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Punto omega
Einaudi
Indice
Note di copertina.......................................................................................................5
Anonimato.................................................................................................................8
1...............................................................................................................................14
2...............................................................................................................................24
3...............................................................................................................................35
4...............................................................................................................................43
Anonimato 2............................................................................................................53
Ringraziamenti........................................................................................................61
Note di copertina
Una inquieta e misteriosa meditazione sul destino di ogni uomo.
In una casa isolata nel deserto due uomini discutono della natura del tempo e del
significato dell'agire umano nella storia. Discutono e aspettano.
Uno, Richard Elster, un anziano intellettuale per niente pentito dell'appoggio che
ha dato al governo nella guerra in Iraq, l'altro un giovane regista che vorrebbe girare
un documentario su di lui. L'improvvisa scomparsa della figlia di Elster li costringe a
interrompere discussioni e attese e a cercare altre risposte per altre domande: che cosa
capitato alla ragazza? Scelta, fatalit oppure orrendo crimine?
L'intensit della scrittura di DeLillo al servizio di una straordinaria riflessione
sull'enigma del tempo, il tempo in cui ogni momento perduto la vita, la nuda vita.
Don DeLillo nato nel 1936 nel Bronx da una famiglia di origine italiana. Nella
sua lunga carriera ha vinto il National BookAward, il PEN/Faulkner Award e il
Jerusalem Prize ed considerato il grande maestro della narrativa postmoderna
americana. Presso Einaudi ha pubblicato: Underworld, Libra, BodyArt, Valparaiso,
Cosmopolis, Mao Il, La stanza bianca, Giocatori, Running Dog, Rumore bianco,
Love-Lies-Bleeding, I nomi, L'uomo che cade, Americana, Contrappunto, Great
Jones Street, La stella di Ratner.
2006
FINE ESTATE / INIZIO AUTUNNO
Anonimato
3 settembre
C'era un uomo appoggiato alla parete nord, appena visibile. Le persone entravano a
coppie o in tre, stavano li al buio, guardavano lo schermo e se ne andavano.
A volte quasi non varcavano la soglia, alla spicciolata arrivavano gruppi pi
numerosi, turisti imbambolati, guardavano, spostavano il peso da una gamba all'altra
e poi se ne andavano.
Non c'erano posti per sedersi nella galleria. Lo schermo stava su senza supporti, tre
metri per quattro, non rialzato da terra, sistemato al centro della stanza. Era
semitrasparente e alcune persone, non molte, indugiavano nella sala e lentamente ci
giravano attorno per vederne il retro. Rimanevano qualche altro istante e poi se ne
andavano.
La galleria era fredda e illuminata solo dal debole riverbero grigio dello schermo.
All'altezza della parete nord il buio era quasi completo e l'uomo che stava li da solo si
port una mano verso la faccia, copiando lentissimamente il gesto di una figura sullo
schermo.
Quando la porta scorrevole della galleria si apriva per far entrare la gente, filtrava
uno sprazzo di luce dalla zona retrostante dove, a una certa distanza, altre persone
sfogliavano libri d'arte e cartoline.
Il film scorreva senza dialoghi n musica, nessuna colonna sonora. Il custode del
museo stava subito al di qua della soglia, e la gente che usciva a volte lo scrutava,
cercando di coglierne lo sguardo, un possibile cenno di mutua intesa che desse
conferma al loro sconcerto. C'erano altre gallerie, piani interi, non aveva senso
perdere tempo in una sala appartata dove quello che succedeva, qualsiasi cosa fosse,
ci metteva un'eternit a succedere.
L'uomo alla parete guardava le immagini e a un certo punto cominci a muoversi
lungo il muro adiacente verso l'altro lato dello schermo, in modo da poter osservare la
stessa scena rovesciata. Guard Anthony Perkins che allungava una mano, la destra,
verso la portiera di una macchina. Sapeva che Anthony Perkins avrebbe usato la
mano destra da questa parte dello schermo e la sinistra dall'altra. Lo sapeva ma aveva
bisogno di vederlo e si spost nel buio lungo la parete laterale allontanandosene poi
di qualche decina di centimetri per vedere Anthony Perkins dall'altra parte dello
schermo, il rovescio, Anthony Perkins che usava la mano sinistra, quella sbagliata,
per afferrare la maniglia di una portiera e aprirla.
Ma poteva definire sbagliata la mano sinistra? Perch in fondo cos'era che rendeva
questo lato dello schermo meno esatto dell'altro?
Il custode fu raggiunto da un altro custode, i due si scambiarono qualche parola
sottovoce mentre la porta automatica si apriva lasciando entrare delle persone, con
bambini, senza, e l'uomo torn al suo posto contro la parete, dove ora stava immobile,
a guardare Anthony Perkins che girava la testa.
Il minimo movimento della cinepresa rappresentava un cambiamento profondo in
termini di spazio e di tempo, ma la cinepresa in quell'istante era ferma. Anthony
Perkins che gira la testa. Erano come numeri interi. L'uomo poteva contare le
gradazioni nei movimenti della testa di Anthony Perkins. Anthony Perkins gira la
testa in una serie di cinque movimenti progressivi e non in un solo movimento
continuo. Erano come i mattoni di un muro, facili da contare, non come il volo di una
freccia o di un uccello. Anche se poi non era uguale a niente n diverso da niente. La
testa di Anthony Perkins che gira un istante dopo l'altro sul collo lungo e sottile.
Una simile percezione era possibile solo grazie alla pi attenta visione. Scopr che
per diversi minuti non era stato distratto dal viavai delle altre persone, riuscendo a
guardare il film con il necessario grado di intensit.
La natura del film permetteva una concentrazione totale, e su quella faceva
affidamento. Il suo ritmo inesorabile non aveva senso senza una corrispondente
attenzione, senza l'individuo la cui assoluta vigilanza era all'altezza di ci che si
pretendeva. Lui stava li e guardava. Nel tempo che Anthony Perkins impiegava a
girare la testa ci fu come uno sciamare di idee riguardanti la scienza e la filosofia e
una serie di altre cose imprecisate, o forse lui ci vedeva troppo dietro tutto questo. Ma
vedere troppo era impossibile. Meno c'era da vedere pi lui guardava intensamente, e
pi vedeva.
Era questo il senso. Vedere quello che c', finalmente guardare e sapere che stai
guardando, sentire il tempo che passa, essere sensibile a ci che accade nei pi
piccoli registri di movimento.
Tutti ricordano il nome dell'assassino, Norman Bates, ma nessuno ricorda il nome
della vittima. Anthony Perkins Norman Bates, Janet Leigh Janet Leigh. Dalla
vittima ci si aspetta che condivida il nome dell'attrice che la interpreta. Janet Leigh
che entra nello sperduto motel gestito da Norman Bates.
Era in piedi da pi di tre ore e guardava. Andava li da cinque giorni di fila e quello
era il penultimo in programma, dopodich l'installazione sarebbe stata trasferita in
un'altra citt o sistemata in qualche oscuro magazzino chiss dove.
Pareva che nessuno di quelli che entravano sapesse cosa aspettarsi e senz'altro
nessuno si aspettava una cosa del genere.
Il film originale era stato rallentato in modo da durare ventiquattro ore. Quello che
stava guardando sembrava cinema allo stato puro, tempo allo stato puro.
L'orrore potente di quel vecchio film dalle atmosfere gotiche era incorporato nel
tempo. Quanto doveva rimanere li, quante settimane o mesi, prima che lo schema
temporale del film finisse per assorbire il suo; o forse questo processo era gi in
corso? Si avvicin allo schermo fermandosi a una trentina di centimetri; vedeva
schegge e frammenti disturbati, luce confusa e tremolante. Fece il giro dello schermo
diverse volte.
Adesso la galleria era vuota e lui poteva posizionarsi a distanze e angolazioni
diverse. Cammin all'indietro, con gli occhi fissi, sempre, sullo schermo. Capiva
perfettamente perch il film fosse proiettato senza sonoro. Non poteva che essere
muto. Non poteva che assorbire l'individuo a una profondit al di l delle solite
supposizioni, al di l delle cose che l'individuo ipotizza, presume e da per scontate.
Torn verso la parete nord, passando davanti al custode sulla soglia. Il custode era
l ma non contava come presenza nella sala. Il custode era li per non essere visto.
Era il suo lavoro. Se ne stava rivolto verso il margine dello schermo, ma non
guardava niente di preciso, guardava quello che guardano i custodi dei musei quando
le sale sono vuote. L'uomo contro la parete era li, ma forse il custode non lo
considerava una presenza pi di quanto l'uomo facesse con lui. Tornava da diversi
giorni, e ogni giorno rimaneva a lungo e comunque eccolo di nuovo vicino alla
parete, al buio, immobile.
Guardava gli occhi dell'attore che transitavano nelle loro orbite ossute. Stava
immaginando di guardare con gli occhi dell'attore? O aveva l'impressione che gli
occhi dell'attore lo stessero scrutando?
Sapeva che sarebbe rimasto fino alla chiusura del museo, di li a due ore e mezza, e
che la mattina successiva sarebbe tornato. Guard due uomini che entravano, il pi
anziano con un bastone e un completo nel quale sembrava aver fatto un lungo
viaggio, i capelli bianchi, lunghi, intrecciati all'altezza della nuca, forse un professore
emerito, forse uno studioso di cinema, e il pi giovane con una camicia casual, jeans
e scarpe da jogging, l'assistente, smilzo, un po' nervoso. Si allontanarono dall'entrata
inoltrandosi nella parziale oscurit lungo il muro adiacente. Li guard ancora per
qualche istante, i due accademici, esperti di cinema, teoria del cinema, sintassi del
cinema, cinema e mito, dialettica del cinema, metafisica del cinema, mentre Janet
Leigh cominciava a spogliarsi per l'imminente doccia di sangue.
Ogni volta che un attore muoveva un muscolo, ogni battito di ciglia, era una
rivelazione. Ciascuna azione veniva scomposta in parti cos distinte dall'entit
originaria che l'osservatore si ritrovava scollegato da qualsiasi aspettativa.
Tutti guardavano qualcosa. Lui guardava i due uomini, i due uomini guardavano lo
schermo, Anthony Perkins dallo spioncino guardava Janet Leigh che si spogliava.
Nessuno guardava lui. Era proprio il mondo ideale, come se lo sarebbe fatto lui su
misura. Non aveva idea di come appariva agli occhi degli altri. Non sapeva nemmeno
come appariva ai suoi stessi occhi. Appariva Come ci che vedeva sua madre quando
lo guardava.
Ma sua madre era morta. Ecco allora un quesito per gli studenti pi avanzati.
Cos'era rimasto di lui che gli altri riuscivano ancora a vedere?
Per la prima volta non gli dispiaceva non stare li da solo. I due uomini avevano
delle forti motivazioni per trovarsi in quel posto e si chiese se loro vedessero ci che
vedeva lui. Se anche fosse stato, avrebbero comunque tratto conclusioni diverse,
trovato riferimenti che spaziavano lungo una serie di filmografe e discipline.
Filmografia. Un tempo quella parola gli faceva tirare indietro il capo quasi a voler
frapporre un'antisettica distanza.
Pens che forse era il caso di cronometrare la scena della doccia. Poi pens che era
l'ultima cosa che gli andava di fare. Sapeva che nel film originale si trattava di una
scena molto breve, meno di un minuto, notoriamente meno, e qualche giorno prima li
nella galleria aveva guardato quella scena in forma prolungata, tutta fatta di
movimenti spezzati, senza suspense n terrore n quella musica pulsante simile
all'urlo di una civetta. Gli anelli della tenda, ecco cosa ricordava con maggior
chiarezza, gli anelli della tenda della doccia che girano sull'asta quando la tenda viene
strappata, un momento che va perso alla velocit normale, quattro anelli che girano
lentamente lass, sopra il corpo accasciato a terra di Janet Leigh, una poesia
estemporanea sopra quella morte infernale, e poi l'acqua insanguinata che scorre
serpeggiando e increspandosi nello scolo, minuto dopo minuto, e che infine sparisce
in un vortice.
Era ansioso di rivederla. Voleva contare gli anelli della tenda, quattro, forse, o
cinque o di pi o di meno.
Sapeva che anche i due uomini addossati alla parete adiacente avrebbero guardato
la scena con attenzione.
Sentiva che condividevano qualcosa, noi tre, ecco cosa sentiva. Era quel genere di
rara comunanza provocata da eventi singolari, anche se gli altri non sapevano che lui
era li.
Quasi nessuno entrava in quella sala da solo. Venivano in squadre, in plotoni,
entravano con passo strascicato, gironzolavano per un po' vicino all'entrata e poi se ne
andavano. Capitava che uno o due si voltassero per uscire e gli altri seguivano a
ruota, dimenticando, nei pochi secondi necessari all'atto di girarsi e raggiungere la
porta, quanto avevano appena visto. Lui li vedeva pi come tipi da teatro. Il cinema, a
suo avviso, qualcosa di solitario.
Janet Leigh nel lungo intervallo della sua inconsapevolezza.
La guardava mentre cominciava a lasciar cadere la vestaglia. Cap per la prima
volta che il bianco e nero era l'unico veicolo possibile per il cinema in quanto
concetto, il cinema nella mente. Arrivava quasi a capire il perch, ma non del tutto.
Gli uomini vicino a lui senz'altro capivano il perch. Per quel film, in quello spazio
freddo e buio, era assolutamente necessario, il bianco e nero, un ulteriore elemento
neutralizzante, un modo per fare dell'azione una cosa affine alla vita primordiale, una
cosa che piano piano si riduce alle sue componenti narcotizzate. Janet Leigh nel
minuzioso processo del suo non sapere cosa sta per succederle.
