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VITTORIO

ALFIERI

Vita ed opere
Vittorio
terriera,

Alfieri nacque ad Asti da una famiglia di ricca nobilt


il 16 gennaio 1749. Nel 1758 entr nella Reale
Accademia di Torino e ne usc nel 1766. La
particolare situazione familiare (dopo la morte
del
padre, la madre aveva sposato in terze nozze
Giacinto Alfieri di Magliano), la severa
educazione militare e gli obblighi imposti ai
giovani nobili del Regno di Sardegna, lo
resero i
ntollerante verso le convenzioni sociali, le
gerarchie
militari
e
l'assolutismo
monarchico. Uscito dall'Accademia, tra il
1766 e il '67 Alfieri inizi una serie di viaggi in Italia e in Europa,
ispirati pi da un'insofferenza dello stare che dal desiderio di
istruirsi. Lontano dall'attivit politica e militare, nel 1772 decise di
interessarsi al mondo teatrale e letterario. Formatosi secondo i codici
culturali del Regno di Sardegna,utilizz il francese per scrivere le sue
prime
opere: l'Esquisse
du
jugement
universel (1773)
e
il Journal(1775). Nel 1775 scrisse e mise in scena la tragedia Antonio
e Cleopatra. Gli anni tra il 1775 e il '77 furono fondamentali per la
sua scelta letteraria e per l'elaborazione del suo pensiero politico:
nel 1777 scrisse d'un fiato il trattato Della tirannide, decise di
liberarsi della lingua francese e di spiemontizzarsi, tanto che nel
1778 don alla sorella tutto il suo patrimonio in cambio di un
vitalizio. Cominci a intraprendere uno studio serrato dei classici
italiani e latini e si trasfer a Firenze dove si leg alla contessa
d'Albany.
In
questo
periodo
lavor
alle
tragedie Filippo, Antigone, Polinice,Agamennone e Oreste. Nel 1780
si trasfer a Roma dove cominci a comporre il Saul. Nel 1783 fece
stampare i primi due volumi delle Tragedie. Dal 1785 si stabil in
Alsazia, a Colmar, alternando a questa residenza lunghi soggiorni
parigini. Da qui fino al 1792 svolse un intenso lavoro, curando la
stesura e l'edizione di varie opere: il trattato Del principe e delle

lettere (1789), il poema l'Etruria vendicata(1786), le Rime (1789).


Tra il 1787 e il 1789 pubblic la nuova edizione delle Tragedie e nel
1790 ultim la Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso,
pubblicata postuma nel 1804. Dopo aver dedicato a Luigi XVI
il Panegirico di Plinio a Traiano, fu presente durante le prime fasi
della Rivoluzione francese e scrisse l'ode Parigi sbastigliato. Gli
ultimi anni della sua vita soggiorn a Firenze studiando il greco e
portando a termine la stesura di opere minori come il Misogallo e
le Commedie. Mor l'8 ottobre 1803.
Carateristicche delle opere
La personalit di Alfieri tuttavia molto complessa, in quanto i suoi
principi morali e politici andavano al di l delle stesse finalit
patriottiche risorgimentali; per cui non pu essere considerato
soltanto un sostenitore della libert politica dellItalia. La personalit
e il pensiero di Vittorio Alfieri testimoniano con grande spicco e
notevole drammaticit la svolta fondamentale nella cultura e nella
civilt europea dallIlluminismo al Romanticismo. La condizione di
conflitto interiore che una delle caratteristiche principali della sua
personalit, la sua avversione per ogni tipo di dispotismo, la
tendenza ad indagare negli abissi della coscienza e della mente, il
suo individualismo spinto allennesima potenza, il suo culto per
leroismo come cifra e punto di riferimento della vita e, infine, il
continuo alternarsi di vittimismo e titanismo, di malinconia ed
esaltazione, devono essere considerate caratteristiche mentali e
spirituali tipicamente romantiche, o quantomeno preromantiche.
Per individuare i principali elementi del pensiero di Alfieri
prenderemo in considerazione le pi importanti opere dello scrittore
piemontese, ovvero la Vita, le tragedie ed i trattati politici.
Nella VitaAlfieri ripercorre la storia della sua vita; ragion per cui tale
opera una fonte di primaria importanza non solo per la
comprensione della personalit dellautore, ma anche dei principali
elementi del suo pensiero. Volendo fare un parallelismo con
i Mmoires di Goldoni, potremmo dire che sia i Mmoiressia
la Vita riflettono in maniera spiccata la personalit dei due scrittori.
Ma mentre i Mmoirestestimoniano la capacit di Goldoni di
effettuare unattenta indagine degli ambienti nei quali egli visse,
la Vita di Alfieri rivela la forte tendenza dello scrittore piemontese a
tuffarsi nel suo passato e ripiegarsi sui ricordi; e soprattutto
testimonia la fortissima tendenza di Alfieri a isolare, nel contesto
delle sue relazioni interpersonali, tutto ci che riguarda s stesso e il

