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che ho conosciuto
di Rosaria Zanetel
prefazione
E’ da trent’anni che frequento donne musulmane, come
familiari come amiche, come conoscenti.
Di certo posso dire che si riesce a convivere solo con chi ti ri-
spetta, ti stima e ti permette di essere diverso.
Rosaria Zanetel
Rosaria Zanetel
nata in provincia di Trento, vive a Padova.
Non ricordo in che occasione conobbi quelle che per me poi fu-
rono per sempre “le ragazze giordane”; probabilmente mi erano
state presentate da qualche amica comune.
Studiavano farmacia presso l’Università di Padova e venivano
da Amman, ma solo Hana era di origine giordana; Huda era Pa-
lestinese, la sua famiglia proveniva da Gerusalemme e risiede-
va ad Amman dal 1955, mentre i genitori di Nuha erano origi-
nari delle montagne del Caucaso ed abitavano in Giordania da
circa 30anni.
Le tre ragazze vivevano in un miniappartamento nella zona de-
gli Istituti Universitari, al primo piano di un piccolo condomi-
nio. Al secondo piano, esattamente sopra di loro, vigilavano co-
me sentinelle i loro tre fratelli. Per la verità si trattava di due fra-
telli di Hana, Nabil ed Hani, e di un fratello di Huda, Riad, ma
come le tre donne venivano chiamate “le sorelle”, così i tre gio-
vani uomini erano per noi amici: “i fratelli”.
Anche loro erano studenti in farmacia.
Anche se era stata adibita a Moschea (NOTA 11) una piccola sa-
la vicino all’Università, loro preferivano pregare a casa.
Disponevano con molta cura sul capo un gran fazzoletto bianco
di cotone, abbassato sulla fronte e chiuso sotto il mento in modo
da coprire quasi completamente le guance ed indossavano una
larga gonna anch’essa bianca; si mettevano ritte in piedi, con le
spalle erette e le mani congiunte e poi cominciavano a flettersi
con movimento solenne e lento.
Le prime volte che ero presente mentre una di loro pregava, cer-
cavo di parlare sottovoce per non disturbarla, ma mi accorsi che
la loro concentrazione nel momento della preghiera era perfetta:
a parte i momenti di incomprensione, provocati spesso dal mio
carattere dispettoso, le ho molto ammirate per questa intensità di
sentimento religioso ed è valsa la pena conoscerle e frequentarle
così a lungo.
Vidi Um Ali la prima volta quando scese dal taxì che dalla sta-
zione la lasciò davanti a casa mia alle quattro di mattina, dopo
un viaggio in treno di tre giorni da una città nel Sud della Siria
fino a Padova, assieme al marito ed ad un figlio di sette anni cir-
ca.
Altra cosa che faceva inviperire Ilaria era che, mentre con lei il
marito non andava mai e poi mai a far spese, con la mamma era
tutto un andar per negozi. Uscivano mattina e pomeriggio indaf-
faratissimi a far compere. Quando poi era in casa, la suocera
passava la maggior parte del tempo a chiacchierare fitto fitto con
il figlio, naturalmente piangendo spesso. A parte ciò, l’unica sua
occupazione era pregare e se non pregava, sgranava il rosario e
piangeva. Inoltre, sempre secondo Ilaria, sul più bello della not-
te, la sentiva alzarsi, andare in bagno con grandi lavacri (NO-
TA12) , come disse Ilaria, e poi la udiva pregare (NOTA 12) in
soggiorno. Ma la cosa che le dava più fastidio non era tanto il
comporta-mento della suocera, tanto prima o poi se ne sarebbe
andata, ma quello del marito. Secondo lei era cambiato, era
completamente … rimbecillito, ma Ilaria si espresse in modo più
colorito. Aveva perfino chiesto delle preziose ferie in più, che si
erano tenuti per un viaggio rilassante da fare assieme dopo la
partenza della suocera, per poter andar dietro a quelle che Ilaria
chiamava le fisime di sua madre. Kamal, che non era mai stato
particolar-mente religioso, aveva cominciato a fare anche lui la
