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TOMMASO ANZOINO.

PIER PAOLO PASOLINI.


da IL CASTORO, NUMERO 51, DICEMBRE 1975.

In un'intervista al Giorno (1964) lei dichiarava:


Credevo che il romanzo, come genere, fosse
finito, in quanto che io avevo esaurito certi argomenti miei, e tendevo a dar ragione a quelli
che parlavano di crisi del romanzo (del resto se
ne parla da quando sono nato). Adesso, dopo
una lunga meditazione sui problemi linguistici,
le rispondo che s, possibile, quanto mai possibile, anzi, mai come ora stato possibile!

Per quanto riguarda quel che dicevo sul Giorno in


quel pezzetto del '64, che io non ricordo, credo di
essermi spiegato meglio in un paragrafo della mia
rubrica sulla rivista Tempo", ripubblicato sul volume
Ostia, in appendice. Non scrivo romanzi perch io
non sono un romanziere di professione: ho scritto i
miei romanzi tardi e perch mi sono trovato in situa-

zioni nuove , in cui l'ambiente era prima di tutto


romanzesco per me. Scrivere romanzi per me significato vivere nella scrittura la situazione romanzesca dell'agnizione dell'altrove. Non escludo che questo
nella mia vita possa succedere un'altra volta. Ma difficile perch gli
ambienti in Italia non sono molti: quello dei privilegiati primi, quello
borghese e piccolo-borghese, quello operaio, quello contadino e sottoproletario.

L'unico ambiente che non conosco fisicamente, per partecipazione diretta, per coazione, l'ambiente operaio. Dunque quest'ultimo che
potrebbe farmi rivivere una situazione romanzesca e farmi di conseguenza
ritrovare il diritto di essere narratore. Oppure potrei avere un ritorno di
fiamma per l'ambiente contadino o sottoproletario. Sto meditando ma
sapendo che non ne far niente, un Nuovi ragazzi di vita. Nel cas che
il ritorno di fiamma lo avessi per il mondo contadino, esso difficilmente
sarebbe italiano: sarebbe piuttosto africano, o arabo, o indiano. Quanto
alla minaccia dell'esotismo, potrebbe succedere che i paesi contadini
del terzo Mondo finissero col diventare, anche oggettivamente, del tutto
prossimi; ma per il momento non so in quale veste potrei scriverne.
L'unica possibilit sarebbe che io imparassi--anche male--il somalo

o l'eritreo o un dialetto qualsiasi mai usato come lingua scritta (il pi


sensato sarebbe lo swaili): e devo dire la verit, la cosa mi piace, mi
tenta, mi entusiasma. Escluderei invece di poter mai scrivere in tutta la
mia rimanente vita del mondo borghese o piccolo borghese; oppure del
mondo dei privilegiati primi: non potrei mai esserne mimetico; d'altra
parte non ne sono abbastanza distaccato e privo di odio per parlarne in
italiano puro, di codice (tutt'al pi potrei riadottare la lingua sognata e
labile di Teorema).

Un'opera comprendente tutti questi mondi sociali ? Ebbene s, ci ho


pensato: un'opera ciclica, coi racconti inseriti uno nell'altro, come nella
Matriona, cominciando con la prima met del primo racconto e finendo con la sua seconda met: con decine e decine di prestazioni mimetiche, perch il narratore del racconto contenuto sarebbe un personaggio del racconto contenente. Quindi si avrebbero le pi varie possibilit linguistiche: un ricco del mondo dei privilegiati primi che racconta
di un poveraccio del mondo sottoproletario; un sottoproletario che racconta di un industriale; un sottoproletario che parla di un altro sottoproletario; un piccolo borghese che racconta di un grande industriale; un
industriale che racconta di un contadino; un contadino che racconta
di un piccolo borghese: e tutti costoro (le combinazioni potrebbero con-

tinuare quasi all'infinito) parl~rebbero, poi, nei loro rispettivi dialetti o


koine dialettizzate ecc.

2 Un'operona tutta voluta e velleitaria; un gioco di pazienza. Ma invecchiando si diventa impazienti; e cos anche i parziali risultati che questa
macchina una volta messa in moto, mi farebbe forse ottenere, fanno
parte dell rinl:r,cia dovuta all'impazienza, e soprattutto alla mancanza
di fiducia nella stabilit del mondo che produce simili macchine letterarie.

Ancora in quell'importante 1964, verso la fine, annunciava, con


qualche titubanza e non senza emozione, e soprattutto con
molto scandalo, che era nato l'italiano come lingua nazionale:
la lingua, cioe, della rivoluzione industriale, borghese, della tecnologia, dell'azienda; in seno a questa nuova realta linguistica
il fine della lotta del letterato sarebbe stata la espressivita linguistica (il fine di quella rivoluzione linguistica sarebbe stato,
invece, il prevalere della comunicativit sulla espressivita); quella lotta del letterato avrebbe dovuto coincidere con la liberta delI'uomo rispetto alla sua meccanizzazione. Quale tipo di sviluppo
ha avuto la questione per lei7

La questione rimasta al punto in cui era in quell'importante 1964.


Transfuga io mi sono transitoriamente trasferito nel translinguismo cinematografico. C' stato di mezzo l'importante 1968. Il compagno
operaio stato riscoperto al di fuori degli schemi dell'egemonia operaia del PCI (almeno cos si afferma, si crede: la Verit); si riaccendono speranze nuove di rivoluzione dal basso. Ma secondo me la
televisione, per esempio, pi forte di tutto questo: e la sua mediazione,
ho paura che finir per essere TUTTO: il Potere vuole che si parli in un
dato modo (quello che pi o meno accennavo in quel mio scritto):
ed in quel modo che parlano gli operai, appena abbandonano il mondo
quotidiano, famigliare o dialettale in estinzione (estinzione pi lenta
perd, della storia che attua il superamento). In tutto il mondo cib ch
viene dall'alto pi forte di cid che si vuole dal basso. I tecnici cinesi
nello Yemen sono carismatici. Sono scesi dal cielo a costruire strade e
a portare pere in scatola. Non c' parola che un operaio pronunzi in
un intervento che non sia ~voluta dall'alto. Cid che resta originario
nell'operaio cid che non verbale: per esempio la sua fisicit, la sua
voce, il suo corpo. Il corpo: ecco una terra non ancora colonizzata dal
potere.

Qualche anno fa, Alberto Asor Rosa, probabilmente con un po'

di fretta, notificava il suo pensionamento, proponendo come


epigrafe del corso vitale della sua tumultuosa esperienza
alcuni versi di ll glicine:

Ho perduto la forza;
non so pi il senso della razionalit;
decaduta si insabbia
--nella tua religiosa caducit-la mia vita, disperata che abbia
solo ferocia il mondo, la mia anima rabbia.

La sua rabbia rimasta: le ultime poesie mi pare lo confermino;


il mondo, invece, ho l'impressione che non le appaia piu tant~
feroce quanto banale.

No. A me sembra che il mondo sia oggi molto feroce, e che banale se
mai, fosse durante gli Anni Cinquanta. Volgendoci indietro la visine
che si presenta ai nostri occhi una visione di banalit: la Speranza il
Prospettivismo, I'lntegrazione ainnocente, la polemica anti novecntesca, la Razionalit, I'lmpegno, il problema del Sud, l'intellettuale come
prete o guida spirituale, il generale ottimismo, lo stalinismo, sia prima

che dopo il XX Congresso. La ferocia era terribile e all'antica (i campi di


concentramento nell'URSS, la schiavit delle democrazie orientali
l'Algeria). Questa ferocia all'antica, naturalmente, permane: vedi non
solo il Vietnam, ma il Brasile, la Grecia, per esempio, e soprattutto l'Errtrea--dove il Negus, di cui non si pud parlar male per non confondersi
coi fascisti--attua una delle repressioni pi orrende che si conoscano:
incendi di interi villaggi, giovani decimati e impiccati a gruppi nelle
piazze ecc. Ma oltre a questa vecchia ferocia (che lenta a estinguersi,
come i dialetti: pi lenta della storia che cosi velocemente la supera)
c' la nuova ferocia che consiste nei nuovi strumenti del Potere: una
ferocia cosi ambigua, ineffabile, abile, da far s che ben poco di banale
resti in cid che cade sotto la sua sfera. Lo dico sinceramente: non considero niente di pi feroce della banalissima televisione: le leggi che
regolano una trasmissione televisiva sono tra le pi ferree e intrasgredibili
che abbia mai conosciuto l'umanit: la Santa Inquisizione non nulla
jn confronto. E la repressione che essa opera nell'intimit di ogni cittadino la pi immedicabile che mai si sia sperimentata: la costruzione e la
4 conferma della falsa idea di s--con conseguente sviluppo di quello che

Laing chiama sistema del falso io e gli esiti schizoidi sono irrevers~ili. La stessa cosa si pud dire di tutti gli strumenti della Produzione

(danno meno scandalo solo perch non invadono il terreno propriamente culturale). Mai il mondo stato tanto regresso (gli Anni Cinquanta in tal senso erano ancora anni della classicit), e di conseguenza
tanto nevrotico e duro, moralistico e infelice.

Gli studenti, anche quelli che a Valle Giulia facevano a botte


coi poliziotti , hanno condotto, come lei dice, una guerra
civile , cio di borghesi giovani e buoni contro borghesi vecchi
e cattivi; la storia, probabilmente, le ha dato ragione.

Sentirsi dare ragione dalla storia sconfortante. Bisogna passare subito


dalla parte del torto! Adesso ho deciso di stare sospetto compagno di
strada con i gruppi di Potere operaio e Lotta continua, mettendo
a tacere parte della mia coscienza.

Ma la Rivoluzione, lei dice, continuando a riferirsi agli studenti,

un'altra cosa, cio classista: gli operai e i contadini da una


parte e la borghesia dall'altra. Ma questi operai e questi contadini in Italia ci sono?

S, questi operai e questi contadini in Italia ci sono. Lo sono nel corpo .


Osservavo un ragazzo operaio, a Carrara, durante un dibattito, che mi
muoveva delle obiezioni radicali, famigliari al Movimento Studentesco
e ai piccoli gruppi a sinistra del PCI. Niente di nuovo: il tono predicatorio
il moralismo, il ricatto in nome della lotta come necessit di giusti
l'accusa di tradimento, il linguaggio tutto perfettamente prevedibile ecc.
Eppure... Ia sua voce, il suo corpo, il suo sesso--cose a cui non si
pensa mai quando parla un borghese anche giovane--erano dati che
restavano estranei al suo discorso e stavano sul suo discorso come presenze protettrici e propiziatrici. Si sentiva che aveva avuto una infanzia
di povero, con u~a madre donna del popolo, un padre operaio, una casa
nuda, compagr~etti poveri come lui; ~he aveva mangiato i cibi che mangiano i poveri, semplici ma non nutrienti, e la sua carne era rimasta un
po' infantile e debole (gli operai sono sempre fisicamente pi deboli degli
studenti); nej suoi occhi, mentre parlava, la rabbia, I'acrimonia, la polemica, si trasformavano in un ingenuo dispiacere: dispiacere di dover
dire quello che diceva--con gentilezza d'altronde--e che in certi
momenti gli dava quasi un tremore di pianto. Egli usava la sua intelligenza e la sua cultura (forse di autodidatta per il quale gli argomenti
della nuova sinistra erano stati una rivelazione), ma gettava nella lotta
anche il suo corpo: e questo corpo correggeva il suo discorso, vi aggiun-

geva significati e necessit reali; la dissociazione schizoide era solo alla


superficie; all'interno la coesione era profonda: la sua voce era pi
vera della sua parola.

Si dir che questo il mio mito popolare. Va bene, ma mi si opponga


qualcosa che non sia l'altro mito, quello della comune accezione, passato tale e quale dalla retorica operaista comunista ai gruppi della nuova
sinistra (che essendo formata da giovani, sanno soltanto ci che
scritto--e di questo mito non mai stato scritto niente--esso
stato solo vissuto). L'operaio tale perch esistenzialmente operaio:
ed una storia retorica, ricattatrice e moralistica quella che non include
l'esistenza.

La Rivoluzione, lei dice, in Teorema, pu farla solo chi veramente morisse di consunzione, vestito da mugik, non ancora
sedicenne...

Parole come rivoluzione , ragione , realt , storia , popolo ,


proletariato, sottoproletariato ecc. sono parole particolarmente polisemiche: tanto polisemiche che da sole non significano nulla, e quindi
hanno sensi diversi a seconda del contesto. D un caso limite: la pa-

rola rivoluzione in un sintagma comunista e in un sintagma neo-comunista.

Io ho usato mille volte questa parola--e quante volte vilmente ! quante


volte solo per tacitare la mia coscienza e ricercare complicit! quante
volte per giustificare il mio essere altrove, magari perduto in una voglia
smaniosa di solitudine! E i sensi che questa parola ha assunto nel mio
uso sono tanti quanti i sintagmi in cui l'ho usata. Nei versi qui sopra citati la parola rivoluzione aveva una significazione pressoch mistica e
donchisciottesca: davo per scontato infatti che la rivoluzione dovesse
essere fatta dai giovani (?), con riferimenti palingenetici (i soliti, ma
insolitamente efficaci): accettavo dunque per ipotesi e per absurdum
(si tratta dopotutto di versi), un dato di fatto irriducibile a fatto reale,
come un assalto a un mulino a vento. Una volta compiuta questa ope
razione, una volta accettata cio la possibilit (prospettata non da m~
ma da me subito accolta e amata) di una simile rivoluzione, ho detto
appunto, che essa potrebbe essere fatta da chi veramente morisse d
consunzione ecc. . L'ho resa dunque impossibile radicalizzandola. E
stata l'operazione tipica del ricatto che ci siamo fatti reciprocamente ne
biennio '68-'70. Il mugik sedicenne che ci crede tanto che ne muore
il corrispettivo studentesco corporale di quel giovane operaio di Car

rara di cui ho parlato nella risposta precedente. Io scelgo casi estrem.


e avr le mie buone ragioni (che non so). Tuttavia devo dire a mia giu
stificazione, che non esercito mai tale ricatto su delle persone partico
lari: ma solo in poesia, rivolgendomi a una persona generale.

Comunque la la rivoluzione, per lei, un mito; e nemmenc


popolare, ma mistico.

Ma per chi la rivoluzione non un mito ? Lei mi risponder: per la class~


operaia : ma io non sono una classe , sono un uomo. Prendiam~
allora un uomo della classe operaia : per esempio quel giovan~
operaio di Carrara. Cosa crede, che anche per lui, singolo ragazzo ch~
lavora, la rivoluzione non sia un mito; qualcosa cio che si attua oltn
la durata del suo tempo esistenziale? Spero poi che l'accezion~
con cui lei usa la parola mistico non sia quella del nostro ricatt~
quotidiano. Stalin diceva a Bulgakov: Ma lei un mistico e Bulgako~
rispondeva: S, lo sono (ora sono io che la ricatto). Ma il momen~mistico della rivoluzione l'unico che pu essere complementare al s~
momento pragmatico. Non bisogna certo mitizzare la rivoluzione p
pensarla: ma bisogna mitizzare la rivoluzione per farla.

In un'intervista a Ferdinando Camon, lei disse:

Resta il fatto che il sottoproletario e il contadino sono eve


sivi soltanto perch '' sono'' e, in particolari situazioni locali
nazionali, possono essere dei sovversivi (rivoluzionari o guen
glieri, a scelta, secondo chi se li accaparra per primo). Pen~
agli eroici banditi sardi.

Un corpo sempre rivoluzionario; perch rappresenta l'incodificabil


E;in esso che viviamo le situazioni codificate--vecchie o nuove--rendendole instabili e scandalose. Se poi il corpo vive una vita indegna
di essere vissuta (un negro, un sardo, uno zingaro, un ebreo, un invertito, un miserabile) anche manifestamente rivoluzionario (mentre
ta!e funzione non manifesta nel corpo di un commendatore, di un
mmistro ecc.). Un povero, un infelice sono sempre, di per s eroici:
sia che sl rassegnino sia che si ribellino--e sia anche che cmpiano
azioni delittuose--che sono sempre senza alternativa reale. La Mafia
per esempio, esecrabile nel momento in cui il suo vertice si confond
con il potere centrale: ma l dov' decentrata, e in basso, non mi sembra
affatto cos esecrabile. Un picciotto fa una cattiva scelta, va bene:
ma qual' l'alternativa a tale scelta ? Essere buon cittadino di che paese ?

Un riformismo, appoggiato, per esempio, dai sindacati e da


un partito serio come l'ha definito ironicamente lei, non pu
essere un'alternativa reale?

A Sana i russi hanno costruito un ospedale nuovo, bellissimo. Sono scesi


dall'alto, e indubbiamente hanno fatto le cose con seriet, come si addice
a chi investito dal carisma. A Sana si muore di meno: ma qual' la vita
che fa da alternativa a tale soprawivenza? Un tutto perfetto, una
struttura medioevale intatta, sono stati manomessi, ma non sono finiti
( la solita storia). Alle norme che regolavano una vita da molti secoli
--fissate una volta per sempre--si sono sostituite norme nuove moderne, civili: I'esigenza principe quella di fare dello Yemn una
nazione come tutte le altre; di perdere la propria identit, di omologarsi.
Come in tutte le nazioni del Terzo Mondo ci indifferenziato: la scelta
neocapitalistica o socialista sono interscambiabili. Ambedue i modelli
appartengono ad un mondo ugualmente avanzato, che dall'alto della
sua modernit, manda tecnici che sono, in definitiva, ugulmente repressivi. Non si sa quale sia la vera volont, quella che si manifesta dal basso
dei popoli medioevali soprawissuti--per qualche ragione misteriosa
ma evidentemente buona --fino ad oggi. Probabilmente si tratta di

una volont conservatrice: i Re, i Feudatari, i Capi trib ecc. erano certamente pi vicini al popolo che non i benefattori occidentali o
orientali: essi facevano parte di quel tutto, che in moltissimi casi non
si mai autocriticato e non ha mai iniziato un'autodistruzione di propria

8 iniziativa. Voglio dire con questo che una condizione umana medioevale o
preistorica migliore di una situazione umana borghese o socialista ? S,
voglio dire questo. A un giovane rivoluzionario non passa neanche lontanamente per la testa che la sua lotta non debba avere come scopo
quello di assicurare al povero (operaio sfruttato o contadino miserabile)
un treno di vita pi~colo borghese (non c' altra alternativa, perch questo treno di vita quello della storia). Da che punto del mondo io contesto disperatamente tutto questo? E chiaro: da un punto del mondo
dove urge un desiderio folle di regresso. Ma non c' progresso senza
profondi recuperi nel passato, senza mortali nostalgie per le condizioni
di vita anteriori: dove si era comunque realizzato l'uomo spendendovi interamente quella cosa sacra che la vita del corpo.

Un tecnico americano e una guardia rossa disprezzano analogamente


(sia pure per ragioni del tutto diverse) la necessit di questi recuperi, e
si pongono con spirito analogamente sacrilego di fronte al passato.

Il riformismo insegna a rispettare tutto, in nome di una democrazia


reale--che invece e continua a essere formale--: insegna a rispettare
l'individuo bambino , I'individuo cittadino , I'individuo malato
(autoeducazione, autogoverno, autoterapia) ecc.: non insegna a rispettare la volont di un popolo. Ed su questo punto che esso pu e
deve essere smascherato.

Ad Altamura, lo ha detto la TV, il60 % dei bambini in et scolare,


come si dice: evadono; se andassero a scuola s'imborghesizzerebbero senza rimedio?

Quel piccolo groppo di idee deprimenti e avvilenti che un giovane rivoluzionario ha in testa come meta della rivoluzione, comprende naturalmente anche un'idea della scuola come servizio pubblico. C' una
grande disperazione dentro quella testa: la paura di perdere la presenza
con la sistemazione, I'ansia piccolo-borghese (ex contadina) per il
domani, la fobia per la miseria e l'insuccesso: una specie di piccola e
intensa malattia mentale, tenuta nascosta, taciuta. Ma dev'essere ben
grave se essa che presta limmagine,del domani migliore: un domani in cui tutti avranno la casa assi~rata, con gli annessi beni di consumo e il denaro per acquistarli, i~ cui tutti andranno a scuola per im-

padronirsi della dovuta cultura,~cc. La Borghesia, durante tutto il suo


periodo di gloria, cio per un,secolo, un secolo e mezzo, si affannata a
smentire Rousseau, a dichiarare romantica e falsa la sua idea del buon
selvaggio, senza casa, senza elettrodomestici, senza brache, senza
scuole. Adesso la Borghesia meno sfacciata. Ammette oggettivamente
--rispettandola in astratto--una cultura selvaggia, e pensa gi ottimisticamente a un'integrazione, con soddisfazione reciproca. Ad Altamura o
nel Basso Sudan ci sono dei selvaggi: si comincia col non negarne pi
uno stato di realt, e si cominciano a creare strutture per diffondere la
propria cultura fingendo di assimilare quella subalterna.

Il ~(buon selvaggio, invece, non un mito; esso esisteoggettivamente:


esiste una felicit selvaggia -- mitissima, contadina, pastorale-- che
ignora scuole e ospedali. Mia madre vissuta in una Casarsa ancora
selvaggia, e anche io, nella prima parte della mia infanzia, quando si
medicavano !e ferite pisciandoci sopra o si allontanava la tempesta
facendo segnl di croce con una fraschetta di ulivo. Io per ero destinato
a d!venire un piccolo borghese terrorizzato dall'idea della miseria e
dell insuccesso, quindi pavento la mancanza di scuole e ospedali, e di
tutte le altre comodit. Ma sono giunto a un punto della vita in cui la
vita mi appare comunque bella e felice. Gli uomini anonimi, che riem-

piono a milioni le citt e le campagne, mi sembrano dei santi.

Ancora alla TV uno scugnizzo napoletano, che m'ha ricordato


i suoi Riccetti, ha detto che non vuole andare a scuola perch
preferisce fare u mariuolo. E un fatto che pu avere la sua
poesia o, forse, pu averla avuta; certo, per, che il popolo
oggi, non pu essere piu rappresentato dai felici mariuoli.

Il dialetto, il corpo e i mariuoli sono molto pi lenti nell'estinguersi che


la storia nel superarli.

Se lei crede ancora nella rivoluzione, ma non come mito poetico


(Che Guevara, mi pare, diceva che il dovere di un rivoluzionario
fare la rivoluzione), lei, personalmente, sente ancora la
volont di lottare ?

Monologo di un re

Capperi, si cantava a D.,

10 soldati, ufficiali, uomini di governo;

sul mare del nord brillava un'insolita giornata di sole;


avevo vent'anni
e da poco ero Re;
consideravo il Re di Danimarca come mio padre-o uno dei padri, ch di padri ne abbiamo un esercito:
a vent'anni essi ci guardano con distacco o con odio,
ma sempre con una dissennata voglia d'insegnare -- che cosa poi ?
Adesso ho la loro et;
qui a F. altro che canti militari di gioia !
Altro che banchetti ufficiali per uomini soli
che si ubriacano e si danno manate sulle spalle !
Qui si cantano strane antifone;
e naturalmente sono presenti, di diritto, preti e femmine.
Avevo vent'anni
e avevo ucciso il Mostro;
gliel'avevo fatta
da bravo eroe, come ce ne sono pochi e non lo sanno;
e perci grandi feste, grandi amori;
il domani toccava a noi,
come se ci fossero chiss quanti altri Mostri da uccidere;

non ce ne furono pi, com'era normale;


quello che avevo vinto, nelle foreste di D., era un caso unico
ma non importa, i nostri petti erano ugualmente pieni
di gioia e di certezza del futuro;
e ora sono qui, la vita se n' andata
ho l'et di quel vecchio bacucco del Re di Danimarca
che mi aveva chiamato pieno di dolore e di ansia per il suo popolo
(che ci credessi io a qeste cose va bene, ma lui il vecchio saggio!)
e ascolto le fatali antifone
che non si pu proprio dire che siano allegre;
sto morendo,
ma non di morte naturale:
io muoio di ferite:
ho ucciso infatti (alla mia et !) un nuovo Mostro;
s, pensate, nelle foreste intorno alla mia citt, a F.,
si presentato un Mostro: un secondo caso unico, evidente;
I'ho affrontato, come quando avevo vent'anni -cosa dovevo fare ?--e sono riuscto a farlo fuori un'altra volta !
Incredibile: per la vittoria stavolta non me la godo;
non si beve, non si fa bisboccia
non si guarda con gli occhi ubriachi a un lungo domani;

e stata una vittoria infelice:


anche se i Mostri sono stati due, e due le vittorie,
un uomo non gode che una sola vittoria nella vita !

Una nuova reli~ione, lei dice, in Teorema, potrebbe fare una rivoluzione: ma il nuovo tipo di reli~ione che allora nascer (e
~e ne vedono ~i nelle nazioni pi avanzate i primi se~ni) non
avr nulla a che fare con questa merda (scusi la parola) che il
mondo bor~hese, capitalistico o socialista, in cui viviamo .
E un futuro da profezia?

Chi ama veramente la vita non pensa mai al futuro. Sia chiaro per:
secisi una volta illusi che nel mondo c' qualcosa di giusto e qualcosa
di ingiusto, e ci si poi accorti che giustizia e ingiustizia non sono che
un aspetto--uno dei tanti delle cose--io penso che si debba continuare
a vivere (e a lottare) come se quell'illusione fosse rimasta intatta:

Preghiera su commissione

Ti scrive un figlio che frequenta


la millesima classe delle elementari.

Caro Dio,
venuto un certo signor Homais a trovarci
dicendo di essere Te:
gli abbiamo creduto:
ma tra noi c'era uno scemo
che non faceva altro che masturbarsi,
notte e giorno, anche esibendosi
davanti a fanti e infanti, ebbene..
Il Signor Homais, caro Dio, Ti riproduceva punto per punto:
aveva un bel vestito di lana scura, col panciotto
una camicia di seta e una cravatta blu;
veniva da Lione o da Colonia, non ricordo bene
E ci parlava sernpre del domani.
Ma tra noi c'era quello scemo che diceva che invece Tu
avevi nome Axel..

12 Tutto questo al Tempo dei Tempi.

Caro Dio
liberaci dal pensiero del domani.
E del Domani che Tu ci hai parlato attraverso M. Homais.

Ma noi ora vogliamo vivere come lo scemo degenerato,


che seguiva il suo Axel
che era anche il Diavolo: era troppo bello per essere solo Te.
Viveva di rendita ma non era previdente.
Era povero ma non era risparmiatore.
Era puro come un angelo ma non era perbene.
Era infelice e sfruttato ma non aveva speranza.

I'idea del potere non ci sarebbe se non ci fosse l'idea del domani;
non solo, ma senza il domani, la coscienza non avrebbe giustificazioni.
Caro Dio, facci vivere come gli uccelli del cielo e i gigli dei campi.

Intervista a cura di Tommaso Anzoino, 1970.


La vocazione letteraria di Pasolini stata precoce, come del resto tante
vocazioni letterarie; precocissima se, a sette anni appena compiuti, scriveva dei versi dove si parlava di rosignoli e di verzura , sebbene, allora, non distinguesse un rosignolo da un fringuello o un pioppo da un olmo. E Pasolini stesso a raccontarlo, nella breve introduzione di se medesimo e dei suoi versi al lettore nuovo per una recentissima raccolta di
poesie: Ho cominciato come rigidamente selettivo " ed " eletto " .
E un'affermazione che Pasolini fa, e noi accogliamo, con tutte le limita-

zioni del caso; ma anche sappiamo che Pasolini crede a una illogica logica.
per usare un esempio di sineciosi (la parola di Fortini) tanto a lui
cara, molto sotterranea, o sottocarnale, che percorre la sua carriera, incominciata, probabilmente, proprio al tempo dei rosignoli e delle verzure . Non sar stata proprio predestinazione, ma molto selettivo e
molto eletto Pasolini sempre stato.

