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PARTE PRIMA
IL SISTEMA GIURIDICO DELLUNIONE EUROPEA
CAPITOLO 1
LA STRUTTURA ISTITUZIONALE
1. LE ISTITUZIONI DELLUNIONE
Il Trattato di Lisbona ha ridisegnato il quadro istituzionale dellUE, con lobiettivo di
promuoverne i valori, perseguirne gli obiettivi, servire i suoi interessi, quelli dei suoi cittadini e
quelli degli Stati membri, garantirne la coerenza, lefficacia e la continuit delle sue politiche e delle
sue azioni (art. 13, n. 1, TUE). Nel nuovo assetto sono qualificate istituzioni dellUnione:
1. il Parlamento;
2. il Consiglio europeo;
3. il Consiglio;
4. la Commissione;
5. la Corte di giustizia dellUnione;
6. la Corte dei conti;
7. la Banca centrale europea (art. 13, n. 1, TUE).
In questa cornice sono state introdotte nuove figure, in particolare il Presidente del Consiglio
europeo e lAlto rappresentante dellUnione per gli affari esteri e per la politica di sicurezza.
Accanto alle istituzioni operano anche altri organismi:
alcuni menzionati dai trattati (Comitato economico e sociale, Comitato delle regioni);
altri (in particolare le agenzie europee) creati con atti delle istituzioni sulla base della
c.d. clausola di flessibilit (art. 352 TFUE).
2. IL PARLAMENTO EUROPEO
Il Parlamento europeo composto dai rappresentanti dei cittadini dellUnione. Esso esercita,
congiuntamente al Consiglio, la funzione legislativa e la funzione di bilancio, nonch funzioni
di controllo politico e consultive alle condizioni stabilite dai trattati; ed elegge il Presidente della
Commissione (art. 14 TUE).
Esso riassume le spinte verso una democratizzazione dei processi decisionali e nello stesso tempo
verso la realizzazione di un livello pi marcato di integrazione, tendenzialmente sul modello di una
struttura di tipo federale. Ne la conferma la continua evoluzione che il Parlamento ha subto nel
corso degli anni, quanto alla composizione e al suo coinvolgimento nel processo decisionale:
soprattutto in materia di bilancio e, pi in generale, con lAtto unico, il Trattato di Maastricht, il
Trattato di Amsterdam e il Trattato di Nizza, nel processo di formazione degli atti, in breve
nellesercizio della funzione legislativa.
Originariamente Assemblea comune, poi Assemblea parlamentare europea, in concomitanza con la
creazione della CEE e dellEuratom, finalmente Parlamento europeo in virt di una sua decisione
del 30 marzo 1962 e poi dellAtto unico, listituzione fu per molti anni composta da membri dei
Parlamenti nazionali, da questi designati, s che la rappresentativit dei popoli riuniti nella
Comunit era indiretta e imperfetta:
indiretta in quanto i parlamentari non venivano eletti direttamente dai cittadini europei,
bens dai rappresentanti di questi ultimi eletti in seno ai rispettivi Parlamenti;
imperfetta in quanto, almeno in alcuni casi, non rifletteva esattamente e
proporzionalmente la presenza di tutte le componenti politiche in seno ai Parlamenti
nazionali.
Prefigurata dai trattati istitutivi, lelezione diretta dei membri del Parlamento fu decisa da un Atto
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CAPITOLO 2
LE NORME
1. LE NORME CONVENZIONALI
Norme primarie del sistema giuridico dellUE sono anzitutto le norme convenzionali, contenute
negli originari trattati istitutivi delle Comunit europee ed in quegli accordi internazionali che
successivamente sono stati stipulati per modificare e integrare i primi. Attualmente vanno
considerate norme primarie:
1. il Trattato sullUE (TUE);
2. e il Trattato sul funzionamento dellUE (TFUE).
Sullo stesso piano vanno poi considerati gli atti posti in essere s dal Consiglio, ma oggetto
anchessi di procedure costituzionali di adattamento nei singoli Stati membri, al pari degli accordi.
Insieme ai principi non scritti, le norme ricordate sono state comunemente riferite alla nozione
alquanto diffusa di Costituzione della Comunit (oggi Unione). Quale che sia lespressione
utilizzata, queste norme regolano in via primaria la vita di relazione allinterno dellUE, creando
situazioni giuridiche soggettive in capo agli Stati membri, alle istituzioni europee e ai singoli.
