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Disconoscimento di paternit: decadenza decorre sempre da

scoperta adulterio
Cassazione civile , sez. I, sentenza 26.03.2013 n 7581 (Giuseppina Vassallo)
In tema di disconoscimento della paternit, si conferma la rigidit dello schema delle presunzioni. Al padre che non
riesce a dimostrare linfedelt della moglie e comunque propone lazione oltre il termine prescrizionale voluto dalla legge,
non consentito disconoscere i figli, anche se le prove genetiche in suo possesso escludono la paternit biologica.
Le norme di riferimento sono due. Lart. 235 c.c.individua le circostanze in cui pu essere esercitata lazione di
disconoscimento, tra cui ladulterio commesso dalla moglie. In questo caso marito ammesso a provare che il figlio
presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre o ogni altro fatto
tendente ad escludere la paternit. Lart. 244 c.c. 2 comma dispone che lazione soggetta al termine di decadenza di
un anno.
Il caso deciso dalla Cassazione con la sentenza n. 7581/2013, ha inizio con unazione di disconoscimento presso il
Tribunale di Latina nellanno 2002, nei confronti dei due figli nati nel matrimonio, il cui concepimento era avvenuto nel
periodo in cui la moglie aveva avuto ben due differenti relazioni extra coniugali. Contestualmente luomo aveva chiesto la
dichiarazione di paternit naturale in capo ai due presunti genitori naturali, e infine il risarcimento dei danni morali e
materiali nei confronti di questi ultimi.
Il Tribunale aveva rigettato tutte le richieste poich preliminarmente aveva accertato la decadenza dallazione che, ai
sensi dellart. 244 2 comma c.c., deve essere proposta entro lanno dalla nascita dei figli.
La difesa in appello si era basata sul fatto che il termine di decadenza, in caso di azione di disconoscimento fondata
sulladulterio della moglie, il termine decorrerebbe dalla scoperta certa e non dal mero sospetto delladulterio. Luomo,
infatti, aveva acquisito la consapevolezza di questo solo a seguito di un biglietto anonimo, che lo aveva spinto a
ingaggiare un investigatore privato e a far svolgere le prove genetiche sui minori. Prove genetiche che non erano state
ammesse nel giudizio di primo grado.
Anche la Corte dAppello respinge le istanze delluomo, il quale ricorre in Cassazione.
La Corte suprema, in merito alla decorrenza del termine di decadenza di un anno, precisa che detto termine va correlato
non al concepimento del figlio ma alla conoscenza delladulterio, inteso come relazione a sfondo sessuale e non
sentimentale o di mera frequentazione, idonea a determinare il concepimento del figlio che si intende disconoscere
(Cass. Civ. n. 6477/2003, Cass. Civ. n. 4090/2005 e Cass. Civ. n. 15777/2010).
Secondo la Corte la prova dellinfedelt poteva essere facilmente essere desunta dal marito poich, come risulta dalle
dichiarazioni della moglie stessa, pi volte la donna aveva minacciato di andarsene con i figli avendo subito le continue
scenate di gelosia del marito. Oltre alla valenza confessoria delle dichiarazioni della moglie sulle relazioni extra
coniugali, determinante stata considerata la testimonianza resa dalla sorella delluomo, la quale avrebbe confermato
che il fratello, affetto da oligospermia, sapeva che i figli non erano suoi ma avrebbe accettato la situazione. Alla luce di
ci, emerge chiaramente lintempestivit dellazione di disconoscimento. La Corte richiama in proposito, la sentenza
della Corte Costituzionale n. 134/1985 la quale aveva esteso al caso delladulterio previsto dallart. 235 1 comma n. 3,
il termine decadenziale di un anno dalla scoperta delladulterio.
La sentenza prende posizione su un altro punto cruciale delle norme in materia di disconoscimento e sullorientamento
giurisprudenziale formatosi sul punto.
