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inequivoco ("la parte promittente venditrice promette di vendere alla parte promissaria
acquirente che promette di acquistare per s,...") trovavano conferma nel regolamento
del rapporto e in particolare nella natura del bene oggetto del contratto, un edificio (un
"villino" compreso in un vasto "complesso residenziale" con organizzazione di servizi
comuni su aree di comune propriet) in corso di costruzione, sicch all'atto della
scrittura dalle parti definita "preliminare di compravendita" non sussistevano "tutti gli
elementi essenziali per il trasferimento del bene al momento ancora non realizzato" e
trovava giustificazione "rinviare il regolamento definitivo degli interessi in gioco al
momento
della
edificazione
definitiva".
N a qualificare il contratto come definitivo poteva valere la clausola secondo cui il
prezzo sarebbe stato integralmente pagato "anteriormente alla stipula del rogito" (entro
l'anno 1985) e il trasferimento del possesso sarebbe avvenuto, ma a titolo "precario",
prima del verificarsi delle condizioni cui era subordinato "l'atto definitivo", poich,
come ancora argomenta sul punto la sentenza impugnata, secondo le "usuali pattuizioni
delle compravendite immobiliari con le ditte costruttrici", un simile regolamento
registra la convergenza degli interessi delle parti, acquisendo il venditore le disponibilit
finanziarie necessarie per portare a conclusione il progetto edificatorio e ponendosi
l'acquirente al riparo dalla "lievitazione dei prezzi dell'immobile di futuro acquisto"
(fenomeno che nella specie si era verificato in misura macroscopica, come era stato
verificato attraverso la indagine tecnica che aveva posto a confronto i valori di mercato
del
1984
e
del
1988).
Il convincimento dei giudici di appello dunque sostenuto da analitica, compiuta
motivazione che i ricorrenti non fanno oggetto di specifici rilievi-critici, rimproverando
alla Corte di merito di avere trascurato "circostanze quali il pagamento dell'intero
prezzo entro il 1985" (invece, come si constatato, esplicitamente considerate) e di
avere "interpretato letteralmente il contratto in esame": come se l'operazione
ermeneutica dovesse totalmente prescindere dalle espressioni lessicali impiegate dalle
parti (con il capovolgimento della regola posta dall'art. 1362, primo comma, c.c.) e non
invece da esse muovere per pervenire alla necessaria verifica attraverso doverosi
riscontri sugli altri elementi sintomatici della "comune intenzione delle parti". Riscontri
che la Corte di merito ha scrupolosamente compiuto, trovando nella applicazione delle
regole di interpretazione globale, funzionale e sistematica la sicura conferma del
significato pregnante di espressioni testuali (come "contratto preliminare"; "la parte
promittente venditrice promette di vendere alla parte promissaria acquirente che
promette di acquistare").
058 CONTRATTI
IN
GENERE
038 CONTRATTO
PRELIMINARE
(COMPROMESSO) - IN GENERE (NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONE)
CONTRATTI IN GENERE - CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) - IN
GENERE (NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONE) - Contratto preliminare e
contratto definitivo (cosiddetto "compromesso") - Caratteri distintivi - Pattuizioni
relative alla consegna del bene ed all'integrale pagamento del prezzo - Valore decisivo al
fine della qualificazione del contratto come definitivo - Esclusione.
Al fine di attribuire ad una convenzione negoziale la natura giuridica di contratto di
compravendita ovvero di semplice preliminare, determinante l'identificazione del
comune intento delle parti, diretto, nel primo caso, al trasferimento della propriet della
"res" verso la corresponsione di un certo prezzo conformemente alla causa negoziale
sancita dall'art. 1470 cod. civ., e, nel secondo, all'insorgenza di un particolare rapporto
obbligatorio che impegni le parti stesse ad un'ulteriore manifestazione di volont alla
quale sono rimessi il trasferimento del diritto dominicale sul bene e l'assunzione
dell'obbligo di pagamento del prezzo. Nell'esaminare la stipulazione nel suo complesso
onde accertare la comune volont dei contraenti in un senso o nell'altro, il giudice di
merito deve tener presente, peraltro, che la previsione della "traditio" del bene e/o del
pagamento, anche totale, del prezzo convenuto non sono vicende assolutamente
incompatibili con l'intento di stipulare un semplice preliminare di vendita, potendo le
parti, con tali pattuizioni, manifestare null'altro che l'intento di anticipare le prestazioni
del futuro contratto definitivo.
Testo (Omissis) Con il primo motivo, in relazione ai nn. 3 e 5 dell'art.360 c.p.c., il
ricorrente denunzia la violazione dell'art. 1362 c.c. nonch l'omessa motivazione su un
punto decisivo della controversia prospettato dalla parte.
La corte di merito sostiene il Golia - dopo aver enunciato la concreta esaustivit,
nell'operazione ermeneutica concernente il contenuto negoziale comunemente attribuito
dalle parti alla stipulazione del 19 dicembre 1989, dell'impiego del criterio legale fornito
dall'art. 1362 c.c., ha valorizzato il tenore letterale e non quello logico dell'atto
negoziale.
Non ha in proposito considerato il giudice dell'appello, pretermettendo cos specifici
rilievi dell'odierno ricorrente, che con la sottoscrizione del contratto le parti avevano
adempiuto le rispettive obbligazioni e che, in particolare, l'effetto traslativo del diritto
dominicale, la consegna del bene ed il pagamento del prezzo si erano "gi perfezionati"
cos che gli stipulanti non avevano alcuna ragione di impegnarsi ad un'ulteriore
manifestazione di volont di diretta a porre in essere quanto si era gi compiuto. Il
motivo
di
doglianza
va
disatteso.
L'accertamento del contenuto di un contratto si traduce in un indagine di "fatto", anche
sotto il profilo della valutazione degli elementi qualificanti l'assetto giuridico del
rapporto negoziale, riservata al giudice del merito e, pertanto, censurabile in sede di
legittimit per i casi di insufficienza della motivazione e di inosservanza delle regole
ermeneutiche (artt. 1362 - 1371 c.c.) nonch di quelle qualificanti la fattispecie
negoziale
di
riferimento.
del 6 febbraio 1996, accolto il primo gravame e rigettato l'altro, respinse anche la
domanda
proposta
da
Mariella
Baruzzi.
Adita dai soccombenti, con sentenza del 20 luglio 1999 questa Corte ha cassato con
rinvio la pronuncia di secondo grado, rilevando che "la Corte di merito non solo si
astenuta dall'esaminare l'intero contenuto della scrittura interpretandola secondo i criteri
legali di ermeneutica negoziale e attribuendo ad essa la qualificazione giuridica che le
competeva, ma non ha neppure addotto a sostegno del giudizio sulla sua sostanziale
improduttivit di effetti giuridici una motivazione sufficiente e logica, che tenesse conto
anche della dichiarazione di accettazione resa dalla Baruzzi e che consentisse di
identificare il procedimento logico-giuridico seguito per pervenire al convincimento
circa l'inesistente assunzione di obblighi da parte della Inversini e la necessit di
rigettare le domande proposte contro di lei".
Il giudizio di rinvio stato definito dalla Corte d'appello di Milano con sentenza del 14
marzo 2003, con cui la causa stata decisa in conformit con la precedente pronuncia di
secondo grado, essendosi ritenuto: che le parti non avevano inteso concludere ne' un
contratto definitivo di vendita ne' un preliminare, ma semmai un "preliminare del
preliminare",
come
tale
nullo
per
difetto
di
causa;
che si era trattato in ipotesi di una "puntazione", improduttiva di effetti vincolanti; che
nella pattuizione relativa alla caparra non era configurabile una clausola penale, non
compatibile in una fase precontrattuale e comportante un arricchimento senza causa; che
comunque tale pattuizione era stata configurata dalle parti come avente natura reale,
sicch non poteva considerarsi perfezionata in mancanza della dazione del denaro; che
nulla competeva a Wagner Carlo, non essendo stato l'affare concluso.
Contro tale sentenza Mariella Baruzzi e Carlo Wagner hanno proposto ricorso per
cassazione, in base a sei motivi, poi illustrati anche con memoria. Clara Inversini si
costituita con controricorso. I ricorrenti hanno presentato osservazioni per iscritto sulle
conclusioni del Pubblico Ministero. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo dei motivi addotti a sostegno del ricorso Baruzzi Mariella e Carlo Wagner
lamentano che il giudice di rinvio non si uniformato a quanto era stato deciso con la
pronuncia di cassazione, le cui premesse logico giuridiche implicavano che un contratto
fosse stato concluso dalle parti, sicch occorreva soltanto statuire sulle sue concrete
conseguenze economiche, al pi estendendo l'esame alla corretta qualificazione
giuridica
che
competeva
al
negozio.
La doglianza non fondata.
Questa Corte, come risulta chiaro dal testo della sua sentenza, che si sopra trascritto
nell'esposizione dello svolgimento del processo, non ha affatto statuito che un qualche
accordo fosse stato validamente raggiunto dalle parti, salva la determinazione della sua
natura e dei suoi effetti, da individuare in sede di rinvio. Si invece limitata a constatare
che il giudice a quo aveva omesso di prendere in considerazione nella sua interezza
l'atto in questione, di interpretarlo secondo i criteri legali di ermeneutica negoziale, di
inquadrarlo sub specie iuris, di tenere conto della dichiarazione di accettazione di
Mariella Baruzzi, e nonostante tali carenze aveva concluso, senza adeguata spiegazione,
nel senso della mancata assunzione di obbligazioni da parte di Clara Inversini. Stabilire
non solo quali esse potessero essere, ma anche se fossero configurabili, era pertanto
questione rimessa al giudice di rinvio, al quale non era stato indicato alcun principio di
diritto cui dovesse attenersi. Tale essendo il contenuto della sentenza di cassazione,
prometterlo
subito.
N sono pertinenti i contrari argomenti esposti dai ricorrenti: in parte non
attengono al reciproco rapporto tra le parti del futuro contratto definitivo, ma a
quelli tra ognuna di loro e l'intermediario che le ha messe in relazione, sicch non
riguardano il tema in discussione; per il resto prospettano l'ipotesi di un
preliminare gi riferentesi al definitivo e da rinnovare poi con un altro analogo
negozio "formale", il che rappresenta una fattispecie diversa da quella del "prepreliminare", di cui si ritenuta in sede di merito l'avvenuta realizzazione nella
specie. Correttamente, quindi, nella sentenza impugnata, esclusa la validit
dell'accordo raggiunto dalle parti, ha ritenuto che esse si trovassero, in relazione al
futuro contratto preliminare, nella fase delle trattative, sia pure nello stato
avanzato della "puntuazione", destinata a fissare, ma senza alcun effetto
vincolante, il contenuto del successivo negozio. ()
dall'osservanza della sua prescrizione, potesse, nella specie, avere rilevanza, giacch la
relativa disciplina presuppone, e si giustifica, solo in presenza di un preliminare avente
ad oggetto un edificio per il quale sia stato almeno richiesto il permesso di costruire).
Testo. Nel giudizio per lesecuzione in forma specifica, ai sensi dellart. 2932 cod. civ.,
del preliminare, sottoscritto in data 11 agosto 2006, di vendita di un terreno edificabile
con sovrastante corpo accessorio sito in Roncello e di parziale permuta, per tale
immobile promesso in vendita, di porzioni immobiliari da costruire sullo stesso terreno,
promosso dalla impresa edile Cocchetti s.r.l., promissaria acquirente del terreno
edificabile, nei confronti dei promittenti venditori Albinia Monzani, Carlo Rocca e Sala
Rosella Anna Maria, il Tribunale di Monza, con sentenza in data 19 marzo 2008, ha
rigettato la domanda di pronuncia costitutiva e dichiarato la nullita del contratto, per
violazione del D.Lgs. 20 giugno 2005, n. 122, art. 2 (Disposizioni per la tutela dei diritti
patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire, a norma della L. 2 agosto 2004,
n. 210), a causa del mancato rilascio della fideiussione da parte della societa
costruttrice. 2. - La Corte dappello di Milano, con sentenza resa pubblica mediante
deposito in cancelleria il 17 dicembre 2009, ha rigettato il gravame esperito dalla s.r.l.
Cocchetti, dichiarando la nullita del contratto preliminare per una ragione diversa da
quella
ravvisata
dal
primo
giudice.
La Corte territoriale ha ritenuto sussistente la violazione, non del D.Lgs. n. 122 del
2005, art. 2 bensi dello stesso decreto, art. 6, comma 1, lett. i), (disposizione anchessa
invocata, sia in primo grado che in appello, dalla difesa dei promittenti venditori), a
causa della mancata indicazione, nel contratto preliminare, degli estremi del titolo che
abilitava a costruire o della sua richiesta, ed ha ritenuto questultima disposizione
applicabile anche al contratto preliminare avente ad oggetto un immobile sulla carta.
Dalla lettura del contratto preliminare dell11 agosto 2006 - afferma la sentenza della
Corte di Milano - e dato evincere ... che a tale data sicuramente il permesso di costruire
non era stato richiesto e, dunque, ha errato il primo giudice quando ha accolto la prima
eccezione di nullita del contratto preliminare sollevata dai convenuti tempestivamente
in sede di comparsa di risposta. Avrebbe dovuto, invece, accogliere la seconda
eccezione, pregiudiziale al merito, quella di nullita del contratto preliminare per
violazione del D.Lgs. n. 122 del 2005, art. 6 la quale, riproposta tale e quale nel presente
giudizio
dalla
difesa
degli
appellati,
deve
ora
essere
accolta.
3. - Per la cassazione della sentenza della Corte dappello la s.r.l. Cocchetti ha proposto
ricorso, con atto notificato il 23 marzo 2010, sulla base di un motivo.
Gli
intimati
hanno
resistito
con
controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. - Nel denunciare violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione al
D.Lgs. n. 122 del 2005, artt. 1, 2 e 6 (Disposizioni per la tutela dei diritti patrimoniali
degli acquirenti di immobili da costruire, a norma della L. 2 agosto 2004, n. 210),
nonche motivazione insufficiente su un punto decisivo, in relazione allart. 360 c.p.c.,
nn. 3 e 5, la societa ricorrente, con lunico mezzo, si duole che lart. 6 del citato D.Lgs.
sia stato applicato oltre il suo ambito di operativita. Si sostiene che, diversamente da
quanto ritenuto dalla Corte dappello, la speciale normativa di tutela dei diritti
patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire in tanto opera, in quanto sia stato
completamento delle finiture e della conseguente richiesta del certificato di agibilita (il
cui rilascio, ai sensi dellart. 25 del citato testo unico, va domandato entro quindici
giorni dallultimazione, appunto, dei lavori di finitura dellintervento). Il riferimento
alla presentazione del permesso di costruire come elemento iniziale del predetto arco
temporale esclude dallambito di applicazione della disciplina di tutela il contratto
preliminare avente ad oggetto edifici esistenti soltanto "sulla carta", ossia gia allo stato
di progetto ma per i quali non sia stato ancora richiesto il permesso di costruire o un
titolo equipollente. 2.3. - Tale e, appunto, la situazione verificatasi nel caso di specie.
Come risulta dagli atti di causa, Albina Monzani, Carlo Rocca e Rosella Anna Maria
Sala hanno "promesso di vendere" allimpresa edile s.r.l. Rocchetti un terreno
edificabile, con soprastante corpo accessorio, e la parte promissaria acquirente si e
impegnata a realizzare e a cedere ai promittenti venditori, in permuta parziale, due
appartamenti del progettato edificio da costruire (un bilocale composto da soggiorno cottura, camera da letto, disimpegno e bagno posto a piano terra, con portici e giardino
privato con accesso indipendente; altro bilocale composto da soggiorno - cottura,
camera da letto, disimpegno e bagno posto a piano terra, con relativo sottotetto, cantina
e box singolo di pertinenza posti a piano interrato, portici e giardino privato, ingresso
indipendente tramite ampio portico privato).
E altresi pacifico che, al momento della stipulazione, nessuna richiesta di titolo
abilitativo per la progettata attivita costruttiva era gia stata avanzata, essendo soltanto
previsti lobbligo della societa promissaria acquirente di "presentare, a propria cura e
spese, al Comune di Roncello i progetti edilizi per lottenimento dei necessari permessi
relativi a tutti gli immobili realizzabili sul terreno oggetto di compravendita, il tutto nel
rispetto delle normative urbanistiche vigenti", nonche limpegno di entrambe le parti di
procedere alla stipulazione dellatto pubblico definitivo "entro e non oltre quindici
giorni dal rilascio del primo permesso di costruire o denuncia di inizio attivita relativi
al progetto, in modo che alla parte promissaria acquirente sia consentito subentrare alla
parte promittente venditrice negli obblighi nei confronti del Comune prima del rilascio
del permesso di costruire medesimo, o dellefficacia della denuncia di inizio attivita".
2.4. - La sentenza impugnata, nel giungere alla censurata soluzione, sottolinea
lesigenza di pervenire ad una "tutela forte e completa", che ponga il promissario,
destinatario della vicenda traslativa non immediata di un diritto reale su un immobile da
costruire,
"al
riparo
da
ogni
sorpresa".
La sentenza impugnata evidenzia, in effetti, un profilo di criticita del decreto delegato.
Ledificio esistente soltanto "sulla carta", ossia gia allo stato di progetto ma per il quale
non sia stato ancora richiesto il titolo abilitativo, e anchesso un immobile da
considerare in una prospettiva dinamica, ossia rispetto al quale e prevista una
successiva attivita edificatoria ad opera del venditore. Ed anche in una contrattazione
"sulla carta" di un immobile da costruire per il quale non sia stato neppure richiesto il
permesso di costruire o presentata la denuncia di inizio di attivita, si pongono esigenze
di tutela dellacquirente, del tutto analoghe a quelle che, a salvaguardia della sicurezza
dellacquisto dellimmobile in costruzione, ricorrono allorche la negoziazione si
sviluppi in una vicenda nella quale liter urbanistico e gia iniziato. Lesclusione del
promissario acquirente di immobili "sulla carta" dal raggio di applicazione del decreto
delegato per un verso comporta che le misure di protezione da esso previste sono
destinate a non operare proprio la dove il rischio per lacquirente e ancora piu
accentuato, potendo limmobile da costruire essere destinato a rimanere tale solo nelle
intenzioni del costruttore; per laltro, offre a questultimo un facile strumento di
elusione per sottrarsi agli oneri, anche economici, che vengono posti a suo carico dal
decreto delegato, potendo questi essere indotto a preferire la stipulazione del
preliminare prima di richiedere il provvedimento abilitativo, cosi evitando di dover
offrire
la
fideiussione
e
lassicurazione
fideiussoria.
2.5. - A tale riguardo, il Collegio non conviene con la tesi, prospettata da una parte della
dottrina, secondo cui dalla regola che limita lapplicazione della nuova normativa di
tutela ai soli immobili per i quali sia gia stato richiesto il permesso di costruire, si
dovrebbe desumere, a contrario, lilliceita del contratto preliminare che programmi il
trasferimento di un immobile esistente soltanto "sulla carta".
Questa soluzione e stata avanzata sul rilievo che la delimitazione dellambito di
applicazione della nuova normativa ai soli casi in cui e stato richiesto il provvedimento
abilitativo troverebbe giustificazione nellintento legislativo di contrastare labusivismo
edilizio: ratio pubblicistica, questultima, dalla quale dovrebbe desumersi, per ragioni
attinenti al regolare funzionamento del mercato immobiliare, la nullita - non gia
relativa, ma assoluta per illiceita delloggetto - del contratto preliminare riguardante
unimmobile da costruire, nel caso in cui il relativo permesso non sia stato ancora
domandato.
Questa Corte osserva, in senso contrario, come il D.Lgs. n. 122 del 2005 non giustifica
affatto linterpretazione secondo cui una norma, qual e lart. 1, comma 1, lett. d),
dettata con valenza puramente definitoria al fine di delimitare lambito di applicazione
delle nuove misure, possa costituire un limite di siffatta portata allautonomia
contrattuale nei rapporti tra costruttore e promissario acquirente.
E poi da escludere - come la dottrina piu avvertita non ha mancato di sottolineare - che
la ratio della nuova normativa protettiva dellacquirente sia quella di contrastare
labusivismo edilizio. Se lintento primario del decreto delegato fosse stato quello di
predisporre un ulteriore strumento civilistico per la repressione dellabusivismo edilizio,
da affiancare a quello discendente dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46 (che sanziona con
la previsione della nullita gli atti tra vivi aventi per oggetto il trasferimento o la
costituzione di diritti reali su edifici la cui costruzione sia iniziata dopo il 17 marzo
1985, ove da essi non risultino, per dichiarazione dellalienante, gli estremi del
permesso di costruire o del permesso in sanatoria), allora il legislatore avrebbe dovuto,
per coerenza sistematica, esigere, come presupposto dellapplicabilita della disciplina,
non gia la presentazione della richiesta del permesso di costruire, ma lottenimento del
titolo edilizio. Daltra parte, la circostanza che il titolo abilitativo non sia stato ancora
protocollato agli atti del Comune al momento della stipula del preliminare avente ad
oggetto un edificio progettato "sulla carta", ma la cui costruzione non sia ancora
iniziata, non significa che le parti vogliano poi trasferire un bene abusivo: in quel
momento, se la costruzione del fabbricato non e stata ancora iniziata, non e stato
commesso alcun abuso e non e stata violata alcuna disposizione urbanistico - edilizia.
La tesi della incommerciabilita degli edifici da costruire prima della richiesta del
permesso non e priva , infine, di inconvenienti. Essa, infatti, comporterebbe la nullita
di un contratto preliminare di permuta del suolo in cambio di un edificio che il
costruttore si obbliga a costruire sul terreno che lo vede destinatario della promessa di
acquisto (costruttore al quale, tra laltro, prima della stipulazione, non potrebbe essere
rilasciato il permesso di costruire, giacche questo, ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001,
art. 11 puo essere dato esclusivamente al proprietario del suolo o a chi abbia titolo per
richiederlo: cfr. Cons. Stato, Sez. 4^, 18 gennaio 2010, n. 144); e la comporterebbe
anche in caso, come quello di specie, nel quale le parti non hanno inteso programmare
la costruzione e lacquisto di un immobile abusivo, ma hanno soltanto inteso differire ad
un momento successivo lattivazione delle pratiche per lottenimento del titolo edilizio e
per la realizzazione di un edificio "nel rispetto delle normative urbanistiche vigenti".
2.6. - Escluso, dunque, che dal D.Lgs. n. 122 del 2005 discenda, in mancanza di una
previsione espressa di divieto, limpossibilita di stipulare contratti - con effetti
meramente obbligatori - aventi ad oggetto edifici "sulla carta", per i quali non sia stato
ancora richiesto il permesso di costruire, il Collegio ritiene, peraltro, che non vi siano
spazi per uninterpretazione estensiva che, in nome dei principi costituzionali,
ricomprenda nellambito definitorio, e quindi applicativo, del citato decreto legislativo il
preliminare di vendita di edifici soltanto progettati.
La chiarezza testuale della formula adoperata del D.Lgs. n. 122 del 2005, dallart. 1,
comma 1, lett. d), tra laltro corrispondente alle indicazioni contenute nella L. 2 agosto
2004, n. 210, il cui art. 1, comma 1, delegava il Governo ad adottare uno o piu decreti
legislativi recanti norme per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili
per i quali sia stato richiesto il permesso di costruire e che siano ancora da edificare o la
cui costruzione non risulti essere ultimata versando in stadio tale da non consentire
ancora il rilascio del certificato di agibilita - preclude la possibilita di
uninterpretazione adeguatrice. Lunivoco tenore letterale di una norma segna, infatti , il
confine in presenza del quale il tentativo di ermeneusi costituzionalmente orientata deve
cedere il passo al sindacato di legittimita costituzionale (cfr. Corte cost., sentenze n.
219
del
2008
e
n.
26
del
2010).