preghiera assieme alla madre e pretendeva che sparissero dal
frigorifero i cibi “infetti”, inoltre cominciò a dire alla moglie che
fin che c’era la madre sarebbe stato meglio che lei indossasse
delle gon-ne un po’ più lunghe, o, meglio ancora, dei calzoni, in
quanto la suocera era scandalizzata del suo abbigliamento
sconveniente. Il grave era che non chiedeva questo per “quieto
vivere”, tanto per rabbonire la madre, cosa che a Ilaria sarebbe
forse sembrato ac-cettabile, no, sembrava quasi convinto lui
stesso che una buona moglie così avrebbe dovuto essere. Provai
anch’io a parlare con lui, ma lo sentii freddo, un po’ offeso della
mia presa di posizio-ne a favore di Ilaria. Sembrava plagiato
dalla madre. Andammo tutti a trovarla una sera e se, sentendo
parlare Ilaria al telefono, avevo finito per odiare Um Kamal,
vedendola mi fece una pena immensa. Il cappotto le pioveva
addosso come se avesse perso dieci chili, la pelle attorno agli
occhi era di color rosso sangue per il gran piangere, non disse
niente per tutta la sera. Anche mia suocera stette molto zitta,
memore come me delle nostre sofferenze del primo anno di
matrimonio. Solo mio marito parlò a lungo con Um Kamal,
probabilmente cercando di spiegare questo matrimonio del figlio
con una straniera secondo un’ottica musulmana (NOTA 22),
essendo lui molto religioso. Lei ascol-tava ed assentiva, sempre
però seria e triste.
Capii che per tutti e tre si trattava di aspettare con calma il gior-
no della partenza, senza pretendere niente di più.
Um Kamal non tornò più in Italia e dopo pochi giorni dalla sua
partenza, Kamal tornò ad essere il marito affettuoso e l’amico
allegro di sempre. Ogni due, tre anni lui e Ilaria fanno un breve
viaggio in Siria a trovare la famiglia e tutto procede nel migliore
dei modi: ognuno a casa sua.
Invece Um Ali per molti anni venne quasi ogni estate a Padova,
sempre felicissima di rivedere oltre che il figlio, prima di tutto
ed innanzitutto, anche me, i miei familiari ed i molti amici ita-
liani, che la aspettavano per i suoi manicaretti indimenticabili.
Adesso altri figli studiavano all’estero, perciò doveva davvero
dividersi tra uno e l’altro viaggiando molto spesso specialmente
in aereo.
Il suo mezzo preferito rimase però sempre il treno, anche se or-
mai non lo prendeva più, ma sempre ricordava quel lungo viag-
gio da Aleppo fino a Padova. Forse l’aereo non le dava il senso
della distanza, diceva che era rapido, che non si vedeva niente di
interessante, solo nuvole ed aeroporti. Invece in quei tre giorni
di treno le era passato davanti il mondo, e poi quel passaggio da
Oriente a Occidente avendo Istambul come frontiera dei due
mondi l’aveva molto affascinata, specialmente la prima volta.
Mentre dopo, in aereo, anche quando arrivava in America lei
diceva che non si accorgeva nemmeno di aver lasciato la Siria:
gli aeroporti erano tutti uguali, una volta arrivati, si saliva su una
macchina, raggiungendo in poche ore da casa sua la casa del fi-
glio di turno, casa in cui riprendeva a cucinare, a chiacchierare,
a bere tè, insomma come lei diceva : il mondo è tutto uguale.
Un’estate rimase in Iraq più del solito e quando tornò portò con
sé una giovane moglie: Salua, una sua cugina. Prima di partire,
ci aveva annunciato che quell’anno si sarebbe sposato, in quanto
il legame con questa cugina era già stato concordato dalla fami-
glia da diversi anni, mancava solo la celebrazione del matrimo-
nio. Molto gentilmente, dopo neanche una settimana dal loro ar-
rivo, ci invitò a cena nel suo piccolissimo appartamento da stu-
dente, che aveva ripulito e lucidato prima di partire all’inizio
dell’estate, per renderlo il più accogliente possibile, in vista del-
l’arrivo della giovane moglie.