A un certo punto se ne andarono, di colpo, s'incamminarono verso l'uscita. Non
sapeva come prenderla.
La prese male. L'alta porta scorrevole si apr lasciando passare l'uomo col bastone
e poi l'assistente. Uscirono dalla sala. Cos'era, si stavano annoiando? Passarono
davanti al custode e sparirono. Erano stati costretti a pensare in parole. Era questo il
loro problema. L'azione procedeva troppo lentamente per adeguarsi al lessico
cinematografico. Sempre che questo avesse un qualche senso. Non sentivano le
pulsazioni delle immagini proiettate a quella velocit. Il loro lessico cinematografico,
pens, non poteva adattarsi alle aste, agli anelli per tende, alle asole. Cos'era,
dovevano prendere l'aereo?
Credevano di essere seri, ma non lo erano. E se non sei serio questo posto non fa
per te.
Poi pens: Serio riguardo a cosa?
Entr una persona che si ferm in un punto della sala da cui proiettava un'ombra
sullo schermo.
Questa esperienza aveva a che fare in qualche modo col dimenticare. Lui voleva
dimenticare il film originale o perlomeno limitarne il ricordo a un riferimento remoto,
non invadente. C'era anche il ricordo di questa versione, vista e rivista per tutta la
settimana. Anthony Perkins nei panni di Norman Bates, collo da trampoliere, testa di
uccello visto di profilo.
Quel film lo faceva sentire come qualcuno che guarda un film. Il senso della cosa
settimana dopo settimana, sarebbe riuscito poi a vivere nel mondo? Voleva viverci?
Ma dov'era, in realt, il mondo?
Cont sei anelli. Gli anelli che girano sull'asta della tenda quando lei se la trascina
dietro. Il coltello, il silenzio, gli anelli che girano.
Ci vuole un'attenzione estrema per vedere cosa succede davanti a te. Ci vuole
impegno, pi sforzo, per vedere cosa stai guardando. Era incantato da tutto questo,
dalle profondit che si schiudevano nel movimento rallentato, le cose che c'erano da
vedere, le profondit delle cose che cos facilmente vanno perse nella superficiale
abitudine a vedere.
Gente e poi ombre proiettate sullo schermo.
Cominci a pensare alla relazione fra una cosa e l'altra. Quel film e la pellicola
originale avevano la stessa relazione che c'era fra la pellicola originale e l'esperienza
vissuta realmente. Quello era lo scostamento dallo scostamento. Il film originale era
finzione, quello era vero.
Senza senso, si disse, ma forse no.
Il giorno si dileguava, entravano sempre meno persone, poi quasi pi nessuno. Non
c'era altro posto dove volesse essere, al buio appoggiato a quel muro.
Il modo in cui una stanza pare scivolare su un binario dietro un personaggio. Il
personaggio si muove, ma sembra che a muoversi sia la stanza. Le scene che pi lo
interessavano erano quelle con un solo personaggio da guardare, o meglio ancora
nessuno.
La scalinata vuota vista dall'alto. La suspense cerca di crescere, ma il silenzio e
l'immobilit la sopravanzano.
Dopo tutto quel tempo cominciava a capire che lui era li, in piedi, in attesa di
qualcosa. Cos'era? Qualcosa che fino a quel momento era sfuggito alla coscienza.
Aspettava che arrivasse una donna, una donna da sola, qualcuno con cui parlare, li
vicino alla parete, a bassa voce, poche battute, naturalmente, o pi tardi, da qualche
altra parte, scambiarsi idee e impressioni, quello che avevano visto e cosa gli aveva
lasciato dentro. Non era forse cos? Pensava che sarebbe entrata una donna che si
sarebbe fermata li un po' a guardare, trovandosi un posto dove fermarsi lungo la
parete, un'ora, mezz'ora, anche quella poteva bastare, mezz'ora, era sufficiente, una
persona seria, dalla voce flautata, con un vestitino estivo di un colore chiaro.
Imbecille.
Sembrava reale, il ritmo era paradossalmente reale, i corpi che si muovono come
su una musica, quasi non si muovono, dodecafonia, le cose che accadono e non
accadono, causa ed effetto separati in modo cos reciso da sembrargli reali, come si
dice che sono reali tutte le cose del mondo fisico che non capiamo.
La porta scorrevole si apr e ci fu un lieve fermento in fondo al piano, gente sulle
scale mobili, un commesso che passava carte di credito nell'apposita macchinetta, una
commessa che infilava la merce acquistata dentro le grosse buste patinate del museo.
Luce e suoni, monotonia senza parole, un accenno a una vita altra, un mondo altro,
quella strana luminosa realt che respira e mangia, quella cosa che non cinema.
1
La vita vera non si pu ridurre a parole dette o scritte, nessuno pu farlo, mai. La
vita vera si svolge quando siamo soli, quando pensiamo, percepiamo, persi nei
ricordi, trasognati eppure presenti a noi stessi, gli istanti submicroscopici. Questo
Elster lo disse diverse volte, in modi diversi. Diceva che la sua vita avveniva quando
stava seduto a fissare una parete bianca, pensando alla cena.
Una biografia di ottocento pagine soltanto una sterile congettura, cos diceva.
Io quasi gli credevo quando diceva queste cose. Secondo lui capita in
continuazione, a tutti: diventiamo quello che siamo sotto i pensieri che scorrono e le
immagini indistinte, chiedendoci oziosamente quando moriremo. E cos che viviamo
e pensiamo, anche se non sempre ce ne rendiamo conto. Sono questi i pensieri che ci
arrivano senza filtro, mentre guardiamo fuori dal finestrino del treno, macchioline
opache di panico meditativo.
Il sole bruciava. Era proprio quello che voleva lui: sentire il calore che picchiava e
gli entrava nel corpo, sentire il corpo, affrancarlo da quella che chiamava la nausea da
News e Traffico.
Era cos il deserto, lontano, oltre le citt e i paesini sparsi. Lui era l per mangiare,
dormire e sudare, era li per non fare niente, per stare seduto e pensare. C'era la casa e
basta, poi solo distanze, niente scorci panoramici n vedute a perdita d'occhio, solo
distanze. Diceva di essere li per smettere di parlare. A parte me, non c'era nessuno
con cui parlare. E questo all'inizio lo faceva con frugalit, e mai all'ora del tramonto.
Non si trattava del fulgido tramonto su un viale lastricato di fondi pensione in azioni
e obbligazioni. Per Elster il tramonto era un'invenzione umana, il modo in cui
percepiamo e disponiamo la luce e lo spazio a formare gli elementi della meraviglia.
Guardavamo e restavamo meravigliati.
L'aria tremolava mentre i colori e le forme senza nome del paesaggio diventavano
pi nitidi, prendevano chiarezza di contorni ed estensioni. Forse era la differenza
d'et fra di noi a farmi pensare che lui provasse qualcosa di diverso davanti alle
ultime luci del giorno, un'inquietudine persistente, non inventata. Questo poteva
spiegare il silenzio.
La casa era un triste ibrido. Un tetto di lamiera ondulata sopra la facciata rivestita
in legno, sul davanti un vialetto di pietra lasciato a met e da un lato sbucava un
terrazzone aggiunto in un secondo momento.
Era li che stavamo, seduti, durante quella sua ora di quiete, il cielo, un bagliore di
torcia, la vicinanza di colline appena visibili nel bianco accecante del meriggio.
News e Traffico. Sport e Meteo. Queste erano le caustiche definizioni che riservava
alla vita che si era lasciato alle spalle, oltre due anni trascorsi con le menti tutte d'un
pezzo che avevano fatto la guerra. Semplici rumori di fondo, diceva agitando una
mano. Gli piaceva fare quel gesto per esprimere sufficienza. C'erano la valutazione
dei rischi e i documenti programmatici, i gruppi di lavoro interagenzia.
Lui era l'outsider, uno studioso che godeva di un'alta considerazione ma di nessuna
esperienza in ambito governativo. Stava intorno al tavolo di una sala conferenze
protetta insieme a strateghi e analisti militari. Era l per concettualizzare, questa era la
parola che usava lui, per applicare idee e principi ad ampio raggio a questioni quali lo
schieramento delle truppe e le iniziative di contro-insurrezione. Raccont che aveva il
permesso di leggere telegrammi confidenziali e trascrizioni riservate, e ascoltava il
chiacchiericcio degli esperti interni, dei metafisici dei servizi segreti, dei visionari del
Pentagono.
Il terzo piano dell'anello E del Pentagono. L'arroganza delle dimensioni, diceva.
Tutto ci lui l'aveva dato via in cambio di spazio e tempo. Era come se queste cose
le assorbisse attraverso i pori. C'erano le distanze che abbracciavano ogni
caratteristica del paesaggio e c'era la forza del tempo geologico, l, da qualche parte, i
reticoli di spago dei paleontologi in cerca di ossa erose dalle intemperie.
Continuo a vedere queste parole. Calore, spazio, immobilit, distanza. Sono
diventate stati mentali visivi.
Non so bene che cosa significhi. Continuo a vedere figure isolate, vedo le
sensazioni provocate da queste parole, oltre la dimensione fisica, sensazioni che si
fanno pi profonde col passare del tempo. Ecco l'altra parola: tempo.
Io guidavo e osservavo. Lui rimaneva a casa, seduto in una striscia d'ombra sul
terrazzo scricchiolante, a leggere. Io mi addentravo nelle fessure dei canyon e su
sentieri non riportati nelle cartine, l'acqua sempre, portavo dell'acqua ovunque,
sempre un cappello, indossavo un cappello a tesa larga e un fazzoletto al collo e mi
fermavo sui promontori sotto un sole proibitivo, mi fermavo e osservavo. Il deserto
era al di l della mia portata, era un essere alieno, era fantascienza, saturante e remoto
al tempo stesso, e io mi dovevo sforzare per convincermi di essere veramente li.
Lui sapeva dov'era, sulla sua sedia, cosciente del proto-mondo, cos pensavo io, dei
mari e delle barriere rocciose sommerse di dieci milioni di anni fa.
Chiudeva gli occhi, divinando in silenzio la natura delle estinzioni pi recenti,
pianure erbose su libri illustrati per bambini, una regione pullulante di cammelli felici
e zebre giganti, mastodonti, tigri dai denti a sciabola.
L'estinzione era uno dei suoi temi ricorrenti in quel periodo. Era il paesaggio a
ispirargli i temi. Spazi aperti e claustrofobia. Anche questo sarebbe diventato un
tema.
Richard Elster aveva settantatre anni, io meno della met. Mi aveva invitato a
raggiungerlo li, casa vecchia, pochissimi mobili, in qualche punto a sud del nulla nel
deserto di Sonora, o forse era il deserto del Mojave o un altro deserto. Una visita
breve, cos aveva detto.
Quello era il decimo giorno.
Con lui avevo parlato due volte, a New York, e sapeva cosa avevo in mente, la sua
partecipazione a un film che volevo girare sul periodo in cui era stato al governo, tra
le ciance e i farfugliamenti sull'Iraq.
In realt lui sarebbe stato l'unico partecipante. Il suo viso, le sue parole. Non mi
serviva altro.
Inizialmente disse di no. In seguito disse mai e poi mai. Alla fine mi chiam e disse
che potevamo parlarne, ma non a New York e nemmeno a Washington.
Echi su echi, l.
Presi l'aereo e andai a San Diego, noleggiai una macchina e mi diressi verso est,
con le montagne che sembravano sbucare improvvisamente da dietro le curve della
strada, le nubi temporalesche di fine estate che si addensavano, e poi tagliai fra
colline brune, cartelli di caduta massi e sghembi mucchietti di steli spinosi, e infine
lasciai la strada asfaltata e giunsi su un sentiero primitivo, perdendomi per un po' in
quello scarabocchio indistinto della cartina che Elster aveva tracciato a matita.
Arrivai dopo il calare della sera.
- Niente poltrona imbottita, n luci soffuse e libreria sullo sfondo, - gli dissi. - Solo
un uomo e una parete.
L'uomo sta in piedi e racconta tutta la sua esperienza, ogni cosa che gli viene in
mente, personalit, teorie, dettagli, sensazioni. Quell'uomo lei. Non. c' nessuna
voce fuori campo a fare le domande. Non ci sono spezzoni di combattimenti n altre
persone che commentano, in video o fuori.
-Cos'altro?
- Un semplice primo piano.
- Cos'altro? - chiese.
- Le pause, fa quelle che vuole, io riprendo senza interruzioni.
- Cos'altro?
- Videocamera con hard drive. Un'unica ripresa.
- Lunga quanto?
- Dipende da lei. C' un film russo, un lungometraggio, Arca russa, di Aleksandr
Sokurov. Un unico piano sequenza, un migliaio fra attori e comparse, tre orchestre,
eventi storici e di fantasia, scene di folla, sale da ballo, e a un certo punto, dopo
un'ora di film, a un cameriere cade un tovagliolo, ma niente tagli, non si pu tagliare,
e la cinepresa vola lungo i corridoi, gira gli angoli. Novantanove minuti, - dissi.
- Ma lui si chiamava Aleksandr Sokurov. Tu ti chiami Jim Finley.
Mi sarei messo a ridere se non avesse accompagnato la battuta con un sorrisetto
ironico. Elster parlava russo e pronunci il nome del regista con ruspante leziosit.
Cosa che aggiunse un'ulteriore nota di autocompiacimento alla sua osservazione.