2.7. - Sennonche, un dubbio di legittimita costituzionale che - in relazione alla
omogeneita delle fattispecie poste a raffronto e alla ratio complessiva dellintervento
legislativo - mirasse a denunciare, sotto il profilo del principio di ragionevolezza (art. 3
Cost.), lingiustificato riferimento limitante alla richiesta del permesso di costruire come
presupposto per lattivazione della tutela, non sarebbe nella specie rilevante.
Invero, cio di cui si controverte e quali siano le conseguenze derivanti
dallinosservanza della prescrizione (di cui al cit. D.Lgs., art. 6, comma 1, lett. i) che
impone - a fini di chiarezza, completezza e precisione del contenuto contrattuale lindicazione degli estremi del permesso di costruire o della sua richiesta o di ogni altro
titolo
abilitativo.
E evidente che una tale prescrizione ha un senso in quanto il preliminare abbia ad
oggetto un edificio per il quale, nel momento in cui viene stipulato il contratto, sia gia
stato richiesto il permesso di costruire, mentre sarebbe priva di ratio la dove, appunto,
ledificio oggetto della contrattazione sia soltanto progettato "sulla carta", prima della
richiesta del permesso. 2.8. - Sussiste, in conclusione, lerror in iudicando denunciato
dalla
ricorrente.
Poiche, infatti, al momento della stipulazione del preliminare limmobile da costruire
era esistente soltanto "sulla carta", ma non era ancora stato neppure richiesto il
permesso di costruire o presentata la denuncia di inizio di attivita, limmobile
negoziato non rientra tra quelli oggetto del presente decreto (per usare lespressione
contenuta nellincipit dellart. 6, comma 1), perche non ricade nellintervallo temporale
I rapporti preliminare-definitivo
l'unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al negozio voluto, in quanto il
contratto preliminare, determinando soltanto l'obbligo reciproco della stipulazione
del contratto definitivo, resta superato da questo, la cui disciplina pu anche non
conformarsi a quella del preliminare, salvo che le parti non abbiano espressamente
previsto che essa sopravviva (Cass. 11-7-2007 n. 15585; Cass. 18-7-2003 n. 11262;
Cass. 25-2-2003 n. 2824; Cass. 18-4-2002 n. 5635; Cass. 29-4-1998 n. 4354). stato
ulteriormente puntualizzato che la presunzione di conformit del nuovo accordo
alla volont delle parti pu, nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta
soltanto dalla prova - che deve risultare da atto scritto, ove il contratto abbia ad
oggetto beni immobili - di un accordo posto in essere dalle stesse parti
contemporaneamente alla stipula del definitivo, dal quale risulti che altri obblighi
o prestazioni, contenuti nel preliminare, sopravvivono al contratto definitivo; e che
tale prova, secondo le regole generali del processo, va data dall'attore, trattandosi
di fatto costitutivo della domanda con la quale egli chiede l'adempimento di un
obbligo che, pur riportato nel contratto preliminare, egli pu far valere in forza del
distinto accordo intervenuto fra le parti all'atto della stipula del contratto
definitivo
(Cass.
10-1-2007
n.
233).
Non appare condivisibile, invero, il diverso indirizzo giurisprudenziale invocato
dalle ricorrenti e richiamato nella sentenza impugnata (Cass. 18-11-1987 n. 8486),
secondo cui la stipula del contratto definitivo costituirebbe soltanto l'adempimento
delle obbligazioni assunte con il preliminare; dal che conseguirebbe che questo e
non il contratto definitivo sarebbe l'unica fonte dei diritti e degli obblighi delle
parti, con l'ulteriore corollario che l'eventuale modifica degli accordi stabiliti col
preliminare dovrebbe essere accertata in concreto e non sarebbe deducibile, in caso
di preliminare di vendita di una pluralit di beni, dalla sola circostanza che il
contratto definitivo abbia avuto ad oggetto soltanto alcuni di essi.
Cos argomentando, infatti, da un lato verrebbe a negarsi il valore di "nuovo"
accordo alla manifestazione di volont delle parti consacrata nel definitivo, che
assurgerebbe, quindi, a mera ripetizione del preliminare, ponendosi in tal modo un
limite ingiustificato all'autonomia privata; e, dall'altro, si attribuirebbe natura
negoziale all'adempimento, in contrasto con la concezione, ormai dominante, che
vede in esso il "fatto" dell'attuazione del contenuto dell'obbligazione e non un atto
di
volont
(Cass.
10-12007
n.
233).
Ci posto, si osserva che, nella specie, non vi prova (la circostanza non stata
nemmeno dedotta dalle ricorrenti) che le parti, pur avendo escluso da contratto
definitivo di vendita la particella 170, in occasione della stipula di tale atto abbiano
manifestato per iscritto la volont di rimanere vincolate all'obbligo di
trasferimento assunto con il preliminare in relazione al predetto mappale.
Tanto sufficiente - in applicazione dei principi di diritto innanzi enunciati -, a
giustificare il rigetto della domanda attrice di esecuzione specifica ex art. 2932 c.c.
in relazione alla particella in questione; sicch in tali termini deve correggersi la
motivazione
della
sentenza
impugnata.
In ogni caso, si osserva che la Corte di Appello, nell'interpretare il contratto definitivo di
vendita, ha accertato, in concreto, sulla base di elementi presuntivi (quali le
caratteristiche di dirupo della particella in questione, che forniscono una spiegazione al
rifiuto degli appellanti di acquistarla, altrimenti incomprensibile; il fatto che la
esecuzione, della consegna della res e/o del pagamento del prezzo, le parti debbano
avere necessariamente inteso che si verificassero gli effetti della compravendita nel qual caso, d'altronde, come si gi evidenziato, si sarebbe in presenza d'un
definitivo e non d'un preliminare - devesi anche escludere che, in virt di tale
esecuzione, possa essersi trasmesso dal promittente venditore al promissario
acquirente il possesso della res. In vero, come questa Corte ha gi avuto occasione
d'evidenziare - richiamando anche accreditata dottrina, per la quale "ci che si
trasferisce solo l'oggetto del possesso, il quale, invece, non si compra e non si
vende, non si cede e non si riceve per l'effetto di un negozio", e, perci, "l'acquisto
a titolo derivativo del possesso un'espressione da usarsi solo in senso empirico e
traslato" - dalla stessa nozione del possesso, definito dall'art. 1140 cod. civ. come
"il potere sulla cosa che si manifesta in un'attivit corrispondente all'esercizio della
propriet o di altro diritto reale", si evince ch'esso non pu essere trasferito per
contratto separatamente dal diritto del quale esso costituisca l'esercizio,
considerato che un'attivit non mai trasmissibile, ma pu solo essere intrapresa, e
l'intrasmissibilit maggiormente evidente in ordine al possesso, in quanto
l'attivit che lo contraddistingue deve essere accompagnata dall'animus possidendi
(volont di esercitare sulla cosa una signoria corrispondente alla propriet o ad
altro diritto reale), cio da un elemento che, per la sua soggettivit, pu essere
proprio soltanto di colui che attualmente possiede e non di chi ha posseduto in
precedenza.
(Cass.
27.9.96
n.
8528).
Quindi esattamente si affermato in dottrina che, essendo il possesso uno stato di
fatto, l'acquisto ne in ogni caso originario, s che anche chi propende per la tesi
contraria riconosce che di acquisto derivativo possa parlarsi "soltanto per
sottolineare che l'acquisto del possesso ha luogo con l'assenso e la partecipazione
del precedente possessore e non con il solo contegno di colui che acquista il
possesso, come accade nell'apprensione". L'unica eccezione a questa regola si ha
nella successione universale, ma un'eccezione espressamente prevista e regolata
dal legislatore che, in forza dell'elaborata fictio legis, ha consentito la
continuazione nell'erede del possesso esercitato dal de cuius, con effetto
dall'apertura della successione, indipendentemente dalla verificazione dei suoi
presupposti di fatto, ma, appunto perch di diritto singolare ed eccezionale,
l'istituto non pu essere utilizzato onde pervenire ad una soluzione diversa da
quella
indicata
con
la
richiamata
regola
generale.
N, a sostegno della tesi della possibilit d'una trasmissione contrattuale del
possesso, pu richiamarsi l'art. 1146 c.c., comma 2, perch per tale norma
l'accessio possessionis, da essa prevista, ha, per presupposto indispensabile,
l'esistenza di un titolo, anche viziato, idoneo in astratto, alla cessione del diritto di
propriet (o di altro diritto reale) del bene formante oggetto del possesso (Cass.
6552/81, 3876/76, 3369/72, 936/70, 1378/64, 1044/62); inoltre, la norma non prevede
affatto la trasmissione del possesso da un soggetto all'altro, ma soltanto la
possibilit per il successore a titolo particolare (acquirente o legatario) di unire al
proprio possesso quello distinto e diverso del dante causa per goderne gli effetti
sostanziali
e
processuali.
Per altro verso, devesi considerare che il preliminare di compravendita con il quale
siano contestualmente pattuite anche la consegna anticipata della res e la
parti, alla realizzazione di uno scopo pratico unitario, costituito, di norma, dall'agevolare
la
realizzazione
della
funzione
economico-sociale
dell'un
d'essi.
Il collegamento contrattuale, come stato ripetutamente evidenziato dalla dottrina e
dalla giurisprudenza prevalenti, nei suoi aspetti generali non da luogo ad un autonomo e
nuovo contratto, ma un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato
economico unitario e complesso, che viene realizzato non per mezzo di un singolo
contratto, bens attraverso una pluralit coordinata di contratti, i quali conservano una
loro causa autonoma, anche se ciascuno finalizzato ad un unico regolamento dei
reciproci
interessi.
Ond' che il criterio distintivo fra contratto unico, se pur misto o complesso, e contratto
collegato non va ravvisato in elementi formali - quali l'unit o la pluralit dei documenti
contrattuali (un contratto pu essere unico anche se ricavabile da pi testi, mentre un
unico testo pu riunire pi contratti) o la mera contestualit delle stipulazioni (i contratti
posso essere stipulati anche in momenti diversi in relazione ad esigenze sopravvenute) ma nell'elemento sostanziale dell'unicit o pluralit degli interessi perseguiti, dacch il
"contratto collegato" non un tipo particolare di contratto, ma uno strumento di
regolamentazione degli interessi economici delle parti caratterizzato dal fatto che le
vicende che investono un contratto (invalidit, inefficacia, risoluzione, ecc.) possono
ripercuotersi sull'altro, seppure non in funzione di condizionamento reciproco (ben
potendo accadere che uno soltanto dei contratti sia subordinato all'altro, e non anche
viceversa) e non necessariamente in rapporto di principale ad accessorio.
Pertanto, affinch possa configurarsi un collegamento negoziale in senso tecnico, che
impone la considerazione unitaria della fattispecie, necessario che ricorrano sia il
requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, volti alla
regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell'ambito di una finalit pratica
consistente in un assetto economico globale ed unitario, sia il requisito soggettivo,
costituito dal comune intento pratico delle parti di volere non solo l'effetto tipico dei
singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la
realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una
propria
autonomia
anche
dal
punto
di
vista
causale.
Tanto considerato, risulta evidente come la fattispecie in discussione debba essere
ricondotta
alla
categoria
dei
contratti
collegati.
In essa, infatti, le parti, onde agevolare, per le plurime ragioni quali in precedenza
accennate, la realizzazione delle finalit perseguite con la stipulazione del preliminare di
compravendita, stipulano altres - e, come del pari si gi evidenziato, ci pu aver
luogo contemporaneamente e contestualmente al preliminare ma anche in tempi e con
atti diversi, a seconda che le circostanze lo richiedano - dei contratti accessori, al
preliminare necessariamente perch funzionalmente connessi e, tuttavia, autonomi
rispetto ad esso, rispondendo ciascuno ad una precisa tipica funzione economicosociale eppertanto disciplinati ciascuno dalla pertinente normativa sostanziale.
Contratti con i quali le parti pervengono ad una regolamentazione, se pur
provvisoria tuttavia ben definita, dei rapporti accessori funzionalmente collegati al
principale e nei quali, secondo un'autorevole opinione dottrinaria meritevole
d'esser condivisa, vanno ravvisati, quanto alla concessione dell'utilizzazione della
res da parte del promittente venditore al promissario acquirente, un comodato e,
quanto alla corresponsione di somme da parte del promissario acquirente al
gli aventi diritto: tutto ci, tuttavia, non consentiva di affermare che nel contratto era
stata dedotta una condizione che subordinava la efficacia, della promessa di vendita al
consenso di tutti i comproprietari, non risultando tale clausola espressa nel contratto, in
quanto esso, nel fare generico riferimento alle parti che avrebbero dovuto riunirsi il 9
gennaio 1974, non escludeva che l'assenso fosse prestato ex parte venditoris da uno
soltanto del comproprietari dell'immobile, eventualmente anche per conto degli altri.
Ne conseguiva che la sottoscrizione di Giancarlo Giracca era idonea a far assumere allo
stesso l'impegno a trasferire la sua quota.
Il giudice di secondo grado escludeva, poi, che sussistessero le condizioni per
pronunciare la risoluzione del contratto per eccessiva onerosit e affermava che
Giuseppina Giracca, non essendosi maturata la prescrizione, aveva efficacemente
esercitato il diritto di prelazione, pur in assenza di una apposita denuntiatio. Secondo la
Corte di appello andavano, infine, respinte le domande del Buffa diretta alla declaratoria
dell'autenticit della sottoscrizione di Giancarlo Giracca apposta sulla scrittura privata
del 6-9 gennaio 1974 ed alla condanna di Giancarlo Giracca all'adempimento del
contratto, in quanto intese a far valere un diritto incompatibile con quelle vantato ed
esercitato da Giuseppe Giracca.
Giuseppe Buffa ha proposto ricorso per cassazione, con cinque motivi.
Altro ricorso, con quattro motivi, ha proposto Gian Carlo Giracca, al quale resistono
Giuseppe
Buffa
e
Giuseppina
Baracca
con
controricorso.
Le
parti
hanno
depositato
memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
() Con il primo motivo del suo ricorso Giancarlo Giracca, denunciando violazione
degli art. 1362 e 1367 cod. civ., insufficiente e contraddittoria motivazione, propone due
distinte censure. La prima investe l'affermazione della Corte di appello secondo la quale
la condizione prevista nel documento redatto il 6 gennaio 1974 si sarebbe realizzata con
la sottoscrizione del contratto preliminare in data 9 gennaio 1974 da parte di uno solo
degli eredi. Osserva in proposito Giancarlo Giracca che tale affermazione del tutto
immotivata, se si tiene presente che le parti il 6 gennaio 1974 avevano rinviato la
stipulazione del contratto preliminare proprio per consentire la manifestazione di un
valido
consenso
alla
vendita
da
parte
di
tutti
gli
eredi.
La doglianza sostanzialmente fondata, ma ci non porta alla cessazione della sentenza
impugnata.
Occorre in proposito rilevare che (come risulta dall'atto di citazione, senza che la
circostanza sia stata mai contestata dalle controparti) il documento redatto il 16 gennaio
1974 non era stato sottoscritto dalle parti.
La promessa di vendita in esso risultante era, pertanto, nulla per difetto della necessaria
forma scritta. Tale nullit, che pu essere rilevata anche in questa sede, travolge anche la
clausola contenente la condizione di cui si discute e quindi il vizio di motivazione della
sentenza impugnata diventa ininfluente. La controversia, va, pertanto, decisa sulla base
della sola scrittura privata datata 9 gennaio 1974 e la seconda censura contenuta nel
primo motivo del ricorso di Giancarlo Giracca investe l'affermazione della sentenza
impugnata, secondo la quale, pur non essendo stato sottoscritto da tutti i comproprietaricoeredi, il contratto preliminare era comunque efficace per la quota di esso Giancarlo
Giracca.
Nella giurisprudenza di questa S.C. vi contrasto in ordine agli effetti del
contratto preliminare di vendita di un bene considerato nella sua interezza da
parte di alcuni soltanto dei comproprietari in previsione della prestazione del
consenso anche da parte degli altri titolari di quote (la stessa problematica vale
nella ipotesi in cui il consenso sia stato invalidamente prestato da alcuno dei
comproprietari o sia stato prestato per essi da un falsus procurator).
Secondo alcune decisioni - a meno che la vendita non sia stata espressamente
condizionata al consenso di tutti i comproprietari - ricorre una ipotesi di inefficacia
relativa del contratto, nel senso che soltanto l'acquirente pu farla valere e non
anche i comproprietari venditori validamente intervenuti nell'atto, i quali non
hanno un interesse giuridicamente apprezzabile a che la cosa sia venduta per
intero
(cfr.
in
tal
senso
sent.:
17
maggio
1965
n.
941;
14
agosto
1986
n.
5047;
9
novembre
1988
n.
3029).
Una posizione in un certo senso simile stata assunta da alcune decisioni di questa
S.C. in campo tributario, le quali hanno affermato che, con riguardo ad un
contratto avente ad oggetto la vendita di una cosa comune indivisa, ma sottoscritta
da uno soltanto dei comproprietari che non abbia speso anche il nome degli altri,
non invocabile la figura del negotium in itinere, proprie della dichiarazione resa
dal rappresentante senza potere, trattandosi invece di una vendita che, mentre
inidonea a produrre l'effetto traslativo dell'intero bene - per nullit discendente
dalla incompletezza delle firme - pu tuttavia determinare il trasferimento della
quota del sottoscrittore, qualora l'acquirente non faccia valere la totale inefficacia
dell'atto nei propri confronti: ne consegue che, ove tale inefficacia relativa non
risulti dichiara ai sensi dell'art. 36 del D.P.R. n. 634 del 1972, il contratto suddetto
assoggettabile ad imposta di registro relativa al trasferimento della quota (sent. 5
marzo
1991
n.
2313;
5
maggio
1988
n.
3327).
Secondo altre decisioni, invece, qualora un contratto preliminare avente ad oggetto
un immobile indiviso non giunga a perfezione a seguito della mancata accettazione
della relativa proposta da parte di tutti i comproprietari promessi venditori, vi
l'impossibilit di pretendere, attivamente o passivamente, la sua esecuzione
specifica limitatamente ad una o ad alcun soltanto delle quote di compropriet in
cui risulta frazionata la propriet dell'intero immobile, e che possa quindi
procedersi ad una realizzazione soltanto parziale e frazionata degli effetti e del
risultato, globalmente e unitariamente considerati, che avrebbero dovuto seguire e
che furono tenuti presenti dalle parti contraenti nel corso delle trattative e durante
la formazione del contratto preliminare: in tal caso, invero, mutando l'entit di
una delle prestazioni, dovrebbe, correlativamente, modificarsi anche la
controprestazione pattuita e tale modifica, essendo l'equilibrio fra le prestazioni
una scelta autonoma delle parti, non potrebbe essere attuata dal giudice, in quanto
la sentenza costitutiva prevista dall'art. 2932 cod. civ. deve necessariamente
riprodurre, nella forma del provvedimento giurisdizionale, in luogo del contratto
definitivo non concluso, il medesimo assetto di interessi assunto delle parti quale
nullo).
Non si pu, pertanto, parlare di una semplice inefficacia relativa, che pu essere
litisconsorte necessario, dinanzi al primo giudice, ai sensi dell'art. 383, comma terzo,
cod. proc. civ.).
affidato a cinque motivi, cui resiste Luccioli Cesare con controricorso, anche
contestualmente proponendo ricorso incidentale condizionato, cui, a sua volta, il
ricorrente
principale
resiste
con
controricorso.
Entrambe
le
parti
hanno
depositato
memorie.
Passata la causa in decisione, la 2^ Sezione Civile, esaminando il primo motivo del
ricorso principale, con il quale denunziato un vizio dell'impugnata sentenza per non
essersi ravvisata nella specie un'ipotesi di litisconsorzio necessario, ha rilevato la
sussistenza d'una divergenza d'opinioni, nella giurisprudenza di legittimit ed in seno
alla stessa Sezione, in ordine alla necessit o meno della partecipazione del coniuge in
comunione dei beni al giudizio nel quale si chieda il trasferimento coattivo d'un
immobile ricompreso nella comunione familiare; donde la trasmissione degli atti al
Primo Presidente, che ha assegnato a queste Sezioni Unite la soluzione del segnalato
contrasto.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, i due ricorsi, proposti avverso la medesima sentenza e tra loro
connessi, vanno riuniti ex art. 335 c.p.c.. Va, poi, esaminata la questione sollevata dal
controricorrente, con la memoria 27.12.06, relativamente alla ritenuta necessit
d'esaminare preliminarmente il terzo motivo del ricorso principale, con il quale
l'impugnata pronunzia censurata nel capo in cui, decidendo della subordinata domanda
risarcitoria, il giudice a quo ha escluso che dal rapporto inter partes, valutatene le varie
possibili qualificazioni, potessero derivare gli effetti giuridici pretesi dall'originario
attore; sostiene il controricorrente che, ove tale censura venisse disattesa, verrebbe
meno l'interesse alla decisione sulla necessit o meno dell'integrazione del
contraddittorio nel giudizio di merito.
La questione, anche a voler prescindere dalla non consentita tardiva proposizione in
memoria, va comunque disattesa, in quanto, attenendo al merito della controversia,
essa necessariamente condizionata alla previa soluzione della questione posta
sull'integrit del contraddittorio ab origine e non viceversa.
Con il motivo da esaminare in questa sede, si duole il ricorrente - denunziando
violazione degli artt. 2932, 177, 184, 189 c.c., art. 354 c.p.c. - che il giudice a quo
erroneamente abbia escluso la sussistenza del litisconsorzio necessario tra i coniugi in
comunione dei beni nel giudizio ex art. 2932 c.c. che il promissario acquirente del bene
oggetto di comunione, promessogli in vendita non da entrambi ma da uno soltanto dei
coniugi comproprietari, abbia promosso nei soli confronti di quest'ultimo e, pur avendo
riconosciuto che detta azione, ove intesa ad ottenere il trasferimento non della sola
quota del promittente ma dell'intero bene, debba essere promossa nei confronti
d'entrambi i coniugi, abbia tuttavia rigettato la domanda invece di rimettere la causa al
primo giudice ex art. 354 c.p.c. per l'integrazione del contraddittorio.
La censura fondata: per la contestata esclusione del contraddittorio, oltre che per
l'evidenziata contraddizione in termini.
La comunione ordinaria, quale regolata dagli artt. 1100 e 1116 c.c., si configura come
comunione pro indiviso o propriet plurima parziaria, nella quale il diritto di propriet
unico ed ha ad oggetto il bene nella sua interezza e, tuttavia, il diritto di ciascuno dei
partecipanti non ha per oggetto ne' il bene nella sua interezza, ne' una parte fisicamente
individuata di esso, bens una quota ideale, proporzionata al suo diritto di
partecipazione,
del
quale
costituisce
la
misura.
In tale situazione, la promessa di vendita di un bene in comunione (come hanno
evidenziato queste SS.UU. con la sentenza 8.7.93 n. 7481) , di norma, considerata dalle
parti attinente al bene medesimo come un unicum inscindibile e non come somma delle
singole quote che fanno capo a ciascuno dei comproprietari - salvo che l'unico
documento predisposto per il detto negozio venga redatto in modo tale da farne risultare
la volont di scomposizione in pi contratti preliminari in base ai quali ognuno dei
comproprietari s'impegna esclusivamente a vendere la propria quota al promissario
acquirente, con esclusione di forme di collegamento negoziale o di previsione di
condizioni idonee a rimuovere la reciproca insensibilit dei contratti stessi
all'inadempimento di uno di essi - di guisa che i detti comproprietari costituiscono
un'unica parte complessa e le loro dichiarazioni di voler vendere si fondono in un'unica
volont negoziale; onde, quando una di tali dichiarazioni manchi (o sia invalida), non si
forma (o si forma invalidamente) la volont di una delle parti del contratto preliminare,
escludendosi, pertanto, in toto la possibilit per il promissario acquirente d'ottenere la
sentenza costitutiva di cui all'art. 2932 c.c. nei confronti dei soli comproprietari
promittenti, sull'assunto di una mera inefficacia del contratto stesso rispetto a quelli
rimasti estranei, dacch, da un lato, non configurabile un interesse alla sua esecuzione
parziale da parte del promissario acquirente (per mancanza del diritto su cui tale
interesse si dovrebbe fondare) e, dall'altro, il comproprietario promittente venditore che
ha espresso il suo consenso (o lo ha espresso validamente) non oppone un semplice
interesse contrario (giuridicamente apprezzabile o meno) all'avversa richiesta
d'esecuzione parziale, ma invoca l'insussistenza stessa del diritto vantato dalla
controparte.