Quando arrivammo ci venne ad aprire, ci fece sedere a tavola,
dove aveva imbandito lui stesso un vero e proprio pranzo di
nozze, fatto di piatti arabi e curdi. Dopo alcuni minuti comparve
Salua: era talmente intimidita che io non riuscii a vederla in
faccia, in quanto teneva la testa abbassata. Indossava un abito di
foggia araba, di colore blu chiaro come il fazzoletto che le co-
priva il capo. Mi diede la mano in modo così esitante, che io cer-
cai di non guardarla molto, perché capii che era davvero imba-
razzata. Farid le parlava quasi timoroso, con gran rispetto, por-
gendole ogni pietanza come fosse anche lei un’ospite. Tra di lo-
ro parlavano curdo (NOTA 30) una lingua che non avevo mai
sentito e che mi sembrò molto dolce, anche perché Farid sem-
brava quasi sussurrare quando si rivolgeva alla giovane moglie.
Lei invece gli parlava con una voce sicura, decisa e mi sembrava
che gli desse degli ordini. Mio marito le chiese qualcosa della
Siria, dove lei era vissuta da bambina, prima di trasferirsi a
Baghdad e lei prese subito a ricordare con grande entusiasmo
quel periodo della sua vita. La guardai finalmente in faccia e
vidi che non era né bella né brutta, piuttosto pallida, con degli
occhi grandi e neri. Di bello aveva il sorriso, che era, per così di-
re, totale, luminoso. Quel giorno ci limitammo a salutarci di
nuovo alla fine della cena, senza che nessuna di noi due avesse
forzato la reciproca conoscenza.
Farid ci invitò nuovamente dopo solo quindici giorni. Questa
volta venne ad aprire lei e ci fece sedere usando già un po’ di
parole in italiano.
Indossava una gonna di jersey nera, lunga, ed una camicetta
bianca. Il foulard era bianco a pois neri. Farid era affaccenda-
tissimo in cucina, ambiente così piccolo, che se entrava lui non
poteva entrare nessun altro. Lei si limitò a decorare i piatti di
portata con delle foglioline di menta, degli spicchi di pomodoro
e di peperoni rossi e verdi, dei cetriolini e dei rapanelli rossi.
Distese l’homsieh (NOTA 25) su una specie di vassoio e lo mi-
se in tavola proprio davanti a me: notai con stupore che col prez-
zemolo tagliato molto fine aveva scritto sulla pietanza il mio
nome in arabo. Mi sembrò una forma di cortesia davvero simpa-
tica e la ringraziai in arabo. Lei si sedette vicino a me questa
volta e mi spiegò che aveva cominciato a studiare italiano da so-
la e dunque voleva chiedermi il mio parere sui testi scelti.
Era proprio intelligente Salua, ed inoltre le sue radici curde le a-
vevano impresso un carattere forte e volitivo, che le rese possi-
bile affrontare questa vita in Italia con grande coraggio.
Farid cercava di starle abbastanza vicino, specialmente i primi
tempi, ma doveva seguire le lezioni all’Università e dunque lei
era sola gran parte delle giornate. Io mi abituai a passare a pren-
derla una volta alla settimana, di solito il pomeriggio in cui an-
davo a trovare tre ragazze giordane, così lei si sentiva meno so-
la. Lo studio dell’italiano le permise ben presto di diventare più
sicura di sé; cominciò ad uscire da sola, a muoversi in città sen-
za più aver bisogno né di me, né del marito. Fu lei poi che aiutò
molte ragazze arabe ad ambientarsi a Padova. Sosteneva, da
donna intelligente qual'era, che il primo passo per potersi real-
mente trovare bene qui era imparare l’italiano: non tutte lo fan-
no. Se vengono per motivi di studio ovviamente sì, ma se vengo-
no in quanto mogli di qualche studente o di qualche arabo che
lavora qui, si accontentano di imparare solo quelle poche parole
necessarie a fare la spesa e basta. Per il resto continuano a segui-
re sia la radio che la televisione in lingua araba e frequentando
solo persone del Paese di provenienza, o almeno dell’area me-
dio orientale, collegandosi quotidianamente via skype con i pa-
renti in patria.
Lei divenne una specie di referente per molte donne arabe: la
sua padronanza della lingua italiana le permise di rendersi utile
in molte occasioni.
Ho apprezzato molto questa sua disponibilità che non sempre
venne ben ricompensata, ma faceva parte del carattere sia suo
che di Farid aiutare gli amici. Lei mi spiegò spesso che il far del
bene agli altri faceva parte anche del suo senso religioso. Era
musulmana sunnita (NOTA 9) ed era molto praticante.