Il suo esordio poetico avviene, esclusa ~uella del Contini, senza una
voce di accompagnamento: nessuno di quei clamori che accompagneranno
le successive prove: recensioni a non finire, premi, insulti, applausi, processi, apologie, sino agli onori delle battute degli sketch televisivi. Nel 1942
pubblica, a sue spese, presso la Libreria Antiquaria di Bologna, il suo
primo volumetto di versi, Poesie a Casarsa. Sono poesie in dialetto friulano; le ragioni di questa scelta ce le fornisce lui stesso, come far spessissimo, per ogni altra scelta:

Ora, c' stato un periodo di quest,a nostra storia in cui l'unica liberta rimasta pareva essere la libert stilistica: il che implicava passivit sul fronte
esterno e attivit sul fronte interno. Ma non poteva trattarsi che di una libert
illusoria [...] Tuttavia t...] dotava chi iniziasse il suo apprendistato fra il '30
e il '40--e, in parte, tuttora--del senso di una estrema libert stilistica:

una lingua fondamentalmente eletta e squisita, classicistica nella sostanza, con


le tangenti per della dilatazione semantica, del pastiche, della pregrammaticalit pseudo-realista [...] In un simile tipo di lavoro, non si poteva non avere
il senso, inebriante, di essere estremamente liberi: quasi che non ci fosse fine
alla catena delle invenzioni. Era addirittura possibile inventare un intero sistema
linguistico, una lingua privata [...] trovandola magari fisicamente gi pronta, e con
quale splendore, nel dialetto (secondo l'esempio, in nuce, del Pascoli) (Passione
e ideologia, pp. 486-87).

In questa apparentemente infinita disponibilit stilistica il dialetto si


poneva come la pi vera, se non l'unica, realt : fisica e spirituale.
Lo stato d'animo del poeta, infatti, era quello di chi viva--e lo sappia-- in una civilt giunta a una sua crisi linguistica, al desolato e
violento, je ne sais plus parler rimbaudiano (La poesia dialettale del
'900 in Passione e ideologia, p. 137); uno stato d'animo che nostalgia : nostalgia per un mondo e per una lingua dalla quale, tuttavia
era distinto : una lingua non sua, ma materna, non sua, ma parlata
da coloro che egli amava con dolcezza e violenza, torbidamente e candidamente: il suo regresso da una lingua a un'altra--anteriore e infinitamente pi pura--era un regresso lungo i gradi dell'essere ~> (ibidem).
Ma questo regresso ~> non avviene attraverso le vie psicologicamente

normali del razionale : una reimmersione , per cui conoscere equivaleva ad esprimere , cio a un atto d'amore filologico, un'adesione sensuale a parole, suoni che la lingua dialettale offre a una particolarissima
e privata necessit di conoscere.

E scontato, quindi, che un'operazione di questo tipo non possa approdare a esiti di poesia popolare; n Pasolini lo nasconde: dopo aver definito, congetturato come dice lui, la poesia popolare come prodotto
del rapporto tra le due classi sociali, dominante e dominata, borghesia e
popolo, precisa:

Quando esso [rapporto] iniziativa di un individuo o di un gruppo della classe


super~ore (direzione quindi discendente) il suo risultato sar sempre una poesia
culta che nel contatto o nell'interesse (qualunque questo sia) col mondo
inferiore, assume caratteri o di maccaronico [...] o di squisito ~> [...] Se
invece tale rapporto iniziativa di un individuo o di un gruppo di individui
della classe inferiore (direzione ascendente) il suo risultato sar allora precisamente quella che si chiama poesia popolare (La poesia popolare italiana,
in Passione e ideologia, p. 170).

15

Squisita , infatti, la sua poesia friulana, poesia di un borghese


colto, infelice, gi allora, per esserlo o, meglio, nell'esserlo, perduto nel

recupero sensuale-filologico di un mondo cui nostalgicamente, furiosamente


e dolcemente tende, per conoscerlo e per riconoscersi in esso. Un'operazione, quindi, di selezione e di elezione ~>, anche se il dialetto, dopo
le prime prove, era diventato esattamente quello parlato a Casarsa e non
un friulano inventato sul Pirona (un dizionario friulano-italiano) (Introduzione all'ultima antologia delle Poesie, p. 8).

Altra genesi che non sia quella sensuale-filologica non possibile


trovare, anche se, successivamente, nel gi citato saggio sulla poesia dialettale, che risale al '52, Pasolini cercher di evidenziare le indiscutibili, sul
piano teorico, intenzioni antiaccademiche dell'operazione dialettale, nonch anticonservatrici.

La nostalgia per il mondo friulano e, sopratutto, per il dialetto friulano; la nostalgia di un uomo di una civilt in crisi (filologica) per una
civilt ancora pura, incorrotta, vergine, gi nell'epigrafe che Pasolini
pone all'inizio delle Poesie a Casarsa: Ab l'alen tir vas me l'aire /
qu'eu sen venir de Proensa: / tot quant es de lai m'agensa . L'autore dei
tre versi il trovatore provenzale Peire Vidal: Con il respiro tiro verso
di me l'aria / che io sento venire di Provenza: / tutto quanto di laggi
mi d piacere .

Pasolini non lontano dalla patria come Peire Vidal, ma si sente


ugualmente esule, escluso dalla sua terra, una terra che s l'incantevole
paesaggio casarsese, [ ... ] una vita rustica, resa epica da una carica accorante
di nostalgia (Passione e ideologia, p. 137), ma , sopratutto, un tempo
della vita, un tempo di- felicit, di sensazioni, ormai perduto: Fontana
di aga dal me pas. / A no aga pi fres-cia che tal me pas. / Fontana di
rustic amour . L'irripetibilit di certe sensazioni ( a no aga pi fres-cia
che tal me pas ) fuori di quel Friuli dal quale il poeta si sente escluso,
come una dolorosa privazione dalla felicit. La nostalgia per il rustic
amour , di un amore, cio, che lui non pu provare, lui malato di una
civilt diversa, deriva dal senso, quasi fisico, dell'esclusione. Sono versi
importanti, che il poeta colloca come dedica alla raccolta: acquistano il
valore emblematico di tutta un'esperienza sentimentale e letteraria.

Il ritorno al Friuli, il processo di conoscenza di quel mondo, non avviene, stato gi detto, attraverso le vie del razionale : Jo i soj un
spirt di amour / che al so pas al torna di lontan . Il desiderio di capire
per il poeta un atto d'amore. E questo sar un limite insormontabile
per Pasolini: un rapporto di quel tipo, un rapporto sensuale, nell'accezione pi estesa del termine, non potr che essere parziale, e non solo per

la evidente, obbiettiva personalit del rapporto, ma anche, e sopratutto,


per la continua, ineluttabile riduzione dell'esperienza conoscitiva all'esigenza, privata, di sfogare un sentimento. Per questo, alla fine, il poeta si
sentir tradito dal suo Friuli: dopu che tant intr / di lur i spasemt / di amur par capiju, par cap il pur / lusnt e pens so essi, a si n
siert / cun te i to mis sot di un sil nult ( dopo che tanto intorno /
ad essi ho spasimato / di amore per capirli, per capire il povero, / lucente e duro loro essere, si sono chiusi / con te i tuoi uomini sotto un
cielo annuvolato ). La chiusura di quel mondo nei confronti del poeta
come un atto di ingratitudine, il primo di una lunga serie di cui Pasolini
si sentir vittima. Ma se il Friuli si mostra ingrato di fronte a tanto amore,
accade, forse, perch non ha saputo, o voluto, ridursi al poeta, al mito
del poeta.

Abbiamo anticipato uno dei motivi conclusivi dell'esperienza dialettalefriulana di Pasolini; ma ci parso necessario, per chiarire meglio la natura
del rapporto tra il poeta e quella terra. Un rapporto, lo ripetiamo, sensuale; lo stesso che lega, misteriosamente, il paesaggio, la natura, alle
creature umane; viventi, tutti, della stessa vita, colta, quasi sempre, nelle
vibrazioni pi sottili e oscure: Sera imbarlumida, tal fossl / a cres l'aga
na femina plena / a ciamina pal ciamp. / Jo ti recuardi, Narcs, ti vvis ii

colur / da la sera, quand li ciampanis / a snin di muart ( Sera luminosa, nel fosso / cresce l'acqua, una donna incinta / cammina per il
campo. / Io ti ricordo, Narciso, avevi il colore / della sera, quando le
campane / suonano a morto ). Il procedimento analogico, qui particolarmente chiaro, tra l'immagine dell'acqua che cresce nel fosso e quella della
donna incinta che ciamina nel silenzio del campo, esprime, appunto,
il senso, fisico, della vita che emerge dall'oscurit. Un richiamo, ancora,
se non altro a livello di suggestione, si pu fare al Pascoli (Il gelsomino
notturno), dell'influenza del quale si parler pi tardi. Nella seconda terzina appare Narciso, il giovinetto , il primo dei tanti giovinetti della
poesia di Pasolini, simbolo, anche esso, della vita che ha in s il germe
triste della morte, vestito del colore della sera: quindi cielo, aria, natura
anche esso, di una sera che presentimento intenerito di morte. Ancora:
il mistero della vita, dell'uomo, della natura, creature d'una stessa sensuale vitalit: Jo i nas / ta l'odur che la ploja / a suspira tra i pras /
di erba viva [...] I nas / tal spieli da la roja ( Io nasco / nell'odore
che la pioggia / sospira dai prati / di erba viva [...] Io nasco / nello
specchio della roggia ). La gioia della vita giovane la stessa della terra,
del cielo: Rit, tu, zvin lizir, / sintnt in tal to curp / la ciera calda
e scura / e il fresc, clar sil ( Ridi, tu, giovane leggero, / sentendo nel
tuo corpo / la terra calda e scura / e il fresco, chiaro cielo ). Ma anche

la tristezza, quieta, d'una vita lenta, eternamente uguale: ma nualtris si


vif, / a si vif quis e murs / como n'aga che a passa / scunussuda enfra
i bars ( ma noi si vive, si vive / quieti e morti, / come un'acqua che
passa / sconosciuta fra le siepi ). E accanto alla vita, la morte: una presenza sempre vicina, proprio perch naturale , come per il Nini mur~
che cresce, innocente, tra il silenzio della vita e della morte: Il soreli
scur di fun / sot li ramis dai morrs / al ti brusa e sui cunfins / tu i ti
ciantis, sul, i murs ( Il sole scuro di fumo, / sotto i rami del gelseto, / ti brucia e tu, da solo, sui confini, / canti i morti ). In una
condizione di esistenza in cui vita e morte sono termini sempre presenti,
in una stessa innocenza e inconscienza, si giustificano Li letans dal bel
f: Jo i soj un biel f, / i plans dut il d / ti prej, Jesus me, / no
fami mur / [...] .To i soj un biel f / i rit dut il d, ! ti prej, Jesus me, /
ah fami mur . Ma la vita, e la morte, sembrano essere innocenti, dolcis18 sime e insieme violente sensazioni quando si giovinetti, come Narcs
dopo che si cresciuti, dopo che si diventati uomini, la vita diventa
inerte dolore, anonimo scorrere di stagioni, sconfortato. Qualcosa, allora
deve esistere, per illuminare, sia pure per un attimo, la lenta acqua che
scorre tra le siepi , qualcosa che non si pu trovare dentro di noi o nella
terra: un Dio, un Cristo che pure ha promesso qualcosa: <~ Pleisi, zent
cristiana, / a scolt un fil di vus, / fra dut chistu sidn, / che al ven ju

da la crus ( Piegatevi, gente cristiana, / a sentire un filo di voce, /


fra tutto questo silenzio, / che scende dalla croce ).

Il richiamo alla religione, al Cristianesimo, introduce nel rapporto


poeta-Friuli un primo elemento oggetivo , una presenza diversa dall'amore privato; la regressione alle buie viscere di quel mondo trova
una realt, anche, di uomini che vivono una vita sociale , fatta di ingenue speranze: Vegner el vero Cristo, operajo, / a insegnarte a ver veri
sogni . Il mondo semplice, primitivo, innocente del Friuli incomincia ad
esprimere una coscienza nuova di s, della sua realt, che non pi soltanto naturale , ma sta diventando storica , sociale , o meglio:
protostorica e protosociale. Ma questo processo sopratutto il riflesso
d'uno sviluppo dell'avventura interiore del poeta che guarda al dolore dei
poveri pi concretamente, anche se i poveri, pi che una classe , sono
una natura , una forma di vita innocente: Lassi in reditt la me
imdin / ta la coscientha dai srs. / I vuj vuiti, i bith che a nasin / dei
me tamari sudurs. / Coi todescs no i vut timur / de lass la me dovenetha. / Viva el coragiu, el dolur, / e la nothenta dei puarth! ( Lascio
in eredit la mia immagine / nella coscienza dei ricchi. / Gli occhi vuoti
i vestiti che odorano / dei miei rozzi sudori. / Coi tedeschi non ho avuto
paura / di lasciare la mia giovinezza. / Viva il coraggio, il dolore e l'in-

nocenza dei poveri! ).

Anche la presenza dei ricchi, pi che un fatto sociale, un fatto~


morale: lo sfruttamento cui sono sottoposti i poveri coincide con la
privazione della libert di vivere la loro vita di bellezza, di giovent:
I sirs a no i pJn il timp: / i dis robs a la belessa / ai nuostris paris
e a nos ( I ricchi non ci pagano il tempo: / i giorni rubati alla bellezza, l9
/ ai nostri padri e a noi ). Questo allargamento di interessi, da una visione sensuale-privata del rapporto coI Friuli a una visione pi reale, sociale, corrisponde a uno svolgimento della poetica di Pasolini, complementare a una nuova, fondamentale esperienza culturale: la scoperta
di Marx . Preciseremo questo fatto successivamente, a proposito della
poesia in lingua, coeva di questo dialettale, dove pi evidente.

Due sono i temi pi frequentemente proposti in quest'ultima poesia


dialettale, e che si ritrovano sopratutto nelle sezioni intitolate Testament
Coran e Romancero: la Resistenza e il problema sociale: In mieth da
la platha un murt / ta na pontha de sanc glath. / Tal paese desert coma
un mar / quatro todscs a me n ciapt / e thignt rugio a me n ment /
ta un camio fer in ta l'umbra. / Dopo tre dis a me n picit / in tal morr

- de l'osteria ( In mezzo alla piazza c'era un morto / in una pozza di


sangue agghiacciato. / Nel paese deserto come il mare / quattro tedeschi
mi hanno preso / e gridando rabbiosi mi hanno condotto / su un camion
fermo nell'ombra. / Dopo tre giorni mi hanno impiccato al gelso dell'osteria ).

Anche qui un problema politico viene inteso come problema morale: la libert libert di vivere, di essere felice, di essere giovane
(il Nini aveva conosciuto allora la sua prima, dolcissima esperienza
d'amore); l'oppressione la privazione di questi elementari, primitivi e perci puri diritti; la violenza nazista si accanisce non contro il patriota , ma contro l'innocente che dal sole trascinato all'ombra, su un
camion. E la violenza della morte crudele si addolcisce in quel gelso gentile, accanto all'osteria.

Il problema sociale della povert, dello sfruttamento, dell'emigrazione


cui i contadini friulani sono costretti, si stempera nell'accoramento della
solitudine, dell'attesa sconfortata, dell'incapacit di trovarne le ragioni :
Signur, i sin bessj, no ti ni clamis p! / No ti ni lmis p an par an, d
par d / [...] Vegnet, trenos, puartit lontn la zoventt / a serci par
il mond chel che c a pierdt. / Puartit, trenos, pal mond a no ridi mai

20 p / chis-ciu legris fants pars via dal pas ( Signore, siamo soli, non
ci chiami pi! / Non ci guardi pi anno per anno, giorno per giorno! /
[ .... ] Venite, treni, portate lontano la giovent / a cercare per il mondo cic
che qui perduto. / Portate, treni, per il mondo a non ridere mai pi /
questi allegri ragazzi scacciati dal paese ). Il richiamo alla croce, al
Cristo operaio tace: Dio troppo lontano, troppo splendente per le miserie
di questa povera parte di terra. I giovani che stanno per emigrare, che
cantano per soffocare il pianto, che si ubriacano per non capire, sono portati via dal treno, lontano, per il mondo, dove non rideranno pi. La vita
nel Friuli, povera, misera, era pur sempre giovent; e l'ingiustizia questo
violento spegnersi dell'innocente, pura giovent.

Anche nei momenti di pi obbiettivo impegno conoscitivo, dunque,


il mito del Friuli pur sempre presente: la terra della giovent, della vita
felice, misteriosamente, inconsapevolmente felice; e innocente. Il regresso >~ del poeta quindi un viaggio nella regione dell'anima, alla ricerca
dell'innocenza perduta. Il poeta, d'una civilt superiore , stanca, corrotta, cerca nella purezza di un suo mito il conforto alle sue sofferenze di
uomo in crisi che non vuole conoscere la sua crisi, perch il rifiuto della
razionalit glielo impedisce. Il Friuli che, per conoscere, ha tanto amato,

non gli si rivela che un tempo di sensazioni felici, risentite, forse, col rimpianto, ma ancora e sempre sconosciuto: Dis lusns coma l'aga, / lumns
frescs, ta l'umit / co la sera a si dislaga / ta li rojs che a profmin... / A
dut fint, dut: / un Fril che al vif scunusst cu la me zoventt / di l
dal timp, ta un timp / sdrumt dal vint ( Giorni lucenti come l'acqua, /
freschi lumicini, nell'umido / della sera che si scioglie / sulle rogge profumate... / Tutto finito, tutto: / un Friuli che vive sconosciuto con la
mia giovent, / al di l del tempo, in un tempo / rovesciato dal vento )

Dopo la pubblicazione delle prime poesie in friulano, nel '42, Pasolin


incomincia a scriverne anche in italiano; le pubblicher molto pi tardi.
nel '58, nella raccolta L'usignolo della Chiesa cattolica. L'anno prima
(1957) pubblicher un'altra raccolta di poesie, Le ceneri di Gramsci,
composte, per, in gran parte, dopo quelle dell'Usignolo.

La prima raccolta appare tutta pervasa da un senso di infelicit, di


scoramento; il mondo friulano riusciva talvolta, con i suoi paesaggi, i
suoi fanciulli innocenti, ad acquetarlo; nella poesia in lingua i paesaggi,
quando ci sono, sono estranei, oggettivi : i sentimenti, anche i pi
puri, si corrompono. Come se la lingua avesse in s qualcosa di maligno,
di infetto: l' orribile statua [...] nel museo degli adulti : privo di te

com' dolce il paesaggio / padano, senza ombre di miraggi! [...] Senza


la tua minaccia d'alabastro / rivivr gli slanci per mia madre, / le soggezioni pel mio grembo, ladro / di tenerezze e gentili vergogne... Sono
versi del poemetto intitolato Lingua: una poesia-storia, la storia d'un'esperienza felice, o almeno, pi sincera, alla quale il poeta vorrebbe tornare,
ma che, purtroppo, deve finire. L'abbiamo anticipata, pur non essendo tra
le prime della raccolta, perch ci pare sia qui il nodo della crisi che avvilisce ed estenua il poeta: il desiderio di restare in un mondo privato,
sicuro, materno, e la necessit, dapprima awertita confusamente, poi pi
precisa e autoritaria, di guardare fuori di s, al mondo degli altri, alla
storia. La fanciullezza che nel Friuli era natura , senso gioioso della
vita, appena velato dal presentimento della morte, diventa, nelle poesie
in lingua, purezza trepidante sotto la minaccia, la paura, ma anche il
desiderio, del peccato: Lasciami, o Fatale, / sciogli la delicata / stretta
della tua mano / che m'incanta di male (Supplica).

Il rapporto, ambiguamente sensuale, innocenza-peccato, ripropone


quello vita-morte de La meglio giovent; e come questo si risolveva nel
mito d'una natura sensuale , morbosamente vibrante di sottili sensazioni, cos quello si colloca nel mito d'una religione, non primitiva, ma
fanciulla , in cui i confini tra innocenza e peccato si confondono in una

trepidazione di sensi: gioia, sofferenza, angoscia misteriosa. E la stessa


divinit fanciulla, ambigua: TURRIS EBURNEA. Seni di avorio, / nidi

22 di gigli, / non v'ha violato / mano di padre. / Fianchi lucenti / di nere


nuvole / non vi fa scuro / la nostra pioggia (Litania). E ancora: Cristo
il tuo corpo / di giovinetta / crocifisso / tra due stranieri. / [...] Battono
i chiodi / e il drappo trema / sopra il Tuo ventre (La Passione).

~ la religione sensuale-viscerale di cui parla il Ferretti, legata a


una esperienza vissuta esclusivamente in sogni, visioni. L'esperienza
dolorosa della vita, patita non nella societ, nella storia, ma nella casa
nella famiglia, nella carne, nelle lacerazioni dello spirito, porteranno ii
poeta a una ben diversa interpretazione della religione. Da quelle esperienze, dal convincimento della diversit e della unicit della propria
condizione, dal suo immutato amore per il mondo , il cristianesimo di
Pasolini trarr la sostanza eretica, scandalosa , della sua testimonianza:
Bisogna esporsi (questo insegna / il povero Cristo inchiodato?) / [...]
Noi staremo offerti sulla croce, / alla gogna, tra le pupille / limpide di
gioia feroce / scoprendo all'ironia le stille / del sangue dal petto ai
ginocchi, / miti, ridicoli, tremando / d'intelletto e passione nel gioco /
del cuore arso dal suo fuoco, / per testimoniare lo scandalo (Crocifi:s-

sione). Questa vocazione di testimonianza scandalosa sar la peculiarit


pi duratura del cristianesimo pasoliniano: lo scandalo di una religionepassione opposta alla religione-autorit della Chiesa cattolica

Ma la professione di disperato amore che viene da quella croce non


basta; l'amore non basta per capire gli uomini. La crisi del distacco dal
mondo fanciullo diventa, gradualmente, questa crisi: all'amore, alla passione deve sostituirsi la ragione. ~ la scoperta di Marx , come s'intitola l'ultima sezione della raccolta; ma , sopratutto, la scoperta di Roma
di un mondo diverso, lontano per sempre, dal Friuli-madre: Fuori dai
tempo nato / il figlio, e dentro muore. / E ogni giorno affondo / nel
mondo ragionato, / spietata istituzione / degli adulti (La scoperta di
Marx). La lingua e il tempo cui aveva tentato, disperatamente
di sottrarsi, impongono, ora, i propri diritti. Ma non c' nessuna gioia
in questa scoperta: Marx non che un simbolo freddo di ragione, e Roma
una citt straniera, a cui egli ignoto, provenendo, com', da un'altra
storia .

2:

Con Le ceneri di Gramsci, pubblicate, come s' detto, nel 1957,


Pasolini ottiene il primo riconoscimento ufficiale per la sua produzione
letteraria: il premio Viareggio. Due anni prima aveva pubblicato Ragazzi
di vita e aveva altres ottenuto un premio, il Colombi-Guidotti, piuttosto

sconosciuto, almeno ai non addetti e, comunque, passato inascoltato e


inosservato nel clamore del can can sorto, e creato, intorno al romanzo,
e culminato in una denuncia per oscenit. Le poesie raccolte sono quindi,
in gran parte, coeve del romanzo, e si noter; ma si muovono su di un
piano diverso, almeno apparentemente: testimonianza d'una crisi individuale-storica le prime; documento ambiziosamente oggettivo il
secondo. Alla base della nuova poesia di Pasolini , prima di tutto, la scoperta di Roma, di una Roma fuori dalla tradizione, dalla storia, dalla civilt: una Roma preumana e subumana:

A Roma dapprima vissi a Piazza Costaguti, vicino al Portico d'Ottavia (il


ghetto! )~ poi andati nel ghetto delle borgate, vicino alla prigione di Rebibbia, in una casa restata definitivamente senza tetto (tredicimila lire al mese
di affitto). Per due anni fui un disoccupato disperato, di quelli che finiscono
suicidi poi trovai da insegnare in una scuola privata a Ciampino per ventisettemi;a lire al mese. Nella casa di Rebibbia, nella fascia delle borgate, ho
cominciato [...] la mia opera poetica vera e propria, dalle Ceneri di Gramsci
alla Poesia in forma di rosa (Introduzione al lettore nuovo , cit.).

Il primo impulso del poeta quello di capire , ancora una volta:


capire gli altri per chiarirsi a se stesso. E per capire il nuovo mondo che lo

circonda necessario che la memoria si spenga, consapevole di essere


fuori dalla storia: ~ necessit il capire / e il fare: il credersi volti / al
meglio, presi da un ardire / sacrilego a scordare i morti... (L'umile Italia).
La religione e la ragione, la passione e l'ideologia, il vecchio e il nuovo
atteggiamento, a volte separati, e dolorosamente, a volte mescolati in
una superiore, ma oscura sintesi d'amore, sono gli strumenti che il
poeta trova, cercandoli dentro e fuori di s, per capire . Perch il
mondo da cui attirato, il mondo degli esclusi, di quelli che hanno
24 vissuto sinora, incolpevoli, fuori dalla storia, non pu essere sistemato ,

organizzato >; da un atto di forza raziocinante (ed questo un motivo


che trover~mo sin nell' ultimo Pasolini): il preumano ha bisogno
di giustizia, ma di una sua giustizia. Il sottoproletariato che cinge
d'assPdio, dalle borgate squallide, la citt eterna sembra pronto: Un
esercito accampato nell'attesa / di farsi cristiano nella cristiana / citt,
occupa una marcita distesa / d'erba sozza nell'accesa campagna: / scendere anche egli dentro la borghese / luce spera aspettando una umana //
abitazione, esso, sardo o pugliese, / dentro un porcile il fangoso desco /
in villaggi ciechi tra lucide chiese... (L'Appennino). La Roma borghese
la Roma del potere, sente, tutt'intorno, questa ansia che sale, minacciosa
pur soltanto nel suo essere: La jungla delle anime scure / come la

pelle e gli occhi, che / la moderna vita nutre a dure / necessit e bassezze
ormai / su Roma, la stringe in impure / confusioni, in ciechi smarrimenti / di stile, come una piena sale / oltre i rotti argini: impotente /
la Roma del potere ne sente, / ancora plebe, l'ansia nazionale (L'umile
Italia). Parecchi anni pi tardi, nel '68, nella gi citata intervista a
Camon, Pasolini nominer razzismo borghese l'atteggiamento della
storia e della civilt che ha impedito, e impedisce, a quell' ansia nazionale di realizzarsi. E le responsabilit non sarebbero soltanto dei borghesi
che, quando lui parlava di quel sottoproletariato, lo avrebbero voluto
mettere in prigione ; ma dei comunisti, che mi ridevano in faccia

degli Asor Rosa, borghesi comunisti che lo analizzavano come spie di


un Comitato Rivoluzionario . E diciamo questo non per riattizzare delle
polemiche, il che non avrebbe pi senso, ma perch ci sembra necessario
tenerlo presente per comprendere certe poesie delle Ceneri di Gramsci
e, sopratutto, I'accanimento doloroso con cui Pasolini si rivolge a quel
mondo, escluso da tutti gli altri, sobbarcandosi l'ingrato compito di
conoscerlo ed esprimerlo .