Avrei potuto muovere l'ovvia obiezione che io non avrei fatto riprese di folle in
textured motion. Ma lasciai che la battuta esaurisse il suo effetto. Non era tipo da dar
spazio anche alla pi garbata delle correzioni.
Era seduto sul terrazzo, un uomo alto in pantaloni di cotone sgualciti ormai assurti
al rango di pietra miliare. Stava a torso nudo per gran parte del giorno, tutto spalmato
di protezione solare anche all'ombra, e i capelli argentei erano intrecciati, come
sempre, e raccolti in un codino.
- Decimo giorno, - dissi.
La mattina affrontava eroicamente il sole. Aveva bisogno di incrementare le sue
scorte di vitamina D e alzava le braccia verso il sole, rivolgeva una supplica agli di,
cos diceva, anche se ci significava la furtiva comparsa di tessuti anomali.
- pi sano rifiutare certe precauzioni piuttosto che adeguarsi alla massa.
Immagino che queste cose tu le sappia, - disse.
Aveva un viso lungo e florido, leggermente flaccido all'altezza delle mascelle. Il
naso era grande e butterato, gli occhi forse tra il verde e il grigio, le sopracciglia a
ventaglio. Quei capelli intrecciati in teoria sarebbero dovuti sembrare incongrui,
eppure non era cos. Non erano pettinati a ciocche, ma solo raggruppati a grossi ciuffi
all'altezza della nuca, cosa che gli conferiva una certa identit culturale, eleganza e
distinzione, l'intellettuale come anziano della trib.
- Si tratta di un esilio? Sei qui in esilio?
- Wolfowitz andato alla Banca Mondiale. Quello stato un esilio, - disse. Questo diverso, un ritiro spirituale.
La casa apparteneva a un qualche parente della mia prima moglie. Per anni sono
venuto qui a passare dei periodi ogni tanto. Venivo a scrivere, a pensare. In altri posti,
ovunque, la mia giornata comincia nel conflitto, ogni mio passo su una strada
cittadina un conflitto, gli altri sono il conflitto. Qui diverso.
- Ma stavolta niente scrittura.
- Ho avuto delle offerte per un libro. Il ritratto della stanza della guerra dal punto di
vista di un outsider privilegiato. Ma io non voglio scrivere un libro, nessun genere di
libro.
- Vuoi stare seduto qui.
- La casa mia adesso e sta andando in rovina, ma chi se ne frega. Il tempo rallenta
quando sono qui. Il tempo diventa cieco. Il paesaggio pi che vederlo io lo percepisco
con i sensi. Non so mai che giorno . Non so mai se passato un minuto o un'ora. Qui
non invecchio.
- Vorrei poter dire la stessa cosa.
- Ti serve una risposta. E questo che stai dicendo?
- Mi serve una risposta.
- Hai una vita li dove abiti.
- Una vita. Forse un parolone.
Stava seduto con il capo reclinato all'indietro, gli occhi chiusi, la faccia al sole.
- Non sei sposato, giusto?
- Separato. Ci siamo separati, - risposi.
- Separati. Che parola familiare. Hai un lavoro, un'occupazione fra un progetto e
l'altro?
Probabilmente cerc di non caricare la parola progetto di funerea ironia.
- Lavori sporadici. Produzione, montaggio.
Ora mi stava guardando. Forse si domandava chi fossi.
- Ti ho gi chiesto come fai a essere cos secco? Mangiare mangi. Il cibo lo mandi
gi, come me.
- Direi che mangio, si. Mangio eccome. Ma tutta l'energia, tutto il nutrimento viene
risucchiato dal film, - dissi. - Per il corpo non resta niente.
Chiuse di nuovo gli occhi e io guardai il sudore e la crema solare che gli
scorrevano lungo la fronte. Aspettai che mi chiedesse dei lavori cinematografici che
avevo fatto per conto mio, la domanda che avevo sperato di non sentire. Ma nel
frattempo lui non aveva pi interesse per la conversazione o pi semplicemente aveva
quel tipo di ego rigurgitante che tralascia di badare a simili dettagli. Avrebbe accettato
o rifiutato non in virt delle mie qualifiche ma secondo i capricci del suo umore,
prendendosela comoda. Entrai per controllare l'e-mail sul mio portatile, avevo
bisogno di contatti esterni, ma mi sentivo corrotto, come se stessi infrangendo un
tacito patto di ascesi creativa.
pi denso saresti un buco nero. Un fenomeno, - disse. - La luce non ha via d'uscita.
Io dissi: - La parete ce l'ho, ho in mente la parete, in un loft, a Brooklyn, un
grosso loft industriale tutto sottosopra. Vi ho accesso praticamente a qualsiasi ora del
giorno e della notte. La parete perlopi di un colore grigio pallido, con delle crepe,
delle macchie, ma non distraggono, non sono elementi ornamentali in senso stretto.
La parete giusta, ci penso, la sogno, apro gli occhi e la vedo, chiudo gli occhi ed
li.
- Senti proprio un bisogno profondo di fare questa cosa. Spiegami perch, - disse.
- La risposta a questa domanda sei tu. Quello che dici, quello che ci dirai a
proposito di questi ultimi anni, quello che sai e che nessun altro sa.
Eravamo in casa, era tardi, lui indossava i vecchi pantaloni sgualciti, una felpa
lurida, i grossi piedoni ottusi erano dentro eleganti sandali in cuoio.
- Ti dico questo. La guerra crea un mondo chiuso, e non soltanto per quelli che
combattono, ma anche per quelli che tramano, gli strateghi. Solo che la loro guerra
fatta di acronimi, proiezioni, contingenze, metodologie.
Quelle parole le salmodi, in tono liturgico.
- Rimangono paralizzati dai sistemi a loro disposizione.
La loro guerra astratta. Pensano di mandare l'esercito in un posto che si trova
sulla cartina.
Lui non era uno stratega, specific senza che ce ne fosse bisogno. Sapevo cos'era,
o cosa doveva essere sulla carta, un Teorico della Difesa, senza le credenziali
consuete, e quando la pronunciai, quella definizione gli fece serrare la mascella per
l'orgogliosa nostalgia di quelle settimane, quei mesi dei primi tempi, prima che
cominciasse a capire che in realt stava solo occupando un posto vacante.
- A volte non c'erano nemmeno cartine che combaciassero con la realt che
stavamo cercando di creare.
- Che realt?
- E una cosa che facciamo a ogni battito di ciglia.
La percezione umana non che una saga di realt ricreate.
Ma noi li stavamo ideando entit che andavano oltre i limiti comunemente accettati
del riconoscimento o dell'interpretazione. Mentire necessario. Lo stato deve
mentire. In guerra o quando si prepara una guerra non ci sono bugie che non possano
essere difese.
Noi siamo andati oltre questo. Abbiamo cercato di creare nuove realt da un giorno
all'altro, parole ben confezionate simili a slogan pubblicitari, orecchiabili e ripetibili.
Queste parole dovevano avere il compito di generare immagini, diventando infine
tridimensionali.
La realt sta in piedi, cammina, si acquatta. Solo che non sempre funziona.
Non era un fumatore, ma la sua voce aveva una consistenza sabbiosa, forse solo
stridula per l'et, a volte gli scivolava dentro, diventava quasi impercettibile.
Rimanemmo seduti per un po'. Lui era stravaccato in mezzo al divano, guardava in
alto, un punto in un angolo della stanza. Stringeva all'altezza della vita una tazza
grande da caff con dentro dello scotch allungato con acqua.
A un certo punto disse: - Haiku.
Io annuii assorto, come un idiota, con una serie di gesti lenti volti a comunicare che
2
Una fitta pioggia scendeva sferzante dalle montagne, troppo forte per infilarci
dentro qualunque pensiero, lasciandoci senza nulla da dire. Eravamo in piedi
nell'ingresso coperto del terrazzo, noi tre, a guardare e ascoltare, con il mondo
sommerso dall'acqua.
Jessie si stringeva fra le braccia, ogni mano protesa ad afferrare la spalla opposta.
L'aria era pungente e carica, e quando la pioggia cess, di li a qualche minuto,
tornammo in soggiorno e riprendemmo i discorsi interrotti quando era cominciato a
venir gi il finimondo. In quei primi giorni io pensavo a lei come alla Figlia.
La possessivit di Elster, l'avvolgenza del suo spazio, mi rendevano arduo
distinguerla, trovare in lei le sembianze di un essere a s stante. Lui la voleva sempre
vicina.
Quando si rivolgeva a me, la includeva comunque, l'attirava nel discorso con lo
sguardo o con un gesto.
I suoi occhi avevano una scintilla non cos insolita nel padre che osserva la sua
creatura, ma l'effetto sembrava quello di soffocare qualsiasi reazione, o forse a lei non
interessava mostrarne alcuna.
Era pallida e magra, sui venticinque anni, goffa, la faccia morbida, non paffuta, ma
tonda e placida, e dava come l'impressione di essere attenta a una qualche presenza
interiore. Suo padre diceva che sentiva le parole dentro di loro. Non chiesi cosa
volesse dire. Dire cose del genere era il suo mestiere.
Portava jeans e scarpe da ginnastica, come me, e una camicia larga, ed era una
persona con cui parlare e questo faceva passare le giornate. Raccont che viveva con
sua madre nell'Upper East Side, in un appartamento che liquid con una scrollata di
spalle. Faceva volontariato con gli anziani, andava al supermercato, li accompagnava
dal medico. Ognuno aveva qualcosa come cinque medici a testa, raccont, e a lei non
dispiaceva stare seduta in sala d'attesa, le sale d'attesa le piacevano, le piacevano i
portieri degli alberghi che fermano i taxi con un cenno della mano, uomini in divisa,
l'unica divisa che ti pu capitare di vedere in un giorno tipo, perch i poliziotti di
solito se ne stanno rintanati nelle loro macchine.
Aspettai che mi chiedesse dove vivevo, come vivevo, con chi, qualsiasi cosa. Forse
questo la rese interessante, il fatto che non me lo chiese.
Dissi: - Avevo uno studio dalle parti di Queens. Prima potevo permettermelo, poi
non pi. Lavoro fuori casa, che pi o meno dalle parti di Chinatown. Metto su
progetti, parlo con la gente, penso ad altri progetti.
Dove trovare i soldi? Penso al gap financing. Non sono sicuro di sapere cosa
significhi. Penso ai fondi di investimento a capitale proprio, a capitali stranieri, a
fondi speculativi. Ogni progetto diventa un'ossessione senn che senso ha. E adesso
c' questo, tuo padre. So che la persona giusta e ho la sensazione che anche lui la
pensi cos. Ma non riesco a strappargli una risposta. Lo facciamo, non lo facciamo,
forse, mai, dopo. Guardo il cielo e mi chiedo: che diavolo ci faccio qui?
- Compagnia, - disse lei. - Lui odia completamente, fisicamente, la solitudine.
- Odia la solitudine ma viene qui perch qui non c' niente, non c' nessuno. Gli
altri sono il conflitto, dice lui.
- Non quelli con cui sceglie di stare. Qualche studente! nel corso degli anni, poi ci
sono io tra i fortunati e tanto tanto tempo fa mia madre. Ha due figli maschi dal primo
matrimonio. Disastro e Sfacelo, cos li chiama. Che non ti venga mai in mente di
nominarli davanti a lui.
Perlopi parlavamo di nulla, io e lei. Sembrava che non avessimo niente in
comune, ma gli argomenti di conversazione continuavano a spuntare come funghi.
Raccont che aveva avuto un momento di confusione salendo su una scala mobile
che non funzionava. Questo era accaduto all'aeroporto di San Diego, dove suo padre
era andato a prenderla. Era salita su una scala mobile che portava al piano superiore,
solo che non funzionava, e lei non riusciva ad adeguarsi, ogni passo che faceva
doveva ragionarci ed era stato difficile perch continuava ad aspettarsi che i gradini si
muovessero e quindi faceva come dei mezzi passi e aveva, l'impressione di rimanere
ferma per via del fatto che i gradini non si muovevano.
Non guidava perch non riusciva a coordinare i comandi con mani e piedi
contemporaneamente. Una delle persone a cui badava era morta da poco di una
qualche -osi multipla. Al telefono sua madre parlava russo, bufere di russo, giorno e
notte. Le piaceva l'inverno, di, stese di neve nel parco, ma non si addentrava mai pi
di tanto, gli scoiattoli d'inverno a volte sono idrofobi.
Mi piacevano queste chiacchierate, erano tranquille, con una misteriosa profondit
in ogni sua casuale., osservazione. A volte la fissavo, aspettando chiss cosa, che
ricambiasse lo sguardo, che desse un cenno di disagio. Aveva lineamenti comuni,
occhi castani, capelli castani che si ravviava spesso dietro le orecchie.
C'era qualcosa di autodeterminato nel suo aspetto, una inespressivit che sembrava
voluta. Aveva deciso lei di avere quell'aspetto, o cos mi dicevo io. La sua era una vita
diversa, molto distante dalla mia, e questo offriva una tregua dalla continua
introiezione del mio tempo l e in un certo senso serviva anche a controbilanciare il
potere che suo padre esercitava sul mio immediato futuro.
Elster usc dalla sua camera in pigiama e trascinandosi ci raggiunse sul terrazzo,
scalzo, con una tazza di caff in mano. Guard Jessie e sorrise, come ricordando nel
suo stordimento che c'era qualcosa che voleva fare. Voleva sorridere.
Si accomod su una sedia, parlando lentamente, con voce debole e riarsa,
nottataccia, levataccia.
