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PARTE PRIMA
IL SISTEMA GIURIDICO DELLUNIONE EUROPEA
CAPITOLO 1
LA STRUTTURA ISTITUZIONALE
1. LE ISTITUZIONI DELLUNIONE
Il Trattato di Lisbona ha ridisegnato il quadro istituzionale dellUE, con lobiettivo di
promuoverne i valori, perseguirne gli obiettivi, servire i suoi interessi, quelli dei suoi cittadini e
quelli degli Stati membri, garantirne la coerenza, lefficacia e la continuit delle sue politiche e delle
sue azioni (art. 13, n. 1, TUE). Nel nuovo assetto sono qualificate istituzioni dellUnione:
1. il Parlamento;
2. il Consiglio europeo;
3. il Consiglio;
4. la Commissione;
5. la Corte di giustizia dellUnione;
6. la Corte dei conti;
7. la Banca centrale europea (art. 13, n. 1, TUE).
In questa cornice sono state introdotte nuove figure, in particolare il Presidente del Consiglio
europeo e lAlto rappresentante dellUnione per gli affari esteri e per la politica di sicurezza.
Accanto alle istituzioni operano anche altri organismi:
alcuni menzionati dai trattati (Comitato economico e sociale, Comitato delle regioni);
altri (in particolare le agenzie europee) creati con atti delle istituzioni sulla base della
c.d. clausola di flessibilit (art. 352 TFUE).
2. IL PARLAMENTO EUROPEO
Il Parlamento europeo composto dai rappresentanti dei cittadini dellUnione. Esso esercita,
congiuntamente al Consiglio, la funzione legislativa e la funzione di bilancio, nonch funzioni
di controllo politico e consultive alle condizioni stabilite dai trattati; ed elegge il Presidente della
Commissione (art. 14 TUE).
Esso riassume le spinte verso una democratizzazione dei processi decisionali e nello stesso tempo
verso la realizzazione di un livello pi marcato di integrazione, tendenzialmente sul modello di una
struttura di tipo federale. Ne la conferma la continua evoluzione che il Parlamento ha subto nel
corso degli anni, quanto alla composizione e al suo coinvolgimento nel processo decisionale:
soprattutto in materia di bilancio e, pi in generale, con lAtto unico, il Trattato di Maastricht, il
Trattato di Amsterdam e il Trattato di Nizza, nel processo di formazione degli atti, in breve
nellesercizio della funzione legislativa.
Originariamente Assemblea comune, poi Assemblea parlamentare europea, in concomitanza con la
creazione della CEE e dellEuratom, finalmente Parlamento europeo in virt di una sua decisione
del 30 marzo 1962 e poi dellAtto unico, listituzione fu per molti anni composta da membri dei
Parlamenti nazionali, da questi designati, s che la rappresentativit dei popoli riuniti nella
Comunit era indiretta e imperfetta:
indiretta in quanto i parlamentari non venivano eletti direttamente dai cittadini europei,
bens dai rappresentanti di questi ultimi eletti in seno ai rispettivi Parlamenti;
imperfetta in quanto, almeno in alcuni casi, non rifletteva esattamente e
proporzionalmente la presenza di tutte le componenti politiche in seno ai Parlamenti
nazionali.
Prefigurata dai trattati istitutivi, lelezione diretta dei membri del Parlamento fu decisa da un Atto
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del Consiglio europeo del 20 settembre 1976 e successivamente realizzata con apposite leggi
nazionali. Le prime elezioni si sono svolte nel 1979, in base a sistemi elettorali diversi. peraltro
previsto che, su progetto del Parlamento e decisione unanime del Consiglio, sia raccomandata agli
Stati membri ladozione, in base alle rispettive norme costituzionali, di una procedura uniforme di
elezione, procedura che, a seguito di una precisazione apportata dal Trattato di Amsterdam, potr
essere fondata anche solo su principi comuni agli Stati membri (art. 223, n. 1, TFUE).
Il numero dei membri, che nella legislatura 2009-2014 di 736, nella legislatura 2014-2019 non
potr essere superiore a 751 (750 + il Presidente, art. 14, n. 2, TUE). Il Consiglio europeo,
deliberando allunanimit, su iniziativa e con lapprovazione del PE, pu modificare la
composizione (art. 14, n. 2, 2 c., TUE).
I parlamentari hanno un mandato di 5 anni e sono divisi in gruppi politici e NON in gruppi
nazionali. Stando alla formulazione del Trattato, i membri del Parlamento dovrebbero rappresentare
i cittadini dellUnione collettivamente considerati. In questa prospettiva, tra le disposizioni sulla
cittadinanza dellUE figura anche quella sullelettorato attivo e passivo per le elezioni del PE, il cui
esercizio collegato al Paese di residenza alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato (art.
22, n. 2, TFUE).
Dunque i partiti politici sono definiti a livello europeo e contribuiscono a formare una coscienza
politica europea e ad esprimere la volont dei cittadini dellUnione (art. 10, n. 4, TUE). La
determinazione dello Statuto dei partiti politici e, in particolare, le norme sul loro funzionamento,
sono stabilite dal Consiglio e dal medesimo Parlamento attraverso la procedura legislativa ordinaria
(art. 224 TFUE).
Nellorganizzazione dei lavori, i parlamentari si dividono in commissioni permanenti con
competenza per materie, che riflettono la suddivisione tra le Direzioni Generali della Commissione.
Il PE elegge, tra i suoi membri:
il Presidente
e lufficio di presidenza
Il Capo III, del Protocollo n. 7, precisa le immunit e i privilegi riconosciuti ai membri del PE. In
particolare:
i parlamentari europei NON possono essere ricercati, detenuti o perseguiti per le loro
opinioni o per i voti espressi nellesercizio della loro funzione. Inoltre, per la durata delle
sessioni, ai parlamentari europei sono estese, sul territorio nazionale, le stesse immunit
riconosciute ai membri del Parlamento del loro paese;
mentre, sul territorio degli altri Stati membri, i parlamentari europei sono esenti da
provvedimenti di detenzione e da procedimenti giudiziari, anche relativamente agli atti
compiuti al di fuori delle loro funzioni. Tali immunit incontrano 1 limite nellipotesi di
flagrante delitto; in ogni caso, allo stesso PE riconosciuta la possibilit di privare un
parlamentare di queste immunit. Infine, i parlamentari europei hanno ampia libert di
movimento per raggiungere i luoghi delle riunioni.
Ai sensi dellart. 231 TFUE, salvo disposizioni contrarie dei trattati, il PE delibera a maggioranza
dei suffragi espressi. Il quorum raggiunto quando in aula sono presenti 1/3 dei membri; nonostante
ci, le delibere si ritengono valide a meno che non venga constatata la mancanza del numero legale.
In alcuni casi , invece, richiesta la maggioranza assoluta dei componenti del PE; ad es.:
per lelezione del Presidente della Commissione (art. 17, n. 7, TFUE);
in materia di procedura semplificata di revisione dei trattati (art. 48, n. 7, 4 comma, TUE);
per lammissione di nuovi Stati (art. 49 TUE).
richiesta, poi, la maggioranza dei componenti e dei 2/3 dei voti espressi:
per lapprovazione della mozione di censura sulloperato della Commissione (art. 234
TFUE);
e per la constatazione del rischio evidente di violazione grave da parte di uno Stato membro
dei valori su cui si fonda lUnione (art. 354, 4 c., TFUE).
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Infine, prevista la maggioranza dei componenti e dei 3/5 dei suffragi espressi qualora il PE
volesse confermare gli emendamenti al bilancio respinti dal Consiglio (art. 314, n. 7, lett. d, TFUE).
La sede della struttura amministrativa del Parlamento Lussemburgo, mentre le riunioni delle
Commissioni si svolgono a Bruxelles e la sessione plenaria mensile si tiene a Strasburgo.
Il Parlamento ha poteri di controllo, inoltre partecipa al processo di formazione delle norme e a
quello di approvazione del bilancio.
Relativamente al potere di controllo, va tenuto presente che tra il Parlamento e la Commissione
non c mai stato un vero e proprio rapporto di fiducia, nel senso che i membri della Commissione
erano designati dagli Stati membri senza una partecipazione sostanziale del Parlamento.
Il Trattato di Lisbona, modificando la procedura di nomina della Commissione, ha introdotto in
questa materia significative novit proprio nel senso di una pi consistente partecipazione del
Parlamento; infatti, questultimo :
1) in primo luogo chiamato ad eleggere il Presidente della Commissione (art. 14, n. 1, TUE)
proposto dal Consiglio europeo;
2) e in secondo luogo deve esprimere un voto di approvazione del Presidente, dellAlto
rappresentante per gli affari esteri e degli altri commissari collettivamente considerati, che
sono formalmente nominati solo in un momento successivo dal Consiglio europeo (art. 17,
n. 7, TUE).
Inoltre la Commissione tenuta a presentare annualmente al Parlamento una relazione generale
sullattivit svolta nellanno precedente, nonch relazioni annuali sulla situazione dellagricoltura,
sulla situazione sociale e sulla politica di concorrenza. In tali occasioni, il Parlamento procede al
loro esame (art. 233 TFUE).
A ci si aggiungono le interrogazioni del Parlamento o dei suoi membri alla Commissione, ai quali
questultima tenuta a rispondere oralmente o per iscritto (art. 230 TFUE). Lo stesso si deve dire
per le interrogazioni al Consiglio.
Nella prassi, poi, importante la partecipazione dei membri o dei funzionari della Commissione o
del Consiglio ai lavori delle commissioni parlamentari, che si risolve in un dialogo continuo tra le
istituzioni e contribuisce a rendere effettiva lattivit di controllo del Parlamento.
Significativa la possibilit per il Parlamento di pronunciare una censura sulloperato della
Commissione, da approvare con la maggioranza dei 2/3 dei voti espressi e la maggioranza dei
membri. Se il Parlamento utilizza questo strumento, i membri della Commissione si dimettono
collettivamente dalle loro funzioni e lAlto rappresentante dellUnione per gli affari esteri e la
politica di sicurezza si dimette dalle funzioni che esercita in seno alla Commissione (art. 234
TFUE). In realt, le occasioni in cui stata presentata una mozione di censura sono state molto rare
e non si arrivati mai alla sua approvazione, s che appare unarma in pratica di valenza ridotta.
Inoltre, il Parlamento partecipa alla funzione normativa. Pi che dellesercizio di autonomi poteri
decisionali o legislativi in senso proprio, fatta eccezione per quel che riguarda lorganizzazione
interna dellistituzione, si tratta di una partecipazione sempre pi intensa al processo di formazione
degli atti dellUnione (artt. 289 e 294 TFUE) e di conclusione di accordi internazionali (art. 218
TFUE). Anche sotto questo profilo si avuta unevoluzione rimarchevole nel corso degli anni, con
un progressivo consolidamento della presenza del Parlamento nel processo decisionale, nonch una
conseguente accentuazione del suo ruolo politico in senso lato. Tale partecipazione si manifesta con
modalit e intensit diverse a seconda dei casi e del tipo di procedura prevista di volta in volta dal
Trattato. E tra gli aspetti pi significativi della situazione attuale, oltre al potere di fissare il proprio
statuto e le condizioni per lesercizio delle funzioni dei suoi membri, c che il Parlamento gode
ormai di un vero e proprio potere generale di pre-iniziativa legislativa. Esso infatti, in virt
dellart. 225 TFUE pu chiedere alla Commissione di presentare proposte adeguate quando reputi
necessaria ladozione di un atto dellUE; la Commissione, qualora decida di non dare seguito alla
richiesta del PE, deve comunque motivare il suo rifiuto. Resta beninteso che in ogni caso la
responsabilit della proposta della Commissione e che pertanto liniziativa del Parlamento ha
natura soprattutto politica.
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I trattati di riforma hanno progressivamente rafforzato il ruolo del Parlamento, introducendo novit
di sicuro rilievo. In particolare, il Trattato di Nizza ha collocato il PE sullo stesso piano della
Commissione e del Consiglio quanto alla possibilit di adire la Corte di Giustizia sollevando
lazione di annullamento ex art. 263 TFUE. Unaltra novit introdotta dal Trattato di Nizza riguarda
la possibilit per il PE, e non + soltanto per il Consiglio, la Commissione e gli Stati membri, di
chiedere alla Corte di Giustizia un parere sulla compatibilit di un accordo internazionale con le
disposizioni del Trattato (art. 218, n. 5, TFUE). Tale potere pu avere un notevole impatto, ove si
consideri che il parere negativo della Corte implica la necessit di ricorrere alla procedura di
revisione dei trattati, di cui allart. 48 TUE, per la stipula dellaccordo contestato. Il Trattato di
Lisbona ha accresciuto ancor pi il ruolo del PE, estendendo la procedura di codecisione (ex art.
251 CE), divenuta procedura legislativa ordinaria (art. 294 TFUE), coinvolgendolo, nella forma
dellapprovazione o della consultazione, nella definizione degli accordi internazionali negoziati
dalla Commissione e dal Consiglio ai sensi dellart. 218 TFUE, attribuendo al PE nella procedura
di bilancio una posizione equiparata al Consiglio, ampliandone il ruolo nella procedura di revisione
dei trattati e accrescendone anche il ruolo di controllo delle funzioni esecutive della Commissione.
Infine significativo il raccordo con i Parlamenti nazionali, chiamati a svolgere un importante ruolo
soprattutto nellambito della procedura di controllo dellapplicazione del principio di sussidiariet.
3. IL CONSIGLIO EUROPEO
Il Consiglio europeo, che non va confuso con il Consiglio (gi Consiglio dei ministri), nato
parallelamente ma allesterno della struttura istituzionale comunitaria, dalla prassi delle riunioni al
vertice fra i capi di Stato o di governo degli Stati membri, che dal 1961 e fino ai primi anni 70 si
sono tenute senza una cadenza regolare, per discutere questioni attinenti alla vita e allo sviluppo
delle Comunit. Tale prassi trov una prima formalizzazione al vertice di Parigi del dicembre 1974,
in cui i capi di Stato e di governo decisero per lappunto di riunirsi come Consiglio europeo,
assieme ai loro ministri degli affari esteri e ai rappresentanti della Commissione (il presidente e uno
dei vicepresidenti), con cadenza periodica (3 volte lanno) e sotto la presidenza del capo di Stato o
di governo che esercita la presidenza del Consiglio delle Comunit. LAtto unico ha poi sancito
formalmente lesistenza del Consiglio europeo e la cadenza delle sue riunioni.
Nel sistema antecedente allentrata in vigore del Trattato di Lisbona il Consiglio europeo occupava
una posizione peculiare, di rilievo, ma non era collocato allinterno del sistema istituzionale in
senso proprio. Il Trattato di Lisbona ha inserito il Consiglio europeo a pieno titolo tra le istituzioni
dellUnione (art. 13 TUE e artt. 235 e 236 TFUE). Risulta confermato il suo ruolo di impulso e di
definizione degli orientamenti e delle priorit politiche generali, necessari allo sviluppo dellUE,
rimanendo escluse le funzioni legislative.
Le novit + significative introdotte dal Trattato di riforma riguardano la composizione. Ai sensi
dellart. 15 TUE, il Consiglio europeo composto dai capi di Stato o di governo degli Stati membri
e dal suo presidente e dal Presidente della Commissione. La partecipazione del Capo dello Stato o
del Governo dipende dalle norme nazionali (ad es., per lItalia il Capo del governo, per la Francia
il Presidente della Repubblica). LAlto rappresentante dellUE per gli affari esteri partecipa ai
lavori, senza farne parte. Soltanto se lordine del giorno lo richiede, ciascun membro del Consiglio
europeo pu decidere di farsi assistere da un ministro e il Presidente della Commissione da un
membro della Commissione.
La presenza del Presidente della Commissione e/o di un membro della stessa diretta a rendere
lesercizio del potere di iniziativa legislativa coerente con gli indirizzi indicati dal Consiglio
europeo. Il presidente del PE pu essere eventualmente invitato alle riunioni per essere ascoltato
(art. 235, n. 2, TFUE). Peraltro, allesigenza di raccordo con il Parlamento risponde la relazione
del Presidente del Consiglio europeo al Parlamento dopo ciascuna riunione. Inoltre, la prassi che il
Presidente del Parlamento incontra il Consiglio allinizio di ogni riunione.
Il Consiglio europeo si riunisce 2 volte a semestre su convocazione del presidente che pu tra laltro
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convocare riunioni straordinarie qualora la situazione lo richieda. Per quanto riguarda la procedura
di voto, il Consiglio europeo si pronuncia per consenso (meglio dire consensus), salvi i casi in
cui i trattati dispongano diversamente (art. 15, n. 4, TUE); infatti il Consiglio europeo pu
deliberare a:
maggioranza qualificata (ad es. per stabilire lelenco delle formazioni del Consiglio o per
decidere le presidenze delle formazioni del Consiglio, art. 236 TFUE o per la nomina della
Commissione, art. 17, n. 7, TUE);
o a maggioranza semplice (in merito alle questioni procedurali e per ladozione del suo
regolamento interno, art. 235 TFUE).
N.B.: Non partecipano alla votazione i Presidenti del Consiglio europeo e della
Commissione.
Novit rilevante la stabilit attribuita al Presidente, eletto dal Consiglio europeo a maggioranza
qualificata per un periodo di 2 anni e mezzo, rinnovabile 1 volta (art. 5 TUE) e preclusivo di ogni
mandato nazionale. Il Presidente investito innanzitutto del compito di presiedere e animare i lavori
del Consiglio europeo. Egli ne deve assicurare la preparazione e la continuit dei lavori, in
cooperazione con il presidente della Commissione e in base ai lavori del Consiglio Affari
generali. Egli deve anche adoperarsi per facilitare la coesione e il consenso in seno allistituzione e
infine presentare al PE una relazione dopo ciascuna delle riunioni del Consiglio europeo. Spetta al
Presidente assicurare la rappresentanza esterna dellUnione per le materie relative alla politica
estera e di sicurezza comune, fatte salve e quindi coordinandosi con le attribuzioni affidate allAlto
rappresentante dellUE per gli affari esteri e la politica di sicurezza.
In definitiva, il Consiglio europeo ha assunto, in virt della riforma, un ruolo importante:
nel processo decisionale dellUnione;
nel processo di formazione delle istituzioni, in particolare, nella nomina della Commissione
(art. 17, n. 8, TUE);
nella gestione delle procedure di revisione semplificate (art. 48, nn. 6 e 7, TUE);
e soprattutto grazie al suo Presidente contribuisce a disegnare il volto esterno dellUnione.
Per quanto riguarda le competenze, lart. 14 TUE sancisce che il Consiglio europeo ha un ruolo
dimpulso e di definizione degli orientamenti politici generali, necessari allo sviluppo dellUE; e
precisa che esso non esercita funzioni legislative.
Pi in particolare, il Consiglio ha una funzione di indirizzo politico nel settore della politica estera
e sicurezza comune e nel settore della politica di sicurezza e di difesa comune, poich
espressamente stabilito, allart. 22 TUE, che esso definisce gli interessi e gli obiettivi strategici
dellazione esterna dellUnione, nonch le questioni che hanno implicazioni in materia di sicurezza
(art. 26 TUE). Una funzione di indirizzo politico svolto dal Consiglio europeo attraverso la
precisazione degli orientamenti strategici della programmazione legislativa e operativa nelle materie
relative allo spazio di libert, sicurezza e giustizia (art. 68 TFUE). Altre volte, invece, il CE
chiamato ad un ruolo di politica attiva: ad es., quando decide sulle formazioni del Consiglio (gi
Consiglio dei ministri) o sulla composizione del PE. Mentre, si configura come organo
gerarchicamente superiore rispetto al Consiglio, quando questultimo deferisce ad esso alcune
questioni. Ad es., in materia di sicurezza sociale, qualora uno Stato opponga resistenza alladozione
di un atto, il problema viene sottoposto al CE.
Quando poi il CE delibera allunanimit, senza la partecipazione del Presidente e del Presidente
della Commissione, esso si configura come una riunione di organi degli Stati membri. Lo stesso CE
opera viceversa come organo di presidenza collegiale quando nomina il proprio Presidente e lAlto
rappresentante dellUnione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. In tale configurazione il CE
deliberando, a maggioranza qualificata, propone al PE un candidato alla carica di Presidente della
Commissione (art. 17, n. 7, TUE). Del pari, attribuito al CE il ruolo di garante del rispetto dei
principi fondamentali (libert, democrazia, diritti delluomo e stato di diritto) cui sono tenuti gli
Stati membri (art. 7 TUE).
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4. IL CONSIGLIO
Il Consiglio dellUnione (gi Consiglio dei ministri), composto dai rappresentanti di tutti gli Stati
membri, scelti nellambito dei rispettivi governi, normalmente con il rango di ministri, in funzione
della materia trattata. Il Trattato, con il sancire espressamente il rango ministeriale dei suoi
componenti (il Consiglio formato da 1 rappresentante di ciascuno Stato membro a livello
ministeriale, abilitato ad impegnare il Governo di questo Stato membro: art. 16 TUE), in realt ha
inteso consentire agli Stati membri di farsi rappresentare anche da membri di governi regionali.
Dunque il Consiglio :
un organo di Stati in quanto i membri che lo compongono rappresentano i rispettivi Stati
membri e a questi ultimi rispondono;
un organo a composizione variabile e pertanto si riunisce in diverse formazioni (es.
agricoltura, ambiente, trasporti, ecc.), il cui elenco adottato a maggioranza qualificata dal
CE (art. 236 TFUE) ad eccezione delle formazioni affari generali e affari esteri che
sono definite dal Trattato (art. 16, n. 6, TUE).
In particolare:
il Consiglio affari generali assicura la coerenza dei lavori delle varie
formazioni del Consiglio e rappresenta un momento di collegamento rispetto al CE,
dovendo preparare i lavori di questo e confermandone il pieno inserimento nel
quadro istituzionale dellUnione;
il Consiglio affari esteri elabora lazione esterna dellUnione secondo le linee
strategiche definite dal CE e assicura la coerenza dellazione dellUnione.
La presidenza delle formazioni del Consiglio tranne di quella Affari esteri che spetta allAlto
rappresentante dellUnione per gli affari esteri e la politica di sicurezza esercitata da gruppi
predeterminati di 3 Stati membri per un periodo di 18 mesi, secondo un sistema di rotazione
paritaria, stabilito da una deliberazione, a maggioranza qualificata, del CE (art. 16, n. 9, TUE).
Precisamente, ai sensi della Dichiarazione n. 9 allegata al Trattato di Lisbona, questi gruppi sono
composti tenendo conto delle diversit degli Stati membri e degli equilibri geografici nellUnione.
Ciascuno dei 3 Stati esercita a turno la presidenza, per un periodo di 6 mesi e gli altri 2 lo assistono
sulla base di un programma stabilito in comune. Dunque, a differenza del passato, il Trattato di
Lisbona, pur mantenendo la turnazione tra gli Stati ancorata ai 6 mesi di esercizio della presidenza,
introduce una programmazione articolata in 18 mesi, un arco temporale + lungo che rende possibile
fissare obiettivi pi impegnativi.
La Presidenza ha anche una valenza politica, che si pu manifestare:
sia nella convocazione delle riunioni;
sia pi in generale nellimpulso da attribuire ai diversi argomenti di discussione e di
deliberazione.
Il Consiglio, che ed agisce come istituzione dellUnione, in alcuni casi espressamente previsti dal
Trattato agisce come organo che riunisce i rappresentanti degli Stati membri, alloccorrenza le
stesse persone fisiche che siedono nel Consiglio. Ne consegue che, in questa ipotesi:
i rappresentanti degli Stati membri si riuniscono e deliberano in quanto tali e non in quanto
componenti del Consiglio;
e la deliberazione presa non + dallistituzione, bens da un organo intergovernativo: ad es.
il caso della nomina dei membri della Corte di giustizia (art. 253 TFUE).
Il Consiglio si riunisce su convocazione del Presidente, per iniziativa di questultimo o di uno dei
suoi membri oppure della Commissione.
Il Consiglio assistito da un Segretariato generale, che ne rappresenta il supporto funzionale e
amministrativo. Tale organo ha una struttura articolata in varie direzioni generali e in un servizio
giuridico, con sede a Bruxelles, ed posto sotto la responsabilit di funzionamento di un Segretario
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generale (art. 240, n. 2, TFUE).
Il COREPER (Comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati membri), composto dai
rappresentanti diplomatici di tutti gli Stati membri accreditati presso lUnione, una struttura che
con il tempo ha acquisito sempre maggiore rilievo. Inizialmente previsto solo dal regolamento
interno del Consiglio, il suo ruolo stato definitivamente sancito dal Trattato di fusione: esso
responsabile della preparazione del lavoro del Consiglio e della realizzazione dei compiti attribuiti
dallo stesso Consiglio. Il COREPER un organismo autonomo, cui anche attribuito il potere di
adottare decisioni di procedura nei casi previsti dal regolamento interno (art. 16, n. 7, TUE e art.
240, n. 1, TFUE). Struttura di collegamento tra lUnione e i Paesi membri, il COREPER coordina il
lavoro delle tante commissioni tecniche che preparano lattivit normativa del Consiglio e ne
rappresenta al tempo stesso il filtro politico.
Inoltre il Trattato di Lisbona ha previsto listituzione in seno al Consiglio di 1 comitato permanente
per assicurare allinterno dellUnione la promozione e il rafforzamento della cooperazione operativa
in materia di sicurezza interna; questo comitato favorisce anche il coordinamento delle azioni delle
autorit nazionali. Il PE e i Parlamenti nazionali sono informati costantemente dei lavori del
comitato (art. 71 TFUE).
Al Consiglio stato attribuito un vasto potere normativo e di coordinamento. Ai sensi dellart. 26
TUE: Il Consiglio esercita, congiuntamente al PE, la funzione legislativa e la funzione di
bilancio. Esercita anche funzioni di definizione delle politiche e di coordinamento alle condizioni
stabilite dai trattati.
Il potere legislativo si manifesta principalmente attraverso ladozione di direttive e di regolamenti,
le 2 principali espressioni dellattivit normativa. Riguardo alla responsabilit dei rapporti esterni, il
Consiglio autorizza la Commissione a negoziare accordi internazionali, ne autorizza la firma e li
conclude.
In pratica, i poteri del Consiglio rispondono al principio delle competenze di attribuzione, essendo il
loro esercizio collegato ad espresse previsioni nei trattati. Fa eccezione la competenza del Consiglio
in base allart. 352 TFUE (nonch la corrispondente norma CEEA), disposizione-chiave dellintero
sistema, che consente al Consiglio di adottare un atto normativo in materie non espressamente
attribuite alla sfera delle competenze dellUnione, se unazione dellUnione appare necessaria, nel
quadro delle politiche definite dai trattati, per realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati senza
che questi ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal fine.
Le deliberazioni del Consiglio, salvo diversa previsione, sono prese a maggioranza qualificata,
calcolata con riferimento alla ponderazione dei voti per ciascuno Stato membro, stabilita dallart. 16
TUE e dallart. 238, n. 2, TFUE. In via transitoria fino al 31 ottobre 2014, viene mantenuta la
ponderazione prevista dal regime antecedente, in base al quale la soglia di validit delle delibere
di 255 voti favorevoli della maggioranza degli Stati membri quando sono adottate su proposta della
Commissione; negli altri casi di 255 voti favorevoli dei 2/3 degli Stati membri, prevedendo la
possibilit per ciascuno Stato membro di chiedere la verifica che la maggioranza qualificata
comprendesse almeno il 62% della popolazione totale dellUnione (c.d. clausola demografica). In
base a questo sistema di ponderazione sono attribuiti:
29 voti a: Germania, Francia, Italia e Regno Unito;
27 a: Polonia e Spagna;
14 a Romania;
13 a Olanda;
12 a: Belgio, Grecia, Portogallo, Rep. Ceca e Ungheria;
10 a: Austria, Bulgaria e Svezia;
7 a: Danimarca, Finlandia, Irlanda, Lituania e Slovacchia;
4 a: Cipro, Estonia, Lettonia, Lussemburgo e Slovenia;
3 a Malta.
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A partire dal 1 novembre 2014, per maggioranza qualificata si intende almeno il 55% dei membri
del Consiglio, con un minimo di 15, rappresentanti un numero di Stati membri che corrispondano
almeno al 65% della popolazione dellUnione, quando il Consiglio delibera su proposta della
Commissione o dellAlto rappresentante. In questo modo, leguaglianza formale tra gli Stati,
ognuno dei quali dispone di 1 voto, coniugata con il criterio della popolazione, per evitare che una
maggioranza di soli piccoli Stati sia in grado di prevalere. Daltra parte, la minoranza di blocco
deve comprendere almeno 4 membri del Consiglio, ci esclude che soli 3 Stati grandi possano
bloccare la decisione (art. 16, n. 4, TUE). Quando il Consiglio non delibera su proposta della
Commissione o dellAlto rappresentante, per maggioranza qualificata si intende almeno il 72% dei
membri del Consiglio rappresentanti Stati membri che totalizzino almeno il 65% della popolazione
dellUnione (art. 238, n. 2, TFUE).
Le regole cambiano nellipotesi in cui a norma del Trattato non partecipino tutti gli Stati membri: in
questi casi, per maggioranza qualificata si intende almeno il 55% dei membri del Consiglio che
totalizzino almeno il 65% della popolazione e la minoranza di blocco deve comprendere almeno il
numero minimo di membri del Consiglio che rappresentino oltre il 35% della popolazione degli
Stati membri partecipanti, pi un altro membro (art. 238, n. 3, lett. a, TFUE). Nel caso in cui la
proposta non sia della Commissione o dellAlto rappresentante, per maggioranza qualificata si
intende almeno il 72% dei membri del Consiglio che totalizzino almeno il 65% della popolazione
(art. 238, n. 3, lett. b, TFUE).
Per le deliberazioni che richiedono la maggioranza semplice, che costituiva la regola, almeno
formalmente, nel sistema antecedente la riforma introdotta dal Trattato di Lisbona (ex art. 205 CE),
il Consiglio delibera a maggioranza dei membri che lo compongono (art. 238, n. 1, TFUE).
Infine, per alcune deliberazioni richiesta lunanimit, sia pure con il temperamento dovuto alla
circostanza che lastensione non ne impedisce ladozione (art. 238, n. 4, TFUE). In particolare
lunanimit, relativamente alla procedura di formazione degli atti, prevista ogni volta che il
Consiglio voglia discostarsi dalla posizione formalmente espressa dalla Commissione oppure
quando sulla posizione del Consiglio vi sia stato un voto negativo del Parlamento. Le ipotesi in cui
prevista lunanimit sono state ulteriormente ridotte dal Trattato di Lisbona, esse riguardano
essenzialmente:
a) lambito della Politica estera e di sicurezza comune (artt. 24 e 42 TUE);
b) o situazioni in cui il Consiglio chiamato a deliberare in via generale e con limiti
scarsamente definiti, come ad es. per:
i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni (art. 19, par. 1,
TFUE);
le misure relative alla sicurezza sociale o alla protezione sociale (art. 21 TFUE);
le direttive di ravvicinamento delle normative nazionali che incidono
sullinstaurazione e il funzionamento del mercato comune (art. 115 TFUE);
alcune azioni generali di politica ambientale (art. 192 TFUE);
lindividuazione dei prodotti collegati alla sicurezza nazionale e sottratti alla
disciplina del Trattato CE (art. 346 TFUE);
la stipulazione di accordi internazionali nei settori in cui sul piano interno prevista
lunanimit (art. 218, n. 8, TFUE);
lesercizio dei poteri di cui al ricordato art. 352 TFUE.
Ciascun membro del Consiglio pu ricevere delega da uno solo degli altri membri; peraltro, se le
astensioni di uno o + membri presenti o rappresentati non ostano alladozione delle deliberazioni
per le quali richiesta lunanimit, lassenza di uno o + Stati membri non consente, secondo un
principio consolidato, ladozione di una delibera unanime.
Infine, va ricordato che, ai sensi del Protocollo n. 6, il Consiglio ha sede a Bruxelles, ma tiene le sue
sessioni a Lussemburgo nei mesi di:
aprile;
8

[Digitare il titolo del documento] ed.)


giugno;
e ottobre.
Esso si riunisce in seduta pubblica quando delibera e vota un progetto di atto legislativo, negli altri
casi le sue sedute non sono pubbliche.
5. LA COMMISSIONE
La Commissione , al contrario del Consiglio, un organo di individui, nel senso che i suoi membri
esercitano le loro funzioni in piena indipendenza nellinteresse generale della Comunit e e non
sollecitano n accettano istruzioni da alcun governo, istituzione, organo o organismo (art. 17
TUE), fatta eccezione per la figura dellAlto rappresentante dellUnione per gli affari esteri e la
politica di sicurezza (art. 18, n. 2, TUE). listituzione che ha sostituito nel luglio 1967 lAlta
Autorit della CECA e le Commissioni CEE ed Euratom. Fino al 31 ottobre 2014, la Commissione
sar composta da 1 cittadino di ciascuno Stato membro, compreso il Presidente e lAlto
rappresentante dellUnione per gli affari esteri. A decorrere dal 1 novembre 2014, il numero di
membri potrebbe essere ridotto in modo da corrispondere soltanto ai 2/3 del numero degli Stati
membri, a meno che il Consiglio deliberando allunanimit, non decida di modificare tale numero.
Spetta sempre al Consiglio deliberare allunanimit il sistema di rotazione per la scelta dei membri,
limitandosi il Trattato a stabilire il principio della parit e la necessit che il sistema rifletta la
molteplicit demografica e geografica degli Stati membri (art. 17, n. 5, TUE e 244 TFUE). In effetti,
nel Consiglio europeo dell11-12 dicembre 2008, stato deciso che la Commissione continuer ad
essere composta da 1 cittadino di ciascuno Stato membro e che, a tal fine, sar adottata una
decisione secondo le necessarie procedure giuridiche. Pertanto, il Consiglio adotter s,
allunanimit, una decisione che, per, non potr stabilire un numero di componenti della
Commissione inferiore a quello degli Stati membri, ma dovr decidere nel senso di mantenere la
situazione attuale.
Il mandato dei commissari rinnovabile ed di 5 anni.
La responsabilit di nomina del Presidente e dei membri della Commissione spetta al CE, il quale,
tenuto conto delle elezioni del PE e dopo aver effettuato consultazioni appropriate, propone al PE
un candidato alla carica di Presidente, proposta che deve quindi essere approvata dal PE con
deliberazione a maggioranza dei membri che lo compongono. Ai sensi della Dichiarazione n. 11, il
CE e il PE sono congiuntamente responsabili dellintero processo che porta allelezione del
Presidente della Commissione. Pertanto, i rappresentanti delle 2 istituzioni procederanno alle
consultazioni necessarie, sul profilo del candidato per questa carica, prima della designazione
ufficiale. Il candidato eletto dal PE, con deliberazione a maggioranza dei membri che lo
compongono. Qualora tale candidato non dovesse ottenere la maggioranza, il CE, sempre a
maggioranza qualificata, entro 1 mese, designa un nuovo candidato che deve essere eletto dal PE
secondo la stessa procedura.
Il Consiglio procede poi, di comune accordo con il Presidente eletto, alladozione dellelenco delle
altre persone che intende nominare come commissari, in conformit alle proposte avanzate da
ciascuno Stato membro. La Commissione nel suo insieme, includendovi quindi il Presidente e
lAlto rappresentante dellUnione per gli affari esteri, sottoposta ad 1 voto di approvazione del
PE, a seguito del quale la Commissione formalmente nominata dal CE, a maggioranza qualificata
(art. 17, n. 7, TUE). Il Presidente della Commissione ha il compito di fissare gli orientamenti
politici dellistituzione (art. 17, n. 6, TUE).
Inoltre, al Presidente affidata lorganizzazione interna e il coordinamento dellattivit della
Commissione. Il ruolo del Presidente ha acquisito nel tempo una maggiore connotazione politica:
oltre a definire lindirizzo politico della Commissione, infatti, egli gode di un potere
piuttosto ampio nella strutturazione e nella ripartizione delle competenze ai singoli
Commissari, competenze che potrebbe perfino ridimensionare in corso di mandato;
9

[Digitare il titolo del documento] ed.)


previa approvazione del collegio, egli nomina i vicepresidenti, ad eccezione dellAlto
rappresentante per gli affari esteri e pu fare rassegnare le dimissioni ai membri della
Commissione;
pi in generale, ciascun membro della Commissione esercita le funzioni che gli sono state
attribuite sotto lautorit del Presidente (art. 17, n. 6, TUE). Pertanto ciascun commissario ha
la responsabilit di un settore di attivit (ad es.: mercato interno, politica agricola, politica
regionale, concorrenza) e pu adottare misure di gestione specifiche.
La Commissione ha:
un ruolo centrale nellassetto istituzionale, in quanto partecipa in modo sostanziale al
processo di formazione delle norme, ne controlla la puntuale esecuzione ed ha la
rappresentanza dellUnione, fatta eccezione per la politica estera e di sicurezza comune;
essa ha anche un autonomo potere di decisione in settori specificamente definiti dal Trattato
e, qualora il Consiglio e il Parlamento lo prevedano negli atti da essi adottati, un potere
delegato.
Il potere di proposta degli atti legislativi esclusivo della Commissione, salvo che i trattati non
dispongano diversamente; per gli atti NON legislativi vale la regola opposta: essi sono invece
adottati su proposta della Commissione SOLO se i trattati lo prevedono (art. 17, n. 2, TUE).
La proposta della Commissione pu anche essere sollecitata dal Consiglio (art. 241 TFUE) o dal
Parlamento (art. 225 TFUE) o dai cittadini dellUnione, in numero di almeno 1 milione, che
abbiano la cittadinanza di un numero significativo di Stati membri (art. 11, n. 4, TUE). Essa il
frutto di valutazione tecniche, economiche e in parte anche politiche. Ed infatti un progetto di
proposta, che nasce allinterno della direzione generale competente:
viene esaminato dal servizio giuridico e da commissioni di esperti, anche esterni alla
struttura, normalmente inviati dalle amministrazioni competenti dei Paesi membri;
vengono poi sentiti gli organismi di categoria e alloccorrenza le parti sociali;
infine esso viene sottoposto allapprovazione collegiale.
In secondo luogo, alla Commissione spetta lesecuzione del Trattato e degli atti derivati, sotto il
duplice profilo del controllo sullosservanza del diritto dellUnione e dellesecuzione in senso
proprio:
1. il potere di controllo (art. 17, n. 1, TUE vigila sullapplicazione dei trattati e delle misure
adottate dalle istituzioni in virt dei trattati e vigila sullapplicazione del diritto dellUE
sotto il controllo della Corte di giustizia dellUE) generale e si estrinseca soprattutto
nella verifica dellosservanza degli obblighi da parte degli Stati membri. A tal fine stato
predisposto un meccanismo generale di contestazione delle infrazioni (art. 258 TFUE), che
la Commissione attiva nei confronti dello Stato membro inadempiente a mezzo di una
messa in mora e quindi di un parere motivato; e che, in caso di persistente inadempimento,
conduce al ricorso della Commissione davanti alla Corte di giustizia per laccertamento
giurisdizionale dellinfrazione. In alcuni casi, la Commissione pu adire direttamente la
Corte;
2. sotto il profilo dellesecuzione, la Commissione esercita funzioni di coordinamento,
esecuzione e di gestione alle condizioni stabilite dai trattati (art. 17, n. 1, TUE). Inoltre,
esercita il potere di esecuzione che, ai sensi dellart. 291, n. 2, TFUE, atti giuridicamente
vincolanti dellUnione espressamente le conferiscano, quando sono necessarie condizioni
uniformi di esecuzione.
Inoltre, la Commissione ha il potere generale, nei limiti e alle condizioni fissate dal Consiglio (art.
335 TFUE), di raccogliere tutte le informazioni e di procedere a tutte le verifiche necessarie per
lesecuzione dei compiti affidatile. Al riguardo di particolare rilievo sono:
i poteri ispettivi della Commissione in materia di concorrenza e di dumping;
nonch i poteri di vigilanza sugli aiuti statali alle imprese.
Infine, la Commissione ha un autonomo potere di decisione in alcune ipotesi tassativamente
10

[Digitare il titolo del documento] ed.)


specificate dal Trattato; ad es.:
allart. 101, n. 3 (esenzioni individuali in materia di concorrenza);
allart. 106, n. 3 (imprese pubbliche);
allart. 108, n. 2 (aiuti di Stato).
6. Segue: LALTO RAPPRESENTANTE DELLUNIONE PER GLI AFFARI ESTERI E LA
POLITICA DI SICUREZZA
Il Trattato di Lisbona ha introdotto una nuova figura istituzionale: lAlto rappresentante
dellUnione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. La nomina spetta al CE con delibera a
maggioranza qualificata e con laccordo del Presidente della Commissione (art. 18, n. 1, TFUE). In
sede di approvazione collettiva della Commissione, anche lAlto rappresentante soggetto al voto
del PE. Ma, a differenza degli altri membri della Commissione, per lAlto rappresentante NON vale
il divieto di sollecitare o di sollevare istruzioni da altre istituzioni, agendo egli come mandatario del
Consiglio. Peraltro, in caso di mozione di censura, le dimissioni investiranno soltanto la sua carica
in seno alla Commissione e non anche le funzioni svolte in seno al Consiglio. Infatti, soltanto il CE,
con la stessa procedura per la nomina, pu porre fine al suo mandato.
LAlto rappresentante ha il compito di:
guidare la politica estera e di sicurezza comune;
contribuire con le sue proposte allelaborazione di tale politica e di attuarla in qualit di
mandatario del Consiglio (art. 18, n. 2, TUE). Egli agisce allo stesso modo per quanto
riguarda la politica di sicurezza e di difesa comune. Inoltre, assicura lattuazione delle
decisioni adottate, in tale ambito, dal CE e dal Consiglio (art. 27, n. 1, TUE).
LAlto rappresentante riveste un doppio ruolo, in quanto:
1. da un lato, presiede il Consiglio nella formazione Affari esteri - lunica ad avere una
presidenza stabile ;
2. e dallaltro lato, fa parte della Commissione, essendo 1 dei vicepresidenti. In questo ruolo,
vigila sulla coerenza dellazione esterna, ha la responsabilit dello svolgimento dei compiti
attribuiti alla Commissione nel settore delle relazioni esterne e del coordinamento con gli
altri aspetti dellazione esterna dellUnione. In particolare, nelle materie comprese sulla
PESC, conduce a norme dellUnione il dialogo politico con i terzi ed esprime la posizione
dellUnione nelle organizzazioni internazionali e in seno alle conferenze internazionali (art.
27, n. 2, TUE).
Nellesercizio delle sue funzioni, lAlto rappresentante si avvale del servizio europeo per lazione
esterna, la cui istituzione stata prevista dal Trattato di Lisbona. Il servizio lavora in collaborazione
con i servizi diplomatici degli Stati membri ed composto da funzionari dei servizi competenti del
segretariato generale del Consiglio e della Commissione e da personale distaccato dei servizi
diplomatici nazionali. Spetta al Consiglio, con una decisione da adottarsi su proposta dellAlto
rappresentante, previa consultazione del Parlamento e previa approvazione della Commissione,
deliberare lorganizzazione e il funzionamento del servizio europeo per lazione esterna (art. 27, n.
3, TUE).
7. LA CORTE DI GIUSTIZIA (E IL TRIBUNALE) DELLUE
La Corte di giustizia dellUnione listituzione cui stato attribuito il controllo giurisdizionale:
da una parte sulla legittimit degli atti e dei comportamenti delle istituzioni dellUnione
rispetto ai trattati;
dallaltra parte sullinterpretazione del diritto comunitario.
La Corte di giustizia dellUE listituzione dellUnione ai sensi dellart. 13; essa comprende la
Corte di Giustizia, il Tribunale e i tribunali specializzati (art. 19 TUE).
11

[Digitare il titolo del documento] ed.)


La Corte di giustizia composta da 1 giudice per Stato membro ed assistita da avvocati generali
(art. 19 TUE), il cui numero attualmente fissato in 8 dallart. 252 TFUE potr aumentare su richiesta
della Corte di giustizia con deliberazione unanime del Consiglio. La Corte ha sede a Lussemburgo
ed ovviamente organo di individui, nel senso che i suoi membri NON rappresentano i rispettivi
Stati di appartenenza e dunque non ne ricevono alcuna istruzione. Giudici e avvocati generali hanno
lo stesso statuto e sono nominati di comune accordo dagli Stati membri (dunque dalla conferenza
dei rappresentanti degli Stati membri) per la durata di 6 anni, tra personalit che offrano tutte le
garanzie dindipendenza e che riuniscano le condizioni per lesercizio, nel Paese di appartenenza,
delle pi alte funzioni giurisdizionali o che siano giuristi di notoria competenza. Il mandato pu
essere rinnovato. Il Trattato di Lisbona ha introdotto lobbligo della previa consultazione di un
comitato composto da 7 personalit tra ex membri della Corte di giustizia e del Tribunale, membri
dei massimi organi giurisdizionali nazionali e giuristi di notoria competenza, uno dei quali
proposto dal PE (art. 255 TFUE).
Il Presidente della Corte viene eletto tra i giudici per 3 anni. Egli:
1. dirige lattivit della Corte nel suo insieme, sotto il profilo sia giurisdizionale che
amministrativo;
2. presiede le udienze plenarie;
3. designa il giudice relatore per ogni causa;
4. esercita tutte le competenze che il regolamento di procedura gli attribuisce;
5. ha competenza in materia di provvedimenti cautelari e durgenza, nonch di sospensione
dellesecuzione delle sentenze.
Lavvocato generale ha il compito di presentare pubblicamente, in completa indipendenza rispetto
alle parti e allUnione, conclusioni scritte e motivate nelle cause trattate dinanzi alla Corte. In
base allart. 252 TFUE le conclusioni dellavvocato generale sono presentate non in tutte le cause,
come avveniva prima della riforma introdotta con il Trattato di Nizza, ma soltanto rispetto a quelle
che, conformemente allo Statuto della Corte, lo richiedono. A sua volta, lo Statuto precisa che la
Corte potr escludere le conclusioni dellavvocato generale, sentito questultimo e quando la
questione non presenti nuovi punti di diritto (art. 20, ult. c.). Il ruolo di amicus curiae e di
difensore non di una parte, qual comunque, ad es., lUnione oppure uno Stato membro, bens del
diritto. Con le dovute differenze, il ruolo che nel contenzioso amministrativo francese svolge il
Commissaire du gouvernement e che nel sistema processuale italiano svolge la Procura della Rep. in
alcuni affari civili e il Procuratore generale della Corte di Cassazione, con la differenza che
lavvocato generale conclude per iscritto, su tutti i temi sollevati nel giudizio e quasi mai
alludienza, ma dopo qualche settimana, salva lipotesi di procedura durgenza.
La Corte pu sedere:
sia nella sua composizione plenaria, il c.d. gran plenum, oppure nella composizione di
piccolo plenum, denominato grande sezione (13 giudici);
sia in sezioni di 5 o di 3 giudici.
N.B.: Per una maggiore flessibilit nel sistema, consentita la rimessione alle sezioni in
ogni caso, salvo che la grande sezione non sia espressamente richiesta da uno Stato membro
o da unistituzione che sia parte (art. 251 TFUE). I casi di ricorso alla plenaria sono invece
limitati alle cause promosse contro:
il Mediatore per mancanza delle condizioni necessarie o colpa grave (art. 228, n. 2, TFUE);
i membri della Commissione per violazione degli obblighi connessi allesercizio delle loro
funzioni (art. 245, n. 2, TFUE) e per il venire meno delle condizioni necessarie o per colpa
grave (art. 247 TFUE);
i membri della Corte dei Conti per mancanza dei requisiti previsti o violazione degli
obblighi derivanti dalla loro carica (art. 286, n. 6, TFUE).
Inoltre, la Corte pu decidere, sentito anche lavvocato generale, di rinviare un giudizio
pendente alla plenaria per limportanza eccezionale delle questioni sollevate nello stesso.
12

[Digitare il titolo del documento] ed.)


La Corte pu deliberare validamente SOLO in numero dispari. Pertanto, quando riunita:
in sezioni le deliberazioni sono valide SOLO in presenza si 3 o 5 giudici;
in grande sezione e in composizione plenaria in presenza, rispettivamente, di 9 giudici e
di 15 giudici.
La Corte di giustizia nomina per un periodo di 6 anni il Cancelliere, che, oltre ad esercitare le
funzioni normalmente connesse a questa figura (tenuta del ruolo delle cause, ricezione di tutti gli
atti e documenti a queste relativi, notifiche previste dalle norme di procedura, assistenza nelle
udienze, ecc.), provvede allamministrazione e alla gestione finanziaria della Corte, sotto la
responsabilit del Presidente. Anche il mandato del Cancelliere pu essere rinnovato.
LAtto unico aveva previsto che il Consiglio potesse, con decisione unanime, su domanda della
stessa Corte di giustizia e previo parere della Commissione e del Parlamento, affiancare alla Corte
un altro organo giurisdizionale. Questa previsione ha trovato attuazione in una decisione del 1988
con cui stato istituito il Tribunale di primo grado delle Comunit europee. Le modifiche
apportate al riguardo dal Trattato di Maastricht hanno inciso, oltre che sulla sfera delle competenze
attribuibili, sulla collocazione del nuovo organo nellambito del sistema istituzionale comunitario
(ex art. 225 CE). Infatti, il Tribunale divenuto, definitivamente, parte integrante dellapparato
giurisdizionale comunitario, senza che la sua stessa esistenza dipenda da un atto del Consiglio, il cui
potere ora limitato alla definizione dellorganizzazione e delle competenze del nuovo organo. Il
Trattato di Nizza prima e successivamente il Trattato di Lisbona hanno completato questo percorso,
riconoscendo formalmente il ruolo di giurisdizione autonoma attribuito al Tribunale. In
particolare, ai sensi dellart. 19 TUE il Tribunale compreso nella Corte di giustizia dellUnione
(art. 254 ss. TFUE). Composto da almeno 1 giudice per Stato membro, con requisiti
sostanzialmente analoghi a quelli dei membri della Corte e nominati con le stesse modalit, previa
consultazione del comitato (art. 255 TFUE), anche il Tribunale ha sede a Lussemburgo. Il
Tribunale, diversamente dalla Corte, nella trattazione delle cause che gli vengono sottoposte, non
viene sistematicamente assistito dallavvocato generale, il quale pu essere nominato nei casi
previsti dallo Statuto, scegliendolo tra i giudici, soltanto quando il Tribunale siede in plenaria o
quando lo esigono le difficolt in diritto oppure la complessit in fatto della causa.
La competenza del Tribunale, limitata in un primo tempo al contenzioso del personale e ai ricorsi
individuali in materia di concorrenza, stata estesa ai ricorsi diretti, ad eccezione di quelli che lo
Statuto riserva alla Corte di giustizia (art. 256 TFUE). Il Trattato prevede che lo Statuto possa
estendere la competenza a categorie di ricorsi dalle quali al momento escluso (art. 256, n. 1,
TFUE), ad es., ai procedimenti per infrazione ex art. 258 TFUE.
Conformemente alle disposizioni introdotte dal Trattato di Nizza, lo Statuto ha alterato il riparto di
competenze tra Corte di giustizia e Tribunale, riservando:
alla Corte di giustizia soltanto i ricorsi di annullamento e in carenza presentati dalle
istituzioni o dagli Stati riguardanti determinati atti del Parlamento e del Consiglio,
nonch gli atti della Commissione in tema di cooperazione rafforzata.
In breve: stata attribuita al Tribunale la competenza a conoscere di tutti i ricorsi contro
gli atti della Commissione (esclusi quelli in materia di risorse proprie di cui allart. 311,
n. 1, TFUE), prescindendo dalla qualit del ricorrente, che potrebbe quindi anche essere
uno Stato o unaltra istituzione.
Inoltre lart. 256 TFUE (gi art. 225 TCE) conferma che si possa attribuire al Tribunale la
competenza a conoscere le questioni pregiudiziali, sia pure in materie specifiche indicate nello
Statuto: in questi casi (si tratter di materie di natura tecnica), il Tribunale potr anche decidere di
rinviare la decisione alla Corte, qualora ravvisi la necessit di una decisione di principio tale da
poter compromettere lunit o la coerenza del dir. comunitario. Inoltre sempre dallart. 256 TFUE
previsto che la sentenza del Tribunale possa essere sottoposta alla procedura di riesame davanti
alla Corte di giustizia: ci potr avvenire solo eccezionalmente e qualora sussistano gravi rischi
che lunit e la coerenza del dir. comunitario siano compromesse. Ai sensi dellart. 62 dello
13

[Digitare il titolo del documento] ed.)


Statuto, liniziativa in tal senso affidata al 1 avvocato generale, la cui proposta di riesame deve
essere presentata entro 1 mese dalla pronuncia del Tribunale. Entro il mese successivo la Corte
dovr pronunciarsi sulla opportunit o meno di intervenire.
Tuttavia, ad oggi, lipotesi di cognizione dei rinvii pregiudiziali da parte del Tribunale non ha
trovato ancora attuazione, restando dunque esclusiva della Corte di giustizia.
Nellambito dei ricorsi diretti, le sentenze del Tribunale possono essere impugnate davanti alla
Corte solo per motivi di diritto. Limpugnazione spetta, oltre che alla parte soccombente, agli Stati
membri e alle istituzioni, anche quando non abbiano partecipato al giudizio di 1 grado.
Con decisione del 26 aprile 1999 il Consiglio ha introdotto una modifica significativa, sancendo la
possibilit che il Tribunale decida anche con giudice unico. In particolare, la sezione dinanzi alla
quale la questione pende pu allunanimit assegnarla ad un giudice unico, salvo opposizione di
uno Stato membro o di una istituzione dellUnione; questa possibilit limitata alle cause di
personale, ai ricorsi di annullamento o di responsabilit contrattuale che sollevano questioni gi
chiarite da una consolidata giurisprudenza o sono parte di una serie di cause con lo stesso oggetto
ed una sia stata gi decisa con forza di giudicato. Per contro, esclusa lassegnazione ad 1 giudice
unico:
quando la causa solleva questioni di legittimit di 1 atto a portata generale;
oppure quando si verta in materia di concorrenza, aiuti, dumping, organizzazione comune
dei mercati, marchi e variet vegetali.
Il Trattato di Nizza ha attribuito al Consiglio la facolt di istituire camere giurisdizionali,
denominate tribunali specializzati dal Trattato di Lisbona, competenti a conoscere in 1 di
alcune categorie di ricorsi in materie specifiche (art. 257 TFUE). Ad oggi il Consiglio ha esercitato
questi poteri 1 sola volta, istituendo il Tribunale della funzione pubblica dellUE, un tribunale
specializzato nel c.d. contenzioso del personale. Il Trattato di Lisbona ha modificato anche in modo
significativo la procedura per listituzione di nuovi tribunali specializzati, attribuendo un maggior
potere al PE che viene cos ad assumere un ruolo paritario rispetto al Consiglio (art. 257 TFUE).
Il Tribunale della funzione pubblica composto da 7 giudici, nominati per un periodo di 6 anni,
rinnovabile. Esso si riunisce normalmente in sezioni composte da 3 giudici, ma previsto che in
determinati casi disciplinati dal regolamento di procedura, esso pu riunirsi in seduta plenaria, in
sezioni di 5 giudici o statuire nella persone di 1 giudice unico.
Le decisioni assunte dai tribunali specializzati possono esser oggetto di impugnazione dinanzi al
Tribunale per SOLI motivi di diritto; eccezionalmente, la sentenza del Tribunale in grado di appello
pu essere oggetto della procedura di riesame dinanzi alla Corte di giustizia, ove sussistano gravi
rischi che lunit o la coerenza del dir. dellUnione siano compromessi (art. 256, n. 2, TFUE).
8. LA BANCA CENTRALE EUROPEA
Il Trattato di Lisbona ha inserito tra le istituzioni a pieno titolo la Banca centrale europea (BCE:
art. 13 TUE e artt. 282 ss. TFUE), che entrata in funzione con linizio della 3 fase dellUnione
economica e monetaria (UEM), cos come il Sistema europeo delle Banche centrali (SEBC),
composto dalla BCE e dalle banche centrali degli Stati membri. La BCE, con sede a Francoforte, ha
1 comitato esecutivo, composto da:
un Presidente;
un vicepresidente;
e 4 membri, nominati per 8 anni a maggioranza qualificata dal CE, su raccomandazione
del Consiglio e previa consultazione del Parlamento e del consiglio direttivo della BCE.
Il consiglio direttivo comprende i membri del comitato esecutivo e i governatori delle
banche centrali degli Stati membri la cui moneta leuro (art. 283 TFUE). Alle riunioni
del consiglio direttivo possono partecipare senza diritto di voto il Presidente del
Consiglio e 1 membro della Commissione. Del pari, il Presidente della Banca pu essere
14

[Digitare il titolo del documento] ed.)


invitato a partecipare alle riunioni del Consiglio quando questo discute di questioni
relative agli obiettivi e alle funzioni del Sistema (art. 284 TFUE).
Sul piano delle funzioni, la BCE e le banche centrali nazionali degli Stati membri la cui moneta
leuro, che costituiscono lEurosistema, conducono la politica monetaria dellUnione (art. 282, n. 1,
TFUE). La Banca centrale ha personalit giuridica ed ha il diritto esclusivo di autorizzare
lemissione delleuro. Nellesercizio delle sue funzioni e nella gestione delle sue finanze la Banca
centrale gode di indipendenza, che deve essere rispettata dalle istituzioni, dagli organi e dagli
organismi dellUnione e dai governi degli Stati membri. Nei settori che rientrano nelle sue
attribuzioni, la BCE consultata su ogni progetto di atto dellUnione e su ogni progetto di atto
normativo a livello nazionale; e pu formulare pareri (art. 282, n. 3, TFUE). Inoltre, la Banca
tenuta a trasmettere al Parlamento, al Consiglio e alla Commissione 1 rapporto annuale, con 1
presentazione poi del Presidente al Parlamento che pu dar luogo ad 1 dibattito generale (art. 284,
n. 3, TFUE).
Quanto al Sistema europeo delle Banche centrali (SEBC), questo diretto dagli organi
decisionali della BCE. Il suo obiettivo principale il mantenimento della stabilit dei prezzi. Fermo
restando questo obiettivo, esso sostiene inoltre le politiche economiche generali per contribuire alla
realizzazione degli obiettivi dellUnione (art. 282, n. 2, TFUE).
9. LA CORTE DEI CONTI
La Corte dei conti, istituita con il Trattato del 22 luglio 1975, compresa formalmente nel novero
delle istituzioni di cui allart. 13 TUE. Il rango di istituzione autonoma sottolineato dal potere di
autodeterminazione nella definizione del regolamento interno, il quale poi approvato dal
Consiglio a maggioranza qualificata (art. 287, ult. c.).
Listituzione ha sede a Lussemburgo, organo di individui ed composta da 1 cittadino per Stato
membro, designati dai rispettivi governi tra personalit che:
abbiano maturato unesperienza nelle istituzioni nazionali di controllo;
oppure che posseggano qualificazioni specifiche per tale funzione.
I membri designati sono nominati dal Consiglio con deliberazione a maggioranza
qualificata, previa consultazione del Parlamento (art. 286, n. 2, TFUE). I membri della
Corte restano in carica 6 anni e il loro mandato rinnovabile.
La Corte dei conti, oltre ad assistere lautorit di bilancio (Parlamento e Consiglio) nellesercizio
della funzione di controllo sullesecuzione del bilancio, ha il compito di assicurare il controllo sulla
gestione finanziaria dellUnione. A tal fine essa esamina tutte le entrate e le spese dellUnione e
degli organismi da questa creati, tranne espressa esclusione. Il controllo si svolge tanto su
documenti che con accesso presso le istituzioni o negli Stati membri, in tal caso con la
collaborazione degli organi di controllo o delle amministrazioni nazionali competenti. Laffidabilit
dei conti e la legittimit e regolarit delle relative operazioni dunque attestata in 1 dichiarazione
presentata al Consiglio e al Parlamento. Inoltre il Trattato prevede la possibilit di completare
questa dichiarazione con valutazioni specifiche per ciascuno dei settori di attivit dellUnione (art.
287, n. 1, 2 c., TFUE).
Alla chiusura dellesercizio, la Corte dei conti presenta la relazione annuale, con una dichiarazione
di affidabilit dei conti e di regolarit delle operazioni (art. 287, n. 4), comunicata alle altre
istituzioni e pubblicata sulla Gazzetta ufficiale insieme alle risposte delle istituzioni ai suoi rilievi.
La Corte pu alloccorrenza presentare relazioni speciali su problemi particolari o dare pareri su
richiesta di una delle istituzioni. Anche la Corte dei conti, come il Tribunale, pu istituire al suo
interno delle sezioni, in questo caso specificamente competenti per alcune categorie di relazioni o di
pareri (art. 287, n. 4, 3 comma).
La Corte dei conti legittimata ad agire dinanzi alla Corte di giustizia limitatamente alla difesa
delle proprie prerogative al pari della BCE e del Comitato delle regioni (art. 263, n. 3, TFUE). I
15

[Digitare il titolo del documento] ed.)


suoi atti, in quanto non vincolanti, non sono impugnabili.
10. ALTRI ORGANI
Un gran numero di organismi:
alcuni dei quali creati dai trattati istitutivi (il Comitato economico e sociale) o con modifiche
intervenute successivamente (il Comitato delle regioni, istituito con il Trattato di
Maastricht);
altri mediante atti di diritto derivato (ad es., il Fondo europeo di cooperazione monetaria);
altri ancora addirittura con accordi internazionali dei quali lUnione parte (ad es., il
Comitato di cooperazione industriale), intervengono nella vita e nellattivit dellUnione in
modo pi o meno incisivo.
Il Trattato di Lisbona ha, per la prima volta, espressamente classificato il Comitato economico e
sociale e il Comitato delle regioni, entrambi con sede a Bruxelles, come organi consultivi
dellUnione (art. 300 TFUE).
Il Comitato economico e sociale (CES), organo consultivo dellUnione, composto dai
rappresentanti di diverse categorie della vita economica e sociale, per un totale attualmente pari a
344, che non potr superare i 350 in base al nuovo art. 301 TFUE. Il Trattato di Lisbona ha
ampliato la composizione, includendovi i rappresentanti delle organizzazioni dei datori di lavoro,
di lavoratori dipendenti e di altri attori rappresentativi della societ civile, in particolare nei settori
socioeconomico, civico professionale e culturale (art. 300, n. 2, TFUE). I membri sono nominati
per 5 anni dal Consiglio sulla base delle proposte presentate da ciascun Stato membro, previa
consultazione della Commissione ed eventualmente delle organizzazioni rappresentative dei diversi
settori economici e sociali e della societ civile interessati dallattivit dellUnione (art. 302, n. 2,
TFUE).
organo di individui e dunque i membri del Comitato agiscono in completa indipendenza dagli
Stati membri, nellinteresse generale dellUnione (art. 301 TFUE).
Il Trattato stabilisce i casi in cui la Commissione, il Consiglio o il Parlamento hanno lobbligo di
consultare il CES, mentre loro facolt consultarlo ogni volta che lo ritengano opportuno. Il
Comitato pu anche di propria iniziativa formulare pareri.
Il Comitato delle regioni, istituito dal Trattato di Maastricht, un organo consultivo. Al pari del
CES, un organo di individui, i suoi membri (attualmente 344 ma possono arrivare a 350: art. 305
TFUE) sono nominati dal Consiglio, sulla base della proposta degli Stati membri, per un periodo di
5 anni, rinnovabile. Essi sono indipendenti dagli Stati membri e agiscono nellinteresse generale
dellUnione, ma nello stesso tempo devono:
essere titolari di 1 mandato elettorale nellambito di una collettivit regionale o locale;
o, comunque, politicamente responsabili dinanzi a unassemblea eletta (art. 305, 3 c.,
TFUE).
Il Comitato delle regioni deve essere consultato nei casi previsti dal Trattato o quando il Consiglio,
la Commissione o il Parlamento lo ritengano opportuno; pu anche formulare pareri di propria
iniziativa, in particolare quando sia stato consultato il CES su problemi che investono interessi
regionali specifici. Il parere ad es. previsto per:
le azioni tese ad incoraggiare la cooperazione in materia di cultura, sanit;
nonch per aspetti significativi della coesione economica e sociale: fondi strutturali (art. 177
TFUE), fondo regionale (art. 178 TFUE) ed eventuali azioni specifiche non finanziate da
fondi ordinari (art. 175, ult. c., TFUE).
N.B.: Tra le novit + significative introdotte dal Trattato di Lisbona vi il riconoscimento al
Comitato delle regioni del potere di ricorso alla Corte di giustizia, in particolare per denunciare la
violazione del principio di sussidiariet, qualora tale violazione sia dovuta ad atti legislativi sui
quali richiesta la sua consultazione. Si tratta nella sostanza di 1 ricorso speciale nellambito dei
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


ricorsi di annullamento, che si qualifica per essere riservato soltanto agli Stati membri e al Comitato
delle regioni e per essere fondato esclusivamente sul mancato rispetto del principio di sussidiariet.
La Banca europea per gli investimenti (BEI) inserita da sempre nello scenario istituzionale
comunitario in senso lato, anche se non mai stata compresa tra le istituzioni, tant vero che
lindicazione dei suoi compiti figurava nella parte del Trattato dedicata alle politiche dellUnione e
non in quella dedicata alle istituzioni. La BEI disciplinata dalle conferenti norme del Trattato sul
funzionamento (artt. 308 e 309 TFUE), nonch dallo statuto apposito, che costituisce loggetto di
un protocollo allegato ai trattati (art. 208, n. 3, TFUE).
La Banca, dotata di personalit giuridica, opera sui mercati finanziari sostanzialmente come un
istituto di credito, anche se non ha fini di lucro e si muove in ogni caso nellottica dello sviluppo
equilibrato e senza scosse del mercato comune. Inoltre nello svolgimento dei suoi compiti la
Banca facilita la realizzazione dei programmi di investimento congiuntamente agli altri meccanismi
finanziari dellUnione (ad es. fondi strutturali: art. 309, 2 c., TFUE). La sede a Lussemburgo.
Il Trattato di Maastricht ha introdotto la figura del Mediatore europeo, il cui ruolo quello di
difensore degli interessi dei cittadini nei confronti dellautorit la cui lesione non sarebbe
traducibile in azioni giudiziarie. noto che da tempo questa figura esiste a livello regionale anche
in Italia, con la denominazione di Difensore civico.
Il Mediatore europeo, nominato dal Parlamento per la durata della legislatura, con mandato
rinnovabile, evidentemente organo di individui ed esercita le sue funzioni in completa
indipendenza. Egli riceve le denunce di qualsiasi cittadino dellUnione, o di qualsiasi persona fisica
o giuridica che risieda o abbia la sede in uno Stato membro, relativamente a casi di cattiva
amministrazione nellattivit delle istituzioni dellUnione, fatta eccezione, ovvio, per la Corte di
giustizia e il Tribunale nellesercizio della funzione giurisdizionale.
Sulla base di tale denuncia o anche di propria iniziativa, il Mediatore svolge le indagini che ritiene
utili e, in caso di conclusione positiva, ne investe lautorit interessata; questultima gli deve
comunicare il proprio punto di vista entro 3 mesi. Allesito della procedura, il Mediatore trasmette
una relazione al PE e allistituzione interessata, informando il denunciante del risultato
dellindagine.
Inoltre vi sono alcune Agenzie, che hanno competenze per lo pi tecniche e/o di supporto
informativo per gli Stati membri e per le istituzioni dellUnione. Listituzione di agenzie risponde
ad una logica di decentralizzazione sia funzionale che territoriale, infatti:
da un lato, le agenzie assumono compiti delegati dalle istituzioni europee;
dallaltro lato, sono localizzate in maniera sparsa sul territorio degli Stati membri.
Le agenzie dipendono generalmente dalla Commissione, che mantiene la responsabilit finanziaria.
Gli obiettivi delle agenzie comunitarie possono essere molteplici, e infatti:
alcune agenzie svolgono una funzione di informazione e di coordinamento;
altre agenzie sono dotate di un potere di adottare decisioni individuali vincolanti o di un
potere di raccomandare.
In certi casi le agenzie rispondono allesigenza di sviluppare il know-how scientifico o
tecnico in alcuni settori specifici, in altri casi svolgono un ruolo di mediazione tra vari
gruppi di interesse, facilitando quindi il dialogo a livello europeo o internazionale (per es. tra
le parti sociali).
Ognuna unica nel suo genere e svolge un compito specifico, definito al momento della sua
creazione. Alcune di esse, a volte con una diversa denominazione (Centro o altro), hanno
assunto un rilievo particolare, come lAgenzia per lambiente di Copenhagen e la
Fondazione europea per la formazione di Torino (ETF).
N.B.: Nellambito del settore della cooperazione giudiziaria e di polizia (c.d. ex terzo pilastro
dellUnione), va menzionato lEurojust, ossia Unit europea di cooperazione giudiziaria, gi
introdotto dal Trattato di Nizza e ulteriormente disciplinato dal Trattato di Lisbona (art. 85 TFUE).
Esso ha competenze in materia di lotta alla criminalit organizzata, al fine di rafforzare la
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


cooperazione tra le autorit giudiziarie e le altre autorit competenti degli Stati membri responsabili
dellazione penale. Inoltre tale organo dovrebbe agevolare la cooperazione con la Rete giudiziaria
europea nellesecuzione delle rogatorie e delle domande di estradizione (art. 85, n. 2, lett. c, TFUE).
Al fine di combattere specificamente i reati che ledono gli interessi finanziari dellUnione lart. 86,
n. 1, TFUE prevede la possibilit per il Consiglio di istituire una Procura europea a partire da
Eurojust, deliberando mediante regolamenti da adottare allunanimit previa approvazione del
Parlamento (procedura legislativa speciale).
Tra gli organismi menzionati dal Trattato va anche ricordato lEuropol, il cui compito di sostenere
e potenziare lazione delle autorit di polizia e degli altri servizi incaricati dellapplicazione della
legge degli Stati membri e la reciproca collaborazione nella prevenzione e lotta contro la criminalit
grave che interessa 2 o + Stati membri, il terrorismo e le forme di criminalit che ledono un
interesse comune oggetto di una politica dellUnione (art. 88 TFUE). Tuttavia il Trattato precisa
che qualsiasi azione operativa di Europol deve essere condotta in collegamento e dintesa con le
autorit dello Stato membro o degli Stati membri interessati e che lapplicazione delle misure
coercitive resta di competenza esclusiva delle autorit nazionali.
11. IL RUOLO DELLE ISTITUZIONI: A) NEL PROCESSO DI FORMAZIONE DELLE
NORME
Il Trattato di Lisbona ha introdotto sostanziali novit quanto alliter di procedura di formazione
degli atti. Infatti, ai sensi degli artt. 14, n. 1 e 16, n. 1, TUE la funzione legislativa esercitata
congiuntamente dal Consiglio e dal Parlamento. Questa competenza pu essere esercitata attraverso
la procedura legislativa ordinaria oppure le procedure legislative speciali, a seconda della specifica
previsione dei trattati. Lart. 48, n. 7, 2 c., TUE, contempla una sorta di passerella tra le
procedure speciali e quella ordinaria; infatti, previsto che il CE possa adottare, allunanimit e
previa approvazione del PE, 1 delibera con la quale autorizzi lutilizzo della procedura ordinaria per
ladozione di atti legislativi, per i quali prevista invece una procedura speciale. In questa ipotesi,
necessario che nessun Parlamento nazionale, ai quali la proposta di decisione va notificata, si
opponga. Infine, lart. 296, 3 c., TFUE, dispone che in presenza di un progetto di atto legislativo
sia il PE che il Consiglio debbano astenersi dalladottare atti non previsti dalla procedura legislativa
applicabile allo specifico settore.
Larticolazione delle competenze attribuite dal Trattato alle singole istituzioni dellUnione fa
risaltare con sufficiente chiarezza che la funzione normativa esercitata nella sostanza dal
Consiglio, con la partecipazione sempre + significativa del Parlamento. Soprattutto, lapporto del
Parlamento si andato progressivamente accrescendo, sulla spinta dellidea che il progresso
nellintegrazione non pu che andare di pari passo con una + accentuata partecipazione dei cittadini
alla formazione delle norme, raggiungendo una significativa consistenza proprio per effetto del
recente Trattato di Lisbona.
Un insieme di atti normativi, che non investono SOLO la sfera giuridica degli Stati ma direttamente
quella dei singoli, indipendentemente dallo strumento tecnico utilizzato per raggiungere questo
risultato, non pu certamente essere lasciato alla sola responsabilit dellorgano rappresentativo dei
governi nazionali: pena non solo e non tanto la democraticit del processo deliberativo, ma la
funzionalit stessa del sistema che ha bisogno di una consistente partecipazione dei cittadini al
processo di formazione delle norme comunitarie. Quindi si impone che il Parlamento, investito
della rappresentanza dei cittadini, e la Commissione, in sostanza organo di mediazione degli
interessi di categoria e soprattutto filtro tecnico delle istanze politiche in senso lato, assumano
responsabilit forti quanto alle scelte normative.
Ci non esclude che la responsabilit principale in ordine alla realizzazione degli obiettivi, che sono
stati e sono tuttora fissati con lo strumento convenzionale e sulla base di una fase dialettica
intergovernativa ancora decisiva, ricada sullinsieme degli Stati e dunque sul Consiglio, sia pure
con il necessario temperamento del criterio della maggioranza. N va dimenticato, al riguardo, che
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


in una forma o nellaltra i membri del Consiglio, in quanto rappresentanti dei governi nazionali,
conservano pur sempre 1 legittimazione e con essa 1 responsabilit diretta nei confronti dei
cittadini. Lo stesso non pu dirsi, viceversa, per i membri della Commissione, che in sostanza non
rispondono che in via mediata al PE e ai Parlamenti nazionali.
Esaminando con quali modalit si articola il dialogo delle istituzioni allinterno del processo di
formazione degli atti, appare chiaro che il profilo + significativo, che segna anche la distinzione tra i
vari procedimenti, attiene al ruolo del Parlamento e al suo raccordo con le competenze attribuite alla
Commissione e al Consiglio.
a) La procedura legislativa ordinaria
La procedura legislativa ordinaria (che riprende largamente la procedura di codecisione)
disciplinata dallart. 294 TFUE. Si tratta di 1 procedura solo a prima vista complessa, che accentua
il dialogo tra le istituzioni chiamate ad intervenire nel processo di formazione degli atti.
Innanzitutto, la Commissione presenta 1 proposta al Parlamento e al Consiglio. In casi
espressamente previsti dai trattati, gli atti legislativi possono essere adottati su iniziativa di 1 gruppo
di Stati membri o del PE, su raccomandazione della BCE o su richiesta della Corte di giustizia o
della Banca europea per gli investimenti (art. 289, n. 4, TFUE).
Sulla proposta il PE adotta la sua posizione che trasmette al Consiglio, e in particolare:
se il Consiglio approva tale posizione latto adottato nella formulazione che
corrisponde alla posizione del PE (art. 294, n. 4, TFUE);
se, invece, il Consiglio NON approva la posizione del PE esprime la sua posizione, in 1
lettura, e la comunica al Parlamento, che deve anche essere informato esaurientemente dei
motivi che hanno indotto il Consiglio ad adottare quella posizione, cos come della
posizione della Commissione.
Inizia cos la fase chiamata 2 lettura. Il Parlamento ha 3 mesi di tempo per approvare la posizione
del Consiglio, in questo caso latto si considera adottato nella formulazione che corrisponde alla
posizione del Consiglio. Lo stesso si deve dire se il Parlamento NON si pronuncia nei 3 mesi.
Il quadro cambia se il Parlamento, a maggioranza dei suoi membri, dichiara di voler respingere la
posizione del Consiglio oppure propone emendamenti:
1) nel 1 caso latto si considera NON ADOTTATO;
2) se viceversa sono SOLO proposti degli emendamenti il Consiglio entro 3 mesi pu
accoglierli tutti e procedere cos alladozione dellatto, modificando pertanto la previa
posizione, a maggioranza qualificata oppure allunanimit qualora la Commissione abbia
espresso parere negativo sugli emendamenti del Parlamento.
N.B.: Nellipotesi in cui il Consiglio non approvi latto in questione, o perch il Parlamento
respinge la sua posizione oppure perch in Consiglio non si raggiunge laccordo sugli emendamenti
proposti, viene attivato il Comitato di conciliazione (art. 294, nn. da 10 a 12, TFUE). Composto da
un numero pari di membri delle 2 istituzioni e con la partecipazione ai lavori anche della
Commissione, che ha il compito di favorire il ravvicinamento delle posizioni a confronto, il
Comitato di conciliazione viene convocato dal Presidente del Consiglio, dintesa con il Presidente
del Parlamento. Le ipotesi, a questo punto, sono 2 e precisamente:
1. il Comitato di conciliazione riesce in 6 settimane a definire 1 progetto comune, basandosi
sulle posizioni del PE o del Consiglio;
2. se entro questo termine NON stato approvato 1 progetto comune, latto proposto si
considera definitivamente non adottato (art. 294, n. 12, TFUE).
Qualora il Comitato di conciliazione approvi 1 progetto comune inizia la 3 lettura. Il progetto
dovr essere approvato definitivamente nelle 6 settimane successive, dal Parlamento a maggioranza
dei voti espressi e dal Consiglio a maggioranza qualificata; in mancanza dellapprovazione di 1
delle 2 istituzioni, latto si considera NON adottato. I termini di 3 mesi e di 6 settimane possono
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


essere prorogati su iniziativa del Parlamento o del Consiglio, di 1 mese e di 2 settimane, al
massimo.
La procedura prefigurata dallart. 294 TFUE segna un notevole progresso rispetto al passato, quanto
al grado di influenza del Parlamento nel processo di formazione degli atti dellUnione e in
definitiva quanto al tasso di democraticit del sistema complessivamente considerato. fin troppo
evidente, infatti, che il Parlamento dispone di 1 vero e proprio diritto di veto in tutti i casi in cui il
Comitato di conciliazione non pervenga al necessario accordo. Nellipotesi inversa, invece, latto
adottato congiuntamente da Consiglio e Parlamento e firmato dai 2 Presidenti. Peraltro, il ricorso a
tale procedura, divenuta appunto la procedura legislativa ordinaria stato ampiamente esteso
con il Trattato di Lisbona. Tra le altre materie, sono interessate dalla procedura questi ambiti:
definizione delle procedure e delle condizioni per lesercizio del diritto di iniziativa
popolare (art. 24 TFUE);
libera circolazione dei lavoratori dipendenti (art. 46 TFUE);
agricoltura e pesca (art. 43 TFUE);
il diritto di stabilimento (art. 50, n. 1, TFUE);
il riconoscimento reciproco dei diplomi (art. 53 TFUE);
misure per 1 politica comune sullimmigrazione (art. 79, n. 2, TFUE);
cooperazione giudiziaria in materia civile, escluso il dir. di famiglia (art. 81, nn. 2 e 3,
TFUE);
cooperazione giudiziaria in materia penale (art. 82, nn. 1 e 2, TFUE);
listruzione (art. 165, n. 4, TFUE);
la protezione dei consumatori (art. 169 TFUE); ecc.
b) Le procedure legislative speciali
Una procedura legislativa speciale si ha in tutti i casi in cui i trattati prevedono ladozione di 1 atto
da parte del PE con la partecipazione del Consiglio o viceversa (art. 289, n. 2, TFUE). Le modalit
di partecipazione delle 2 istituzioni sono molteplici e, di conseguenza, numerose sono le procedure
speciali contemplate dai trattati. Per va subito detto che soltanto in 3 casi ladozione dellatto
attribuita al Parlamento con la partecipazione del Consiglio, e precisamente:
1) approvazione del proprio statuto (art. 223, n. 2, TFUE);
2) fissazione delle modalit dellesercizio del diritto dinchiesta dello stesso Parlamento (art.
226, 3 comma, TFUE);
3) adozione dello statuto e delle condizioni generali per lesercizio delle funzioni del
Mediatore europeo (art. 228, n. 4, TFUE).
Pi frequenti sono i casi in cui la delibera del Consiglio deve essere preceduta dalla consultazione
del Parlamento, che non vincolante ma obbligatoria. La consultazione del Parlamento prescritta
ad es. in tema di:
dir. di circolazione e di soggiorno dei cittadini dellUnione (art. 21 TFUE);
dir. di voto (art. 22 TFUE);
concorrenza (artt. 103 e 109 TFUE);
armonizzazione fiscale (art. 113 TFUE);
applicazione dello statuto del Sistema europeo di banche centrali (art. 129, n. 4, TFUE);
iniziative sulloccupazione (artt. 148, n. 2 e 150, TFUE).
La consultazione del Parlamento assume il carattere di elemento (o forma) sostanziale della validit
dellatto, che dunque sar viziato da nullit quando se ne riscontri lomissione. La consultazione
rappresenta, infatti, 1 strumento di effettiva partecipazione del Parlamento al processo legislativo
dellUnione, elemento essenziale dellequilibrio istituzionale ed espressione di un fondamentale
principio della democrazia, secondo cui i popoli partecipano allesercizio del potere per il tramite di
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


unassemblea rappresentativa.
In definitiva, il Parlamento deve aver espresso effettivamente la propria posizione, non essendo
sufficiente una semplice richiesta di parere da parte del Consiglio. Ci significa anche che, quando
il Trattato prevede la previa consultazione del Parlamento, il Consiglio non pu adottare 1 atto che
non rifletta la proposta della Commissione cos come esaminata dal Parlamento: infatti la procedura
di consultazione risulter rispettata solo nel caso in cui il testo definitivo di 1 atto, quale approvato
dal Consiglio, sia sostanzialmente identico a quello contenuto nella proposta su cui il Parlamento
aveva espresso il proprio parere.
Infine, in alcune ipotesi ladozione di 1 atto legislativo subordinata alla previa approvazione del
PE. La procedura ha sostituito quella precedente del parere conforme. il caso, ad es., della
procedura uniforme di elezione del Parlamento (art. 223, n. 6, lett. a), TFUE). Del pari, soggetta
allapprovazione la conclusione:
di accordi di associazione;
dellaccordo sulladesione dellUnione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti delluomo e delle libert fondamentali;
di accordi che determinano procedure di cooperazione ovvero con ripercussioni
finanziarie considerevoli o che riguardano settori ai quali si applica la procedura
legislativa ordinaria oppure la procedura legislativa speciale qualora sia necessaria
lapprovazione del Parlamento;
o, ancora, lammissione di nuovi Stati (art. 49 TUE).
Lapprovazione del Parlamento, in tali casi, oltre che obbligatoria, vincolante; ci implica,
allevidenza, che il Parlamento dispone anche in tali materie di un sostanziale diritto di veto.
c) La formazione degli atti nel settore della politica estera e di sicurezza comune
Relativamente agli atti adottati dallUE per lesercizio delle competenze attribuite nellambito della
politica estera e di sicurezza comune, per quanto il Trattato di Lisbona abbia adottato una
classificazione unitaria degli atti, vanno rilevate alcune differenze sotto il profilo della formazione
di certi atti (in particolare decisioni). Ci che appare subito evidente la riduzione della funzione
del Parlamento ad un ruolo meramente consultivo (art. 36 TUE) e la perdita del quasi monopolio
della Commissione europea nellesercizio delliniziativa legislativa. Infatti, secondo lart. 30 del
Trattato UE, ogni Stato membro, lAlto rappresentante dellUnione per gli affari esteri e la
politica di sicurezza, o lAlto rappresentante con lappoggio della Commissione possono
sottoporre al Consiglio questioni relative alla politica estera e di sicurezza comune e possono
presentare rispettivamente iniziative o proposte al Consiglio. A tale riguardo, anche prevista 1
procedura durgenza quando occorra 1 decisione rapida, con la possibilit per lAlto rappresentante
di convocare entro 48 ore o addirittura prima nei casi di emergenza, una riunione straordinaria del
Consiglio; questa convocazione straordinaria pu seguire ad 1 richiesta tanto della Commissione
quanto di 1 Stato membro.
Inoltre lart. 31 TUE impone di regola lunanimit per ladozione di qualunque tipo di decisione,
con alcuni correttivi tesi ad attenuare in qualche misura la rigidit che ne deriva ed a scongiurare il
rischio dimmobilismo:
a) in primo luogo, previsto che le astensioni non inficiano ladozione degli atti e non
impediscono il raggiungimento dellunanimit;
b) in secondo luogo, per porre al riparo gli Stati membri esitanti dagli effetti dellatto e
convincerli ad astenersi invece di manifestare una volont di segno negativo, si introdotto
listituto dellastensione costruttiva, cio la possibilit per gli Stati membri di motivare il
proprio non voto attraverso 1 dichiarazione formale, con la quale essi non si obbligano
allatto in fieri, ma ne accettano gli effetti per lUnione. Peraltro, in uno spirito di mutua
solidariet, lo Stato in questione si astiene dal tenere comportamenti che possano
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


pregiudicare lefficacia dellatto allinterno dellUnione, cos come gli altri ne rispettano la
posizione. evidente, per, che non si pu viceversa giungere alladozione dellatto quando
lastensione coinvolga un numero significativo di membri del Consiglio, individuato
dallart. 31, n. 1, 2 c., TUE in + di 1/3 degli Stati membri che totalizzano almeno 1/3 della
popolazione dellUnione.
La regola dellunanimit viene meno per gli atti esecutivi e, pi in generale, per quelli che ne
presuppongono altri adottati allunanimit. In base al 2 paragrafo dellart. 31, n. 2, quindi, il
Consiglio pu deliberare a maggioranza qualificata quando:
adotta 1 decisione che definisce 1 azione o 1 posizione dellUnione sulla base di una
decisione del Consiglio europeo relativa agli interessi e obiettivi strategici dellUnione,
nonch 1 decisione che definisce 1 azione comune o 1 posizione dellUnione in base a 1
proposta dellAlto rappresentante dellUnione per gli affari esteri e la politica di sicurezza
presentata in seguito a una richiesta specifica rivolta a questultimo dal Consiglio europeo di
sua iniziativa o su iniziativa dellAlto rappresentante;
quando adotta decisioni relative allattuazione di 1 decisione che definisce 1 azione o 1
posizione dellUnione;
quando nomina 1 rappresentante speciale ex art. 18, n. 5.
La ponderazione dei voti segue sempre il calcolo stabilito dallart. 238, n. 2, TFUE. I casi di
deliberazione a maggioranza qualificata possono essere estesi con deliberazione unanime del
Consiglio europeo (art. 31, n. 3, TUE). Ad ogni modo, la maggioranza qualificata non pu mai
essere sufficiente per le decisioni che determinano conseguenze nel settore militare o della
difesa (art. 31, n. 4, TUE); mentre basta la maggioranza dei membri per le questioni procedurali
del Consiglio (art. 31, n. 5, TUE).
In riferimento agli atti adottabili dallUE in sede di cooperazione di polizia e giudiziaria in materia
penale (ex 3 pilastro), la procedura di formazione non si discosta da quella prevista in termini
generali (artt. 293-294 TFUE).
12. Segue: B) NELLAPPROVAZIONE DEL BILANCIO
In origine lUE era finanziata con contributi degli Stati membri, cos come lEuratom. Con la
decisione del 21 Aprile 1970, si arriv ad 1 sistema fondato sulle c.d. risorse proprie. Attualmente,
lart. 311, 2 c., TFUE sancisce che il bilancio dellUnione, fatte salve le altre entrate, finanziato
integralmente tramite risorse proprie. Il sistema in vigore, stabilito dalla decisione del Consiglio n.
2007/436, del 7 giungo 2007, fondato su queste risorse finanziarie:
1) prelievi, premi, importi supplementari o compensativi, importi o elementi aggiuntivi, dazi
della tariffa doganale comune e altri dazi fissati da parte delle istituzioni sugli scambi con i
Paesi terzi;
2) lapplicazione di unaliquota sullimponibile IVA pari ad una percentuale del PNL degli Stati
membri determinata secondo regole dellUnione. Tale percentuale dello 0,30%;
3) unaliquota sullimporto complessivo del PIL di tutti gli Stati membri (risorsa PNL), da
determinarsi in funzione del bilancio e dunque anno per anno, tenendo conto del totale delle
altre entrate delle 2 risorse indicate.
Ai sensi dellart. 3 della decisione 2007/436, limporto totale delle risorse proprie per gli
stanziamenti annuali per pagamenti NON pu superare l1,24% del totale del PNL degli Stati
membri.
Il sistema di finanziamento dellUnione fondato su un meccanismo sostanzialmente
intergovernativo. La decisione che definisce lammontare delle risorse proprie presa allunanimit
ed per giunta sottoposta alle procedure di adattamento degli Stati membri; dunque ha natura
convenzionale. Gli Stati membri conferiscono queste risorse a beneficio del bilancio dellUnione,
talvolta verificando se il ritorno sia pi o meno giusto, cio se luscita netta di risorse
22

[Digitare il titolo del documento] ed.)


finanziarie dalle casse statali corrisponda ai benefici comunitari che si ricevono.
Le spese, ai sensi dellart. 312, n. 1, TFUE, devono essere contenute entro i limiti delle risorse
proprie e sono programmate su base pluriennale attraverso un quadro finanziario, adottato dal
Consiglio allunanimit previa approvazione del PE.
La procedura di approvazione del bilancio, disciplinata dallart. 314 TFUE, ha visto un progressivo
coinvolgimento del PE che ha assunto con il Trattato di Lisbona 1 posizione equiparata al
Consiglio. Peraltro, il ruolo del PE uscito rafforzato dalla soppressione tra spese obbligatorie e
spese non obbligatorie.
In particolare, il PE e il Consiglio ricevono dalla Commissione 1 proposta contenente il progetto di
bilancio non oltre il 1 settembre dellanno che precede quello di esecuzione del bilancio stesso. Il
Consiglio adotta la sua posizione sul progetto di bilancio e la comunica, per la 1 lettura, al PE,
motivando la sua posizione.
Il Parlamento pu entro 42 giorni approvare la posizione del Consiglio oppure non deliberare: in
entrambe le ipotesi il bilancio adottato. Nello stesso termine, il Parlamento pu proporre
emendamenti, con la maggioranza dei membri. In questa ipotesi inizia la fase della conciliazione: il
Presidente del Parlamento, dintesa con il Presidente del Consiglio, convoca senza indugio il
Comitato di conciliazione, il quale chiamato a riunirsi soltanto se entro 10 giorni il Consiglio non
comunica di approvare tutti gli emendamenti. In caso negativo, il Comitato di conciliazione,
composto dai rappresentanti delle 2 istituzioni, ha il compito di giungere ad un accordo su un
progetto comune, tenendo in considerazione le posizioni delle 2 istituzioni. Se entro 21 giorni dalla
convocazione laccordo non viene raggiunto, la Commissione deve presentare un nuovo progetto di
bilancio. Viceversa, se laccordo raggiunto, Parlamento e Consiglio dispongono di 14 giorni per
approvare il progetto comune. Il bilancio si considera definitivamente approvato se:
a) entrambe le istituzioni approvano il progetto comune o non riescono a deliberare o se una
delle 2 istituzioni approva il progetto comune mentre laltra non riesce a deliberare;
b) il PE, approvato il progetto comune respinto dal Consiglio, entro 14 giorni, deliberando a
maggioranza qualificata dei membri che lo compongono e dei 3/5 dei voti espressi,
decide di confermare tutti gli emendamenti presentanti; qualora, invece, un emendamento
del PE non fosse confermato, mantenuta la posizione concordata in seno al Comitato di
conciliazione e il bilancio si considera definitivamente adottato su questa base.
Quando la procedura stata espletata, il Presidente del Parlamento constata che il bilancio
definitivamente adottato. Questa affermazione che appariva ambigua prima della riforma di
Lisbona, testimonia la raggiunta parit del Consiglio e del PE in questa procedura.
Lesecuzione del bilancio curata dalla Commissione, in cooperazione con gli Stati membri, nei
limiti dei crediti stanziati e in conformit del principio della buona gestione finanziaria. Mentre il
PE che d atto alla Commissione dellesecuzione del bilancio.
anche vero che il bilancio sostanzialmente condizionato dalla decisione sulle entrate,
circostanza che attenua laspetto del coinvolgimento del Parlamento nella procedura di adozione.
13. Segue: C) NELLA STIPULAZIONE DI ACCORDI INTERNAZIONALI
LUnione ha la capacit di stipulare accordi internazionali, con Stati terzi e con altre
organizzazioni internazionali. In tale direzione va anzitutto lart. 47 del Trattato sullUnione,
significativo anche per la sua formulazione essenziale: LUnione ha personalit giuridica.
Il Trattato attribuisce espressamente allUnione il potere di stipulare:
accordi tariffari e commerciali, nel contesto delle competenze relative alla politica
commerciale comune (art. 206 ss. TFUE);
nonch accordi di associazione con uno o pi Stati terzi o con organizzazioni internazionali
(art. 217 TFUE).
In una 1 fase, in forza di una rigorosa applicazione del principio delle competenze di attribuzione,
23

[Digitare il titolo del documento] ed.)


si riteneva che, in settori diversi da quelli espressamente prefigurati dal Trattato, lallora Comunit
dovesse lasciare il campo agli Stati membri oppure dividere con essi la competenza a stipulare
accordi internazionali. Tuttavia la prassi e la giurisprudenza hanno presto adottato 1 prospettiva +
ampia, riassunta nella formula del parallelismo tra competenze interne e competenza esterna, nel
senso che la seconda si estende fino ai limiti di esercizio delle prime. Il parallelismo, daltra parte,
era espressamente sancito gi dal Trattato Euratom, che allart. 101 conferiva alla Comunit il
potere di concludere accordi internazionali nellambito della sua competenza.
La premessa di questo orientamento, consacrato nel testo dei Trattati a seguito delle ampie
modifiche apportate gi dal Trattato di Nizza ma soprattutto dal Trattato di Lisbona, che lart. 47
UE (gi art. 281 TCE), norma non a caso ora posta in apertura delle disposizioni generali e finali
del Trattato sullUnione, nel conferire la personalit giuridica allUnione, comporta la possibilit di
intrattenere rapporti contrattuali con i Paesi Terzi nellinsieme dei settori disciplinati dai Trattati. In
breve, lampiezza della competenza esterna va riferita ai Trattati nel loro complesso, oltre che alle
singole disposizioni, come riconosce chiaramente lart. 216 TFUE. Infatti in base a questa
disposizione la capacit a stipulare dellUnione comprende non solo gli accordi, espressamente
previsti dai trattati o in atti vincolanti, ma anche tutti quelli finalizzati al perseguimento di uno
scopo dei Trattati. Inoltre, ancora in assenza di espressa attribuzione, la capacit dellUnione pu
risultare necessaria per realizzare un obiettivo fissato dai trattati o da atti vincolanti qualora possa
incidere su norme comuni o alterarne la portata (art. 216, n. 1, TFUE). Pertanto in questi casi il
potere di contrarre obbligazioni con Stati terzi o con le organizzazioni internazionali che incidano
sugli stessi settori non appartiene + n individualmente n collettivamente agli Stati membri.
La portata della competenza dellUnione stata poi ulteriormente precisata. Essa esclusiva in
tema di politica commerciale comune, anche quando non fosse stata precedentemente esercitata ed
anche per i profili complementari e accessori alla politica commerciale contenuti nellaccordo.
Inoltre, la competenza esterna va misurata su quella interna anche se questultima non stata ancora
esercitata: in tal caso si deve ammettere una competenza solo transitoria degli Stati membri
insieme a quella dellUnione.
Il parallelismo tra competenza esterna e competenze interne funge da parametro nella verifica
dellestensione della competenza a stipulare dellUnione, che infatti non pu superare i limiti
fissati con lattribuzione delle competenze interne, pur considerando i poteri impliciti o sussidiari di
cui allart. 352 TFUE. Inoltre, pur sempre in funzione di tale parallelismo che va definita:
lampiezza della competenza esclusiva dellUnione rispetto a quella condivisa con gli Stati
membri (concorrente) ed a quella esclusiva degli Stati membri.
Dallart. 207 TFUE ben chiaro che la materia della politica commerciale comprende tutti gli
accordi sugli scambi delle merci. Inoltre, si riconosciuto che il potere si estendeva anche agli
accordi che comprendevano i prodotti agricoli e agli accordi sugli ostacoli tecnici agli scambi.
Lart. 207 TFUE ha compreso, anche, nellambito della politica commerciale comune, condotta nel
quadro dei principi e obiettivi dellazione esterna dellUnione, gli scambi di servizi, gli aspetti
commerciali della propriet intellettuale, gli investimenti esteri diretti e le misure di protezione
commerciale. In tali settori, per la negoziazione e la conclusione di accordi, il Consiglio delibera
allunanimit se, nei medesimi accordi, sono contenute disposizioni per le quali richiesta
lunanimit per ladozione di norma interne. Allo stesso modo, il Consiglio delibera allunanimit
per la negoziazione e la conclusione di accordi che abbiano ad oggetto:
scambi di servizi culturali e audiovisivi qualora tali accordi possano arrecare pregiudizio alle
diversit culturali e linguistiche dellUnione;
e scambi di servizi nellambito sociale, dellistruzione e della sanit, qualora tali accordi
possano modificare lorganizzazione nazionale di tali servizi e limitare la competenza degli
Stati membri riguardo alla loro prestazione.
Intervenendo sulla materia, i Trattati hanno dunque consolidato i principi gi enunciati da tempo
dalla giurisprudenza della Corte e dalla conseguente prassi delle istituzioni, ribadendo:
24

[Digitare il titolo del documento] ed.)


da una parte, per ciascun settore lambito delle rispettive competenze degli Stati membri e
dellUnione;
e, dallaltra parte, lobbligo del Consiglio e della Commissione di adoperarsi affinch gli
accordi negoziati siano compatibili con le politiche e le norme interne dellUnione (art. 207,
n. 3, TFUE).
Le modalit di esercizio della competenza dellUnione a stipulare accordi internazionali sono
disciplinate dallart. 218 TFUE, che attribuisce al Consiglio la fase di avvio dei negoziati,
definizione delle direttive di negoziato, autorizzazione alla firma e conclusione, nonch dallart.
207 TFUE in materia di politica commerciale comune. In particolare, il Consiglio autorizza lavvio
dei negoziati su raccomandazione della Commissione o dellAlto rappresentante quando gli accordi
riguardano esclusivamente o principalmente la politica estera e di sicurezza comune. sempre il
Consiglio competente a designare il negoziatore o il responsabile della squadra di negoziato, in
ragione della materia oggetto dellaccordo, e ad impartire direttive al negoziatore, nonch a
nominare un comitato speciale che deve essere consultato durante la negoziazione dellaccordo.
Anche la firma dellaccordo cos come la sua applicazione provvisoria, prima della sua entrata in
vigore, devono essere autorizzate con delibera del Consiglio. Il Consiglio adotta, poi, con delibera a
maggioranza qualificata 1 decisione relativa alla conclusione dellaccordo. per prescritta
lunanimit:
quando laccordo contenga delle disposizioni in materie per le quali richiesta lunanimit
per ladozione di norme interne;
per gli accordi di associazione, per gli accordi di cooperazione economica, finanziaria e
tecnica con gli Stati terzi candidati alladesione allUE;
per laccordo di adesione dellUE alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
delluomo e delle libert fondamentali (CEDU);
nonch per gli accordi nei settori degli scambi di servizi culturali e audiovisivi, di servizi
didattici, di servizi culturali e relativi alla sanit.
La procedura di conclusione degli accordi internazionali varia parzialmente per gli accordi compresi
nellambito delle materie di competenza concorrente, i c.d. accordi misti. In questa ipotesi, lentrata
in vigore subordinata alla ratifica anche degli Stati membri, secondo le rispettive procedura
costituzionali. Lo stesso si deve dire quando vi incertezza sulla competenza o quando gli Stati
terzi richiedono che laccordo sia concluso anche dai singoli Stati membri.
Inoltre, richiesta lapprovazione del PE per:
gli accordi di associazione;
laccordo sulladesione dellUE alla CEDU;
gli accordi che creano un quadro istituzionale specifico organizzando procedure di
cooperazione;
gli accordi che abbiano ripercussioni finanziarie notevoli;
gli accordi che riguardano settori ai quali si applica la procedura legislativa ordinaria oppure
quella speciale qualora sia necessaria lapprovazione del PE.
Sulla stipulazione degli altri accordi internazionali, il Parlamento chiamato a formulare
semplicemente 1 parere prima della conclusione dellaccordo. Peraltro, il Consiglio pu, in casi
durgenza, fissare 1 termine per la formulazione di questo parere, decorso il quale pu comunque
deliberare. Va pure notato che al Parlamento non riconosciuto alcun ruolo nella procedura di
conclusione degli accordi nellambito della politica estera e di sicurezza comune e nelladozione
della decisione diretta a sospendere lapplicazione di 1 accordo.
Infine, previsto che il PE, il Consiglio o la Commissione possono domandare alla Corte di
giustizia 1 parere circa la compatibilit di 1 accordo con i trattati. E, qualora la Corte dovesse
formulare 1 parere negativo, laccordo pu entrare in vigore SOLTANTO se:
modificato;
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


o a seguito di revisione dei trattati.