proprio itinerario spirituale, morale, politico ed artistico. Quasi in


ogni pagina della Vita si nota lo spiccato individualismo dello
scrittore piemontese. Tuttavia Alfieri d sempre uninterpretazione
idealizzata ed eroica di s stesso, non perch menta, ma
semplicemente perch omette tutti quei particolari che non sono
compatibili con limmagine idealizzata ed eroica che vuol dare di s
stesso ai lettori; inoltre tende a omettere quei particolari che
considera troppo intimi. In ogni caso, nella Vita possibile
riscontrare le principali tematiche del pensiero alfieriano, sebbene
lautore tenda a innalzare la propria esperienza biografica su un
piano di esemplarit e di eccezionalit.
Il personaggio Alfieri quale descritto nella Vita presenta tutti quei
caratteri di orgogliosa grandezza e di assoluta coerenza, nonch di
esemplare eroismo e di costante impegno nei confronti di una realt
avversa, frustrante e deludente che si riscontrano anche nei
personaggi delle sue tragedie. Alfieri si presenta come un uomo che
ha sempre seguito con estrema coerenza, e a qualsiasi costo, il suo
ideale di una vita eroica. In effetti, Alfieri non mente quando parla di
s stesso e nemmeno quando mette in evidenza il fatto che fu
capace di compiere azioni certamente non alla portata degli uomini
comuni. Tuttavia alcune delle azioni da lui compiute non sarebbero
state considerate eroiche da un osservatore neutrale. A tale riguardo
vogliamo fare un esempio significativo.
In un passo molto famoso della Vita Alfieri racconta che si era
innamorato di una donna che considerava non degna di lui, e per
tale ragione in un primo momento lo scrittore piemontese si
allontan da Torino, per sfuggire da questo amore che considerava
pericoloso. In un secondo momento Alfieri decise che doveva
affrontare il problema restando a casa. Una volta tornato a Torino si
chiuse in casa, si tagli i capelli completamente a zero in modo da
non poter pi uscire di casa per un certo periodo di tempo e infine
si dedic giorno e notte allo studio. In tal modo Alfieri riusc a
dimenticarsi completamente della donna, compiendo, a suo dire,
unazione che denotava un eccezionale eroismo.
Nella Vita Alfieri tiene molto a mettere in evidenza che la
caratteristica che insieme alleroismo dominava la sua personalit
era la continua malinconia, che derivava dal fatto che era costretto a
vivere in un mondo non adatto a lui, che lo frustrava e deludeva
continuamente. Nella Vita scrive che gi a diciotto anni era preda di
una continua malinconia e non riusciva a trovare pace in alcun
modo: sosteneva che la malinconia fosse principalmente dovuta al