La situazione diversa ove si verta in tema di comunione legale tra coniugi, quale
regolata dagli artt. 177 e 197 c.c..
Fondamentale stata, al riguardo, la ricostruzione che dell'istituto ha operato la
Corte costituzionale con la sentenza 17.3.88 n. 311, nella quale si evidenziata la
netta distinzione tra comunione ordinaria e comunione legale tra coniugi, questa
configurata come una propriet plurima parziaria, per pi versi analoga alla classica
communio
ercto
non
cito,
sulla
considerazione:
che trattasi di comunione senza quote; che i coniugi non sono individualmente titolari di
un diritto di quota, bens solidalmente titolari, in quanto tali, di un diritto avente per
oggetto i beni della comunione; che la quota non un elemento strutturale, ma ha
soltanto la funzione di stabilire la misura entro cui i beni della comunione possono
essere aggrediti dai creditori particolari, la misura della responsabilit sussidiaria di
ciascuno dei coniugi con i propri beni personali verso i creditori della comunione, la
proporzione in cui, sciolta la comunione, l'attivo e il passivo debbono essere ripartiti tra
i coniugi od i loro eredi. Configurazione cui consegue che, nei rapporti con i terzi,
ciascun coniuge ha il potere di disporre dei beni della comunione e che il consenso
dell'altro, richiesto dal modulo dell'amministrazione congiuntiva adottato dall'art.
180 c.c., comma 2 per gli atti di straordinaria amministrazione, non un negozio
unilaterale autorizzativo, nel senso d'atto attributivo di un potere, ma piuttosto nel
senso, secondo la nota teoria formulata dalla giuspubblicistica, di atto che rimuove
un limite all'esercizio di un potere e requisito di regolarit del procedimento di
formazione dell'atto di disposizione, la cui mancanza, ove si tratti di bene immobile
o mobile registrato, si traduce in un vizio del negozio, onde l'ipotesi regolata
dall'art. 184 c.c., comma 1 tecnicamente si riferisce non ad un caso d'acquisto
inefficace perch a non domino, bens ad un caso d'acquisto a domino in base ad
un titolo viziato. Per il che, nella comunione legale tra coniugi, la mancanza del
consenso d'uno dei condomini al negozio avente ad oggetto diritti reali su immobili
o mobili registrati non determina, come nella comunione ordinaria, l'invalidit
assoluta del negozio, ma solo la sua annullabilit nello stabilito termine di
prescrizione annuale (e tuttavia, come affermato nella massima CCos. 0010600, la
prevista annullabilit dell'atto non costituisce deroga al generale principio d'inefficacia
degli atti di disposizione posti in essere da alienante non legittimato, onde da parte della
dottrina anche si sostiene che l'atto posto in essere dal singolo coniuge colpito dalla
sanzione generale dell'inefficacia dell'atto compiuto dal non legittimato nei confronti del
coniuge pretermesso, e che in favore di quest'ultimo si aggiunge la possibilit d'esperire
altres l'azione speciale d'annullamento ex art. 184 c.c. al fine d'evitare di rimanere
personalmente obbligato per l'inadempimento verso il terzo). La riportata metodologia
ricostruttiva dell'istituto non ha trovato larghi consensi in dottrina - dalla quale se n'
anche evidenziata l'incoerenza con la ratio della comunione legale, quale introdotta
dalla novella n. 151/1975, come intesa al superamento della discriminazione del
coniuge pi debole, insita nel precedente regime della separazione dei beni, ed alla
maggiore tutela patrimoniale della famiglia - e tuttavia ha costituito la base delle
pronunzie adottate in materia dalla successiva giurisprudenza di legittimit che, non di
meno, pur partendo da tale comune presupposto, sulla questione che ne occupa
pervenuta, come si visto, a soluzioni diametralmente opposte.
In particolare, la recente Cass. 28.10.04 n. 20867 - ponendosi in consapevole contrasto
con la prevalente giurisprudenza anteriore, in ordine alla quale rileva come l'inevitabile
coinvolgimento nel giudizio ex art. 2932 c.c. del coniuge rimasto estraneo al
preliminare vi fosse stato asserito in modo generico - sulla considerazione che i coniugi
non sono individualmente titolari di un diritto di quota ma solidalmente titolari di un
diritto avente per oggetto i beni della comunione, che nei rapporti con i terzi ciascun
coniuge ha il potere di disporre dei beni della comunione, che l'azione ex art. 2932 c.c.
non ha natura reale ma personale, perviene alla conclusione per cui in quest'ultima non
sia ravvisabile un'ipotesi di litisconsorzio necessario, non vertendosi in situazione
sostanziale caratterizzata da un rapporto unico ed inscindibile con pluralit di soggetti e
non rivestendo, quindi, il coniuge rimasto estraneo al preliminare, del quale si chiede
l'esecuzione in forma specifica, la qualit di parte la cui presenza in giudizio sia
condizione essenziale affinch la sentenza non venga inutiliter data.
In realt, di quest'ultimo asserto - che non costituisce affatto una logica conseguenza
delle premesse, atteso anche il carattere di specialit con il quale si pone la normativa
regolatrice dell'istituto della comunione familiare - l'esaminata sentenza non fornisce
dimostrazione alcuna, a differenza dai disattesi precedenti che, affatto generici al
riguardo, la contraria opinione fondano su una pluralit d'argomenti validi, condivisi ed
integrati
dalla
prevalente
dottrina.
Non appare, in vero, conclusiva la ragione - mutuata dalle remote Cass. 27.4.82 n. 2635
e 28.12.88 n. 7081 - addotta in considerazione della natura obbligatoria e non reale del
preliminare. Va, infatti, considerato che i richiamati precedenti pervenivano a tale
affermazione in funzione della ritenuta esperibilit dell'azione ex art. 2932 c.c.
limitatamente alla quota del coniuge promittente venditore, tesi disattesa dalla
giurisprudenza successiva, con espresso richiamo ai principi posti dal Giudice delle
leggi con la richiamata sentenza 311/88, sulla considerazione dell'inconciliabilit
dell'ingresso d'un estraneo nella comunione familiare con la natura e la disciplina
peculiari dell'istituto (Cass. 2.2.95 n. 1252, 14.1.97 n. 284, 11.4.02 n. 5191, 19.3.03 n.
4033); d'altro canto, stante il pacifico principio per cui, in tema d'esecuzione specifica
dell'obbligo di concludere un contratto ex art. 2932 c.c., la sentenza che tenga luogo del
contratto definitivo non concluso deve necessariamente riprodurre, nella forma del
provvedimento giurisdizionale, il medesimo assetto d'interessi assunto dalle parti quale
contenuto del contratto preliminare, senza possibilit di introdurvi modifiche (e
pluribus, Cass. 29.3.06 n. 7273, 25.2.03 n. 2824, 7.8.02 n. 11874, in tema di comunione
Cass. 1.3.95 n. 2319, 3 0.12.94 n. 11358, 8.7.93 n. 7481, 2.8.90 n. 7749 e, nello
specifico, Cass. 19.5.88 n. 3483), una volta che il preliminare abbia avuto ad oggetto
l'obbligazione di trasferire l'intero bene, neppure potrebbe il promissario acquirente
agire per il trasferimento della sola quota del promittente venditore.
La tesi in discussione, d'altronde, pu giustificare, al pi, il difetto di legittimazione
attiva del coniuge rimasto estraneo all'atto compiuto dall'altro senza il suo consenso
quando trattisi di diritti d'obbligazione, in quanto la comunione legale fra i coniugi, di
cui all'art. 177 c.c., attiene agli "acquisti", id est agli atti implicanti l'effettivo
trasferimento della propriet della res o la costituzione di diritti reali sulla medesima,
non quindi i diritti di credito sorti dal contratto concluso da uno dei coniugi, i quali, per
la loro stessa natura relativa e personale, pur se strumentali all'acquisizione di una res,
non sono suscettibili di cadere in comunione (Cass. 1.4.03 n. 4959, 4.3.03 n. 3185,
13.12.99 n. 13941, 18.2.99 n. 1363, 27.1.95 n. 987, 11.9.91 n. 9513); ma tali ragioni,
peraltro fortemente criticate in dottrina, non possono valere nel caso inverso, laddove,
come meglio in seguito, l'obbligazione del coniuge che ha agito senza il consenso
dell'altro fatta valere dal terzo e l'adempimento coattivo comporta l'aggressione al
patrimonio familiare in generale ed al diritto di compropriet del coniuge pretermesso in
particolare.
Inoltre, dalla giurisprudenza e da parte della dottrina si anche evidenziato come, stante
il disposto dell'art. 184 c.c., comma 1, la categoria dei negozi immobiliari, per i quali
previsto il consenso congiunto dei coniugi, sia da identificare in base alla natura del
bene sul quale cadono gli effetti del contratto, ricomprendendo, quindi, tanto i negozi ad
effetti reali quanto quelli ad effetti obbligatori; come debbasi, ancora, fare riferimento al
regime degli effetti, reale o personale che sia l'azione, ai fini dell'affermazione o meno
della necessit del litisconsorzio (Cass. 31.3.06 n. 7698, 6.7.04 n. 12313, 14.5.03 n.
7404,
5.7.01
n.
9083,
1.7.97
n.
5895
SS.UU.).
, piuttosto, evidente che l'essere ciascun coniuge titolare del bene per l'intero, e
dell'intero poter disporre, non pu implicare, di per s, che debba escludersi la
necessaria partecipazione dell'altro coniuge al giudizio nel quale si discuta della
traslazione del bene stesso, evento rispetto al quale non pu negarsi l'interesse ad
interloquire del detto altro coniuge, pur sempre comproprietario del bene stesso.
Partire, infatti, dal presupposto che, al momento dell'introduzione del giudizio ex
art. 2932 c.c., il coniuge promittente venditore abbia gi efficacemente alienato il
bene, cos che il coniuge rimasto estraneo al negozio abbia perso, contestualmente
alla stipulazione del preliminare, la propria contitolarit sul bene e non possa fare
ricorso se non all'azione d'annullamento, oltre ad essere in palese contrasto con la
lettera dello stesso art. 184 c.c., comma 1, che prevede una possibilit di convalida
successiva inconciliabile con una gi intervenuta perdita della titolarit del bene,
implica una non condivisibile attribuzione a tale tipo di contratto d'un effetto
traslativo, estraneo alla sua funzione ed alla sua natura, che non gli riconosciuto
neppure da quella parte della dottrina per la quale esso sarebbe configurabile
come una sorta di vendita obbligatoria ed il definitivo come un semplice atto
esecutivo o ripetitivo.
Vero , per contro, che, stipulato il preliminare, nel momento in cui il coniuge
promittente venditore si rende inadempiente e costringe il promissario acquirente
all'azione d'esecuzione specifica, l'altro coniuge, che non abbia partecipato al
negozio ne' vi abbia prestato altrimenti il proprio consenso, ancora contitolare
del bene e su di esso legittimato ad esercitare i suoi poteri d'amministrazione
congiunta; atteso l'effetto solo obbligatorio del preliminare, l'attivit negoziale
posta in essere dal coniuge promittente con l'impegnarsi ad alienare non ha
prodotto ancora l'effetto di sottrarre il bene al patrimonio comune ed alla
contitolarit su di esso d'entrambi i comproprietari, onde il coniuge rimasto
estraneo al preliminare ancora titolare d'una situazione giuridica inscindibile che
lo rende litisconsorte necessario nel giudizio d'esecuzione specifica dell'obbligo di
contrarre.
, infatti, ancora sul piano degli effetti della promossa azione ex art. 2932 c.c. che
occorre muoversi ai fini della soluzione del problema che ne occupa.
Come evidenziato dalla dottrina prevalente e da quella parte della giurisprudenza che si
ritiene qui di confermare, ove dal preliminare scaturiscano controversie, non pu
disconoscersi al coniuge rimasto estraneo al negozio l'interesse a partecipare ai
relativi giudizi, in quanto, pur se non rimasto personalmente obbligato e se non
corresponsabile assieme al coniuge stipulante, unico obbligato, tuttavia l'impegno
assunto da quest'ultimo e la responsabilit personale del medesimo sono comunque
tali da incidere sul patrimonio comune e sul tenore di vita della famiglia, giacch,
ex art. 189 c.c., espongono all'altrui azione esecutiva non solo i beni del promittente
ma anche quelli della comunione, essendo, infatti, la richiesta pronunzia ex art.
2932 c.c., o l'alternativa pronunzia risarcitoria quanto meno per responsabilit
precontrattuale, destinate ad incidere anche sul diritto del coniuge
comproprietario o contitolare non stipulante e sulla consistenza del patrimonio
familiare.
Ne consegue l'ineludibile presenza in giudizio del coniuge rimasto estraneo al
preliminare, dacch, come questa Corte ha ripetutamente evidenziato, si ha
litisconsorzio necessario, oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge,
allorquando la decisione richiesta, indipendentemente dalla sua natura (di condanna,
d'accertamento o costitutiva), sia di per s inidonea a spiegare i propri effetti, cio a
produrre un risultato utile e pratico, anche nei riguardi delle sole parti presenti, stante la
natura plurisoggettiva e concettualmente unica ed inscindibile, sia in senso sostanziale,
sia, alle volte, in senso solo processuale, del rapporto dedotto in giudizio, nel quale i
nessi fra i diversi soggetti, e tra questi e l'oggetto comune, costituiscono un insieme
unitario, con conseguente immutabilit del rapporto medesimo ove non vi sia la
partecipazione di tutti i suoi titolari (da ultimo, Cass. 7.3.06 n. 4890, 6.7.04 n. 12313,
23.9.03 n. 14102, 5.7.01 n. 9083, 11.4.00 n. 4593 e 1.7.97 n. 5895 a SS.UU.).
Per altro verso, la necessaria partecipazione del coniuge rimasto estraneo al preliminare
va affermata anche in applicazione dell'art. 180 c.c., dal quale, coerentemente alla ratio
della novella che riconosce quale principio informatore del diritto di famiglia la parit di
diritti e doveri tra i coniugi, si stabilisce che l'amministrazione dei beni della comunione
spettano disgiuntamente a ciascuno di essi per gli atti d'ordinaria amministrazione ma
congiuntamente ad entrambi per quelli di straordinaria amministrazione e per la stipula
dei contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento
nonch la rappresentanza in giudizio per gli atti ad essa relativi. Un valido criterio
discretivo tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione generalmente accolto
quello della normalit dell'atto di gestione, che viene travalicata ove questo comporti un
rischio di pregiudizio sulla consistenza del patrimonio o la possibilit d'alterazione della
sua struttura, per il che a determinare il discrimine non tanto il contenuto, modesto o
rilevante, dell'atto, quanto piuttosto la sua finalit ed il suo effetto; onde pu dirsi che, in
linea di massima e rapportando comunque il criterio a ciascun singolo caso concreto,
ove il negozio sia per sua natura intrinsecamente idoneo ad alterare la consistenza del
patrimonio, a pregiudicarne le potenzialit economiche, a sottrarne o modificarne
elementi costitutivi, esso di straordinaria amministrazione, mentre di ordinaria
amministrazione ove sia tendenzialmente idoneo a conservare la consistenza
quantitativa
del
patrimonio
pur
se
rischioso.
Alla luce di tale criterio, non si pu non riconoscere carattere pregiudizievole al
contratto anche solo ad efficacia obbligatoria, in quanto potenzialmente idoneo ad
incidere sulla consistenza del patrimonio dello stipulante; in particolare, carattere
siffatto va riconosciuto al contratto preliminare di vendita, che, come stato
evidenziato in dottrina ed in giurisprudenza, si pone quale momento originario
d'una serie obbligatoria consequenziale e successiva, il cui esito finale necessitato
il trasferimento della propriet del bene promesso in vendita, s che, in ragione
dell'effetto conclusivo della sequenza, tale contratto, che alla serie obbligatoria da
inizio, va considerato atto eccedente l'ordinaria amministrazione. Anche il
contratto preliminare pu avere, dunque, una rilevanza pregiudizievole sulla
consistenza patrimoniale della comunione e sulle condizioni di vita della famiglia,
in considerazione dell'obbligazione assunta dal disponente, che pur vincola
unicamente costui, e della responsabilit dello stesso per l'inadempimento;
diritti reali sulla medesima, non quindi i diritti di credito sorti dal contratto concluso da
uno dei coniugi, i quali, per la loro stessa natura relativa e personale, pur se strumentali
all'acquisizione di una "res", non sono suscettibili di cadere in comunione, con la
conseguenza che, nel caso di contratto preliminare di vendita stipulato da uno solo dei
coniugi, l'altro coniuge non pu vantare alcun diritto, non essendo neppure legittimato a
proporre la domanda di esecuzione specifica ex art. 2932 cod. civ. (Nella specie, la S.C.,
enunciando l'anzidetto principio, ha confermato la sentenza impugnata che aveva
escluso il compossesso in capo al coniuge del promissario acquirente a seguito
dell'anticipata immissione in possesso di quest'ultimo nell'immobile oggetto del
contratto preliminare di compravendita).
Testo. (Omissis) Con il primo motivo il ricorrente, deducendo violazione e/o falsa
applicazione dell'art. 102 c.p.c., censura la sentenza impugnata per aver escluso la
necessit della integrazione del contraddittorio nei confronti del coniuge dell'esponente
Rosa Vitagliano in regime di comunione legale con il marito sul rilievo che alla
Vitagliano non era stato trasferito il compossesso dell'immobile oggetto del preliminare;
il ricorrente assume che in realt l'acquisizione del compossesso in favore della moglie
derivava automaticamente dal trasferimento del possesso al marito.
La censura infondata.La Corte territoriale, premesso che il contratto preliminare
produce soltanto effetti obbligatori e non reali, ha rilevato che l'eventuale immissione
anticipata nel possesso da parte del promissario acquirente non determina l'acquisto
dello "ius possidendi" anche in capo al coniuge ai sensi dell'art. 177 c.c., perch non
connesso
ad
un
acquisto.
In effetti occorre rilevare, ai fini di escludere la necessit della integrazione del
contraddittorio nei confronti del coniuge dell'Orlando in regime di comunione legale
con quest'ultimo, che la comunione legale tra i coniugi di cui all'art. 177 c.c., riguarda
gli acquisti, ovvero gli atti implicanti l'effettivo trasferimento della propriet della "res"
o la costituzione di diritti reali sulla medesima e non quindi i diritti di crediti sorti dal
contratto concluso da uno dei coniugi, i quali per la loro stessa natura relativa e
personale, pur se strumentali all'acquisizione di una "res", non sono suscettibili di
cadere in comunione, con la conseguenza che, nel caso di contratto preliminare stipulato
da uno solo dei coniugi, nessun diritto pu accampare l'altro coniuge, il quale non
neppure legittimato a proporre domanda di esecuzione specifica ex art. 2932 c.c. (Cass.
27.1.1995 n. 987; Cass. 18.2.1999 n. 1363; Cass. 22.9.2000 n. 12554). ()
Testo. Con il primo motivo la ricorrente deduce "violazione e falsa applicazione del
combinato disposto degli artt. 180, 184 e 2932 c.c."; essa censura il rigetto del proprio
appello incidentale con il quale aveva chiesto la sentenza costitutiva del trasferimento
dell'immobile di via Regilla oggetto del preliminare del 18/7/1989; al riguardo rileva
che la domanda era stata rigettata sull'erroneo presupposto dell'ineseguibilit del
preliminare perch stipulato da uno solo dei due coniugi che erano comproprietari del
bene in quanto acquistato dal coniuge Provitali in regime di comunione legale. La
ricorrente richiama principi affermati da questa Corte secondo i quali ciascun coniuge
non pu disporre della propria quota di bene in comunione familiare, ma pu disporre
dell'intero e il consenso dell'altro coniuge, richiesto dall'art. 180 c.c., per gli atti di
straordinaria amministrazione costituisce un negozio autorizzativo che rimuove un
limite
all'esercizio
del
potere
dispositivo;
l'eventuale mancanza di consenso avrebbe esposto essa contraente, soltanto all'azione di
annullamento da parte del coniuge dissenziente, decorrente dalla conoscenza dell'atto,
ma, nella fattispecie, il coniuge asseritamente pretermesso era presente alla stipulazione
dell'atto e, quindi, con il proprio silenzio aveva manifestato un tacito assenso; inoltre dal
giorno della sottoscrizione delle scritture, avvenuta alla presenza del coniuge, era
decorso il termine prescrizionale annuale per l'esercizio dell'azione di annullamento ex
art.
184
c.p.c..
1.1 Occorre premettere che nel motivo si afferma (oltre a quanto sopra esposto) anche
(incidentalmente) che non sarebbe necessaria nell'azione ex art. 2932 c.c., promossa dal
promissario acquirente nei confronti del promittente venditore, l'integrazione del
contraddittorio nei confronti del coniuge del promittente venditore in regime di
comunione
dei
beni.
L'affermazione, pur non rilevante in quanto il coniuge pretermesso si costituito in
giudizio sin dal primo grado, deve comunque essere corretta ricordandosi che le sezioni
unite, risolvendo un contrasto insorto tra le sezioni semplici, hanno affermato che in
caso di contratto preliminare stipulato senza il consenso dell'altro coniuge, quest'ultimo
deve considerarsi litisconsorte necessario del giudizio per l'esecuzione specifica del
contratto (Cass. S.U. 24/8/2007 n. 17952) proprio perch detto coniuge ancora titolare
d'una situazione giuridica inscindibile che lo rende litisconsorte necessario nel giudizio
d'esecuzione specifica dell'obbligo di contrarre e l'eventuale decisione in assenza di
contraddittorio sarebbe inidonea a spiegare i propri effetti, cio a produrre un risultato
utile e pratico, anche nei riguardi delle sole parti presenti, stante la natura
plurisoggettiva e concettualmente unica ed inscindibile del rapporto. Ci premesso, si
deve rilevare che la domanda (reiterata con l'appello incidentale) di esecuzione in forma
specifica del contratto stata respinta dalla Corte di Appello senza alcuna pronuncia di
annullamento del contratto preliminare per mancanza del consenso del coniuge
(domanda che pur risulterebbe proposta dalla Monti: v. pag. 4 della sentenza di appello),
ma semplicemente sulla base dell'affermazione per la quale "la circostanza che la Monti
non abbia sottoscritto il preliminare di vendita dell'immobile...del quale era divenuta
proprietaria per essere stato acquistato in regime di comunione dei beni... esclude... che
il promissario acquirente abbia diritto ad ottenere l'esecuzione coattiva del preliminare
stipulato da un solo dei coniugi, non potendo, questi, disporre della quota".
Nella sentenza si sostiene, in sostanza, che per il trasferimento del bene
occorrerebbe il formarsi di un'unica volont negoziale in capo ad una (in questo
caso la parte costituita dai due coniugi in comunione dei beni) delle parti del
contratto, data l'unicit e la inscindibilit del bene in comunione e che, quindi, il
coniuge stipulante avrebbe potuto cedere la propria quota, ma non cedere anche
quella del coniuge non stipulante; nel caso concreto, non poteva essere trasferita
con sentenza costitutiva la sola quota del coniuge stipulante in quanto si sarebbe
modificata la volont negoziale (principio effettivamente affermato in
giurisprudenza, ma relativamente alla comunione ordinaria: v. Cass. 10/3/2008 n.