Raramente mancava l’appuntamento con una delle preghiere
quotidiane (NOTA 12) e, se si trovava a casa mia, mi chiedeva
il permesso di ritirarsi in una stanza, dove io avevo preparato il
tappettino per la preghiera e la lasciavo stare tranquilla. Se c’e-
rano altre persone mie ospiti non gradiva molto che dessi pub-
blicità a questo suo momento, era un’intesa tra di noi che ad un
certo punto lei si alzasse ed andasse verso la mia camera. Faceva
parte della riservatezza di cui circondava il suo mondo e le sue
abitudini, non fidandosi mai fino in fondo di come esse poteva-
no venire accolte e capite “ ... qui da voi”, come mi diceva e mi
dice sempre. “Con te è un’altra cosa” mi dice tuttora “tu sei
diversa” e quel “diversa” suona in bocca sua come un grandis-
simo complimento. Abbiamo discusso spesso sul perché di
questo suo atteggiamento, che io non ho mai approvato, ma lei
non ha mai cambiato opinione su quel …”qui da voi”. Pur a-
mando molto l’Italia, è sempre leggermente distaccata, sempre
al di là di un sottile velo: “il velo di Salua” lo chiamo, invisibile,
ma impenetrabile come una lastra di cristallo.
Ancora adesso, quelle poche volte che ci troviamo, dato che so-
no andati a vivere in un’altra città, Farìd mi accoglie dicendo:
“Sta’ tranquilla, pensa a mangiare, che non puoi permetterti di
perdere le forze in discussioni, lasciale fare alle ciccione!”
Kuwait City – Strasburgo
Fatimah GIORDANA
Nur e sua figlia Yasmine SIRIANE ASSIRE
Hind, una volta arrivata alla Mecca, si separò dal marito, andan-
do a vivere con le altre pellegrine provenienti da tutte le parti del
mondo nelle strutture apprestate per l’occasione, iniziando il pe-
riodo di ihram, uno stato di purificazione interiore manifestato
anche esteriormente indossando dei teli bianchi, unico capo di
abbigliamento permesso.
I riti della cerimonia durano 7 giorni ed iniziano nella moschea
della Mecca (NOTA 14) con la preghiera del mezzogiorno.
Il secondo giorno i pellegrini si avviano verso la pianura di Ara-
fa, fermandosi a Minà per una sosta e la recita della preghiera
del mezzogiorno; il terzo giorno, ad Arafa, si compie il rito cul-
minante del pellegrinaggio: i fedeli si ammassano dal primo po-
meriggio fino al tramonto del sole in una grande pianura ai piedi
del cosiddetto Monte della Misericordia, vestiti nei bianchi teli
uguali per tutti, senza distinzione alcuna, e si rivolgono a Dio
con l’wuquf (eccoci a te o Dio). Appena tramontato il sole i pel-
legrini si avviano verso un’altra località dove la mattina dopo,
prima dell’alba del quarto giorno, si invoca ancora Dio, affret-
tandosi nuovamente verso Minà, dove si deve arrivare prima del
sorgere del sole: questo è il Giorno del Sacrificio (NOTA 15), e
qui a Minà si compiono particolari riti, che Hind mi descrisse
dettagliatamente, ma a me è rimasto impresso, avendolo anche
visto in un documentario, quello del lancio di sette sassi verso
un gran mucchio di pietre ammassate, mentre si invoca il nome
di Dio, come se il lancio avesse come bersaglio il malefico pote-
re del diavolo.
Il pellegrinaggio si conclude con il ritorno alla Mecca, compien-
do un giro attorno alla Kaàbah (NOTA 14).
I tre giorni successivi sono lasciati ad una meditazione meno
compulsiva e rilassata.
fine
NOTE
NOTA 1
Islam (dal verbo arabo aslama: sottomettersi)
Dio ha creato l’uomo e gli esseri invisibili (in arabo ginn) solo
per essere adorato da loro e dunque il tempo speso dal fedele
nella preghiera è il più gradito a Dio.