Le prove genetiche che attestano la non paternit biologica, possono essere utilizzate nel processo se non si prova
precedentemente ladulterio della moglie?
Sul punto intervenuta anche la Corte Costituzionale (sent. n. 266/2006) la quale ha dichiarato lillegittimit dellart.
235, comma 1 n. 3, c.c. nella parte in cui, ai fini dellazione di disconoscimento della paternit, subordinava lesame
delle prove tecniche, da cui risulta che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili
con quelle del presunto padre, alla previa dimostrazione delladulterio della moglie.
A tale riguardo, la Cassazione dichiara di condividere un precedente orientamento della stessa Corte (sent. n.
15777/2010) che specifica la portata della pronuncia dincostituzionalit, da intendersi nel senso che la prova tecnica
sempre possibile anche per dimostrare ladulterio, ma ci non incide comunque sul decorso del termine di un anno, che
ha inizio dalla conoscenza del fatto adulterio e dal momento in cui il marito ne sia venuto a conoscenza quale che sia la
fonte del convincimento.

In sintesi, la suprema corte ha ritenuto di aderire ad un orientamento formalistico interpretando rigorosamente la norma
sulla decadenza, seppur in presenza di risultanze scientifiche diverse che non hanno potuto neppure avere ingresso nel
processo.
In materia di disconoscimento del figlio nato nel matrimonio, si tratta di privilegiare la certezza dello status di figlio
rispetto alla verit della paternit. La scelta del legislatore nel senso di privilegiare, nel rispetto degli altri valori
costituzionali, la paternit legale rispetto a quella biologica, fissando precise condizioni e modalit per far valere
questultima ex art. 235 c.c.
E importante per dare atto di una precedente pronuncia della Cassazione che si discosta da questo orientamento,
poich in un caso analogo i giudici hanno ritenuto che la prova del DNA, richiesta dal padre, sarebbe prodromica
allaccertamento delladulterio della moglie, essendo le due prove due facce della stessa medaglia. Cos facendo la
Corte ha accolto ilfavor veritatis piuttosto che il favor legitimatis, avuto riguardo allinteresse del figlio di costruire una
relazione con il padre biologico ed evitare un'attribuzione di status fittizia (Cass. Civ. n. 1610/2007).
(Altalex, 10 aprile 2013. Nota di Giuseppina Vassallo)

/ disconoscimento della paternit / adulterio / figlio / Giuseppina Vassallo /

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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE


SEZIONE I CIVILE
Sentenza 26 marzo 2013, n. 7581
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella - Presidente Dott. CULTRERA Maria Rosaria - rel. Consigliere Dott. CAMPANILE Pietro - Consigliere Dott. ACIERNO Maria - Consigliere Dott. LAMORGESE Antonio - Consigliere ha pronunciato la seguente:
sentenza

sul ricorso 19843/2011 proposto da:


I.E. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 97, presso l'avvocato LEONE GENNARO,
che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente contro
F.V. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TIBULLO 16, presso l'avvocato PATRIZIA VELLETRI,
rappresentato e difeso dall'avvocato BRACCIALE FRANCO, giusta procura in calce al controricorso;
P.B. (C.F. (OMISSIS)), I.S. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliate in ROMA, VIA ACHILLE PAPA 21, presso
l'avvocato PAGANO MARIA TERESA, che le rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;
G.V., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA ADRIANA 15, presso l'avvocato VALERIA CAMPISI, rappresentato e
difeso dall'avvocato TUCCITTO VINCENZO, giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrenti contro
IA.SI., PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D'APPELLO DI ROMA;
- intimati avverso la sentenza n. 2828/2010 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 30/06/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/02/2013 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA
CULTRERA;
udito, per il ricorrente, l'Avvocato GENNARO LEONE che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito, per le controricorrenti P.B. e I.S., l'Avvocato MARIA TERESA PAGANO che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito, per il controricorrente F., l'Avvocato FRANCO BRACCIALE che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del
ricorso.