Il poemetto che da il titolo alla raccolta risale al 1954 e rappresenta,


senza dubbio, il tentativo pi completo che il poeta compie per chiarire

a se stesso la propria crisi. Ma non per uscirne. E il rifiuto, pur sempre


legittimo, di uscire da una crisi non si motiva in Pasolini unicamente per
una delusione ideologica o per una sovrabbondanza di passione , ma
anche per una scelta di poetica. Rispondendo, nel 1962, a una inchiesta
di Nuovi Argomenti , Sette domande sulla poesia, cos scriveva Pasolini: Nella storia nostra--e nella specie mia--/ non la poesia in
crisi, ma la crisi in poesia . Risolvere, e positivamente, una crisi significherebbe sistemare e, quindi, finire una realt, in noi o fuori di
noi; significherebbe (anche a non voler prendere alla lettera quel distico)
inacidire il lievito della poesia; di qui, anche, l'avversione passionale di
Pasolini per tutto ci che dottrina, sistema, organizzazione.

L'incontro con Gramsci, con le sue povere ceneri, avviene nel Cimitero
degli Inglesi, in una triste giornata di maggio, di impuria aria , abbagliata di cieche schiarite , sotto un cielo di bava . In questa atmosfera pesante, grigia, sparsa di una mortale pace appare la piccola
tomba: Uno straccetto rosso, come quello / arrotolato al collo ai
partigiani / e, presso l'urna, sul terreno cereo, // diversamente rossi,
due gerani. / L tu stai, bandito e con dura eleganza / non cattolica,
elencato tra estranei // morti: Le ceneri di Gramsci... Tra speranza / e
vecchia sfiducia, ti accosto, capitato / per caso in questa magra serra...

Intorno, le tombe aristocratiche, borghesi; pi lontano, il fragore sordo


del dimesso rione che lavora, in violenta contrapposizione. E il poeta,
nel suo povero, umano tormento del mantenermi in vita ; nel suo
tormento pi grande, immedicabile , per usare un aggettivo a lui caro,
del borghese che ama e odia il suo mondo; che vede la profonda divisione
che Gramsci ha indicato e ora, scisso /--con te--il mondo... , e
non sceglie; che in questa non volont trova la ragione della propria
sussistenza . ~ l'affermazione del proprio scandalo : Lo scandalo
di contraddirmi, dell'essere / con te e contro di te; con te nel cuore, /
in luce, contro te nelle buie viscere . La contraddizione dolorosa che
il nodo della crisi non pu sciogliersi: l'adesione a Gramsci nella luce
dell'intelligenza acuisce, nello stesso tempo, il distacco da lui: attratto
da una vita proletaria / a te anteriore, per me religione // la sua allegria,
26 non la millenaria / sua lotta: la sua natura, non la sua coscienza...
L' eresia del poeta trova qui la sua pi lucida denuncia: la vita
proletaria che lo attrae non quella della classe operaia, o
contadina, organizzata nella lotta e nella coscienza; la vita senza
coscienza se non di essere: quella vita non che un brivido, // corporea,
collettiva presenza; / senti il mancare di ogni religione / vera; non vita,
ma sopravvivenza //--forse pi lieta della vita--come / d'un popolo
di animali, nel cui arcano / orgasmo non ci sia altra passione // che per

l'operare quotidiano: / umile fervore cui d un senso di festa / l'umile


corruzione. In nome di che cosa Mi chiederai tu, morto disadorno, /
d'abbandonare questa disperata / passione di essere nel mondo? La
ragione non un'alternativa: non c' alternativa. Per questo il dramma
del poeta un dramma irrisolto .

Il tentativo di dare una dimensione storica al proprio dramma individuale visibile anche ne Le ceneri di Gramsci, quando si denuncia
drammaticamente, l'incapacit dell' ideologia , anche marxista, di conoscere la natura del millenario popolo; nei limiti, evidentemente
in cui un mito riesce a storicizzarsi. La insufl~cienza ideologica
di Pasolini, sulla quale tutti, o quasi, sono d'accordo, non tanto una
mancanza di chiarezza teorica e pratica, quanto una resistenza della volont, della coscienza a violare il rispetto che si deve all'autonomia
dell'uomo, del popolo, intesi al pi basso livello esistenziale, extrasociologico. :~ una linea che Pasolini porter avanti sempre, fino ad oggi, con
tale intransigenza da qualificarsi come una sorta di dommatismo morale.

Quanto, poi, al tentativo di storicizzare la sua crisi, questo processo


va inteso in un senso tutto particolare: non tanto il poeta riesce a oggettivare nella storia il suo scandalo , la sua eresia - quanto, piuttosto

dalla storia accoglie dei fatti, delle lezioni dalle quali il suo dramma,
ancorch pacificarsi e risolversi, si sostanzia di nuovo dolore e di nuova
storicit . i~ il caso dei tre maggiori poemetti, successivi a Le ceneri
di Gramsci: Il pianto della scavatrice, Una polemica in versi e La terra
di lavoro. Sono tutti del 1956, un anno cruciale della storia del mondo e
in particolare, del mondo comunista: l'anno del XX Congresso del PCUS
e della rivolta d'Ungheria: l'anno della speranza e della sconfitta .
Il pianto della scavatrice, tuttavia, non un canto di speranza o alla
speranza; ma il canto della inadattabilit del poeta ad accedere a una
speranza che venga da fuori del suo mondo e del suo mito: Ecco, se
acceso / alla speranza--che, vecchio leone / puzzolente di vodka, dall'offesa // sua Russia giura Krusciov al mondo -- / ecco che tu ti
accorgi che sogni. [...] Anzi, quel nuovo soffio di vento // ti ricaccia
indietro dove / ogni vento cade: e l, tumore / che si ricrea, ritrovi //
il vecchio crogiolo d'amore, / il senso, lo spavento, la gioia . i~ l'insorgere, sempre, del sentimento, quel sentimento che lo fa vergognare di
non poter essere al punto in cui il mondo si rinnova , di non potersi
accordare col mondo; quel sentimento che lo richiama indietro, al vecchio
crogiolo d'amore in cui si consuma e si rinnova la disperata comunione
col suo mondo escluso dalla storia.

Eppure, in quei mesi, nell' esilio di Rebibbia, egli s'era sentito


come rinascere. Aveva incominciato a conoscere il mondo divenuto soggetto / non pi di mistero ma di storia , vivendo nelle vive esperienze
di Marx o Gobetti, Gramsci o Croce . I pochi amici che andavano
a trovarlo mi videro dentro una luce viva: / mite, violento rivoluzionario // nel cuore e nella lingua. Un uomo fioriva. Ma era stato non
pi che un passeggero eroico furore , una vampata di giovanile entusiasmo. Il poeta, vecchio della sua mancanza di speranza, guarda, di nuovo
angosciato, la scavatrice che distrugge urlando ci che era / area erbosa,
aperto spiazzo e che sar cortile, bianco come cera / chiuso in un
decoro che rancore [...] in un ordine che spento dolore .

Non c' polemica contro il progresso che distrugge la natura,


tema, peraltro, assai poco eletto ; n d'altra parte, come osserva il
Fortini, un atteggiamento possibilista del poeta al riformismo; ma solo
l'accoramento, razionalmente immotivabile, per ci che muta, anche /
per farsi migliore : l'atteggiamento di chi non riesce ad accedere a una
speranza oggettiva . Per questo guarda angosciato gli operai che innal28 zano il loro rosso straccio di speranza .

Una polemica in versi si distingue tra gli altri poemetti per un pi

preciso obbiettivo polemico e per una pi marcata impostazione ideologica . Il tempo morale della poesia quello dei tragici fatti d'Ungheriaall'amico comunista awilito, confuso, perduto , addita le rosse bandiere [...] cascare t...] senza vento . S' compiuto il tradimento del
popolo, e l'errore stato commesso dai capi, dai politici , dai tatticisti , dal prospettivismo letterario: a vi siete assuefatti, / voi, servi
della giustizia, leve // della speranza, ai necessari atti / che umiliano il
cuore e la coscienza. / Al voluto tacere, al calcolato // parlare, al denigrare senza / odio, all'esaltare senza amore; / alla brutalit della prudenza // e all'ipocrisia del clamore. / Avete, accecati dal fare, servito /
il popolo non nel suo cuore // ma nella sua bandiera . Gli uomini dell'idea hanno voluto guidare il popolo, che odio e amore, senza odio
e senza amore : non hanno saputo conoscerlo; e lo hanno servito in
ci che esso non capiva e non chiedeva.

La polemica, meno violenta nelle parole, ma non nel sentimento, si


allarga ad altri compagni di strada che ossessi dalla paura di essere
ci che furono, chiedono il mistico rigore d'un'azione / sempre pari
all'idea . Non questo che egli chiede: ~ all'errore / che io vi spingo,
al religioso / errore . ~ il richiamo all' eresia , il richiamo che continuer a ripetere, nei momenti di maggior impegno civile , sino

ad oggi.

I1 poemetto si conclude con la descrizione della triste festa popolare:


i ragazzi dentro i panni festivi pazzi di gioia nella loro generosit
senza pudore ; gli uomini, ubriachi, con le famiglie, intorno alla sporta
della merenda; i giovincelli pugili in mezzo al pubblico, ironico e cattivo, allegro e infido. Ma un'atmosfera ambigua, sovrastata, non sai
se da pi intenso dolore o da pi intenso amore . Tutto, a poco
a poco, diventa falso, innaturale, smarrendosi in una infinita mestizia
senza perch. Sulla sfiorita festa aleggia, alla fine, tanta malinconia .
E in questo un po' troppo dolce sentimento in cui si diluisce la vita , si
smorzano, senza pi vento, anche la passione e l'ira del poeta.
La terra di lavoro, l'ultimo componimento della raccolta, segna l'approdo del poeta a una desolata verit: la delusione patita non pu che
riportare alla vecchia passione , al paradiso terrestre ; ma infecondi
entrambi, perch chiusi, ormai, a quel mondo che tanto aveva amato.
Come il Friuli, un tempo, ma con in pi una consapevolezza nuova. Quei
poveri che viaggiano, tristi, squallidi, abbandonati, nel treno che attraversa la terra di lavoro, che con una vita di altri secoli, sono / vivi in
questo , e che, tuttavia, per un momento, avevano veduto una pura /
ombra che gi prendeva nome / di speranza , la luce del riscatto ,

sono stati rinchiusi nel ghetto, fuori della storia. E colpevoli sono tutti
guelli che vivono nella storia: Gli nemico chi straccia la bandiera /
ormai rossa di assassini; // e gli nemico chi, fedele, / dai bianchi
assassini la difende. / Gli nemico il padrone che spera // la loro resa,
e il compagno che pretende / che lottino in una fede che ormai
negazione / della fede . E, insieme agli altri, impotentemente colpevole,
anche il poeta: e anche la tua piet gli nemica .

Non a torto la critica ha considerato Le ceneri di Gramsci la pi


significativa delle opere di Pasolini. La crisi che il poeta ha lucidamente

~hiarito a se stesso rimarr come motivo di fondo di tutta la produzione,


in versi e in prosa, successiva: ora sotterraneo, ora in primo piano; ora
ricondotto a personale e privata esperienza, ora dilatato a lacerante condizione del mondo. In questa raccolta Pasolini riuscito eflfettivamente a
concretizzare, in poesia, in linguaggio, un'esperienza sentimentale e culturale per certi aspetti privilegiata. Nell'Usignolo della Chiesa cattolica i
miti privati si traducevano in una lingua a volte preziosa, ricercata; a
volte idilliaca, intenerita; a volte anche volutamente prosaica. Ma sempre
disancorata da una realt che non fosse quella morbosamente sensuale
dei sogni e delle visioni. Di qui la sovrabbondanza dei procedimenti

analogici, il continuo ricorso alle immagini, alle comparazioni, sotto l'influenza, anche, del Pascoli, che si riscontra pure in certe strutture metriche.
Il discorso si fa pi concreto verso la fine, con la scoperta di Marx , di
30 Roma, della realt.

Nelle Ceneri di Gramsci queste scoperte sono la condizione e la


determinazione del nuovo linguaggio. E Pasolini stesso a confermarcelo:

La stessa passione che ci aveva fatto adottare con violenza faziosa e ingenua
le istituzioni stilistiche che imponevano libere esperimentazioni inventive, ci fa
ora adottare una problematica morale, per cui il mondo che era stato, prima,
pura fonte di sensazioni espresse attraverso una raziocinante e squisita irrazionalit, divenuto, ora, oggetto di conoscenza se non filosofica, ideologica: e
impone, dunque, esperimentazioni stilistiche di tipo radicalmente nuovo (Passione e ideologia, p. 488).

Questo nuovo sperimentalismo , proprio per il diverso tipo di


impegno che lo sollecita, conduce il poeta al rifiuto d'una poesia libera
d'inventarsi e di un linguaggio altrettanto libero: la lingua che era
stata "portata tutta al livello della poesia" tende ad essere aabbassata
tutta al livello della prosa", ossia del razionale, del logico, dello storico

con l'implicazione di una ricerca stilistica esattamente opposta a quella


precedente. Ne deriva una, probabilmente imprevista, riadozione di modi
stilistici prenovecenteschi, o tradizionali nel senso corrente del termine,
in quanto rientrati ormai naturalmente nei confini del linguaggio razionale,
logico, storico, se non addirittura strumentale (ibidem, p. 489).

Per questo ritorno alla tradizione sono stati fatti i nomi di Carducci e, principalmente, di Pascoli (rinviamo, per questi aspetti, alle
illuminanti analisi di Ferretti, Asor Rosa, Brberi Squarotti); si potrebbe
anche fare il nome di Leopardi, dell'ultimo, ovviamente. I1 passaggio dalla
poesia lirica al poema epico-lirico avviene, infatti, sotto il segno di un
illuminismo poetico attento, con un rigore insospettabile in Pasolini, a
realizzare nella concretezza del linguaggio la logica interna al pensiero,
al sentimento. L'esito pi alto di questa poesia, infatti, quello di aver
razionalizzato, e quindi concretizzato, e quindi, anche storicizzato, una
crisi che muoveva da troppo volutamente oscure origini.

Questo ci interessa sopratutto mettere in evidenza: una coerenza, che


non potr certo essere irreprensibile, come tutte le coerenze in poesia, tra
poetica e poesia. Un'analisi approfondita nei dettagli qualitativi di questa
coerenza, porter sicuramente a giudizi di valore non sempre positivi;

ma questo potrebbe anche non interessare troppo, a meno di non fare del
valore poetico un canone mitico.

L'ho gi detto tante volte, in tante interviste [...]: ci che mi ha spinto


a essere comunista stata una lotta di braccianti friulani contro i latifondisti, subito dopo la guerra (I giorni del Lodo De Gasperi doveva
essere il titolo del mio primo romanzo, pubblicato poi nel 1962 col titolo
Il sogno di una cosa). Io fui coi braccianti. Poi lessi Marx e Gramsci
(Al lettore nuovo, p. 10).

Il primo romanzo di Pasolini, dunque, nasce sotto l'impulso di una


precisa esperienza storico-sociale, nel '48-'49, alla conclusione, o quasi, del
movimento neorealista. E del romanzo neorealista ci sono alcuni ingredienti: l'ambiente popolare-contadino, il motivo sociale, la denuncia morale; la fiammella conclusiva della speranza: il sogno di una cosa .
E, ancora, il linguaggio: concreto, realistico, impostato molto frequentemente sul dialogo, sulle descrizioni minuziose, senza particolari invenzioni (ma non che nel neorealismo non ve ne siano). Ma accanto, o sotto,
tutto questo c' il Friuli; non il Friuli-Provenza del letterato nostalgico,
ma il Friuli mitologico-popolare pure cantato ne La meglio giovent. Il
motivo centrale del romanzo, il nucleo lirico , infatti, non il lodo

De Gasperi , un provvedimento inteso a risolvere il problema della


disoccupazione bracciantile, ma la casa dei Faedis, la famiglia patriarcale
che coagula intorno a s tutte, o quasi, le azioni del romanzo. I Faedis
sono contadini proprietari, cattolici osservanti: le loro ragazze vanno dalle
monache ad aiutarle a tenere l'asilo; le donne vanno ogni sera alla funzione ; il capo famiglia pensa che i comunisti sono tutti delinquenti,
gente che non ha voglia di lavorare! ; ma ugualmente ospita i giovani
32 col fazzoletto rosso al collo, dopo le dimostrazioni. D'altra parte religionechiesa e comunismo sono realt che convivono senza problemi e senza
nemmeno rispettosi formalismi: nella sede del Partito, alla parete,
appeso il crocifisso accanto al ritratto di Stalin; e Nini, uno dei giovani
comunisti, trover lavoro con la raccomandazione del pievano. Non c'
alcun riflesso, in questo, di certi atteggiamenti cristiano-marxisti di Pasolini, che, peraltro, devono ancora maturare: una qualit dell'anima
popolare che il poeta rinviene nel suo Friuli. Ed , comunque, un aspetto
marginale.

La casa dei Faedis, e molto spesso la stalla, infatti, il luogo in cui


si radunano e si esprimono le qualit di quella gente: le chiacchiere
delle donne, i silenzi brontolosi degli uomini, i rossori improvvisi delle
ragazze, le innocenti protervie dei fanciulli; e poi il vino, le canzoni

gridate nell'ubriacatura, le amicizie dei giovani, il lavoro dei campi, le


tirchierie, il vestito nuovo una volta all'anno. In disparte, quasi schiacciata sotto il peso di questa vitalit esuberante, Cecilia, la ragazza che
dimostra meno anni di quanti ne ha, col viso di agnellino , sempre
silenziosa, vergognosa, che sente, sbigottita, nascere dentro di s l'amore
per Nini, e piange, quando le cugine e le amiche, pi sfrontate, alludono
al suo moroso . Cecilia uno dei pochi personaggi femminili di Pasolini,
ma la sua femminilit non sesso: la dolcezza del volto, il languore puro
degli occhi; sono le paure misteriose, i fremiti angosciosi di tanti giovanetti delle poesie friulane e della prima poesia in lingua. La disperazione
di non poter essere donna (Nini si sposato con un'altra) si risolver,
silenziosamente, innocentemente, in un convento. ~ il mito della fanciullezza vittima incolpevole ; come in Eligio, il compagno di Nini
che vive la sua breve vita spegnendosi a poco a poco. La giovinezza si
consuma con la sua allegria. L'allegria delle feste paesane, delle bevute.
delle canzoni; l'allegria violenta del loro impegno politico, del loro
comunismo: E correndo si lanciavano grida quasi allegre, perch il riuscile a sfuggire era un successo sui poliziotti ; Allora [...] i ragazzi
per non voler darsi vinti, cominciarono a cantare anche loro, a tutta forza
con le voci che si perdevano nel silenzio dei campi freddi e verdini:
~Avanti popolo, alla riscossa, bandiera rossa, bandiera rossa... ; l'allegria

della vita stessa, per povera che sia, l'allegria naturale di Eligio, figlio
del popolo, si consuma nella fame patita in Jugoslavia, dov'era andato per
trovare lavoro e da dove era tornato deluso e malato; nello spietato lavoro
alla cava, patito con sorridente semplicit, per spegnersi nella morte,
all'ospedale, ormai finita, distrutta. Una morte che assume il significato
d'un martirio, la testimonianza d'una cosa che la giovent, e il popolo,
hanno dentro ma non sanno esprimere:

Stette a guardarlo per qualche tempo fissamente: pareva che qualcosa come
un sorriso nascesse in fondo ai suoi occhi spenti. Punt ad un tratto un dito
verso il Nini, ma il braccio gli ricadde subito, mentre nuovamente diceva, gemendo, delle parole senza senso. Una cosa , pareva dicesse, una cosa! .
E accennava, come ammiccando, a qualcosa che sapevano bene lui e il Nini e
Milio. Ma non parlava, non riusciva a dire che cosa fosse. Ce l'aveva negli occhi.
Non sarebbe riuscito a dirlo nemmeno quand'era forte e pieno di vita, figurarsi
se riusciva a dirlo adesso che stava morendo (p. 213).

Non dimcile cogliere nella vicenda di Eligio spunti che saranno poi,
con ben altra epicit , sviluppati ne Le ceneri di Gramsci e, in maniera
ancora diversa, nei romanzi successivi.

Come a una mitologia popolare , ma di tipo diverso, populistico,


si devono ricondurre i due capitoli in cui descritta la lotta per il lodo
De Gasperi . La lotta quasi una festa: allegria . I ragazzi ne sono
i protagonisti, naturalmente, perch i ragazzi sono la figurazione del
popolo, giovane, appunto, per natura. E insieme ai ragazzi, la bandiera:

Livio [...] fece due passi verso la parete opposta, dove, dietro l'armadio,
stava appoggiata la bandiera, e ridendo la tir fuori di tra i calcinacci e la
srotol. Domani sventolerai in testa alle Avanguardie di San Giovanni , disse.
Auguri! . Gli altri risero divertiti alle sue parole. Domani , continu un
adolescente di Braida, afferrandola, ti metteremo sotto il naso dei Pitotti e
degli Spilimbergo . Che sentano bene di che cosa sai! , grid Onorino, e la
scosse forte per un lembo: la bandiera si spieg del tutto e quasi ricoperse le
teste di quelli che erano accanto. Evviva la nostra bella bandiera , grid
Eligio, cominciando ad agitarla allegramente (pp. 93-94).

Appare evidente la fondamentale retoricit e della scena e delle parole


che si pronunziano, come avviene nel migliore, o peggiore, populismo e
neorealismo, e che scade, a volte, a livello di vera e propria puerilit:
Ma non c'era niente da fare, quel giorno, con la forza del popolo
(manca solo il punto esclamativo) (p. 127). "A domani!" gli grid dietro

Eligio. Poi ognuno pedal verso casa sua, col cuore leggero per la bella
vittoria (p. 129).

Il giorno successivo alla bella vittoria la polizia e l'esercito riescono


a disperdere i dimostranti: la sconfitta. Ma c' la casa dei Faedis ad
accogliere i giovani coi fazzoletti rossi al collo; e in quella casa, col vino,
le chiacchiere, le ragazze, la festa dei giovani continua. E tornando
a casa, allegri, sentono d'aver vinto ugualmente, perch sono sfuggiti alla
polizia, e perch possono cantare ancora Bandiera rossa.

Tutto questo, se proprio lo si vuole etichettare, neorealismo; ma


non basta per fare de Il sogno di una cosa un romanzo neorealista. I miti
privati del poeta: il Friuli, la giovent, non riescono, per quanto Pasolini
si impegni, a storicizzarsi. Non che nel neorealismo manchino miti e
idilli e lirismi ; anzi: sono queste le sue pi evidenti qualit .
Ma che nel neorealismo la mitizzazione, in genere, segue, o si accompagna,
a una presa di coscienza, confusa, nebulosa ecc. della realt, e di una realt
politico-sociale specifica ; nel romanzo di Pasolini, invece i miti sono
pre-esistenti alla realt, a quella realt: sono miti della memoria.

Si gi detto dell'importanza fondamentale che ha avuto per Pasolini

il trasferimento a Roma. Lo vogliamo ribadire con le sue stesse parole:


Roma nella mia narrativa ha quella fondamentale importanza [...] in
quanto "violento trauma e violenta carica di vitalit", cio esperienza di
un mondo e quindi in un certo seno ' del " mondo ( La Fiera lettera- 35
ria , 30 giugno 1957). L'ambiguit di quell'attenuazione in un cerro
senso pu confondere. Potrebbe far intendere, per esempio, che il popolo
della periferia, delle borgate il >~ popolo; ma un'affermazione che
non regge: la maggior parte dei critici, da Salinari a Ferretti ad Asor Rosa,
l'hanno destituita di valore. Al massimo sar il popolo della mitologia
pasoliniana. E non riesce difficile convincersene. Ma dalla lettura delle
Ceneri di Gramsci, sopratutto, abbiamo tratto la convinzione che per
Pasolini esiste un mondo, un popolo, che vive fuori dalla storia perch
dalla storia stato escluso, e non solo dalla borghesia, ma anche da quelli
che vivono e lottano per il popolo. Il ghetto si richiuso: n il calcolo
borghese, n il razionalismo marxista possono riaprirlo. Vi si pu entrare
solo con l'amore; e una volta entrato, il poeta, fattane esperienza, pu fare
l'esperienza del mondo, la dolorosa esperienza del mondo. Ed un dolore
tutto suo, ch lui solo, e non quelli del ghetto, possono averne coscienza

Questa la passione di Pasolini nel periodo in cui scrive Ragazzi di vita,


e non solo in quel periodo, come abbiamo visto. E questa 1' ideologia :

Per far parlare le cose, bisogna ricorrere a una operazione regressiva: infatti
le cose --e gli uomini che ci vivono immersi, sia proletari, nelle cose
intese come lavoro, lotta per la vita, sia borghesi, nelle cose intese come
totalit e compattezza di un livello culturale--si trovano a dietro allo scrittore.filosofo, allo scrittore-ideologo. Tale operazione regressiva si traduce quindi
in una operazione mimetica (dato che i personaggi usano un altro linguaggio,
rispetto a quello dello scrittore, atto a esprimere un altro mondo psicologico e culturale). L'operazione mimetica poi l'operazione che richiede le pi
abili e accanite ricerche stilistiche (data la necessaria contaminazione di linguaggi, quello del narratore e quello del personaggio, lingua e dialetto ecc.).
Sicch risponderei, in conclusione: bisogna, certo, lasciar parlare, fisicamente, immediatamente le cose: ma per lasciar parlare le cose , occorre essere scrittori, e anche perfino vistosamente scrittori ( Nuovi Argomenti , 1957).

Una teoria che, appunto teoricamente, appare ineccepibile; meno,


forse, poco dopo, quando ne riassume, un po' sumcientemente, la sostanza: ~ La lingua non che un mezzo [...] se il personaggio e l'ambiente
36 scelti sono popolari, il romanziere usi o totalmente o parzialmente il
dialetto, se il personaggio e l'ambiente scelti sono borghesi, il romanziere
usi la koin: vedr che non sbaglia .

L' operazione mimetica cui Pasolini ricorre, da vistoso scrittore ,


si dispone a tre livelli di lingua: il dialetto, la contaminazione , la
lingua sua, la koin. Il ricorso al dialetto, a differenza del friulano, lingua
materna, affettiva, sensuale, qui una necessit scientifica , di poetica.
Pi o meno scientifica ne sar stata l'esperienza, l'acquisizione, con o
senza registratore; altrettale la riduzione del vasto dialetto romanesco al
gergo di borgata. Gi questa operazione, tutt'altro che quantitativa, pu
convincere della ingenua velleit (ammesso che Pasolini l'abbia mai avuta)
di fare di quel popolo il popolo. Anzi, proprio questa riduzione al
gergo, al di l della necessit della mimesi, vuole sottolineare la riduzione
al ghetto, l'esclusione dalla Roma civile . N dovrebbe sorprendere
l'obbiettiva esiguit lessicale di quel gergo (non pi di centoventi voci
registrate nel vocabolarietto, a fine libro) e in gran parte riconducibili
a tre motivi: il sesso, il denaro, il movimento. Se il popolo, quel popolo,
natura , pura fisicit , l'espressione non si realizza che a significarne gli elementari bisogni e istinti. A questo si aggiunga il frequentissimo
usi di costrutti brachilogici del tipo dei famigerati li mortacci ,
vaffan... e fijo de na mignotta che si adattano, proprio per la loro
polisemanticit, a qualunque occasione e a risolvere qualunque situazione.
L'insistenza pu essere fastidiosa (a un certo punto anche un cagnolino

un fijo de... ), ma scientificamente la si deve registrare. Senza


considerare per forza che quel linguaggio fastidioso perch quel mondo
fastidioso.

