiunse: [B8.5053]. Dopo aver fornito esposizione sistematica delle cose
sensibili, aggiunse ancora: [B19]. Ma come ha potuto
Parmenide supporre esistessero solo le cose sensibili, lui
che intorno alle cose intelligibili era stato in grado di
condurre riflessioni di tale consistenza e mole da non

609

poter ora essere riportate qui? Come ha potuto trasferire le


caratteristiche proprie delle cose intelligibili alle cose
sensibili, lui che con chiarezza distingue tra l'unit
dell'intelligibile e del vero essere e l'ordinamento delle
cose sensibili e non ritiene opportuno indicare il sensibile
con il nome di essere?

Riflettendo sulle indicazioni qui fornite da Simplicio, e incrociandole con le sue stesse citazioni, dovremmo concludere che:
(i) il poema si articolava in due sezioni principali, per le quali
il commentatore trova conferma in B1.28b-32;
(ii) il passaggio tra le due sezioni avviene ai vv. B8.50-53;
(iii) il nostro B19 era apposto a compimento di quella che il
commentatore designa come (sulla
scorta del di B8.60): ci non autorizza tuttavia la deduzione che esso chiudesse il poema1.

Ancora sulla doxa parmenidea


Il contesto ci fornisce dunque una prospettiva d'insieme - ovviamente quella culturalmente e teoreticamente condizionata
dell'intellettuale neoplatonico del VI secolo - sulla struttura del
poema. Il proemio, in effetti, avrebbe, secondo Simplicio, delineato nel programma espositivo della Dea (B1.28-32) due ambiti:
(i) il primo dedicato al discorso/ragionamento sul vero essere ( ), in altre parole alla verit riguardo all'essere ( ): nel lessico della tradizione platonico-aristotelica si tratta dell'ambito dell'intelligibile (
), che costituisce l'essere in senso assoluto ( );
(ii)
l'altro,
relativo
all'illustrazione
sistematica
dell'ordinamento sensibile ( , ma anche ), si riferisce all'essere in divenire ( ), il cui statuto ontologico quello di essere che
1

Non tutti concordano su questo punto: Conche (op. cit., p. 265), per esempio,
non concede che il frammento naturale conclusione della cosmologia del
poema ne costituisse anche la vera e propria chiusa.

610

appare ( ): Simplicio insiste sulla sua natura sensibile


( ), dunque sul suo manifestarsi nell'esperienza. La trattazione specifica designata in contrapposizione alla verit che
concerne l'essere in senso pieno - come opinione riguardo all'essere in divenire ( ).
chiara, nel contesto del discorso, l'interpretazione di Simplicio dei versi conclusivi (28b-32) del proemio:


, .
,
.

La struttura effettiva del poema doveva, dopo l'introduzione,


prevedere:
(i) la rivelazione circa di Verit ben rotonda il cuore saldo
( ): si tratta di ci cui allude Simplicio con ;
(ii) la ricostruzione effettiva () di , delle
cose che appaiono, ovvero delle cose accettate nelle opinioni, che corrispondono a quanto il commentatore designa come
: la rivelazione della Dea avrebbe dunque investito anche l'ambito sensibile, proponendo appunto una
.
Il contesto delle citazioni fa intravedere come, per Simplicio,
l'articolazione del fosse essenzialmente positiva, non
prevedendo una specifica sezione riservata all'esame degli errori
umani alle opinioni dei mortali, in cui non reale credibilit
( , ) -, che doveva invece
essere distribuito nelle altre due. Negli interrogativi retorici che
seguono la citazione di B19, troviamo conferma di una linea di
lettura del poema che, all'interno della tradizione platonica, ha per
noi un importante precedente in Plutarco:
,