- Prima di addormentarmi, finalmente, pensavo a quando da piccolo cercavo di
immaginarmi la fine del secolo, che mi appariva come un prodigio lontanissimo, e
calcolavo che et avrei avuto alla fine del secolo, anni, mesi, giorni, e ora ecco,
incredibile, ci siamo: sono passati sei anni dall'inizio del secolo e mi rendo conto di
essere ancora lo stesso ragazzino magro, la sua ombra si proietta sulla mia vita, non
calpesto le fessure sui marciapiedi, non per superstizione ma come una sorta di prova,
di disciplina, ancora lo faccio. Che altro?
Lui si mangia le pellicine del pollice, sempre il pollice destro, io ancora lo faccio,
un pezzetto di pelle morta, cos che so chi sono.
Una volta avevo guardato nell'armadietto delle medicine in bagno. Nessun bisogno
di aprire lo sportello, non c'era. File di bottiglie, tubetti, scatole di pillole, quasi tre
ripiani, e ancora altre boccette, una senza tappo, sul coperchio dello sciacquone, e
vari bugiardini sparsi su una panchetta, aperti, piccoli caratteri in grassetto, dall'aria
ammonitrice.
- Non nei miei libri, nelle conferenze, nelle conversazioni, o altro. E nella pipita,
accidentaccio, nelle pellicine, ecco dove sono io, la mia vita, da li fino a qui. Parlo nel
sonno, l'ho sempre fatto, un tempo me lo diceva mia madre e ora non ho bisogno che
me lo dica nessuno, lo so, lo sento con le mie orecchie, e questo ancora pi
significativo, qualcuno dovrebbe fare degli studi sulle cose che si dicono nel sonno, e
probabilmente qualcuno gi l'avr fatto, qualche paralinguista, perch sono cose che
significano pi di mille lettere personali scritte nel corso di una vita e si tratta
comunque di letteratura.
Non erano tutte medicine con obbligo di ricetta, ma molte si, e tutte insieme erano
Elster. Le lozioni, le compresse, le capsule, le supposte, le creme e i gel e le boccette
e i tubetti che le contenevano, le etichette, i bugiardini e gli adesivi col prezzo: tutto
questo era Elster, vulnerabile, e forse c'era qualcosa di moralmente degradato nella
mia presenza in quella stanza ma io non mi sentivo in colpa, solo interessato a
conoscere l'uomo e tutti quegli accessori dell'essere, gli agenti che stabilizzano
l'umore, gli agenti che creano dipendenza, quelli che nessuno vede o cerca di
immaginare. Non che queste cose fossero aspetti seri della vita vera alla quale lui
amava fare riferimento, i pensieri perduti, i ricordi che spaziano nei decenni, le
pellicine del pollice.
Eppure, in un certo qual modo, lui era tutto l, nell'armadietto dei medicinali,
l'uomo nel suo complesso, contrassegnato con precisione da gocce, cucchiaini e
milligrammi.
- Guardate tutto questo, - disse senza guardarlo, il paesaggio, il cielo che aveva
indicato con un ampio gesto all'indietro del braccio.
Nemmeno noi guardammo.
- Alla fine il giorno diventa notte, ma una questione di luce e oscurit, non il
tempo che passa, il tempo mortale. Non c' il solito terrore. Qui differente, il tempo
enorme, ecco cosa sento qui, in modo tangibile.
Il tempo che ci precede e ci sopravvive.
Mi ci stavo abituando, al modo in cui tarava il suo discorso, decenni e decenni di
pensieri e parole su questioni trascendenti. In questo caso lui parlava a Jessie, era a lei
che si era rivolto fin dall'inizio, sporto in avanti sulla sedia.
Lei disse: - Il solito terrore. Cos' il solito terrore?
- Qui non c', il calcolo minuto per minuto, quella cosa che sento quando sono in
una citt.
E tutto incastrato, le ore e i minuti, parole e numeri ovunque, cos diceva, le
stazioni ferroviarie, gli itinerari degli autobus, i tassametri, le telecamere di
sorveglianza.
Tutto ruota intorno al tempo, tempo cretino, tempo inferiore, la gente che controlla
l'orologio e altri aggeggi, altri sistemi che aiutano a ricordare. il tempo che scorre
via lentissimamente dalla nostra vita.
Le citt sono state costruite per misurare il tempo, per togliere il tempo dalla
natura. C' un eterno conto alla rovescia, diceva. Quando hai strappato via tutte le:.
superfici, quando guardi sotto, ci che resta il terrore. E questo che la letteratura
vuole curare. Il poema: epico, la favola prima di andare a letto.
- Il film, - dissi io.
Mi guard.
- Un uomo davanti al muro.
: - S, - dissi.
- Spalle al muro.
- No, non come un nemico, ma una specie di visione, un fantasma dei consigli di
guerra, una persona libera di dire tutto quello che vuole, cose non dette, cose
confidenziali, valutare, condannare, divagare. Qualsiasi cosa tu dica, quello il film,
tu sei il film, tu parli, io riprendo. Niente grafici, cartine, informazioni aggiuntive.
Faccia e occhi, bianco e nero, quello il film.
Lui disse: - Spalle al muro, pezzo di merda, - e mi diede un'occhiataccia. - Solo che
gli anni Sessanta sono passati da un pezzo e le barricate non ci sono pi.
- Il film la barricata, - gli dissi. - Quella che erigiamo noi, io e te. Quella dove c'
un uomo dritto in piedi che dice la verit.
- Non so mai che dire quando parla cos.
- E una vita che parla ai suoi studenti, - dissi. - Non si aspetta che gli altri dicano
qualcosa.
- Ogni secondo il suo ultimo respiro.
- Sta seduto e pensa, qui per questo.
- E il film che vuoi girare.
- Non posso farlo da solo.
- Ma non ti andrebbe invece di fare un film vero?
Perch quanta gente sarebbe disposta a passare tutto quel tempo a guardare una
cosa cos da zombie?
- Giusto.
- Anche se alla fine lui magari dice roba interessante, sono tutte cose che si
potrebbero leggere su una rivista.
- Giusto, - dissi.
- Non che io vada spesso al cinema. Mi piacciono i vecchi film in televisione, dove
si vede un uomo che accende una sigaretta alla donna. Sembrava non facessero altro
in quei vecchi film, uomini e donne. Di solito io sono cos svaghevole. Ma ogni volta
che vedo un vecchio film in televisione, sto attenta a vedere se c' un uomo che
accende una sigaretta a una donna.
Io dissi: - I passi nei film.
- I passi.
; - Il rumore dei passi nei film non sembra mai reale.
- Sono passi nei film.
- Stai dicendo: perch in fondo dovrebbero sembrare reali?
- Sono passi nei film, - disse lei.
- Un giorno ho accompagnato tuo padre a vedere un film. Si intitolava 24
HourPsycho. Non era un film, ma un'opera d'arte concettuale. Il vecchio film di
Hitchcock proiettato cos lentamente da durare ventiquattro ore.
- Me ne ha parlato.
Usavamo lo stesso bagno, io e lei, ma sembrava che non ci andasse quasi mai. Un
piccolo kit da viaggio, unica traccia della sua presenza, era pigiato in un angolo del
davanzale. Sapone e asciugamani li teneva in camera sua.
Era simile a una silfide, il suo elemento era l'aria.
Dava l'impressione che quel posto non fosse diverso da qualsiasi altro, quel Sud e
quell'Ovest, latitudine e longitudine. Si muoveva da uno spazio all'altro con passo
leggero, provando ovunque le stesse sensazioni, ecco cosa c'era, lo spazio interiore.
Il suo letto era sempre sfatto. Diverse volte aprii la porta della sua camera e mi
affacciai a guardare, ma non entrai mai.
Rimanevamo seduti fino a tardi, scotch per tutti e due, la bottiglia sul terrazzo e
stelle a sciami. Elster guardava il cielo, tutto quello che c' stato prima, diceva, li da
vedere, riprodurre su una mappa, pensare.
Gli chiesi se era stato in Iraq. Aveva bisogno di riflettere sulla domanda. Non
volevo che credesse che io gi conoscessi la risposta e gli facessi quella domanda
solo per mettere in discussione la vastit della sua esperienza. La risposta non la
conoscevo.
Disse: - Odio la violenza. Il solo pensiero mi fa paura, non guardo film violenti,
quando al telegiornale fanno vedere morti o feriti mi giro dall'altra parte. Ho fatto a
pugni, da bambino, e ho avuto le convulsioni, - disse. La violenza mi gela il sangue.
Mi disse che aveva un nullaosta pieno, cio l'accesso a ogni minuzia sensibile dell'
intelligence militare.
Sapevo che non era vero. Lo dicevano la sua voce e la sua faccia, una brama piena
di risentimento, e io capivo naturalmente che lui mi raccontava certe cose, vere o no,
soltanto perch ero l, eravamo li tutti e due, isolati, a bere. Ero il suo confidente per
mancanza di meglio, il giovane a cui venivano affidati i dettagli della sua realt
surrogata.
- Un giorno ho parlato loro della guerra. L'Iraq un sussurro, ho detto, I nostri flirt
nucleari con questo o quel governo. Piccoli sussurri, - disse. - Sono convinto che tutto
questo cambier. Sta per succedere qualcosa.
Ma non questo che vogliamo? Non questo il peso della coscienza? Abbiamo
tutti fatto il nostro tempo.
La materia vuole perdere il peso della propria coscienza di s. Noi siamo la mente
e il cuore in cui la materia si trasformata. E giunta l'ora di chiudere bottega. E
questo che ci guida adesso.
Rabbocc il suo bicchiere e mi pass la bottiglia. Ci stavo provando gusto.
- Vogliamo essere la materia inerte che eravamo un tempo. Siamo l'ultimo
miliardesimo di secondo nell'evoluzione della materia. Da studente andavo alla
ricerca di idee radicali. Scienziati, teologi, leggevo gli scritti dei mistici dei vari
secoli, ero una mente famelica, una mente pura. Riempivo quaderni con le mie
versioni della filosofia mondiale. E oggi eccoci qua. Non facciamo che inventare
leggende popolari sulla fine. La diffusione di malattie animali, tumori contagiosi. Che
altro?
- Il clima, - dissi io.
- Il clima.
- L'asteroide, - dissi.
ricordammo dove eravamo e, quando i versi non si sentirono pi, rimanemmo un po'
senza parlare. Disse che gli sarebbe piaciuto aver continuato a fare lo studente, essere
andato in Mongolia, vera lontananza, a vivere, lavorare e pensare. Mi chiam Jimmy.
- Avrai modo di parlare di tutte queste cose, - dissi. Parlare, fermarti, pensare,
parlare. La tua faccia, dissi. - Quello che sei, le cose in cui credi. Altri pensatori,
scrittori, artisti, nessuno ha mai fatto un film del genere, niente di programmato,
niente di provato, nessuna ambientazione elaborata, nessuna conclusione in anticipo,
una cosa completamente a viso scoperto, per cos dire, senza tagli.
Pronunciai queste battute biascicando per il whisky, semiconsapevole che non era
la prima volta che le dicevo; sentii un profondo respiro e poi la sua voce, tranquilla e
controllata, triste, addirittura.
- Quello che vuoi, amico mio, che tu te ne renda conto o no, una confessione
pubblica.
Non aveva senso. Gli dissi che non era assolutamente cos. Gli dissi che non avevo
la minima intenzione di fare una cosa del genere.
- Una conversione in punto di morte. Ecco cosa vuoi. La stoltezza, la vanit
dell'intellettuale. La cieca vanit, l'idolatria del potere. Perdonatemi, assolvetemi.
Respinsi con forza questa ipotesi, dentro di me, e gli dissi che non avevo nessuna
idea precisa oltre a quello che gli avevo descritto.
- Tu vuoi riprendere il crollo di un uomo, - disse.
- Lo capisco. Altrimenti che senso ha?
Un uomo che si fonde con la guerra. Un uomo che ancora crede nella giustezza
della guerra, la sua guerra.
Che faccia avrebbe, che direbbe in un film, in un cinema, su uno schermo
qualsiasi, mentre parla di una guerra haiku? Ci avevo pensato? Avevo pensato alla
parete, al colore e al materiale della parete, e avevo pensato alla faccia dell'uomo, a
quei lineamenti che erano forti ma anche facili ad afflosciarsi davanti alle varie
crudeli verit che avrebbero potuto pervadergli gli occhi, e poi mi venne in mente un
primo piano di Jerry Lewis del 1952, Jerry che si strappava via la cravatta mentre
cantava una ballata struggente di un qualche musical di Broadway.
Prima di entrare in casa, Elster mi strinse una spalla con fare apparentemente
rassicurante e io rimasi sul terrazzo per un po', troppo sprofondato nella mia sdraio,
nella notte, per arrivare a prendere la bottiglia di scotch. Dietro di me la luce della sua
camera da letto si spense, rischiarando il cielo, e che strana sensazione, mezzo
firmamento che si avvicinava, tutte quelle masse incandescenti che diventavano pi
numerose, stelle e costellazioni, solo perch qualcuno spegneva una luce in una casa
nel deserto, e mi dispiacque che lui non fosse li con me a parlarmi di tutto questo, ci
che vicino e ci che lontano, quello che pensiamo di vedere, ma che in realt non
vediamo.
Mi chiesi se non stessimo diventando una famiglia, non pi strana della maggior
parte delle famiglie, solo che noi non avevamo niente da fare, nessun posto dove
andare, ma nemmeno questo particolarmente strano, padre, figlia e io, che non si
sapeva bene cosa fossi.