Ma il filologo Pasolini, a un certo punto, com' suo costume, si appassiona a quel gergo e cosi per puro, questa volta, amore di filologia,
sembra volerci informare che, per esempio, prostituta in quel gergo
si pu dire in quattro o cinque modi. Tanta disponibilit di sinonimi
potrebbe, anche, essere tipico di quei ragazzi di vita; ma stupisce, di contro,
la univocit per significare altre cose. Cos come non riusciamo a
spiegarci, se non, appunto, con il puro interesse filologico, per esempio,
questo passo: fece il Riccetto schioccando con la bocca. "Ih li zeeeeppi",
fece poi, guardando sull'acqua, "li zeeeeppi! Sul pelo della corrente
passavano un po' di rottami, una cassetta fraccica e un orinale (p. 11).
Zeppi , c'informa l'autore, vuol dire stecchi ; e di stecchi un fiume
ne trasporta tanti, certo molto di pi che non rottami, cassette fracciche
e, sopratutto, orinali; il Riccetto, inoltre, non andava proprio in cerca di
uno zeppo . Evidentemente deve essere una parola interessante .
Si veda, ancora: poi, dopo un po', ciondolando pieni di fiacca, s'alzarono
e come un branco di pecore si spostarono, su verso lo spiazzo di sabbia
sotto la cannofiena, davanti al galleggiante (p. 17).

In un contesto in lingua, tutt'altro che insidiato da urgenze dialettali,


si stacca, con studiata evidenza, la ~ cannofiena , cio l'altalena. ~ un
esempio, anche, di quella contaminazione tra dialetto e lingua che
senz'altro l'artificio pi usato nel romanzo e, anche per questo, il pi
rischioso. Si veda quest'altro pezzo :

An vedi questi! , grid per esempio il Caciotta squadrandosi una donna


bella alta con un sedere cfie non finiva mai, che veniva gi assieme a un bassetto quattr'occhi: quando gli passarono davanti struscinandoli il Riccetto e il
Caciotta ghignando e piegandosi fin quasi a toccar terra con le froce del naso,
cominciarono a fare Pffff, pffff , sputacchiando come due caccavelle. Il
quattrocchi si volt di trequarti: e quelli allora chi li resse pi?, guardandosi
negli occhi e piegandosi come pupazzi, sbottarono a sganassare a callara. Che
fforza! , gridava il Caciotta. Ma una madama veniva proprio diretta verso di
loro, e allora loro, taja!, partirono di corsa, tutti allegri, su verso Villa Borghese... (pp. 71-72).

i~ un pezzo di bravura, a vari livelli di lingua: volgare, gergo di


borgata, gergo pi comune ( quattrocchi , madama ); c' persino
l'onomatopea. Un altro pezzo di bravura, ma questa volta tutto in dialetto,

il racconto di Caciotta dell'avventura col cocommeraro (pp. 89-90).


Una trovata , a meno di occultatissimi significati allegorici, la zuffa
dei cani (pp. 190-91 ) che mentre si guardano furiosi o si azzannano,
38 pensano con le parole dei ragazzi di vita, cui appartengono.

Se facile giustificare il gergo nei dialoghi, e non solo nei dialoghi,


la qual cosa risponde a una scelta di poetica, non altrettanto facile
giustificare e giudicare la contaminazione , che soddisfa piuttosto a
esigenze di gusto e di invenzione. Il rapporto lingua-societ che si risolve
nel dialetto, non si pu porre con altrettale precisione a proposito della
contaminazione : l c' una mimesi che trascrizione, o quasi

qui una intersecazione di livelli linguistici di cui impossibile individuare


i riferimenti.

Possibile, invece, individuare la funzione della lingua , quella dello


scrittore. Dovrebbe consentirgli di emergere dal mare della fisicit del
gergo e del dialetto e collocare la materia alla giusta distanza. A parte
i passi che obbediscono alla necessit di portare avanti la narrazione nei
luoghi per cos dire neutri, in genere la lingua adoperata (come il dialetto su altri) su tre motivi principalmente: il paesaggio, l'umorismo e la

tenerezza. Il primo certamente pi oggettivo degli altri.

Il paesaggio cittadino , quasi sempre, la borgata: la sporcizia, la


polvere il sole, il fango, le case miserabili, le baracche; violento come chi
le abita, in una precisa identificazione. Ci sono delle concessioni al gusto
se di gusto si pu parlare, del tipo: i muraglioni che al calore del sole
puzzavano come pisciatoi >~; L'aria era tirata e ronzante come la pelle
d'un tamburo; le pisciate anche appena fatte, che rigavano il marciapiede,
erano secche; i mucchi d'immondezza si sfregolavano abbrustoliti e senza
pi odore. A fare odore erano solo le pietre e i bandoni ancora caldi del
sole , dove natura, paesaggio e vita si contagiano vicendevolmente.

Il paesaggio naturale vede molto spesso il sole, caldo, ossessivo, che


spacca le pietre e fa sturbare i ragazzi che non mangiano dal giorno
prima. Ma spesso anche la sera, la notte: Da una parte il cielo era
tutto schiarito, e vi brillavano certe stellucce umide, sperdute nella sua
grandezza, come in una sconfinata parete di metallo, da dove, sulla
terra, venisse a cadere qualche misero soffio di vento (p. 99). ~ un
cielo lontanissimo, estraneo alle vicende della borgata, come un cielo
d'un' altra vita. L'enorme scatolone con tutte le finestre illuminate,
s'alzava solo in mezzo al cielo, dove qualche stella tristemente brilluc-

cicava. La Elina stava rintanata l dietro, vicino ai reticolati o le fratte


che circondavano i terreni lottizzati, ridotti ancora a enormi depositi
d'immondezza, con intorno o in mezzo qualche tugurio e qualche mucchio di breccia (p. 110). Qui il cielo quasi nascosto dall' enorme
scatolone , dagli enormi depositi di immondezza , testimonianze inumane d'una vita inferiore; si noti, peraltro, la raffinata e intenerita preziosit di brilluccicava . La luna era ormai alta alta nel cielo, s'era
rimpicciolita e pareva non volesse pi aver che fare col mondo, tutta
assorta nella contemplazione di quello che ci stava al di l. Al mondo,
pareva che ormai mostrasse solo il sedere; e, da quel sederino d'argeGto,
pioveva gi una luce grandiosa, che invadeva tutto. Brilluccicava, in
fondo all'orto... (p. 145). Un idillio, pensoso, che l'autore, per non
commuoversi, interrompe introducendo quei sedere e sederino d'argento che sono, nonostante tutto, preziosit; ritorna l'altrettanto prezioso e tenero brilluccicava .

Il paesaggio, e attraverso di questo la lingua, quindi, molto spesso


in contrappunto discriminante con la vita di quei ragazzi, anche negli
intenerimenti lirici. E la lingua borghese , sopratutto attraverso certi
paesaggi, contribuisce a isolare nel ghetto quella vita. L'intenzionalit di questa operazione non quasi mai evidente, per quelle scivolate

liriche a cui Pasolini si lascia andare, ma anche per l'efficacia oggettivante di certe descrizioni.

L'umorismo, anche nel senso pi banale e comune della parola, e


l'ironia, sono posizioni quantaltri mai oggettivanti . Ma Pasolini
non certamente adatto a usare questi strumenti (o almeno non lo era
allora), o per eccesso di scientificit o per eccesso di amore ; per
eccesso di posizione , comunque. Piuttosto banale, anche se intiepidita da un alito di tenerezza, questa invenzione : e un capoccione
che se un pidocchio ci avesse voluto fare un giro sarebbe morto di vecchiaia (p. 8). Poi Pasolini prova a prendere in giro, un po' alla buona,
il napoletano ubriaco che ha insegnato al Riccetto un gioco di carte:
a poi riprese in mano la mano del Riccetto e ricominci coi giuramenti
d'amicizia, risalendo a certi confusi e maestosi principi generali che il
Riccetto, che aveva un'idea molto pi chiara e un piano molto pi concreto nella capoccia, faceva fatica a seguire (p. 38). Altrettanto con
delle prostitute insultate da un ragazzetto di vita: " A paragule zozze ",
gridava pi forte, a quelle che nel frattempo se ne stavano acquattate
diplomaticamente in fondo tra le fratte, in sacro raccoglimento (p. 77).
Pi riuscita, invece, l'ironia sul Lenzetta che tenta di travestirsi da ragazzo educato:

" E noi forse nun c'annamo a rubb? ", fece sempre per tirarla su
di morale, con la sua solita delicatezza, il Lenzetta, ~ semo disoccupati,
semo! " (p. 152). Non ci pare che siano aspetti insignificanti: questo
tentativo di prendere la posizione attraverso l'ironia Pasolini lo ripeter spesso successivamente. Anche in lingua sono, quasi sempre, le
espressioni intenerite per i ragazzetti: la testa tutta riccioletti , gli
occhi neri come il carbone e le guance belle rotonde di una tintarella tra
l'ulivo e il rosa , con la nuca piena di riccioletti , col suo vocino
d'uccelletto e cos via. ~ di nuovo il poeta che s'intenerisce per la fanciullezza che, anche quando malvagia, tenera. Proprio questi usi
privati della lingua sono la spia per rilevare il grado di oggettivit
del racconto.

Il capitolo che d il titolo al libro si apre con una citazione da Tolstoj: Il popolo un grande selvaggio nel seno della societ . Che il
popolo di cui parla Pasolini sia spesso, se non sempre, altra cosa di cui
parlano i sociologhi, lo ha rivelato lui stesso, ne Le ceneri di Gramsci.

un popolo senza et e senza tempo: esistenza pura, animalit pura,


ma non un'astrazione, sia pure passionale: una realt. E non man-

cherebbero le possibilit di determinarlo storicamente: il dopoguerra, le


borgate miserabili, e, prima ancora, il fascismo, e, sempre, il capitalismo
sono i fatti della storia che stanno dietro, o davanti. Ma ~< dentro quei
mondo i fatti della storia non esistono pi, perch quel popolo non
riesce a prenderne coscienza, e nessuno e nula pu fargliene prendere 4
nesio; perch in quei ragazzi non c' svolgimento di tempo, di storia:
chi si sistema esce; come Riccetto, che nella seconda parte del libro appare solo di rado e, alla fine, come testimone estraneo.

E chiaro, quindi, che Ragazzi di vita non un romanzo, anche se in


copertina c' scritto; non pu essere un romanzo, ed inutile rimproverarglielo come una colpa, se il romanzo qualcosa di speciale. Non
c' un personaggio perch anche il personaggio svolgimento, storia:
un documentario, la testimonianza di una forma di vita che l'Italia ufficiale, tutta, ignora, o vuole ignorare e che Pasolini raccoglie e presenta
con tutta la violenza della sua (di lei e di lui) passione. E di pezzi
da documentario ce ne sono moltissimi. Questo un documento di mimica gergale, con tanto di spiegazione: E senza dire niente coi polpastrelli del pollice e dell'indice si tir la pelle delle guance sotto gli occhi.
Voleva dire che era a bottega (p. 114). Le pagine 205 e 206 sono un
esemplare squarcio di vita popolana: la lite fra due donne, ancorch

usato e abusato. C' pure il folklore d'un esorcismo (pp. 211-12).

Ma c' da dire, infine, che il linguaggio stesso, non poche volte,


costringe Pasolini al documento: il gergo finisce col condizionare le
situazioni, addirittura col proporle. Di qui la monotonia degli episodi, non solo delle espressioni. Per cui le situazioni diverse , nonostante le pretese di oggettivit, finiscono con l'essere quelle pi pasoliniane.

Se a Ragazzi di vita si rimproverato di non essere abbastanza romanzo


o di non esserlo proprio, a Una vita violenta si rimproverato di essere
troppo romanzo. Questa volta, infatti, c' una storia, c' un personaggio, un protagonista e c', anche, il tentativo abbastanza scoperto
di farne un eroe positivo, secondo i canoni del realismo socialista .
Addirittura questa formula ancora ideale, da precisarsi nella teoria,
da realizzarsi diventata l'unica possibile ipotesi di lavoro. Per una
44 ragione molto semplice: il socialismo l'unico metodo di conoscenza
che consenta di porsi in un rapporto oggettivo e razionale col mondo
(Inchiesta sul romanzo, cit. ).

A parte la confusione tra socialismo e marxismo a proposito del

metodo di conoscenza , c' da dire che questa teoria , se mai ha


interessato veramente Pasolini, stata subito lasciata cadere; una delle
ragioni, e non certo l'ultima, da ricercarsi proprio nell'approssimazione
teorica, frutto, piuttosto che di analisi storica, della cotta per Marx
e pi ancora, per Gramsci e la sua letteratura nazional-popolare.

La vicenda di Tommaso Puzzilli non si svolge, come quella di Ragazzi di vita, fuori dalla storia, ma ne partecipa, al livello pi basso,
naturalmente; al livello, cio, di istinto, di violenza, di disperazione, di
fede. Cos Tommasino, all'inizio, fascista: e non sent nemmeno
Tommaso che guardando Mussolini diceva: " Ecchelo, chi stato 'n'omo!
e se lo stava a filare con ammirazione, tutto malandro (p. 38). Con i
fascisti partecipa alla manifestazione contro i cecoslovacchi, violenta e
allegra, a base di insulti, pernacchie e secchi di ciufega . L'adesione di
Tommasino e dei suoi amici al fascismo naturale , connaturale alla
loro violenza: Semo sempre prepotenti e lo potemo fa'! ; Noi, la
tirannia, l'avemo potuta fa', ma a voialtri ancora nun ve riesce! , dice
Ugo, cui i partigiani hanno ammazzato il padre e il fratello, rivolto ai
comunisti. E l'anticomunismo la componente politica del fascismo
di Tommasino, e non solo del suo:

" Ma io je lo magnerebbe a loro, er core , fece Tommaso a voce


bassa, con una faccia gialla di odio. Si me dassero carta bianca a me
li metterebbe tutti co' la faccia contro ar muro! " (p.- 49).

Ma Tommaso un ragazzo di vita in crisi, perch la storia, quella


che conta, entra anche nelle borgate. ~ un'irruzione violenta, dapprima,
con le camionette della polizia, i cani, le botte, gli arresti: la battag]ia di Pietralata come dice il titolo, programmaticamente epico, del
quarto capitolo del romanzo. Tommaso non vi partecipa: era con Irene
la ragazza che s' trovato alla Garbatella. Il rischio scampato gli fa capire che necessario fare il " bravo ragazzo ", o almeno mostrare di
esserlo.

Ma la storia entra nella borgata anche in un'altra maniera: con l'INA


casa.

Tommaso s' fatto due anni di carcere per una coltellata data a uno
della Garbatella che lo aveva insultato e aggredito. Torna da bottega e
trova una casa nuova, civile :

Poi, con un nodo alla gola, per la commozione, che quasi piangeva, Tommaso

entr dentro, ingrugnato, un poco, per non far vedere quello che provava. Era
sempre vissuto, dacch se ne ricordava, dentro una catapecchia di legno marcio,
coperta di bandoni e di tela incerata, tra l'immondezza, la fanga, le cagate:
e adesso, invece, finalmente, abitava nientemeno che in una palazzina, e di
lusso, con le pareti belle intonacate, e le scale con delle ringhiere rifinite al
bacio (p. 180).

Il nuovo quartiere gli impone una nuova esperienza di vita: gente


diversa, di un'altra razza : la borghesia e la piccola borghesia. E questa presenza tutt'altro che odiosa, tutt'altro che combattuta:

Me farebbe ricarcer , stava pensando, pe sap perch li pijano pe~


stronzi! Intanto, stronzi stronzi, eccheli ll! Nun pensano a niente, giocano, se
divertono, se fanno le studentine, pzt! E c'hanno er pap che je passa 'a
grana! . Questi me sa , continu a pensare, che tra de loro nun se fanno
cattiverie... E che, conoscheno 'a vita, questi? Eppure me ce vorrebbe mischi
in mezzo a loro! Mannaggia la morte, vorrebbe pure io esse stato ammaestrato
cos, esse bravo ragazzo come loro! (p. 187).

Il sottoproletario Tommasino tende naturalmente a diventare piccolo-borghese: la casa nuova, la fidanzata, con gli impegni civili ~> e

borghesi che comportano, lo spingono a cercare una integrazione in


quel sistema dal quale, prima, era stato escluso. Cos pratica un po' la
parrocchia e chiede di segnarsi alla democrazia . ~ chiaro che
stato il sistema a chiamarlo all'integrazione, impedendo, o cercando di

46 impedire, a Tommasino di farsi una coscienza proletaria ; chiaro ed


anche oggettivo . A questo punto il romanzo poteva anche realisticamente concludersi. Ma Pasolini s'era proposto un programma ben
pi completo . Perci Tommaso si ammala di tubercolosi e viene ricoverato al Forlanini. Qui, durante una rivolta di sanatoriali appoggiata
dai ricoverati (altro documento di letteratura epico-popolare), Tommaso fa la sua scelta: aderisce alla lotta, si schiera con i compagni ,
sui quali prima aveva esercitato la sua ironia e il suo sarcasmo. Ed una
adesione violenta e istintiva, segno che la natura non s' ancora corrotta . Questo impegno d all'ex ragazzo di vita la possibilit di scoprirsi, dentro, una ricchezza nuova, un po' retoricamente: Aaaah , sospir Tommaso, so' stato ricco, e non l'ho saputo! .

Cos, appena uscito dal sanatorio, chiede di segnarsi al PCI: E


cos fu: dopo qualche giorno, Tommaso si present alla sezione, con le
due persone che dovevano fare da testimoni [...], fu segnato, pag quello

che doveva pagare: e finalmente riusc a intigne er pane dentro er sugo:


si mise la tessera in saccoccia, pronto a lottare pure lui per la bandiera
rossa (p. 277).

L'amara ironia di Pasolini ci riconduce ai motivi degli ultimi poemetti de Le ceneri di Gramsci: il distacco dloroso tra il popolo , la
povera gente e tutto il resto, Partito compreso. La disperata solitudine
di questa gente trova la sua rappresentazione nell'alluvione:

Non era successo niente: una borgata allagata dalla pioggia, qualche catapecchia sfondata, dove ci stava della gente, che, nella vita, ne aveva passate
pure di peggio. Ma tutti piangevano, si sentivano spersi, assassinati. Solo in
quel pannaccio rosso, tutto zuppo e ingozzito, che Tommaso ributt l a un
cantone, in mezzo a quella calca di disgraziati, pareva brilluccicare, ancora, un
po' di speranza (p~ 324~.

Il pannaccio rosso , gi altre volte simbolo di una disperata-speranza, ripropone tutta la mitologia popolare di Pasolini. Come la morte
di Tommaso, l'eroe dell'alluvione, eroe continuamente diseroicizzato dal
gergo e dall'autoironia. Tommaso muore per una ricaduta della malattia;
ha chiesto di morire nella casa nuova, ma il suo martirio s' con-

sumato nella borgata.

Il romanzo programmatico di Pasolini si conclude cos. Ed la


conclusione pi coerente, all'interno della logica pasoliniana. Se si
deve esprimere un giudizio su ci che Una vita violenta , e non su ci
-he non , bisogna dire, appunto, che un'opera coerente alla passione.
ai miti, e anche all' ideologia di Pasolini. Incoerenza potrebbe esserci con quei richiami che abbiamo visto al romanzo realistico-sociale
o socialista ; ma quello era un discorso pi in prospettiva che riferito
alle sue esperienze.

Una vita violenta la seconda prova di un personalissimo ciclo dei


vinti : rispetto al primo romanzo quello che c' di diverso, anche nel
linguaggio, dovuto all'allargamento degli interessi sociologici . Il
gergo di borgata, della malavita , sempre presente, ma affiancato
da un dialetto pi largo, con un vocabolario molto pi ricco; la contaminazione si sostanzia e qualifica maggiormente della componente in
]ingua; e questa ha un uso molto pi esteso. Ma permangono, anche, i
vizi del primo romanzo: i pezzi di bravura ad effetto filologico;
gli intenerimenti per le creature : Tito e Toto, i due fratellini di
Tommaso, ne fanno, pi degli altri, le spese, fino a diventare pretesto

di tenerezza; come scrive Asor Rosa sono angioletti, scesi quasi per
caso in questo inferno di baracche (Scrittori e popolo, p. 423). E si
ripropone l'ironia, come strumento di distacco, molto pi efficace che non
nel primo romanzo, e vaccino contro la piet, molto pi contenuta.

Il difetto della storia di Tommaso non la programmaticit , n,


ci pare, la scoperta programmaticit, cio la intrusione della volont dell'autore che fa violenza a un realistico svolgimento di
fatti in senso ideologico : alla sua ideologia Pasolini sempre
abbastanza coerente, a quella de Le ceneri li Gramsci, sopratutto. Il difetto nell'insorgenza continua, ma in questo romanzo meno sensibile,
della piet e della commozione e dei conseguenti luoghi comuni. Paso48 lini passato dalla preistoria mitologica di Ragazzi di vita alla storia , nel tentativo di farne un poema nazional-popolare . Non lo ha
mai dichiarato esplicitamente, a quanto ci risulta; n ci sarebbe riuscito
per l'obbiettiva ristrettezza ideologica della sua visione. Al di l di
queste, confessate o inconfessate, velleit, Una vita violenta costituisce
il tentativo di uscire dal documento amore-filologia per confrontare con
la storia una, se vogliamo, personalissima tematica.

l~assione e ideologia il titolo del volume che raccoglie i pi importanti

saggi di Pasolini, gi pubblicati su riviste o, nel caso dei primi due, La


poesia dialettale del '900 e La poesia popolare italiana, come prefazioni
ad altre opere. I saggi sono stati scritti nel decennio tra il 1948 e il 1958
il periodo pi ricco di fermenti per la poesia di Pasolini. Dei primi due
saggi si riportato l'essenziale nel primo capitolo, a proposito della
poesia dialettale; degli altri si escluderanno dall'esame le numerose analisi che, per la loro occasionalit, non ofrono sufficienti spunti di interesse generale.

Il titolo della raccolta significativo della qualit dell'impegno critico e teorico di Pasolini; il quale, tuttavia, com' sua abitudine, ne d
in una nota a fine libro, la sua spiegazione:

Passione e ideologia: questo e non vuole costituire un'endiadi (passione ideologica o appassionata ideologia), se non come significato appena secondario. N una concomitanza, ossia: Passione e nel tempo stesso ideologia .
Vuol essere invece, se non proprio avversativo, almeno disgiuntivo: nel senso
che pone una graduazione cronologica: Prima passione ~ e poi ideologia ,>, o
meglio: ff Prima passione, '~ ma poi ~ ideologia (p. 493.

Questa gradualit si specifica ancor meglio, nei suoi termini quali-

tativi, qualche rigo dopo: La passione, per sua natura analitica, lascia
il posto all'ideologia, per sua natura sintetica . L'ideologia, insomma, 49
l'inserimento nella visione storica della individuazione , della constatazione dei fatti; in particolare dei fatti letterari.

In questo senso una analisi, pi che una sintesi, appare il saggio sul
Pascoli nel quale il tentativo di una visione storica appena accennato.
Per cui l'interesse di queste pagine tutto nell'esame della figura poetica
del Pascoli nelle sue componenti psicologiche e stilistiche:

Nel Pascoli coesistono, con apparente contraddizione di termini, una ossessione , tendente patologicamente a mantenerlo sempre identico a se stesso,
immobile, monotono e spesso stucchevole, e uno sperimentalismo che,
quasi a compenso di quella ipoteca psicologica, tende a variarlo e a rinnovarlo
incessantemente In altri termini coesistono in lui, per quanto meglio ci riguarda,
una forza irrazionale che lo costringe alla fissit stilistica e una forza intenzionale che lo porta alle tendenze stilistiche pi disparate (p. 270).

La lezione pascoliana ha esercitato su Pasolini ben pi di una suggestione stilistica, sopratutto nelle prime poesie, sia in friulano sia in
lingua, come, del resto, su tutti i poeti del '900; ma, accettando per

buono quel giudizio, si deve pensare che la suggestione si sia esercitata,


nonostante la riluttanza di Pasolini, molto pi in l. E, se si rilegge la
conclusione del saggio, tale sospetto diventa pi consistente:

Per concludere: la convivenza [...], nel Pascoli dell'ossessione e delle


tendenze risolve l'apparente inconciliabilit [...1 col prevalere della prima
sulle seconde: in modo che l'allargamento linguistico prodotto da queste ultime
--in senso innovativo e per definizione antipetrarchesco-- solo quantitativo,
in fondo: non l'allargamento linguistico di un Manzoni o di un Verga: dovutc
com', questo, a un realismo di origine ideologica, a una visione del mondo
presupponente un punto di vista portato fuori dal mondo [...] Nel Pascoli
quell'allargamento linguistico sempre in funzione della vita intima e poetica
dell'io, e, quindi, della lingua letteraria, nel suo momento centralistico e in
definitiva ancora tradizionale (p. 275).

Il rischio di accettare quel sospetto lo fa correre al lettore lo stesso


Pasolini, e non certo per un inconscio complesso pascoliano , quanto

50 per l'assenza di quella sintesi , di quella ideologia che gli avrebbe


consentito di caratterizzare e, quindi, di distinguere storicamente
l'esperienza pascoliana.

Pi valido, appunto perch pi sintetico il giudizio che esprime


su Gadda, nel quale la soluzione linguistica vista come conseguenza di
una crisi storica. Anche in Gadda, quindi, l' ideologia succede a una
passione : La sua angoscia--che angoscia sociale-- dunque
senza rimedio--e il suo stile sar sempre uno stile tragicamente misto,
ossessionato, poich egli, accettando le istituzioni che crede buone,
costretto a infuriarsi senza requie contro gli istituti effettualmente cattivi (p. 323).

Sbaglia per quando afferma che la sua [di Gadda] funzione non
critica perch mancherebbe della speranza prospettivistica . E non
coerente sopratutto se si tiene conto delle polemiche contro il prospettivismo del realismo socialista e del PCI.

Dal saggio Osservazioni sull'evoluzione del '900 incomincia senza


clubbio la parte pi interessante della raccolta: qui si vede la passione che determina l' ideologia . L'occasione nasce dal problema se
Ci sia O no una nuova cultura. La risposta di Pasolini problematicamente affermativa:

Oggi una nuova cultura, ossia una nuova interpretazione intera della realt
esiste, e non certamente nei nostri estremi tentativi di borghesi d'avanguardia
nello sforzo sempre pi inutile di aggiornare la nostra: esiste, in potenza, nel
pensiero marxista; in potenza, ch l'attuazione da prospettare nei giorni in cui
il pensiero marxista sar (se questo il destino) prassi marxista nella storia
di una nuova classe sociale organizzante la vita. Ma bench in forma potenziale
esiste, agisce, gi oggi, se quel pensiero marxista determina, nei nostri paesi occidentali, una lotta politica e quindi una crisi nella societ e nell'individuo:
esiste dentro di noi, sia che vi aderiamo, sia che la neghiamo; e proprio in
questo nostro impotente aderirvi, e in questo nostro impotente negarla (p. 330).

