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di Micaela Veronesi
La differenza che c'è tra vedere e guardare è nella sostanza delle due azioni: è la stessa
Nel cinema dove tutto si fonda con lo sguardo ci sono dei meccanismi attraverso cui ci
fondano in primo luogo su principi ottici. Parlare di cinema e parlare di visione sono
quindi due cose molto simili, due discorsi che prima o poi possono incrociarsi.
Da che esiste, il cinema ha posto agli uomini il problema del suo rapporto con il
umana.
Chi studia il cinema sa che negli anni '20 in Russia si sperimentavano tecniche di
montaggio delle immagini tali da far sì che dal film non scaturissero più soltanto
immagini rappresentate, ma anche delle altre pensate dallo spettatore nel momento
stesso che lo vedeva. (Esperimenti che rispondevano alla domanda "quale impressione
deriva dall'accostamento fotogramma uomo + fotogramma maiale?").
Chi conosce anche la critica cinematografica sa che in quello stesso periodo in Europa e
soprattutto in Francia si dibatteva sulla possibilità/necessità di far lavorare le menti
prodotta dall'inconscio e non mediata dalla coscienza, e le sue teorie, anche se non
influenzarono ufficialmente Bunuel, furono condivise dal cineasta spagnolo, come da
Dal momento che le nostre immagini, nostre nel senso che noi le proponiamo nelle
pagine del dossier di questa rivista e sullo schermo dell'aula universitaria dove faremo il
cineforum, hanno oltre alle caratteristiche di somiglianza con i meccanismi delle mente,
Tutta la seducente forza visiva del cinema si basa su un inganno che è a suo modo
allucinazione ovvero uno stato in cui si percepisce come reale ciò che è solo
si pone su un duplice piano, quello di chi vede ciò che non c'è all'interno della
dimensione filmica e quello di chi vede il film, che a sua volta non c'è ed è solo
L'immagine filmica esercita un'effetto seducente nei confronti dello spettatore, una sorta
spaventare, il risultato è quello della trasposizione a livello visivo di qualcosa che esiste
come allucinazione non trova più riscontro nell'immaginario quotidiano (di noi
Non dovrebbe spaventare perché è pura illusione (si sa il trucco c'è ma non si vede),
eppure il fascino dell'immagine è così grande che attraendo il nostro sguardo coinvolge
anche le nostre menti. Interviene in questo caso quella che potremmo definire la
fascinazione dell'insolito, solo chiudendo gli occhi ci si libera dallo sguardo ipnotico
Presenze estranee, uomini che ricompaiono da una memoria lontana, oggetti, luci, suoni
che non esistono, molto spesso queste allucinazioni sono frutto di menti insane, che
sdoppiano e moltiplicano la realtà, come in Image di Altman, altre volte sono causate
dagli stupefacenti, che producono nella mente questi eccessi di percezione, visioni extra,
inquietanti, ma possibili. Introdotta nel corpo umano la droga, anche in piccole dosi,
provoca delle alterazioni permanenti nelle funzioni della mente. Questo accade in Stati
portano inevitabilmente i personaggi che ne sono spettatori alla deriva, come accade ne
della mente del protagonista, che eredita gli incubi della donna che abitava nella sua
stessa casa senza averla mai conosciuta. Mentre gli spettatori cinematografici subiscono
che l'evento cinematografico in genere esercita su chi vi partecipa, sia per il suo valore
rappresenta quelle che sono le paure più recondite della mente umana, risveglia in
ognuno di noi quella junghiana coscienza collettiva in cui si archiviano le paure delle
nella rappresentazione burlesca. Il passo è breve, come è breve, l'abbiamo visto all'inizio
di questo discorso, la soglia tra il vedere e il credere di avere visto. In fondo tra noi e il
mondo che viene rappresentato nei film c'è quell'implacabile intermediario, che è
l'occhio della macchina da presa. Sul quale Pasolini aveva capito molte cose: un
personaggio che agisce sullo schermo deve vedere il mondo in un certo modo, ma la
macchina da presa lo vede e registra il suo mondo da un altro punto di vista, che è
diverso da quello del personaggio; a questo punto Pasolini dice che l'autore del film:" ha
sostituito in blocco la visione del mondo di un nevrotico con la propria visione delirante
è in questo senso il medium universale di ogni possibile immagine del mondo, anche di
quella allucinatoria.