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Studi in onore di

Vittoria Dolcetti Corazza

a cura di

Carla Falluomini e Roberto Rosselli Del Turco

Edizioni dellOrso
Alessandria

Antonio Piras
ANASTODEINS, ATEI JAH RODJA DU IZWIS.
GV 8,25 E LA VERSIONE GOTICA DELLA BIBBIA

1. Gv 7,10ss ci presenta Ges che, a Gerusalemme in occasione della festa delle


Skkt, viene ricercato dalle autorit ebraiche e, pur volendo passare inosservato,
comincia tuttavia ad essere notato dalla gente, suscitandone la curiosit (7,12).
Ben presto tra i Gerosolimiti si diffonde il sospetto che Ges sia il messia (7,2526); un sospetto che, dopo i discorsi nel tempio (7,28-29), diviene per alcuni
certezza, tanto da rafforzare la decisione dei farisei di arrestarlo (7,32). Intanto tra
la gente circolano diverse opinioni su chi sia veramente Ges, se un profeta o
addirittura il messia (7,40-43). Larresto di Ges peraltro impedito sia
dallesitazione delle guardie, evidentemente colpite dal suo modo di parlare
( ), sia dallintervento di Nicodemo, ormai
guadagnato alla causa del Nazareno, che invoca lillegittimit di una condanna
senza aver prima ascoltato limputato (7,45-52).
La sequenza degli eventi, che si snodano in un crescendo con effetti
drammatici, a questo punto bruscamente interrotta dal celebre episodio
delladultera (7,53-8,11) che ormai riconosciuto come una pericope erratica, sia
pur antica: differente per lingua e stile dal resto del Quarto Vangelo, essa manca
in molti codici antichi, mentre in altri si trova variamente collocata dopo 7,36 o
7,44 o 21,25; il ms. f13 la pone addirittura dopo Lc 21,38.1 La pericope manca
nella versione vulfiliana, anche se, date le condizioni lacunose del testo gotico,
non si pu escludere a priori che si trovasse altrove, per es. dopo Gv 21,25 o dopo
Lc 21,38.
La ripresa di Gv 8,12 presuppone che lintervento di Nicodemo abbia sortito
leffetto sperato e il racconto ci presenta infatti Ges che discute con i farisei sulla
validit della propria testimonianza (8,13-20) e sulla propria identit (8,21-30). La
discussione viene infine troncata dal monito severo di Ges che la mancata fede
in ci che lui (8,24b ) avrebbe come
conseguenza per i suoi interlocutori il morire nei loro peccati (
). A questa espressione un po minacciosa di Ges, che ai

Cfr. Metzger 1994, 187-189.

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farisei suona evidentemente sfrontata,2 corrisponde la pronta, irritata e irrisoria


replica degli interlocutori: ; (8,25).3 A tale domanda Ges risponde con
una curiosa e ambigua espressione: T , che di fatto
una non-risposta e che costituisce appunto loggetto del nostro studio.
2. Di tale espressione due sono in particolare le difficolt di ordine linguistico:
lesatto valore della locuzione avverbiale e la forma , intesa ora
come pronome relativo, ora come congiunzione (). La difficolt del passo si
rileva anche da alcuni interventi testuali operati gi in et antica e dai diversi
adattamenti nelle versioni sia antiche sia moderne: ad esempio, il papiro Bodmer
II (P66), datato intorno al 200, reca in margine una correzione attribuibile allo
stesso scriba: , ,
Ges disse loro: Vi ho detto allinizio ci che vi sto anche dicendo (adesso).4 Un
codice in maiuscola (047)5 omette significativamente .6
Tra i moderni non mancato chi ha avanzato delle congetture: Torrey propose
di leggere in luogo di , mentre Holwerda immaginava un ,7
interventi improbabili e non necessari che denotano comunque un certo imbarazzo
interpretativo, messo in risalto dalla stessa oscillazione della punteggiatura.8
Tra le antiche versioni si distingue in particolare la Peitta, seguita con
tutta evidenza dalla araba, che con una interpretazione piuttosto libera
rende lespressione come se si trattasse di una proposizione concessiva,
agganciandola al v. 26 ( ), ossia:
Wod.alw ram"mj W8ukyla` YIj t0I^ IYgas % W8uk.o` Jejam^eD tyira}D Nep^o.
sebbene abbia cominciato a parlare con voi, ho tuttavia (ancora) molte cose
contro di voi da dire e da giudicare.