L'interesse del passo non solo nella poetica amarezza di quell'impotenza; il motivo l'abbiamo gi incontrato (d'altronde la data del
saggio, 1954, la stessa del poemetto Le ceneri di Gramsci); l'interesse
sopratutto nella equazione che si pu incominciare a - stabilire: crisi
nella societ = crisi nella poesia. Difatti una nuova cultura e, quindi.
una nuova poesia non pu essere altro che il prodotto di una nuova
societ ; in assenza di questa la crisi. E in questa crisi l'occasione
per la poesia, per una nuova poesia:

Ma a noi questa situazione in cui viviamo quotidianamente, di scelta non

compiuta, di dramma irrisolto per ipocrisia o per debolezza, di falsa distensione , di scontento per tutto ci che ha dato una sia pur inquieta pienezz~
alle generazioni che ci hanno preceduto, sembra sufficientemente drammatica
perch possa produrre una nuova poesia (p. 330).

~ questo il discorso che ci rivela il significato particolare di ideologia in Pasolini: ideologia = poetica.

Lo troviamo confermato in un saggio di tre anni pi tardi: La confusione degli stili. Scartate le soluzioni di un realismo del concretosensibile , della vita quotidiana, di un realismo prospettivistico ,
che cosa sembrerebbe pi coerente che mettere l'accento su quella
crisi?:

sulla divisione interna, che, separando il mondo politico-sociale in due parti


--la borghese, attuale, e la socialista, futura, ma operante gi nelle coscienze-viene a separare, o almeno a incrinare, ogni particolare di quel mondo, ogni suo
fenomeno? Seguire, drammaticamenEe, il serpeggiare di quella linea divisoria, di
quella sutura, di particolare in particolare, di superficie interna in superficie
interna, di pagina in pagina, di stilema in stilema? (p~ 348).

Ma la contemplazione ~ di questa divisione non possibile; ne


possibile, invece, il pensiero . E allora non resta che cercare al di
l della divisione , l dove si trova l' " anima " del tempo : Nel
dramma, nel dolore della divisione: da attingere--se ci lecito moraleggiare un poco -- attraverso una grande intransigenza interiore o
una grande piet per il mondo esterno (p. 349).

L'ultimo saggio della raccolta, La libert stilistica , nella linea dei


52 precedenti, ancora pi intimo, ancora pi rispondente a quel processo
di riduzione di una crisi storica a crisi privata e viceversa. E
diciamo viceversa non perch non sappiamo quale differenza ci sia
nella diversa posizione dei due termini, ma perch cos ci pare che sia in
Pasolini: la crisi storica determina la crisi privata, la quale, a sua volta,
la alimenta incessantemente, proprio per quella volont di non scegliere . Lo spirito filologico , all'inizio aspirazione , quasi ispirazione ; poi strumento di una diversa cultura , in continua lotta per
adattare il periscopio all'orizzonte e non viceversa , presiede anche
all'atteggiamento politico, al di~icile, doloroso e anche umiliante atteggiamento d'indipendenza, che non pu accettare nessuna forma storica e
pratica di ideologia, e che insieme soffre come d'un rimorso, d'un indistinto e irrazionale trauma morale, per l'esclusione da ogni prassi, o

comunque dall'azione (p. 491).

~ l'ennesimo, doloroso, esame di coscienza; non certo compiaciuto;


ma sterile. Nonostante sia la strada delle sperimentazioni che con
quella libert il poeta percorre, una strada d'amore . La quale
ultima parola, collocandosi come esponente alla relazione passione e
ideologia , finisce col motliplicarne all'infinito i valori irrazionali.

In Al dagli occhi azzurri, pubblicato nel '65, Pasolini ha raccolto una


ventina di lavori e di abbozzi di lavori scritti tra il 1950 e il 1964: una
vera carriera poetica. I1 1950, s' visto, stato un anno fondamentale
per Pasolini: l'anno del suo inserimento a Roma. E Roma il nume ,
il demone di questa raccolta, sopratutto nella prima parte; come di
~ranco Citti, che della Roma sottoproletaria di Pasolini stato, poi,
l'interprete, il demone che percorre questo libro (p. 515).

La scoperta e la conoscenza di Roma, la ricerca di una lingua e di


uno stile che esprima quella conoscenza sono i motivi che giustificano la
prima parte del libro. Gli stessi titoli di alcuni pezzi sono program- 53
matici: S~uarci di notti romane, Notte sull'ES, Studi sulla vita del Testaccio, Appunti per un poema popolare, Dal vero, ecc. Roma, s' detto.

Ma una Roma gi subito pasoliniana. Gi nel primo saggio , Squarci


di notti romane, protagonista non la metropoli, varia, composita, divisa; con i suoi quartieri, le piazze, le vie, la gente; protagonista la
Roma degli orinatoi , degli odori : una Roma degradata ad animalit fisiologica, quasi la proiezione della borgata e della sua vita nella
citt. ~ infatti la topografia di Roma sopratutto una topografia morale.
A San Lorenzo la delinquenza ha un sapore trasteverino: ma piu
squallido. C' intorno pi vita borghese. Quindi pi vizio. Le cose si
fanno pi di nascosto, come in una citt di provincia (p. 77). Coerentemente con questa Roma, l' interprete , il testimonio , il romanziere non potr che essere uno sfiatatoio , questo tubo di scarico,
questo apparecchio ricevnte e trasmittente attraverso al quale la Roma
innominabile trova una via di espressione (p. 12): colorita immagine
della mimesi .

E Gabbriele, primo ragazzo di vita la prima esperienza umana


che Pasolini fa in questa Roma. La scelta, quindi, subito fatta. Ora
necessario approfondire la conoscenza e i modi per tradurla, da buon
apparecchio ricevente e trasmittente . La conoscenza continua attraverso Rafele, che fa ritrovare a Pasolini la imrnagine cara del fanciullo
innocente-perverso:

Il bambino poi tace, mentre come due ladri risalgono la scala; e sta anzi
quasi per piangere. Ha paura che il notaio se ne vada senza dargli niente. Non
ha il coraggio di chiedergli i soldi, e perci il mento quasi gli trema e gli si
formata una accigliata, furiosa ombra nell'arco delle sopracciglia, nella bocca.
Ma il notaio caccia tre fogli da cento; cerca poi di~6alutarlo affettuosamente,
ma Rafele intascando le piotte corre gi verso ponte Sisto senza neanche guardarlo
in viso, tanta la distanza tra la vecchiaia del notaio e la sua infanzia (p. 75).

Attraverso il Romanino, ma in termini pi scientifici : Vive dentro di lui una vita " doppia di lenza, un patrimonio di convenzione
54 rionale: una assoluta mancanza di piet. L'istinto di difesa ha compiuto

in lui, debole, un irrigidimento insolubile, ormai non pu pi tornare


indietro dalla sua immoralit, dal suo inconscio e tremendo pessimismo
(pp. 83-84).

Ma anche la registrazione fisica , mimetica, si consostanzia immediatamente del sentimento pasoliniano:

Uno, che dei suoi coetanei sconosciuti chiamano A ricce' , per doman-

dargli del fuoco, appoggiato allo stipite della porta, sta aspettando il suo turno:
ha le gambe col lungo, leggero, e castigato calzone domenicale, incrociate, e
il grembo, cos casto dentro quel calzone senza un'ombra nel grigio, un po~
spinto in avanti, abbandonato come sta con le spalle allo stipite, e il torace
sottile inguantato in un maglione di lana nera [...] Il viso d'un bruno quasi
cinereo, equino, un po' scavato. Espressione di avidit, frigida e scattante, la
calma ostentata... (p. 89).

Il riccetto in questione il Riccetto di Ragazzi di vita; come


l'Amerigo delle pagine successive l'Amerigo del romanzo. Sono questi,
infatti, gli anni in cui Pasolini sta pensando e scrivendo Ragazzi di vita.
Ed significativo che questo pezzo s'intitoli Appunti per un poema
popolare, testimonianza dell'incontro col Gramsci nazional-popolare e
di certe velleit poi rientrate.

Nello stesso tempo va avanti la ricerca stilistica, anche se la direzione, il dialetto, gi indicata dalla scelta dei contenuti. Tuttavia ci
sono altri esperimenti , come ne Il biondomoro, una satura in cui la
mescolanza di prosa e di versi, di poesia in prosa o viceversa, di lingua
di dialetto, di contaminazione obbedisce a esigenze a volte squisitamente, a volte impacciatamente letterarie e in cui certi miti si dichia-

rano pi esplicitamente che altrove: zozzo di innocenza il ragazzo del


rione , o si dilatano in preziose strutturazioni: Innocenza, silenzio del peccato, / peccato, silenzio dell'innocenza sua, / vita, silenzio
della morte, / morte, silenzio della vita sua, / zozzo ner sole del Rione, /
puro nel sole del Rione (p. 43).

Un altro esperimento Gas, relitto d'un romanzo umoristico , in


cui un professor Giubileo vive una sua serie di esperienze piuttosto
ambigue, e non tanto in senso morale quanto in senso poetico, cariche,
pi o meno, come sono, di allusivit e di vago pirandellismo. N l'umorismo fa certo una prova brillante, data la obbiettiva carenza o di simpatia o di odio nei confronti del personaggio.

Ma la ricerca di Pasolini tutta rivolta al dialetto e i lavori successivi, posteriori anche a Ragazzi di vita e a Una vita violenta, si possono
considerare le prove migliori. La tecnica del racconto, innanzi tutto,
cambiata: non pi il bozzetto, ma la rappresentazione , nei personaggi, della vicenda. Si tratta, infatti, di vere e proprie sceneggiature, se
non altro nell'impostazione, tre delle quali, poi, realizzate in altrettanti
film: La notte brava, Accattone, Mamma Roma e La ricotta. A1 cinema
Pasolini non approdato soltanto perch sfiduciato dalla letteratura: il

segno-oggetto al posto del segno-parola , come dice Siciliano; n solo


perch il pubblico del cinema pi vasto del pubblico del libro e, quindi,
pi adatto ad essere quella nazione-popolo cui il messaggio nazionalpopolare deve rivolgersi;la vocazione alla regia in Pasolini nel suo sperimentalismo. E proprio nel periodo pi sperimentale, nella prima parte
di Al dagli occhi azzurri, troviamo delle didascalie di questo tipo:

Su Testaccio si vedr sempre un cielo caliginoso e allucinato. Tepore primaverile ancora gelido; vernice.verde degli alberi macchiati dal viola o dall'indaco
di alberelli da frutta, con grazia da paesaggio giapponese. Panoramica iniziale
--dall'alto, come in qualche classico del cinema francese, Ren Clair: Porta
Portese, Riformatorio dei minorenni--di uno stinto, solido barocco romano-lungoteveri alti, deserti. Ma questo di scorcio: l'obbiettivo si fermer subito
contro la riva di Testaccio... (p~ 81).

i~ un brano del '51; il primo film Pasolini lo girer un decennio


pi trdi.

D'altra parte la tendenza a rappresentare negli altri il suo messaggio o non messaggio o, comunque, una sua interpretazione, sembra
essere la tendenza dell'ultimo Pasolini che, sappiamo, ha scritto ultima-

mente alcune tragedie in versi, non ancora pubblicate (escluse Pilade e


56 AD~abulazione), nelle quali i personaggi gli fanno da interposta persona . La rappresentazione , qundi, non solo obbedisce a esperimenti
di maggiore obbiettivit della realt esterna, ma anche della realt
pi intima.

Tornando alle quattro rappresentazioni ~ di prima, l'adozione del


dialetto nelle battute del dialogo e della lingua nelle didascalie elimina il
rischioso ed equivoco procedimento della contaminazione , fissando in
una loro disperata autonomia, di lingua e di azione, i personaggi. Ed
sopratutto da questo tragico isolamento di uomini, di cose, tra impassibili,
o quasi, descrizioni di esterni o di azioni (tranne i soliti intenerimenti per i piccoli, gli agnellini , come per la creatura di Nannina) che nasce quella forza disperata da epopea popolare che in Accattone, sopratutto. In quel ghetto dove le parole e le azioni esprimono,
rappresentate, ironia, sarcasmo, violenza beffarda, vigliaccheria, disperazione, malvagit; in quel mondo di papponi , di prostitute, di innocenza anirnale e di violenza animale, Accattone interpreta, fino in fondo,
la sua parte di allegro e disperato eroe popolare; e come tutti gli
eroi, alla fine, muore; e nella morte trova la sua pace: Aaaah... Mo
sto bene! .

Tutta la parte di Accattone, chiaro, costruita ; sopratutto alla


fine: La motocicletta era fracassata contro la parte davanti di un camion.
Accattone stava lungo, sanguinante, sul marciapiede, nel posto dove poco
prima lui e gli amici avevano tanto riso (p. 362): muore, cio, proprio dove prima era stato allegro ; ma costruita , ci pare, coerentemente; e non a una realt, per obbiettiva che sia, ma alla realt che
l'autore ha scelto e riproposto drammaticamente. Questa drammatizzazione della vicenda, fuori da ogni programma , libera da ogni volont d conoscenza, comporta sempre una riduzione al mito popclare
di Pasolini, ma proprio perch rappresentata acquista una sua autonomia impedendo di per s, e quindi obbiettivamente , e quindi poeticamente gli interventi privati dell'autore, la qualcosa ha sempre costituito un limite alle realizzazioni di Pasolini.

Mamma Roma ha, gi nel titolo, il programma della sua epicit: 57


un mondo, una forma di vita che lotta per superarsi, per migliorarsi.
I,'oggetto di tanto amore Ettore, il figlio della prostituta, al quale
Mamma Roma vuole dare un'altra forma di vita: la vita onesta del
piccolo borghese. Ma la natura ha le sue leggi: Ettore, figlio di un
mondo, non riesce, come altri prima di lui, ad integrarsi in un altro ;>

mondo: si ribella, va a rubare in un ospedale, viene preso. Finisce, legato


su di un letto di cemento:

Si agita inutilmente, proprio come un animaletto pestato, che non sa come


perch, chi l'ha pestato, e crede ingenuamente che agitandosi possa ottenere
qualcosa--la vita di sempre che ha appena riconosciuto, e perduto. Cos quelle
mutandine bianche, sulla pancia che si contorce, si tira, ricade gi, si rialza
smaniando, sono come uno straccio che si agita appena appena un po~ pi
bianco nel biancore brutale dell'alba (p. 464).

Il simbolismo, si potrebbe dire, scoperto. Ma a parte il fatto che non


detto che, questo, necessariamente, debba essere una colpa poetica;
che la rappresentazione ha incontrato un limite, in se stessa, e l'autore
intervenuto, dall'esterno, a concludere, un po' come un deus ex machina.
D'altra parte anche Mamma Roma, alla fine, nel suo delirio disperato,
uscita dalla rappresentazione .

Un equilibrio perfetto, invece, tra rappresentazione e significato ,


pi o meno simbolico, ci pare sia stato realizzato da Pasolini ne La ricotta;
parliamo del testo letterario; ma del film, nonostante le polemiche, il processo per lo scandalo , si pu dire la stessa cosa. Stracci, il poveraccio

che fa da comparsa, in un film di cassetta, nella scena della crocifissione,


un uomo alle prese con il problema elementare della sopravvivenza:
mangiare; in un'altrettanto elementare incoerenza di vita: Io nun te
capisco: mori sempre de fame, e sei dalla parte dei signori che te fanno
mor de fame! , gli dice il Cristo beffardo, inchiodato a fianco a lui.
Ma Stracci, in quella falsa, e perci empia , scena della crocifissione
l'unica natura vera . Empia, sacrilega, falsa non Maddalena che fa lo
spogliarello davanti al poveraccio in croce, tra le risate delle comparse che,
58 prima, avevano ripetuto l'oltraggio dell'offerta all'affamato innalzato sulla
croce; empio, perch falso, tutto ci di vero che circonda Stracci;
il regista prima di tutto: In mezzo a uno spiazzetto seduto sulla sua
sedia da spiaggia. i~ assorto nei suoi sublimi pensieri ( Cinema nuovo ,
Antonioni, ecc.). Si riscuote dalla sua sublime meditazione e, a bassa voce,
quasi sofferente, mormora: " La corona " (p. 468).

La falsit del personaggio qui descritta un po' dall'esterno; risulta


molto meglio rappresentata nell'intervista con l'inviato di Tegliesera, nella
quale Pasolini prende in giro, anche, se stesso e tutto l'artificioso bagaglio
di cultura che si porta appresso. E come il regista sono tutti quelli che
assistono, falsi, alla crudele verit che si sta rappresentando in quella
scena; e, pi di tutti, quelli che arrivano alla fine, a godersi lo spetta-

colo: i signori , i padroni col naso in alto, delusi, visti come


dalle croci, che storcono la bocca accorgendosi, da quello sciopero, che
Stracci " esisteva " (p. 487). Stracci, che sciopera , che non risponde
pi all' azione , morto sulla croce per indigestione, la scandalosa verit di quella scena. E il compatimento, vizio antico di Pasolini,
assente; c' solo la piet che viene da una dolorosa, rappresentata
verit.

Il penultimo capitolo del libro costituito da una poesia che ha dato


il titolo all'opera: dedicata a Sartre che aveva raccontato a Pasolini
la storia di Al dagli occhi azzurri. ~ proposto il nuovo motivo del poeta
civile : non pi il sottoproletariato che cinge Roma d'assedio sar protagonista della sua , e perci vera rivoluzione, ma il Terzo Mondo,
i poveri, i servi dell'Africa, dell'Asia, dell'America Latina, che trascineranno con s i fratelli diseredati dell'Italia, dell'Europa, dell'America
ricca: deponendo l'onest / delle religioni contadine, / dimenticando
l'onore / della malavita, / tradendo il candore / dei popoli barbari-~/
dietro ai loro Al / dagli Occhi Azzurri--usciranno da sotto la terra
per uccidere--/ usciranno dal fondo del mare per aggredire--scenderanno / dall'alto del cielo per derubare / e prima di giungere a Parigi /
per insegnare la gioia di vivere, / prima di giungere a Londra / per

insegnare a essere liberi, / prima di giungere a Ne~v York, / per insegnare


come si fratelli--distruggeranno Roma / e sulle sue rovine / deporranno il germe della Storia Antica. / Poi col Papa e ogni sacramento /
andranno su come zingari / verso nord-ovest / con le bandiere rosse /
di Trotzky al vento... (p. 493).

I1 mito della plebe nazionale, pi che sostituito, integrato in quello


della plebe universale. Le esperienze dei viaggi, in India, in Africa, hanno
consentito a Pasolini di verificare a un livello enormemente pi largo la
sua conoscenza del mondo. La profezia di Pasolini, a parte il riferimento meta-politico alla rivoluzione permanente ed esportata, si inserisce, d'altra parte, nel clima di attenzione verso il Terzo Mondo
tipico degli anni sessanta. Ma per Pasolini stata, sopratutto, un'accensione d'amore, come sempre. Per questo, pi tardi, ha potuto, e dovuto,
rinnegarla:

Perch rinnego questa profezia? Perch mentre allora ero solo e ridicolo a
farla, oggi divenuta merce comune: ma questo non significa che io presuntuosamente voglia attribuirmi il monopolio di certe idee e la prerogativa ad
appassionarmene: no, vuol dire che quella profezia era giusta allora ma in
quanto era sbagliata; era un capriccio vitale e fecondo della passione politica

un rovesciamento voluto e cosciente del buon senso del futuro. Perch dunque
il' fatto che tale speranza posta ndla potenzialit rivoluzionaria dei contadini del
Terzo Mondo ora sbagliata? Perch non guardata in prospettiva rivoluzionaria (Intervista a F. Camon, pp. 132-33).

Non si tratta pi del tradimento ~> d'un'anima rivoluzionaria, come nel


'56, come ne Le ceneri di Gramsci: si tratta d'un'operazione ben pi ingiusta, perch distorce una natura . ~ un motivo, questo, che stato ampiamente illustrato da Pasolini stesso nell'intervista all'inizio di questo libretto.

Rital e Raton l'ultimo esperimento della raccolta: un saggio,


pi che un racconto, percorso continuamente da brividi, da sussulti
di mitologia privata, di sociologia, di descrizioni, di considerazioni. In
un contesto cos drammaticamente, ma nel linguaggio pacatissimamente
sconvolto si muove la presenza inquieta e inquietante di Brahim, il giovane arabo che gira per Parigi portando dentro di s, e cercando, qualcos'altro . La spiegazione del titolo pu servire a comprendere il simbolismo o, pi modestamente, l'allusivit di certe situazioni: gli arabi sono
chiamati dai razzisti francesi " raton ". E gli italiani per le stesse ragioni
sono chiamati " rital " (p. 508). La presenza di Brahim, un raton ,
dunque, incute una paura come se la presenza di altri destini minac-

ciasse i nostri (p. 494). Brahim, insomma, il portatore della crisi; colui
che, se accettato, sconvolgerebbe tutto. Un preannuncio di Teorema.

Le due raccolte di poesie degli anni '60, La religione del mio tempo
(1961) e Poesia in forma di rosa (1964) indicano, accanto a frequenti
ritorni, e spesso veramente fastidiosi, ai motivi della poesia precedente,
un nuovo atteggiamento di Pasolini di fronte alla realt. La storia, la
civilt borghese hanno preso definitivamente il sopravvento su di lui,
come realt che si impone con tutto il peso della sua volgarit, della sua
ipocrisia, della sua corruzione. Costretto, Pasolini deve rinunciare ai suoi
miti, alla sua piet, al suo amore; solo l'impotenza rimane, ma non uguale:
una volta era dolorosa, chiusa; ora diventa rabbiosa. Ma lo sforzo della
rabbia non pu durare: una tensione insostenibile a lungo, nel cuore e
nella poesia; al suo esaurimento succede l'ironia e, pi ancora, l'autoironia. Come se il distacco dal mondo amato cos soffertamente, l'aggressione del mondo borghese di cui, purtuttavia, egli ed sempre stato
parte, lo costringano a guardare se stesso pi da vicino, o pi da lontano,
a vedersi qual' e quale appare, o, peggio ancora, quale deve essere:
un donchischiotte di tre anni .

Nella prima raccolta, La religione del mio tempo, i ritorni ai vecchi

motivi sono pi frequenti; nel poemetto La Ricchezza riproposto il


mondo della borgata, quello giovanile, allegro, insolente, violento; e
quello adulto, abbrutito dal feroce Frascati , dalla malattia, dalla miseria; riproposto il sesso, consolazione della miseria , con immagini
a volte veramente urtanti per la loro retorica, che il realismo del linguaggio, altrettanto retorico, non pu che appesantire: La puttana una regina, il suo trono / un rudere, la sua terra un pezzo / di merdoso
prato, / il suo scettro / una borsetta di vernice rossa: / abbaia nella
notte, sporca e feroce / come un'antica madre: difende / il suo possesso
e la sua vita . Poi tocca ai magnaccia e a tutti gli altri rifiuti del
mondo .

Ma il motivo ricorrente, pi degli altri, quello della ricordanza ,


strutturato spesso con la meccanica sentimentale propria del Leopardi di
Vaghe stelle dell'Orsa: la realt presente richiama, per contrasto o per
analogia, la realt passata, o il sogno passato. Cos la proiezione al Nuovo di Roma citt aperta rievoca la luce della Resistenza, il fantasma
del fratello partigiano, e il dolore di scoprire, ancora una volta, che tutta
quella luce, / per cui vivemmo, fu soltanto un sogno / ingiustificato,
inoggettivo, fonte / ora di solitarie, vergognose lacrime (Lacrime). Per
quanto sincero sia qui, e altrove, Pasolini d l'impressione di uno smar-

rimento querulo , come dice Asor Rosa, di una incapacit di uscire


dalle modulazioni della piet. E il poeta stesso pare accorgersene, se non
a livello di coscienza critica, almeno a quello di volont: mi sforzo a
capire ogni cosa, ignaro / come sono d'altra vita che non sia / la mia,
fino perdutamente a fare // di altra vita, nella nostalgia, / piena esperienza: sono tutto piet, / ma voglio che diversa sia la via / del mio
amore per questa realt (La religione del mio tempo).

Una poesia civile che sia religiosa, com' nelle ambizioni del poeta,
non pu continuare per la strada dell'elegia, lacrimevole o no. E cos
anche lo stile s'innalza, l'andamento della poesia si fa pi sostenuto
anche se con i modi pi tradizionali della buona retorica, come nelle intonazioni delle frequentissime imprecazioni : Guai a chi non sa che
borghese / questa fede cristiana, nel segno // di ogni privilegio, di
ogni resa, / di ogni servit; che il peccato / altro non che reato di
lesa // certezza quotidiana (ibidem), con quell'esordio guai ripetuto per la settima volta in otto terzine.

Ma anche qui, nel poemetto che d il titolo alla raccolta, il processo


della ricordanza leopardiana visibile: due ragazzi, poveri, allegri
cristi quattordicenni sono l'occasione per riandare al tempo finito del

Friuli, della semplice, innocente, dolce-violenta religione del Friuli; e questo ricordo acuisce il dolore nella visione della Chiesa presente: tutto
distrugge la volgare fiumana // dei pii possessori di lotti: / questi cuori
di cani, questi occhi profanatori, / questi turpi alunni di un Ges corrotto // nei salotti vaticani, negli oratori, / nelle anticamere dei ministri,
nei pulpiti: / forti di un popolo di servitori . La corruzione della Chiesa
si poggia sulla vilt del tempo, che essa stessa ha provocato; vilt
di borghesi grandi e di borghesi piccoli, brulicanti intorno a un benessere / illusorio ; vilt che paura , mancanza di vera passione ;
cio irreligiosit .

A volte pare che la vera colpa della Chiesa sia quella di non aver
saputo corrispondere ai sogni del poeta, al dolceardente usignolo della
chiesa cattolica; a volte, come nell'epigramma A un Papa, scritto per
la morte di Pio XII, quelle colpe si concretizzano, in un tono di oratoria
profetizzante e anatemizzante: Migliaia di uomini sotto il tuo pontificato, / davanti ai tuoi occhi, son vissuti in stabbi e porcili. / Lo sapevi,
peccare non significa fare il male: / non fare il bene, questo significa
peccare. / Quanto bene tu potevi fare! E non l'hai fatto: / non c' stato
un peccatore pi grande di te . ~ il passaggio dal poemetto epico-lirico
all' epigramma , dall'elegia all'invettiva, in una progressiva, diversa ac-

quisizione di dati reali alla poesia, che lo porter all'approdo disperato della rabbia . La realt che ora gli si impone tanto diversa da
quella antica: il popolo non pi: la massa , ora, al suo posto:
Altre mode, altri idoli, / la massa, non il popolo, la massa / decisa a
farsi corrompere / al mondo ora si affaccia, / e lo trasforma, a ogni schermo, a ogni video / si abbevera, orda pure che irrompe / con pura avidit, informe / desiderio di partecipare alla festa. / E s'assesta l dove il
Nuovo Capitale vuole (Il glicine).

Non serve pi, ora, il suo offeso angosciarsi : fallito il suo privato sogno di amore. E da questo fallimento non potr che nascere una
disperata rabbia che proprio nell'aggettivazione, tuttavia, ripropone,
sterilmente, la sua impotenza.