C'era un'altra cosa che diceva lei, mia moglie, con benevolenza, a proposito del
mio atteggiamento nei confronti della vita da una parte e del cinema dall'altra.
Perch cos difficile essere seri e cos facile essere troppo seri? La porta del
bagno era aperta, mezzogiorno, e dentro c'era Jessie, a piedi nudi, in T-shirt e
mutande, con la testa sul lavandino, che si lavava la faccia. Indugiai sulla soglia. Non
sapevo se volevo che mi vedesse li.
Non immaginai di entrare e fermarmi alle sue spalle per curvarmi verso di lei, non
lo vidi chiaramente, le mie mani che si infilavano sotto la T-shirt, le mie ginocchia
che le allargavano le gambe in modo da permettermi di stringere pi forte, infilarmi
su e dentro, ma era li in un labile accenno del momento, l'idea di tutto questo, e
quando mi allontanai dalla soglia non mi preoccupai pi di tanto di non fare rumore.
Arriv il custode in macchina, un uomo tozzo con un berretto col disegno di un
trattore e un orecchino.
Si occupava della casa quando Elster non c'era, e cio, quasi ogni anno, pi o meno
per dieci mesi l'anno.
Lo osservai mentre girava l'angolo e raggiungeva il lato della casa dove si trovava
il serbatoio di gas propano. Quando torn sul davanti gli feci un cenno col capo
mentre mi passava vicino entrando in casa.
Non mostr di aver notato la mia presenza. Pensai che probabilmente viveva in
uno di quegli eccentrici ammassi di baracche, roulotte e macchinone ferme sui
mattoni, piccoli insediamenti acquattati a volte visibili dalle strade asfaltate.
Elster lo segu in cucina, parlandogli di un problema ai fornelli, e io rivolsi lo
sguardo alle colline di gesso e mi osservai in cornice da quella distanza, con occhio
clinico, uomo con paesaggio contro il lungo giorno, appena visibile.
Il pranzo era elastico, flessibile, si mangiava quando e dove si voleva. Mi ritrovai a
tavola con Elster, che esaminava le sottilette che Jessie aveva comprato durante il
nostro ultimo viaggio in citt. Disse che erano state colorate con uranio impoverito e
poi le mangi, spalmandoci sopra abbondante senape, tra fette di pane da galera, e io
feci lo stesso.
Lei era il sogno di suo padre. Il quale non sembrava sconcertato dalla reazione
stentata della ragazza alle sue manifestazioni d'affetto. Era una cosa naturale per lui
non farci caso. Non sono sicuro che Elster capisse il fatto che lei non era lui.
Quando ebbe finito il panino si sporse in avanti, con i gomiti poggiati sul tavolo, la
voce pi bassa.
- Io non devo per forza vedere un bighorn prima di morire.
- Okay, - dissi.
- Ma voglio che Jessie lo veda.
- Okay. Prendiamo la macchina.
- Prendiamo la macchina, - disse lui.
- A un certo punto probabilmente dovremo scendere dalla macchina e salire a piedi.
Credo che stiano spesso sulle cornici di roccia. Anch'io vorrei vederli. Non so
esattamente perch.
Si sporse ancora pi in avanti.
- Sai perch lei qui?
- Immagino che ti andasse di vederla.
- Mi va sempre di vederla. Sua madre, stata un'idea di sua madre. C' un uomo
- Non lo so.
- Cosa vuoi proteggere? E pazza. Dillo.
Parlavamo ancora a voce bassissima, a forza di sussurri il nostro legame si stava
consolidando, eppure non avevo intenzione di dirlo. Mi appoggiai allo schienale della
sedia, chiusi gli occhi per qualche istante e vidi il mio appartamento, nitido, calmo e
vuoto, le quattro del pomeriggio ora locale, e sembrava ci fossero pi cose di me in
quella luce polverosa di quante ce ne fossero qui, in casa o sotto il cielo aperto, e mi
chiesi se volevo davvero tornare a essere quello che vive nel bilocale circondato dalla
citt costruita per misurare il tempo, secondo la visione di Elster, il tempo furtivo
degli orologi, dei calendari, dei minuti ancora da vivere.
Poi lo guardai e gli chiesi se c'era un binocolo in casa.
Avremo bisogno di un binocolo per la spedizione, gli dissi. Sembrava perplesso. Il
bighorn, dissi. Se non veniamo spazzati via da un'esondazione. Se non moriamo per il
caldo. Ci serve un binocolo a portata di mano per poter osservare i particolari. Il
maschio quello con le corna, grandi e curve.
A cena lei disse una cosa buffa, che a New York i suoi occhi erano pi vicini, per
via della continua congestione del traffico. Dove era adesso invece gli occhi si
allontanavano, gli occhi si adattano alle condizioni ambientali, come le ali e il becco
degli animali.
Altre volte appariva sorda a tutto ci che poteva sollecitare una reazione. Il suo
sguardo era come limitato, non arrivava al muro o alla finestra. Osservarla mi
turbava, sapendo che non si sentiva osservata. Dov'era?
Non era persa nei pensieri o nei ricordi, non stava misurando il corso dell'ora o del
minuto successivo. Era irreperibile, saldamente ancorata dentro di s.
Il padre si sforzava in tutti i modi di non far caso a questi suoi momenti. Se ne
stava seduto in fondo alla stanza con i suoi poeti, muovendo le labbra mentre
leggeva.
Avevo avvicinato Richard Elster dopo una sua conferenza alla New School, e
senza perdere tempo gli avevo parlato subito della mia idea per il film, semplice e
incisivo, gli dissi, un uomo e la guerra, e nemmeno lui perse tempo, lasciandomi
inchiodato a un gesto nel bel mezzo di una frase, ma solo per un momento. Lo seguii
lungo il corridoio, parlando meno velocemente, e poi in ascensore, continuando a
parlare, e quando fummo in strada lui mi guard e fece un commento sul mio aspetto,
disse che somigliavo a lui quando era molto pi giovane, uno studente denutrito e
stremato.
Lo presi come un incoraggiamento, gli diedi il mio biglietto da visita e lo ascoltai
mentre lo leggeva ad alta voce, Jim Finley, Deadbeat Films. Ma a lui non interessava
prendere parte a un film, n il mio n quello di nessun altro.
Il secondo incontro fu pi lungo e strano. Museum of Modern Art. Per quante volte
io vada in quel museo, camminando da est verso ovest, l'edificio ogni volta un po'
pi gi rispetto a quella precedente. Guardavo una mostra sul dadaismo e vidi Elster,
solo, curvo su una vetrinetta. Sapevo che aveva scritto qualcosa sui significati del
maternese e perci non poteva che provare interesse per un'importante mostra di
oggetti creati in nome della logica demolita. Lo seguii per mezz'ora.
Guardai le cose che guardava lui. Alcune volte si appoggiava al bastone, altre lo
portava e basta, come capitava, orizzontalmente, tra le ondate di persone. Mi dissi sta'
calmo, sii civile, parla lentamente. Quando fece per imboccare l'uscita lo avvicinai,
gli ricordai del nostro incontro precedente, usai un po' di maternese e poi lo spinsi
gentilmente per tutto il sesto piano fino alla galleria dove c'era l'installazione dello
Psycho rallentato.
Rimanemmo in piedi al buio a guardare. Sentii quasi immediatamente che Elster
stava opponendo resistenza. C'era qualcosa che veniva sovvertito, il suo tradizionale
linguaggio di reazione. Immagini abortite, tempo che crollava, un'idea cos aperta alla
teoria e alla discussione da non lasciargli alcun contesto chiaro da dominare, solo
puro e semplice rifiuto. Una volta in strada finalmente parl, perlopi del suo
ginocchio dolorante.
Niente film, neanche per idea, mai e poi mai.
Una settimana dopo telefon e disse di trovarsi in una localit chiamata Anza
Borrego, in California. Non l'avevo mai sentita nominare. E poi per posta arriv una
cartina disegnata a mano, strade e sentieri per jeep, e cos il pomeriggio seguente
presi un volo economico.
Due giorni, pensai. Al massimo tre.
3
Ogni momento perduto la vita. Non si pu conoscere se non singolarmente,
ognuno di noi in modo ineffabile, quest'uomo, questa donna. L'infanzia vita perduta
rivendicata ogni secondo, cos diceva lui. Due bambini piccoli da soli in una stanza,
una luce fiochissima, sono gemelli, ridono. Trent'anni dopo, uno a Chicago, l'altro a
Hong Kong, sono il tema del momento.
Un momento, un pensiero, che arriva e scompare, ognuno di noi, su una strada in
un posto qualsiasi, e questo tutto quanto. Mi chiesi cosa intendesse per tutto quanto.
quello che chiamiamo io, la vita vera, disse, l'essere essenziale. E l'io che sguazza
beato in ci che sa, e ci che sa che non vivr per sempre.
Un tempo, quando andavo al cinema, rimanevo seduto a leggere i titoli di coda,
fino alla fine. Era un'abitudine che andava contro la logica e il buonsenso. Avevo una
ventina d'anni, non ero allineato da nessun punto di vista, e non lasciavo mai il mio
posto a sedere finch non erano scorsi tutti i nomi e i titoli. I titoli erano una lingua
risalente a una guerra antica. Ciacchista, maestro d'armi, cascatore, organizzatore di
scene di massa.
Non potevo fare a meno di stare seduto a leggere.
La sensazione era quella di cedere a una qualche debolezza morale. L'esempio pi
potente di tutto questo si manifest dopo l'ultimo fotogramma di un grosso film
hollywoodiano, nel momento in cui cominciarono i titoli di coda, una cosa che dur
cinque, dieci, quindici minuti e comprendeva centinaia di nomi, migliaia di nomi. Era
il declino e la caduta, uno spettacolo dell'eccesso quasi pari al film, ma io non volevo
che finisse.
Era parte dell'esperienza, ogni cosa era importante, assorbirla, sopportarla,
stuntmen delle scene in auto, arredatori, contabilit del personale. Lessi i nomi, tutti,
la maggior parte, gente reale, chi erano, perch cos tanti, nomi che mi
perseguitavano al buio. Alla fine dei titoli io ero da solo in sala, forse una signora
anziana seduta da qualche parte, vedova, i cui figli non la chiamano mai. Smisi di
farlo quando cominciai a lavorare nel business, anche se non lo consideravo per
niente un business. Era cinema e basta, e io ero pi che mai deciso a fare un film,
girare un film. A film. Ein film.
Li, con loro, non sentivo la mancanza dei film. Il paesaggio cominciava a sembrare
normale, la distanza era normale, il caldo era il tempo che faceva e il tempo che
faceva era il caldo. Cominciavo a capire cosa intendeva Elster quando diceva che da
quelle parti il tempo che passava era cieco. Al di l degli arbusti e dei cactus tipici
della regione, solo onde di spazio, ogni tanto qualche tuono lontano, l'attesa della
pioggia, lo sguardo che spazia dalle colline alla catena montuosa che ieri c'era e oggi
persa nei cieli senza vita.
- Caldo.
- Esatto, - disse Jessie.
- Di' la parola.
- Caldo.
- Senti come picchia.
- Caldo, - disse.
Era seduta al sole, la prima volta che la vedevo al sole, indossava quello che
portava sempre, dei jeans che adesso erano arrotolati fino al polpaccio, le maniche
della camicia tirate sui gomiti, e io stavo in piedi all'ombra e la guardavo.
- Cos muori.
- Cos come?
- Seduta al sole.
- Cos'altro c' da fare?
- Stare dentro e programmare la giornata.
- E comunque dov' che siamo? - disse. - Probabilmente nemmeno lo so.
Io non usavo il cellulare e non toccavo quasi mai il mio laptop. Cominciavano a
sembrare aggeggi deboli, a prescindere dalla velocit e dal campo, sopraffatti dal
paesaggio. Jessie cercava di leggere libri di fantascienza, ma niente di quello che
aveva letto fino ad allora poteva avvicinarsi all'assoluta inimmaginabilit della vita
ordinaria su questo pianeta, cos diceva lei.
Suo padre trov una coppia di manubri in un armadio, tre chili, tre chili e mezzo
l'uno, made in Austria. Da quanto tempo erano li? Chi ce li aveva portati? Chi li
aveva usati? Cominci a usarli lui, sollevava e respirava, sollevava e ansimava, un
braccio, poi l'altro, su e gi, facendo dei versi come durante uno strangolamento
controllato, asfissia autoerotica.
Io che facevo? Riempivo il frigo box di blocchetti di ghiaccio e bottiglie d'acqua e
facevo giri in macchina senza meta, ascoltando cassette di cantanti blues.
Scrissi una lettera a mia moglie e poi cercai di decidere se spedirla o stracciarla o
aspettare un paio di giorni per poi riscriverla e spedirla oppure stracciarla. Buttavo
bucce di banana per gli animali gi dal terrazzo e, pi o meno verso il ventiduesimo
giorno, smisi di contare i giorni trascorsi dal mio arrivo.
In cucina lui disse: - Conosco la tua vita coniugale.
Era quel genere di rapporto in cui ci si dice tutto. Tu le dicevi tutto. Ti guardo e te
lo leggo in faccia. la cosa peggiore che si possa fare in un matrimonio. Dirle tutto
quello che provi, tutto quello che fai. Ecco perch lei pensa che sei pazzo.
A cena, davanti a un'altra frittata, agitando la forchetta disse: - Tu capisci che non
una questione di strategia.