CAPITOLO 2
LE NORME
1. LE NORME CONVENZIONALI
Norme primarie del sistema giuridico dellUE sono anzitutto le norme convenzionali, contenute
negli originari trattati istitutivi delle Comunit europee ed in quegli accordi internazionali che
successivamente sono stati stipulati per modificare e integrare i primi. Attualmente vanno
considerate norme primarie:
1. il Trattato sullUE (TUE);
2. e il Trattato sul funzionamento dellUE (TFUE).
Sullo stesso piano vanno poi considerati gli atti posti in essere s dal Consiglio, ma oggetto
anchessi di procedure costituzionali di adattamento nei singoli Stati membri, al pari degli accordi.
Insieme ai principi non scritti, le norme ricordate sono state comunemente riferite alla nozione
alquanto diffusa di Costituzione della Comunit (oggi Unione). Quale che sia lespressione
utilizzata, queste norme regolano in via primaria la vita di relazione allinterno dellUE, creando
situazioni giuridiche soggettive in capo agli Stati membri, alle istituzioni europee e ai singoli.
Inoltre, le stesse norme attribuiscono a loro volta forza e portata normativa agli atti delle istituzioni
dellUnione, che per ci stesso, ponendosi al 2 livello del sistema, formano il diritto europeo
derivato.
Anche se alcune di esse sono state gi richiamate, utile avere un quadro globale sintetico delle
principali normative convenzionali che si sono susseguite nel tempo:
Trattato CECA (Comunit europea del carbone e dellacciaio), firmato a Parigi il 18 aprile
1951, entrato in vigore il 23 luglio 1952, insieme ai Protocolli sullo Statuto della Corte di
giustizia e sui privilegi e le immunit; il Trattato, previsto per una durata di 50 anni, giunto
a scadenza, in base allart. 97, il 23 luglio 2002;
Trattati CEE (Comunit economica europea, poi Comunit europea) e CEEA (Comunit
europea dellenergia atomica o Euratom), firmati a Roma il 25 marzo 1957, entrati in vigore
il 1 gennaio 1958;
Trattato sullUE (TUE), firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1
novembre 1993;
Trattati che hanno successivamente modificato il TUE e i Trattati CE ed Euratom, e cio il
Trattato di Amsterdam e il Trattato di Nizza; nonch i vari trattati di adesione d egli Stati
membri entrati successivamente ai 6 Paesi fondatori;
infine, il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007, entrato in vigore il 1 dicembre
2009, che, oltre a modificare il TUE, ha modificato e sostituito il Trattato CE con il TFUE
(Trattato sul funzionamento dellUE) ed ha attribuito lo stesso valore dei Trattati alla Carta
dei diritti fondamentali, che era stata proclamata a Nizza dal PE, dalla Commissione e dal
Consiglio il 7 dicembre 2000.
In definitiva per avere un quadro chiaro del livello normativo convenzionale posto a fondamento del
26

[Digitare il titolo del documento] ed.)


sistema giuridico dellUE attualmente in vigore (dal 1 dicembre 2009), pertanto, occorre fare
riferimento ai Trattati istitutivi cos come modificati da ultimo a Lisbona, in breve:
al Trattato sullUE (TUE);
e al Trattato sul funzionamento dellUE (TFUE), gi Trattato della Comunit europea.
Al TUE e al TFUE va aggiunto:
anzitutto la Carta dei diritti fondamentali, che solo con il Trattato di Lisbona ha lo stesso
valore giuridico dei trattati (art. 6 TUE);
e il trattato istitutivo della CEEA, che non stato modificato sostanzialmente dal Trattato di
Lisbona, come risulta dal Protocollo n. 2 allegato al Trattato di Lisbona.
La natura giuridica dei trattati istitutivi, nonch delle integrazioni e modificazioni convenzionali
intervenute nel corso degli anni, quella di accordi internazionali nel senso pieno e proprio di tale
espressione, cos come utilizzata nel dir. internazionale ed in particolare nelle Convenzioni di
Vienna del 1969 e del 1986 sul diritto dei trattati. Ci vuol dire, tra laltro, che i criteri di
interpretazione e il regime giuridico generale dei trattati dellUnione sono anzitutto quelli propri di
normali accordi internazionali.
Tuttavia, va subito aggiunto che i trattati dellUE rivelano alcune caratteristiche ulteriori e
specifiche rispetto al genus cui appartengono, specie se guardiamo alla vicenda comunitaria con
il senno di poi, o dello stadio di evoluzione ad oggi realizzato rispetto allo scenario degli anni 50
che ha segnato la redazione dei trattati.
In primo luogo, si tratta della specificit propria di tutti i trattati istitutivi di organizzazioni
internazionali, nel senso che, oltre alla previsione di una serie di obblighi e diritti per gli
Stati contraenti, contengono la definizione di un complesso istituzionale destinato ad
esercitare le competenze attribuite allente.
In secondo luogo, pur essendo lUnione un organismo a finalit non universale ma
definita e sottoposta al principio delle competenze di attribuzione, lampiezza e lincisivit
delle prefigurate competenze, cos come le modalit e i mezzi attribuiti per il loro esercizio,
vanno senza dubbio al di l del modello tradizionale di organizzazione internazionale.
Invero, i Trattati contenevano fin dallorigine un chiaro potenziale di sviluppo verso un
complesso integrato di Stati, s diversi e sovrani, ma anche capaci di realizzare
unitariamente gli scopi ambiziosi da essi definiti, in particolare un mercato comune e uno
sviluppo armonioso delle economie fondato sulla comune ispirazione liberista. Giustamente
si rilevato che, essendo lobiettivo fondamentale dellUnione quello di porre le basi di
ununione sempre pi stretta fra i popoli europei e di eliminare le barriere che dividono
lEuropa, i Trattati sono stati concepiti come strumento dellintegrazione europea; dunque
molto pi di un mezzo per coordinare politiche e armonizzare legislazioni. Tali obiettivi si
sono consolidati nel corso degli anni, fino allAtto unico e al Trattato di Maastricht, con la
prefigurazione, insieme e oltre al mercato interno e lunione economica e monetaria, di una
vera e propria Unione Europea.
In terzo luogo, le norme convenzionali e quelle che da queste ultime ricevono forza hanno
una incidenza diretta e immediata sulla situazione giuridica soggettiva, oltre che dello stesso
ente e degli Stati membri, anche dei singoli. La competenza normativa dellUE, pur non
potendosi qualificare generale in senso proprio, in quanto comunque riferita a materie
definite, ha dimensioni pi che ragionevoli, investendo settori sempre pi ampi della vita di
relazione. In pi, essa si aggiunge e a volte si sostituisce alle corrispondenti competenze
degli organi legislativi e amministrativi nazionali e investe in modo diffuso e permanente la
posizione giuridica dei singoli, senza che debba sempre e comunque operare il tradizionale
diaframma degli Stati a mezzo di atti formali di adattamento aut similia.
N, infine, pu trascurarsi limportanza della previsione di un meccanismo di controllo
giurisdizionale, imperniato sulla Corte di giustizia e sulla cooperazione tra questa e i giudici
nazionali. Esso riguarda non solo la legittimit dellesercizio delle competenze attribuite alle
27

[Digitare il titolo del documento] ed.)


istituzioni dellUnione, dunque degli atti, ma anche larmonia del sistema giuridico
complessivo, composto da norme internazionali, norme dellUnione in senso proprio e
norme nazionali.
I rilievi appena svolti vanno collegati sostanzialmente allesigenza di uninterpretazione dei trattati
focalizzata sugli obiettivi perseguiti, cio al criterio teleologico di interpretazione, che peraltro
costituisce 1 principio di ermeneutica giuridica da sempre consolidato nelle esperienze nazionali pi
evolute e consacrato espressamente anche nella Conv. di Vienna sul diritto dei trattati (art. 31). Va
aggiunto che questo principio implica che le norme dellUE, ed in particolare quelle che impongono
obblighi agli Stati membri, siano interpretate nel senso pi favorevole al processo di integrazione.
Nonostante i trattati dellUnione, cos come gli altri atti normativi di diritto europeo, siano redatti in
tutte le lingue ufficiali dellUnione, occorre tendere ad uninterpretazione uniforme, s che
nessuna versione linguistica possa da sola prevalere sulle altre. In breve la lettura deve ispirarsi alla
reale volont sottesa alle norme e allo scopo da queste perseguito.
La sfera di applicazione territoriale del diritto dellUE coincide con quella dellinsieme dei diritti
nazionali. Lart. 52 TUE enumera per esteso gli Stati membri cui si applica; la corrispondente
disposizione del Trattato Euratom (art. 198) si riferisce anche ai territori, europei e non, degli Stati
membri sottoposti alla loro giurisdizione. Tuttavia, la sostanza non cambia: nel senso che le
competenze dellUE possono essere esercitate fino a dove si estende, salvo eccezioni espresse, la
giurisdizione degli Stati membri e dunque nei limiti sanciti dalle rispettive disposizioni
costituzionali. Pertanto nella sfera di applicazione territoriale del diritto dellUnione sono comprese
le zone di mare e gli spazi aerei sui quali si esercita legittimamente il potere di governo degli Stati
membri, nonch i territori europei di cui uno Stato membro abbia la rappresentanza nei rapporti
esterni, com il caso di Gibilterra rispetto al Regno Unito (art. 355, n. 3, TFUE).
Per alcuni territori degli Stati membri sono previsti regimi particolari; infatti:
alcuni di essi sono sottratti del tutto allapplicazione dei trattati (isole Faerer e le zone di
Cipro sottoposte al Regno Unito);
altri vi sono sottoposti solo nei limiti espressamente sanciti dai conferenti trattati di adesione
(isola di Man e isole Normanne);
i dipartimenti francesi doltremare, nonch le Azzorre, Madeira e le Canarie possono essere
oggetto di misure specifiche in considerazione delle particolari condizioni geoeconomiche in
cui versano (art. 349, 1 comma, TFUE);
infine, i c.d. Paesi e territori doltremare di cui allallegato II dei Trattati, sono sottoposti allo
speciale regime di associazione stabilito dalla parte IV del TFUE, e dunque esclusi alla sfera
di applicazione dei Trattati, salvo il caso di un espresso riferimento.
Infine, va precisato che lart. 355 TFUE NON esclude che le norme europee possano produrre
effetti anche al di fuori del territorio dellUnione; il caso, ad es.:
delle norme sulla concorrenza, per le intese che producano effetti nel mercato comune pur se
realizzate in Paesi terzi;
oppure delle norme sulla circolazione delle persone, che trovano applicazione anche rispetto
ad attivit lavorative esercitate in uno Stato terzo, nellambito di un rapporto che abbia
stretti collegamenti con lUnione.
2. LA REVISIONE DEI TRATTATI ED IL DIRITTO DI RECESSO
La revisione dei trattati dellUnione disciplinata dallart. 48 TUE che prevede:
1 procedura di revisione ordinaria;
e 2 procedure di revisione semplificate.
N.B.: La procedura di revisione ordinaria pu essere attivata da 1 Stato membro, dal
Parlamento o dalla Commissione, tutti abilitati a sottoporre al Consiglio progetti intesi a
modificare i trattati. Lart. 48 TUE sancisce espressamente che questi progetti possono
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


essere diretti ad accrescere o a ridurre le competenze attribuite allUnione nei trattati.
I progetti sono trasmessi al Consiglio europeo e notificati ai Parlamenti nazionali. Consultati il
Parlamento e alloccorrenza la Commissione, nonch la BCE ove si tratti di modifiche istituzionali
nel settore monetario, il Presidente del Consiglio europeo, qualora questultimo abbia adottato, a
maggioranza semplice, 1 decisione favorevole in tal senso, convoca 1 convenzione dei
rappresentanti dei Parlamenti nazionali, dei capi di Stato o di governo degli Stati membri, del PE e
della Commissione. Nondimeno, il Consiglio europeo pu decidere a maggioranza semplice, previa
approvazione del PE, di non convocare la convenzione qualora si tratti di modifiche la cui entit
non lo giustifichi. La convenzione tenuta ad esaminare i progetti di modifica e ad adottare, per
consenso, 1 raccomandazione che invia a una conferenza dei rappresentanti dei governi degli Stati
membri. Questa conferenza ha lo scopo di stabilire di comune accordo le modifiche da apportare
ai trattati. Le modifiche cos adottate dovranno poi, per poter entrare in vigore, essere ratificate da
tutti gli Stati membri conformemente alle loro rispettive norme costituzionali. Nellipotesi in cui,
dopo 2 anni dalla firma di un trattato di revisione, i 4/5 degli Stati membri abbiano ratificato,
mentre 1 o + Stati membri abbiano incontrato difficolt nella procedura di ratifica, la questione
viene sottoposta al Consiglio europeo.
Entrambe le procedure semplificate attribuiscono 1 ruolo preminente al Consiglio europeo ed
escludono la convocazione sia della convenzione che della conferenza dei rappresentanti dei
governi degli Stati membri.
La 1 di queste procedure prevista per la modifica esclusivamente della parte 3 del TFUE,
relativa alle politiche e alle azioni interne dellUnione. importante precisare che la revisione della
parte 3 TFUE NON include la possibilit di estendere le competenze attribuite allUnione dai
trattati in tale ambito; pertanto, lecito affermare che essa contempla soltanto lipotesi di
uneventuale riduzione di queste competenze. I progetti volti a modificare la parte 3 TFUE sono
inoltrati al Consiglio europeo da qualsiasi Stato membro, dal Parlamento o dalla Commissione. Il
Consiglio europeo adotta 1 decisione al riguardo, deliberando allunanimit e previa consultazione
del PE, della Commissione o della BCE, quando la modifica riguardi il settore monetario. La
decisione entra in vigore previa approvazione degli Stati membri conformemente alle rispettive
norme costituzionali (art. 48, n. 6, 2 comma, TFUE).
La 2 procedura semplificata contempla 2 ipotesi, e precisamente:
1) la 1 ipotesi concerne la possibilit che il Consiglio deliberi a maggioranza qualificata e
non allunanimit, laddove richiesta, nelladozione di decisioni relative al TFUE o alla
parte V del TUE, tranne che queste decisioni abbiano implicazioni militari o rientrino
nel settore della difesa;
2) la 2 ipotesi concerne la possibilit per il Consiglio di adottare atti legislativi secondo la
procedura legislativa ordinaria e NON secondo una procedura legislativa speciale,
laddove prevista.
In entrambi i casi, liniziativa presa dal Consiglio europeo allunanimit previa
approvazione del PE, che si pronuncia a maggioranza dei membri che lo compongono. La
proposta di modifica poi trasmessa ai Parlamenti nazionali che, entro 6 mesi, possono
respingerla e allora la decisione non adottata oppure, in mancanza di opposizione, la
decisione adottata dal Consiglio europeo ed entrer in vigore senza ulteriore ratifica o
approvazione da parte degli Stati membri. Questa procedura di revisione semplificata, ai
sensi dellart. 353 TFUE, non pu essere applicata:
1. per ladozione della decisione di nuove categorie di risorse proprie;
2. per ladozione del regolamento con il quale viene stabilito il quadro finanziario
generale;
3. per lesercizio di competenze implicite o sussidiarie;
4. e per la decisione di sospensione dei diritti di voto di uno Stato membro.
Infine, va ricordato che i diritti di circolazione e di soggiorno riconosciuti ai cittadini degli Stati
membri dallart. 20 TFUE possono essere integrati, come sancito dallart. 25, 2 comma, TFUE,
29

[Digitare il titolo del documento] ed.)


attraverso disposizioni adottate dal Consiglio allunanimit secondo una procedura legislativa
speciale e previa approvazione del PE. Queste disposizioni entrano in vigore previa approvazione
degli Stati membri in conformit alle rispettive norme costituzionali. Si tratta di unulteriore
procedura di revisione del tutto atipica.
Pertanto, le procedure di revisione dei trattai dellUnione sono:
da un lato, arricchite da una dialettica complessa, cui partecipano gi sul piano
delliniziativa le istituzioni europee;
dallaltro lato, queste procedure di revisione confermano sul piano formale la normale
natura internazionale dei Trattati e dunque del diritto primario dellUnione.
QUESITO: Tutte le norme dei trattati possono essere oggetto di revisione o di abrogazione oppure
no?
Questo quesito non trova una risposta nei trattati e neppure nella giurisprudenza della Corte.
Tuttavia, unimplicita riflessione sul punto si rinviene nel parere 1/91 sulla compatibilit del sistema
di controllo giurisdizionale prefigurato nella prima versione dellaccordo sullo Spazio economico
europeo con il Trattato CE.
Certo, la natura pur sempre convenzionale dellUE lascia intatta la possibilit che alterazioni anche
profonde siano concordate dagli Stati membri.
La natura internazionalistica dei trattati dellUE confermata anche dal diritto di recesso,
disciplinato dallart. 50 TUE. Questa esplicita disposizione stata introdotta dal Trattato di
Lisbona; chiaro, per, che anche prima dellintroduzione di questa norma gli Stati membri
potevano recedere, cos come sancito dallart. 56 della Conv. di Vienna sul diritto dei trattati che,
nellipotesi di 1 trattato che non contenga disposizioni ad hoc, ritiene implicitamente applicabile la
clausola rebus sic stantibus. In ogni caso, con lart. 50 TUE stata introdotta 1 procedura
dettagliata e precisa per cui ogni Stato membro pu decidere di recedere dal sistema dellUE,
conformemente alle proprie norme costituzionali. In particolare, lintenzione di recedere va
notificata dallo Stato membro interessato al Consiglio europeo che formula specifici orientamenti al
tal riguardo. Si apre, quindi, un negoziato volto a definire un accordo sulle modalit del recesso,
tenuto conto delle future relazioni tra lo Stato recedente e lUnione. La conclusione dellaccordo
regolata dalla procedura di cui allart. 218 TFUE, con la differenza che lo Stato recedente:
non parteciper ai negoziati dalla parte dellUE;
n prender parte alladozione della decisione in seno al Consiglio.
Questa istituzione tenuta a deliberare, previa approvazione del PE, alla maggioranza qualificata
richiesta dallart. 238, n. 3, lett. b) TFUE; oppure richiesto il consenso di almeno il 72% dei
membri del Consiglio partecipanti alla decisione, che rappresentino almeno il 65% della
popolazione di tali Stati. Questa maggioranza si applicher a partire dal 1 novembre 2014, fino ad
allora dovr essere utilizzata la ponderazione dei voti di cui allart. 3 del Protocollo n. 36 sulle
disposizioni transitorie.
Lo Stato recedente non sar + membro dellUnione e, quindi, non sar + vincolato dai trattati a
partire dallentrata in vigore dellaccordo di recesso, oppure, in mancanza di questo accordo, 2 anni
dopo la notifica, salvo che il Consiglio europeo, dintesa con lo Stato interessato, decida
allunanimit di prorogare questo termine.
3. LA RIPARTIZIONE DI COMPETENZE TRA LUNIONE E GLI STATI MEMBRI:
PRINCIPIO DELLE COMPETENZE DI ATTRIBUZIONE, PRINCIPIO DI
SUSSIDIARIET E PRINCIPIO DI PROPORZIONALIT
Gli originari trattati istitutivi non avevano previsto in modo diretto ed espresso una ripartizione di
competenze tra Comunit e Stati membri, ripartizione che tuttavia si poteva agevolmente dedurre
dallattribuzione delle diverse competenze alla Comunit. Pertanto erano le stesse norme materiali
ad indicare se nel settore da esse disciplinato la Comunit godeva di una competenza esclusiva, tale
30

[Digitare il titolo del documento] ed.)


da precludere interventi degli Stati membri, oppure di una competenza concorrente.
Nel Trattato di Lisbona, invece, il Titolo I della Parte I del TFUE, dedicato espressamente
allenunciazione di Categorie e settori di competenza dellUnione, la cui disciplina risulta, poi,
diversamente graduata. Fin dalla denominazione del Titolo I, annunciato dunque il cambiamento
rispetto al modello precedente che, malgrado i numerosi tentativi era rimasto di fatto quello definito
con il Trattato di Roma nel 1957.
Occorre anzitutto sottolineare che, accanto ai numerosi obiettivi, nuovi o diversamente formulati
dellUE, nel Trattato di Lisbona a fin troppe riprese richiamato il principio delle competenze di
attribuzione, principio da sempre incontestato. Cos, lart. 5, 1 comma, TUE, sancisce che la
delimitazione delle competenze si basa sul principio di attribuzione e che lesercizio delle stesse
resta regolato dai principi di sussidiariet e di proporzionalit. E, al 2 comma della stessa
norma, ribadito che lUnione agisce nel rispetto dei limiti delle competenze che le sono state
attribuite dagli Stati nei trattati per perseguire gli scopi da essi prefissati.
Da una parte, viene confermata la previsione di competenze dellUnione costruite in termini
finalistici, nel senso che alle istituzioni europee riconosciuto il potere di adottare i
provvedimenti, necessari o utili, in relazione agli obiettivi dei trattati, o semplicemente ad
alcuni di essi;
dallaltra parte, rileva la volont degli Stati, di sottolineare che spetta a loro, e soltanto a
loro, attribuire poteri allUnione.
A ben guardare, lart. 5, 2 comma, TUE, opera come norma di rinvio simultaneo a tutte le
competenze che i Trattati attribuiscono allUnione. Non pu dubitarsi, infatti, che tra le
competenze che le sono attribuite vanno annoverate sia quelle cui i trattati fanno espresso
riferimento sia quelle cui fatto implicito rinvio.
Cos, se lazione intrapresa si iscrive direttamente e inequivocabilmente nel quadro delle
competenze definite dai trattati, sullUnione grava lobbligo di esercitare i suoi poteri nel rispetto
della disposizione rilevante. Inoltre, la sua azione pu derivare in maniera implicita dal contesto di
alcune disposizioni che per loro natura possono utilmente fornire la base giuridica ad essa
necessaria. Infine, la competenza dellUnione pu avere origine dallart. 352 TFUE (clausola di
flessibilit), che predispone una formale procedura per lampliamento dei poteri, che seppur non
espressamente attribuiti, sono tuttavia necessari per il raggiungimento dei fini assegnati
allorganizzazione dai medesimi trattati. Tale norma attribuisce al Consiglio il potere di adottare,
allunanimit, su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento, le disposizioni
del caso quando unazione dellUnione, pur non espressamente prevista, si renda necessaria per
raggiungere uno degli obiettivi fissati dai trattati. Bisogna ricordare che la clausola di flessibilit
non pu essere utilizzata per introdurre misure di armonizzazione delle disposizioni legislative e
regolamentari nazionali, qualora siano escluse dai trattati. N pu costituire la base giuridica per
conseguire obiettivi nel settore della politica estera e sicurezza comune.
La norma in questione sembra riecheggiare la dottrina dei poteri impliciti, in base alla quale uno
Stato federale o unorganizzazione internazionale si vede riconosciuta lattribuzione di nuove
competenze e funzioni nella misura necessaria al raggiungimento dei fini statutari. Tuttavia a
differenza di tale dottrina che costituisce un mero criterio interpretativo, lart. 352 TFUE
espressamente prevede una formale procedura per lintegrazione dei poteri delle istituzioni,
integrazione da effettuarsi nel rispetto di limiti e condizioni previsti dalla stessa norma; tali poteri
dunque non impliciti, semmai espliciti sono stati interpretati almeno nella fase iniziale in modo
estensivo dalla Corte di giustizia. Tra laltro, precisamente attraverso luso dellart. 352 stata
legittimata lazione dellUnione in settori quali la politica regionale e dellambiente, la politica
industriale e del consumatore, la politica energetica e del turismo. La maggior parte di tali politiche,
poi, ha ricevuto un suggello formale, e dunque una base giuridica specifica, attraverso linserimento
nei trattati a seguito delle modifiche apportate agli stessi dallAtto unico e dal Trattato di Maastricht
sullUE.
31

[Digitare il titolo del documento] ed.)


Pertanto, lambito di azione dellUnione non illimitato, ma deve essere contenuto nei limiti
segnati dai trattati; al rispetto di tale presupposto condizionata la legittimit della sua azione,
ancorata allindividuazione e alluso degli strumenti giuridici ai quali lUnione pu far ricorso e
nella procedura che le sue istituzioni e i suoi organi devono seguire nellesercizio delle rispettive
competenze. Inoltre, lultima parte del 2 comma, dellart. 5 TUE, ricorda che Qualsiasi
competenza non attribuita allUnione nei trattati appartiene agli Stati membri, che esattamente il
contenuto del principio delle competenze di attribuzioni, principio fondamentale e pacifico del
sistema, secondo il quale le funzioni normative restano agli Stati e lattribuzione allUnione
costituisce leccezione.
Ai sensi dellart. 2 TFUE, le competenze dellUnione sono distinte, anzitutto, in:
esclusive;
e concorrenti.
N.B.: Per accanto a queste 2 categorie classiche ne vengono inserite altre di natura e
intensit diversa; ed in particolare le competenze rivolte a sostenere, completare o
coordinare lazione degli Stati membri di cui agli artt. 5 e 6 TFUE. Va poi considerata
limportante competenza per definire o attuare una politica estera e di sicurezza comune
(art. 4 TFUE), secondo quanto previsto dal titolo V del TUE.
Nei settori di competenza esclusiva stabilito che soltanto lUE pu emanare atti giuridicamente
vincolanti; ma, anche specificato che gli Stati membri, previa autorizzazione, possono
autonomamente legiferare oppure dare attuazione agli atti dellUnione.
Relativamente ai settori di competenza esclusiva, lart. 3 TFUE espressamente elenca:
unione doganale;
definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno;
politica monetaria per gli Stati la cui moneta leuro;
conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della
pesca;
politica commerciale comune.
Inoltre, la competenza esclusiva prevista per la conclusione di accordi internazionali contemplati
in atti secondari, oppure necessari per esercitare competenze interne o, ancora, in grado di incidere
su norme comuni o di modificarne la portata.
In questi settori la necessit dellazione dellUnione presunta e, quindi, le istituzioni non sono
tenute a dimostrare che ladozione di un determinato atto sia indispensabile per il perseguimento
degli obiettivi prefissati. Peraltro, le stesse istituzioni possono ricorrere allo strumento normativo
che ritengono + incisivo, spingendosi fino allarmonizzazione delle legislazioni nazionali.
Quanto ai settori di competenza concorrente, essi possono essere oggetto di attivit legislativa sia
da parte dellUnione sia da parte degli Stati. Nondimeno, lesercizio della competenza statale,
nellart. 2 TFUE, costruito in termini residuali rispetto a quello dellUnione, poich
espressamente affermato che la competenza statale possa essere esercitata soltanto:
qualora le istituzioni non abbiano fatto uso della propria;
oppure qualora abbiano deciso di cessare di esercitare la propria.
Lapplicazione della norma in questione in grado di determinare diversi scenari:
gli Stati dispongono dellintera competenza normativa qualora lUnione si astenga da
qualsiasi forma dintervento
sono chiamati, invece, ad adottare semplicemente norme di attuazione qualora lUnione
intervenga con una disciplina non direttamente applicabile;
infine, non hanno + competenze normative qualora lUnione detti una disciplina completa, a
meno che lUnione decida di cessare di esercitare la propria.
Lart. 4, n. 2, TFUE, enumera i principali settori di competenza concorrente:
1) mercato interno;
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


2) politica sociale, per quanto riguarda gli aspetti definiti nel trattato;
3) coesione economica, sociale e territoriale;
4) agricoltura e pesca, tranne la conservazione delle risorse biologiche del mare;
5) ambiente;
6) protezione dei consumatori;
7) trasporti;
8) reti transeuropee;
9) energia;
10) spazio di libert, sicurezza e giustizia;
11) problemi comuni di sicurezza in materia di sanit pubblica, per quanto riguarda gli aspetti
definiti nel Trattato.
Lelenco delle materie di competenza concorrente esemplificativo, nel senso che suscettibile di
essere integrato o, comunque, modificato alla luce di nuove e diverse esigenze. Ci significa che
possibile trasferire ulteriori materie allUnione, ma soltanto se in capo alle istituzioni nazionali sia
conservata una pari competenza secondo un modello di cogestione, oramai ampiamente
sperimentato. Lo confermano:
sia il Protocollo n. 25 sullesercizio della competenza concorrente, che delimita il campo
di applicazione di eventuali atti adottati in settori concorrenti agli elementi disciplinati
dallatto in questione e non allintera materia;
sia la Dichiarazione n. 18 relativa alla delimitazione delle competenze, che espressamente
riconosce agli Stati membri la possibilit, conformemente alla procedura di revisione
ordinaria, di accrescere o ridurre le competenze attribuite allUnione con una modifica del
Trattato.
Una competenza concorrente sui generis contenuta, poi, nei paragrafi successivi dellart. 4
TFUE. Infatti, con riferimento ai settori della ricerca, dello sviluppo tecnologico e dello spazio (n.
3), cos come in relazione ai settori della cooperazione allo sviluppo e dellaiuto umanitario (n. 4),
lesercizio di competenza dellUnione non impedisce agli Stati di esercitare la loro.
Accanto alle competenze ricordate, ne vanno annoverate altre di diversa portata, di cui fatto
riferimento negli artt. 5 e 6 TFUE. In particolare:
lart. 5 TFUE affida al Consiglio il compito di fissare gli indirizzi di massima delle
politiche economiche nazionali; ed attribuisce allUnione il coordinamento delle politiche
occupazionali, mediante la definizione di orientamenti, e delle politiche sociali: cio gli Stati
mantengono singolarmente piena libert di definire le proprie politiche economiche,
occupazionali e sociali, fatta salva, da un lato, lindividuazione di parametri di regolazione
condivisi dal Consiglio; dallaltro lato, lesigenza di uno stretto e puntuale coordinamento in
sede europea;
lart. 6 TFUE, invece, introduce le azioni intese a sostenere, coordinare o completare
lazione degli Stati membri qualora, nei settori indicati (tutela e miglioramento della salute
umana; industria, cultura, turismo; istruzione, formazione professionale, giovent e sport;
protezione civile; cooperazione amministrativa), si programmino misure di finalit
europea.
Lenunciazione del principio di sussidiariet si trova dopo quello di attribuzione, a conferma della
sua vera funzione di criterio flessibile attraverso il quale lesercizio e non la titolarit di
determinate competenze viene spostato in capo allUnione o lasciato agli Stati membri sulla base di
valutazioni di merito.
Lintervento dellUnione nelle materie di competenza non esclusiva costruito in termini negativi e
vincolato al verificarsi di una duplice condizione, oppure che lazione dellUnione per la portata o
gli effetti sia + adeguata di quella a livello statale, regionale e locale e che gli obiettivi non possano
essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri. In particolare, lUnione deve risultare +
idonea rispetto ad uno Stato membro a disciplinare un settore non tanto per il carattere
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


trasfrontaliero dellazione da porre in essere, quanto per il grado di impatto che intende conferire
allazione stessa. Allevidenza, lintervento dellUnione potrebbe essere indispensabile per
larmonizzazione delle legislazioni nazionali e, quindi, potrebbe essere utile anche per un solo
Stato. Inoltre, la capacit o la mera attitudine degli Stati a perseguire un determinato obiettivo deve
essere valutata non soltanto a livello centrale, ma anche a livello regionale e locale.
La portata e lintensit dellazione dellUnione devono essere valutate, poi, in rapporto al principio
di proporzionalit, che impone di graduare nellesercizio di competenze sia esclusive che
concorrenti i mezzi prescelti rispetto alle caratteristiche dellobiettivo di volta in volta perseguito.
In ossequio a questo criterio, listituzione dovr anzitutto determinare latto che va concretamente
posto in essere. Pertanto si dovr scegliere fra un intervento di tipo legislativo-regolamentare ed
altre azioni, quali il mutuo riconoscimento, la raccomandazione, lincentivazione di forme di
cooperazione fra gli Stati membri, ladesione a convenzioni internazionali.
Pi in generale, il principio di proporzionalit impone che lesercizio di una determinata
competenza risponda a 3 requisiti sostanziali, e precisamente:
1. in primo luogo, esso deve essere utile e pertinente per la realizzazione dellobiettivo per il
quale la competenza stata conferita;
2. in secondo luogo, deve essere necessario e indispensabile; oppure, qualora per il
raggiungimento dello scopo possano essere impiegati vari mezzi, la competenza sar
esercitata in modo da recare meno pregiudizio ad altri obiettivi o interessi degni di eguale
protezione (criterio di sostituibilit);
3. infine, se queste condizioni sono soddisfatte sar poi necessario provare che esista un
nesso tra lazione e lobiettivo (criterio di causalit). Si tratta, quindi, didentificare una
ragionevole simmetria tra misure da adottare e scopi da perseguire, evitando interventi
dellUnione eccessivi e, talora, inutili o dannosi.
Pi vistose sono le novit introdotte dal Trattato di Lisbona in tema di vincoli procedimentali del
principio di sussidiariet che risultano, di fatto, notevolmente irrobustiti. Infatti, il Protocollo
sullapplicazione dei principi di sussidiariet e di proporzionalit attribuisce ai Parlamenti nazionali,
per la prima volta, un ruolo autonomo rispetto allo Stato membro di appartenenza. In particolare, ai
Parlamenti nazionali affidato il controllo del rispetto del principio di sussidiariet, ex ante ed ex
post. Nella fase ex ante, la Commissione tenuta a trasmettere ogni sua proposta e ogni proposta
modificata contemporaneamente ai Parlamenti nazionali e al legislatore dellUnione. Tale proposta
deve essere motivata alla luce del principio di sussidiariet e di proporzionalit. A questo scopo, ad
essa deve essere allegata una scheda dalla quale dovr risultare chiaramente il rispetto di questi
principi. Inoltre, ogni Parlamento nazionale, nonch ogni camera dei Parlamenti nazionali pu
presentare ai presidenti del PE, della Commissione e del Consiglio, entro 8 settimane, un parere
motivato in cui dovranno essere contenute le ragioni per le quali la proposta ritenuta non
conforme al principio di sussidiariet (c.d. allarme preventivo). Tuttavia, la Commissione tenuta a
riesaminare la proposta, qualora i pareri motivati relativi alla violazione del principio di
sussidiariet, rappresentino almeno 1/3 dei voti attribuiti ai Parlamenti nazionali pu decidere di
non modificare o non ritirare la proposta. Naturalmente, in questa ipotesi, lesecutivo dellUnione
tenuto a motivare la sua decisione.
Attraverso i rispettivi Governi, i Parlamenti nazionali possono presentare ricorso per violazione del
principio di sussidiariet. Dunque, ad essi riconosciuto un ruolo importante anche in fase di
controllo ex post.
Infine, va segnalato il riconoscimento al Comitato delle Regioni del potere di ricorso alla Corte di
giustizia per denunciare la violazione del principio di sussidiariet, qualora tale violazione sia
dovuta ad atti legislativi sui quali richiesta la sua consultazione.
4. I PRINCIPI DEL DIRITTO DELLUNIONE
Nel sistema dellUE non esiste una norma di contenuto analogo allart. 38 dello Statuto della CIG,
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


lorgano delle Nazioni Unite deputato alla soluzione delle controversie giuridiche, norma che
prevede lapplicazione di principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili. Soltanto lart.
340 TFUE, si limita, infatti, a rinviare ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri.
Nonostante la disposizione abbia una portata circoscritta alla materia della responsabilit
extracontrattuale dellUnione e alla definizione del conseguente obbligo risarcitorio, essa stata
utilizzata per evocare ed applicare principi comuni agli ordinamenti nazionali anche in materie
diverse.
Il risultato che nella prassi dellUnione la rilevanza e lapplicazione di principi non di poco
rilievo. A volte si tratta soltanto di criteri di interpretazione, ma il pi delle volte essi sono utilizzati
al fine di individuare i limiti dellesercizio di poteri da parte dellamministrazione nei confronti
degli amministrati; o per determinare + in generale la legittimit di un atto o di un comportamento,
di una istituzione dellUnione o di uno Stato membro. In ogni caso, si tratta normalmente di veri e
propri parametri di legittimit, dunque di norme idonee a creare diritti e obblighi.
Le diverse espressioni utilizzate (principi generali del diritto, principi comuni agli ordinamenti
giuridici degli Stati membri o principi del diritto internazionale) o i brocardi ripresi dal diritto
romano, sembrano quasi volere sminuire la portata di tali principi, sottolineandone lorigine esterna
al sistema giuridico dellUE. Per questa prospettiva non ha un serio fondamento: si tratta di
principi propri del diritto dellUnione, a tutti gli effetti e a titolo originario, che non sono affatto
presi soltanto a prestito di volta in volta da altri sistemi giuridici; lunica differenza possibile
semmai tra principi che trovano espressa enunciazione nei trattati e principi che sono invece il
risultato di una mera rilevazione da parte del giudice.
Di frequente e significativa applicazione il principio della certezza del diritto, nei suoi numerosi e
diversi aspetti. Il principale profilo riguarda la trasparenza dellattivit dellamministrazione, nel
senso che la normativa dellUnione deve essere chiara e la sua applicazione prevedibile per coloro
che vi sono sottoposti, in modo che possano agire in modo adeguato. Lo stesso dicasi per lattivit
richiesta alle amministrazioni nazionali: pertanto in tale prospettiva che va considerata
insufficiente la trasposizione o lattuazione di una direttiva nellordinamento nazionale con semplici
circolari o prassi amministrative.
Al principio della certezza del diritto si fatto riferimento, ad es., in tema di termine ragionevole (2
mesi) dato alla Commissione per pronunciarsi sulla compatibilit di aiuti statali notificati; di
termine di decadenza ai fini di un ricorso in carenza; per affermare la non retroattivit degli atti
rispetto alla data di pubblicazione, salvo eccezioni; nonch per stabilire che la sentenza di
annullamento di un atto o la sentenza pregiudiziale da cui si desume lillegittimit di una normativa
nazionale possa avere eccezionalmente effetti ex nunc.
Un aspetto ulteriore e di rilievo del principio della certezza del diritto il principio del legittimo
affidamento, espressamente ritenuto parte dellordinamento giuridico dellUnione ed utilizzabile
come parametro di legittimit degli atti. In alcune occasioni questi 2 principi sono stati applicati
contestualmente, luno per definire la regola e laltro per limitarne leccezione. Ci si verificato,
ad es., a proposito dellefficacia nel tempo degli atti, che in nome della certezza del diritto non pu
essere retroattiva, ma che pu essere oggetto di una deroga qualora lo scopo da conseguire lo esiga
e purch sia fatto salvo il legittimo affidamento degli interessati.
In generale, il principio del legittimo affidamento viene in rilievo nellipotesi di modificazione
improvvisa di una disciplina e la sua violazione pu costituire motivo di invalidit della nuova
disciplina; oppure rileva nel caso che lamministrazione abbia fatto nascere nellinteressato, con il
suo comportamento o addirittura con le sue informazioni, una aspettativa ragionevolmente fondata;
oppure in tema di revoca di atti individuali illegittimi, possibile entro un termine ragionevole e
tenuto conto del legittimo affidamento maturato dal destinatario. Per contro, non si pu invocare il
legittimo affidamento se sia fondato su un errore o comunque quando il comportamento invocato
sia illegittimo, ad es. in tema di aiuti di Stato; in particolare, non lo si pu invocare rispetto ad una
prassi nazionale non conforme al diritto dellUnione, sebbene sia pacifico che anche le
amministrazioni nazionali sono tenute ad osservare il principio di tutela del legittimo affidamento
35

[Digitare il titolo del documento] ed.)


degli operatori economici. N un operatore avvertito pu far valere il legittimo affidamento rispetto
alla permanenza di una disciplina che la Commissione abbia ampio potere discrezionale di
modificare.
Va infine precisato che il principio del legittimo affidamento non preclude lapplicazione di una
nuova disciplina agli effetti a questa successivi di rapporti sorti in forza della disciplina pregressa.
Il principio di proporzionalit anchesso compreso tra i principi generali del diritto dellUnione.
Esso consente di verificare la legittimit di un atto che imponga un obbligo oppure una sanzione in
base alla sua idoneit o necessit rispetto ai risultati che si vogliono conseguire. Pertanto spetta al
giudice verificare se i mezzi prefigurati per raggiungere lo scopo dellatto siano idonei e non
eccedano quanto necessario per raggiungerlo. Il principio richiede, ad es., che la sanzione in caso
di violazione di un obbligo imposto dal diritto dellUnione non sia pi grave di quanto necessario;
o che in caso di alternativa tra misure diverse nei confronti degli operatori sia adottata quella che
impone oneri minori o quella meno restrittiva.
Un principio spesso utilizzato come chiave di lettura delle norme comunitarie quello delleffetto
utile, che impone unapplicazione o anche una interpretazione delle stesse che sia funzionale al
raggiungimento delle loro finalit.
Di rilievo anche la portata attribuita al principio di precauzione, sancito dal Trattato con riguardo
alla tutela dellambiente (art. 191, 2, TFUE), ma che la Corte di giustizia ha definito come un
principio generale che impone ladozione di misure atte a prevenire rischi per la sicurezza e la
salute, oltre che per lambiente.
Infine, la giurisprudenza ha fatto ricorso pi volte e in contesti anche diversi al principio della leale
cooperazione, ricavandolo o, almeno, collegandolo allart. 4, n. 3, TUE (gi art. 10 TCE),
limitandosi per ad unaffermazione di principio molto ampia, nel senso che il contenuto
dellobbligo di cooperazione dipende dalle disposizioni materiali del Trattato che di volta in volta
vengono in rilievo, con riferimento anche alla struttura complessiva del sistema. Ne seguito,
pertanto, un uso frequente ed ampio del principio, con diversa portata e diversi significati.
I) In quanto dovere di leale cooperazione degli organi nazionali nei confronti delle istituzioni
dellUnione, il principio venuto anzitutto in rilievo come obbligo di facilitare le istituzioni stesse
nellassolvimento dei loro compiti. il caso, ad es., delle obbligazioni connesse alla trasposizione
delle direttive, delle informazioni che gli Stati devono dare alla Commissione, dellesecuzione delle
sentenze della Corte; del dovere di astensione quando sia iniziata una procedura per unazione
dellUnione; in generale, delladozione di misure nazionali per la corretta attuazione di norme
dellUnione e, particolarmente, della portata effettiva, proporzionata e dissuasiva delle sanzioni
predisposte dagli Stati membri per la violazione di norme dellUnione. Del pari, si rilevato il
dovere dello Stato membro, nel corso di una procedura di infrazione in base allart. 258 TFUE di
dare tutte le informazioni richieste alla Commissione o almeno di motivarne il rifiuto; pi in
generale, di agevolare le inchieste e i controlli della Commissione, ad es. di comunicare le misure
adottate in attuazione di una direttiva.
In secondo luogo, il dovere di cooperazione delle autorit nazionali venuto in rilievo come dovere
di contribuire alla realizzazione degli obiettivi del Trattato persino in carenza del legislatore
dellUnione. Lipotesi comprende 2 figure diverse, e precisamente:
1) la 1 ipotesi, di + facile lettura, quella in cui lo Stato membro, pur in assenza di misure di
armonizzazione, comunque in grado di assicurare al singolo lesercizio di una libert
fondamentale prevista dal Trattato;
2) la 2 ipotesi quella dellobbligo affermato in capo agli Stati membri di adottare misure
temporanee fino alladozione di misure dellUnione in materia di organizzazione dei
mercati, cio in un settore dove la competenza dellUnione esclusiva.
In terzo luogo, il dovere di cooperazione degli Stati membri verso la Comunit venuto in rilievo al
fine di garantire la portata e leffettivit del sistema giuridico dellUnione e con questo la piena
efficacia dei diritti attribuiti ai singoli da norme dellUnione. stata, questa, una delle applicazioni
+ rilevanti e significative del principio di cui allex art. 10 del TCE, vera e propria chiave di volta di
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


numerosi e fondamentali passaggi della giurisprudenza. Si pensi:
al dovere che incombe sui giudici nazionali di garantire una tutela giurisdizionale piena ed
effettiva ai diritti dei singoli;
al dovere risarcitorio dello Stato nei confronti dei singoli per violazione del diritto
dellUnione;
al dovere di attivare i rimedi giurisdizionali adeguati e di comminare sanzioni altrettanto
adeguate a garantire leffettivit delle norme dellUnione;
al divieto di vanificare leffetto utile di norme del Trattato in materia di concorrenza e che
disciplinano il comportamento delle imprese.
Daltra parte, giurisprudenza consolidata che gli Stati membri, cos come sono tenuti ad adottare
le misure necessarie perch i singoli possano godere al meglio dei diritti loro attribuiti dal sistema
giuridico dellUnione, allo stesso modo sono tenuti a garantire che i singoli osservino gli obblighi
loro imposti dal diritto dellUnione e pertanto ad utilizzare misure idonee ad assicurare tale
risultato.
II) Il principio sancisce anche un obbligo di leale cooperazione reciproca (aiuti, agricoltura), sia per
la soluzione di problemi specifici, sia pi in generale come connotazione dei rapporti tra istituzioni
e Stati membri (scuola europea, sede del Parlamento). Ed stato dunque utilizzato in primo luogo
per affermare un obbligo di collaborazione tra Stati membri in funzione di una pi corretta
applicazione del diritto dellUnione: ad es. per ovviare a divergenze tra regimi pensionistici
nazionali, oppure in tema di riconoscimento dei controlli compiuti dallo Stato di produzione negli
scambi di merci. In secondo luogo, il principio stato invocato anche in relazione ai rapporti tra le
istituzioni, in particolare in materia di bilancio, per valutare la legittimit della loro azione.
III) Infine, stato affermato lobbligo di cooperazione delle istituzioni dellUnione nei confronti
degli Stati membri. Ad es., a fronte di una richiesta disattesa di un giudice nazionale alla
Commissione di fornire informazioni utili raccolte in una procedura da funzionari dellUnione, la
Corte ha rilevato lobbligo della Commissione di prestare la massima collaborazione, in quanto il
dovere di leale cooperazione sancito dal Trattato non a senso unico. Del pari, in materia di
concorrenza, stato affermato il dovere della Commissione di fornire alle autorit e ai giudici
nazionali ogni informazione utile.
Il Trattato di Lisbona ha richiamato espressamente il principio di leale cooperazione allart. 4, n. 3,
TUE. Questultimo, infatti, sancisce il principio di leale cooperazione innanzitutto per stabilire
lobbligo per lUnione e gli Stati membri al rispetto e allassistenza reciproca nelladempimento dei
compiti derivanti dai trattati; in secondo luogo, lobbligo per gli Stati membri di adottare ogni
misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare lesecuzione degli obblighi derivanti dai
trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dellUnione; in terzo luogo, lobbligo per gli Stati
membri di facilitare lUnione nelladempimento dei suoi compiti, astenendosi da qualsiasi misura
che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dellUnione.
5. IL PRINCIPIO DI EGUAGLIANZA
Il principio di eguaglianza trova nel Trattato riconoscimento espresso e generale nella forma di un
divieto di discriminazione fondato sulla nazionalit (art. 18 TFUE), con applicazioni specifiche
relativamente alla libert di circolazione delle merci e dei servizi e alla libert di stabilimento.
Questo principio si ritrova anche nella disciplina concernente le organizzazioni comuni di mercato,
lart. 40, n. 2, 2 comma, TFUE, prevedendo lesclusione di qualsiasi discriminazione fra
produttori o consumatori dellUnione; e allart. 157 TFUE, in cui viene sancito in termini generali
il principio della parit di retribuzione fra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile
per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore. Bisogna precisare che il principio generale di
non discriminazione in base alla nazionalit di cui allart. 18 TFUE, disposizione provvista di
effetto diretto, di applicazione SOLO in mancanza di altre disposizioni che in modo specifico
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


vietino trattamenti discriminatori ed esclusivamente nei limiti dellambito di applicazione del
Trattato.
Il limite risulta chiaro: mentre nel Trattato originario il principio di eguaglianza trovava espresso
riconoscimento soprattutto al fine di rendere operative le libert previste, dunque in funzione degli
obiettivi di integrazione e non come principio e/o diritto fondamentale, levoluzione successiva
della prassi e della giurisprudenza hanno radicalmente mutato il quadro e limpostazione degli
autori del Trattato. Laffermazione che il principio generale di eguaglianza (di cui il divieto di
discriminazione a motivo della cittadinanza ne solo unespressione specifica) rappresenta uno dei
principi fondamentali del diritto dellUnione costituisce ormai una costante della giurisprudenza
della Corte.
In proposito, quanto mai significativo che, con riferimento alla direttiva che stabilisce un quadro
generale per la parit di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, la Corte
abbia sottolineato che tale direttiva non sancisce essa stessa il principio della parit di trattamento,
che invece trova la sua fonte in varie convenzioni internazionali e nelle tradizioni costituzionali
degli Stati membri. Le conseguenze che la giurisprudenza ne ha tratto sono 2 e molto rilevanti, e
precisamente:
1) la 1 che il principio di non discriminazione, ad es. in base allet, un principio
generale del diritto dellUnione, sancito anche dalla Carta dei diritti fondamentali dellUE,
che con il Trattato di Lisbona ha lo stesso valore giuridico dei trattati;
2) la 2 che tale principio per ci stesso provvisto di effetto diretto e prescinde dalle
condizioni di applicabilit della direttiva che lo disciplina, tanto da imporre al giudice
nazionale la sua applicazione in luogo di una legge nazionale confliggente anche prima
della scadenza del termine di trasposizione e in una controversia tra privati.
Nel merito, il divieto di discriminazioni sancito dal Trattato stato da sempre interpretato dalla
Corte nel senso tradizionale, che fatto divieto di trattare in modo diverso situazioni simili, oppure
di non trattare in modo identico situazioni diverse. Una disparit di trattamento , inoltre, comunque
arbitraria nellipotesi in cui il diverso o eguale trattamento oggetto della controversia non sia
giustificabile in base a criteri oggettivi. Per contro, non si in presenza di una discriminazione
vietata ogniqualvolta il diverso trattamento giustificato in modo oggettivo: in questa ipotesi
irrilevante che esista o meno una disparit di trattamento.
Non sono illegittime solo le violazioni palesi del principio di uguaglianza, ma anche le
discriminazioni dissimulate o indirette. cos che da tempo la Corte ha posto in rilievo che il
divieto di discriminazione in base alla nazionalit investe anche quelle discriminazioni fondate su
parametri diversi da quello della nazionalit, ma che di fatto conducono allo stesso risultato, vale a
dire a negare al cittadino dellUnione i benefici accordati ai nazionali: questo il caso di un
trattamento diverso fondato sulla residenza, quando non sia giustificato da elementi oggettivi. Del
pari, nel dare applicazione al principio della parit retributiva di cui allart. 157 TFUE (gi art.
141 TCE) la giurisprudenza costante nel considerare in violazione di tale principio quelle
normative nazionali che, pur fondate su criteri apparentemente neutri, finiscono con lo sfavorire
comunque le donne, ad es. retribuendo in modo diverso il lavoro part-time, quando sono
prevalentemente le donne ad optare per questa formula.
Pi in generale, il principio della parit di retribuzione stato oggetto di applicazioni molto ampie e
significative, fino ad identificarsi, anche per effetto di numerose normative intervenute nella
materia, con un generale principio di eguaglianza nei rapporti di lavoro. E se vero che in origine
era stato attribuito uno scopo duplice, quello economico di evitare distorsioni di concorrenza e
quello sociale di miglioramento e di parificazione delle condizioni di lavoro, vero anche che alla
luce della giurisprudenza successiva la finalit economica risulta secondaria rispetto a quella
sociale, proprio in quanto la norma stata considerata lespressione di un diritto fondamentale della
persona.
In definitiva, la Corte ha inteso garantire unuguaglianza sostanziale e non meramente formale. La
giurisprudenza in materia di parit uomo-donna nella vicenda del rapporto di lavoro
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


complessivamente intesa ne la testimonianza pi significativa.
6. LA TUTELA DEI DIRITTI E LA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELLUE
ben noto che i Trattati istitutivi delle Comunit non contenevano alcuna disposizione a tutela dei
diritti umani che potesse in qualche modo costituire la base per il controllo giudiziale; e se vero
che alcune libert individuali vi risultavano fin da subito sancite, come le libert di circolazione
(artt. 45 e 56 del TFUE, gi artt. 39 e 49 TCE) oppure il diritto a non essere discriminati in base alla
nazionalit (art. 18 TFUE) e in base al sesso (art. 157 TFUE), pur vero che si tratta di libert
riconosciute al singolo esclusivamente in quanto protagonista economico dellUnione: esse erano
garantite soltanto perch strumentali agli scopi del Trattato CE, ossia alla realizzazione del mercato
comune.
Coerente con questa impostazione del Trattato, la Corte ha affermato, nei primi anni 60,
lirrilevanza sul piano del diritto dellUnione dei diritti fondamentali tutelati nelle Costituzioni degli
Stati membri e la propria incompetenza a garantire il rispetto di norme interne, anche costituzionali,
in vigore nelluno o nellaltro Stato. Il suo principale interesse era evidentemente quello di:
assicurare lautonomia e il primato del diritto dellUnione sul diritto interno;
nonch la sua uniformit entro il territorio dellUnione.
Un decennio pi tardi la Corte di giustizia volta pagina. Infatti laffermazione incondizionata del
principio del primato e linevitabile interferenza della normativa dellUnione con i diritti umani, che
la prassi aveva evidenziato, avevano messo sul piede di guerra le Corti costituzionali, in particolare
italiana e tedesca, che rivendicavano ora il controllo giudiziale residuo sulla normativa dellUnione.
Proprio lintento di superare queste minacce allintegrit stessa dellordinamento dellUnione
inducono la Corte ad affermare che i diritti fondamentali, quali risultano dalle tradizioni
costituzionali comuni agli Stati membri e dalla Conv. europea sulla salvaguardia dei diritti
delluomo (CEDU), fanno parte dei principi giuridici generali di cui essa garantisce losservanza.
Significativo les. della sentenza Rutili, in cui la Corte si riferisce espressamente agli artt. 8, 9, 10
e 11 della CEDU e allart. 2 del Protocollo n. 4 alla stessa allegato, affermando su tale base che le
restrizioni apportate in materia di polizia relativa agli stranieri per esigenze di ordine pubblico e di
sicurezza pubblica non possono andare oltre ci che necessario per il soddisfacimento di tali
esigenze in una societ democratica.
In sostanza la Corte si cos riservata il compito di verificare di volta in volta il rispetto dei diritti
fondamentali, beninteso nelle situazioni in cui rileva una disciplina dellUnione e non la sola
disciplina interna. Ed infatti il controllo della Corte, rispetto al parametro dei diritti fondamentali,
investe:
1) gli atti dellUnione, compresi quelli adottati in attuazione di risoluzioni di Organizzazioni
internazionali;
2) gli atti o comportamenti nazionali che danno attuazione al diritto dellUnione;
3) le giustificazioni addotte da uno Stato membro per una misura nazionale altrimenti
incompatibile con il diritto dellUnione.
Pertanto rimangono fuori dellambito del controllo solo le norme nazionali prive di qualsiasi legame
con il diritto dellUnione.
Fra i diritti fondamentali che la Corte ha avuto occasione di rilevare e di richiamare, vanno
ricordati:
il diritto di propriet e il diritto al libero esercizio di unattivit economica o
professionale;
lirretroattivit delle norme penali;
il principio del ne bis in idem;
la previsione legale dei reati e delle pene;
il rispetto dei diritti della difesa;
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il principio del contraddittorio;
il diritto ad un processo equo ed entro un termine ragionevole;
linviolabilit del domicilio;
la libert di espressione; ecc.
N.B.: Bisogna dire che lesercizio dei diritti fondamentali pu essere oggetto di restrizioni in
vista di obiettivi di interesse generale perseguiti dallUnione.
Inoltre il riconoscimento come principio generale, rinvenibile anche agli artt. 6 e 13 della Conv.
europea dei diritti delluomo, del diritto alla tutela giurisdizionale piena ed effettiva, ha avuto
un ruolo fondamentale nello sviluppo del sistema dellUnione. Si pensi allobbligo di motivazione e
di trasparenza degli atti cui sono tenute le amministrazioni nazionali e le istituzioni dellUnione; o
anche al diritto del singolo a che la tutela di un diritto attribuito da norme dellUnione sia
immediata, nonostante eventuali preclusioni degli ordinamenti nazionali.
La giurisprudenza ha sviluppato il principio delleffettivit della tutela giurisdizionale soprattutto in
vista dellesigenza di uniformit del livello di tutela nellUnione. Ne derivato:
da una parte, il criterio secondo cui la tutela dei diritti attribuiti da norme dellUnione deve
essere almeno pari a quella prevista per i diritti conferiti da norme nazionali (principio di
equivalenza);
dallaltra parte, il principio che il sistema nazionale di rimedi giurisdizionali deve essere
tale da non rendere praticamente impossibile o eccessivamente gravoso lesercizio dei diritti
attribuiti al singolo da norme dellUnione (principio di effettivit).
Inoltre, il Trattato di Lisbona (art. 19, n. 1, 2 comma, TUE) tende a rimarcare lobbligo che
incombe sugli Stati membri di stabilire i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela
giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dellUnione.
Il riconoscimento dei diritti fondamentali nel diritto dellUnione si affermato proprio grazie alla
Corte di Giustizia, coinvolgendo le altre istituzioni solo successivamente. In particolare, solo con la
Dichiarazione comune del 5 aprile 1977, il Consiglio e la Commissione si sono impegnati a
rispettare, nellesercizio dei loro poteri, i diritti fondamentali quali risultanti dalle Costituzioni degli
Stati membri, nonch dalla Conv. europea di salvaguardia dei diritti delluomo e delle libert
fondamentali. Si tratta di una dichiarazione giuridicamente NON vincolante, ma il cui valore
politico non pu essere disconosciuto. Anche nel preambolo dellAtto unico presente una
dichiarazione di contenuto pi o meno analogo, anche se in termini + astratti.
Un punto di riferimento di maggior rilievo stato lart. 6, n. 2, del Trattato di Maastricht
sullUE, in base al quale lUnione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla
Convenzione europea dei diritti delluomo e delle libert fondamentali, firmata a Roma il 4
novembre 1950, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali degli Stati membri in quanto principi
generali del diritto dellUnione.
La mancata adesione dellUnione alla CEDU non ha comportato conseguenze di rilievo. Infatti in
quasi 50 anni, divergenze rilevanti tra Corte di giustizia e Corte di Strasburgo riguardo alla
valutazione dei diritti fondamentali non vi sono state, nonostante in alcune occasioni le 2 Corti
siano state chiamate a pronunciarsi su casi analoghi. Il clima di collaborazione instauratosi tra le 2
Corti ha trovato esplicita conferma nella sentenza Bosphorus c. Irlanda, nella quale la Corte di
Strasburgo ha affermato di non sindacare il rispetto dei diritti umani da parte di atti CE, in quanto il
sistema del diritto dellUnione di tutela dei diritti fondamentali almeno equivalente a quello
predisposto dalla CEDU.
In ogni caso, era sempre pi condivisa lidea di dotare lUnione di un proprio catalogo scritto di
diritti fondamentali. Nel 1999 il Consiglio europeo di Colonia a deliberare la predisposizione di
una Carta dei Diritti Fondamentali dellUE, affidandone la redazione ad un apposito
organismo, la Convention, composto da rappresentanti dei Parlamenti nazionali, del PE, della
Commissione e dei capi di Stato e di governo. In occasione del Consiglio europeo di Nizza del 7
dicembre 2000, la Carta, articolata in 54 articoli + un breve preambolo, dunque solennemente
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proclamata ad opera del Parlamento, della Commissione del Consiglio (senza che ad essa sia
conferito valore giuridico vincolante e deferendo alla successiva Conferenza intergovernativa del
2004 il problema dellindividuazione del suo status).
Nella Carta si ritrovano tutti i diritti che la Corte di giustizia aveva fino a quel momento garantito in
via giurisprudenziale. Lo scopo delliniziativa enunciato dal Consiglio europeo di Colonia, daltra
parte, NON era quello di innovare, ma rendere esplicita e solenne laffermazione di una serie di
valori. Limpegno di Colonia di rendere SOLO + visibile la tutela dei diritti fondamentali stato
confermato anche nellart. 51 della Carta, dove si precisato che essa non introduce competenze
nuove o compiti nuovi per la Comunit e per lUnione, n modifica le competenze e i compiti
definiti dai trattati.
Per la Carta dei diritti si spesso posto il quesito circa il suo valore aggiunto rispetto allo stato della
prassi e + in generale ai principi che ispirano il processo di integrazione europea complessivamente
considerato. La decisione maturata a Nizza di lasciare ad una successiva fase di maturazione il
compito di sciogliere il nodo della valenza giuridica della Carta e dunque su come costruire il
rapporto con i trattati dellUnione e su come renderla formalmente e solennemente vincolante, ha
avuto un seguito SOLO con il processo di riforma dei Trattati conclusosi con la firma del Trattato di
Lisbona il 13 dicembre 2007 e la sua entrata in vigore il 1 dicembre 2009, Trattato che attribuisce
alla Carta di Nizza, coma adattata nel 2007, lo stesso valore giuridico dei Trattati.
Con il Trattato di Lisbona si rinunciato a trasferire la materiale elencazione dei diritti
fondamentali nel testo del Trattato, preferendo piuttosto pervenire al riconoscimento dei diritti, delle
libert e dei principi sanciti nella Carta; a questa si attribuisce lo stesso valore giuridico dei Trattati
(art. 6, n. 1, 1 comma, TUE), conservandone, tuttavia, lautonomia. La scelta in tal senso, oltre che
dettata da ragioni di opportunit politica (viste le forti resistenze manifestate da alcuni Stati
membri), si giustifica anche con motivazioni di ordine pratico volte a sottrarre eventuali future
modificazioni della Carta al passaggio obbligato della procedura di revisione del Trattato.
Lart. 6, n. 2, TUE sancisce limpegno e la competenza dellUE in ordine alladesione alla CEDU,
ferme restando le competenze dellUnione cos come definite nei Trattati. Leffettiva adesione alla
CEDU resta subordinata alla stipulazione di 1 accordo internazionale che, ai sensi dellart. 218
TFUE deve essere concluso dal Consiglio allunanimit, previa approvazione del PE. Nella
sostanza, ladesione comporter lestensione del sindacato della Corte di Strasburgo sulle questioni
riguardanti lUnione che vertano in materia di diritti delluomo.
7. IL DIRITTO DELLUNIONE DERIVATO
Il sistema normativo dellUnione comprende un insieme di atti giuridici adottati dalle istituzioni
dellUnione, nei limiti delle competenze e con gli effetti che i Trattati sanciscono. Si tratta di atti
che vengono posti in essere attraverso procedimenti deliberativi che si svolgono e si esauriscono in
modo del tutto indipendente da quelli legislativi e amministrativi nazionali. Sono atti, per,
destinati ad incidere in modo rilevante sugli ordinamenti giuridici interni e sulle posizioni
giuridiche dei singoli, talvolta senza che occorra un intervento formale del legislatore e/o
dellamministrazione nazionale, altre volte imponendo alluno e/o allaltra unattivit normativa,
allo scopo di riversare sui singoli gli impegni sottoscritti dallUnione o di precisare o integrare
obbligazioni solo delineate dallatto dellUnione ma lasciate alla discrezionalit degli Stati membri
quanto alla determinazione definitiva del suo contenuto.
Questo linsieme degli atti che si definisce comunemente diritto derivato dellUnione,
espressione che ne coglie:
da un lato, la purezza dellorigine, appunto quella dellUnione in senso proprio e non
convenzionale, del tutto estranea ai procedimenti nazionali di formazione delle norme;
dallaltro lato, la forza derivata dai Trattati istitutivi, in applicazione e per lattuazione dei
quali gli atti dellUnione vengono adottati. Ed appena il caso di precisare che gli atti in
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questione non possono avere leffetto di restringere o modificare la portata di una norma del
Trattato o della giurisprudenza relativa a quella stessa norma.
Lart. 288 TFUE sancisce la tipologia degli atti a mezzo dei quali le istituzioni dellUnione
esercitano le competenze loro attribuite: regolamenti, decisioni e direttive, nonch raccomandazioni
e pareri.
Il Trattato di Lisbona introduce, allart. 289 TFUE, per regolamenti, direttive e decisioni, una
distinzione formale tra atti legislativi e atti non legislativi, che dipende esclusivamente dalla
procedura con la quale sono adottati.
Nella 1 ipotesi, infatti, i regolamenti, le direttive e le decisioni vengono adottati con procedura
legislativa, ordinaria oppure speciale; nella 2 ipotesi, invece, gli stessi atti sono adottati sulla base
di una delega contenuta in un atto legislativo, che, ai sensi dellart. 290, n. 1, TFUE, affida alla
Commissione il potere di emanare, appunto, atti delegati, quindi non legislativi, di portata generale
che integrano o modificano determinati elementi non essenziali delletto legislativo. Gli atti delegati
devono essere definiti tali espressamente nel loro titolo e pertanto assumono la denominazione di
regolamenti, direttive e decisioni delegate. Lesercizio da parte della Commissione dei poteri
normativi delegati soggetto al controllo da parte del Parlamento e del Consiglio che possono
revocare la delega e fissarne le condizioni (art. 290, n. 2, TFUE).
Il quadro cambia quando gli atti legislativi vincolanti richiedono atti di esecuzione e provvedono ad
attribuire i relativi poteri alla Commissione o in casi eccezionali al Consiglio. Anche gli atti di
esecuzione devono essere espressamente denominati tali nel loro titolo (art. 291 TFUE),
assumendo la denominazione di regolamenti, direttive e decisioni di esecuzione. Si tratta anche in
questa ipotesi di atti non legislativi, cio di atti meramente esecutivi degli atti legislativi, ma che si
distinguono dagli atti delegati perch sono destinati ad operare allinterno degli Stati membri,
nonch per il fatto che il controllo sullesercizio delle competenze di esecuzione affidato agli Stati
membri stessi, secondo modalit stabilite dal PE e dal Consiglio attraverso regolamenti adottati con
procedura legislativa ordinaria (art. 291, n. 3, TFUE).
I tipi di atti previsti dallart. 288 TFUE non esauriscono, tuttavia, il panorama degli atti di diritto
derivato dellUnione. Infatti, esistono atti, talvolta anche vincolanti, non previsti dai Trattati: essi
vengono indicati come atti atipici.
8. GLI ATTI VINCOLANTI: REGOLAMENTI, DECISIONI E DIRETTIVE
Tra gli atti vincolanti, viene anzitutto in rilievo il regolamento, che nel sistema giuridico
dellUnione normalmente rappresenta lequivalente della legge negli ordinamenti statali.
Innanzitutto il regolamento, al pari della legge, ha portata generale, nel senso che si rivolge a
soggetti non determinati e limitati, ma considerati astrattamente, e investe pertanto situazioni
oggettive. In altre parole, il regolamento applicabile non ad un numero definito di destinatari,
individuabili facilmente o espressamente identificati, ma a categorie di destinatari determinate
astrattamente e nel loro insieme. N assume rilievo, per escludere la natura regolamentare dellatto,
che il numero o lidentit dei destinatari sia suscettibile di individuazione in un determinato
momento, purch la qualit di destinatario dipenda da una situazione obiettiva, di diritto o di fatto,
definita dallatto stesso. Egualmente, il fatto che lapplicazione della norma sia limitata ad uno o pi
Stati membri oppure ad una parte di uno Stato membro non vale ad inficiarne la natura
regolamentare, quando comunque i suoi effetti riguardino categorie astrattamente considerate e
caratterizzate unicamente in relazione alla loro partecipazione allambito economico di cui trattasi.
La portata generale del regolamento spesso sottoposta alla verifica della Corte di giustizia
dellUnione sotto il profilo della sua impugnabilit da parte dei singoli (persona fisica o giuridica),
in quanto questi ultimi, in virt dellart. 263, 4 comma, TFUE, possono impugnare solo quegli atti
regolamentari che li riguardino direttamente, semprech non comportino alcuna misura di
esecuzione, e ci indipendentemente dalla specifica denominazione che ad essi abbia dato
listituzione che li ha adottati. La natura dellatto deve dunque essere individuata in relazione alla
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


sua sostanza e non alla sua forma, cio con riguardo agli effetti che mira a produrre ed
effettivamente produce.
Altra caratteristica del regolamento, anchessa espressamente prevista dallart. 288, TFUE data
dallobbligatoriet del medesimo in tutti i suoi elementi: ci vuol dire che i destinatari del
regolamento sono tenuti a dare applicazione completa e integrale alle norme regolamentari, con
conseguente illegittimit di una sua applicazione parziale da parte di uno Stato. Il carattere
obbligatorio del regolamento preclude agli Stati la possibilit di formulare opposizioni o riserve
allatto della sua adozione, le quali, anche se espresse, restano prive di ogni effetto. Naturalmente,
la generale obbligatoriet del regolamento non comporta che le sue norme disegnino sempre una
disciplina completa e autosufficiente. anzi proprio del carattere astratto della fonte in questione
che il regolamento deleghi, ai sensi dellart. 290, n. 1 TFUE, alla Commissione il potere di adottare
atti delegati, quindi non legislativi, di portata generale che ne integrino o modifichino determinati
elementi non essenziali dellatto legislativo.
Il regolamento direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri (art. 288, 2 comma,
TFUE).
Infine, il regolamento deve essere pubblicato nella Gazzetta ufficiale dellUE ai sensi dellart. 297,
n. 1, 3 comma, TFUE. La mancata pubblicazione non influisce sulla validit dellatto, ma ne
impedisce la produzione di effetti obbligatori sino a quando non venga pubblicato. Il regolamento
entra in vigore alla data che esso stesso prevede o, in mancanza, dopo 20 giorni dalla pubblicazione.
La decisione , al pari del regolamento, atto obbligatorio in tutti i suoi elementi (se designa i
destinatari obbligatorio soltanto nei confronti di questi), ma si differenzia dal regolamento per il
fatto che il pi delle volte essa si rivolge a specifici destrinatari ed dunque priva di quella portata
generale e astratta che tipica degli atti legislativi.
In questi casi, la decisione corrisponde, in sostanza, allatto amministrativo dei sistemi giuridici
nazionali, in quanto rappresenta lo strumento utilizzato dalle istituzioni quando sono chiamate ad
applicare il diritto dellUnione a singole fattispecie concrete. un atto che dunque, crea, modifica o
estingue situazioni giuridiche soggettive in capo ai destinatari. Questi ultimi possono essere:
tanto gli Stati (ad es., una decisione che accerta lincompatibilit di un aiuto alle imprese
con il diritto dellUnione);
quanto persone fisiche o giuridiche (ad es., le decisioni in materia di concorrenza).
Una decisione pu avere come destinatari anche tutti gli Stati, senza con ci perdere, almeno in
linea di principio e salvo verifica sulla sostanza dellatto, il suo carattere individuale. Talvolta, le
decisioni non sono indirizzate n a Stati membri, n a persone fisiche o giuridiche, ma hanno una
valenza generale; in particolare, si tratta:
di decisioni con le quali il Consiglio autorizza lavvio dei negoziati di accordi internazionali
e designa, in funzione della materia di cui trattasi, il negoziatore o il capo della squadra di
negoziato dellUnione (art. 218, n. 3, TFUE) o con le quali ne approva la conclusione (art.
218, n. 6, TFUE);
di decisioni che investono il funzionamento dellorganizzazione dellUnione, quale, ad es.,
quelle, di natura non legislativa, del Consiglio europeo, adottate a maggioranza qualificata,
sulle formazioni del Consiglio e sulla loro presidenza o quelle, adottate allunanimit, sulla
composizione del PE;
quelle relative alla nomina di persone, al personale delle istituzioni, allistituzione di
comitati, nonch di decisioni relative a Fondi e programmi dellUnione.
La decisione pu essere adottata:
dal Consiglio europeo;
dal Consiglio;
oppure dalla Commissione: questultima agisce in virt di un potere proprio o su delega del
Consiglio, a seconda delle specifiche previsioni del Trattato.
La portata individuale dellatto non pone alcun problema salva la verifica della sostanza quanto
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alla sua impugnabilit da parte dei singoli destinatari.
La decisione quando impone obblighi di pagamento ai singoli, persone fisiche o giuridiche, a tutti
gli effetti un titolo esecutivo, da far valere negli Stati membri attraverso le procedure nazionali
rispettivamente utilizzabili (art. 299 TFUE). Lunica condizione che dovr essere rispettata
lapposizione della formula esecutiva da parte dellautorit nazionale che il governo di ciascuno
degli Stati membri ha a tal fine designato (in Italia, il Ministero degli Esteri), previa verifica della
sola autenticit del titolo. La procedura esecutiva sar poi regolata dalle norme nazionali, cos come
il controllo della regolarit dei provvedimenti esecutivi sar di competenza dei giudici nazionali,
mentre la sospensione dellesecuzione potr avvenire solo in virt di una decisione della Corte di
giustizia.
La decisione deve essere notificata ai destinatari e solo da tale momento produce i suoi effetti ed
ad essi opponibile. Nella prassi, sono pubblicate le decisioni + rilevanti, sia pure nella parte II della
Gazzetta, relativa agli atti per i quali la pubblicazione non una condizione di applicabilit. In
questo caso, la pubblicazione assolve ad una funzione semplicemente informativa e, comunque, non
esonera listituzione che adotta la decisione dallonere di provvedere alla sua notificazione al
destinatario.
invece richiesta la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dellUE per le decisioni che non
designano i destinatari.
La direttiva, secondo lart. 288, 3 comma, vincola lo Stato membro cui rivolta per quanto
riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito
alla forma e ai mezzi.
Anche la direttiva, come la decisione e a differenza del regolamento, non ha portata generale ma
vincola solo lo Stato o gli Stati, che ne sono i soli destinatari, salvo ad incidere talvolta sulle
situazioni giuridiche soggettive dei singoli.
Non diversamente dal regolamento e dalla decisione, la direttiva produce effetti obbligatori.
Lelemento qualificante della direttiva appunto costituito dalla natura dellobbligo imposto agli
Stati, che in via di principio un obbligo di risultato. Lobbligo dello Stato di adottare tutte le
misure necessarie per realizzare il risultato voluta dalla direttiva; un obbligo cogente e investe tutti
gli organi dello Stato, compresi gli organi giurisdizionali. In generale si usa dire che la direttiva si
limita a fissare un risultato da raggiungere, ponendosi soprattutto laccento sulla discrezionalit
lasciata agli Stati quanto al modo e agli strumenti per raggiungerlo. La caratteristica di questo atto
non implica che le sue disposizioni siano meno vincolanti delle altre norme dellUnione, n
comporta unattenuazione delle conseguenze sfavorevoli per gli Stati destinatari in caso di
violazione da parte di questi ultimi.
Di fronte allargomento che a una direttiva non potrebbe attribuirsi la stessa forza obbligatoria dei
regolamenti, la Corte ha infatti opposto che lesatta e puntuale attuazione di una direttiva tanto +
importante in quanto le misure di attuazione sono lasciate alla discrezione degli Stati membri; con
la conseguenza che, ove tali misure non raggiungessero gli scopi definiti entro il termine stabilito, le
direttive resterebbero prive di effetti. Ci vuol dire che la portata vincolante della direttiva investe
anche e in modo particolare il termine fissato per lentrata in vigore delle misure interne. Lo Stato
membro che incontrasse difficolt di attuazione tempestiva ha come unico rimedio la richiesta
allistituzione di una proroga del termine.
Lo Stato pu certo dare applicazione alla direttiva in via anticipata rispetto al termine fissato dallo
stesso atto dellUnione, ma tale circostanza non pu produrre effetti nei confronti di altri Stati
membri che alla direttiva non si siano ancora adeguati, n consentito al singolo di invocare il
principio del legittimo affidamento prima della scadenza del termine stabilito per lattuazione della
direttiva.
In pendenza di tale termine linosservanza dellobbligo dello Stato di realizzare il risultato voluto
dalla direttiva non sanzionabile, divenendo censurabile linadempimento solo alla scadenza. La
Corte, tuttavia, ha apportato qualche precisazione circa i doveri degli Stati nel periodo tra lentrata
in vigore della direttiva e la scadenza del termine per lattuazione, chiarendo che su di essi grava un
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


obbligo di standstill, che poi il tradizionale obbligo di buona fede, nel senso che devono astenersi
dalladottare disposizioni che possano compromettere gravemente il risultato prescritto dalla
direttiva.
Pertanto, neppure la discrezionalit quanto alla forma o ai mezzi assoluta.
In particolare, mentre ormai pacifico che lattuazione di una direttiva non richiede
necessariamente una riproduzione testuale delle sue disposizioni in una norma ad hoc, altrettanto
incontestabile la necessit che comunque le misure di attuazione realizzino quanto prescritto dalla
direttiva con efficacia cogente, indicandolo anche in modo specifico, chiaro e preciso, affinch i
destinatari dei diritti attribuiti dalla direttiva siano in grado di conoscerne la piena portata e di
farli valere dinanzi ai giudici nazionali. Inoltre, quando il risultato voluto dalla direttiva non possa
essere realizzato attraverso linterpretazione, gli Stati membri hanno lobbligo di risarcire i singoli
degli eventuali danni derivati dalla mancata attuazione della direttiva.
Nella prassi, la caratteristica peculiare della direttiva di imporre un obbligo di risultato talvolta
venuta meno, nel senso che molti sono i casi di direttive che in fatto non lasciano spazio ad
alternative quanto ai modi e ai tempi per realizzare il risultato da esse prescritto. Si parla a tale
riguardo, con espressione impropria, di direttive dettagliate o particolareggiate; la loro rilevanza si
manifesta soprattutto nellimpatto con gli ordinamenti nazionali e la sfera giuridica dei singoli, in
quanto possono assumere la stessa portata e la stessa efficacia dei regolamenti. In dottrina stata
ipotizzata la illegittimit della direttiva dettagliata, proprio a ragione della sua natura
sostanzialmente regolamentare.
Della direttiva il legislatore comunitario si avvalso soprattutto come strumento di armonizzazione
delle legislazioni nazionali, l dove il Trattato lo imponeva o quale frutto di una scelta delle
istituzioni a vantaggio di un atto meno unificante rispetto al regolamento e pi rispettoso delle
peculiarit delle singole esperienze giuridiche nazionali.
Tradizionalmente, la direttiva, in quanto atto non dotato di portata generale e con destinatari
espressamente individuati, veniva solo notificata a questi ultimi, producendo i propri effetti
obbligatori a partire dalla data della notificazione. Lart. 297 TFUE impone anche la pubblicazione
sulla Gazzetta ufficiale delle direttive adottate secondo la procedura legislativa ordinaria, a
conferma del loro pi marcato carattere normativo. In tal caso, come per il regolamento, lentrata in
vigore sar alla data stabilita dalla direttiva stessa o, in mancanza, dopo 20 giorni dalla
pubblicazione.
9. GLI ATTI NON VINCOLANTI: RACCOMANDAZIONI E PARERI
Lart. 288 TFUE prefigura anche 2 tipi di atti non vincolanti: raccomandazioni e pareri. Il potere
di adottare tali atti riconosciuto, data la natura non vincolante degli stessi, a tutte le istituzioni
dellUnione. Lart. 292 TFUE disciplina la procedura di adozione delle raccomandazioni da parte
del Consiglio, il cui potere subordinato alla proposta della Commissione e/o allunanimit nei casi
e nei settori nei quali tali condizioni sono previste. Un ruolo privilegiato tuttavia attribuito alla
Commissione che formula raccomandazioni o pareri quando il Trattato espressamente lo preveda,
oppure quando la stessa istituzione lo ritenga necessario.
Le raccomandazioni e i pareri non sono facilmente distinguibili, anche in considerazione dellampio
e differenziato impiego che ne fanno le istituzioni. In linea generale:
mentre le raccomandazioni sono normalmente dirette agli Stati membri e contengono
linvito a conformarsi ad un certo comportamento;
i pareri costituiscono latto con cui le stesse istituzioni o altri organi dellUnione fanno
conoscere il loro punto di vista su di una determinata materia. Attraverso i pareri,
listituzione esercita una funzione di orientamento, consigliando il soggetto circa il contegno
che questi dovr tenere, senza che da ci discenda per questultimo lobbligo di adeguarvisi.
Lassenza di carattere vincolante non consente comunque di escludere qualsiasi effetto giuridico di
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


questi atti, specialmente delle raccomandazioni. In particolare, nel pronunciarsi sul valore delle
raccomandazioni nellambito della procedura di rinvio pregiudiziale ai sensi dellart. 267 TFUE, la
Corte, dopo aver precisato che esse sono in genere adottate dalle istituzioni dellUnione quando
queste non dispongono, in forza del Trattato, del potere di adottare atti obbligatori o quando
ritengono che non vi sia motivo di adottare norme vincolanti, ha affermato che non possono essere
considerate prive di effetto giuridico e che, pertanto, i giudici nazionali devono tenerne conto ai fini
dellinterpretazione di norme nazionali o di altri atti vincolanti dellUnione.
Degli atti non vincolanti il Trattato non impone la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale.
Normalmente, essi vengono comunque pubblicati, specie se si tratta di raccomandazioni di carattere
generale, per facilitarne la conoscenza e, dunque, lefficacia.
Il Trattato definisce pareri anche le deliberazioni che vengono adottate da organi partecipi del
processo legislativo dellUnione nellesercizio della funzione consultiva che lo stesso Trattato
assegna loro. Tuttavia si tratta di atti NON riconducibili a quelli previsti dallart. 288 TFUE, dato
che non sono destinati a produrre alcun effetto allesterno del meccanismo decisionale dellUnione
e sono quindi dotati di valenza esclusivamente interistituzionale.
10. ELEMENTI COMUNI AGLI ATTI DELLUNIONE: MOTIVAZIONE, BASE
GIURIDICA, EFFICACIA NEL TEMPO
Gli atti vincolanti dellUnione devono essere naturalmente motivati, pena lannullamento per
violazione delle forme sostanziali (art. 263, 2 comma, TFUE). Perch lobbligo di motivazione,
sancito dallart. 296 TFUE, sia adempiuto necessario che latto contenga la specificazione degli
elementi di fatto e di diritto sui quali listituzione si fondata. Lesigenza da soddisfare :
da un lato, quella di far conoscere agli Stati membri e ai singoli il modo in cui listituzione
ha applicato il Trattato;
dallaltro lato, quella di consentire alla Corte e al Tribunale di esercitare un controllo
giurisdizionale adeguato.
Il rispetto dellobbligo va verificato in funzione della natura e del contenuto dellatto, nonch del
contesto giuridico in cui esso si colloca. In ogni caso, deve risultare chiaro liter logico seguito
dallistituzione che ha posto in essere latto, nonch gli elementi necessari per permettere ai
destinatari, ed ancor pi a chi ne sia comunque investito direttamente e individualmente ai sensi
dellart. 263 TFUE, 4 comma, di apprezzarne la portata e la fondatezza.
Lindagine sulla congruit della motivazione investe non solo il tenore letterale dellatto, ma anche
il contesto normativo e fattuale in cui si colloca; mentre non necessario, per consentire il controllo
del giudice, che siano specificati tutti gli elementi di fatto e di diritto.
Lobbligo di motivazione non richiede ladozione di formule particolari, essendo sufficiente che dal
tenore dellatto nel suo complesso si evincano le ragioni di fatto e di diritto che hanno indotto
listituzione ad emanarlo. Cos, in relazione al rispetto del principio di sussidiariet, non
necessario che esso venga espressamente menzionato, purch il legislatore dellUnione dia conto
delle ragioni per le quali lobiettivo della propria azione pu essere realizzato meglio a livello
dellUnione piuttosto che dagli Stati membri.
Il difetto e la carenza di motivazione dellatto sono vizi che si traducono nella violazione di forme
sostanziali, in particolare ai sensi dellart. 263 TFUE. La conseguenza che si tratta di motivi di
ordine pubblico che il giudice pu e deve sollevare anche dufficio.
Oltre allobbligo di motivazione, listituzione che adotta latto deve anche fare menzione delle
proposte o dei pareri obbligatoriamente richiesti in esecuzione del Trattato, cos garantendo la
verifica del rispetto delle condizioni procedimentali imposte dal Trattato medesimo per ladozione
dellatto.
Rilevante la necessit che latto faccia riferimento ad una o a + specifiche norme del Trattato
(visto lart. ), cio la base giuridica, la cui omissione integra un vizio sostanziale dellatto, a
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meno che non sia possibile determinarla con sufficiente precisione in base ad altri elementi dello
stesso atto. La scelta della base giuridica operata con riferimento agli elementi oggettivi e
qualificanti dellatto che siano suscettibili di controllo giurisdizionale, quali lo scopo e loggetto
dellatto stesso. Quando il provvedimento investe + settori, ad es. la politica dellambiente e quella
agricola o il mercato comune, occorre verificare se entrambi i profili sono essenziali oppure se luno
principale (il centro di gravit) e laltro accessorio, al fine di stabilire se debbano utilizzarsi 2
basi giuridiche oppure 1 sola; ed chiaro che, nellipotesi di + basi possibili ma incompatibili, sono
gli elementi principali e non quelli solo accessori a determinare la base giuridica.
Il richiamo ad una norma di diritto primario, della quale latto costituisce il momento di attuazione,
assume rilievo in relazione a 3 distinti profili, e precisamente:
1. il 1 e fondamentale profilo attiene alle competenze dellUnione, che almeno in via di
principio sono ispirate al criterio dellattribuzione specifica nel Trattato, fatta salva la
previsione dellart. 352 TFUE, che peraltro conferma la valenza di quel criterio. Pertanto
necessario che lazione delle istituzioni trovi giustificazione in una norma del Trattato che
allUnione attribuisce lo specifico potere di volta in volta esercitato;
2. il 2 profilo attiene al riparto di competenze tra le diverse istituzioni dellUnione che
rispondono anchesse al principio di attribuzione;
3. il 3 profilo quello procedimentale, nella misura in cui la scelta delluna o dellaltra base
giuridica implica una procedura diversa di formazione del consenso (unanimit o
maggioranza, qualificata o semplice) e/o un diverso coinvolgimento del Parlamento
(procedura legislativa ordinaria o speciale).
N.B.: In linea generale, se un atto costituisce momento di esercizio di 2 distinte competenze
dellUnione per le quali il Trattato prevede 2 diverse basi giuridiche, listituzione dovr fondarsi su
entrambe le norme primarie. Se per alla diversit di fondamento giuridico si accompagna una
diversit nel procedimento, per cui una delle 2 procedure destinata ad essere sostanzialmente
svuotata nel proprio significato sostanziale, latto dovr trovare fondamento esclusivo sulla norma
del Trattato che implica il procedimento + garantista e + rispettoso del fondamentale principio
democratico.
Oltre che sotto il profilo della competenza dellistituzione oppure del procedimento di formazione,
lomissione della base giuridica rileva anche sotto il profilo dellidentificazione della categoria cui
latto appartiene; e persino della sua efficacia vincolante o meno. Questultimo aspetto di per s
importante, collegandosi allesigenza di certezza e di tutela giurisdizionale piena, in quanto latto
pu rappresentare ai suoi destinatari una situazione non perfettamente chiara quanto alla stessa
obbligatoriet dei comportamenti in esso prefigurati.
Sappiamo gi che latto entra in vigore nella data dallo stesso specificata o, in mancanza, dopo 20
giorni dalla sua pubblicazione. Bisogna aggiungere in proposito che quando la pubblicazione
successiva alla data prefigurata nellatto, o quando il momento delleffettiva diffusione della
Gazzetta ufficiale diverso da quello formalmente indicato come data di pubblicazione, vale ad
ogni effetto, in particolare sotto il profilo del termine per limpugnazione di rito, il momento
delleffettiva diffusione: ci accade non di rado, ad es., con la Gazzetta ufficiale del 31 dicembre.
I principi della certezza del diritto e del legittimo affidamento impongono, non diversamente da
quanto accade anche negli ordinamenti degli Stati membri, che la norma dellUnione non trovi
applicazione ai rapporti giuridici definiti anteriormente alla sua entrata in vigore: in altre parole,
non abbia effetto retroattivo. Lefficacia retroattiva della norma dellUnione ipotizzabile soltanto
in via deccezione, ove ci sia imposto dallobiettivo da realizzare e comunque sia adeguatamente
salvaguardato il legittimo affidamento degli interessati. Inoltre, nella motivazione, listituzione
dovr indicare le ragioni che giustificano lefficacia retroattiva che si intende attribuire allatto in
questione.
Come per le norme convenzionali, le versioni degli atti dellUnione nelle (23) lingue ufficiali
dellUnione fanno tutte ugualmente fede, s che in caso di dubbio occorre operare un confronto. Se
c discordanza, linterprete deve procedere ad una lettura delle norme in funzione delleconomia
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


complessiva e delle finalit dellatto. In ogni caso, quando + interpretazioni sono possibili, va
privilegiata quella che consente di salvaguardare leffetto utile della norma.
11. ALTRI ATTI
Oltre agli atti prefigurati allart. 288 TFUE, gli stessi trattati prevedono alcuni atti diversi,
qualificati in dottrina atti atipici in senso lato, concernenti ipotesi specifiche e per lo pi funzionali
allattivit istituzionale. In particolare, bisogna ricordare:
i regolamenti interni delle istituzioni, che hanno normalmente una efficacia circoscritta
appunto ai rapporti interni alle istituzioni;
i programmi generali, in origine previsti per la soppressione delle restrizioni in materia di
libert di stabilimento e libera prestazione dei servizi, adottati dal Consiglio e che fissavano
gli obiettivi e la cadenza della liberalizzazione (rispettivamente, artt. 50 e 59 TFUE);
la constatazione dellavvenuta approvazione del bilancio da parte del presidente del PE (art.
314, par. 9 TFUE);
alcuni atti preparatori, quali, in particolare, le proposte della Commissione;
le misure adottate dal Consiglio, previste dal titolo V, capo 2 del TFUE, in materia di
politiche relative ai controlli alle frontiere, allasilo e allimmigrazione.
Inoltre il quadro degli atti dellUnione, quale definito dai trattati, si arricchito di non poche figure
di atti davvero singolari, denominati atti atipici in senso proprio, a volte persino vincolanti, altre
volte privi di una specifica denominazione. Questi atti costituiscono il frutto di una prassi delle
istituzioni che si andata progressivamente consolidando. In particolare, ricordiamo:
le decisioni sui generis, atti normalmente vincolanti adottati dal Consiglio e che non
rispondevano al modello tipico di decisione prefigurato dallart. 249 TCE, non avendo
specifici destinatari, ma erano pur sempre obbligatorie e di portata generale. In passato ne
stato fatto un uso moderato ma con effetti di grande rilievo, ad es. in materia di Fondi o di
creazione e poteri di istituzioni come il Tribunale o la Commissione. Con il nuovo testo:
Se designa i destinatari obbligatoria soltanto nei confronti di questi (art. 288 TFUE),
occorre attendere la prassi sulluso e gli effetti di tale atto, anche per una pi matura
valutazione in ordine alla tipicit o meno;
gli accordi interistituzionali, tra Consiglio, Commissione e Parlamento, in origine
considerati meri strumenti informali ma che con il tempo hanno assunto veste di atto
giuridico dalla natura vincolante, cos come prefigurato dallart. 295 TFUE;
le risoluzioni del Consiglio, che, sebbene sprovviste di efficacia vincolante, rivestono
notevole importanza in quanto esplicitano il punto di vista dellistituzione su questioni
concernenti determinati settori di intervento dellUnione, spesso anticipando una
successiva attivit normativa in senso proprio;
le comunicazioni della Commissione, strumenti utilizzati con notevole frequenza e aventi
forme e contenuti diversi, tanto da dar luogo a tentativi di classificazione dei differenti tipi
di comunicazione:
oltre a quelle informative, destinate in particolare ad alimentare il dialogo tra
istituzioni su temi e materie in cui si prefigura ladozione di veri e propri atti
normativi, notevole rilievo rivestono le comunicazioni c.d. decisorie, relative a
settori in cui la Commissione dispone di un potere di decisione anche discrezionale,
come in materia di concorrenza e di aiuti di Stato;
nonch le comunicazioni c.d. interpretative, cio volte a far conoscere agli Stati e
agli operatori i diritti e gli obblighi ad essi derivanti dal diritto dellUnione, in
particolare alla luce degli sviluppi giurisprudenziali registratisi nel settore di cui si
tratta;
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le dichiarazioni comuni del Parlamento, del Consiglio e della Commissione, ad es. sulla
procedura di concertazione, sulla procedura di bilancio, sui diritti fondamentali; talvolta a
queste istituzioni si aggiungono anche i rappresentanti degli Stati membri riuniti in sede di
Consiglio, come nel caso della dichiarazione contro il razzismo e la xenofobia;
le c.d. dichiarazioni a verbale del Consiglio, che talvolta accompagnano ladozione di un
atto e che, come precisato dalla Corte, possono essere prese in considerazione al fine di
chiarire la portata di una disposizione di diritto derivato, ma non hanno alcun rilievo
giuridico quando il contenuto della dichiarazione in questione non trovi espresso riscontro
nel testo della disposizione cui afferiscono;
gli accordi c.d. amministrativi, stipulati direttamente dalla Commissione con Stati terzi,
spesso neppure pubblicati.
La qualificazione dellatto, anche e soprattutto sotto il profilo della sua obbligatoriet, spetta al
giudice e dunque alla Corte di giustizia e al Tribunale, in funzione delloggetto e delle finalit che in
concreto caratterizzano latto. Tale accertamento assume rilievo non solo rispetto agli effetti
sostanziali da ricollegare allatto, ma anche sul piano processuale, relativamente alla sua
impugnabilit o meno e da parte di quali soggetti; infatti lart. 263 TFUE:
da un lato limita la possibilit dimpugnazione diretta agli atti vincolanti;
dallaltro lato circoscrive tale possibilit ai singoli che siano individualmente e direttamente
investiti dallatto.
12. DIRITTO DELLUNIONE E DIRITTO INTERNO
Bisogna esaminare il rapporto che allinterno del sistema giuridico dellUnione si crea tra:
le norme convenzionali e comunitarie, da una parte;
e quelle nazionali, dallaltra parte.
Per quanto concerne il rapporto con lordinamento italiano, va fatta una prima e generale
distinzione tra limpatto delle norme dei trattati e quello del diritto dellUnione (o comunitario)
derivato.
Le norme dei trattati istitutivi, e con essi tutte le modificazione e integrazioni convenzionali
intervenute successivamente, hanno con il nostro ordinamento lo stesso impatto di ogni altra
normativa internazionale pattizia; tali norme richiedono per la loro entrata in vigore lesaurimento
delle procedure costituzionali prescritte in ciascuno Stato membro. Per lItalia, la prassi da sempre
prevede la legge di autorizzazione del Presidente della Repubblica alla ratifica e lordine di
esecuzione, luna e latro normalmente oggetto di un unico testo legislativo la legge di
adattamento come per qualsiasi accordo internazionale.
Viceversa per il diritto comunitario derivato non si richiede la procedura speciale di adattamento
appena evocata, ma che si pongano eventualmente in essere quei provvedimenti nazionali, leggi o
atti amministrativi a seconda dei casi, che gli stessi atti comunitari prefigurano o impongono ai fini
della loro puntuale e tempestiva attuazione. N necessario che lesigenza o meno di un atto
formale degli organi nazionali sia espressamente sancita nellatto comunitario. Ancora una volta,
infatti, la sostanza prevale sulla forma, per cui lapprezzamento sia delluna che dellaltra pu
portare a conclusioni diverse, nel senso che di 1 atto formale interno vi sia o non vi sia necessit,
che sia consentito o che sia precluso. In definitiva, occorre verificare di volta in volta, in base alla
forma e alla sostanza dellatto comunitario, e qualunque ne sia la denominazione, quale sia
limpatto sui sistemi giuridici nazionali e quali siano gli interventi formali eventualmente richiesti o
imposti agli Stati membri perch il diritto o lobbligo comunitario possa considerarsi a tutti gli
effetti rilevante e soprattutto operante in rapporto alla posizione giuridica dei suoi destinatari.
Il regolamento, ad es., espressamente definito dal Trattato come direttamente applicabile in
ciascuno Stato membro. Ci va inteso nel senso che latto destinato a produrre i suoi effetti senza
che sia necessario un intervento formale di una qualche autorit nazionale, ove non richiesto dallo
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