fatto che non era mai riuscito a trovare fino a quel momento un
degno amore ed un nobile lavoro.
Alfieri e la contessa d'Albany, F. X. Fabre, 1796, Torino, Museo Civico
di arte antica
Ma quando Alfieri riusc a trovare il nobile lavoro (ovvero lattivit
di intellettuale e poeta) e il degno amore per la contessa dAlbany,
non trov la pace, tanto vero che egli stesso scrisse nella Vita che
continuava ad essere preda di un continuo furore e di unaltrettanto
continua malinconia, cosicch decise di trascorrere i suoi ultimi anni
in assoluta solitudine, con la sola compagnia della contessa
dAlbany.
Vogliamo concludere il discorso sullautobiografia di Alfieri mettendo
in evidenza che in tale opera una delle tematiche che compare con
maggiore frequenza che lo scrittore piemontese si rendeva conto
di aver trascorso gran parte della sua vita in una solitudine tragica.
Pur appartenendo alla nobilt piemontese, Alfieri si mostr sempre
sprezzante nei confronti dei nobili della sua Nazione, tanto vero
che nelle Satire egli non perde occasione per attaccare i costumi e i
comportamenti dei nobili piemontesi. Ma sebbene disprezzasse i
nobili Alfieri non era meno duro nei confronti della borghesia, che
considerava una classe corrotta e materialista, priva di qualsiasi
ideale. Infine egli disprezzava nella maniera pi assoluta il popolo,
giudicato sdegnosamente una plebe informe. Appare evidente che
partendo da questa sua concezione del mondo non gli restava altro
che rinchiudersi in una solitudine tragica, orgogliosa e dolorosa,
idoleggiando al massimo grado s stesso e disprezzando il mondo
nel quale viveva. Infatti Alfieri afferma pi volte che avrebbe voluto
vivere al tempo degli antichi romani e degli antichi greci, perch era
convinto che sarebbe stato in grado di compiere azioni molto pi
eroiche e sarebbe stato oggetto di grande ammirazione da parte
degli uomini di quel periodo storico.
Dobbiamo tenere presente che lopera del mondo classico che Alfieri
maggiormente ammirava era Le vite parallele di Plutarco: Alfieri
racconta che quando leggeva tale opera spesso urlava e piangeva,
in maniera tale che chi lo ascoltava pensava fosse impazzito: lo
scrittore piemontese spiega che si comportava cos perch non
accettava di non essere vissuto al tempo degli eroi di Plutarco.
In sintesi, nellautobiografia di Alfieri troviamo vittimismo e
titanismo, conflitto tra ideale e reale, ricerca della solitudine, ideali
patriottici, amore per leroismo, ricerca della donna ideale,

individualismo, idealizzazione di s stesso, amore per il mondo


classico ed infine convinzione che poeti ed intellettuali avevano
unimportante missione da compiere: tutte tematiche che ritroviamo
nel preromanticismo e nel romanticismo.
Prenderemo ora in considerazione le tragedie di Vittorio Alfieri.
Nella Vita lautore racconta loccasione che gli fece comprendere che
queste costituivano il genere letterario che gli era pi adatto.
Dobbiamo tenere presente che spesso Alfieri riferisce di aver avuto
diverse esperienze amorose movimentate, che non fecero altro che
aumentare la sua insofferenza e la sua irrequietezza. Alfieri scrive a
chiare lettere nella sua autobiografia che si sentiva schiavo della
passione amorosa e che la considerava un grave pericolo per la
propria libert morale.
Lepisodio al quale fa riferimento Alfieri avvenne nel 1774: in
quellanno egli aveva iniziato una relazione sentimentale con la
marchesa Gabriella Faletti, nei confronti della quale lo scrittore
piemontese ammette di provare una forte passione amorosa. Nel
1774 la marchesa era ammalata e chiese ad Alfieri di tenerle
compagnia; questi, pur provando un sentimento di amore per la
donna, non solo non aveva alcun voglia di farle compagnia, ma
provava anzi un forte sentimento di noia. Tuttavia, temendo di
essere lasciato dalla donna, lo scrittore piemontese non ebbe il
coraggio di rifiutarle la compagnia: in quel giorno Alfieri si sent
quindi schiavo della passione amorosa. Dopo qualche mese,
riflettendo su tale episodio, Alfieri giunse al punto di paragonare il
dominio esercitato su di lui da Gabriella a quello esercitato da
Cleopatra su Antonio, e da tale riflessione gli venne lidea di scrivere
la scena di una tragedia. Passato un anno dalla scrittura della scena,
Alfieri, pur avendo gi lasciato la marchesa, si sentiva ancora
oppresso dalla passione amorosa che aveva provato per lei;
partendo da questa prima scena che aveva scritto un anno prima
Alfieri scrisse la sua prima tragedia, ovvero Cleopatra.
Come si vede, Alfieri era portato ad estremizzare le situazioni che si
trovava a gestire. Anche se ebbe lidea di scrivere la sua prima
tragedia perch si sentiva oppresso dalla passione amorosa, questa
occasione esterna non fece che facilitargli la comprensione che il
genere letterario in cui desiderava in modo particolare conquistare la
gloria era la tragedia: e ci viene ribadito pi di una volta nella sua
autobiografia.