NOTA 2
Nel 612d.c, quando era alla Mecca, all’età di circa 40anni, rice-
vette da Dio, tramite l’arcangelo Gabriele e durante un periodo
di 20 anni, la rivelazione del Corano, che fu trascritta da scriva-
ni testimoni, in quanto Maometto non sapeva né leggere né
scrivere.
Nel 622 si trasferisce dalla Mecca alla Medina, due città dell’o-
dierna Arabia Saudita; l’avvenimento è noto con il termine di
Egira (dal verbo arabo hagiara migrare) e segna l’anno 1 per il
conteggio del calendario musulmano.
Sulla base di questo conteggio ora siamo nel 1422.
NOTA 4
5 cardini dell’Islam
Credere:
1 nell’unicità di Dio
2 negli angeli
4 nei profeti
5 nell’al di là
NOTA 6
Corano
NOTA 7
NOTA 8
NOTA 9
sciiti (da “sci ‘a” fazione): anche per gli sciiti come per i sunni-
ti l’autorità suprema in materia religiosa è la sunnatu allah e la
sunnatu rrasul e dunque non ci sono differenze sostanziali nei
principi fondamentali della fede.
NOTA 11
NOTA 12
Preghiera musulmana
Si svolge in 5 momenti del giorno: l’alba, il mezzogiorno, il po-
meriggio, il tramonto, la sera
ramadan
E' il mese dedicato al digiuno, durante il quale ogni giorno
dall’alba al tramonto il musulmano si astiene da cibo, bevanda,
contatto sessuale.
Dato che il computo del calendario musulmano è basato sul
mese lunare, il ramadan inizia al tramonto del sole, quando
compare in cielo la falce della luna nuova. Non è facile questa
osservazione e spesso l’inizio del ramadan è diverso nelle varie
località, anche solo per la presenza delle nuvole che non per-
mettono ai testimoni oculari di vedere la luna.
Per il musulmano è un periodo molto intenso spiritualmente, de-
dicato alla meditazione ed alla preghiera e questo stato di gra-
zia predispone ad un atteggiamento di riflessione durante tutta
la giornata.
La rivelazione del Corano a Maometto iniziò in una notte detta
“del destino”(Lailatu’l qadr”), notte che cade negli ultimi dieci
giorni del ramadan. Durante questo periodo i musulmani ve-
gliano, scrutando il cielo alla scoperta di qualche segno che
riveli la sacralità di questa notte, quando si può chiedere a Dio
tutto ciò che si vuole, certi di essere esauditi.
Mecca
Città dell’Arabia Saudita, dove si trova la celebre moschea, al-
l’interno della quale si erge la Kaabah, edificio cubico, posto al
centro del cortile della moschea.
NOTA 15
feste musulmane
1 aìd ‘lfìtr la piccola festa, alla fine del mese del Ramadan
Calendario musulmano
L’anno 1 è nel 622dc, anno dell’Egira, quando Maometto migra
dalla Mecca a Medina.
Il computo della datazione non è fatto sulla base del mese sola-
re, come nel calendario gregoriano, ma sulla base del mese lu-
nare, che è più breve di quello solare e dunque l’anno musul-
mano è di 354 giorni.
NOTA 17
NOTA 18
NOTA 19
NOTA 20
NOTA 22
matrimonio musulmano
-per divorzio
NOTA 23
la donna nell’Islam
NOTA 25
NOTA 26
nomi arabi
Spesso non solo in famiglia, ma anche nella cerchia delle
conoscenze, una persona viene chiamata facendo riferimento
al nome del primogenito maschio: Abu Ali significa padre di Ali;
Um Ali : madre di Ali.
Il primogenito a sua volta si chiama Abu seguito dal nome del
padre, che sarà dato al primo figlio maschio che lui stesso
avràTornando all’esempio precedente, se il padre di Ali si
chiama Rhias, Ali si chiamerà Abu Rhias, e suo figlio si
chiamerà nuovamente Abu Ali come il nonno.Tutti i nomi
maschili che iniziano con “abd ul” significano “servo di..”
seguito da un aggettivo che si riferisce a Dio: es.: abd ul Karim:
servo del Generoso, abd ul Aziz: servo del GloriosoA proposito
dei nomi arabi, la traslitterazione delle lettere arabe nei caratteri
dell’alfabeto latino crea molti problemi.
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