Svolgimento del processo
I.E. con citazione del 10.10.2002, ha proposto innanzi al Tribunale di Latina domanda di disconoscimento della paternit
dei figli minori I.S. e Ia.Si., nati rispettivamente l'(OMISSIS) ed il (OMISSIS) dal matrimonio con P.B., da cui intanto si era
separato, e di dichiarazione giudiziale di paternit nei confronti di G.V. e F.V., assumendo di non essere il padre naturale
dei minori in quanto all'epoca del loro concepimento la moglie aveva intrattenuto relazioni extraconiugali prima con il G. e
poi col F., nei cui confronti ha altres chiesto pronuncia di condanna unitamente a P.B. al risarcimento dei danni morali e
materiali subiti. Con sentenza n. 849/2006, il Tribunale adito ha dichiarato inammissibile la domanda di disconoscimento
essendo la I. decaduto dall'azione in quanto promossa oltre l'anno dalla conoscenza delle distinte relazioni della moglie,
da farsi risalire gi alle date di nascita dei figli o al pi tardi all'(OMISSIS); ha dichiarato inammissibile anche la domanda
di dichiarazione giudiziale di paternit, ed ha rigettato le domande risarcitorie. I.E. ha impugnato la decisione innanzi alla
Corte d'appello di Roma deducendo d'aver avuto antecedentemente all'anno previsto per l'instaurazione del giudizio un
mero sospetto, che divenne consapevolezza circa le relazioni extraconiugali della moglie da cui erano nati i minori S. e
Si., solo nel (OMISSIS), allorch aveva reperito un biglietto anonimo che lo informava del fatto, aveva ricevuto le
confidenze della conoscente Pa.Ma.An., aveva assunto informazioni da un investigatore privato ed infine aveva acquisito
il risultato negativo dell'esame del dna dei minori, lamentando altres di non aver potuto fornire esauriente prova del suo
assunto per non aver il primo giudice ammesso la prova contraria da lui articolata sui capitoli dedotti dalle controparti, s
che si era trovato nell'impossibilit di dimostrare il mendacio delle testimoni I.A., sua sorella e moglie del F., e F.A.,
congiunta di quest'ultimo, da lui denunciate per falsa testimonianza, in ordine alla loro conoscenza delle relazioni
intrattenute dalla moglie, e che comunque il Tribunale avrebbe dovuto dare ingresso alla prova genetica. Gli appellati,
ciascuno dei quali si ritualmente costituito, hanno chiesto il rigetto del gravame. F. V. ha dedotto altres in linea
preliminare la carenza della propria legittimazione passiva in relazione alla domanda di disconoscimento della paternit

del presunto figlio Si., posto che litisconsorti necessari erano questi, la madre ed il padre, quest'ultimo peraltro sprovvisto
di legittimazione attiva in relazione all'azione di riconoscimento della paternit di Si.
in capo allo stesso F.. Si inoltre costituita l'Avv. Carmela Docimo, quale curatore speciale dei minori, che ha chiesto il
rigetto del gravame. In corso di giudizio si infine costituita I.S., divenuta maggiorenne, che ha dedotto l'infondatezza
delle domande. La Corte territoriale, ritualmente instauratosi il contraddittorio nei confronti di tutti gli appellati che si sono
costituiti per chiedere il rigetto del gravame, ha confermato la precedente statuizione con sentenza n. 2828 depositata il
30 giugno 2010. Avverso la decisione I.E. ha proposto infine ricorso per cassazione articolato in tre motivi resistiti da G.
V., F.V., P.B. e I.S..
Il ricorrente ed i resistenti F.V. e P.B. e I.S. hanno altres depositato memoria difensiva ai sensi dell'art. 378 c.p.c..
L'altra intimata non ha invece svolto difese.