Questo desiderio di Alfieri non deve sorprendere pi di tanto, per


almeno tre ragioni. In primo luogo il genere tragico occupava un
posto di privilegio nella letteratura italiana del Settecento, e Alfieri
era certamente condizionato dalla grande importanza che veniva
attribuita a questo genere letterario. In secondo luogo, poich Alfieri
tendeva a idealizzare e idoleggiare s stesso, non si accontentava di
conquistare la gloria intellettuale in generi letterari che in quel
periodo storico erano considerati inferiori. In terzo luogo la scelta di
dedicarsi alla tragedia aveva anche, e soprattutto, le sue radici nel
temperamento dello scrittore piemontese, nella sua congeniale
tendenza ad una concezione eroica della vita. Alfieri era convinto
che gli uomini che aspiravano alla libert morale erano impegnati in
una continua lotta eroica contro le passioni, e soprattutto contro una
realt avversa caratterizzata dallegoismo, dallipocrisia, dalla
cupidigia e dalla slealt, che a dire di Alfieri dominavano
incontrastate nel suo tempo, definito dallo scrittore piemontese il
vil secolo.
Come abbiamo detto in precedenza, una delle cause principali della
solitudine tragica di Alfieri era il fatto che avrebbe desiderato vivere
nel mondo classico e che aveva come modelli i personaggi delle Vite
parallele di Plutarco. Di conseguenza si sentiva in continuo contrasto
con i suoi contemporanei, mentre si sentiva simile a molti
personaggi delle tragedie greche. In effetti la stessa esistenza di
Vittorio Alfieri fu simile alle vicende di alcuni personaggi delle
tragedie classiche, che spesso erano vittime di un destino avverso e
crudele e della cattiveria degli esseri umani: gran parte della sua
vita fu caratterizzata da conflitti, frustrazioni, incapacit di adattarsi
ad un secolo che egli giudicava meschino in quanto gli impediva di
esprimere e di realizzare il suo ideale eroico della vita. Pi volte nella
sua autobiografia lo scrittore piemontese annota che quando
scriveva le tragedie era preso da un fortissimo entusiasmo, perch
poteva confrontarsi con personaggi ed eventi eccezionali.
Il tema principale che troviamo nelle tragedie alfieriane non (come
molti credono) la libert politica, ma la libert morale. Per Alfieri la
libert politica era solo un aspetto anche se essenziale della
libert morale, che per lo scrittore era lunico fondamento della
dignit degli uomini. Perci non si pu ridurre il teatro di Alfieri ad un
celebrazione pura e semplice della libert politica, poich Alfieri
tendeva a privilegiare la necessit dei suoi eroi di difendere la libert
morale in primo luogo dalle loro stesse passioni: secondo Alfieri la
forma pi sublime di eroismo alla quale pu aspirare lessere umano

lintransigente difesa della libert morale, non solo dai pericoli che
provengono dalla realt avversa e dalla malvagit degli esseri
umani, ma anche dalle passioni presenti nellanimo delleroe tragico,
passioni che tendono a renderlo uno schiavo senza catene. Quindi
nelle tragedie alfieriane i protagonisti devono in primo luogo fare i
conti con giganteschi conflitti interiori, quasi sempre senza via di
uscita; e ci, anche se la libert politica rivestiva grandissima
importanza in alcune tragedie occupa un posto di assoluta
preminenza, in quanto si basano quasi interamente sul conflitto tra
tirannide e libert.
La maggior parte delle tragedie sono ambientate nellantica Grecia,
altre sono ambientate nel mondo romano, sebbene la pi grande
tragedia di Alfieri, ovvero il Saul, tratta dalla Bibbia.
Concludiamo il nostro discorso sulle tragedie di Vittorio Alfieri
mettendo in evidenza che lo scrittore e poeta piemontese si inser
deliberatamente nel solco della tradizione classica, facendo suoi e
sviluppandoli nelle direzioni a lui pi congeniali i fondamentali
principi stabiliti dalla poetica classicista. Alfieri adott infatti nelle
sue tragedie le unit aristoteliche, accentuando per in maniera
particolare lunit di azione: i cinque atti delle tragedie alfieriane
dovevano essere caratterizzati dal fatto di essere pieni del solo
soggetto, come scrive lo stesso Alfieri. In parole pi semplici Alfieri
escludeva dallazione tutti i personaggi secondari, tutte le
divagazioni e tutti i motivi episodici e marginali, concentrando la sua
attenzione sulle vicende dei personaggi principali.
Prenderemo ora in considerazione i trattati politici di Vittorio Alfieri,
nei quali sono presenti alcuni elementi di fondamentale importanza
del pensiero dello scrittore piemontese. Per quanto riguarda i trattati
politici concentreremo la nostra attenzione sui tre che vengono
generalmente considerati i trattati politici pi importanti e
significativi, ovvero Della tirannide, Del principe e delle lettere e
ilPanegirico a Traiano di Plinio il Giovane.
Nel primo, Della tirannide, Alfieri definisce in maniera brillante il
concetto di tirannide e descrive in maniera efficace la figura del
tiranno, per poi passare a indicare le condizioni e i modi in cui un
uomo che voglia difendere la propria libert morale possa vivere
sotto un tale regime politico. Alfieri definisce tirannide il governo di
un monarca che non sia sottoposto e limitato da nessuna legge
indipendente dalla sua volont, poich in tutti i regimi tirannici il
principe identifica la legge con il suo arbitrio e con la sua volont