Inoltre, le stesse norme attribuiscono a loro volta forza e portata normativa agli atti delle istituzioni
dellUnione, che per ci stesso, ponendosi al 2 livello del sistema, formano il diritto europeo
derivato.
Anche se alcune di esse sono state gi richiamate, utile avere un quadro globale sintetico delle
principali normative convenzionali che si sono susseguite nel tempo:
Trattato CECA (Comunit europea del carbone e dellacciaio), firmato a Parigi il 18 aprile
1951, entrato in vigore il 23 luglio 1952, insieme ai Protocolli sullo Statuto della Corte di
giustizia e sui privilegi e le immunit; il Trattato, previsto per una durata di 50 anni, giunto
a scadenza, in base allart. 97, il 23 luglio 2002;
Trattati CEE (Comunit economica europea, poi Comunit europea) e CEEA (Comunit
europea dellenergia atomica o Euratom), firmati a Roma il 25 marzo 1957, entrati in vigore
il 1 gennaio 1958;
Trattato sullUE (TUE), firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1
novembre 1993;
Trattati che hanno successivamente modificato il TUE e i Trattati CE ed Euratom, e cio il
Trattato di Amsterdam e il Trattato di Nizza; nonch i vari trattati di adesione d egli Stati
membri entrati successivamente ai 6 Paesi fondatori;
infine, il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007, entrato in vigore il 1 dicembre
2009, che, oltre a modificare il TUE, ha modificato e sostituito il Trattato CE con il TFUE
(Trattato sul funzionamento dellUE) ed ha attribuito lo stesso valore dei Trattati alla Carta
dei diritti fondamentali, che era stata proclamata a Nizza dal PE, dalla Commissione e dal
Consiglio il 7 dicembre 2000.
In definitiva per avere un quadro chiaro del livello normativo convenzionale posto a fondamento del
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CAPITOLO 3
LA TUTELA GIURISDIZIONALE
1. LA TUTELA GIURISDIZIONALE NEL SISTEMA DELLUNIONE
La complessit del sistema giuridico dellUE ed in particolare lorigine diversa (internazionale,
comunitaria, nazionale) delle norme giuridiche che lo compongono, richiedeva uno sforzo di
sapiente ingegneria giuridica per gestire nel migliore dei modi la relazione tra quelle norme in
funzione della corretta disciplina dei rapporti giuridici rilevanti. Ed infatti la specificit del sistema
dellUnione rispetto ad altre esperienze di cooperazione organizzata tra Stati risiede nel
meccanismo di tutela giurisdizionale che stato realizzato per gestire il rapporto tra norme e
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PARTe seconda
Il mercato interno
CAPITOLO 4
LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
1. LA CENTRALIT DEL MERCATO INTERNO NEL SISTEMA DELLUNIONE.
INTEGRAZIONE NEGATIVA E INTEGRAZIONE POSITIVA
Nel processo di integrazione europea globalmente considerato, la realizzazione di un mercato
interno delle merci e dei fattori della produzione (lavoro, servizi e capitali) ha avuto da sempre un
ruolo centrale. La Corte ha + volte ribadito che gli articoli del Trattato relativi alla libera
circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali sono norme fondamentali per
lUnione ed vietato qualsiasi ostacolo, anche di minore importanza, a detta libert. Lo
conferma, tra laltro, la circostanza che nel linguaggio non tecnico, lespressione mercato comune
viene spesso utilizzata addirittura come sinonimo di UE.
Eppure, lespressione non ha ricevuto una specifica definizione nel Trattato. Ne troviamo una, ma
solo molto + tardi, in una sentenza della Corte di giustizia, dove si rileva che la nozione di
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4. LABOLIZIONE
EQUIVALENTE
DEI
DAZI
DOGANALI
DELLE
TASSE
DI
EFFETTO
Alla base del regime di libera circolazione delle merci allinterno dellUnione c labolizione dei
dazi doganali e delle tasse di effetto equivalente sugli scambi tra i Paesi membri. Questo divieto
imposto dallart. 30 TFUE, che una norma fondamentale del sistema ed provvista di effetto
diretto, nonostante sia rivolta agli Stati e non direttamente ai singoli.
I dazi doganali allesportazione sono stati definitivamente aboliti il 31 dicembre 1961, mentre quelli
allimportazione dovevano essere aboliti nel 1969 (alla fine della fase transitoria), ma lo sono stati
di fatto gi nel luglio dellanno precedente, con una decisione c.d. di accelerazione.