Io non parlo di segreti o inganni. Parlo di essere se stessi. Se riveli tutto, se metti a
nudo ogni sentimento, se chiedi comprensione, perdi qualcosa di cruciale per il senso
che hai di te stesso. Abbiamo bisogno di sapere cose che gli altri non sanno. E quello
che nessuno sa di te che ti permette di conoscerti.
Jessie spostava i bicchieri e i piatti nella credenza in modo che non usassimo
sempre gli stessi trascurando gli altri. Lo faceva durante periodici attacchi di energia,
come posseduta, trovando una disposizione sistematica nel lavello, nello scolapiatti e
sui ripiani. Suo padre la incoraggiava in questo. Asciugava i piatti e poi la guardava
sistemarli, ognuno nel suo posto preciso. Era operativa, dava una mano in giro per
casa e lo faceva al massimo grado, cosa buona, cosa ottima, diceva lui, perch che
senso ha lavare i piatti se non si spinti da qualcosa che va oltre la mera necessit.
Le disse: - Prima che te ne vai voglio che tu veda, un bighorn.
Lei rimase a bocca aperta e allung le mani, con i palmi in su, quasi a voler dire
ma come ti venuto in mente, quasi a voler dire cosa ho fatto per meritarmelo, gli
occhi spalancati, da bambina di un fumetto, sbalordita.
La notte parl delle gallerie d'arte nella zona di Chelsea.
Andava in queste gallerie con un'amica di nome Alicia.
Disse che Alicia era un po' un'oca giuliva. Disse che passeggiavano per il lungo
stradone scegliendo le gallerie a caso, guardavano le opere d'arte e poi tornavano in
strada, giravano l'angolo e prendevano la strada successiva, passeggiavano e
guardavano, e un giorno le venne in mente qualcosa di inspiegabile.
Facciamo la stessa cosa, avanti e indietro sulle stesse strade, ma senza entrare nelle
gallerie. Alicia disse di si, all'istante o quasi. Fecero cos e fu una cosa sottilmente
emozionante, disse lei, praticamente fu l'ideona della loro vita, per entrambe.
Passeggiare per quelle strade lunghe e quasi vuote nei pomeriggi feriali e senza
neanche dirselo saltare a pie pari le opere d'arte e poi attraversare la strada,
camminare sull'altro lato della stessa strada, girare l'angolo e imboccare la strada
successiva e camminare per la strada successiva e attraversare e camminare per la
stessa strada. Avanti e indietro e poi la strada successiva, sempre cos, passeggiando e
chiacchierando. Tutto questo rendeva davvero l'esperienza pi profonda, disse lei, la
migliorava e la rendeva comprensiva, di strada in strada.
La notte si mise sul bordo del terrazzo, rivolta verso il buio, con le mani sulla
ringhiera.
Era quasi una posa studiata, cosa non da lei, e io mi alzai, senza sapere bene il
perch, mi alzai a guardarla.
La luce nella camera di Elster era ancora accesa. Forse volevo che lei si girasse e
mi vedesse li, in piedi. Se avessi parlato avrebbe intuito che ero in piedi. La
provenienza della voce le avrebbe fatto capire che ero in piedi e si sarebbe chiesta
perch e poi si sarebbe girata a guardarmi. Da questo avrei capito cosa voleva, dal
modo in cui si girava, dalla sua espressione, o cosa volevo io. Perch dovevo essere
abile, accorto. Li eravamo soli, noi tre, e io ero quello in mezzo, il potenziale
distruttore, quello che mandava a puttane la famiglia.
Quando la luce nella camera di Elster si spense mi resi conto che quel momento era
una innocente regressione, il ragazzino e la ragazzina di un'altra epoca che aspettano
che i genitori di lei vadano a letto, solo che i genitori erano divorziati e in pessimi
rapporti e la madre era a letto gi da tre ore, fuso orario della costa orientale, e
probabilmente non da sola.
Le chiesi di venire a sedersi con me. Usai quell'espressione, sedersi con me. Lei
venne dalla mia parte del terrazzo e rimanemmo seduti cos per un po'. Disse che
stava pensando a una coppia di anziani che qualche volta aveva accompagnato dai
medici e che aveva aiutato un po' nelle faccende di casa. Passavano i pomeriggi a
guardare la TV e la donna non faceva che osservare il marito per controllare le sue
reazioni a qualsiasi cosa dicessero o facessero le persone sullo schermo. Ma lui non
aveva nessuna reazione, non aveva mai reazioni, non faceva nemmeno caso al fatto
che lei lo osservava, e Jessie pensava che quello in un certo senso fosse il lungo
spettacolo di un matrimonio, goccia a goccia, una testa che si gira, l'altra che non si
rende conto di niente.
Perdevano le cose in continuazione e trascorrevano ore e poi giorni a cercarle, il
mistero degli oggetti che sparivano, occhiali, penne stilografiche, documenti delle
tasse, le chiavi naturalmente, scarpe, una scarpa, tutte e due, e a Jessie piaceva
cercare, le riusciva bene, tutti e tre si aggiravano nell'appartamento parlando,
cercando, provando a ricostruire. Marito e moglie usavano vecchie penne
stilografiche con l'inchiostro vero. Erano due brave persone, ricche ma non
schifosamente, che perdevano le cose, le mettevano nel posto sbagliato, le facevano
cadere in continuazione.
Facevano cadere cucchiai, libri, perdevano spazzolini da denti. Persero un quadro
di un famoso artista americano vivente che Jessie ritrov in fondo a un armadio. Poi
osserv la moglie che guardava il marito per controllare la sua reazione e si rese
conto che era diventata parte del rituale, lei che guardava l'altra che guardava l'altro.
Erano persone normalissime come tutte le altre e nonostante questo erano normali,
disse. Se fossero state solo un poco pi normali avrebbero rischiato di diventare
pericolose.
Le presi una mano, senza sapere nemmeno io bene il perch. Mi piaceva
immaginarla con quelle persone anziane, tre innocenti che setacciavano le stanze per
ore e ore. Lei mi lasci fare, comportandosi come se non se ne fosse nemmeno
accorta. Era parte della sua asimmetria, la mano inerte, il viso impassibile, e questo
non mi fece necessariamente pensare che il momento potesse estendersi fino a
comprendere altri gesti, di natura pi intima. Era seduta accanto a uno qualsiasi,
parlava attraverso me con la donna in sari sull'autobus, con la segretaria nello studio
medico.
Tutto questo non import pi quando si accese la luce nella stanza di suo padre. Io
non sapevo come liberare la mia mano senza sentirmi ridicolo. La mossa doveva
essere strategica, non tattica, doveva coinvolgere tutto il corpo, cos mi alzai e andai
alla ringhiera, la mano era solo un dettaglio secondario. Lui venne fuori strascicando i
piedi e mi pass davanti, il pigiama puzzava di vecchio, il corpo di vecchio, la stanza,
senso originario di questa espressione, se un senso ce l'ha, se non uno di quei casi in
cui la lingua si sforza di arrivare a un'idea al di fuori della nostra esperienza.
- Che idea?
- Che idea. Il parossismo. O una sublime trasformazione di mente e anima o una
convulsione materiale.
Vogliamo che succeda.
- Secondo te vogliamo che succeda.
- Vogliamo che succeda. Una forma di parossismo.
Gli piaceva quella parola. Lasciammo che aleggiasse fra noi.
- Pensaci. Abbandoniamo del tutto l'essere. Pietre.
A meno che le pietre non siano anche loro degli esseri.
A meno che una mutazione profondamente mistica non trasfonda l'essere in una
pietra.
Le nostre camere avevano una parete in comune, la mia stanza e quella di lei, e io
mi immaginavo disteso sul letto, semincosciente, per met in preda ad allucinazioni,
c' una parola che descrive questo stato, e provai a pensare a questa parola su due
livelli, seduto sul terrazzo e buttato sul letto, ipnagogico, questa era la parola, ed ecco
Jessie a solo un metro di distanza da me, che sogna serena.
- Basta cos per una notte sola, - fece. - Direi proprio che basta.
Sembrava cercasse un posto dove poggiare il bicchiere.
Glielo presi di mano e lo guardai entrare in casa e poco dopo la luce della sua
camera si spense.
O completamente sveglia, non riesce a dormire, nessuno dei due ci riesce, e lei
distesa supina, con le gambe divaricate, e io sono seduto a letto e fumo anche se non
tocco una sigaretta da cinque anni, e lei indossa quello che normalmente indossa
quando si mette a letto, una T-shirt che le arriva alle cosce.
Avevo ancora in mano il bicchiere di Elster. Lo poggiai sul terrazzo e finii il mio
drink, lentamente, e alla fine posai il mio bicchiere accanto al suo. Entrai in casa e
spensi un paio di luci e poi mi fermai davanti alla sua stanza. C'era una fessura tra la
porta e lo stipite, io spinsi piano la porta e rimasi l, aspettando che il buio si
dissipasse permettendomi di distinguere le forme. Ed eccola li, a letto, ma ci misi un
po' prima di capire che mi stava guardando. Era sotto le lenzuola e mi guardava e poi
si gir su un fianco con la faccia rivolta al muro, tirandosi le coperte fino al collo.
Pass un istante e riaccostai la porta nella sua posizione iniziale senza fare rumore.
Uscii di nuovo e mi fermai per un po' alla ringhiera. Poi allungai al massimo la sdraio
e mi distesi sulla schiena, con gli occhi chiusi, le mani sul petto, cercando di sentirmi
come nessuno in nessun luogo, un'ombra che parte della notte.
Elster guidava in un silenzio torvo. Era la prassi.
Anche senza traffico, c'erano forze coalizzate contro, a seconda del giorno e
dell'ora: condizioni della strada, minaccia di pioggia, oscurit imminente, le persone
in macchina, la macchina stessa. Il navigatore satellitare era a posto, lo avvisava
quando c'erano svolte, confermava i dettagli delle esperienze passate. Se c'era anche
Jessie, semidistesa sul sedile posteriore, lui cercava di non perdersi niente di quello
che diceva e per lo sforzo stava ingobbito verso il volante tutto teso e concentrato.
A lei piaceva leggere i segnali stradali ad alta voce, Zona Riservata, Pericolo
Di notte le stanze erano orologi. La calma era quasi completa, pareti nude,
pavimento in legno, il tempo li e fuori, sui sentieri pi erti, ogni minuto che passava
era una funzione della nostra attesa. Io bevevo, lui no. Io non lo lasciavo bere e a lui
pareva che non importasse.
Ormai i tramonti erano solo luce che moriva, le possibilit che sfumavano. Per
settimane non c'era stato altro da fare se non parlare. Ora, niente da dire.
Il nome sembrava richiamare oscuri presagi, Jessica, sembrava una resa ufficiale.
Io ero l'uomo appostato al buio che l'aveva guardata distesa nel letto. Quale che fosse
il senso della responsabilit di Elster in tutto questo, la natura della sua colpa e del
suo fallimento, io la condividevo. Stava seduto, apriva e chiudeva la mano. Quando
sentiva il rumore degli elicotteri che scendevano allontanandosi dal sole lui alzava lo
sguardo, sorpreso, ogni volta, e poi ricordava il motivo per cui erano li.
Passavamo il tempo a controllare se i cellulari prendevano, uno rivolto in una
direzione, uno in un'altra, dentro casa, fuori, facevamo telefonate, ne ricevevamo, il
cellulare a un orecchio, la mano libera sull'altro orecchio, lui sul terrazzo, io una
quarantina di metri gi per il vialetto. Cercavo di non guardarci quando facevamo
cos. Io volevo rimanere dentro la cosa, nel punto in cui la danza era una questione
pratica. Volevo non dover vedere.
Cominciai a usare i vecchi manubri che aveva trovato Elster. Mi mettevo in camera
mia, li sollevavo e contavo. Chiamai la forestale e lo sceriffo.
Non riuscivo a dimenticare quello che aveva detto lo sceriffo. La gente viene nel
deserto per suicidarsi.
Sapevo di dover chiedere a Elster se avesse mai mostrato tendenze suicide. Jessica.
Era in cura da un medico? Prendeva antidepressivi? Il suo kit da viaggio era ancora
nel bagno che avevamo condiviso. Non trovai nulla, parlai con suo padre, chiamai la
madre, non scoprii nulla che potesse indicare una deriva in quella direzione.
Sollevavo i pesi uno alla volta, poi tutti e due assieme, venti volte da una parte,
dieci dall'altra, sollevavo e contavo, e via cos.
Lo portai fuori sul terrazzo e lo feci sedere. Era in pigiama e vecchie scarpe da
tennis, slacciate, gli occhi che sembravano inseguire un solo pensiero. Ecco dove
fissava lo sguardo ora, non sugli oggetti ma sui pensieri.
Mi misi dietro di lui con un paio di forbici e un pettine e gli dissi che era giunto il
momento di farsi dare una spuntatina.
Lui gir di poco la testa, con aria interrogativa, ma io la riposizionai e cominciai a
spuntargli le basette.
Parlavo e lavoravo. Parlavo in una sorta di flusso continuo, pettinando e tagliando i
ciuffi arruffati su un lato della testa. Gli dissi che quello che stavo facendo era diverso
dalla rasatura. A un certo punto magari si sarebbe voluto rasare e avrebbe dovuto
farlo da solo, ma tagliarsi i capelli serviva a tenere su il morale, il suo e il mio. Dissi
molte cose vacue quella mattina, con estrema semplicit, quasi credendoci. Gli tolsi
l'elastico marcio dal ciuffo di capelli intrecciati che aveva sulla nuca e cercai di
pettinare e tagliare. Saltavo da un punto all'altro della testa. Lui parlava della madre
di Jessie, la faccia e gli occhi, la sua ammirazione per lei, e intanto la voce si
affievoliva, bassa e roca. Sentii l'urgenza di tagliargli i peli delle orecchie, lunghe
fibre bianche che spuntavano arricciate dal buio. Cercavo di sbrogliare ogni
Punto omega. Un milione di anni fa. Il punto omega si ristretto, qui e ora, alla
punta di un coltello che penetra un corpo. Tutti gli elevati temi di quell'uomo ristretti
in un dolore locale, un solo corpo, li da qualche parte, o forse no.