Ma quell'amore per il popolo degli esclusi il vizio assurdo di


Pasolini: se in Italia non c' pi speranza, la speranza verr dall'Africa,
dall'India. Il sogno de Le ceneri di Gramsci sembra aver trovato una
nuova incarnazione; l' ansia nazionale del sottoproletariato romano si
trasferisce nell'Africa unica mia / alternativa... : Forse a chi nato
nella selva, da pura madre, / a essere solo, a nutrire solo gioia, / tocca
rendersi conto della vita reale: / rinunciare a obbedire al sesso per pen-

sare, / finire d'essere fanciullo per diventare cittadino, / tradire gli Dei
per lottare con Marx! (Alla Francia). Ma il processo di questo nuovo
popolo non sar diverso da quello delle plebi italiche. Dalla conoscenza amorosa di un'India immensa borgata romana , come dice
il Ferretti, alla speranza di Al dagli occhi azzurri, alla desolazione della
deludente linea grigia , dell'ineluttabile imborghesimento (nella gi citata intervista Camon): un'altra sconfitta del troppo amore .

La ripetizione di questo meccanismo: amore-delusione che ancora,


nonostante i tentativi di rifiutarvisi una volta per sempre, il motivo centrale della poesia, ripropone, come causa originaria, e proprio come peccato originale , la mancata scelta ideologica delle Ceneri di Gramsci.
Per quanti fatti, realt nuove la storia s'incarichi di offrirgli, Pasolini
rimane nella sua angosciosa e sterile libert . Il livello, l'orizzonte
della conoscenza possono allargarsi, possono anche trovare concreti
riferimenti nella storia, ma l'acquisizione resta sempre una passione ,
sempre meno ardente e sempre pi sfiduciata. Per i nemici che incontra
non pu che preparare gli strali, a volte pi, a volte meno vibranti, della
sua polemica che riesce tanto pi spuntata quanto pi si sostanzia di
nostalgia ; come nell'epigramma In morte del realismo: il realismo ,
corpo ideologico nato dalla Resistenza e dalla sua rivoluzione ,

ucciso dai restauratori della lingua , dal socialismo bianco dei


64 Cassola e dai velleitarismi neoborghesi dei neosperimentali ; motivi

ripresi nella Reazione stilistica, in maniera pi esplicita e violenta. Anche


qui un tradimento , un' offesa , senza possibilit di risposta positiva , con l'infecondo conforto della nostalgia di ci che poteva essere
e non stato.

In Poesia in forma di rosa si ripropone lo svolgimento consueto delle


raccolte poetiche di Pasolini: motivi di ritorno : la difesa della tenerezza , dell' elegia , l'inclinazione allo scisma e, pi vecchi ancora,
il Friuli, la fanciullezza; e, accanto, i motivi nuovi : la vilt borghese.
la necessit disperata di dare un nuovo scandalo , l'invettiva, la profezia, l'ironia. Parlare di svolgimento improprio: non c', infatti, un
processo limpido di liberazione dai primi motivi e acquisizione dei nuovi:
spesso sono compresenti, a conferma della incapacit di Pasolini di liberarsi completamente dalla sua tradizione, nonostante le ripetute dichiarazioni di fallimento di quella esperienza di nostalgia Il rischio minore,
in questo caso, quello di stancare il lettore; il rischio maggiore , invece,
quello di stancare la propria poesia, nella continua tensione di inventare
nuove immagini per quel mondo ormai tante volte riinventato. Le infi-

nite risorse letterarie di Pasolini riescono a volte a mascherare questo


sforzo; altre volte, invece, dare corpo al fantasma ossessivo della fanciullezza friulana, per esempio; costringe il poeta a scoprire tutta la consunzione di quel mito. E allora vediamo il giovinetto rappresentato nel compiere fino al sangue dolcissime masturbazioni sulle tombe di soldati italiani e tedeschi , pronti a vendicarsi, la notte, con lacrimose e
sanguinose apparizioni (Una disperata vitalita). Non si contesta, ovviamente, il diritto di mitizzare la gioia solitaria ~> di un fanciullo; si
vuole verificare, piuttosto, lo sfruttamento sino al limite di un motivo
gi tante volte proposto.

Ma pi utile passare ai nuovi motivi. Il terrore della realt e della


solitudine lo spinge a cercare nuove alleanze che non hanno altra
ragione / d'essere, come rivalsa, o contropartita, / che diversit, mitezza e
impotente violenza: / gli Ebrei... i Negri... ogni umanit bandita...
(La realt). La conoscenza di questa nuova e antica umanit riesce a commuovere il poeta, come sempre; ma la nuova rabbia ~> pare smuovere
quella commozione dalla desolata staticit dell'impotenza: un nuovo sogno
ora appare: il profeta che non ha / la forza di uccidere una mosca...
che urla la sua profezia: Ah Negri, Ebrei, povere schiere / di segnati e diversi, nati da ventri / innocenti, a primavere / infeconde, di

vermi, di serpenti, / orrendi a loro insaputa, condannati / a essere atrocemente miti, puerilmente violenti, // odiate! straziate il mondo degli
uomini bennati! / Solo un mare di sangue pu salvare, / il mondo, dai
suoi borghesi sogni destinati // a farne un luogo sempre pi irreale! /
Solo una rivoluzione che fa strage / di questi morti, pu sconsacrarne
il male! (ibidem). I1 tono naturalmente ~> retorico della poesia civile,
suggestionato a volte da una tradizione lontanamente biblica, disciplinato
in una struttura metrica severamente tradizionale, anche se non classica ,
il tono di queste prime nuove poesie. Una misura, quindi, rigorosamente letteraria, che spesso, tuttavia, cede a movimenti di raffinata sapienza stilistica, o a sovrabbondanza passionale, o a effetti realistici, o,
nei momenti migliori, a prosaicit . Come in Pietro II, poesia d'occasione, come tante altre, e non solo di questa raccolta, scritta nei primi
giorni del marzo del 1963, durante il processo per il film La ricotta: apologia della sua eretica religione, del suo modo di intendere la santit: I1
santo Stracci . I1 processo, la condanna, conseguenze di uno scandalo , diventano l'occasione per riproporre la divisione tragica tra il
poeta, il diverso e la classe borghese che lo giudica; ma il tono molto
meno drammatico e retorico di altre volte, molto meno carico: consente
persino di fare un po' di ironia: Ecco, sono stato condannato. / Fatto personale, cicuta che dovr bermi da solo. / Come l'eroe di un'operetta di do-

lore, in coturni / tra il basso coro, scendo nella notte--tiepida--/ l'orrenda scalea. Gli amici se ne vanno a cena. / Solo. Con tre gatti di fotografi, e la piccola / folla che non guardo, eroe compreso nel suo dolore .

L'ironia, e soprattutto l'autoironia, il tono nuovo di questa raccolta di poesie; il tono nuovo di gran parte dell' ultimo Pasolini .
Pi spesso esercitata sulla propria funzione di poeta; del poeta di
una volta: Ma lasciamo stare: / ho descritto fin troppo, / e mai
oralmente, / i miei dolori di verme pestato / che erige la sua testina e
si dibatte / con ingenuit ripugnante (Una disperata vitalit, VI3; e del
poeta di oggi, che prende coscienza della mistificazione del proprio mestiere e ne denuncia, volontariamente, i gi di per s chiari strumenti
e meccanismi: Verit evanescente della situazione domestica, l'ossessione
narcissica, sempre per l'infatuata, arbitraria irrazionalit dell'idea dell'abiura (Poema per un verso di Shakespeare); Continuare ossessive iterazioni visionarie, il reportage interpolato anaforicamente al motivo dell'abiura (ibidem); e la falsit programmata di un nuovo stile: ironia,
sul melodramma -- caduta di ogni speranza di comprensione presso i
destinatari di letteratura, che, per fenomeno contradditorio, assume una
forma di recitativo melodrammatico, in una levigatezza linguistica generica, da traduzione --con sopra appunto l'allegria del suicidio, per

una cerchia specializzata di destinatari (ibidem).

Altre volte l'ironia vuole proporre un mito nuovo di poeta, dopo quello del diverso ,~dell' unico : Sotto / di me, che mi batto come un
Don Chisciotte di tre anni, / un Orlando noioso, tirato dai miei bei fili
(ibidem), ma, questa volta, senza la fastidiosa esibizione di un singolarissimo destino.

I1 ripiegamento dell'ironia , a questo punto, una necessit della


storia umana e poetica di Pasolini: finito il tempo del pianto , dell'amore fanciullo; ora il poeta, a quarant'anni, deve fare il poeta
padre , come scrive nel Frammento epistolare, al ragazzo Codignola:
tra il poeta e il ragazzo c' ormai una immedicabile disparit , non
voluta, n sentita intimamente, ma imposta, appunto, dalla vita. E il
poeta-padre ha il dovere di ripiegare sull'ironia.

Con questo nuovo strumento Pasolini potrebbe dare una svolta alla
sua carriera di poeta, incominciare da capo; ormai ha abiurato dal
ridicolo decennio degli anni '50; si trova di nuovo, come sempre,
solo, ma con in pi una consapevolezza nuova del suo quasi inutile mestiere di poeta. Quale, dunque, potr essere il suo progetto di opere

future ? Tutto, o niente: qualunque cosa, qualunque opera: un nuovo


Inferno, una Passionale storia della poesia italiana, una Bestemmia; giacch non conta n il segno n la cosa esistente . La demistificazione
della poesia e della letteratura sembra totale: la poesia pu anche continuare, ma solo per inerzia . Il poeta ha trovato il suo posto: Ah
oscure / tortuosit che spingono a un " destino d'opposizione "! / Ma
non c' altra alternativa alle mie opere future (Progetto di opere future). Un destino non certo nuovo; anzi, il suo destino di sempre. Specificato, nei termini antichi: non l'Opposizione con la o maiuscola, potere
nel potere , che segue il Potere nell' atto trionfante ; ma l'opposizione
con la o minuscola, di chi non pu essere amato da nessuno, e nessuno
pu amare . Un destino, come sempre, di martire , ridicolmente esposto: Bisogna deludere. Saltare sulle braci / come martiri arrostiti e ridicoli: la via della Verit passa anche attraverso i pi orrendi / luoghi
dell'estetismo, dell'isteria, // del rifacimento folle erudito (ibidem).
Ma c' di nuovo, una novit stilistica. La nuova testimonianza sar,
quindi, un nuovo esperirnento di stile: Solo una nobik broda / d'ispirazioni miste, demistifica . La svolta, dicevamo, potrebbe essere questa.
Lo sar quando Pasolini riuscir a liberarsi completamente del passato,
dai suoi vecchi impegni di poeta privato e civile; se mai ci riuscir.

questa contraddizione che tiene prigioniero il poeta: sentimentale e, quin<li, stilistica. Cos in Vittoria, una delle poesie alle quali Pasolini tiene
di pi, perch vi vede prefigurato lo spirito politico e idealistico d'oggi.
L'autoironia pronta a demistificare, sul nascere, la poesia: Bene, mi
sveglio per la prima volta in vita mia / col desiderio d'impugnare un'arma. / I1 ridicolo che lo dico in poesia // [...] Non la mia che frenesia dell'alba. / A mezzogiorno sar coi miei connazionali / alle opere,
ai pasti, alla realt che inalbera // la bandiera, oggi bianca, dei Destini
Generali ; ma davanti al vecchio mito della Resistenza tradita si arresta.

68 Ed naturale. Si pu ironizzare sulla realt presente, sulla propria mitopoiesi, ma una volta consentito al mito di riproporsi, l'ironia deve tacere.
La contraddizione , quindi, nella volont: lo stile la segue. Per cui
ovvio che il poeta debba commuoversi per quei partigiani, giovani, ingenuamente risuscitati e crudelmente riseppelliti; come ovvio il tono
tribunizio-profetico dell'esortazione a fare piazza pulita: a vadano, tanto
per incominciare, dai Crespi, dagli Agnelli, / dai Valletta, dai potenti
delle Societ / che hanno portato l'Europa sulle rive del Po: // giunta
per ognuno di loro l'ora che non ha / proporzione con quanto ebbe e
quanto odi. / Coloro poi che hanno sottratto al bene comune // capitale
prezioso, e che nessuna legge pu / punire, ebbene, andate, legateli con la

fune / dei massacri ~>; come ovvio l'intenerimento per l'infelice fratello: Con la testa spaccata, la nostra testa, tesoro / umile della famiglia, grossa testa di secondogenito, / mio fratello riprende il sanguinoso
sonno, solo`// tra le foglie secche, nei sereni / eremi di un bosco delle
prealpi, perso nell'oro / della pace d'una interminabile Domenica . Cosicch il verso conclusivo Eppure, questo un giorno di vittoria non
dettato dall'ironia, ma dall'antica piet.

Teorema, il libro pubblicato nel '68, quindi l'ultimo sino ad oggi, non
la sceneggiatura del film omonimo, anche se un libro da film o per
film (Camon). Non c' una battuta di dialogo, non c' una rappresentazione come in Accattone o La ricotta. L'autore stesso, d'altra parte,
definisce l'opera: parabola e il contenuto una irruzione religiosa
nell'ordine di una famiglia milanese , borghese. Qui la prima novit
dell'opera: il mondo borghese. i~ la prima volta, infatti, che Pasolini
sceglie di parlarne direttamente. La qualcosa comporta due grossi problemi: la posizione da assumere e, di conseguenza, la lingua da adottare.
Tl Pasolini realista del sottoproletariato stato mimetico; ora, nei
confronti della borghesia, non sa o non pu esserlo (l'ha detto all'inizio
dell'intervista lui stesso); quindi un romanzo sulla borghesia non pu
scriverlo: pu scrivere una parabola per, la~ cui programmatica alle-

~oricit gli consente di adottare una lingua neutra ( sognata e labile ),


che si limiti a descrivere: dai fatti cos esposti emerger, direttamente,
il significato simbolico. E cos infatti. Nella descrizione, dei dati ,
della vicenda, la prosa va avanti piana, scorrevole, senza un sussulto di
partecipazione. Nella prima parte, dopo la descrizione dei personaggi: il
padre, la madre, il figlio, la figlia, la serva, segue la descrizione dei modi
in cui tutti i membri della famiglia e, prima di questi, Emilia, la serva,
si concedono al giovane ospite, in una successione di fatti puramente
casuale , perch sono compresenti e contemporanei . Nessuna storia
e nessuno svolgimento, quindi. Nella seconda parte, altrettanto casualmente, sono descritte le conclusioni, se cos si possono chiamare, di quella
eccezionale esperienza: il padre dona la fabbrica agli operai, si spoglia
nella stazione di Milano e scompare, nudo e urlante; la madre cerca disperatamente di ritrovare in altri rapporti sessuali il rapporto ~> misterioso
e sconvolgente con il giovane ospite; il figlio abbandona tutto per la pittura in una impotente crisi di significati e di valori; la figlia impazzisce
per il ricordo di quell'esperienza; la serva torna al suo paese e incomincia
a fare miracoli.

L'allegoria, nonostante le apparenze, facile a cogliersi: l'eccezionale,


il miracolo lo sconvolgimento della vita borghese, basata sulla sicurezza

del possesso; il primo borghese della famiglia, il padre industriale, il


primo ad accorgersi di non possedere qualcosa. Lo sconvolgimento
avviene attraverso la violenza: negli allegati Pasolini riporta un versetto del libro di Geremia: Mi hai sedotto, Dio, e io mi sono lasciato
sedurre, mi hai violentato... e aggiunge anche in senso fisico . Dunque Dio, o un'esperienza religiosa, per farsi sentire nel mondo borghese,
ha bisogno della violenza, come Cristo nel Vangelo secondo San Matteo
nei riguardi dei mercanti nel tempio; perch il mondo borghese ha perduto, anzi, non ha mai avuto, una religiosit. I1 borghese conservatore
in quanto pensa sempre a domani , al suo domani. I1 povero, il semplice, l'umile, il religioso , no. Cos Emilia: Tu vivi tutta nel presente / Come gli uccelli del cielo e i gigli dei campi, / tu non ci pensi,
al domani (p 106). Il titolo della poesia da cui sono tratti questi versi
illuminante: Complicit tra il sottoproletario e Dio. Per questo Emilia
ragazza di basso costo, / esclusa, spossessata del mondo eletta
e va a compiere miracoli tra l'ingenuo stupore e l'ingenua fede dei suoi
poveri e semplici compaesani, quasi alla periferia della grande citt.

A questo punto, a svelare la parabola interviene lo stesso autore,


~ntroducendo un giornalista che pone alla povera gente radunata intorno
alla santa , una serie di domande, per una inchiesta sulla santit .

Pasolini si scusa col lettore per il linguaggio che dovr adoperare: quello
<. usato nel commercio culturale quotidiano--i giornali, la televisione-e, meglio che dozzinale, addirittura volgare . Ma il discorso tutto pasoliniano; ch di discorso si tratta, e non di domande e risposte. Quei con~adini, infatti, non saprebbero rispondere. E le risposte, inoltre, sono nella
logica stessa delle domande: Per quale ragione, secondo lei, Dio ha
scelto una povera donna del popolo per manifestarsi attraverso il miracolo? [...] Per la ragione che i borghesi non possono essere veramente
religiosi? (pp. 176-77). Sono definizioni: Essa tla santa matta ,
Emilia] non una terribile accusa vivente contro la borghesia che ha
ridotto--nel migliore dei casi--la religione a un codice di comportamento? . Solo all'ultima domanda non c' risposta. E perci l'abbiamo
riproposta a Pasolini nell'intervista: Ma il nuovo tipo di religione che
allora nascer (e se ne vedono gi nelle nazioni pi avanzate i primi segni)
non avr nulla a che fare con questa merda (scusi la parola) che il
mondo borghese, capitalistico o socialista in cui viviamo? (p. 179).
Pasolini ci ha risposto: Chi ama veramente la vita non pensa mai al
futuro . Una risposta di semplicit evangelica , uguale all'ultimo verso
della Preghiera su Commissione: Caro Dio / facci vivere come gli
uccelli del cielo e i gigli dei campi . Una risposta che mette in crisi
tutto il rigore del ragionamento .

Lo stesso accade alla fine della seconda inchiesta , sulla donazione . Stabilito che la donazione della fabbrica da parte del padre-padrone agli operai non un atto isolato, ma rappresenta, piuttosto, una
generale tendenza di tutti i padroni del mondo moderno ; e che attraverso una serie di donazioni o di concessioni la mutazione dell'uomo
in piccolo borghese sarebbe totale , fino alla completa identificazione
del borghese con l'uomo ; in questo universo borghese saprebbe la borghesia rispondere alle domande che la storia--che la " sua " storia
--le pone? . A quest'ultima domanda non segue una risposta, n un'altra domanda. Anche qui, dunque, un ragionamento si conclude senza
possibilit di risposta logica . A meno di non `rispondere: no; ma la
negazione, nonch risolvere, aggrava il drammatico problema che l'intervistatore-Pasolini rileva.

I1 finale di Teorema conferma questa dolorosa scoperta di Pasolini:


le risposte, le soluzioni della logica , borghese o no, conducono l'uomo
per un cerchio vizioso dal quale non si esce se non con il rifiuto della
logica (ma chi pu rifiutarla se essa nel mondo?). L'urlo inumano
che esce dalla gola del padre, nel deserto dove fuggito, la risposta
assurda, . fuori [ ... ] dalla volont di chi esiste e di chi sa , ma

non pu esprimere: ~ un urlo / in cui in fondo all'ansia / si sente


qualche vile accento di speranza; / oppure un urlo di certezza, assolutamente assurda, / dentro a cui risuona, pura, la disperazione. / Ad ogni
modo questo certo: che qualunque cosa / questo mio urlo voglia significare, / esso destinato a durare oltre ogni possibile fine . A tanto
drammatica conclusione giunge questo manualetto laico, a canone sospeso , come lo definisce Pasolini, nel risvolto della copertina, che pone
i problemi senza pretendere di risolverli .

Un tentativo di conoscenza , fuori dalla tradizione logica Pasolini


lo compie con il nuovo strumento che ha trovato: la psicanaiisi. Altri
impieghi, contemporanei, di questa forma di 'conoscenza sta operando nei
film di questo periodo, Edipo re, per esempio, e nel teatro, Pilade. Ma
la sua adozione , per ora, marginale: la parabola si spiega diversamente, come abbiamo visto. i~ nell'Appendice alla parte prima, in una
serie di poesie-confessioni dei vari personaggi, che qualche trovata psicanalitica fa la sua apparizione, sopratutto intorno a un rapporto padre-figlio
e madre-figlio in cui il vero rapporto col giovane ospite confluisce,
in una eccezionale incestuosit che approfondisce, appunto, l' eccezionalit di quelle esperienze. i~ un motivo, quello del rapporto padre-figlio,
che ritroveremo proposto anche, con maggiore importanza, in A,~abu-

lazione.

L'ultimo Pasolini, se lecito dire cos, si muove, nella letteratura, in


una situazione di assoluta, o quasi, solitudine. Se continua a scrivere poesie, mi ha detto, pi o meno, durante il colloquio che ho avuto con lui
per l'intervista, lo fa per inerzia , sopratutto: una dolorosa inerzia
che gli deriva dal suo mestiere di poeta e che lo costringe a scrivere. C'
una parte di lui che per le tante esperienze di vita e di cultura, per il
tanto amore profuso un tempo per esse, non pu tacere. Questo atteggiamento si trova in una delle ultime poesie, Appunti per un'arringa
senza senso: Qualcosa rifluisce e torna al punto di partenza / (ch nulla
va perduto) / e il corpo in cui questo avviene resta con quel poco
d'anima / che necessaria a tirare avanti infino alla fine ( Nuovi Argomenti , marzo-giugno 1970). La leggera ironia di quell' infino alla fine ~>,
cos civettuosamente letterario, non solo un modo stilistico, ma la spia
d una stanchezza senza speranza. E versi assolutamente senza speranza,
che non sia l'affastellante vitalit del provare sentimenti e dello scrivere
sono quelli de La poesia della tradizione ( Nuovi Argomenti , gennaiomarzo 1970) dedicata ai giovani di oggi ( Oh generazione sfortunata! )
fanciullescamente pragmatici, puerilmente attivi, fieri del nuovo
mito della organizzazione .

Pieno di speranza Pasolini non lo stato mai; al contrario, stato


il poeta delle speranze tradite; ma pure, in quella sua poesia della disperazione, c'era una vitalit, che si traduceva anche in termini di linguaggio. Ora, invece, questa vanit della speranza, diventa, coerentemente, 73
vanit di linguaggio, banalit, usualit: Smetto di essere poeta originale,
che costa mancanza / di libert: un sistema stilistico troppo esclusivo. /
Adotto schemi letterari circolanti, per essere pi libero. / Naturalmente
per ragioni pratiche (Trasumanar e Organizzar, Nuovi Argomenti ,
gennaio-marzo 1969). Il suo commercio linguistico non ha pi problemi: Niente contaminazione. Pura koin (ibidem).

Non un motivo nuovo: gi in Poesia in forma di rosa e, in particolare, nel Progetto di opere future, questo disimpegno ~ stilistico era
stato preannunciato. Ma questa volta Pasolini sembra andare pi in profondit: stabilita la vanit di un impegno originale , tanto vale
registrare, o meglio, ripetere quello che ci circonda, con tutta la sua
illogicit: Tendo dunque con tutto me stesso all'agrammaticale / (per
rielaborato in studio) / Vorrei mimare l'ecolalia, essere fatico, fatico /
e cos esprimere, al grado pi basso, il tutto (ibidem). Ma queste dichiarazioni di poetica restano, come sempre, in gran parte irrealizzate.

All' impegno , al suo impegno, Pasolini rimane immedicabilmente


fedele; con meno slancio, con meno rabbia di prima; con maggiore stanchezza. Perch poi continua a eccitare il suo spirito civile alle varie occasioni che la storia e la cronaca propongono. Come contro gli studenti
pseudo-rivoluzionari della famosa e scandalosa poesia Il PCI ai
giovani, con la quale difende i poliziotti proletari e sottoproletari contro gli universitari borghesi che dicono di voler fare la rivoluzione, ma
fanno una guerra civile di borghesi contro borghesi, aspettando un ennesimo sterminatore di questa societ che riporti pace e ordine, un altro
Hitler, per esempio.

Oppure l'occasione civile si trasforma, con qualche sforzo, in una


costruzione allegorica, come in L'ottobre del 1969 (Poemi zoppicanti,
Nuovi Argomenti , ottobre-dicembre 1969) dove l'antitesi naturastoria riproposta in quella chiesa-tempio , quando nel primo ter
mine s'intenda, appunto, la vita generosa e pura e nel secondo l' organizzazione : sindacale, in questo caso, o partitica, o religiosa che sia. Al74 trove i due linguaggi, quello dell'impegno diretto e quello dell'allegoria

coesistono, come in Ortodossia (La restaurazione di sinistra, Nuovi Argomenti , aprile-giugno 1970). Il rimprovero, esplicito, rivolto ai comu-

nisti del Manifesto : L'eretico, dunque, non cerc con disinteressato


amore l'eresia; / non se lo sogn nemmeno! / Oppose seriet a seriet; /
ricerc la purezza originaria del pensiero. / Lott, in realt, per la vera
ortodossia. // [...] Gli autori del Manifesto dunque furono impavidi / ma per creare nuova certezza, nuovi ripari a chi , col verso lasciato
sospeso, com~ nuova abitudine dell'ultimo Pasolini. Questi comunisti
che non hanno volut essere eretici fino in fondo stanno costruendo
un'altra chiesa (il termine usato diversamente dalla precedente poesia), invece di distruggere quella che gi c'era; perch nessuno, se
non i barbari, / ha mai voluto distruggere una chiesa . E quindi ritorna
ancora, il vecchio mito: i barbari sono le forze pure della storia, i
diversi . E con questo mito, il mito della sua dileasit , iiersit
c2di colui
che dando tutto s esibito scandalosamente al mondo;
arricchito di una dimensione pi precisamente storica : oggi, in questa
societ dei Doveri e della Integrazione , bisogna pure che qualcuno porti sulle miserabili spalle / una croce (" merda n e altre parole
illeggibili c.s.) / Perdere una reputazione per una santit equivoca: mah! /
Ma bisogna pure che ci sia qualcuno pieno di croste, / l'Intoccabile /
Chi punta poco per perdere o vincere poco / vuole contemplare lo spettacolo di chi vince o perde molto / possibilmente di chi perde molto,

horror mundi /--alludiamo a noi stessi, tanto per cambiare, / e per


screditarci ancora un po~, se ce ne fosse bisogno /--non abbiamo fatto
infatti in tempo a essere cattivi figli / che gi siamo cattivi padri (parole
illeggibili c.s.)--ottenendo una paterna disapprovazione da quelle carogne dei figli [Charta (sporca), Poemi zoppicanti, cit.]. E evidente la
coscienza che Pasolini ha della stanchezza di questo mito del quale riesce
anche a sorridere, con un po' di pena, ma dal quale non riesce a staccarsi. Da qui l' inerzia della sua poesia; da qui la solitudine ideologica,
l'impossibilit di capire i giovani rivoluzionari , il gergo parlato
nei loro covi . Da qui l'attaccamento, disperato ma stanco, ai suoi
sogni, alle esperienze vissute nella nostalgia, come la Resistenza: bruciate nel vostro ottuso rigore / (come altri si drogano) / e non risognate
CLN, non celebrate anniversari; / non avete avuto esperienza dei giorni
di sole del '47; / ci che accadde sotto il sole legato al sole; / se quel
sole a voi fu precluso / e oggi la vita, tutta per voi, / d esclusivamente a voi questo sole del 21 dicembre 1969, / non andate a ripescare
ci che accadde in quel solario / a meno che come poeti non sappiate
rievocare quel solario, / e non il caso vostro; lasciate morire chi deve
morire (La raccolta dei cadaveri, cit.).

