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Beatrice Baldi
Robert Sokolowski, Introduzione alla fenomenologia, Edizioni Universit
della Santa Croce, Roma 2002, pp. 271.
Che il pensiero di Edmund Husserl e la fenomenologia in genere stiano
vivendo un particolare momento di grazia, suscitando crescente interesse sia tra
gli addetti ai lavori filosofici che tra i non-specialisti ed i filo-filosofi, ormai un
evento sotto gli occhi di tutti. Un ritorno di fiamma inatteso allinizio del
millennio in corso e ben alimentato da unabbondante produzione saggistica
oltrech da lodevoli iniziative di ristampa e perfino di edizioni ex novo dei testi
husserliani. Tanto per dare in minima parte la misura dellevento, se solo dieci
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che Sokolowski vuole insegnarci ad usare gli arnesi analitici con cui la
fenomenologia opera e raggiunge i suoi risultati.
Per queste ragioni di fondo, prima di incontrare definizioni e asserti generali
sulla fenomenologia (Capitolo IV), ci troviamo subito alle prese col tema basilare
dellintenzionalit, sovente frainteso e ormai trapiantato altrove, reciso dalle sue
radici originarie basti ricordare, en passant, che John Searle racconta di aver
scoperto Husserl solo dopo aver completato i suoi scritti sullintenzionalit.
Comprendere lintenzionalit significa in due parole afferrare il fondamentale
arcano della fenomenologia. Buona parte dei fraintendimenti e degli equivoci che
tuttora accompagnano la ricezione della fenomenologia hanno a che fare con
limmagine di una disciplina che, studiando la vita della coscienza sotto tutti i
possibili aspetti, si troverebbe ipso facto a procedere per via introspettiva,
allinterno della sfera tradizionale dellimmanenza. In un pugno di pagine,
neanche una decina, Sokolowski riesce a mostrarci efficacemente come questa
concezione dominante della coscienza, quella della tradizione filosofica moderna,
ci abbia relegato ormai da secoli in una condizione egocentrica (p. 22) che
fonte inesauribile di enigmi e perplessit di ordine gnoseologico e da cui
possibile uscire in un unico modo: cogliendo finalmente, come ci insegna appunto
a fare la fenomenologia, la dimensione pubblica della mente (p. 25). Dunque
riconoscere la realt e la verit dei fenomeni, delle cose che appaiono (p. 27),
non significa entrare nel tunnel dellintrospezione o imbarcarsi in autoanalisi di
natura psicologica, bens affrontare limpresa di descrivere senza pregiudizio
alcuno proprio quel famoso mondo esterno in cui ci troviamo a condurre la
nostra esistenza quotidiana. Ma per cominciare questa descrizione necessario
ammettere e riconoscere la realt dellapparenza delle cose (p. 29),
unespressione, questa, che pu suonare paradossale alle nostre orecchie educate
alla tradizione di pensiero occidentale, ma che dovrebbe solamente predisporci a
discernere il mondo, lambiente in cui viviamo proprio in quelle sue
manifestazioni che in atteggiamento naturale assegniamo alla presunta
interiorit della coscienza. la fenomenologia che ci consente cos di
riconoscere e di ristabilire il mondo che sembrava fosse stato perso quando siamo
stati rinchiusi nel nostro mondo interiore da confusioni filosofiche (ibid.) ed a
tale riconquista che mirano innanzitutto gli apparati e i vari accorgimenti tecnici
della fenomenologia.
Per evitare la tentazione di partire per la tangente delle enunciazioni generali,
il secondo capitolo ci fornisce immediatamente un esempio concreto di analisi
fenomenologica, ponendoci di fronte alla percezione di un cubo come
paradigma dellesperienza conscia (p. 31). leggendo queste pagine che emerge
nettamente la fecondit di quello scambio di consegne iniziale tra il matematico
e il filosofo. Raccogliere leredit teoretica dei propri maestri ovviamente
significa, anche per il filosofo, cominciare a pensare in prima persona, magari
riprendendo il filo del loro discorso laddove era stato lasciato cadere, o era stato
loro sottratto dalle vicissitudini della vita e dal corso degli eventi. Ma iniziare a
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Stefano Gonnella
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