La nozione di tassa di effetto equivalente ad un dazio doganale stata oggetto di una giurisprudenza
molto vasta, che ne ha progressivamente definito gli elementi essenziali. Si pu dire che la tassa di
effetto equivalente quellonere pecuniario che, quale ne sia la denominazione e la struttura,
direttamente o indirettamente collegato allimportazione o allesportazione di un prodotto, anche se
imposto in un momento diverso. In altri termini, si tratta di 1 onere pecuniario che, pur non essendo
un dazio doganale, comporta gli stessi effetti restrittivi sugli scambi, in quanto imposto in ragione
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EQUIVALENTE.
Rilievo centrale nella disciplina del mercato comune delle merci ha il divieto di restrizioni
quantitative degli scambi e di misure di effetto equivalente, che investe sia le importazioni (art.
34 TFUE) che le esportazioni (art. 35 TFUE). In particolare rileva lipotesi delle misure di effetto
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quanto allipotesi di tutela della moralit pubblica, stata riconosciuta allo Stato membro,
ad es., la facolt di proibire limportazione di oggetti indecenti o osceni, sul presupposto che
in via di principio spetta a ciascuno Stato stabilire le esigenze di moralit da soddisfare, in
base alla propria scala di valori e nella forma da esso prescelta. Ma al riguardo stato poi
precisato che uno Stato membro non pu invocare motivi di moralit pubblica per vietare
limportazione di alcuni prodotti (pornografici) provenienti da altri Paesi membri quando nel
suo territorio non esiste un divieto assoluto di fabbricazione e commercializzazione dello
stesso prodotto;
per lipotesi di tutela della pubblica sicurezza, significativo ad es. il caso Campus Oil, in
cui si discuteva di un obbligo imposto agli importatori di prodotti petroliferi di rifornirsi
presso una raffineria nazionale fino ad una certa quota del fabbisogno e a prezzi prestabiliti,
non avendo quella raffineria la possibilit di praticare prezzi competitivi. Lobbligo stato
considerato una misura di effetto equivalente giustificata ai sensi dellart. 36 TFUE, con la
precisazione che la quantit di prodotto interessato al sistema non pu superare n il limite
dellapprovvigionamento minimo corrispondente alla sicurezza del Paese, n il livello
necessario di disponibilit per il caso di crisi.
La salute e la vita delle persone sono al 1 posto tra i beni e gli interessi che lart. 36 TFUE intende
tutelare; e spesso proprio la tutela della salute largomento utilizzato dagli Stati membri per
giustificare la misura di effetto equivalente agli scambi di prodotti farmaceutici o medicinali,
nonch + in generale in tema di controlli dei prodotti importati. In via di principio, ed in assenza di
armonizzazione a livello dellUnione, ciascuno Stato membro pu determinare il livello di tutela
della salute che intende garantire ai propri cittadini. Tuttavia, non si tratta di una discrezionalit
assoluta, restando agli Stati lonere di dimostrare attraverso un test di proporzionalit che il rischio
per la salute effettivo e che la normativa adottata o mantenuta realmente necessaria per tutelare
la salute o la vita delle persone. Lo Stato membro, ad es., libero di subordinare la
commercializzazione di certi prodotti ad autorizzazione e dunque a controlli, quando non vi sia una
disciplina dellUnione al riguardo; ma non pu esigere controlli o prove di laboratorio che siano gi
stati effettuati nel Paese dorigine e i risultati siano verificabili a semplice domanda.
Infine, bisogna ricordare che stata considerata come restrizione incompatibile con la libera
circolazione delle merci e non giustificata una normativa nazionale che escludeva dal rimborso del
sistema previdenziale nazionale la spesa x occhiali se acquistati allestero senza una previa
autorizzazione; in particolare, si escluso che la misura potesse essere giustificata da motivi di
sanit pubblica o dallesigenza di stabilit dellequilibrio finanziario del sistema previdenziale.
14. LE RESTRIZIONI AGLI SCAMBI CONNESSE ALLA TUTELA DELLA PROPRIET
INDUSTRIALE E COMMERCIALE
Infine, lart. 36 TFUE prevede una deroga al divieto di restrizioni alle importazioni o alle
esportazioni quando siano giustificate da motivi che attengono alla tutela della propriet
industriale e commerciale. Questo un settore difficile rispetto al tema della libera circolazione
delle merci, cos come della concorrenza, perch la sua disciplina necessariamente ispirata al
principio della territorialit, che esattamente agli antipodi rispetto allidea di mercato unico. N
lart. 345 TFUE, che in via di principio conserva agli Stati membri la disciplina del regime della
propriet, riesce a sottrarre il settore della propriet sui beni immateriali alle previsioni del Trattato
sulla libera circolazione di merci e servizi e sulla concorrenza.