stesso regolamento comunitario (misure nazionali di attuazione). Un eventuale atto interno, anche
solo confermativo del regolamento, sarebbe perci contrario al Trattato, nella misura in cui pu
rappresentare un ostacolo o comunque ritardare lapplicazione del regolamento in modo uniforme e
simultaneo in tutta la Comunit, anche quando non produca riduzioni della sua sfera di operativit.
Diverso invece il problema che si pone per le direttive, in quanto, conformemente alla previsione
dellart. 249 del Trattato, in via generale e di principio sono esse stesse ad imporre allo Stato
membro di adottare gli atti necessari alla loro puntuale attuazione. Ancora diverso, poi, il caso in
cui sia una sentenza della Corte di giustizia ad imporre agli Stati membri unattivit normativa, ad
es. di abolizione o modificazione di una legge o di un atto amministrativo dichiarato incompatibile
con il diritto comunitario.
In Italia, il tema dellattuazione legislativa e/o amministrativa degli obblighi comunitari da sempre
un tema dolente.
Per ovviare almeno in parte agli inadempimenti italiani alle obbligazioni comunitarie, stata
introdotta la legge comunitaria annuale, dunque una legge-contenitore che riunisce tutte le misure
occorrenti a dare attuazione ad atti comunitari e/o alle pronunce della Corte. A tal fine, entro il 31
gennaio di ogni anno il governo deve (o dovrebbe) presentare un disegno di legge, indicando le
misure che sono necessarie per adeguare lordinamento nazionale al diritto comunitario e cio:
1) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti in contrasto con gli
obblighi comunitari;
2) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti oggetto di procedure di
infrazione avviate dalla Commissione dellUE nei confronti della Repubblica italiana;
3) disposizioni di attuazione di atti comunitari, anche mediante delega legislativa al governo;
4) disposizioni che autorizzano il governo ad attuare in via regolamentare le direttive;
5) disposizioni necessarie a dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle
relazioni esterne dellUE;
6) disposizioni che individuano i principi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni e le
province autonome esercitano la propria competenza normativa per dare attuazione o
assicurare lapplicazione di atti comunitari nelle materie di legislazione concorrente (art.
117, 3 comma, Cost.);
7) disposizioni che, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province
autonome, conferiscono delega al governo per lemanazione di decreti legislativi recanti
sanzioni penali per la violazione delle disposizioni comunitarie recepite dalle regioni e dalle
province autonome;
8) disposizioni emanate nellesercizio del potere sostitutivo statale in caso di inadempienza
delle regioni e delle province autonome (art. 117, 5 comma, Cost.).
Peraltro, il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro per le politiche comunitarie possono
proporre al Consiglio dei Ministri ladozione di misure urgenti, necessarie alladeguamento agli
obblighi derivanti da atti normativi o sentenze dei giudici comunitari, nel caso in cui il termine per
lattuazione da parte degli Stati membri sia anteriore alla data di presumibile entrata in vigore della
legge comunitaria.
13. LEFFETTO DIRETTO DELLE NORME DELLUNIONE
Occorre ora considerare il modo di essere e di operare degli atti comunitari allinterno dei sistemi
giuridici nazionali ed in particolare di quello italiano:
sia sotto il profilo dellincidenza sulle posizioni giuridiche individuali;
sia sotto il profilo della loro posizione rispetto alle norme nazionali.
Al riguardo, rilevano i 2 caratteri fondamentali del diritto comunitario, che soprattutto ne
qualificano il rapporto con il diritto nazionale, e precisamente: leffetto diretto e il primato.
Leffetto diretto (self-executing) risiede nellidoneit della norma comunitaria a creare diritti e
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obblighi direttamente e utilmente in capo ai singoli (non importa se persone fisiche o giuridiche),
cio senza che lo Stato debba porre in essere una qualche procedura formale per riversare sui singoli
gli obblighi o i diritti prefigurati da norme esterne al sistema giuridico nazionale. In termini
pratici, leffetto diretto si risolve nella possibilit:
- per il singolo di far valere direttamente dinanzi al giudice nazionale la posizione giuridica
soggettiva vantata in forza della norma comunitaria;
- per lamministrazione di far s che il singolo adempia agli obblighi sanciti dalla norma
comunitaria e/o goda direttamente e immediatamente dei diritti attribuiti da quella norma.
Non sono mancati i tentativi di distinguere la nozione di effetto diretto da quella di applicabilit
diretta.
Effetto diretto: con tale espressione si indicherebbe lidoneit della norma comunitaria a
creare in capo ai singoli diritti invocabili direttamente dinanzi al giudica nazionale;
Applicabilit diretta: essa costituirebbe una qualit di quegli atti, in particolare i
regolamenti, le cui norme non richiedono, per produrre effetti, alcun provvedimento interno
ulteriore.
In linea generale, con lapplicabilit diretta si rileva una qualit della norma, con leffetto diretto se
ne coglie lincidenza sulla posizione giuridica del singolo, che non necessariamente il destinatario
della norma.
Peraltro questa distinzione non trova alcun riscontro nella giurisprudenza, che utilizza
indifferentemente queste 2 espressioni per designare le norme comunitarie che creano a vantaggio
dei singoli posizioni giuridiche soggettive direttamente tutelabili in giudizio.
Delleffetto diretto sono provviste tutte le disposizioni comunitarie che siano sufficientemente
chiare e precise e la cui applicazione non richieda lemanazione di ulteriori atti comunitari o
nazionali, di esecuzione o comunque integrativi. N necessario, perch leffetto si produca in capo
ai singoli, che la norma sia formalmente destinata ad essi: infatti, possono essere provviste di effetto
diretto anche le norme indirizzate agli Stati membri, ma la cui osservanza si collega comunque ad
un diritto del singolo. [Ad es., sono provviste di effetto diretto quelle norme del Trattato che hanno
scandito la realizzazione del mercato comune, imponendo agli Stati labolizione degli ostacoli alla
libera circolazione delle merci e delle persone, nonch dei capitali.]
Del resto, la giurisprudenza sulleffetto diretto nata proprio con riguardo ad una norma lart. 30
TFUE palesemente rivolta agli Stati membri, nella celebre sentenza Van Gend en Loos (5
febbraio 1963). La Corte, affermata lesigenza di verificare lidoneit della norma a produrre effetti
diretti alla luce non solo del tenore letterale ma anche della sua finalit, rilev in primo luogo che il
Trattato non si limitato alla creazione di obblighi reciproci degli Stati membri e che si invece
inteso realizzare un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale, a
favore del quale gli Stati hanno rinunciato, anche se in settori limitati, ai loro poteri sovrani,
ordinamento riconosce come soggetti non soltanto gli Stati membri ma anche i loro cittadini. Il
singolo, dunque, pu far valere i diritti che derivano dallordinamento comunitario davanti al
giudice nazionale.
il caso di specificare che la norma comunitaria provvista di effetto diretto obbliga alla sua
applicazione non soltanto il giudice ma tutti gli organi dellamministrazione nazionale, da quelli
dello Stato centrale a quelli degli enti territoriali, quali la Regione e il Comune, anche in forza
dellobbligo di leale collaborazione sancito dallart. 4, n. 3, del TUE (gi art. 10 del TCE).
La nozione di effetto diretto ha trovato ampio riconoscimento nella giurisprudenza della Corte di
Giustizia e delle giurisdizioni nazionali. I requisiti previsti dallart. 30 TFUE prevedono che la
norma sia chiara, precisa e suscettibile di applicazione immediata, dunque non condizionata ad
alcun provvedimento formale dellautorit nazionale.
Tali caratteristiche possono essere presenti, oltre che nelle norme del Trattato, anzitutto nei
regolamenti. Ci non vuol dire, per, che le disposizioni di un regolamento siano tutte provviste
delleffetto diretto: infatti, un regolamento pu ben contenere una o pi disposizioni che impongono
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o vietano un comportamento agli Stati membri, obbligandoli ad adottare le normative diverse e
ulteriori eventualmente necessarie per la sua attuazione.
Se, come di regola si verifica, il regolamento applicabile immediatamente ed provvisto di effetto
diretto, ogni ulteriore misura superflua e non pu in alcun modo condizionarne la piena efficacia.
Delleffetto diretto sono provviste poi le decisioni:
sia quelle rivolte ai singoli;
sia alloccorrenza quelle rivolte ad uno Stato membro.
Come si gi detto per una norma del Trattato che obbliga gli Stati, cos non affatto escluso che
anche lobbligo imposto da una decisione ad uno Stato membro, quando questultimo non vi abbia
correttamente adempiuto, determini in capo ai singoli una situazione giuridica soggettiva da far
valere direttamente davanti al giudice nazionale.
Leffetto diretto delle direttive
Pi complesso il problema delleffetto diretto quando si tratta delle disposizioni di una direttiva,
cui la giurisprudenza ha pure attribuito tale qualit. Se vero che questo atto si rivolge ad uno o pi
Stati membri, imponendo loro 1 risultato da realizzare nelle forme che sceglieranno, vero anche
che nella prassi non mancano direttive che contengono disposizioni con le caratteristiche tipiche
delle norme provviste di effetto diretto, cio precise e non condizionate per la loro applicazione ad
alcun intervento delle autorit nazionali. Lipotesi, per, non va confusa con le direttive c.d.
dettagliate o particolareggiate, che di fatto impongono uno specifico comportamento per realizzare
certi obiettivi. In altri termini, non che 1 direttiva sia provvista di effetto diretto in quanto
dettagliata o particolareggiata, poich a quel fine non rileva il grado di dettaglio, bens che la norma
NON sia condizionata per la sua applicazione ad alcun atto delle autorit nazionali; tant vero che
anche le disposizioni dettagliate di 1 regolamento, ma che non abbiano queste caratteristiche, non
sono provviste delleffetto diretto.
Il problema si pone evidentemente solo per le ipotesi di mancata, non corretta o intempestiva
attuazione di tali direttive, nel termine e con i provvedimenti nazionali prescritti. Infatti, nellipotesi
di attuazione corretta e puntuale, il problema degli eventuali effetti diretti non si pone, dal momento
che i singoli ne saranno comunque investiti attraverso i provvedimenti nazionali di attuazione
(anche se in ogni caso la posizione giuridica dei singoli va gi ancorata alla disposizione
comunitaria, che rappresenta la chiave di interpretazione delle norme nazionali).
In realt, lattribuzione delleffetto diretto a determinate disposizioni contenute in direttive si fonda
sugli stessi argomenti utilizzati con riguardo a norme del Trattato rivolte agli Stati membri, ovvero:
1) un preciso obbligo dello Stato ha come contropartita un diritto del singolo;
2) lart. 288 TFUE (gi art. 249 TCE) non esclude che atti diversi dal regolamento producano
gli stessi effetti;
3) la portata dellobbligazione imposta allo Stato sarebbe ridotta se i singoli non ne potessero
far valere lefficacia e i giudici nazionali non potessero prenderla in considerazione.
Ne consegue che, ancora una volta sulla base del criterio che vuole la sostanza prevalere sulla
forma, occorre esaminare caso per caso se la natura, lo spirito e la lettera della disposizione di cui
trattasi consentano di riconoscerle efficacia immediata nei rapporti fra gli Stati membri e i singoli:
ci vuol dire che anche le disposizioni di una direttiva sono provviste di effetto diretto quando
hanno 1 contenuto precettivo sufficientemente chiaro e preciso, tale da non essere condizionato
allemanazione di atti ulteriori.
Peraltro, non si pu trascurare un elemento che emerge con sufficiente chiarezza dalla prassi e cio
che leffetto diretto, pi che essere costruito come una qualit intrinseca della direttiva, risulta
collegato ad un intento sanzionatorio, qual quello di ovviare alle negligenze e ai ritardi degli Stati
membri nelladempimento degli obblighi loro imposti da una direttiva. In tale prospettiva, leffetto
diretto una vera e propria sanzione per gli Stati inadempienti, attribuendo al giudice nazionale (in
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cooperazione con quello comunitario) il compito di realizzare lo scopo della direttiva in funzione
della tutela delle posizioni giuridiche individuali in ipotesi lese dal comportamento dello Stato.
Le disposizioni provviste di effetto diretto di una direttiva non tempestivamente o non
correttamente trasposta possono essere fatte valere dal singolo SOLO nei confronti dello Stato e non
anche di altri individui. Tale limitazione comunemente definita con lespressione effetto diretto
verticale, che vale a sottolineare linvocabilit della direttiva da parte dei singoli solo nei confronti
dello Stato.
La giurisprudenza della Corte ha invece escluso leffetto diretto orizzontale delle disposizioni di
una direttiva, cio la possibilit per il singolo di far valere la norma anche nei confronti di soggetti
privati, siano essi persone fisiche o giuridiche. Largomento utilizzato dalla giurisprudenza
comunitaria per limitare il riconoscimento delleffetto diretto alla sua SOLA dimensione verticale
fondato sulla formulazione testuale dellart. 288 TFUE, in base alla quale la direttiva vincola solo
lo Stato o gli Stati cui rivolta.
Leffetto diretto verticale in via di principio SOLO unilaterale, nel senso che al singolo che fa
valere il proprio diritto lo Stato non pu opporre la mancata trasposizione della direttiva di cui si
reso inadempiente. Relativamente allipotesi di 1 direttiva che comporti un obbligo per il singolo, lo
Stato non potrebbe farlo valere prima della trasposizione, dato che la direttiva per sua natura non
pu imporre obblighi in capo ai singoli indipendentemente da una legge interna che via abbia dato
corretta e tempestiva attuazione.
Quindi finch una direttiva non sia stata correttamente trasposta nel diritto nazionale lo Stato
membro inadempiente non potrebbe eccepire la tardivit di unazione giudiziaria avviata nei suoi
confronti da un singolo al fine della tutela dei diritti ad esso riconosciuti dalle disposizioni di tale
direttiva. Infatti solo a partire dal momento della sua corretta trasposizione, il singolo sar in grado
di conoscere adeguatamente e con la dovuta certezza la portata dei diritti che gli sono conferiti dalla
direttiva e dunque, in definitiva, nella condizione di poter valutare se ricorrere o meno al giudice.
Ed appunto in questo senso che la Corte si era pronunciata in una 1 occasione, nel caso Emmott.
Infine va ricordato che delleffetto diretto possono essere provviste anche le disposizioni contenute
in accordi stipulati dalla Comunit con Paesi terzi, sempre che, tenuto conto delloggetto e della
natura dellaccordo, dal testo, dalloggetto e dalla natura della disposizione si possa rilevare una
situazione giuridica soggettiva chiara e precisa, senza alcuna subordinazione alladozione di un atto
ulteriore. Lo stesso vale per le decisioni degli organi misti istituiti da tali accordi.
La Corte non ha mai voluto viceversa sottoscrivere la tesi delleffetto diretto delle norme dellOMC
(Organizzazione Mondiale del Commercio). La motivazione incentrata:
sulla natura e la portata dellaccordo, la cui osservanza sarebbe fondata pi sul criterio del
negoziato che non sulla vincolativit delle norme come tali;
daltra parte, lattribuzione delleffetto diretto esclusa in molti Paesi contraenti, con la
conseguenza che mancherebbe la pur necessaria reciprocit;
infine, ed questa la reale motivazione, il controllo giurisdizionale, anche del giudice
comunitario, priverebbe le istituzioni politiche della Comunit del margine di manovra di
cui dispongono le altre parti contraenti.
Anzitutto, la direttiva, se trasposta, un parametro di legittimit dellatto di trasposizione,
utilizzabile anche dal singolo in giudizio. In particolare stato precisato che leffetto utile della
direttiva sarebbe attenuato se al singolo fosse preclusa questa possibilit e al giudice nazionale di
considerarlo quale elemento del diritto comunitario in sede di accertamento del rispetto, da parte del
legislatore nazionale, dei limiti di discrezionalit fissati dalla direttiva. Inoltre, in una controversia
tra singoli relativa ad obblighi contrattuali, il giudice deve disapplicare la normativa nazionale
afflitta da un vizio sostanziale in contrasto con la direttiva.
Quando, viceversa, nonostante il termine di trasposizione sia trascorso, la direttiva non sia stata
trasposta, va detto che essa non potr essere utilizzata in quanto tale dal singolo, se non nei
confronti dello Stato o di un ente pubblico oppure attraverso lespediente, ove possibile, della
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interpretazione conforme. Pertanto in questo contesto si tratta non di 1 parametro di legittimit, ma
di una chiave ermeneutica.
La direttiva non trasposta pu viceversa costituire, in presenza di determinate condizioni ed in
particolare quando non lascia margini di discrezionalit, 1 parametro di legittimit del
comportamento di uno Stato, nonch di una legge o di un atto amministrativo, come tale utilizzabile
dalla Commissione e dalla Corte di giustizia nel contesto di una procedura dinfrazione. Ci va
inteso nel senso pedagogico che lo Stato membro non pu opporre la mancata trasposizione, e
dunque il proprio inadempimento, allaccertamento della violazione di 1 obbligo chiaro, preciso e
incondizionato sancito dalla direttiva a carico dello Stato stesso. La possibile conseguenza
laccertamento, oltre che della mancata trasposizione in spregio allart. 288 TFUE (gi art. 249
TCE), anche dellillegittimit della normativa nazionale rispetto alla normativa comunitaria:
precisamente quella contenuta nella direttiva non trasposta. Pertanto, questa illegittimit mentre non
pu incidere sulla posizione giuridica dei singoli, potr eventualmente costituire il fondamento per
una loro azione di responsabilit patrimoniale nei confronti dello Stato inadempiente.
IMP.: In definitiva, una direttiva, anche se sprovvista di effetto diretto, alla scadenza del termine
stabilito e pur se non trasposta entro tale termine, entra sotto ogni profilo a far parte del diritto
dellUnione e dunque condiziona la normativa nazionale che disciplina la stessa materia. Ne
consegue che, al di l dellillecito costituito dalla mancata trasposizione entro il termine, quella
direttiva costituisce un parametro di legittimit della legge nazionale con essa contrastante,
rilevabile attraverso una procedura di infrazione. Il risultato delleventuale accertamento
dellincompatibilit da parte della Corte di giustizia sar linapplicabilit della legge nazionale da
parte del giudice e dellamministrazione, ove non fosse possibile linterpretazione conforme. Sul
piano interno, il contrasto di una legge nazionale con una direttiva priva di effetto diretto e non
trasposta nei termini stabiliti, potr essere sottoposto alla Corte costituzionale perch verifichi
leventuale violazione dellart. 11 e dellart. 117, 1 comma, Cost.
14. LOBBLIGO DINTERPRETAZIONE CONFORME AL DIRITTO DELLUNIONE
Le questioni sollevate dal mancato riconoscimento delleffetto diretto orizzontale delle direttive
sono state in parte superate dalla giurisprudenza comunitaria sullobbligo dinterpretazione
conforme, che impone a tutti gli organi nazionali, ma soprattutto ai giudici, dinterpretare il proprio
diritto interno in modo per quanto possibile compatibile con le prescrizioni del diritto comunitario.
Di conseguenza, i giudici nazionali, sebbene non possano immediatamente applicare in una
controversia tra privati le disposizioni di una direttiva senza il preventivo filtro dellordinamento
statale, a meno che la direttiva non sia lespressione di 1 principio generale del diritto dellUnione,
devono in ogni caso individuare, tra tutti i significati possibili della norma interna rilevante per il
caso di specie, quello che appaia maggiormente conforme alloggetto e allo scopo della direttiva
disciplinante la materia. Nel far questo, essi devono utilizzare innanzitutto il metodo c.d.
teleologico, che consente di adattare per via ermeneutica il contenuto precettivo della disposizione
interna agli obiettivi prescritti dallordinamento comunitario, nonostante persista leventuale
inadempimento del legislatore nazionale.
In tal modo, si realizza 1 effetto orizzontale indiretto delle direttive, le cui norme vengono
immediatamente applicate dal giudice nazionale ai rapporti tra privati attraverso linterpretazione
conforme del diritto interno, che teleologicamente orientata alla realizzazione dei risultati
prescritta dalla singola direttiva e, + in generale, dallintero ordinamento comunitario.
La Corte ha ampliato la portata dellobbligo di interpretazione conforme, dapprima prescrivendo al
giudice nazionale dinterpretare il proprio diritto in modo conforme a prescindere dal fatto che si
tratti di norme precedenti o successive alla direttiva, per poi dichiarare che detto obbligo riguarda
indistintamente tutto lordinamento interno.
Tuttavia, sono stati individuati opportuni limiti allapplicazione del principio in questione.
Innanzitutto, resta limpossibilit di far derivare un obbligo del singolo dallinterpretazione del
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diritto nazionale in modo conforme ad una direttiva non trasposta; nonch, a maggior ragione, di
determinare o aggravare la responsabilit penale dei singoli che la violano. Inoltre, occorre
considerare gli altri principi generali dellordinamento comunitario, in primis quelli della certezza
del diritto e della non retroattivit, nonch la stessa portata dellobbligo del giudice di
interpretazione conforme, che non pu essere il fondamento di una interpretazione contra legem
delle norme nazionali.
Pertanto quando linterpretazione conforme non sia possibile, rimane aperto il problema delle
direttive prive di effetto diretto e non ancora recepite. Infatti, occorre considerare che la direttiva
non trasposta (oppure recepita in modo non corretto) pur sempre 1 valido atto comunitario, idoneo
a produrre effetti giuridici; dunque potrebbe costituire 1 parametro della compatibilit comunitaria
delle conferenti norme interne. Ci ha trovato una significativa conferma nella giurisprudenza della
Corte di giustizia, da sempre ancorata alla testuale previsione dellart. 288 del TFUE. Invero, questa
norma individua come destinatario della direttiva lo Stato membro unitariamente considerato,
dunque anche i giudici, che nellambito della loro competenza dovrebbero contribuire alla
realizzazione delleffetto utile delle disposizioni contenute in una direttiva non trasposta oppure non
trasposta nei tempi e nei modi voluti dal Trattato. In particolare, la Corte ha correttamente rilevato
che la direttiva, pur se sprovvista di efficacia diretta, allo scadere del termine di recepimento negli
ordinamenti degli Stati membri ha leffetto di far entrare nellambito di applicazione del diritto
dellUnione la normativa nazionale di cui trattasi nella causa principale che affronta una materia
disciplinata dalla stessa direttiva. In definitiva, lalternativa alla disapplicazione della norma
interna incompatibile da parte del giudice nazionale comune , nellordinamento italiano, il rinvio
alla Corte costituzionale, in quanto il contrasto tra la norma interna e la norma comunitaria
sprovvista di effetto diretto, insanabile in via interpretativa, costruito come una questione di
legittimit costituzionale.
Resta in ogni caso inalterato il diritto del singolo ad ottenere il risarcimento del danno, derivante
dalla violazione del diritto comunitario da parte dello Stato, nel caso in cui il risultato prescritto
dalla direttiva non sia stato o non possa essere conseguito con mezzi giudiziari e sussistano le
ulteriori condizioni per lesercizio del diritto.
Quanto, invece, ai limiti temporali, la giurisprudenza comunitaria appare orientata nel ritenere che
lobbligo di interpretazione conforme vincoli i giudici nazionali SOLO dopo la scadenza del
termine di recepimento previsto dalla direttiva; ci nonostante, pur in pendenza di questo termine,
essi devono evitare di fornire interpretazioni del proprio diritto interno tali da pregiudicare
gravemente il risultato imposto dalla direttiva e il suo effetto utile.
Lobbligo di interpretazione conforme o adeguatrice ha nel tempo acquisito spazi di applicazione
sempre pi ampi.
15. IL PRIMATO DEL DIRITTO DELLUE SUL DIRITTO INTERNO
Lelemento delleffetto diretto si collega strettamente e necessariamente ad unaltra qualit delle
norme comunitarie, che viene in rilievo nella relazione con gli ordinamenti giuridici nazionali e che
rappresenta uno dei principi fondamentali del diritto internazionale generale: il primato o la
prevalenza o la preminenza sulle norme interne con esse contrastanti, sia precedenti che successive
e quale ne sia il rango, alloccorrenza anche costituzionale. La conseguenza pratica della prevalenza
della norma comunitaria che la norma interna contrastante con quella comunitaria non pu essere
applicata; o meglio deve essere disapplicata, di modo che il rapporto in questione resta disciplinato
dalla sola norma comunitaria. costante laffermazione della giurisprudenza che il giudice
nazionale ha lobbligo di applicare integralmente il diritto comunitario e di dare al singolo la tutela
che quel diritto gli attribuisce, disapplicando di conseguenza la norma interna confliggente, sia
anteriore che successiva a quella comunitaria. La giurisprudenza comunitaria pi recente ha anche
affermato lobbligo dellamministrazione (ove consentito dallordinamento processuale nazionale
per le questioni interne) di non dare seguito ad un atto amministrativo la cui legittimit era stata
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riconosciuta con sentenza passata in giudicato, ma la cui incompatibilit comunitaria era stata
successivamente stabilita dalla Corte di giustizia ad esito di un rinvio pregiudiziale. Infatti il
principio della preminenza del diritto comunitario impone non solo al giudice ma allo Stato membro
nel suo insieme, dunque a tutte le sue articolazioni, in particolare le amministrazioni, di dare pieno
effetto alla norma comunitaria e, in caso di conflitto di una norma nazionale con una norma
comunitaria provvista di effetto diretto, di disapplicarla.
La Corte di giustizia pervenuta molto presto allaffermazione della prevalenza delle norme
comunitarie sulle norme nazionali, come riconoscimento complementare a quello relativo alleffetto
diretto. Non altrettanto si pu dire di alcune giurisdizioni nazionali: il caso, in particolare, della
Corte costituzionale Italiana.
Anzitutto, lipotesi che la norma comunitaria sia posteriore a quella nazionale va distinta
dallipotesi opposta:
Se la norma comunitaria posteriore a quella nazionale il principio che da sempre
disciplina la successione del tempo, lex posterior derogat priori, gi risolve il problema. Ed
infatti, la norma nazionale che confliggesse con una norma comunitaria successiva, da
sempre considerata almeno superata o alloccorrenza abrogata, in ogni caso non + idonea a
regolare la fattispecie;
Se la norma nazionale confliggente successiva a quella comunitaria sorgevano dei
problemi, in quanto il principio lex posterior derogat priori valeva in questo caso a favore
della norma nazionale. Ci si spiega con la circostanza che il rango assegnato in origine alla
norma comunitaria era quello della legge ordinaria, tale essendo la legge di adattamento al
Trattato con la quale in Italia si dato accesso anche a tutto il diritto comunitario derivato.
Al riguardo possiamo ricordare il fatto che nei primi anni 60, la legge italiana di nazionalizzazione
dellenergia elettrica fu contestata davanti al giudice conciliatore di Milano sotto il duplice profilo
dellincompatibilit con la Costituzione e con il diritto comunitario: di qui il rinvio pregiudiziale al
giudice costituzionale prima e alla Corte di giustizia poi.
La Corte costituzionale, sul rilievo che il rapporto era tra 1 legge ordinaria e 1 legge, quella di
adattamento al Trattato, avente lo stesso rango, afferm che andava applicato il principio vigente in
materia di successione delle leggi nel tempo e che pertanto la sintonia della legge di
nazionalizzazione con il Trattato non andava neppure verificata, dovendosi essa comunque
applicare in quanto successiva.
Investita a sua volta del problema, la Corte di giustizia nella sentenza Costa ha enunciato 1
posizione antitetica. Ribadendo i principi e la prospettiva gi affermati nella pronuncia Van Gend en
Loos, in particolare che il Trattato ha istituito un ordinamento giuridico proprio, integrato con quelli
nazionali, il giudice comunitario ne ha dedotto che gli Stati membri non potrebbero opporre al
Trattato leggi interne successive, senza con questo far venir meno la necessaria uniformit ed
efficacia del diritto comunitario in tutta la Comunit, nonch il senso della portata e degli effetti
attribuiti dallart. 288 TFUE al regolamento. Dunque se ne tratta la conseguenza che una
normativa nazionale incompatibile con il diritto comunitario del tutto priva di efficacia anche se
successiva; il diritto comunitario prevale in virt di una forza propria, secondo una visione monista
del rapporto tra norme comunitarie e diritto interno.
Dunque il contrasto tra Corte costituzionale e Corte di giustizia era in origine netto. In seguito, la
Corte costituzionale italiana si progressivamente avvicinata al risultato affermato e costantemente
sostenuto dalla Corte di giustizia: quello delleffetto diretto e del primato come elementi intrinseci
alle norme comunitarie, in quanto necessari a soddisfare lesigenza fondamentale di uniformit di
applicazione e di efficacia allinterno della Comunit.
Infatti, se nella sentenza Costa la Corte costituzionale aveva perentoriamente affermato la
prevalenza della legge nazionale in quanto successiva, dopo 10 anni, con le sentenze Frontini e
Industrie Chimiche, pervenne ad un parziale adattamento alle ragioni del diritto comunitario.
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


Nella sentenza Frontini, la Corte, sviluppando unaffermazione sulla separazione tra i 2 ordinamenti
contenuta gi in una sentenza del 1965, riconosceva che ordinamento nazionale e ordinamento
comunitario sono autonomi e distinti, pur se coordinati attraverso una precisa articolazione di
competenze. Ne consegue che, dove c competenza comunitaria in base al Trattato, lo Stato deve
astenersi dal pregiudicare limmediata applicazione dei regolamenti, ad es. con ladozione di misure
interne anche solo riproduttive o di recezione. Inoltre la Corte costituzionale riconosceva la
peculiarit del fenomeno comunitario e soprattutto che i regolamenti sono immediatamente
vincolanti per gli Stati e per i loro cittadini, senza la necessit di norme interne di adattamento o di
recezione.
Nella successiva sentenza Industrie Chimiche, il giudice costituzionale affront specificamente il
problema del conflitto tra 1 regolamento comunitario e 1 legge interna ad esso posteriore.
Considerandolo come 1 problema di pertinenza del legislatore rispetto a materie occupate anche
da norme comunitarie, la Corte costituzionale ne trasse la conseguenza che il conflitto potesse
essere risolto attraverso 1 giudizio di legittimit costituzionale. Dunque, il giudice nazionale, di
fronte ad un conflitto tra norma comunitaria e norma nazionale posteriore, che si configurava come
conflitto di costituzionalit tra la legge di adattamento dei trattati e la norma costituzionale di
copertura (cio lart. 11 Cost.), doveva sottoporlo allapprezzamento di legittimit della Corte
costituzionale; non avrebbe potuto, viceversa, egli stesso disapplicare la norma interna posteriore
sul presupposto della prevalenza del diritto comunitario.
ben noto che questa soluzione affermata dalla Corte costituzionale non ebbe molti consensi, n
dalla giurisprudenza nazionale n dalla dottrina. Le critiche riguardavano sia la insoddisfacente
tutela dei singoli, sia lappesantimento di tempi e procedure; e indicavano la maggiore praticit, in
definitiva, della strada della non applicazione gi da parte del giudice ordinario della norma
nazionale incompatibile.
La reazione decisiva venne dalla Corte di giustizia nella ben nota sentenza Simmenthal. Un giudice
italiano chiedeva in via pregiudiziale alla Corte se lobbligo di attivare previamente il giudizio di
costituzionalit perch potesse essere disapplicata la norma nazionale contrastante con il diritto
comunitario non fosse a sua volta incompatibile con il diritto comunitario, in particolare con
lesigenza di dare applicazione immediata e uniforme in tutti i Paesi membri alle norme
comunitarie, anche a tutela delle posizioni giuridiche soggettive create in capo ai singoli. Il punto
focale del problema era nella circostanza che al giudice era preclusa dal suo diritto nazionale (come
espressamente interpretato dalla Corte costituzionale) la non applicazione della norma interna
(posteriore) contrastante con quella comunitaria.
La Corte di giustizia forn una risposta molto chiara al quesito del giudice italiano. In particolare,
afferm:
che leffetto diretto e il primato delle norme comunitarie impongono che sia data loro
applicazione immediata;
che le norme interne successive incompatibili non si formano validamente;
che lefficacia del sistema di controllo giurisdizionale sul rispetto del diritto comunitario,
fondato sulla cooperazione tra giudice comunitario e giudice nazionale, verrebbe ridotta se
questultimo non avesse il diritto di fare immediata applicazione delle norme comunitarie;
e che dunque incompatibile una norma o una prassi nazionale che non consentisse al
giudice di non applicare subito la norma contrastante con il diritto comunitario e lo
costringesse ad attenderne la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro
procedimento costituzionale, cos come invece preteso, nella pronuncia Industrie Chimiche
dalla nostra Corte costituzionale.
La nostra Corte Costituzionale stata dunque chiamata a rimediare sulla posizione espressa nella
sua giurisprudenza precedente. Lo ha fatto nella sentenza Granital (n. 170 del 1984).

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[Digitare il titolo del documento] ed.)


Il punto di partenza stato ancora una volta che i 2 ordinamenti sono distinti e autonomi anche se
coordinati, in quanto in forza dellart. 11 Cost. sono state trasferite alle istituzioni comunitarie le
competenze relative a determinate materie.
Lautonomia tra i 2 ordinamenti e lattribuzione a livello costituzionale di determinate competenze
normative allUnione (art. 11 Cost.) comporta che:
latto normativo posto in essere nellesercizio di quelle competenze e che abbia il requisito
della diretta efficacia impedisce alla norma interna eventualmente contrastante (non
importa se interiore o successiva) di venire in rilievo ai fini della disciplina del rapporto;
ne consegue che il contrasto tra le 2 norme, fa s che la norma interna non sia suscettibile di
annullamento, ma sia semplicemente inapplicabile al rapporto controverso.
La 1 conseguenza che, alla stregua della sentenza Granital, non ponendosi una questione di
costituzionalit ma di irrilevanza della norma interna, la norma comunitaria provvista di effetto
diretto va applicata direttamente dal giudice comune in luogo della norma nazionale confliggente, in
quanto la norma comunitaria che disciplina la fattispecie: ad essa sono attribuiti forza e valore
di legge, solo e propriamente nel senso che ad esso si riconosce lefficacia di cui provvisto
nellordinamento di origine (punto 4). Pertanto, in termini processuali, leffetto diretto della norma
comunitaria rende inammissibile la questione di legittimit costituzionale della norma nazionale
confliggente.
La 2 conseguenza che il potere del giudice comune di non applicare la norma interna opera
SOLO nellipotesi che la competenza normativa attribuita alla Comunit sia stata esercitata con 1
atto compiuto e immediatamente applicabile dal giudice interno. Viceversa, quando si tratta di
norma priva di efficacia diretta, la norma nazionale viene in rilievo per la disciplina del rapporto ed
sottoposta al controllo di costituzionalit.
La Corte Costituzionale ha lasciato, tuttavia, che non si sottraggano alla sua verifica 2 ipotesi, e
precisamente:
1. quella di un eventuale conflitto della norma comunitaria con i principi fondamentali del
nostro ordinamento costituzionale e con i diritti inalienabili della persona umana;
2. e quella di norme interne che si assumano dirette ad impedire o pregiudicare la perdurante
osservanza del Trattato o il nucleo essenziale dei suoi principi.
il caso di rilevare che nel giudizio principale la Corte costituzionale, in assenza del giudice a quo,
chiamata direttamente a risolvere il contrasto tra norma nazionale e norma comunitaria,
indipendentemente dallefficacia della seconda, se diretta o meno; e che pertanto lesito del
contrasto non potr essere la disapplicazione della norma interna, ma il suo annullamento.
In una successiva occasione di giudizio in via principale tra lo Stato ed una Regione, la Corte
costituzionale ha sul punto precisato che, nellipotesi di contrasto con una norma comunitaria
provvista di effetto diretto, la soluzione dellinammissibilit, pur se in astratto possibile in quanto
anche lamministrazione tenuta alla disapplicazione della norma nazionale in contrasto con quella
comunitaria, potrebbe generare gravi incertezze applicative e dunque una evidente lesione del
principio della certezza e della chiarezza normativa.
La sentenza Granital ha rappresentato una svolta nella riflessione sul complesso rapporto tra norme
interne e norme comunitarie, nella misura in cui ha inteso sintonizzare tra loro le prospettive del
giudice comunitario e di quello nazionale. Qualche divergenza di fondo rimasta, ma la prevalenza
del diritto comunitario (e immediatamente quella delle norme provviste di effetto diretto) stata
affermata in modo chiaro, invocando proprio quelle esigenze che + volte la Corte di giustizia aveva
sottolineato: in particolare, lesigenza di uniforme applicazione del diritto comunitario in tutti i
Paesi dellUnione, fin dal momento della sua entrata in vigore.
La posizione della Corte Costituzionale italiana sul tema dellambito di efficacia del diritto
comunitario allinterno del nostro ordinamento stata ulteriormente sviluppata e precisata in
successive pronunce, e precisamente:
1) si rilevato il ruolo della Corte di giustizia nellinterpretazione e nellapplicazione del
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


diritto comunitario. In altri termini, si rilevata limmediata applicabilit, in luogo delle
norme nazionali confliggenti, delle norme comunitarie cos come interpretate nelle sentenze
della Corte pronunciate a seguito di rinvio pregiudiziale, nonch allesito di una procedura
dinfrazione;
2) stata poi riconosciuta lefficacia e lapplicabilit immediata, e di conseguenza la
preminenza in caso di conflitto, di quelle disposizioni di direttive che rispondano ai requisiti
individuati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia ai fini dellattribuzione delleffetto
diretto alle norme comunitarie, indipendentemente dalla qualificazione formale dellatto.
3) Inoltre, sul presupposto che la partecipazione dellItalia al processo di integrazione europea
e gli impegni che ne derivano devono coordinarsi con la propria struttura costituzionale,
la Corte ha confermato la possibilit che norme comunitarie determinino deroghe al riparto
di competenze tra Stato e Regioni, se esplicite e se imposte da esigenze organizzative
dellUnione.
Infine resta da ricordare la giurisprudenza della Corte costituzionale che ha limitato lammissibilit
del referendum abrogativo delle norme che si collegano ad impegni comunitari, escludendola prima
in relazione alla legge di adattamento e poi anche in relazione a tutte quelle leggi che, direttamente
o indirettamente, segnano ladempimento del Paese ad obblighi comunitari o semplicemente
entrano nella sfera di applicazione del diritto comunitario. questo il caso, ad es., delle pronunce di
inammissibilit del referendum sullingresso degli extracomunitari e di quelli sul lavoro a tempo
indeterminato e a tempo parziale.
Quanto alla Corte di giustizia, la sua posizione stata riaffermata in numerose occasioni. Tra quelle
+ significative va annoverata sicuramente la sentenza Factortame, che riproponeva il quesito (gi
risolto nella pronuncia Simmenthal) se, in assenza di un potere del giudice nazionale di dare
applicazione immediata al diritto comunitario, tale potere debba poter essere esercitato in forza
dello stesso diritto comunitario. Nella specie, si trattava del potere di sospendere in via cautelare
lapplicazione di 1 legge inglese che precludeva liscrizione nel registro navale a soggetti privi di
determinati requisiti di nazionalit e residenza, potere che un solido principio del diritto interno
negava al giudice finch il contrasto tra legge interna e norma comunitaria fosse solo sospettato ma
non ancora accertato. La Corte ha puntualmente affermato che 1 norma interna che sia di ostacolo
alla protezione giurisdizionale effettiva (e dunque immediata) di un diritto che in singolo vanta in
forza del diritto comunitario deve essere disapplicata dal giudice nazionale; n ha importanza che la
norma interna incompatibile sia anteriore o posteriore a quella comunitaria.
Negli ultimi anni, la Corte si + volte occupata del rapporto tra il diritto dellUnione e le sentenze
nazionali, con esso contrastanti, passate in giudicato; e pertanto a dover operare un bilanciamento
tra certezza del diritto e del primato del diritto comunitario. La sentenza Kuhne, nel pieno rispetto
dellautonomia delle norme processuali nazionali, si limitata a ribadire il principio di equivalenza
ed effettivit dei rimedi giurisdizionali interni, che gli Stati membri devono utilizzare anche quando
si tratta di violazioni del diritto comunitario. In quel caso, pertanto, solo se vi fosse stato un
rimedio, in base al diritto nazionale (nella specie olandese), per rimettere in discussione un atto
amministrativo confermato da un giudicato, tale rimedio doveva poter essere attivato anche in caso
di successivo accertamento del contrasto dellatto con il diritto comunitario. Nessun timore, in
definitiva, di deviazione dal principio del giudicato se ci non sia previsto dal diritto nazionale.
Lo stesso si deve dire del caso Lucchini, nel quale la Corte di giustizia si limitata, invero senza
alternative ragionevoli, a far prevalere un atto comunitario divenuto definitivo e provvisto di effetto
diretto su un successivo giudicato nazionale, peraltro nel merito a dir poco inquietante. Il tema
giusti era il primato, pertanto, esattamente individuato dal Consiglio di Stato nellordinanza di
rinvio pregiudiziale; e su quel piano la Corte non aveva alternativa allaffermazione del primato del
giudicato comunitario su quello nazionale.
16. RILIEVI SULLA NATURA DEL RAPPORTO TRA DIRITTO COMUNITARIO E
DIRITTO ITALIANO
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


Raggiunto il risultato pratico di far prevalere la norma comunitaria sulla norma nazionale
incompatibile, resta la divergenza di fondo sulla ricostruzione della natura del rapporto tra diritto
comunitario e diritto interno. Tale divergenza in definitiva una specificazione di quella tra
monismo e dualismo in ordine al rapporto tra diritto internazionale e diritto interno.
Va anzitutto considerato che lUE (e gi la Comunit) ha degli aspetti di tale originalit da
costringere spesso ad un uso diverso di alcune categorie giuridiche tradizionali. Lapproccio al
rapporto tra sistema giuridico dellUnione e sistemi nazionali, pertanto, non pu che essere diverso
rispetto al altri fenomeni di cooperazione organizzata tra Stati sovrani.
Fatta questa doverosa premessa metodologica, va anche chiarito che malgrado la diversit del
fenomeno comunitario:
la dimensione internazionale resta ancora un dato ineliminabile;
sono sempre gli strumenti del negoziato e dellaccordo internazionale a segnare le tappe
fondamentali nella ripartizione delle competenze tra Stati e istituzioni dellUnione;
ancora per mezzo degli strumenti costituzionali di adattamento e di attuazione degli Stati
membri, per quanto rapidi e automatici, che viene instaurato e regolato il rapporto tra il
diritto dellUnione e il diritto interno.
escluso, invece, che una volta attribuita una competenza allUnione, gli Stati membri ne possano
verificare il corretto esercizio al di fuori dei meccanismi da essi alluopo predisposti nei Trattati.
In definitiva, la ricostruzione dellefficacia del diritto dellUnione allinterno degli ordinamenti
giuridici nazionali come il frutto di una forza propria del diritto comunitario stesso almeno
opinabile sul piano della teoria giuridica generale. Peraltro, non una rappresentazione necessaria.
Invero, che la norma comunitaria produca i suoi effetti in virt di una forza propria oppure perch
tale forza lhanno ad essa conferita e la continuano a conferire in permanenza determinate norme o
meccanismi di adattamento nazionali, non fa molta differenza. Limportante che quella norma
produca i suoi effetti nel modo e nei tempi da essa voluti, senza che luno e gli altri siano di volta in
volta condizionati ad un ulteriore formale intervento di questo o quellaltro organo interno, se non
quando la stessa norma comunitaria lo richiesta.
In tal modo:
la norma provvista di effetto diretto deve produrre e produce i suoi effetti, anche in capo ai
singoli, fin dal momento della sua piena vigenza e senza che norme o procedimenti
nazionali possano frapporvi ostacoli;
la norma sprovvista di effetto diretto, viceversa, impone essa stessa agli Stati membri di
creare, modificare o abrogare le norme interne, secondo le necessit richieste per la sua
osservanza. In difetto, vi sar una violazione di obblighi da parte dello Stato, non certo la
nullit della norma nazionale contrastante.
Il sistema comunitario, daltra parte, prevede:
sia la non applicazione della norma interna contraria a quella comunitaria provvista di
effetto diretto;
sia lobbligo dello Stato di prendere le misure necessarie, quando la norma comunitaria non
sia provvista delleffetto diretto.
La stessa Corte di giustizia, peraltro, ha precisato, sia pure con motivazione rapida, che dalla
giurisprudenza Simmenthal non consentito dedurre linesistenza della norma nazionale posteriore
incompatibile con il diritto comunitario; ma che viceversa il giudice nazionale tenuto a
disapplicarla.
Se questa la realt, allora non c spazio, per una qualificazione in chiave di forza propria del
diritto comunitario con riguardo ai rapporti con il diritto interno e sotto il profilo strettamente
normativo; qualificazione che mal si concilia almeno con questi elementi:
qualunque integrazione e/o modificazione dei Trattati richiede normali procedure
costituzionali di ratifica e di adattamento da parte degli Stati membri;
60

[Digitare il titolo del documento] ed.)


le competenze comunitarie sono quelle attribuite dagli Stati membri con i Trattati e le
successive modificazioni e integrazioni e non altre, cos come le modalit e gli effetti del
loro esercizio, ivi compreso leffetto diretto di alcuni atti ed in presenza di certe condizioni;
analogamente, la giurisprudenza al riguardo il risultato dellattribuzione alla Corte di
giustizia, con lart. 19 TUE, del compito di assicurare il rispetto del diritto
nellinterpretazione e nellapplicazione dei trattati, secondo le competenze specifiche e le
procedure prefigurate dalle conferenti disposizioni degli stessi Trattati;
loperativit delle norme comunitarie sprovviste di effetto diretto condizionata nei tempi e
nei modi dai meccanismi di adeguamento, trasposizione ed attuazione predisposti dai sistemi
costituzionali interni;
la norma interna in contrasto con una norma comunitaria non , n potrebbe o dovrebbe
essere, nulla, ma deve, quando sia necessario, essere semmai abrogata o modificata o
sostituita dagli Stati; la non applicazione o disapplicazione unaltra cosa e comunque
rileva solo in caso di contrasto con una norma comunitaria provvista delleffetto diretto,
mentre nel caso di contrasto con una norma comunitaria priva di effetto diretto la regola
nazionale serba intatto il proprio valore e spiega la sua efficacia, tanto da poter essere
rimossa alloccorrenza attraverso un procedimento di controllo di legittimit costituzionale.
Relativamente, poi, al fondamento giuridico del primato delle norme dellUE sulle norme nazionali,
la Corte costituzionale lo ha individuato nellart. 11 Cost., fin dalle sentenze Frontini e Industrie
Chimiche degli anni 70. Lo stesso fondamento riguarda il rapporto con le norme dellUnione in
generale, non importa se provviste o meno di effetto diretto: la sentenza Granital ha solo indicato
un diverso percorso per laccertamento del contrasto tra norma interna e norma dellUnione:
giudice comune o giudice costituzionale;
e un conseguente diverso rimedio per la sua rimozione: disapplicazione o annullamento.
Resta, invece, inalterato il rapporto con le norme internazionali convenzionali, da sempre ritenuto
estraneo allart. 10, 1 comma, e pertanto privo di unespressa collocazione nella Carta.
Il nuovo articolo 117 Cost.
Con la riforma del titolo V della Parte II della nostra Costituzione non mutato nella sostanza il
quadro dei rapporti del nostro ordinamento con il diritto dellUE. In particolare, il nuovo art. 117, 1
comma, della Costituzione sancisce il principio che la potest legislativa esercitata dallo Stato e
dalle Regioni nel rispetto:
della Costituzione,
nonch dei vincoli derivanti dallordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Allart. 11 si aggiunta la formulazione espressa, nellart. 117, dellobbligo di rispettare i vincoli
posti dallordinamento comunitario. Ci comporta un riconoscimento esplicito del primato delle
norme comunitarie, ma rileva a stretto rigore soltanto per le norme sprovviste di effetto diretto,
rispetto alle quali la norma nazionale contrastante conserva la sua rilevanza e dunque sottoposta
allo scrutinio di costituzionalit: ieri, rispetto al parametro dellart. 11, oggi anche rispetto al
parametro dellart. 117, 1 comma, Cost.
In definitiva, lart. 117, 1 comma, Cost. non ha avuto leffetto di rendere superfluo lart. 11, che
anzi resta il sicuro fondamento del rapporto tra diritto interno e diritto dellUE. Per converso,
lart. 117, 1 comma, ha colmato la lacuna relativamente alle norme internazionali convenzionali,
sancendone espressamente il primato sulle norme interne, anche successive.
N risulta modificato il rapporto tra norme comunitarie e norme costituzionali, rispetto al quale il
principio della prevalenza della norma dellUnione incontra il solo limite dei principi strutturali del
nostro sistema e dei diritti fondamentali della persona, limita di fatto ad oggi rimasto sulla carta,
risolvendosi in una ipotesi di scuola. In proposito, va anche considerato che la novit dellart. 117,
1 comma, se riferita in tutto o in parte (norme prive di effetto diretto) al diritto dellUnione ad
61

[Digitare il titolo del documento] ed.)


esclusione dellart. 11, potrebbe portare a ritenere che il confronto sarebbe non + limitato ai principi
strutturali dellordinamento e ai diritti fondamentali, ma a tutte le norme conferenti della
Costituzione, al pari di quanto si ritiene generalmente per le norme internazionali convenzionali; ci
che prima della novella costituzionale e sul presupposto che la copertura costituzionale del rapporto
con il diritto comunitario fosse lart. 11, non era stato neppure ipotizzato.
Infine merita qualche cenno il rapporto tra sistema giuridico dellUnione e articolazione regionale
dello Stato.
Anzitutto, continua ad essere alquanto rara lipotesi che una norma comunitaria incida sul riparto di
attribuzioni tra Stato e Regioni, che pure la nostra Corte costituzionale ha escluso dalla riserva dei
principi strutturali del nostro sistema costituzionale. Inoltre:
mentre rientrano nella competenza esclusiva dello Stato la politica estera, dei rapporti
internazionali e dei rapporti dello Stato con lUE (art. 117, 2 comma, lett. a, Cost.);
viceversa materia di legislazione concorrente quella dei rapporti internazionali e con lUE
delle Regioni (art. 117, 2 comma, Cost.).
In relazione alla vicenda comunitaria, si pu anzitutto rilevare che, in base allart. 117, norma sul
riparto interno di attribuzioni, le Regioni e le Province autonome, nelle materie di loro competenza,
partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi dellUnione e provvedono
allattuazione e allesecuzione degli accordi internazionali e degli atti dellUnione secondo le regole
stabilite dalla legge dello Stato. evidente che tale disposizione:
non solo conferma la potest regionale di attuazione delle direttive comunitarie;
ma conferma la tendenza ad attribuire alle Regioni un ruolo sempre maggiore rispetto al
passato nel rapporto con lUE.
Ci implica che anche sul versante dellosservanza degli obblighi comunitari le Regioni abbiano
oggi una responsabilit pi evidente e sia pure limitata dal contesto normativo nazionale sul
riparto di attribuzioni.
Sul versante comunitario, poi, nulla risulta ad oggi mutato nellapproccio alle articolazioni interne
degli Stati membri, in particolare quanto alle competenze legislative che direttamente o
indirettamente incidono sullattuazione delle norme comunitarie. Linterlocutore delle istituzioni
comunitarie lo Stato membro nella sua unit, sua la responsabilit della puntuale e corretta
osservanza degli obblighi sanciti dal Trattato o da atti vincolanti delle istituzioni. La conseguenza
che la violazione da parte delle Regioni o di altri enti locali di norme comunitarie resta imputabile
allo Stato e questi soltanto ne risponder alla Comunit. In definitiva, per il sistema comunitario,
larticolazione delle competenze allinterno di uno Stato membro, anche di competenze esterne,
di sicuro nella piena libert dello stesso Stato membro; al quale, tuttavia, non consentito di
invocare tale libert per giustificare un non corretto o un non puntuale adempimento degli obblighi
comunitari.

CAPITOLO 3
LA TUTELA GIURISDIZIONALE
1. LA TUTELA GIURISDIZIONALE NEL SISTEMA DELLUNIONE
La complessit del sistema giuridico dellUE ed in particolare lorigine diversa (internazionale,
comunitaria, nazionale) delle norme giuridiche che lo compongono, richiedeva uno sforzo di
sapiente ingegneria giuridica per gestire nel migliore dei modi la relazione tra quelle norme in
funzione della corretta disciplina dei rapporti giuridici rilevanti. Ed infatti la specificit del sistema
dellUnione rispetto ad altre esperienze di cooperazione organizzata tra Stati risiede nel
meccanismo di tutela giurisdizionale che stato realizzato per gestire il rapporto tra norme e
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


ordinamenti di natura e origine diversa.
Si tratta, infatti, di un meccanismo di tutela che non ha precedenti in altre esperienze:
sia sotto il profilo funzionale e dellarticolazione del sistema complessivamente
considerato;
sia sotto il profilo degli effetti che il suo funzionamento produce sulla posizione giuridica
soggettiva dei destinatari del sistema stesso: le istituzioni dellUnione, gli Stati membri e i
singoli, persone fisiche o giuridiche.
Non a caso il sistema di controllo giurisdizionale stato lelemento fondamentale di quel modo di
essere della Comunit europea che stato rappresentato con lespressione Comunit di diritto.
Questa espressione vuole sostanzialmente ammonire che al controllo giurisdizionale sul
funzionamento del sistema nel suo insieme, non devono e non possono sottrarsi n le istituzioni, n
gli Stati membri, n i singoli. Alla realizzazione di questo risultato ha contribuito non poco il
giudice dellUE, che ha utilizzato fino in fondo le potenzialit dei Trattati e soprattutto ha garantito
con forza e attenzione sempre maggiori la puntuale tutela delle posizioni giuridiche su cui incide il
diritto comunitario o che sono da esso create, in particolare le posizioni giuridiche soggettive del
singolo; e ci indipendentemente da una sintonia con il diritto nazionale, anzi talvolta indicando
espressamente i mezzi di tutela adeguati quando il sistema nazionale non li prevedesse.
Al riguardo viene in rilievo il ruolo che la Corte di giustizia, anche in cooperazione con il giudice
nazionale, ha svolto:
da un lato, nella puntualizzazione di diritti e obblighi facenti capo agli Stati membri, alle
istituzioni dellUnione e ai singoli;
dallaltro lato, nel perfezionamento dei meccanismi posti a tutela di quei diritti e a verifica
del puntuale adempimento di quegli obblighi.
In definitiva, il sistema di tutela giurisdizionale risulta essere il vero e generale strumento per
rendere effettivo il sistema giuridico nel suo complesso e per realizzare la Comunit di diritto. Ed in
proposito significativo che il Trattato di Lisbona abbia richiamato espressamente il principio della
tutela giurisdizionale effettiva, ribadendo lobbligo degli Stati membri di stabilire i rimedi necessari
per assicurarne losservanza (art. 19, 2 comma, TUE).
Il Trattato di Lisbona, invero, ha mantenuto inalterato il previgente sistema giurisdizionale
comunitario, estendendolo anche al settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia
penale, con la sola differenza che, dal punto di vista terminologico, non si parla + di tutela
giurisdizionale comunitaria, ma dellUnione.
Tale sistema di tutela giurisdizionale si articola su 2 piani procedurali distinti, ma funzionalmente
collegati, e precisamente:
1. il 1 quello del controllo diretto della Corte di Giustizia e/o del Tribunale, ai quali si
affiancano i c.d. tribunali specializzati; controllo che, attivato dalle istituzioni, dagli Stati
membri oppure dai singoli, si esaurisce con la pronuncia del giudice dellUnione;
2. il 2 quello della procedura pregiudiziale, fondata sulla cooperazione tra giudice nazionale
e giudice dellUnione, attraverso il rinvio pregiudiziale dal primo al secondo, che si risolve
in un controllo indiretto della Corte di Giustizia, spettando al giudice nazionale la
decisione della causa.
N.B.: il caso di aggiungere che lart. 256 TFUE prevede che tale competenza si possa
attribuire anche al Tribunale in materie specifiche, determinate dallo Statuto della Corte di
giustizia. Al momento, rimane per inalterata la competenza esclusiva della Corte in materia
pregiudiziale e nessuna iniziativa stata presa per dare concreta attuazione a quanto gi
prefigurato dal Trattato di Nizza.
Inoltre sotto il profilo funzionale, il sistema di controllo giurisdizionale investe:
da una parte la legittimit degli atti dellUnione;
e dallaltra parte la compatibilit di norme (leggi, alloccorrenza norme costituzionali,
atti amministrativi) e prassi nazionali con il diritto dellUnione.
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


2. IL CONTROLLO DIRETTO SULLA LEGITTIMIT DI ATTI E COMPORTAMENTI
DELLE ISTITUZIONI DELLUNIONE. LAZIONE DI ANNULLAMENTO
Il controllo giurisdizionale diretto sulla legittimit degli atti dellUnione attribuito alla competenza
esclusiva della Corte di giustizia dellUE, la quale comprende:
1. la Corte di giustizia;
2. il Tribunale;
3. e i tribunali specializzati.
Il controllo si realizza attraverso + procedure e con effetti diversi, ovvero:
lazione di annullamento;
lazione in carenza;
leccezione incidentale dinvalidit;
lazione di danni da responsabilit extracontrattuale dellUnione;
il contenzioso in materia di personale.
Il Tribunale competente a conoscere dei ricorsi individuali, dei ricorsi diretti presentati dagli Stati
membri, ad eccezione di quelli che saranno attribuiti ai tribunali specializzati e di quelli ancora
riservati dallo Statuto alla Corte di giustizia, e dei ricorsi proposti contro le decisioni dei tribunali
specializzati (art. 256 TFUE).
In conformit a queste previsioni introdotte dal Trattato di Nizza (e successivamente confermate dal
Trattato di Lisbona), lart. 51 dello Statuto ha devoluto alla cognizione della Corte di giustizia
soltanto i ricorsi di annullamento e in carenza promossi dalle istituzioni o dagli Stati membri contro
gli atti o le inattivit del PE e/o del Consiglio (ad eccezione di quelli in materia di aiuti di Stato, di
dumping e di competenze di esecuzione), nonch contro gli atti e le inattivit della Commissione in
tema di cooperazioni rafforzate (art. 311, par. 1, TFUE).
In sostanza, il Tribunale ora competente a conoscere:
1) dei ricorsi diretti proposti dalle persone fisiche o giuridiche;
2) dei ricorsi proposti dagli Stati membri contro la Commissione (esclusi quelli di cui allart.
311, par. 1, TFUE);
3) dei ricorsi proposti dagli Stati membri contro il Consiglio in relazione agli atti adottati
nellambito degli aiuti di Stato, alle misure di difesa commerciale (dumping) e agli atti
mediante i quali il Consiglio esercita competenze desecuzione;
4) dei ricorsi diretti ad ottenere il risarcimento dei danni causati dalle istituzioni dellUE o dai
loro dipendenti;
5) dei ricorsi fondati su contratti stipulati dallUE, che prevedono espressamente la competenza
del Tribunale;
6) dei ricorsi in materia di marchio comunitario;
7) delle impugnazioni, limitate alle questioni di diritto, contro le decisioni dei tribunali
specializzati;
8) dei ricorsi diretti contro le decisioni dellUfficio comunitario delle variet vegetali e contro
quelle dellAgenzia europea per i prodotti chimici.
Le sentenze e le ordinanze del Tribunale sono impugnabili davanti alla Corte di giustizia per i SOLI
motivi di diritto. I tribunali specializzati affiancati al Tribunale sono incaricati di conoscere in 1
grado di alcune categorie di ricorsi proposti in materie specifiche, anche se al momento stato
istituito soltanto il Tribunale della funzione pubblica.
Lazione di annullamento regolata dallart. 263 TFUE (gi art. 230 CE) e consiste
nellimpugnazione mediante ricorso di un atto adottato dalle istituzioni dellUnione che si pretende
viziato e pregiudizievole. Immediato , dunque, il collegamento tra la funzione di controllo del
giudice dellUnione e quella propria di un giudice amministrativo.
Atti impugnabili sono:
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


gli atti legislativi;
gli atti del Consiglio, della Commissione e della BCE che non siano raccomandazioni o
pareri;
gli atti del PE e del Consiglio europeo destinati a produrre effetti giuridici nei confronti dei
terzi.
Lespressa esclusione dal controllo di legittimit delle raccomandazioni e dei pareri sta a significare
che sono impugnabili unicamente gli atti vincolanti; dunque, in via di principio, solo i regolamenti,
le direttive e le decisioni. La giurisprudenza della Corte di Giustizia, ispirata al criterio di
privilegiare la sostanza rispetto alla forma, ha progressivamente precisato e ampliato la categoria
degli atti impugnabili, fondandosi proprio sullesigenza di una protezione giurisdizionale completa
ed effettiva.
Se ne ha una conferma anche in relazione alla natura dellatto. Infatti la Corte ha precisato che
sono impugnabili tutti gli atti e i provvedimenti posti in essere dalle istituzioni dellUnione che
producano o mirino a produrre effetti vincolanti per i destinatari. Ci vuol dire che,
indipendentemente dal nomen iuris attribuito allatto dallistituzione che lo ha posto in essere e
dalle modalit di comunicazione ai destinatari, la sua efficacia vincolante e dunque lammissibilit
della sua impugnazione sono il risultato di un apprezzamento fondato sul contenuto sostanziale
dellatto.
Impugnabili sono gli atti definitivi. Sotto tale profilo, non sono impugnabili gli atti preparatori in
senso proprio, in quanto non modificano la posizione giuridica del destinatario e salvo a farne
valere i vizi in sede di impugnazione dei relativi atti definitivi (ad es. la comunicazione della
Commissione alle imprese che segna lapertura di uninchiesta nei loro confronti in materia di
concorrenza).
Viceversa sono impugnabili:
latto con cui la Commissione comunica di aver archiviato definitivamente una denuncia di
violazione delle norme di concorrenza; e cos anche lapertura di una procedura di controllo
della compatibilit di un aiuto statale. Infatti, in materia di aiuti anche il semplice atto di
avvio della procedura di verifica da parte della Commissione comporta per lo Stato una
conseguenza rilevante e cio che in attesa della decisione definitiva esso non pu erogare
laiuto; quindi latto produce effetti sulla posizione giuridica del destinatario e per ci stesso
non pu che essere soggetto ad impugnazione davanti alla Corte;
gli atti che autorizzano o approvano la conclusione di un accordo, anche quando ci
avvenga mediante una deliberazione che resta consegnata solo in un processo verbale.
Legittimati ad impugnare gli atti dellUnione sono:
anzitutto e comunque gli Stati membri, anche rispetto ad atti destinati ad altri Stati membri
o a individui. La legittimazione attribuita unicamente allo Stato e non anche alle sue
eventuali articolazioni decentrate, quali le regioni o i comuni che possono impugnare un atto
dellUnione SOILO in quanto persone giuridiche alle condizioni di cui allart. 263, 4
comma, e dinanzi al Tribunale;
il Consiglio, la Commissione e il Parlamento (questultimo in modo pieno soltanto a
partire dal Trattato di Nizza).
N.B.: Viceversa la Corte dei Conti, la BCE e il Comitato delle Regioni (questultimo solo a
partire dal Trattato di Lisbona) sono legittimati ad adire la Corte di giustizia SOLO per
salvaguardare le proprie prerogative (art. 263, 3 comma).
Inoltre il Trattato di Maastricht ha introdotto una specifica ipotesi di azione di annullamento per
violazione del diritto, su ricorso del governatore della Banca centrale di uno Stato membro oppure
del Consiglio direttivo della BCE, relativamente alla rimozione dello stesso governatore. Questo
sembra essere lunico caso in cui un atto nazionale pu essere impugnato direttamente dinanzi alla
Corte di giustizia, nonch lunico caso in cui lo stesso atto pu essere impugnato anche da un
organo dellUnione, quale il Consiglio direttivo della banca.
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


i singoli, persone fisiche o giuridiche, in 1 grado dinanzi al Tribunale e in 2 grado, per
motivi di diritto, dinanzi alla Corte. La nozione di persona giuridica, che nozione
comunitaria, molto ampia e prescinde dalla natura pubblica o privata dellentit in
questione, cos come dalla nazionalit del ricorrente: infatti, anche uno Stato terzo, ove ne
sussistano le altre condizioni prescritte, pu agire ai sensi dellart. 263. La stessa nozione,
inoltre, stata interpretata al di l delle qualificazioni proprie di ogni diritto nazionale, fino a
dare rilievo, ai fini dellimpugnazione, allautonomia necessaria per agire come entit
responsabile nei rapporti giuridici.
N.B.: Tuttavia, il singolo non legittimato ad impugnare tutti gli atti; infatti pu impugnare:
1. in primo luogo, le decisioni a lui specificamente indirizzate: ad es. lirrogazione di
unammenda o il rifiuto ad una violazione delle regole di concorrenza;
2. in secondo luogo, gli atti di cui non sia il formale destinatario e persino regolamenti,
alla condizione, per, che tali atti lo riguardino direttamente e individualmente, vale
a dire che sia identificato o identificabile quale destinatario sostanziale dellatto e
che via sia un nesso di causalit tra la situazione individuale e la misura adottata:
cio occorre che latto sia stato adottato tenendo specificamente conto della
situazione del o dei ricorrenti. Lo scopo di evitare che utilizzando la forma del
regolamento le istituzioni dellUnione adottino atti idonei ad incidere direttamente e
individualmente sulla posizione dei singoli, senza tuttavia garantire loro un adeguato
rimedio giurisdizionale. Al contrario, non impugnabile un regolamento, che pure
consenta di determinare con maggiore o minore precisione il numero o persino
lidentit dei soggetti cui si applica in un dato momento, fino a quando risulti
pacifico che lapplicazione si compie in forza di una situazione obiettiva di fatto o di
diritto, definita dallatto stesso in relazione alle sue finalit.
In particolare, quanto alla circostanza che il ricorrente deve essere direttamente riguardato, dalla
giurisprudenza in materia si evince che ci si verifica quando NON richiesta alcuna misura di
esecuzione per lapplicazione dellatto di cui si tratta, n nazionale, n dellUnione; quando, in altri
termini, latto dellUnione incida direttamente sulla posizione giuridica del singolo, senza lasciare ai
destinatari alcun potere discrezionale e senza che ai fini della sua applicazione sia necessaria
unulteriore attivit normativa. In caso contrario, invece, tale carattere deve considerarsi assente, a
meno che, ad es., lo Stato membro destinatario dellatto in questione abbia informato la
Commissione, gi prima delladozione dello stesso, del fatto che sulla base di questultimo avrebbe
adottato misure concernenti specificamente i ricorrenti.
Relativamente al requisito dellindividualit, stato ribadito a + riprese il principio che chi non sia
destinatario di una decisione pu sostenere che questa lo riguarda individualmente soltanto qualora
il provvedimento lo tocchi a causa di determinate qualit personali, oppure di particolari circostanze
atte a distinguerlo dalla generalit, e quindi lo identifichi alla stessa stregua dei destinatari. Oltre ai
casi in cui il ricorrente risulta espressamente nominato nellatto e quelli in cui latto risulta essere
stato adottato proprio in considerazione della situazione specifica del ricorrente, la Corte ha
considerato ricevibili anche alcuni ricorsi diretti contro atti concernenti un numero limitato e
determinabile di persone, ma solo quando tali atti modificavano, sopprimendo vantaggi o diritti per
gli operatori interessati, la disciplina in considerazione della quale gli operatori in questione
avevano effettuato una determinata operazione ancora in corso.
Di recente, la Corte ha ulteriormente precisato che un atto dellUnione riguarda un gruppo di
soggetti individuati o individuabili quando tale atto modifica i diritti acquistati dal singolo prima
della sua adozione.
Quanto detto per i regolamenti vale anche per le direttive, che del pari hanno normalmente una
portata normativa generale e che in ogni caso non pongono obblighi a carico dei singoli. In
particolare, occorre verificare se si tratta di una decisione dissimulata e se il singolo ne possa essere
riguardato direttamente e individualmente.
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


Il Trattato di Lisbona ha revisionato le condizioni di ricevibilit dei ricorsi di annullamento proposti
dai singoli, persone fisiche o giuridiche, sancendo espressamente il loro diritto di impugnare gli atti
regolamentari che li riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura desecuzione (art.
263, 4 comma, TFUE). In tal modo, viene letteralmente ripresa una novit introdotta dal progetto
di Trattato costituzionale, anche se non si comprende a che cosa esattamente si riferisca
lespressione atti regolamentari, utilizzata dallart. 263, 4 comma, del TFUE. Difatti, questa
tipologia di atti era stata espressamente prevista nel progetto di Trattato costituzionale, ma stata
abbandonata nel Trattato di Lisbona, il quale si limitato ad affermare che gli atti (regolamenti,
direttive e decisioni) adottati in base alla procedura legislativa, ordinaria o speciale, sono atti
legislativi. Pertanto, si pu ritenere che gli atti regolamentari ai quali si riferisce il nuovo Trattato
attualmente in vigore siano quelli di carattere generale adottati secondo 1 procedura diversa da
quella legislativa.
Inoltre, gli atti istitutivi di organi e organismi dellUnione possono prevedere condizioni e modalit
specifiche relative ai ricorsi proposti da persone fisiche o giuridiche contro atti di questi organi o
organismi destinati a produrre effetti giuridici nei loro confronti (art. 263, 5 comma, TFUE).
Il termine per limpugnazione di 2 mesi a decorre dalla pubblicazione dellatto ovvero dalla sua
notificazione al ricorrente ovvero in mancanza e come criterio residuale e subordinato dal
giorno in cui il ricorrente ne ha avuto effettiva conoscenza. Peraltro nel caso di atti pubblicati, il
termine decorre dalla data in cui la Gazzetta ufficiale stata effettivamente diffusa, quando non
coincide con la data esposta. Infine, non c decadenza quando si verta in tema non di invalidit, ma
addirittura di inesistenza dellatto, ipotesi tuttavia assai remota.
I vizi che possono essere fatti valere sono quelli tradizionali del contenzioso amministrativo, e
precisamente:
incompetenza: che spesso rimane assorbita dalla violazione di legge, comprende sia
lincompetenza (relativa) dellistituzione che ha adottato latto, sia lincompetenza (assoluta)
dellUnione in quanto tale;
violazione delle forme sostanziali: in particolare comprende il difetto di motivazione, la
mancata consultazione di unaltra istituzione o di un organo dellUnione quando
espressamente prevista, nonch lerrata individuazione della base giuridica, ogniqualvolta
abbia conseguenze sulle condizioni di adozione dellatto. Questultima unipotesi di
patologia dellatto di non trascurabile rilievo e presenta spesso anche dei profili + generali,
che investono lequilibrio istituzionale dellUnione. Ad es., si pensi ad 1 atto che poteva
essere adottato sulla base dellart. 207 (a maggioranza) e che invece stato basato sullart.
352 (che richiede lunanimit); oppure ad 1 atto del Consiglio adottato senza il prescritto
parere del Parlamento; o ad 1 atto innominato della Commissione che, pur rientrando nella
sua sfera di attribuzioni, avrebbe dovuto espressamente essere fondato su diversa e +
pertinente disposizione del Trattato, in nome anche della certezza dei rapporti giuridici;
violazione di legge: comprende la violazione, oltre che di norme dei Trattati e di diritto
derivato dellUnione, anche dei principi generali consolidati nella giurisprudenza della Corte
(proporzionalit, non discriminazione, legittimo affidamento, rispetto dei diritti della difesa),
nonch delle norme che cmq vincolano lUnione, come le norme internazionali
convenzionali e consuetudinarie. Rispetto alle norme convenzionali, peraltro, la
giurisprudenza richiede che siano provviste di effetto diretto, la cui sussistenza va valutata
anche in funzione della natura e dello scopo dellatto. Ci ha riguardato in modo specifico
prima le norme GATT e poi dellOMC, che secondo la Corte non potevano normalmente
costituire, a causa della loro flessibilit e della particolare natura dellAccordo, 1
parametro di legittimit degli atti dellUnione. Soltanto nei casi eccezionali in cui lUnione
abbia inteso dare esecuzione ad 1 obbligo particolare assunto nellambito dellOMC oppure
latto rinvii espressamente a precise disposizioni degli accordi dellOMC, i giudici
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


dellUnione sono competenti a controllare la legittimit del comportamento delle istituzioni
alla luce delle norme dellOMC;
sviamento di potere: si verifica quando lamministrazione, nellambito della discrezionalit
di cui gode, esercita un determinato potere allo scopo esclusivo o almeno determinante di
raggiungere fini diversi da quelli per il quale il potere in questione stato conferito o da
quello dichiarato; ci deve risultare da indizi obiettivi, pertinenti e concordanti. Lo
sviamento di potere comprende anche lo sviamento di procedura, cio il caso in cui una
determinata procedura venga utilizzata a fini diversi da quelli per i quali stata istituita e per
far fronte alle circostanze del caso di specie.
Il ricorso proposto al giudice dellUnione non ha effetto sospensivo. Tuttavia, lart. 278 del TFUE
prevede la possibilit di chiedere alla Corte, in via cautelare, la sospensione dellatto impugnato.
Inoltre la Corte pu ordinare le misure provvisorie, diverse dalla sospensione, che ritiene necessarie
(art. 279). La domanda presuppone gi introdotto il ricorso o pu essere contestuale. La misura
viene decisa dal Presidente della Corte, che eccezionalmente pu investire anche il plenum;
prevista anche 1 udienza a breve, nel corso della quale sono sentite le parti e gli intervenienti.
Lordinanza cautelare del Presidente del Tribunale impugnabile dinanzi alla Corte, con i limiti
analoghi a quelli posti allimpugnazione di 1 pronuncia ordinaria del giudice di 1 grado.
Quanto alle condizioni che giustificano 1 provvedimento cautelare, esse non si discostano molto da
quelle richieste in ogni latitudine, nel rispetto dellidea che vuole tale provvedimento finalizzato ad
evitare che leffetto utile della sentenza definitiva sia vanificato dal tempo occorrente per renderla.
Pertanto anche nel processo europeo troviamo ben radicati laccessoriet e la strumentalit della
misura rispetto al giudizio principale e + precisamente rispetto alla sentenza, lapparenza del diritto
(o fumus boni iuris), lirreparabilit del danno scaturente dallesecuzione del provvedimento
impugnato (o periculum in mora), il bilanciamento degli interessi a confronto: tutti elementi ben
familiari al processo nazionale ed italiano in particolare, sia civile che amministrativo.
Lesito del giudizio , in caso di accoglimento del ricorso, lannullamento dellatto impugnato, in
particolare la dichiarazione che latto nullo e non avvenuto, secondo la terminologia dellart.
264. Quindi, lannullamento dellatto produce, fatte salve alcune eccezioni, effetti ex tunc.
La sentenza di annullamento, che efficace dal giorno in cui pronunciata, ha leffetto della cosa
giudicata, sia in senso formale che sostanziale, beninteso relativamente ai punti di fatto e di diritto
che siano stati effettivamente definiti dalla sentenza. Viceversa, un atto che sia uscito indenne da
una procedura di annullamento, pu essere rimesso in discussione sotto profili e per motivi diversi
in un successivo procedimento, evidentemente distinto dallazione diretta di annullamento, dato il
termine di 2 mesi prescritto per proporla.
Lannullamento pu essere richiesto anche solo in relazione ad una o ad alcune disposizioni
dellatto; in ogni caso, poi, la Corte pu annullare 1 atto solo in parte, ove ci sia possibile e dunque
solo se il punto o i punti viziati siano separabili, lasciando perfettamente valide le parti restanti
anche dopo la sentenza.
La sentenza della Corte comporta, per listituzione che aveva adottato latto annullato, lobbligo di
prendere le misure necessarie per darvi piena esecuzione. Naturalmente lobbligo riguarda sia il
dispositivo che la motivazione che spiega le ragioni dellannullamento; e la riadozione dellatto
riguarda questultimo nella sua interezza oppure, a seconda dei casi, nella parte dichiarata
illegittima. In definitiva, listituzione interessata tenuta a prendere tutti i provvedimenti, ma anche
solo quelli, che lesecuzione della sentenza di annullamento impone.
Lo steso art. 264 (gi 231) al 2 comma prevede la facolt per la Corte di stabilire gli effetti
dellatto che devono essere considerati come definitivi. Dunque la Corte pu dichiarare che
lannullamento di 1 atto, sia esso parziale o totale, abbia effetti ex nunc invece che ex tunc; o che
addirittura conservi i suoi effetti fino a quando lamministrazione avr modificato o sostituito con
un nuovo atto quello impugnato. Lipotesi di effetti ex nunc della sentenza di annullamento resta
cmq unipotesi eccezionale.
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


Sebbene il precedente art. 231, 2 comma, de TCE si riferiva ai soli regolamenti, la Corte aveva
esteso la possibilit offerta dalla disposizione in questione anche alle ipotesi di annullamento di 1
direttiva oppure di 1 decisione, richiamandosi, in particolare, a motivi di certezza del diritto. Questo
consolidato orientamento giurisprudenziale stato poi consacrato nel Trattato di Lisbona, con la
nuova formula dellart. 264 TFUE, il quale prevede ora che la Corte, ove lo reputi necessario,
precisa gli effetti dellatto annullato che devono essere considerati definitivi. Si tratta di 1
soluzione senzaltro da condividere; il principio della certezza del diritto, che costituisce la ragion
dessere dellart. 264, infatti 1 principio di applicazione generale, dunque valido per il caso di
annullamento di tutti gli atti che incidono sulla posizione giuridica dei destinatari, ivi comprese le
direttive, che non solo possono avere un effetto diretto, ma in ogni caso costituiscono un riferimento
obbligato in sede dinterpretazione delle norme nazionali.
Infine, bisogna ricordare che la Corte ha esteso lambito di applicazione dellart. 264, 2 comma,
che testualmente comprende esclusivamente le ipotesi di annullamento in senso proprio, in base alla
procedura prevista dallart. 263, anche alla pronuncia di invalidit nellambito della procedura
pregiudiziale (art. 267, lett. b).
3. LAZIONE IN CARENZA
Il ricorso in carenza 1 strumento che tende a porre rimedio allillegittima inattivit di 1
istituzione dellUnione o della BCE: infatti, questo strumento consente di mettere in discussione il
comportamento del PE, del Consiglio europeo, del Consiglio e della Commissione, nonch della
Banca centrale, quando queste istituzioni o organi, in violazione del Trattato, si astengano dal
pronunciarsi (art. 265 TFUE, gi 232, TCE). Lart. 265 TFUE prefigura 1 strumento
dimpugnazione autonomo rispetto a quello disciplinato dallart. 263, anche se ad esso logicamente
collegato.
Dunque il ricorso in carenza riguarda non lipotesi di 1 rifiuto, che pur sempre un provvedimento,
ma quella di illegittima assenza di decisione; e tende precisamente ad 1 constatazione dellinerzia
dellistituzione.
Lintroduzione del ricorso davanti alla Corte subordinata ad 1 fase amministrativa preliminare:
infatti, perch il ricorso sia ricevibile, occorre che listituzione o lorgano cui rimproverata
linerzia sia stato formalmente invitato a prendere posizione, ovvero ad adottare le misure richieste;
una tale messa in mora deve intervenire, a giudizio della Corte, entro un termine ragionevole a
partire dal momento in cui appare chiaro che listituzione o lorgano in questione non ha intenzione
di agire. Dal momento della messa in mora, listituzione o organo dispone poi di un periodo di 2
mesi per prendere posizione; trascorso invano questo periodo, lautore della messa in mora pu
introdurre il ricorso, a sua volta entro un termine di 2 mesi. Qualora invece listituzione o lorgano
in questione rifiuti espressamente di prendere posizione, oppure adotti latto voluto dal richiedente,
o, ancora, adotti un qualche provvedimento, sia pure diverso da quello sollecitato, evidentemente
non vi + spazio per lintroduzione di un ricorso in carenza, dovendosi invece, se del caso, attivare
la normale procedura di annullamento ex art. 263.
Lassenza di decisione deve essere attuale e permanere anche durante tutto il corso della procedura;
se infatti listituzione o lorgano risponde alla messa in mora che gli stata indirizzata, adottando
latto voluto dal richiedente, la procedura ex art. 265 diventa senza oggetto. Resta evidentemente la
possibilit di impugnare latto, se lo si ritiene viziato, ex art. 263. Infine, il ricorso in carenza NON
pu essere utilizzato per aggirare i termini di impugnazione dellatto quali previsti dallart. 263:
pertanto non possibile chiedere, dopo la scadenza di questi termini, la revoca o la modificazione di
1 atto, per poi, in caso negativo, introdurre 1 ricorso in carenza dinanzi alla Corte.
Il ricorso in carenza pu essere introdotto anzitutto dagli Stati membri e dalle istituzioni in relazione
a qualunque ipotesi di astensione che integri 1 violazione dei Trattati.
A differenza delle istituzioni e degli Stati membri, il singolo pu agire in carenza SOLO quando
listituzione abbia omesso di emanare nei suoi confronti un atto che non sia una raccomandazione o
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


un parere. A tale riguardo si discusso se lomissione debba riferirsi ad un atto di cui il ricorrente
sia il formale destinatario oppure debba accogliersi una lettura + ampia dellart. 265, 3 comma. La
Corte esclude che il singolo possa agire in carenza, ad es., rispetto ad un atto rivolto agli Stati,
rispetto ad una proposta della Commissione, rispetto a decisioni cmq destinate a terzi. Tuttavia, la
successiva giurisprudenza ha attenuato questo limite, ammettendo un parallelismo tra
limpugnazione di atti che investono direttamente e individualmente il ricorrente che non ne sia il
destinatario (art. 263, 4 comma) e lanaloga condizione relativa allazione in carenza (art. 265, 3
comma). In questo modo, stata cmq riconosciuta ai singoli la possibilit di ricorrere nelle ipotesi
in cui essi possano considerarsi direttamente e individualmente riguardati dagli atti relativamente ai
quali deducono la carenza dellistituzione.
Resta inteso, poi, che il singolo non pu dolersi della mancata attivazione da parte della
Commissione di 1 procedura dinfrazione, in quanto oggetto di 1 valutazione discrezionale
dellistituzione.
Nellambito di una procedura fondata sullart. 265, il ricorrente, che sia 1 Stato membro o 1
singolo, ha anche la possibilit di chiedere e ottenere provvedimenti provvisori ai sensi dellart. 279
TFUE, se ricorrono le condizioni dellazione di annullamento.
Infine, si noti che la sentenza di accoglimento del ricorso in carenza corrisponde ad una pronuncia
di mero accertamento, che non esclude la proposizione di unazione di responsabilit
extracontrattuale ex artt. 268 e 340, 2 comma del TFUE, nellipotesi in cui il comportamento
omissivo dellistituzione dellUnione abbia cagionato un danno.
4. LECCEZIONE DI INVALIDIT
Lart. 277 (gi 241) TFUE prefigura questo ulteriore mezzo per far valere lillegittimit di 1 atto di
portata generale adottato da unistituzione, organo o organismo dellUnione. Si tratta di una
eccezione incidentale, che le parti possono sollevare nel corso di una procedura gi attivata per altri
motivi dinanzi alla Corte, al fine di far dichiarare linapplicabilit dellatto di cui si tratta facendo
valere, anche dopo che sia trascorso il termine dimpugnazione previsto per il ricorso di
annullamento, gli stessi motivi previsti dallart. 263. Lipotesi che subito viene in mente quella
delleccezione dinvalidit di un regolamento di base in occasione dellimpugnazione di un atto di
esecuzione di quel regolamento e come motivo dellinvalidit dellatto impugnato.
Se necessario che leccezione sia incidentale rispetto ad 1 procedura gi pendente dinanzi al
giudice dellUnione, deve pur sempre esservi uno stretto collegamento tra latto impugnato e quello
di cui si fa valere incidentalmente lillegittimit; ne consegue che lirricevibilit del ricorso di
annullamento comporta inevitabilmente e per ci stesso lirricevibilit delleccezione proposta in
base allart. 277.
La sfera di applicazione delleccezione dinvalidit era nel Trattato CE formalmente limitata ai
regolamenti, mentre nel TFUE stata estesa a tutti gli atti di portata generale. La giurisprudenza ne
aveva gi ampliato le possibilit di applicazione, comprendendovi tutti gli atti aventi portata
generale. vero, infatti, che lo scopo dellart. 277 di evitare che 1 atto viziato, sebbene non
impugnato, possa costituire una base giuridica valida per altri atti. altrettanto vero, per, che la
possibilit di sollevare uneccezione di invalidit mira essenzialmente a rimediare ai limiti posti
dallart. 263 alle possibilit di impugnazione offerte ai singoli in relazione agli atti dellUnione
aventi portata generale. Dunque leccezione pu essere estesa anche ad atti che, pur non avendo la
forma del regolamento, producono effetti analoghi e non potrebbero essere impugnati dai singoli.
Al contrario, sono stati sempre respinti i tentativi di far valere dopo la scadenza dei termini
lillegittimit di atti che il singolo, in quanto destinatario o perch direttamente e individualmente
riguardato, avrebbe ben potuto impugnare con normale ricorso di annullamento. In definitiva,
leccezione dinvalidit non pu essere utilizzata per eludere lonere della tempestivit
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


dellimpugnazione, dovendo restare viceversa 1 mezzo offerto al singolo, per contestare la
legittimit di 1 atto dellUnione, nella sola ipotesi in cui gli sia preclusa ogni altra possibilit.
Tuttavia la circostanza che leccezione dinvalidit risulti collegata, in particolare, allimpossibilit
x i singoli di agire ex art. 263 per lannullamento di 1 atto avente portata generale non implica che
ai ricorrenti c.d. privilegiati (Stati membri e istituzioni) sia in ogni caso impedito di formulare una
tale eccezione.
Tuttavia evidente che allo Stato membro, cos come al singolo, cmq preclusa la possibilit di
sollevare uneccezione dinvalidit rispetto ad una decisione individuale di cui esso sia il
destinatario. Pertanto la Corte ha respinto i tentativi di alcuni Stati di eccepire linvalidit di 1
decisione di incompatibilit di un aiuto a fronte di ricorsi, proposti dalla Commissione sulla base
dellart. 108, n. 2, concernenti lerogazione di quello stesso aiuto.
Unipotesi specifica quella delleccezione dinvalidit di un atto nel corso di una procedura
dinfrazione intentata dalla Commissione contro uno Stato membro x la violazione di quello stesso
atto. Sulla premessa dellautonomia della procedura ex art. 258 TFUE rispetto alle azioni ex artt.
263 e 265, stato ribadito anche rispetto a tale ipotesi che lo Stato non pu eccepire in via
incidentale lillegittimit di 1 decisione di cui sia destinatario in una procedura per un
inadempimento consistente nella mancata osservanza di quella stessa decisione; e che lunica
eccezione riguarda lipotesi di atto viziato in modo cos grave ed evidente da essere inesistente. La
stessa preclusione interviene nel caso di impugnazione (beninteso tardiva) non incidentale ma
autonoma.
Viceversa, non esiste alcuna presa di posizione della Corte circa lipotesi che nel corso di una
procedura dinfrazione lo Stato membro cui contestato linadempimento sollevi uneccezione di
invalidit rispetto ad 1 regolamento. Tuttavia, ad uno Stato membro che ha eccepito in via
incidentale lillegittimit di alcuna disposizioni di 1 direttiva per giustificarne la mancata
trasposizione, oggetto di una procedura dinfrazione, la Corte ha opposto con ferma chiarezza
linammissibilit delleccezione sollevata.
Leffetto di un eventuale accoglimento delleccezione dinvalidit , a differenza che nella
procedura ex art. 263, linapplicabilit dellatto e non gi il suo annullamento. Pertanto,
formalmente latto viene dichiarato inapplicabile alla fattispecie ma resta pienamente in vigore; la
conseguenza pratica per listituzione che laveva adottato che proceder cmq alla sua
modificazione o alloccorrenza alla sua abrogazione.
5. LAZIONE DI RESPONSABILIT EXTRACONTRATTUALE
La competenza della Corte in materia di responsabilit extracontrattuale dellUE, e di
conseguente risarcimento dei danni (art. 268 TFUE), va anchessa collegata alla funzione di
controllo sulla legittimit degli atti dellUnione. Infatti, lipotesi + rilevante al riguardo
precisamente quella di un pregiudizio provocato dallapplicazione di un atto normativo dellUnione
che si pretende illegittimo.
La disciplina del TFUE, prevista dallart. 340, 2 comma, si limita ad imporre allUnione di
risarcire, conformemente ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri, i danni causati
dalle sue istituzioni o dagli agenti nellesercizio delle loro funzioni. Il 3 comma dellart. 340
estende questa disciplina ai danni causati dalla BCE e dai suoi agenti nellesercizio delle loro
funzioni, con la sola differenza che in tali ipotesi lobbligo di risarcimento ricade direttamente sulla
BCE e NON sullUnione.
1. In 1 luogo la competenza della Corte sussiste SOLO quando il danno sia stato cagionato da
unistituzione dellUnione o dai suoi agenti oppure dalla BCE o dai suoi agenti nellesercizio delle
loro funzioni; una competenza esclusiva. Per contro, la competenza appartiene esclusivamente ai
giudici nazionali quando risulti che il danno allegato stato prodotto da organi nazionali, sia pure in
conseguenza dellapplicazione di una normativa dellUnione.
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


2. In 2 luogo la ricevibilit dellazione di responsabilit stata messa in discussione proprio
rispetto allipotesi di applicazione, da parte di organi nazionali, di provvedimenti adottati in
esecuzione di atti dellUnione di cui stata poi contestata la validit.
La Corte ha progressivamente elaborato il criterio della competenza efficiente, in base al quale il
giudice nazionale a dover essere adito qualora sia nella condizione di statuire utilmente. Ci vale
anche quando la normativa dellUnione preveda una competenza vincolata per lamministrazione
nazionale, con la conseguenza che leventuale illecito sicuramente imputabile alla Commissione:
si pensi allipotesi in cui la normativa di cui si tratta assegni alla Commissione non la facolt di
esprimere un mero parere, ma il potere dimporre agli organi nazionali una decisione piuttosto che
unaltra, alla quale questi ultimi sono tenuti a conformarsi. Per contro, la Corte afferma sempre e
cmq la sua competenza quando si tratta di ipotesi in cui solo essa a poter agire utilmente, ad es. x
limpossibilit di unazione nazionale effettiva.
Pi in generale, quanto al rapporto tra mezzi interni di ricorso e azione di responsabilit dinanzi alla
Corte di giustizia, il sistema nel suo insieme deve o dovrebbe funzionare in modo da garantire in
ogni caso la protezione giurisdizionale del soggetto leso. Ne consegue che, se in via di principio
lazione di responsabilit residuale rispetto ai mezzi interni predisposti per lannullamento di
misure e atti nazionali, questi mezzi devono assicurare al singolo di restare cmq indenne dalle
conseguenze dannose dellillegittimit dellatto. Quando, ad es., i mezzi interni assicurano
lannullamento dellatto o anche la restituzione di somme indebitamente versate, MA NON ANCHE
il risarcimento del danno, evidentemente rimane salva la possibilit di attivare la procedura di cui
agli artt. 268 e 340, 2 comma, TFUE.
Un altro aspetto di rilievo attiene al rapporto tra:
lazione di responsabilit
e lazione di annullamento ex art. 263 TFUE o il ricorso in carenza ex art. 265.
In un 1 momento, sembr prevalere un criterio di severit e in definitiva 1 lettura
restrittiva dellart. 268 in relazione allart. 340. Nella pronuncia Plaumann, ad es., la Corte
dichiar inammissibile 1 domanda di risarcimento fondata sullillegittimit di un atto di
cui non era stato previamente chiesto lannullamento. Pi tarsi, la Corte ha invece
affermato che lazione di danni rappresenta un rimedio autonomo, distinto dagli altri
mezzi sia quanto alla funzione che quanto alle condizioni di esercizio, che tengono conto
del suo oggetto specifico.
Il criterio ispiratore della lettura data dalla giurisprudenza alla disciplina sullazione di
responsabilit extracontrattuale rimasto tuttavia sempre costante, al di l delle formule di volta in
volta adottate:
sia rispetto ai mezzi interni di ricorso (rinvio pregiudiziale di validit in sede di
impugnazione dellatto interno di esecuzione);
sia rispetto alle impugnazioni dirette (ricorso di annullamento o in carenza).
Lo scopo di evitare che lazione di responsabilit venga utilizzata per conseguire lo stesso
risultato che avrebbe potuto essere raggiunto utilmente, beninteso con unazione diversa.
Dunque, lazione di danni non pu essere il mezzo per neutralizzare gli effetti di un atto
lesivo quando tale obiettivo pu venire ugualmente raggiunto attraverso una normale azione
di annullamento, sia essa diretta, sia essa nazionale con rinvio pregiudiziale di validit alla
Corte. E ci va inteso con lunica riserva che il rimedio giurisdizionale, in particolare quello
nazionale, sia cmq idoneo a garantire uneffettiva tutela. Dunque, in questo senso la logica
della giurisprudenza Plaumann non poi molto diversa da quella in cui si affermata
linammissibilit di unazione di risarcimento quando miri in realt alla revoca di una
decisione individuale.
Le condizioni della responsabilit extracontrattuale dellUnione e del conseguente obbligo
risarcitorio sono state pi volte precisate nella giurisprudenza della Corte:
lilliceit del comportamento dellistituzione;
72

[Digitare il titolo del documento] ed.)


un danno effettivo;
un nesso di causalit fra il danno e il comportamento dellistituzione.
chiaro che quanto + ampio il potere discrezionale dellistituzione, tanto + occorre che sia grave
la violazione dei limiti al suo esercizio perch sussista la responsabilit; in particolare, occorre che
si tratti della violazione di norme destinate a proteggere gli interessi degli stessi ricorrenti. Per
converso, quando il margine di discrezionalit sia ridotto o non ve ne sia alcuno, la mera violazione
della norma pu integrare lipotesi di violazione grave e manifesta. In questa prospettiva, stata
esclusa la responsabilit extracontrattuale dellUnione nellipotesi in cui non abbia dato inizio ad un
procedimento di infrazione nei confronti dello Stato membro inadempiente, perch in materia
riconosciuto a questa istituzione un ampio potere discrezionale. La situazione cambia sensibilmente
in relazione alle questioni di concorrenza, in particolare quanto agli aspetti procedurali, rispetto ai
quali la Commissione dispone di un margine di discrezionalit alquanto ridotto se non inesistente:
in questi casi, invero, stata accertata la responsabilit extracontrattuale dellUnione per violazione
da parte della Commissione dei diritti di difesa o del principio di imparzialit.
Il danno, poi, deve essere in un certo senso individualizzato, ci che non si verifica quando latto
investe categorie molto ampie di operatori economici e le sue conseguenze, anche pregiudizievoli,
risultano molto attenuate al livello dei singoli.
Nella recente giurisprudenza sulla responsabilit patrimoniale degli Stati membri x violazione del
diritto dellUnione, la Corte, nellindicarne le condizioni, ha con insistenza precisato che non
devono essere diverse, a parit di situazioni, da quelle che sono richieste x la responsabilit delle
istituzioni, in quanto la tutela dei diritti attribuiti dal diritto dellUnione non pu variare in funzione
della natura, nazionale o dellUnione, dellorgano che ha causato il pregiudizio. Il risultato che
anche la responsabilit extracontrattuale delle istituzioni dellUnione ricorre quando:
1) la norma violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli;
2) la violazione sia grave e manifesta;
3) sussista il nesso causale.
In relazione al nesso di causalit, bisogna dire che questo requisito sussiste solo nelle ipotesi in cui
il comportamento contestato costituisca la causa certa e diretta del danno e non quando questultimo
sia solo una lontana conseguenza dellazione o omissione dellistituzione.
Quanto, infine, al danno risarcibile, la cui prova incombe evidentemente al ricorrente, nel caso di
responsabilit derivante da atto normativo esso deve essere speciale, oltre che certo ed attuale.
Conformemente ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri, la Corte ha precisato che
sono risarcibili:
sia il pregiudizio materiale che quello morale, questultimo quantificabile anche in equit;
sia il danno emergente che il lucro cessante.
Inoltre, atteso che il risarcimento destinato a reintegrare il patrimonio del soggetto leso, si
deve tenere conto della effettiva svalutazione monetaria successiva allevento dannoso. La
giurisprudenza della Corte in materia di liquidazione del danno anche costante nel ritenere
ammissibile la domanda di interessi moratori, che decorrono dalla sentenza che accerta la
responsabilit dellUnione, in quanto dichiarativa dellobbligo di risarcire il danno. Il tasso
dinteresse fissato, senza alcun riferimento al tasso legale vigente nello Stato membro del
ricorrente, in genere tra il 6 e l8% e cmq mai in misura superiore a quanto chiesto dal
ricorrente.
Inoltre in tema di cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, occorre dire che prima
dellentrata in vigore del Trattato di Lisbona, la Corte di giustizia si confrontata con la pretesa di
invocare lazione di responsabilit extracontrattuale dellUnione x atti del 3 pilastro. Il riferimento
alle cause Gestoras pro Amnista e Segi, in cui 2 organizzazioni a tutela dei diritti umani,
operative nei Paesi Baschi, ricorrevano in appello dinanzi alla Corte x invocare il risarcimento del
danno loro derivante da una posizione comune del Consiglio, che le includeva in 1 elenco di
soggetti considerati coinvolti in atti terroristici. La Corte, rilevato che lart. 35 non contemplava 1
73

[Digitare il titolo del documento] ed.)