Motivi della decisione
In linea preliminare va dichiarato il difetto della legittimazione passiva dei convenuti G.V. e F.V., secondo quanto del resto
quest'ultimo ha dedotto con eccezione sottoposta al giudice d'appello e ribadita in questa sede, in ordine all'azione di
disconoscimento della paternit esperita dall'attore anche nei loro confronti per l'asserita qualit di padri naturali dei figli
S. e Si.. Osserva a riguardo il collegio che questa Corte, con consolidato orientamento a cui si intende in questa sede
dare continuit (per tutte da ultimo n. 430/2012), ha gi affermato che "la sentenza che accolga la domanda di
disconoscimento della paternit, in quanto pronunciata nei confronti del pubblico ministero e di tutti gli altri contraddittori
necessari, assume autorit di cosa giudicata erga omnes, essendo inerente allo status della persona (Cass. 1985/194).
In particolare, la paternit legittima non pu essere messa in discussione e neppure difesa da colui che indicato come
padre naturale, il quale, allorch deduca che l'esito positivo dell'azione di disconoscimento di paternit si riverbera
sull'azione di riconoscimento della paternit intentata nei suoi confronti, si limita in realt a far valere un pregiudizio di
mero fatto, tanto da non poter agire contro la sentenza di disconoscimento neppure con l'opposizione di terzo, atteso che
il rimedio contemplato dall'art. 404 c.p.c., presuppone in capo all'opponente un diritto autonomo la cui tutela sia per
incompatibile con la situazione giuridica risultante dalla sentenza impugnata (Cass. 2005/12167)". La questione,
rilevabile peraltro anche in via officiosa non essendosi su di essa formato il giudicato in assenza di statuizione del
giudice d'appello, pur investito sul punto,va risolta pertanto nei sensi prospettati.
Col primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 235 c.c., comma 3, dell'art. 244 c.c.,
comma 2, e correlato vizio d'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo. Lamenta
che la Corte territoriale, facendo altres malgoverno degli enunciati pur riferiti in sentenza, avrebbe erroneamente
assunto a dato decisivo, ai fini dello scrutinio dell'ammissibilit dell'azione da lui esperita di disconoscimento della
paternit, la dimostrata esistenza del mero sospetto da lui nutrito sulle relazioni extraconiugali intrattenute con i due
convenuti dalla P., e non gi la scoperta del loro rapporto adultero, da intendersi quale acquisizione della conoscenza di
una relazione ovvero di un incontro che comunque avesse investito la sfera sessuale, s da determinare il concepimento
dei figli che intendeva disconoscere. Il giudice dell'appello avrebbe in sostanza equiparato alla conoscenza dell'adulterio,
da cui decorre il termine di decadenza posto dalla norma in rubrica, il mero dubbio circa la frequentazione della P. con gli
altri uomini, desunto dalla condotta concretatasi nello stretto rapporto con G. e dall'episodio del massaggio non
terapeutico del F.. La decisione sarebbe pertanto affetta dal denunciato error juris laddove equipara il sospetto, emerso
dal compendio istruttorio acquisito, alla scoperta degli adulteri della moglie, e risulterebbe illogicamente argomentata
nella parte in cui desume tale conoscenza dai riferiti, pur criticabili episodi, riguardanti i presunti padri naturali dei figli. Il
ricorrente formula infine conclusivo ma superfluo quesito di diritto ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., abrogato dalla L. n. 69
del 2009, in relazione alle decisioni pronunciate successivamente alla data del 4 luglio 2009 della sua entrata in vigore.
Tutti i resistenti deducono l'inammissibilit ovvero l'infondatezza del motivo.
Il motivo espone censura priva di pregio.