La propriet intellettuale designa linsieme dei diritti riconosciuti da un ordinamento per la tutela
del brevetto, del marchio, del diritto di autore, dei modelli e dei disegni ornamentali, del diritto di
costituzione di specie vegetali e dei diritti connessi. Minimo comune denominatore di questi diritti
il rinascimento al titolare di facolt esclusive, con effetti erga omnes, in ordine alla produzione e
alla commercializzazione dei beni inerenti al quel diritto. Inoltre, tali facolt esclusive spiegano
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CAPITOLO 5
LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE PERSONE
E DEI CAPITALI
1. LE PERSONE CHE BENEFICIANO DELLA LIBERT DI CIRCOLAZIONE
ALLINTERNO DELLUNIONE
La realizzazione del mercato comune, quale prefigurata dallart. 2 TFUE, implica leliminazione
fra gli Stati membri degli ostacoli, oltre che agli scambi di merci, alla circolazione di persone,
servizi e capitali. In particolare, la libera circolazione delle persone oggetto di un principio
fondamentale destinato a soddisfare, pur sotto diversi aspetti e con diverse modalit, lesigenza di
rendere possibile e agevole per i cittadini dellUnione lesercizio di unattivit, senza riguardo ai
confini nazionali. Dunque le disposizioni del TFUE e quelle degli atti dellUnione che disciplinano
la libera circolazione delle persone perseguono lobiettivo di facilitare ai cittadini dellUnione
lesercizio di attivit lavorative di qualsiasi natura e nellintero territorio dellUnione; quindi
assumono un ruolo centrale nelleconomia del Trattato. Questultimo, peraltro, in origine non ha
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che per le societ la sede sociale, lamministrazione centrale o il centro di attivit principale
valgono a determinare (come la nazionalit per le persone fisiche), il collegamento con
lordinamento giuridico di uno Stato membro;
che le stesse societ hanno il diritto di svolgere la loro attivit anche in altri Stati membri,
attraverso agenzie, succursali o filiali;
che ammettere che lo Stato membro di stabilimento possa applicare un regime diverso ad
una societ per il fatto che la sua sede sia in un altro Stato membro svuoterebbe di contenuto
lart. 54 TFUE.
Il TFUE prevede, peraltro, unimportante eccezione al beneficio della libert di stabilimento con
riguardo alle attivit che nello Stato ospite partecipino, sia pure occasionalmente, allesercizio dei
pubblici poteri (art. 51). In particolare, la Corte ha subito precisato che leccezione non pu avere
una portata che vada al di l dello scopo per la quale stata prevista. Loccasione fu una
controversia che riguardava la professione di avvocato, rispetto alla quale non era mancato chi ne
sosteneva il carattere pubblico e dunque lesclusione in toto dalla sfera di applicazione della
libert di stabilimento. La Corte tenne a precisare che lallora art. 45 del Trattato CE (oggi art. 51
TFUE) consentiva agli Stati membri di precludere laccesso a quelle attivit che ,considerate in se
stesse, costituiscono una partecipazione diretta e specifica allesercizio dei pubblici poteri. Ci
per non si verifica rispetto alle attivit di consulenza ed assistenza legale o della rappresentanza e
della difesa delle parti in giudizio svolte dallo stesso avvocato. Infine, anche in materia di
stabilimento, gli Stati membri sono autorizzati ad applicare le disposizioni nazionali che fissano un
regime particolare per gli stranieri e che sono giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica
sicurezza e sanit pubblica (art. 52 TFUE).
10. LIPOTESI DI STABILIMENTO A TITOLO PRINCIPALE E QUELLA DI
STABILIMENTO A TITOLO SECONDARIO
La libert di stabilimento riguarda sia laccesso alle attivit autonome e al loro esercizio, nonch la
costituzione e la gestione di imprese e in particolare di societ (art. 49, 2 comma, TFUE), sia
lapertura di agenzie, succursali o filiali, da parte di cittadini di uno Stato membro stabiliti sul
territorio di un altro Stato membro (art. 49, 1 comma, TFUE).