via di ricorso per ottenere il risarcimento dei danni causati dallazione dellUnione nel settore della
cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, riconosceva lesistenza di una lacuna nel
sistema di tutela giurisdizionale per le ipotesi, come quelle del caso di specie, in cui 1 atto del 3
pilastro, generalmente considerato privo di effetti giuridici nei confronti di terzi, avesse prodotto
invece 1 lesione della loro posizione giuridica soggettiva. a questo punto che la Corte prospettava
1 soluzione equilibrata che ravvisava in capo alle persone fisiche o giuridiche la possibilit di agire
dinanzi ai giudici nazionali ed invocare la responsabilit dei singoli Stati membri x lelaborazione o
attuazione nei loro confronti di 1 atto dellUE. Sotto questo profilo, la Corte individuava 1 rimedio
x la tutela dei diritti dei singoli, ma, al tempo stesso, metteva in chiara evidenza che lapplicazione
estensiva di principi propri del pilastro comunitario nellambito del 3 pilastro non poteva spingersi
fino ad uninterpretazione contra legem del TUE. Ad ogni modo, questa questione stata risolta con
lentrata in vigore del Trattato di Lisbona, in quanto i meccanismi di tutela giurisdizionale del 1
pilastro, ivi compresa lazione di responsabilit extracontrattuale, sono stati estesi al 3 pilastro,
sebbene sia previsto un periodo transitorio di 5 anni.
6. IL CONTENZIOSO IN MATERIA DI PERSONALE
La competenza a conoscere delle controversie tra lUnione e i suoi agenti appartiene alla Corte, nei
limiti e alle condizioni determinati dallo statuto del personale o risultanti dal regime ad essi
applicabile.
Tale competenza, prevista dallart. 270 TFUE, esercitata in primo grado dal Tribunale a
partire dallottobre 1989 fino al 2005, anno in cui stata devoluta al Tribunale della
Funzione Pubblica.
Le pronunce di questo organo giurisdizionale possono essere oggetto di impugnazione per i
soli motivi di diritto dinanzi al Tribunale, alle stesse condizioni previste x le impugnazioni
attualmente pendenti dinanzi alla Corte di giustizia avverso le decisioni del Tribunale, e la
Corte chiamata a pronunciarsi solo nelle ipotesi eccezionali di richiesta di riesame da parte
dei primo Avvocato generale.
Il Tribunale della funzione pubblica competente a conoscere tutte le controversie che afferiscono
al rapporto dimpiego: assunzioni, condizioni di lavoro, trattamento economico e benefici sociali,
disciplina delle carriere. La possibilit di agire contro unistituzione dellUnione, semprech ne
ricorrano le altre condizioni, conferita non solo ai funzionari ed altri agenti, ad esclusione degli
agenti locali per i quali resta competente il giudice nazionale, ma anche agli aspiranti funzionari o
agenti che partecipano ad un concorso e che intendano contestarne lo svolgimento e/o i risultati.
Il regime del contenzioso della funzione pubblica disciplinato dagli artt. 90 e 91 dello statuto del
personale, che prevedono, in primo luogo, 1 specifica procedura precontenziosa, tranne nellipotesi
in cui venga impugnato un atto che lamministrazione non ha il potere di annullare o modificare.
il caso, ad es., di una decisione presa da una commissione di concorso o, ancora, in relazione ad un
rapporto informativo.
Oltre al previo esperimento di 1 apposito reclamo in via amministrativa e, dunque, al formarsi di 1
decisione, sia pure implicita, di rigetto di tale reclamo, la ricevibilit del ricorso subordinata alla
circostanza che il ricorrente abbia 1 interesse ad agire e che latto impugnato, che pu finanche
rivestire forma verbale, sia tale da arrecargli pregiudizio.
Il termine per agire di 3 mesi, che decorrono:
dal giorno della notifica della decisione che statuisce sul reclamo;
oppure, in caso di provvedimento implicito, dalla data in cui scade il termine per la
decisione del reclamo amministrativo.
Nel caso in cui 1 decisione di esplicito rigetto del reclamo interviene dopo la formazione di un
provvedimento implicito, ma durante il periodo di 3 mesi x la proposizione del ricorso
74

[Digitare il titolo del documento] ed.)


giurisdizionale, i termini x tale ricorso riprendono a decorrere dalla data della notifica della
decisione esplicita.
Quanto al merito, il ricorso pu essere diretto (conformemente allart. 91, n. 1, dello statuto) ad
ottenere sia lannullamento di un atto, sia il risarcimento dei danni derivanti da un atto o da un
comportamento dellistituzione di cui si tratta. Attesa lautonomia delle diverse azioni, il
funzionario pu scegliere la procedura che ritenga pi appropriata, con il solo limite che lazione di
responsabilit non pu essere un mezzo per eludere lirricevibilit di unazione di annullamento
concernente lillegalit dello stesso atto e tendente ad ottenere lo stesso risarcimento. Il ricorrente
pu anche chiedere, insieme allannullamento dellatto di cui si tratta, sia provvedimenti
provvisori che la sospensione dellatto impugnato (tuttavia questultima molto difficile da
ottenere, in quanto, oltre allesistenza dellurgenza e di un danno grave e irreparabile, occorre
verificare che la sospensione richiesta non sia tale da ostacolare il buon funzionamento del servizio
interessato).
7. LIMPUGNAZIONE DELLA SENTENZA DEL TRIBUNALE
Lart. 256 TFUE prevede la possibilit che tutte le azioni siano trattate in primo grado dal
Tribunale, fatta eccezione per i rinvii pregiudiziali.
Il Tribunale ha ormai assunto il ruolo di giudice di primo grado a competenza generale. La sua
competenza riguarda anche i ricorsi individuali contro atti adottati non da istituzioni, ma da altri
organi istituiti da atti dellUnione di diritto derivato e dunque rientranti nel sistema dellUnione in
senso ampio.
Il trasferimento di competenze al Tribunale ha contribuito ad un miglioramento del livello di tutela
giurisdizionale complessivamente offerto dal sistema dellUnione, in particolare con riguardo alla
tutela dei singoli. Ci va inteso sotto un duplice profilo, e precisamente:
1) il 1 profilo quello del doppio grado di giurisdizione, che cmq 1 segno di civilt
giuridica di non poco rilievo, sebbene, al di fuori della materia penale, non sicuro che sia
un vero e proprio principio fondamentale del diritto processuale;
2) il 2 profilo (+ importante) riguarda lattenzione che si deve ai fatti, alle esigenze
istruttorie e ai relativi strumenti processuali, specie nelle cause in cui proprio la ricchezza
dei fatti ne impone un uso maggiore. Ci accade principalmente con i ricorsi diretti, laddove
le pregiudiziali, vertendo essenzialmente sullinterpretazione di 1 norma giuridica, non
impongono complessi accertamenti di fatto; in particolare, nelle cause di concorrenza la
valutazione dei fatti e lanalisi del contesto economico in cui operano le imprese
rappresentano un presupposto indispensabile per lapplicazione della norma.
Dunque, la creazione del Tribunale ha consentito un accrescimento della tutela giurisdizionale dei
singoli sotto entrambi i profili sottolineati. Ci ha anche comportato per la Corte:
da un lato una riduzione del numero delle cause (solo parzialmente compensata
dallintroduzione dei giudizi di impugnazione contro le decisioni del Tribunale);
dallaltro lato e, soprattutto, unaccentuazione del suo ruolo di giudice costituzionale in
senso lato, custode delluniformit di applicazione del diritto dellUnione nei Paesi membri
e dunque dellarmonia del sistema nel suo insieme.
Dunque, la cognizione del Tribunale si sostituisce in primo grado nelle competenze che il Trattato
attribuiva alla Corte rispetto alle azioni attivate dai ricorsi individuali e in alcuni casi dagli Stati
membri: di annullamento (art. 263), in carenza (art. 265), di responsabilit extracontrattuale (art.
268). Quanto si detto a proposito di tali procedure vale, pertanto, anche per il giudizio dinanzi al
Tribunale, in particolare quanto ai vizi degli atti che possono farsi valere e agli effetti della
pronuncia.
possibile che la Corte e il Tribunale siano contemporaneamente chiamati a decidere su ricorsi
aventi lo stesso oggetto, che sollevino le stesse questioni dinterpretazione o mettano in discussione
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


la legittimit di uno stesso atto. Un es. significativo quello di una decisione della Commissione in
tema di aiuti pubblici alle imprese, impugnabile dagli Stati membri davanti alla Corte e dalle
singole imprese dinanzi al Tribunale. In tale ipotesi, la norma dello statuto della Corte (art. 54, 3
comma) consente varie soluzioni:
1. il Tribunale potr, sentite le parti, sospendere la procedura e attendere la pronuncia della
Corte: soluzione questa che, rispettosa del doppio grado di giudizio, rischia per di
pregiudicare il ruolo del Tribunale e delle parti almeno sotto il profilo della decisione sulla
questione di diritto, che verrebbe assicurata prima dalla Corte, tra laltro in un processo in
cui la parte privata non potrebbe in alcun modo interloquire;
2. il Tribunale pu scegliere di spogliarsi della causa, declinando la propria competenza e
lasciare che sia la Corte a decidere: in questo caso, anche il processo avviato dal privato
sarebbe deciso dalla Corte, ma, com evidente, in prima ed unica istanza, con conseguente
sacrificio della doppia tutela che la sindacabilit della decisione del Tribunale vorrebbe
assicurare;
3. pu anche accadere che sia la Corte a sospendere la procedura dinanzi ad essa pendente: in
questo caso si continuer dinanzi al Tribunale. Questultima soluzione, compatibilmente con
le esigenze di economia della procedura, assicura alle parti il doppio grado di giudizio, senza
x questo pregiudicare la decisione del Tribunale con unanticipata soluzione della questione
di diritto da parte della Corte nella controversia connessa.
Limpugnazione della sentenza di primo grado pu essere proposta entro 2 mesi dalle parti,
principali e intervenute. Una posizione particolarmente privilegiata assicurata, evidentemente
nellinteresse della legalit, agli Stati e alle istituzioni, i quali possono impugnare una sentenza del
Tribunale indipendentemente dalla loro presenza (anche in quanto parti intervenienti) nella
procedura dinanzi al Tribunale, con la sola eccezione delle controversie dei funzionari. Tuttavia, in
questo caso, ove la Corte accolga limpugnazione, potr precisare gli effetti della decisione
annullata che devono essere considerati definitivi nei confronti delle parti della controversia.
Limpugnazione deve essere diretta a rimediare ai pretesi errori in diritto della sentenza di primo
grado. Pertanto essa non pu limitarsi ad una mera riproposizione della domanda originaria o
sollevare per la prima volta dinanzi alla Corte un motivo non sollevato nella prima fase, ma deve
indicare espressamente i punti della sentenza impugnata di cui si chiede lannullamento perch
viziati. Ci non esclude, che si possa sollecitare:
la Corte alla rivalutazione dei punti di diritto, in particolare linterpretazione e lapplicazione
del diritto dellUnione da parte del Tribunale;
e che la Corte, anche in assenza di motivi di ricorso, affronti i punti rilevabili dufficio.
Dunque si tratta non tanto di un giudizio di appello, in cui si possano rivisitare anche i fatti, bens di
cassazione. I vizi censurabili sono:
lincompetenza del Tribunale;
i vizi di procedura che hanno causato pregiudizio al ricorrente;
la violazione del diritto dellUnione.
In definitiva, al giudice di secondo grado stata lasciata una cognizione finalizzata
alleliminazione degli errori di diritto che possono pregiudicare la coerenza dellordinamento e
luniformit di applicazione delle norme. A tal fine, lerrore di diritto deve comprendere non
solo lerrore nellinterpretazione della norma o nella identificazione della norma applicabile, ma
anche lerrore nella qualificazione giuridica dei fatti accertati e/o della fattispecie che comporti
lapplicazione della norma ad una fattispecie non regolata. Si tratta, cio, di tutti i vizi
suscettibili di pregiudicare luniforme applicazione del diritto dellUnione.
La funzione nomofilattica (cio il compito di garantire lesatta osservanza e luniforme
interpretazione della legge) che la Corte chiamata ad assicurare nel quadro del giudizio
dimpugnazione richiede cmq un approccio rigoroso alla delimitazione del giudizio sui fatti (area
insindacabile della decisione del Tribunale) rispetto al giudizio di diritto, sul quale solo opera il
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


controllo della Corte. Il problema si posto con riferimento alla valutazione delle prove operata dal
Tribunale, rispetto alla quale la Corte ha affermato la competenze esclusiva del Tribunale. Per va
rilevato che dalla giurisprudenza della Corte ricavabile un duplice limite allincensurabilit
dellapprezzamento del materiale probatorio da parte del Tribunale, e precisamente:
1. in 1 luogo la Corte ha affermato la propria competenza a verificare se le prove assunte
dal Tribunale siano state acquisite regolarmente e se i principi generali del diritto e le norme
di procedura in materia di onere e di produzione della prova siano stati rispettati;
2. in 2 luogo sotto un profilo + sostanziale, la Corte si riservata la facolt di sindacare lo
snaturamento degli elementi di prova.
Altro elemento che pu dar luogo a qualche difficolt il vizio di motivazione della sentenza
impugnata. La mancata previsione espressa di tale vizio nellelencazione che dei vizi censurabili
con limpugnazione ai sensi dellart. 58 dello Statuto non pu certo condurre ad escluderne la sua
qualificazione come ipotesi di violazione del diritto dellUnione. La contraddittoriet della
motivazione come la sua insufficienza, risolvendosi in una violazione dellobbligo del Tribunale di
motivare le proprie denunce, rappresenta indubbiamente un errore di diritto, invocabile nel giudizio
dimpugnazione di fronte alla Corte.
La Corte, in base allart. 119 del regolamento di procedura, pu dichiarare il ricorso manifestamente
irricevibile e anche manifestamente infondato, con semplice ordinanza e sentito lavvocato
generale.
La sentenza della Corte che accoglie limpugnazione comporta lannullamento della pronuncia del
Tribunale (art. 61 dello Statuto). La Corte, peraltro, pu essa stessa decidere la controversia,
qualora lo stato degli atti lo consenta; in caso contrario, la Corte rinvia la causa nuovamente al
Tribunale perch questultimo decida. Il giudice di 1 in tal caso come in un normale giudizio di
rinvio vincolato alla decisione della Corte relativamente ai punti di diritto.
8. Segue: LA REVOCAZIONE, IL RIESAME, IL RINVIO
Lo Statuto della Corte (art. 44) prevede listituto della revocazione della sentenza, applicabile alle
pronunce sia del Tribunale che della Corte entro il termine di 10 anni dalla data della sentenza. Non
si tratta di unimpugnazione, bens di un mezzo straordinario di ricorso. Condizione indispensabile
per attivare la procedura, e dunque per superare lautorit di cosa giudicata della decisione, la
scoperta dopo la sentenza di elementi di fatto nuovi, anteriori alla sentenza e tali che, se conosciuti e
apprezzati dal giudice, avrebbero potuto condurre questultimo ad una diversa soluzione della
controversia.
Avverso la sentenza pronunciata in contumacia prevista lopposizione, da proporsi entro 1 mese
dalla notifica della sentenza. Il procedimento segue lo stesso rituale di quello ordinario.
Inoltre, prevista la possibilit di chiedere linterpretazione del dispositivo di una pronuncia o di
un suo punto specifico (art. 43 dello Statuto della Corte), sia su iniziativa di una parte principale che
di una parte interveniente. La sentenza viene allegata alloriginale della pronuncia interpretata.
Nel sistema giurisdizionale dellUnione anche previsto listituto del riesame delle sentenze del
Tribunale, di difficile qualificazione e classificazione giuridica, anche se presenta delle analogie con
il ricorso nellinteresse della legge. Pi precisamente, lart. 256, paragrafi 2 e 3, TFUE prevede che
le decisioni emesse dal Tribunale sui ricorsi proposti avverso le decisioni delle camere
giurisdizionali, nonch le decisioni emesse su questioni pregiudiziali possono eccezionalmente
essere oggetto di riesame da parte della Corte di giustizia, alle condizioni ed entro i limiti previsti
dallo Statuto. Quindi si tratta di 1 procedura di urgenza che pu trovare applicazione sia nei ricorsi
diretti che in quelli indiretti, a condizione che sussistano gravi rischi che lunit o la coerenza del
diritto dellUnione siano compromesse.
In attuazione di quanto prefigurato dallart. 256, paragrafi 2 e 3, del Trattato, lart. 62 dello Statuto
ha affidato al 1 avvocato generale liniziativa di proporre alla Corte il riesame della decisione del
Tribunale. Questa proposta, sempre ai sensi dellart. 62 dello Statuto, deve essere presentata entro 1
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


mese a decorrere dalla pronuncia della decisione del Tribunale; la Corte deve poi decidere, entro 1
mese a decorrere dalla presentazione della detta proposta, sullopportunit di procedere al riesame.
Nelle ipotesi in cui la Corte di giustizia costati che la decisione del Tribunale pregiudichi lunit o
la coerenza del diritto dellUnione, essa rinvia la causa dinanzi al Tribunale che vincolato ai punti
di diritto decisi dalla Corte. Pu anche eccezionalmente accadere che la soluzione della
controversia emerga, in considerazione dellesito del riesame, dagli accertamenti in fatto sui quali
basata la decisione del Tribunale. In questultima ipotesi, la Corte statuisce in via definitiva,
sostituendosi la sua soluzione a quella del Tribunale.
Listituto del rinvio, poi, strettamente correlato al trasferimento di alcune e limitate competenze
pregiudiziali dalla Corte al Tribunale, in quanto esso trover applicazione soltanto se e quando
verranno effettivamente affidate al Tribunale siffatte competenze. Specificatamente, il nuovo testo
dellart. 256, par. 3, TFUE attribuisce al Tribunale la facolt di disporre un rinvio alla Corte ove
ritenga che la causa richieda una decisione di principio che potrebbe compromettere lunit o la
coerenza del diritto dellUnione. Tale rimedio quindi subordinato alla sussistenza delle
medesime condizioni eccezionali previste per il riesame, ma soggetto al potere discrezionale del
Tribunale.
9. IL CONTROLLO GIURISDIZIONALE SULLA CORRETTA APPLICAZIONE DEL
DIRITTO DELLUNIONE NEGLI STATI MEMBRI. LA PROCEDURA DINFRAZIONE
Il controllo giurisdizionale della Corte di Giustizia sulla puntuale applicazione del diritto
dellUnione in tutti gli Stati membri mira non soltanto a verificare continuamente la compatibilit di
atti e comportamenti di tali Stati con il diritto dellUnione, ma anche ad assicurare la necessaria
uniformit di applicazione delle norme europee in tutti gli Stati membri. In altri termini, il
controllo mira a garantire larmonia del sistema giuridico dellUnione considerato nel suo insieme e
rispetto alle sue diverse articolazioni normative.
La procedura di infrazione si collega al ruolo attribuito alla Commissione di custode della
corretta applicazione, da parte degli Stati membri, dei Trattati e degli atti dellUnione (art. 17, par.
1, TUE). Nel sistema dellUnione lipotesi normale che la procedura sia attivata dalla
Commissione nei confronti di 1 Stato membro, ai sensi e per gli effetti di cui allart. 258 TFUE.
La procedura dinfrazione sostanzialmente diretta a porre termine alla violazione del diritto
dellUnione e pertanto a far s che il comportamento dello Stato membro si modifichi e sia coerente
con il dettato delle norme conferenti, prima ancora e + che allaccertamento dellinfrazione. Ne
consegue, ad es., che una decisione della Commissione di avviare la procedura dinfrazione quando
questultima abbia gi prodotto ed esaurito i suoi effetti illegittima, in quanto tradirebbe le finalit
stesse di tale procedura.
Quanto alla natura dellinfrazione, essa consiste allevidenza nella violazione di 1 qualsiasi
obbligazione che incomba su di uno Stato membro. vero che lart. 258 si riferisce agli obblighi
incombenti in virt dei Trattati, ma ben chiaro che si tratta di tutti gli obblighi che derivano dal
sistema giuridico europeo considerato nel suo insieme, compresi gli atti vincolanti e gli accordi
internazionali stipulati dallUnione.
Linadempimento pu consistere in un comportamento o in un atto normativo o in una pratica
amministrativa o, spesso, nellaver omesso di dare formale attuazione ad un obbligo dellUnione: si
pensi al caso tipico della mancata o non corretta o non tempestiva trasposizione di 1 direttiva,
oggetto di numerose sentenze c.d. di condanna di Stati membri. Unipotesi particolare di infrazione
poi quella della mancata esecuzione di una sentenza della Corte, in cui gi si riconosceva un
inadempimento. Ci rappresenta 1 violazione dellart. 260 TFUE, non avendo lo Stato adottato le
misure che lesecuzione della 1 sentenza importa.
La procedura dinfrazione, quale prevista dallart. 258 TFUE, ha in 1 luogo 1 fase
precontenziosa, che si svolge su impulso e cmq sotto la responsabilit della Commissione.
Questultima esercita un controllo sistematico almeno sullosservanza di alcune categorie di
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


obblighi da parte dei Paesi membri, ad es. quanto alla puntuale e corretta trasposizione di direttive;
e in tal modo essa rileva i casi di inosservanza o le infrazioni. Lattenzione della Commissione
risulta utilmente richiamata da interrogazioni parlamentari o viepi da comuni cittadini o da
associazioni, che molto semplicemente indirizzano ala Commissione un esposto scritto in cui
indicano i fatti che in ipotesi costituiscano uninosservanza del diritto dellUnione.
Se allesito della verifica la Commissione ritiene che uninfrazione sia stata commessa dallo Stato
membro, la stessa invia a questultimo una lettera di messa in mora, che una 1 contestazione
degli addebiti; in sostanza, unindicazione delle ipotesi di inosservanza del diritto dellUnione che
la Commissione imputa allo Stato membro. Questultimo ha la possibilit e lonere di rispondere
alle censure della Commissione, facendo valere gli argomenti di fatto e di diritto che ritiene
opportuni.
Il passo formale ulteriore della Commissione, se non ritiene adeguate le osservazioni dello Stato
membro, linvio a questultimo di 1 parere motivato, nel quale sono specificate le infrazioni che
ancora si ritengono commesse e gli elementi di diritto e di fatto che sostengono la contestazione; ed
specificato anche il termine entro il quale lo Stato membro tenuto a mettere fine
allinadempimento.
La lettera di messa in mora e il parere motivato costituiscono passaggi obbligati della procedura
dinfrazione, in quanto valgono a definire loggetto della controversia e a soddisfare lesigenza del
contraddittorio cui ispirata anche la fase precontenziosa.
Con il parere motivato, la Commissione delimita definitivamente, in fatto e in diritto,
linadempimento imputato allo Stato membro e gli argomenti sui quali fonda la sua posizione. Se
entro il termine fissato nel parere motivato lo Stato membro non si adegua a quanto richiesto dalla
Commissione, questultima pu presentare un ricorso alla Corte di giustizia.
Nel ricorso, i motivi di doglianza devono corrispondere a quelli indicati nella fase precontenziosa
ed in particolare agli argomenti di diritto enunciati nel parere motivato. La giurisprudenza sul punto
ben consolidata, nel senso che 1 ricorso irricevibile quando, e nella misura in cui, contiene
addebiti che non hanno formato oggetto della procedura precontenziosa e sui quali non si
realizzato alcun contraddittorio tra listituzione e lo Stato membro interessato.
Linadempimento deve essere rigorosamente provato dalla Commissione, e non pu essere fondato
su presunzioni. Ad es. non pu fondarsi sulla presunzione che un testo apparentemente ambiguo di
una normativa sar applicato in maniera difforme dal diritto dellUnione; al contrario, la portata
delle normative nazionali va valutata anche alla luce dellinterpretazione che ne ha dato la
giurisprudenza. Va poi detto che la Corte riconosce la possibilit di contestare nel ricorso fatti
ulteriori che siano delle medesima natura di quelli considerati nel parere motivato e che
costituiscono uno stesso comportamento, ma solo se intervenuti successivamente al parere
motivato e cmq non noti prima alla Commissione. Nondimeno, la Corte ha precisato che non si pu
imporre alla Commissione che sussista in ogni caso una perfetta coincidenza tra il dispositivo del
parere motivato e le conclusioni del ricorso, laddove loggetto della controversia non sia stato
ampliato o modificato, ma soltanto ridotto. Ci significa che, qualora una modifica normativa sia
sopravvenuta nel corso del procedimento precontenzioso, il ricorso pu riguardare disposizioni
nazionali che non siano identiche a quelle censurate nel parere motivato.
Non previsto un termine per la presentazione del ricorso da parte della Commissione, che dunque
conserva unampia discrezionalit. Essa infatti potrebbe, ad es., ritardare lintroduzione del ricorso
per evitare il giudizio, quando ritenga che lo Stato membro possa adempiere in tempi brevi, anche
se successivamente alla scadenza del termine fissato nel parere motivato.
Pi in generale, va considerato che la Commissione, secondo 1 solida giurisprudenza, NON ha 1
obbligo di attivare e proseguire la procedura dinfrazione, MA SOLO 1 facolt. In definitiva, la
Commissione gode di un ampio potere discrezionale al riguardo, che esclude pertanto la
configurabilit di 1 diritto del singolo ad esigere che listituzione agisca.
La possibilit per la Commissione di introdurre un ricorso dinanzi alla Corte, tuttavia, determinata
dalla scadenza del termine concesso allo Stato nel parere motivato. Se quel termine trascorso
79

[Digitare il titolo del documento] ed.)


senza che lo Stato abbia adempiuto, sussiste e permane linteresse pieno della Commissione a
portare lo Stato dinanzi alla Corte, con la conseguenza che questultima, investita della causa,
tenuta a giudicare, con la sola eccezione della rinuncia allazione da parte della stessa
Commissione. Ci vuol dire anche che la sussistenza dellinadempimento va valutata in relazione
alla situazione quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato, mentre
sono irrilevanti i mutamenti intervenuti successivamente a tale scadenza.
A non diversa conclusione si perviene quando linadempimento contestato allo Stato membro sia
stato nella sostanza gi accertato: ad es., lincompatibilit di una legge con il diritto dellUnione
accertata e sostanzialmente dichiarata dalla Corte nellambito di una procedura pregiudiziale ex art.
267 TFUE. Ed invero il rinvio pregiudiziale 1 procedimento del tutto autonomo rispetto alla
procedura dinfrazione e dunque il suo esperimento non pu limitare il potere della Commissione di
proporre il ricorso previsto dallart. 258. Del pari, la Corte non pu dichiarare cessata la materia del
contendere, se lo Stato adempie nel corso del giudizio; anche in tal caso, infatti, permane inalterato
linteresse della Commissione, sola a poter rinunciare allazione, a vedere dichiarato
linadempimento.
N ha influenza alcuna per la procedura dinanzi alla Corte il fatto che lo Stato membro riconosca,
non importa se in modo espresso e formale, il proprio inadempimento, come peraltro avviene in
moltissimi casi, indicati comunemente come infrazioni non contestate.
La Corte ha affermato la propria competenza ad adottare misure cautelari, in virt dellart. 279
TFUE, e talvolta ha anche sospeso lapplicazione di una normativa nazionale inaudita altera parte,
in attesa dellordinanza conclusiva del procedimento cautelare.
Lordinanza cautelare della Corte, nella misura in cui ingiunge allo Stato membro un certo
comportamento ed in particolare limmediata sospensione di una normativa o di una prassi
nazionale, finisce con lavere una portata addirittura pi incisiva o almeno pi immediatamente
efficace rispetto alla sentenza definitiva. Questultima infatti, ai sensi dellart. 260, lascia agli Stati
membri o allamministrazione dellUnione di provvedere a trarne le conseguenze. Inoltre, la prassi
non conosce casi di inosservanza di ordinanze cautelari della Corte, mentre ben conosce quei casi di
ritardo nellinosservanza di sentenze definitive che, come accennato, preludono alle cc.dd. doppie
condanne.
La procedura dinfrazione condotta nei confronti dello Stato membro, in quanto allo Stato
unitariamente considerato che linadempimento viene attribuito. Il sistema giuridico dellUnione,
dunque, riconosce lo Stato come unico interlocutore delle istituzioni o degli altri Stati membri.
Daltra parte, i comportamenti di uno Stato sul piano dei rapporti con gli altri Stati o con le
organizzazioni internazionali, in ogni caso i comportamenti rilevanti al di l della dimensione
propriamente nazionale, soprattutto se investono la responsabilit verso altri soggetti, sono da
sempre imputati allo Stato e solo a questultimo.
Anche i Trattati riconoscono solo gli Stati e NON anche le articolazioni interne, territoriali e no,
attraverso le quali lo Stato esercita i diritti e adempie agli obblighi che i Trattati stessi o le norme da
questi derivate prefigurano.
Il problema rileva in particolare in relazione alladempimento di obbligazioni sancite da normative
poste in essere per settori che in qualche Stato membro sono di competenza non gi
dellamministrazione centrale bens di un qualche ente territoriale, ad es. la Regione o il Comune.
il caso soprattutto della trasposizione di direttive che investono le competenze regionali e che per
ci stesso pu spettare, in base al dir. interno e al riparto costituzionale di attribuzioni, allente
territoriale. La giurisprudenza al riguardo ben solida, nel senso che ciascuno Stato membro
evidentemente libero di articolare come meglio crede le competenze sul piano interno e, dunque,
anche di affidare lattuazione di normative dellUnione alle amministrazioni periferiche. Tuttavia
una tale circostanza non pu essere invocata dallo Stato, cui incombe lobbligo di assicurare il
corretto adempimento degli obblighi dellUnione, per giustificare il mancato rispetto di tali obblighi
ed in particolare la puntuale e tempestiva esecuzione delle direttive. In definitiva, sempre lo Stato
membro ad essere dichiarato responsabile ai sensi dellart. 258 TFUE, senza che rilevi la
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


circostanza che la violazione sia imputabile al potere legislativo, esecutivo o giudiziario, trovando
applicazione in materia il principio, dispirazione internazionalistica, secondo cui la responsabilit
dello Stato membro opera rispetto a qualsiasi ipotesi di violazione e quale che sia lorgano che vi
abbia dato origine.
Ci, peraltro, va considerato nella prospettiva anche + ampia delle giustificazioni che lo Stato pu
opporre alla contestazione di uninfrazione e alla sussistenza dellinadempimento, tra le quali di
certo non figurano disposizioni o prassi del proprio sistema giuridico o altre contingenze nazionali,
ancor meno il semplice timore di difficolt interne. Cos, senzaltro irrilevante una crisi di
governo o la sospensione dei lavori parlamentari a causa dello scioglimento delle Camere per
giustificare il ritardo nelladozione di norme. del pari irrilevante, ai fini dellaccertamento
dellinfrazione, la circostanza che si sia prodotto un danno per effetto della mancata trasposizione di
1 direttiva. La Corte ha peraltro precisato che possibile invocare la forza maggiore per giustificare
difficolt temporanee di adempimento, ma solo per il periodo strettamente necessario ad
unamministrazione diligente per porvi rimedio.
Ladempimento degli obblighi dellUnione NON soggetto a condizione di reciprocit, per cui lo
Stato membro non pu giustificare il proprio con linadempimento di altri Stati membri. Del pari lo
Stato membro non pu opporre al ricorso della Commissione per violazione di un atto dellUnione
linvalidit di questultimo, quando non labbia impugnato nei termini e alle condizioni di cui
allart. 263 del Trattato.
Oltre alla procedura dinfrazione disciplinata dallart. 258 TFUE, sempre con riferimento al
sistema europeo di controllo giurisdizionale della legittimit sui comportamenti degli Stati membri,
va ricordato che in virt dellart. 259 la stessa procedura pu essere attivata da uno Stato membro,
per veder riconosciuto linadempimento di un altro Stato membro. Nella fese precontenziosa lo
Stato investe la Commissione della sua doglianza; e allistituzione competono gli stessi
adempimenti della procedura normale, la lettera di messa in mora e il parere motivato. Se peraltro la
Commissione non invia il parere motivato entro 3 mesi dallinizio della procedura, lo Stato pu
adire direttamente la Corte. In questa ipotesi, cambia solo il soggetto che ricorre dinanzi alla Corte.
Va poi accennato allesistenza di specifiche ipotesi di inadempimento, per le quali lo stesso TFUE
prevede, in deroga agli artt. 258 e 259, 1 procedura accelerata, nel senso che la Commissione e
gli Stati membri possono, saltando la fase precontenziosa, adire direttamente la Corte. il caso
dellart. 108, in materia di aiuti di Stato, qualora lo Stato di cui si tratta:
non si conformi nel termine impartito ad una decisione di incompatibilit dellaiuto
concesso;
oppure eroghi un aiuto prima ancora che la Commissione si sia pronunciata sulla sua
compatibilit nellambito della procedura avviata al riguardo.
Infine, ipotesi diversa e marginale quella prevista dallart. 271, lett. a), in base al quale il
Consiglio di amministrazione della Banca europea per gli investimenti pu proporre ricorso
alla Corte, assumendo in questo caso gli stessi poteri diniziativa di cui dispone la
Commissione ai sensi dellart. 258, per far constatare la mancata esecuzione, da parte degli
Stati membri, degli obblighi derivanti dallo statuto della Banca. Unipotesi analoga
prevista dallart. 271, lett. d), introdotto dal Trattato di Maastricht, in relazione alle
controversie sullesecuzione degli obblighi derivanti alle Banche centrali nazionali dai
Trattati e dallo statuto del SEBC: in questa singolare ipotesi il Consiglio della BCE che
dispone, nei confronti delle Banche centrali nazionali, degli stessi poteri riconosciuti nei
confronti degli Stati membri alla Commissione ai sensi dellart. 258.
10. Segue: EFFETTI DELLA SENTENZA DI INADEMPIMENTO E SANZIONE
PECUNIARIA

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[Digitare il titolo del documento] ed.)


Gli effetti di una pronuncia della Corte allesito di una procedura dinfrazione sono prefigurati
dallart. 260 TFUE. La sentenza testualmente riconosce che lo Stato inadempiente rispetto ad
una o pi obbligazioni che gli derivano dai Trattati oppure da un atto dellUnione. Dunque si tratta
di una sentenza meramente dichiarativa, non esistendo la possibilit di attuare in forma coattiva la
pronuncia della Corte. Daltra parte, che linadempimento riconosciuto con sentenza possa dar
luogo ad una qualsiasi azione di altri Stati membri, al di fuori dei meccanismi dellUnione
espressamente previsti, formalmente escluso dallart. 344.
Cmq gli Stati dichiarati inadempienti sono tenuti a prendere i provvedimenti che lesecuzione della
sentenza impone: alloccorrenza, abrogare o introdurre una norma nellordinamento, trasporre una
direttiva, modificare una prassi o quantaltro. In particolare, la giurisprudenza della Corte ha
precisato che la pronuncia che accerti lincompatibilit con i Trattati di una legge nazionale
comporta per lo Stato lobbligo di modificarla, adeguandola alle esigenze del diritto dellUE;
nonch lobbligo per i giudici di garantire losservanza della norma europea cos come interpretata
dalla Corte, determinando anche i diritti che i singoli ne traggono. N sono sufficienti, a tale scopo,
la pubblicazione di una circolare ministeriale o semplici prassi amministrative, in quanto lasciano
immutate la legislazione o latto amministrativo oggetto della dichiarazione di incompatibilit da
parte della Corte. In breve, lincompatibilit di una normativa nazionale pu essere definitivamente
rimossa SOLO con disposizioni vincolanti che abbiano lo stesso valore giuridico, dunque lo stesso
rango, di quelle riconosciute in contrasto con lordinamento dellUE.
Il TFUE non fissa alcun termine per lesecuzione della sentenza che accerti linadempimento;
tuttavia evidente che lesigenza fondamentale dellapplicazione immediata e uniforme del diritto
dellUE, da soddisfare anche nel rispetto del principio di leale cooperazione sancito dallart. 4, par.
3, del TUE, richiede necessariamente tempi brevi.
Nella versione precedente al Trattato di Maastricht, lart. 260 (gi art. 228) si fermava a questo
punto, con la conseguenza che lipotesi di mancata o non corretta o non tempestiva esecuzione della
sentenza era configurabile quale normale inadempimento, come tale passibile a sua volta di una
procedura dinfrazione ai sensi dellart. 258. , questa, lipotesi comunemente definita di doppia
condanna, che pure ha riguardato non poche volte il nostro Paese. Il Trattato di Maastricht oltre a
codificare la doppia condanna ha aggiunto, nello stesso art. 260, la previsione di una sanzione
pecuniaria per lipotesi che uno Stato membro non abbia adottato le misure necessarie per dare
esecuzione ad una sentenza che riconosce linadempimento. In questo caso, la procedura
dinfrazione pu essere reiterata cos come appena ricordato, ma in questo caso la Commissione
chiede alla Corte anche la condanna dello Stato al pagamento:
di una somma forfettaria nei casi di inadempimento puntuale e isolato;
oppure di una penalit di mora nei casi di mancata abrogazione o adozione di norme.
N.B.: Il Trattato di Lisbona ha aggiunto unulteriore novit, prevedendo che la Commissione
possa direttamente richiedere nel primo ricorso alla Corte, ex art. 258 TFUE, di condannare
lo Stato inadempiente al pagamento di 1 sanzione pecuniaria. Si tratta di una novit di
portata ridotta, in quanto si applica soltanto se lo Stato non abbia trasposto una direttiva
adottata secondo la procedura legislativa, restando invece escluse da questa procedura
accelerata le altre ipotesi di violazione del diritto dellUnione.
Di un certo rilievo, poi, laffermazione che, nonostante la congiunzione o utilizzata nella
formulazione dellart. 260 (La Corte, qualora riconosca che lo Stato membro in questione non si
conformato alla sentenza da essa pronunciata, pu comminargli il pagamento di una somma
forfettaria o di una penalit), limposizione di unammenda forfettaria non affatto alternativa
alla determinazione di una penalit di mora, le 2 sanzioni potendo essere cumulate. In particolare,
stato ritenuto ammissibile il cumulo qualora linadempimento, nel contempo, sia perdurato a lungo
e tenda a persistere.

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[Digitare il titolo del documento] ed.)


In base agli artt. 280 e 299 del TFUE, la sentenza della Corte titolo esecutivo allinterno degli
ordinamenti nazionali, con apposizione della relativa formula in base alla mera verifica di
autenticit da parte dellautorit competente (per lItalia, il Ministero degli Esteri).
Peraltro, bisogna sottolineare che, indipendentemente dalla sanzione pecuniaria, la sentenza che
accerta linfrazione non affatto priva di conseguenze. Infatti, nel caso + ricorrente che quello in
cui la Corte di giustizia riconosce che lo Stato inadempiente in quanto ha introdotto o mantenuto
nel suo ordinamento una norma incompatibile con il diritto dellUnione o ha mancato di trasporre
una direttiva, la conseguenza , per i giudici e le amministrazioni nazionali, un obbligo di non
applicare la norma nazionale dichiarata dalla Corte incompatibile con il diritto dellUnione, ma
direttamente le norme europee che siano provviste delleffetto diretto, cos come interpretate dalla
Corte nella sentenza. La Corte Costituzionale italiana ha da parte sua riconosciuto che
linterpretazione della norma dellUnione, compiuta attraverso una sentenza della Corte di giustizia
resa in sede di procedura dinfrazione, ha la stessa immediata efficacia delle disposizioni
interpretate; in altri termini, si impone al giudice la non applicazione della norma interna
configgente e lapplicazione della norma dellUnione provvista di effetto diretto, cos come
interpretata dalla Corte di giustizia.
Inoltre vi sono delle previsioni finalizzate ad una + efficace e consapevole applicazione delle norme
dellUnione da parte degli enti territoriali e degli enti pubblici, nonch ad evitare che
linadempimento da parte di questi ultimi determini degli oneri a carico del bilancio dello Stato. In
particolare, si prevede il diritto dello Stato di rivalersi nei confronti di questi enti in relazione:
sia al pagamento di sanzioni pecuniarie derivanti da sentenze di condanna rese dalla Corte,
ai sensi dellart. 260, par. 2, del TFUE;
sia allobbligo di restituzione di somme indebitamente percepite provenienti dai fondi
strutturali.
11. CONTROLLO GIURISDIZIONALE E COOPERAZIONE TRA GIUDICE NAZIONALE
E GIUDICE DELLUNIONE. FUNZIONE E OGGETTO DEL RINVIO PREGIUDIZIALE
Nel sistema di controllo giurisdizionale sulla corretta e uniforme applicazione del diritto
dellUnione in tutti gli Stati membri, un rilievo decisivo ha assunto la cooperazione tra Corte di
giustizia e giudice nazionale, questultimo non a caso definito giudice comune o anche naturale del
diritto dellUE. Per capire bene questa cooperazione, occorre partire dalla constatazione che
lapplicazione in concreto delle norme e degli atti dellUnione per molta parte demandata agli
Stati membri e alle rispettive amministrazioni.
Nella patologia dei rapporti giuridici, dunque, a fare applicazione del diritto dellUnione,
direttamente o nella forma dellatto nazionale imposto da una normativa europea, principalmente
il giudice nazionale. Peraltro, mentre ci si traduce in via di principio in 1 garanzia di + immediata
e completa tutela x il singolo, ben chiaro che la stessa circostanza che i giudici di 27 Paesi diversi,
dunque operanti in tanti sistemi giuridici differenti, sono chiamati ad applicare in via diretta o
mediata il diritto dellUE crea oggettivamente 1 problema di uniformit e per ci stesso di corretta
applicazione dello stesso diritto dellUE.
in questa prospettiva che va messo a fuoco il meccanismo del rinvio pregiudiziale prefigurato
allart. 267 TFUE, che d al giudice nazionale la facolt, e se di ultima istanza lobbligo, di
chiedere alla Corte di giustizia una pronuncia sullinterpretazione o sulla validit di una norma
dellUnione, quando tale pronuncia sia necessaria per risolvere la controversia di cui stato
investito.
ben chiaro poi che, rispetto ad un rapporto giuridico sottoposto allapprezzamento del giudice di
uno Stato membro, la norma dellUnione pu costituire e sempre + spesso costituisce un
momento necessario della ricerca della giusta disciplina:
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


sia perch proprio questa norma a regolare il rapporto;
sia perch in ogni caso essa costituisce il parametro di legittimit o semplicemente di
congruit della norma interna applicabile.
Cos, di fronte alla possibile o accertata rilevanza di una norma dellUnione per la soluzione della
controversia, pu essere utile o necessario al giudice nazionale, prima e al fine di decidere la
controversia sottopostagli, avere una risposta a questi possibili interrogativi:
a) quale sia la corretta interpretazione e con essa la portata della norma dellUnione;
alloccorrenza, se la corretta interpretazione della norma dellUnione precluda o meno
lapplicazione di un atto amministrativo, di una legge e persino, eventualmente, di una
norma costituzionale dello Stato membro;
b) se la norma dellUnione rilevante sia valida ed efficace.
Le 2 ipotesi corrispondono al rinvio pregiudiziale dinterpretazione e rispettivamente di validit
delle norme dellUnione.
Lart. 267 TFUE ha attribuito alla Corte una competenza generale in materia pregiudiziale,
eliminando, in particolare, le differenze prima esistenti tra i meccanismi di tutela giurisdizionale del
diritto comunitario (ex 1 pilastro) e quelli della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia
penale (ex 3 pilastro); poi sono state eliminate anche le differenze allinterno del 1 pilastro.
La funzione essenziale del rinvio pregiudiziale di realizzare uninterpretazione e quindi
unapplicazione del diritto dellUnione uniforme in tutti i Paesi membri, in modo che esso abbia
dovunque la stessa efficacia. In altri termini, necessario che le norme dellUnione ricevano la
stessa chiave di lettura e di conseguenza le stesse possibilit di applicazione in tutti i Paesi membri.
Ad es. il giudice di Napoli deve applicare lart. X del Trattato o lart. Y del regolamento sulle
sementi o anche lart. Z della direttiva sugli appalti pubblici di lavori alla stessa maniera, e con la
stessa ricaduta sulla fattispecie concreta, dei giudici di Atene e di Dublino. Certo, fisiologico che
vi sia una diversit di approccio e di applicazione, ma il fenomeno deve restare per quanto possibile
temporalmente limitato e cmq deve alla lunga essere eliminato proprio grazie ad una
interpretazione centralizzata.
Alla Corte di giustizia spetta lultima parola in ordine allinterpretazione del diritto dellUnione; e
solo in questo senso la sua competenza pu anche considerarsi esclusiva; infatti, in prima battuta e
cmq in via normale il giudice nazionale ad applicare e per ci stesso ad interpretare il diritto
dellUnione.
La seconda funzione del rinvio pregiudiziale dinterpretazione quella di verificare la legittimit
di una legge nazionale o di un atto amministrativo o anche di una prassi amministrativa rispetto
al diritto dellUnione. Certo, il meccanismo complesso, in quanto la sentenza del giudice
nazionale che accerta la legittimit o meno della norma nazionale consegue ad uninterpretazione
del diritto dellUnione da parte della Corte di giustizia.
Il controllo della Corte sulla legittimit di norme e atti nazionali, anche se indiretto, stato
affermato come momento fondamentale del sistema di tutela dei diritti che il singolo vanta in forza
del diritto dellUnione. Rilevante a questo riguardo stara la pronuncia Van Gend en Loos, a
proposito dellart. 30 (gi 25) TFUE, disposizione che vieta agli Stati membri di introdurre negli
scambi intracomunitari nuovi dazi doganali e di aumentare quelli esistenti, di cui si assumeva la
violazione da parte dei Paesi Bassi. Lobiezione, anche dei molti governi intervenuti nella
procedura, era che x sindacare le infrazioni degli Stati membri, nella forma di normative nazionali
incompatibili con il diritto dellUnione, il Trattato aveva predisposto il meccanismo della procedura
dinfrazione di cui agli artt. 258 e 259, sicch il singolo non poteva pretendere di pervenire allo
stesso risultato provocando un rinvio pregiudiziale del giudice nazionale. Di fronte a questa
obiezione, la Corte rispose con chiarezza che limitare la possibilit di far valere la violazione di una
norma dellUnione a quella offerta dalla procedura dinfrazione equivarrebbe a lasciare i diritti dei
singoli privi di tutela giurisdizionale diretta.
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


Quando un singolo ritiene di aver subito un pregiudizio per effetto dellapplicazione di una norma o
di una prassi nazionale assunta come incompatibile con il diritto dellUnione, pu far valere tale
incompatibilit e provocarne laccertamento in 2 modi, e precisamente:
1. il 1 quello della segnalazione alla Commissione, che a sua volta decider se attivare o
meno la procedura di infrazione ex art. 258;
2. il 2 quello di chiedere al giudice nazionale dinanzi al quale sia stata portata la
controversia di procedere al rinvio pregiudiziale dinterpretazione ex art. 267.
N.B.: Peraltro non escluso, anzi pu essere addirittura utile, che si proceda
contestualmente nei 2 modi, stimolando sia lapertura di una procedura dinfrazione da parte
della Commissione, sia 1 rinvio pregiudiziale da parte del giudice, con il risultato che alla
fine si potranno avere 2 sentenze della Corte, una dinadempimento e unaltra formalmente
di interpretazione ma sostanzialmente anchessa dinadempimento. Tuttavia, restano 2
procedure con oggetto e conseguenze diverse, non solo sul piano formale; e precisamente:
La prima tende allaccertamento di una violazione da parte del diritto nazionale;
La seconda ad una lettura della norma dellUnione dalla quale potr eventualmente dedursi
unincompatibilit di una norma nazionale; solo la procedura dinfrazione presupposto x la
procedura ex art. 260 del TFUE; in questa procedura la Commissione ha un potere
discrezionale quanto alla sua attivazione.
La terza funzione del rinvio pregiudiziale consiste nel completare il sistema di controllo
giurisdizionale sulla legittimit degli atti dellUnione. Proprio in quanto le amministrazioni
nazionali sono spesso chiamate a fare applicazione del diritto dellUnione, sia direttamente sia
perch gli atti interni sono di attuazione di normative europee, dinanzi al giudice nazionale pu
essere messa in discussione o la norma dellUnione direttamente applicabile o la base giuridica
dellatto dellUnione o del comportamento dellamministrazione nazionale. Lo scopo pu essere
quello di farne valere lillegittimit o di farne accertare definitivamente la contestata legittimit, in
entrambi i casi chiamando in causa attraverso il meccanismo del rinvio pregiudiziale la Corte di
giustizia. La competenza di questa esclusiva rispetto al controllo sulla legittimit degli atti
dellUnione, in particolare nel senso che solo alla Corte di giustizia spetta dichiarare leventuale
illegittimit dellatto; il giudice nazionale, invece, pu solo confermarne la legittimit, fatta salva
lipotesi di una procedura nazionale di natura cautelare: in questultimo caso, il giudice nazionale
pu sospendere lapplicazione di un atto interno di attuazione di 1 atto dellUnione, e cos facendo
in sostanza sospendere egli stesso in via provvisoria lapplicazione dellatto dellUnione, con
lobbligo tuttavia del rinvio pregiudiziale alla Corte.
Lipotesi del rinvio pregiudiziale di validit rientra a pieno titolo nellesercizio della funzione di
controllo giurisdizionale sugli atti dellUnione devoluta alla Corte. Pertanto questa ipotesi va
concettualmente e sistematicamente collegata alle procedure di controllo diretto, quali lazione di
annullamento (art. 263), leccezione di invalidit (art. 277), nonch lazione di responsabilit (artt.
268 e 340).
Ci vuol dire anche che il rinvio pregiudiziale di validit completa il sistema dei rimedi
giurisdizionali predisposti per la tutela dei diritti del singolo rispetto agli atti posti in essere dalle
istituzioni dellUnione.
Pi problematica lipotesi di un atto che il singolo abbia mancato di impugnare direttamente
dinanzi alla Corte di giustizia e di cui il giudice nazionale chieda alla Corte di accertare la validit.
Nellipotesi che il singolo sia destinatario formale dellatto, rileva la regola generale che
preclude, x ovvie ragioni di certezza del diritto, al singolo come ai ricorrenti privilegiati, di
rimettere in discussione latto con 1 ricorso diretto o con lo strumento del rinvio
pregiudiziale dopo la scadenza dei termini di impugnazione.
Relativamente allipotesi che il singolo non sia il destinatario formale dellatto e che
pertanto la sua legittimazione allimpugnazione diretta sia almeno problematica, c stata
qualche evoluzione nella giurisprudenza. La Corte ha precisato che quando il singolo sia
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


indiscutibilmente legittimato, pur non essendone il formale destinatario, ad impugnare
latto con ricorso diretto, il giudice nazionale deve considerare latto dellUnione come
definitivo, con la conseguenza che non vi sono le condizioni per procedere al rinvio
pregiudiziale di validit.
Loggetto del rinvio pregiudiziale quanto mai ampio. Per il rinvio dinterpretazione, si tratta di
tutto il sistema giuridico dellUnione, dai trattati istitutivi agli accordi di associazione, dagli atti
delle istituzioni, anche quelli non vincolanti, ai principi generali del diritto dellUnione. Ad es.,
stato chiarito che un accordo stipulato dallUnione con uno Stato terzo parte integrante del diritto
europeo e dunque rientra tra gli atti sui quali la Corte pu pronunciarsi in via pregiudiziale; e che lo
stesso vale per gli atti che lo attuano, posti in essere dal consiglio di associazione istituito
dallaccordo.
Gli atti sottoposti alla verifica di validit sono quelli posti in essere dalle istituzioni, dagli organi e
dagli organismi dellUnione: mentre il Trattato di Maastricht ha attribuito alla cognizione della
Corte gli atti della BCE, il Trattato di Lisbona, oltre a ricomprendere questultima tra le istituzioni
dellUnione, ha esteso la competenza del giudice dellUnione agli atti compiuti dagli organi e dagli
organismi dellUnione. Sono esclusi invece gli atti della Corte, cio le sentenze. In definitiva, si
tratta di tutti gli atti impugnabili con il ricorso diretto ex art. 263, dunque gli atti vincolanti. Anche i
vizi che possono essere loggetto dellaccertamento della Corte corrispondono a quelli rilevanti ai
fini dellazione di annullamento ex art. 263; dunque si tratta di tutti i vizi degli atti dellUnione
suscettibili di provocarne linvalidit, ivi compresa la non conformit al diritto internazionale.
Infine pacifico che il rinvio pregiudiziale non pu essere utilizzato per fare accertare alla Corte la
carenza di unistituzione dellUnione; e che dunque il giudice nazionale non pu neppure
provvedere in via cautelare.
12. Segue: CONDIZIONI SOGGETTIVE E OGGETTIVE DEL RINVIO PREGIUDIALE
Il rinvio pregiudiziale pu essere deciso da qualunque giudice nazionale (amministrativo, penale,
civile, tributario, del lavoro), purch si tratti della giurisdizione di uno Stato membro. La nozione di
giurisdizione ai sensi dellart. 267 TFUE 1 nozione del diritto dellUnione, s che la sua
attribuzione allorgano pu anche non corrispondere alla qualificazione che ne abbia dato
lordinamento dello Stato membro; essa va dunque definita, cos come la sua sussistenza
determinata, dalla Corte di giustizia. Questultima vi ha provveduto in base a diversi elementi
qualificanti:
1) lorigine legale e non convenzionale dellorgano;
2) la stabilit;
3) lobbligatoriet;
4) lapplicazione del diritto;
5) lindipendenza;
6) e la terziet.
In generale, nellapplicazione di criteri di discrimine c lintento di dare la possibilit
allorgano cui lordinamento nazionale cmq abbia attribuito la definizione di una controversia di
utilizzare il rinvio pregiudiziale, per lesigenza di applicazione uniforme del diritto dellUnione.
In particolare, sono stati esclusi dalla nozione di giurisdizione ai sensi dellart. 267 TFUE:
a) la pubblica accusa, come il procuratore della Repubblica italiano;
b) gli arbitri o gli organi la cui composizione sia lasciata interamente alle parti della
controversia, ma non la giurisdizione nazionale che chiamata a pronunciarsi
sullimpugnazione di un lodo arbitrale;
c) gli ordini professionali quando non rendono decisioni di natura giurisdizionale;
d) una commissione consultiva per le infrazioni valutarie;
e) lintendente di finanza lussemburghese;
f) una commissione tributaria con funzioni non giurisdizionali;
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


g) la sezione di appello della direzione regionale delle finanze austriaca;
h) lautorit greca di concorrenza.
Viceversa sono stati compresi nella nozione di giurisdizione:
a) il giudice cautelare;
b) il giudice italiano dellingiunzione e il giudice istruttore;
c) il pretore italiano;
d) un organismo professionale che crei mezzi di ricorso che possano incidere sullesercizio
dei diritti conferiti dal diritto comunitario;
e) un organismo finlandese competente a conoscere di ricorsi in materia agricola;
f) un organo giurisdizionale di appello competente a pronunciarsi in merito ad una decisione di
un tribunale incaricato della tenuta del registro delle imprese.
Con riferimento alle autorit nazionali di tutela della concorrenza, la questione si presenta piuttosto
complessa e problematica, tanto che nel corso degli anni si riscontrano nella giurisprudenza
dellUnione delle soluzioni differenti.
La nozione di giurisdizione comprende evidentemente tutti i giudici degli Stati membri.
Per quanto riguarda il sistema italiano, occorre ricordare 2 ipotesi specifiche. Anzitutto stata
negata la qualit di giurisdizione ai sensi dellart. 267 al Tribunale in sede di volontaria
giurisdizione ed in particolare di omologazione di societ commerciali, con largomento che in quel
contesto lorgano non chiamato a risolvere una controversia.
Di qualche rilievo stata lattribuzione della qualifica di giurisdizione al Consiglio di Stato anche
nellesercizio della sua funzione consultiva, in particolare quando chiamato a dare il suo parere in
sede di ricorso straordinario al Capo dello Stato, con largomento che di fatto si tratta di un parere
vincolante. Per la Corte dei Conti, che pure ha affermato la propria qualit di giurisdizione agli
effetti del rinvio pregiudiziale, indipendentemente dal contesto funzionale in cui opera il rinvio, si
viceversa fatta valere lesigenza di verificare precisamente tale contesto funzionale. In particolare,
si sottolineato che un organo pu essere in alcuni casi qualificato come giurisdizione e in altri tale
qualit non gli pu essere riconosciuta, in particolare quando non esercita funzioni giurisdizionali.
La conseguenza che quando la Corte dei conti esercita 1 funzione di valutazione e di controllo
successiva dellattivit amministrativa non considerata una giurisdizione ai fini del rinvio
pregiudiziale.
Problema specifico se la Corte Costituzionale possa essere compresa nella nozione di
giurisdizione ai sensi dellart. 267, in particolare come giurisdizione di ultima istanza, cos da essere
destinataria dellobbligo di rinvio di cui al 3 comma dellart. 267. Dal tenore letterale e dalla
logica complessiva di tale disposizione sembra potersi dedurre che il rinvio compete al giudice
della controversia, nel senso di giudice che definisce la causa, e che questi il destinatario del
relativo obbligo quando sia di ultimo grado. Il giudice costituzionale non il giudice della
controversia nel contesto di un incidente di costituzionalit, mentre lo il giudice a quo:
questultimo, pertanto, che dovr decidere, nel caso dovessero porsi contestualmente il problema di
legittimit costituzionale e quello di compatibilit dellUnione, a quale rinvio dare la precedenza. In
proposito, si pu concordare sul punto che la pregiudiziale comunitaria normalmente precede la
pregiudiziale di costituzionalit, poich la pronuncia della Corte di giustizia, incidendo
sullapplicabilit della norma, ne potrebbe far risultare linfondatezza e/o lirrilevanza.
Diversa lipotesi che il giudice costituzionale sia egli stesso il giudice che definisce la causa,
come nei casi di giudizio di legittimit costituzionale in via principale e di conflitto di attribuzioni
tra Stato e Regioni, ove anche giudice di unica e ultima istanza, s che sarebbe obbligato al rinvio
in virt del 3 comma dellart. 267. In tal senso, di recente la Corte costituzione ha espressamente
riconosciuto nei giudizi di legittimit costituzionale promossi in via principale la sua competenza a
proporre una questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di giustizia ai sensi dellart. 267 TFUE.
Difatti, in questi giudizi la Corte costituzionale, pur nella sua peculiare posizione di supremo organo
di garanzia costituzionale dellordinamento interno, costituisce una giurisdizione nazionale, poich
lunico giudice chiamato a pronunciarsi sulla controversia e contro le sue decisioni non
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


ammessa alcuna impugnazione (ai sensi dellart. 137, 3 comma, Cost.). In tal modo la Corte
costituzionale ha avviato un dialogo costruttivo con la Corte di giustizia, dialogo utile specie su
alcuni temi tipicamente costituzionali (ad es., i diritti fondamentali, immigrazione, circolazione
delle persone).
La valutazione sulla necessit del rinvio e dunque della pronuncia pregiudiziale della Corte ai fini
della decisione della causa spetta di regola al giudice nazionale. Egli, per conoscenza duretta dei
fatti e degli elementi di diritto rilevanti, nella condizione migliore per valutare la pertinenza delle
questioni di diritto dellUnione sollevate dalla causa. Ci non esclude che la Corte possa
interpretare il quesito e rilevare gli aspetti di diritto che richiedono uninterpretazione o una verifica
di validit di norme dellUnione, fino al punto di pronunciarsi relativamente a norme non chiamate
in causa nei quesiti.
Pertanto la regola quella ancora riaffermata dalla Corte, secondo cui il principio della
cooperazione tra Corte di giustizia e giudice nazionale, e della conseguente ripartizione di
competenze, esclude che la Corte possa sindacare la motivazione del provvedimento di rinvio e la
pertinenza della questioni ivi contenute; daltra parte, quando le questioni sollevate vertono
sullinterpretazione del diritto dellUnione la Corte in via di principio tenuta a decidere.
Questa regola non priva di eccezioni, anche rilevanti; e di qualche contraddizione: infatti nella
giurisprudenza + recente, la Corte ha sindacato, in determinate situazioni, la pertinenza dei quesiti
pregiudiziali ad essa sottoposti, riservandosi il potere di verificare la propria competenza a
rispondere.
In primo luogo, la Corte ha in unoccasione rifiutato di rispondere al quesito pregiudiziale
sollevato in occasione di una controversia che ha considerato fittizia. Tale sarebbe stata, in
particolare, una causa in cui le parti erano perfettamente daccordo sullesito del litigio e
sullinterpretazione delle conferenti norme dellUnione, ma tendevano a far risultare
lincompatibilit di una norma di un Paese diverso da quello del foro con il diritto dellUE.
Nella stessa occasione, la Corte ha sottolineato anche la necessit che nel quesito
pregiudiziale siano espresse con chiarezza le ragioni per cui il giudice nazionale considera
necessaria la pronuncia della Corte. Successivamente, mentre la Corte ha espressamente
escluso che la concordanza tra le parti sul risultato da ottenere nella causa principale incida
sulleffettivit della controversia e dunque sulla ricevibilit del rinvio, la stessa Corte ha
invece confermato di dover esercitare una particolare vigilanza quando la questione
pregiudiziale sia diretta a far valutare la compatibilit della normativa di un altro Stato
membro con il diritto dellUnione.
In secondo luogo, la Corte ha escluso di potersi pronunciare in presenza di questioni
puramente ipotetiche o non obiettivamente necessarie al giudice nazionale per risolvere la
controversia dinanzi ad esso pendente o cmq senza un collegamento sufficiente con
loggetto della causa, in quanto lo scopo del sistema del rinvio pregiudiziale non quello di
ottenere un parere del giudice dellUnione su questioni generali e ipotetiche, ma quello di
contribuire a risolvere una controversia effettiva e attuale.
In terzo luogo, mentre la parsimonia nella motivazione del rinvio era stata sempre tollerata
dalla Corte, + di recente stata la ragione sufficiente per far dichiarare irricevibili alcune
domande pregiudiziali. In particolare, si rilevato che le indicazioni troppo scarne e
imprecise fornite dal giudice nazionale nellordinanza di rinvio, mancando di definire il
quadro di fatto e di diritto nel quale si inseriscono le questioni sollevate, non consentono alla
Corte di fornire uninterpretazione utile del diritto dellUnione, cos come non consentono
agli Stati membri e alle altre parti interessate di svolgere puntuali osservazioni sulla
controversia.
Chiaramente diversa lipotesi in cui la Corte rifiuta a giusta ragione di rispondere ai
quesiti posti dal giudice di rinvio quando latto di cui era richiesta linterpretazione non
configurabile come atto adottato dalle istituzioni; o quando le norme dellUnione in
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


questione non sono applicabili alla fattispecie oggetto della causa, in quanto si tratta di una
situazione puramente interna, cio di una situazione che non presenta alcun nesso con una
qualsiasi delle situazioni considerate dal diritto dellUnione.
Tuttavia, la stessa Corte si dichiarata competente a pronunciarsi sullinterpretazione di norme
dellUnione anche quando la fattispecie non regolata dal diritto dellUnione, ma dal diritto
nazionale, in quanto questultimo operi un rinvio a disposizioni di diritto dellUnione perch sia
determinato il contenuto o linterpretazione delle norme (nazionali) applicabili ad una situazione
puramente interna (sentenza Dzodzi) ; o anche nel caso in cui la norma in questione riproduca
pressoch testualmente una norma dellUnione.
Tale giurisprudenza non pu non destare qualche perplessit, apparendo in contrasto con gli stessi
presupposti logici del rinvio pregiudiziale, oltre che con il principio delle competenze di
attribuzione cui soggiace il sistema giuridico dellUnione nel suo insieme: infatti, quando la norma
dellUnione come tale non applicabile e dunque non ne necessaria linterpretazione ai fini della
definizione della controversia dinanzi al giudice nazionale, manca la base giuridica della
competenza della Corte ai sensi dellart. 267 TFUE. In definitiva, non va confusa la questione della
competenza della Corte in funzione della rilevanza della questione con la ben diversa questione
della base giuridica della competenza della Corte.
In secondo luogo, quando il diritto dellUnione non applicabile, oltre che mancare la base
giuridica della competenza della Corte, pu mancare in radice lesigenza di uniformit di
interpretazione e di applicazione.
La stessa Corte, peraltro, aveva cominciato saggiamente a rivedere la propria posizione rispetto ad
una fattispecie solo formalmente diversa, ma sostanzialmente simile, relativa alla Convenzione di
Bruxelles. Ci lasciava ben sperare in un ripensamento anche sulla giurisprudenza Dzodzi. Cos non
stato, poich la Corte ha ribadito tale orientamento.
13. Segue: FACOLT ED OBBLIGO DI RINVIO
Il giudice nazionale che non sia di ultima istanza ha la facolt di sottoporre alla Corte un quesito
pregiudiziale ogni volta che la risposta indispensabile per giudicare della controversia dinanzi ad
esso pendente.
Il giudice che ha rivolto il quesito alla Corte deve essere lo stesso che ne ricever la risposta, nel
senso che questultima deve essere necessaria per la decisione di quellorgano giurisdizionale e non
per quella di un organo diverso. Il problema si posto, ad es., rispetto al rinvio operato da un
Pretore italiano in sede di procedura durgenza ex art. 700 cod. proc. civ., ipotesi in cui il giudice
cautelare, una volta reso il provvedimento, rinviava le parti ad un giudizio diverso, in particolare al
Tribunale, e dunque si spogliava della causa. Peraltro, con la riforma del processo civile, il
problema si ridimensionato, dato che il giudice cautelare di regola anche il giudice di merito.
Bisogna sottolineare che anche in sede di giudizio di rinvio dalla Corte di cassazione, il giudice, che
pure tenuto ad applicare i principi di diritto indicati dal giudice di legittimit, conserva la facolt
di attivare il meccanismo pregiudiziale davanti alla Corte di giustizia se ritiene sussista un problema
di validit o di interpretazione di norme dellUnione.
Quando, invece, si tratta di un giudice di ultima istanza (Corte di cassazione, Consiglio di Stato e
Corte costituzionale), inteso come giudice le cui sentenze non siano soggette ad impugnazione, egli
ha lobbligo di operare il rinvio (art. 267, 3 comma). Tale differenza trova giustificazione
innanzitutto nella circostanza che normalmente la giurisprudenza delle corti supreme si consolida
con maggior forza e autorit. Lulteriore giustificazione risiede nella circostanza che una pronuncia
erronea del giudice di ultima istanza comporta la lesione definitiva del diritto del singolo,
conseguente alla mancata applicazione della norma dellUnione, determinando un rischio maggiore
rispetto allesigenza di uniforme applicazione del diritto dellUnione, che rappresenta il fondamento
principale del meccanismo del rinvio pregiudiziale.
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


Lobbligo del rinvio pregiudiziale, in particolare quello in via generale imposto al giudice di ultimo
grado, pu in alcuni casi venir meno, e precisamente:
in primo luogo, non c lobbligo di rinvio quando la questione sia materialmente
identica ad una gi sollevata e gi decisa in via pregiudiziale dalla Corte, o vi sia cmq una
giurisprudenza costante sul punto;
inoltre, si ammessa uneccezione per lipotesi in cui la risposta al quesito non alimenti
alcun ragionevole dubbio interpretativo. Il giudice nazionale, in tal caso, deve (o
dovrebbe) essere convinto che la stessa evidenza si imporrebbe ai giudici degli altri Stati
membri. Si cos voluto introdurre nel sistema dellUnione la teoria dellatto chiaro, che
utilizzata in un contesto nazionale (nella specie francese) per giustificare una fattispecie
altrettanto lontana quale lincompetenza del giudice ad interpretare i trattati internazionali.
Vero che il criterio del dubbio ragionevole, nel porre un limite allobbligo di rinvio, si
risolve in definitiva in un sostanziale filtro al rinvio pregiudiziale, che magari con altre
formule utilizzato anche in altre esperienze. Tuttavia laver ancorato luso di tale filtro a
condizioni molto rigorose, non pu eliminare il rischio di veder trasformati molti atti
dellUnione, notoriamente oscuri, in atti chiari. Daltra parte, in Italia pare non via sia
rimedio al rifiuto del giudice di ultima istanza di operare il rinvio pregiudiziale. Queste
preoccupazioni sono destinate ad essere, almeno in parte, ridimensionate, atteso che la Corte
di giustizia ha di recente espressamente riconosciuto che gli Stati membri sono tenuti a
risarcire i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto dellUnione riconducibili ad
organi giudiziari; ed in particolare quando omettano di ottemperare allobbligo del rinvio
pregiudiziale derivante dallart. 267, par. 3, TFUE. Sempre nella prospettiva di 1 tutela
giurisdizionale piena ed effettiva, nellipotesi di omesso rinvio di una questione
pregiudiziale alla Corte di giustizia da parte di una giurisdizione nazionale di ultima istanza,
si potrebbe prefigurare, ai sensi dellart. 6, par. 1 della CEDU, 1 violazione dei diritti
fondamentali ad un equo processo e ad un giudice precostituito per legge (richiamati anche
dallart. 47, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali dellUE).
Peraltro, non fa venir meno lobbligo del rinvio la circostanza che la Commissione abbia rinunciato
a proseguire una procedura dinfrazione nei confronti di uno Stato membro a riguardo della
normativa oggetto del rinvio pregiudiziale. La Commissione, infatti, non ha il potere di dare
uninterpretazione definitiva delle norme dellUnione attraverso i pareri motivati di cui alla
procedura dinfrazione ex art. 258 del Trattato o attraverso linterruzione della stessa procedura o la
rinuncia al ricorso dinanzi alla Corte.
Indipendentemente dallobbligo o dalla facolt del rinvio in capo al giudice nazionale, la Corte, in
base allart. 104, n. 3, del regolamento di procedura, pu seguire una procedura semplificata sulle
domande pregiudiziali, che si chiude con unordinanza, senza trattazione orale e senza conclusioni
scritte dellavvocato generale. Questa procedura possibile in 3 ipotesi, e precisamente:
1) quando la questione sia identica ad una gi definita;
2) quando sia desumibile con chiarezza dalla giurisprudenza;
3) quando la soluzione non alimenti alcun ragionevole dubbio.
A queste ipotesi si affianca 1 procedimento pregiudiziale durgenza che pu essere applicato
esclusivamente nei settori di cui al Titolo V della parte 3 del TFUE, relativo allo spazio di libert,
sicurezza e giustizia; questo procedimento pu essere richiesto solo laddove sia assolutamente
necessario che la Corte si pronunci nel + breve tempo possibile, come, ad es., nel caso di una
persona detenuta o privata della libert (art. 267, 4 comma, TFUE).
La decisione del rinvio solo del giudice, che pu operarlo anche dufficio. Sebbene nella maggior
parte dei casi siano certamente le parti a sollecitare il rinvio e a suggerire i termini dei quesiti da
sottoporre alla Corte, pur sempre il giudice che provvede alla loro formulazione; le parti non
possono n modificarne il tenore, n integrarli con altri. Tuttavia, esse potranno svolgere delle
osservazioni, sia scritte che orali, nella procedura dinanzi alla Corte di giustizia. In definitiva, anche
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


se nel corso della procedura emergono fatti diversi da quelli rappresentati nellordinanza di rinvio
del giudice nazionale, solo in funzione del contenuto di questa e dei quesiti formulati che la Corte
deve costruire la propria decisione.
14. Segue: GIUDIZIO CAUTELARE NAZIONALE E RINVIO PREGIUDIZIALE
Infine, opportuno richiamare lattenzione su alcune pronunce pregiudiziali di grande interesse, in
cui la Corte si soffermata sulla tutela cautelare che i giudici interni devono poter apprestare a
diritti vantati dai singoli in forza di norme dellUnione e in attesa della sentenza definitiva. Le
ipotesi sottoposte allattenzione della Corte sono state 3, tra loro speculari:
1) la 1 ipotesi quella del diritto vantato sulla base di una norma dellUnione e negato da
una legge o da un atto amministrativo nazionale. Tale ipotesi stata prospettata alla Corte
dal giudice inglese, davanti al quale la societ Factortame, deducendo lincompatibilit
comunitaria di una norma nazionale e dunque la necessit di non applicarla, chiedeva che, in
attesa della pronuncia definitiva, la sua applicazione fosse sospesa; in altri termini, chiedeva
la tutela cautelare del diritto che pretendeva essergli conferito da una norma dellUnione. La
Camera dei Lords, sul rilievo che il sistema inglese non consente al giudice di sospendere
lapplicazione di 1 legge di cui non sia stata accertata definitivamente lillegittimit,
chiedeva alla Corte di giustizia se in base al diritto dellUnione questo potere doveva
essergli viceversa riconosciuto. La risposta della Corte stata positiva e basata sullo stesso
fondamento lesigenza di dare piena e immediata applicazione al diritto dellUnione gi
utilizzato nella sentenza Simmenthal, dove pure era stato attribuito al giudice italiano un
potere (quello di non applicare egli stesso la norma contrastante con il diritto dellUnione,
prima e indipendentemente dal giudizio interno di legittimit costituzionale) che il diritto
nazione, cos come espressamente sancito dalla Corte costituzionale, gli negava.
Significativo stato in questa pronuncia il richiamo allart. 267, dunque proprio al
meccanismo che provvede al controllo sulla coerenza con il diritto dellUnione degli
ordinamenti nazionali e la cui utilit verrebbe ridotta se il giudice nazionale non potesse
concedere misure provvisorie fino allesito della causa.
2) La 2 ipotesi riguarda il potere del giudice nazionale di sospendere in via cautelare
lapplicazione di una normativa nazionale (legge o atto amministrativo) a ragione di una
pretesa illegittimit dellatto dellUnione di cui latto impugnato rappresenta la misura
interna di attuazione. Nella sostanza, si tratta per il giudice nazionale di sospendere
lapplicazione di 1 atto dellUnione, ci che in via di principio mal si concilierebbe con la
sua mancanza di competenza a pronunciarsi in via definitiva sulla sua validit, che
esclusiva del giudice dellUnione.
La giurisprudenza ha riconosciuto che il giudice nazionale, quale ne sia il rango, pu
eccezionalmente esercitare in via cautelare il potere in questione, purch operi un rinvio alla
Corte di giustizia affinch si pronunci in via pregiudiziale sulla validit dellatto. Per
pervenire ad un tale risultato, la Corte ha fatto valere, in particolare, lesigenza di coerenza
del sistema, dato che il rinvio pregiudiziale di validit , al pari dellazione diretta ex art.
263, uno strumento di controllo della legittimit degli atti dellUnione. Se dunque la Corte
pu sospendere lapplicazione di 1 atto nel contesto di unazione di annullamento, in base
allart. 278 TFUE, anche il singolo deve poter chiedere e ottenere dal giudice nazionale, sia
pure indirettamente, attraverso la sospensione dellatto interno di attuazione, la sospensione
dellatto dellUnione.
Ladozione di un provvedimento cautelare che investa un atto dellUnione richiede la presenza di
condizioni rigorose, e precisamente:
che vi siano, quanto al fumus boni iuris, consistenti riserve sulla validit dellatto;
che ricorra il periculum in mora;
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


che si tenga conto, nel bilanciamento degli interessi a confronto, in modo particolare
dellinteresse dellUnione;
che nella valutazione di tali presupposti il giudice nazionale osservi le eventuali pronunce
del giudice dellUnione.
15. Segue: GLI EFFETTI DELLA SENTENZA PREGIUDIZIALE
La sentenza interpretativa della Corte pronunciata su rinvio pregiudiziale vincola il giudice a quo,
che dunque tenuto a fare applicazione della norma dellUnione cos come interpretata dalla Corte,
alloccorrenza lasciando inapplicata la norma nazionale contrastante.
Tale sentenza pu e alloccorrenza deve essere considerata anche al di fuori del contesto
processuale che lha provocata, proprio perch si pronuncia su punti di diritto. Altri giudici, dunque
nonch le amministrazioni nazionali saranno tenuti a fare applicazione delle norme cos come
interpretate dalla Corte, determinando di conseguenza anche i diritti di cui i singoli possono godere.
Ci non esclude la possibilit di un ulteriore rinvio pregiudiziale:
sia per sollecitare un ripensamento della Corte sulla base di nuovi elementi o di una nuova
prospettazione;
sia semplicemente per avere dei chiarimenti sulla pronuncia gi resa.
Parzialmente diverso il caso della sentenza su rinvio pregiudiziale di validit. Quando la Corte si
pronuncia nel senso della validit dellatto dellUnione, leffetto strettamente limitato al caso di
specie e ai motivi specifici della censura: infatti, la formula di rito che dallesame delle questioni
sottoposte alla Corte non sono emersi elementi idonei ad inficiare la validit dellatto. Ci lascia
inalterata la possibilit di contestare la legittimit dellatto in un momento successivo per motivi
diversi.
Quando invece la Corte si pronuncia nel senso dellinvalidit dellatto, si produce sostanzialmente
lo stesso effetto di una sentenza di annullamento ex art. 263, dunque leffetto della cosa giudicata
sia formale che sostanziale. Listituzione che ha posto in essere latto, pertanto, potr solo adottare
un atto diverso che tenga conto dei motivi che hanno portato la Corte alla dichiarazione dinvalidit.
In definitiva, pur costituendo 1 pronuncia incidentale, la dichiarazione dinvalidit vincola nella
sostanza, oltre lamministrazione, anche gli altri giudici dinanzi ai quali latto dovesse essere ancora
invocato (n + n meno di quanto accade con 1 sentenza di annullamento).
Infine, merita attenzione il problema degli effetti nel tempo della sentenza pregiudiziale.
Normalmente, si tratta di unefficacia ex tunc, in quanto la pronuncia definisce la portata della
norma dellUnione cos come avrebbe dovuto essere intesa e applicata fin dal momento della sua
entrata in vigore. Ci vuol dire che leffetto della sentenza, sia interpretativa che dichiarativa
dellinvalidit di 1 atto dellUnione, si estende anche ai rapporti sorti in epoca precedente alla
sentenza stessa, purch non esauriti.
La giurisprudenza ha tuttavia esteso alle pronunce pregiudiziali la facolt di dichiararne lefficacia
ex nunc, facolt prevista dallart. 264 per le sole sentenze di annullamento.
Tale giurisprudenza stata fortemente contestata da alcuni giuristi nazionali, per il fatto che la
Corte, nel sue prime prese di posizione al riguardo, non aveva fatto salvi neppure i diritti dellattore
dinanzi al giudice nazionale. Del pari, la Corte costituzionale italiana ha giustamente sottolineato
che lefficacia ex nunc della dichiarazione dinvalidit che investa anche le parti della causa sarebbe
in contrasto con il principio fondamentale delleffettivit della tutela giurisdizionale.
Invero, nella successiva giurisprudenza la Corte ha sempre fatto salvi i diritti di coloro che prima
della data della sentenza avessero esperito unazione giurisdizione oppure proposto un reclamo
equivalente.
Richiamando il principio generale della certezza del diritto, la Corte ha anche limitato nel tempo gli
effetti di sentenze pregiudiziali interpretative, con riflessi sulla compatibilit con il diritto
dellUnione di norme nazionali. Nonostante la norma cos come interpretata dalla Corte debba
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


essere applicata dal giudice nazionale anche a rapporti sorti prima della sentenza, in quanto
questultima ne chiarisce la portata e le modalit applicative a partire dalla sua entrata in vigore,
pu sussistere lesigenza di limitare la possibilit per gli interessati di farla valere in relazione a
rapporti giuridici costituiti in buona fede.
Lipotesi di effetti ex nunc della sentenza interpretativa resta cmq eccezionale. La Corte vi ha fatto
ricorso solo in presenza di circostanze specifiche e ben precise:
il rischio di gravi ripercussioni economiche dovute allelevato numero di rapporti giuridici
costituiti in buona fede sulla base della normativa nazionale fino ad allora ritenuta valida;
un comportamento non conforme alla normativa dellUnione dovuto ad unobiettiva e
rilevante incertezza sulla portata delle disposizioni dellUnione, incertezza eventualmente
alimentata da comportamenti tenuti da altri Stati membri o dalla Commissione.
Diverso da quello dellefficacia nel tempo delle pronunce del giudice dellUnione il tema del
rispetto dei termini di decadenza o prescrizione posti dal diritto nazionale allesercizio di un diritto
e dellazione ad esso collegata. Per tale ipotesi rileva, per effetto della mancanza di una disciplina
dellUnione applicabile:
il principio del rispetto delle regole processuali nazionali, nei limiti dellequivalenza dei
rimedi posti a tutela di diritti attribuiti dal diritto nazionale e di quelli analoghi attribuiti dal
diritto dellUnione;
nonch, in ogni caso, il principio delleffettivit della tutela, cio la non impossibilit e non
eccessiva difficolt di esercitare un diritto attribuito da fonte dellUnione.
Spetta al giudice nazionale, in linea di principio, verificare se equivalenza ed effettivit ricorrano
nel caso concreto, salva la possibilit per il giudice dellUnione di fornire le indicazioni che ritenga
utili.
In definitiva, la giurisprudenza della Corte ha individuato un vero e proprio standard europeo di
tutela giurisdizionale dei diritti dei singoli, in particolare per quanto riguarda la motivazione degli
atti amministrativi, il diritto alla tutela giurisdizionale, ladeguatezza del risarcimento, lonere della
prova. Pertanto, il potere riservato agli Stati membri di utilizzare gli strumenti nazionali per
garantire la tutela giurisdizionale di diritti attribuiti dal diritto dellUnione in fatto sottoposto al
controllo della Corte di giustizia, controllo che fondato su 2 parametri:
1. quello della non discriminazione che impone di riservare ai diritti di origine dellUnione
almeno la stessa tutela riservata dallordinamento nazionale ai diritti attribuiti da
quellordinamento;
2. quello delleffettivit che impone ladeguatezza dei rimedi per garantire tutela effettiva
rispetto ai parametri individuati dalla Corte, come oggi espressamente ricordato dallart.
19 TUE.
16. I PARERI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA
La Corte di giustizia pu rendere anche pareri. Anzitutto, in virt dellart. 218, n. 11, TFUE, essa
competente a rendere pareri in ordine alla compatibilit con il trattato di accordi previsti fra
lUnione e Paesi terzi o organizzazioni internazionali, qualora vi sia 1 richiesta del PE, del
Consiglio, della Commissione o di uno Stato membro.
Il parere della Corte preventivo e dunque non pu che essere chiesto ed intervenire in un
momento precedente alla stipulazione. Tuttavia non c un termine a quo: come chiarito dalla stessa
Corte sufficiente, affinch la domanda di parere sia ricevibile, che loggetto dellaccordo sia gi
noto, anche se i negoziati siano ancora in una fase iniziale o addirittura non siano neppure iniziati,
in quanto si sia ritenuto opportuno avere il parere della Corte sulla competenza dellUnione a
stipulare laccordo. Per quanto riguarda loggetto del controllo, esso pu investire non solo le
disposizioni di diritto sostanziale, ma anche quelle che riguardano la competenza, la procedura o
lorganizzazione istituzionale dellUnione.
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


Va sottolineato che lipotesi in esame, anche se tradizionalmente classificata come competenza
consultiva, si colloca + correttamente tra i procedimenti di controllo della legittimit degli atti
dellUnione. Lo scopo del parere, in definitiva, quello di evitare che i dubbi di compatibilit con i
Trattati o anche di competenza a stipulare dellUnione diano luogo ad un contenzioso successivo
alla stipulazione, ci che potrebbe creare complicazioni e pregiudicare gli interessi delle parti. Ed
questa anche la ragione che ha determinato la Corte a rispondere alla richiesta di parere, almeno sul
punto della competenza, anche in una fase del tutto preliminare, sia rispetto alla determinazione del
contenuto dellaccordo, sia rispetto allinizio dei negoziati. La circostanza che un preteso vizio
dellatto non sia stato preventivamente oggetto di parere non preclude la strada dellimpugnazione
e, viceversa, la possibilit di altre procedure di controllo giurisdizionale non preclude la richiesta di
parere.
Se la Corte si pronuncia nel senso dellincompatibilit di alcune disposizioni dellaccordo,
questultimo non potr entrare in vigore. Ne consegue che se permane linteresse e la volont di
stipularlo, esso dovr essere modificato di conseguenza, oppure dovr procedersi ad 1 modifica non
dellaccordo ma dei Trattati (alle condizioni stabilite dallart. 48 TUE); ma si tratta di uneventualit
certo + remota.
Invece, in caso di parere positivo la stessa giurisprudenza dellUnione ha cmq ammesso la
possibilit di un controllo successivo sullaccordo ex art. 263 TFUE.
Infine, ai sensi dell'art. 103 del Trattato CEEA, la Corte emette delle deliberazioni preventive su
richiesta di uno Stato membro, nellipotesi in cui sia sorto un contrasto tra questultimo e la
Commissione in merito alla compatibilit con il Trattato di un progetto di accordo negoziato dallo
stesso Stato con:
uno Stato terzo,
unorganizzazione internazionale
o un cittadino di uno Stato terzo.
Lo Stato membro di cui si tratta tenuto a conformarsi alla deliberazione della Corte.

17. SANZIONI PER LE VIOLAZIONI DEL DIRITTO DELLUNIONE E OBBLIGO


RISARCITORIO DELLO STATO INADEMPIENTE NEI CONFRONTI DEL SINGOLO
I Trattati di Roma (CE e EURATOM) non prevedevano nessuna specifica sanzione per il caso di
violazione degli obblighi comunitari da parte degli Stati membri, limitandosi a predisporre le
procedure per laccertamento giurisdizionale delle infrazioni. In questo ambito, stata anzitutto la
prassi ad individuare dei meccanismi che, in presenza di determinate condizioni, consentono di
collegare a talune infrazioni commesse dagli Stati membri delle misure di tipo sanzionatorio. In
particolare, vengono in rilievo le ipotesi in cui la violazione comporta per lo Stato membro la
perdita del diritto ad un finanziamento dellUnione.
Il limite di questi rimedi risiede nella loro portata molto ridotta, in quanto riguardano solo infrazioni
collegate ad attivit finanziate dallUnione e non le infrazioni degli Stati membri in genere; pertanto
la loro rilevanza resta alquanto circoscritta.
Le preoccupazioni sulleffettivit delle norme dellUnione, in particolare a ragione dei ritardi che
spesso si registrano nel processo di adeguamento formale e sostanziale dei sistemi giuridici
nazionali, sono andate aumentando con il consolidarsi del processo dintegrazione; infatti, il livello
ormai raggiunto da tale processo tale da non poter prescindere da unapplicazione corretta,
uniforme e diffusa di tutte le regole, pena la discriminazione tra i cittadini.
Anche per questo, il problema della sanzione per le infrazioni del diritto dellUnione si pone in
modo particolare rispetto allipotesi di mancata o non corretta trasposizione delle direttive. Infatti
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


gli inadempimenti degli Stati implicano una lesione di 2 essenziali fattori di equilibrio del sistema, e
precisamente:
1. la parit di trattamento allinterno dellUnione
2. e la solidariet dellUnione
Ci va inteso nel senso che la violazione grave consiste nel creare o mantenere disarmonia
in un sistema giuridico che ha come obiettivo fondamentale proprio linterpretazione e
lapplicazione uniforme di regole comuni e almeno coordinate. [il fatto che uno Stato, in
considerazione dei propri interessi nazionali, rompa unilateralmente lequilibrio tra i
vantaggi e gli oneri derivanti dalla sua appartenenza alla Comunit, lede luguaglianza
degli Stati membri dinanzi al diritto comunitario e determina discriminazioni a carica dei
loro cittadini.] [sent. ]
A proposito della sentenza che dichiara linadempimento, 1 rimedio stato introdotto dal Trattato di
Maastricht attraverso 1 modificazione dellart. 260 (gi 228), che prevede ormai la possibilit di 1
sanzione pecuniaria x lipotesi di perdurante inadempimento. Al riguardo, peraltro, si gi espressa
qualche perplessit sulla reale forza deterrente di 1 sanzione di quel tipo, che rimane di ispirazione
internazionalistica. In ogni caso, ogni valutazione sarebbe prematura: occorre attendere il
consolidarsi di una prassi in materia, sia della Commissione che della Corte, prassi che ancora
insufficiente.
In una prospettiva diversa, in maggiore sintonia con le caratteristiche peculiari del sistema giuridico
dellUnione, si inquadra la giurisprudenza che ha affermato il diritto del singolo al risarcimento del
danno patrimoniale subto per effetto dellinadempimento dello Stato membro. Infatti tale
prospettiva quella che fa leva sui mezzi predisposti dal sistema per rafforzare leffettivit delle
norme dellUnione attraverso uneffettiva tutela giurisdizionale apprestata alle posizioni giuridiche
create da quelle norme in capo ai singoli.
Da tempo, gi con riguardo alla CECA, la giurisprudenza aveva affermato che lart. 86 impone allo
Stato membro non solo di revocare latto legislativo o amministrativo incompatibile con il diritto
comunitario, ma anche di riparazione gli illeciti effetti che ne possono essere derivati. Sebbene in
quelloccasione si trattasse di restituire somme indebitamente riscosse, la formula utilizzata era
abbastanza ampia per comprendere anche lipotesi di un risarcimento del danno eventualmente
subto.
Va poi segnalata in proposito quella giurisprudenza che respinge leccezione di irricevibilit del
ricorso o di cessata materia del contendere quando, nel corso del giudizio o cmq dopo la scadenza
dei termini fissati nel parere motivato, lo Stato membro convenuto metta fine allinfrazione
contestatagli ai sensi dellart. 258. In tal caso, infatti, la risposta della Corte proprio nel senso che
la pronuncia che riconosce linadempimento pu costituire il presupposto il titolo delleventuale
responsabilit dello Stato nei confronti, oltre che dellUnione e/o di altri Stati membri, anche dei
singoli. In altri termini, linteresse alla prosecuzione del giudizio, anche dopo che il contestato
inadempimento sia stato fatto cessare, pu ben consistere nello stabilire con la sentenza il
presupposto delleventuale responsabilit dello Stato nei confronti dei singoli che abbiano subto un
danno patrimoniale a seguito dellinadempimento.
Anche successivamente, e in pronunce pregiudiziali, si ritrova chiara laffermazione che, quando il
pregiudizio al singolo derivi dalla violazione di 1 norma di diritto comunitario da parte dello Stato,
questo dovr risponderne, nei confronti del soggetto leso, in conformit alle disposizioni di diritto
interno relative alla responsabilit della pubblica amministrazione.
Questa giurisprudenza stata poi definitivamente consacrata nella celebre sentenza
FRANCOVICH (1991), relativa alle conseguenze della mancata trasposizione di una direttiva da
parte di uno Stato membro. In particolare, si trattava di 1 direttiva che, a tutela dei lavoratori in caso
dinsolvenza del datore di lavoro, imponeva agli Stati membri di istituire un meccanismo di
garanzia per i crediti retributivi maturati; direttiva che lItalia non aveva trasposto. Pertanto il
giudice italiano chiedeva alla Corte se, di fronte allinadempimento dello Stato, i singoli potessero
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


far valere direttamente i benefici della direttiva, nonch e cmq pretendere dallo Stato membro il
risarcimento del danno subto.
La Corte ha enunciato il principio di diritto richiesto dal giudice nazionale: sarebbe messa a
repentaglio la piena efficacia delle norme comunitarie e sarebbe infirmata la tutela dei diritti da esse
riconosciuti se i singoli non avessero la possibilit di ottenere un risarcimento ove i loro diritti siano
lesi da una violazione del diritto comunitario imputabile ad uno Stato membro La possibilit di
risarcimento a carico dello Stato membro particolarmente indispensabile qualora, come nella
fattispecie, la piena efficacia delle norme comunitarie sia subordinata alla condizione di unazione
da parte dello Stato e, di conseguenza, i singoli, in mancanza di tale azione, non possano far valere
dinanzi ai giudici nazionali i diritti loro riconosciuti dal diritto comunitario Ne consegue che il
principio della responsabilit dello Stato per danni causati ai singoli da violazioni del diritto
comunitario ad esso imputabili inerente al sistema del Trattato.
Una volta affermata lesistenza del principio di responsabilit, la Corte ha precisato le condizioni
per darne attuazione concreta, nel senso:
a) che il risultato prescritto dalla direttiva implichi lattribuzione di diritti a favore dei
singoli;
b) che il contenuto di tali diritti possa essere individuato sulla base delle disposizioni della
direttiva;
c) che sussista un nesso di causalit tra la violazione dellobbligo a carico dello Stato e il
danno subto dai soggetti lesi.
N.B.: In definitiva, continua la Corte, tali condizioni sono sufficienti per far sorgere a
vantaggio dei singoli un diritto ad ottenere un risarcimento, che trova direttamente il suo
fondamento nel diritto dellUnione.
Successivamente, alla Corte sono state sottoposte altre e diverse ipotesi di responsabilit dello Stato
nei confronti dei singoli per violazione di norme dellUnione, nonch 1 fattispecie del tutto simile a
quella di Francovich.
Nella sentenza principale, Brasserie du Pcheur e Factortame, si riaffermato il principio della
responsabilit patrimoniale dello Stato per fatto del legislatore e lo si qualificato, come gi in
Francovich, inerente al sistema. Se ne anche riaffermato il fondamento nellesigenza di
effettivit dei rimedi giurisdizionali apprestati dagli Stati membri a tutela dei diritti attribuiti ai
singoli da norme dellUnione.
Uno dei principali punti da approfondire dopo Francovich, infatti, era se la responsabilit
patrimoniale dello Stato membro nei confronti dei singoli potesse essere evocata e fatta valere
soltanto in presenza di 1 violazione di norme prive di effetto diretto, per essere queste in particolare
non invocabili da parte del singolo dinanzi al giudice, o anche quando la violazione riguardasse
norme aventi effetto diretto e dunque invocabili dinanzi al giudice. Invero, le disposizioni della
direttiva sulla garanzia dei lavoratori evocate nella Francovich, mentre avevano destinatari e
contenuto ben individuati e pertanto erano sufficientemente precise e incondizionate, lasciavano
agli Stati membri un ampio margine di discrezionalit quanto alla predisposizione di un sistema
istituzionale di garanzia, ivi compresa lidentificazione del soggetto debitore. A fronte di questa
situazione, la Corte pervenuta alla conclusione della non invocabilit delle conferenti disposizioni
della direttiva dinanzi al giudice nazionale, qualora, come nella specie lItalia, non avesse proceduto
allidentificazione del soggetto debitore. In realt, in Francovich la costruzione giuridica era stata
un po forzata, allo scopo di pervenire cmq allaffermazione della responsabilit patrimoniale dello
Stato nei confronti del singolo per lipotesi di mancata trasposizione delle direttive: dalla violazione
dellobbligo, sancito da 1 norma generale del Trattato (lart. 288) sprovvista di effetto diretto, di
realizzare con la trasposizione il risultato voluto dalla direttiva, si era ricostruito con un lieve ma
evidente salto logico 1 diritto dei beneficiari di ricevere una compensazione patrimoniale
corrispondente al trattamento salariale oggetto della direttiva stessa, trasformando in debitore del
singolo il legislatore inadempiente nei confronti dellUnione.
96

[Digitare il titolo del documento] ed.)