La Corte del merito, premesso che il termine decadenziale previsto dall'art. 244 c.c., va correlato alla conoscenza non
gi del concepimento del figlio bens dell'adulterio della moglie che, secondo orientamento giurisprudenziale citato, deve
concretarsi nella cognizione di un legame a sfondo sessuale della donna, ha ritenuto acquisita in giudizio la relativa
prova anzitutto alla luce dalle stesse affermazioni contenute nell'atto di citazione - l'intenzione pi volte manifestata dalla
P. di andarsene con la figlia S. ed il G. e le scenate di gelosia del F. per la relazione intrattenuta tra la predetta e E.V.-,
correttamente ritenute dal primo giudice aventi contenuto confessorio circa la certezza e non gi il semplice sospetto
delle relazioni della moglie con i due convenuti, attestanti durata ed intensit affettiva di quegli stretti legami. Indi ne ha
tratto conferma dalla deposizione di I.A., sorella dell'attore e moglie di F.V., che, escussa a prova diretta, dichiar che il
fratello, affetto sin dal (OMISSIS) da oligospermia, accett i figli come suoi pur sapendo di non averli generati. Ha infine
concluso che il coerente quadro istruttorio emerso, non validamente contrastato dalle deposizioni degli altri testi R. e Pa.,
ammantano di conclusiva univocit l'intempestivit dell'azione promossa dallo I.. L'approdo richiama puntualmente nella
motivazione il quadro normativo che regola il caso di specie alla stregua del disposto dell'art. 235 comma 1, n. 3, che
prevede che l'azione per il disconoscimento della paternit del figlio concepito durante il matrimonio consentita "se nel

detto periodo la moglie ha commesso adulterio ---", in combinato con l'art. 244 c.c., corretto a seguito dell'intervento della
Corte Costituzionale con sentenza n. 134 del 1985 che estese all'adulterio la soluzione prevista per il celamento della
nascita, che al comma 3 legittima l'azione entro un anno dal momento della conoscenza del fatto che la rende
ammissibile, vale a dire dell'adulterio. E citandolo in parte, si uniforma all'orientamento consolidato di questa Corte - cfr.
Cass. n. 5248/2000, n. 1264/01, n. 14887/02, n. 6477/2003, n. 4090/2005, n. 15777/2010- che il collegio condivide ed al
quale intende in questa sede dare continuit, secondo cui il dies a quo del termine annuale va collocato nel momento
della scoperta dell'adulterio, intesa quale conoscenza della relazione o dell'incontro di carattere sessuale della donna
con altro uomo, idonei a determinare il concepimento del figlio che s'intende disconoscere. Nel solco di questo contesto
esegetico ed in assoluta coerenza, ha dunque criticamente vagliato il compendio istruttorio acquisito in giudizio,
apprezzando l'idoneit dei fatti da esso emersi a rendere noto allo I. il duplice adulterio, consumato della moglie prima
con l'uno e poi con l'altro dei convenuti nei periodi concomitanti con il concepimento dei figli Si. e S..
Il percorso logico che ne sostiene la conclusione all'evidenza immune dal vizio denunciato. La valutazione delle
evenienze istruttorie e la sintesi ricostruttiva da essa desunta, esaustivamente e logicamente argomentate, ineriscono al
merito e, risultando argomentate sulla base di puntuale tessuto motivazionale, non sono sindacabili da parte di questa
Corte cui preclusa la rivisitazione della vicenda fattuale. Ne discende il rigetto del motivo.
Il secondo motivo, con cui il ricorrente ribadisce analoga censura anche in relazione all'art. 116 c.p.c., verte
sull'attendibilit della deposizione della sorella I.A., moglie del F., a suo avviso con questo compiacente. Ed invero, la
Corte d'appello, secondo il ricorrente, non avrebbe tenuto conto del testo della telefonata nel corso della quale ella gli
disse che avrebbe dovuto schierasi con la P. e purtroppo "fare le cose contro di lui", n che la deposizione non era
decisiva poich non ineriva all'adulterio ma alla sua situazione clinica di impotentia generarteli. Gli altri testi, anch'essi
inattendibili, non avrebbero smentito che egli apprese dell'adulterio solo all'esito delle prove genetiche, dunque entro
l'anno dall'introduzione del giudizio.