In definitiva, si tratta di 2 ipotesi:
1) lesercizio di unattivit professionale o, pi in generale, di unattivit economicamente
rilevante in un Paese comunitario diverso da quello di origine;
2) lapertura di un centro secondario di attivit in un Paese membro diverso da quello di
origine.
Per le persone fisiche, lo stabilimento a titolo principale comporta laccesso e lesercizio nel Paese
ospite di unattivit economica o professionale. La possibilit di creare o trasferire un centro di
attivit stabile in un altro Stato membro oggetto di un principio considerato fondamentale del
sistema dellUE.
Per quanto riguarda le persone giuridiche, la situazione invece pi complessa, specie quando si
tratta di societ non di nuova costituzione, ma trasferite da uno Stato membro ad un altro, che
comporta il trasferimento della sede sociale reale. Tale condizione comporta una serie di difficolt,
atteso che, quantomeno in quegli Stati membri in cui proprio il criterio dellubicazione della sede
sociale effettiva a determinare la nazionalit della societ, il trasferimento della sede in un altro
Stato membro pu risultare incompatibile con il mantenimento della sua personalit giuridica di cui
la societ gode. Infatti, un simile trasferimento pu richiedere il previo scioglimento della societ e
la sua ricostituzione in conformit alla legislazione dello Stato membro nel cui territorio essa
intende stabilire la propria nuova sede. In tal caso, lesercizio della libert di stabilimento a titolo
principale finisce per essere puramente teorico. Al riguardo, la Corte di giustizia ha riconosciuto che
le norme sul diritto di stabilimento non attribuiscono, in realt, alle societ degli Stati membri alcun
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prima direttiva, n. 68/151/CEE (1968) che investe principalmente la pubblicit degli atti
sociali e disciplina alcuni casi di invalidit dellatto costitutivo;
seconda direttiva, n. 77/91/CEE (1976) che riguarda per le sole s.p.a., le garanzie per soci e
terzi relativamente alla costituzione, alla salvaguardia e alle modifiche del capitale sociale;
stabilisce la distribuzione dei dividendi e dellacquisto di azioni proprie;
terza direttiva, n. 78/855/CEE (1978) che riguarda le fusioni delle s.p.a.;
sesta direttiva, n. 82/891/CEE (1982) relativa alle scissioni delle s.p.a.;
quarta direttiva, n. 78/660/CEE (1978) e settima direttiva, n. 83/349/CEE (1983)
rispettivamente sui conti annuali delle societ di capitali e sui conti consolidati dei gruppi;
ottava direttiva, n. 84/253/CEE (1984) sullabilitazione delle persone incaricate del
controllo di legge dei documenti contabili, abrogata dalla direttiva 2006/43/CE relativa alle
versioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati;
undicesima direttiva, n. 89/666/CEE (1989) sulla pubblicit delle succursali create in uno
Stato membro da alcuni tipi di societ soggette al diritto di un altro Stato membro;
dodicesima direttiva, n. 89/667/CEE (1989) sulle s.r.l. con socio unico.
Di sicuro rilievo anche la direttiva concernente le OPA (offerte pubbliche di acquisto), che si
colloca in un contesto di coordinamento, pi generale ed in corso di realizzazione, delle garanzie a
tutela dei soci e dei terzi.
Infine, va ricordato il regolamento del Consiglio n. 2137/85 relativo allistituzione del Gruppo
Europeo di Interesse Economico (GEIE), che consente la nascita di gruppi europei di cooperazione
tra imprese, senza che queste perdano la loro identit. Le sue caratteristiche principali sono:
- i componenti devono essere almeno 2 ed avere lattivit principale o lamministrazione in
Paesi membri diversi;
- la sede deve essere stabilita nellUE e nel luogo in cui fissata lamministrazione centrale
oppure in quello in cui uno dei membri ha lamministrazione centrale;
- lattivit del Gruppo imputata ai singoli membri, anche per la divisione dei profitti e delle
perdite;
- il regime quello della responsabilit illimitata e solidale dei membri per tutte le
obbligazioni assunte dal Gruppo, fino a 5 anni dopo lo scioglimento di esso.