6308). Risulta pertanto evidente la violazione dei principi di cui agli artt. 180 e 184
c.p.c., e, in generale, dei principi relativi agli atti di disposizione di beni della
comunione legale perch la Corte territoriale ha applicato alla comunione legale i
diversi principi che regolano la comunione ordinaria e che non si applicano
nell'ipotesi
di
comunione
legale
tra
coniugi.
La Corte di Appello non ha considerato che la comunione legale tra coniugi
costituisce una comunione senza quote, nella quale i coniugi sono solidalmente
titolari di un diritto avente ad oggetto tutti i beni di essa e rispetto alla quale non
ammessa la partecipazione di estranei; ne consegue che nei rapporti con i terzi
ciascun coniuge, mentre non pu disporre della propria quota, ben pu disporre
dell'intero bene comune (contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza
impugnata), mentre il consenso dell'altro coniuge si configura come un negozio
unilaterale autorizzativo che rimuove un limite all'esercizio del potere dispositivo
sul bene e si traduce in un vizio da far valere ai sensi dell'art. 184 c.c., nel termine
di un anno decorrente dalla conoscenza dell'atto o dalla data di trascrizione (Cass.
14/1/1997 n. 284; Cass. 21/12/2001 n. 16177; Cass. 11/6/2010 n. 14093). In
particolare, come ha avuto occasione di chiarire questa Corte a S.U. (Cass. S.U.
24/8/2007 n. 17952 cit.) il consenso del coniuge pretermesso non atto autorizzativo
nel senso di atto attributivo di un potere, ma piuttosto nel senso di atto che
rimuove un limite all'esercizio di un potere e requisito di regolarit del
procedimento di formazione dell'atto di disposizione, la cui mancanza, ove si tratti
di bene immobile o mobile registrato, si traduce in un vizio del negozio: l'ipotesi
regolata dall'art. 184 c.c., comma 1, dunque, si riferisce non ad un caso d'acquisto
inefficace perch a non domino, bens ad un caso d'acquisto a domino in base ad
un
titolo
viziato.
Ne discende che la mera mancanza di sottoscrizione del contratto da parte del
coniuge non era sufficiente per la declaratoria di nullit del contratto, dovendosi
esaminare il profilo del consenso e della rilevanza della conoscenza dell'atto.
L'art. 184 c.c., infatti, per l'esigenza di tutelare la rapidit e la certezza della
circolazione dei beni in regime di comunione legale, disciplina il conflitto tra il
terzo ed il coniuge pretermesso in modo pi favorevole (rispetto alla comunione
ordinaria) al primo, con il regime degli effetti tendente alla conservazione del
negozio; di conseguenza il contratto, in assenza del consenso del coniuge
pretermesso non inefficace ne' nei confronti dei terzi, ne' nei confronti della
comunione, ma solo soggetto alla disciplina dell'art. 184 c.c., comma 1, ed
solamente esposto all'azione di annullamento da parte del coniuge non
consenziente, nel breve termine prescrizionale entro cui ristretto l'esercizio di tale
azione, decorrente dalla conoscenza effettiva dell'atto, ovvero, in via sussidiaria,
dalla trascrizione o dallo scioglimento della comunione (Cass. 21/12/2001 n. 16177;
Cass.
11/6/2010
n.
14093;
Cass.
31/1/2012
n.
1385).
In conclusione si deve annullare tale decisione affermandosi il principio che per
l'esecuzione in forma specifica di un preliminare di vendita immobiliare non
necessaria la sottoscrizione di entrambi i coniugi in comunione legale, ma
sufficiente il consenso dell'altro coniuge e la mancanza del suo consenso si traduce
in un vizio da far valere ai sensi dell'art. 184 c.c., (nel rispetto del principio
generale di buona fede e dell'affidamento) nel termine di un anno decorrente dalla
conoscenza
dell'atto
o
dalla
data
di
trascrizione.
Entro questi limiti il primo motivo deve essere accolto con cassazione della sentenza e
rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma che si uniformer al principio di
diritto sopra enunciato. ()
piano di riparto parziale dichiarato esecutivo dal giudice delegato. Premesso che la
somma distribuita costituiva il ricavato della vendita di un appartamento sul quale
risultava iscritta ipoteca a garanzia del credito dalla Cassa stessa vantato in virt di un
mutuo fondiario concesso alla societ costruttrice dell'immobile, l'opponente sosteneva
che erroneamente tale credito era stato collocato con grado inferiore a quello vantato dal
Bandini per il rimborso della caparra da questo versata contestualmente alla stipulazione
di un contratto preliminare di acquisto del medesimo appartamento, trascritto in data
successiva all'iscrizione dell'ipoteca e scioltosi ai sensi della L. Fall., art. 72.
Ad avviso dell'opponente, infatti, l'ipoteca concessa a garanzia del finanziamento di un
intervento edilizio ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 38, prevalendo sulla
trascrizione anteriore del contratto preliminare, a norma dell'art. 2825 bis c.c., doveva
prevalere, a maggior ragione, sulla trascrizione posteriore. Il Tribunale accolse la
domanda, osservando, anzitutto, che la particolare causa di prelazione accordata al
promissario acquirente dall'art. 2775 bis c.c., comma 1, non si sottrae al principio
generale enunciato dall'art. 2748 c.c., comma 2, in forza del quale i crediti muniti di
privilegio speciale immobiliare prevalgono su quelli ipotecari, se la legge non dispone
diversamente. Ha, tuttavia, ravvisato una tale diversa disposizione (idonea, appunto, ad
invertire l'anzidetto criterio di priorit) nel combinato disposto degli artt. 2775 bis e
2825 bis c.c., reputando che dette norme siano da interpretare nel senso della prevalenza
delle ipoteche iscritte a garanzia di mutui fondiari erogati a norma del R.D.L. 12 marzo
1936, n. 375, art. 38 e ss., T.U. bancario, rispetto al privilegio immobiliare accordato al
promissario acquirente, indipendentemente dall'esservi stato o meno accollo del mutuo
da parte dell'acquirente. Cos ragionando ha, dunque, ritenuto irrilevante nella
fattispecie la precedente affermazione resa sul tema da questa Corte (Cass. 14 novembre
2003, n. 17197, della quale si dir in seguito), considerando che questa non decidesse
riguardo ad un istituto di credito garantito da ipoteca ai sensi del D.Lgs. n. 385 del
1993, artt. 38 e segg., ovvero in altro modo garantito da ipoteca.
Avverso il decreto del Tribunale di Forl il Bandini ha proposto ricorso per cassazione,
affidato ad un unico motivo. Ha resistito con controricorso la Cassa dei Risparmi, la
quale ha depositato successivamente memoria. Non ha svolto difese la curatela del
fallimento.
Con ordinanza interlocutoria del 20 ottobre 2008, la Prima Sezione Civile, ritenuta la
sussistenza di una questione di massima di particolare importanza, avente ad
oggetto la prevalenza del privilegio di cui all'art. 2775 bis c.c., sulle ipoteche per
mutui fondiari iscritte anteriormente alla trascrizione del contratto preliminare,
ha rimesso gli atti al Primo Presidente, il quale ha disposto l'assegnazione della
causa
alle
Sezioni
Unite.
MOTIVI
DELLA
DECISIONE
1. - PREMESSA - IL RICORSO E LA QUESTIONE SOTTOPOSTA ALL'ESAME
DELLE SEZIONI UNITE.
Il ricorrente, nel dedurre la violazione dell'art. 2645 bis c.c., art. 2775 bis c.c., art. 2748
c.c., comma 2, e art. 2825 bis c.c., sostiene che dell'art. 2775 bis c.c., comma 2,
individua due soli casi di ipoteche che non soccombono al privilegio di cui al comma 1,
e precisamente quelle iscritte a garanzia del mutuo erogato al promissario acquirente per
l'acquisto dell'immobile e quelle iscritte a garanzia del credito edilizio nei limiti della
quota che il promissario stesso si sia accollato; bench l'art. 2825 bis c.c., faccia
riferimento esclusivamente alle ipoteche iscritte successivamente alla trascrizione del
Essa muove dalla presa d'atto che, nella pratica commerciale, la stipulazione di un
contratto preliminare costituisce ormai una fase pressoch imprescindibile del
procedimento negoziale che conduce al trasferimento dei diritti reali immobiliari,
la quale trova per lo pi giustificazione nell'esigenza delle parti di consacrare
provvisoriamente l'accordo raggiunto, al fine di consentire, in vista della
stipulazione del contratto definitivo, la verifica dell'esatta consistenza
dell'immobile, della sua conformit alle norme urbanistiche e degli oneri tributari
connessi al trasferimento. A questa prassi fa riscontro, talvolta, la consegna
anticipata dell'immobile e, pi spesso, il versamento di uno o pi acconti sul prezzo
pattuito, il quale trova giustificazione, nel caso di vendita di beni ancora da
edificare o in corso di costruzione, nei convergenti interessi del venditore ad
autofinanziarsi mediante l'anticipata riscossione del corrispettivo e dell'acquirente
a spuntare un prezzo pi vantaggioso attraverso l'acquisto su progetto.
Nella vigenza del testo originario del codice civile, l'impossibilit di procedere alla
trascrizione del preliminare, dovuta all'inidoneit di tale contratto a determinare il
trasferimento del diritto reale, esponeva il promissario, che avesse in tutto o in
parte adempiuto la propria obbligazione, al rischio dell'inadempimento della
controparte, dovendo egli soccombere di fronte ad atti dispositivi eventualmente
posti in essere da quest'ultima, ovvero ad atti compiuti da terzi in danno della
medesima controparte; la trascrizione di questi atti, se intervenuta anteriormente
al contratto definitivo, ne rendeva infatti impossibile la stipulazione, precludendo
anche l'accoglimento di un'eventuale domanda giudiziale ex art. 2932 c.c..
A tale rischio, riconducibile alla normale alea contrattuale, si aggiungeva, nel caso
in cui il promittente venditore fosse un imprenditore, quello proprio dell'attivit
d'impresa, che aumenta notevolmente il pericolo dell'aggressione dei beni da parte
di terzi, fino all'ipotesi estrema del fallimento, che, consentendo al curatore di
sciogliersi dal vincolo contrattuale (come avvenuto nella fattispecie in
trattazione), costringe il promissario acquirente ad insinuarsi al passivo per
ottenere la restituzione delle somme versate e quindi ad assoggettarsi alle regole
del concorso, con scarse speranze di ottenere la soddisfazione del proprio diritto,
avuto riguardo alla natura chirografaria del credito. Per evitare questi
inconvenienti (ai quali, in passato, poteva ovviarsi esclusivamente attraverso la
tempestiva trascrizione di una domanda di esecuzione in forma specifica) ora
riconosciuta la possibilit di tutelare il proprio diritto all'acquisto direttamente
mediante la trascrizione del contratto preliminare. L'efficacia di tale adempimento
pubblicitario disciplinata dai commi secondo e terzo dell'art. 2645 bis c.c., i quali
prevedono che, ove entro un anno dalla data convenuta tra le parti, e comunque entro tre
anni dalla trascrizione del preliminare, segua la trascrizione del contratto definitivo o di
un altro atto che costituisca comunque esecuzione del contratto preliminare, ovvero
della domanda giudiziale di cui all'art. 2652 c.c., comma 1, n. 2, gli effetti di tale
trascrizione o di quella della sentenza che accoglie la domanda diretta ad ottenere
l'esecuzione in forma specifica del contratto preliminare retroagiscono fino alla data
della trascrizione di quest'ultimo, prevalendo sulle trascrizioni ed iscrizioni eseguite in
data
successiva
contro
il
promittente
alienante.
Tale efficacia stata definita di "prenotazione" degli effetti tipici della trascrizione del
contratto definitivo, e consiste nel fatto che, ove seguita da quest'ultima, la trascrizione
ancora
divenuto
proprietario.
Nella seconda parte, invece, la norma si riferisce alle ipoteche concesse dal promittente
venditore a garanzia di crediti derivanti dai mutui fondiari accordati da banche
concedenti finanziamenti a medio e lungo termine, garantiti da ipoteca di primo grado
su immobili, ovvero da ipoteche di grado ulteriore nei casi consentiti dalla Banca
d'Italia; in tal caso, la prevalenza dell'ipoteca subordinata alla condizione che il
promissario acquirente si sia accollato il relativo debito, nello stesso preliminare o con
atto successivo annotato a margine della trascrizione, ed opera limitatamente alla quota
gravante sull'immobile promesso in vendita. Tale condizione trova fondamento nella
considerazione che l'opponibilit al promissario dell'ipoteca iscritta successivamente al
preliminare giustificata solo in caso di accollo del mutuo, in quanto egli diviene parte
del rapporto derivante dal finanziamento, giovandosi della relativa rateazione ai fini del
pagamento del prezzo; qualora invece acquisti senza accollo, pagando il prezzo
direttamente al promittente, il promissario rimane estraneo al rapporto tra finanziatore e
finanziato, con la conseguenza che l'ipoteca, iscritta successivamente alla trascrizione
dei
preliminare,
non
gli
opponibile.
Il privilegio in esame prevale, pertanto, ai sensi dell'art. 2645 bis c.c., sulle ipoteche
iscritte in data successiva alla trascrizione del preliminare, escluse quelle previste
dall'art. 2825 bis c.c., in quanto tale disposizione stabilisce eccezionalmente la
prevalenza delle ipoteche relative a mutui erogati al promissario acquirente,
nonch di quelle relative a mutui fondiari erogati al promittente venditore, che il
promissario acquirente si sia accollato.
3. - GLI ORIENTAMENTI DELLA GIURISPRUDENZA DI MERITO E DELLA
DOTTRINA.
L'orientamento quasi unanime affermatosi nella giurisprudenza di merito sostiene che le
ipoteche delle quali s'e detto siano comunque destinate a cedere in caso di concorso con
il privilegio spettante al promissario acquirente.
Esso muove dal rilievo secondo cui il concorso tra privilegi ed ipoteche sarebbe
regolato esclusivamente dall'art. 2748 c.c., comma 2, non potendo trovare applicazione
l'art. 2644 c.c., il quale disciplinerebbe, invece, il conflitto tra cause di prelazione e
diritti reali di godimento; ci posto, esso afferma che al principio della prevalenza dei
privilegi, sancito dalla predetta disposizione, potrebbe derogarsi soltanto in presenza di
un dato normativo chiaro ed inequivocabile, non ravvisabile ne' nell'art. 2775 bis c.c., (il
quale, nella parte in cui subordina la nascita del privilegio del promissario acquirente
alla trascrizione del preliminare, non introdurrebbe elementi di novit rispetto ad altre
fattispecie previste dalla normativa vigente), ne' nell'art. 2825 bis c.c., (il quale,
riferendosi alle sole ipoteche iscritte successivamente alla trascrizione del preliminare,
non
sarebbe
applicabile
a
quelle
iscritte
in
data
anteriore).
L'indirizzo in esame riflette l'opinione espressa dai primi commentatori del D.L. n. 669
del 1996, i quali avevano ritenuto insuperabile il dato normativo emergente
dall'interpretazione letterale dell'artt. 2748 c.c., comma 2, e art. 2825 bis c.c.,
escludendo cos che le ipoteche iscritte in epoca anteriore alla trascrizione del contratto
preliminare potessero prevalere sul privilegio che assiste il credito del promissario
acquirente. All'obiezione secondo cui l'ipoteca prevale sui diritti dei terzi trascritti in
epoca successiva all'iscrizione, essi replicavano che ci accade perch il rapporto tra le
cause di prelazione e i diritti reali di godimento regolato dal principio prior in
tempore, potior in jure, esaltato, nel caso di immobili, dalla priorit della relativa
pubblicit; nella fattispecie in esame, tutta via, non vi un conflitto tra il diritto del
promissario di ottenere l'esecuzione specifica del contratto e l'ipoteca del terzo sullo
stesso bene oggetto del preliminare, ma un conflitto tra il privilegio speciale del
promissario (conseguente alla risoluzione o allo scioglimento del contratto preliminare)
e l'ipoteca iscritta sullo stesso bene: si tratterebbe di un conflitto tra cause di prelazione,
la cui prevalenza sarebbe disciplinata dalla legge in base ad un principio diverso da
quello della priorit cronologica. Ci spiegherebbe, tra l'altro, perch le ipoteche iscritte
in data anteriore alla trascrizione del preliminare siano opponibili all'acquirente in caso
di stipulazione del contratto definitivo, mentre risultano inopponibili in caso di mancata
esecuzione
del
preliminare.
Secondo tale orientamento, la deroga al principio della prevalenza dei privilegi,
richiesta dall'art. 2748 c.c., comma 2, ai fini dell'opponibilit dell'ipoteca al creditore
privilegiato, non pu essere desunta dall'art. 2825 bis c.c.: tale disposizione, infatti, non
ha nulla a che fare con il privilegio di cui all'art. 2775 bis c.c., previsto per il caso di
mancata esecuzione del preliminare, in quanto si limita a regolare gli effetti dell'ipoteca
fondiaria edilizia sulla trascrizione del preliminare che venga regolarmente eseguito;
l'art. 2775 bis c.c., comma 2, inoltre, limitando la prevalenza delle ipoteche iscritte
successivamente alla trascrizione del preliminare a quelle concesse a garanzia di mutui
contratti per la costruzione o per l'acquisto dell'immobile, presupporrebbe che, al di
fuori di tali ipotesi, dette ipoteche siano destinate a cedere nel concorso con il privilegio,
e sarebbe quindi applicabile, a maggior ragione, alle ipoteche iscritte in data anteriore.
All'obiezione secondo cui tale opinione, favorendo il promissario acquirente a scapito
degli interessi dei creditori ipotecari, si sarebbe ripercossa negativamente sui rapporti tra
le imprese costruttrici e le aziende di credito, scoraggiando queste ultime dal concedere
finanziamenti per la costruzione di immobili, in contrasto con lo finalit che in legge
intendeva perseguire, si replica che il senso della nuova disciplina consisteva anche nel
responsabilizzare il ceto bancario, dissuadendolo da un'eccessiva disinvoltura
nell'erogazione del credito fondiario. Troppo spesso, infatti, le banche, nel concedere
finanziamenti per la costruzione di immobili, fanno affidamento, ai fini della
restituzione, pi sui valore dei beni concessi. in garanzia che sulla solidit complessiva
dell'impresa mutuataria, confidando di poter agevolmente procedere al recupero del
credito anche in caso di fallimento della stessa, con evidente pregiudizio per le ragioni
degli altri creditori. La postergazione dei crediti ipotecari a quello del promissario
acquirente le costringerebbe invece a verificare preventivamente la capacit dell'impresa
di far fronte alle proprie obbligazioni, avvalendosi di quegli strumenti di controllo di cui
esse dispongono in misura pi ampia ed incisiva di ogni altro creditore. Sotto un diverso
profilo, si riconosce che, una volta ovviatosi, mediante la previsione della trascrivibilit
del preliminare, al pericolo che il diritto al trasferimento dell'immobile sia vanificato da
atti dispositivi compiuti dal promittente venditore o da atti di aggressione del suo
patrimonio posti in essere da terzi prima della stipulazione del definitivo, l'attribuzione
di un rango privilegiato ai crediti del promissario nascenti dalla mancata esecuzione del
coni, ratio si traduce in una tutela eccessiva, quanto meno in riferimento all'ipotesi in
cui, pur potendo ottenere l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di contrarre, egli
abbia
optato
per
la
tutela
risarcitoria.
In ogni caso, anche coloro i quali sono disposti ad ammettere che la prevalenza del
privilegio determina un'ingiustificata disparit di trattamento nei confronti dei creditori
che abbiano iscritto ipoteca in data anteriore alla trascrizione del preliminare, ritengono
che a tale inconveniente possa ovviarsi esclusivamente attraverso una declaratoria di
incostituzionalit della norma in esame, o mediante un intervento chiarificatore del
legislatore.
La dottrina pi recente ritiene invece che la questione possa essere risolta anche in via
interpretativa, avvalendosi dei principi sui cui si. fonda la pubblicit immobiliare e di
una pluralit di elementi emergenti dalla stessa disciplina in materia. Essa sottolinea la
natura "iscrizionale" o "trascrizionale" del privilegio in questione, il cui concorso
con le ipoteche iscritte sull'immobile promesso in vendita deve considerarsi
disciplinato dall'art. 2644 c.c., non essendo il privilegio accordato esclusivamente
in ragione della causa del credito, ma essendo condizionato alla trascrizione del
contratto preliminare ed alla sua perdurante efficacia. A sostegno di tale
orientamento, sono state sottolineate anche le anomalie che l'opposta tesi introdurrebbe
nel sistema delle cause di prelazione, osservandosi da un lato che in caso di stipulazione
del contratto definitivo le ipoteche iscritte successivamente alla trascrizione del
preliminare sono opponibili all'acquirente, dall'altro che nell'ordine dei privilegi quello
previsto dell'art. 2775 bis c.c., collocato successivamente a quelli di cui agli artt. 2772
e 2774 c.c., i quali non sono esercitabili in pregiudizio dei diritti precedentemente
acquisiti dai terzi. Sono stati infine evidenziati i gravi abusi cui potrebbe condurre
una rigida applicazione dell'art. 2748 cit., la quale consentirebbe al promittente
venditore di sottrarre l'immobile alla garanzia dei propri creditori ipotecali,
mediante la simulazione di un preliminare di compravendita con un promissario
compiacente, cui potrebbe far seguito la risoluzione del contratto, con la
conseguenza che, in sede di esecuzione forzala, i crediti restitutori e risarcitori del
promissario dovrebbero essere soddisfatti con precedenza rispetto a quelli dei
creditori ipotecari. Alle medesime conclusioni un'autorevolissima dottrina pervenuta
sulla base di un diverso percorso argomentativo, che muove dalla qualificazione del
preliminare di compravendita come vendita ad effetti obbligatori, dalla quale sorge a
carico del promittente un' obbligazione di dare e dall'affermazione dell'autonomia di tale
contratto rispetto al definitivo, ricollegando alla sua trascrizione l'efficacia tipica di cui
all'art. 2644 c.c., per sostenere che tale efficacia si estende anche al privilegio che
assiste i crediti del promissario acquirente, il cui concorso con le ipoteche iscritte in data
anteriore deve pertanto ritenersi disciplinato dal principio della priorit cronologica.
L'aspetto pi suggestivo di questa dottrina rinvenibile nell'attribuzione al promissario
acquirente di un jus ad rem (non di un mero jus in persona) e nella riconduzione del
rapporto tra preliminare e definitivo (non come rapporto tra due contratti distinti ed
autonomi, ciascuno dotato di una propria causa) al modello tedesco della distinzione tra
titulus e modus adquirendi, con la conseguenza che la stipulazione del definitivo non
comporta l'assorbimento del preliminare ne' rende irrilevanti i vizi che lo inficiano, i
quali risultano anzi idonei ad incidere, attraverso la caducazione del contratto cui
afferiscono, sulla stessa trascrizione del contratto definitivo. La riprova sarebbe
costituita proprio dalla trascrivibilit del preliminare, il cui effetto di opponibilit trova
giustificazione nella natura del diritto che da esso scaturisce per il promissario
acquirente, mentre la limitazione temporale di tale effetto si giustificherebbe con
l'efficacia
obbligatoria
del
contratto.
4. - LA SOLUZIONE DELLA QUESTIONE.
Sulla scorta di tutto quanto premesso ora possibile passare alla soluzione del quesito,
subito anticipando che le sezioni unite intendono disattendere il precedente
orientamento espresso dalla menzionata Cass. n. 17197 del 2003, attraverso una
trattazione concernente il generale problema della regola di conflitto tra cause di
prelazione, al di l della specifica ipotesi (della quale pure si dir) del credito fondiario,
disciplinata dagli artt. 2775 bis c.c., comma 2, e art. 2825 bis c.c..