611

,

,
. ,
< >,
,


.
,
; .
[Parmenide] non elimina alcuna delle due nature, ma a
ognuna conferendo ci che le proprio, pone l'intelligibile
nella classe dell'uno e dell'essere, definendolo essere in
quanto eterno e incorruttibile, e ancora uno per
uguaglianza a se stesso e per non accogliere differenza; il
sensibile invece in quella di ci che disordinato e in
mutamento. Il criterio di ci possibile vedere: il cuore
preciso della Verit ben convincente, che raggiunge
l'intelligibile e quanto sempre nelle medesime
condizioni, e le opinioni dei mortali in cui non vera
certezza, perch esse sono congiunte con cose che
accolgono ogni forma di mutamento, di affezioni e
disuguaglianze. Come avrebbe potuto allora conservare
sensazioni e opinione, non conservando il sensibile e
l'opinabile? Non possibile sostenerlo (Plutarco, Adversus
Colotem 1114 d-e),

e nella dossografia peripatetica (Teofrasto):


.
.
,
,
,

, ,
.

612

Parmenide figlio di Pyres, da Elea [] percorse


entrambe le strade. Mostra, infatti, che il tutto eterno, e
cerca anche di spiegare la generazione delle cose che
sono, non avendo sulle due vie le stesse convinzioni:
piuttosto, secondo verit egli sostiene che il tutto uno e
ingenerato e di aspetto sferico; secondo lopinione dei
molti, invece, al fine di spiegare la generazione delle cose
che appaiono, pone due principi, fuoco e terra, l'uno come
materia, l'altro invece come causa e agente (DK 28 A7).

Ma chiaramente all'origine di questa valutazione delle prospettive (in termini di contenuto e struttura) del poema parmenideo
troviamo l'analisi aristotelica:

,
, , [...]
,

,
, ,


Parmenide, invece, sembra in qualche modo parlare
con maggiore perspicacia: dal momento che, ritenendo
che, oltre allessere, il non-essere non esista affatto, egli
crede che lessere sia di necessit uno e nientaltro. []
Costretto tuttavia a seguire i fenomeni, e assumendo che
luno sia secondo ragione, i molti invece secondo
sensazione, pone, a sua volta, due cause e due principi,
chiamandoli caldo e freddo, ossia fuoco e terra. E di questi
dispone il caldo sotto lessere, il freddo sotto il non-essere
(Metafisica I, 5 986 b27 - 987 a1).

Possiamo leggere il passo aristotelico proprio come un tentativo di sottrarsi agli schemi della originaria ricezione sofistica
(giorgiana in particolare) del pensiero eleatico: Aristotele intende
marcare, nello specifico, l'opzione teorica di Parmenide da quella
di Melisso, il monismo rispetto alla definizione (ovvero ragio613

ne) ( ) dell'uno, da quello rispetto alla materia


( ) dell'altro. Anticipando l'argomento di fondo della
polemica plutarchea contro l'epicureo Colote, lo Stagirita poteva
sottolineare come ci che ( ) uno () secondo ragione (appunto ), molteplice () secondo
la sensazione ( ). Si evitava in questo modo di
fare di Parmenide il sostenitore di un mero uno-tutto ovvero
essere-uno ( , ) - formule cui era stata ridotta
l'essenza della filosofia eleatica soprattutto in alcuni dialoghi della maturit di Platone (Teeteto, Parmenide, Sofista, Timeo)2 che
avrebbero ridotto il mondo molteplice e cangiante dell'esperienza
a pura illusione. Come rivela il caso di Colote (e la risposta di
Plutarco), si trattava effettivamente di una ricezione diffusa, probabilmente proprio sulla scorta dello schema gorgiano del
.
Ripercorrendo le testimonianze e valutando gli interrogativi
retorici che Simplicio faceva seguire alla propria citazione di B19
e dunque al riferimento al complesso della doxa parmenidea, appare giustificata una lettura "costruttiva" della seconda sezione
del poema. In Teofrasto e Simplicio che certamente disponevano di copie diverse del poema, trasmesse da tradizioni testuali almeno parzialmente alternative 3 - si conferma, in particolare, la
prospettiva aristotelica di un doppio resoconto della stessa realt 4:
secondo ragione e secondo esperienza. Parmenide, in altre parole,
pur avendo coerentemente messo a fuoco i caratteri dell'oggetto
dell'intelligenza e quindi correttamente distinto tra i due ambiti
( ,
) -, avrebbe poi mancato di individuarne la specifica
realt intelligibile: come sottolinea Simplicio, egli di fatto
proiett sugli enti sensibili quanto adeguato agli enti intelligibili ( ).
2

Su questo in particolare Passa, Parmenide. Tradizione del testo e questioni di


lingua, cit., p. 23.
3
Ivi, pp. 25 ss..
4
Per questa linea interpretativa si veda J. Palmer, Parmenides & Presocratic
Philosophy, cit., pp. 32 ss., in particolare pp. 38-41.