fine a s stessa. Alfieri descrive in maniera estremizzata, ma senza


dubbio molto efficace, la figura del tiranno: egli sospettoso e
crudele, vile e violento, corrotto e corruttore. Per tali ragioni chi non
voglia diventare complice del tiranno, partecipando alla vita servile e
corrotta della sua corte, per salvaguardare e difendere la propria
libert morale pu adottare solo due soluzioni estreme: il tirannicidio
o il suicidio. Dal momento che secondo Alfieri il tirannicidio pu
essere realizzato solo in poche e particolari condizioni luomo che
vuole salvare la propria libert morale sotto i regimi tirannici molto
spesso deve ricorrere esclusivamente al suicidio, che rappresenta
lunico modo per sconfiggere il tiranno e sfuggire al suo spregevole
dominio. Questo trattato politico di Alfieri dominato quindi dalla
descrizione delle due figure del tiranno e del tirannicida, figure che
rivestono una grandissima importanza nel suo pensiero politico.
Grandissima importanza assume anche in questo trattato politico la
definizione del concetto di suicidio, inteso dallAlfieri non come un
sconfitta o una forma di debolezza, ma come un atto di ribellione
estrema contro il tiranno e contro la societ corrotta, nonch come
lunico modo per salvare la propria libert morale dalla prepotenza
del tiranno.
Vogliamo mettere in evidenza che questa concezione eroica del
suicidio presente in Alfieri deve essere considerata unaltra
caratteristica tipicamente preromantica e romantica. Infatti anche in
molti scrittori romantici il suicidio considerato non quale sconfitta
ma come lultima e pi grande vittoria che un uomo che non si
voglia piegare alla realt avversa e corrotta possa ottenere evitando
di scendere a compromessi umilianti. Per fare due esempi
significativi di scrittori romantici che esaltano il carattere vincente
del suicidio sufficiente nominare Ugo Foscolo, autore delle Ultime
lettere di Jacopo Ortis e Goethe autore del romanzo I dolori del
giovane Werther. Per far comprendere fino a che punto lidea del
suicidio attirava gli uomini che vissero nellet del Romanticismo
sufficiente mettere in evidenza un fatto clamoroso: il governo
austriaco dovette vietare la vendita del romanzo di Goethe I dolori
del giovane Werther in tutto il territorio dellimpero austro-ungarico,
poich dopo la pubblicazione di tale opera si verificarono moltissimi
suicidi di giovani che avevano gli stessi problemi di Werther. Tale
epidemia di suicidi fin solamente quando venne proibita la vendita
del libro (ancora oggi, quando in una nazione si verificano molti
suicidi in poco tempo, si parla di wertherismo facendo riferimento
allopera diGoethe).