Il ragionamento parte dalla premessa che l'art. 2748 c.c., allorquando nel secondo
comma stabilisce che i creditori muniti di privilegio sui beni immobili sono
preferiti ai creditori ipotecar "se la legge non dispone diversamente", fa
riferimento ad una deroga non necessariamente contenuta in un esplicito precetto,
ma che pu o deve essere individuata nell'ordinamento nel suo complesso,
attraverso la lettura e l'interpretazione normativa che tenda all'armonioso
coordinamento dello specifico istituto in trattazione con l'intero sistema; cos da
evitare applicazione ermeneutiche settoriali che, sebbene compatibili con il
microsistema nel quale le disposizioni sono inserite, finiscano con lo stridere
rispetto al complesso della materia nelle quali le norme stesse esplicano il proprio
effetto. Siffatto sforzo interpretativo si impone con ancora maggior impegno quando
(come nel caso di specie) le norme esaminate non appartengono all'originaria
impostazione codicistica, ma sono frutto di una successiva interpolazione legislativa,
mossa da esigenze sociali ed economiche via via emerse nella realt giuridica dei
commerci. Espresse norme derogatrici alla regola dell'art. 2748 c.c., comma 2, sono
rinvenibili dell'art. 2772 c.c., comma 4, e nell'art. 2774 c.c., comma 2: il privilegio che
assiste i crediti dello Stato per tributi indiretti o per canoni di concessione di acque non
si pu esercitare in pregiudizio dei diritti che i terzi hanno anteriormente acquistato
sugli immobili. Deroga ispirata, dunque, alla diversa regola della prevalenza in base alla
data
di
trascrizione
o
di
iscrizione.
Nel nostro caso una espressa norma derogatoria al precetto stabilito dalla prima
parte dell'art. 2748 c.c., comma 2, non esiste, ma, come si vedr, l'organica analisi
dell'intero quadro normativo disciplinante la materia consente di affermare che i
creditori muniti dello speciale privilegio del quale trattiamo non sono preferiti ai
creditori muniti di ipoteca iscritta precedentemente al sorgere del privilegio stesso,
secondo una ricostruzione che, come s' detto, prescinde dalla specifica ipotesi
(disciplinata dell'art. 2275 bis c.c., comma 2, in relazione all'art. 2825 bis c.c.) del
privilegio che assiste il credito per il finanziamento dell' intervento edilizio.
Occorre innanzitutto porre nel giusto rilievo che il privilegio che assiste il credito
del promissario acquirente, conseguente alla (eventuale) mancata esecuzione del
contratto preliminare trascritto, non si ricollega esclusivamente alla causa del
credito (come prescrive la prima parte dell'art. 2745 c.c.) ma la sua costituzione
necessariamente presuppone la trascrizione del contratto preliminare ai sensi
dell'art. 2645 bis c.c.; rientrando, dunque, nella categoria dei privilegi la cui
costituzione, come consentito dalla seconda parte dell'art. 2745 c.c., subordinata
ad una particolare forma di pubblicit. Peraltro, esso assiste il credito a condizione
che gli effetti della menzionata trascrizione non siano cessati a determinati
momenti (quello della risoluzione del contratto, oppure della domanda giudiziale
della risoluzione, oppure della trascrizione del pignoramento, oppure ancora
dell'intervento
nell'esecuzione
promossa
da
terzi).
Siffatto privilegio (come molti altri introdotti nel tempo dal legislatore in specifici
settori) si aggi unge ai privilegi speciali immobiliari previsti dal codice agli artt. da
2770 a 2775, ma se ne differenzia perch non posto, come questi, a tutela di
interessi pubblici, bens a tutela dell'interesse meramente privato del promissario
acquirente.
Occorre a riguardo ricordare che gli originari privilegi speciali codicistici costituiscono
il retaggio delle antiche ipoteche privilegiate, le quali venivano preferite alle ipoteche
normali in ragione della particolare natura pubblica degli interessi protetti in via
preferenziale. Di qui la regola di conflitto secondo cui siffatti privilegi prevalgono sulle
ipoteche, anche se iscritte prima del loro sorgere. Regola oggi consacrata dell'art. 2748
c.c., comma 2, e gi contenuta nell'art. 1953 del codice del 1865 (bench senza
l'espressa riserva che prevede il vigente testo normativo). Autorevolissima dottrina
spiega che la via scelta dal legislatore nel dell'art. 2748 c.c., comma 2, la pi conforme
all'indole del privilegio, che, assistendo crediti normalmente incidenti sul processo di
produzione o di valorizzazione di una cosa, deve necessariamente essere anteposto
all'ipoteca. In altri termini, la ragione della maggior parte dei privilegi va ricercata
nella particolare inerenza economica di alcuni crediti alla cosa gravata, la quale
spiega anche la preferenza dei creditori privilegiati sui creditori forniti di garanzia
reale: poich questi ultimi acquistano un diritto al valore di scambi o della cosa,
sono necessariamente posposti a coloro i quali, mediante l'erogazione di energie di
lavoro o di utilit dal cui corrispettivo sorge il credito, hanno contribuito alla
creazione, alla conservazione o all'incremento del valore medesimo.
La stessa dottrina avvisa pure che queste considerazioni rilevano ai fini interpretativi
della concreta applicazione delle norme positive e che sarebbe assurdo escludere dal
novero dei privilegi le figure che hanno il presupposto in forme di pubblicit, solo
perch ad esse non si applica il brocardo secondo cui privilegia non ex tempora
estimantur (ossia la regola trasfusa nell'art. 2748 c.c., comma 2). Ponendo, cos, in
evidenza che, per un verso, la qualifica di "privilegio" non necessariamente comporta
l'applicazione del principio secondo cui esso prevale sull'ipoteca precedentemente
iscritta e che, per altro verso, l'applicazione delle ordinarie regole sulla pubblicit non
consente di escludere la particolare qualifica di "privilegio" al tipo di prelazione trattato.
Il privilegio del quale si discute esplica i suoi effetti in una vicenda specularmente
opposta a quella summenzionata. Esso non assiste un credito che incide sul processo di
produzione o di valorizzazione della cosa (piuttosto, siffatta incidenza appartiene al
credito dei finanziatore dell'opera), bens il credito del promissario acquirente che
acquista il diritto al valore di scambio della cosa, e la sua costituzione
subordinata ad un preciso onere pubblicitario, cos come la sua esistenza
collegata al perdurare degli effetti della pubblicit.
Ne consegue che, relativamente ad esso, non vige la regola della prevalenza dei
privilegi sulle ipoteche, bens quella del prior tempore potior in jure che pervade di s
l'intero sistema della pubblicit, facendone conseguire che l'ipoteca trascritta prima della
costituzione del privilegio debba su quest'ultimo prevalere. Alcuni autori hanno rilevato
l'assimilabilit di siffatto tipo di prelazione all'ipoteca legale, ponendo in evidenza che,
nella materia trattata, sarebbe stato preferibile che il legislatore avesse previsto non un
privilegio
speciale,
bens
un'ipoteca
legale;
tant' che in altre esperienze normative (come quella francese: cfr. l'art. 2106 c.c.)
previsto che i privilegi speciali sugli immobili sono opponibili agli altri creditori solo
dopo che siano stati iscritti nella conservatoria delle ipoteche e secondo le modalit
previste
per
quella
forma
di
pubblicit.
Le caratteristiche del privilegio in esame assumono un rilievo determinante,
distinguendolo tanto dagli altri privilegi speciali immobiliari, la cui nascita non
condizionata ad un adempimento pubblicitario avente efficacia costitutiva, quanto dagli
altri privilegi iscrizionali, che hanno ad oggetto beni mobili; rispetto a questi ultimi,
ovviamente, il problema del concorso con altre cause di prelazione aventi natura
trascrizionale non si pone, ma per il caso in cui concorrano pi privilegi la legge
prevede espressamente che il conflitto vada risolto in base alla regola della priorit della
trascrizione (art. 2762 c.c., u.c.); per i primi, invece, pur valendo la regola secondo cui il
privilegio prevale sulle ipoteche, la legge stabilisce, in riferimento a casi in cui la
prelazione
accordata
per
un
interesse
non
individuale.
che essa non possa essere esercitata in pregiudizio de i diritti che i terzi hanno
anteriormente acquistato sugli immobili (si tratta dei gi menzionati artt. 2772 c.c.,
comma 4, e art. 2774 c.c., comma 2). A maggior ragione deve, quindi, affermarsi che
un privilegio accordato in funzione di un interesse individuale, la cui nascita
subordinata all'adempimento di una formalit pubblicitaria, sia destinato a cedere,
nel
concorso
con
cause
di
prelazione
precedentemente
iscritte.
In quest'ordine di idee riduttivo ed avulso dalla visione sistematica dell'istituto
fare una formalistica applicazione della regola di conflitto dettata dell'art. 2748
c.c., comma 2, per ammettere categoricamente che qualunque genere di privilegio
speciale immobiliare (compreso quello previsto a favore del promissario
acquirente) prevalga sull'ipoteca (qualunque ipoteca, non solo quella che assisto il
credito del finanziatore), bench questa sia stata iscritta prima del nascere del
privilegio.
A questo punto occorre fare alcune precisazioni in ordine ad una serie di
ricostruzioni che sono state operate per pervenire al medesimo risultato al quale
qui
si
perviene.
In primo luogo occorre chiarire che la regola di conflitto tra privilegi o ed ipoteca
precedentemente iscritta non pu essere rinvenuta nell'art. 2645 bis c.c., comma 2, il
quale stabilisce; la prevalenza del contratto definitivo sulle trascrizioni e le iscrizioni
eseguite contro il promittente alienante dopo la trascrizione del contratto preliminare.
Consegna del bene promesso anteriormente alla stipula del contratto definitivo Inidoneit del bene consegnato o mancanza nello stesso delle qualit promesse Disciplina relativa alla garanzia per vizi - Inapplicabilit - Tutela del promittente
compratore - Azione di risoluzione del preliminare - Ammissibilit - Azione ex art. 2932
cod. civ. ed azione di riduzione del prezzo - Ammissibilit in via alternativa.
In tema di contratto preliminare, la consegna dell'immobile oggetto dell'accordo
effettuata prima della stipula del definitivo non determina la decorrenza del termine di
decadenza per opporre i vizi noti n comunque di quello di prescrizione, perch lonere
della tempestiva denuncia presuppone che sia avvenuto il trasferimento del diritto. Ne
consegue che, nel caso del promissario acquirente che sia stato anticipatamente
immesso nella disponibilit materiale del bene, lesistenza di vizi non considerati al
momento della stipula del preliminare consente al predetto di agire in risoluzione dello
stesso preliminare, perch l'obbligo assunto dal promittente venditore quello di
trasferire l'immobile esente da vizi che lo rendano inidoneo all'uso o ne diminuiscano in
modo apprezzabile il valore; inoltre, il promissario acquirente ben pu, a fronte del
rifiuto del venditore a stipulare, optare per l'adempimento in forma specifica del
preliminare ex art. 2932 cod. civ. agendo contemporaneamente con l'azione "quanti
minoris" per la diminuzione del corrispettivo, senza che a detta facolt possa essere
opposta la decadenza o la prescrizione.
Testo. () La seconda parte del motivo, pur mancando di qualsiasi specifico richiamo,
ripropone il problema della "possibilit", cui la norma citata subordina la pronuncia
della sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso.
Va anzitutto rilevato che la trascrizione della domanda di esecuzione in forma specifica,
contemplata dall'art. 2652 n. 2 c.c., non costituisce condizione per la pronuncia della
sentenza ex art. 2932 c.c., riversando i suoi effetti esclusivamente su quei terzi che
abbiano acquistato diritti dal promittente del contratto preliminare ed abbiano, a loro
volta, trascritto il loro diritto: la trascrizione della sentenza che accolga la domanda
prevale, infatti, sulle trascrizioni e sulle iscrizioni eseguite contro il convenuto dopo la
trascrizione
della
domanda
stessa.
Questa Corte ha avuto, tuttavia, modo di precisare, che "l'art. 2932 c.c. consente al
giudice di emanare una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso
soltanto "qualora sia possibile" e cos la relativa domanda di esecuzione specifica trova
limite nell'alienazione a terzi del bene promesso, salvo che tale domanda sia trascritta
anteriormente alla detta vendita, atteso che i suoi effetti prevalgono su quelli degli atti di
disposizione del proprietario trascritti successivamente e viene di conseguenza meno
l'impossibilit giuridica derivante dall'alienazione a terzi del bene medesimo" (Cass.
2.2.1983, n. 915; arg. anche da Cass. 30.11.88, n. 6506; Cass. 24.11.1983 n. 7047.
Rimane isolata la pi restrittivas, anche se recente, Cass. 8.5.1991, n. 5110, che esclude,
in tali casi, la rilevanza della trascrizione). Compete, peraltro, a chi si oppone alla
domanda di esecuzione in forma specifica di un preliminare l'onere di dimostrare che il
bene che ne forma oggetto sia stato venduto a terzi mediante un atto trascritto
anteriormente alla trascrizione della domanda stessa (art. 2697 c.c.). In proposito (in
particolare in ordine alla trascrizione dell'atto di compravendita stipulato dagli attuali
ricorrenti con i terzi) non si fa riferimento ad alcuna prova specifica, affidandosi a
semplici affermazioni sicch legittimamente la Corte di merito ha dichiarato trasferita la
propriet delle quote al Brunero Manetti, sullo specifico rilievo che nulla risultava in
proposito. (. . . )
Testo. Tognoni Enrico con atto notificato il 15 gennaio 1987 convenne davanti al
Tribunale di Busto Arsizio le sorelle Volont Adele e Maria e, rinunciando alla
condizione apposta dell'ottenimento del nulla osta alla costruzione di un opificio
industriale, domand l'esecuzione in forma specifica del contratto preliminare per
persona da nominare, con il quale il 15 novembre 1982 le convenute gli avevano
promesso la vendita di un terreno di mq. 5600 in agro di Caronno Pertusella al prezzo di
L.
180,000.000,
di
cui
30.000.000
gi
versate
quale
caparra.
Alla domanda si oppose Volont Adele, mentre non si costitu in giudizio la sorella
Maria, e, intervenuta nel processo la S.r.l. Calzificio Tognoni, nella qualit di nominato
acquirente, il Tribunale con sentenza del 2 aprile 1992, ritenuta tardiva la nomina della
societ, accolse la domanda dell'attore e trasfer in suo favore la propriet del terreno,
previo pagamento della parte residua del prezzo. La decisione, impugnata da Volont
Adele, venne annullata il 20 marzo 1996 dalla Corte di Appello, che rimise la causa al
primo giudice per la mancata indicazione dell'udienza di comparizione nella citazione
introduttiva notificata a Volont Maria, nel frattempo deceduta, eccepita dalla sua erede
Cazzani
Emilia.
I ricorsi per la cassazione della sentenza vennero rigettati il 6 febbraio 1999 e Volont
Adele ed Cazzani Emilia, riassunta la causa il 16 maggio 1999 dal Tognoni davanti al
Tribunale di Busto Arsizio, resisterono alla domanda di esecuzione dell'obbligo di
contrarre, eccependo la prescrizione del diritto azionato e, nel merito, l'inefficacia del
preliminare, non "essendosi verificata alcuna valida rinuncia alla condizione" appostavi,
e la Volont anche la nullit del contratto per l'indeterminatezza dell'oggetto e/o la
sostanziale differenza tra il bene promesso in vendita e quello esistente; chiesero, altres,
in via riconvenzionale la risoluzione del contratto per eccessiva onerosit e la sola
Volont il suo annullamento per vizio di consenso e rescissione per lesione ultra
dimidium, nonch la condanna del Tognoni al risarcimento dei danni. Il Tribunale,
respinte le eccezioni di tardivit della riassunzione della causa e di prescrizione del
diritto azionato dall'attore, con sentenza del 4 luglio 200, rigett la domanda del
Rognoni, assumendo che la stessa era "da ritenersi inammissibile" per la
"ontologica modificazione" del bene oggetto del compromesso, che "da terreno
agricolo divenuto edificabile ad uso residenziale", e, accogliendo una delle
domande riconvenzionali, dichiar risolto il preliminare per sopravvenuta
eccessiva onerosit, essendosi decuplicato nelle more il valore del bene promesso in
vendita.
La decisione, appellata dal Rognoni e, in via incidentale, da Volont Maria, venne
riformata il 12 settembre 2003 dalla Corte di Appello di Milano, che trasfer
all'attore la propriet del terreno oggetto del preliminare, previo pagamento alla
Volont
ed
alla
Cazzani
del
prezzo
ancora
dovuto.
Osserv
il
giudice
di
secondo
grado
che:
doveva considerarsi definitivamente respinta l'eccezione di prescrizione del diritto
azionato dall'attore, non avendo la Volont censurato la motivazione in base alla quale il
tribunale l'aveva rigettata, ed era infondata quella di nullit del contratto per
indeterminatezza dell'oggetto, essendo stato il medesimo esattamente indicato nel
preliminare;
- non vi era prova dell'esistenza al momento della stipula del contratto delle condizioni
richieste dall'art. 1448 c.c., per l'azione generale di rescissione per lesione e dell'asserito
vizio di volont delle promittenti, della sua essenzialit e della sua riconoscibilit, e la
genericit dei capitoli articolati non consentiva l'assunzione dei mezzi articolati su di
esso;
la necessit di una rinuncia anche delle promittenti ad avvalersi della condizione
dell'ottenimento del nulla osta a costruire un opificio era esclusa dalla natura unilaterale
della medesima e l'attore non era decaduto dal diritto alla rinuncia, essendo il tempo
trascorso prima del suo esercizio oggettivamente proporzionato al risultato da
raggiungere
ed
agli
ostacoli
burocratici
da
superare;
l'eccessiva onerosit si era manifestata successivamente all'invito a stipulare il contratto
definitivo rivolto dal promissario alle convenute nel giugno 1986 ed il mancato
tempestivo adempimento all'obbligo di trasferire l'immobile poneva il rischio del suo
vetrificarsi
a
carico
delle
promittenti;
- l'edificabilit del terreno sopravvenuta nelle more del giudizio non aveva
modificato l'identit del bene, ma incideva unicamente sulle modalit del suo
sfruttamento.
La Volont ricorsa per la cassazione della sentenza con quattordici motivi di cui uno
articolato in altri quattro sottomotivi, illustrati con memoria, il Tognoni ha resistito con
controricorso notificato il 29 gennaio 2004, proponendo contestale ricorso incidentale
condizionato e depositando il 24 gennaio 2006 il certificato di destinazione urbanistica
del terreno, e gli intimati Cazzani e societ Calzificio Tognoni Enrico non hanno
resistito in giudizio.
() Infondati sono i motivi sub g), h) ed l), che attengono sotto diversi profili alle
questioni della (im)possibilit di trasferire coattivamente all'attore la propriet del
terreno, che per il mutamento degli strumenti urbanistici aveva perso nelle more del
giudizio la destinazione agricola che lo caratterizzava al momento della stipula del
preliminare ed era divenuto suolo edificatorio residenziale, e dei riflessi di tale
mutamento sull'efficacia della condizione apposta dalle parti, sulla causa del contratto e
sull'interesse
del
promissario.
Dal mutamento della destinazione urbanistica non deriva, invero, la attribuzione
ad un terreno di una natura oggettivamente diversa da quella originaria, ma
unicamente l'attitudine del bene ad una diversa modalit di sfruttamento e questa,
interferendo soltanto nella vicenda economia del rapporto, non rende impossibile
la pronuncia di una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso ove
non sia l'acquirente a dolersi della completa diversit del bene, per genere o
capacit funzionali, rispetto a quello contrattato. Tanto pi che, come
correttamente rilevato nella sentenza impugnata, la possibilit che la superficie
divenisse edificabile era stata espressamente prevista dalle parti e, anzi,
all'edificabilit, sia pure a fini industriali, era stata condizionata la stipula del
contratto definitivo. L'impossibilit giuridica dell'avveramento della condizione
sospensiva unilaterale apposta al preliminare, inoltre, non incide di per s e non ha
inciso sulla causa o sull'interesse al contratto, non solo perch arbitro dell'interesse in
tale caso era il solo attore e lo stesso ha rinunciato alla condizione prima che detta
impossibilit si manifestasse definitivamente, ma anche perch, come ripetutamente
affermato da questa Corte, la parte, ove non sia fissato un termine pu rinunciare alla
condizione sospensiva unilaterale stabilita in suo favore anche dopo che certo che essa
non si avverer (cfr.: Cass. Civ., sez. 3^, sent. 6 novembre 1993, n. 11001; Cass. civ.,
sez.
2^,
sent.
23
marzo
1991,
n.
3185).
Inammissibili sono i motivi sub i) e sub m), con i quali censurata l'omessa pronuncia
della sentenza sulle eccezioni di violazione del principio inadimplenti non est
adimplendum e della natura meramente potestativa della condizione apposta al
contratto, perch, trattandosi di eccezioni non rilevabili d'ufficio e non risultando dalla
sentenza che le stesse siano state proposte nel corso del giudizio, costituiva onere della
ricorrente, al fine di consentire al giudice di verificarne la ritualit e tempestivit, la
specificazione in quale atto o verbale di udienza le avesse anteriormente formulate.
Infondato il motivo sub n), giacch l'esame della domanda di condanna dell'attore al
risarcimento del danno era assorbito dal riconoscimento dell'inadempimento delle
convenute e della fondatezza della sua domanda di esecuzione in forma specifica
dell'obbligo
da
loro
assunto
di
stipulare
il
contratto
definitivo.
Infondati sono i motivi sub o) e p), che attengono al malgoverno della prova in ordine
all'inadempimento delle ricorrenti ed alle conseguenze che ne sono state tratte.
La sentenza impugnata ha affermato che qualora l'efficacia di un preliminare sia
sottoposto a condizione sospensiva mista, in quanto il suo verificarsi dipenda dal
comportamento di uno dei contraenti e da quello discrezionale dell'amministrazione, la
messa in mora della parte nel cui interesse tale condizione stata pattuita subordinata
CIVILE
045 ESECUZIONE
CIVILE
045 ESECUZIONE
domanda di esecuzione in forma specifica diretta al trasferimento del bene proposta dal
promissario acquirente).
Con il primo motivo di ricorso la societ MGL denuncia violazione degli artt. 282 e 474
c.p.c. e art. 2932 c.c. assumendo l'erroneit della sentenza impugnata nella parte in cui
non ha considerato immediatamente esecutive le sentenze ex art. 2932 cod. civ.
limitatamente alle statuizioni di condanna in esse contenute, dimenticando che integra il
concetto di "condanna" anche quella implicitamente contenuta nell'accoglimento della
domanda ex art. 2932 cod. civ. proposta dal promissario acquirente e diretta al
trasferimento del bene in suo favore, sicch il promittente venditore, per l'effetto della
pronuncia del trasferimento, "obbligato al rilascio del bene". In altri termini, la Corte
di appello ha omesso di considerare che la statuizione di trasferimento del bene,
contenuta nella sentenza costitutiva prevista dall'art. 2932 cod. civ., implica una vera e
propria "condanna" del promittente venditore ad un "facere", alla stessa stregua della
condanna del proprietario del fondo servente a consentire l'esercizio della servit
coattiva di passaggio (come statuito con la sentenza n. 1619 del 2005 della 3 sez. della
Corte di cassazione): infatti, nel caso di condanna implicita, l'esigenza di esecuzione
della sentenza deriva dalla stessa funzione che il titolo destinato a svolgere. Pertanto,
in applicazione di tale principio, vertendosi in tema di sentenza costitutiva, la funzione
della stessa da intendersi caratterizzata da un'esigenza di esecuzione, che non avrebbe
potuto trovare altra alternativa se non nel ritenere che la sentenza contenesse - per la
struttura del diritto sostanziale azionato - una condanna implicita al rilascio del bene,
previa, naturalmente, la pronuncia di trasferimento dell'immobile stesso. Evidenzia al
riguardo la ricorrente che gli effetti consequenziali all'esecuzione di una sentenza
costitutiva ex art. 2932 cod. civ. si presentano assolutamente reversibili, ben potendosi,
in caso di riforma di tale pronuncia, ripristinare la pregressa situazione, con la
restituzione, anch'essa attuabile nelle forme dell'esecuzione forzata, dell'immobile
oggetto del contratto preliminare, trasferito al promissario acquirente dopo l'emanazione
sentenza di cui al citato art. 2932 cod. civ.. La societ MGL censura l'impugnata
pronuncia anche con riferimento al discutibile richiamo dei principi espressi con la
sentenza della S.C. n. 18512 del 2007 intervenuta sull'argomento con la quale non era
stata operata alcuna distinzione tra il promittente venditore - cui et stata riconosciuta la
possibilit di agire immediatamente per il recupero del prezzo della vendita (possibilit
prevista anche nella sentenza oggetto di ricorso) - e il promissario acquirente, titolare
del diritto di conseguire il rilascio dell'immobile compravenduto, quale diretta ed
immediata conseguenza - pur se implicita - della pronuncia di trasferimento
dell'immobile contenuta nella sentenza emessa ai sensi del pi volte menzionato art.