Il motivo, di cui i resistenti chiedono il rigetto, inammissibile laddove induce palesemente alla rilettura della deposizione
della testa I.A., preclusa a questa Corte, e richiama in senso assolutamente generico le altre deposizioni senza
trascriverne il contenuto. E' infondato laddove in senso inconferente richiama la dichiarazione d'illegittimit costituzionale
dell'art. 235 c.c., comma 1, n. 3, pronunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 2006/266 con riguardo alla
parte che, ai fini dell'azione di disconoscimento della paternit, subordina l'esame delle prove tecniche da cui risulta che
il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre alla previa
dimostrazione dell'adulterio della moglie.
Con la citata sentenza n. 15777/2010, che si richiama e si condivide, si chiarito che tale pronuncia, correggendo
l'interpretazione che della norma era stata data da questa Corte, che subordinando all'indagine sul verificarsi
dell'adulterio la prova della sussistenza o meno del rapporto procreativo comportava che questa, anche se espletata
contemporaneamente alla prova dell'adulterio, poteva essere esaminata solo subordinatamente al raggiungimento di
quest'ultima, e al diverso fine di stabilire il fondamento del merito della domanda, sicch, in difetto di prova dell'adulterio,
non poteva pronunciarsi il disconoscimento neppure se fosse risultata dimostrata l'incompatibilit genetica o del gruppo
sanguigno del figlio rispetto al presunto padre, afferma che la norma consente l'accesso alle prove ematiche anche a
prescindere dalla previa prova dell'adulterio perch la contraria interpretazione viola i principi di libero accesso alla prova
e della pienezza del diritto di difesa.
Il corollario, che ammette la possibilit di dimostrare lo stesso adulterio anche ricorrendo alla prova tecnica, non incide
per sul momento iniziale del decorso del termine previsto dall'art. 244 c.c., e non interferisce dunque sulla disciplina
dettata in tema di decadenza per la quale rilevano solo la scoperta del fatto "adulterio" ed il momento in cui il padre ne
sia venuto a conoscenza, quale che sia stata la fonte che lo abbia reso edotto, prescindendo dall'accertamento della sua
corrispondenza alla verit, che egli ha semplicemente il potere processuale di dimostrare senza incorrere in preclusioni,
dunque attraverso ogni opportuna indagine tesa ad accertare le incompatibilit idonee a dimostrare l'adulterio" Col terzo
motivo il ricorrente denuncia violazione dell'art. 2043 c.c., e art. 567 c.p., e lamenta che la Corte del merito, nel contesto
di una motivazione omessa o insufficiente, ne avrebbe fatto malgoverno avendo rigettato la sua domanda risarcitoria
avendola ritenuta dipendente da quella principale - rigettata -, pur in presenza della prova acquisita in atti dell'illecito
penale rappresentato dalla falsa attestazione di stato dei figli.
I resistenti chiedono il rigetto della censura.
Il motivo deve essere dichiarato inammissibile. Statuito il rigetto della domanda risarcitoria, attesa la sua stretta
correlazione con la domanda di disconoscimento, la Corte territoriale ha dichiarato nel contempo inammissibile la
prospettazione della nuova causa petenti, siccome assunta a fondamento della domanda risarcitoria solo in sede
d'appello in violazione dell'art. 345 c.p.c., laddove stata riferita al disposto dell'art. 567 c.p.. Trattasi di autonoma ratio
decidendi contro cui il mezzo in esame non agita critica alcuna.
Tutto ci premesso, il ricorso devesi rigettare con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidandole in favore
di P.B. e I.S. nell'importo di Euro 3.000,00, per compensi, ed Euro 200,00 per spese, in favore di F.V. in egual
misura ed in favore di G.V. nell'importo di Euro 2.500,00 per compensi e di Euro 200,00 per esborsi, oltre
accessori di legge.
Ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, comma 5, in caso di diffusione della presente sentenza si devono
omettere le generalit e gli altri dati identificativi delle parti.
Cos deciso in Roma, il 12 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2013.

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