La Corte, al quesito se la stessa conclusione dovesse pervenirsi nellipotesi di violazione di una
norma provvista di effetto diretto pieno, dunque invocabile dinanzi al giudice, ha dato
giustamente 1 risposta positiva nelle pronunce successive a Francovich: infatti quando la norma
provvista di effetto diretto, la tutela a favore del singolo non solo c gi, ma direttamente
azionabile dallo stesso singolo, con la conseguenza che resta solo da accompagnare questa tutela
sostanziale e processuale con quel minus che la tutela patrimoniale.
Altro tema da approfondire, anchesso collegato al fondamento della responsabilit, riguarda la
stessa possibilit di estenderne lapplicazione alla violazione di un obbligo dellUnione dello Stato
membro dovuta specificamente allattivit o allinattivit del legislatore. Ora, allindividuazione del
fondamento della responsabilit in un principio generale, comune al diritto dellUnione e agli
ordinamenti degli Stati membri, che vuole risarcito il danno ingiusto, vanno collegate 2
implicazione, e precisamente:
1) la prima (tipica della disciplina dei rapporti internazionali) che non rileva a quale
organo nazionale sia imputabile la violazione, dovendo tutti gli organi dello Stato
contribuire allosservanza delle norme dellUnione dirette a regolare e tutelare la situazione
soggettiva dei singoli;
2) in 2 luogo lesigenza fondamentale di applicazione uniforme delle norme dellUnione
impedisce che lesistenza e la portata dellobbligo di risarcimento per la violazione di norme
europee dipenda dal riparto di competenze tra organi interni in ciascuno Stato membro, pena
una discriminazione tra i cittadini dellUnione.
Va poi aggiunto un ulteriore rilievo di carattere generale. Che lattivit legislativa sia la
massima espressione della sovranit un dato incontestato e incontestabile. Ma
precisamente nellesercizio dei poteri sovrani che gli Stati possono procedere e di fatto
hanno proceduto a limitare la propria libert anche rispetto allattivit legislativa
attribuendo determinate competenze normative alle istituzioni dellUnione. Nel momento in
cui queste istituzioni, attraverso gli strumenti normativi alluopo predisposti, creano precisi
vincoli per i legislatori nazionali, questi sono tenuti a rispettare i limiti che essi stessi si sono
impegnati a rispettare. In questo contesto, il legislatore pu non essere + titolare di 1 potere
discrezionale assoluto, ma avere, nelle materie ed entro i limiti da esso stesso determinati,
obblighi + o meno precisi di legiferare in un modo piuttosto che in un altro. Ebbene, quando
questi vincoli non vengono rispettati o vengono in qualche modo compromessi rispetto a
quanto prescritto dalla norma dellUnione, in quanto il legislatore nazionale non osserva un
obbligo imposto allo scopo di realizzare diritti in capo ai singoli e dunque impendendo che
quei diritti vengano ad esistenza, non c ragione di negare il diritto dei singoli ad agire per
il risarcimento del danno subto.
Il discorso non cambia in relazione alle violazioni del diritto dellUnione da parte del potere
esecutivo, come avviene, ad es., nellipotesi in cui il danno sia provocato da un comportamento
illegittimo imputabile allamministrazione centrale o periferica. Questo principio trova applicazione
anche nellipotesi in cui la violazione del diritto dellUnione derivi dalla decisione di un organo
giurisdizionale di ultimo grado. Al riguardo dobbiamo ricordare la sentenza Kbler, la quale ha
messo in chiara evidenza che la tutela dei diritti derivanti dal diritto comunitario (ora dellUnione)
sarebbe affievolita se fosse escluso che i singoli possano, ad alcune condizioni, ottenere un
risarcimento allorch i loro diritti sono lesi da una violazione del dir. comunitario imputabile a una
decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado di uno Stato membro. In sostanza, il
giudice di ultima istanza, qualora ne ricorrano le condizioni, tenuto a lasciare il passo alla Corte di
giustizia e a rispettarne le competenze, altrimenti rischia di coinvolgere la responsabilit dello Stato
di appartenenza.
Le conclusioni alle quali pervenuta la Corte non dovrebbero applicarsi in linea di principio alle
violazioni del diritto dellUnione riconducibili alle decisioni di 1 giudice nazionale non di ultima
istanza:
97

[Digitare il titolo del documento] ed.)


sia perch su di esso non grava lobbligo di sollevare un quesito pregiudiziale alla Corte di
giustizia;
sia perch la sua decisione pu essere impugnata dinanzi ad un giudice di grado superiore.
Ci nonostante, c chi ha ipotizzato che in presenza di una violazione sistematica del
diritto dellUnione da parte di 1 giudice non di ultima istanza possa sorgere 1 responsabilit
dello Stato membro, tanto + nellipotesi di uninterpretazione consolidata della
giurisprudenza dellUnione.
Relativamente alle condizioni del diritto al risarcimento, si anzitutto precisato che le condizioni
della responsabilit degli Stati membri non devono essere diverse, a parit di situazioni, da quelle
che sono richieste per la responsabilit dellUnione: la tutela dei diritti attribuiti ai singoli dal
diritto comunitario non pu variare in funzione della natura, nazionale o comunitaria, dellorgano
che ha cagionato il danno. Viceversa, in Francovich la Corte aveva escluso lipotesi di subordinare
la responsabilit dello Stato alle stesse condizioni (relative allillegalit dellatto, alla realt e
consistenza del danno, al nesso di causalit) affermate con riguardo alla responsabilit dellUnione,
ma applicate notoriamente in modo restrittivo. Questa severit, invero, stata da sempre fondata sul
presupposto che, come x quello legislativo in genere, lesercizio del potere normativo delle
istituzioni dellUnione non pu e non deve essere compromesso dal rischio di subire azioni per
danni ogniqualvolta si debbano porre in essere provvedimenti di interesse generale ma suscettibili
di ledere interessi del singolo; comunque la pronuncia Francovich non distingue tra atti del potere
legislativo o del potere esecutivo.
Cogliendo loccasione, la Corte ha precisato che le condizioni della responsabilit degli Stati
membri e dellUnione devono essere le stesse, a parit di situazioni, accomunando il legislatore
nazionale a quello dellUnione anche nellipotesi in cui NON vi sia alcun potere discrezionale, ma
per luno o per laltro un preciso obbligo di risultato, di condotta o di astensione, come lobbligo di
trasporre una direttiva entro un determinato termine sancito dallart. 288.
Le 3 condizioni della responsabilit patrimoniale della Stato (e dunque anche dellUnione) sono
pertanto:
1) che la norma violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli (in sostanza, il diritto dei
singoli, effetto diretto o no, deve essere pienamente e immediatamente riconoscibile);
2) che la violazione sia grave e manifesta. Su tale condizione della responsabilit, la Corte ha
indicato gli elementi che il giudice nazionale, cui spetta in definitiva e almeno in linea di
principio lapprezzamento nel caso di specie, pu e deve prendere in considerazione:
il grado di chiarezza e precisione della norma dellUnione;
lampiezza del potere discrezionale consentito dalla norma che in definitiva il
criterio decisivo. cos, ad es., qualora nel tempo della violazione lo Stato membro
disponesse di un margine di discrezionalit ridotto o addirittura inesistente, la
semplice violazione del diritto dellUnione potrebbe essere ritenuta sufficiente per
accertare lesistenza di 1 violazione grave e manifesta. Non sembra eccessivo
applicare questo principio anche al giudice nazionale di ultima istanza, nellipotesi
in cui non disponga di alcuna discrezionalit quanto al rinvio pregiudiziale e sia
quindi obbligato ad effettuarlo. Ed infatti, in questo caso la posizione del giudice di
ultima istanza sembra paragonabile a quella degli organi legislativi e amministrativi
di uno Stato membro che non sono chiamati ad effettuare scelte normative, in
quanto si trovano di fronte ad una competenza vincolata.
Da considerare anche:
il carattere intenzionale o involontario della trasgressione;
la scusabilit o no delleventuale errore di diritto;
il comportamento di unistituzione dellUnione che abbia potuto
concorrere allinfrazione.
98

[Digitare il titolo del documento] ed.)


N.B.: La Corte ha anche precisato, inverto utilmente, che la violazione grave
e manifesta ricorre in ogni caso quando permane dopo una pronuncia che
abbia accertato linadempimento o esista una solida giurisprudenza in
materia. Inoltre, importante che sia stata esclusa subito e con chiarezza la
necessit di un previo accertamento della Corte, specie se limitato alle
procedure dinfrazione. Infatti questo limite, considerata la discrezionalit di
cui dispone la Commissione al riguardo, si sarebbe tradotto in una violazione
del principio di effettivit della tutela giurisdizionale
3) che vi sia 1 nesso di causalit tra violazione e danno. La colpa, invece, non una
condizione della responsabilit, ma pu contribuire a determinare la gravit della
violazione.
Peraltro, pur tenendo distinta lipotesi in cui lo Stato goda di un ampio potere discrezionale (casi
Brasserie du Pcheur e Factortame) da quella in cui ne ha poco o nessuno (caso Francovich), la
Corte ha inteso riferire le 3 condizioni della responsabilit individuate nella pronuncia Brasserie du
Pcheur ad entrambe le ipotesi.
Perch sia garantita una tutela effettiva, occorre che lammontare del risarcimento sia adeguato. Al
riguardo, le condizioni stabilite dal diritto nazionale non possono essere meno favorevoli di quelle
riguardanti situazioni analoghe interne, n tali da rendere praticamente impossibile o
eccessivamente difficile il risarcimento. Ci sufficiente per ritenere che in materia trovino
applicazione sia il principio di equivalenza (o di non discriminazione) sia quello di effettivit della
tutela giurisdizionale.
18.
LE
RICADUTE
DELLA
GIURISPRUDENZA
DELLUNIONE
SULLA
RESPONSABILIT
EXTRACONTRATTUALE
DEGLI
STATI
MEMBRI
NELLORDINAMENTO ITALIANO
Infine meritano qualche rilievo le ricadute della giurisprudenza dellUnione in tema di
responsabilit extracontrattuale degli Stati membri nellordinamento italiano. Al riguardo, in
un 1 tempo la Corte di cassazione, sulla premessa che diritto dellUnione non pu che imporre un
risultato agli Stati membri, mentre la qualificazione della posizione giuridica soggettiva dei singoli
compito dellordinamento interno, ha rilevato che la funzione legislativa sottratta a qualsiasi
sindacato giurisdizionale e che di fronte allesercizio del potere politico non sono configurabili
situazioni soggettive protette dei singoli. La conseguenza era, per la Cassazione, che di fronte
allattivit o inattivit del legislatore non si pu parlare di responsabilit da illecito ai sensi dellart.
2043 cod. civ.; n si pu configurare un diritto del singolo al risarcimento del danno per mancata
attuazione di una direttiva, ma solo un diritto ad essere indennizzati delle diminuzioni patrimoniali
subite in conseguenza dellesercizio di un potere non sindacabile dalla giurisdizione.
Levoluzione successiva della giurisprudenza, dopo aver percorso la diversa strada del risarcimento
del danno nella prospettiva e nella logica della responsabilit aquiliana sancito dallart. 2043 cod.
civ., di recente sembra ritornata sulle posizioni iniziali, dellobbligazione ex lege e di natura
indennitaria dello Stato inadempiente, con prescrizione decennale. Il presupposto che lo Stato
abbia violato un preciso obbligo ancorato alla sua appartenenza allUE, obbligo che trova il suo
fondamento in chiare disposizioni dei Trattati, nonch nellart. 11 Cost..
A ci si aggiunga la giurisprudenza in tema di risarcimento dei danni da lesione di interessi
legittimi, inaugurata dalle Sezioni Unite della Cassazione, che ha segnato una svolta storica e che
certamente chiude il cerchio sulle possibilit per il giudice di affermare la responsabilit dello Stato
legislatore per atti normativi.
Lattenzione si anche focalizzata sulla responsabilit dello Stato originata da fatto del giudice, per
pronunce in contrasto con il diritto dellUnione. Anzitutto, la Corte di giustizia ha chiarito nella
sentenza Kbler che lautorit di cosa giudicata non di alcun ostacolo al riconoscimento della
99

[Digitare il titolo del documento] ed.)


responsabilit extracontrattuale dello Stato, che anzi presuppone lassenza di rimedi giurisdizionali.
In relazione alla legge italiana sulla responsabilit civile dei magistrati, inoltre, la Corte si
pronunciata nel senso che incompatibile con il diritto dellUnione 1 legislazione nazionale:
che escluda o limiti la responsabilit dei giudici alle sole ipotesi di dolo e colpa grave;
e che escluda in maniera generale la responsabilit del giudice di ultimo grado per
linterpretazione delle norme e dei fatti.
In particolare, la normativa italiana sulla responsabilit civile dei giudici non pu in qualche
modo condizionare o limitare la responsabilit dello Stato per violazione del diritto
dellUnione.
19. CENNI SULLA PROCEDURA
Il procedimento dinanzi al Tribunale e alla Corte regolato, oltre che dalle conferenti norme dei
Trattati e del Protocollo sullo Statuto della Corte di giustizia, anche dai rispettivi regolamenti di
procedura. Il procedimento prevede una fase scritta e una fase orale, prima che si proceda alla
decisione della causa; e naturalmente vi qualche differenza a seconda che si tratti di azione diretta
o di rinvio pregiudiziale, e precisamente:
A) nelle azioni dirette promosse dinanzi al Tribunale o alla Corte (annullamento, carenza,
responsabilit extracontrattuale), la procedura attivata con un ricorso da presentarsi entro il
termine indicato x ciascuna azione dal TFUE. Per lazione di annullamento, ad es., il
termine di 2 mesi dalla pubblicazione, dalla notifica al ricorrente o dal giorno in cui ha
avuto conoscenza dellatto. A tale termine, poi, andava aggiunto un certo periodo, diverso x
ciascun Paese membro, calcolato in base alla distanza dal Lussemburgo della residenza della
parte; oggi il periodo x tutti di 10 gg. Il ricorso contiene:
1 lindicazione delle parti e dei difensori, con la precisazione del domicilio eletto;
2 lesposizione delloggetto della controversia, dei mezzi dedotti e delle prove che
eventualmente si offrono;
3 nonch lesatta enunciazione della domanda.
Il ricorso redatto nella lingua del ricorrente, a meno che il convenuto non sia uno Stato
membro, com il caso nelle procedure dinfrazione; in questo caso si utilizza la lingua
dello Stato.
Il ricorso viene inviato a mezzo raccomandata alla cancelleria della Corte, che provvede
alle traduzioni, alla pubblicazione dellessenziale nella Gazzetta Ufficiale, nonch alla
notifica alla controparte. Entro 1 mese, la controparte pu presentare un controricorso.
Le parti hanno anche diritto a presentare rispettivamente una replica e una controreplica
entro 1 mese. I termini, peraltro, possono essere prorogati, su richiesta delle parti, dal
Presidente del Tribunale o dalla Corte.
B) La procedura pregiudiziale inizia, viceversa, dinanzi al giudice nazionale, con la
sospensione del procedimento e la rimessione di unordinanza alla Corte di giustizia con i
quesiti dinterpretazione o di validit del diritto dellUnione che richiedono una risposta
ai fini della decisione. Lordinanza, che deve contenere un quadro essenziale ma esauriente
degli elementi di fatto e di diritto della causa, nonch lesposizione chiara dei motivi che
rendono necessaria una pronuncia del giudice dellUnione ai fini della decisione del giudice
a quo, va trasmessa direttamente dunque non x via diplomatica, ma semplicemente x posta
alla cancelleria della Corte a Lussemburgo.
La cancelleria provvede alla traduzione dellordinanza nelle lingue ufficiali e la trasmette,
oltre che alle parti, anche alla Commissione, ad altre istituzioni dellUnione interessate (ad
es. il Consiglio, quando un rinvio di un atto del Consiglio) e agli Stati membri, nonch non
membri, nel caso di pregiudiziale su un accordo della Comunit con Stati terzi. Questi
soggetti possono presentare osservazioni scritte entro il termine di 2 mesi e cmq partecipare
100

[Digitare il titolo del documento] ed.)


alludienza per manifestare la propria posizione oralmente. Il giudice relatore e lavvocato
generale possono chiedere alle parti le informazioni supplementari su fatti, documenti o altri
elementi; le risposte sono comunicate alle altre parti. In base allart. 104, n. 5, la Corte pu
chiarimenti anche al giudice nazionale, salvo ad integrare il contraddittorio con le parti.
La lingua della procedura quella del giudice di rinvio.
Il ritiro della domanda di pronuncia pregiudiziale da parte del giudice rimettente porta alla
cancellazione della causa dal ruolo.
Nei ricorsi diretti, le parti diverse dagli Stati membri e dalle istituzioni dellUnione devono essere
rappresentate da un avvocato abilitato al patrocinio in uno Stato membro, anche quando la parte sia
essa stessa un avvocato.
Nelle procedure pregiudiziali, viceversa, le parti possono essere difese dai soggetti abilitati a
difenderle nella fase nazionale, dunque anzitutto gli avvocati; ma non escluso che in alcuni settori
specifici (ad es. quello tributario o quello previdenziale) la difesa possa non essere esercitata da un
avvocato, bens da un commercialista e rispettivamente un consulente del lavoro, purch siano
rispettate le regole valide in proposito nei sistemi giuridici nazionali.
Gli Stati membri e le istituzioni dellUnione possono intervenire in tutte le procedure attivate con
ricorso dinanzi al giudice dellUnione:
sia a supporto della domanda;
sia per contestarla.
N.B.: Lintervento consentito anche alle persone fisiche o giuridiche, a condizione che
provino di essere direttamente investite dalla decisione impugnata ed abbiano un interesse
alla soluzione della controversia.
La fase orale comprende la presentazione di una relazione da parte del giudice relatore, laudizione
degli agenti, consulenti e avvocati e, se del caso, dei testimoni e dei periti, infine le conclusioni
dellavvocato generale.
Pi precisamente, dopo lultima memoria ed esaurita la fase della traduzione degli atti e dei
documenti nelle lingue che occorrono (almeno in francese, che la lingua interna di lavoro della
Corte), il giudice relatore, sentito lavvocato generale, deposita una relazione dudienza (che
riassume i termini essenziali della causa, il quadro normativo e la posizione delle parti). Sulla base
di questa relazione, che viene inviata alle parti x eventuali richieste di modificazioni e integrazioni,
viene deciso dal Tribunale o dalla Corte nel loro insieme se la causa richiede o meno un
supplemento di istruttoria, di documentazione o altro. In caso affermativo si fanno richieste o si
pongono dei quesiti alle parti, si fissa la composizione del collegio (plenaria o sezione) e la data
delludienza o, in mancanza, delle conclusioni dellavvocato generale.
Aludienza, i difensori delle parti principali e intervenienti espongono i punti principali delle
rispettive posizioni giuridiche che non siano stati sufficientemente illustrati nel corso della
procedura scritta; e rispondono alle eventuali domande del collegio e dellavvocato generale.
La fase orale termina con la lettura in udienza pubblica del dispositivo delle conclusioni
dellavvocato generale, nella lingua di questultimo.
Il dispositivo della sentenza della Corte o del Tribunale, allesito della fase deliberativa, viene letto
in udienza pubblica, nella lingua di procedura. La traduzione nelle altre lingue ufficiale anchessa
immediatamente disponibile. Nella G.U. viene pubblicato il dispositivo della sentenza. Nelle
procedure pregiudiziali, la cancelleria del giudice a quo riceve copia delle conclusioni dellavvocato
generale e della sentenza.
Il regolamento di procedura della Corte (art. 92) prevede che quando sussista una manifesta
incompetenza del giudice o latto introduttivo sia manifestamente irricevibile, la Corte pu
decidere, sentito lavvocato generale, con ordinanza motivata. Lo stesso dicasi quando nella
procedura pregiudiziale:
la questione posta identica ad una sulla quale la Corte ha gi statuito;
quando la risposta al quesito del giudice nazionale pu essere dedotta chiaramente dalla
101

[Digitare il titolo del documento] ed.)


giurisprudenza;
o quando la questione posta non lascia dubbi ragionevoli.
Il Tribunale, invece, pu fare altrettanto anche in caso di ricorso manifestamente infondato.
Con le modificazioni in vigore dal 1 luglio 2000, come successivamente emendate, stata prevista
la possibilit di una procedura pregiudiziale accelerata, in deroga alle disposizioni del regolamento
di procedura, in caso di comprovata urgenza straordinaria (art. 104-bis). In questo caso, viene
fissata immediatamente la data dudienza e le parti possono presentare memorie scritte sui punti
essenziali della questione pregiudiziale e partecipare alludienza orale. La Corte statuisce, sentito
lavvocato generale: ci che esclude le conclusioni scritte.
Pi in generale, con le modifiche intervenute nei regolamenti di procedura della Corte e del
Tribunale, si introdotta la possibilit di una procedura accelerata, su domanda di una delle parti e
quando lo richiede la particolare urgenza del caso. Di rilievo che il contraddittorio scritto si riduce
ad una memoria, che possibile integrare le prove anche nel corso delludienza orale e che
lavvocato generale solo sentito.
Prima del 2004 tutte le sentenze e le conclusioni degli avvocati generali erano pubblicate nella
Raccolta della giurisprudenza della Corte e del Tribunale, edita in tutte le lingue ufficiali della
Comunit; ed erano naturalmente disponibili su Internet a partire dal giorno della pronuncia. Nel
corso del 2004 si deciso, invece, di adottare una politica di pubblicazione selettiva delle decisioni
nella Raccolta, per far fronte alladesione di nuovi Stati e al conseguente aumento del carico di
lavoro, specie dei traduttori.

PARTe seconda
Il mercato interno
CAPITOLO 4
LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
1. LA CENTRALIT DEL MERCATO INTERNO NEL SISTEMA DELLUNIONE.
INTEGRAZIONE NEGATIVA E INTEGRAZIONE POSITIVA
Nel processo di integrazione europea globalmente considerato, la realizzazione di un mercato
interno delle merci e dei fattori della produzione (lavoro, servizi e capitali) ha avuto da sempre un
ruolo centrale. La Corte ha + volte ribadito che gli articoli del Trattato relativi alla libera
circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali sono norme fondamentali per
lUnione ed vietato qualsiasi ostacolo, anche di minore importanza, a detta libert. Lo
conferma, tra laltro, la circostanza che nel linguaggio non tecnico, lespressione mercato comune
viene spesso utilizzata addirittura come sinonimo di UE.
Eppure, lespressione non ha ricevuto una specifica definizione nel Trattato. Ne troviamo una, ma
solo molto + tardi, in una sentenza della Corte di giustizia, dove si rileva che la nozione di
102

[Digitare il titolo del documento] ed.)


mercato comune mira ad eliminare ogni intralcio per gli scambi intracomunitari al fine di
fondere i mercati nazionali in un mercato unico il pi possibile simile ad un vero e proprio mercato
interno. Si ritrova poi unanaloga definizione allart. 26 TFUE, a riguardo dellespressione
mercato interno: spazio senza frontiere interne, nel quale assicurata la libera circolazione delle
merci, delle persone, dei servizi e dei capitali. Bisogna precisare che le espressioni:
mercato comune
mercato interno
sono in pratica equivalenti e quindi utilizzate indifferentemente
mercato unico
La realizzazione del mercato unico era prefigurata allart. 2 del Trattato di Roma come lo strumento
atto a:
1 promuovere lo sviluppo armonioso delle attivit economiche nellinsieme della Comunit
2 e perseguire, pi in generale, i compiti della Comunit enunciati nello stesso art. 2.
Quindi gli Stati membri devono svilupparsi armoniosamente , ma anche ravvicinarsi
gradualmente.
Pi in generale, va considerato che la gradualit del processo di integrazione ha fatto prevalere, nel
corso della prima generazione del regime di liberalizzazione, soprattutto la dimensione c.d.
negativa dellintegrazione fra i mercati e fra le attivit economiche degli Stati membri. Dunque si
posto laccento in particolare sulleliminazione delle barriere poste dagli Stati agli scambi in merci,
in persone, in servizi e in capitali, con una serie di divieti imposti agli Stati membri; lo stesso dicasi
per le regole di concorrenza, cos strettamente legate al regime di libert degli scambi.
La chiave di lettura delle conferenti norme del Trattato stata chiara molto presto: considerazione
delle responsabilit di politica economica e monetaria lasciate agli Stati membri dal Trattato, ma
nessuna indulgenza o eccezione quanto alla puntuale osservanza degli obblighi fondamentali in
tema di mercato interno. In proposito, appare chiara anche linversione del criterio cui
tradizionalmente si deve ispirare linterpretazione delle norme internazionali convenzionali: non pi
il favor per la libert degli Stati contraenti, ma al contrario un favor per le limitazioni a tale libert,
purch preordinate al perseguimento dellobiettivo di integrazione.
Il passaggio dallintegrazione negativa a quella positiva poi marcato dallimportante iniziativa
della Commissione dei secondi anni 80, che ha portato prima alla pubblicazione del Libro bianco
sul mercato interno e poi alla stipulazione dellAtto Unico, momenti che hanno aperto la strada alla
seconda generazione del mercato comune, quella dellintegrazione positiva. Sia luno che laltro
si ponevano lobiettivo di rilanciare e accelerare il processo di realizzazione del mercato interno,
agendo soprattutto su 2 fronti, e precisamente:
1. quello della completa e definitiva eliminazione delle frontiere tecniche, fisiche e fiscali tra i
mercati degli Stati membri;
2. e quello dellarmonizzazione della fiscalit indiretta, considerata fondamentale per
leliminazione delle distorsioni della concorrenza.
LAtto unico, rispetto alla realizzazione del mercato interno, ha portato delle modificazioni al
Trattato:
soprattutto sul piano delle modalit decisionali, sostituendo in ipotesi significative il criterio
della maggioranza a quello dellunanimit e prefigurando per alcuni temi lo strumento del
regolamento in luogo della direttiva;
ed ha anche previsto che il Consiglio, quando non vi sia armonizzazione, possa far applicare
il criterio del mutuo riconoscimento delle normative nazionali in determinati settori;
infine, ha previsto importanti iniziative sulle c.d. politiche di accompagnamento che
incrementano le competenze dellUnione.
Il Trattato di Maastricht ha poi innovato la configurazione del mercato interno, collegandovi come
strumenti per raggiungere lobiettivo dello sviluppo armonioso ed equilibrato delle attivit
economiche allinterno dellUnione, ununione economica e monetaria e numerose politiche
comuni orizzontali.
103

[Digitare il titolo del documento] ed.)


Quindi il mercato interno ormai, dopo lAtto unico e il Trattato di Maastricht, una nozione che va
al di l della realizzazione di uno spazio in cui sono garantite la piena mobilit di beni, servizi e
fattori produttivi, nonch la sostanziale parit delle condizioni di concorrenza per le imprese; infatti
il mercato interno anche il quadro giuridico complessivo, su scala europea, dello svolgimento dei
rapporti economici.
2. LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI. CAMPO DI APPLICAZIONE DELLA
DISCIPLINA: NOZIONE DI MERCE, SFERA TERRITORIALE, DESTINATARI
Il processo di liberalizzazione, che era previsto si concludesse il 31/12/1969, stato compiutamente
realizzato gi a partire dal giugno 1968 dai 6 Paesi allora membri (dal 1977 per Danimarca, Irlanda
e Regno Unito, dal 1985 per la Grecia, dal 1993 per Spagna e Portogallo).
La disciplina della libera circolazione delle merci si articola nel Trattato in 3 principali e distinti
momenti, che rispettivamente investono:
1) lunione doganale, dunque labolizione dei dazi e delle tasse di effetto equivalente ai dazi
doganali allinterno del mercato comune, nonch la fissazione di una tariffa doganale
comune per gli scambi con i Paesi terzi (artt. da 28 a 32 TFUE);
2) il divieto di imposizioni fiscali interne di portata discriminatoria per i prodotti
importati (art. 110 TFUE);
3) labolizione delle restrizioni quantitative agli scambi fra gli Stati membri e delle misure di
effetto equivalente, nonch labolizione dei monopoli commerciali (artt. da 34 a 37 TFUE).
La nozione di merce comprende tutti i prodotti valutabili in denaro e x ci stesso idonei ad essere
oggetto di una transazione commerciale. (Tale definizione stata data dalla Corte, chiamata a
rispondere se rientrassero in tale nozione gli oggetti dinteresse artistico, storico, archeologico o
etnologico: la risposta fu positiva).
Sono poi state comprese nella nozione di merce, ad es., le monete che non abbiano + corso legale,
mentre costituiscono mezzi di pagamento le monete liberamente circolanti in uno Stato membro,
anche se prodotte in uno Stato terzo. Del pari vanno compresi tra le merci:
i prodotti che incorporano opere dellingegno o artistiche (come i dischi e le videocassette);
i prodotti che rivestano rilievo particolare per leconomia di uno Stato membro (come il
petrolio e lenergia elettrica);
infine gli stupefacenti.
Unipotesi particolare, ma di grande rilievo pratico, quella dei rifiuti, che si dubitato rientrassero
nella nozione di merce, almeno quando non riciclabili. Ma al riguardo la Corte ha rilevato che tutti
gli oggetti trasportati al di l di una frontiera per dar luogo a transazioni commerciali, dunque tra
essi anche i rifiuti, sono sottoposti al regime della libera circolazione delle merci, quale che sia la
natura della transazione; e che inoltre non si pu operare una distinzione tra rifiuti riciclabili e non
riciclabili, sia perch sarebbe di difficile applicazione, sia perch la natura riciclabile o meno dei
rifiuti dipende da fattori del tutto variabili e principalmente dal costo delle relative operazioni.
Viceversa, i prodotti che riguardano la sicurezza in senso stretto (armi, munizioni e materiale
bellico), inseriti in uno specifico elenco predisposto dal Consiglio, soggiacciono alla speciale
previsione dellart. 346 TFUE e pertanto sono fuori dalla sfera di applicazione materiale delle
norme sulla libera circolazione delle merci. I prodotti agricoli, compresi i prodotti della pesca,
rientrano in via generale nella disciplina del mercato interno (art. 38 TFUE), salvo quando siano
oggetto del regime specifico regolato dalle disposizioni sulla politica agricola dellUnione. In
concreto, i prodotti agricoli rientrano nel regime dei divieti di restrizioni quantitative quando non
attengano ad unorganizzazione comune di mercato. Ad un particolare regime sono sottoposte anche
le sostanze radioattive, i medicinali ad uso umano e veterinario.
La sfera di applicazione territoriale della disciplina del mercato comune delle merci coincide in via
di principio con quella dellintero Trattato e dunque con il territorio degli Stati membri, ivi
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


comprese le zone di mare e gli spazi aerei che soggiacciono alla loro giurisdizione. Pertanto vanno
ricordate le eccezioni e specificit che sono prefigurate allart. 349 TFUE, in particolare per
alcune zone insulari che interessano la Francia (i dipartimenti doltremare), la Spagna (le Canarie) e
il Portogallo (Madeira e le Azzorre): rispetto a questi territori, il Consiglio, su proposta della
Commissione e previa consultazione del PE adotta misure specifiche volte, in particolare, a stabilire
le condizioni di applicazione dei Trattati a tali regioni, ivi comprese politiche comuni. Inoltre, i
Paesi e territori doltremare (PTOM) soggiacciono ad un regime particolare, simile allassociazione,
disciplinato da una decisione del Consiglio.
Il campo di applicazione territoriale delle disposizioni del Trattato relative alla circolazione delle
merci, poi, va distinto dal territorio doganale dellUnione, che invece il territorio entro il quale
trova applicazione la normativa doganale dellUnione: infatti, questi 2 ambiti territoriali hanno 1
diversa rilevanza giuridica e cmq non coincidono perfettamente.
Le norme che complessivamente disciplinano il mercato comune sono in generale dirette agli Stati
membri, nel senso che impongono a questi ultimi 1 serie di obblighi che ruotano attorno alla
liberalizzazione degli scambi in merci, persone, servizi e capitali.
I singoli beneficiano delleffetto diretto che accompagna la gran parte delle norme relative alla
liberalizzazione degli scambi; alloccorrenza, dunque, sono titolari di diritti che possono far valere
direttamente dinanzi ai giudici e non importa se non siano essi, ma gli Stati, i destinatari della
norma invocata. Piuttosto, bisogna chiedersi se essi siano compresi tra i destinatari anche dei divieti
relativi al regime di libera circolazione delle merci. La giurisprudenza della Corte sul punto, pur con
qualche incertezza, sembra orientata nel senso che il comportamento del singoli, ad es. un contratto
di distribuzione commerciale o un accordo tra imprese, possono e devono essere valutati alla luce
delle regole di concorrenza e che invece le norme sulla libera circolazione delle merci si riferiscono
esclusivamente alle normative e alle pratiche amministrative degli Stati membri e delle istituzioni
dellUnione.
3. LUNIONE DOGANALE. ORIGINE DELLE MERCI E REGIME DI LIBERA PRATICA
Lart. 28 TFUE afferma che lUnione comprende ununione doganale, che si estende al complesso
degli scambi di merci e comporta il divieto, fra gli Stati membri, dei dazi doganali allimportazione
e allesportazione e di qualsiasi tassa di effetto equivalente, come pure ladozione di una tariffa
doganale comune nei loro rapporti con i Paesi terzi.
Gi nellart. XXIV, par. 8, del GATT, si rinvenivano le 2 nozioni di:
zona di libero scambio che si collega allipotesi di un insieme di territori doganali tra i quali
si aboliscono i dazi e altre misure restrittive degli scambi, limitatamente ai prodotti originari
dei Paesi aderenti;
e zona di unione doganale indica una forma + avanzata di cooperazione, dove allabolizione
dei dazi doganali e delle altre restrizioni commerciali, si aggiunge luniformit sostanziale
dei dazi applicati agli scambi con i Paesi terzi.
Rispetto alla nozione di unione doganale contenuta nel GATT, quella prefigurata e realizzata
nellambito dellUnione certamente + avanzata e non a caso definita unione doganale perfetta,
infatti al riguardo rilevano anche:
1) il beneficio della libera circolazione, salvo eccezioni, non solo per i prodotti originari dei
Paesi membri ma anche per i prodotti originari di Paesi terzi, una volta importati nellarea
dellUnione e sottoposti al dazio unico;
2) il regime di preferenza per i prodotti dellUnione;
3) una disciplina doganale complessiva, uniforme nei diversi Stati membri, che si avvale per
giunta di un meccanismo di interpretazione giudiziaria centralizzata, attraverso il rinvio
pregiudiziale alla Corte di giustizia ex art. 267 TFUE;
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


4) infine, la destinazione al bilancio dellUnione delle entrate costituite dalla tariffa doganale
comune.
Significativo, al riguardo, il confronto con lo Spazio Economico Europeo, realizzato a partire dal
1994 con i Paesi dellEFTA, ad eccezione della Svizzera, ed oggi in pratica ridotto a poca cosa,
dopo che Austria, Svezia e Finlandia sono diventati membri dellUnione. Tale Spazio, al pari della
stessa EFTA, rientra a tutti gli effetti nella nozione di zona di libero scambio e non in quella di
unione doganale, nella misura in cui la liberalizzazione degli scambi riguarda espressamente i soli
prodotti originari dei Paesi membri.
Dunque un aspetto essenziale e qualificante del sistema di liberalizzazione degli scambi fra i Paesi
membri quello della sua sfera di applicazione quanto allorigine delle merci: infatti, di tale regime
beneficiano sia i prodotti originari dei Paesi membri che quelli originari di Paesi terzi e importati
nellUnione.
Paese dorigine di un prodotto evidentemente quello in cui stato fabbricato. Se per si tratta di
una produzione complessa, le cui fasi hanno riguardato 2 o + Stati, ai fini dellindividuazione
dellorigine del prodotto si prende in considerazione lultima trasformazione o lavorazione
sostanziale, economicamente giustificata ed effettuata in unimpresa a tale scopo, che si sia
conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del
processo di fabbricazione. Dunque, il criterio fondamentale quello dello stadio produttivo
determinante, cio della trasformazione economicamente e merceologicamente rilevante; mentre il
semplice assemblaggio, con personale magari non specializzato e senza necessit di attrezzature
particolari, non contribuisce a mutare le caratteristiche essenziali del prodotto, n comporta il
sostanziale e necessario valore aggiunto. In materia di prodotti ittici, poi, stato stabilito il criterio
della bandiera della nave; nel caso di bottino realizzato da + navi di diversa nazionalit, il criterio
quello della nave cui si possa imputare il momento essenziale della battuta o della campagna di
pesca.
I prodotti originari dei Paesi terzi che siano stati regolarmente importati in un qualsiasi Paese
dellUnione sono in libera pratica, nel senso che, salvo eccezioni, godono della stessa libert di
circolazione delle merci originarie dei Paesi membri. Nella pratica, ogni prodotto viene provvisto di
un documento doganale unico, che lo accompagna dallo stabilimento di partenza fino al luogo di
destinazione. E ci comporta evidentemente lapplicazione del principio generale di libert di
transito delle merci allinterno dellUnione.

4. LABOLIZIONE
EQUIVALENTE

DEI

DAZI

DOGANALI

DELLE

TASSE

DI

EFFETTO

Alla base del regime di libera circolazione delle merci allinterno dellUnione c labolizione dei
dazi doganali e delle tasse di effetto equivalente sugli scambi tra i Paesi membri. Questo divieto
imposto dallart. 30 TFUE, che una norma fondamentale del sistema ed provvista di effetto
diretto, nonostante sia rivolta agli Stati e non direttamente ai singoli.
I dazi doganali allesportazione sono stati definitivamente aboliti il 31 dicembre 1961, mentre quelli
allimportazione dovevano essere aboliti nel 1969 (alla fine della fase transitoria), ma lo sono stati
di fatto gi nel luglio dellanno precedente, con una decisione c.d. di accelerazione.
La nozione di tassa di effetto equivalente ad un dazio doganale stata oggetto di una giurisprudenza
molto vasta, che ne ha progressivamente definito gli elementi essenziali. Si pu dire che la tassa di
effetto equivalente quellonere pecuniario che, quale ne sia la denominazione e la struttura,
direttamente o indirettamente collegato allimportazione o allesportazione di un prodotto, anche se
imposto in un momento diverso. In altri termini, si tratta di 1 onere pecuniario che, pur non essendo
un dazio doganale, comporta gli stessi effetti restrittivi sugli scambi, in quanto imposto in ragione
106

[Digitare il titolo del documento] ed.)


della circostanza che il prodotto ha varcato il confine di uno Stato membro e tale da elevarne il
costo.
Gli elementi rilevanti perch un onere possa essere considerato 1 tassa di effetto equivalente sono
questi:
1) deve trattarsi di un onere pecuniario, altrimenti potr costituire al + una misura, non certo 1
tassa, di effetto equivalente e dunque potr eventualmente rientrare nella previsione dellart.
34 TFUE;
2) deve colpire il prodotto in ragione dellimportazione o dellesportazione, rendendola pi
onerosa oppure aggravandone gli adempimenti amministrativo-burocratici.
Viceversa, non ha importanza il momento in cui viene imposto o percepito lonere,
che pu anche essere successivo a quello del passaggio della frontiera; irrilevante anche il
soggetto beneficiario, che pu anche non essere lo Stato, cos come la finalit che si persegue e
lammontare dellonere, che pu essere anche minimo.
Il divieto di applicare dazi doganali e tasse di effetto equivalente riguarda evidentemente gli scambi
di merci tra i Paesi membri. Ci vuol dire che le disposizioni di cui agli artt. 28 e 30 TFUE
possono essere invocate dal singolo quando lonere pecuniario imposto in ragione
dellimportazione di un prodotto proveniente da un altro Stato membro. A tal fine, anzitutto non
rileva che lonere pecuniario sia imposto in ragione dellintroduzione del prodotto in una parte del
territorio (una regione o un comune) piuttosto che nellinsieme del territorio statale. Inoltre, n
rileva che in tale ipotesi lonere colpisca, insieme ai prodotti provenienti da altri Stati membri,
anche i prodotti che provengono da altre regioni dello stesso Stato membro [ad es., relativamente
allipotesi del dazio di mare, una tassa che colpiva tutti i prodotti che venivano introdotti nei
territori francesi doltremare (Martinica, Guadalupa, Runion e Guyana), stato ribadito che
lostacolo alla libera circolazione delle merci non viene meno quando la tassa colpisce in egual
misura anche i prodotti provenienti da altre parti del territorio dello stesso Stato membro.]
Nella stessa prospettiva, va escluso che gli art. 28 e ss. TFUE si applichino ai prodotti importati o
esportati da o verso Paesi terzi. Peraltro, ci non vuol dire che gli Stati membri abbiano completa
autonomia quanto alla tassazione degli scambi con i Paesi terzi. Lapplicazione di oneri tributari
allimportazione o allesportazione con i Paesi non comunitari appartenenti allUnione, infatti, pur
sempre collegata alla politica commerciale comune e al sistema della tariffa doganale comune
(TDC). Pertanto, fin da luglio del 1968, a partire dallentrata in vigore della TCD, gli Stati membri
non possono introdurre unilateralmente nuove tasse o elevare quelle esistenti a quella data, salvo le
eccezioni e le deroghe introdotte dallUnione ed in ogni caso uniformi, per evitare sviamenti degli
scambi e distorsioni allinterno.
Le deroghe a questo divieto sono molto limitate; in gran parte, anzi, non si tratta neppure di deroghe
in senso proprio, bens di una delimitazione della sfera di applicazione materiale del divieto di cui
agli artt. 28 e 30 TFUE rispetto ad ipotesi che, per motivi diversi, non sono ad esso riconducibili. E
precisamente:
1. una 1 ipotesi quella di un onere pecuniario che sia
richiesto dallamministrazione a fronte di un servizio prestato in favore e nellinteresse
dellimportatore (o dellesportatore). Le condizioni sono al riguardo molto precise e
rigorose, nel senso che:
deve trattarsi del compenso per un servizio effettivamente prestato
dallamministrazione;
deve essere un servizio reso individualmente e a favore delloperatore e non
semplicemente in vista di un interesse generale;
lonere pecuniario deve avere la natura di vero e proprio corrispettivo e dunque
essere proporzionato alla qualit e al costo del servizio.
2. Una 2 ipotesi quella di oneri imposti in base a normative dellUnione, proporzionati al
costo effettivo del servizio oppure imposti da convenzioni internazionali che favoriscano la
107

[Digitare il titolo del documento] ed.)


libera circolazione delle merci. Nella stessa logica, poi, rientra anche lipotesi dei montanti
compensativi monetari istituiti nellambito della politica agricola comune, in quanto oggetto
di misure dellUnione destinate a compensare linstabilit monetaria;
3. altra ipotesi importante di deroga quella in cui lonere parte di un sistema generale di
tributi interni, che colpisca con uguali criteri e sistematicamente sia il prodotto importato
che quello nazionale.
5. IL DIVIETO DI IMPOSIZIONI FISCALI DISCRIMINATORIE
Il divieto di applicare ai prodotti dazi doganali e altri oneri pecuniari allatto o cmq in ragione
dellattraversamento delle frontiere tra Paesi membri, va integrato con lulteriore divieto, sancito
dallart. 110 TFUE, di applicare tributi interni che siano discriminatori per i prodotti importati.
Lobiettivo di questo divieto lo stesso di quello di cui agli artt. 28 e 30: ossia eliminare gli ostacoli
alla libera circolazione delle merci nellarea dellUnione.
Limposizione tributaria, pur restando nella sfera di libert degli Stati membri, deve conservare un
carattere di assoluta neutralit tra prodotti nazionali e prodotti importati o esportati, in modo che
lattraversamento del confine tra uno Stato membro e laltro non rappresenti n direttamente n
indirettamente loccasione o il motivo per oneri tributari pi gravosi. Sotto questo profilo, dunque,
il divieto sancito dallart. 110 TFUE strettamente complementare a quello di cui agli artt. 28-30
TFUE, nella misura in cui mira ad evitare che questultimo venga eluso attraverso lo strumento
tributario; se si preferisce, mira ad impedire le scappatoie che una determinata manovra fiscale
potrebbe nascondere. In definitiva, lart. 110 TFUE persegue lo scopo di garantire la libera
circolazione delle merci in condizioni di neutralit fiscale rispetto alla concorrenza tra prodotti
nazionali e prodotti di altri Paesi dellUnione.
La norma provvista delleffetto diretto, pur avendo come destinatari gli Stati membri; e che
riguarda sia i tributi sui prodotti importati che quelli sui prodotti esportati.
Il divieto comprende qualsiasi onere pecuniario di natura tributaria imposto dallo Stato o da un ente
pubblico o territoriale, dallIVA alle accise alle tasse parafiscali, indipendentemente dal soggetto
beneficiario, che pu anche non essere lo Stato; e indipendentemente dallammontare o dalla
consistenza dellostacolo agli scambi, che pu anche essere di lieve entit. Inoltre, il divieto va
riferito anche allipotesi che il tributo colpisca un prodotto originario di un Paese terzo che si trovi
in regime di libera pratica.
Lart. 110 TFUE applicabile sia alle imposte indirette che alle imposte dirette. Ad es., sarebbe in
contrasto con il divieto in questione un regime impositivo che sottoponga le imprese importatrici ad
un onere tributario superiore a quello che grava sui produttori nazionali. In fatto, per, la
disposizione ha trovato applicazione principalmente rispetto ad ipotesi di tassazione indiretta, in
sintonia con loggetto della norma, che infatti vieta le imposizioni suscettibili di discriminare i
prodotti importati da altri Paesi dellUnione rispetto ai concorrenti prodotti nazionali.
Sotto altro profili i regimi tributari che discriminano in ragione della nazionalit le persone fisiche o
giuridiche, i prestatori di servizi o i lavoratori, sono evidentemente incompatibili con le disposizioni
che regolano il diritto di stabilimento o la libera circolazione dei lavoratori o la libera prestazione
dei servizi. Il divieto di discriminazione fiscale del cittadino comunitario che non sia lavoratore o
prestatore di servizi, pu viceversa trovare fondamento nella disposizione generale e residuale di cui
allart. 18 TFUE.
Va anche precisato che una tassa incompatibile con lart. 110 TFUE vietata solo per la parte che
colpisce le merci importate pi di quelle nazionali.
Il campo di applicazione dellart. 110 TFUE va tenuto ben distinto da quello di altre disposizioni del
Trattato con le quali vi sia contiguit di contenuto o semplicemente comunanza di finalit. Questa
possibilit di confusione sussiste soprattutto con il divieto di tasse di effetto equivalente, avendo
entrambe le disposizioni lo scopo di eliminare le restrizioni dissimulate alla libert degli scambi
allinterno dellUnione. Va tenuto presente, in proposito, che le norme sui tributi interni
108

[Digitare il titolo del documento] ed.)


discriminatori e quelle sulle tasse di effetto equivalente non possono essere applicate
cumulativamente, in quanto danno luogo a regimi sostanzialmente diversi. Ad es., mentre le tasse
di effetto equivalente vanno semplicemente abolite, le imposte interne di cui allart. 110 TFUE
vanno invece applicate in modo da escludere qualsiasi forma di discriminazione, diretta o indiretta,
fra prodotti nazionali e prodotti importati da altri Stati membri.
In breve, la tassa di effetto equivalente vietata dallart. 30 TFUE colpisce esclusivamente il
prodotto importato o esportato ed in ragione dellimportazione o dellesportazione, mentre lipotesi
di cui allart. 110 TFUE quella di un onere tributario che colpisce tutti i prodotti, discriminando
quelli importati da quelli nazionali; o che cmq compreso in un sistema impositivo generale, che
investe sistematicamente categorie di merci secondo criteri obiettivi, applicati indipendentemente
dalla provenienza delle merci. Ci vuol dire che lipotesi del tributo interno ha come condizione
fondamentale il carattere di generalit e astrattezza dellonere, dunque lindifferenza assoluta
rispetto allorigine del prodotto. Pertanto, pu ben verificarsi che non vi sia un prodotto nazionale
colpito dal tributo o che vi sia una produzione nazionale molto ridotta. In questa ipotesi, lonere
conserver la natura di tributo interno ai sensi dellart. 110 TFUE, ma sar evidentemente del tutto
legittimo, in quanto in questo caso sar venuto a mancare lelemento della discriminazione a
vantaggio del prodotto nazionale.
Dunque, deve trattarsi in 1 luogo di un onere tributario, che operi direttamente o in fatto una
discriminazione a danno del prodotto importato o esportato. Lelemento della discriminazione
comprende tutti quei tributi che abbiano leffetto di scoraggiare limportazione di merci originarie
di altri Stati membri a vantaggio dei prodotti nazionali, tra cui ad es.:
- un sistema di tassazione progressiva delle automobili, con la previsione di una tassa speciale
molto elevata per le vetture che superano un certo livello di potenza fiscale, livello
determinato in modo tale che di fatto lonere gravi solo sulle vetture importate;
- un tributo concepito in modo da colpire non il prodotto importato bens luso del prodotto,
quando questultimo sia destinato esclusivamente a quelluso e importato a quel fine;
- un imposta dovuta dal trasportatore del prodotto, applicata differentemente a seconda che si
tratti di trasporto internazionale o solo nazionale, in modo che in fatto il prodotto nazionale
risulti esente dallimposta;
- un regime di agevolazioni o esenzioni fiscali, che favorisca maggiormente o esclusivamente
i prodotti nazionali;
- un sistema di dilazioni di pagamento dellimposta di cui possono beneficiare solo i
produttori nazionali;
- un sistema di tassazione differenziato di un determinato prodotto, che preveda criteri e
modalit diverse di calcolo, in particolare quando gravi di tributi diversi il prodotto
nazionale e di un tributo unico, superiore a quello minimo, il prodotto importato.
Dunque, il criterio decisivo per lapplicazione dellart. 110 TFUE costituito dallincidenza
effettiva del tributo sul prodotto nazionale e sul prodotto importato.
Inoltre, al fine di qualificare esattamente lonere, come tributo interno discriminatorio oppure come
tassa di effetto equivalente ad un dazio doganale, pu essere necessario considerare la destinazione
del tributo. In particolare, quando il gettito destinato a finanziare attivit che giovano
specificamente ed esclusivamente al prodotto nazionale tassato, e la compensazione totale, lonere
stesso assimilato ad una tassa di effetto equivalente; quando, invece, i benefici compensano solo
parzialmente lonere che grava sui prodotti nazionali, la tassa rientra nella previsione dellart. 110
TFUE: in questo caso, la non conformit a tale disposizione sta nella circostanza che,
compensandosi parzialmente gli oneri sui prodotti nazionali, limposta discriminatoria nei
confronti dei prodotti importati, al pari di quanto si verifica quando la compensazione sia addirittura
totale.
Inoltre, il carattere discriminatorio del tributo applicato ai prodotti importati presuppone il
confronto con i prodotti nazionali. Il 1 comma dellart. 110 TFUE (Uno Stato membro non pu
applicare ai prodotti degli altri Stati membri tributi interni superiori a quelli applicati ai prodotti
109

[Digitare il titolo del documento] ed.)


nazionali similari) pone come termine di confronto i prodotti similari, cio i prodotti che x il
consumatore hanno propriet analoghe e rispondono alle stesse esigenze, in base ad un criterio non
di identit ma di analogia e di comparabilit nelluso. In proposito, si deve considerare una serie di
altri elementi, quali lorigine, la fabbricazione, il gusto, il tenore alcolico per le bevande, nonch
lidoneit a rispondere agli stessi bisogni del consumatore. E tra i prodotti nazionali vanno compresi
anche quelli per i quali non esiste una produzione nazionale, ma un mercato dellusato.
Il 2 comma dellart. 110 TFUE (Uno Stato membro non pu applicare, ai prodotti degli altri
Stati membri tributi interni volti a proteggere indirettamente altre produzioni) estende il divieto ai
tributi discriminatori tra prodotti nazionali e prodotti importati non pi similari, ma semplicemente
concorrenti; rispetto al 1 comma dellart. 110 TFUE, questultima disposizione ha un ambito di
applicazione + ampio:
sia perch riguarda delle ipotesi in cui la sostituibilit tra prodotti risulta + tenue;
sia perch il rapporto di concorrenza, che pu essere anche indiretto o potenziale, va
considerato in modo dinamico e relativo.
Ad es. in tema di bevande alcoliche, si affermata lillegittimit di una tassazione di un
vino importato, leggero e di basso costo, pi elevata di quella applicata sulla birra, tipica
bevanda nazionale.
Relativamente, poi, allapparente contiguit con il divieto di restrizioni quantitative alle
importazioni di cui allart. 34 TFUE, e ancora con il divieto di misure di effetto equivalente, basta
dire che la disposizione ex art. 34 una norma generale rispetto alle disposizioni specifiche in tema
di tasse di effetto equivalente ai dazi doganali e di imposizioni fiscali discriminatorie. Come tale,
lart. 34 TFUE si applica in via del tutto alternativa e semmai residuale rispetto agli artt. 28 e 30
TFUE, da un lato, e 110 TFUE dallaltro lato; ci implica che quando ricorrano i presupposti
prescritti dal Trattato, saranno le norme specifiche a doversi applicare e non la disposizione
generale sulle misure di effetto equivalente.
Piuttosto, nel caso delle tasse c.d. parafiscali, non deve esserne trascurata la possibile rilevanza
anche rispetto alla disciplina degli aiuti di Stato: infatti la tassa pu ben essere una modalit di
finanziamento di un aiuto e dunque influire sia sulla concorrenza che sugli scambi; come tale,
soggiace al controllo della Commissione e pi in generale alla disciplina degli artt. 107 e 108
TFUE, sia sotto il profilo sostanziale che procedurale.
Il giudice nazionale resta competente a valutare la compatibilit della misura rispetto a norme del
Trattato diverse dagli artt. 107 e 108 TFUE. Cos un regime fiscale generale dichiarato compatibile
con le norme sugli aiuti di Stato non preclude al giudice nazionale di valutarlo rispetto allart. 110
TFUE o ad altre disposizioni del Trattato.
Infine merita qualche cenno il problema della ripetizione di somme percepite dalle amministrazioni
nazionali a titolo di tributo o di dazio doganale in violazione del diritto dellUnione: lorientamento
della giurisprudenza fondato sulla premessa che il sistema nazionale pu rifiutare il rimborso della
somma indebitamente percepita quando ci si risolva in un arricchimento senza causa dellavente
diritto, ci che si verificherebbe in linea di principio quando il tributo non dovuto sia stato cmq
riversato a valle, sui consumatori; e salvo che il giudice non accerti lesistenza di un danno
provocato cmq dalla riduzione di attivit. Ne consegue che incompatibile con il diritto
dellUnione un sistema di rimborso fondato sulla presunzione della ripercussione e che ponga a
carico del contribuente la prova del contrario o altre limitazioni.
6. RESTRIZIONI QUANTITATIVE E MISURE DI EFFETTO
LORIENTAMENTO ORIGINARIO DELLA COMMISSIONE

EQUIVALENTE.

Rilievo centrale nella disciplina del mercato comune delle merci ha il divieto di restrizioni
quantitative degli scambi e di misure di effetto equivalente, che investe sia le importazioni (art.
34 TFUE) che le esportazioni (art. 35 TFUE). In particolare rileva lipotesi delle misure di effetto
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


equivalente, che comprende quella gamma molto ampia di provvedimenti che, con o senza il
preciso intento di aggirare lostacolo del divieto di restrizioni quantitative delle importazioni, cos
come delle esportazioni, hanno effetti ugualmente protezionistici e cmq rappresentano un ostacolo
oggettivo agli scambi allinterno dellUnione.
Nessuna particolare difficolt interpretativa pongono le restrizioni quantitative, che sono i divieti
palesi di importare o esportare un certo prodotto, in assoluto oppure al di l di una certa quantit (ad
es. il divieto assoluto di importare prodotti pornografici).
In una prima fase, e cmq prima della fine del periodo transitorio, la nozione di misura di effetto
equivalente era sostanzialmente ancorata alla differenza di trattamento dei prodotti importati
rispetto a quelli nazionali e dunque alle ipotesi delle sole misure che nel linguaggio corrente sono
identificare come misure distintamente applicabili.
Con la direttiva 70/50 del 1969, la Commissione precis e ampli la nozione di misure di effetto
equivalente: in particolare, vi furono comprese espressamente non solo le disposizioni legislative o
regolamentari, ma anche ogni atto posto in essere da una pubblica autorit che, pur non vincolante
sul piano giuridico, potesse indurre i destinatari ad una scelta di acquisto in favore del prodotto
nazionale.
Inoltre, la stessa direttiva comprendeva tra le misure vietate dallart. 34 TFUE anche quelle, relative
alla commercializzazione dei prodotti (forma, dimensioni, peso, presentazione, confezione), che,
pur se applicabili indistintamente ai prodotti nazionali ed a quelli importati, producono sulla libera
circolazione effetti restrittivi al di l di quelli propri di una regolamentazione commerciale (ad es.,
quando gli effetti restrittivi sono sproporzionati rispetto al fine perseguito oppure quando lo stesso
obiettivo potrebbe essere raggiunto con minor intralcio per gli scambi).
Tuttavia, era ben chiaro, e risultava espressamente dalla direttiva 70/50, che per la Commissione le
misure indistintamente applicabili non sarebbero state di regola vietate, in quanto gli effetti
restrittivi sarebbero normalmente inerenti alla disparit delle disposizioni nazionali; in altri
termini essi sarebbero la conseguenza fisiologica della mancanza di armonizzazione.
7. LA NOZIONE DI MISURA DI EFFETTO EQUIVALENTE NELLA GIURISPRUDENZA
La nozione di misura di effetto equivalente che risulta dalla giurisprudenza molto ampia e ispirata
a dare un effetto funzionale e pi utile allart. 34 TFUE: infatti, si tratta di una norma fondamentale
per leconomia del sistema dellUnione, ed provvista di effetto diretto.
La misura di effetto equivalente :
1) in 1 luogo 1 misura imputabile allo Stato o cmq ad unautorit di uno Stato membro (sia
essa centrale o locale o altra autorit); pu essere una legge come un atto amministrativo o
anche una prassi burocratica generalizzata, come persino un orientamento giurisprudenziale;
2) in 2 luogo sono state comprese nella nozione rilevante anche misure non statali; ad es.:
quelle poste in essere da unorganizzazione professionale che provvede alla tenuta
del relativo albo, che stabilisce le regole deontologiche per gli scritti e che infligge le
sanzioni disciplinari per violazione degli obblighi professionali con decisioni
impugnabili in via giudiziaria;
la prassi di un ente locale;
nonch quella di un organismo privato finanziato dallo Stato.
In via generale, peraltro, necessario che la misura sia in qualche modo
riconducibile ad unarticolazione dello Stato.
Nella celebre sentenza Dassonville (1974), la Corte ha enunciato una nozione di misura di effetto
equivalente ancora oggi pienamente valida e applicata. Con riferimento ad una disposizione
nazionale che condizionava limportazione di un whisky scozzese con denominazione dorigine
allesibizione di un certificato rilasciato dal Paese di produzione e attestante il diritto a quella
111

[Digitare il titolo del documento] ed.)


denominazione, la Corte rilev che un operatore che avesse importato quel prodotto da un Paese
diverso, dove il whisky si trovava in libera pratica e dove non era richiesto lo stesso certificato
dorigine, incontrava difficolt e oneri superiori a quelli dellimportatore diretto. Da qui la ben nota
affermazione, da tutti ormai conosciuta come formula Dassonville, la quale sancisce che: ogni
normativa commerciale degli Stati membri che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in
atto o in potenza, gli scambi intracomunitari va considerata come una misura di effetto equivalente
a restrizioni quantitative.
Il divieto ha dunque 1 portata generale. La sua applicazione non , in 1 luogo, condizionata ad una
riduzione effettiva degli scambi, ma solo al fatto che la misura, indipendentemente dal fatto che sia
discriminatoria o no e che abbia intenti protezionistici, rappresenta anche potenzialmente un
aggravio non giustificato per gli imprenditori e per ci stesso un ostacolo per il commercio tra i
Paesi membri. Cos, si affermato che non necessario accertare che queste misure riducano di
fatto le importazioni dei prodotti considerati, ma sufficiente che esse abbiano un effetto potenziale
di ostacolo alle importazioni, nel senso che le importazioni potrebbero essere effettuate se quei
provvedimenti non ci fossero e che il divieto permane anche quando nella prassi le misure non
vengono applicate ai prodotti importati. Del pari, non necessario che il provvedimento nazionale
riduca sensibilmente gli scambi allinterno dellUnione, ricadendo nel divieto anche una misura che
si esaurisca in un ostacolo lieve ed anche quando vi siano altre possibilit di smercio del prodotto
importato.
poi irrilevante la circostanza che la misura restrittiva colpisca i prodotti originari di Paesi terzi ed
in regime di libera pratica nellUnione. Ci conferma, del resto, la circostanza che questi prodotti
sono in tutto equiparati ai prodotti originari dei Paesi membri.
Pur trattandosi di un divieto palesemente indirizzato agli Stati membri, esso pu investire anche i
comportamenti dei privati, ma solo nel senso che questi in nessuna circostanza possono in via
convenzionale, come nellipotesi di un accordo tra imprese che ostacoli gli scambi allinterno
dellUnione, derogare alle disposizioni del Trattato sulla libera circolazione delle merci. Tuttavia
resta fermo che le misure restrittive devono essere misure statali o cmq imputabili alle p.a., in
quanto i comportamenti dei singoli sottostanno alla disciplina sulla concorrenza e sono valutati alla
luce delle relative norme.
Sotto un profilo diverso, peraltro, pu venire in rilievo il comportamento dello Stato membro in
relazione ad atti posti in essere da privati (ad es., la lettura congiunta degli artt. 34 TFUE e 4, n.3, 2
comma, TUE porta e rilevare 1 preciso obbligo dello Stato di adottare le misure necessarie ad
impedire che privati creino ostacoli indebiti alla libera circolazione delle merci, obbligo la cui
osservanza sottoposta al controllo della Corte). Inoltre, il comportamento dello Stato pu venire in
rilievo sotto il doppio profilo della libera circolazione delle merci e di altre norme del Trattato (ad
es. ancora delle norme a tutela della concorrenza e in particolare del divieto di aiuti pubblici alle
imprese).
Infine, le istituzioni dellUnione sono del pari tenute a rispettare il divieto di ostacolare gli scambi
con misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative.
8. LE MISURE DISTINTAMENTE APPLICABILI
Tra le misure di effetto equivalente, vanno considerate in 1 luogo quelle che investono
direttamente il momento dellimportazione (o dellesportazione) di merci o che cmq hanno in quel
momento loccasione di essere applicate: pertanto, in questo senso si tratta di misure che riducono o
rendono impossibili o semplicemente pi onerose le importazioni o le esportazioni e non investono i
prodotti nazionali, quindi rientrano nella nozione di misure distintamente applicabili.
In proposito, in primo luogo vengono in rilievo i controlli, ad es. sanitari, operati al momento e
in occasione dellimportazione del prodotto; tali controlli, se operati in modo sistematico,
costituiscono misure vietate dallart. 34 TFUE, salvo a verificare se possono farsi rientrare tra le
deroghe previste dallart. 36 TFUE.
112

[Digitare il titolo del documento] ed.)


Una 2 ipotesi quella delle misure che impongono una documentazione specifica per
limportazione o lesportazione del prodotto, ad es. una licenza o un certificato di conformit o altri
adempimenti amministrativi specifici. Cos, tra le misure vietate rientra limposizione dellobbligo
di accompagnare limportazione o lesportazione con la presentazione di un documento rilasciato
dallamministrazione, anche quando il rilascio avviene senza ritardo o limitazioni e mira solo a
conoscere lintento dellimportatore o dellesportatore. Infatti, qualsiasi formalit produce cmq un
ritardo ed ha x ci stesso un effetto dissuasivo e costituisce un ostacolo agli scambi.
Unipotesi tipica poi quella di misure che favoriscono la canalizzazione delle importazioni
attraverso determinati operatori, in principio quelli designati dalle imprese produttrici in regime di
esclusiva o di distribuzione selettiva, scoraggiando o addirittura impedendo le cd. importazioni
parallele, che nellambito dellUnione costituiscono un po il simbolo della realizzazione effettiva
di un libero e comune mercato delle merci e di un sistema economico complessivamente ispirato ai
principi della libera concorrenza.
Ad es., oltre alla fattispecie che ha portato alla pronuncia Dassonville, sono state dichiarate
illegittime, in quanto in violazione dellart. 34 TFUE, misure disposte dallamministrazione
italiana per aggravare gli adempimenti e gli oneri di immatricolazione delle autovetture importate
non dagli importatori (c.d. ufficiali) designati dalle case produttrici, ma da operatori (c.d. paralleli)
liberi da vincoli contrattuali con le case: infatti le misure si risolvevano in un ostacolo agli scambi.
La formula che spesso ricorre nella giurisprudenza della Corte molto chiara, nel senso che la
normativa e la prassi nazionale che abbiano per effetto di canalizzare le importazioni, consentendole
soltanto ad alcuni operatori economici ed impedendole ad altri, costituiscono misure di effetto
equivalente ad una restrizione quantitativa vietata dallart. 34 TFUE, salvo eventuali deroghe in
base allart. 36 TFUE.
9. LE MISURE INDISTINTAMENTE APPLICABILI. NORMATIVE SUI PREZZI
Vi sono poi delle misure che, pure se neutre rispetto al rapporto tra prodotti nazionali e prodotti
importati, di fatto producono leffetto di ridurre le importazioni e con esse la commercializzazione
dei prodotti importati; oppure, allinverso, ne riducono la commercializzazione e x questa via
limportazione. Si tratta delle misure comunemente definite indistintamente applicabili.
Al riguardo, vanno anzitutto citate le discipline sui prezzi, di cui si occupava la direttiva 70/50 della
Commissione. Come tale, una disciplina dei prezzi, applicabile sia ai prodotti nazionali che ai
prodotti importati, non costituisce 1 misura di effetto equivalente, ma tuttavia lo pu diventare in
presenza di determinate condizioni. Ad es., si pu verificare che 1 regolamentazione stabilisca un
prezzo minimo, ad un livello tale che il prodotto importato non riesca a sfruttare costi inferiori di
produzione e a farne beneficiare il consumatore; oppure, che stabilisca un prezzo massimo tale che
il prodotto importato risulti fuori mercato. Inoltre, stato ritenuto misura di effetto equivalente un
metodo di fissazione dei prezzi che:
da un lato, sia ispirato espressamente allintento di favorire lindustria e la ricerca nazionale,
attraverso una considerazione dei fattori di costo che sfavorisca i prodotti importati;
dallaltro lato, non consideri spese e oneri relativi allimportazione tra gli elementi che
contribuiscono alla determinazione del prezzo.
Inoltre bisogna rilevare che un regime di prezzi differenziato per i prodotti nazionali e gli stessi
prodotti importati di x s una misura di effetto equivalente vietata dallart. 34 TFUE quando
sfavorisce, sotto un qualsiasi aspetto, la vendita dei prodotti importati: per, in questo caso si tratta
di misura distintamente applicabile.
10. Segue: NORMATIVE SULLA QUALIT E LA PRESENTAZIONE DEL PRODOTTO

113

[Digitare il titolo del documento] ed.)


Una 2 ipotesi, molto rilevante, di misure indistintamente applicabili ai prodotti importati e ai
prodotti nazionali riguarda le normative sulla qualit e sulla presentazione del prodotto, che
incidano sullimportazione o sulla commercializzazione, riducendo il volume degli scambi.
Dunque, si tratta delle misure relative alla composizione e alla qualit del prodotto, alla forma,
allimballaggio, alletichettatura, alla denominazione e in generale alla presentazione del prodotto.
Al riguardo, nella prassi si affermato un criterio ispiratore generale: un prodotto legittimamente
commercializzato in un Paese membro deve poter essere importato e commercializzato anche negli
altri Stati membri senza intralci. Questo il principio del mutuo riconoscimento, che muove dal
presupposto logico che, in assenza di disciplina di diritto dellUnione di armonizzazione, le
legislazioni nazionali relative alle condizioni per la commercializzazione di determinati prodotti
possono essere diverse, il che non esclude che siano ugualmente rispettose della salute o delle
esigenze del consumatore. Ne consegue che sarebbe eccessivo per uno Stato pretendere che:
i prodotti importati osservino letteralmente ed esattamente le stesse specifiche tecniche
prescritte per i prodotti nazionali, quando il livello di protezione dellutilizzatore sia
equivalente;
o che gli stessi prodotti siano sottoposti a controlli equivalenti a quelli gi effettuati in altri
Paesi membri.
Da ci deriva che:
da un lato, solo in assenza di discipline commerciali comuni, limitate peraltro alla
definizione di obiettivi generali e non alla disciplina dei dettagli tecnici, gli Stati membri
restano competenti a fissare norme specifiche sulla produzione o sulla commercializzazione
dei prodotti, s che solo in questo caso possibile si determini un intralcio agli scambi
dovuto precisamente alla disparit delle discipline nazionali;
dallaltro lato, questi intralci (i c.d. ostacoli tecnici) possono tollerarsi solo in vista della
soddisfazione di esigenze imperative, relative in particolare allefficacia dei controlli fiscali,
alla protezione della salute, alla lealt delle transizioni commerciali, alla difesa dei
consumatori, alla tutela dellambiente; e cmq a condizione che non sia possibile applicare
misure ugualmente efficaci rispetto allo scopo perseguito ma di minore ostacolo agli scambi.
Dunque, le misure nazionali indistintamente applicabili quando si risolvono in un ostacolo
allimportazione o + in generale determinano oneri supplementari per i prodotti importati, sono
sottoposte ad un controllo della Commissione e/o della Corte, o delle competenti autorit
amministrative nazionali, a seconda dei casi, per verificarne la congruit e la proporzionalit.
Questi principi sono stati per la prima volta compiutamente chiariti nella celebre sentenza sul caso
Cassis de Dijon, avente ad oggetto limportazione in Germania di un liquore francese: in questa
occasione, il giudice tedesco era chiamato a verificare la compatibilit con lart. 34 TFUE di una
normativa nazionale relativa alle bevande alcoliche, nel punto in cui fissava in via del tutto
generale, dunque anche per i prodotti nazionali, un livello minimo di contenuto alcolico perch
certe categorie di bevande potessero essere commercializzate come tali in Germania; nella specie il
Cassis di Dijon aveva un contenuto alcolico tra il 15% e il 20%, mentre la legge tedesca richiedeva
almeno il 32% per le bevande alcoliche in genere e il 25% per i liquori del tipo Cassis. La Corte,
pur ribadendo che, in mancanza di armonizzazione a livello di diritto dellUnione, spetta ai singoli
Stati membri disciplinare la produzione e il commercio delle bevande alcoliche, precis che gli
ostacoli per la circolazione intracomunitaria derivanti da disparit delle legislazioni nazionali
relative al commercio dei prodotti di cui trattasi vanno accettati qualora tali prescrizioni possano
ammettersi come necessarie per rispondere ad esigenze imperative attinenti, in particolare,
allefficacia dei controlli fiscali, alla protezione della salute, alla lealt dei negozi commerciali e alla
difesa dei consumatori.
Successivamente, la giurisprudenza della Corte ha confermato + volte lorientamento espresso in
questa pronuncia. In sostanza, le normative nazionali sono sottoposte non solo ad una verifica
puntuale dei presupposti richiesti per lapplicabilit del divieto dellart. 34 TFUE, ma anche ad una
114

[Digitare il titolo del documento] ed.)


verifica su parametri ulteriori, come appunto la salute, la lealt delle transazioni commerciali, la
tutela dei consumatori, la tutela dellambiente, la sicurezza stradale. In realt questi parametri sono
lespressione di un criterio generale di ragionevolezza e soprattutto di proporzionalit, di volta in
volta tradotto in un criterio nominato. La verifica, sia ben chiaro, non coincide con quella
prefigurata dallart. 36 TFUE in relazione alle deroghe allart. 34 TFUE ivi elencate e pertanto si
realizza su un limite intrinseco allapplicazione dello stesso art. 34 TFUE e alla nozione stessa di
misura di effetto equivalente vietata da tale disposizione. Questo il senso dellaffermazione
secondo cui va verificato se la misura persegua uno scopo dinteresse generale atto a prevalere sulle
esigenze della libera circolazione delle merci. Ed il controllo non pu che esercitarsi a livello di
diritto dellUnione, in vista dellesigenza di uniformit di applicazione e di unicit dei parametri di
controllo.
11. Segue: NORMATIVE SULLE MODALIT DI COMMERCIALIZZAZIONE
Meno facile ed evidente lapplicazione della formula Dassonville a misure nazionali, pur sempre
indistintamente applicabili, che non abbiano ad oggetto i prodotti (presentazione, composizione,
imballaggio, denominazione, forma), bens le modalit dellattivit commerciale: chi, come, dove e
quando poter vendere. Si tratta di misure che possono s produrre eventuali riduzioni delle
importazioni, ma solo ed esclusivamente in quanto abbiano causato altrettante eventuali riduzioni
delle vendite, sia dei prodotti nazionali che di quelli importati, senza che in alcun modo influisca la
disparit delle legislazioni nazionali a confronto.
Al riguardo la giurisprudenza ha inizialmente largheggiato nellapplicazione della formula
Dassonville anche in questo settore specifico, con il risultato per:
da un lato, di creare molta confusione negli operatori, che si sono sentiti autorizzati a
contestare ogni genere di misura che in qualche modo ne limitasse lattivit commerciale;
e, dallaltro lato, di perdere di vista la natura stessa dellart. 34 TFUE ed in particolare la
dimensione europea e non anche solo nazionale della sua portata.
In particolare, rispetto ad alcuni casi, e pure in presenza di una potenziale riduzione delle
importazioni per effetto della riduzione delle vendite, si esclusa lapplicazione dellart. 34 TFUE
per il fatto che le misure nazionali non avevano ad oggetto gli scambi e cmq consentivano modalit
alternative di vendita; in altri casi, se ne esclusa lapplicazione in quanto il legame delle misure
con le importazioni appariva solo vago e indiretto.
Di fronte ad un altro tipo di misure nazionali, dove pure era presente un potenziale effetto restrittivo
delle importazioni come conseguenza di una delimitazione degli orari dellattivit di vendita, la
giurisprudenza aveva affermato la rilevanza dellart. 34 TFUE, salvo poi dichiarare legittime le
misure ove non eccedano il contesto degli effetti propri di una normativa commerciale (seconda
una formula ripresa dalla direttiva 70/50). Si tratta della giurisprudenza sullapertura domenicale dei
negozi, in cui la Corte ha svolto sostanzialmente un controllo solo marginale sugli effetti restrittivi
dei divieti, prendendo atto della ragionevolezza di questi eventuali effetti sugli scambi rispetto allo
scopo perseguito e del fatto non sfavorivano la commercializzazione dei prodotti importati pi di
quella dei prodotti nazionali.
In un 3 gruppo di ipotesi, ancora una volta sostanzialmente equivalenti a quelle precedenti, la
giurisprudenza ha invece ritenuto applicabile lart. 34 TFUE ed ha anche proceduto ad una verifica
non pi marginale delle finalit della misura e della sua congruit rispetto a tali finalit. Si tratta x la
maggior parte di misure sulla promozione o i metodi di vendita, rispetto alle quali si ritenuto che
una disciplina limitativa dei sistemi di pubblicit o di promozione delle vendite pu costringere
loperatore a mutamenti onerosi delle strategie commerciali, anche quando sia indistintamente
applicabile.
Questo stato anche il caso di normative limitative della pubblicit di certi prodotti, che si
ritenuto rientrare nel divieto sancito dallart. 34 TFUE nella misura in cui possono costringere a
115

[Digitare il titolo del documento] ed.)


modificare una campagna pubblicitaria e x questa via rappresentare un possibile ostacolo alle
importazioni.
Come si vede, in una 1 fase la Corte ha compreso nella nozione di misura di effetto equivalente
vietata, salvo deroghe:
sia quelle misure commerciali che rendono + difficile laccesso al mercato per gli operatori,
in quanto li costringe a rinunciare a, o a modificare, un metodo di vendita legittimamente
praticato nel Paese di origine;
sia quelle normative rispetto alle quali nessuna rilevanza pu avere la diversit di
legislazioni, n per il prodotto in quanto tale, n per loperatore che lo commercializza: ad
es., le normative che riservano ai soli farmacisti o ottici la vendita di certi prodotti.
La giurisprudenza ha successivamente cominciato a fare alcune precisazioni doverose, nel senso
che non ha pi compreso nella nozione di misura di effetto equivalente quelle normative applicabili
a tutti gli operatori che svolgono attivit commerciale nello Stato membro considerato e che
investono nella stessa maniera, in diritto e in fatto, la commercializzazione di prodotti nazionali e
quella di prodotti importati. La precisazione, contenuta nelle sentenze Keck e Hnermund,
rappresenta un passaggio di rilievo nella giurisprudenza sullart. 34 TFUE; in esse la Corte
chiarisce che misure relative alle modalit dellattivit commerciale e non al prodotto, non
preordinate alla disciplina degli scambi, non collegate in alcun modo con la diversit delle
legislazioni nazionali e insuscettibili di rendere, direttamente o indirettamente, nella forma o nella
sostanza, laccesso al mercato meno facile per i prodotti importati, non rientrano tra le misure di
effetto equivalente a restrizioni quantitative di cui alla fondamentale e tuttora valida formula
Dassonville. Pertanto, con le sentenze Keck e Hunermund, resta del tutto inalterato anche il criterio
del mutuo riconoscimento (di cui alla formula Cassis de Dijon), che fondato, infatti, sul
presupposto della diversit delle legislazioni a confronto e che cmq investe le normative sul
prodotto (composizione, presentazione) e non lattivit di vendita; mentre si sgombrato il campo
dellart. 34 TFUE da normative nazionali che non investono affatto gli scambi o lintegrazione dei
mercati.
12. LE RESTRIZIONI QUANTITATIVE ALLE ESPORTAZIONI
Lart. 35 TFUE (Sono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all'esportazione e
qualsiasi misura di effetto equivalente) vieta le restrizioni quantitative alle esportazioni, cos come
le misure di effetto equivalente. Quanto stato detto in tema di restrizioni delle importazioni pu
valere in via di principio anche per gli ostacoli alle esportazioni. Ci vale anzitutto per leffetto
diretto, nonch per la nozione di merce compresa nel divieto e per lorigine del prodotto, che pu
essere anche di un Paese terzo, purch in libera pratica. Va sottolineato che il divieto riguarda
SOLO le esportazioni verso altri Paesi membri e NON quelle verso Paesi terzi, che restano al di
fuori del campo di applicazione della norma.
Peraltro, la giurisprudenza sulle misure di effetto equivalente alle restrizioni quantitative alle
esportazioni non perfettamente speculare a quella sulle misure restrittive delle importazioni. In
generale, infatti, mentre il punto di riferimento rimane la formula Dassonville, qualche differenza
emerge sulla rilevanza dellelemento della discriminazione tra prodotti nazionali e prodotti
esportati.
Ad es., pacifico che qualunque misura investa il momento dellesportazione, imponendo
determinati adempimenti e provocando ritardi, pu avere un effetto dissuasivo e dunque costituisce
un ostacolo vietato. Sono cos vietate le licenze di esportazione e le misure equivalenti che non
siano altrimenti giustificate.
Non altrettanto pu dirsi per le misure indistintamente applicabili: infatti la giurisprudenza fino ad
oggi ha limitato la portata dellart. 35 TFUE a quelle misure che hanno per oggetto o per effetto di
restringere specificamente le correnti di esportazione, richiedendo un elemento di discriminazione a
116

[Digitare il titolo del documento] ed.)


favore dei prodotti o del mercato nazionale. Questo orientamento ha resistito, nonostante si sia fatta
valere da pi parti giustamente lopportunit di mantenere la sintonia dinterpretazione tra lart.
34 e lart. 35 TFUE.
Ad es., lart. 35 TFUE non impedisce agli Stati membri di emanare regolamentazioni tecniche
applicabili indistintamente ai prodotti destinati allesportazione verso altri Paesi membri. Pertanto,
ci che la disposizione vieta la misura che sfavorisce le esportazioni, e non quella che, come parte
di un sistema generale di adempimenti o controlli, di fatto riduce anche le esportazioni.
13. LE DEROGHE AL DIVIETO DI MISURE DI EFFETTO EQUIVALENTE
Lart. 36 TFUE (Le disposizioni degli articoli 34 e 35 lasciano impregiudicati i divieti o
restrizioni all'importazione, all'esportazione e al transito giustificati da motivi di moralit
pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e
degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o
archeologico nazionale, o di tutela della propriet industriale e commerciale. Tuttavia, tali divieti o
restrizioni non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, n una restrizione
dissimulata al commercio tra gli Stati membri) prefigura 1 serie di ipotesi in cui si consente allo
Stato membro di adottare o mantenere misure rientranti tra le misure di effetto equivalente
comprese nel divieto di cui allart. 34 TFUE oppure in quello di cui allart. 35 TFUE. Le ipotesi
sono quelle di restrizioni agli scambi motivate da ragioni di moralit pubblica, ordine pubblico,
sicurezza pubblica, tutela della salute, del patrimonio artistico, storico o archeologico e della
propriet industriale e commerciale; la condizione che queste restrizioni non costituiscano un
mezzo di discriminazione arbitraria o una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri.
1. In 1 luogo, lart. 36, in quanto una deroga al principio fondamentale delleliminazione
degli ostacoli alla libera circolazione delle merci, una norma di stretta interpretazione;
dunque la sua sfera di applicazione non pu essere estesa ad ipotesi diverse da quelle
tassativamente prefigurate, tutte di natura non economica.
2. In 2 luogo, rileva che con tale disposizione non si affatto inteso riservare agli Stati
membri una competenza esclusiva in determinate materie (quali la difesa della salute o la
tutela del consumatore), ma solo consentire una deroga al principio della libera circolazione
in vista delle esigenze prefigurate dal Trattato. In altri termini, in presenza di un regime
uniforme e dunque di uno standard adottato in tutti gli Stati membri, laccento si deve
spostare sullo Stato esportatore, con la conseguenza che il prodotto commercializzato in uno
Stato membro, conforme agli standards voluti dalla normativa dellUnione uniforme, non
pu subire in altri Stati membri alcuna restrizione ai sensi dellart. 36 TFUE. Ne consegue,
ad es., che, in presenza di direttive che armonizzano le specifiche di certi prodotti in vista di
esigenze sanitarie, i controlli sanitari di carattere sistematico eseguiti al confine su prodotti
contemplati da tali direttive non sono giustificati; e ci fin dalla data di scadenza fissata
dalla direttiva per ladozione delle norme interne eventualmente necessarie. Del pari,
relativamente al divieto di restrizioni alle esportazioni, la circostanza che una direttiva di
armonizzazione consenta ai singoli Stati membri di adottare misure + rigorose non li
autorizza ad ostacolare le esportazioni verso Paesi che hanno una normativa conforme agli
standards imposti dalla direttiva.
3. In 3 luogo, il controllo effettuato per la tutela delle esigenze di cui allart. 36 TFUE deve
ispirarsi al principio della proporzionalit. Cos lesercizio della facolt ivi stabilita deve
essere limitato a quanto sia strettamente necessario al perseguimento degli scopi previsti,
con la conseguenza che la facolt di deroga non viene riconosciuta quando lobiettivo pu
essere raggiunto in maniera ugualmente efficace ma con minore intralcio agli scambi
allinterno dellUnione.
Anche a proposito delle deroghe stabilite dallart. 36 TFUE c una vasta giurisprudenza:
117

[Digitare il titolo del documento] ed.)

quanto allipotesi di tutela della moralit pubblica, stata riconosciuta allo Stato membro,
ad es., la facolt di proibire limportazione di oggetti indecenti o osceni, sul presupposto che
in via di principio spetta a ciascuno Stato stabilire le esigenze di moralit da soddisfare, in
base alla propria scala di valori e nella forma da esso prescelta. Ma al riguardo stato poi
precisato che uno Stato membro non pu invocare motivi di moralit pubblica per vietare
limportazione di alcuni prodotti (pornografici) provenienti da altri Paesi membri quando nel
suo territorio non esiste un divieto assoluto di fabbricazione e commercializzazione dello
stesso prodotto;
per lipotesi di tutela della pubblica sicurezza, significativo ad es. il caso Campus Oil, in
cui si discuteva di un obbligo imposto agli importatori di prodotti petroliferi di rifornirsi
presso una raffineria nazionale fino ad una certa quota del fabbisogno e a prezzi prestabiliti,
non avendo quella raffineria la possibilit di praticare prezzi competitivi. Lobbligo stato
considerato una misura di effetto equivalente giustificata ai sensi dellart. 36 TFUE, con la
precisazione che la quantit di prodotto interessato al sistema non pu superare n il limite
dellapprovvigionamento minimo corrispondente alla sicurezza del Paese, n il livello
necessario di disponibilit per il caso di crisi.
La salute e la vita delle persone sono al 1 posto tra i beni e gli interessi che lart. 36 TFUE intende
tutelare; e spesso proprio la tutela della salute largomento utilizzato dagli Stati membri per
giustificare la misura di effetto equivalente agli scambi di prodotti farmaceutici o medicinali,
nonch + in generale in tema di controlli dei prodotti importati. In via di principio, ed in assenza di
armonizzazione a livello dellUnione, ciascuno Stato membro pu determinare il livello di tutela
della salute che intende garantire ai propri cittadini. Tuttavia, non si tratta di una discrezionalit
assoluta, restando agli Stati lonere di dimostrare attraverso un test di proporzionalit che il rischio
per la salute effettivo e che la normativa adottata o mantenuta realmente necessaria per tutelare
la salute o la vita delle persone. Lo Stato membro, ad es., libero di subordinare la
commercializzazione di certi prodotti ad autorizzazione e dunque a controlli, quando non vi sia una
disciplina dellUnione al riguardo; ma non pu esigere controlli o prove di laboratorio che siano gi
stati effettuati nel Paese dorigine e i risultati siano verificabili a semplice domanda.
Infine, bisogna ricordare che stata considerata come restrizione incompatibile con la libera
circolazione delle merci e non giustificata una normativa nazionale che escludeva dal rimborso del
sistema previdenziale nazionale la spesa x occhiali se acquistati allestero senza una previa
autorizzazione; in particolare, si escluso che la misura potesse essere giustificata da motivi di
sanit pubblica o dallesigenza di stabilit dellequilibrio finanziario del sistema previdenziale.
14. LE RESTRIZIONI AGLI SCAMBI CONNESSE ALLA TUTELA DELLA PROPRIET
INDUSTRIALE E COMMERCIALE
Infine, lart. 36 TFUE prevede una deroga al divieto di restrizioni alle importazioni o alle
esportazioni quando siano giustificate da motivi che attengono alla tutela della propriet
industriale e commerciale. Questo un settore difficile rispetto al tema della libera circolazione
delle merci, cos come della concorrenza, perch la sua disciplina necessariamente ispirata al
principio della territorialit, che esattamente agli antipodi rispetto allidea di mercato unico. N
lart. 345 TFUE, che in via di principio conserva agli Stati membri la disciplina del regime della
propriet, riesce a sottrarre il settore della propriet sui beni immateriali alle previsioni del Trattato
sulla libera circolazione di merci e servizi e sulla concorrenza.
La propriet intellettuale designa linsieme dei diritti riconosciuti da un ordinamento per la tutela
del brevetto, del marchio, del diritto di autore, dei modelli e dei disegni ornamentali, del diritto di
costituzione di specie vegetali e dei diritti connessi. Minimo comune denominatore di questi diritti
il rinascimento al titolare di facolt esclusive, con effetti erga omnes, in ordine alla produzione e
alla commercializzazione dei beni inerenti al quel diritto. Inoltre, tali facolt esclusive spiegano
118

[Digitare il titolo del documento] ed.)


efficacia e possono essere invocate dai legittimi titolari solo entro i limiti territoriali
dellordinamento in cui sono positivamente riconosciute.
Il conferimento di unesclusiva territoriale si sostanzia dunque in un potere di tipo monopolistico,
che comporta di x s effetti restrittivi dellattivit economica dei terzi. Peraltro, tali effetti possono
considerarsi inerenti alla natura stessa della propriet intellettuale: la facolt conferita ai titolari dei
diritti di opporsi alle importazioni invero inerente al carattere interno della normativa e allambito
territoriale per il quale sono concessi tali diritti ne consegue che non mancano le occasioni di
conflitto in un contesto giuridico, quale il mercato comune (o unico o interno, non importa), in cui
vige il principio opposto della libert degli scambi e della libera concorrenza. Pertanto lo sforzo
stato indirizzato verso la realizzazione di un giusto equilibrio tra:
le esigenze della libert degli scambi;
e quella di assicurare lindispensabile tutela dei diritti sui beni immateriali.
Solo in tempi recenti, il legislatore dellUnione ha introdotto le prime iniziative legislative in
materia: infatti, per un lungo arco di tempo, spettato alla Corte disegnare i contorni del regime
dellUnione della propriet intellettuale. Nellassolvere a questo compito, essa si fondata su 2
gruppi di disposizioni, e precisamente:
1 le norme sulla libert di circolazione delle merci
2 e le norme sulla concorrenza
Nel settore della propriet intellettuale gli artt. 34 e 36 TFUE si configurano come un limite
allapplicazione delle normative interne, comprimendo di conseguenza i diritti esclusivi riconosciuti
ai singoli dai diversi ordinamenti giuridici nazionali. Lo schema concettuale rilevante in proposito
pu essere cos sintetizzato:
a) Le restrizioni degli scambi risultanti dallapplicazione dei diritti di propriet intellettuale
ricadono automaticamente nel campo di applicazione dellart. 34 TFUE; la verifica di
compatibilit con il diritto dellUnione delle norme nazionali sulla propriet intellettuale
deve essere ricondotta nellambito dellart. 36 TFUE oppure delle esigenze di
proporzionalit di cui allo stesso art. 34 TFUE.
b) La deroga di cui allart. 36 TFUE, che consente di sottrarre al divieto sancito dallart. 34
TFUE le normative interne sulla propriet intellettuale, di stretta interpretazione. Questa
affermazione va intesa nel senso che, in linea di principio, questa deroga consente di
giustificare soltanto norme interne che siano indispensabili per tutelare loggetto specifico
dei diritti di propriet intellettuale. Spetta in ultima analisi alla Corte definire quale sia
loggetto specifico dei diritti di propriet intellettuale, nonch dettare i criteri in base ai quali
valutare se le norme nazionali in materia siano o meno indispensabili alla tutela delloggetto
specifico. Viceversa, le necessarie valutazioni di fatto spettano alle autorit (giurisdizionali o
amministrative) nazionali.
c) Infine, lapprezzamento dei diritti di propriet intellettuale, alla stregua dellart. 36 TFUE,
seconda frase, implica che lapplicazione delle deroghe contemplate dalla norma non
debbono cmq comportare una discriminazione arbitraria o una restrizione dissimulata agli
scambi intracomunitari.
In relazione al diritto di brevetto, la Corte ha precisato che loggetto specifico della propriet
industriale la garanzia data al titolare, per ricompensare lo sforzo creativo concretatosi
nellinvenzione, di valersene in via esclusiva per la produzione e la prima immissione in commercio
di beni industriali, sia direttamente, sia mediante concessione di licenze a terzi, nonch il diritto di
opporsi alle contraffazioni. Ci non pu valere in ogni circostanza, ad es. non pu valere quando la
prima immissione in commercio avviene in un mercato dove il prodotto non brevettabile: in
questo caso, il titolare non pu che accettare le conseguenze della libera circolazione.
Pi complessa risultata la definizione delloggetto specifico del diritto di marchio. Si cominciato
con il riconoscere che oggetto specifico della propriet commerciale la garanzia per il titolare di
un diritto esclusivo di servirsi del marchio per la prima immissione di un prodotto sul mercato, s
119

[Digitare il titolo del documento] ed.)


che risulti tutelato nei confronti di eventuali concorrenti che, con un uso abusivo del marchio,
sfruttassero la posizione dellimpresa e la reputazione del marchio stesso. In seguito la Corte ha
sottolineato + in particolare la funzione che il marchio assume a tutela del consumatore e a garanzia
della qualit dei prodotti. Cos, nella sentenza Hag II, la Corte:
ha individuato la funzione essenziale del marchio nella garanzia per il consumatore o
lutilizzatore finale dellidentit di origine del prodotto contrassegnato, che gli consente di
distinguere senza possibilit di confusione questo prodotto da quelli aventi diversa origine;
ed ha anche precisato che affinch il marchio possa svolgere questa funzione, occorre che
tutti i prodotti che ne sono contrassegnati siano stati fabbricati sotto il controllo di ununica
impresa cui possa attribuirsi la responsabilit della loro qualit.
In relazione al diritto di autore e ai diritti connessi, stato riconosciuto che le diverse forme di
tutela della propriet letteraria e artistica rientrano nellambito della deroga dallart. 36 TFUE in
ordine alla propriet industriale e commerciale. In particolare, la Corte ha affermato che:
le opere letterarie e artistiche possono essere sfruttate commercialmente sia mediante
pubbliche rappresentazioni, sia mediante la riproduzione e la messa in circolazione dei
supporti materiali ottenuti;
e che le 2 prerogative essenziali dellautore, il diritto esclusivo di rappresentazione e il
diritto esclusivo di riproduzione, sono lasciate intatte dalle norme del Trattato.
In tema di disegni o modelli protetti, stato incluso nelloggetto specifico del diritto il potere del
titolare di vietare a terzi la fabbricazione, la vendita o limportazione di prodotti che incorporano il
modello senza il suo consenso; e che impedire lapplicazione di una normativa che contemplasse
questa possibilit equivarrebbe a mettere in discussione lesistenza stessa del diritto.
essenzialmente sulla base delloggetto specifico del diritto di propriet industriale, che la Corte ha
esaminato la compatibilit comunitaria delle legislazioni nazionali sottoposte al suo esame.
In particolare, la Corte ha sempre escluso che gli artt. 34 e 36 TFUE possano essere invocati per
opporsi allapplicazione di norme nazionali che stabiliscono se, e in presenza di quali condizioni,
possa essere riconosciuto un diritto di propriet intellettuale. La costituzione di un tale diritto
rimessa allordinamento interno, con la conseguenza che le regole adottate da uno Stato membro in
tale materia debbono ritenersi rientrare in linea di principio nellambito della specifica deroga
contemplata dallart. 36 TFUE.
Pi in generale, va rilevato che lautonomia riconosciuta agli Stati membri non assoluta, ed infatti:
in primo luogo, la Corte ha considerato che, in presenza di determinate condizioni, i diritti di
propriet intellettuale sono soggetti ad esaurimento;
in secondo luogo, la Corte ha puntualizzato che cmq le norme nazionali sui diritti di
propriet intellettuale non possono avere contenuto o effetti discriminatori.
Il principio dellesaurimento del diritto implica che il titolare di un diritto di propriet intellettuale
non pu opporsi allimportazione e alla commercializzazione di prodotti che sono stati messi in
commercio nello Stato di esportazione da lui stesso o con il suo consenso o da persona a lui legata
da vincoli di dipendenza giuridica o economica. Con questo principio, si intende evitare che il
titolare del diritto, attraverso la costituzione di diritti paralleli nei diversi Stati membri, possa
determinare una compartimentazione dei mercati e impedire la circolazione dei prodotti allinterno
dellUnione.
La giurisprudenza ha poi ulteriormente precisato la portata del principio dellesaurimento: in
particolare, in materia di brevetti se ne esclusa lapplicazione quando il prodotto sia stato
commercializzato senza il consenso effettivo del titolare del brevetto (ad es. in virt di una licenza
obbligatoria). Viceversa, se il titolare consente alla commercializzazione del prodotto in un altro
Stato membro in cui quel prodotto non brevettabile, egli non pu opporsi allimportazione nei
Paesi in cui la tutela riconosciuta, ma deve accettare il principio della libera circolazione.
In tema di opere letterarie e artistiche che possono essere sfruttate anche con sistemi diversi dalla
vendita, ad es. con il noleggio, la giurisprudenza ha precisato che la riscossione dei diritti dautore
120

[Digitare il titolo del documento] ed.)


in funzione delle vendite non costituisce una remunerazione sufficiente e che pertanto una
normativa che riservi allautore una quota dei profitti realizzati tramite il noleggio giustificata. In
definitiva, la messa in circolazione per la vendita non esaurisce i diritti dellautore rispetto ad altri
sistemi di diffusione dellopera. Del parti, il diritto esclusivo di autorizzare o vietare il noleggio di
unopera (ad es. un film o altro) non si esaurisce con il suo esercizio in uno degli Stati membri.
In materia di marchi, la giurisprudenza ha subto una sensibile evoluzione, ed infatti:
in un primo tempo, il principio dellesaurimento stato collegato alla mera origine comune
del diritto, senza distinguere tra successiva cessione volontaria e non volontaria. Infatti, nel
caso Hag I, in cui il diritto di marchio era stato oggetto di un provvedimento di confisca e di
cessione autoritativa, stata negata al titolare la facolt di opporsi alla importazione del
prodotto commercializzato legalmente in un altro Stato membro con marchio identico. Tale
orientamento stato espressamente modificato nella pronuncia Hag II: in particolare, la
Corte ha precisato che nellipotesi di due o pi diritti di marchio aventi la stessa origine, ma
la cui partizione sia avvenuta senza il consenso del titolare originario ed in capo a soggetti
rispetto a lui del tutto indipendenti, ciascun titolare si pu opporre allimportazione del
prodotto di marchio uguale o confondibile. Questo diverso orientamento stato fondato su
una diversa valutazione della funzione tipica del marchio, consistente nel dare al
consumatore la certezza sullorigine del prodotto e al produttore il controllo e la
responsabilit della qualit, funzione che, in caso di origine comune e di partizione non
volontaria, i marchi svolgono ciascuno indipendentemente dallaltro allinterno dei
rispettivi mercati.
Unulteriore precisazione al riguardo ha portato ad una completa inversione dellorientamento sul
principio dellesaurimento dellUnione: infatti si affermata lapplicabilit di questo principio in
tutti i casi di cessione del diritto, non volontaria e anche volontaria, in quanto stato considerato
decisivo non tanto il consenso o no del titolare originario, bens la perdita da parte sua, in ogni caso,
del controllo sulla qualit del prodotto.
Da ci consegue anche che il principio dellesaurimento, mentre si applica quando il collegamento
economico con il titolare si sostanzia nellappartenenza allo stesso gruppo, non trova invece
applicazione quando il titolare del marchio ha una buona ragione per opporsi cmq alla
commercializzazione, ad es. quando il prodotto sia stato alterato o modificato in modo sostanziale.
Si anche posto lo specifico problema del riconfezionamento dei prodotti medicinali, in particolare
se il titolare possa opporsi allutilizzazione del marchio quando il terzo lo abbia riconfezionato e vi
abbia posto il marchio senza autorizzazione. La Corte ha da sempre rilevato che una tale facolt pu
essere riconosciuta solo quando sia provato che lesercizio del diritto di marchio non miri ad isolare
artificialmente i mercati, quando il riconfezionamento pu alterare lo stato originario del prodotto,
quando il titolare non sia stato previamente informato e quando sulla nuova confezione non se ne
specifica lautore.
La giurisprudenza sullesaurimento del marchio stata recepita nellart. 7 della direttiva sul
ravvicinamento delle legislazioni nazionali sui marchi. Questa disposizione non pu che avere la
stessa chiave di lettura dellart. 36 TFUE, avendo entrambe le norme la funzione di coniugare
linteresse alla tutela del marchio con quello della libera circolazione delle merci allinterno del
mercato comune.
Ipotesi specifica quella di un prodotto che messo in commercio dal titolare del marchio per la
prima volta in un Paese terzo. La direttiva stata interpretata nel senso che agli Stati membri non
consentito di stabilire nel diritto nazionale e unilateralmente lesaurimento del marchio
relativamente ai prodotti posti in commercio in Paesi terzi; infatti, diversamente, soluzioni non
uniformi tra gli Stati membri quanto allesaurimento del marchio potrebbero incidere negativamente
sullunicit del marchio di beni e servizi. Pertanto, nellipotesi di immissione in commercio del
prodotto in Paesi terzi, lo stesso titolare pu opporsi allimportazione del prodotto, con
denominazione identica o confondibile, in un Paese membro, in quanto non si incide sullunicit del
mercato che lart. 34 TFUE mira a garantire. La stessa soluzione stata data nel caso di
121

[Digitare il titolo del documento] ed.)


importazione del prodotto da un Paese terzo con il quale vigeva un accordo di libero scambio
contenente disposizioni di tenore corrispondente agli artt. 34 e 36 TFUE, in quanto se ne data una
lettura diversa in considerazione del contesto diverso rispetto a quello del mercato comune tra Paesi
membri.
Risposta del pari negativa va poi data al quesito se una misura nazionale possa disporre il blocco in
dogana di una merce in transito per + giorni per consentire al titolare del diritto di propriet
industriale non solo di verificare lorigine e la destinazione del prodotto, che cmq richiederebbe
solo un breve accertamento documentale, ma anche di accertare eventuali contraffazioni. Ed infatti,
sulla premessa che laccertamento di contraffazioni relativamente al semplice transito di copie non
autorizzate dal titolare non rientra nelloggetto specifico del diritto, stato precisato che il blocco
del transito stesso per tale scopo non rientra tra le deroghe consentite dallart. 36 TFUE; cos come
sarebbe sproporzionato un simile blocco nel caso in cui lo scopo fosse la mera verifica dellorigine
e della destinazione della merce.
Infine oggetto di una giurisprudenza costante lassoluta incompatibilit con il diritto dellUnione
delle norme nazionali sulla propriet intellettuale aventi effetti discriminazioni nei confronti di
prodotti o persone di altri Stati membri: infatti la Corte ha + volte precisato che le disposizioni
nazionali sulla propriet intellettuale possono beneficiare della deroga di cui allart. 36 TFUE solo
se non comportino delle restrizioni dissimulate o delle discriminazioni arbitrarie ai sensi della 2
farse di tale articolo.
15. I MONOPOLI COMMERCIALI
Lart. 37 TFUE sancisce il principio del riordino dei monopoli nazionali di carattere commerciale
fino alleliminazione di qualsiasi discriminazione fra i cittadini dellUnione circa le condizioni
relative allapprovvigionamento e agli sbocchi.
Lart. 37 TFUE ha lo scopo di garantire la libera circolazione delle merci e il mantenimento di un
assetto concorrenziale tra gli Stati membri anche quando un determinato prodotto dovesse essere
loggetto di un monopolio commerciale, in quanto strumento per il perseguimento di un interesse
pubblico. in tale prospettiva che va considerato lobbligo di evitare solo le discriminazioni in
base alla nazionalit relativamente allapprovvigionamento e allo smercio. Rispetto allart. 37
TFUE vanno in particolare verificate le normative nazionali relative allesistenza e al
funzionamento del monopolio commerciale, quella essendo la disposizione specificamente
applicabile allesclusiva; mentre lincidenza sugli scambi allinterno dellUnione delle stesse
normative, non collegate al funzionamento del monopolio ma con una incidenza su questultimo, va
esaminata alla luce degli artt. 34 e 36 TFUE.
Lobbligo di procedere al riassetto dei monopoli riguarda qualsiasi organismo attraverso il quale lo
Stato controlli, diriga o influenzi sensibilmente, anche in fatto, direttamente o indirettamente, gli
scambi tra Paesi membri. Deve trattarsi di un monopolio che si estende allintero territorio
nazionale e che attenga a scambi di merci; in caso contrario si fuori dal campo di applicazione
dellart. 37 TFUE: infatti, da sempre la giurisprudenza ha escluso che ad un monopolio di servizi
(ad es., relativo alla pubblicit commerciale televisiva) sia applicabile questa norma.
Il riordino progressivo dei monopoli doveva consentire agli Stati membri di realizzare lobiettivo
delleliminazione di qualsiasi discriminazione entro e non oltre la fine del periodo transitorio: il
31/12/1969 per i Paesi fondatori, fino alle date pi recenti per gli Stati successivamente entrati a far
parte dellUnione. Lobiettivo era quello di evitare eventuali perturbazioni nel tessuto economico e
sociale del Paese. La giurisprudenza ha + volte ribadito che il Trattato ha lasciato allo Stato membro
un largo margine di apprezzamento sulle modalit del riordino progressivo, pur con lobbligo
generale di iniziare effettivamente il processo di riordino, in modo da essere in grado di assolvere
allobbligo di risultato entro il termine prescritto. Inoltre, i tempi del riordino non consentono di
determinare a priori i momenti intermedi in cui i singoli ostacoli vanno eliminati, com
122

[Digitare il titolo del documento] ed.)


confermato anche dal tipo di strumento, la raccomandazione, di cui la Commissione dispone x
stimolare il riordino.
Si posto il quesito se lart. 37 TFUE imponga leliminazione dei monopoli commerciali in quanto
tali o soltanto leliminazione di quei monopoli che comportano discriminazioni o di quelle modalit
di esercizio che producano un tale risultato. In questi termini, il problema mal posto, in quanto la
risposta dipende dal tipo di monopolio e dalla sua estensione, s che le modalit di esercizio
potranno essere rilevanti o anche del tutto ininfluenti sulla compatibilit del monopolio in s con le
norme dellUnione conferenti a seconda delle circostanze concrete. Ad es., un monopolio di
importazione che si aggiunga ad un monopolio di produzione ben probabile che sia di x s
illegittimo, per il semplice motivo che il monopolista privilegia la commercializzazione dei propri
prodotti rispetto ai prodotti importati: infatti, si tratta precisamente di quella discriminazione che la
norma in questione intende perseguire.
Inoltre leliminazione progressiva dei monopoli commerciali imposta dallart. 37 TFUE pone il
problema del rapporto tra tale obbligazione e quella contenuta nellart. 106 TFUE. Questultima
certamente pi ampia, in quanto impone leliminazione di qualsiasi misura che, adottata nei
confronti delle imprese pubbliche e delle imprese titolari di diritti esclusivi o speciali, sia contraria
al Trattato e in particolare alle norme sulla concorrenza.
La logica suggeriva che il + assorbisse il meno e che lart. 37 TFUE mirasse a disciplinare nel senso
della gradualit, dunque a vantaggio degli Stati membri, leliminazione dei monopoli limitatamente
al pregiudizio causato alla libert degli scambi di merci; e che, una volta realizzato lo scopo, avesse
esaurito la sua funzione e la disciplina dei monopoli rientrasse nellalveo generale dellart. 106
TFUE.
Il Trattato di Amsterdam ha risolto questa questione, eliminando il carattere di gradualit del
riordino nei monopoli commerciali sancita dal vecchio testo dellart. 37 TFUE; ma mantenendo la
disposizione distinta e ulteriore rispetto allart. 106 TFUE.