~ Le osservazioni di Pasolini sono, dunque, sempre le stesse; se

danno, a volte, I'impressione di essere diverse accade perch lo sperimentalismo , le tendenze stilistiche riescono a rinnovarle. Abbiamo
usato di proposito i termini che Pasolini stesso ha usato nei confronti
del Pascoli nel saggio raccolto in Passione e ideologia, perch abbiamo
avuto la conferma che quel giudizio non era del tutto estraneo a chi lo
pronunciava. Le dichiarazioni di poetica restano spesso intenzioni:
vero che il linguaggio, generalmente, cambiato: s' fatto pi discorsivo,
pi prosaico , volontariamente banale, a volte; vero che non ci sono
pi i versi inteneriti, i crudi realismi, le raffinate analogie; che le strutture metriche della tradizione sono state progressivamente ripudiate per
composizioni pi libere, ma sempre controllate (basti vedere con quanta
precisione Pasolini riesce a isolare nel verso la parola pi importante);
ma anche vero che tutto questo rinnovamento non avvenuto in profondit, perch basta che i vecchi miti insorgano e anche il linguaggio
si adegua: cos abbiamo i riecheggiamenti biblici, le non infrequenti maledizioni e profezie: il tono serio e impegnato. E la passione che prevale sempre sull' ideologia : solo nei momenti di silenzio di quella pu
parlare questa. Cos troviamo le novit delle dichiarazioni di poetica.

Se le occasioni stimolano la passione il poeta continua a scrivere, come Geremia, le sue lamentazioni; se stimolano l' ideologia il

poeta pu inventare , pu sperimentare o, senz'altro, distaccarsi


76 un po', con l'ironia e l'autoironia da questa nostra storia alla quale non
c' mai vera alternativa, mai . Altrimenti, come gli innocenti ragazzi
di Poema politico non potr opporre altro che il suo pianto.

La tendenza allo sperimentalismo trova una conferma nell'ultima,


finora, ricerca di Pasolini; I'oggetto di studio: il teatro. Nei primi mesi
del '68 ha pubblicato, sul numero 9 di Nuovi Argomenti il Manifesto
per un nuovo teatro, proponendo un teatro di parola . Citiamo dal riepilogo: a La sua novit consiste nell'essere, appunto, di Parola: nell'opporsi, cio, ai due teatri tipici della borghesia, il teatro della Chiacchiera o
il teatro del Gesto o dell'Urlo, che sono ricondotti a una sostanziale unit:
a) dallo stesso pubblico (che il primo diverte, il secondo scandalizza); b)
dal comune odio per la parola (ipocrita il primo, irrazionalistico il secondo) ~>. Il teatro di Parola si propone come un teatro che sia prima di tutto dibattito, scambio di idee, lotta letteraria e politica, sul piano pi democratico e razionale possibile: quindi un teatro attento sopratutto al
significato e al senso, ed escludente ogni formalismo . Il manifesto, stilato con una certa civetteria letteraria, non senza una punta di ironia, si
occupa di tutti i problemi che possano riguardare il teatro: i destinatari,
la lingua, gli attori, il rito teatrale. Per quanto riguarda i destinatari

il pubblico, questo sar costituito dai gruppi avanzati della borghesia


cio dalle poche migliaia di intellettuali di ogni citt il cui interesse culturale sia magari ingenuo, provinciale, ma reale " . Attraverso questi
gruppi il teatro di parola potr raggiungere realisticamente la classe
operaia: Essa infatti unita da un rapporto diretto con gli intellettuali avanzati. E questa una nozione tradizionale e ineliminabile della
ideologia m~arxista e su cui sia gli eretici che gli ortodossi non possono non
essere d'accordo, come su un fatto naturale (p. 12).

Dunque nel teatro di Parola, a differenza di quello borghese e di quello


underground, non ci saranno conferme di convinzioni borghesi o antiborghesi, ma scambio di opinioni e di idee . Ma tanta sicurezza programmatica posta in crisi dallo stesso Pasolini in una noticina, che ri- 77
vela una certa misura di ambiguit e provocazione: Non detto, certo,
che gli stessi gruppi culturali avanzati siano qualche volta scandalizzati e
soprattutto delusi. Specie quando i testi siano a canone sospeso, cio pongano i problemi, senza pretendere di risolverli (p. 11). Ci sembra importante questa nota: quale scambio di idee , quale processo positivo
potr realizzarsi in quell'aristocratica cerchia di pubblico cui destinato
il teatro di Parola se i testi saranno a canone sospeso ? Sapr, quel
pubblico, anche quel pubblico, avere l'umilt di accettare dei problemi

che lautore non pretende di risolvere perch non si possono risolvere?


Una discussione a canone sospeso >~, ch altro non si potrebbe avere;
una discussione che lasci insoluti i problemi pu non deludere un pubblico che, per mestiere o vocazione, dovrebbe avere l'abitudine, anche,
di risolvere i problemi? Per questo pensiamo a una provocazione .

I due testi teatrali che Pasolini finora ha pubblicato, Pilade, sul numero 7-8 di Nuovi Argomenti (1967) e A~abulazione, sul numero i5
(1969), sono, in diversa misura, opere a canone sospeso , come Teorema, del resto. Di quest'ultima opera si ripropone il rifiuto della logica ,
della ragione come possibilit di conoscenza e, a maggior ragione, di
soluzione dei problemi. Cosicch quella disponibilit alla discussione ,
che dovrebbe essere tipico del teatro di Parola, ci appare ancora una volta
ambigua e provocatoria, in un senso tuttaltro che negativo, non tanto nei
confronti della societ borghese, quanto proprio di quel pubblico selezionato CUi 1I teatro dovrebbe essere rivolto.

Il canone aperto in Pilade , se non bastasse la vicenda a esplici-

tarlo, dichiarato nelle battute conclusive dell'Epilogo. Pilade, giunto alla

fine della sua storia, dovrebbe chiedersi qual la novit di quella


sua storia; e alla domanda del vecchio >~: E perch non te lo chiedi?

risponde: Perch non ho risposta. E vero: / tutto ci che non finisce,


finisce secondo verit. / Ma io non so capire questa fine sospesa / della
mia storia; n i nuovi sentimenti / in cui, bene o male, senza conclusione, / io continuo a vivere (p. 123). Pilade non sa capire perch si
78 liberato da Atena, la ragione; perch ha scoperto che la ragione sempre

e soltanto consolatrice . Cos le sue azioni sono sempre apparse snaturate ; cos i suoi ideali, i suoi entusiasmi. Nel farsi, ogni cosa si rivela
in una luce che non pi quella di prima, dal momento in cui, dall'oscurit emerge. E la tragedia si chiude con un'imprecazione: Che tu sia
maledetta Ragione, / e maledetto ogni tuo Dio e ogni Dio . Con la rivelazione di quest'epilogo possibile fare miglior luce sulla vicenda, in
verit di non sempre facile decifrazione.

Ad Argo la tirannia di Clitennestra e di Egisto stata abbattuta. Oreste, il regicida, fuggito ad Atene ed assolto dal tribunale che Atena ha costituito, ritorna; ma un uomo cambiato: un uomo non pi sottomesso al
passato e alle sue divinit, le Furie, ma alla nuova dea, ad Atena.
Quindi non vuole pi essere tiranno: chiede al popolo se deve essere Re.
E il popolo lo acclama Re. Cos mutato appare irriconoscibile ad Elettra,
anche essa regicida, ma tenacemente legata al passato, alla tradizione, alla

religione: a tutto ci che sacro . La citt, intanto, sotto il nuovo governo, progredisce: La citt ora un'altra. / Sopravvivono, certo, quelli
che come sempre / s'incaricano di custodire il passato. / Ma, in realt,
noi cittadini di Argo / ci costruiamo giorno per giorno il futuro. / Il
reddito di ciascuno di noi cresciuto del doppio. / I commerci della nostra citt si sono moltiplicati (p. 30). E il Coro che parla cos, i cittadini che contano : i nuovi borghesi, se si vuole. Ma un giorno met
delle Furie, le passioni intransigenti e ossessive / della religione antica ,
quelle Furie che Atena aveva trasformato in Eumenidi, benigne deit del
sogno, ritornano ad essere quello che erano prima, riconducendo nel popolo le antiche paure. Oreste riconosce in questo la giustizia degli dei: Ah,
troppo giusta, la giustizia degli dei! / Essi mi hanno ascoltato con grande
attenzione, / certo, quando io, nel momento della scoperta / di una nuova
divinit, / che, da una nazione pi avanzata, ho portato / qui nella mia,
ancora contadina e ossessionata / da povert e religione / mi sono offerto
di sacrificarmi! (p. 41). I poveri, i contadini sono sempre rimasti schiavi
delle furie: solo Oreste e il suo Parlamento hanno creduto in Atena. Questo ha capito Pilade, il silenzioso e misterioso compagno di Oreste, il 79
diverso , lui che non giudica, ma giudicando ama, / [...] lui che
forte, ma la sua forza la dona .

Pilade venuto in citt a mettere in dubbio l'ordine, ormai santo


della vita secondo ragione, portando in essa il suo odio ma anche un terribile / sanguinario, puro, disperato amore . Cos si trova alla testa di
una schiera di affamati, di contadini, di operai, e la conduce vittoriosamente fino alle porte di Argo. La regressione al passato: miseria, paura,
religione, ha permesso a Pilade tutto questo; ma sul punto in cui quel passato, quel sogno sta per diventare realt egli smarrisce la propria sicurezza,
la propria fede: Io odio l'irrealt / in cui vorrei vivere rinunciando a
quel diritto. / Sono un'anima in pena /--e non sono neanche tanto
sicuro / della sincerit del mio dolore (p. 59). Di fronte all'improvvisa
ambigua incertezza di Pilade, in Argo assediata Oreste ed Elettra si riconciliano, trovando in questo patto una nuova realt: Le Furie nel Tempio, Atena nel Parlamento . Il necessario compromesso tra passato e futuro, tra relgione e ragione ne snatura i termini stessi, ma fa di Argo
una citt nuova , davanti alla quale Pilade arrivato vecchio , come
gli dice Oreste: I sentimenti che t'hanno spinto / lontano dalla citt,
nell'abiura, prima, / poi nella rivolta armata / e ragionata, / sono ora
giunti in te / alla loro maturit estrema e pi alta (p. 92). Atena stata
pi veloce: ella, non Pilade, compir la seconda rivoluzione di Argo, la
vera rivoluzione .

Pilade, rella solitudine della terra di nessuno , alla ricerca di se


stesso, con una disperata voglia di morire o di amare , ritrova se
stesso incontrando Elettra, vivendo con lei un amore che incestuoso,
anche se nessun legame li unisce. A questo amore conduceva, misteriosamente, la vita di entrambi; Tutto quello che noi abbiamo fatto / io
Elettra, tu Pilade, / per la nostra citt e contro la nostra citt, j non
portava allora alla gran luce / il cui pensiero ci accecava... / ma a questo
angolo buio... / a questo po' d'erba, che guardo soffocando... (p. 105).
Questo amore sacrilego e sacro l'unica cosa che resti a Pilade- non pi
80 lo spirito, ormai offuscato dall'idea della sconfitta ; non pi il corpo
che non pi giovane n privilegiato . In quell'amore Pilade vede
qualcosa che la natura rifiuta , una sfida a tutte le coscienze , la possibilit di sottrarsi a quella vita che appare come un gioco beffardo di
false successioni tra Furie ed Eumenidi manovrato da Atena: C'
nell'uomo un diritto / (a perdersi, a morire) / che Atena non sorveglia,/
e che nessun altro Dio conosce. / Ebbene, io lo esercito. / E mentre
siamo qui / travolti dagli avvenimenti, / una musica, che d scandalo e
vergogna / scorre stupendamente nella mia carne (p. 114). In Argo,
intanto, Atena celebra il suo trionfo: i cittadini, una volta uguagliati
dalla rassegnazione, dai religiosi terrori che d la miseria , ora sono
felicemente uguagliati nella certezza irreligiosa della ricchezza .

Non stato facile dipanare dall'intrico delle vicende i motivi che abbiamo
cercato di illustrare. La confusione, naturalmente, voluta, obiettiva ,
cos come il carico simbolico che personaggi e vicenda si portano appresso.
Cosicch l'analisi dell'opera non pu far altro che registrarne le componenti significazioni simboliche, lasciando sospeso, com' richiesto dalla
struttura stessa dell'opera, ogni interpretazione definitiva . E queste
comp\onenti sono molte, e diverse. E possibile, innanz tutto, registrare
quella autobiografica: Pilade , in gran parte della vicenda, Pasolini stesso:
la sua evoluzione , per molti aspetti, quella dell'autore. La diversit ,
l' ambiguit del personaggio, quel sentirsi appartenere, a diversi li
velli, a entrambe le classi sono caratteri del mito personale di Pasolini; come pure, alla fine, il rifiuto della ragione consolatrice . Addirittura, se proprio si vuole cercare un motivo unificatore dell'opera, lo si
pu trovare nell'autobiografismo, a conferma della tendenza generale
della poesia di Pasolini. Cos si possono spiegare anche altri motivi dell'opera: come il conflitto natura-ragione , o passato-futuro , o
popolo-organizzazione ; come la sfiducia nelle pseudo trasformazioni
sociali viste come progressivo assorbimento nell'unit, passiva, senza speranza, delle diversit attive e rivoluzionarie; come il rifugio nella psicanalisi (il rapporto incestuoso Pilade-Elettra), vista ora come possibi-

lit nuova di conoscenza dopo il fallimento della ragione e della logica, 81


borghese e marxista. Isolare un motivo e farne la chiave di lettura dell'opera non ci pare possibile, tranne, come s' detto, per quello autobiografico;
ma solo nella misura in cui tutte le opere, e segnatamente quelle di Pasolini, sono autobiografiche. Lo stesso motivo politico , che forse potrebbe, pi degli altri, aspirare al ruolo di indicazione di lettura, se fosse
isolato, non potrebbe giustificarsi; necessario, infatti, non solo ricondurlo nell'ambito dell' ideologia politica dell'autore, la qualcosa, legittimamente, si pu e si deve fare; ma necessario, sopratutto, verificarne
~a consistenza e la validit rispetto alla considerazione di fondo sulla ragione , in apparenza animatrice di quel processo politico , ma in
realt vanificatrice. La compresenza di motivi, o problemi sospesi
realizzata, sul piano dello stile, con l'adozione di una lingua assolutamente
letteraria, e il pi possibile neutra, coerentemente alla poetica del teatro
di Parola, per la quale quest'ultima, in s e per s, e non la sua pronuncia lo strumento obbiettivo della trasmissione. Tuttavia non infrequente l'apparizione di stilemi cari alla lingua personale dell'autore, sopratutto quando l'oggetto descritto un ragazzo, o un paesaggio, o il
sesso. Come non infrequente il tono da riecheggiamento biblico in
alcune profezie e in alcune declamazioni, gi apparso in precedenti prove.

Il secondo testo teatrale di Pasolini, come s' detto, AD~abulazione.


Nel prologo, detto dell'ombra di Sofocle, c', esplicitamente, un richiamo
al teatro di Parola: Sono qui arbitrariamente destinato a inaugurare /
un linguaggio troppo difficile e troppo facile: / difficile per gli spettatori
di una societ / in un pessimo momento della sua storia, / facile per i
pochi specialisti in poesia (p. 14). Nell'epilogo il padre, il protagonista
della vicenda, denuncia, altrettanto esplicitamente, la volont del canone sospeso : Che cosa ti sto raccontando, mio povero Cacarella ?/
La mia vita? La storia di un solo padre? Ah no, / questa non la storia
di un solo padre. E non ha un solo senso . Ma nonostante i vari sensi
82 c' un'azione che si svolge, una trama. Una famiglia borghese: il padre,
industriale; la madre, padrona di casa probabilmente squisita ; il figlio,
contestatore del mondo e dei genitori, piuttosto fiaccamente; comunque in
dissidio, almeno per quanto riguarda lo studio: Gli studi mi fanno imparare / il modo di accettare tutto / quello che era gi preparato per
me: / ma non l'hai gi esaurito tu? (p. 23). Il figlio, oltre che diverso,
appare al padre addirittura di un'altra razza: il biondo, strano per un figlio
di borghesi, dei suoi capelli, ne denuncia la estraneit. Un sogno che il
padre fa e che non sa spiegarsi: dei giardini, una stazione, un ragazzo, o
un ragazzo-padre, precipita l'uomo in una crisi che egli sa religiosa :
Io e Dio giochiamo a rimpiattino: / lui si nasconde dentro il mio so-

gno, e io, del resto, / come per tutta la vita, mi nascondo nella realt .
(p. 26). Per non nascondersi pi nella realt, la rinnega: rinnega l'ironia,
la buona educazione, la paura del ridicolo, la buona reputazione: le qualit del borghese ricco e sicuro di s.

A questa crisi del padre il figlio risponde cercando di reintegrarsi:


torna a studiare, a ubbidire; ad assomigliare al padre, dunque, proprio
mentre questi sta lasciando tutto per assomigliare al figlio. La diversit,
infatti, tra padre e figlio, non nel loro essere uomini : in questo un
figlio uguale al padre, / in fondo gi vecchio, come tutti / i figli dei
padri padroni ; ma nell'essere il figlio misteriosamente ragazzo . Per
questo oscuro, folle desiderio di regredire allo stato di figlio, il padre si
far trovare nudo, nella sua stanza, pronto a fare l'amore, ma senza /
sua madre sotto di lui... . Il figlio, naturalmente, fugge; viene ripreso e
ricondotto a casa. I tentativi di spiegazione tra padre e figlio sono inutili:
all'amore del padre per il mistero del figlio, questi oppone l'avvilente
certezza di non essere quello che il padre crede. Quindi tenta di ucciderlo e fugge di nuovo. Il padre, si perdoni la banalit di questa nostra
riduzione a didascalia, si rivolge a un negromante per scoprire dove si
nasconda; lo raggiunge in casa di una ragazza e qui, dal buco della serratura, spia per vedere ci che il figlio; quindi lo uccide. Nell'epilogo

riassume cos il fatto: i padri / vogliono far morire i figli (per questo
li mandano / in guerra) mentre i figli vogliono uccidere i padri / (per
questo, per esempio, protestano contro la guerra, / e disprezzano, pieni
di fierezza, la societ dei vecchi / che la vuole). Ebbene io, anzich / voler
uccidere mio figlio... / volevo esserne ucciso!! / Non ti pare strano? /
E lui, anzich voler uccidermi /--o lasciarsi uccidere / volenteroso e
rassegnato / come i suoi coetanei obbedienti--/ non voleva n uccidermi n lasciarsi uccidere! ! / N l'una cosa n l'altra, capisci, Cacarella? / Non gliene importava niente di me, / e di tutte le uccisioni, vecchie e nuove, / che legano un padre a un figlio... / Quindi si era liberato
di tutto, / se ne andava via, se ne stava per conto suo, / mi ignorava, mi
fuggiva, era altrove. / Se questo era il futuro, era il tutto imprevedibile
(p. 111). Ci parso necessario riportare questo lungo brano perch consente di illuminare un po' il groviglio di situazioni in cui la tragedia si
inviluppa. Il padre uccide nel figlio il fallimento del tentativo di sottrarsi
a una logica, alla sua logica. Il rifiuto della realt non stato totale: egli
rimasto padre : non riuscito ad assomigliare al figlio, a regredire a quella che non era la sua natura. Il figlio, e non il padre, era
riuscito a dare scandalo di s, a sottrarsi alle regole , a realizzare
fuori dalla realt, la propria libert e, quindi, la propria vera realt:
Per so che non c' bisogno che le azioni / di vero amore o di vero

odio servano a qualcosa, / che non importa che il mondo che metti in
imbarazzo / col tuo troppo odio o il tuo troppo amore, / I'abbia vinta,
infine, facendo di te il suo buffone (p. 103). Ci si accorge subito che
viene riproposto, qui, veramente per l'ennesima volta, il mito della testimonianza scandalosa di se stesso, insieme a tutti gli altri traumi che
Pasolini adulto, Pasolini-padre, ha sofferto, primo di tutti quello dell'incomunicabilit con i figli : ne abbiamo gi parlato a proposito del
Frammento epistolare, al ragazzo Codignola; ma non ci si pu limitare a
ricondurre i motivi della tragedia alla ovvia esperienza autobiografica. In
questa seconda tragedia la volont del canone sospeso diventa davvero imbarazzante per chi voglia tentare un'analisi dei contenuti, molto
pi che per Pilade. Sembra che l'intento principale dell'autore sia quello
di provocare il lettore, lo spettatore; di costringerlo a verificare su quei
problemi la validit delle sue idee, delle sue certezze, dei suoi metodi.
I] pi utile di questi potrebbe essere quello psicanalitico: Freud e Jung,
d'altra parte, sono nominati direttamente nell'opera, nell'episodio del
padre e della negromante. Ed proprio questa a rilevare nell'analisi psicanalitica tradizionale del rapporto padre-figlio un limite: Si sempre
steso un velo su questo, / con la pretesa che si tratti soltanto / di un
rapporto di rivalsa o di rivalit. / E la causa della rivalsa sarebbe l'odio
per il nonno, / mentre quello della rivalit, sarebbe l'amore per la mo-

glie, / o, in generale, il sesso femminile. ~ tutto qui? / non c' proprio


altro? . Alla psicanalisi, ancora, si riferisce la condizione di impotenza dei padri nei confronti dei figli; e, ancora, lo stesso sogno da cui
ha origine tutta la tragedia. Se la psicanalisi venga applicata da Pasolini
secondo ortodossia o no, un problema, ci pare, di secondaria importanza, dal momento che, per principio Pasolini eterodosso , e di
questa eterodossia ha fatto una ragione, se non la ragione, della sua
poesia. Prescindendo dal fatto che un'ortodossia ideologica non deve
costituire, necessariamente, il canone cui riferire l'analisi di un'opera, ch,
. allora, il giudizio sarebbe relativo a quella ideologia o teoria o quello
che si vuole, e non alla poetica che sottende l'opera. Ora, la poetica
del canone sospeso , nonostante tutte le dichiarazioni di logicit , si
pone invece come la rivalutazione permanente dei motivi irrazionali. E la
psicanalisi si presta ottimamente, ma non tanto come terapia quanto
come occasione , provocazione . L'adesione, in una misura per ora
imprecisabile, di Pasolini alla psicanalisi discende evidentemente da una
constatazione di fallimento dell'esperienza conoscitiva razionale, cio, in
gran parte, del marxismo-dottrina; ma non lo impegna tanto sul piano
conoscitivo quanto su quello della problematica pura. D'altra parte Pasolini ha sempre posto in discussione la validit della conoscenza logica.
Soltanto che prima la passione e la sua ideologia (ma tuttora,

anche, almeno nelle poesie) riuscivano, e riescono, a concretizzarsi, comunque, in un impegno di conoscenza, di presenza critica e, quindi, di
giudizio. Nelle due tragedie e, in misura diversa, in Teorema, quando, 85
cio, Pasolini, sceglie di parlare per interposta persona , di rappresentare dei fatti, chiari od oscuri che siano, rifiuta, praticamente, la
concretezza lirica per una infinitamente libera disponibilit di invenzioni
o di rappresentazioni. Ci pare che si possa trovare, n questo un influsso
della sua esperienza cinematografica, sopratutto di quella degli ultimi film,
e della sua concezione dello strumento linguistico cinematografico .
Scriveva nel 1966, pubblicando la sceneggiatura di Uccellacci e Uccellini:
Lo strumento linguistico su cui si impianta il cinema dunque di tipo
irrazionalistico: e questo spiega la profonda qualit onirica del cinema, e
anche la sua assoluta e imprescindibile concretezza, diciamo, oggettuale .
~ vero che lo strumento linguistico della poesia , invece, un sistema
reale, storicamente complesso e maturo , ma non certo inadattabile
nella sua infinita disponibilit al simbolo e all'irrazionale, a qualunque
operazione mitopoietica. Una volta, cio, constatato il fallimento della
ragione e, anche, della passione , che pure era un modo, e lo , lo
ripetiamo, tuttora, di conoscenza, per quanto viscerale , tendente in
una logica; una volta, cio, rifiutato il canone della logica e, quindi,
della storia, si offre al poeta un'inconsumabile disponibilit di occasioni

di poesia, tante quante sono le invenzioni che la parola, irrazionalmente usata, pu offrire. ~ chiaro che l'irrazionalit di questo uso non si
riferisce, come per il teatro dell' Urlo (cos lo chiama Pasolini) alla
sua alogica, bruta pronuncia; ma alla capacit della parola, nell'immagine
poetica, nel mito di oggettualizzare , per usare l'espressione della precedente dichiarazione di Pasolini, in s e per s, fuori da ogni controllo
logico e storico, o prima di ogni controllo logico e storico, le tendenze
irrazionalistiche che si trovano nel poeta. E si sono sempre trovate; solo
che ora la scoperta della psicanalisi pu offrirgli un contributo di sperimentazioni vastissimo.

Il rischio, insomma, quello che non la realt, anche qualunque essa


sia, provochi gli strumenti e il loro impiego, ma che questi, fuori o prima
di ogni controllo logico e storico, provochino realt che si giustificano
86 soltanto perch sono. Pu sembrare, questo, un processo alle intenzioni;
mentre l'intenzione di Pasolini potrebbe essere quella di dare una risposta
a una presunta o reale crisi della poesia e della letteratura. Ma forse lo
stato d'animo che al fondo dell'ultima attivit di Pasolini quello che
lui stesso denuncia nella prima risposta dell'intervista, quando parla del
progetto d'un'opera futura: mancanza di fiducia nella stabilit del
mondo che produce simili macchine letterarie . E allora si deve richia-

mare in causa quella che abbiamo definito l' inerzia dell'ultimo Pasolini, autorizzati, in un certo senso da lui stesso: non si tratta solo dell'inerzia di un'anima che, tuttavia, sente, proprio per questo, di dover
continuare a testimoniare se stessa; ma anche dell'inerzia di un intelligente letterato che, proprio per questo, sente di dover fare, ogni tanto,
degli esperimenti .

Per quanto riguarda l'attivit cinematografica di Pasolini dobbiamo precisare che, essendo l'interesse di questo libretto principalmente rivolto
al poeta e allo scrittore, ci limiteremo ad alcune indicazioni di carattere
generale, senza entrare nel merito dei problemi specifici, compito, tra
l'altro di ben pi qualificati esperti.

Abbiamo gi rilevato che l'approdo di Pasolini al cinema sia da riferire sopratutto alla sua vocazione di sperimentale, pi che a una obbiettiva sfiducia nella letteratura. Piuttosto, a quest'ultimo fatto, si pu richiedere la giustificazione del maggior impegno cinematografico rispetto a
quello letterario nell'ultimo quinquennio.