2932 cod. civ.. Da ci si sarebbe dovuto inferire che, in concreto, una volta ottenuta
siffatta sentenza costitutiva, la tutela accordata al promissario acquirente sarebbe
rimasta monca ove non fossero stati apprestati adeguati strumenti per consentirgli
l'esercizio immediato dei diritto di propriet e, tra questi strumenti, particolare rilievo
avrebbe dovuto assumere l'istituto della provvisoria esecutivit ex art. 282 cod. proc.
civ., per la sua attitudine ad assicurare l'anticipazione dell'efficacia propria del giudicato,
volta ad evitare che la durata del processo possa pregiudicare l'attore vittorioso in primo
promissario acquirente di questo che abbia ottenuto la sentenza di cui all'art. 2932 c.c.,
purch non passata in giudicato. Invero tale sentenza essendo costitutiva ed avendo
efficacia ex nunc, solo con il passaggio in giudicato produce gli effetti del contratto
preliminare e trasferisce la propriet del bene, sicch sino a tale data il promittente
venditore proprietario e possessore (sentenza 10/3/1999 n. 2522);
- poich nel caso di contratto preliminare di compravendita l'effetto traslativo
determinato soltanto dal contratto definitivo, sicch la ricorrenza dei requisiti di forma e
sostanza necessari ai fini della validit del contratto traslativo non possono che fare
riferimento alla legge vigente al momento della stipula di questo, la sopravvenienza,
rispetto al momento di formazione del preliminare, della disposizione di cui alla L. 28
febbraio 1985, n. 47, art. 18, comma 2, con cui il legislatore aveva allora sancito il
divieto di lottizzazione abusiva, opera non come causa di nullit del contratto
preliminare bens come impossibilit oggettiva di concludere il contratto definitivo, e
precludendo la stipulazione di questo, ugualmente di impedimento all'emissione della
sentenza costitutiva ai sensi dell'art. 2932 c.c., che allo stesso si sostituisce (sentenza
21/2/2008 n. 4522). Pertanto, secondo il riportato orientamento giurisprudenziale,
le sentenze emesse ex art. 2932 c.c. non possono conoscere un'efficacia esecutiva
anticipata rispetto al momento della formazione del giudicato perch l'effetto
traslativo della compravendita condizionato dall'irretrattabilit della pronuncia
con la quale viene determinato l'effetto sostitutivo del contratto definitivo non
stipulato.
Un mutamento di indirizzo si per avuto con la sentenza 3/9/2007 n. 18512 (pi
volte richiamata dalla ricorrente a sostegno della propria tesi) con la quale stato
affermato il principio secondo cui nel caso di pronuncia della sentenza costitutiva
ai sensi dell'art. 2932 c.c., le statuizioni di condanna consequenziali, dispositive
dell'adempimento delle prestazioni a carico delle parti tra le quali la sentenza
determina la conclusione del contratto, sono da ritenere immediatamente esecutive
ai sensi dell'art. 282 c.p.c., di modo che qualora l'azione ai sensi dell'art. 2932 c.c.
sia stata proposta dal promittente venditore, la statuizione di condanna del
promissario acquirente al pagamento del prezzo da considerare immediatamente
esecutiva.
In particolare nella citata sentenza si afferma testualmente che "in relazione alla
sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 2932 c.c., la legge non prevede alcunch che
possa giustificare l'esclusione della immediata esecutivit delle statuizioni
condannatorie consequenziali alla statuizione di accertamento del modo di essere
dell'ordinamento in relazione alla vicenda dedotta nel senso della sussistenza delle
condizioni che avrebbero dovuto giustificare la conclusione del contratto in
adempimento del contratto preliminare con la prestazione dei relativi consensi, e,
quindi, all'ulteriore statuizione, in via consequenziale, degli effetti costitutivi del
vincolo contrattuale, che di tale consenso tengono luogo. Ci, sia per quanto attiene
all'ipotesi che si tratti di statuizioni a favore del promissario acquirente, sia - come
nella specie - quando si tratti di statuizioni a favore del promissario venditore."
La detta innovativa sentenza - rispetto al riportato costante orientamento
giurisprudenziale di questa Corte - stata variamente commentata in dottrina.
Alcuni autori hanno analizzato le implicazioni della menzionata sentenza sotto il
profilo del diritto sostanziale sottolineandone gli aspetti discutibili in rapporto alla
specifica tematica del preliminare di compravendita inadempiuto rilevando che la
parziale anticipazione degli effetti obbligatori ricollegabili alla pronuncia
giudiziale determina l'alterazione del sinallagma contrattuale e concludendo che
rispetto alla sentenza ex art. 2932 c.c. - in tema di contratto preliminare di
compravendita - non vi spazio per ipotizzare un'immediata efficacia delle
statuizioni propriamente costitutive con conseguente impossibilit di un'esecuzione
coattiva anticipata delle obbligazioni derivanti da dette statuizioni. Secondo questo
orientamento dottrinale critico, aderendo alla decisione in questione al
regolamento di interessi in cui l'obbligo di pagare il prezzo contestuale al
trasferimento di propriet ed al conseguente passaggio dei rischi, se ne
sostituirebbe un altro in cui l'effetto reale viene differito fino al passaggio in
giudicato della sentenza mentre l'attuazione immediata degli obblighi di
pagamento del prezzo e di consegna del bene assegnerebbe all'esecuzione
provvisoria una funzione anche cautelare che non le sarebbe propria. Peraltro il
problema non consiste nello stabilire se l'accertamento della pretesa azionata per
addivenire alla modificazione della realt giuridica abbia un rilievo a qualche
effetto per l'ordinamento prima del giudicato, quanto nell'accertare se quella
rilevanza porti in s anche quella capacit di innovare la realt giuridica nelle
relazioni interprivate in cui l'efficacia costitutiva si concreta. La rilevanza
giuridica, sul terreno sostanziale, della sentenza costitutiva di accoglimento della
domanda ex art. 2932 c.c. ancora assoggettabile ad impugnazione pu valere solo a
radicare in capo all'attore un'aspettativa in ordine alla modificazione della realt
giuridica verificabile esclusivamente con il passaggio in giudicato della sentenza.
Non poi pertinente il richiamo operato nella sentenza alla pronunce con le quali
stata riconosciuta l'esecutivit del capo concernente le spese della sentenza
costitutiva posto che la pronuncia sulle spese costituisce una statuizione a s stante
e non autenticamente accessoria. Altri autori, invece, si solo allineati alla sentenza
in esame rilevando che l'art. 282 c.p.c. va interpretato nel senso che, venga
esercitata un'azione di condanna o esperita un'azione costitutiva, possibile
utilizzare la sentenza come titolo esecutivo se all'accoglimento della domanda si
accompagni, come complemento della protezione sostanziale richiesta, una
statuizione condannatoria, fatte salve le disposizioni ostative previste dalla legge.
Pertanto consentita l'immediata esecutivit delle statuizioni condannatorie
consequenziali alla statuizione di accertamento del diritto alla conclusione del
contratto definitivo non sussistendo alcuna norma che escluda tale esecutivit con
riferimento
alla
sentenza
pronunciata
ex
art.
2932
c.c..
Altra parte della dottrina - dopo aver posto in evidenza che le relazioni che si
pongono reciprocamente tra capi di condanna e capi costitutivi non sono omogenee
nelle diverse fattispecie - rileva che nell'ipotesi di azione ex art. 2932 c.c. non ci si
trova in presenza di reciproche pronunce di condanna in quanto l'attore deve
offrire la prestazione alla quale tenuto per cui questa non viene fatta oggetto di
una pronuncia di condanna, ma viene dedotta quale condizione dell'effetto
traslativo della propriet: ne consegue che si fa luogo solo alla condanna alla
consegna o al rilascio del bene o al pagamento del prezzo e, in ogni caso, rimane
l'impossibilit della produzione immediata dell'effetto traslativo della propriet
conforme
al
seguente
principio
di
diritto:
non riconoscibile l'esecutivit provvisoria, ex art. 282 cod. proc. civ., del capo
decisorio relativo al trasferimento dell'immobile contenuto nella sentenza di primo
grado resa ai sensi dell'art. 2932 c.c, ne' ravvisabile l'esecutivit provvisoria della
condanna implicita al rilascio dell'immobile, in danno del promittente venditore,
scaturente dalla suddetta sentenza nella parte in cui dispone il trasferimento
dell'immobile producendosi l'effetto traslativo della propriet del bene solo dal
momento del passaggio in giudicato di detta sentenza con la contemporanea
acquisizione al patrimonio del soggetto destinatario della pronuncia. Con il terzo motivo
la ricorrente denuncia violazione dell'art. 112 c.p.c. deducendo che essa societ, in
primo grado, aveva proposto domanda riconvenzionale al fine di ottenere la condanna
alla restituzione, in favore di M.G.L., dell'importo versato a titolo di deposito cauzionale
e di quello dovuto per la perdita dell'indennit di avviamento commerciale, oltre al
risarcimento di tutti i danni patiti, con interessi e rivalutazione, senza che, con
riferimento alla suo rigetto, il tribunale di Isernia avesse adottato un'apposita
motivazione. Senonch, a fronte del gravame interposto dalla M.G.L., la Corte di
appello, pur attestando sul punto che il giudice di primo grado aveva omesso di adottare
la prescritta motivazione, ha operato un malgoverno delle disposizioni di legge
applicabili in materia, fornendo una propria motivazione rispetto all'omesso "decisum"
del primo giudice, cos mancando di rilevare la nullit della decisione impugnata
malgrado fosse stata dedotta con l'atto di appello. La ricorrente ha formulato, in ordine a
tale motivo, il seguente quesito di diritto: "se sia conforme all'ordinamento, in relazione
all'obbligo del giudice di pronunciare su tutta la domanda ai sensi dell'art. 112 cod. proc.
civ., l'aver il giudice di secondo grado omesso di esaminare la dedotta nullit della
sentenza di prime cure per essere la stessa priva di motivazione in ordine al rigetto delle
proposte domande riconvenzionali".
Testo. CANNAV Alfio conveniva in giudizio Carmela D'Anna e D'Anna Angela, quali
eredi della sorella D'Anna Angela, esponendo che il 18/1/1992 aveva stipulato con
quest'ultima un contratto preliminare in virt del quale la D'Anna si era impegnata a
vendergli un immobile sito in Aci Castello per il corrispettivo di L. 400.000.000 di cui
100 milioni versati in contanti al momento della stipulazione del preliminare, a titolo di
acconto prezzo e di caparra confirmatoria, 100 milioni pagati mediante restituzione di
effetti cambiari rilasciati a favore di esso Cannav da D'Anna Carmela ed Angela, 40
milioni in contanti dopo un mese dal preliminare, 60 milioni alla stipula del definitivo e
100 milioni imputando al detto prezzo l'equivalente ammontare dovuto ad esso attore da
il
seguente:
- L. n. 47 del 1985, art. 40, commi 2 e 3: Gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali,
esclusi quelli di costituzione, modificazione ed estinzione di diritti di garanzia o di
servit, relativi ad edifici o loro parti, sono nulli e non possono essere rogati se da essi
non risultano, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi della licenza o della
concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ai sensi dell'art. 31
ovvero se agli atti stessi non viene allegata la copia per il richiedente della relativa
domanda, munita degli estremi dell'avvenuta presentazione, ovvero copia autentica di
uno degli esemplari della domanda medesima, munita degli estremi dell'avvenuta
presentazione e non siano indicati gli estremi dell'avvenuto versamento delle prime due
rate
dell'oblazione
di
cui
dell'art.
35,
comma
6.
Per le opere iniziate anteriormente al 1^ settembre 1967, in luogo degli estremi della
licenza edilizia pu essere prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio,
rilasciata dal proprietario o altro avente titolo, ai sensi e per gli effetti della L. 4 gennaio
1968, n. 15, art. 4, attestante che l'opera risulti iniziata in data anteriore al 1^ settembre
1967.
Tale dichiarazione pu essere ricevuta e inserita nello stesso atto, ovvero in documento
separato da allegarsi all'atto medesimo. Per gli edifici di propriet comunale, in luogo
degli estremi della licenza edilizia o della concessione di edificare, possono essere
prodotti quelli della deliberazione con la quale il progetto stato approvato o l'opera
autorizzata.
Se la mancanza delle dichiarazioni o dei documenti, rispettivamente da indicarsi o da
allegarsi, non sia dipesa dall'insussistenza della licenza o della concessione o dalla
inesistenza della domanda di concessione in sanatoria al tempo in cui gli atti medesimi
sono stati stipulati, ovvero dal fatto che la costruzione sia stata iniziata successivamente
al 1 settembre 1967, essi possono essere confermati anche da una sola delle parti
mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la
menzione omessa o al quale siano allegate la dichiarazione sostitutiva di atto notorio o
la copia della domanda indicate al comma precedente. - L. n. 47 del 1985, art. 17:
Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto
trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad
edifici, o loro parti, la cui costruzione iniziata dopo l'entrata in vigore della presente
legge, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per
dichiarazione dell'alienante, gli estremi della concessione ad edificare o della
concessione in sanatoria rilasciata ai sensi dell'art. 13. Tali disposizioni non si applicano
c.c..
Occorre per sia individuare il soggetto sul quale incombe l'onere di provare la
sussistenza delle condizioni richieste dalla legge in relazione alla necessaria
produzione della documentazione occorrente a dimostrare la regolarit urbanistica
dell'immobile, sia stabilire se, per gli immobili costruiti prima dell'1/9/1967, la
relativa dichiarazione sostitutiva dell'atto di notoriet prevista dalla legge possa
essere resa anche dal promissorio acquirente oltre che dal promettente alienante.
Nell'ordinanza di rimessione si afferma che nella giurisprudenza di legittimit non
stata espressamente e specificamente esaminata la questione se la prova di detti
presupposti possa essere data in giudizio anche dal promissario acquirente
nell'ipotesi di non collaborazione da parte del promettente venditore. Per la
soluzione della questione opportuno sottolineare che le dichiarazioni dei
contraenti sul regime urbanistico dell'immobile oggetto del contratto si connettono
ad una possibile illiceit del contratto e conseguente nullit del negozio, nullit che
tutela l'acquirente inconsapevole dell'irregolarit urbanistica dell'immobile.
La funzione delle dichiarazioni in parola anche "informativa" ed volta altres a
contenere il fenomeno dell'abusivismo edilizio. La finalit delle richieste formalit
sia di prevenzione, sia di protezione del soggetto che contratta con chi costruisce
abusivamente. Tale seconda finalit non pu essere sacrificata da un'applicazione
rigorosa del rimedio invalidatorio. La legge stessa ammette che "se la mancata
indicazione in atto degli estremi non sia dipesa dalla insussistenza della concessione
ai tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, essi possono essere confermati
anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma
del precedente, che contenga la menzione omessa" (citato L. n. 47 del 1985, art. 17
sopra
riportato).
Non pu ritenersi coerente e rispondente alla finalit della legge impedire al
promissario acquirente - a fronte di un inesistente concreto interesse pubblico di
lotta all'abusivismo sussistendo di fatto la regolarit urbanistica dell'immobile
oggetto del contratto preliminare di compravendita - la possibilit di ottenere una
sentenza che tenga luogo del contratto non concluso fornendo in giudizio la prova
della detta regolarit urbanistica nell'ipotesi in cui il promettente alienante, resosi
inadempiente, si rifiuti di produrre i documenti e di rendere la dichiarazione di cui
alla
L.
n.
47
del
1985,
art.
40.
In caso di non collaborazione da parte del promettente venditore, come
consentita a una delle parti di un contratto definitivo di confermare l'atto carente
integrandolo con i documenti mancanti o con la dichiarazione omessa, al
promissario acquirente deve essere consentito produrre i documenti circa la
regolarit urbanistica dell'immobile o rendere la prevista dichiarazione circa la
data di costruzione dell'immobile al fine di ottenere la sentenza ex art. 2932 c.c.,
che il giudice potr emettere dopo aver acquisito i detti documenti o la detta
dichiarazione
proveniente
da
una
qualsiasi
delle
parti.
Pertanto vanno tutelate le ragioni del promissario acquirente e non va lasciata
nelle sole mani del promettente venditore la possibilit di concludere il contratto
definitivo o di emettere sentenza ex art. 2532 c.c.. Consegue che i documenti relativi
alla regolarit urbanistica o la dichiarazione circa la data della costruzione possono
essere prodotti in giudizio dal promissario acquirente con conseguente pronuncia ex art.
2932 ex. e produzione degli effetti che le parti avrebbero potuto conseguire con il
definitivo.
Va peraltro segnalato che questa Corte - oltre ad affermare pi volte che possibile
produrre in giudizio ex art. 2932 c.c., gli estremi della concessione edilizia in essenza
della relativa dichiarazione contenuta nel preliminare (sentenze 22/5/2008 n. 13225;
20/3/2006 n. 6162; 4/1/2002 n. 59; 8/2/1997 n. 1199) - ha avuto modo di chiarire
(implicitamente o indirettamente nella citata sentenza 1199/97 nella quale non viene
operata alcuna distinzione tra una o altra parte contrattuale) che successivamente alla
stipulazione del preliminare pu intervenire "dichiarazione del promissario acquirente ai
sensi della L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 3" con conseguente possibilit di emettere
sentenza
ex
art.
2032
c.c.,
(sentenza
11/7/2005
n.
14489).
Nella sentenza 27/4/2006 n. 9647 stato altres precisato che la dichiarazione sostitutiva
di notoriet e imposta dalla legge "la quale in materia non prevede alternativa alcuna".
Va infine evidenziato che altra questione quella relativa alla valutazione da parte del
giudice dei documenti prodotti e della dichiarazione del promissario acquirente e della
veridicit del contenuto dei detti documenti e della detta dichiarazione con riferimento
alla regolarit urbanistica dell'immobile oggetto del contratto preliminare di
compravendita stipulato dalle parti. Tate questione non risulta essere stata prospettata
nella controversia in esame, non essendo mai stata posta in discussione dalle parti e dai
giudici
del
merito
la
sussistenza
della
detta
veridicit.
In definitiva il primo motivo del ricorso principale deve essere rigettato. (Omissis)
14489; Sez. 2^, 24 aprile 2007, n. 9849) che la sanzione di nullit, prevista dalla L. 28
febbraio 1985, n. 47, art. 40, comma 2, con riferimento ad immobili privi della
necessaria concessione edificatoria (ovvero della concessione rilasciata in sanatoria o
della copia conforme della relativa domandar corredata della prova dell'avvenuto
versamento delle prime due rate dell'oblazione), trova applicazione ai soli contratti ad
effetti reali, mentre le relative previsioni non possono essere estese ai contratti ad
efficacia meramente obbligatoria, quali i preliminari di vendita, come si desume dal
tenore letterale della norma, nonch dalla circostanza che, successivamente al contratto
preliminare, pu intervenire la concessione in sanatoria degli abusi edilizi commessi,
con la conseguenza che, in questa ipotesi, rimane esclusa la sanzione di nullit per il
successivo contratto di vendita, ovvero si pu far luogo alla pronuncia di sentenza ex
art. 2932 cod. civ.. Peraltro, poich la procedura di cui all'art. 2932 cod. civ., opera in
funzione sostitutiva della volont del contraente inadempiente, se fosse consentita
l'emanazione di tale sentenza senza l'osservanza della L. n. 47 del 1985, art. 40,
l'indicata disciplina imperativa verrebbe di fatto elusa, dato che, tramite il
provvedimento dell'autorit giudiziaria, sarebbe possibile l'ottenimento di un effetto
maggiore o diverso da quello raggiungibile con un atto negoziale.
Per tale motivo la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 2^, 9 dicembre 1992, n. 13024;
Sez. 2^, 27 aprile 2006, n. 9647; Sez. 2^, 22 maggio 2008, n. 13225) ha affermato che,
in assenza della dichiarazione degli estremi della concessione edilizia o della
allegazione della domanda di concessione in sanatoria con gli estremi del versamento
delle prime due rate della relativa oblazione, il giudice non pu pronunciare la sentenza
di trasferimento coattivo di diritti reali su edifici o loro parti, prevista dall'art. 2932 cod.
civ., perch l'art. 40, comma 2, legge cit., che richiede la predetta dichiarazione o
allegazione, a pena di nullit, per la stipulazione degli atti tra vivi aventi per oggetto
diritti reali (che non siano di servit o di garanzia) relativi ad edifici o loro parti,
indirettamente influisce anche sui presupposti necessari per la pronuncia della sentenza
di cui all'art. 2932 cod. civ., che, avendo funzione sostitutiva di un atto negoziale
dovuto, non pu realizzare un effetto che, comunque, eluda le norme di legge che
governano, nella forma e nel contenuto, l'autonomia negoziale delle parti. E tale limite
non pu essere superato dalla astratta possibilit della successiva sanatoria della nullit,
prevista per i contratti, dell'art. 40, comma 3 (che espressamente consente la successiva
"conferma", con efficacia sanante, del negozio viziato), attesa l'evidente incompatibilit
tra l'istituto della conferma dell'atto nullo previsto dalla predetta disposizione e le
peculiari caratteristiche della sentenza e l'autorit del giudicato che questa destinata ad
acquistare.
4.3, - Tanto premesso, se corretto il quesito che la Corte territoriale si posta
preliminarmente in ordine alla possibilit per gli attori di ottenere una pronuncia
costitutiva del trasferimento della propriet ex art. 2932 cod. civ., errata la conclusione
che
ad
esso
nella
specie
stata
data.
E
ci
per
le
seguenti
ragioni.
Va ricordato che questa Corte ha pi volte precisato (tra le tante, Sez. 2^, 15 giugno
2000, n. 8147) che, derivando semplicemente dalla mancata indicazione nell'atto, da
parte dell'alienante, degli estremi della concessione (ad edificare o in sanatoria), la
nullit prevista dalla L. n. 47 del 1985, art. 40, al pari di quella contemplata dal
precedente art. 17, rappresenta una nullit formale, riconducibile, nel sistema generale
dell'invalidit, dell'art. 1418 cod. civ., u.c.. La legge eleva a requisito formale del
contratto la presenza in esso di alcune dichiarazioni ed la loro assenza che di per s
comporta la nullit dell'atto, a prescindere cio dalla regolarit dell'immobile che ne
costituisce
l'oggetto.
In questa prospettiva, si affermato: (a) che, in tema di esecuzione specifica
dell'obbligo di concludere un contratto di compravendita, non osta all'emissione della
sentenza sostitutiva della manifestazione della volont della parte la mancanza di
certificazione di conformit alla concessione edilizia, in quanto la L. n. 47 del 1985, art.