Passammo tra i pini, lungo un lago, con gli uccellini che volavano bassi sull'acqua.
Aveva gli occhi chiusi e respirava con un costante ronzio al naso. Cercai di pensare al
futuro, le settimane e i mesi sconosciuti a venire, e mi resi conto che c'era una cosa
che mi era passata di mente fino ad allora. Era il film. Mi ricordai del film.
Eccolo di nuovo, l'uomo e la parete, faccia e occhi, ma non uno dei soliti
opinionisti televisivi. Nel film la faccia l'anima. L'uomo un'anima in pena, come
in Dreyer o in Bergman, il personaggio imperfetto di un dramma da camera, che
giustifica la sua guerra e condanna gli uomini che l'hanno fatta. Ormai non ci sarebbe
pi stato, nemmeno un fotogramma. Lui non avrebbe avuto la forza di volont n il
semplice coraggio per farlo, e nemmeno io. La storia era qui, non in Iraq o a
Washington, e noi ce la stavamo lasciando alle spalle e ce la stavamo portando dietro,
tutt'e due.
La strada cominci a scendere, verso l'autostrada.
Era tenuto fermo dalla cintura come un bambino, addormentato.
Pensai all'aeroporto, al bagaglio, procurargli una sedia a rotelle. Pensai agli umori
medievali.
Continuavo a guardarlo, a controllarlo.
Eccoci, uscivamo da un cielo vuoto. Un uomo al di l del sapere. L'altro, che
sapeva solo che da quel giorno in avanti avrebbe portato qualcosa con s, una calma,
una distanza, e si vide nell'affollato loft di qualcuno, dove allunga la mano verso la
ruvida superficie di un vecchio muro di mattoni e poi chiude gli occhi e ascolta.
Poco dopo ci dirigemmo verso ovest, sciami di macchine e camion, il rumore
sferragliante del traffico, quattro corsie, e il mio cellulare che squill. Aspettai un
istante, poi me lo strappai dal fianco e dissi si. Nessuna risposta.
Dissi si, guardai il display. ID nascosto. Dissi si, pronto, a voce pi alta. Nessuna
risposta. Guardai Elster. Adesso aveva gli occhi aperti, la testa girata verso di me, era
una settimana che non lo vedevo cos sveglio. Dissi si e guardai il display. ID
nascosto. Schiacciai il tasto per riattaccare e infilai di nuovo il telefono nella custodia
agganciata alla cintura.
Odiavo guidare in autostrada, il traffico adesso era pi pesante, le macchine che
sfrecciavano da una corsia all'altra. Io tenevo gli occhi fissi sulla strada. Non volevo
guardarlo, non volevo sentire domande o ipotesi.
Pensavo sei cose contemporaneamente. La madre. Le era venuto in mente il nome
mentre dormiva. Qualcuno che mi richiamava. Tutto li, non poteva essere altro,
qualcuno che conoscevo che mi richiamava dopo una mia telefonata della sera prima
o di quella mattina, amico, collega, padrone di casa, poco campo, telefonata
interrotta. Cosa significava? Significava che presto sarebbe arrivata la citt, New
York all'infinito, facce, lingue, impalcature ovunque, il flusso dei taxi alle quattro del
pomeriggio, nessuno disponibile.
Pensai al mio appartamento, a come mi sarebbe parso distante quando sarei
entrato. La mia vita in un colpo d'occhio, tutto li, musica, film, libri, il letto e la
Entrarono tre bambini, due maschi e una femmina, biondi in modo intercambiabile,
e subito dopo una donna.
Non riusciva a capire perch l'investigatore, Arbogast, chiaramente pugnalato una
volta sotto il cuore, precipitasse per le scale con ferite da taglio sul viso.
Forse ci si aspetta che chi guarda immagini una seconda, una terza e una quarta
coltellata, ma lui non era disposto a farlo. C'era un'ovvia discrepanza tra l'azione e
l'effetto visibile.
Cerc di riflettere sulle complessit del montaggio.
Cerc di pensare in termini di proiezione convenzionale.
Non ricordava di aver notato il problema l'ultima volta che aveva visto il film, in
TV. Forse l'errore non si nota a ventiquattro fotogrammi al secondo. Aveva letto da
qualche parte che questa la velocit a cui si percepisce la realt, alla quale il
cervello elabora le immagini.
Se si altera il formato vengono a galla i difetti.
Era anche possibile perdonare questo genere di difetto se non si era una persona
dalle vedute limitate. Se lui era cos era cos e basta.
I bambini si aggiravano vicino all'ingresso, senza sapere bene se volevano capirci
qualcosa in pi del posto dove erano finiti, e nel frattempo la donna scivol lungo la
parete laterale, si ferm, guard lo schermo e poi si spost nel punto di incontro fra le
due pareti.
Lui guard i bambini che piano piano si disinteressavano del film e cominciavano
a guardarsi attorno. Dove sono, cos' questa roba? Uno di loro guard verso la porta,
nel punto in cui stava il custode, con gli occhi fissi nella strettoia diuturna del suo
distacco, Arbogast sempre l che cade dalle scale.
L'uomo ripens a una situazione. Gliela fecero tornare in mente i bambini, una
situazione in cui il film proiettato dall'inizio alla fine in un arco di ventiquattro ore
consecutive. Non era gi successo una volta, in un altro museo, in un'altra citt?
Pens a come avrebbe potuto stabilire le condizioni di una proiezione del genere.
Pubblico selezionato. Niente bambini, niente spettatori occasionali. Divieto di
accesso una volta che la proiezione avesse avuto inizio. E se qualcuno vuole andar
via, deve proprio? Va bene, te ne puoi andare.
Vai se proprio devi. Ma quando sei fuori poi non rientri pi. Farne una prova
personale di sopportazione e pazienza, una specie di punizione.
Ma punizione per cosa? Punizione per guardare? Punizione per star li giorno dopo
giorno, ora dopo ora, immerso in un infelice anonimato? Pens agli altri. Ecco cosa
potevano dire gli altri. Ma chi erano questi altri?
La donna sembrava scivolare lungo la parete impercettibilmente, per piccoli
avanzamenti regolari. Lui la vedeva a malapena ed era certo che lei non potesse
vedere lui. Era con i bambini o no? I bambini erano tre oggetti luminosi, d'et
compresa grossomodo tra gli otto e i dieci anni, assorbivano luce dallo schermo, dove
la livida morte veniva raschiata via in microsecondi.
Anthony Perkins nei panni di Norman Bates. Norman Bates nei panni della
mamma, ora accovacciato ai piedi delle scale, con una parrucca da vedova e un
vestito lungo fino al pavimento. Si avventa come un ragno sull'investigatore, supino
sul tappeto dell'ingresso, e riprende il suo lavoro col coltello.
Anonimi, lui e il custode del museo. Il custode che era l quel giorno era lo stesso
dei cinque giorni precedenti? Il custode dei cinque giorni precedenti era lo stesso per
tutto il giorno? Dovevano per forza darsi il cambio a un certo punto della giornata,
ma lui non ci aveva fatto caso o se n'era dimenticato. Entrarono un uomo e una
donna, genitori dei bambini, sprizzi di codice genetico nell'aria. Erano grandi e
grossi, con pantaloncini color kaki, spaventosamente tridimensionali, con borsoni e
zaini. Lui guardava il film, osservava gli altri, guardava il film. E in tutto questo, la
mente che lavorava, il cervello che elaborava. Voleva che quel giorno non finisse mai.
Poi qualcuno disse qualcosa.
Qualcuno disse: - Ma cosa sto guardando?
Era la donna alla sua sinistra, che adesso era pi vicina, e gli stava parlando.
Rimase confuso. La domanda lo spinse a guardare lo schermo con maggiore intensit.
Cerc di assorbire quello che lei aveva detto. Cerc di metabolizzare il fatto che
c'era qualcuno accanto a lui. Non era mai successo, non li dentro. E cerc di abituarsi
all'altra cosa che non era mai successa, che in un certo senso non sarebbe mai dovuta
succedere. Che qualcuno gli rivolgesse la parola. Questa donna in qualche modo
vicina a lui stava alterando qualunque regola della separazione.
Guardava lo schermo, cercando di pensare a cosa poteva dire. Aveva una buona
padronanza lessicale, ma non quando parlava con le persone.
Alla fine sussurr: - L'investigatore privato. Quello per terra.
Fu un sussurro contenuto, non era sicuro che lei lo avesse sentito. Per la risposta
giunse quasi immediata.
- Devo saperlo chi lo sta pugnalando?
Di nuovo dovette riflettere un istante prima di decidere cosa rispondere. Decise per
il no.
E lo disse: - No, - scuotendo la testa a indicare risolutezza, fosse anche solo per s.
Aspett un po', osservando la mano e il coltello nel fotogramma, isolati, ed eccola
di nuovo, la voce che era tutt'altro che un sussurro.
- Io voglio morire dopo una lunga malattia di quelle tradizionali. E lei?
La cosa interessante di quella esperienza, fino ad allora, era stata che apparteneva
solo a lui. Nessuno sapeva che era l. Era solo e ignorato. Non c'era nulla da
condividere, niente da prendere dagli altri, niente da dare agli altri.
E ora questo. Dal nulla, lei entra nella galleria, si ferma vicino a lui accanto alla
parete, gli parla al buio.
Lui era pi alto di lei. Almeno quello. Non la guardava, ma sapeva di essere pi
alto, di poco, non molto.
Non c'era bisogno di guardare. Lo sentiva, lo percepiva.
I bambini biondi seguirono i genitori fuori dalla sala con i musi lunghi, e lui
immagin che si lasciassero alle spalle il bianco e nero per sempre. Guardava la
sorella e il fidanzato di Janet Leigh che parlavano al buio. Non sentiva la mancanza
del dialogo. Non voleva sentirlo, non ne aveva bisogno. Non sarebbe riuscito a
guardare il film vero, l'altro Psycho, mai pi.
Era quello il film vero. Li vedeva tutto per la prima volta. Quante cose accadevano
in un secondo, dopo:, sei giorni, dodici giorni, centododici, viste per la prima volta.
La donna disse: - Chiss come sarebbe vivere al rallentatore.
Se vivessimo al rallentatore, questo film sarebbe solo un film tra tanti. Ma non lo
disse.
Disse invece: - Immagino che questa sia la sua prima volta.
Lei disse: - Ogni cosa la mia prima volta.
Aspett che gli chiedesse quante volte ci era andato.
Si stava ancora abituando alla presenza di un'altra persona, ma non era forse questo
che aveva desiderato nei giorni precedenti, qualcuno che gli facesse compagnia
durante la visione, una donna, che avesse voglia di parlare del film, commentare
l'esperienza?
Lei disse che si sentiva a milioni di chilometri da qualsiasi cosa stesse accadendo
sullo schermo. Le piaceva.
Gli disse che le piaceva l'idea della lentezza in genere.
Troppe cose vanno velocissime, disse. Abbiamo bisogno di tempo per
disinteressarci delle cose.
O gli altri non li sentivano, oppure non si curavano di loro. Lui guardava dritto
davanti a s. Era certo che il museo avrebbe chiuso prima che il film raggiungesse la
fine, la fine della storia, Anthony Perkins avvolto in una coperta, gli occhi di Norman
Bates, la faccia che si avvicina, il sorriso malato, il lungo sguardo carico di sottintesi,
lo sguardo complice rivolto alla persona che l al buio, e guarda.
Ancora aspettava che lei gli chiedesse quante volte era andato li.
Giorno dopo giorno, avrebbe risposto lui. Ho perso il conto.
Qual la sua scena preferita, gli avrebbe chiesto lei.
Prendo il film momento per momento, secondo per secondo.
Non gli venne in mente cosa avrebbe potuto dire lei dopo questo. Pens che aveva
voglia di andar via un attimo, andare in bagno a guardarsi allo specchio. Capelli,
faccia, camicia, la stessa camicia tutta la settimana, darsi solo uno sguardo veloce e
lavarsi le mani e poi tornare di corsa. Localizz il posto in anticipo, il bagno degli
uomini, sesto piano, doveva vedersi nel caso lei fosse rimasta fino all'orario di
chiusura e poi fossero usciti insieme dalla galleria e si fossero fermati alla luce. Che
cosa avrebbe visto lei guardandolo? Ma rimase dov'era, con gli occhi fissi sullo
schermo.
Lei disse: - Dove siamo, geograficamente parlando?
- Il film inizia a Phoenix, Arizona.
Non sapeva nemmeno lui perch avesse detto citt e stato insieme. Era necessario
specificare lo stato? Stava parlando con una persona che poteva non sapere che
Phoenix in Arizona?
- Poi l'ambientazione cambia. California, credo. Ci sono segnali stradali e targhe, disse.
Entr una coppia di francesi. Erano francesi o italiani, dalla faccia intelligente, si
fermarono nella luce fioca vicino alla porta scorrevole. Forse aveva detto Phoenix,
Arizona perch quelle parole comparivano sullo schermo dopo i titoli di testa. Cerc
di ricordare se il nome del personaggio interpretato da Janet Leigh fosse o no nei
titoli di testa. Janet Leigh nel ruolo di... ma il nome non gli era rimasto impresso, se
mai lo aveva visto.