CAPITOLO 5
LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE PERSONE
E DEI CAPITALI
1. LE PERSONE CHE BENEFICIANO DELLA LIBERT DI CIRCOLAZIONE
ALLINTERNO DELLUNIONE
La realizzazione del mercato comune, quale prefigurata dallart. 2 TFUE, implica leliminazione
fra gli Stati membri degli ostacoli, oltre che agli scambi di merci, alla circolazione di persone,
servizi e capitali. In particolare, la libera circolazione delle persone oggetto di un principio
fondamentale destinato a soddisfare, pur sotto diversi aspetti e con diverse modalit, lesigenza di
rendere possibile e agevole per i cittadini dellUnione lesercizio di unattivit, senza riguardo ai
confini nazionali. Dunque le disposizioni del TFUE e quelle degli atti dellUnione che disciplinano
la libera circolazione delle persone perseguono lobiettivo di facilitare ai cittadini dellUnione
lesercizio di attivit lavorative di qualsiasi natura e nellintero territorio dellUnione; quindi
assumono un ruolo centrale nelleconomia del Trattato. Questultimo, peraltro, in origine non ha
123

[Digitare il titolo del documento] ed.)


riguardato, almeno in via di principio, la persona in quanto tale, ma in quanto soggetto che esercita
unattivit economicamente rilevante o comunque sia a tale soggetto collegata, ad es. per vincoli
familiari.
Dunque nel TFUE troviamo 3 gruppi di norme, che in sostanza corrispondono a 3 principali ipotesi,
e precisamente:
1) lavoro subordinato (artt. 45-48);
2) lavoro autonomo localizzato stabilmente nel territorio di uno Stato membro (artt. 49-55);
3) prestazione di servizi, che si risolve (normalmente) in unattivit economica prestata
occasionalmente in uno Stato membro diverso da quello di stabilimento (artt. 56-62).
La disciplina della libert di circolazione delle persone rivela unispirazione comune di base, che
pu riassumersi nellobiettivo di uneffettiva libera circolazione allinterno del mercato comune
delle persone fisiche e giuridiche che vi sono impegnate, e ha il suo punto di partenza e di
riferimento nel principio fondamentale del divieto di discriminazione in base alla nazionalit e si
articola diversamente rispetto alle 3 ipotesi; ci per non impedisce che, sotto numerosi aspetti, la
disciplina sia unitaria (ad es. in materia di ingresso e di soggiorno).
Negli anni il diritto dellUE ha progressivamente consentito la libera circolazione alla quasi totalit
delle persone che abbiano la cittadinanza di uno Stato membro. Infatti, la Corte ha ampliato il pi
possibile la sfera di soggetti ammessi a beneficiare della libera circolazione, andando ben al di l
delle ipotesi tipiche, cio quelle collegate al lavoro dipendente, allo stabilimento e alla prestazione
di servizi. A ci si aggiunga che lo stesso diritto derivato ha finito col riconoscere a tutti i cittadini
dellUnione, sebbene con talune limitazioni, un diritto di soggiorno generalizzato e, dunque, un
diritto di circolare anche in assenza di unattivit lavorativa. Con 3 direttive del 1990, riguardanti il
diritto di soggiorno, il diritto di soggiorno dei lavoratori salariati e non salariati che hanno
cessato la propria attivit professionale e il diritto di soggiorno degli studenti, si ad es. esteso il
beneficio del soggiorno in misura rilevante.
In seguito, la direttiva 2004/38/CE ha razionalizzato i precedenti atti dellUnione, che trattavano
separatamente le varie figure di lavoratore subordinato, lavoratore autonomo, studente e persone
inattive, disciplinando in un unico testo legislativo il diritto dei cittadini dellUE e dei loro familiari
di circolare e di soggiornare nel territorio degli Stati membri. Quindi, la direttiva stabilisce un
diritto di soggiorno di durata indeterminata di cui possono beneficiare i lavoratori autonomi, i
lavoratori subordinati cio tutti i cittadini dellUnione che dispongano di risorse economiche
sufficienti e di unassicurazione malattia.
Lart. 21 TFUE, introdotto dal Trattato di Maastricht, espressamente prevede che ogni cittadino
dellUnione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri,
fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in
applicazione degli stessi e che il Parlamento europeo ed il Consiglio sono chiamati ad adottare
disposizioni intese a facilitare lesercizio di tale diritto. Questa disposizione, unitamente alla
giurisprudenza della Corte e alla direttiva 2004/38/CE, ha sancito il definitivo superamento della
concezione mercantilistica del diritto di circolazione: quindi, non pi libert di circolazione in
funzione dello svolgimento di unattivit economica, ma libert di circolazione e di soggiorno in
quanto cittadini dellUnione. In definitiva, la libert di circolazione e di soggiorno, e pi in
generale, lo status dei cittadini dei Paesi membri dellUnione, sono da sempre e restano collegati al
divieto di discriminazioni in base alla nazionalit sancito dallart. 18 TFUE. Tuttavia, tale
disposizione va letta e applicata in combinazione con lart. 21, che sancisce il diritto di tutti i
cittadini dellUnione alla libera circolazione e al soggiorno nellintero territorio dell Unione, senza
alcun riferimento alla valenza economica dellattivit svolta.
La Corte ha ulteriormente valorizzato lart. 21 TFUE, riconoscendo anche al genitore cittadino di
uno Stato terzo che abbia la custodia del figlio avente la cittadinanza europea il diritto di
soggiornare con questultimo nello Stato membro ospitante, nonostante questa ipotesi non fosse
espressamente contemplata dal diritto dellUnione. La Corte arriva a questa conclusione mettendo
in chiara evidenza che il rifiuto della domanda di permesso di soggiorno, presentata dalla madre che
124

[Digitare il titolo del documento] ed.)


esercitava la custodia del minore in tenera et, avrebbe privato di qualsiasi effetto utile il diritto di
soggiorno di questultimo.
2. Segue: LA CITTADINANZA EUROPEA E LA LIBERT DI CIRCOLAZIONE DEI
CITTADINI DELLUNIONE
Occorre chiarire che non esiste una nozione europea di cittadinanza, tanto che le norme dellUnione
che ne prescrivono il possesso come presupposto soggettivo per la loro applicazione, in realt
rinviano alla legge nazionale dello Stato la cui cittadinanza viene posta a fondamento del diritto
invocato. Questo rinvio al diritto nazionale stato operato espressamente anche nel Trattato, dove si
definisce cittadino dellUnione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro (art. 20
TFUE). Ci non significa n che la competenza degli Stati membri in materia di cittadinanza sia
assoluta, in quanto deve esercitarsi entro alcuni limiti, n che i diritti riconosciuti dal Trattato siano
necessariamente riservati ai cittadini dellUnione. Infatti, la Corte ha precisato che il diritto dell
Unione non si oppone a che gli Stati membri concedano autonomamente il diritto di elettorato attivo
e passivo per le elezioni del PE a determinate persone che abbiano legami stretti con essi, pur non
essendo loro cittadini o cittadini dellUnione residenti sul loro territorio. Gli sviluppi che sono
derivati dalle disposizioni del Trattato sulla cittadinanza europea sono piuttosto significativi. In
particolare, la giurisprudenza ha chiarito da tempo che lart. 21 TFUE provvisto di effetto diretto
e attribuisce al cittadino dellUnione un diritto al medesimo trattamento giuridico nellesercizio
della libert di circolazione e soggiorno. Ma la Corte ha precisato che questo diritto non assoluto,
essendo attribuito subordinatamente ai limiti e alle condizioni previsti dal Trattato e dalle relative
disposizioni di attuazione. Tali limiti e condizioni devono per rispondere al principio di
proporzionalit, ossia devono essere appropriati e necessari per lattuazione dello scopo perseguito,
il cui rispetto deve essere assicurato dal giudice nazionale.
Tuttavia, la Corte ha sottolineato che i presupposti del godimento dei diritti del cittadino
dellUnione inerenti alla nozione di circolazione restano ancorati allambito di applicazione
ratione materiae del Trattato, cio si tratta di diritti condizionati allesercizio effettivo della
circolazione, con la conseguenza che non hanno una valenza autonoma rispetto a quelli che i
Trattati e il diritto derivato gi riconoscono.
Lo status di cittadino europeo attribuisce la titolarit di altri diritti, oltre a quello fondamentale di
circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (art. 21), tra cui: il diritto di
voto e di eleggibilit alle elezioni del PE e alle elezioni comunali nello Stato membro in cui si
risiede, alle stesse condizioni dei cittadini di tale Stato (art. 22); il diritto di godere, nel territorio di
un Paese terzo ove il proprio Stato non abbia una rappresentanza diplomatica, della tutela delle
autorit diplomatiche e consolari di qualsiasi altro Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini
di questultimo (art. 23); il diritto di presentare petizioni al PE, di ricorrere al Mediatore europeo, di
rivolgersi alle istituzioni, agli organi e agli organismi dellUnione in una delle lingue dei Trattati e
di ricevere una risposta nella stessa lingua (art. 24).
Il Trattato di Lisbona ha ribadito e ampliato la nozione di cittadinanza europea, rafforzando gli
strumenti di democrazia partecipativa (ad es. il coinvolgimento dei cittadini europei
nellelaborazione della proposta di adozione degli atti).
3. LA LIBERT DI CIRCOLAZIONE DEI CITTADINI DI PAESI TERZI
Il pieno esercizio del diritto di circolazione, inteso come diritto di attraversare le frontiere interne
dellUnione senza controlli, rimane collegato alladozione di disposizioni comuni sui controlli alle
frontiere esterne. Le difficolt che ancora permangono alla libera circolazione delle persone sono
attualmente dovute ai controlli di polizia effettuati alla frontiera. Si tratta di una questione
strettamente collegata alla pi generale politica di immigrazione, oltre che alla lotta alla criminalit
e al terrorismo. Non a caso la cooperazione tra gli Stati membri in materia iniziata al di fuori del
125

[Digitare il titolo del documento] ed.)


sistema comunitario, attraverso iniziative dei governi e delle autorit preposte alla tutela dellordine
pubblico e/o dellimmigrazione.
Gli sviluppi pi significativi si sono avuti nellambito costituito dagli Stati firmatari degli accordi di
Schengen, le cui problematiche sono state affrontate per la prima volta nel contesto dellUnione,
quale prefigurata a Maastricht, allinterno del c.d. terzo pilastro, dunque come cooperazione in
materia di giustizia e affari interni.
Il Trattato di Amsterdam ha inciso in modo significativo non soltanto nella forma, mutando il nome
del 3 pilastro in cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, ma anche nella sostanza,
trasferendo la materia dei visti, dellasilo, dellimmigrazione e le altre politiche connesse con la
circolazione delle persone del Titolo IV del TCE e lasciando nel Titolo VI del TUE solo uno dei
settori prima rientranti nellambito della cooperazione in materia di giustizia e affari interni.
Grazie allintegrazione nellUnione europea degli accordi di Schengen e di tutti gli altri adottati
nellambito della cooperazione da essi prevista, si evitato il rischio di sovrapposizioni e tutte le
realizzazioni compiute in ambito Schengen sono state incorporate come acquis Schengen nel
sistema dellUnione. La ripartizione degli atti compresi nellacquis Schengen tra 1 e 3 pilastro
(cio Titolo IV del TCE e Titolo VI del TUE) stata decisa allunanimit dal Consiglio che ha
provveduto ad individuarne il corretto fondamento giuridico.
Va ricordato che i 13 Stati gi membri degli accordi Schengen, ad eccezione del Regno Unito e
dellIrlanda, erano autorizzati ad istituire tra loro una cooperazione rafforzata nelle materie
disciplinate da tali accordi. Tenuto conto della particolare posizione della Danimarca, oltre che del
Regno Unito e dellIrlanda, rispetto agli accordi di Schengen, si pu dire che lintegrazione
dellacquis Schengen decisa ad Amsterdam permetteva di superare il rischio di sovrapposizioni tra
strumenti interni ed esterni dellUnione, ma non riusciva ad individuare una soluzione che fosse
realmente suscettibile di garantire una disciplina comune in relazione allingresso e al trattamento
dei cittadini dei Paesi terzi, in particolare sui controlli alle frontiere esterne. Il problema si
accentuato con ladesione di nuovi Stati membri allUE avvenuta il 1 maggio 2004, risultando
applicabili nei loro confronti soltanto alcune disposizioni dellacquis Schengen e dei successivi atti
ad esso connessi, i quali si applicheranno solo a seguito del rispetto di alcune condizioni accertate
dal Consiglio. Allo stesso modo, previsto che tali disposizioni siano applicate alla Romania ed alla
Bulgaria, entrate nellUE nel 2007, solo in virt di una decisione adottata dal Consiglio, dopo aver
verificato il rispetto dei requisiti previsti. Il quadro stato notevolmente semplificato dal Trattato di
Lisbona, con 2 previsioni:
1) la 1, concernente il futuro, impone che lacquis di Schengen e le ulteriori misure adottate
dalle istituzioni nellambito del suo campo di applicazione debbano essere accettati
integralmente da tutti gli Stati candidati alladesione;
2) la 2, che riguarda invece il presente, sopprime la tradizionale struttura a pilastri
dellUnione, eliminando in tal modo le distinzioni tra 1 e 3 pilastro.
Questultima novit comporta la comunitarizzazione della cooperazione di polizia e giudiziaria in
materia penale. Infatti nel nuovo titolo V del TFUE, dedicato allo spazio di libert, sicurezza e
giustizia, confluiscono le politiche relative ai controlli alle frontiere, allasilo e allimmigrazione,
la cooperazione giudiziaria in materia civile e quella in materia penale, la cooperazione di polizia
unitamente a disposizioni comuni a queste politiche. Nel TFUE si precisa che obiettivi dellUnione
sono:
1) garantire lassenza di qualsiasi controllo sulle persone, a prescindere dalla nazionalit,
allatto dellattraversamento delle frontiere interne;
2) garantire il controllo delle persone e la sorveglianza efficace dellattraversamento delle
frontiere esterne;
3) instaurare un sistema integrato di gestione delle frontiere esterne.
Per il raggiungimento di questi obiettivi, il PE e il Consiglio, deliberando secondo la procedura
legislativa ordinaria, adottano apposite misure.
Lart. 80 TFUE precisa che queste politiche dellUnione sono governate dal principio di solidariet
126

[Digitare il titolo del documento] ed.)


e di equa ripartizione della responsabilit tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario.
Il sistema comune di asilo deve includere:
uno status uniforme in materia di asilo per i cittadini di Paesi terzi, valido in tutta lUnione e
uno status uniforme in materia di protezione sussidiaria per i cittadini di Paesi terzi che
necessitano di protezione internazionale;
procedure comuni per lottenimento e la perdita di tali status;
un sistema comune volto alla protezione degli sfollati in caso di afflusso massiccio;
criteri e meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per lesame di una
domanda di asilo o di protezione sussidiaria e norme concernenti le condizioni di
accoglienza dei richiedenti;
la cooperazione con Paesi terzi per gestire i flussi dei richiedenti asilo, protezione sussidiaria
o protezione temporanea.
La politica comune dellimmigrazione deve poi assicurare la gestione efficace dei flussi migratori,
lequo trattamento dei cittadini di Paesi terzi regolarmente soggiornanti negli Stati membri e la
prevenzione ed il contrasto dellimmigrazione illegale e della tratta degli esseri umani.
Per quanto riguarda il regime transitorio previsto in relazione agli atti adottati in base al titolo VI
del TUE, prima dellentrata in vigore del Trattato di Lisbona, lart. 9 del Protocollo (n. 36) sulle
disposizioni transitorie stabilisce che gli effetti giuridici degli atti adottati in base al TUE, prima del
Trattato di Lisbona, sono mantenuti finch tali atti non saranno stati abrogati, annullati o
modificati in applicazione dei nuovi Trattati; poi previsto che nei 5 anni successivi allentrata in
vigore del Trattato di Lisbona la Commissione europea non possa ricorrere alla procedura
dinfrazione e le attribuzioni della Corte di giustizia in questo settore restino invariate.
In conclusione, si pu dire che lobiettivo di garantire al cittadino dellUnione la libert di circolare
allinterno del territorio dellUnione, senza alcun tipo di controllo, rappresenti un traguardo ancora
da raggiungere in modo completo.
4. LA LIBERA CIRCOLAZIONE DEI LAVORATORI. CAMPO DI APPLICAZIONE
DELLA DISCIPLINA: NOZIONI DI LAVORATORE E DI ATTIVIT SUBORDINATA
Lart. 45 TFUE enuncia in termini chiari e perentori il principio della libera circolazione dei
lavoratori allinterno dellUnione: la libera circolazione dei lavoratori allinterno dellUnione
assicurata (n. 1); essa implica labolizione di qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalit,
tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda limpiego, la retribuzione e le altre
condizioni di lavoro (n. 2). I diritti riconosciuti al lavoratore dellUnione, sono elencati al n. 3 e
comprendono:
1. laccesso al lavoro in un altro Stato membro;
2. il diritto di prendervi dimora in funzione dello svolgimento di unattivit lavorativa;
3. il diritto di spostarsi liberamente al suo interno;
4. il diritto di rimanervi anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro.
ormai pacifico che il termine lavoratore (art. 45) e lespressione attivit subordinata
(regolamento n. 1612/68) rimandano a nozioni proprie del diritto dellUE, che non possono essere
interpretate in modo restrittivo. Tale orientamento si fonda sullesigenza di evitare che la portata di
queste espressioni possa esser modificata diversamente nei singoli Paesi membri, eludendo il
controllo delle istituzioni dellUnione.
La nozione rilevante di lavoratore si collega ad alcune condizioni, relative sia al soggetto che
allattivit svolta: deve considerarsi lavoratore la persona che, per un certo tempo, esegue a favore
di unaltra e sotto la direzione di questa prestazioni in contropartita delle quali percepisce una
remunerazione. Una volta cessato il rapporto, linteressato perde la qualit di lavoratore, fermo
restando tuttavia che, da un lato, questa qualifica pu produrre taluni effetti dopo la cessazione del
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


rapporto di lavoro e che, dallaltro, una persona alleffettiva ricerca di un impiego deve pur essere
qualificata come lavoratore.
La nozione di lavoratore subordinato implica che:
1. deve trattarsi di un cittadino di un Paese membro. L Atto di adesione firmato ad Atene il 16
aprile 2003 ed entrato in vigore il 1 maggio 2004 consente ai vecchi Stati membri di
limitare lapplicazione delle norme in materia di libera circolazione dei lavoratori nei
confronti dei cittadini dei nuovi Stati membri per un periodo massimo di 7 anni. Il requisito
della nazionalit non riguarda, invece, i membri della famiglia del lavoratore che siano
cittadini di un Paese terzo; ad essi infatti consentito, ma solo in quanto familiari di un
lavoratore di uno Stato membro, di beneficiare della disciplina sulla libera circolazione dei
lavoratori;
2. la prestazione deve svolgersi in uno Stato membro diverso da quello di origine del
lavoratore. Il rapporto di lavoro deve essere localizzato nel territorio dellUnione o in ogni
caso presentare un legame stretto con esso. Pi in generale, le norme sulla libera
circolazione delle persone si applicano a tutti i cittadini dellUnione che ne usufruiscano. Ne
consegue che un diritto che il singolo pu opporre anche al proprio Stato di appartenenza,
quando da esso che abbia ricevuto un trattamento deteriore per il solo fatto di avere
lavorato in un altro Stato membro o comunque tale da dissuaderlo dallavvalersi della libert
di circolazione. Non escluso che si verifichino delle situazioni di discriminazione alla
rovescia che pu trovar rimedio solo attraverso leventuale applicazione delle norme
nazionali poste a tutela del principio di eguaglianza. Con la legge comunitaria 2004 stata
garantita la parit di trattamento dei cittadini italiani con quelli di altri Paesi membri, con
particolare riguardo alle attivit commerciali e professionali;
3. lattivit lavorativa svolta deve avere natura subordinata, che ricorre nellipotesi in cui una
persona lavori per un certo periodo di tempo a favore di unaltra e sotto la sua direzione,
ricevendone in cambio una retribuzione. La Corte considera sufficiente, oltre al rapporto di
subordinazione, la circostanza che si tratti di unattivit lavorativa effettiva e dotata di una
certa consistenza; ne consegue che rientrano nella sfera applicativa dellart. 56 anche
attivit a orario ridotto, da cui il lavoratore tragga un reddito inferiore al minimo vitale ed
anche qualora tale reddito sia integrato da un aiuto finanziario a carico dello Stato membro
di residenza; mentre ne sono escluse solo quelle attivit tanto ridotte e precarie da
presentarsi come marginali ed accessorie.
Sono state ritenute rilevanti anche talune ipotesi di confine, come il tirocinio professionale
retribuito, un corso di studi sancito da diploma professionale che sia collegato alla precedente
attivit lavorativa svolta nello Stato ospite, il lavoro svolto per conto di una comunit religiosa da
parte dei suoi membri, il rapporto di impiego presso un organismo internazionale, il rapporto di
lavoro con retribuzione calcolata secondo il criterio della partecipazione in uso nel settore della
pesca.
Non stato escluso il vincolo di subordinazione , salvo laccertamento del giudice nazionale, nel
lavoro svolto dal coniuge dellunico titolare dellimpresa. Anche lattivit sportiva stata compresa
nella disciplina sulla libera circolazione dei lavoratori, quando ricorrono le condizioni citate.
5. IL DIRITTO DI INGRESSO E DI SOGGIORNO
Laccesso al lavoro in uno Stato membro diverso da quello di origine ed il conseguente diritto di
soggiornarvi presuppone il diritto di ingresso nel territorio di tale Stato. Questo diritto deriva
direttamente dal Trattato, nonch, alloccorrenza, dalle disposizioni del diritto derivato dellUnione
e pu essere condizionato esclusivamente al possesso di una carta didentit o di un passaporto
valido. Non sono ammessi controlli che integrino una prassi sistematica, che diventa un ostacolo
arbitrario alla circolazione delle persone; lo stesso dicasi per i visti di ingresso o lapposizione di un
timbro sul passaporto. Anche il semplice controllo amministrativo ammesso a condizione che non
128

[Digitare il titolo del documento] ed.)


sia discriminatorio. Il diritto di ingresso in un altro Paese membro comporta il diritto di
soggiornarvi almeno 3 mesi, col beneficio del diritto alleguaglianza di trattamento rispetto ai
cittadini dello Stato ospite (es. diritto al risarcimento del danno al turista straniero che la legge
nazionale riserva ai cittadini, il diritto a sovvenzioni ai cittadini dellUnione in occasione della
nascita di un figlio).
Del diritto di soggiorno possono beneficiare:
1) i lavoratori dipendenti, con i rispettivi familiari;
2) le persone che si spostano in funzione della prestazione di servizi, sia come prestatori che
come beneficiari;
3) le persone che si stabiliscono in un altro Paese membro per esercitarvi unattivit economica
autonoma.
Inoltre, con lentrata in vigore della direttiva 2004/38/CE tale diritto stato riconosciuto a tutti i
cittadini dellUnione, unitamente ai loro familiari, a condizione per che essi dispongano di risorse
economiche sufficienti e di unassicurazione malattia. Tale direttiva introduce anche la figura del
diritto di soggiorno permanente, di cui possono beneficiare il cittadino dellUnione ed i suoi
familiari che avranno soggiornato legalmente ed in via continuativa per 5 anni nello Stato membro
ospitante. Lart. 2, n. 2, della direttiva fornisce la nozione di familiare che ricomprende, oltre il
coniuge, i discendenti e gli ascendenti diretti, ma anche il partner che abbia contratto ununione
registrata secondo la registrazione di uno Stato membro, qualora questultimo la equipari ad un
matrimonio.
Inoltre, la direttiva 2004/38/CE ha abolito la necessit della carta di soggiorno per i cittadini europei
ed i familiari pure dotati di cittadinanza dellUnione, consentendo agli Stati membri di richiedere,
nella sola ipotesi di soggiorno di durata superiore ai 3 mesi, liscrizione presso le autorit
competenti, con il rilascio immediato del relativo attestato. Per contro, il diritto di soggiorno dei
familiari del cittadino dellUnione, non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, comprovato
dal rilascio di un documento denominato carta di soggiorno di familiare di un cittadino
dellUnione.
6. IL REGIME DELLA LIBERA CIRCOLAZIONE DEI LAVORATORI
Lart. 45 TFUE chiarisce che la libert di circolazione dei lavoratori allinterno dellUnione
implica labolizione di qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalit relativamente a tutte le
condizioni di lavoro. Trattandosi di norma provvista di efficacia diretta, il singolo pu far valere
dinanzi al giudice lillegittimit di ogni elemento discriminatorio che dovesse caratterizzare
laccesso al lavoro, le condizioni retributive e sociali o altri momenti rilevanti del rapporto di
lavoro. I diritti sanciti dalle disposizioni del Trattato o da atti di diritto derivato riguardano e
possono dunque essere invocati dai lavoratori, ma nulla esclude che possano essere invocati anche
dai datori di lavoro.
La libert di circolazione dei lavoratori si risolve, dunque, nel generale divieto di discriminazione
in base alla nazionalit. Tale divieto tende non solo a garantire al lavoratore, che abbia una
nazionalit diversa da quella dello Stato ospite, un trattamento non diverso da quello riservato ai
cittadini di tale Stato; ma impedisce anche il verificarsi di condizioni concorrenziali a svantaggio
dei lavoratori nazionali.
Lattuazione dellart. 45 del Trattato avvenuta gi nella fase transitoria, prima del 1970. Si
cominciato con il regolamento n. 15/1961 che autorizzava i cittadini degli Stati membri ad occupare
un impiego in un altro Stato membro quando tale impiego non poteva essere occupato da un
cittadino. Si trattava del principio della priorit del lavoratore nazionale, pur nel rispetto
delluguaglianza di trattamento sotto il profilo della retribuzione, delle condizioni di lavoro e dei
diritti sindacali. Nel 1964 stato eliminato il principio della priorit del lavoratore nazionale, ma
ciascuno Stato membro ha conservato il diritto di sospendere, in caso di eccedenza di manodopera,
lapplicazione della libert di circolazione in una determinata regione o rispetto a determinate
129

[Digitare il titolo del documento] ed.)


attivit lavorative. La libert di circolazione stata compiutamente realizzata con la direttiva del
Consiglio 68/360/CE e il regolamento n. 1612/68: luna ha eliminato le restrizioni allingresso e al
soggiorno dei lavoratori e delle loro famiglie in Paesi diversi da quelli dorigine, laltro costituisce
sostanzialmente la normativa dattuazione del principio della libera circolazione dei lavoratori
allinterno dellUnione. Quindi il principio della parit di trattamento tra i lavoratori nazionali e gli
altri lavoratori dellUnione esplicitato nel regolamento n. 1612/68 e nella direttiva 2004/38/CE,
che rappresenta una sorta di testo unico del diritto di circolazione, avendo abrogato una serie di
testi legislativi precedenti e modificato lo stesso regolamento n. 1612.
Relativamente alle condizioni di accesso al lavoro, ad es., non vi pu essere una precedenza o una
priorit dei lavoratori nazionali rispetto a quelli di altri Paesi dellUnione.
Va poi precisato che la disciplina della circolazione dei lavoratori comprende non solo la persona
che si reca in un altro Paese membro in risposta ad unofferta di lavoro ma si estende anche a colui
che si limita a spostarsi per cercare lavoro.
Lapplicazione del principio della parit di trattamento nellaccesso al lavoro vieta anche le
discriminazioni dissimulate. Al riguardo, i possibili elementi discriminatori sono i pi vari: dal
requisito della residenza a quello del titolo di studio, dalla conoscenza della lingua locale
allesperienza professionale maturata nel Paese di provenienza. La Corte sempre stata attenta ad
accertare lobiettivo sostanziale della parit di trattamento, verificando di volta in volta se la
discriminazione potesse o meno essere consentita in base a considerazioni indipendenti dalla
cittadinanza del lavoratore.
Il principio del trattamento nazionale ha poi trovato numerose applicazioni relativamente alle
condizioni di esercizio dellattivit lavorativa, relative alla retribuzione, allo stato di
disoccupazione, alla cessazione del rapporto di lavoro.
Sono compresi nella parit di trattamento, ex art. 7 del regolamento 1612/68, tutti i vantaggi sociali
e fiscali attribuiti ai lavoratori nazionali. La casistica molto ricca: un prestito agevolato in
occasione della nascita di un figlio; sovvenzioni del fondo assistenza per diversamente abili;
riduzioni sulle tariffe ferroviarie per famiglie numerose; benefici per gli ascendenti e i discendenti a
carico del lavoratore; unindennit di disoccupazione per i giovani in cerca di prima occupazione;
un meccanismo di tutela in caso di licenziamento per grave inabilit lavorativa; unindennit di
separazione per un lavoratore domiciliato in un altro Stato membro; un sistema di imposizione
fiscale o contributivo che penalizzi il cittadino che voglia lasciare lo Stato di appartenenza per
lavorare in altro Stato membro. Il regolamento n. 1612/68 sancisce allart.8 il principio della parit
di trattamento anche in relazione ai diritti sindacali, in particolare liscrizione alle organizzazioni
sindacali e tutti i diritti connessi.
Un altro aspetto di grande rilevanza della libert di circolazione dei lavoratori attiene al trattamento
riservato alla famiglia del lavoratore ed alle condizioni per lintegrazione dei suoi componenti
nello Stato ospitante. Infatti, il regolamento n. 1612/68 e la direttiva 2004/38/CE attribuiscono al
coniuge ed ai figli fino a 21 anni, oppure ancora a carico del lavoratore, una serie di diritti destinati
a mantenere lunit familiare ed a facilitarne lintegrazione nello Stato. Quindi il coniuge e i figli
minori o a carico, godono anchessi del diritto di soggiornare e di esercitare unattivit lavorativa
nello Stato ospitante; del diritto di accedere a professioni sottoposte a regole professionali
specifiche (ad es. il medico); del diritto dei figli di godere dei benefici in vigore nello Stato ospite in
tema di istruzione a favore dei cittadini.
Lart. 45, n. 3, lett. d, del Trattato e la direttiva 2004/38/CE garantiscono i diritti del lavoratore e dei
suoi familiari nel periodo seguente alla cessazione del rapporto di lavoro. Il diritto di soggiorno
permanente spetta ai lavoratori subordinati o autonomi:
- che abbiano raggiunto let pensionabile nello Stato ospitante;
- che siano stati colpiti da unincapacit lavorativa permanente dopo avervi soggiornato per
oltre 2 anni;
- che, dopo 3 anni di soggiorno, lavorino in un altro Stato membro, ma facciano ritorno nello
Stato ospitante almeno una volta alla settimana.
130

[Digitare il titolo del documento] ed.)


In tali casi, il diritto di soggiorno permanente si estende anche ai familiari che convivono col
lavoratore, a prescindere dalla loro cittadinanza.
Bisogna distinguere i vari casi che determinano la cessazione del rapporto di lavoro, che pu essere
dovuta a licenziamento o dimissioni:
in caso di licenziamento il lavoratore dellUnione ha diritto alla stessa assistenza che gli
uffici del lavoro dello Stato in cui era occupato prestano ai loro cittadini nella ricerca di un
nuovo posto di lavoro, dal momento che egli rimane sul territorio dello Stato fino allo
scadere della carta di soggiorno;
invece, nel caso di dimissioni del lavoratore per intraprendere unattivit indipendente, viene
in rilievo lart. 50, n. 2, lett. d, del Trattato, da cui si ricava il relativo diritto, purch
sussistano i requisiti richiesti dalle disposizioni sul diritto di stabilimento per accedere a tale
attivit;
infine, nel caso in cui la cessazione del rapporto di lavoro sia dovuta alla sopravvenuta
inabilit del lavoratore, quando abbia maturato un certo periodo di anzianit, o per il
raggiungimento dei limiti massimi dellet lavorativa, spetta al lavoratore il trattamento
previdenziale e pensionistico previsto dalla legge locale, purch sussistano le condizioni
contemplate dai regolamenti europei sulla sicurezza sociale.
In definitiva, il trattamento non discriminatorio del lavoratore dopo la cessazione del rapporto di
lavoro, ha natura di trattamento minimo, nel senso che possibile lapplicazione di disposizioni
legislative, regolamentari o amministrative nazionali pi favorevoli, in quanto estendano agli
stranieri diritti e vantaggi non contemplati nel Trattato e nel regolamento n. 1612/68.
7. IL SISTEMA DI SICUREZZA SOCIALE GARANTITO AI LAVORATORI MIGRANTI
La normativa sulla sicurezza sociale dei lavoratori migranti costituisce un corollario indispensabile
della libert di circolazione. Il fondamento di una tale tutela costituito dallart. 48 TFUE, in base
al quale il PE e il Consiglio, deliberando secondo la procedura ordinaria, adottano in materia di
sicurezza sociale le misure necessarie per linstaurazione della libera circolazione dei lavoratori,
attuando in particolare un sistema che consenta di assicurare ai lavoratori migranti dipendenti e
autonomi e ai loro aventi diritto:
a) il cumulo di tutti i periodi presi in considerazione dalle varie legislazioni nazionali, sia per
il sorgere e la conservazione del diritto alle prestazioni sia per il calcolo di queste;
b) il pagamento delle prestazioni alle persone residenti nei territori degli Stati membri.
La normativa di attuazione dellart. 48 essenzialmente contenuta nel regolamento n. 1408/71 e
nel regolamento n. 574/72, aventi come scopo principale il coordinamento delle diverse normative
nazionali in materia. In mancanza di una disciplina comune, da un lato gli Stati membri continuano
a disciplinare autonomamente i rispettivi sistemi previdenziali; dallaltro, nellesercizio di tale
autonomia, gli Stati membri devono rispettare il diritto dellUnione.
Il regolamento n. 1408/71 si applica ai lavoratori subordinati e autonomi che sono o sono stati
soggetti alla legislazione di uno o pi Stati membri e che sono cittadini di uno degli Stati membri,
nonch ai loro familiari e ai loro superstiti (il regolamento si applica anche ai pubblici dipendenti
e ai pensionati). La Corte ha precisato che una persona possiede la qualit di lavoratore ai sensi del
regolamento n. 1408/71 quando assicurata, sia pure contro un solo rischio, in forza di
unassicurazione obbligatoria o facoltativa.
Il coordinamento effettuato in virt del regolamento n. 1408/71 fondato su 3 principi essenziali:
1) la parit di trattamento tra lavoratori che beneficiano della libert di circolazione e
cittadini dello Stato membro di cui si tratta;
2) la determinazione della legge applicabile;
3) la totalizzazione dei periodi assicurativi.
131

[Digitare il titolo del documento] ed.)


Il primo, regolato dallart. 3 del regolamento, costituisce un principio in base al quale non
ammessa alcuna discriminazione tra cittadini e altri lavoratori dellUnione.
Il secondo, regolato dagli artt. 13-17 del regolamento, costituisce il principio dellunicit della
legge applicabile, identificata con quella dello Stato in cui viene svolta lattivit lavorativa,
indipendentemente dal luogo di residenza del lavoratore. Costituiscono eccezioni al principio: il
caso dei lavoratori temporaneamente distaccati, quello dei lavoratori occupati nel settore dei
trasporti internazionali e quello di lavoratori occupati in 2 o pi Stati membri.
Il terzo un principio che garantisce al lavoratore che sia stato soggetto alle leggi di 2 o pi Stati
membri, il cumulo dei periodi assicurativi maturati in forza delle leggi di ciascuno degli Stati in
questione. Lapplicazione di un tale principio necessita di una stretta collaborazione tra le
amministrazioni nazionali interessate per evitare il cumulo di prestazioni. Il ricorso alla
totalizzazione effettuato nel caso in cui la sola legislazione nazionale non dia diritto alla
prestazione di cui si tratta, o perch il lavoratore non ha maturato periodi assicurativi sufficienti o
perch tali periodi gli darebbero diritto solo ad una prestazione inferiore al massimo. A proposito, il
Trattato di Lisbona ha introdotto una novit rilevante prevista dallart. 48, 2 comma, TFUE, che
consente ad un membro del Consiglio di porre una sorta di veto in relazione ad un progetto di atto
legislativo che lede aspetti rilevanti del suo sistema di sicurezza sociale.
8. LE LIMITAZIONI ALLA LIBERT DI CIRCOLAZIONE DEI LAVORATORI.
RISERVA DEL PUBBLICO IMPIEGO E RESTRIZIONI DOVUTE A RAGIONI DI
ORDINE PUBBLICO
La disciplina relativa alla libera circolazione dei lavoratori non si applica al pubblico impiego: agli
impieghi nella pubblica amministrazione, secondo la formulazione testuale dellart. 45, n. 4,
TFUE.
ART. 45 TFUE
1. La libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione assicurata.
2. Essa implica l'abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalit, tra i lavoratori
degli Stati membri, per quanto riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro.
3. Fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanit
pubblica, essa importa il diritto:
a) di rispondere a offerte di lavoro effettive;
b) di spostarsi liberamente a tal fine nel territorio degli Stati membri;
c) di prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un'attivit di lavoro,
conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che disciplinano
l'occupazione dei lavoratori nazionali;
d) di rimanere, a condizioni che costituiranno l'oggetto di regolamenti stabiliti dalla Commissione,
sul territorio di uno Stato membro, dopo aver occupato un impiego.
4. Le disposizioni del presente articolo non sono applicabili agli impieghi nella pubblica
amministrazione.
N.B.: Anche alla deroga necessario dare uninterpretazione non nazionale, per evitare che le
nozioni di pubblico impiego o di pubblica amministrazione utilizzate nei diversi ordinamenti degli
Stati membri limitino lefficacia e la portata delle norme del Trattato sulla libera circolazione dei
lavoratori. La giurisprudenza costante della Corte nel senso che ricadono nelleccezione sancita
dallart. 45, n. 4, TFUE, unicamente quegli impieghi che implicano 1 partecipazione diretta o
indiretta allesercizio di poteri pubblici, nonch le funzioni che hanno ad oggetto la tutela di
interessi generali dello Stato o di enti pubblici. Tuttavia anche rispetto ad impieghi che abbiano
queste caratteristiche, la giurisprudenza ha chiarito che lapplicazione della deroga va valutata caso
132

[Digitare il titolo del documento] ed.)


x caso e non in relazione ad intere categorie; ci in quanto, ai fini dellapplicazione della deroga,
necessario verificare concretamente la rilevanza di quel particolare vincolo di solidariet e di fedelt
nei confronti dello Stato, nonch la reciprocit di diritti e doveri, che caratterizzano il vincolo di
cittadinanza. Questo approccio ha fatto s che questa deroga sia stata interpretata in modo molto
restrittivo.
In secondo luogo, il diritto del lavoratore alla libera circolazione, in particolare allingresso e al
soggiorno nel Paese ospite, pu essere limitato o negato per:
ragioni di ordine pubblico e pubblica sicurezza;
o per ragioni sanitarie (art. 45, n. 3, TFUE ed artt. 27 e ss. della direttiva 2004/38/CE).
La giurisprudenza pur sottolineando la relativit della nozione di ordine pubblico, che varia x
latitudine, Paese membro ed epoca ha in particolare precisato i limiti che gli Stati membri devono
rispettare nella definizione delle esigenze di ordine pubblico di volta in volta poste a fondamento di
una restrizione alla libera circolazione.
Anzitutto, lapplicazione della misura restrittiva non pu avere finalit economiche o cmq non
connesse alle esigenze di ordine pubblico normalmente riconosciute in una societ democratica. Ad
es., escluso, che so possano invocare motivi di ordine pubblico quando lo scopo della misura di
limitare i diritti sindacali o impedirne lesercizio; cos com esclusa la legittimit di provvedimenti
fondati sullordine pubblico quando riguardino unattivit o un comportamento che, se imputato ad
un cittadino dello Stato ospite, non oggetto di misure repressive o altri provvedimenti concreti ed
effettivi volti a reprimerlo.
Inoltre, la direttiva 2004/38/CE precisa che i provvedimenti restrittivi della libert di circolazione
possono essere collegati esclusivamente ad un comportamento personale e specifico del soggetto,
mentre non possono essere fondati sulla semplice esistenza di precedenti penali o come deterrente
per altri stranieri. In proposito, la giurisprudenza ha confermato che 1 misura, ad es. di espulsione di
uno straniero, fondata su motivi di ordine pubblico, non pu prescindere dal caso singolo e pu
essere giustificata solo da minacce attuali e gravi allordine pubblico e alla pubblica sicurezza da
parte del soggetto cui la misura destinata; in definitiva dal rischio reale che lo stesso soggetto
commetta una violazione grave.
I motivi di ordine pubblico posti a fondamento della misura restrittiva devono essere portati a
conoscenza del lavoratore, affinch egli si possa ben rendere conto del contenuto e degli effetti della
misura e possa dunque provvedere ad una difesa adeguata. Le modalit e le procedure per la tutela
dei diritti sono quelle del diritto nazionale, che non possono essere meno favorevoli di quelle
applicabili in via generale.
Infine, quanto alle ragioni sanitarie che rendono legittima la misura restrittiva, lart. 29 della
direttiva 2004/38/CE indica le varie patologie che possono giustificare il rifiuto di ingresso e/o di
rilascio del permesso di soggiorno, precisando che il sopraggiungere della malattia dopo i 3 mesi
successivi alla data di arrivo non consente allo Stato membro interessato di procedere
allallontanamento dal proprio territorio.
9. LA LIBERT DI STABILIMENTO.
CAMPO DI APPLICAZIONE PERSONALE E MATERIALE DELLA DISCIPLINA
Il diritto di stabilimento, disciplinato dagli articoli da 49 a 55 TFUE, investe qualsiasi attivit
economica svolta in regime di non subordinazione e in modo stabile. Di questo diritto beneficiano
sia le persone fisiche che siano in possesso della cittadinanza di uno degli Stati membri, sia le
persone giuridiche, in particolare le societ. Per le persone giuridiche va fatta qualche ulteriore
precisazione. Lart. 54 TFUE stabilisce che esse sono equiparate alle persone fisiche aventi la
cittadinanza di uno Stato membro se costituite conformemente alla legislazione di uno Stato
membro e aventi la sede sociale, lamministrazione centrale o il centro di unattivit principale
allinterno dellUE. La Corte ha specificato:
133

[Digitare il titolo del documento] ed.)

che per le societ la sede sociale, lamministrazione centrale o il centro di attivit principale
valgono a determinare (come la nazionalit per le persone fisiche), il collegamento con
lordinamento giuridico di uno Stato membro;
che le stesse societ hanno il diritto di svolgere la loro attivit anche in altri Stati membri,
attraverso agenzie, succursali o filiali;
che ammettere che lo Stato membro di stabilimento possa applicare un regime diverso ad
una societ per il fatto che la sua sede sia in un altro Stato membro svuoterebbe di contenuto
lart. 54 TFUE.
Il TFUE prevede, peraltro, unimportante eccezione al beneficio della libert di stabilimento con
riguardo alle attivit che nello Stato ospite partecipino, sia pure occasionalmente, allesercizio dei
pubblici poteri (art. 51). In particolare, la Corte ha subito precisato che leccezione non pu avere
una portata che vada al di l dello scopo per la quale stata prevista. Loccasione fu una
controversia che riguardava la professione di avvocato, rispetto alla quale non era mancato chi ne
sosteneva il carattere pubblico e dunque lesclusione in toto dalla sfera di applicazione della
libert di stabilimento. La Corte tenne a precisare che lallora art. 45 del Trattato CE (oggi art. 51
TFUE) consentiva agli Stati membri di precludere laccesso a quelle attivit che ,considerate in se
stesse, costituiscono una partecipazione diretta e specifica allesercizio dei pubblici poteri. Ci
per non si verifica rispetto alle attivit di consulenza ed assistenza legale o della rappresentanza e
della difesa delle parti in giudizio svolte dallo stesso avvocato. Infine, anche in materia di
stabilimento, gli Stati membri sono autorizzati ad applicare le disposizioni nazionali che fissano un
regime particolare per gli stranieri e che sono giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica
sicurezza e sanit pubblica (art. 52 TFUE).
10. LIPOTESI DI STABILIMENTO A TITOLO PRINCIPALE E QUELLA DI
STABILIMENTO A TITOLO SECONDARIO
La libert di stabilimento riguarda sia laccesso alle attivit autonome e al loro esercizio, nonch la
costituzione e la gestione di imprese e in particolare di societ (art. 49, 2 comma, TFUE), sia
lapertura di agenzie, succursali o filiali, da parte di cittadini di uno Stato membro stabiliti sul
territorio di un altro Stato membro (art. 49, 1 comma, TFUE).
In definitiva, si tratta di 2 ipotesi:
1) lesercizio di unattivit professionale o, pi in generale, di unattivit economicamente
rilevante in un Paese comunitario diverso da quello di origine;
2) lapertura di un centro secondario di attivit in un Paese membro diverso da quello di
origine.
Per le persone fisiche, lo stabilimento a titolo principale comporta laccesso e lesercizio nel Paese
ospite di unattivit economica o professionale. La possibilit di creare o trasferire un centro di
attivit stabile in un altro Stato membro oggetto di un principio considerato fondamentale del
sistema dellUE.
Per quanto riguarda le persone giuridiche, la situazione invece pi complessa, specie quando si
tratta di societ non di nuova costituzione, ma trasferite da uno Stato membro ad un altro, che
comporta il trasferimento della sede sociale reale. Tale condizione comporta una serie di difficolt,
atteso che, quantomeno in quegli Stati membri in cui proprio il criterio dellubicazione della sede
sociale effettiva a determinare la nazionalit della societ, il trasferimento della sede in un altro
Stato membro pu risultare incompatibile con il mantenimento della sua personalit giuridica di cui
la societ gode. Infatti, un simile trasferimento pu richiedere il previo scioglimento della societ e
la sua ricostituzione in conformit alla legislazione dello Stato membro nel cui territorio essa
intende stabilire la propria nuova sede. In tal caso, lesercizio della libert di stabilimento a titolo
principale finisce per essere puramente teorico. Al riguardo, la Corte di giustizia ha riconosciuto che
le norme sul diritto di stabilimento non attribuiscono, in realt, alle societ degli Stati membri alcun
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


diritto a trasferire la loro direzione ed amministrazione centrale in un diverso Stato membro,
conservando la qualit di societ dello Stato membro. Questa conclusione si fonda sul fatto che la
diversit delle legislazioni degli Stati membri costituisce un problema che le norme del Trattato
relative al diritto di stabilimento hanno lasciato irrisolto. Quindi, allo stato attuale, un Paese
membro dispone della facolt di definire:
- sia il criterio di collegamento richiesto ad una societ affinch possa ritenersi costituita ai
sensi del suo diritto nazionale e quindi possa beneficiare del diritto di stabilimento
riconosciuto dal Trattato,
- sia quello necessario per continuare a mantenere questo status. Questa facolt include la
possibilit, per lo Stato, di non consentire ad una societ soggetta al suo diritto nazionale di
conservare tale status qualora intenda riorganizzarsi in un altro Stato membro trasferendo la
propria sede nel territorio di questultimo, sopprimendo cos il criterio di collegamento
previsto dal diritto nazionale dello Stato membro di costituzione.
Inoltre, lart. 49 TFUE prevede anche lipotesi che il soggetto (persona fisica o giuridica) sposti
solo una parte secondaria della sua attivit in un altro Stato membro, cio lo stabilimento che si
realizza con la creazione rispettivamente di agenzie, succursali o filiali.
Il Trattato menziona, quindi, per lesercizio dello stabilimento secondario gli strumenti della
filiale, dellagenzia e della succursale. Al riguardo, va precisato che mentre per filiale va intesa una
persona giuridica controllata dalla societ madre, ma costituita secondo il diritto del Paese ospite e
dotata pertanto di autonomia, le agenzie e le succursali non sono persone giuridiche autonome
rispetto alla societ madre. Lunica condizione richiesta per poter fruire dello stabilimento a titolo
secondario quella di costituire e/o rappresentare un centro di attivit allinterno dellUE: anche un
semplice ufficio gestito stabilmente da un mandatario della societ madre. Il diritto di stabilimento a
titolo secondario accordato non solo alle persone giuridiche ma anche alle persone fisiche, purch
si tratti di cittadini di uno Stato membro stabiliti in un altro Stato membro. In altre parole,uno Stato
membro non pu negare ad un cittadino di un altro Stato membro lapertura di uno studio o di un
ufficio sul proprio territorio e ci sebbene a tale divieto soggiacciono i propri cittadini. Dunque, in
tale ipotesi, allo Stato membro precluso di applicare ai cittadini di altri Stati membri le stesse
limitazioni applicate ai propri cittadini, in quanto leffetto restrittivo che ne conseguirebbe sarebbe
sproporzionato, risolvendosi di fatto nellimpossibilit per i cittadini dellUE di avvalersi di un
diritto fondamentale garantito dal Trattato, per stabilirsi in un altro Stato membro, se non
rinunciando al precedente stabilimento.
11. IL REGIME DEL DIRITTO DI STABILIMENTO: A) LA REGOLA DEL
TRATTAMENTO NAZIONALE
Il contenuto materiale della normativa che sancisce e disciplina la libert di stabilimento ruota
intorno al principio del trattamento nazionale, sancito dallo stesso art. 49 TFUE, in base al quale
questa libert va realizzata alle condizioni definite dalla legislazione del Paese di stabilimento nei
confronti dei propri cittadini. Ci significa che ai cittadini degli Stati membri, nonch alle persone
giuridiche, che si stabiliscono anche solo in via secondaria in un altro Stato membro, la norma
intende garantire lo stesso trattamento riservato ai cittadini, vietando anzitutto ogni discriminazione
in senso soggettivo, cio fondata sulla nazionalit. Per realizzare questo obiettivo, il Trattato CEE
aveva previsto che esso doveva esser raggiunto entro la fine del periodo transitorio e aveva previsto
la consueta clausola di standstill (art. 53, poi abrogato dal Trattato di Amsterdam), in base alla quale
era vietato agli Stati membri di introdurre nuove restrizioni alla libert effettivamente raggiunta al
momento dellentrata in vigore del Trattato. Inoltre, lo stesso Trattato originario aveva previsto
ladozione di direttive per la soppressione delle restrizioni esistenti; ladozione di direttive volte a
coordinare le disposizioni nazionali relative allaccesso alle attivit non salariate e al loro esercizio;
nonch ladozione di direttive sul reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati e altri titoli. Tali
direttive, previste attualmente dagli artt. 50 e 53 TFUE, costituiscono ancor oggi degli strumenti
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


cruciali per consentire ai cittadini ed alle persone giuridiche dellUE di usufruire in modo effettivo
della libert di stabilimento, in relazione a qualsiasi attivit di carattere autonomo da essi svolta.
Per quanto riguarda gli atti previsti dallart. 50 TFUE, il Consiglio ha fin dallinizio provveduto
alladozione di un Programma Generale per la soppressione delle restrizioni alla libert di
stabilimento esistenti allinterno della Comunit, in cui sono stati anche definiti i modi e i tempi per
ladozione di direttive specifiche in materia.
Tuttavia, lobiettivo della libert di stabilimento va perseguito negli Stati membri
indipendentemente dalla vigenza o meno di una normativa ad hoc. Questultima prevista solo per
facilitare lesercizio effettivo della libert di stabilimento, mentre la semplice eliminazione degli
ostacoli al regime di libert di stabilimento oggetto, a partire dalla scadenza del periodo
transitorio, di un obbligo preciso e incondizionato, che non richiede alcuna specificazione
normativa. Pertanto, anche lart. 49 TFUE, una volta scaduto il periodo transitorio, ha potuto
essere utilmente invocato dai singoli in quanto norma provvista di effetto diretto (come affermato
nella celebre sentenza Reyners). La Corte ha aggiunto che lart. 49 impone un obbligo di risultato
preciso, il cui adempimento deve essere facilitato, ma non condizionato, dallattuazione di un
programma di misure graduali; con la conseguenza che, dovendo la liberalizzazione del diritto di
stabilimento coincidere con la fine del periodo transitorio, larticolo pu essere invocato dai
cittadini dellUE che intendano avvalersi del diritto fondamentale di stabilimento, conferito loro dal
Trattato. Spetta, pertanto, alle autorit nazionali fare in modo che la libert di stabilimento sia
garantita quando sussistano le condizioni di applicazione dellart. 49 TFUE, a prescindere
dallesistenza o meno di direttive di coordinamento ai sensi dellart. 53 TFUE. cos che la Corte
ha riconosciuto ad un avvocato belga il diritto di stabilirsi ed esercitare in Francia, atteso che il
diploma conseguito dallinteressato nel Paese di origine era stato dichiarato equivalente
dallautorit competente dello Stato di stabilimento, sebbene solo a fini accademici e non a fini
civili.
Il principio del trattamento nazionale ha dunque una portata molto ampia e mira anzitutto ad evitare
qualsiasi discriminazione che sia fondata sulla nazionalit, comportando cos lillegittimit di
qualsiasi misura che colpisca lo straniero in quanto tale. E ci vale anche per normative nazionali
che si applichino solo ai cittadini di altri Stati membri.
12. Segue: B) OLTRE IL TRATTAMENTO NAZIONALE
La regola del trattamento nazionale non pu condurre alla negazione del diritto di stabilimento
quale conferito dallo stesso Trattato, con la conseguenza che il diritto di costituire una pluralit di
centri di attivit nellinsieme dellUE prevale sulleguaglianza di trattamento nei casi in cui la
normativa nazionale preveda lunicit della sede. Inoltre, va precisato che il regime della libert di
stabilimento intende eliminare anche quelle misure degli Stati membri che comportano di fatto
comunque una discriminazione a danno degli stranieri. Ci significa che vietata dal Trattato anche
ogni altra forma dissimulata di discriminazione. Si tratta, in sostanza, delle ipotesi in cui una
normativa nazionale, sebbene indistintamente applicabile, preclude di fatto al cittadino o alla
societ di un altro Paese membro di godere della libert di stabilimento, in quanto ne condiziona
lesercizio al possesso di certi requisiti che sono propri del cittadino e non di altri. quanto si
verifica o si pu verificare:
attraverso il criterio della residenza, che normalmente sfavorisce i cittadini di altri Stati
membri fino a determinare lesclusione dallaccesso a determinate attivit;
a causa di alcune condizioni imposte alle societ, che rischiano di sfavorire le societ
straniere rispetto a quelle costituite secondo il diritto nazionale. Anche per le societ vale
il criterio sostanziale: nel caso di un diverso regime di rimborsi fiscali, il requisito del
domicilio fiscale sul territorio nazionale, per ottenere un eventuale maggior rimborso delle
imposte non dovute, rischia di sfavorire soprattutto le societ con sede in un altro Stato
136

[Digitare il titolo del documento] ed.)


membro, in quanto, nella maggior parte dei casi, saranno infatti queste ultime ad avere il
domicilio fiscale fuori dal territorio dello Stato membro;
con i titoli di studio, anche in questo caso il criterio da utilizzarsi un criterio sostanziale,
nel senso che richiesto agli Stati membri di verificare e valutare, caso per caso, leventuale
corrispondenza dei requisiti professionali da essi richiesti con quelli acquisiti dal soggetto
interessato nel Paese di origine.
In definitiva, lapplicazione dellart. 49 TFUE stata estesa anche a misure nazionali
indistintamente applicabili, prive di effetti apparentemente discriminatori; ne consegue che il fatto
stesso di costituire un ostacolo o di rendere meno agevole laccesso o lesercizio di unattivit di
carattere autonomo pu essere condizione sufficiente a rendere inapplicabili le misure nazionali in
questione, a meno che tali misure non siano:
1) applicate in maniera non discriminatoria,
2) giustificate da motivi imperativi di interesse generale,
3) idonee a garantire il raggiungimento dellobiettivo da esse perseguito e
4) proporzionate al perseguimento del loro obiettivo.
13. LE MISURE DESTINATE A FACILITARE LA LIBERT DI STABILIMENTO: LA
DIRETTIVA
2005/36/CE
SUL
RICONOSCIMENTO
DELLE
QUALIFICHE
PROFESSIONALI
Le direttive previste dallart. 53 TFUE, intese al reciproco riconoscimento dei titoli di studio e di
quelli professionali, nonch al coordinamento delle normative nazionali che presiedono allaccesso
e allesercizio delle attivit di carattere autonomo, restano necessarie x facilitare laccesso a, e
lesercizio di, molte attivit autonome, in particolare d quelle rientranti tra le professioni liberali.
Per alcuni mestieri e professioni, per il cui esercizio in alcuni Stati membri si richiede una formale
qualifica professionale, sono state adottate numerose direttive corredate da misure specifiche e per
settori, definite comunemente misure transitorie, ma in realt definitive (ad es. misure per
lindustria e lartigianato, per il commercio allingrosso, per i parrucchieri, ecc.). Il criterio in
generale utilizzato che quando lo Stato di stabilimento richiede, per lesercizio di unattivit, il
possesso di una qualifica professionale formale che in altri Stati membri non richiesta,
sufficiente che il soggetto provi di aver svolto effettivamente quellattivit nel Paese di origine per il
periodo di tempo fissato dalla direttiva. Ci vuol dire che lo Stato di stabilimento pu richiedere
unattestazione, rilasciata dalle autorit dello Stato di provenienza sulleffettivit dellesercizio di
una determinata attivit, ma non pu definire condizioni di accesso o altri requisiti tali da rendere
inutile tale attestazione.
Per molte altre professioni lo scenario mutato in seguito alladozione della direttiva 2005/36/CE,
c.d. Zappal, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali. Essa riuscita a delineare un
quadro giuridico unitario, che poggia su una liberalizzazione pi estesa della prestazione di servizi,
una maggiore automaticit nel riconoscimento delle qualifiche professionali e una pi elevata
flessibilit delle procedure di aggiornamento. Inoltre, ha consolidato in un unico testo legislativo
ben 15 precedenti direttive, fra le quali figurano 12 direttive settoriali, riguardanti le professioni di
medico, infermiere responsabile di cure generali, odontoiatra, veterinario, ostetrica, farmacista e
architetto; e 3 direttive che hanno introdotto un sistema generale di riconoscimento delle qualifiche
professionali, riguardante la maggior parte delle altre professioni regolamentate.
In dettaglio, la direttiva 2005/36/CE si applica a tutti i cittadini di uno Stato membro che intendono
esercitare, come lavoratori subordinati o autonomi, compresi i liberi professionisti, una professione
regolamentata in uno Stato membro diverso da quello in cui hanno acquisito le loro qualifiche
professionali. Essa stabilisce che ciascuno Stato membro tenuto a riconoscere il diritto di accedere
e di esercitare una professione a qualsiasi cittadino dellUnione in possesso di un titolo che lo
legittima a svolgere la stessa attivit in un altro Stato membro. Limpianto generale della direttiva
137

[Digitare il titolo del documento] ed.)


ricalca essenzialmente la classica distinzione tra prestazione di servizi, su base temporanea ed
occasionale, e libert di stabilimento, concernente invece il lavoro autonomo prestato in maniera
stabile.
In relazione alla 1 attivit, cio allipotesi in cui un professionista intenda esercitare in
modo temporaneo ed occasionale la propria attivit autonoma in uno Stato membro
diverso da quello di origine, la direttiva fa espresso divieto agli Stati membri di limitare
la libera prestazione dei servizi per motivi attinenti alle qualifiche professionali; in
pratica ogni cittadino dellUnione, legalmente stabilito in uno Stato membro, pu
svolgere la propria attivit di servizi in un altro Stato membro con il proprio titolo
professionale di origine, senza dover chiedere il riconoscimento delle qualifiche che
possiede. Tuttavia il prestatore deve provare di aver esercitato la propria attivit
professionale nello Stato di stabilimento per almeno 2 anni nel corso dei 10 anni che
precedono la prestazione di servizi, se in tale Stato membro la professione in questione
non regolamentata, altrimenti questa condizione non si applica.
Invece, in relazione allipotesi in cui il professionista intenda svolgere la propria attivit
avvalendosi della libert di stabilimento, per alcune professioni gi oggetto di direttive
settoriali sorgono problemi del tutto marginali. Infatti per le professioni di medico,
infermiere responsabile dellassistenza generale, dentista, veterinario, ostetrica,
farmacista e architetto, vige un sistema di riconoscimento automatico dei relativi titoli di
formazione in base al coordinamento delle condizioni minime di formazione. Quindi la
direttiva nel 5 allegato elenca i titoli di formazione, rilasciati dagli Stati membri e
conformi alla direttiva, che permettono a chi ne in possesso di esercitare la professione
in questione in tutti gli Stati membri. Diverso il caso delle professioni per cui non
esistono ad oggi disposizioni di armonizzazione della relativa formazione; per esse, la
direttiva stabilisce un sistema di riconoscimento basato sul criterio c.d. dellequivalenza
delle qualifiche. Quindi se in uno Stato membro ospitante laccesso ad una professione
dipenda dal possesso di qualifiche professionali determinate, lautorit competente di
tale Stato membro consente laccesso a questa professione alle stesse condizioni dei
cittadini nazionali, purch il richiedente possegga un titolo di formazione, rilasciato da
un altro Stato membro, che attesti un livello di formazione almeno equivalente a quello
immediatamente inferiore al livello richiesto nello Stato membro ospitante. Se, al
contrario, la professione non regolamentata, il richiedente tenuto, per potervi
accedere, a dimostrare di possedere non solo il titolo di formazione, ma anche 2 anni di
esperienza professionale a tempo pieno, maturata nel corso dei 10 anni precedenti.
N.B.: Per entrambi i casi, la direttiva raggruppa le qualifiche professionali in 5 livelli, fra
loro omogenei, che si distinguono per la durata del percorso formativo richiesto per
laccesso alla professione nel Paese di origine richiedente:
lattestato di competenza, rilasciato dallo Stato membro di origine sulla base di
una formazione generale a livello dinsegnamento primario o secondario, di una
formazione non facente parte di un certificato o un diploma, oppure di un esame
specifico non preceduto da una formazione o dellesercizio della professione per
3 anni;
il certificato, corrispondente ad una formazione di livello dinsegnamento
secondario di tipo tecnico, professionale o generale, contemplato da un ciclo di
studi o di formazione professionale;
il diploma di formazione breve, attestante una formazione di livello
dinsegnamento post-secondario della durata di almeno un anno;
il diploma di formazione di durata minima di 3 anni ed inferiore a 4 anni, di
livello dinsegnamento superiore o universitario;
138

[Digitare il titolo del documento] ed.)


il diploma di formazione di durata minima di 4 anni, di livello dinsegnamento
superiore o universitario.
Il riconoscimento dei titoli (esclusi i notai) viene effettuato, dunque, sulla base di livelli minimi di
formazione commisurati alla durata richiesta per laccesso alla professione. Tuttavia, lo Stato
ospitante pu, in ogni caso, subordinare il riconoscimento dei titoli di formazione allassolvimento,
da parte del richiedente, di una misura di compensazione (un tirocinio di adattamento non superiore
a 3 anni o una prova attitudinale), quando ricorre una delle seguenti ipotesi:
1) la formazione inferiore di almeno un anno rispetto a quella richiesta nello Stato membro
ospitante;
2) la formazione che il richiedente ha seguito ha avuto per oggetto materie sostanzialmente
diverse da quelle coperte dal titolo di formazione richiesto nello Stato ospitante;
3) la professione regolamentata nello Stato membro ospitante include una o pi attivit
professionali regolamentate, mancanti nella corrispondente professione dello Stato membro
dorigine del richiedente, qualora la differenza sia caratterizzata da una formazione
specifica, richiesta nello Stato membro ospitante, relativa a materie diverse da quelle
dellattestato di competenza o del titolo di formazione in possesso del richiedente.
Relativamente allo stabilimento degli avvocati stata adottata una direttiva ad hoc, volta a facilitare
lesercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui
stata acquisita la qualifica. Tale direttiva prevede, a prima vista, una formula di stabilimento
attenuata, atteso che lavvocato stabilito in un altro Stato membro potr avvalersi del suo titolo
professionale, ma dovr agire di concerto con un avvocato abilitato ad esercitare davanti alla
giurisdizione adita, per la rappresentanza e la difesa in giudizio del cliente. Tale formula attenuata
tuttavia destinata a venir meno dopo 3 anni di attivit effettiva e regolare, trascorsi i quali
lavvocato che esercita con il titolo dello Stato di provenienza finalmente ammesso ad esercitare a
tutti gli effetti come avvocato dello Stato ospitante.
14. Segue: LA DIRETTIVA 2006/123/CE RELATIVA AI SERVIZI NEL MERCATO
INTERNO
Merita unattenzione particolare la direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno,
meglio nota come direttiva servizi o direttiva Bolkestein, dal nome del commissario europeo
per il mercato interno relatore della prima bozza di direttiva. Essa si inserisce nel quadro delle
azioni prospettate dal Consiglio europeo di Lisbona, del marzo 2000, per rendere lUE, entro il
2010, leconomia basata sulla conoscenza pi competitiva e dinamica del mondo, in grado di
realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi posti di lavoro e una maggiore coesione
sociale (c.d. strategia di Lisbona). La direttiva mira ad eliminare gli ostacoli ancora presenti nel
mercato interno, che impediscono di fatto alle attivit di carattere autonomo di circolare liberamente
tra gli Stati membri, sia utilizzando la libert di stabilimento che sfruttando le opportunit offerte
dalla libert di prestazione di servizi. Essa, per, non si limita ad agevolare queste 2 libert, ma al
tempo stesso intende:
- rafforzare i diritti dei destinatari delle attivit autonome prestate con attraversamento delle
frontiere nazionali,
- promuovere la qualit dei servizi e
- stabilire una cooperazione amministrativa effettiva tra le autorit competenti degli Stati
membri.
La direttiva stabilisce, in dettaglio, un quadro giuridico generale valido per qualsiasi attivit di
servizi fornita dietro corrispettivo, ad eccezione delle attivit espressamente escluse dal suo campo
di applicazione; quindi essa ha carattere orizzontale, nel senso che non riguarda una sola categoria
o un settore particolare di servizi, ma abbraccia tutte le possibili attivit di servizi esistenti e che
potrebbero nascere in futuro. Infatti, non individua una per una le attivit che rientrano nel suo
139

[Digitare il titolo del documento] ed.)


campo di applicazione, ma, al contrario, si limita semplicemente a precisare quali sono quelle che
non vi rientrano (art. 2); di questelenco fanno parte: i servizi finanziari, audiovisivi, di
comunicazione elettronica e di trasporto; i servizi sanitari; alcuni servizi sociali; i servizi delle
agenzie di lavoro interinale e i servizi privati di sicurezza; i servizi non economici di interesse
generale; le attivit connesse allesercizio di pubblici poteri ed infine i servizi forniti da notai e
ufficiali giudiziari nominati con atto ufficiale della p.a. Il fatto che queste attivit siano escluse dal
campo di applicazione della direttiva, non implica che ad esse non si applichino cmq le norme del
Trattato sulla libert di stabilimento e sulla libera prestazione dei servizi. Inoltre, queste esclusioni
vanno intese come opzionali, cio nulla vieta agli Stati membri, se lo desiderano, di estendere alcuni
principi e modalit generali previsti dalla direttiva ad alcuni o a tutti i servizi esclusi. La direttiva si
compone di disposizioni comuni, tra cui rientrano quelle volte a semplificare le procedure e le
formalit amministrative cui vanno incontro gli operatori economici quando intendono esercitare la
propria attivit di servizi in uno Stato membro diverso da quello dorigine. A questo fine, la direttiva
non solo richiede agli Stati membri di semplificare le proprie procedure amministrative, ma impone
loro anche degli obblighi specifici e precisamente:
di istituire degli sportelli unici, presso cui il prestatore di servizi possa ricevere
informazioni sui requisiti e le procedure nazionali, nonch espletare tutte le formalit del
caso (artt. 6 e 7);
di rendere possibile lespletamento delle procedure e formalit amministrative a distanza
e per via elettronica (art. 8).
Per facilitare la libert di stabilimento e la libera prestazione di servizi nellUE, la direttiva
stabilisce che gli Stati membri hanno lobbligo di prestarsi assistenza reciproca e di cooperare per
garantire un controllo efficace dei prestatori e dei loro servizi e evitare la moltiplicazione di tali
controlli (art. 28). Questa cooperazione si traduce, in pratica, nel diritto di uno Stato membro di
richiedere informazioni, verifiche, ispezioni o indagini ad un altro Stato membro e nel dovere, in
capo a questultimo, di soddisfare la richiesta ricevuta senza indugio.
Inoltre, la direttiva prescrive agli Stati membri di adottare, in collaborazione con la Commissione,
misure di accompagnamento, per incoraggiare i prestatori a garantire, su base volontaria, la qualit
dei servizi, facendo certificare o valutare le loro attivit da organismi indipendenti o aderendo alle
carte e ai marchi di qualit predisposti da organi ed ordini professionali a livello europeo (art. 26).
Queste misure devono poi tendere ad incoraggiare lelaborazione di codici di condotta a livello
europeo, specialmente da parte di organismi professionali, per agevolare la prestazione
transfrontaliera di servizi o lo stabilimento di un prestatore in un altro Stato membro, nel rispetto
pur sempre del diritto dellUE (art. 37).
Considerando esclusivamente le disposizioni sullo stabilimento del prestatore in uno Stato membro
diverso da quello di origine, va detto subito che la direttiva si limita a chiarire principi gi da tempo
affermati dalla Corte di giustizia con riguardo ai regimi di autorizzazione ed ai requisiti da
soddisfare per accedere ad unattivit di esercizi o esercitarla. Infatti, la direttiva ribadisce che i
regimi di autorizzazione sono ammissibili solo nei casi in cui il controllo a posteriori non sarebbe
efficace a causa dellimpossibilit di constatare ex post le carenze dei servizi interessati e tenuto
conto dei rischi e dei pericoli che potrebbero risultare dallassenza di un controllo ex ante. Quindi,
agli Stati membri consentito subordinare laccesso ad unattivit di servizi solo qualora esso
risulti:
- non discriminatorio nei confronti del prestatore,
- giustificato da un motivo imperativo di interesse generale e
- proporzionato rispetto allobiettivo perseguito.
La direttiva servizi prescrive che la procedura di rilascio dellautorizzazione sia chiara, resa
pubblica preventivamente e tale da garantire ai richiedenti che la loro domanda sia trattata con la
massima obiettivit, imparzialit e sollecitudine. Inoltre, la procedura deve essere facilmente
140

[Digitare il titolo del documento] ed.)


accessibile e priva di oneri a carico dei richiedenti che non siano ragionevoli e commisurati ai costi
effettivi della procedura necessaria per il rilascio dellautorizzazione (art. 13).
Con riguardo ai requisiti nazionali, spesso imposti agli operatori economici, che ostacolano o
impediscono lesercizio effettivo della libert di stabilimento, la direttiva distingue fra quelli che
sono da ritenersi assolutamente vietati (art. 14) e quelli che invece possono essere mantenuti in
vigore o istituiti dagli Stati, se ricorrono certe condizioni (art. 15). Tra i requisiti vietati figurano:
1) i requisiti discriminatori, fondati direttamente o indirettamente sulla cittadinanza,
sullubicazione della sede legale delle societ o sul requisito di residenza;
2) il divieto di avere stabilimenti in pi di uno Stato membro o di essere iscritto in registri o
albi professionali in diversi Stati membri;
3) le restrizioni della libert, per il prestatore, di scegliere se essere stabilito a titolo principale
o secondario e essere stabilito in forma di rappresentanza, succursale oppure filiale;
4) le condizioni di reciprocit con lo Stato membro in cui il prestatore ha gi uno stabilimento;
5) lapplicazione caso per caso di una verifica di natura economica che subordina il rilascio di
unautorizzazione allesistenza di un bisogno economico o di una domanda di mercato;
6) il coinvolgimento di operatori concorrenti per il rilascio di autorizzazioni;
7) lobbligo di presentare una garanzia finanziaria o di sottoscrivere unassicurazione presso un
altro operatore o presso un organismo stabilito nello Stato membro in cui il prestatore vuole
stabilirsi;
8) lobbligo per il prestatore di essere gi iscritto per un certo periodo nei registri dello Stato in
cui vuole stabilirsi o di avere gi esercitato in precedenza la propria attivit sul territorio di
tale Stato per un certo periodo.
Invece, tra i requisiti che possono essere mantenuti in vigore o istituiti in futuro, elencati dallart.
15, rientrano:
1) le restrizioni quantitative e territoriali;
2) gli obblighi del prestatore di avere un determinato statuto giuridico;
3) gli obblighi relativi alla detenzione del capitale di una societ;
4) i requisiti che riservano laccesso ad alcune attivit di servizi a prestatori particolari per la
natura specifica dellattivit;
5) il divieto di disporre di pi stabilimenti sullo stesso territorio nazionale;
6) i requisiti che stabiliscono un numero minimo di dipendenti;
7) le tariffe obbligatorie minime e/o massime che il prestatore deve rispettare;
8) lobbligo per il prestatore di fornire, oltre al suo servizio, altri servizi specifici.
Infine, la direttiva ha richiesto agli Stati membri di inviare alla Commissione europea, una volta
scaduto il suo termine di recepimento, una relazione contenente lindicazione dei regimi di
autorizzazione, di cui allart. 9, e dei requisiti che hanno mantenuto in vigore, di cui allart. 15, con
la relativa motivazione.

15. Segue: LE DIRETTIVE IN MATERIA SOCIETARIA


Per la materia societaria, lart. 50, n. 2, lett. g, TFUE attribuisce al Parlamento europeo, al
Consiglio e alla Commissione il compito di coordinare, ove occorra e al fine di renderle
equivalenti , le garanzie che sono richieste alle societ a tutela degli interessi dei soci e dei terzi. E
ci evidentemente al fine di facilitare e, in sostanza, rendere effettivo il diritto di stabilimento cos
come previsto e disciplinato dallart. 49 e dallart. 54 del Trattato.
Lo sforzo di coordinamento e di armonizzazione del diritto societario ha portato alladozione di
numerose direttive sulla costituzione, la fusione e la struttura della societ ma anche su aspetti
specifici di non poco rilievo. Le direttive principali sono:
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[Digitare il titolo del documento] ed.)

prima direttiva, n. 68/151/CEE (1968) che investe principalmente la pubblicit degli atti
sociali e disciplina alcuni casi di invalidit dellatto costitutivo;
seconda direttiva, n. 77/91/CEE (1976) che riguarda per le sole s.p.a., le garanzie per soci e
terzi relativamente alla costituzione, alla salvaguardia e alle modifiche del capitale sociale;
stabilisce la distribuzione dei dividendi e dellacquisto di azioni proprie;
terza direttiva, n. 78/855/CEE (1978) che riguarda le fusioni delle s.p.a.;
sesta direttiva, n. 82/891/CEE (1982) relativa alle scissioni delle s.p.a.;
quarta direttiva, n. 78/660/CEE (1978) e settima direttiva, n. 83/349/CEE (1983)
rispettivamente sui conti annuali delle societ di capitali e sui conti consolidati dei gruppi;
ottava direttiva, n. 84/253/CEE (1984) sullabilitazione delle persone incaricate del
controllo di legge dei documenti contabili, abrogata dalla direttiva 2006/43/CE relativa alle
versioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati;
undicesima direttiva, n. 89/666/CEE (1989) sulla pubblicit delle succursali create in uno
Stato membro da alcuni tipi di societ soggette al diritto di un altro Stato membro;
dodicesima direttiva, n. 89/667/CEE (1989) sulle s.r.l. con socio unico.
Di sicuro rilievo anche la direttiva concernente le OPA (offerte pubbliche di acquisto), che si
colloca in un contesto di coordinamento, pi generale ed in corso di realizzazione, delle garanzie a
tutela dei soci e dei terzi.
Infine, va ricordato il regolamento del Consiglio n. 2137/85 relativo allistituzione del Gruppo
Europeo di Interesse Economico (GEIE), che consente la nascita di gruppi europei di cooperazione
tra imprese, senza che queste perdano la loro identit. Le sue caratteristiche principali sono:
- i componenti devono essere almeno 2 ed avere lattivit principale o lamministrazione in
Paesi membri diversi;
- la sede deve essere stabilita nellUE e nel luogo in cui fissata lamministrazione centrale
oppure in quello in cui uno dei membri ha lamministrazione centrale;
- lattivit del Gruppo imputata ai singoli membri, anche per la divisione dei profitti e delle
perdite;
- il regime quello della responsabilit illimitata e solidale dei membri per tutte le
obbligazioni assunte dal Gruppo, fino a 5 anni dopo lo scioglimento di esso.
16. LA LIBERT DI PRESTAZIONE DEI SERVIZI.
CAMPO DI APPLICAZIONE PERSONALE E MATERIALE DELLA DISCIPLINA
La libert di circolazione dei lavoratori autonomi e delle societ allinterno dellUE completata
dalla disciplina sulla libera prestazione dei servizi, prevista dagli artt. 56-62 TFUE. A differenza
dello stabilimento, che si traduce nel diritto dei cittadini di uno Stato membro di esercitare in modo
continuativo e permanente la propria attivit in un altro Stato membro, la prestazione dei servizi
comporta lesercizio solo temporaneo ed occasionale di unattivit non salariata in un altro Stato
membro. Occorre al riguardo tener presente che la posizione dei cittadini e delle societ che si
avvalgono della libera prestazione dei servizi non paragonabile a quella dei soggetti stabiliti,
poich nel complesso gli obblighi imposti a questi ultimi sono ben pi rigidi di quelli che gravano
sui primi. Infatti, a differenza del prestatore e del destinatario del servizio, che conservano il loro
legame naturale con lo Stato di origine, invece il soggetto stabilito viene ad integrarsi
nellordinamento dello Stato ospitante e a soggiacere in modo pi intenso alle sue norme. Cos si
comprende come mai la disciplina dei servizi, prevista dal Trattato, sia piuttosto sintetica, infatti si
limita a definire i principi essenziali della materia, affidando invece alle istituzioni dellUnione il
compito di emanare gli atti a realizzare la liberalizzazione delle attivit di servizi ed a facilitarne la
circolazione tra gli Stati. Lart. 56 TFUE prevede che le restrizioni alla libera prestazione dei
servizi, allinterno dellUE, siano vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri, stabiliti in
142

[Digitare il titolo del documento] ed.)


uno Stato membro diverso da quello destinatario della prestazione. I prestatori beneficiari della
disciplina sulla libera prestazione dei servizi sono, innanzitutto, le persone fisiche che hanno la
cittadinanza di uno Stato membro e che sono stabilite in un Paese dellUE (art.56); quindi tale
disciplina riguarda solo i cittadini dellUnione che siano anche gi stabiliti nellUnione. Quindi,
rispetto al diritto di stabilimento esercitato a titolo principale, il Trattato richiede alle persone fisiche
una condizione ulteriore per usufruire del regime di libera prestazione dei servizi, a garanzia che il
beneficiario abbia un legame reale e non solo formale con un Paese membro. Lart. 56 , 2 comma,
prevede che la libert di prestazione di servizi possa essere esclusa, con la procedura legislativa
ordinaria, anche ai prestatori di servizi cittadini di Paesi terzi e stabiliti allinterno dellUnione: ma
tale possibilit non si finora mai realizzata.
In ogni caso, tra i beneficiari non ci sono solo le persone fisiche, ma anche le persone giuridiche
costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale,
lamministrazione centrale o il centro di attivit principale allinterno dellUnione. La disciplina sui
servizi investe tutte le attivit configurabili come attivit economiche che rivestano il carattere di
una prestazione di servizi retribuita. Pertanto rientrano nel campo di applicazione, quando non
ricorrano le condizioni del rapporto di lavoro stabile e subordinato, anche discipline sportive quali il
ciclismo e i calciatori professionisti.
Tuttavia, ai sensi dellart. 58, n. 1, TFUE sono escluse dal campo di applicazione materiale della
disciplina sui servizi le attivit relative al settore dei trasporti, in quanto sottoposte allo specifico
regime previsto per tali attivit dal Trattato. Una parziale eccezione poi prevista in merito ai
servizi bancari, assicurativi e finanziari in genere, per la loro specificit e contiguit con la materia
dei trasferimenti di capitali: infatti per essi stato previsto un processo di liberalizzazione specifico,
da attuarsi in armonia con la liberalizzazione progressiva della circolazione dei capitali. Infine,
come per lo stabilimento, sono esclusi dal campo di applicazione, le attivit che nello Stato ospite
partecipano allesercizio dei pubblici poteri, e sono ammesse le restrizioni dovute a ragioni di
ordine pubblico, di pubblica sicurezza di sanit pubblica.
17. NOZIONE E CARATTERISTICHE DELLA PRESTAZIONE DEI SERVIZI:
DEFINIZIONE DI SERVIZIO E DIFFERENTI IPOTESI DI PRESTAZIONE
Il servizio, come risulta dagli artt. 56 e 57 TFUE, si identifica con unattivit di natura non
subordinata fornita, normalmente contro remunerazione, da un prestatore stabilito in uno Stato
membro diverso da quello in cui la prestazione deve essere eseguita.
Dunque in primo luogo, occorre che si tratti di una prestazione effettuata, almeno in via di
principio, dietro retribuzione; al riguardo la giurisprudenza della Corte ha fornito alcune
precisazioni, anzitutto nel senso che la retribuzione va identificata con il corrispettivo della
prestazione, generalmente convenuto tra il prestatore e il destinatario del servizio. Lart. 57 del
Trattato non richiede che il corrispettivo sia pagato direttamente da coloro che usufruiscono del
servizio. In questa previsione rientrano anche le prestazioni mediche, dispensate in ambito
ospedaliero o meno, mentre si escluso che rientrasse linsegnamento impartito nellambito del
sistema nazionale della pubblica istruzione, in quanto unattivit svolta dallo Stato non a fini di
lucro, ma per adempiere ai propri compiti educativi, nonch finanziata dal bilancio pubblico e non
dai genitori.
In secondo luogo, la nozione di servizio definita in modo residuale, infatti l art. 57 ne contiene
una formulazione al negativo, in quanto si riferisce alle prestazioni che non siano regolate dalle
disposizioni sulla circolazione delle merci, dei capitali e delle persone. In sostanza, la nozione di
servizio comprende ogni attivit economicamente rilevante che si traduca principalmente in una
prestazione e non in uno scambio di beni. Rispetto al diritto di stabilimento, le disposizioni sui
servizi risultano residuali. Nel marcare il confine tra le 2 libert, la Corte di Giustizia ha posto
laccento sul carattere temporaneo ed occasionale che contraddistingue la prestazione di servizi
rispetto allo stabilimento; carattere che va valutato in relazione alla durata, frequenza, periodicit e
143

[Digitare il titolo del documento] ed.)


continuit della prestazione. Pertanto, rientrano nella nozione di servizio anche attivit la cui
prestazione si estende nel tempo per un periodo prolungato e prestazioni che un operatore
economico stabilito in uno Stato membro fornisce in modo pi o meno frequente e regolare, anche
per un periodo prolungato, a persone stabilite in uno o pi altri Stati membri (es. attivit di
consulenza retribuita). Costituisce una restrizione alla libera prestazione dei servizi ogni divieto o
impedimento al trasferimento dei mezzi finanziari necessari allesecuzione della prestazione, e al
pagamento della prestazione.
In terzo luogo, necessario il carattere transfrontaliero della prestazione, nel senso che il
prestatore deve essere stabilito in un Paese diverso da quello in cui risiede il destinatario o che,
comunque, deve trattarsi di una situazione i cui elementi non si esauriscano allinterno di un solo
Stato membro. I casi tipici sono, ad es., quello del libero professionista che svolge unattivit di
consulenza o di progettazione in uno Stato membro diverso da quello in cui ha il suo studio; quello
dellalbergatore che ospita turisti stranieri; quello della societ di assicurazioni che assicura un bene
localizzato in un altro Paese membro; quello delle trasmissioni televisive che raggiungono
telespettatori in uno Stato diverso da quello di emissione; quello della banca che offre un servizio in
un Paese diverso da quello in cui situata. Come si evince dagli es., le ipotesi in cui si traduce il
carattere transfrontaliero della prestazione sono diverse:
1. pu aversi uno spostamento del prestatore del servizio in uno Stato membro diverso da
quello in cui stabilito, precisamente nel Paese del destinatario della prestazione, ipotesi
espressamente prefigurata dallart. 57 del Trattato (ad es. medico che va a curare un
paziente che risiede in un altro Paese membro);
2. pu aversi uno spostamento del destinatario del servizio nello Stato in cui stabilito il
prestatore (ad es. turista che usufruisce di tutti i servizi nel Paese in cui si reca);
3. n il prestatore n il destinatario si spostano in uno Stato membro diverso da quello in cui
sono stabiliti: a spostarsi solo il servizio (ad es. servizi finanziari, bancari e assicurativi);
4. pu aversi che il destinatario della prestazione e il prestatore del servizio sono stabiliti nello
stesso Stato membro ed solo il prestatore a spostarsi oppure si spostano entrambi ed
insieme per raggiungere il luogo in cui la prestazione deve essere eseguita (ad es. gruppi di
turisti, destinatari del servizio, e le rispettive guide, prestatori del servizio, provenienti da
uno stesso Stato membro si spostano insieme per raggiungere il luogo in cui la prestazione
deve essere eseguita).
18. IL REGIME DELLA LIBERA PRESTAZIONE DEI SERVIZI: A) LE MISURE
DISCRIMINATORIE
La disciplina materiale della libera prestazione dei servizi anzitutto fondata sul divieto di
discriminazioni in base alla nazionalit. Lart. 57, ultimo comma, precisa che il prestatore pu,
per lesecuzione della sua prestazione, esercitare, a titolo temporaneo, la sua attivit nello Stato
membro ove la prestazione fornita, alle stesse condizioni imposte da tale Stato ai propri cittadini.
Tuttavia, il Trattato non si limita a prescrivere il principio del trattamento nazionale, infatti lart. 56,
1 comma, non vieta unicamente le discriminazioni basate sulla nazionalit, ma pi in generale le
restrizioni alla libera prestazione dei servizi allinterno dellUnione nei confronti dei cittadini degli
Stati membri stabiliti in un Stato membro che non sia quello del destinatario della prestazione. A
ci si aggiunga che, in base allart. 61 TFUE, fino a quando permangono negli Stati membri
restrizioni alla libera prestazione dei servizi, ciascuno degli Stati membri le applica senza
distinzione di nazionalit o di residenza a tutti i prestatori di servizi contemplati dallart. 56, 1
comma.
Quanto ai tempi e ai modi della liberalizzazione, anche in materia di servizi il Trattato originario
aveva previsto la consueta gradualit, nel senso che tale obiettivo doveva essere raggiunto entro la
fine del periodo transitorio. Era previsto il consueto obbligo di standstill, imposto agli Stati membri,
nonch il compito affidato alle istituzioni comunitarie di adottare, da un lato, un Programma
144

[Digitare il titolo del documento] ed.)


Generale e direttive volte ad eliminare le restrizioni esistenti, dallaltro, direttive per il
riavvicinamento delle disposizioni nazionali ed il reciproco riconoscimento dei diplomi.
Lassenza di intervento normativo ritardava tuttavia i tempi della liberalizzazione, impedendo cos
ai cittadini comunitari la possibilit di avvalersi pienamente della libert in questione. Pertanto, in
tale contesto, stata la giurisprudenza della Corte a rivelarsi determinante: infatti, nella sentenza
Van Binsbergen, la Corte rilev che lapplicazione dellart. 56 , subordinata nel periodo transitorio
allemanazione di direttive, non pi sottoposta ad alcuna condizione; ne consegue che gli artt. 56
e 57 TFUE hanno efficacia diretta e possono venir fatti valere dinanzi ai giudici nazionali, almeno
nella parte in cui impongono la soppressione di tutte le discriminazioni che colpiscono il prestatore
di un servizio a causa della sua nazionalit o della sua residenza in una Stato diverso da quello in
cui il servizio viene fornito.
Il 1 aspetto rilevante del regime della libera prestazione dei servizi risiede proprio nel principio del
trattamento nazionale che ha indotto la Corte ad affermare leffetto diretto degli artt. 56 e 57
TFUE, in quanto impongono un obbligo preciso e incondizionato, cio abolire tutte le
discriminazioni fondate sulla nazionalit o la residenza del prestatore. Il Trattato di Amsterdam ha
preso atto del superamento della disciplina transitoria, sostituendo la previsione originaria della
graduale soppressione, con la prescrizione pura e semplice del divieto di restrizioni alla libera
prestazione dei servizi.
Il 2 aspetto rilevante del regime di libera prestazione dei servizi dato dalla portata sostanziale e
non solo formale del divieto di restrizioni discriminatorie. Ci vuol dire che sono vietate anche
quelle restrizioni che, pur non discriminatorie formalmente, di fatto si risolvono in una restrizione
per gli stranieri, spesso pi vistosa. Tipico il requisito della residenza, in quanto condizione spesso
richiesta per lesercizio di determinate attivit e che, se richiesta anche agli stranieri, di fatto ne
impedisce la prestazione di servizi. La Corte, chiamata a pronunciarsi sulla legittimit di una
normativa nazionale relativa allesercizio della professione di avvocato, che richiedeva la residenza
nel Paese membro in cui doveva essere fornita la prestazione, ha affermato che la condizione di
residenza pu equivalere a vanificare leffetto utile dellart. 56, il cui oggetto quello di consentire
di svolgere temporaneamente lattivit a chi non risiede nel Paese membro in cui la prestazione
fornita. Inoltre, stata considerata incompatibile anche la normativa italiana che limitava ai cittadini
residenti in una determinata provincia (Bolzano) il diritto alluso della lingua tedesca nei processi,
escludendo i cittadini di lingua tedesca che appartengono ad altri Paesi dellUnione e che
beneficiano della libera prestazione di servizi. Infatti, la giurisprudenza della Corte orientata nel
senso che costituiscono una violazione degli art. 56 e 57 non solo le discriminazioni palesi basate
sulla cittadinanza del prestatore, ma anche qualsiasi forma di discriminazione dissimulata che,
sebbene basata su criteri in apparenza neutri, produca in pratica lo stesso risultato (ad es. lobbligo
di versare la quota di contributi a carico del datore di lavoro che effettui una prestazione di servizi,
in quanto esteso alle imprese stabilite in un altro Paese dellUnione e qui sottoposte agli obblighi
contributivi dei datori di lavoro: in tale ipotesi, infatti, il pagamento dei contributi si risolve in un
onere economico supplementare per i datori di lavoro stranieri, essendo questi ultimi cmq tenuti al
pagamento degli stessi contributi gi nel Paese di stabilimento).
19. Segue: B) LE MISURE INDISTINTAMENTE APPLICABILI
Le restrizioni alla libert di prestazione dei servizi allinterno del mercato comune non si
esauriscono con le violazioni del divieto di discriminazione. Infatti, il principio del trattamento
nazionale ha un valore non assoluto, ma relativo perch, a differenza di quanto avviene nello
stabilimento, nella prestazione di servizi il contatto con la comunit territoriale in cui la
prestazione servita, solo occasionale e temporaneo. La conseguenza che il trattamento
nazionale solo il parametro minimo della legittimit delle restrizioni, ma non sempre sufficiente a
renderle compatibili con quanto richiesto dal diritto dellUE. In altre parole, il disposto degli artt.
56 e 57 TFUE non pu significare che tutta la legislazione nazionale, applicabile ai cittadini di uno
145

[Digitare il titolo del documento] ed.)