16. LA LIBERT DI PRESTAZIONE DEI SERVIZI.
CAMPO DI APPLICAZIONE PERSONALE E MATERIALE DELLA DISCIPLINA
La libert di circolazione dei lavoratori autonomi e delle societ allinterno dellUE completata
dalla disciplina sulla libera prestazione dei servizi, prevista dagli artt. 56-62 TFUE. A differenza
dello stabilimento, che si traduce nel diritto dei cittadini di uno Stato membro di esercitare in modo
continuativo e permanente la propria attivit in un altro Stato membro, la prestazione dei servizi
comporta lesercizio solo temporaneo ed occasionale di unattivit non salariata in un altro Stato
membro. Occorre al riguardo tener presente che la posizione dei cittadini e delle societ che si
avvalgono della libera prestazione dei servizi non paragonabile a quella dei soggetti stabiliti,
poich nel complesso gli obblighi imposti a questi ultimi sono ben pi rigidi di quelli che gravano
sui primi. Infatti, a differenza del prestatore e del destinatario del servizio, che conservano il loro
legame naturale con lo Stato di origine, invece il soggetto stabilito viene ad integrarsi
nellordinamento dello Stato ospitante e a soggiacere in modo pi intenso alle sue norme. Cos si
comprende come mai la disciplina dei servizi, prevista dal Trattato, sia piuttosto sintetica, infatti si
limita a definire i principi essenziali della materia, affidando invece alle istituzioni dellUnione il
compito di emanare gli atti a realizzare la liberalizzazione delle attivit di servizi ed a facilitarne la
circolazione tra gli Stati. Lart. 56 TFUE prevede che le restrizioni alla libera prestazione dei
servizi, allinterno dellUE, siano vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri, stabiliti in
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alcuni di essi riguardano i comportamenti delle imprese e tendono ad evitare che, attraverso
strategie concordate, siano vanificati gli effetti della libera circolazione delle merci e dei
servizi e comunque alterate le condizioni di concorrenza determinate esclusivamente dalla
capacit imprenditoriale di ciascuna impresa e dal libero esplicarsi delle dinamiche
concorrenziali sul mercato;
altri mirano ad evitare che la concentrazione di potere economico e commerciale produca
analoghe conseguenze;
altri ancora mirano ad evitare che le imprese di un determinato Stato membro si vengano a
trovare in una situazione privilegiata e di minori costi di produzione per effetto di una
politica di intervento pubblico che, favorendo determinate imprese o produzioni, finisca con
lavere pi ampi effetti anticoncorrenziali; ci in particolare attraverso la concessione di
aiuti o luso dello strumento fiscale.
In primo luogo, in virt del principio di cooperazione (art. 4, par. 3, TUE) gli Stati membri sono
tenuti a non adottare e a non mantenere misure legislative o regolamentari suscettibili di eliminare
leffetto utile delle norme sulla concorrenza applicabili alle imprese.
In secondo luogo, rileva la disposizione pi specifica contenuta nellart. 106: gli Stati membri non
adottano nei confronti delle imprese pubbliche o titolari di diritti esclusivi o speciali alcuna misura
contraria alle norme del Trattato, in particolare a quelle sulla concorrenza.
In terzo luogo, completano la disciplina diretta della concorrenza le norme sugli aiuti di Stato
contenute negli artt. da 107 a 109 del Trattato.
La sfera di applicazione materiale delle norme europee sulla concorrenza si estende a tutte le attivit
economicamente rilevanti, che non vi siano espressamente sottratte. Sono sottoposte a tale
disciplina non solo le attivit di produzioni di beni, ma anche quelle di prestazioni di servizi,
comprese le attivit del settore bancario e di quello delle assicurazioni e il settore dei trasporti, che
alcuni ritenevano estranee alla sfera di applicazione. Infine, anche al settore carbosiderurgico, che
era soggetto alle norme di concorrenza del Trattato CECA fino alla sua scadenza (avvenuta nel
2002), sono oggi applicabili le norme UE. Invece, in presenza di determinate condizioni, possono
non rientrare nella sfera di applicazione dellart. 101, gli accordi collettivi di lavoro, stipulati dalle
parti sociali in vista degli obiettivi socialmente rilevanti, quali il miglioramento delle condizioni di
occupazione e di lavoro, nella misura in cui tali obiettivi sarebbero altrimenti compromessi. una
giurisprudenza che si sviluppata soprattutto intorno allipotesi di fondi pensioni complementari o
comunque meccanismi previdenziali o assistenziali, il cui funzionamento ed i cui effetti possono
essere disciplinati da accordi collettivi e misure legislative. Inoltre, possono essere sottratte