Aspettava che la donna dicesse qualcosa. Ripens a quando andava al liceo ed
essere pi basso della ragazza con cui parlava gli faceva venire voglia di buttarsi a
terra e farsi prendere a calci dai passanti.
- Certi film fanno troppo affidamento sulle immagini.
- Non credo sia il caso di questo, - disse lui. - Penso che questo sia stato curato nei
minimi dettagli, ogni ripresa.
Ci pens. Pens alla scena della doccia. Pens all'idea di guardare la scena della
doccia con lei. Sarebbe stato interessante, insieme. Ma poich l'aveva vista il giorno
prima, e poich le proiezioni giornaliere venivano interrotte quando il museo
chiudeva, la scena della doccia non sarebbe stata parte della proiezione di quel
giorno.
E gli anelli della tenda. Era proprio sicuro che fossero sei gli anelli che giravano
sull'asta quando Janet Leigh, nella sua caduta mortale, si tira dietro la tenda? Voleva
guardare di nuovo la scena, riconfermare gli anelli.
Ne aveva contati sei, ne era sicuro, ma aveva bisogno di una conferma.
Questi ripensamenti vanno avanti all'infinito e la situazione non faceva che
intensificare il processo, essere li, guardare e pensare per ore, stare in piedi e
guardare, sprofondare i pensieri dentro il film, dentro se stesso. O era il film che
sprofondava i pensieri dentro di lui, che lo inondava come una specie di fluido
cerebrale impazzito?
- Ha visto altre cose nel museo?
- Sono venuta dritta qui, - disse lei, e non aggiunse altro, purtroppo.
Poteva dirle qualcosa sulla storia e sui personaggi, ma forse poteva anche
rimandare tutto a dopo, se la fortuna lo assisteva. Pens di chiederle che lavoro
facesse. Come due persone che imparano una lingua.
Che lavoro fai? Io non lo so, tu che lavoro fai? Non era il tipo di conversazione che
potevano avere in un posto del genere.
Voleva pensare a loro due come anime affini. Immagin che si scambiassero un
lungo sguardo l al buio, uno sguardo aperto e sincero, uno sguardo onesto, forte e
penetrante, e che poi si girassero a guardare il film, senza dirsi una parola.
La sorella di Janet Leigh si avvicina alla cinepresa.
Corre dentro il buio, bella da vedere, decelerata, la donna che corre, ingrandendo
la luce sullo sfondo man mano che si avvicina, il viso e le spalle appena accennati, il
buio totale che la inghiotte. Ecco di cosa dovrebbero parlare in un posto del genere,
se parleranno, quando parleranno, di luce e ombra, dell'immagine sullo schermo,
della sala in cui si trovano, parlare di dove sono, non di che lavoro fanno.
Cerc di credere che la tensione del proprio corpo le comunicasse la drammaticit
della scena. Lei doveva sentirla, li vicino a lui. Ecco cosa pens. Poi pens di
pettinarsi. Non aveva un pettine con s. Avrebbe dovuto ravviarsi i capelli con le
mani davanti al primo specchio, dove e quando possibile, senza dare nell'occhio, o
magari guardandosi in una superficie riflettente, una porta o una colonna.
La coppia di francesi cambi posizione, attravers la stanza verso la parete ovest.
Erano una presenza positiva, attenta, lui era certo che poi avrebbero parlato di quella
esperienza per ore. Immagin la cadenza delle loro voci, il ritmo degli accenti e delle
pause, parlavano a cena in un ristorante consigliato loro da amici, un locale indiano,
un locale vietnamita, a Brooklyn, sperduto, pi difficile da raggiungere meglio si
mangia. Erano fuori di lui, persone con la loro vita, era una questione di realt
concreta. Quella donna, la donna accanto a lui, mentre la guardava, era un'ombra che
emergeva dalla parete.
- Sicuro che non sia una commedia?-disse.
- Cio, guardi.
Lei guardava la casa alta e spaventosa che si staglia va sopra il basso motel, la casa
con le torrette, dove la mamma a volte si siede alla finestra della camera da letto e
dove Norman Bates indossa i panni di un travestito diabolico.
Lui ci pens su, a Norman Bates e alla madre.
Disse: - Immagina di poter vivere un'altra vita?
- troppo facile. Mi chieda qualcos'altro.
Ma non gli venne in mente nessun'altra domanda. Voleva allontanare l'idea che il
film fosse una commedia.
Lei vedeva forse qualcosa che a lui sfuggiva? Il ritmo lento della proiezione
rivelava qualcosa a qualcuno nascondendola magari a un altro? Guardavano la sorella
e il fidanzato che parlavano con lo sceriffo e con la moglie.
Si chiese se avrebbe potuto fare in modo che quella conversazione proseguisse a
cena, anche se al momento non c'era nessuna conversazione.
Potremmo andare a mangiare qualcosa qua vicino, avrebbe potuto dire.
Non so, avrebbe detto lei. Dovrei trovarmi in un posto tra mezz'ora.
Lui immagin di girarsi e inchiodarla al muro nella stanza senza pi nessuno a
eccezione del custode che guarda dritto davanti a s, nel vuoto, immobile, col film
che intanto scorre, la donna inchiodata al muro, anche lei immobile, che guarda il
film dietro le spalle di lui. I custodi dei musei dovrebbero essere armati, pens. Ci
sono opere d'arte dal valore inestimabile che vanno protette e un uomo con una
pistola purificherebbe l'atto del vedere a beneficio di tutte le persone presenti in sala.
- Okay, - disse la donna, - devo andare.
Lui disse: - Se ne va.
Era una semplice constatazione, se ne va, detta di riflesso, priva di qualsiasi
delusione. Non aveva avuto tempo di provare delusione. Controll l'ora senza alcun
motivo. Era comunque un'alternativa allo star li come un cretino. In teoria era una
cosa che gli dava il tempo di pensare. Lei intanto si avvicinava alla porta e lui le
corse dietro, ma senza foga, distogliendo gli occhi da chiunque potesse guardarlo. La
porta scorrevole si apr e lui fu dietro di lei, fuori alla luce, sulle scale mobili, piano
dopo piano, e poi all'ingresso e fuori dalle porte girevoli, in strada.
La raggiunse, attento a non sorridere e a non toccarla, e disse: - Che ne dice di farlo
magari qualche volta in un cinema vero, coi sedili su cui sedersi e la gente sullo
schermo che ride, piange e grida?
Lei si ferm per ascoltare, girandosi appena verso di lui, in mezzo al marciapiede,
con i corpi della gente che li urtavano passando.
Lei chiese: - Sarebbe un passo avanti?
- Probabilmente no, - rispose lui, e stavolta sorrise.
Poi disse: - Vuole sapere qualcosa su di me?
Lei si strinse nelle spalle.
- Quando ero bambino facevo le moltiplicazioni a mente. Numeri di sei cifre
moltiplicati per numeri di cinque cifre. Otto cifre per sette cifre, giorno e notte.
Ero uno pseudogenio.
Lei disse: - Io leggevo le labbra delle persone quando parlavano. Osservavo le
labbra e capivo cosa stavano per dire prima che lo dicessero. Non ascoltavo,
guardavo e basta. Li stava il bello. Ero in grado di escludere il suono delle loro voci
quando dicevano quello che dicevano.
- Da piccola.
- Da piccola, - disse lei.
La guard dritta in faccia.
- Se mi da il suo numero di telefono, magari la chiamo.
Lei si strinse nelle spalle per dire okay. Era quello il significato del gesto, okay, ma
si, pu darsi. Per quanto, se lei l'avesse visto per strada di li a un'ora, probabilmente
non avrebbe saputo chi era o dove l'aveva incontrato. La ragazza disse il suo numero
di corsa e poi si gir e and a est, verso la sovrabbondanza di Midtown.
L'uomo entr nell'atrio affollato e trov uno spazio risicato su una delle panche.
Abbass il capo per pensare, per ripararsi da tutto, il tono sostenuto di voci, lingue,
accenti, persone in movimento che portavano con s rumori, vite di rumori, un
clamore che rimbalzava sulle pareti e sul soffitto ed era forte e tutto intorno, gli
faceva venire voglia di rannicchiarsi. Ma lui aveva il suo numero di telefono, e questo
era quello che contava, il numero era stato memorizzato per bene.
Chiamarla quando, dopo due giorni, tre. Nel frattempo stare seduto a pensare a
quello che si erano detti, al suo aspetto, dove poteva vivere, come poteva trascorrere
il suo tempo.
Fu allora che si fece questa domanda. Le aveva chiesto come si chiamava? Non
gliel'aveva chiesto. Fece dentro di s un gesto di rimprovero, il disegno fumettistico
di un insegnante che agita il dito davanti a un bambino. Okay, questa un'altra
questione alla quale avrebbe avuto modo di pensare. Pensare ai nomi.
Scrivere nomi. Vedere se riusciva a indovinare come si chiamava dalla sua faccia.
La faccia si era leggermente illuminata quando lui aveva parlato dei calcoli mentali
che faceva da bambino. Non proprio illuminata, ma un po' rilassata, gli occhi avevano
mostrato un certo interesse. Solo che la storia non era vera. Non aveva mai fatto le
moltiplicazioni a mente con i grossi numeri, mai. Era una cosa che ogni tanto diceva
perch lo aiutava a spiegare agli altri come era fatto.
Gett un'occhiata furtiva all'orologio e non perse tempo, and alla biglietteria e
pag il prezzo intero. Avrebbe dovuto essere met del biglietto adulti, vista l'ora, o
gratis, avrebbe dovuto essere gratis. Strizz gli occhi guardando il biglietto che
stringeva in pugno e corse al sesto piano, due gradini per volta sulla scala mobile,
tutti che andavano nella direzione opposta. Entr nella galleria buia. Voleva
immergersi nel tempo, nel ritmo quasi statico dell'immagine. La coppia di francesi
non c'era pi.
C'era una persona e poi il custode e poi lui, l per l'ultima oretta scarsa. Trov il suo
posto contro la parete.
Voleva un'immersione completa, pur non sapendo bene cosa significasse. Poi si
rese conto di cosa significava.
Voleva che il film procedesse ancora pi lentamente, che comportasse un impegno
ancora pi profondo dell'occhio e della mente, sempre lo stesso, la cosa che vede che
gli penetra nel sangue, in una densa sensazione, condividendo la sua coscienza.
Norman Bates, spaventosamente normale, mette gi il telefono. Tra un po'
spegner la luce nell'ufficio del motel. Camminer sui gradini del sentiero che porta
alla vecchia casa, dove diverse luci sono accese, il cielo buio sullo sfondo. Poi una
serie di riprese, varie angolazioni, lui ricorda la sequenza, sta li vicino alla parete e se
le prefigura. Il tempo reale privo di significato. l'espressione stessa a essere priva
di significato.
E una cosa che non esiste. Sullo schermo c' Norman Bates che mette gi il
telefono. Il resto non ancora successo. Lui vede in anticipo, con la paura che il
museo chiuda prima che la scena finisca.
L'annuncio risuoner per tutto il museo in tutte le lingue delle nazioni che ospitano
i pi importanti musei e Anthony Perkins nei panni di Norman Bates sar ancora l
che sale le scale che portano nella ca mera da letto, dove la madre giace morta da
tempo.
L'altra persona esce dall'alta porta scorrevole. Ora ci sono solo lui e il custode.
Immagina che il movimento si fermi del tutto sullo schermo, che l'immagine cominci
a tremolare e a dissolversi. Immagina il custode che toglie la pistola dalla fondina e si
spara un colpo in testa. Dopodich la proiezione finisce, il museo chiude, lui da solo
nella sala buia con il cadavere del custode.
Lui non responsabile di questi pensieri. Ma sono i suoi pensieri, no? Torna a
concentrarsi sullo schermo, dove ogni cosa quello che con estrema intensit.
Guarda ci che accade e vuole che accada ancora pi lentamente, si, per con il
pensiero gi corre al momento in cui Norman Bates porter gi la mamma con la sua
camicia da notte bianca.
Questo lo porta a pensare a sua madre, inevitabilmente, prima che scomparisse,
loro due ristretti in un piccolo appartamento rosicchiato dai nuovi grattacieli, ed ecco
l'ombra di Norman Bates che sta davanti alla porta della vecchia casa, l'ombra vista
dall'interno, e poi la porta che comincia ad aprirsi.
L'uomo si stacca dalla parete e aspetta di essere assimilato, poro dopo poro, per poi
dissolversi nella figura di Norman Bates, che entrer nella casa e salir le scale in un
tempo subliminale, due fotogrammi al secondo, e poi si girer verso la porta della
stanza della mamma.
A volte sta seduto accanto al suo letto e dice qualcosa e poi la guarda e aspetta una
risposta.
A volte la guarda e basta.
A volte arriva il vento prima della pioggia e accelera il volo degli uccelli fuori dalla
finestra, uccelli fantasma che cavalcano la notte, pi strani dei sogni.
Ringraziamenti
24 Hour Psycho, una videoinstallazione di Douglas Gordon, stata esposta per la
prima volta nel 1993 a Glasgow e a Berlino. stata ospitata dal Museum of Modern
Art di New York nell'estate del 2006.
Stampato per conto della Casa editrice Einaudi presso Mondadori Printing
S.p.a., Stabilimento N. S. M. Cles (Trento) nel mese di gennaio 2012