40, commina la nullit degli atti tra vivi con i quali vengano trasferiti diritti reali su
immobili ove non contengano la dichiarazione degli estremi della licenza o della
concessione, mentre non prende in considerazione l'ipotesi della conformit o meno
della realizzazione rispetto alle dette licenza o concessione (Sez. 2^, 14 dicembre 1999,
n. 14025); (b) che il citato art. 40 commina la nullit degli atti tra vivi con i quali
vengano trasferiti diritti reali su immobili ove essi non contengano la dichiarazione
degli estremi della concessione edilizia dell'immobile oggetto di compravendita, ovvero
degli estremi della domanda di concessione in sanatoria, sanzionando specificamente la
sola violazione di un obbligo formale, imposto al venditore al fine di porre l'acquirente
di un immobile in condizione di conoscere le condizioni del bene acquistato o di
effettuare gli accertamenti sulla regolarit del bene stesso attraverso il confronto tra la
sua consistenza reale e quella risultante dalla concessione edilizia, ovvero dalla
domanda di concessione in sanatoria, mentre nessuna invalidit deriva al contratto dalla
difformit della realizzazione edilizia rispetto alla licenza o alla concessione e, in
generale, dal difetto di regolarit sostanziale del bene sotto il profilo del rispetto delle
norme
urbanistiche
(Sez.
2^,
24
marzo
2004,
n.
5898;
Sez.
2^,
7
dicembre
2005,
n.
26970).
Occorre peraltro precisare che la strumentazione prevista dalla L. n. 47 del 1985, ha lo
scopo di garantire che il bene nasca e si trasmetta nella contrattazione soltanto se privo
di
determinati
caratteri
di
abusivismo.
La legge si preoccupa che la licenza o la concessione edilizia (ovvero la
documentazione alternativa, rappresentata dalla concessione in sanatoria) siano
dichiarate in atto, ma sul presupposto che detta documentazione vi sia effettivamente (v.
Cass., Sez. 2^, 27 aprile 2006, n. 9647, la quale, proprio in fattispecie di sentenza
sostitutiva dell'obbligo di concludere il contratto definitivo ex art. 2932 cod. civ., ha
rilevato che la nullit assoluta ai sensi dell'art. 1418 cod. civ., stabilita dalla L. n. 47 del
1985, art. 40, riguarda gli atti di trasferimento immobiliari relativi a costruzioni
risultanti non in regola con la normativa edilizia per "mancanza della concessione
edilizia ovvero della concessione in sanatoria"); e - poich la presenza o la mancanza
della licenza non possono essere affermate in astratto, ma devono esserlo in relazione ad
una concreta opera - essa mira ad attrarre nella comminatoria di nullit (o, trattandosi di
giudizio volto ad ottenere una sentenza di trasferimento coattivo ex art. 2932 cod. civ.,
nell'impedimento alla pronuncia sostitutiva del negozio non concluso) i casi riguardanti
immobili costruiti in maniera cos diversa dalla previsione contenuta nella licenza o
nella
concessione
da
non
potere
essere
ricondotti
alla
stessa.
Quindi - attesa la tutela di un interesse generale sotteso alla previsione della sanzione
della nullit - detta comminatoria riguarda i casi di immobili costruiti non solo in
assenza della licenza o della concessione, ma anche in totale difformit da essa, come
reso sistematicamente palese, tra l'altro, dal fatto che la L. n. 47 del 1985, accomuna,
anche sotto il profilo delle sanzioni amministrative e penali (rispettivamente, artt. 7 e
20, contenuti nel Capo 1^, a sua volta richiamato dall'art. 40, comma 1), l'una e l'altra
tipologia
di
opere
abusive.
Nel
caso
di
specie
la
previsione
della
nullit
e,
corrispondentemente, la preclusione alla emanazione della sentenza costitutiva - non era
per applicabile, perch si trattava di immobile (per di pi oggetto, nell'identica ed
immutata situazione di fatto, gi di due precedenti passaggi di propriet con atto
notarile) costruito sulla base di una regolare concessione edilizia e non in totale
difformit dalla stessa, ma avente una parziale difformit rispetto al permesso di
costruire, per la presenza di un aumento non consistente della volumetria realizzata che,
pur superando i limiti del progetto approvato, non consta che si sia risolta o che abbia
dato luogo ad un organismo integralmente diverso o autonomamente utilizzabile.
E ci impediva ai promittenti venditori di rifiutarsi di prestare il consenso alla
stipulazione del definitivo per una asserita incommerciabilit del bene.
5. - Per effetto dell'accoglimento, nei termini di cui in motivazione, del ricorso
principale e dei primi tre motivi del ricorso incidentale adesivo resta assorbito l'esame
del
quarto
motivo
di
quest'ultimo
ricorso.
La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata e la causa rinviata alla Corte
d'appello di Roma, che, in diversa composizione, la decider attenendosi al seguente
principio di diritto: "In tema di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un
contratto di compravendita, ai sensi della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, non pu
essere pronunciata sentenza di trasferimento coattivo ex art. 2932 cod. civ., non solo
allorch l'immobile sia stato costruito senza licenza o concessione edilizia (e manchi la
prescritta documentazione alternativa: concessione in sanatoria o domanda di condono
corredata della prova dell'avvenuto versamento delle prime due rate dell'oblazione), ma
anche quando l'immobile sia caratterizzato da totale difformit dalla concessione (e
manchi la sanatoria). Ove, invece, l'immobile - munito di regolare concessione e di
permesso di abitabilit, non annullati ne' revocati - abbia un vizio di regolarit
urbanistica non oltrepassante la soglia della parziale difformit rispetto alla concessione
(nella specie, per la presenza di un aumento, non consistente, della volumetria fuori
terra realizzata, non risolventesi in un organismo integralmente diverso o
autonomamente utilizzabile), non sussiste alcuna preclusione all'emanazione della
sentenza costitutiva, perch il corrispondente negozio di trasferimento non sarebbe
nullo, ed pertanto illegittimo il rifiuto del promittente venditore (a sua volta acquirente
dello stesso immobile in base a rogito notarile) di dare corso alla stipulazione del
definitivo,
sollecitata
dal
promissario
acquirente".
Il giudice del rinvio provveder anche sulle spese del giudizio di cassazione.
Testo. (Omissis) Il terzo motivo espone violazione dellart. 183 c.p.c. in relazione agli
artt. 1453 e 1458 c.c. e vizi di motivazione. Il ricorrente lamenta che la domanda di
restituzione delle somme versate al promittente venditore sia stata ritenuta nuova - e
ottenere che fosse emessa sentenza ai sensi dellart. 2932 c.c., produttiva degli stessi
effetti del contratto non concluso trasferendo cosi la proprieta dei beni immobili in
oggetto.
Una tale domanda evidentemente prevedeva, quale suo naturale presupposto,
laccertamento della titolarita del diritto di proprieta dellarea occupata
dalledificio
in
cui
e
sito
lappartamento
compromesso.
E noto, infatti, che la pronuncia di trasferimento ai sensi del citato art. 2932 c.c. e
ammissibile e, comunque, produce reali effetti traslativi solo se il bene oggetto del
contratto preliminare di vendita appartenga al promittente venditore, ovvero
questi possa determinare gli effetti stessi; tante che "nei casi in cui il bene
promesso in vendita appartenga a terzi, lacquisto della relativa proprieta da
parte del promittente venditore costituisce condizione dellazione di esecuzione in
forma specifica ex art. 2932 c.c.". (Cass. 11.572/04). Ne puo dubitarsi, alla luce degli
sessi scritti difensivi delle parti, che nel caso di specie la questione si pone
concretamente in modo del tutto evidente, emergendo in modo chiaro dal sostanziale
conflitto esistente in ordine al diritto di proprieta dellarea in questione tra gli originar
proprietari, lEnte pubblico espropriante e la Soficoop, delegata allespropriazione e
cessionaria, per patto espresso, del diritto di proprieta ad aedificandum solo allesito del
procedimento
ablativo
e
delle
correlative
trascrizioni.
Orbene, la decisione della questione pregiudiziale in ordine allaccennato conflitto
postula, con ogni evidenza, la necessaria partecipazione al giudizio di tutte le parti
interessate e, cio, perche occorre accertare nei confronti delle parti stesse se si
siano prodotti o meno gli effetti dellespropriazione o, comunque, della definitiva
ed irreversibile trasformazione del suolo e, altresi, se si siano verificate o meno, a
vantaggio della Soficoop, gli effetti traslativi previsti dalla ripetuta Convenzione
stipulata
con
il
Comune
di
Somma
Vesuviana.
Laccertamento stesso inerisce - e cio e indiscutibile - ad una situazione giuridica
unitaria ed inscindibile e puo, pertanto, conseguire un risultato utile agli effetti reali
solo se ed in quanto la relativa decisione venga pronunciata in contraddittorio di tutti i
soggetti destinati ad essere avvantaggiati o pregiudicati dalla decisione in ordine al
conflitto
dei
rispettivi
titoli
di
proprieta
emergenti
dagli
atti.
In sintesi, nel giudizio di primo grado non e stato integrato il contraddittorio nei sensi
sopra specificati e, pertanto, la conseguente nullita impone la pronuncia prevista
dallart.
354
c.p.c.,
comma
1.
Infatti la domanda a suo tempo proposta dal Testa dinanzi al Tribunale presupponeva
necessariamente laccertamento in ordine allappartenenza della succitata area, tuttavia
lintima connessione esistente tra tale pronuncia e tutte le altre consequenziali comporta
la caducazione dellintera decisione : non e invero revocabile in dubbio che, a seconda
dellaccertamento indicato, puo farsi, o meno, luogo al trasferimento dellappartamento
oggetto del contratto preliminare ovvero alla pronuncia di risoluzione ed a quelle
risarcitorie o agli ulteriori profili dipendenti e subordinati. Contro tale decisione hanno
proposto ricorso per cassazione, la SO.FI Coop. s.r.l. e la Citta del Mare s.r.l., alla quale
la prima ha venduto lappartamento oggetto del giudizio con atto in data 13 febbraio
2006.
Sergio
Spagnoli
resiste
con
controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
dichiarato inammissibile la domanda ex art. 2932 cod. civ., per essere divenuta
definitiva la statuizione di risoluzione per inadempimento dei relativi contratti resa nello
stesso giudizio, in quanto non oggetto di impugnazione ad opera dell'attrice).
Testo. Il terzo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dei principi di
diritto in materia di interpretazione della domanda, omessa, insufficiente o carente
motivazione su un punto decisivo della controversia, violazione e falsa applicazione
degli artt. 342 e 346 cod. proc. civ., lamentando che la decisone impugnata abbia
dichiarato inammissibile la domanda della Minervini diretta all'adempimento del
contratto preliminare per non avere la parte impugnato anche il capo della decisione di
primo grado che lo dichiarava risolto. La statuizione, ad avviso del ricorso,
palesemente errata in quanto non ha considerato che la domanda di risoluzione del
contratto per inadempimento era stata proposta dalla stessa appellante in via
subordinata, sicch essa non poteva ritenersi passata in giudicato fino a quando la
statuizione di rigetto della domanda principale non era divenuta definitiva. Affermare
poi che la statuizione di risoluzione avrebbe dovuto essere impugnata dall'appellante
non ha senso, atteso che la domanda era stata avanzata da quest'ultima ed essa era stata
accolta, sicch difettava del tutto il requisito della soccombenza. Il giudice a quo,
inoltre, si contraddetto, laddove ha prima ha dichiarato che l'appellante aveva proposto
censure nei confronti del capo della decisione che aveva disposto al risoluzione e poi ha
affermato
che
esso
non
era
stato
investito
da
impugnazione.
Preliminarmente va precisato che il motivo non pu considerarsi assorbito in ragione
dell'esito delle censure che hanno investito la statuizione di rigetto della domanda
avanzata in via surrogatoria, tenuto conto che, non essendo noto l'esito del diverso
giudizio, pendente in fase di impugnazione, tra la societ Belgiovine ed il Roscini, nel
quale questi aveva chiesto il trasferimento dei beni ex art. 2932 cod. civ., la parte
ricorrente conserva interesse al mantenimento della sua azione di adempimento nei
confronti
del
proprio
promittente
venditore.
Tanto precisato, il mezzo manifestamente fondato. L'affermazione della Corte di
appello, che ha dichiarato la domanda ex art. 2932 cod. civ. proposta dalla Minervini
inammissibile per essere stati i relativi contratti preliminari risolti, nello stesso giudizio,
per inadempimento del Roscini, non appare condivisibile. Il giudice di merito ha invero
del tutto trascurato il dato, da esso stesso riconosciuto, che la domanda di risoluzione
era stata proposta dall'attrice solo in via subordinata rispetto a quella di adempimento.
In particolare, appare pretermesso il rapporto di ordine logico prima che giuridico che
dato rinvenire tra la domanda principale e la domanda subordinata, in forza del quale
quest'ultima avanzata soltanto a condizione che la prima non risulti accolta. La
relazione impressa dall'attore alle proprie domande fa s, in questi casi, che la domanda
principale resti pienamente efficace finch essa non sia stata rigettata, nel corso del
giudizio di merito, con sentenza passata in giudicato. La subordinazione tra le due
domande va infatti logicamente riferita all'evenienza che la domanda principale sia
respinta ed il relativo vincolo di subordinazione deve ritenersi rimanga impresso finch
tale rigetto sia divenuto definitivo. Nel caso, pertanto, in cui vi sia incompatibilit tra
domanda principale e domanda subordinata, il rigetto della prima e l'accoglimento della
seconda non preclude alla parte di riproporre nel giudizio di impugnazione la propria
domanda principale, atteso che il vincolo di subordinazione rimane pienamente efficace
per tutto il corso del giudizio. La debolezza del ragionamento svolto dal giudice di
merito appare del resto evidente nell'argomentazione della sentenza secondo cui la
statuizione che avrebbe risolto il contratto sarebbe divenuta ormai definitiva,
precludendo ogni altra decisione sul punto, per non essere stata oggetto di
impugnazione ad opera della parte medesima. Non ci si avveduti in tal modo che,
come esattamente rilevato dal ricorso, tale impugnazione non avrebbe mai potuto essere
proposta e, se proposta, avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile per difetto di
interesse, non potendosi l'attrice considerare, rispetto ad essa, soccombente. In realt la
relazione che, in caso di accoglimento in appello della domanda principale, dato
riscontrare tra tale statuizione e quella di primo grado che ha accolto la domanda
subordinata trova soluzione nello stesso rapporto di subordinazione impresso tra l'una e
l'altra, che, tenuto conto della prevalenza data alla prima, fa s che il suo accoglimento
determini anche la caducazione della statuizione che ha accolto la domanda subordinata,
in modo non dissimile dal fenomeno descritto dall'art. 336 cod. proc. civ., secondo cui la
riforma di una decisione in sede di impugnazione estende i suoi effetti anche ai capi non
impugnati, ma da essa dipendenti. ()
Testo. () Con sentenza del 13 aprile 2005 il Tribunale di Bari - adito dalla s.p.a.
(OMISSIS) nei confronti della s.r.l. (OMISSIS), rispettivamente alienante e acquirente
di un macchinario - condanno' la convenuta a pagare all'attrice il corrispettivo residuo
della vendita; respinse le riconvenzionali di riduzione dei prezzo, di risarcimento di
danni e di condanna dell'altra parte a riparare il bene, formulate nel presupposto che in
esso fossero presenti vizi di funzionamento.
Impugnata dalla soccombente, la decisione e' stata confermata dalla Corte d'appello di
Bari, che con sentenza dei 31 maggio 2010 ha rigettato il gravame, ritenendo prescritto
ai sensi dell'articolo 1495 c.c. il diritto di garanzia fatto valere dalla compratrice ed
escludendo la ravvisabilita' nella specie di una ipotesi di aliud pro alio.
La s.r.l. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, in base a quattro motivi. La
s.p.a. (OMISSIS) si e' costituita con controricorso. Sono state presentate memorie
dall'una parte e dall'altra.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la s.r.l. (OMISSIS) lamenta che la Corte d'appello ha
erroneamente e ingiustificatamente disconosciute che il macchinario consegnatole era
totalmente diverso da quello previsto nel contratto di vendita, poiche' operava in
maniera manuale anziche' automatica e comportava quindi uno snaturamento del
processo produttivo nella catena di montaggio nel quale era inserito.
La doglianza va disattesa.
Il giudice a quo non ha affatto negato, in diritto, l'esattezza dei principi
giurisprudenziali richiamati dalla ricorrente, tratti dalle norme di cui viene denunciata la
violazione, ma ha escluso, in fatto, la loro pertinenza alla vicenda oggetto della causa. Si
verte dunque nel campo di apprezzamenti eminentemente di merito, insindacabili in
questa sede so non setto il profilo dell'omissione, insufficienza o contraddittorieta' della
motivazione. Da questi vizi, la sentenza impugnata, risulta immune, poiche' il giudice a
quo ha dato adeguatamente conto, in maniera esauriente e logicamente coerente, delle
ragioni della decisione sul punto, osservando sia che gia' stragiudizialmente la
compratrice aveva segnalato difetti incidenti semmai sulla qualita' del macchinario, sia
che queste comunque era funzionante e la relativa modalita' incideva in ipotesi soltanto
sulla resa quantitativa, sicche' non si era rivelato del tutto inidoneo ad assolvere la
funzione economico-sociale della res promessa e quindi a fornire l'utilita' richiesta. I
contrari assunti della s.r.l. (OMISSIS) - oltre ad essere incoerenti con la natura
dell'azione quanti minoris da essa esercitata in via riconvenzionale, che presuppone la
presenza di semplici vizi redibitori - si risolvono nei demandare a questa Corte una
valutazione delle risultanze istruttorie diversa da quella motivatamente compiuta dal
giudice del merito: il che non puo' costituire idonea ragione di cassazione della sentenza
impugnata, stanti i limiti propri del giudizio di legittimita'.
Con il secondo motivo di ricorso la s.r.l. (OMISSIS) deduce di non essersi limitata contrariamente a quanto ha ritenuto la Corte d'appello - a opporre solo fatti impeditivi
del preteso diritto dell'attrice, ma di aver anche contestato la sussistenza di quelli
costitutivi, i quali a suo dire erano venuti meno in seguito all'impegno di eliminare i vizi
del bene, che la s.p.a. (OMISSIS) aveva assunto.
La censura e' in conferente, poiche' il giudice di secondo grado non ha mancato di
prendere in considerazione la tesi di cui si tratta, che era stata posta a base della
domanda riconvenzionale della convenuta, della quale sia confermata la decisione di
rigetto gia' adottata dal Tribunale, ritenendo prescritto il diritto alla garanzia fatto valere
dalla s.r.l. (OMISSIS).
Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente si duole dell'affermazione della Corre
d'appello, secondo cui era incontroverso tra le parti, che non vi fosse sesta una
novazione dell'obbligazione di garanzia e la sua sostituzione con quella ai riparazione
del bene, soggetta a prescrizione decennale anziche' annuale.
Neppure questa censura puo' essere accolta.
Anch'essa, come quella formulata con il primo motivo di ricorso, difetta di pertinenza
rispetto al petitum delle domande riconvenzionali, ribadite in appello, con le quali era
stato chiesta non soltanto la condanna della s.p.a. (OMISSIS) all'eliminazione dei vizi,
ma anche la riduzione del prezzo della vendita, in adempimento quindi
dell'obbligazione di garanzia, che invece sarebbe rimasta estinta, ove vi fosse stata
novazione. D'altra parte, La stessa s.r.l. (OMISSIS) ha escluso di aver aderito all'offerta
di riparazione, in quanto era stata condizionata all'invio del macchinario allo
stabilimento della societa' venditrice. Ne' l'avvenuta sostituzione dell'originaria
obbligazione con l'altra puo' desumersi dalla frase dell'atto introduttivo del giudizio
riportata nel ricorso, nella quale si menziona soltanto una proposta transattiva rimasta
senza esito, perche' non accentata.
Con il quarto motivo di ricorso si sostiene che il riconoscimento dei vizi e l'impegno a
eliminarli, da parte della s.p.a. (OMISSIS), seppure non avesse comportato una
novazione, avrebbe avuto comunque l'effetto di assoggettare alla prescrizione ordinaria
decennale, anziche' a quella annuale, il diritto di garanzia fatto valere dalla s.r.l.
(OMISSIS) mediante l'azione quanti minoris.
Per la soluzione di tale questione di massima, reputata di particolare importanza, la
seconda sezione di questa Corte con ordinanza del 26 marzo 2012, ha prospettato
l'opportunita' dell'assegnazione del ricorso alle sezioni unite, che in effetti e' stata poi
discosta dal Primo Presidente.
La giurisprudenza di legittimita' e' univocamente orientata nel senso che l'impegno del
venditore a riparare il bene implica il riconoscimento del vizio da cui esso e' affetto e
impedisce quindi la decadenza comminata al compratore dall'articolo 1495 c.c. per il
caso di mancata tempestiva denuncia; l'obbligazione assunta e' autonoma e distinta della
garanzia che legittima l'esercizio delle azioni di riduzione del prezzo o di risoluzione del
contratto, soggette alla prescrizione di un anno dalla consegna, stabilita dalle stesso
articolo 1495 c.c.; il consenso del compratore (che puo' essere dato eventualmente per
facta concludentia, ma e' comunque necessario, trattandosi di operare su un bene ormai
di sua proprieta') fa sorgere quindi un nuovo e differente diritto, la cui prescrizione,
appunto in ragione di tale diversita', non e disciplinata dalla norma sopra citata e si
compie pertanto nel termine ordinario di dieci anni (v., per tutte, Cass. 2, sez. 12 maggio
2000 n. 6089).
E' stato altresi' precisare, da Cass. sez. un. 21 giugno 2005 n. 132 94, che l'impegno a
eliminare i vizi non determina ai per se' la sostituzione della nuova obbligazione alla
precedente e l'estinzione di questa, poiche' un tale effetto novativo, per il disposto
dell'articolo 1230 c.c., conseguire soltanto a una espressa volonta' manifestata in tal
senso dalle parti, sicche' di regola le due obbligazioni coesistono. Con riferimento a
questa ipotesi, con la stessa sentenza, si e' altresi' affermato - ma il tema era estraneo
alla materia del contendero' devoluta in quella sede "che il termine di prescrizione
decennale si applica anche alle azioni di riduzione del prezzo e di risoluzione del
contratto, poiche' "si tratta di assegnare un significato, ai fini dell'esercizio delle azioni
edilizie e del relativo termine prescrizionale, alla circostanza che fra le parti e' in corso,
un tentativo di far ottenere dal compratore il risultato che egli aveva il diritto di
conseguire fin dalla conclusione del contratto di compravendita. E altro significato non
puo' essere che quello di svincolare il compratore dai termini e condizioni per l'esercizio
delle azioni edilizie, atteso che queste non vengono da lui esercitate in pendenza degli
interventi del venditore finalizzati all'eliminazione dei vizi redibitori, al fine di evitare di
frapporre ostacoli, secondo le regole della correttezza (articolo 1175 c.c.), alla
realizzazione della prestazione cui il venditore e' tenuto".
Alla stessa conclusione e' poi pervenuta anche Cass. sez. 3, 14 gennaio 2011 n. 747 u'
ugualmente in via di obiter dictum - ma per ragioni diverse: sulla scorta di una
concezione procedimentale della garanzia dei vizi, caratterizzata "da un suo momento
genetico (la stipula della convenzione negoziale di compravendita), da un suo
(eventuale) momento attuativo/correttivo (l'offerta/richiesta sostitutivo/riparatoria), da
un suo momento "processuale attuativo/risarcitorio/caduca torio (richiesta di esatto
adempimento/riduzione del prezzo/risoluzione speciale)", si e' ritenuto "evidente come
il riconoscimento operoso del venditore sia idoneo ad esaurire definitivamente, sul
piano funzionale, una fase del rapporto inter partes, ivi comprese le limitazioni
temporali, affatto eccezionali, connesse con le esigenze di stabilita' negoziale..., onde la
sostituzione, a quegli originari termini iugulatori, dell'ordinanza regula iuris della
prescrizione ordinaria, una volta emersa, in via definitiva e con l'accordo delle parti, la
nuova e reale giustapposizione di diritti e obblighi (alla riparazione/sostituzione) del
compratore e del venditore", con conseguente esclusione della "perdurante operativita'
dei limiti (decadenziali e) prescrizionali stabiliti, in via eccezionalmente derogativa,
dall'articolo 1495 c.c. per tutte le azioni "di garanzia", e dunque tanto per le azioni
edilizie che per quella di esatto adempimento".