Stato membro e relativa normalmente allattivit permanente delle persone in esso stabilite, possa
essere applicata integralmente e allo stesso modo alle attivit di carattere temporaneo ed
occasionale esercitate da persone stabilite in altri Stati membri. Pertanto, lapplicazione del
principio di libera prestazione dei servizi pu tradursi in una situazione di maggior favore formale
per i prestatori di servizi stranieri rispetto ai cittadini e alle societ del Paese in cui la prestazione
fornita.
In definitiva, incompatibile con lart. 56 qualsiasi restrizione imposta per il motivo che il
prestatore stabilito in uno Stato membro diverso da quello nel quale la prestazione viene fornita.
Infatti, come precisato nella sentenza Sager, lart. 56 richiede la soppressione di qualsiasi
restrizione, anche qualora essa si applichi indistintamente ai prestatori nazionali ed a quelli degli
altri Stati membri, allorch essa sia tale da vietare o da ostacolare in altro modo le attivit del
prestatore stabilito in un altro Stato membro, ove fornisce legittimamente servizi analoghi. Lart.
56 osta allapplicazione di qualsiasi normativa nazionale che abbia leffetto di rendere la
prestazione dei servizi tra Stati membri pi difficile della prestazione di servizi puramente interna
ad uno Stato membro. Sulla base di tale approccio, sono state dichiarate in contrasto con la
disciplina in questione, ad es., le normative che richiedono il possesso di una particolare qualifica
professionale alle guide che si spostano in un altro Stato membri insieme a gruppi di turisti, gli uni e
gli altri provenienti da uno stesso Stato membro.
20. Segue: C) LE CONDIZIONI SPECIFICHE IMPOSTE AL PRESTATORE E
GIUSTIFICATE DALLINTERESSE GENERALE
Va anzitutto sottolineato che tra le misure distintamente applicabili (cio discriminatorie) e quelle
indistintamente applicabili c una differenza sostanziale sul piano delle eccezioni consentite. Le
prime, infatti, sono compatibili solo se possono farsi rientrare in una deroga espressamente
prefigurata dal trattato: ad es. dallart. 52 cui rinvia lart. 62 TFUE, per motivi di ordine pubblico,
di pubblica sicurezza e di sanit pubblica. Per le seconde, invece, la Corte ha comunque insistito sul
carattere eccezionale delle possibilit di derogare al principio della libera prestazione dei servizi.
Essa ha infatti affermato che la libert in questione, in quanto principio fondamentale del Trattato,
pu essere limitata unicamente:
da normative nazionali giustificate dallinteresse generale e che si applichino a ogni persona
fisica o giuridica che eserciti una determinata attivit sul territorio dello Stato ospitante;
nella misura in cui tale interesse non sia salvaguardato dalle regole alle quali il prestatore
sottoposto nello Stato membro in cui stabilito;
infine, se le normative nazionali sono obiettivamente necessarie per il raggiungimento dello
scopo perseguito (interesse generale) e a condizione che lo stesso risultato non possa essere
ottenuto mediante misure meno restrittive.
La Corte ha in definitiva applicato anche alla materia dei servizi la formula Cassis de Dijon
utilizzata in tema di misure restrittive degli scambi di merci. Nella sentenza Gouda, peraltro, la
Corte ha operato unutile ricognizione esemplificativa delle esigenze imperative connesse
allinteresse generale in relazione alle quali misure nazionali restrittive sono state riconosciute
compatibili con il diritto dellUE, tra cui norme professionali che tutelano i destinatari di un
servizio; la tutela della propriet intellettuale; la tutela dei lavoratori e del consumatore; la
conservazione del patrimonio storico-artistico nazionale; la valorizzazione delle ricchezze
archeologiche, storiche e artistiche e la migliore divulgazione delle conoscenze al riguardo.
Nel caso Cipolla la Corte ha ricompreso la tutela dei consumatori e della buona amministrazione
della giustizia tra i motivi imperativi di interesse generale in grado di giustificare una restrizione
alla libera prestazione dei servizi, sempre che il provvedimento nazionale de quo sia idoneo a
garantire la realizzazione dellobiettivo perseguito e non vada oltre quanto necessario per
raggiungerlo. Comunque la Corte ha ritenuto ammissibile la restrizione di tale libert se diretta a
146

[Digitare il titolo del documento] ed.)


soddisfare ragioni imperative di interesse generale e ha lasciato al giudice nazionale larduo
compito di stabilire se ed in che misura il divieto in questione potesse essere giustificato.
Nella sentenza Placanica, concernente il gioco dazzardo, la Corte ha stabilito che la normativa
italiana comportava restrizioni alla libert di stabilimento e alla libera prestazione di servizi a causa
del divieto penalmente sanzionato, in essa contenuto, di esercitare attivit nel settore dei giochi
dazzardo in assenza di concessione o di autorizzazione di polizia, rilasciate dallItalia. In
questoccasione, la Corte ha escluso direttamente che il sistema italiano potesse essere giustificato
in virt del perseguimento di interessi pubblici, quali la tutela del consumatore e la prevenzione
dellincitazione dei cittadini ad una spesa eccessiva collegata al gioco, in presenza di una politica
espansiva dello Stato italiano nel settore dei giochi dazzardo allo scopo di incrementare le entrate
fiscali. La Corte ha invece rimesso al giudice nazionale il compito di verificare se la normativa
rispondeva realmente allobiettivo di prevenire lesercizio delle attivit nel settore dei giochi
dazzardo per fini criminali o fraudolenti, e se anche le altre condizioni indicate dalla
giurisprudenza risultavano nella specie soddisfatte.
Di particolare rilievo anche la sentenza Laval, relativa ad una prestazione transfrontaliera di
servizi effettuata con contestuale distacco di lavoratori nello Stato ospitante. La prestazione di
servizi risultava ostacolata da unazione collettiva intrapresa da alcuni sindacati dei lavoratori di
tale Stato al fine di indurre il prestatore di servizi a corrispondere ai propri lavoratori distaccati la
retribuzione e le condizioni di lavoro ritenute necessarie ad evitare eventuali pratiche di social
dumping. La Corte ha precisato che il diritto di intraprendere unazione collettiva, che ha come
scopo la protezione dei lavoratori dello Stato ospitante contro uneventuale pratica di social
dumping da parte del prestatore di servizi, pu costituire una ragione imperativa di interesse
generale tale da giustificare una restrizione ad una delle libert fondamentali garantite dal Trattato.
Malgrado tale affermazione di principio, la Corte ha poi ritenuto, nel caso di specie, che lart. 56
TFUE e la direttiva 96/71/CE, relativa al distacco dei lavoratori nellambito di una prestazione di
servizi, ostassero allazione collettiva intrapresa dal sindacato dei lavoratori, per il particolare
contesto normativo nazionale in cui questazione si inseriva.
Tuttavia dalle opinioni espresse fino ad oggi dalla Corte di giustizia si discosta la direttiva
2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno, precisamente nella parte in cui essa individua i
motivi che possono essere invocati dagli Stati membri per giustificare eventuali restrizioni alla
libert di prestazione dei servizi rientranti nel suo campo di applicazione. Infatti, lart. 16 di tale
direttiva, pur ribadendo che gli Stati membri non possono subordinare laccesso ad unattivit di
servizi o lesercizio della stessa sul proprio territorio a requisiti che non rispettino i tradizionali
principi di non discriminazione, necessit e proporzionalit, menziona, come possibili
giustificazioni delle restrizioni nazionali, unicamente le ragioni di ordine pubblico, di pubblica
sicurezza, di sanit pubblica e di tutela dellambiente. indubbio che questa disposizione si
riferisca alle misure nazionali indistintamente applicabili e non a quelle discriminatorie, stante
lespresso richiamo al principio di non discriminazione quale condizione che le restrizioni degli
Stati membri devono comunque rispettare per poter risultare lecite. Nessun dubbio sembra esserci
neppure sul fatto che, con lart. 16, la direttiva servizi riduce drasticamente il numero e la tipologia
dei motivi imperativi di interesse generale che la Corte ha finora concesso agli Stati membri come
giustificazione di misure interne restrittive della libert di prestazione dei servizi. In sostanza, lart.
16 della direttiva d luogo a 2 regimi diversi di deroghe alla libera prestazione dei servizi, con
riguardo alle misure nazionali indistintamente applicabili, che si distinguono essenzialmente in base
alla tipologia dei servizi considerati.
- Rispetto ai servizi che rientrano nel campo di applicazione della direttiva, gli Stati membri si
sono autolimitati, potendo dora in poi invocare esclusivamente motivi di ordine pubblico, di
pubblica sicurezza, di sanit pubblica e di tutela dellambiente a giustificazione delle loro
misure nazionali indistintamente applicabili.
- Rispetto ai servizi che sono esclusi dal campo di applicazione della direttiva, invece, gli
Stati membri conservano la possibilit di invocare tutte le esigenze imperative connesse
147

[Digitare il titolo del documento] ed.)


allinteresse generale finora individuate dalla Corte di giustizia o che saranno da questa
individuate in futuro.
La scelta dellautolimitazione, operata dagli Stati membri con ladozione della direttiva
2006/123/CE, favorisce una pi ampia ed effettiva circolazione dei servizi tra i Paesi dellUnione,
almeno per le attivit che rientrano nel campo di applicazione della direttiva; ci sicuramente un
bene, visto che cos si rafforza la regola della libera prestazione dei servizi, riducendone le
eccezioni. Le novit introdotte dalla direttiva 2006/123/CE, sulle deroghe alla libera prestazione dei
servizi, non si limitano per solo allart. 16; infatti, lart. 17 aggiunge, alle 4 deroghe generali
previste dallart. 16, 15 ulteriori deroghe alla libera prestazione dei servizi. Pi precisamente, ai
sensi dellart. 17 della direttiva sottratta allapplicazione dellart. 16 ed al principio della libera
prestazione dei servizi, in esso ribadito, una serie molto nutrita di materie e di servizi, che in gran
parte risultino gi disciplinati da altre direttive o regolamenti specifici. Al riguardo va osservato
che:
1) il fatto che alcuni servizi rientrino fra le deroghe previste dallart. 17 non implica
ovviamente che le disposizioni nazionali ad essi relative siano sottratte anche al rispetto
dellart. 56 TFUE;
2) non applicandosi in toto lart. 16 non vale, per le materie e i servizi elencati dallart. 17, la
limitazione dei motivi imperativi di interesse generale prevista dallart. 16. Per tali materie
varr la consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia, salvo diversa previsione
contenuta in altri atti dellUE.
Infine la direttiva servizi prevede una deroga specifica, al principio della libera prestazione dei
servizi, per casi individuali. Infatti, lart. 18 stabilisce che, in deroga allart. 16 ed a titolo
eccezionale, uno Stato membro pu prendere, nei confronti di un prestatore stabilito in un altro
Stato membro, misure relative alla sicurezza dei servizi, quando risultano soddisfatte le seguenti
condizioni cumulative:
a) le disposizioni nazionali, che hanno assunto tali misure, non sono state oggetto di
armonizzazione a livello europeo, riguardante il settore della sicurezza dei servizi;
b) le misure proteggono maggiormente il destinatario del servizio rispetto a quelle che
adotterebbe lo Stato membro di stabilimento del prestatore in conformit alle sue
disposizioni nazionali;
c) lo Stato membro di stabilimento non ha adottato alcuna misura o ha adottato misure
insufficienti rispetto a quelle richiestegli dallo Stato di destinazione del servizio;
d) le misure risultano proporzionate.
In ogni caso, la stessa direttiva chiarisce che quanto consentito dallart. 18 non pregiudica le
disposizioni che garantiscono la libert di prestazione dei servizi o che permettono deroghe ad essa,
contenute in altri atti dellUnione.

21. LA LIBERA CIRCOLAZIONE DEI CAPITALI: LA DISCIPLINA DEL TRATTATO DI


ROMA E LE DIRETTIVE DI ATTUAZIONE
Nella generale enunciazione dellart. 3 del Trattato, sia prima che dopo le modificazioni apportate
dal Trattato di Maastricht, la libera circolazione dei capitali ha sempre trovato collocazione accanto
alla circolazione delle persone e dei servizi, nellunica previsione della lettera c). Lo stesso dicasi
per lart.14, in cui la circolazione dei capitali uno degli elementi dello spazio senza frontiere
interne. Il Trattato di Maastricht ha modificato sensibilmente la disciplina originaria dei movimenti
dei capitali e dei pagamenti, a differenza di quella delle restanti libert, che viceversa rimasta
invariata. Ci non pu sorprendere pi di tanto, visto che la previsione di ununione monetaria e di
un rafforzato coordinamento delle politiche economiche ha ovviamente inciso profondamente in
148

[Digitare il titolo del documento] ed.)


quei settori del mercato comune che maggiormente risentivano della significativa autonomia che il
Trattato di Roma aveva lasciato ai singoli Stati membri in tema di politica economica e soprattutto
monetaria: principalmente la liberalizzazione dei servizi finanziari, bancari e assicurativi e dei
movimenti dei capitali.
A dare impulso alla prevista liberalizzazione furono 2 direttive dei primi anni 60, con cui i
movimenti di capitali corrispondenti e funzionali allesercizio delle libert fondamentali (scambi di
merci e servizi, diritto di stabilimento) erano completamente liberalizzati, mentre agli Stati membri
restava solo la facolt di controllare la natura e la realt dei trasferimenti; dunque, se erano
previste autorizzazioni o simili, come era il caso dellItalia, questa era dovuta e per nulla
discrezionale. Le due nozioni di movimenti di capitali e di pagamenti sono diverse: la prima si
riferisce alle operazioni finanziarie che si traducono in un investimento oppure in unallocazione di
risorse senza collegamento con una prestazione o con scambi di beni o servizi; la seconda
comprende precisamente le controprestazioni in denaro degli scambi di beni o di servizi. In
definitiva, la disciplina comunitaria in tema di capitali tendeva a liberalizzare i trasferimenti di
valuta che fossero il corrispettivo di scambi in merci, servizi o capitali, e aveva definito
tassativamente i trasferimenti di capitali in senso proprio oggetto di liberalizzazione. Rimanevano
possibile oggetto di restrizioni consentite i movimenti di capitali che non avevano alcun riscontro in
scambi di merci o servizi, come la pura e semplice esportazione materiale di mezzi di pagamento
(c.d. hot money). Tra le pronunce della Corte, significativa la sentenza Luisi e Carbone, dove la
Corte, dopo aver precisato che anche il turista, che si sposti in un altro Paese ed per ci stesso
destinatario di servizi, deve poter beneficiare della liberalizzazione, ne dedusse che i trasferimenti
di valuta per scopi turistici rientravano nella previsione sui trasferimenti di valuta corrispondenti e
necessari allesercizio della libert di prestazione di servizi e dunque liberalizzati.
In seguito, la Corte ha finito col dare una lettura pi ampia e sistematica dellintera disciplina dei
movimenti di capitali, precisandone lo scopo di garantire la pi ampia libert possibile e dunque di
eliminare tutti gli ostacoli, anche quelli che, pur non esaurendosi in formali autorizzazioni valutarie
e non pregiudicando loperazione, costituiscono pur sempre un intralcio alla libera circolazione dei
capitali.
22. Segue: LA DISCIPLINA ATTUALE
La liberalizzazione completa dei movimenti dei capitali si realizzata con la direttiva n. 361/1988,
che ha concluso un processo iniziato nella met degli anni 80 con un Programma di
liberalizzazione predisposto dalla Commissione, che aveva portato progressivamente
alleliminazione anche delle misure di salvaguardia consentite ad alcuni Paesi, tra cui lItalia. La
direttiva ha enunciato in termini generali ed incondizionati il principio di libert dei movimenti dei
capitali, senza corrispondenza in una transazione commerciale o in una prestazione di servizi, con la
sola eccezione riguardante lacquisto di case secondarie, oggetto di possibili restrizioni (la c.d.
deroga danese).
Significativo era poi lart. 7 della direttiva che sanciva limpegno degli Stati membri ad applicare lo
stesso grado di liberalizzazione anche ai movimenti di capitali con i Paesi terzi. Il Trattato di
Maastricht ha definitivamente sancito lassetto raggiunto, perfezionandolo sotto il profilo
sistematico in modo anche pi razionale, in particolare mettendo insieme capitali e pagamenti fino
ad allora disciplinati in settori diversi. Infatti, il capo 4 del Trattato, cos come modificato,
dedicato a Capitali e pagamenti, uniti nellunica disposizione liberalizzatrice contenuta nellart.
56, n. 1, che ricalca la direttiva 361/88, sancendo che nellambito delle disposizioni previste dal
presente Capo sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonch tra
Stati membri e paesi terzi. La stessa formula utilizzata subito dopo per i pagamenti (art. 56, n.
2). Dunque il principio sancito dallart. 56 che sono abolite anche tutte le restrizioni ai movimenti
di capitali e ai pagamenti tra Stati membri e tra questi e Stati terzi, anche quelle indirette o
dissimulate in misure in apparenza indistintamente applicabili. In breve, sono da considerare
149

[Digitare il titolo del documento] ed.)


restrizioni non consentite ai movimenti di capitali tutte quelle misure che di diritto o di fatto
scoraggiano investimenti o altri tipi di movimenti di capitali (come i prestiti) in altri Paesi membri.
Le uniche deroghe ammesse a questo principio fondamentale di libera circolazione sono quelle
contemplate dagli artt. 57 e 58:
1) la prima (c.d. grandfather clause) si riferisce alle restrizioni nei rapporti con gli Stati terzi,
nazionali o comunitarie, e relative a investimenti diretti, inclusi gli investimenti immobiliari,
lo stabilimento, la prestazione di servizi finanziari o lammissione di valori mobiliari nei
mercati finanziari (art. 57, n. 1);
2) la seconda (c.d. exception clause), invece, salvaguarda alcune prerogative degli Stati
membri in materia tributaria, fiscale, di vigilanza prudenziale sulle istituzioni finanziarie, di
controllo amministrativo o statistico, di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. Quindi non
pregiudicato il diritto degli Stati membri di applicare normative tributarie che distinguano i
soggetti in base alla residenza o al collocamento del capitale (art. 58, lett. a).
Le misure di controllo degli Stati membri non possono, perci, avere leffetto di ostacolare i
movimenti di capitali conformi al diritto comunitario. A questultimo proposito, si rileva che la
prassi di alcuni Stati membri di subordinare ad una previa autorizzazione o addirittura di vietare del
tutto i trasferimenti intracomunitari di valuta, ad es. di banconote, era gi incompatibile con la
richiamata direttiva, cos come oggi incompatibile con lart. 58 del Trattato, a meno che al dovuto
test di proporzionalit non risulti effettivamente necessaria ai fini di ordine pubblico o di sicurezza.
Unipotesi particolare, che ha dato luogo ad uno specifico contenzioso, quella relativa alla c.d.
golden share, che in sostanza traduce il possesso di tale quota azionaria pesante in un diritto di
veto che lo Stato-azionista conserva per s rispetto ad alcune deliberazioni di gestione della societ
ritenute rilevanti per gli interessi generali del Paese.
stata ritenuta incompatibile la golden share del governo italiano nelle societ ENI e Telecom
Italia; in questo caso, la Corte si limitata a prendere atto della mancata contestazione
dellinadempimento da parte del governo italiano. Il principio sancito dalla Corte che un regime
simile, secondo lo schema comune delle 4 libert fondamentali, costituisce una restrizione alla
libera circolazione dei capitali ed insieme alla libert di stabilimento, nella misura in cui, pur non
essendo discriminatoria, limita le possibilit di acquisto di azioni e scoraggia gli investitori di altri
Paesi membri. Questa restrizione, se indistintamente applicabile, pu in via eccezionale essere
consentita solo se:
- persegua un obiettivo di interesse generale giustificato,
- sia accompagnata da criteri e modalit conosciuti in anticipo per consentire un controllo
giurisdizionale adeguato e
- sia proporzionata al fine perseguito.
Bisogna precisare, per, che il rafforzamento della struttura concorrenziale di un mercato non
costituisce una valida giustificazione delle restrizioni alla libera circolazione dei capitali; perci la
Corte ha censurato la normativa italiana che dispone la sospensione automatica dei diritti di voto
relativi a partecipazioni superiori al 2% del capitale di imprese operanti nei settori dellelettricit e
del gas, quando tali partecipazioni siano acquisite da imprese pubbliche non quotate in borsa e
titolari di una posizione dominante nel proprio mercato nazionale. In definitiva, anche per le
restrizioni ai movimenti di capitali viene in rilievo leccezione fondata su esigenze imperative e
simili, richiamata per le restrizioni frapposte dagli Stati membri alle altre libert sancite dal Trattato
e consacrata dalla sentenza Cassis de Dijon in materia di scambi di merci e poi estesa alle altre
libert. Resta ferma, peraltro, la circostanza che la libera circolazione dei capitali strettamente
funzionale allesercizio effettivo delle altre libert e, in particolare, del diritto di stabilimento, che
secondo la Corte si dovrebbe ritenere comunque prevalente quando lacquisto di partecipazioni
conferisce la possibilit di esercitare uninfluenza determinante sulle decisioni dellimpresa.
Il Trattato prevede poi delle misure di salvaguardia comunitarie. Per il caso che movimenti di
capitali con Paesi terzi causino o minaccino di provocare difficolt gravi per il funzionamento
dellUnione economica e monetaria, il Consiglio pu adottare misure nei confronti di Paesi terzi, a
150

[Digitare il titolo del documento] ed.)


maggioranza qualificata, su proposta della Commissione e consultata la BCE (art. 59), nonch
eventuali misure di urgenza collegate alle pi generali misure rientranti nella politica estera e di
sicurezza comune di cui allart. 301 del Trattato. In proposito, uno Stato membro pu adottare
unilateralmente misure solo se urgenti e salvo diversa delibera successiva del Consiglio (art. 59, n.
2).
Infine, un forte impulso al processo di realizzazione di un mercato unico dei capitali stato dato
dalladozione di un complesso piano di regolamentazione dei servizi finanziari (c.d. PASF,
sostituito poi da un Libro Bianco sulla politica dei servizi finanziari 2005-2010), che riguarda i
servizi di investimento, i settori bancario e assicurativo, nonch importanti proposte di riforma del
diritto societario.
CAPITOLO 6
LA DISCIPLINA DELLA CONCORRENZA
APPLICABILE ALLE IMPRESE
1. IL REGIME DELLA CONCORRENZA NELLUE
La sana concorrenza tra le imprese che operano nel mercato comune uno degli obiettivi primari
dellUnione e al tempo stesso uno degli strumenti pi efficaci per mantenere e consolidare lassetto
unitario del mercato. Pi volte stato ribadito che la sana concorrenza implica lesistenza sul
mercato di una concorrenza efficace (workable competition), cio di unattivit concorrenziale
sufficiente a far ritenere che siano rispettate le esigenze fondamentali e conseguite le finalit del
Trattato e, in particolare, la creazione di un mercato unico che offra condizioni analoghe a quelle di
un mercato interno.
Sul punto, lart. 3, par. 3, TUE, lart. 113 TFUE e il Protocollo n. 27, cos come introdotti dal
Trattato di Lisbona, sembrano suggerire la strumentalit delle regole di concorrenza rispetto
allobiettivo prioritario della realizzazione del mercato interno.
Sicuramente i valori cui sispira lintero sistema giuridico dellUnione restano quelli liberali
delleconomia di mercato, nel rispetto dei quali il grande mercato europeo deve consentire agli
imprenditori di competere tra loro ad armi pari e sulla base delle rispettive capacit e possibilit, ed
ai consumatori di scegliere i prodotti e i servizi che ritengano migliori e dove siano pi convenienti.
Dunque, il regime della concorrenza previsto dal Trattato CE e confermato dal Trattato di Lisbona,
funzionale allobiettivo di integrare i diversi mercati nazionali in un mercato unico con
caratteristiche analoghe a quelli interni dei Paesi membri. Ci vuol dire che la politica di tutela della
concorrenza non rimane isolata rispetto ad altri valori ed altre politiche promosse dallUnione, tra
cui la politica di coesione sociale, di ricerca e sviluppo e quella ambientale. Pertanto non escluso
che alcune restrizioni della concorrenza siano tollerabili, purch finalizzate al raggiungimento di
altri obiettivi del Trattato; quindi, in forza dellart. 101, n. 3, possibile accordare deroghe quando
le restrizioni si rivelino idonee a contribuire allo sviluppo armonioso delle attivit economiche
nellinsieme della Comunit conformemente allart. 3 TUE. Il sistema, che dava alla sola
Commissione la competenza a concedere esenzioni, stato radicalmente modificato a partire dal
maggio 2004:
- con lattribuzione della competenza anche alle autorit di concorrenza e alle giurisdizioni
degli Stati membri dellapplicazione non solo dellart. 101, n. 1, e dellart. 102 del Trattato,
ma anche dellart. 101, n. 3;
- con lintroduzione di un regime c.d. di eccezione legale, in base al quale le intese restrittive
della concorrenza ai sensi dellart. 101, n. 1, sono lecite e valide ab initio, senza la necessit
di una preventiva decisione, quando siano soddisfatte le condizioni previste dal n. 3.
Lazione dellUnione si sviluppata in questo campo in pi direzioni e con strumenti diretti ed
indiretti:
151

[Digitare il titolo del documento] ed.)

alcuni di essi riguardano i comportamenti delle imprese e tendono ad evitare che, attraverso
strategie concordate, siano vanificati gli effetti della libera circolazione delle merci e dei
servizi e comunque alterate le condizioni di concorrenza determinate esclusivamente dalla
capacit imprenditoriale di ciascuna impresa e dal libero esplicarsi delle dinamiche
concorrenziali sul mercato;
altri mirano ad evitare che la concentrazione di potere economico e commerciale produca
analoghe conseguenze;
altri ancora mirano ad evitare che le imprese di un determinato Stato membro si vengano a
trovare in una situazione privilegiata e di minori costi di produzione per effetto di una
politica di intervento pubblico che, favorendo determinate imprese o produzioni, finisca con
lavere pi ampi effetti anticoncorrenziali; ci in particolare attraverso la concessione di
aiuti o luso dello strumento fiscale.
In primo luogo, in virt del principio di cooperazione (art. 4, par. 3, TUE) gli Stati membri sono
tenuti a non adottare e a non mantenere misure legislative o regolamentari suscettibili di eliminare
leffetto utile delle norme sulla concorrenza applicabili alle imprese.
In secondo luogo, rileva la disposizione pi specifica contenuta nellart. 106: gli Stati membri non
adottano nei confronti delle imprese pubbliche o titolari di diritti esclusivi o speciali alcuna misura
contraria alle norme del Trattato, in particolare a quelle sulla concorrenza.
In terzo luogo, completano la disciplina diretta della concorrenza le norme sugli aiuti di Stato
contenute negli artt. da 107 a 109 del Trattato.
La sfera di applicazione materiale delle norme europee sulla concorrenza si estende a tutte le attivit
economicamente rilevanti, che non vi siano espressamente sottratte. Sono sottoposte a tale
disciplina non solo le attivit di produzioni di beni, ma anche quelle di prestazioni di servizi,
comprese le attivit del settore bancario e di quello delle assicurazioni e il settore dei trasporti, che
alcuni ritenevano estranee alla sfera di applicazione. Infine, anche al settore carbosiderurgico, che
era soggetto alle norme di concorrenza del Trattato CECA fino alla sua scadenza (avvenuta nel
2002), sono oggi applicabili le norme UE. Invece, in presenza di determinate condizioni, possono
non rientrare nella sfera di applicazione dellart. 101, gli accordi collettivi di lavoro, stipulati dalle
parti sociali in vista degli obiettivi socialmente rilevanti, quali il miglioramento delle condizioni di
occupazione e di lavoro, nella misura in cui tali obiettivi sarebbero altrimenti compromessi. una
giurisprudenza che si sviluppata soprattutto intorno allipotesi di fondi pensioni complementari o
comunque meccanismi previdenziali o assistenziali, il cui funzionamento ed i cui effetti possono
essere disciplinati da accordi collettivi e misure legislative. Inoltre, possono essere sottratte
allapplicazione delle regole di concorrenza, le attivit relative alla produzione ed al commercio dei
prodotti agricoli, oggetto della deroga espressa di cui allart. 42 TFUE, secondo cui le regole di
concorrenza sono applicabili alla produzione e al commercio di prodotti agricoli, unicamente nella
misura determinata dal Consiglio e dal Parlamento nei tempi e nelle modalit stabiliti dallart. 43
TFUE. Con il regolamento 1184/06, il Consiglio ha dichiarato inapplicabile lart. 101 agli accordi
o decisioni o pratiche concordate che costituiscono parte integrante di unorganizzazione nazionale
di mercato o che siano necessari al perseguimento degli obiettivi di cui allart. 39 TFUE;
attribuendo poi alla Commissione la competenza esclusiva ad accertare, mediante decisione da
pubblicarsi, per quali accordi, decisioni e pratiche ricorrano le condizioni della deroga. La generale
applicabilit delle regole comunitarie di concorrenza ai prodotti agricoli incontra dunque dei limiti
riconducibili alla necessit di non pregiudicare il raggiungimento degli obiettivi della politica
agricola comune. La prima deroga al divieto di cui allart. 101, n. 1, ormai di portata molto
limitata, sia perch sono state create per la maggior parte dei prodotti delle organizzazioni comuni
di mercato, che hanno sostituito quelle nazionali, sia perch le organizzazioni nazionali di mercato
devono comunque essere conformi alle disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione
delle merci. Di rilievo invece la deroga stabilita dallart. 39 del Trattato, che, in quanto eccezione
ad una norma generale, stata interpretata in modo restrittivo sia nella prassi della Commissione,
152

[Digitare il titolo del documento] ed.)


che nella giurisprudenza della Corte e del Tribunale di 1 grado, secondo cui, per rientrare in tale
categoria, non sufficiente che un determinato accordo tenda a realizzare gli obiettivi dellart. 39,
ma occorre che esso rappresenti lunico e migliore strumento a tale scopo: solo in questa
eventualit, un tale accordo pu essere considerato necessario ai sensi di questa disposizione.
Tra gli accordi verticali, ai sensi della disciplina relativa a diverse organizzazioni comuni di
mercato, beneficiano di una parziale esenzione dalle regole di concorrenza gli accordi
interprofessionali. Tuttavia, sono contrari allart. 101 gli accordi interprofessionali che portano alla
ripartizione dei mercati e alla fissazione dei prezzi oppure che producono effetti distorsivi della
concorrenza. Gli accordi tra i singoli operatori, cio conclusi da unimpresa agricola o
unassociazione di produttori o una cooperativa, da un lato, e un distributore dallaltro, assumono
rilievo antitrust in virt della loro idoneit a limitare laccesso nel mercato e la concorrenza tra gli
operatori. Del pari, gli accordi di partnership tra produttori e distributori, che a volte possono
portare a strumenti importanti per migliorare la competitivit del settore agricolo, sono da
considerare restrittivi della concorrenza se e quando si trasformano in accordi commerciali esclusivi
rispetto a prodotti specifici. Infine, sottratto alle regole della concorrenza il settore della difesa e
della sicurezza nazionale. Lart. 346 TFUE consente agli Stati membri di non fornire informazioni
contrarie alle esigenze essenziali di sicurezza e di prendere le misure necessarie alla tutela di
interessi essenziali, connessi alla produzione ed al commercio di materiale bellico, armi, munizioni.
Lo Stato membro interessato e la Commissione possono trovare insieme le misure meno distorsive
della concorrenza, mentre la Corte pu essere adita direttamente dagli Stati membri e dalla
Commissione in caso di uso improprio dei poteri consentiti in questo settore (art. 348 TFUE). In
definitiva, le norme del Trattato specificatamente indirizzate alle imprese sono quelle di cui agli
artt. 101 e 102, dedicati rispettivamente alle intese tra imprese e allabuso di posizione dominante.
Sono norme dotate di effetto diretto e perci azionabili dal singolo dinanzi al giudice nazionale,
nonch applicabili cumulativamente. Vanno ricordate anche le norme introdotte dal Consiglio, in
particolare il regolamento n.1/2003, che contiene le disposizioni pi rilevanti ai fini dellattuazione
dei principi degli artt. 101 e 102. Il regolamento n.1/2003:
- ha ridotto lattivit di controllo della Commissione solo ai casi pi importanti;
- ha stabilito a carico delle autorit e delle giurisdizioni nazionali il potere-dovere di applicare
gli artt. 101 e 102 ai casi di rilevanza comunitaria;
- ha fissato criteri di cooperazione e di controllo relativi alle autorit ed alle giurisdizioni
nazionali;
- e infine ha chiarito il rapporto tra diritto antitrust comunitario e normative di concorrenza
degli Stati membri.
2. LA NOZIONE DI IMPRESA
La nozione di impresa utilizzata ai fini dellapplicazione delle norme a difesa della concorrenza
una nozione alquanto ampia: essa comprende qualsiasi entit, persona giuridica o fisica, che svolga
unattivit economicamente rilevante, industriale o commerciale, o di prestazione di servizi,
compreso lo sfruttamento dellopera di ingegno e lesercizio di una professione liberale, compresa
lattivit dellavvocato e del medico nonch unattivit artistica. Perci lart. 101 applicabile alle
decisioni di un ordine professionale in quanto associazione dimprese, o ancora, ad unintesa tra
organizzatori di viaggi ed un agente. associazione dimprese anche la FIFA o la FIGC, per le
attivit economicamente rilevanti dalla stessa svolte in connessione con lorganizzazione di una
manifestazione, s che costituiscono accordi rilevanti ai sensi delle norme di concorrenza i contratti
conclusi dallassociazione con i distributori di biglietti di ingresso agli impianti o quelli conclusi
con le reti televisive per la trasmissione di avvenimenti sportivi. Nella nozione di impresa rientra
anche il gruppo, sia in senso negativo che lart. 101 non si applica alle intese fra imprese dello
stesso gruppo che non godano di unautonomia apprezzabile; sia nel senso positivo che il
comportamento del gruppo, in quanto entit economica considerata complessivamente e nelle
153

[Digitare il titolo del documento] ed.)


singole articolazioni, rileva ai fini della sussistenza di una posizione dominante. Ad es.: nel caso in
cui una societ, pur dotata di personalit giuridica autonoma, sia interamente posseduta da altra
societ, sussiste una presunzione semplice secondo cui la societ madre esercita un controllo sulle
condotte commerciali dellaffiliata o che questultima non agisca in modo autonomo per le scelte
sul mercato, imputabili alla stessa societ madre. In realt, ai fini dellapplicazione delle norme
sulla concorrenza non neppure rilevante la forma giuridica assunta dallimpresa o le modalit di
finanziamento. Nel caso degli enti pubblici o degli organismi statali, si partiti dal presupposto che
occorre distinguere tra le manifestazioni tipiche del potere statuale e quelle non tipiche: ad es.
stata riconosciuta la natura dimpresa allamministrazione dei monopoli di stato in Italia, nonostante
essa fosse, dal punto di vista giuridico, incorporata nella p.a. Invece escluso dalla nozione
dimpresa, ai sensi e per gli effetti della disciplina comunitaria della concorrenza, un ente che
contribuisca alla gestione di un servizio pubblico di carattere sociale, la cui attivit cio sia svolta
secondo principi estranei alle leggi di mercato o ancora che agisca in veste di pubblica autorit,
avvalendosi di prerogative che esorbitano dal diritto comune, di privilegi, di poteri coercitivi sui
privati. quindi escluso dalla nozione dimpresa un organismo di previdenza sociale di categoria, la
cui attivit ispirata al principio di solidariet ed esercitata senza fini di lucro; per gli stessi motivi
escluso lente che gestisce il sistema nazionale di un Paese, garantendo la prestazione di servizi
sanitari gratuiti agli iscritti.
3. OGGETTO E CONDIZIONI DI APPLICABILIT DEL DIVIETO DI CUI ALLART. 101:
LACCORDO, LA PRATICA CONCORDATA, LA DECISIONE DI ASSOCIAZIONE
DIMPRESE
In base allart. 101, sono vietati, in quanto incompatibili col mercato comune, tutti gli accordi tra
imprese, tutte le decisioni di associazioni dimprese e tutte le pratiche concordate che possono
pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire,
restringere o falsare il gioco della concorrenza allinterno del mercato comune. Lintesa rilevante
ai fini della disciplina comunitaria riguarda i rapporti concorrenziali tra imprese, sia che queste si
trovino allo stesso stadio del processo economico, industriale o commerciale (rapporti orizzontali),
sia che si trovino a stadi diversi (rapporti verticali). Essa pu assumere qualsiasi forma e pu essere
anche implicita, essendo sufficiente che le imprese abbiano espresso la comune volont di
comportarsi sul mercato in un determinato modo. In proposito, si accolta una nozione funzionale
di intesa, di particolare ampiezza, che comprende tutti quei comportamenti di 2 o pi imprese
finalizzati a realizzare iniziative comunque idonee ad alterare la concorrenza. La circostanza
necessaria e sufficiente a qualificare una fattispecie come intesa la concertazione nellattivit di 2
o pi soggetti altrimenti indipendenti sul mercato, quali che siano le forme attraverso le quali la
concertazione si realizza. Le ipotesi di intesa rilevante sono quelle dellaccordo, della pratica
concordata
e
della
decisione
di
associazione
di
imprese.
La nozione di accordo molto ampia e privilegia la sostanza rispetto alla forma: infatti basta che sia
manifestata lintenzione comune di 2 o pi imprese indipendenti a comportarsi sul mercato in un
modo piuttosto che in un altro. Dunque, pu trattarsi di accordo scritto o verbale; ne necessario
che laccordo si traduca in un vero e proprio contratto, giuridicamente valido. Perci sono
qualificati come accordi anche un accordo interprofessionale concluso nellambito di un ente
pubblico, un accordo verbale, un gentlemens agreement, un accordo transattivo di controversia
giudiziale, una circolare inviata dal produttore ai distributori e sottoscritta da questi ultimi. Secondo
la giurisprudenza costituiscono accordi anche le misure prese o imposte in modo apparentemente
unilaterale da un produttore, in quanto, inserendosi nellambito di rapporti contrattuali continuativi
con i propri rivenditori, apparivano accettate da questi ultimi e quindi sintomatiche di unintesa tra
gli operatori interessati.
Le decisioni di associazioni dimprese sono quelle, anche non vincolanti, adottate da
raggruppamenti dimprese o sindacati professionali nei riguardi degli associati e che abbiano
154

[Digitare il titolo del documento] ed.)


leffetto di alterare le condizioni della concorrenza; anche delle semplici raccomandazioni emanate
dallassociazione di categoria, dunque, la cui accettazione da parte delle imprese associate
destinatarie influisca in modo rilevante sulla concorrenza.
La pratica concordata qualsiasi forma di comportamento coordinato tra imprese che, senza
tradursi in un vero e proprio accordo formale, rappresenti una cooperazione consapevole tra le
stesse a danno della concorrenza. stato poi precisato che i criteri della cooperazione e
collaborazione non richiedono lelaborazione di un vero e proprio piano, ma vanno intesi alla luce
della concezione inerente alle norme del Trattato in materia di concorrenza, secondo la quale ogni
operatore economico deve autonomamente determinare la propria condotta nel mercato comune,
anche riguardo alla scelta dei destinatari delle merci da lui offerte e vendute. Pur non escludendo il
diritto degli operatori economici di reagire intelligentemente e secondo le loro convenienze al
comportamento dei concorrenti, lesigenza di autonomia vieta per rigorosamente che fra gli
operatori stessi abbiano luogo contatti diretti o indiretti aventi lo scopo o leffetto dinfluire sul
comportamento tenuto sul mercato da un concorrente attuale o potenziale. Se poi la mera
partecipazione a riunioni o discussioni tra concorrenti non di per s idonea a dimostrare
lesistenza di una concertazione tra le imprese, tuttavia ci d luogo ad una presunzione, fatta salva
la prova contraria il cui onere incombe agli interessati, che le imprese tengano conto dello scambio
di informazioni per decidere il loro comportamento sul mercato, tanto pi se i contatti abbiano un
carattere regolare e si siano protratti per un lungo periodo di tempo. In definitiva, si vuole evitare
che tra le imprese interessate abbiano luogo contatti con lo scopo di eliminare in anticipo ogni
incertezza relativa al futuro comportamento dei loro concorrenti. La Corte ha poi precisato che la
nozione di pratica concordata implica, oltre alla concertazione fra le imprese, un comportamento
successivo alla concertazione stessa ed un nesso causale tra questi 2 elementi. Va precisato che la
concertazione non si pu presumere quando il parallelismo di comportamento pu spiegarsi
diversamente: esso rimane sempre un serio indizio, qualora porti a condizioni di concorrenza non
corrispondenti a quelle normali del mercato (ad es. ci si verifica quando il comportamento
parallelo permette di stabilizzare i prezzi ad un livello diverso da quello che poteva risultare in
regime di libera concorrenza, nonch di cristallizzare le posizioni acquisite, a danno delleffettiva
libert di circolazione delle merci nel mercato comune e della libera scelta dei fornitori da parte dei
consumatori). stato poi precisato che il parallelismo di comportamento non pu essere considerato
prova di una concertazione tra imprese se non quando questa sia la sola spiegazione plausibile. La
pratica concordata che abbia un oggetto anticoncorrenziale integra una violazione del Trattato,
senza che occorra verificare la sussistenza anche di effetti anticoncorrenziali. Infatti lo scopo
dellart. 101 precisamente quello di scoraggiare anche la semplice idoneit a produrre effetti
competitivi. In ogni caso, lesistenza effettiva di una concertazione vietata dal Trattato va verificata
in base a vari elementi, soprattutto di fatto, comprese alcune presunzioni, nonch attraverso alcune
valutazioni di documenti e ogni altro mezzo di prova. chiaro che si tratta di valutazioni effettuate
sia dalla Commissione, nellesercizio dei poteri che le ha attribuito il Trattato, che dai giudici
nazionali, nellambito della cooperazione con il giudice comunitario di cui allart. 267 TFUE. In
particolare, la Commissione ha lonere di provare la sussistenza della violazione e di produrre tutti
gli elementi idonei ad individuare la responsabilit di ciascuna impresa. Lintesa rilevante quella
tra 2 imprese, non necessariamente comunitarie: ci, da un lato, non esclude che pur nel concorso di
pi imprese allinfrazione si possano individuare comportamenti di diversa gravit; dallaltro, la
diversit di forme di partecipazione allinfrazione non esclude la responsabilit di ogni impresa per
linfrazione nel suo insieme. Infatti, non escluso che unintesa anticompetitiva possa articolarsi in
un accordo, in una pratica concordata oppure in una decisione di associazione dimprese. In tal
caso, la giurisprudenza considera i comportamenti illegittimi sia come uninfrazione unica allart.
101, sia come una pluralit di infrazioni. In particolare, laccordo e la pratica concordata, che si
distinguono tra loro solo per lintensit e la forma in cui si realizza il comportamento
anticoncorrenziale delle imprese, in presenza di determinate condizioni possono ben costituire
uninfrazione unica.
155

[Digitare il titolo del documento] ed.)


Gli elementi che possono far rientrare la fattispecie nella sfera di applicazione del divieto sono 2, e
precisamente:
1) il pregiudizio al commercio tra gli Stati membri;
2) lalterazione delle condizioni di concorrenza allinterno del mercato comune, nel senso che
lintesa deve avere oggetto o effetti anticoncorrenziali.
Prima ancora, occorre che le imprese siano libere di determinare i loro comportamenti: gli artt. 101
e 102 trovano applicazione solo a fronte di comportamenti anticoncorrenziali che sono il risultato di
uniniziativa autonoma delle imprese; viceversa, se il comportamento imposto da una normativa
nazionale, tali articoli non trovano applicazione.
4. LE CONDIZIONI
INTRACOMUNITARIO

DEL

DIVIETO.

IL

PREGIUDIZIO

AL

COMMERCIO

Lelemento del pregiudizio al commercio intracomunitario costituisce uno dei presupposti per
lapplicabilit dellart. 101. Secondo la formulazione della Corte di giustizia, suscettibile di
pregiudicare gli scambi intracomunitari laccordo che, sulla base di un insieme di elementi oggettivi
di diritto o di fatto, ragionevole prevedere possa esercitare uninfluenza diretta o indiretta, attuale
o potenziale, sulle correnti di scambio tra Stati membri in una misura che potrebbe nuocere alla
realizzazione degli obiettivi di un mercato unico. In generale, il pregiudizio dovuto ad una serie di
elementi, che presi singolarmente non sono necessariamente decisivi. Al fine di orientare le
giurisdizioni e le autorit nazionali di concorrenza circa la portata di tale nozione, la Commissione
ha adottato, nel 2004, delle linee guida per illustrare i principi dellinterpretazione di tale
presupposto di applicabilit degli artt. 101 e 102 dagli organi giurisdizionali comunitari.
Lelemento del pregiudizio agli scambi in via di principio limita lapplicabilit della disciplina
comunitaria della concorrenza alle intese i cui effetti si realizzano a livello comunitario e non siano
confinati allinterno di un solo Stato membro. Pertanto esso ha lo scopo di delimitare il campo
dazione delle norme del Trattato rispetto a quello dei diritti nazionali. Tuttavia, il rilievo di una
fattispecie non escluso solo per il fatto della localizzazione delle imprese e/o della loro attivit in
un unico Stato membro. Infatti, anche in questo caso lintesa solo nazionale pu pregiudicare il
commercio intracomunitario per effetto della chiusura del mercato nazionale o comunque della
maggiore difficolt per i concorrenti stranieri di accedere a quel mercato. Ad es. una clausola di non
concorrenza inserita in un contratto di cessione di azienda, se estesa allintero territorio di uno Stato
membro, pu ugualmente risultare idonea ad ostacolare gli scambi commerciali intracomunitari ai
sensi dellart. 101, n. 1. In generale, il mercato geografico che rileva ai fini di unintesa, e ancor pi
ai fini dellabuso di posizione dominante, costituito da una parte sostanziale del mercato
comune. Tale elemento va distinto da quello del pregiudizio agli scambi intracomunitari, anche se
normalmente resta collegato ad esso.
Laccertamento del pregiudizio al commercio fra Stati membri va operato caso per caso.
sufficiente che esso sia potenziale e che investa direttamente o indirettamente il volume degli
scambi o i prezzi o la qualit dei prodotti o dei servizi. La Corte richiede la prova che gli accordi
siano idonei a produrre leffetto vietato, cio deve apparire ragionevolmente probabile, in base ad
un complesso di elementi oggettivi di diritto o di fatto, che laccordo eserciti uninfluenza diretta o
indiretta, attuale o potenziale, sulle correnti degli scambi fra Stati membri.
Come si vede, la disciplina della concorrenza deve essere in sintonia con quella della libera
circolazione delle merci allinterno del mercato comune: gli Stati devono eliminare gli ostacoli alle
importazioni e le imprese non possono concertare preclusioni equivalenti. Perci le disposizioni
sulla concorrenza vanno interpretate ed applicate in funzione della realizzazione di un assetto
unitario del mercato e dunque della libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali.
Con la riforma introdotta dal regolamento n. 1/2003, il criterio del pregiudizio agli scambi ha
assunto un ruolo centrale nel nuovo sistema di applicazione del diritto antitrust comunitario. Infatti
lart. 3 del regolamento impone alle autorit di concorrenza e ai giudici nazionali lobbligo di
156

[Digitare il titolo del documento] ed.)


applicare le norme comunitarie a tutte le intese e pratiche abusive che possano incidere sul
commercio tra gli Stati membri e, per le intese tra imprese, preclude lapplicabilit di norme
nazionali di concorrenza pi severe di quelle comunitarie. Anche per questo motivo, la
Commissione ha predisposto una Comunicazione, intesa a fornire indicazioni ed elementi di
valutazione in merito allinterpretazione della nozione di pregiudizio al commercio. Essa, oltre ad
enumerare i principi interpretativi della materia, introduce anche specifiche presunzioni (sia positive
che negative) in ordine allidoneit di intese e pratiche abusive a determinare o meno un pregiudizio
sensibile agli scambi tra gli Stati membri. In particolare, la Comunicazione stabilisce una
presunzione negativa, per escludere un pregiudizio sensibile al commercio, quando la quota di
mercato aggregata delle parti su qualsiasi mercato rilevante allinterno della Comunit interessato
dagli accordi non supera il 5% e:
nel caso di intese orizzontali, il fatturato comunitario aggregato annuo delle imprese
interessate relativo ai prodotti a cui si applica laccordo non superiore a 40 milioni;
nel caso di intese verticali, il fatturato comunitario aggregato annuo del fornitore dei prodotti
a cui si applica laccordo non deve essere superiore a 40 milioni.
La presunzione negativa applicabile a tutte le imprese, indipendentemente dalla natura delle
restrizioni contenute nellaccordo.
Unanalisi caso per caso invece necessaria per determinare il carattere sensibile o meno di un
possibile pregiudizio al commercio, quando almeno una delle richiamate condizioni non sia
soddisfatta. Tuttavia, nel caso in cui il rischio di effetti pregiudizievoli sugli scambi derivi dalla
natura stessa dellintesa la Comunicazione prevede anche una presunzione positiva quando,
indipendentemente dalla quota di mercato, il fatturato delle parti nei prodotti interessati dallintesa
sia superiore a 40 milioni di euro.
5. LALTERAZIONE DELLE
TERRITORIALE DEL DIVIETO

CONDIZIONI

DI

CONCORRENZA.

PORTATA

Lintesa vietata anche quella che ha per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il
gioco della concorrenza allinterno del mercato comune. chiaro che il pregiudizio alla
concorrenza causato dallintesa pu essere anche potenziale e indiretto. Esso comunque deve essere
valutato in funzione del contesto concreto in cui il comportamento delle imprese stato posto in
essere. Per stabilire se unintesa ricada nellapplicazione del divieto sancito dallart. 101, n. 1,
occorre procedere ad uno scrutinio articolato in 2 fasi.
In una prima fase, si dovr verificare se lintesa comporti, per il suo oggetto, una restrizione di
concorrenza. Se lintesa, che abbia la forma di accordo o di pratica concordata, ha per oggetto di
restringere la concorrenza, deve ritenersi senzaltro vietata, senza doverne considerare gli effetti. Se
loggetto non anticompetitivo, si deve procedere ad una seconda fase di analisi, considerando gli
effetti che lintesa idonea a produrre sul gioco della concorrenza. In questo caso, lintesa sar
considerata vietata se emerge che essa possa restringere in modo sensibile la concorrenza. Un
criterio generale per verificare se lintesa abbia per oggetto o per effetto la restrizione della
concorrenza quello di considerare come la concorrenza avrebbe operato nel campo del mercato
senza
lesistenza
di
tale
intesa.
Dopo questa analisi, vanno considerate vietate, per il loro oggetto, le intese che avranno per oggetto
il restringimento della concorrenza tra le parti, oppure tra le parti e i terzi concorrenti, in modo
ritenuto incompatibile con il mercato comune. Per contro, dovr ritenersi che non abbiano oggetto
anticompetitivo le intese che sono idonee a svolgere una pi complessa funzione. Ci vale per le
clausole che fanno parte integrante del contenuto di un determinato contratto e che in tal modo
contribuiscono a determinare lassetto e lequilibrio dei rapporti giuridici tra le parti. Ad es. non
violano lart. 101, n. 1, per il loro oggetto:
157

[Digitare il titolo del documento] ed.)


il patto di non concorrenza inserito in un contratto di cessione di azienda, in quanto tale patto,
purch di durata non sproporzionata, pu ritenersi necessario ad assicurare leffettivit della
cessione;
la clausola di approvvigionamento esclusivo e la clausola di non concorrenza, inserite in un
contratto di franchising, in quanto necessarie a far s che tale contratto possa pienamente realizzare
la sua funzione tipica;
la clausola di non contestazione, inserita in un contratto di licenza di brevetto, in quanto
determinante per lequilibrio di un accordo che non ha n loggetto, n leffetto di impedire, di
restringere o di falsare il gioco della concorrenza;
la clausola di approvvigionamento esclusivo, inserita in un contratto di fornitura di birra, in
quanto inerente a quella forma di cooperazione fra rivenditore e fornitore, fondata su una
convergenza di interessi in ordine alla promozione delle vendite del prodotto, che caratterizza
questo specifico tipo contrattuale.
Peraltro, la circostanza che unintesa non abbia un oggetto anticompetitivo non esclude che essa,
tenuto conto del contesto economico dove deve operare, possa ugualmente produrre effetti
inconciliabili col corretto funzionamento della concorrenza nel mercato comune. In sintesi, lanalisi
delloggetto destinata a valutare, in astratto, la funzione obiettiva di un determinato patto nel
contesto contrattuale in cui si inserisce. Lanalisi delleffetto, viceversa, mira a stabilire se, in
concreto, unintesa che non ha oggetto anticompetitivo sia comunque idonea, per la specifica
situazione di mercato, a restringere in modo sensibile la concorrenza nel mercato comune. Gli
effetti devono evidentemente prodursi allinterno del mercato comune, cos unintesa tra imprese
comunitarie sulla ripartizione dei mercati terzi in principio consentita, a meno che i suoi effetti
non si ripercuotano nel mercato comune; allo stesso modo unintesa tra unimpresa comunitaria e
una appartenente ad un Paese terzo vietata se investe il mercato comune.
6. LA REGOLA DEL MINIMIS
Gli effetti sulla concorrenza e sugli scambi devono essere sensibili, s che sono escluse dal divieto
le intese aventi effetti minimi sul mercato di cui si tratta (regola c.d. de minimis). Infatti la Corte ha
precisato che un accordo sfugge dal divieto quando investe il mercato in maniera insignificante,
considerata la debole posizione detenuta dagli interessati sul mercato dei prodotti di cui trattasi; e
ci anche quando, ad es. nellipotesi di un accordo di distribuzione, lesclusiva comporti una
protezione territoriale assoluta a favore del distributore. Tuttavia, unintesa, anche se isolatamente
non compresa nel divieto in quanto minima, pu comunque esservi compresa quando sia
inserita in un contesto economico e giuridico tale da alterare la concorrenza e pregiudicare gli
scambi intracomunitari. La Commissione, in una Comunicazione del 2001, ha differenziato le
soglie di sensibilit relative alle quote di mercato detenute dalle imprese partecipanti a seconda che
si tratti di accordi tra imprese concorrenti effettive o potenziali su uno dei mercati rilevanti o
accordi tra imprese non concorrenti. Nel primo caso, la soglia del 10%, nel secondo del 15%. La
Comunicazione precisa che, indipendentemente dal superamento delle soglie, non ricadono in linea
generale nel divieto di cui allart. 101, n. 1, le intese concluse tra piccole e medie imprese. Lart.
101 resta applicabile, invece, anche quando le imprese partecipanti detengano quote inferiori a
quelle indicate, a determinate tipologie di accordi suscettibili di provocare effetti distorsivi della
concorrenza particolarmente gravi, quali i cartelli di prezzo o di ripartizione dei mercati, nonch le
intese volte alla limitazione della produzione o delle vendite.
7. IPOTESI TIPIZZATE DINTESA. GLI ACCORDI DI DISTRIBUZIONE
Lart. 101, n. 1, indica anche alcune ipotesi tipizzate di intese vietate, sia orizzontali, tra imprese
che si trovano allo stesso livello del ciclo produttivo, che verticali, tra imprese che si trovano a
livelli diversi.
158

[Digitare il titolo del documento] ed.)


In primo luogo, sono menzionate le intese rivolte a regolare i prezzi e/o le altre condizioni di
vendita. La previsione molto ampia e riguarda qualunque tipo di comportamento che in qualche
modo conduca ad un coordinamento o ad un allineamento dei prezzi. Ad es. stato ritenuto illecito
un accordo sui prezzi minimi di un prodotto, trasmesso allamministrazione perch ne estendesse in
via generale lapplicazione; un accordo sugli sconti praticabili ai dettaglianti; un sistema che riservi
la garanzia del prodotto ai soli clienti del concessionario quando privilegia questultimo rispetto al
distributore parallelo; una raccomandazione di unassociazione di assicuratori che impone ai suoi
membri un aumento generale dei premi; una rete di accordi tra agenti di viaggio sui prezzi dei
viaggi.
In secondo luogo, lart. 101, n. 1, lett. b, censura le intese che limitano o controllano la produzione,
gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti. Si tratta di accordi che mirano a ridurre i costi,
razionalizzando la produzione e/o gli acquisti e/o lacquisizione di clientela. Possono rientrare in
questa ipotesi anche gli accordi di acquisto in comune come la realizzazione di centrali comuni
dacquisto, le intese sulle quote di produzione. Ed appena il caso di precisare che non occorre che
le parti dellaccordo o dellintesa siano in concorrenza tra loro, in quanto potrebbe comunque
prodursi unalterazione della concorrenza nei rapporti con i terzi. Grande attenzione sempre stata
data ai sistemi di distribuzione, spesso incorsi nelle censure della Commissione e della Corte. Il
punto fondamentale che il mercato comune non pu essere ripartito, n a livello di produzione, n
a livello di distribuzione. Cos, con il caso Consten e Grundig, relativo ad un accordo di
distribuzione esclusiva in Francia, la Corte afferm il principio che un accordo inteso a mantenere
artificialmente dei mercati nazionali distinti in seno alla Comunit , gi come tale, atto a falsare la
concorrenza nel mercato comune e dunque rientra nellipotesi vietata dallart. 101, n. 1.
Per ci non ha impedito di tenere conto degli effetti positivi sul piano della concorrenza che tali
clausole di esclusiva comportano in diversi casi. Infatti, esse possono facilitare lingresso di un
prodotto su un nuovo mercato nei non rari casi in cui il distributore/rivenditore a richiedere al
fabbricante limpegno a non fornire altri distributori nel territorio contrattuale e possono anche
stimolare la concorrenza fra i prodotti di fabbricanti diversi (inter-brand competition). Grazie alla
sentenza Consten e Grundig, le autorit comunitarie hanno ritenuto che gli accordi di distribuzione
esclusiva, per quanto rientranti nella previsione dellart. 101, n. 1, possano tuttavia essere esentati
dal divieto stabilito, in forza del n. 3 dello stesso art., qualora non sia stabilita una protezione
territoriale assoluta a favore del distributore. Tale ipotesi si verifica quando il distributore posto al
riparo non solo dalla concorrenza che gli potrebbe essere fatta dal produttore/fornitore, ma anche
dagli altri distributori, ai quali viene fatto il divieto di esportare nello Stato che costituisce la zona
esclusiva dellaltro, sia direttamente, attraverso vendite a clienti ivi stabiliti, che indirettamente,
attraverso vendite a clienti stabiliti nel loro territorio contrattuale, ma che intendano esportare i
prodotti cos acquistati nella zona esclusiva di un altro distributore. Anche la distribuzione selettiva,
caratterizzata dal fatto che il produttore intende riservare la vendita dei propri prodotti solo ad
alcuni rivenditori, selezionati in base alla loro qualificazione professionale, stata oggetto di
attenzione da parte della Commissione e della Corte. In particolare, la giurisprudenza ha precisato
che la distribuzione selettiva deve restare leccezione e si giustifica laddove la selezione dei
produttori viene operata sulla base di criteri oggettivi, di natura qualitativa e non discriminatori.
Infatti la selezione dei distributori compatibile con la disciplina comunitaria della concorrenza
quella che assume carattere meramente qualitativo. Tale formula di selezione implica che sia
consentito effettivo accesso alla rete a tutti gli operatori potenziali che rispondano ai requisiti
professionali stabiliti dal produttore e che desiderino concludere un contratto per la
commercializzazione dei prodotti di cui trattasi. Per contro, ritenuta incompatibile con lart. 101,
n. 1, e non suscettibile di esenzione di cui al n. 3, la selezione c.d. quantitativa, cio la selezione
che, oltre a prevedere criteri oggettivi di qualificazione dei distributori autorizzati, limita anche il
numero totale degli operatori ammessi ad agire allinterno di determinate aree territoriali.
In una posizione intermedia tra le 2 si collocano le figure contrattuali che oltre a prevedere criteri
qualitativi di accesso alla rete impongono al distributore lottemperanza a specifici obblighi di
159

[Digitare il titolo del documento] ed.)


assortimento e promozione del prodotto contrattuale; tali ipotesi sono soggette ad una valutazione
caso
per
caso.
La ripartizione dei mercati vietata anche quando avviene a livello della produzione (intese
orizzontali): ad es., con unintesa tra 2 produttori sulla produzione e vendita in territori diversi.
Un problema peculiare si ha in relazione alle modalit di sfruttamento dei diritti sulla propriet
intellettuale: marchi, brevetti, diritti dautore, ecc. Al contrario di quanto avviene per la circolazione
delle merci, nessuna previsione espressa stata inserita al riguardo nelle norme a tutela della
concorrenza. In materia ha prevalso ed stato applicato il criterio del c.d. esaurimento comunitario,
nel senso che in via di principio il diritto di esclusiva termina con lo sfruttamento in un Paese
membro, laddove ci avvenga col legittimo consenso del titolare del diritto. Di conseguenza, una
volta che il prodotto in cui sia incorporato il diritto sia stato legalmente commercializzato in uno
Stato membro, non ne pu essere impedita la circolazione e quindi la rivendita negli altri Stati
membri.
8. LA NULLIT DEGLI ACCORDI VIETATI
Gli accordi vietati sono affetti da nullit: nulli di pieno diritto, secondo la formula inequivocabile
usata dallart. 101, n. 2. Tale previsione comporta che il soggetto che si senta leso da un accordo in
contrasto con il divieto di intese anticoncorrenziali ne pu far valere la nullit. Inoltre, il singolo
pu chiedere il risarcimento del danno che gli sia derivato da comportamenti dimpresa in
violazione del divieto.
Le modalit procedurali sono di competenza dei singoli giudici nazionali, salvo il rispetto del
principio di equivalenza e effettivit. pacifico che la nullit:
- assoluta, nel senso che il giudice o lorgano amministrativo possono rilevarla dufficio;
- non pu essere oggetto di esenzione;
- opera ex tunc.
Inoltre, in base al principio quod nullum est nullum producit effectum, laccordo nullo resta privo di
effetti tra le parti ed inopponibile a terzi, con lulteriore conseguenza che sono travolti dalla nullit
tutti gli effetti, passati e futuri. La nullit del contratto, o alloccorrenza delle sole clausole vietate se
le stesse sono separabili dallinsieme del contratto, pu essere accertata dal giudice nazionale, in
quanto si tratta di una norma di effetto diretto e quindi azionabile direttamente dal singolo, ma
accertabile anche dalla Commissione. Il concorrente pu far valere i suoi diritti:
sia attraverso un esposto alla Commissione, affinch inizi una procedura di verifica della
legittimit dellintesa;
sia iniziando unazione dinanzi al giudice nazionale, di accertamento e/o di risarcimento del
danno, con possibile richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte in caso di dubbi
interpretativi;
sia infine percorrendo contestualmente entrambe le strade.
Quanto al diritto del singolo al risarcimento del danno, la possibilit del suo esercizio in sede
giudiziaria considerata un elemento che rafforza loperativit delle norme e che per ci stesso
contribuisce al mantenimento di uneffettiva concorrenza. Di recente, la Corte ha anche ammesso,
in caso di violazione del diritto europeo alla concorrenza, la possibilit per i giudici nazionali di
riconoscere il danno c.d. punitivo o esemplare, purch una tale sanzione sia prevista
dallordinamento dello Stato per le analoghe fattispecie interne e dalla sua applicazione non
consegua un ingiustificato arricchimento per lattore.
9. LE ESENZIONI INDIVIDUALI DI CUI ALLART. 101, N. 3

160

[Digitare il titolo del documento] ed.)


La disciplina comunitaria della concorrenza fondata sul criterio del divieto, che vuole in principio
vietate tutte le intese che ricadano nella previsione dellart. 101, n. 1, a meno che non siano
esentate ai sensi dellart. 101, n. 3.
La competenza a dichiarare inapplicabile il divieto stata attribuita dal regolamento n. 1/2003 oltre
che alla Commissione, anche alle autorit nazionali di concorrenza e ai giudici nazionali. La
possibilit di esenzione si fonda su vari elementi, individuati dallart. 101, n. 3, tutti ugualmente
necessari:
1) le intese o pratiche concordate devono contribuire a migliorare la produzione o la
distribuzione oppure promuovere il progresso tecnico o economico;
2) le intese o pratiche concordate devono lasciare agli utilizzatori una congrua parte dellutile
che ne deriva: non vi pu essere esenzione se accordi sui prezzi avvantaggiano
esclusivamente i produttori e gli importatori e non recano alcun profitto ai consumatori;
3) le restrizioni della concorrenza devono essere necessarie al raggiungimento degli obiettivi
positivi appena ricordati;
4) le intese o pratiche concordate non devono pervenire al risultato di eliminare la concorrenza
per una parte sostanziale dei prodotti.
Le autorit competenti devono quindi operare un bilancio concorrenziale dellaccordo al fine di
stabilire se la valenza positiva della fattispecie sia prevalente e comunque tale da legittimare la
restrizione della concorrenza che essa produce. La valutazione sullapplicabilit dellesenzione
costituisce il risultato di unanalisi di elementi diversi e comporta sostanzialmente una ponderazione
degli effetti restrittivi della concorrenza con il perseguimento utile di obiettivi o interessi meritevoli
di attenzione e di tutela.
Il nuovo sistema introdotto dal regolamento 1/2003 caratterizzato principalmente dalla
sostituzione del regime di autorizzazione e di notifica, per cui con una decisione costitutiva la
Commissione dichiarava se unintesa ad essa a tal fine notificata, se vietata ai sensi dellart. 101, n.
1, soddisfaceva i requisiti di cui al n. 3, con uno di eccezione legale, che presuppone lapplicazione
decentrata delle regole di concorrenza ed implica il rafforzamento del controllo a posteriori.
Pertanto, le intese vietate dal n. 1, ma rispondenti alle condizioni di cui al n. 3 dello stesso art., sono
lecite ab initio e senza la necessit di una decisione preventiva. Contemporaneamente la
competenza ad accertare la ricorrenza delle condizioni previste dallart. 101, n. 3, stata attribuita
anche alle autorit nazionali di concorrenza e del pari ai giudici nazionali, ponendo cos fine al
monopolio che in materia il regolamento 17/1962 aveva invece attribuito alla Commissione. Alla
sola Commissione riconosciuta, comunque, la competenza dufficio, e non pi dietro notifica, a
valutare la compatibilit di unintesa con il diritto antitrust ed a dichiarare linesistenza di una
violazione, sia qualora la pratica non contrasti con lart. 101, par. 1, sia qualora ricorrano i
presupposti per unesenzione (art. 10 del regolamento 1/2003). Il suo intervento riservato ai casi
di particolare rilevanza in cui ricorrano ragioni di interesse pubblico comunitario. Le decisioni ai
sensi dellart. 10, per quanto eccezionali, sono volte a garantire unefficace applicazione decentrata
del diritto comunitario, in quanto consentono alla Commissione di orientare lo sviluppo del diritto
comunitario, a seguito dellavocazione a s di un caso, in presenza di orientamenti divergenti fra le
autorit nazionali oppure di interpretazioni improprie di una singola autorit nazionale. Peraltro,
allistituzione comunitaria attribuito il compito di definire i criteri per lapplicazione dellart. 101,
n. 3, da parte degli organi nazionali. Infine, la Commissione ha emanato unapposita
Comunicazione interpretativa che fornisce una metodologia di analisi da applicare nei singoli casi.
Questa comunicazione integra, con disposizioni pi precise, le indicazioni gi fornite dalla stessa
Commissione in passato in materia di intese verticali, di cooperazione orizzontale e di trasferimento
di tecnologie, ed applica lapproccio economico ivi sviluppato.
10. LE ESENZIONI PER CATEGORIA
161

[Digitare il titolo del documento] ed.)


Lo strumento delle esenzioni per categoria ha subito una profonda modifica con lentrata in vigore
del regolamento n. 1/2003. Infatti, in passato, lattribuzione alla Commissione della competenza
esclusiva a concedere delle esenzioni ai sensi dellart. 101, n. 3, aveva posto gravi problemi di
funzionalit del sistema in considerazione del numero sempre crescente di accordi notificati; ci
aveva rapidamente evidenziato la pratica impossibilit di risolvere, in tempi ragionevoli, tutti i casi
sottoposti allesame dellautorit comunitaria per il tramite di decisioni individuali. Per ovviare a
questi problemi, il Consiglio aveva adottato, una serie di regolamenti che concedevano
unesenzione a determinate categorie di accordi, decisioni e pratiche concordate. La Commissione
da allora ha fatto un uso sempre pi ampio di tale delega e ha adottato numerosi regolamenti di
esenzione per categorie individuate di accordi. Fra quelli attualmente in vigore, di rilievo sono il
regolamento relativo alle restrizioni verticali, cio agli accordi conclusi o alle pratiche messe in atto
da 2 o pi imprese operanti a livelli diversi della catena di produzione o distribuzione, con la sola
eccezione degli accordi di distribuzione di autoveicoli, che formano oggetto di una disciplina
specifica settoriale; i regolamenti di trasferimento di tecnologia, di specializzazione e di ricerca e
sviluppo; nonch quelli adottati nel settore del trasporto aereo, del trasporto marittimo e delle
assicurazioni. Prima delladozione del regolamento 1/2003, gli accordi che soddisfacevano le
condizioni indicate nei regolamenti di esenzione per categoria beneficiavano autonomamente
dellesenzione, senza che fosse necessaria la loro notifica e un loro esame individuale. Erano invece
soggette allobbligo di notifica le intese che non rientravano nelle categorie ivi disciplinate. Con il
passaggio al regime di eccezione legale il regolamento di esenzione ha cambiato natura, acquisendo
una natura solo dichiarativa. I nuovi regolamenti rappresentano oggi uno strumento di orientamento
dellapplicazione del diritto comunitario a livello nazionale, per fornire certezza giuridica alle
imprese e garantire luniforme applicazione dellart. 101, n. 3, del trattato. Prima della riforma
della disciplina sulle restrizioni verticali, ogni regolamento conteneva un elenco sia delle clausole
contrattuali che potevano beneficiare dellesenzione per categoria (c.d. white list) sia di quelle che
escludevano lapplicazione del beneficio (c.d. black list): laccordo che le prevedeva poteva dunque
essere eventualmente esentato solo a seguito delladozione di una decisione ad hoc. In caso di
dubbio, ad es. se le parti avevano inserito nel loro accordo clausole non menzionate n nella white
list, n nella black list, restava sempre aperta la possibilit per le imprese interessate di richiedere
alla Commissione unesenzione individuale. Il regolamento peraltro non esenta, indipendentemente
dalle quote di mercato detenute dalle imprese interessate, alcuni accordi contenenti restrizioni (c.d.
hard core) il cui carattere gravemente anticoncorrenziale stato riconosciuto dalla prassi della
Commissione e dalla giurisprudenza comunitaria, quali limposizione di un prezzo di rivendita
minimo o fisso e alcune forme di protezione territoriale. In ogni caso, resta salva la possibilit per la
Commissione o lautorit nazionale di revocare il beneficio dellesenzione per categoria a quegli
accordi che, pur rientrando nellambito del regolamento, producano effetti gravemente distorsivi
della concorrenza. Per facilitare le imprese nel compito di valutare la conformit dellaccordo che
intendono porre in essere alle esigenze dellart. 101, n. 3, la Commissione ha adottato una
Comunicazione contenente linee guida per precisare i principi cui essa intende ispirarsi nella
valutazione degli accordi verticali. Il punto di partenza dellanalisi antitrust rappresentato dunque
dalla posizione delle parti ad un accordo sui mercati interessati dalla cooperazione, per determinare
se le imprese coinvolte possano mantenere, acquisire o rafforzare il loro potere di mercato. Solo in
presenza di questi effetti un accordo potr essere vietato, non essendo sufficiente che lo stesso limiti
solo la concorrenza tra le parti. Da ci consegue che, se le parti detengono una quota di mercato
congiunta modesta, poco probabile che la cooperazione possa produrre effetti restrittivi ed in tal
caso non necessario procedere ad unanalisi pi approfondita. In considerazione delle diverse
forme che pu assumere la cooperazione tra le imprese, risulta pi difficile individuare, a differenza
di quanto accade per le restrizioni verticali, una soglia unica ed assoluta di quota di mercato che sia
indice che un determinato accordo crea un certo grado di potere di mercato. Cos il regolamento di
esenzione relativo ad accordi in materia di ricerca e sviluppo e quello relativo ad accordi di
specializzazione hanno individuato rispettivamente nel 25% e nel 20% le soglie indicative al di
162

[Digitare il titolo del documento] ed.)


sotto delle quali normalmente un accordo non pone problemi di concorrenza. Peraltro, anche in
questi casi lart. 101 resta comunque applicabile in presenza di restrizioni fondamentali, tendenti
cio a fissare prezzi, limitare la produzione o ripartire i mercati o la clientela, in quanto queste
restrizioni continuano sempre a far parte di una lista nera di clausole vietate (hard core
restrictions).
11. INTESE VIETATE E INTESE AUTORIZZATE
a) Intese vietate. Rientrano in questa categoria una serie di accordi, pi o meno formalizzati, che
hanno una spiccata valenza anticompetitiva. Fra le intese c.d. orizzontali si ricordano i casi dei
cartelli o delle pratiche che restringono lazione delle imprese partecipanti con riferimento ad
alcune delle principali variabili dellattivit aziendale: collusioni sui prezzi di vendita o di acquisto
(price-fixing o maximum buying prices), sui volumi della produzione e sulle quote di mercato
(market-sharing). Rientrano anche le intese che, anche se in apparenza disciplinano forme di
cooperazione fra imprese di per s non necessariamente anticompetitive, si configurano in realt,
per il loro specifico contenuto o per le circostanze economiche in cui operano, come meri cartelli
fra imprese concorrenti (naked cartels): il caso di alcuni accordi joint venture che hanno per
oggetto o per effetto il coordinamento concorrenziale tra le imprese, senza fornire alcun valore
aggiunto in termini di promozione/razionalizzazione della ricerca, della produzione o del
commercio.
Analoga rilevanza assumono alcuni sistemi di scambi di informazioni che, divulgando dati
sensibili, suscettibili di svelare comportamenti di singoli operatori solitamente coperti da
riservatezza, aumentano la trasparenza e quindi accentuano la propensione degli operatori ad
adattare il proprio comportamento a quello dei concorrenti. Ci accade soprattutto nei mercati
oligopolistici, ma non escluso che in un mercato non oligopolistico uno scambio di informazioni
sia altrettanto lesivo della concorrenza. Nelle intese verticali, sono essenzialmente riconducibili alla
categoria degli accordi vietati le pattuizioni che ostacolano gli scambi allinterno del mercato
comune, oppure che definiscono in modo tassativo il livello dei prezzi di rivendita dei distributori
(resale price maintenance).
b) Intese autorizzate: A questa categoria appartiene unampia tipologia di accordi orizzontali e
verticali. Fra gli accordi orizzontali, occorre menzionare le diverse ipotesi di accordi di
cooperazione fra imprese:
accordi di specializzazione: sono accordi, posti in essere da medie e piccole imprese, in virt
dei quali una delle parti si concentra su un determinato tipo di prodotti, mentre laltra si
specializza su prodotti collegati distinti dai primi;
accordi per la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie di prodotto o di processo produttivo;
accordi per la produzione in comune di determinati prodotti/servizi che richiedono impegni
in termini di risorse e comportano rischi che difficilmente potrebbero essere affrontati
singolarmente dalle parti;
accordi inerenti allo sfruttamento della propriet intellettuale (brevetti, marchi, diritti di
autore); tali accordi hanno anche connotati tipici delle intese verticali.
Quanto agli accordi verticali, ci riferiamo agli accordi di agenzia, di concessione esclusiva di
vendita, di fornitura esclusiva, di distribuzione selettiva, di franchising e di subfornitura.
12. LABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE. IL MERCATO RILEVANTE
Lart. 102 TFUE sancisce lincompatibilit col mercato comune e, dunque, il divieto per le
imprese, dello sfruttamento abusivo di posizione dominante sul mercato comune o su una parte
sostanziale di esso, per non pregiudicare il commercio tra gli Stati membri. Non vietato detenere
163

[Digitare il titolo del documento] ed.)


una posizione dominante, ma abusarne, tanto da alterare la concorrenza. Lart. 102 enumera alcune
ipotesi di abuso, dallimposizione di prezzi o di condizioni di vendita inique alla discriminazione
nei rapporti commerciali, dalla limitazione della produzione allimposizione di clausole contrattuali
anomale.
La sfera di applicazione materiale dellart. 102 delimitata dal pregiudizio agli scambi tra Paesi
membri, condizione comune anche allart. 101, ricordando che, per poter affermare che una
determinata pratica pregiudica gli scambi tra Stati membri, non occorre dimostrare leffettivo
pregiudizio al commercio tra Stati membri in modo rilevante, ma sufficiente dimostrare che tale
pratica sia idonea a produrre un tale effetto. Ulteriore presupposto per lapplicazione dellart. 102
la posizione dominante, rilevabile in funzione di vari elementi considerati nel loro insieme. La
posizione dominante:
va identificata con la posizione di potenza economica che consente allimpresa di ostacolare, per
un consistente periodo di tempo, il permanere di una concorrenza effettiva nel mercato preso in
considerazione e di tenere comportamenti non condizionati da concorrenti e clienti, nonch dai
consumatori;
va distinta da quella di monopolio, in quanto a differenza di questultima non esclude il
permanere di una certa concorrenza,ma attribuisce allimpresa che la detiene la possibilit di
influenzare sensibilmente le condizioni e lo sviluppo della concorrenza;
va distinta pure dalloligopolio, in quanto in esso i comportamenti delle imprese si influenzano
reciprocamente, mentre nel caso di posizione dominante il comportamento dellimpresa
determinato unilateralmente.
Va misurata in un ambito molto preciso: il c.d. mercato rilevante, che ha 2 dimensioni: quella
relativa
allarea
geografica
e
quella
relativa
al
prodotto.
Il mercato geografico rilevante larea in cui le imprese interessate forniscono o acquisiscono
prodotti o servizi ed in cui le condizioni di concorrenza sono sufficientemente omogenee e tali da
distinguerle dalle aree geografiche contigue, in ragione di condizioni di concorrenza
sostanzialmente diverse. Concretamente, la determinazione del mercato geografico comporta
lindividuazione delle fonti di approvvigionamento cui i clienti dellimpresa oggetto
dellaccertamento possono ragionevolmente ricorrere in funzione della sua localizzazione
geografica.
Il mercato rilevante del prodotto comprende tutti i beni e i servizi che possono considerarsi,
allesito di unadeguata analisi economica, fungibili o sostituibili dal consumatore, in ragione delle
caratteristiche dei prodotti, dei loro prezzi e delluso ai quali sono normalmente destinati. Il criterio
della sostituibilit dal lato della domanda rappresenta il principale criterio dellanalisi dei mercati.
Per una corretta definizione di questo mercato, bisogna verificare se, dal lato dellofferta, operino
imprese che, pur producendo beni e servizi non necessariamente sostituibili con quelli che
interessano, siano tuttavia idonei ad entrare nello stesso mercato con investimenti di conversione
non eccessivi data la contiguit nella tecnica di produzione. Occorre pertanto far riferimento non
solo al mercato del prodotto, ma anche a quello dei prodotti equivalenti. In definitiva,
lindividuazione del mercato rilevante, cio di quella parte sostanziale del mercato comune rispetto
alla quale si misura la posizione dominante dellimpresa, il risultato di unanalisi economica e
giuridica fondamentale per la verifica di compatibilit del comportamento dellimpresa con lart.
102. Gli indizi che inducono a rilevare lesistenza di una posizione dominante sono numerosi e di
diversa natura. La quota di mercato senza dubbio un elemento di grande rilievo, come possono
esserlo il rapporto con le quote rispettive delle imprese concorrenti pi importanti, il vantaggio
tecnologico rispetto ai concorrenti, una rete di distribuzione efficiente, lassenza di concorrenza
potenziale. E ben chiaro che singoli indizi non sono sempre sufficienti e dunque la valutazione va
fatta sulla base di elementi di fatto e di diritto concomitanti. Altrettanto chiaro che una quota di
mercato molto alta pu essere di per s una prova sufficiente della posizione dominante, mentre una
quota consistente, per un periodo lungo tempo, ne un indizio molte forte.
164

[Digitare il titolo del documento] ed.)


Altro profilo rilevante costituito dalle barriere allentrata, che possono facilitare lacquisizione e il
consolidamento di una posizione dominante. Esse possono derivare da vincoli legali o
amministrativi, da regimi di privative industriali o intellettuali, dal costo di entrata nel mercato per
limpresa, dal costo del cambiamento per il consumatore. Limpresa in posizione dominante ha una
speciale responsabilit rispetto allaspetto concorrenziale del mercato, in quanto la posizione che
essa detiene, pur non essendo censurabile, riduce il grado di concorrenza. Quindi, uno stesso
comportamento, pienamente legittimo se posto in essere da unimpresa in posizione non dominante,
pu invece essere qualificato come illegittimo e configurare unipotesi di abuso se collegato ad
una posizione dominante. Di rilievo la circostanza che lart. 102 si applica anche quando la
posizione dominante dovuta non allattivit dellimpresa ma alla situazione di monopolio
attribuito dalla legge, o quando disposizioni di legge hanno eliminato tutto o in parte gran parte le
possibilit di concorrenza.
La prassi della Commissione e la giurisprudenza hanno individuato, nei casi in cui la condotta sia
posta in essere da pi imprese, la figura della posizione dominante collettiva, che si ha nellipotesi
di oligopolio o di un gruppo di imprese che, pur essendo indipendenti, comunque ostacolino
consapevolmente la concorrenza. Se lassenza di uneffettiva concorrenza tra operatori membri di
un oligopolio dominante costituisce un elemento importante nella valutazione dellesistenza di una
posizione dominante collettiva, la sua esistenza non richiede, tuttavia, leliminazione di ogni
concorrenza tra le imprese interessate. Il che vuol dire che lanalisi dovr anzitutto accertare che le
imprese interessate abbiano legami economici tali da consentire loro di agire come una sola entit
economica e indipendentemente dai concorrenti, dai clienti e dai consumatori.
13. NOZIONE DI SFRUTTAMENTO ABUSIVO
Anche la nozione di sfruttamento abusivo oggettiva e va valutata in base ad una serie di
elementi. In generale, labuso va riferito a quellimpresa in posizione dominante che, utilizzando
sistemi diversi da quelli propri di una normale politica concorrenziale fondata sul merito e sulla
qualit delle prestazioni, incide sulla struttura del mercato e ne riduce il livello di concorrenzialit a
proprio vantaggio. Nel noto caso Continental Can, la Corte afferm che labuso pu anche derivare
dal semplice consolidarsi di una posizione dominante, attraverso lacquisizione di un concorrente, al
punto da creare un ostacolo oggettivo alla concorrenza e far dipendere il comportamento di
eventuali altre imprese da quello dellimpresa dominante. La Corte aggiunse che, in quanto
elemento oggettivo, labuso prescinde dallintenzionalit e da eventuale colpa o dolo, con la
conseguenza che abusiva la posizione dominante per il solo fatto di determinare una modifica
cos profonda della struttura dellofferta da compromettere gravemente la libert di azione del
consumatore sul mercato. Pertanto labuso pu consistere in un comportamento che mira ad
escludere dal mercato unimpresa concorrente (pratiche escludenti), arrecando un pregiudizio
indiretto ai consumatori, oppure in una politica commerciale che pregiudica direttamente i
consumatori
(pratiche
di
sfruttamento).
La giurisprudenza comunitaria ha precisato che oggetto di censura pu anche essere un abuso di una
posizione dominante che esplica i suoi effetti su un mercato diverso da quello dominato. Lart. 102
elenca in modo non esaustivo alcune ipotesi di sfruttamento abusivo della posizione dominante.
Particolare rilievo ha lipotesi di abuso che ruota intorno alla politica dei prezzi. Ad es.:
quanto alle ipotesi di abuso di sfruttamento, stato considerato abusivo praticare prezzi
eccessivi e privi di ragionevole rapporto con il valore economico della prestazione fornita;
quanto alle ipotesi di abuso escludente, la giurisprudenza ha precisato che sono prova di
abuso dei prezzi inferiori alla media dei costi variabili.
Sempre riguardo alla politica dei prezzi, stata riconosciuta come abusiva lapplicazione di prezzi
discriminatori da parte di unimpresa dominante, vale a dire prezzi differenziati per prestazioni
identiche o prezzi uguali per prestazioni diverse, a meno che il trattamento non sia giustificabile
165

[Digitare il titolo del documento] ed.)


sulla base di criteri oggettivi. Altra ipotesi quella dellesclusiva di fornitura che limpresa
dominante impone ai suoi clienti. In presenza di determinati indizi, si realizza una vera e propria
inversione dellonere della prova. La giurisprudenza ha rilevato come, in presenza di una differenza
anomala tra i prezzi praticati in diversi Stati membri da unimpresa in posizione dominante, tale
differenza costituisce un indizio di sfruttamento abusivo, con la conseguenza che in tal caso grava
sullimpresa lonere di giustificare la circostanza.
Una specifica ipotesi di abuso quella del contratto legante o tying, cio del rifiuto di fornire un
prodotto se non congiuntamente ad un altro; ci che si verifica spesso nella forma di rifiuto di
fornire i componenti indipendentemente dal prodotto.
Un problema particolare quello, posto gi nel caso Magill delle guide ai programmi
radiotelevisivi, del rapporto tra sfruttamento abusivo di una posizione dominante e sfruttamento dei
diritti dautore. Infatti, la Corte ha sempre individuato nella tutela dei diritti che siano loggetto
specifico della propriet intellettuale la sola ipotesi di deroga possibile, sia rispetto allart. 34
TFUE, sia rispetto agli artt. 101 e 102; e ha affermato che lesercizio di un diritto dautore
esclusivo pu in casi eccezionali essere vietato dallart. 34 se integra lipotesi di sfruttamento
abusivo. Viene quindi estesa ai diritti di propriet intellettuale la dottrina delle c.d. essential
facilities per cui unimpresa in posizione dominante, titolare di uninfrastruttura essenziale per
lesercizio di unattivit economica, non pu rifiutarne laccesso o lutilizzazione ad imprese
concorrenti (ad es. rete ferroviaria o elettrica). Per la giurisprudenza comunitaria stata molto
prudente nellaccogliere la dottrina delle essential facilities, precisando che la violazione dellart.
102 potrebbe individuarsi solo nellipotesi che per il concorrente non ci sia alcuna alternativa
possibile allutilizzo dellinfrastruttura; e che non sarebbe economicamente ragionevole una sua
duplicazione.
14. APPLICAZIONE CUMULATIVA DEGLI ARTT. 101 E 102. CONSEGUENZE
DELLACCERTAMENTO DI UN ABUSO
Questione di grande rilievo quella dellapplicazione cumulativa degli artt. 101 e 102, ad es.
quando la situazione di soggezione di pi imprese rispetto ad unaltra dominante venga realizzata
con un accordo. Sono 2 disposizioni collegate tra loro e complementari, il cui fine quello di
garantire una sana concorrenza nel mercato comune, anche se operano in ambiti economici e
applicativi molto diversi. La giurisprudenza tende ad unapplicazione cumulativa e dunque alla
possibilit di esiti diversi a seconda che la verifica di compatibilit sia fatta in vista delluna o
dellaltra disposizione. Ci riguarda tutte le ipotesi di potenziale doppia rilevanza, nel senso che
devono
ricorrere
le
condizioni
di
applicazione
di
entrambe
le
norme.
Il Tribunale ha poi precisato che lapplicabilit dellart. 102 non era esclusa n da una pregressa
decisione individuale di esenzione, n, anzi tanto meno, da una esenzione per categoria. Tra gli
argomenti fatti valere, vi anche quello relativo allimpossibilit di derogare ad una disposizione
del Trattato con un atto di diritto derivato quale una decisione di esenzione individuale o anche un
regolamento di esenzione per categoria. A differenza dellart. 101, n. 2, che sancisce la nullit degli
accordi vietati come conseguenza dellaccertamento di unintesa anticoncorrenziale, lart. 102 non
prevede nulla al riguardo. La giurisprudenza precisamente nel senso che laccertamento
dellabuso apre la strada ai rimedi giurisdizionali previsti negli Stati membri, ad es. unazione di
risarcimento del danno oppure, in caso di contratti, unazione diretta a farne dichiarare la nullit.
15. LA PROCEDURA DI APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 101 E 102.
LA DENUNCIA, LE INDAGINI PRELIMINARI, LA PROCEDURA FORMALE
Lart. 103 TFUE attribuisce in primo luogo al Consiglio la competenza a stabilire tutti i
regolamenti utili ai fini dellapplicazione dei principi contemplati dagli articoli 101 e 102,
166

[Digitare il titolo del documento] ed.)


competenza da esercitarsi su proposta della Commissione e consultazione del Parlamento. Vanno
poi considerate le norme poste in essere dalla Commissione su delega del Consiglio. La principale
normativa stata per decenni quella contenuta nel regolamento 17/1962, poi sostituita dal
regolamento n. 1/2003, che ha previsto, a decorrere dal 1 maggio 2004, un maggior
coinvolgimento delle autorit di concorrenza degli Stati membri per consentire loro di applicare
pienamente gli artt. 101 e 102. Va sottolineato che laccordo e la decisione che rientrino nella
previsione dellart. 101, n. 1, oppure labuso di cui allart. 102, sono vietati e quindi nulli senza
che occorra una previa decisione in tal senso. Lintervento della Commissione pu essere
sollecitato attraverso un esposto-denuncia, in cui si contesta la legittimit di un accordo o di una
pratica concordata o di una decisione oppure di un comportamento unilaterale di unimpresa in
posizione dominante sul mercato. Legittimati ad attivare la procedura sono gli Stati membri ed i
singoli, persone fisiche o giuridiche, che vi abbiano interesse come nel caso delle imprese
concorrenti o delle associazioni di consumatori. La procedura di verifica, peraltro, pu essere
iniziata anche dufficio dalla Commissione, sulla base di elementi di cui sia venuta a conoscenza.
Se, sulla base delle prove raccolte, la Commissione ritiene che non sussistano motivi sufficienti per
una sua azione, essa deve inviare al richiedente una lettera indicando le ragioni della sua
valutazione e fissare un termine per la presentazione di eventuali osservazioni scritte. Se non
vengono presentate osservazioni o se le stesse non convincono la Commissione del contrario, essa
pu adottare una decisione formale di rigetto della denuncia, impugnabile dinanzi al giudice
comunitario. La decisione definitiva della Commissione deve essere resa entro un termine
ragionevole a partire dalla ricezione delle osservazioni, termine che indicativamente di 4mesi. La
Commissione non ha un obbligo di pronunciarsi sulla sussistenza dellinfrazione allegata, ma quello
di esaminare con attenzione tutti gli elementi di fatto e di diritto esposti dal denunciante e di
precisare lesito dato alla denuncia in una decisione impugnabile davanti al giudice. La
Commissione pu archiviare una denuncia anche nel caso in cui la fattispecie sia gi allesame
dellautorit di concorrenza di uno Stato membro, oppure qualora la fattispecie sia stata gi trattata
da unautorit nazionale. In tali ipotesi, listituzione non obbligata a motivare approfonditamente
la causa dellarchiviazione, in quanto il suo rigetto dovuto a palese carenza di interesse
comunitario della denuncia. Tuttavia, la Commissione comunica al denunciante quale sia lautorit
nazionale di concorrenza che sta esaminando o ha esaminato il caso. Se le risultanze dellindagine
preliminare lo giustifichino, la Commissione pu decidere di dare inizio alla fase formale della
procedura. Questa si svolge nel contraddittorio fra Commissione ed imprese ed ha inizio con linvio
alle stesse imprese della comunicazione degli addebiti. Tale comunicazione deve contenere in modo
chiaro tutti gli elementi del caso, la valutazione giuridica che la Commissione d a questi e se il
comportamento delle imprese sia passibile di ammenda. La Commissione pu rendere pubblico
lavvio del procedimento secondo le modalit ritenute pi appropriate (ad es. dandone notizia sulla
G.U. dellUE). Le imprese accusate possono prendere visione dei fascicoli che compongono la
pratica che le riguarda, ad eccezione delle informazioni riservate, e naturalmente provvedere alla
loro difesa, tramite memorie scritte e, se lo richiede, anche tramite unaudizione. Per rendere pi
trasparente questo procedimento, lo svolgimento, lorganizzazione e la direzione delle audizioni
affidata ad un Consigliere-auditore, una figura indipendente dai servizi, collegata dal punto di vista
amministrativo alle dirette dipendenze del Commissario della concorrenza. Spetta proprio a questo
organo risolvere tutte le questioni che sorgono durante il procedimento e garantire il pieno rispetto
dei diritti delle imprese destinatarie della comunicazione degli addebiti, nonch dei terzi interessati
ad essere sentiti prima di adottare qualsiasi decisione finale. Cos, il Consigliere-auditore redige una
relazione sul contraddittorio, che viene poi trasmessa ai destinatari della decisione con la decisione
stessa.
16. Segue: POTERI DI CONTROLLO DELLA COMMISSIONE E DIRITTI DEI SINGOLI
167

[Digitare il titolo del documento] ed.)