allapplicazione delle regole di concorrenza, le attivit relative alla produzione ed al commercio dei
prodotti agricoli, oggetto della deroga espressa di cui allart. 42 TFUE, secondo cui le regole di
concorrenza sono applicabili alla produzione e al commercio di prodotti agricoli, unicamente nella
misura determinata dal Consiglio e dal Parlamento nei tempi e nelle modalit stabiliti dallart. 43
TFUE. Con il regolamento 1184/06, il Consiglio ha dichiarato inapplicabile lart. 101 agli accordi
o decisioni o pratiche concordate che costituiscono parte integrante di unorganizzazione nazionale
di mercato o che siano necessari al perseguimento degli obiettivi di cui allart. 39 TFUE;
attribuendo poi alla Commissione la competenza esclusiva ad accertare, mediante decisione da
pubblicarsi, per quali accordi, decisioni e pratiche ricorrano le condizioni della deroga. La generale
applicabilit delle regole comunitarie di concorrenza ai prodotti agricoli incontra dunque dei limiti
riconducibili alla necessit di non pregiudicare il raggiungimento degli obiettivi della politica
agricola comune. La prima deroga al divieto di cui allart. 101, n. 1, ormai di portata molto
limitata, sia perch sono state create per la maggior parte dei prodotti delle organizzazioni comuni
di mercato, che hanno sostituito quelle nazionali, sia perch le organizzazioni nazionali di mercato
devono comunque essere conformi alle disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione
delle merci. Di rilievo invece la deroga stabilita dallart. 39 del Trattato, che, in quanto eccezione
ad una norma generale, stata interpretata in modo restrittivo sia nella prassi della Commissione,
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DEL
DIVIETO.
IL
PREGIUDIZIO
AL
COMMERCIO
Lelemento del pregiudizio al commercio intracomunitario costituisce uno dei presupposti per
lapplicabilit dellart. 101. Secondo la formulazione della Corte di giustizia, suscettibile di
pregiudicare gli scambi intracomunitari laccordo che, sulla base di un insieme di elementi oggettivi
di diritto o di fatto, ragionevole prevedere possa esercitare uninfluenza diretta o indiretta, attuale
o potenziale, sulle correnti di scambio tra Stati membri in una misura che potrebbe nuocere alla
realizzazione degli obiettivi di un mercato unico. In generale, il pregiudizio dovuto ad una serie di
elementi, che presi singolarmente non sono necessariamente decisivi. Al fine di orientare le
giurisdizioni e le autorit nazionali di concorrenza circa la portata di tale nozione, la Commissione
ha adottato, nel 2004, delle linee guida per illustrare i principi dellinterpretazione di tale
presupposto di applicabilit degli artt. 101 e 102 dagli organi giurisdizionali comunitari.
Lelemento del pregiudizio agli scambi in via di principio limita lapplicabilit della disciplina
comunitaria della concorrenza alle intese i cui effetti si realizzano a livello comunitario e non siano
confinati allinterno di un solo Stato membro. Pertanto esso ha lo scopo di delimitare il campo
dazione delle norme del Trattato rispetto a quello dei diritti nazionali. Tuttavia, il rilievo di una
fattispecie non escluso solo per il fatto della localizzazione delle imprese e/o della loro attivit in
un unico Stato membro. Infatti, anche in questo caso lintesa solo nazionale pu pregiudicare il
commercio intracomunitario per effetto della chiusura del mercato nazionale o comunque della
maggiore difficolt per i concorrenti stranieri di accedere a quel mercato. Ad es. una clausola di non
concorrenza inserita in un contratto di cessione di azienda, se estesa allintero territorio di uno Stato
membro, pu ugualmente risultare idonea ad ostacolare gli scambi commerciali intracomunitari ai
sensi dellart. 101, n. 1. In generale, il mercato geografico che rileva ai fini di unintesa, e ancor pi
ai fini dellabuso di posizione dominante, costituito da una parte sostanziale del mercato
comune. Tale elemento va distinto da quello del pregiudizio agli scambi intracomunitari, anche se
normalmente resta collegato ad esso.
Laccertamento del pregiudizio al commercio fra Stati membri va operato caso per caso.
sufficiente che esso sia potenziale e che investa direttamente o indirettamente il volume degli
scambi o i prezzi o la qualit dei prodotti o dei servizi. La Corte richiede la prova che gli accordi
siano idonei a produrre leffetto vietato, cio deve apparire ragionevolmente probabile, in base ad
un complesso di elementi oggettivi di diritto o di fatto, che laccordo eserciti uninfluenza diretta o
indiretta, attuale o potenziale, sulle correnti degli scambi fra Stati membri.