Da questi precedenti "invocati l'uno nel ricorso, l'altro nella memoria dalla s.r.l.
(OMISSIS), a sostegno della sua tesi" ritiene il collegio di doversi discostare. Il
contenuto dell'obbligazione "di garantire il compratore ... da vizi di cosa", che
nell'articolo 1476 n. 3 c.c. e' inserita tra quelle "principali del venditore", e' precisato
dagli articoli 1492, 1493 e 1494, i quali attribuiscono al compratore (salve le esclusioni
stabilite dagli articoli 1490 e 1491) sia la facolta' di "domandare a sua scelta la
risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo, salvo che, per determinati vizi,
gli usi escludano la risoluzione", sia le restituzioni e i rimborsi conseguenti alla
risoluzione, sia il "risarcimento del danno", se il venditore "non prova di avere ignorato
senza colpa i vizi della cosa", e comunque per i "danni derivati dai vizi" stessi.
In queste disposizioni si esaurisce la regolamentazione dell'istituto, che pone quindi il
venditore in una situazione non tanto di "obbligazione", quanto piuttosto di
"soggezione", esponendolo all'iniziativa del compratore, intesa alla modificazione del
contratto di vendita, o alla sua caducazione, mediante l'esperimento rispettivamente
dell'actio quanti minoris o dell'actio redibitoria. Il venditore deve subire tali effetti, che
si verificato nella sua sfera giuridica ope iudicis, senza essere tenuto ad eseguire alcuna
prestazione, a parte il dare il solvere derivanti dai doveri di restituzione e di
risarcimento. La diversa obbligazione di facere, che egli assume impegnandosi a
eliminare i vizi della cosa, se non da' luogo all'estinzione per novazione della garanzia
apprestata dagli articoli 1490 ss. c.c., sicche' non vi e' spazio per ritenere che possa
influire sulla sua disciplina, in particolare trasformando da annuale in decennale il
termine di prescrizione previsto dall'articolo 1495 c.c., che e' insuscettibile di
modificazioni per volonta' delle parti, stante il divieto sancito dall'articolo 2936 c.c..
Dunque l'ulteriore diritto, che il compratore acquisisce, e' soggetto alla prescrizione
ordinaria decennale, in quanto e' estraneo alla previsione degli articoli 1490 s. c.c., ma
proprio per questa stessa ragione resta applicabile alle azioni edilizie, che al compratore
stesso gia' competevano, la prescrizione annuale che per esse specificamente e' stabilita.
Non appaiono idonei a inficiare questa conclusione gli argomenti esposti nelle citate
Cass. 13294/2005 e 747/2011. il pericolo che le azioni di riduzione del prezzo e di
risoluzione si prescrivano nel periodo in cui il compratore si astiene dall'esercitarle,
essendo in corso gli interventi del venditore per l'eliminazione dei vizi, e' agevolmente
evitabile ponendo in essere atti interruttivi. Non ha riscontro nella disciplina della
garanzia per vizi, la quale non prevede l'obbligo di eliminarli, l'assunto secondo cui il
momento attuativo/correttivo, originato dall'accordo per la riparazione del bene, possa
avere effetto su quello risarcitorio/caduca torio, rappresentato dalle azioni edilizie, tanto
da far assimilare il termine di prescrizione previsto per il secondo a quello operante per
il primo.
Un analogo effetto espansivo di una "obbligazione" verso l'altra, era stato ritenuto
operante, ma in senso inverso, da Cass. sez. 2, 29 dicembre 1994 n. 11281, secondo cui
"il riconoscimento dei vizi della cosa venduta ed il contestuale impegno del venditore ad
eliminarli in sede di esecuzione del contratto non e' che uno dei modi con cui il
venditore, che ha l'obbligo di consegnare una cosa immune da vizi di cui all'articolo
1490 c.c., assicura ed attua, l'esatto adempimento della sua prestazione, e, di per se', non
da' luogo, pertanto, ad un accordo novativo se non sia in concreto provata la volonta'
delle parti di sostituire al rapporto originario un nuovo rapporto con diverso oggetto o
titolo, cosi' come richiesto per la novazione dell'articolo 1230 c.c. e dell'articolo 1231
c.c., che estesamente chiarisce come non si abbia novazione nel caso di mera modifica
degli elementi accessori della obbligazione; conseguentemente, in mancanza della
predetta prova, il riconoscimento dei vizi della cosa venduta e l'impegno a ripararla
determina solo l'interruzione del termine di prescrizione annuale di cui all'articolo 1495
c.c., e non la sostituzione di questo termine con il nuovo e diverso termine di
prescrizione ordinaria".
Neppure questa tesi "adombrata anche nell'ordinanza di rimessione degli atti al Primo
Presidente" appare condivisibile.
Il suo presupposto e' che il compratore disponga di una azione "di esatto adempimento"
per ottenere dal venditore l'eliminazione dei vizi della cosa: azione compresa tra quelle
edilizie e quindi soggetta anch'essa al termine di prescrizione annuale stabilito
dall'articolo 1495 c.c..
Invece un tale rimedio, come gia' si e' detto, non e' apprestato dalla disciplina della
garanzia per vizi, che attribuisce al compratore la scelta soltanto tra la riduzione del
prezzo e la risoluzione del contratto. Il diritto di ottenere, in alternativa, la riparazione
del bene, infatti, e' riconosciuto soltanto in particolari ipotesi: limitatamente ai beni
mobili, quando "il venditore ha garantito per un tempo determinato il buon
funzionamento della cosa venduta", oppure "gli usi ... stabiliscono che la garanzia di
buon funzionamento e' dovuta anche in mancanza di patto espresso" (articolo 1512 c.c.,
che fissa in sei mesi dalla scoperta il termine di prescrizione); sempre limitatamente ai
mobili, "per qualsiasi difetto di conformita' esistente al momento della consegna del
bene", se il venditore e' un "professionista" e il compratore un "consumatore" (articoli
128 ss. del codice del consumo, adottato con il Decreto Legislativo 6 settembre 2005, n.
206, che fissano in ventisei mesi dalla consegna il termine di prescrizione).
Che il compratore possa chiedere, indipendentemente da un impegno in tal senso del
venditore, la condanna di costui all'eliminazione dei vizi, e' stato talora ipotizzato in
dottrina anche sotto il profilo del risarcimento del danno in forma specifica: si
tratterebbe quindi di un'azione insita nel diritto di garanzia e in quanto tale soggetta
anch'essa alla prescrizione annuale. L'assunto appare incompatibile con il disposto
dell'articolo 1494 c.c., che configura come risarcimento "per equivalente" quello che
compete al compratore, poiche' lo collega alla riduzione del prezzo o alla risoluzione del
contratto, che presuppongono la mancata riparazione del bene.
Si deve quindi concludere nel senso che l'impegno del venditore all'eliminazione dei
vizi, accettato dal compratore, fa sorgere il corrispondente diritto, che e' soggetto alla
prescrizione decennale, mentre i diritti alla riduzione del prezzo e alla risoluzione del
contratto restano soggetti alla prescrizione annuale.
Non ne consegue tuttavia, che il ricorso vada rigettato in toto.
Essendo stata comunque investita della questione relativa all'avvenuta estinzione "o
non" per prescrizione delle azioni di riduzione del presso e di risarcimento del danno
esercitate in via riconvenzionale dalla s.r.l. (OMISSIS), questa Corte puo' e deve
risolverla secondo diritto, indipendentemente dalle argomentazioni svolte in proposito
dalle parti. Va allora rilevato che la causa e' stata promossa dalla s.p.a. (OMISSIS) con
domanda di condanna della convenuta al pagamento del prezzo residuo del macchinario
vendutole. Si verte dunque nell'ipotesi prevista dall'articolo 1495 c.c., nella parte in cui
dispone che il compratore convenuto per l'esecuzione del contratto, anche dopo il
decorso del termine annuale di prescrizione "puo' sempre far valere la garanzia".
Ne' la norma puo' intendersi limitata al caso delle eccezioni; riguarda invece proprio le
azioni (riconvenzionali) poiche' la garanzia che il compratore puo' "far valere" implica
una pronuncia costitutiva del giudice di riduzione del prezzo o di risoluzione,
comportante la modificazione o la caducazione del contratto di vendita.
In questi limiti il ricorso viene pertanto accolto.
Non sussistono le condizioni perche' la causa possa essere decisa nel merito, come la
s.r.l. (OMISSIS) ha richiesto.
La sentenza impugnata va quindi cassata con rinvio ad altro giudice, che si designa in
una diversa sezione della Corte d'appello di Bari, cui viene anche rimessa la pronuncia
sulle spese del giudizio di legittimita' ()
controparte.
La
censura
infondata.
Il Giudice di appello, accertato che l'immobile oggetto di compravendita tra le parti era
privo della licenza di abitabilit e che il rilascio di tale certificato avrebbe richiesto la
ristrutturazione completa del tetto con una spesa di L. 30.000.000, come dedotto dal De
Rosa e come ammesso in questa sede dalla stessa ricorrente, ha affermato che tale
circostanza configurava una ipotesi di consegna di "aliud pro alio" tale da legittimare la
domanda di risoluzione del Contratto per inadempimento del venditore; in proposito
evidente che tale convincimento conseguenza della valutazione in ordine alla
rilevanza dell'importo di spesa necessario al fine di acquisire il certificato di abitabilit,
e conseguire quindi un requisito essenziale per il legittimo godimento e per la
commerciabilit del bene, posto che il costo relativo ammontante a L. 30.000.000 era
pari a quasi la met del prezzo di vendita dell'immobile. Pertanto la sentenza impugnata,
contrariamente all'assunto della ricorrente, ha offerto sufficienti e logiche
argomentazioni del proprio convincimento alla luce degli elementi probatori acquisiti
agli
atti,
ed
giunta
ad
una
statuizione
conforme
all'orientamento espresso da questa Corte in proposito. Infatti la mancata consegna della
licenza di abitabilit in ordine ad un bene immobile destinato ad abitazione esige una
indagine tendente ad accertare la causa effettiva di tale situazione, posto che l'omesso
rilascio di tale certificato pu dipendere ad esempio da una grave ed insanabile
violazione urbanistica, ovvero dalla necessit di eseguire determinati interventi edilizi
oppure da meri impedimenti o ritardi burocratici che quindi non attengono alla oggettiva
attitudine del bene a realizzare la sua funzione economico - sociale. Pertanto il mancato
rilascio del certificato di abitabilit pu essere ricondotto ad una articolata gamma di
ipotesi nell'ambito della quale l'eventuale inadempimento del venditore pu assumere
connotazioni di diversa gravit e dunque pu essere tale da non dare necessariamente
luogo alla risoluzione del Contratto (Cass. 19.7.1999 n. 7681; Cass. 3.7.2000 n. 8880),
come quando il Giudice ritenga di scarsa importanza l'inadempimento, essendo provato
che l'immobile presenta tutte le caratteristiche necessarie per l'uso che gli proprio e
che la licenza possa essere agevolmente ottenuta (Cass. 29.3.1995 n. 3687).
Orbene nella fattispecie la sentenza impugnata immune dalle censure sollevate dalla
ricorrente, avendo ritenuto, alla luce del notevole costo delle opere necessarie per
ottenere la licenza di abitabilit riguardo all'immobile compravenduto, che
l'inadempimento del venditore all'obbligo di dotare il bene del certificato in questione
era di gravit tale da legittimare la domanda di risoluzione ex art. 1453 c.c., giungendo
quindi a tale conclusione all'esito di un apprezzamento di fatto sorretto da congrua e
logica motivazione, come tale incensurabile in questa sede.
Testo. Con sentenza n. 410 del 2001, il Tribunale di Lamezia Terme accoglieva la
domanda proposta da Cinzia e Sonia De Bellis nei confronti di Francesco Colosimo,
volta ad ottenere la condanna di quest'ultimo al risarcimento dei danni conseguenti alla
vendita, nel marzo 1991, di due unit immobiliari prive del certificato di abitabilit, e
condannava il Colosimo al pagamento, in favore delle attrici, della somma di L.
30.000.000, oltre interessi e spese di lite. Il Tribunale rigettava altres la domanda
riconvenzionale proposta dal Colosimo, volta ad ottenere la condanna delle attrici al
pagamento della somma di L. 1.300.00, che egli assumeva di avere anticipato per
l'allaccio delle condutture energetiche. Proponeva appello il Colosimo e la Corte
d'appello di Catanzaro, in parziale accoglimento del gravame, condannava il Colosimo
al pagamento degli interessi sulla somma di L. 190.000.000 per il periodo 1^ gennaio
1993 - 6 ottobre 2004, calcolati al tasso legale vigente in detto periodo, confermando
per
il
resto
la
sentenza
di
primo
grado.
La Corte rigettava innanzitutto il motivo di gravame con il quale l'appellante aveva
censurato la statuizione di primo grado relativa al suo inadempimento per il mancato
rilascio del certificato di abitabilit. In proposito, la Corte d'appello richiamava la
sentenza della Corte di Cassazione n. 2729 del 2002, secondo cui "Nella vendita di
immobile destinato ad abitazione, il certificato di abitabilit costituisce requisito
giuridico essenziale del bene compravenduto poich vale a incidere sull'attitudine del
bene stesso ad assolvere la sua funzione economico-sociale, assicurandone il legittimo
godimento e la commerciabilit. Pertanto, il mancato rilascio della licenza di abitabilit
integra inadempimento del venditore per consegna di aliud pro allo, adducibile da parte
del compratore in via di eccezione, ai sensi dell'art. 1460 cod. civ., o come fonte di
pretesa risarcitoria per la ridotta commerciabilit del bene, a meno che egli non abbia
espressamente rinunciato al requisito dell'abitabilit o esonerato comunque il venditore
dall'obbligo
di
ottenere
la
relativa
licenza".
La Corte territoriale riteneva quindi infondato il rilievo dell'appellante secondo cui egli
non era tenuto contrattualmente a fornire il predetto certificato alle acquirenti, mentre
non era stata offerta alcuna prova che queste ultime si fossero determinate ad acquistare
gli immobili anche se privi del requisito in esame. La prova testimoniale articolata
dall'appellante in fase di gravame doveva invero ritenersi inammissibile per la mancata
indicazione
delle
generalit
dei
testi
da
escutere.
Quanto alla eccezione di decadenza e prescrizione ex art. 1495 cod. civ., formulata
dall'appellante, la stessa, ad avviso della Corte, pur se ammissibile, trovando
applicazione l'art. 345 cod. proc. civ., nella vecchia formulazione, era infondata atteso
che, integrando la mancata consegna del certificato di abitabilit una ipotesi di aliud pro
alio, l'azione di risoluzione o quella di risarcimento danni dovevano ritenersi svincolate
dai
termini
di
cui
alla
citata
disposizione.
Con riferimento, infine, alla quantificazione del danno, la Corte riteneva che lo stesso
dovesse essere contenuto nei limiti degli interessi legali sulla somma che le attrici
avrebbero potuto ricavare dalla vendita degli immobili (L. 190.000.000) dal 1^ gennaio
1993 al 6 ottobre 1994, data di rilascio del certificato di abitabilit. La Corte d'appello
compensava infine per met le spese di lite e condannava le appellate alla rifusione della
restante met. Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso per Cassazione
Francesco Colosimo sulla base di cinque motivi; le intimate non hanno resistito con
controricorso.
confronti delle acquirenti; sul punto, in ogni caso, la sentenza impugnata non
conterrebbe alcuna motivazione. La Corte d'appello non avrebbe poi neanche
considerato che la circostanza della mancanza del certificato non era stata occultata da
esso venditore, ne' avrebbe valutato il comportamento processuale delle acquirenti che
mai avevano dedotto di avere ignorato la detta circostanza e la mancata presentazione
delle stesse per rispondere all'interrogatorio formale deferito sulla circostanza che erano
state loro a volere comunque la stipulazione dell'atto, pur essendo consapevoli della
mancanza del certificato (circostanza, quest'ultima, confermata anche dalle
dichiarazioni
testimoniali
datate
19
ottobre
1992).
Sotto altro profilo, la Corte d'appello non avrebbe considerato che la consapevolezza
delle acquirenti sulla mancanza del certificato all'atto della stipula del contratto rileva
nel senso che la comune volont delle parti si formata sull'accordo di vendere e
acquistare un immobile privo del certificato di abitabilit. E non avrebbe neanche
apprezzato adeguatamente la rilevanza sul comportamento delle parti della circostanza
che il certificato stato effettivamente rilasciato. Dalla documentazione prodotta nel
giudizio di primo grado emergeva poi che il ritardo nel rilascio del certificato era
addebitabile alla ASL che aveva impiegato oltre un anno per effettuare il richiesto
sopralluogo sanitario; fatto, questo, che avrebbe dovuto indurre la Corte d'appello ad
accertare
le
cause
del
ritardo
e
a
valutarle
di
conseguenza.
Il ricorrente formula quindi il seguente quesito di diritto: "Dica la Suprema Corte se in
materia di vendita di immobili destinati ad abitazione l'avvenuta presentazione della
domanda per il rilascio del certificato di abitabilit e di tutta la documentazione
necessaria escludono l'inadempimento grave del venditore agli effetti dell'azione di
risarcimento
danni
da
parte
del
venditore
(recte:
dell'acquirente) in ipotesi di ritardo del rilascio del certificato di abitabilit inerente ad
immobile in possesso dei requisiti di natura urbanistica ed igienco-sanitari e poi
effettivamente ottenuto in corso di giudizio risarcitorio instaurato da parte
dell'acquirente".
Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 1218, 1453, 2056 cod.
civ.; artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonch difetto di motivazione sul nesso causale. La
Corte d'appello, sostiene il ricorrente, non avrebbe motivato sulla decisiva circostanza
che il preteso danno sofferto e rivendicato dalle acquirenti non era collegabile
eziologicamente al ritenuto inadempimento del venditore, ma esclusivamente e
direttamente alla personale determinazione assunta dalle acquirenti medesime di non
effettuare il trasferimento definitivo degli immobili. Inoltre, nella individuazione del
periodo cui rapportare gli interessi legali sulla somma di L. 190.000.000 (pari
all'importo del valore dei due immobili che le acquirenti avrebbero potuto ricavare dalla
vendita definitiva degli immobili, per la quale erano gi stati sottoscritti due
preliminari), sarebbe stato arbitrariamente fatto decorrere dal 1^ gennaio 1993, laddove
le risultanze istruttorie sul punto escludevano in un caso tale decorrenza (preliminare
dell'aprile 1993) ovvero non consentivano di stabilire con esattezza detto momento
iniziale (generico riferimento al 1993). Il ricorrente formula quindi il seguente quesito
di diritto: "Dica la Suprema Corte se in materia di vendita di immobili destinati ad
abitazione la mancata rivendita del bene a terzi da parte dell'acquirente per
determinazione personale di quest'ultimo prima dell'ottenimento del certificato di
abitabilit da parte del costruttore-venditore originario e poi ottenuto nel corso del
giudizio esclude sia l'inadempimento grave del costruttore- venditore originario e sia il
nesso causale per l'esercizio dell'azione di risarcimento danni dell'acquirente". Con il
quarto motivo, il Colosimo denuncia violazione, sotto altro profilo degli artt. 1218,
1453, 2056 cod. civ.; artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonch vizio di motivazione
omessa, insufficiente e contraddittoria. La Corte d'appello avrebbe errato nel ritenere
che non operavano, nel caso di specie, la prescrizione e la decadenza previste dall'art.
1495 cod. civ., in quanto non si verteva, contrariamente a quanto affermato dal giudice
di appello, in ipotesi di vendita di aliud pro alio e comunque in quanto l'azione di
inadempimento del contratto di compravendita non regolata dalla disciplina generale
di cui all'art. 1453 cod. civ., ma dalle norme speciali di cui agli artt. 1492 e segg. cod.
civ. Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: "Dica la Suprema Corte se
l'azione di risarcimento danni per inadempimento del contratto di compravendita di
immobili destinati ad abitazione regolata dalla disciplina generale dettata dagli artt.
1453 e ss. cod. civ. o, piuttosto, dalle norme speciali di cui agli artt. 1492 e ss. cod. civ.,
soggetta ai termini di decadenza e prescrizione previsti dall'art. 1495 cod. civ.".
Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta violazione dell'art. 91 cod. proc. civ.. Ove la
Corte d'appello avesse correttamente valutato la controversia, certamente non sarebbe
esistita la soccombenza e quindi la condanna alle spese risulta illegittima. Formula in
proposito il seguente quesito: "Dica la Suprema Corte se esclude la ravvisabilit della
soccombenza agli effetti dell'art. 91 c.p.c., in danno di una delle parti del giudizio la
distorta valutazione e applicazione nella sentenza di condanna dei principi che
governano la materia e delle risultanze probatorie acquisite ove la relativa condanna
giudiziale
venga
riformata
nei
successivi
gradi
di
giudizio".
I primi tre motivi, che per ragioni di connessione possono essere esaminati
congiuntamente,
sono
fondati.
Questa Corte ha avuto modo di affermare che "Nella vendita di immobili destinati ad
abitazione, pur costituendo il certificato di abitabilit un requisito giuridico essenziale ai
fini del legittimo godimento e della normale commerciabilit del bene, la mancata
consegna di detto certificato costituisce un inadempimento del venditore che non incide
necessariamente in modo dirimente sull'equilibrio delle reciproche prestazioni delle
parti comportando l'inidoneit del contratto a realizzare la funzione economico- sociale
che gli propria ed escludendo rilievo alla causa effettiva dell'omissione, giacch la
mancata consegna pu anche dipendere da circostanze che non escludano in modo
significativo la oggettiva attitudine del bene a soddisfare le aspettative dell'acquirente.
Infatti, soltanto nel caso in cui non ricorrano le condizioni per l'ottenimento del
certificato in ragione di insanabili violazioni di disposizioni urbanistiche pu ipotizzarsi
nella mancata consegna del documento un inadempimento ex se idoneo alla risoluzione
della compravendita, mentre nelle altre ipotesi l'omissione del venditore non si sottrae a
tale fine ad una verifica dell'importanza e gravit dell'inadempimento in relazione alle
concrete esigenze del compratore di utilizzazione diretta od indiretta dell'immobile"
(Cass., n. 3851 del 2008; Cass., n. 17140 del 2006; Cass., n. 24786 del 2006). Con
riferimento ad un giudizio avente ad oggetto la domanda di risoluzione del contratto, si
poi precisato che non pu negarsi rilievo al rilascio della certificazione predetta in tale
giudizio, promosso dal compratore, nonostante l'irrilevanza dell'adempimento
successivo alla domanda di risoluzione stabilita dall'art. 1453 cod. civ., comma 3,
perch si tratta di circostanza che evidenzia l'inesistenza originaria di impedimenti
motivi di gravame assorbe il quarto, concernente la valutazione del nesso causale tra
l'inadempimento addebitato al venditore e il danno subito dalle acquirenti, e il quinto
motivo, relativo alla statuizione sulle spese. La sentenza impugnata deve quindi essere
cassata, con rinvio a una diversa sezione della Corte d'appello di Catanzaro, la quale
provvedere a nuovo esame del gravame, emendando le rilevate lacune motivazionali,
alla luce del seguente principio di diritto: "in tema di compravendita immobiliare avente
ad oggetto una unit immobiliare per la quale, al momento della conclusione del
contratto, non sia stato ancora rilasciato il certificato di abitabilit, il successivo rilascio
di tale certificato esclude la possibilit stessa di configurare l'ipotesi di vendita di aliud
pro alio e di ritenere l'originaria mancanza di per s sola fonte di danni risarcibili".