614

B19 e la doxa
I tre versi del nostro frammento, poco pi di una scheggia testuale, ribadiscono sinteticamente i termini della discussione: come abbiamo indicato in nota, la formula introduce effettivamente la ricapitolazione del discorso sulle cose fisiche considerate nel loro insieme (e ne traggono, in questo senso, la lezione metafisica 5):

t

Ecco, in questo modo, secondo opinione, queste cose
ebbero origine e ora sono,
e poi, in seguito sviluppatesi, avranno fine.
A queste cose, invece, un nome gli uomini imposero,
distintivo per ciascuna.

Il punto di vista adottato - giustifica l'insistenza


sulla dimensione temporale delle forme verbali impiegate: ,
, . Non difficile intravedere la
corrispondente prospettiva del , espressa in
B8.5: , . Il rilievo
del divenire passa, in vero, attraverso scelte espressive ben ponderate:
a) il passato espresso con richiama etimologicamente
() la centralit della (B10) nella ricerca condotta
() nella seconda sezione del poema;
b) il presente connotato avverbialmente ( ) limpidamente
evoca, per contrasto, il di B8.5, caricandosi, rispetto all'immutabile stabilit di quel contesto, di un senso di precariet e sfuggente puntualit;
c) lo sviluppo, il mutamento e la caducit sono resi come
, marcando, insomma, il nesso tra fine e
compimento, con la ripresa di una forma verbale - de5

Conche, op. cit., p. 265.

615

rivata da e , ma, nuovamente, con un valore diverso


rispetto a quello di analoghi derivati in B8 (B8.4: ;
B8.32: ; B8.42: ): il senso qui quello di concludersi in quanto giunto al proprio fine e al proprio
compimento6.
Per la terza volta, dopo B8.38b-41 e B8.53, i versi del poema
insistono sullo spessore linguistico della doxa: e ancora, come nei
due precedenti, essenzialmente per rilevarne gli effetti distorcenti.
L'origine dell'erranza umana, dello sviamento che gli uomini perpetrano e perpetuano nel linguaggio, risiede nell'ordinamento dei
contenuti fenomenici all'interno di una determinata cornice linguistica, in cui appare implicita la possibilit di qualcosa di diverso dall'essere stesso 7 . Non a caso l'interpretazione
parmenidea si era aperta stabilendo principi (B9) di cui esplicitamente si escludeva la partecipazione al nulla. In questo senso,
Ruggiu8 ha colto nel linguaggio di Parmenide - in particolare in
questo passaggio - il tentativo di elaborare un lessico pi vicino
alla verit delle cose; come in B4, dove l'apparire era stato proposto non nei termini ontologici dell'essere e del non-essere,
ma in quelli della presenza e dell'assenza. Uno sforzo che
ancora ci riporterebbe ad Aristotele, che ne avrebbe colto alcuni
aspetti nella sua polemica antieleatica:


,


,
( )
.

.

Ruggiu, op. cit., pp. 370-1.


Ivi, p. 370.
8
Ivi, pp. 370-1.
7

616

Coloro che per primi hanno ricercato secondo


filosofia, indagando la verit e la natura degli enti,
dall'inesperienza furono spinti su una via diversa: essi
sostengono che delle cose che sono nessuna si generi o si
distrugga, poich ci che si genera origina o da ci che o
da ci che non ; ma impossibile da entrambi i punti di
vista. Ci che , infatti, non si genera (dal momento che
gi); n da ci che non possibile si generi alcunch:
richiesto in effetti qualcosa che funga da sostrato
[soggiacia]. Cos si spinsero, aggravando le cose, ad
affermare che non esistano i molti ma che esista solo
l'essere (Fisica I, 8 191 a25 ss.).

617

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