Come si vede, la disciplina della concorrenza deve essere in sintonia con quella della libera
circolazione delle merci allinterno del mercato comune: gli Stati devono eliminare gli ostacoli alle
importazioni e le imprese non possono concertare preclusioni equivalenti. Perci le disposizioni
sulla concorrenza vanno interpretate ed applicate in funzione della realizzazione di un assetto
unitario del mercato e dunque della libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali.
Con la riforma introdotta dal regolamento n. 1/2003, il criterio del pregiudizio agli scambi ha
assunto un ruolo centrale nel nuovo sistema di applicazione del diritto antitrust comunitario. Infatti
lart. 3 del regolamento impone alle autorit di concorrenza e ai giudici nazionali lobbligo di
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CONDIZIONI
DI
CONCORRENZA.
PORTATA
Lintesa vietata anche quella che ha per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il
gioco della concorrenza allinterno del mercato comune. chiaro che il pregiudizio alla
concorrenza causato dallintesa pu essere anche potenziale e indiretto. Esso comunque deve essere
valutato in funzione del contesto concreto in cui il comportamento delle imprese stato posto in
essere. Per stabilire se unintesa ricada nellapplicazione del divieto sancito dallart. 101, n. 1,
occorre procedere ad uno scrutinio articolato in 2 fasi.
In una prima fase, si dovr verificare se lintesa comporti, per il suo oggetto, una restrizione di
concorrenza. Se lintesa, che abbia la forma di accordo o di pratica concordata, ha per oggetto di
restringere la concorrenza, deve ritenersi senzaltro vietata, senza doverne considerare gli effetti. Se
loggetto non anticompetitivo, si deve procedere ad una seconda fase di analisi, considerando gli
effetti che lintesa idonea a produrre sul gioco della concorrenza. In questo caso, lintesa sar
considerata vietata se emerge che essa possa restringere in modo sensibile la concorrenza. Un
criterio generale per verificare se lintesa abbia per oggetto o per effetto la restrizione della
concorrenza quello di considerare come la concorrenza avrebbe operato nel campo del mercato
senza
lesistenza
di
tale
intesa.
Dopo questa analisi, vanno considerate vietate, per il loro oggetto, le intese che avranno per oggetto
il restringimento della concorrenza tra le parti, oppure tra le parti e i terzi concorrenti, in modo
ritenuto incompatibile con il mercato comune. Per contro, dovr ritenersi che non abbiano oggetto
anticompetitivo le intese che sono idonee a svolgere una pi complessa funzione. Ci vale per le
clausole che fanno parte integrante del contenuto di un determinato contratto e che in tal modo
contribuiscono a determinare lassetto e lequilibrio dei rapporti giuridici tra le parti. Ad es. non
violano lart. 101, n. 1, per il loro oggetto:
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CAPITOLO 7
LA DISCIPLINA DELLA CONCORRENZA
APPLICABILE AGLI STATI
1. MISURE STATALI ED EFFETTO ANTICONCORRENZIALE
La disciplina della concorrenza non si limita a regolare i comportamenti delle imprese. Essa pu
investire anche alcuni comportamenti degli Stati, che direttamente o indirettamente alterano o
contribuiscono ad alterare le condizioni di concorrenza tra le imprese operanti nel mercato comune.
Un primo ed importante profilo di rilevanza della disciplina dellUnione per gli Stati membri, in
particolare degli artt. 101 e 102 TFUE, riguarda le normative nazionali che, nel regolare lesercizio
di attivit economiche o la prestazione di servizi, producono effetti tali da modificare le condizioni
di concorrenza tra le imprese.
In un primo tempo, la giurisprudenza, di fronte allipotesi di accordi tra imprese suggellati da una
legge che ne imponeva il rispetto, ha affermato in termini molto generali che gli Stati membri non
possono adottare provvedimenti che consentono alle imprese di sottrarsi ai divieti sanciti dal
Trattato in tema di concorrenza. In altre parole, gli Stati membri non possono pregiudicare leffetto
utile delle norme sulla concorrenza dirette alle imprese attraverso misure legislative o regolamentari
che consentano alle stesse imprese di agire in violazione del diritto comunitario. Tuttavia, ci va
coniugato:
- con il principio sancito dallart. 4 TUE che, attraverso lenunciazione di un dovere generale
di collaborazione tra Stati membri e Unione, impone agli Stati membri di non adottare
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