La Commissione, nella procedura di verifica della compatibilit con la disciplina comunitaria di una
fattispecie, ha ampi poteri dindagine. La disciplina era contenuta nel regolamento 17/1962,
rafforzato poi dal regolamento 1/2003.
In primo luogo, la Commissione ha il diritto di chiedere e ottenere le informazioni che ritiene utili,
sia dai governi dei Paesi membri sia dalle imprese o dalle associazioni di imprese coinvolte nella
procedura o anche da terzi. Mentre il regolamento 17/62 prevedeva una procedura articolata in 2
fasi, in cui la Commissione inizialmente inviava una semplice richiesta di informazioni e solo in
caso di rifiuto o di risposte incomplete o evasive adottava una decisione formale, con cui richiedeva
informazioni e fissava un termine al riguardo, il nuovo regolamento non richiede il previo invio di
una domanda, potendo la Commissione assumere direttamente una decisione di richiesta di
informazioni. Inoltre, regolamento 1/2003 ha innovato anche il regime sanzionatorio, prevedendo la
possibilit di comminare sanzioni e penalit di mora non pi solo per lipotesi di informazioni
inesatte, ma anche per le informazioni fuorvianti fornite in risposta ad una domanda o decisione
della Commissione. Peraltro, la Commissione pu rispettare lanonimato delle imprese che lo
chiedano, cos come deve rispettare la confidenzialit di alcune informazioni sensibili.
In secondo luogo, la Commissione pu procedere alle necessarie verifiche in loco presso le sedi
dimprese o le associazioni dimprese. I funzionari della Commissione in tale ipotesi possono agire
in base ad un mandato scritto oppure in base ad una previa decisione, precisando loggetto, lo scopo
e i tempi dellaccertamento. Tale precisazione necessaria non solo per giustificare laccesso ai
locali dellimpresa, ma anche per consentire a questultima di valutare la portata del dovere di
collaborazione, da un lato, e del diritto di difesa, dallaltro. La Commissione pu scegliere se
limitarsi ad esibire un mandato, con cui non pu costringere limpresa a sottoporsi allispezione, o
agire previa decisione, a seconda della fattispecie. Lautorit di concorrenza dello Stato membro in
cui si trovano i locali oggetto dellaccertamento deve essere informata dalla Commissione sulla
missione e lidentit dei suoi agenti. Gli agenti della Commissione possono chiedere di accedere ai
locali, agli archivi e ai documenti, ma certo non possono procedere con la forza in caso di
resistenza. I funzionari dellautorit nazionale possono, su domanda della stessa autorit nazionale o
della Commissione, prestare assistenza durante lispezione. Le modalit procedurali son quelle
disciplinate dal diritto nazionale.
La nuova disciplina introdotta dal regolamento 1/2003 ha rafforzato i poteri di accertamento della
Commissione, che pu anche accedere ai domicili privati del personale delle imprese. Tali
accertamenti, a differenza di quelli nei locali dellimpresa, devono essere necessariamente disposti
con decisione motivata della Commissione, adottata dopo aver consultato lautorit di concorrenza
nazionale, ed essere preventivamente autorizzati dal giudice nazionale, che deve verificare che la
decisione della Commissione sia autentica e che le misure coercitive non siano arbitrarie o
sproporzionate. In particolare, lart. 21 del regolamento prevede la necessit che il sospetto riguardi
documenti pertinenti ai fini dellaccertamento di gravi violazioni dell art. 101 o 102 e richiede alla
Commissione di indicare, nella propria decisione, gli elementi a sostegno dellesistenza e della
ragionevolezza del sospetto che i documenti aziendali oggetto degli accertamenti si trovino nei
locali al di fuori dellimpresa. Il giudice nazionale pu chiedere alla Commissione ulteriori
chiarimenti, in assenza dei quali legittimato a rifiutare lautorizzazione allesecuzione della misura
ispettiva.
Lesercizio dei poteri di controllo da parte della Commissione stato spesso esaminato sotto il
profilo della tutela dei diritti fondamentali. Talvolta le decisioni di accertamento della Commissione
sono state contestate per linviolabilit del domicilio e del diritto al rispetto della vita privata
garantito dagli ordinamenti costituzionali degli Stati membri e dalla Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti delluomo e delle libert fondamentali. Al riguardo, la Corte ha affermato
che proteggere la sfera di attivit privata di ogni persona, sia fisica che giuridica, un principio
generale del diritto comunitario; e che tale principio va osservato dalle autorit nazionali che
assistono la Commissione nellaccesso alla sede di unimpresa nel contesto di una procedura
istruttoria per violazione delle norme di concorrenza. Quindi, in tale occasione, le istituzioni
168

[Digitare il titolo del documento] ed.)


nazionali e quelle comunitarie sono tenute al rispetto dellobbligo di leale cooperazione: le autorit
nazionali devono assicurare lefficacia dellazione della Commissione e verificare che lintervento
non sia arbitrario o sproporzionato; mentre la Commissione deve fornire alle autorit nazionali tutti
gli elementi necessari perch la verifica possa essere realizzata utilmente. In definitiva, si tratta di
contemperare
le
2
esigenze.
Per quanto riguarda la tutela dei diritti della difesa, pur essendo la Commissione solo un organo
amministrativo e non giudiziario, anche in tali situazioni vanno rispettate le garanzie procedurali
contemplate dal diritto comunitario. Si tratta di un procedimento che pu concludersi con
lapplicazione di una sanzione e comunque con una lesione degli interessi dellimpresa, s che
questultima deve poter esercitare pienamente i diritti della difesa e deve conoscere con chiarezza i
fatti che le si addebitano. stato escluso che procedere ad accertamenti in loco senza prima
avvertire limpresa rappresenti una violazione del diritto di difesa. Si posto anche il quesito se
limpresa abbia il diritto di non fornire dichiarazioni che provino lesistenza di una sua violazione
della disciplina della concorrenza. La Corte ha considerato questo diritto, che rileva solo nel
processo penale, unespressione del diritto di difesa. Quindi la Commissione, pur potendo obbligare
limpresa a fornire ogni utile informazione sui fatti, non pu pretendere dallimpresa delle risposte
che equivarrebbero ad ammettere sostanzialmente lesistenza di uninfrazione che la
Commissione a dover provare.
17. Segue: LE DECISIONI DELLA COMMISSIONE. I POTERI SANZIONATORI
Il regolamento 1/2003 individua i 4 tipi di decisione che la Commissione pu assumere a seguito
dellavvio di una procedura formale per lapplicazione degli artt. 101 e 102:
1) decisioni di constatazione ed eliminazione delle infrazioni;
2) decisioni che rendono obbligatori gli impegni presentati dalle parti;
3) decisioni di adozione di misure cautelari;
4) decisioni di constatazione di inapplicabilit dei divieti di cui agli artt. 101 e 102 per ragioni
di interesse pubblico comunitario.
Per quanto riguarda la 1 tipologia, al termine del procedimento la Commissione pu constatare
uninfrazione agli artt. 101 e 102 e, ai sensi dellart. 7 del regolamento 1/2003, adottare una
decisione con la quale obbliga le imprese o le associazioni di imprese a porre fine allinfrazione e,
se del caso, imporre loro unammenda secondo quanto previsto dallart. 23, par. 2, lett. a. In
proposito, il regolamento ha introdotto una significativa innovazione, secondo cui la Commissione
pu imporre ladozione di rimedi comportamentali e strutturali, proporzionati allinfrazione
commessa e necessari a far cessare effettivamente linfrazione. Tale potere ha alcuni limiti e
condizioni: in primo luogo, rispetto alle modifiche strutturali, il considerando 12 prevede che siano
concesse solo in presenza di un rischio sostanziale del perdurare o del ripetersi dellinfrazione
derivante dalla struttura stessa dellimpresa; peraltro, possono essere imposte solo qualora non
esista un rimedio comportamentale parimenti efficace o se questultimo sarebbe pi oneroso della
stessa misura strutturale. In definitiva, i rimedi devono essere necessari a far cessare effettivamente
linfrazione, cos da assicurare la libert contrattuale ed imprenditoriale. Con regolamento n.
622/2008, di modifica del regolamento n. 773/2004, la Commissione ha introdotto, esclusivamente
con riguardo ai procedimenti avviati ex art. 101 nei confronti di cartelli, una speciale procedura di
transazione. In forza di questa nuova procedura, le imprese che ne facciano richiesta possono
decidere di riconoscere la loro partecipazione ad unintesa anticompetitiva e la loro responsabilit
per i fatti contestati. Come ricompensa di questo riconoscimento, la Commissione potr ridurre del
10% limporto dellammenda da irrogare alle imprese che hanno aderito alla procedura. Al riguardo
va precisato che non riconosciuto un diritto alla transazione, sulla cui opportunit la Commissione
conserva un ampio margine di discrezionalit. Alternativamente, se le parti presentano degli
impegni per rimuovere le preoccupazioni espresse nella valutazione preliminare dalla Commissione,
il regolamento 1/2003 ha introdotto la possibilit per questultima di adottare una decisione di
169

[Digitare il titolo del documento] ed.)


accettazione degli impegni proposti. Tale decisione rende gli impegni vincolanti per le parti e pone
termine al procedimento in quanto lintervento della Commissione non pi giustificato, senza
tuttavia stabilire lesistenza o la permanenza di uninfrazione. In tal senso, prevista una soluzione
alternativa alle decisioni di divieto e di imposizione di rimedi anche se, in linea di principio, se ne
prefigura un uso limitato ai casi nei quali la Commissione non ritenga opportuna limposizione di
unammenda. Il regolamento 1/2003 esclude la possibilit per le imprese di ottenere dalla
Commissione, dietro notifica, decisioni di compatibilit dei propri accordi o comportamenti con
lart. 101, diversamente dal regime di notifica stabilito per le intese dal precedente regolamento
17/1962. Tuttavia, ai sensi dellart. 10, prevista la possibilit eccezionale per la Commissione, per
ragioni di interesse pubblico comunitario, dufficio, di stabilire mediante decisione che gli art.
101 e 102 non siano applicabili a determinate condotte anticompetitive. Si tratta di decisioni
dichiarative, attraverso cui la Commissione precisa gli orientamenti comunitari in materia di
politica di concorrenza e chiarisce i relativi divieti, cos da indirizzare lapplicazione decentrata del
diritto comunitario. In questo modo, la stessa istituzione potr archiviare le successive denunce
relative alla fattispecie oggetto della constatazione di inapplicabilit. Inoltre, la Commissione si
impegnata a fornire orientamenti su questioni nuove relative allapplicazione degli artt. 101 e/o 102
con una dichiarazione scritta (lettera di orientamento). In particolare, le imprese che abbiano
concluso un accordo o adottato una pratica o che abbiano intenzione di farlo, ed in relazione ai quali
nutrano dei dubbi circa la loro conformit alle regole antitrust, possono richiedere un orientamento
su questioni nuove o non risolte sullapplicazione degli artt. 101 e 102. La domanda, presentata in
modo informale con un semplice promemoria contenente tutte le informazioni richieste dalla
Comunicazione, dovr necessariamente contenere un quesito di rilevanza pratica relativo a problemi
che non siano gi sollevati in una causa pendente dinanzi alla Corte di giustizia o al Tribunale di 1
grado.
Infine, il regolamento 1/2003 ha disciplinato la possibilit per la Commissione di adottare misure
cautelari. La complessit e la durata non breve dellattivit di accertamento della violazione
contestata avevano in passato indotto a chiedersi se e secondo quali modalit fosse possibile tutelare
in via provvisoria, nelle more della procedura, le situazioni giuridiche riconosciute dalla normativa
comunitaria sulla concorrenza. La giurisprudenza della Corte ha riconosciuto il potere della
Commissione di assumere provvedimenti provvisori, fondandolo sulla necessit di garantire
leffettivit delle decisioni definitive. Secondo lart. 8 del regolamento 1/2003, i provvedimenti
cautelari devono essere adottati soltanto in caso di indiscussa urgenza, per far fronte a situazioni che
causerebbero un danno grave ed irreparabile; devono avere carattere provvisorio e cautelare e
limitarsi a quanto necessario nella situazione data al fine di preservare lo status quo fino
alladozione della decisione di merito, cio essere conformi al principio di proporzionalit. Anche il
Tribunale in passato aveva delineato linterpretazione dei 2 requisiti fumus boni iuris e del
periculum in mora:
1) sotto il primo profilo, il Tribunale aveva respinto linterpretazione della Commissione
secondo cui il fumus doveva essere identificato con lesistenza di uninfrazione chiara e
flagrante, in quanto sarebbe stato contrario alla logica stessa della richiesta di misura
cautelare, che da valutarsi sullapparenza e non sulla certezza del diritto, dunque
sullesistenza verosimile e non certa della violazione;
2) sotto il secondo profilo, nella stessa ottica, il Tribunale aveva chiarito che il periculum
doveva essere un rischio di pregiudizio che non potesse trovare rimedio nella decisione della
Commissione in esito alla procedura amministrativa. Pertanto, deve trattarsi di un
pregiudizio attuale, non eventuale ed aleatorio, suscettibile di prodursi in un futuro
indeterminato.
Infine, quanto ai poteri sanzionatori, la Commissione pu, mediante decisione, infliggere sanzioni
fino al 10% del fatturato realizzato durante lesercizio sociale precedente, nel caso in cui accerti la
sussistenza di uninfrazione agli artt. 101 e 102, nonch penalit di mora. Lammenda va
determinata sulla base di 2 parametri: la gravit e la durata della violazione; nelle ipotesi in cui i
170

[Digitare il titolo del documento] ed.)


guadagni illeciti siano ingenti, la Commissione pu aumentare limporto della sanzione rispetto ai
canoni ordinari per diminuire i proventi (effetto deterrente), ma sempre entro i limiti previsti dai
regolamenti comunitari. Altri elementi vanno considerati, quali lintenzionalit, i precedenti della
stessa impresa, il contesto economico in cui si colloca la violazione, limpatto sul mercato e la sua
estensione geografica. Inoltre, sono previste sanzioni e penalit di mora anche per violazioni
procedurali; mentre prevista una riduzione della sanzione o anche una totale immunit per quelle
imprese che abbiano dato un contributo significativo allavvio di una indagine o alla sua
definizione.
Il regolamento 1/2003 ha potenziato in pi punti il regime sanzionatorio a disposizione della
Commissione, prevedendo che questultima pu esigere il pagamento di sanzioni e penalit di mora
comminate ad associazioni di imprese dalle singole imprese aderenti ad esse, nonch imporre
ammende in caso di inosservanza di decisioni volte ad adottare provvedimenti provvisori o a
rendere obbligatori impegni volontariamente assunti dalle parti. Infine, le ammende per violazioni
procedurali e le penalit di mora sono ora commisurate al fatturato e non pi stabilite in cifra fissa.
Particolare rilevanza assumono le modifiche in materia di sanzioni alle associazioni di imprese. In
proposito, nel caso in cui linfrazione accertata nei confronti dellassociazione dimprese riguardi
attivit economiche esercitate dalle imprese associate, lart. 23, n.2, stabilisce che lammenda a
carico dellassociazione non possa eccedere entro il limite massimo del 10% del fatturato totale di
ciascun membro attivo sul mercato interessato dalla violazione posta in essere dallassociazione
stessa. In sostanza, la disposizione vuole garantire lefficacia deterrente della sanzione e assicurare
che, nei procedimenti riguardanti solo decisioni o pratiche di associazioni dimprese, limporto
dellammenda possa essere determinato tenendo conto del fatturato delle imprese associate.
Il nuovo regime in tema di ammende alle associazioni di imprese completato e rafforzato dalla
disposizione dellart. 23, n.4, che ne disciplina le modalit di pagamento nei casi in cui la sanzione
sia stata determinata sulla base del fatturato delle imprese associate e lassociazione non sia
solvibile. In tali circostanze, entro un termine stabilito dalla Commissione, lassociazione provvede
a richiedere e ottenere dai propri membri i contributi necessari al pagamento dellammenda, in
assenza dei quali la Commissione potr esigere il relativo importo direttamente da ciascuna delle
imprese rappresentate negli organi decisionali dellassociazione. Se ci risulta insufficiente alla
copertura totale dellammenda, la Commissione potr richiedere limporto residuo a ciascuna delle
altre imprese associate operanti nel mercato interessato dallinfrazione.
Lammenda va inflitta normalmente allimpresa cui sia imputabile per intero la condotta
anticoncorrenziale, ma questo principio pu subire uneccezione quando la condotta sia imputabile
a 2 imprese succedutesi nel tempo, la prima delle quali non svolge pi lattivit oggetto della
violazione, continuata dalla seconda, ed entrambe dipendano da un soggetto pubblico. La Corte ha
affermato che il principio della responsabilit personale non si oppone a che la sanzione sia inflitta
per intero allimpresa che ha continuato lattivit e con essa linfrazione.
Sullammontare dellammenda o della penalit di mora ammesso il sindacato del Tribunale e della
Corte, cui spetta infatti un esame di piena giurisdizione.
19. IL CONTROLLO SULLE CONCETRAZIONI
Il fenomeno delle concentrazioni tra imprese ha assunto rilevanza sempre maggiore per la
progressiva realizzazione del mercato comune. Unimpresa pu crescere non soltanto aumentando
le vendite dei propri prodotti nel mercato ma anche unendo le proprie forze con quelle delle altre
imprese, cio concentrandosi. Unoperazione di concentrazione si realizza quando unimpresa si
fonde con unaltra oppure ne acquisisce il controllo, esercitando uninfluenza determinante
sullattivit della stessa, o ancora quando 2 o pi imprese creano unimpresa comune, da entrambe
controllata, mettendo insieme le rispettive attivit. I problemi possono nascere quando unimpresa,
concentrandosi con altri operatori prima indipendenti, acquisisce un significativo potere di mercato
che le consenta, da sola o con altre imprese, di ridurre in modo sostanziale e durevole la
171

[Digitare il titolo del documento] ed.)


concorrenza, accrescendo la propria capacit di aumentare i prezzi o praticare condizioni
svantaggiose per i consumatori. Da ci deriva lesigenza di una valutazione ex ante delle operazioni
di concentrazione, per evitare che simili operazioni possano modificare lassetto dei mercati in
senso anticoncorrenziale.
Le norme dellUnione sulle concentrazioni hanno lo scopo di evitare che i processi di
concentrazione tra imprese producano una riduzione sostanziale della concorrenza, soprattutto
attraverso il consolidamento di una posizione dominante, tale da ostacolare la concorrenza. In
definitiva, per le concentrazioni richiesta una valutazione economica dellimpatto delloperazione
sul mercato e sulla posizione del soggetto che ne risulta: si tratta di una valutazione di prospettiva,
che investe le possibilit di sviluppo del mercato in senso competitivo. Secondo quanto chiarito
dalla Corte, tale valutazione consiste nel verificare in quali termini unoperazione di concentrazione
potrebbe modificare i fattori che determinano lo stato di concorrenza in un determinato mercato, per
accertare se ne conseguirebbe un ostacolo significativo ad una concorrenza effettiva. In tale analisi
bisogna prendere in considerazione le diverse concatenazioni-effetto, per accogliere quelle che
risultano le pi probabili. Il Trattato CECA prevedeva un regime di autorizzazione per le operazioni
che avessero come effetto diretto o indiretto una concentrazione tra imprese. Il TFUE, come gi il
TCE, viceversa, non contiene una disposizione di analogo contenuto. Lipotesi di concentrazione tra
imprese, pertanto, stata considerata come rilevante e valutata ai sensi degli artt. 101 e 102, fino al
varo del regolamento 4064/89 specificatamente dedicato alle concentrazioni, ora sostituito con il
regolamento 139/2004. Ad es. ben noto il caso Continental Can, in cui per la prima volta fu fatto
valere che lart. 102 potesse comprendere unipotesi di acquisizione del controllo di imprese
concorrenti da parte di unimpresa in posizione dominante; e ci perch una simile operazione
avrebbe potuto causare leliminazione della concorrenza, effettiva o potenziale, che pure sussisteva
nonostante lesistenza di una posizione dominante. Su questi presupposti, si ritenne che lart. 102 si
applicasse non solo ai comportamenti dellimpresa che incidono direttamente sul mercato, ma anche
alle modifiche strutturali dellimpresa che alterino gravemente la concorrenza in una parte
sostanziale del mercato comune. In unaltra occasione, poi, la Corte ha riconosciuto la possibilit di
fare applicazione dellart. 101 nel caso dellacquisto da parte di unimpresa di una partecipazione
anche minoritaria in unimpresa concorrente, ritenendo che questoperazione potesse comportare un
condizionamento delle strategie commerciali dellimpresa controllata, a tal punto da alterare il
gioco della concorrenza.
Il regolamento 139/2004, come anche quello precedente, si applica alle concentrazioni che abbiano
una dimensione comunitaria. I criteri per determinare la dimensione comunitaria sono legati al
fatturato delle imprese interessate dalloperazione. Ai sensi dellart. 1, n.2 del regolamento, si ha
riguardo ad un fatturato a livello mondiale di oltre 5 miliardi e ad un fatturato, raggiunto da
almeno 2 delle imprese interessate, che superi nella Comunit i 250 milioni. Non raggiunta la
dimensione comunitaria quando i 2/3 del fatturato di ciascuna impresa sono realizzati in uno stesso
Stato membro.
Lart. 1, n. 3, del regolamento 139/2004 considera di dimensione comunitaria unoperazione di
concentrazione, pur non essendo raggiunte le suddette soglie, qualora:
il fatturato totale realizzato a livello mondiale da tutte le imprese interessate sia superiore a 2,5
miliardi;
in ciascuno di almeno 3 Stati membri il fatturato totale realizzato dallinsieme delle imprese
interessate sia superiore a 100 milioni;
in ciascuno degli stessi 3 Stati membri, il fatturato realizzato individualmente da almeno 2 delle
imprese interessate sia superiore a 25 milioni;
il fatturato totale realizzato individualmente nella Comunit da almeno 2 delle imprese interessate
sia superiore a 100 milioni.
Tuttavia, anche rispetto a queste soglie, non raggiunta la dimensione comunitaria quando i 2/3 del
fatturato totale di ciascuna impresa nella Comunit sono realizzati allinterno di un solo e stesso
Stato. Ai fini del calcolo del fatturato si tiene conto in via di principio dei ricavi delle imprese
172

[Digitare il titolo del documento] ed.)


coinvolte nellultimo esercizio, al netto degli oneri tributari. Per alcune ipotesi specifiche, lart. 5
del regolamento fissa criteri diversi, ad es. per gli istituti di credito e per le imprese di assicurazione.
Il sistema di definizione della dimensione comunitaria, basato su un criterio quantitativo, integrato
dalla possibilit di correzione della competenza col meccanismo dei rinvii di cui agli artt. 9 e 22 del
regolamento 139/2004, in conformit del principio di sussidiariet ciascuna concentrazione viene
esaminata dallautorit pi appropriata; tale meccanismo consente anche di ridurre costi, rischi e
inconvenienti connessi alla molteplicit di notifiche e procedimenti nei casi di operazioni che
investono pi di uno Stato (c.d. multigiurisdizionali). In questa prospettiva, il regolamento
139/2004 ha modificato la disciplina preesistente e introdotto condizioni di maggiore flessibilit in
relazione ai criteri ed alle procedure di rinvio. In particolare, pu essere oggetto di rinvio ad
unautorit nazionale una concentrazione che incide in misura significativa sulla concorrenza in un
mercato allinterno dello Stato membro interessato che possa caratterizzarsi come mercato distinto,
o anche che incide sulla concorrenza in tale mercato se esso, pur costituendo un mercato distinto,
non costituisce una parte sostanziale del mercato comune. In questo 2 caso, la Commissione, se
ritiene che ricorrano queste condizioni, tenuta a rinviare la concentrazione alle autorit dello Stato
interessato che ne facciano richiesta. In senso inverso, lart. 22 prevede la possibilit di rinvio da
parte di una o pi autorit nazionali alla Commissione di operazioni che, pur non raggiungendo le
soglie di fatturato fissate dallart. 1 del regolamento 139/2004, siano suscettibili di incidere in
modo significativo sulla concorrenza nel territorio dello Stato membro o degli Stati membri che
effettuano la richiesta ed abbiano un impatto sul commercio intracomunitario.
Il regolamento definisce loperazione di concentrazione sottoposta alla sua disciplina, si tratta in
particolare:
a) dellipotesi di fusione tra 2 o pi imprese prima indipendenti;
b) dellipotesi di acquisto del controllo totale o parziale di una o pi imprese da parte di
soggetti che controllano gi unimpresa o da parte di una o pi imprese; lacquisto pu
avvenire in modo diretto o indiretto, con lacquisizione di quote di capitale o di qualsiasi
elemento del patrimonio, contrattualmente o altro;
c) dellipotesi di costituzione di unimpresa comune che esercita stabilmente tutte le funzioni
di unentit economica autonoma ( le c.d. imprese comuni di pieno esercizio o full function).
Le operazioni di concentrazione di dimensione comunitaria vanno obbligatoriamente notificate alla
Commissione. La notifica ha effetti sospensivi e loperazione non pu comunque essere realizzata
fino a quando non intervenga una decisione positiva di compatibilit o non siano decorsi i termini
per adottarla. A tale fine, entro 25 giorni, la Commissione pu aprire la procedura di verifica, che
deve concludersi entro 90 giorni lavorativi dalla decisione di avvio dellistruttoria, trascorsi i quali
loperazione va considerata compatibile; la Commissione, negli stessi termini, pu anche dichiarare
inapplicabile il regolamento o decidere che loperazione non solleva seri dubbi di incompatibilit.
Nel caso di mancata notifica, la Commissione pu infliggere alle parti unammenda fino al 10% del
fatturato totale dellimpresa interessata oppure pu ordinare lo scioglimento dellentit risultante
dalloperazione, cos da ripristinare, per quanto possibile, la situazione precedente la
concentrazione.
La procedura di controllo si apre con la notifica della concentrazione alla Commissione, in qualsiasi
momento dopo la conclusione dellaccordo, la comunicazione dellofferta di acquisto o di scambio
o lacquisizione di una partecipazione di controllo, ma sempre prima della loro realizzazione.
Inoltre, con le modifiche introdotte dal regolamento 139/2004, le imprese possono notificare anche
un accordo preliminare, qualora siano in grado di dimostrare la loro buona fede nel concludere
laccordo. Nella maggior parte dei casi, la notifica preceduta da un incontro con la Commissione,
che ha lo scopo di informare questultima dei negoziati in corso, di individuare gli elementi di
conoscenza necessari per un corretto controllo e di avere un primo scambio di idee sulle questioni
pi rilevanti poste dalloperazione. In ogni caso, il termine di 25 gg. lavorativi per la prima fase
della procedura di controllo decorre dal momento della notifica, che devessere completa. In tale
periodo, la Commissione pu chiedere informazioni, oltre che alle parti, alle imprese concorrenti, ai
173

[Digitare il titolo del documento] ed.)


consumatori e ad altri terzi interessati. Allesito della prima fase, la Commissione decide se la
concentrazione compatibile con il mercato comune; oppure che non rientra nella sfera di
applicazione del regolamento; oppure che va aperta la seconda fase della procedura di controllo in
quanto sono necessari ulteriori approfondimenti. La Commissione pu anche decidere di rimettere
la trattazione del caso, o di parte di esso, nelle mani dellautorit nazionale di concorrenza. In tal
caso, listituzione comunitaria deve emettere una decisione di rinvio entro 35 gg. lavorativi se non
ha ancora avviato il procedimento, oppure entro 65 gg. lavorativi a decorrere dalla notifica, qualora
abbia gi avviato la seconda fase del procedimento senza aver adottato provvedimenti ai sensi
dellart. 8. La seconda fase si apre con la decisione con cui la Commissione comunica alle parti
che, sulla base degli elementi in suo possesso, la concentrazione notificata solleva seri dubbi di
compatibilit con il mercato comune. Nel caso in cui, alla fine della seconda fase, la Commissione
intenda adottare una decisione diversa da quella di compatibilit, deve comunicare per iscritto le sue
obiezioni alle parti notificanti, imponendo loro un termine per presentare osservazioni. Sia le parti
notificanti che quelle interessate hanno il diritto e lonere di rispondere, con memorie scritte o
partecipando ad unaudizione orale. Se la Commissione ritiene la concentrazione incompatibile,
ancora possibile autorizzarla qualora le parti propongano rimedi sufficienti ad eliminarne
lincompatibilit. Di solito si ricorre a rimedi strutturali (dismissioni, mantenimento della
separazione di reti commerciali, uso del marchio, ecc.) piuttosto che comportamentali; ma non
escluso che questultimi siano pure idonei ad impedire limpatto restrittivo della concorrenza
derivante dalla concentrazione. Quanto al criterio sostanziale di valutazione delle concentrazioni,
esso stato ridefinito dal regolamento 139/2004, per sostituire il criterio della dominanza avente
effetti restrittivi con il diverso criterio espresso con la formula riduzione sostanziale della
concorrenza. Il nuovo test basato su valutazioni di natura economica e permette di vietare tutte le
concentrazioni che hanno effetti anticompetitivi, oppure che determinano laumento dei prezzi e
diminuiscono la scelta dei consumatori o linnovazione. Sono invece ritenute compatibili con il
mercato comune le concentrazioni che non ostacolino in modo significativo una concorrenza
effettiva sul mercato comune o in una parte sostanziale di esso, soprattutto attraverso la creazione o
il rafforzamento di una posizione dominante. Con riferimento alla nozione di ostacolo significativo
ad una concorrenza effettiva, si precisa che tale nozione dovrebbe essere interpretata come
riguardante, al di l del concetto di posizione dominante, solo gli effetti anticoncorrenziali di una
concentrazione risultanti dal comportamento non coordinato di imprese che non avrebbero una
posizione dominante sul mercato in questione. Ne consegue che lambito di applicazione del
divieto continua ad essere definito in misura prevalente in corrispondenza della nozione di
dominanza e che lutilizzo in senso estensivo del nuovo criterio sostanziale di valutazione si
configura in linea di principio come unipotesi residuale. Va anche rilevato che il regolamento
139/2004 consente di vietare anche unoperazione di concentrazione che dia luogo alla creazione di
una posizione dominante collettiva, cio una situazione in cui 2 o pi imprese indipendenti sono,
relativamente ad uno specifico mercato, unite da vincoli economici tali da detenere insieme una
posizione dominante rispetto ad altri operatori sullo stesso mercato. In particolare, il Tribunale di 1
grado ha ritenuto che, sul piano giuridico o economico, non esiste alcuna ragione per escludere
dalla nozione di legame economico la relazione di interdipendenza esistente tra i membri di un
oligopolio ristretto allinterno del quale questi ultimi, su un mercato di caratteristiche adeguate, in
particolare in termini di concentrazione del mercato, di trasparenza e di omogeneit del prodotto,
sono in grado di prevedere i loro reciproci comportamenti e sono pertanto fortemente incentivati ad
allineare il loro comportamento sul mercato in modo da massimizzare il profitto comune riducendo
la produzione per aumentare i prezzi. Infatti, in tale contesto, ciascuno operatore sa che unazione
fortemente concorrenziale da parte sua diretta ad accrescere la sua quota di mercato provocherebbe
unazione identica da parte degli altri, in modo che egli non trarrebbe alcun vantaggio dalla sua
iniziativa. In relazione al ruolo ed al trattamento dei possibili guadagni di efficienza nellambito del
processo di valutazione delle concentrazioni, in passato la Commissione aveva sempre evitato di
riconoscere esplicitamente lesistenza di una vera e propria efficiency defence, sia pure in presenza
174

[Digitare il titolo del documento] ed.)


del riferimento allevoluzione del progresso tecnico ed economico contenuto nellart. 2, n. 1 del
vecchio regolamento. Tale disposizione non stata modificata dal regolamento 139/2004, in quanto
stata ritenuta una base giuridica adeguata per consentire di tener conto delle suddette efficienze.
Allesito della procedura, un progetto di decisione viene trasmesso alle autorit di concorrenza degli
Stati membri e discusso dal Comitato consultivo, composto di rappresentanti delle autorit nazionali
competenti in materia di concorrenza. La decisione infine pubblicata sulla G.U. dellUnione. Se la
decisione dichiara loperazione compatibile con il mercato comune, in prima o in seconda fase, il
nuovo regolamento, confermando formalmente una prassi applicativa gi introdotta dalla
Commissione ma dichiarata illegittima dal Tribunale di 1 grado, chiarisce che tale decisione
riguarda anche le restrizioni accessorie alloperazione, ma che la Commissione non obbligata a
verificare, nei singoli casi, se le restrizioni concordate tra le parti siano effettivamente necessarie e
direttamente collegate alla concentrazione, dunque accessorie. Il regolamento stabilisce che la
Commissione, su richiesta delle imprese interessate, sia tenuta a pronunciarsi nei casi che
presentino quesiti nuovi o non risolti, rispetto ai quali n la Comunicazione sulle restrizioni
accessorie, n i precedenti della Commissione forniscano validi criteri e riferimenti interpretativi.
Una procedura semplificata di esame prevista per determinate categorie di concentrazioni che
sono ritenute non problematiche per la concorrenza, nel senso che non sono, se non
eccezionalmente, incompatibili con il mercato comune. Essa si applica alle operazioni a seguito
delle quali:
a) 2 o pi imprese acquisiscono congiuntamente il controllo di unimpresa comune che non
svolge alcuna attivit nel territorio dello Spazio economico europeo;
b) acquisiscono il controllo esclusivo o congiunto di unimpresa, e nessuna delle parti opera nel
medesimo mercato del prodotto e geografico, o in mercati situati a monte o a valle di una
delle altre parti alloperazione;
c) 2 o pi imprese procedono ad una fusione, o una o pi imprese acquisiscono il controllo
esclusivo o congiunto di unaltra impresa, ma la loro quota congiunta non superiore al
15% in caso di rapporti orizzontali o al 25% in caso di rapporti verticali;
d) una parte acquisisce il controllo esclusivo di unimpresa di cui detiene gi il controllo
congiunto.
In questi casi la concentrazione sar dichiarata compatibile con il mercato comune entro 25 gg.
lavorativi dalla data di notifica con una decisione in forma abbreviata, che si limiter ad indicare
che la concentrazione rientra in una o pi delle categorie previste dalla comunicazione. Sono
naturalmente impugnabili tutti gli atti adottati nel corso della procedura di esame suscettibili di
produrre effetti giuridici. Oltre, come ovvio, ad uneventuale decisione che dichiari incompatibile
con il mercato comune unoperazione notificata, anche una decisione positiva che autorizzi la
concentrazione pu formare oggetto di impugnazione da parte delle imprese notificanti, se le
constatazioni in essa effettuate producano effetti giuridici vincolanti tali da pregiudicare gli interessi
delle ricorrenti. Infine, soggette a controllo giurisdizionale sono le decisioni adottate dalla
Commissione nellambito dellattuazione degli impegni assunti dalle parti notificanti unoperazione
di concentrazione e che hanno condizionato la dichiarazione di compatibilit della stessa. Parimenti
impugnabile la decisione con cui la Commissione conclude che unoperazione non costituisce una
concentrazione ai sensi del suddetto regolamento.
19. TUTELA DELLA CONCORRENZA TRA DIRITTO COMUNITARIO E DIRITTO
NAZIONALE
Lart. 3 del regolamento 1/2003 interviene a disciplinare, per la prima volta dalladozione del
Trattato, la materia dei rapporti tra normativa comunitaria e normative nazionali di concorrenza,
prevedendo a carico di giudici e autorit nazionali di concorrenza un esplicito obbligo di
applicazione del diritto comunitario ai comportamenti dimpresa che siano tali da incidere sugli
scambi tra Stati membri. Oltre a favorire una pi ampia applicazione degli artt. 101 e 102 a livello
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


nazionale, lobbligo volto anche a garantire che i procedimenti delle autorit nazionali di
concorrenza siano soggetti alle procedure di informazione e consultazione preventiva della
Commissione previste dal regolamento, per assicurare unapplicazione omogenea e coerente del
diritto antitrust comunitario.
Tuttavia, relativamente alle intese, questa possibilit soggetta a un vincolo di convergenza che
preclude lapplicazione di norme nazionali di concorrenza pi severe ad accordi, decisioni e
pratiche concordate suscettibili di influenzare gli scambi intracomunitari, ma che non integrino una
violazione dellart. 101. Concretamente, se unintesa, in ipotesi con oggetto o effetti
anticoncorrenziali, sia ritenuta dalla Commissione compatibile con il diritto comunitario per il solo
motivo che non pregiudica il commercio intracomunitario, legittimamente potrebbe lautorit
nazionale pervenire ad una valutazione opposta e ravvisare un pregiudizio allassetto interno della
concorrenza. Al contrario, se la Commissione dichiara lincompatibilit dellintesa con lart. 101,
ci impedisce alle autorit nazionali di dichiararne lillegittimit rispetto alle norme nazionali. Lo
stesso vale nellipotesi di unesenzione per categorie di accordi, oggetto di apposito regolamento. In
tal caso, non potendo adottare decisioni incompatibili con il regolamento, il giudice nazionale non
potr considerare contrario al regime nazionale della concorrenza un accordo o una pratica
concordata che siano coperti dallesenzione; al pi, potr operare un rinvio delle disposizioni
comunitarie rilevanti. La portata del vincolo di convergenza ristretto alla sola fattispecie di intesa.
Invece esso non preclude lapplicazione di discipline nazionali pi severe laddove queste abbiano
ad oggetto condotte unilaterali dimpresa, come tali non rientranti nellambito di applicazione
dellart. 101. Pertanto, anche nel nuovo sistema sono pienamente applicabili le norme nazionali
che, per es., vietino o sanzionino condotte unilaterali abusive diverse e ulteriori rispetto a quelle
previste dallart. 102 del Trattato, oppure comportamenti unilaterali di imprese non dominanti. In
secondo luogo, il vincolo di convergenza riguarda esclusivamente lapplicazione delle norme
nazionali di tutela della concorrenza e non di quelle che invece perseguono obiettivi differenti
rispetto agli artt. 101 e 102 e siano dirette alla tutela di altri interessi legittimi. Lespressa
possibilit per le autorit nazionali competenti in materia di concorrenza di fare diretta applicazione
degli artt. 101 e 102 del Trattato un passaggio di grande rilievo ai fini del processo di
decentramento. Al riguardo, la Commissione ha sempre ritenuto che una simile possibilit fosse da
escludere se non prevista da una norma nazionale ad hoc. Questa posizione, ad una prima lettura
appare discutibile e lo se la si confronta con il principio generale dellapplicazione delle norme
comunitarie provviste di effetto diretto da parte delle amministrazioni nazionali e dei giudici.
Invece, pacifico che i giudici e le amministrazioni nazionali possono ed anzi devono fare
applicazione delle norme provviste di effetto diretto e che le norme del Trattato che qui sono in
questione non rappresentano affatto uneccezione. Infatti, tali norme sono invocabili direttamente
davanti al giudice e, in caso di conflitto tra norma comunitaria e norma nazionale, la seconda va
disapplicata. Lo stesso diritto comunitario nonch la giurisprudenza della Corte hanno attribuito
espressamente anche alle amministrazioni nazionali il potere di applicare gli artt. 101 e 102 in
assenza di una procedura avviata dalla Commissione. Non corretto ipotizzare che la qualit di una
norma comunitaria, ed in particolare leffetto diretto, dipendano dallattribuzione espressa che ne
dia questo o quello Stato membro; n si pu dubitare che leffetto diretto degli artt. 101 e 102
comporti, oltre che linvocabilit delle norme dinanzi ai giudici ed alle amministrazioni nazionali, il
potere-dovere degli uni e delle altre di farne diretta applicazione anche nel senso di far valere gli
obblighi che quelle norme impongono ai singoli e pure in loro sfavore. La competenza a fare
diretta applicazione dellartt. 101 e 102, consente allautorit nazionale di fare applicazione della
norma comunitaria cos come essa viene normalmente interpretata ed applicata dalle istituzioni
comunitarie. Il potere-dovere dei giudici e delle autorit nazionali di concorrenza di fare
applicazione delle norme comunitarie non appare tale da minacciare luniformit di applicazione del
diritto comunitario della concorrenza. Demandare la valutazione delle intese o degli abusi di
posizione dominante alle autorit nazionali in realt soltanto un aspetto del decentramento
prefigurato nei suoi termini essenziali e completi gi dal Trattato del 1957. I giudici e le
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


amministrazioni nazionali costituiscono infatti lessenza del decentramento dellapplicazione di
tutte le norme comunitarie: e le norme sulla concorrenza non fanno eccezione. Inoltre, il
regolamento 1/2003 mantiene in capo alla Commissione un ruolo rilevante nella determinazione
della politica comunitaria della concorrenza. In un sistema di competenze concorrenti della
Commissione, delle autorit e dei giudici nazionali, sono comunque previsti dei meccanismi di
salvaguardia; in tal senso rilevante la possibilit che la Commissione avochi a s la trattazione di
un caso, nonch il preciso obbligo che fa capo alle autorit e ai giudici nazionali di non adottare
decisioni contrastanti con quelle della Commissione. Relativamente ai poteri delle autorit nazionali
di concorrenza nellapplicazione del diritto comunitario, lart. 5 del regolamento 1/2003 sancisce
che esse sono competenti ad applicare gli artt. 101 e 102 in casi individuali. quindi
espressamente escluso che tali autorit abbiano il potere di adottare atti generali, quali i regolamenti
desenzione per categoria. Nondimeno, a certe condizioni, le autorit nazionali possono revocare in
casi individuali il beneficio dellesenzione per categoria limitatamente al territorio nazionale.
Tuttavia, a fronte di questa equivalenza di poteri, le autorit nazionali continuano a svolgere un
ruolo diverso rispetto alla Commissione. In primo luogo, perch allistituzione comunitaria resta la
competenza esclusiva di orientamento della politica antitrust comunitaria; in secondo luogo perch
lavvio di un procedimento da parte della Commissione per ladozione di una decisione priva tutte
le autorit nazionali garanti della concorrenza della competenza di applicare gli artt. 101 e 102 del
Trattato. Le autorit nazionali di concorrenza possono iniziare un procedimento istruttorio nel caso
in cui, in base alle informazioni di cui dispongono, appaiono sussistere le condizioni per un divieto;
in tal modo esse sono chiamate a tutelare i diritti riconosciuti dagli artt. 101 e 102. In ogni caso, tali
autorit non possono prendere decisioni che siano in contrasto con uneventuale decisione gi
adottata dalla Commissione. Ai sensi dellart. 6 del regolamento 1/2003, la competenza ad
applicare gli artt. 101 e 102 del Trattato espressamente attribuita ai giudici nazionali.
Nellesercizio di tale competenza, i giudici sono tenuti a rispettare i precedenti della giurisprudenza
comunitaria oltre che i regolamenti di esenzione comunitari. Di grande rilievo pratico pertanto la
definizione delle rispettive sfere di competenza e di azione della Commissione e del giudice
nazionale. La competenza dei tribunali nazionali, concorrente con quella della Commissione, deriva
infatti dallefficacia diretta dei divieti sanciti dagli artt. 101 e 102 che incidono direttamente sulla
posizione giuridica dei privati e attribuiscono loro diritti ed obblighi che i giudici nazionali sono
tenuti a tutelare.
La decisione del giudice nazionale, per, non vincola la Commissione, che resta libera di decidere,
eventualmente in modo diverso dal giudice nazionale. Il giudice nazionale deve astenersi dal
prendere provvedimenti idonei a compromettere la realizzazione degli scopi del Trattato e dunque
evitare ladozione di provvedimenti in contrasto con decisioni della Commissione.
20. LA COOPERAZIONE TRA COMMISSIONE, AUTORIT E GIUDICI NAZIONALI
NELLAPPLICAZIONE DEL DIRITTO EUROPEO DELLA CONCORRENZA
Un aspetto essenziale del sistema di applicazione delle regole di concorrenza comunitarie consiste
nella cooperazione allinterno della rete di autorit di concorrenza (European Competition
Network), composta dalle istituzioni pubbliche designate dagli Stati membri (in Italia, lAutorit
Garante della concorrenza e del mercato o Autorit Antitrust) in conformit allart. 35 del
regolamento 1/2003 e dalla Commissione. La cooperazione richiede vari tipi di contatti tra le
autorit, ma soprattutto si basa sullo scambio di informazioni e sullassistenza nella raccolta delle
prove e nelle ispezioni. Quando si tratta di casi di pregiudizi agli scambi e di applicazione delle
norme comunitarie, lart. 11 del regolamento 1/2003 impone alle autorit nazionali di informare
preventivamente la Commissione sullesito dei procedimenti e prima di adottare alcuni tipi di
decisione. Nellipotesi di casi nuovi, unautorit nazionale dovr informare la Commissione
soltanto qualora intenda effettuare indagini sul caso, oppure adottare eventuali misure formali di
indagine. Nel rapporto orizzontale tra autorit, questo scambio di informazioni si svolge su base
177

[Digitare il titolo del documento] ed.)


volontaria. Un accordo o una pratica abusiva sono di pertinenza della rete qualora pregiudichino il
commercio tra gli Stati membri. La Commissione ha precisato che il concetto di commercio non
limitato agli scambi tradizionali di beni e servizi a livello transfrontaliero, ma include anche i casi
nei quali le intese pregiudichino la struttura della concorrenza nel mercato. In altri termini, rientra in
tale concetto ogni condotta che sia diretta ad eliminare o minacci di eliminare un concorrente che
opera allinterno del mercato comunitario. Lapplicazione del criterio del pregiudizio al commercio
indipendente dalla definizione dei mercati geografici rilevanti. Infatti, il commercio tra Stati
membri pu essere pregiudicato anche nei casi in cui il mercato rilevante sia nazionale o subnazionale.
Se un caso stato identificato come di pertinenza della rete, il 1 obbligo consiste nellinformare la
Commissione dellavvio del procedimento. In linea di principio, le informazioni devono essere
fornite precedentemente o subito dopo ladozione della prima misura formale di indagine, oppure
lutilizzo dei poteri investigativi conferiti dalla legislazione nazionale. Va tenuto presente che il
contenuto delle informazioni deve essere preciso e dettagliato, per consentire alle autorit garanti
della concorrenza di decidere se sono interessate al caso e se desiderano essere associate al suo
trattamento. La comunicazione apre un periodo di attribuzione del caso della durata di 2 mesi, entro
cui ciascuna autorit deve valutare se vuole intervenire. Lintervento della Commissione sar
necessario qualora laccordo o la pratica incida sulla concorrenza in pi di 3Stati membri, oppure
quando il caso sia strettamente collegato con altre disposizioni comunitarie; oppure, infine, la tutela
dellinteresse comunitario richieda una decisione della Commissione per orientare la politica
comunitaria di concorrenza o di assicurare lefficace applicazione del diritto antitrust comunitario.
In sostanza, possono verificarsi 3 situazioni diverse:
1. possibile che una o pi autorit decidono di agire in parallelo a quella che ha comunicato il
caso per prima: sar allora possibile individuare unautorit responsabile del coordinamento
delle misure di indagine;
2. lautorit che ha comunicato originariamente le informazioni alla rete decide di chiudere il
procedimento in quanto unaltra autorit nazionale intende occuparsi del caso;
3. la Commissione pu avocare a s il caso e dunque privare lautorit nazionale della sua
competenza.
Ai sensi dellart. 11, n. 4, del regolamento 1/2003, le autorit sono anche tenute ad informare la
Commissione prima di adottare una decisione con la quale si ordina la cessazione dellinfrazione;
oppure una decisione volta ad accettare impegni oppure una decisione diretta a revocare
lapplicazione di un regolamento di esenzione per categoria. Lart. 11, n. 6, prevede che lavvio di
un procedimento da parte della Commissione priva le autorit nazionali della competenza ad
applicare gli artt. 101 e 102. Se unautorit nazionale sta gi trattando il caso, lesercizio del potere
di avocazione subordinato alla preventiva e tempestiva informazione dei membri della rete, ai
quali la Commissione dovr anche indicare per iscritto le relative motivazioni. Inoltre, lart. 12 del
regolamento 1/2003 stabilisce che la Commissione e le autorit nazionali hanno la facolt di
scambiare ed utilizzare come mezzo di prova qualsiasi elemento di fatto e di diritto, comprese le
informazioni riservate, a condizione che siano legalmente raccolte dallautorit trasmittente in base
alla legislazione ad essa applicabile. Nondimeno, il principio del segreto dufficio comporta che i
segreti aziendali e altre informazioni riservate appartenenti ad imprese non possono essere divulgati
allesterno della rete, ma ci comunque non pu impedire la divulgazione delle informazioni
necessarie a comprovare la violazione degli artt. 101 e 102. Nel caso di scambio di informazioni
fornite a unautorit di concorrenza nellambito di un programma di clemenza, per preservare
lefficacia di tali programmi nellindividuazione dei cartelli e gli incentivi alla collaborazione da
parte delle imprese coinvolte, la Comunicazione della Commissione, prevede che in questi casi le
informazioni trasmesse alla rete non possano essere utilizzate dagli altri membri per avviare proprie
indagini ai fini dellapplicazione delle norme di concorrenza comunitarie o nazionali.
Infine, lart. 22, n.1, del regolamento 1/2003, consente alle autorit nazionali di raccogliere
informazioni, in base alla legislazione interna, per conto di unaltra autorit. La richiesta di
178

[Digitare il titolo del documento] ed.)


assistenza deve essere formale, scritta e motivata. Anche rispetto alle giurisdizioni nazionali il
regolamento 1/2003 ha introdotto significative forme di cooperazione nellapplicazione del diritto
comunitario della concorrenza, definite poi anche in una specifica Comunicazione. In particolare,
viene in rilievo lobbligo di leale collaborazione tra listituzione comunitaria ed i giudici nazionali,
nella misura in cui entrambe le autorit sono chiamate alla reciproca assistenza nellapplicazione
delle regole antitrust. La Commissione tenuta a fornire informazioni, formulare pareri e
presentare osservazioni, in ogni caso non vincolanti e sempre previa richiesta di una giurisdizione
nazionale. Daltra parte, le autorit giudiziarie nazionali possono richiedere alla Commissione la
trasmissione di notizie in suo possesso, per accertare se un determinato caso sia gi al suo esame, se
essa ha avviato un procedimento o adottato una decisione. Nella trasmissione delle informazioni, la
Commissione deve assicurare alle persone fisiche e giuridiche la tutela offerta dallart. 339 TFUE;
pertanto, potr divulgare informazioni coperte dal segreto dufficio solo se, anche a livello
nazionale, tali informazioni siano garantite da una protezione adeguata. La Commissione pu anche
rifiutare di trasmettere informazioni alle giurisdizioni nazionali per salvaguardare i suoi interessi o
evitare che siano compromessi il funzionamento e lindipendenza della Comunit.
Alla Commissione pu essere richiesto un parere su questioni economiche, di fatto e di diritto,
quando il giudice nazionale non rinvenisse nella giurisprudenza e nella normativa rilevante gli
strumenti necessari per la soluzione di un caso. Il parere non sar vincolante per la giurisdizione
richiedente.
Un altro strumento di cooperazione per garantire lapplicazione uniforme degli artt. 101 e 102
rappresentato dalle osservazioni scritte, che la Commissione e le autorit nazionali possono
presentare di propria iniziativa, e dalle osservazioni orali che possono essere concesse solo tramite
autorizzazione della giurisprudenza competente. Infine, i giudici nazionali possono essere chiamati
ad intervenire in caso di ispezioni compiute dalla Commissione presso le imprese e le associazioni
di imprese oppure presso il domicilio degli amministratori e dei dipendenti delle imprese.

CAPITOLO 7
LA DISCIPLINA DELLA CONCORRENZA
APPLICABILE AGLI STATI
1. MISURE STATALI ED EFFETTO ANTICONCORRENZIALE
La disciplina della concorrenza non si limita a regolare i comportamenti delle imprese. Essa pu
investire anche alcuni comportamenti degli Stati, che direttamente o indirettamente alterano o
contribuiscono ad alterare le condizioni di concorrenza tra le imprese operanti nel mercato comune.
Un primo ed importante profilo di rilevanza della disciplina dellUnione per gli Stati membri, in
particolare degli artt. 101 e 102 TFUE, riguarda le normative nazionali che, nel regolare lesercizio
di attivit economiche o la prestazione di servizi, producono effetti tali da modificare le condizioni
di concorrenza tra le imprese.
In un primo tempo, la giurisprudenza, di fronte allipotesi di accordi tra imprese suggellati da una
legge che ne imponeva il rispetto, ha affermato in termini molto generali che gli Stati membri non
possono adottare provvedimenti che consentono alle imprese di sottrarsi ai divieti sanciti dal
Trattato in tema di concorrenza. In altre parole, gli Stati membri non possono pregiudicare leffetto
utile delle norme sulla concorrenza dirette alle imprese attraverso misure legislative o regolamentari
che consentano alle stesse imprese di agire in violazione del diritto comunitario. Tuttavia, ci va
coniugato:
- con il principio sancito dallart. 4 TUE che, attraverso lenunciazione di un dovere generale
di collaborazione tra Stati membri e Unione, impone agli Stati membri di non adottare
179

[Digitare il titolo del documento] ed.)


misure che possano ridurre o pregiudicare lefficacia delle norme comunitarie sulla
concorrenza applicabili alle imprese;
- con il principio della concorrenza libera e non falsata, un tempo consacrato dallart. 3, lett.
g, TUE, ora contenuto nel Protocollo sulla concorrenza e sul mercato interno.
Ed sulla lettura congiunta degli artt. 4, n. 3, TUE e 101 TFUE, nonch sullart. 3, n. 3, TUE, che
il giudice comunitario ha fondato lobbligo per gli Stati membri di non adottare o mantenere in
vigore misure, anche di natura legislativa o regolamentare, che possano rendere praticamente
inefficaci le regole di concorrenza applicabili alle imprese. La Corte ha concluso che precluso agli
Stati membri di imporre, agevolare o rafforzare la conclusione di accordi in contrasto con lart. 101
TFUE; nonch di privare del carattere pubblico una normativa, attribuendo a privati la
responsabilit di adottare decisioni dintervento in materia economica.
In altri termini, le misure nazionali che pregiudicano leffetto utile delle norme sulla concorrenza
rivolte alle imprese sono quelle che consentono a queste ultime di eludere i divieti, ipotesi che si
verifica quando la misura investe comportamenti delle imprese altrimenti vietati.
La stessa logica rileva per lipotesi che lattribuzione di diritti esclusivi da parte dello Stato porti
limpresa beneficiaria a violare lart. 10 TFUE, letto congiuntamente allart. 106, nella specie di
abuso di posizione dominante.
Gli artt. 101 e 102 restano applicabili nellipotesi in cui la normativa nazionale lasci sussistere la
possibilit di una concorrenza che possa essere ostacolata, ristretta o falsata da comportamenti
autonomi delle imprese. Al riguardo, va evidenziato che la possibilit di escludere un determinato
comportamento anticoncorrenziale dallambito di applicazione dellart. 101, n. 1, TFUE, in ragione
del fatto che si tratta di un comportamento imposto da una normativa nazionale e che questultima
ha eliminato ogni possibilit di comportamento concorrenziale da parte delle imprese di cui si tratta,
stata applicata in modo particolarmente restrittivo dai giudici dellUnione. Resta da chiarire, se
una normativa nazionale del tutto scollegata da un effettivo e palese comportamento delle imprese
possa comunque determinare una violazione del diritto dellUnione ed in particolare del dettato
congiunto degli artt. 4 TUE e 101 TFUE. Il riferimento a quelle normative che producono sulle
condizioni di concorrenza un effetto pari o equivalente a quello di unintesa vietata, ma senza che
un comportamento anticoncorrenziale (autonomo) delle imprese si colleghi in qualche modo alla
misura statale. La risposta della Corte stata nel senso che lincompatibilit di una normativa
statale resta ancorata alla presenza di un comportamento delle imprese, non importa se favorito,
rafforzato o addirittura imposto dalla normativa. Al riguardo, utile ricordare che lo stesso art. 101
non considera incompatibile con il mercato comune ogni alterazione della concorrenza, comunque
verificatasi, ma solo quelle alterazioni che siano il risultato di un comportamento delle imprese;
dunque sono perseguiti i mezzi utilizzati dalle imprese e non il risultato in quanto tale.
Lobiettivo generale della creazione di un regime che garantisca una concorrenza non falsata
collegato, quanto alla sua realizzazione, alle condizioni e ai ritmi previsti dai Trattati. La
conseguenza che non sufficiente il principio quale parametro per valutare la legittimit delle
condotte rilevanti, ma occorre riferirsi alle condizioni previste nel Trattato, che sono precisamente
quelle specificate dagli artt. 101-109 TFUE. Pertanto, sembrerebbe che la scelta degli autori del
Trattato sia nel senso che le norme contenute negli artt. 101 e 102 sono rivolte alle imprese e che le
misure statali che producono un effetto anticoncorrenziale vanno esaminate in funzione del
collegamento con il comportamento delle imprese. Le sole eccezioni, in quanto espressamente
previste agli artt. 106 e 107-109, riguardano rispettivamente lintervento diretto degli Stati sulla
vicenda di imprese pubbliche titolari di diritti esclusivi e gli aiuti che gli stessi Stati accordano alle
imprese: ed ancora una volta una scelta del legislatore. Lo sforzo della giurisprudenza di
affermare lincompatibilit anche di quelle misure che facilitano o inducono oppure rendono
inevitabile la violazione o la vanificazione delle disposizioni rivolte alle imprese va apprezzato. La
giurisprudenza, nel richiedere il collegamento con comportamenti dimpresa, ha espressamente
chiarito che lapplicazione degli artt. 101 e 102 non pu essere tale da costituire un limite alle
prerogative degli Stati membri in materia di politica economica.
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[Digitare il titolo del documento] ed.)


Tuttavia la situazione oggi mutata notevolmente. Lart. 119 TFUE prevede che lazione degli
Stati membri comprenda ladozione di una politica economica fondata sullo stretto coordinamento
delle politiche dellinsieme degli Stati membri e condotta in conformit col principio di
uneconomia di mercato aperta alla libera concorrenza; ci viene ripetuto anche dallart. 120.
Entrambe le norme affermano lesigenza di politiche economiche sempre pi interdipendenti,
esaltando il valore della concorrenza negli interventi degli Stati membri. Infatti, una corretta
valorizzazione delle 2 norme consentirebbe di valutare rispetto al diritto comunitario misure statali
che producono distorsioni della concorrenza, attraverso il controllo, come avviene in tutti gli altri
settori del sistema, della coerenza interna delle misure statali, nel senso di verificare la rispondenza
dei mezzi adoperati rispetto ai fini di interesse generale perseguiti dallo Stato membro. Va distinto il
caso in cui il comportamento anticoncorrenziale sia consentito o agevolato dalla misura statale da
quello in cui sia addirittura imposto, infatti:
- quando la normativa nazionale lascia sufficiente autonomia di azione allimpresa il
comportamento di questa resta sottoposto alla disciplina degli artt. 101 e 102 ed passibile
di censura e di sanzione, salvo alloccorrenza far valere anche la responsabilit dello Stato;
- quando viceversa una normativa nazionale impone alle imprese un comportamento in
violazione delle norme comunitarie sulla concorrenza tale comportamento non pu essere
sanzionato, mancando il presupposto per lapplicazione degli artt. 101 e 102, con la
conseguenza che sar solo lo Stato a rispondere dellalterazione della concorrenza per il
passato.
Tuttavia, le imprese, a seguito del provvedimento che ne dichiara lincompatibilit, dovranno
astenersi dal persistere nel comportamento censurato.
2. MISURE STATALI E IMPRESE PUBBLICHE O BENEFICIARIE DI DIRITTI
ESCLUSIVI
Il TFUE ha espressamente dichiarato allart. 345 la propria neutralit rispetto al regime della
propriet, sia essa pubblica o privata, vigente negli Stati membri. Ne consegue che lintervento
pubblico nelleconomia non come tale precluso, ma solo in quanto e nella misura in cui determini
una violazione delle norme del Trattato. Infatti, lart. 106 TFUE:
al paragrafo 1 vieta agli Stati membri di adottare nei confronti delle imprese pubbliche o delle
imprese cui siano stati attribuiti diritti speciali o esclusivi, misure che siano contrarie al Trattato e
specialmente al divieto di discriminazione in base alla nazionalit e alle norme sulla concorrenza;
al paragrafo 2 sancisce, da un lato, la rilevanza del servizio pubblico nel sistema comunitario e,
dallaltro, che il particolare favore accordato alle imprese che svolgono un tale servizio non senza
limiti, dovendo comunque conciliarsi con altri valori fondamentali dello stesso.
Dunque, come si evince dal paragrafo 1, la mera esistenza di un monopolio o di un regime di diritti
esclusivi non di per s contraria al Trattato; infatti lart. 106 vuole impedire che gli Stati membri,
pur liberi di operare delle scelte di politica economica e sociale o di creare un regime di monopolio
in un determinato settore, sottraggano limpresa pubblica o il monopolio al rispetto delle regole del
gioco, in particolare quanto al mercato comune ed alla concorrenza. In definitiva, non escluso che,
in determinate circostanze, il monopolio possa essere di per s contrario al Trattato, pertanto occorre
verificare in concreto il caso singolo per stabilirne leventuale illegittimit. Sono da ritenersi
incompatibili con lart. 106:
il diritto esclusivo per limportazione di tabacchi o di apparecchi terminali di telecomunicazioni;
lobbligo, imposto alle emittenti televisive, di servirsi di una determinata impresa pubblica per la
realizzazione di programmi, impedendo loro di rivolgersi ad imprese di altri Stati membri;
unesclusiva di commercializzazione di apparecchi terminali, in virt della presunzione che limita
di fatto la gamma di prodotti posti in commercio.
Pi incerta la questione se ed entro quali limiti lart. 106 induca a ritenere illegittimi i diritti
esclusivi di produzione di beni o servizi. Al riguardo, la giurisprudenza sembra fondarsi sulla
181

[Digitare il titolo del documento] ed.)


premessa generale che gli Stati membri non possono pregiudicare leffetto utile delle norme
materiali cui lart. 106, n.1, rinvia, in particolare le norme poste a tutela della concorrenza. Perci
le misure statali che riducono lambito del libero gioco della concorrenza sono sottoposte alla
verifica di compatibilit rispetto allart. 106 e alle norme materiali rilevanti che si collegano ad
esso. Loggetto della verifica la possibilit di giustificare le misure in funzione di un interesse
generale dello Stato che sia coerente con gli interessi della Comunit.
In definitiva, le imprese che svolgono servizi di interesse economico generale sono investite di una
doppia funzione:
1) una collegata al mercato e quindi alle regole che sovraintendono al suo funzionamento;
2) laltra collegata invece ai bisogni primari di un Paese e che non necessariamente risponde
alle stesse regole del mercato, se non sotto il profilo della competitivit.
Lesistenza di una giustificazione oggettiva e ragionevole della misura anticoncorrenziale, in
particolare se le restrizioni siano necessarie e proporzionate alla realizzazione delle esigenze di
interesse pubblico perseguite, viene verificata caso per caso. Cos, ad es., si considerato
giustificato il monopolio legale del servizio postale ordinario, in quanto costituisce un servizio
dinteresse generale che necessariamente deve coprire anche settori non redditizi e dunque pu
essere protetto nei confronti di eventuali concorrenti nei settori redditizi.
Con pari chiarezza si invece rilevata lincompatibilit con lart. 106 del monopolio del servizio di
corriere espresso, in quanto lesclusione della concorrenza che ne consegue non giustificabile in
base a motivi di interesse generale.
Infine, lapplicazione della deroga di cui allart. 106, n. 2, al caso concreto non pu essere lasciata
alla sola valutazione dello Stato membro, in quanto il Trattato ha affidato alla Commissione il
compito di vigilare in questa materia sulla corretta applicazione delle norme; tale deroga pu essere
invocata dai singoli direttamente dinanzi al giudice nazionale.
3. IL POTERE DI CONTROLLO DELLA COMMISSIONE EX ART. 106, N. 3, TFUE
Lart. 106, n. 3 TFUE, attribuisce alla Commissione il compito di vigilare sullapplicazione della
norma: rivolgendo, ove occorra, agli Stati membri, opportune direttive o decisioni. Si tratta di
una specificazione del compito di vigilanza attribuito in via generale alla Commissione dellart. 17
TUE, qui riferito alle misure adottate dagli Stati membri nei confronti delle imprese pubbliche o
titolari di diritti esclusivi o speciali.
Anzitutto, si rilevato che le decisioni e le direttive che la Commissione pu adottare rientrano a
pieno titolo nelle rispettive categorie di atti vincolanti enunciate dallart. 288 TFUE; ne consegue
un onere di impugnazione nei termini di rito e la possibilit di una procedura dinfrazione in caso di
mancato adempimento. Poi si progressivamente precisata la natura e lampiezza dei poteri della
Commissione soprattutto riguardo a 2 questioni:
1) il rapporto tra i poteri della Commissione e quelli normativi del Consiglio;
2) la differenza tra i poteri della Commissione ex art. 106, sia con lo strumento della direttiva
che con quello della decisione, e la procedura dinfrazione ex art. 258 TFUE.
Riguardo la 1 questione, si affermato che la competenza attribuita alla Commissione dallart.
106, n.3, si limita alle direttive ed alle decisioni necessarie al fine di espletare efficacemente il
dovere di vigilanza a cui essa tenuta in forza della stessa disposizione. In seguito, la Corte ha
affermato che la Commissione ha il potere di precisare in modo generale le obbligazioni enunciate
dal Trattato e dallart. 106, n. 1. Anche con altri interventi successivi, la Corte ha rilevato la portata
generale dei poteri attribuiti al Consiglio ex artt. 114 e 103, rispettivamente in tema di
ravvicinamento delle legislazioni nazionali sul mercato interno e di concorrenza, sottolineando in
particolare la competenza ad adottare tutti i regolamenti e le direttive utili ai fini dellapplicazione
delle norme sulla concorrenza. Viceversa, lart. 106 riguarda lipotesi specifica di misure statali
adottate dagli Stati membri nei confronti delle imprese con le quali sussistono relazioni economiche
182

[Digitare il titolo del documento] ed.)


particolari, con la conseguenza che le direttive e le decisioni di cui al n.3 sono finalizzate
esclusivamente al controllo di tali misure.
Riguardo la 2 questione, dapprima stata contestata una direttiva della Commissione che, ritenuta
lattribuzione di diritti esclusivi di importazione, commercializzazione, allacciamento, installazione
e manutenzione dei terminali di telecomunicazione incompatibile con il diritto dellUnione, ne
imponeva labolizione allinsieme degli Stati membri. La contestazione riguardava appunto la scelta
di una direttiva ex art. 106, n.3, in luogo della procedura dinfrazione ex art. 258, articolata sulla
contestazione degli addebiti, sulla difesa degli Stati e sul ricorso alla Corte perch riconosca
lesistenza dellinfrazione. La risposta della Corte ha riprodotto laffermazione che la Commissione
ha il potere di precisare in via generale le obbligazioni che derivano dal Trattato. Ne consegue
che latto previsto dallart. 106, n.3, senza prendere in considerazione la posizione particolare in cui
si trovano i singoli Stati, concretizza gli obblighi che sono loro imposti; tale orientamento stato
confermato e si pu considerare ormai consolidato.
In una successiva occasione, il problema si posto con maggior evidenza, in quanto si trattava di
una decisione presa sulla base dellart. 106, n.3, dunque un atto individuale. In essa la
Commissione contestava ad uno Stato membro la violazione degli artt. 106 e 102 relativamente ad
una normativa nazionale sul servizio postale. La Corte ha affermato, diversamente dalle pronunce
rese in tema di direttiva, che la decisione implica la valutazione di fatti concreti e determina le
conseguenze che derivano per lo Stato membro. In breve, la Corte ha sottolineato soprattutto
leffetto utile del potere attribuito alla Commissione, senza soffermarsi troppo sul confine tra tale
potere e quello generale di cui allart. 258.
Infine la Corte ha riconosciuto espressamente che la Commissione ha, in forza dellart. 106, n.3, il
potere di accertare e dichiarare lincompatibilit rispetto al diritto comunitario di una normativa
statale e di indicare i provvedimenti necessari per eliminare la violazione. Tuttavia, non proprio
sicuro che una direttiva o una decisione della Commissione ex art. 106, n. 3, non possano persino
introdurre obblighi nuovi rispetto al Trattato; di sicuro si tratta di obbligazioni autonome, anche se
gi sancite dal Trattato, con la conseguenza che gli Stati sono tenuti ad eseguirle, a meno che non ne
contestino la legittimit con lazione di annullamento.
4. GLI AIUTI PUBBLICI ALLE IMPRESE
Complementari alle norme sulla concorrenza applicabili alle imprese sono le disposizioni sugli aiuti
di Stato, contenute negli artt. 107-109 TFUE, che sono preordinate alla realizzazione di un regime
di concorrenza non falsata e dirette ad evitare che il sostegno finanziario pubblico conduca ad
alterare la competizione ad armi pari tra le imprese allinterno del mercato comune.
La disciplina degli aiuti di Stato, nel prefigurare determinate deroghe al divieto generale ed una
procedura di controllo della compatibilit con il mercato comune, consente alla Commissione di
contribuire alla definizione di vere e proprie linee di politica industriale. Infatti, lattivit della
Commissione si traduce nella canalizzazione dellintervento pubblico verso obiettivi di politica
industriale che siano in sintonia con gli interessi dellUnione.
La disciplina degli aiuti di Stato alle imprese si fonda sul principio che gli aiuti sono incompatibili
con il mercato comune, s che vanno sottoposti ad un sistema obbligatorio di autorizzazione
preventiva da parte dellistituzione comunitaria competente, la Commissione ed eccezionalmente il
Consiglio.
Lart. 107 TFUE contiene tale principio dincompatibilit degli aiuti, che sostanzialmente un
divieto di erogare aiuti che non siano dichiarati preventivamente compatibili con il mercato
comune. Nello stesso art. ai paragrafi 2 e 3 sono prefigurate le ipotesi di deroghe al principio
dincompatibilit, alcune applicabili ipso iure, altre in forza di una valutazione ampiamente
discrezionale della Commissione. Lart. 108 disciplina la procedura di controllo preventivo della
compatibilit degli aiuti nuovi, nonch la procedura di controllo permanente sugli aiuti esistenti.
183

[Digitare il titolo del documento] ed.)


Infine, lart. 109 prefigura il potere del Consiglio di fissare in via generale, con regolamento, le
condizioni per lapplicazione dellart. 108, nonch le categorie di aiuti che possono essere dichiarati
compatibili.
Solo tardivamente il Consiglio ha esercitato questa competenza, adottando il regolamento n. 994/98
sullapplicazione degli artt. 87 e 88 (oggi artt. 107 e 108 TFUE) a determinate categorie di aiuti di
Stato orizzontali ed il regolamento n. 659/99 sullapplicazione dellart. 108 TFUE. I 2 regolamenti
del Consiglio riconducono il processo di produzione della normativa di dettaglio allinterno di un
pi appropriato quadro istituzionale. Infatti, per circa 30 anni la definizione di tali norme era di
competenza della sola Commissione. Invece, i regolamenti del Consiglio del 1998 e del 1999
riaffermano lesigenza che il processo di produzione delle norme di diritto derivato non sia
unicamente affidato ai soli atti di soft low della Commissione, ma avvenga con atti regolamentari in
senso stretto, assunti dal Consiglio (previa consultazione del PE). In tale prospettiva, il regolamento
994/98 abilita la Commissione ad adottare appositi regolamenti di esecuzione finalizzati a
disciplinare alcuni interventi di sostegno pubblico delleconomia.
Nel 2008, la Commissione, con la delega conferita dal Consiglio, ha adottato il regolamento
generale di esenzione per categoria n. 800/2008 che in parte sostituisce precedenti regolamenti e in
parte introduce nuove categorie di aiuto esentabili:
tra le categorie che non beneficiavano dellesenzione ci sono: gli aiuti per la tutela ambientale,
gli aiuti per linnovazione, la ricerca e lo sviluppo a favore delle grandi imprese, gli aiuti sotto
forma di capitale di rischio e gli aiuti per le imprese di nuova creazione da parte di imprenditrici
donne;
tra le categorie gi disciplinate da precedenti regolamenti sono previsti: gli aiuti a favore di PMI,
gli aiuti per la ricerca e lo sviluppo delle PMI, gli aiuti per loccupazione e la formazione, gli aiuti a
finalit regionale.
Il regolamento 659/99 procede ad un riordino organico dei principi e regole procedurali, enunciando
allinterno di un atto normativo una disciplina che precedentemente trovava la sua fonte
essenzialmente nella prassi della Commissione e nella giurisprudenza della Corte, che stata in
gran parte recepita nel regolamento del Consiglio. Tuttavia limportanza di questi atti normativi del
Consiglio non deve portare a sottovalutare il grande ruolo svolto dalla Commissione e dal giudice
dellUnione, che hanno saputo dare concreta attuazione alle disposizioni del Trattato in materia di
aiuti di Stato. Tale dinamicit ha investito i 3 momenti principali del regime comunitario degli aiuti
di Stato: la nozione rilevante di aiuto, la disciplina delle deroghe al divieto e la procedura di
controllo di compatibilit con il mercato comune.
5. LA NOZIONE DI AIUTO OGGETTO DEL DIVIETO GENERALE
Lart. 107 fin troppo chiaro: sono incompatibili con il mercato comune, nella misura in cui
incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, oppure mediante risorse statali,
sotto qualsiasi forma che, favorendo alcune imprese o alcune produzioni, falsino o minaccino di
falsare la concorrenza. Dunque la nozione rilevante di aiuto molto ampia; in essa si comprende
ogni vantaggio economicamente apprezzabile attribuito ad unimpresa con un intervento pubblico,
che altrimenti non si sarebbe realizzato. Ne consegue che rientra nella nozione di aiuto rilevante
qualsiasi misura che direttamente o indirettamente produca per limpresa un beneficio economico. Il
Trattato non distingue gli interventi a seconda della loro causa o del loro scopo, ma li definisce in
funzione dei loro effetti, cos come irrilevante che la posizione giuridico-economica del
beneficiario dellaiuto abbia subito unevoluzione in meglio o in peggio, mentre necessario
verificare che la misura abbia favorito soltanto alcune imprese o alcune produzioni e non sia
giustificata dalla natura della misura o dalla portata generale del sistema in cui si inserisce. La
forma dellaiuto indifferente anche in quanto latto che dispone lerogazione dellaiuto pu essere
sia una legge che un atto amministrativo. La logica del sistema stata riassunta nel parametro del
normale investitore privato e delle normali condizioni di mercato. In breve, il controllo si rileva
184

[Digitare il titolo del documento] ed.)


necessario e pu portare alla dichiarazione dincompatibilit quando lapporto pubblico, che si
manifesta con lassunzione di partecipazioni nellimpresa, non corrisponde a quello di un
investitore privato che conferisca capitale in normali condizioni di uneconomia di mercato. La
Corte ha ribadito la necessit di accertare se un apporto di capitale sia avvenuto in circostanze che
corrispondono alle normali condizioni di uneconomia di mercato e se nelle stesse circostanze un
investitore di pari dimensioni avrebbe effettuato conferimenti della stessa consistenza. Inoltre, la
Corte ha precisato che il comportamento dellinvestitore pubblico deve almeno corrispondere a
quello di un gruppo imprenditoriale privato che persegue una politica strutturale, globale o
settoriale, guidato da prospettive di redditivit a pi lungo termine. Nella prassi pi recente, il
criterio dellinvestitore in uneconomia di mercato stato ulteriormente affinato dalle istituzioni
comunitarie, e soprattutto dalla Commissione, che ha generalmente riconosciuto lesigenza di
unapprofondita e complessa analisi economica per poter qualificare un intervento in capitale delle
pubbliche autorit in unimpresa pubblica come un aiuto di Stato. Al riguardo, rileva la prassi della
Commissione in materia di ristrutturazione di istituti bancari e di compagnie aeree in difficolt, da
cui emerge che la natura di aiuto di un determinato intervento pubblico va valutata tenendo presente
una serie di elementi, quali: il tasso di rischio dellinvestimento; le prospettive di sviluppo del
settore; le valutazioni dei principali operatori del settore.
Criteri analoghi vengono applicati nellipotesi di operazioni di privatizzazione di imprese
pubbliche; infatti, in questi casi la Commissione verifica:
- che la privatizzazione non si accompagni ad interventi finanziari dellazionista pubblico
volti a riequilibrare la situazione patrimoniale e finanziaria dellimpresa ceduta e non
coerenti con i comportamenti che avrebbe avuto un azionista privato interessato alla
dismissione di una propria impresa;
- che il prezzo di cessione rifletta correttamente il valore delle attivit privatizzate e non
comporti pertanto un indebito vantaggio per il soggetto acquirente. Inoltre, la Commissione
si riserva di controllare che i processi di privatizzazione si svolgano in conformit a tali
principi.
Sempre con riferimento al rapporto tra lo Stato e le imprese pubbliche sono state adottate alcune
normative per assicurarne la trasparenza. La prima direttiva del 1980, allo scopo di mantenere
luguaglianza tra imprese pubbliche e private, imponeva agli Stati membri di comunicare
periodicamente i dati relativi alle relazioni con le imprese pubbliche. In seguito, la Commissione ha
integrato questa direttiva, soprattutto in vista delle esigenze collegate ai processi di liberalizzazione
e/o di privatizzazione. Ne risultavano precisati gli obblighi di comunicazione alla Commissione, gli
obblighi di separazione almeno contabile per le attivit di imprese pubbliche distinte da quelle
connesse a servizi di interesse generale, nonch la posizione particolare degli enti creditizi pubblici.
Infine, tale disciplina ha trovato una sistemazione nella direttiva della Commissione n. 2006/111,
che ha codificato i testi precedenti.
Il principio di trasparenza assume particolare rilievo nellipotesi in cui si tratti di valutare se le
compensazioni finanziarie accordate dallo Stato ad imprese esercenti servizi di interesse economico
generale siano proporzionate a quanto necessario allo svolgimento della missione di interesse
generale affidata a queste imprese. Inizialmente la giurisprudenza aveva stabilito che spettasse solo
agli Stati membri definire obiettivi, portata e modalit di funzionamento dei pubblici servizi; in
seguito, ha modificato il suo orientamento, escludendo gi dalla nozione di aiuto lipotesi di
erogazione di risorse pubbliche a esclusivo compenso degli oneri aggiuntivi di servizio pubblico, in
quanto inidonea a favorire limpresa beneficiaria e ad alterare le condizioni concorrenziali (c.d.
criterio della compensazione). La stessa Corte ha precisato meglio il suo orientamento nella
sentenza Altmark, in particolare sulle condizioni che devono ricorrere, sotto il controllo del giudice
nazionale, perch la compensazione degli oneri di servizio pubblico possa sottrarsi alla
qualificazione di aiuto, principalmente:
a) limpresa beneficiaria deve effettivamente essere stata incaricata dellassolvimento di
obblighi di servizio pubblico;
185

[Digitare il titolo del documento] ed.)


b) i criteri di calcolo della compensazione devono essere determinati in via generale,
preventiva e trasparente;
c) la compensazione non deve eccedere quanto necessario per coprire i costi;
d) quando la scelta dellimpresa non sia stata operata con procedura di appalto pubblico, la
compensazione deve essere determinata sulla base dei costi di unimpresa media, gestita in
modo efficiente.
A tale giurisprudenza si adeguata anche la Commissione con ladozione della decisione del 2005
sugli aiuti sotto forma di compensazione per gli obblighi di servizio pubblico, che sottrae
allobbligo di notifica preventiva gli aiuti, qualora sussistano cumulativamente le condizioni
stabilite dalla stessa.
Per quanto riguarda lorigine dellaiuto, esso deve poter essere imputato allo Stato. Limputabilit
sicura quando laiuto sia stato concesso da un ente pubblico o direttamente dallamministrazione,
ma anche da un soggetto privato sottoposto a controllo pubblico.
La giurisprudenza stata meno lineare sul fatto se laiuto debba anche essere a carico dello Stato.
La Corte ha seguito un criterio di verifica caso per caso, valutando se il risultato fosse riferibile al
comportamento dello Stato, se lente erogatore fosse completamente indipendente oppure agisse
sotto il controllo o le direttive dei pubblici poteri. In seguito, la giurisprudenza apparsa pi
generosa nella qualificazione come aiuto di certe misure: ad es., un sussidio di solidariet per gli
imprenditori agricoli stato considerato aiuto per il controllo esercitato dallo Stato sugli atti
dellistituto bancario le cui eccedenze di bilancio erano utilizzate per il sussidio.
La Corte poi tornata sulle sue posizioni, limitando la nozione di aiuto alla sola ipotesi che i
vantaggi siano accordati direttamente o indirettamente con risorse dello Stato e che costituiscano un
onere per lo Stato o per organismi da esso designati: cos ad es., stato ritenuto che non costituisse
un aiuto linstaurazione di uno speciale regime giuridico per le Poste Italiane Spa per la conclusione
di contratti di lavoro a tempo determinato in deroga alla disciplina di diritto comune, in quanto il
beneficio derivante da tale regime speciale non era finanziato con risorse dello Stato.
In definitiva, sono 2 i presupposti della nozione di aiuto ai sensi dellart. 107 TFUE sotto il profilo
dellorigine dellaiuto:
1) deve trattarsi di risorse statali, cio strumenti finanziari che siano nella disponibilit delle
autorit pubbliche per essere destinate a sostenere le imprese, anche se non restano
permanentemente nel patrimonio nello Stato;
2) la misura deve essere imputabile allo Stato o ad una sua articolazione.
Beneficiario dellaiuto deve essere unimpresa, cio qualsiasi entit che eserciti unattivit
economicamente rilevante e sia presente nel mercato dei beni o dei servizi. Dunque, la disciplina
degli aiuti investe tutte le imprese, pubbliche e private; mentre ne sono esclusi gli enti che non
esercitano attivit economiche, ad es. gli enti di ricerca, le Universit o le scuole di formazione.
Condizione della rilevanza dellaiuto che favorisca alcune imprese o alcune produzioni rispetto ad
altre che si trovino nella stessa situazione giuridica, circostanza che si riassume nel presupposto
della selettivit. Viceversa non rientrano nella nozione di aiuto le misure generali di politica
economica dirette a sostenere non una certa attivit o un gruppo di imprese, bens lo sviluppo e
lequilibrio del sistema nel suo insieme. Tuttavia, va precisato che il criterio della specificit
dellaiuto va inteso in modo ampio; infatti, in pratica occorre di volta in volta verificare se la misura
pu essere giustificata in base ad una logica di sviluppo del sistema economico nel suo insieme
oppure rappresenti una deviazione rispetto allassetto del sistema, diretta a ridurne gli oneri
finanziari a vantaggio di specifici attori. La valutazione degli effetti dellaiuto sugli scambi e sulle
condizioni di concorrenza facilitata dalla presunzione che in ogni caso un aiuto produce effetti
distorsivi. Rinforzare la posizione di unimpresa sul mercato, consentendole costi e prezzi minori e
dunque una quota di mercato diversa e pi alta, va a pregiudizio delle imprese pi competitive.
Inoltre, laiuto alimenta la cultura dellassistenzialismo, fino a disabituare limprenditore alla sana
concorrenza. Quanto allincidenza sugli scambi, occorre una valutazione dellinsieme degli scambi
cui partecipa limpresa beneficiaria, anche quando la stessa operi in pi settori e laiuto investa uno
186

[Digitare il titolo del documento] ed.)


solo dei prodotti. Inoltre, possibile che il beneficio finanziario manifesti i suoi effetti sugli scambi
anche quando il beneficio operi solo sul mercato interno, in quanto ci pu determinare una
maggiore difficolt di penetrazione delle imprese del settore operanti in altri Paesi dellUE. In
definitiva, escluso dalla nozione rilevante solo laiuto che investe un prodotto o un servizio per i
quali non siano neppure ipotizzabili scambi nellUnione. Infine, anche in materia di aiuti di Stato
vale il criterio de minimis: infatti, di fronte alla pretesa di utilizzare gli stessi criteri adottati in
materia di accordi tra imprese, stato affermato che la scarsa consistenza dellaiuto o la dimensione
modesta dellimpresa beneficiaria non possono far escludere a priori la possibilit che siano
influenzati gli scambi tra Paesi membri. Ci ha trovato conferma sia nella giurisprudenza, sia nella
prassi della Commissione che stata avallata dal Consiglio col regolamento n. 994/98 su
determinate categorie di aiuti orizzontali. La Commissione ha modificato il criterio de minimis, nel
regolamento n. 69/2001, poi sostituito dal regolamento n. 1998/2006, per cui gli aiuti che nellarco
di 3 anni non superano i 200.000 sono dispensati dallobbligo di notifica.
6. LE DEROGHE AL PRINCIPIO DINCOMPATIBILIT
Lart. 107 prefigura le deroghe al principio generale dincompatibilit degli aiuti di Stato. La prima
riguarda gli aiuti che il Trattato configura come compatibili e che dunque applicabile de jure; ci
si verifica in 2 ipotesi:
1) rispetto agli aiuti di natura sociale (ad es. una riduzione di prezzi) concessi ai singoli
consumatori, purch non vi sia discriminazione sullorigine dei prodotti;
2) rispetto agli aiuti per rimediare ai danni causati da calamit naturali.
Il Trattato prevede una 3 ipotesi, concernente gli aiuti a certe regioni tedesche per compensare gli
svantaggi economici provocati dalla divisione della Germania. Al riguardo la Corte ha chiarito che
tale previsione ancora applicabile, non essendo stata abrogata dopo la riunificazione della
Germania. In base alla nuova formulazione dellart. 107, n. 2, lett. c, il Consiglio ha il potere di
abrogare, su proposta della Commissione, tale deroga dopo 5 anni dallentrata in vigore del Trattato
di Lisbona. Pi rilevanti sono le deroghe prefigurate al par. 3 dellart. 107, la cui applicazione
sottoposta alla valutazione discrezionale della Commissione o del Consiglio, consistenti in 4
ipotesi:
a) aiuti per lo sviluppo di regioni con tenore di vita anormalmente basso o grave
disoccupazione, nonch delle regioni di cui allart. 349, tenuto conto della loro situazione
strutturale, economica e sociale;
b) aiuti per la realizzazione di un progetto di comune interesse europeo o per rimediare a un
grave turbamento delleconomia in uno Stato membro;
c) aiuti per lo sviluppo di alcune attivit o alcune regioni, purch non alterino le condizioni
degli scambi in misura contraria al comune interesse;
d) aiuti destinati alla cultura e alla conservazione dei beni culturali, sempre che non alterino le
condizioni degli scambi e della concorrenza.
C poi una 5 ipotesi, residuale, di categorie di aiuti identificati dal Consiglio.
La prassi della Commissione ha individuato veri e propri criteri di compatibilit, realizzando una
disciplina degli aiuti statali che si articola su 3 ipotesi:
gli aiuti regionali,
gli aiuti settoriali,
gli aiuti orizzontali.
Essa ispirata a 2 principi di carattere generale ai fini della valutazione di compatibilit:
1) il principio della contropartita
2) il principio della trasparenza
Il principio della contropartita (compensatory justification), formulato nel caso Philip Morris dalla
Commissione e confermato poi dalla Corte, comporta anzitutto che un aiuto va valutato dal punto di
vista comunitario piuttosto che nazionale o dellimpresa beneficiaria. Laiuto potr considerarsi
187

[Digitare il titolo del documento] ed.)


compatibile quando non sia possibile diversamente realizzare lobiettivo dinteresse comune in
funzione del quale stabilita la deroga. Pertanto, la Commissione non potr autorizzare aiuti che
non siano necessari e proporzionati rispetto allinteresse comune perseguito. [Ad es., non pu
considerarsi compatibile con il mercato comune un aiuto x nuovi investimenti redditizi quando
limpresa avrebbe sufficienti mezzi propri per realizzarli o quando si tratti di aiuti c.d. operativi o di
funzionamento, cio non finalizzati a ridurre costi o cmq ad elevare la competitivit ma solo a far
fronte a costi eccessivi (e perdite) di esercizio.]
Il principio della trasparenza impone che la natura e la portata dellaiuto rispetto agli scambi
intracomunitari ed alla concorrenza devono poter essere verificati sulla base di tutti gli elementi
necessari: la consistenza, lobiettivo, la forma, i mezzi finanziari, le ragioni di compatibilit.
Tra le ipotesi di deroga al principio dincompatibilit sono di grande rilievo quelle che riguardano
gli aiuti regionali, previsti nellart. 107, n. 3. Lobiettivo perseguito non di limitare gli aiuti
regionali, ma di razionalizzarli, scoraggiando per quanto possibile una corsa incontrollata e
unilaterale dei singoli Paesi membri a indirizzare investimenti nelle regioni meno favorite.
I parametri di compatibilit di tali aiuti sono principalmente:
a) il rapporto con il livello occupazionale e con la specificit regionale;
b) le ripercussioni settoriali dellaiuto;
c) e la trasparenza.
In particolare, per quanto riguarda:
la deroga di cui alla lett. a) dellart. 107, par. 3, stato adottato un parametro di sfavore
delle regioni, basato sul PIL in rapporto al potere di acquisto per abitante; anche se il livello
di riferimento quello dellUnione. Nelle regioni aventi un parametro molto alto, quindi pi
sfavorite, sono consentiti aiuti secondo il massimale pi elevato e persino aiuti al
funzionamento;
la deroga di cui alla lett. c), invece, consente di dichiarare incompatibili aiuti destinati a
correggere gli squilibri regionali allinterno di un Paese membro, anche se la situazione
economica complessiva superiore alla media comunitaria.
Con riferimento agli aiuti regionali, secondo il regolamento del Consiglio n. 994/98 la
Commissione pu dichiarare, con un suo regolamento, che sono compatibili col mercato comune e
non soggetti allobbligo di notifica ex art. 108, par. 3, gli aiuti che rispettano la mappa approvata
dalla Commissione per ciascuno Stato membro per lerogazione degli aiuti regionali; su tali basi la
stessa Commissione ha adottato il regolamento n. 1628/2006, relativo allapplicazione degli art.
107 e 108 agli aiuti di Stato per investimenti a finalit regionali, ora sostituito dal regolamento
generale di esenzione per categoria n. 800/2008.
Molto importanti sono anche le deroghe concesse dalla Commissione sulla base degli
Orientamenti sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficolt. In
particolare, secondo tali Orientamenti, gli aiuti per il salvataggio possono essere autorizzati solo in
casi eccezionali connotati da gravi difficolt sociali e semprech:
- siano concessi sotto forma di garanzia di crediti o di crediti rimborsabili gravati da un tasso
di interesse equivalente a quello di mercato;
- siano limitati a quanto necessario per mantenere limpresa in attivit;
- lo Stato membro si impegni a presentare alla Commissione, entro 6 mesi, un piano di
ristrutturazione, un piano di liquidazione o la prova che il prestito stato integralmente
rimborsato e/o la garanzia stata revocata;
- non producano effetti negativi di spillover (impennata dei prezzi di alcuni prodotti) in altri
Stati membri.
Lautorizzazione, una tantum, degli aiuti per la ristrutturazione, invece, necessariamente
subordinata alla realizzazione di un piano di ristrutturazione approvato dalla Commissione, che
permetta di ripristinare lefficienza economico-finanziaria a lungo termine dellimpresa entro un
lasso di tempo ragionevole e sulla base di ipotesi realistiche circa le condizioni operative future.
188

[Digitare il titolo del documento] ed.)


Sono coperti dal regolamento di esenzione per categoria n. 800/2008:
1) gli aiuti per la tutela ambientale,
2) gli aiuti per linnovazione, la ricerca e lo sviluppo a favore delle grandi imprese;
3) gli aiuti sotto forma di capitale di rischio;
4) gli aiuti per le imprese di nuova creazione da parte di imprenditrici donne;
5) gli aiuti a favore di PMI;
6) gli aiuti per la ricerca e lo sviluppo delle PMI;
7) gli aiuti per loccupazione e la formazione;
8) gli aiuti a finalit regionale.
7. LA PROCEDURA DI CONTROLLO DI COMPATIBILIT DEGLI AIUTI
La procedura di controllo degli aiuti, disciplinata dallart. 108 TFUE, ha trovato nella
giurisprudenza della Corte e nella prassi della Commissione una pi compiuta definizione. Il
regolamento n. 659/99, recante modalit di applicazione dellart. 88 del Trattato (c.d. regolamento
di procedura), ha sostanzialmente recepito e codificato la prassi applicativa delle istituzioni
comunitarie.
Anzitutto, la funzione del controllo di evitare che laiuto venga posto in essere e produca eventuali
effetti prima che ne sia verificata la compatibilit comunitaria. Infatti, lart. 108, n.3, pone il
duplice obbligo a carico degli Stati membri:
a) di informare la Commissione del progetto di aiuto o di modifica dello stesso: lobbligo c.d.
di notifica;
b) di non dare corso al progetto di aiuto prima che ne sia dichiarata la compatibilit allesito del
controllo da parte della Commissione: lobbligo di standstill, cio di sospensione
dellerogazione dellaiuto prefigurato nella legge o nellatto amministrativo nazionali.
La Commissione ha peraltro adottato un regolamento di applicazione del regolamento n. 659/99
che:
- prevede lintroduzione di un modello di notifica unificato, integrato da schede di
informazione complementari concernenti settori o tipi diversi di aiuto;
- fissa i criteri per il calcolo dei termini della procedura in materia di aiuti e per la fissazione
dei tassi di interesse per il recupero degli aiuti illegali;
- contempla la possibilit di aumentare del 20% la dotazione per i regimi autorizzati e di
prorogarli di 6 mesi.
Infine, dal 1 gennaio 2006, stata imposta agli Stati la notifica unicamente per via elettronica,
salvo diverso accordo con la Commissione.
Il divieto per gli Stati membri di attuare il provvedimento che dispone laiuto provvisto di effetto
diretto e la sua violazione si esaurisce in un vizio dellatto che istituisce laiuto o ne dispone
lerogazione. Pertanto, un singolo che subisca un pregiudizio dallaiuto conferito prematuramente
ad unimpresa, magari sua concorrente, pu far valere direttamente dinanzi al giudice nazionale,
alloccorrenza in via cautelare, il contrasto col diritto dellUE dellatto legislativo o amministrativo
che lo ha istituito quando ne consenta o ne disponga lerogazione prima dellesito del controllo, a
meno che la misura non rientri nellambito di applicazione di un regolamento di esenzione per
categoria. In ogni caso, il singolo pu far valere lillegittimit degli atti di esecuzione del
provvedimento, quando precedano lesito del controllo di compatibilit eseguito dalla
Commissione. Tale controllo preventivo dellistituzione dellUnione una condizione legale di
efficacia, per giunta con effetti costitutivi, del provvedimento nazionale che istituisce laiuto;
provvedimento che non potr essere applicato dal giudice e/o dallamministrazione prima della
decisione della Commissione. In definitiva, obbligo di notifica e obbligo di sospensione mirano a
salvaguardare lefficacia del sistema di controllo sulla compatibilit dellaiuto attribuito alla
competenza esclusiva della Commissione; pertanto, anche quando lo Stato sia convinto della
compatibilit dellaiuto, non pu lasciare inapplicate le disposizioni di cui allart. 108. Il giudice
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nazionale, se chiamato a verificare il rispetto dellart. 108, n. 3, deve tutelare i singoli rispetto
allobbligo previo di notifica dellaiuto e del divieto di erogazione in mancanza di notifica, a ci
non ostando leventuale avvio della procedura di verifica della compatibilit dellaiuto da parte
della Commissione. Ai fini della decisione, il giudice potr accertare previamente la sussistenza di
un aiuto, con la possibilit di operare un rinvio pregiudiziale alla Corte in caso di dubbio
interpretativo su tale nozione. Al contrario, n il giudice nazionale, n la Corte eventualmente
investita di un quesito pregiudiziale limitatamente alla sussistenza dellaiuto in funzione
dellosservanza dellart. 108, n.3, sono competenti a valutare nel merito la compatibilit dellaiuto,
valutazione che spetta in prima battuta esclusivamente alla Commissione, sotto il controllo della
Corte.
Al riguardo, significativo stato il caso Lucchini concernente un aiuto illegittimo perch erogato
prima che la Commissione si pronunciasse sulla sua compatibilit e in seguito dichiarato anche
incompatibile col mercato comune, ma la cui legittimit e compatibilit erano state affermate da una
sentenza passata in giudicato perch non impugnata. La richiesta del governo italiano di restituzione
delle somme veniva contestata dallimpresa e, su rinvio pregiudiziale del Consiglio di Stato, la
Corte di giustizia ha affermato lobbligo di disapplicare lart. 2909 del cod. civ. italiano che
sancisce lautorit di cosa giudicata.
Il giudice nazionale resta peraltro libero di verificare la legittimit della misura rispetto a
disposizioni del Trattato diverse da quelle in materia di aiuti.
Linosservanza dellobbligo di notifica e/o di sospensione dellerogazione dellaiuto determina la
sua illegittimit insanabile; viceversa, non ne determina di per s lincompatibilit sostanziale col
mercato comune. Restano in ogni caso viziati gli atti relativi ad un aiuto non notificato o comunque
erogato senza attendere lesito del controllo comunitario, infatti leventuale decisione di
compatibilit della Commissione ha rigorosamente unefficacia ex nunc: ne consegue che,
indipendentemente dallesito positivo o negativo del controllo, il vizio dellaiuto prematuro rimane
rilevante ad ogni effetto, compreso quello delleventuale recupero dei benefici illegittimamente
attribuiti.
Viceversa, la violazione dellart. 108, n.3, non influisce in alcun modo sul merito, dunque sulla
valutazione della compatibilit dellaiuto col mercato comune ai sensi e per gli effetti di cui allart.
107. La pretesa della Commissione di considerare di per s illegittimi gli aiuti eseguiti in violazione
dellobbligo di notifica e/o di standstill, senza bisogno di seguire la procedura di controllo, stata
respinta dalla Corte, con la conseguenza che la Commissione ha lobbligo di procedere in ogni caso
alla verifica della compatibilit dellaiuto.
A seguito della mancata notifica o dellerogazione prematura dellaiuto:
la Commissione pu intimare allo Stato in via provvisoria di sospendere lerogazione e
fornire tutti i dati necessari per la valutazione di compatibilit: se lo Stato ottempera
allingiunzione si aprir la procedura di controllo;
in caso contrario, la Commissione proceder alla valutazione sulla base degli elementi in suo
possesso ed eventualmente disporr il recupero delle somme versate: alloccorrenza potr
ricorrere direttamente alla Corte, con una variante semplificata della procedura dinfrazione,
considerata lurgenza e i particolari problemi che gli aiuti pubblici determinano per la
concorrenza nel mercato comune.
La procedura di controllo sulla compatibilit dellaiuto con il mercato comune si pu articolare in 2
fasi, e precisamente:
1) la 1 fase consiste in un esame preliminare del progetto daiuto, notificato alla
Commissione o di cui in altro modo essa sia venuta a conoscenza. Lo scopo individuare
con ragionevole rapidit le misure che sono compatibili e quelle che sollevano dubbi e
quindi richiedono unindagine pi approfondita. Quando la Commissione non convinta
della compatibilit dellaiuto e incontra difficolt nella sua verifica, tenuta ad aprire la
seconda fase. La decisione che chiude la fase preliminare pubblicata nella GU (serie C): da
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sempre pubblicata la decisione di aprire la procedura di controllo, da qualche anno anche
quella di non sollevare obiezioni sullaiuto;
2) la 2 fase consiste in una verifica approfondita della natura e delle implicazioni del
progetto di aiuto, accompagnata da garanzie di pubblicit e di rito molto rigorose. Infatti il
1 atto una comunicazione della Commissione sullaiuto, pubblicata nella GU: in essa si
invitano i terzi interessati a presentare eventuali osservazioni. Scopo di tale fase di
consentire allo Stato erogatore, agli altri Stati membri ed alle imprese interessate di
manifestare il loro punto di vista su misure economiche che incidono sui loro interessi.
La scarsa trasparenza e soprattutto la finalit della fase preliminare richiedono che la decisione della
Commissione di non sollevare obiezioni e pertanto di non aprire la procedura formale di
controllo, sia limitata rigorosamente allipotesi di compatibilit manifesta dellaiuto. Infatti, in tal
caso lapertura della procedura rituale e + complessa di cui allart. 108, n. 2, potrebbe rivelarsi non
solo superflua ma addirittura dannosa. Quando, viceversa, la compatibilit dellaiuto non appare
manifesta alla 1 lettura, la Commissione tenuta ad aprire la procedura formale: infatti, solo questa
procedura garantisce la tutela dei legittimi interessi dei concorrenti dellimpresa beneficiaria e la
conoscenza di tutti gli elementi necessari ad una valutazione completa degli effetti comunitari
dellaiuto. In particolare, la Commissione ha un vero e proprio obbligo di iniziare il procedimento
di controllo ex art. 108, n. 2, quando non si riveli agevole valutarne la compatibilit.
Questo regime si riferisce agli aiuti nuovi, cio decisi ex novo. Diverso il regime degli aiuti
esistenti, cio quelli istituiti precedentemente allentrata in vigore del Trattato o quelli
esplicitamente o implicitamente autorizzati dalla Commissione. Il Regolamento 659/99 ha previsto
una definizione pi analitica delle categorie di aiuti esistenti.
Con riferimento agli aiuti esistenti, lart. 108, n. 1, prefigura un esame permanente della
Commissione che pu, in un 2 momento, proporre allo Stato membro degli aggiustamenti e,
alloccorrenza, aprire nuovamente la procedura in contraddittorio prevista dallart. 108, n. 2. La
differenza di procedura di controllo degli aiuti esistenti fondamentale: per tutta la durata della
procedura di controllo, diversamente da quanto prescritto per il periodo di attesa della decisione
della Commissione imposto agli Stati per gli aiuti nuovi, lo Stato pu continuare ad erogare laiuto
gi esistente ed autorizzato. Lulteriore conseguenza che lavvio della procedura di controllo di un
aiuto nuovo, in quanto produttiva di effetti giuridici perch preclusiva dellerogazione,
impugnabile.
Quando la Commissione dichiara laiuto incompatibile con il mercato comune allesito della
procedura di cui allart. 108, par. 2, essa ne pu imporre allo Stato membro la soppressione o
prescrivere determinate modificazioni al progetto notificato. Se laiuto stato in tutto o in parte
erogato, la Commissione pu imporre allo Stato membro di esigerne la restituzione, che ha dunque
lo scopo di eliminare la distorsione di concorrenza causata dallaiuto illegittimo.
Sulle difficolt nel recupero, la giurisprudenza chiara: anzitutto, vale il principio di applicazione
generale secondo cui lo Stato non pu opporre a giustificazione del proprio inadempimento
disposizioni, pratiche o situazioni interne. Di recente, la Corte s spinta a dichiarare che il recupero
dellaiuto in contrasto con il diritto comunitario e la cui incompatibilit con il mercato comune sia
stata dichiarata con decisione della Commissione divenuta definitiva non possa essere ostacolato
dalla presenza di uneventuale sentenza passata in giudicato.
In 2 luogo, specificatamente in materia di recupero degli aiuti incompatibili, stato + volte ribadito
che pu essere presa in considerazione esclusivamente unimpossibilit assoluta di eseguire
correttamente la decisione. In ogni caso, quando lo Stato incontri delle difficolt, dovr consultare
la Commissione e con essa convenire eventuali rimedi, anche in funzione del dovere di
collaborazione di cui allart. 4 TUE.
Gli aiuti illegittimi, perch in contrasto con lart. 108, n. 3, del Trattato, possono essere assoggettati
ad un obbligo di restituzione; inoltre, la dichiarazione di compatibilit della Commissione non sana
la pregressa violazione procedurale, cos anche in tal caso i giudici nazionali possono disporne il
rimborso.
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Il recupero dellaiuto deve realizzarsi con i mezzi e le procedure vigenti negli Stati membri, sempre
che esso non sia impossibile. [Ad es., se limpresa beneficiaria dellaiuto illegittimo nel frattempo
sottoposta a fallimento, lo Stato deve iscrivere il credito corrispondente al passivo e attivare i mezzi
a disposizione dei creditori in simili situazioni. Al capitale da recuperare vanno aggiunti gli
interessi, secondo un tasso stabilito dalla Commissione, a partire dalla data in cui il beneficiario ne
ha avuto la disponibilit e fino alla data del recupero. Se limpresa beneficiaria dellaiuto stata nel
frattempo venduta al prezzo di mercato, dunque ad un prezzo che include il valore aggiunto
dellaiuto, non al compratore che deve chiedersi la restituzione ma ancora al beneficiariovenditore.] La giurisprudenza ha anche precisato che lo Stato membro e/o limpresa beneficiaria
possono far valere il legittimo affidamento sulla regolarit dellaiuto solo quando sia stato concesso
nel pieno rispetto delle procedure di cui allart. 108. Il regolamento n. 659/99 ha introdotto (art. 15)
un termine di prescrizione di 10 anni ininterrotti per lesercizio dei poteri della Commissione sul
recupero degli aiuti illegittimi, trascorso il quale, laiuto sar qualificato come aiuto esistente.

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