Nel trattato politico Del principe e delle lettere il poeta affronta il


problema del rapporto tra principe e letterato. Secondo Alfieri il
monarca e lintellettuale non possono essere altro che nemici
sempre e comunque, perch il monarca si propone sempre di
condizionare la libert morale di tutti i sudditi, ivi compresi gli
intellettuali e i poeti. Naturalmente tale concetto di Alfieri non pu
essere considerato valido sempre e comunque in tutti i rapporti
interpersonali tra monarchi e intellettuali: la storia ci insegna che
molti monarchi di tutte le epoche hanno rispettato ed ammirato gli
intellettuali, non schiavizzandoli, ragion per cui laffermazione di
Alfieri evidentemente insostenibile.
Partendo dallidea che tutti i monarchi sono tiranni Alfieri esprime un
giudizio molto severo sul fenomeno del mecenatismo, condannando
non solo i monarchi e gli imperatori che in tutte le epoche storiche lo
avevano praticato, ma anche tutti quei poeti e scrittori che ne
avevano beneficiato. Di conseguenza Alfieri condanna duramente
anche autori come Virgilio, Orazio e Ariosto, che a suo dire non
avevano difeso la loro libert morale ed avevano adulato in maniera
indegna i detentori del potere.
Nel Panegirico a Traiano Alfieri fa riferimento al discorso pronunciato
da Plinio il Giovane nellanno 100, allinizio del suo consolato. In tale
discorso Plinio il Giovane esalta le doti dellimperatore Traiano,
considerato insieme ad Augusto come il migliore imperatore che
limpero romano abbia mai avuto. In questo trattato Alfieri immagina
che Plinio pronunci un discorso molto diverso da quello che
realmente pronunci. Nel discorso immaginario Plinio, anzich
esaltare le doti di Traiano, gli rivolge durissime accuse, dipingendolo
come un tiranno. Dobbiamo dire che Alfieri stravolge completamente
la realt storica pur di sostenere che Traiano era un tiranno e Plinio
uno spregevole adulatore. Infatti chiunque conosca la storia romana
sa benissimo sia che Traiano fu un ottimo imperatore e non un
tiranno, tanto che riscosse la sincera ammirazione dei senatori e del
popolo, sia che tra Plinio il Giovane e Traiano esisteva una fortissima
e sincera amicizia e non un rapporto basato sulladulazione: tanto
vero che dalle lettere di Plinio risulta evidente che lo scrittore latino
considerava Traiano eTacito i suoi migliori amici.
Riteniamo
opportuno
concludere
larticolo
evidenziando
latteggiamento che Alfieri assunse nei confronti dellIlluminismo. In
Piemonte, patria di Alfieri, lIlluminismo non esercit alcuna influenza
a causa dellassoluto conservatorismo dei sovrani. Di conseguenza
non si pu comprendere la posizione che Alfieri assunse nei confronti

dellIlluminismo se non lo si inserisce nella realt politica e culturale


piemontese del suo tempo. Alfieri comp viaggi in varie nazioni, ma
non riusc mai a comprendere che la situazione politica non era la
stessa che esisteva in Piemonte. Egli giudic pertanto lIlluminismo
tenendo conto solamente delle proprie esperienze giovanili, quindi
respinse in maniera assoluta lideale illuministico del principe
illuminato e dellassolutismo illuminato: per lui tutti i monarchi e gli
imperatori erano tiranni, anche se si chiamavano Augusto o Federico
di Prussia.
Alfieri non poteva nemmeno prendere in considerazione gli altri temi
essenziali della cultura illuministica. Per Alfieri il popolo non era altro
che plebe, e la borghesia una classe interessata solamente al
denaro; per questo non condivise le idee illuministiche che si
proponevano di migliorare il comportamento sia dei sovrani sia dei
sudditi. Alfieri rifiut lIlluminismo in tutti i suoi aspetti perch la sua
esaltazione del periodo classico e il suo amore per il mondo antico
erano incompatibili con lidea illuministica che il presente fosse
molto migliore del passato. Infine non si mostr minimamente
interessato al progresso tecnologico e scientifico, allo sviluppo delle
industrie e dei commerci che caratterizzarono il periodo
dellIlluminismo; cos pure il concetto di cosmopolitismo sostenuto
con entusiasmo dagli illuministi appariva assurdo ad Alfieri, che
durante i suoi viaggi al di fuori del Piemonte si era sempre sentito
uno straniero. In breve, Alfieri si sentiva in totale antagonismo non
solo con la societ piemontese del suo tempo, ma con tutte le
societ che incontr nei vari paesi che visit durante i suoi viaggi: e
per questo motivo non poteva accettare lideale del cosmopolitismo
sostenuto con entusiasmo dagli illuministi.

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