Il problema del destinatario, lettore o pubblico delle sale di proiezione, non ha mai costituito una preoccupazione determinante per Paso-

]ini: tranne che per il teatro di Parola non pare che il problema dei
fruitori abbia avuto specifica presenza nell'elaborazione ideologica
di Pasolini. Anche quando si poneva l'obbiettivo del poema popolare .
il suo interesse si rifletteva scarsamente sul problema del popolo come
destinatario. Ma nel colloquio che abbiamo avuto durante l'intervista la
questione venuta fuori: Pasolini ha coscienza che il messaggio letterario, oggi come ai tempi della rivoluzione manzoniana, riservato
a un'elite; esagerando, probabilmente, ha detto che attualmente scrive
solo per gli amici e, comunque per assai pochi interessati. Il cinema,
invece, gli offriva la possibilit di comunicare con un pubblico molto pi
vasto, per l'obbiettiva maggiore facilit di aggancio di questo mezzo. Per
questo, anche per questo, i suoi primi film, da Accattone al Vangelo secondo Matteo, si ispiravano a una precisa volont di poema epico-popolare. La svolta rappresentata da Uccellacci e Uccellini (1966) si spiega
ovviamente con l'insorgere di nuove, o diverse esigenze poetiche, certamente meno popolari , ma non per questo meno valide; ma testimoniano, anche, della rinuncia a un campo pi vasto di destinatari. La qual
cosa, se non , come non , un limite, pu pur sempre essere un condizionamento, anche nel senso del rifiuto di certo tipo di condizionamento.

Pasolini un regista poeta o, forse meglio, un poeta che fa dei

film : sono d'accordo tutti, lui compreso. Tecnicamente il cinema di


poesia si caratterizza per un'operazione che Pasolini stesso definisce

soggettivit libera indiretta (Il cinema di poesia , in Filmcritica >;,


aprile-maggio 1965). La soggettivit corrisponde, grosso modo, in letteratura, al discorso diretto: I'autore si fa da parte e apre le virgolette.
Nel cinema, che usa immagini, una soggettiva questa: Come
vista da Accattone, Stella cammina per il praticello zozzo . Naturalmente lo sguardo di Accattone non pu essere oggetto di una mimesi,
come potrebbe esserlo la lingua. Cosicch il regista che si immerge in
un suo personaggio, e attraverso lui racconta la vicenda ~ rappresent il

mondo, non pu valersi di quel formidabile strumento differenziante in

natura che la lingua. La sua operazione non pu essere linguistica ma


s~ilistica ~ (ibidem). Questa natura stilistica dell'operazione fa s che
88 la soggettivit libera indiretta nel cinema implichi una possibilit

stilistica molto articolata; liberi, anzi, le possibilit espressive compresse


dalla tradizionale convenzione narrativa, in una specie di ritorno alle origini: fino a ritrovare nei mezzi tecnici del cinema l'originaria qualit
onirica, barbarica, irregolare, aggressiva, visionaria. Insomma la " soggettiva libera indiretta " a instaurare una possibile tradizione di " lingua

tecnica della poesia " nel cinema (ibidem). La libert stilistica di un


regista quindi notevolmente pi larga e disponibile di quella di uno
scrittore. E si pu pensare che anche questo fatto sia uno dei motivi che
hanno attratto Pasolini al cinema pi che alla letteratura. D'altra parte
abbiamo gi indicato, a proposito di A~abulazione, l'influsso che la
immensa disponibilit del linguaggio cinematografico ha esercitato su quelI'opera ~etteraria.

Anche nel film storico il regista gode di maggiore libert; perlomeno


Pasolini, il quale rifiuta, come impossibile, la ricostruzione , adottando
il pi libero e stilistico procedimento analogico:

Nei miei film storici non ho mai avuto l'ambi~ione di rappresentare un


tempo che non c' pi: se ho tentato di farlo, l'ho fatto attraverso l'analogia:
cio rappresentando un tempo moderno in qualche modo analogo a quello passato [...] il persistere del passato nel presente che si pu rappresentare oggettivamente [...] il passato diviene una metafora del presente (ll sentimento della
storia, in Cinema nuovo , marzo-giugno 1970).

Mito, analogia, favola, simbolo sono i procedimenti stilistici che Pasolini assume nei suoi film. Anche nel neorealista Accattone, epopea

del sottoproletariato disperato e allegro; anche ne La ricotta, mito d'una


religione vera , d'una santit vera in una realt falsa e ipocrita.
Mito, ancora, ne Il Vangelo secondo Matteo, prima ancora che nella realizzazione, nella volont: Il mio interesse principale, il mio obbiettivo
non era la storia, ma il mito (Intervista su Filmcritica , cit.). E,
prima ancora: la figura di Cristo dovrebbe avere [...] la stessa violenza
di una resistenza: qualcosa che contraddica radicalmente la vita come si
sta configurando all'uomo moderno, la sua grigia orgia di cinismo, ironia,
brutalit pratica, compromesso, conformismo, glorificazione della propria
identit nei connotati della massa, odio per ogni diversit, rancore teologico senza religione (in Il Giorno , 6 marzo 1963).

Mito personale, dunque, della implicita tendenza al Vangelo che


sempre, dalle poesie dialettali, stata presente in Pasolini. E ai miti della
sua poesia si rif anche la favola, comica e ideologica (ideo-comica, l'ha
chiamata l'autore) di Uccellacci e Uccellini: la povert e la fame del Terzo
Mondo, la nostalgia del primitivo, la crisi del comunismo, sopratutto nei
confronti dei sottoproletari. Ma qui una realt rivissuta tanto intimamente e, quindi, tanto liberamente disponibile ad adozioni e soluzioni stilistiche corre il rischio di non essere, sempre, intesa nel suo senso; perci
Pasolini costretto a ricorrere a una didascalia per informare gli altri

che il corvo un intellettuale di sinistra, il rappresentante dell'ideologia


che Si accompagna ai semplici Tot e Ninetto. Il tema centrale della
favola: la crisi del marxismo degli anni ~50, la necessit, per risolversi, che
si accorga della nuova, o vecchia, realt religiosamente , cos come aveva
insegnato il San Francesco della piccola favola nella grande favola, si
risolve in una serie di felici momenti stilistici che, se pure non sempre
riescono a unirsi in un iter narrativo corrente, pi che coerente, testimoniano della validit artistica di una passione immessa in una fertile disponibilit stilistica.

Nei film successivi: Edipo Re, Teorema, Porcile, Medea, la problematica via via proposta meno conoscibile a livello di metodologia razionale , marxista: si introduce la psicanalisi che, insieme, strumento
di conoscenza e ulteriore arricchimento di disponibilit stilistica, proprio
in relazione a quella profonda qualit onirica del cinema come s'
detto precedentemente, a proposito degli influssi del cinema sulla poesia.

Non tentiamo un'analisi di questi film in quanto esula dal nostro compito e per la quale rimandiamo alle ben pi qualificate analisi riferite in
bibliografia. Solo vorremmo accennare alle corrispondenze di certi motivi
dei film nella poesia e, segnatamente, in Pilade e A~:abulazione. Prescin-

dendo dalle ovvie corrispondenze dei due Teorema, ci pare utile e, pi, significativo, indicare il motivo dell' enigma e del mistero presente
nelle due tragedie e in Edipo Re: non l'enigma del mondo, ma l'enigma
che nell'uomo, in se stessi, Pilade il padre, Edipo chiedono di chiarire; il motivo del conflitto padre-figiio in A~abulazione e in Porcile; il
motivo tra mondo barbaro e mondo civile in Pilade e in Medea.

Nel 1971, sette anni dopo Poesia in forma di rosa, Pasolini pubblica
il suo ultimo libro di poesie, Trasumanar e organizzar, che raccoglie gran
parte dei versi pubblicati su Nuovi Argomenti .

Di questa riduzione, o rallentamento, della produzione letteraria il


motivo fondamentale da ricercarsi nell'impegno che l'attivit di regista
gli procura, fornendogli, indubbiamente, soddisfazioni se non altro pi
ampie; e Pasolini non ha mai trascurato il problema del pubblico .

Ma giustificazioni dirette le fornisce lui stesso: la mancanza di fiducia nella stabilit del mondo che produce simili macchine letterarie , (com~:
dice nell'intervista che apre questo lavoro), l'aflermazione caparbia, e
quasi solenne, dell'inutilit della poesia (come scrive nel risvolto di
copertina di Trasumanar e organizzar); affermazione che deriva dalla vo-

lont di resistere contro ogni tentazione di letteratura-azione o letteratura-intervento ~>.

Dichiarazioni di questo tipo, con conseguente disimpegno stilistico ,


non sono nuove: c'erano gi in Poesia in forma di rosa, in particolare in
Progetto di opere future ; come non nuovo il recupero dell'ironia per
scherzarci su pi o meno amaramente:

Che cosa comunico, alla fine / dlla mia carriera di poeta, che sotto
sotto, / si considerava indispensabile all'umanit? (La nascita di un nuovo
tipo di bu~one).

In quest'ultima raccolta c' il tentativo di trovare le ragioni di questa


inutilit; e, al solito, l' ambiguo Pasolini ne trova due: l'im~ossibilit,
o l'incapacit sua di capire: ...forse ci con cui ebbi tanta confidenza / si
tramutato, e io non ho pi s~mprensione per esso ; l'impossibilit, o
l'incapacit sua di comunical e, ossia di stabilire un rapporto reciproco
tra se stesso e gli altri:
Che cosa comunico, se non comunico pi, / se, tutto sommato, non
ho mai comunicato / altro che il piacere di essere ci che sono / Ci che
mi insegn mia madre? (La nascita di un nuovo tipo di bu~one).

Un'ennesima confessione che conferma tutto ci che s' detto di Pasolini, del suo fin troppo esibito soggettivismo scandaloso , della visceralit, direbbe Ferretti, della sua conoscenza e del suo rapporto col mondo. Dalla consapevolezza di questa vanit della poesia, vanit intesa sia
come inutilit, sia come esibizionismo, doloroso e civettuolo insieme, deriva
una scelta stilistica: il poeta smette di essere poeta originale , perch
un sistema stilistico troppo esclusivo , e adotta schemi letterari
collaudati (Comunicato all'Ansa). Ma proprio per vanit il poeta
ama anche concedersi una certa libert linguistica rasentante talvolta
l'arbitrariet e il gioco (cose in precedenza mai avvenute, poich le sue
mistificazioni furono sempre ingenue, appassionate e zelanti) , come
scrive nel risvolto di copertina.

Questa la novit delle ultime poesie: un atteggiamento meno passionale e viscerale, perch pi sfiduciato e consapevole, un distacco a
volte addirittura schizoide, come vorrebbe far intendere il poeta se l'ironia
non rivelasse l'insanabilit del conflitto. E il conflitto sempre lo stesso:
da una parte la natura , dall'altra la storia ; da una parte l' umano
dall'altra 1' istituzione , la Chiesa , 1' organizzazione . Organizzare
significa snaturare, far violenza alla natura:

La contemporaneit temporale del trasumanar non l'organizzar? .


Ed una violenza tanto pi tragica e dolorosa in quanto una necessit
storica, della quale anche i violentati sono felicemente consapevoli
innocentemente convinti. La Chiesa , 1' ortodossia sono indistruttibili:

Qui stanno costruendo un'altra Chiesa, se non mi sbaglio. / Ah barbari, unici amici miei, / nessun uomo di Chiesa ha mai distrutto una
Chiesa; / la lotta sempre stata tra l'ortodossia vecchia e la nuova / Questo mi dispera, e mi tiene fuori dal gioco (Rifacimento de " L'orto-

Solo dai barbari , dunque potrebbe venire la salvezza, da quelli che


vivono col corpo , con ci che di innocentemente umano c' ancora,
senza paure, senza angosce, senza compromessi, seguendo il naturale piacere che la libert del proprio corpo destina loro. Come i corpi liberi
del Decamerone, dei Racconti di Canterbury e, probabilmente, delle
M~le e una n~tte.

Questa specie di disperato appello ecologico-antropologico-politico ,


forse, l'ultimo della serie: fra poco non ci saranno pi barbari : l'orga-

nizzazione sistemer tutto: si prepara l'avvento dell' entropia borghese .

L'entropia borghese, cio la conversione di tutti e di tutto nell'organizzazione-sistema che la classe borghese sta preparando, la marea ch~
sta per sommergere anche l'ultima spiaggia.

...la borghesia sta trionfando, sta rendendo borghesi gli operai, da


una parte, e i contadini ex coloniali dall'altra. Insomma, attraverso il neocapitalismo, la borghesia sta diventando la condizione umana. Chi nato
in questa entropia, non pu in nessun modo, metafisicamente, esserne fuor;.
:~ finita. Per questo provoco i giovani: essi sono presumibilmente l'ultima
generazione che vede degli operai e dei contadini: la prossima generazione non vedr intorno a s che l'entropia borghese .

Questa affermazione si trova a pagina 162 di Empirismo eretico,


la raccolta di saggi e note che Pasolini ha pubblicato nel 1972, e vuole
essere una giustificazione ( apologia ) della scandalosa poesia Il PCI ai
giovani. Ma un'affermazione che va al di l della necessit contingente:
il motivo di fondo dell'ultima produzione pasoliniana: la troveremo,
infatti, come suggello del recent;ssimo Caldern.

La sostanza dell'affermazione, tuttavia, non nuova: l'entropia borghese la dilatazione, nella storia, dell'istituzione per antonomasia, della
istituzione invincibile: la borghes;a. Ai margini restano, senza neanche
pi resistere, se non col loro corpo, gli esclusi : l negri, gli ebrei, i
poveri, soprattutto: i diversi . ~ la riproposizione, sotto altra forma,
dell'antico mito pasoliniano, il conflitto corpo-ragione che si risolve col
trionfo della ragione sistematrice. ~: una ragione astorica, metafisica, che
ha trasumanato , organizzato , o sta trasumanando o organizzando
le singole storie, le singole civilt, le ideologie, le prassi, i comportamenti.

In Emplr~smo eretico questa affermazione non ha certo la rilevanza


che qui le stiamo dando: gli scritti raccolti, quasi tutti pubblicati, tra il
1964 e il 1971 su riviste o giornali, trattano perlopi di questioni linguistiche, letterarie e cinematografiche. Ma alla luce di quell'affermazione
anche questioni abbastanza tecniche, anche se non solamente tecniche
come quelle linguistiche, acquistano una prospettiva nuova. Come quella
della nuova lingua nazionale che il neocapitalismo tecnico-burocratico sta
imponendo attraverso, soprattutto, i mass-media:

...la nuova stratificazione linguistica, la lingua tecnico-scientifica, non


si allinea secondo la tradizione con tutte le stratificazioni precedenti, ma

si presenta come omologatrice all'interno dei linguaggi (p. 23). Questo


tema occupa alcune decine di pagine di Empirismo eretico, svolgendosi in
risposte ad altri studiosi, in riprese e approfondimenti e chiarimenti che
tuttavia ne confermano la sostanza: alla luce, come si diceva, dell' entropia borghese , questa forza omologatrice della nuova stratificaZione linguistica diventa una forza convertitrice, diventa strumento di
organizzazione .

A questo rischio sembra sottrarsi il linguaggio cinematografico. E


quasi met delle trecento pagine di Empirismo eretico sono dedicate a
questioni di cinema, soprattutto di linguaggio cinematografico. E non certo
immeritatamente Pasolini rivendica a se stesso il merito di aver inaugurato in Italia, per quel che riguarda il cinema, l'uso della ricerca sem.ologica .

Non questa la sede competente per interpretare il discorso tecnico


di Pasolini sul cinema: una monografia, per cos dire parallela a questa
in CUl Pasolini scrittore appare, ha colmato ampiamente la lacuna che
qui Sl lasaa. A noi basta accennare al discorso sulla qualit del linguaggio
cinematografico, sullo specifico filmico che il regista pi discusso oggi
traccia su EmPir~smo eretico. Partendo dall'affermazione che il linguaggio

del cinema la realt e le parole sono le cose, o viceversa, Pasolini ricerca


in che cosa consista la transustanziazione semantica di un segno quando
questo passa dal campo comunicativo al campo espressivo . Consiste,
secondo quanto aveva detto Galvano della Volpe, nella disposizione alla
polisemia . Ma non solo il linguaggio poetico, di parole, polisenso ;
anche il linguaggio cinematografico, di cose, polisenso : la ' res ' al
cinema non monosemica . Il linguaggio del cinema diventa un metalinguaggio anche perch ha un tempo e uno spazio diversi che
nella realt.

La lucidit e l'impegno che Pasolini pone nel suo abbozzo di grammatica cinematografica sono anche testimonianza della validit che il
cinema, il cinema d'arte , naturalmente, ha per lui: non altrettanto,
come s' visto, si pu dire per la poesia. Ma il ritratto che Pasolini fa
dell'autore di cinema lo stesso, antico ritratto che faceva di se stesso
poeta:

La libert (dell'autore) non pu essere manifestata altrimenti che


attraverso un grande o un piccolo martirio... Egli, nell'atto inventivo,
necessariamente scandaloso, si espone--e proprio alla lettera-- agli
altri: allo scandalo appunto, al ridicolo, alla riprovazione, al senso di

diversit, e perch no?, all'ammirazione, sia pure un po' sospetta (p. 274).

L'ultimo testo che Pasolini ha pubblicato, riel 1973, Caldern, un


lavoro per il teatro. E: questo il terzo, dopo Pilade e A~abulazione, ma
l'unico che sia apparso in volume. Al teatro Pasolini ha incominciato
a pensare dal 1968, quando su Nuovi Argomenti ha pubblicato ilManifesto per un nuovo teatro (se ne parla a.p. 77 di questo libretto).

Caldern, il drammaturgo spagnolo, un pretesto polemico: .al La


vida es sueho si contrappone un la vita non sogno che potrebbe essere
il secondo titolo del dramma di Pasolini. Ma senz'altro pi rispondente
potrebbe essere il secondo titolo la fine del sogno .

Il dramma, diviso in sedici episodi e tre stasimi Iquesti ultimi servono


al poeta per dire, attraverso uno speaker , certe cose al pubblico),
impostato su uno schema fisso, ripetuto tre volte:
Rosaura, giovane alto-borghese, di nobile discendenza, non riconosc~
la realt che la circonda, la sua realt sociale;

Rosaura, sottoproletaria, prostituta, non si riconosce nella sua baracca

Maria Rosa, moglie borghese, cerca di rifiutare la propria collocazione


famigliare e sociale.

A uno schema fisso corrispondono anche i personaggi: i personaggi


sani : Basilio, padre di Rosaura e marito di Maria Rosa, campione di
sanit borghese, donna Lupe, Stella; i personaggi malati , cio
scandalizzanti , diversi : le due Rosaure, Maria Rosa, Sigismondo,
Manuel.

Tra questi due tipi di personaggi si svolge un conflitto la cui risoluzione, a favore del personaggio sano , cio della ragione, dell' organizzazione , scontata. Perch questi vive ; l'altro, il diverso
sogna: e la vita, come s' detto, non sogno.

Un altro schema fisso, o struttura, possibile rinvenire: la prima


Rosaura s'innamora di Sigismondo, che le rivela d'essere suo padre, la
seconda Rosaura s'innamora di Pablo, che risulta essere suo figlio.

Questa estrema semplicit di strutture la coerente interpretazione


della poetica del Teatro di parola : le situazioni sono gli appoggi su
cui scorre il discorso ideologico . Dice lo speaker nel secondo stasimo:

...l'autore continua a detestare, con tutta la relativa lucidit della sua


ragione, ogni scenografia che non sia solo irldicativa: perch se non
tale, altro non che un elemento di quel rito sociale che il teatro per
la borghesia, e che l'autore quindi non pu amare .

La situazione ha la stessa funzione indicativa della scenografia:


la sua semplicit riducibile a schema, e a schema ripetuto (per esempio
le tre scene dei risvegli sono identiche nelle battute) denuncia lo stesso
rifiuto di realismo che denunciato dalla essenzialit puramente indicativa della scenografia. Quello che conta, insomma, il discorso, l'ideologia. E il discorso parte dal problema degli esclusi . Dice Pablo a Rosaura, la prostituta sottoproletaria:

6 I ' membri normali ' sono ' membri normali ': a loro, / nel migliore
dei casi, basta un fascismo democratico. Restano gli ' esclusi ': tu, Velzquez, i Negri, / i matti, i delinquenti, gli andalusi. Cosa devono fare? ~.

Velzquez, il maestro di Pablo, escluso perch rivoluzionario e


perch omosessuale, aveva detto che gli esclusi devono gettare i fiori
e prendere le armi . Ma non aveva ragione: perch anche tra gli
esclusi ci sono gli esclusi . Rosaura una di questi:

S, perch tu sei esclusa come povera, / ed esclusa inoltre come puttana. / Come povera, sei negata tra i negati, / come puttana, anche i
negati ti negano .

L'area dell'esclusione, quindi, si va sempre pi restringendo: una


volta erano gli operai, i contadini: ora anche questi si sono inclusi ,
inghiottiti dal Leviatano borghese.

La borghesia, dunque: ent~opia assimilante ed annullante; la borghesia ormai eterna, ed eterna perch sa rinnovarsi pur rimanendo borghesia; e per rinnovarsi, per liberarsi concede ai suoi figli di farle la
rivoluzione.

...Dunque / la Borghesia, per liberarsi / del suo recente passato


(cultura, arte, artigianato, / coltivazione dei campi, oltre / la Chiesa,
immagino), ha bisogno--contro se stessa--di figli rivoluzionari . I
figli rivoluzionari , figli molto seri , pieni di senso del dovere
sono quelli contro cui, in altre poesie, Pasolini ha polemizzato, a volte
violentemente, pi spesso con amara ironia. Il risultato di questa rivoluzione:

Apprerdiamo a distruggere, come gi / aveva appreso Hitler. Quando


tutto / ci che il potere vorr distruggere sar distrutto, / i giovani figli
avranno esaurito il loro compito .

La borghesia che una volta si servita di Hitler e del fascismo per


rinnovarsi, oggi si serve di questi giovani seri , cio organizzati per
rinnovarsi ancora. Non un'affermazione nuova: con tutta la volont di
ambiguit con cui l'autore la pronuncia, giustifica le polemiche che
ha suscitato e che suscita.

La rivoluzione, allora, si pu soltanto sognare: l'ultimo sogno di


Maria Rosa, prima di rit'ornare a vivere : un sogno che rievoca certe
poese di Le cener~ d~ Gramsci:

<~ ...cantando / entrano gli operai. Hanno bandiere rosse / strette nei
pugni, con le falci e i martelli; hanno i mitra imbracciati; hanno fazzoletti / rossi annodati al collo, sui colletti anneriti / delle tute... ' Siete
liberi'--ci ripetono, / come se noi non fossimo pi in grado / di capire
queste parole--' Siete liberi ' .

L'ultima parola del dramma, per, spetta a Basilio:

Un bellissimo sogno, Maria Rosa, davvero / un bellissimo sogno.


Ma io penso / (ed mio dovere dirtelo) che proprio / in questo momento
comincia la vera tragedia. / Perch di tutti i sogni che hai fatto o che
farai / si pu dire che potrebbero essere anche realt. / Ma, quanto a
questo degli operai, non c' dubbio: / esso un sogno, niente altro che
un sogno .

Con questo ultimo rifiuto di speranza Pasolini finisce.

La morte ha colto, tragicamente e violentemente, Pasolini la notte


del 2 novembre 1975, alla periferia di Ostia, in mezzo a una squallida
borgata.

Anche morendo, dunque, il poeta ha voluto essere scandaloso, testimone-martire dello scandalo che pi d'ogni altro aveva denunciato sino
all'ultimo giorno della vita: la violenza.

A conclusione d'una vita e d'una straordinaria carriera letteraria, ci


sembra utile proporre una riflessione che, se conclusiva non vuole, n

pu essere, possa, tuttavia, in qualche misura, avere una funzione riassuntiva.

Da anni, ormai, Pasolini non scriveva pi romanzi: il suo impegno


di narratore probabilmente si era concluso; poesie ne continuava a scrivere, di tanto in tanto; di quelle speciali poesie civili e morali che
abbiamo esaminato nel capitolo precedente. L'ultima sua produzione
stata, quasi esclusivamente, saggistica: Empirismo eretico nel 1972, Scritti
corsari nel 1975. Ma il genere saggistica non forse il pi adatto
per indicare il carattere degli scritti raccolti in questi due libri. I temi
teorici si sono fatti via via meno frequenti, mentre sempre pi insistente apparso l'articolo di costume, il commento ai fatti della cronaca,
la denuncia, la polemica su singoli accidenti o su casi pi generali.

Cos troviamo, negli Scritti corsari, ma sarebbe pi giusto dire ritroviamo, la descrizione d'una societ ormai omologata in un universo tecnologico, consumistico che totalitario e repressivo quanto pi
si mostra tollerante e permissivo; la denuncia di uno sviluppo senza
progresso , di una centralizzazione acculturante che distrugge le culture periferiche e, pi drammatica e disperante, anche perch tragicamente profetica, la denuncia dell'orrore della mancanza di piet .

E troviamo, anche, i motivi pi ambigui delle contraddizioni pasoliniane, come il recupero nostalgico di un'et precapitalistica, contadina,
paradossalmente libera e liberante anche nella sua repressivit.

Queste dichiarazioni, a parte lo scalpore che, oggettivamente, hanno


sempre sollevato, si caratterizzano non solo e non tanto per ci che ,sostanzialmente dichiarano, ma anche per come, formalmente, e cio poeticamente, sono espresse.

Pasolini, cio, non scriveva, per esempio sul Corriere della Sera ,
come il cronista di costume usa scrivere sulla terza pagina: il suo stile,
il suo linguaggio, costruito spessissimo su immagini, violento e candido
insieme nella qualit, finisce con l'essere poetico, anche nella provocazione pi scandalosa. E, del resto, il linguaggio della provocazione
non certamente quello della semplice comunicazione .

Gli ultimi scritti di Pasolini ci pare offrano la possibilit di definire


questa ultima sua produzione letteraria come quella di un moralista. E
questa figura di letterato ci piace caratterizzarla con le parole che Cesare
Luporini us a proposito di Leopardi: ... elaboratori di immediate espe-

rienze umane, specifiche d'un'epoca, d'una classe... il cui pensiero caratteristicamente segnato da un'accentuazione ottimistica o pessimistica
della visione del mondo e delle cose, che, come tale, esula dalla pura
indagine scientifica .

E vorremmo concludere su Pasolini ancora con ie parole di Luporini:


.. egli fu un grande moralista, apparizione molto rara nella tradizione
itallana e proprio per questo non facilmente comprensibile presso di noi .
FINE.

NOTIZIE BIOGRAFICHE.

Pier Paolo Pasolini nato a Bologna nel 1922. La fanciullezza e la giovinezza


le ha trascorse in gran parte nel Friuli, a Casarsa, il paese della madre, dove
andava a villeggiare e dove sfoll nel '43 rimanendovi sino al '49, e in
varie citt del Veneto e dell'Emilia studiando a Reggio Emilia, a Bologna
dove ha frequentato l'Universit e si e laureato in lettere..Nel '49 si trasferito
a Roma; dopo aver insegnato per qualche tempo in una scuola privata, si
dedicato completamente al suo lavoro di scrittore e di regista diventando uno
dei testimoni pi sensibili e appassionati della crisi del nostro tempo e uno
degli intellettuali pi rappresentativi di questi anni.

E' stato assassinato, in mezzo alle baracche della periferia di Ostia, la notte
del 2 novembre 1975.

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