La valenza del tono pari a quella della nostra espressione idiomatica Lei non sa chi
sono io.
3
Si noti la posizione enfatica del pronome di seconda persona a sottolineare la reazione
stizzita degli interlocutori (E tu chi sei?, Perch, tu chi sei?); enfasi efficacemente espressa
nella versione siriaca attraverso la reduplicazione del pronome: at man at (lett. tu chi tu?).
Si vedano anche le testimonianze della letteratura greca e latina sul carattere impudente di
tale domanda addotte da Wettstein 1751, I, 896.
4
Sulla lezione del papiro Bodmer II si veda Funk 1958 e Smothers 1958, 111-122. Sullo
stato della tradizione del testo si veda Swanson 1995, 113-114.
5
Princeton, University Library, Med. and Ren. Mss. Garret 1, dellVIII secolo.
6
Schmid-Elliott-Parker 2007, 346.
7
Cfr. Nestle-Aland in apparato a Gv 8,25.
8
Le edizioni Wescott, Merk e Nestle-Aland concludono lespressione col punto e virgola
interrogativo, Tischendorf con un punto fermo.

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La difficolt maggiore del testo costituita dallaccusativo avverbiale


che, pur abbastanza frequente in greco, con e senza articolo, qui inserito
in un contesto sintagmatico poco perspicuo e in una Wortstellung piuttosto
innaturale.9 Generalmente gli si riconosce una funzione asseverativa (proprio,
absolument, at all, berhaupt) o temporale (dal principio, ds le
commencement, from the beginning, erstlich),10 s che, ad esempio nelle
versioni italiane, tutta la frase viene tradotta come Proprio ci che vi dico (CEI
2008) oppure Quello che vi sto dicendo dal principio (ABU).11 Questa seconda
interpretazione sembrerebbe pi convincente e pi coerente col contesto,
nonostante i dubbi sollevati da chi ritiene che non avrebbe mai il valore
di .12 A questa obiezione forse troppo frettolosa si potrebbero peraltro
opporre diverse considerazioni.
Nonno di Panopoli, vissuto probabilmente nel V secolo e noto per lampio
poema delle Dionisiache, anche autore di una Parafrasi del Vangelo di Giovanni
in esametri dattilici, che segue passo passo il testo biblico. Ecco dunque come
rende i vv. 24-26:

, ,
.

;
,
(8,57-63).

Gi De Dieu (1631, 447) osservava che dure satis initium sententiae occupat
et per traiectionem construitur cum .
10
Una rapida sintesi degli attuali orientamenti esegetici in ODay 1995, 634-635.
11
Giuseppe Scaligero annotava: est adverbium, id est primo, in primis,
principio. Deinde , non : Principio mihi multa dicenda sunt, multa sunt praefanda de
vestra contumacia et incredulitate, priusquam vobis respondeam quis ego sim. Quod et melius
exponitur c. 10 vs. 25: sciscitantibus enim respondit , (De
Dieu 1631, 447). Losservazione dello Scaligero sembra suggerire che il sintagma
possa essere equivalente a / e quindi intendere lintero periodo cos: prima
che io ve lo dica (scil. chi sono io), ho molte cose da dire a da giudicare sul vostro conto.
Occorre tuttavia, al di l di una generica equivalenza teorica, fondare tale lettura su pi certe
attestazioni di un siffatto sintagma.
12
Per es. Smothers 1958, 114. Caragounis 2007, che analizza dettagliatamente il nostro
testo, cerca un compromesso tra le due posizioni e intende tutto il passo in questo modo:
Who are you? [I am] From the beginning! Precisely what I have been sayng to you.

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Se non riconoscerete sinceramente chi io sia o di quale padre,


morirete gonfi di empiet. E il popolo dei Giudei orgogliosi
disse con voce indagatrice: Chi sei tu?.
Il Cristo rispose: Ci che vi confidavo dallinizio,
avendo innumerevoli cose da giudicare e da dire.

Lasciando da parte le molte considerazioni che il brano suggerisce, a noi


interessa solo osservare come lespressione venga da Nonno senzaltro
intesa e quindi resa come , dallinizio.13
Non diversamente intendono le versioni sia copte sia persiana. Le prime, nelle
due varianti, convergono sostanzialmente su questa lettura, anche se sembrano
ignorare : la sahidica reca jin NorP taje nMmhtN, da prima vi parlo,
mentre la bohairica isjen taryh (v.l. Ntaryh) aier pkesaji nemwten, dal
principio (v.l. al principio) ve lho detto.14
La versione persiana, alla quale non stata riservata finora quasi nessuna
attenzione dagli studiosi di filologia biblica, bench si sia supposta la presenza di
tracce di lezioni cesariensi, traduce il sintagma greco con lespressione az ghz,
ossia dal principio.15
3. A questo proposito, lesegesi patristica greca del passo giovanneo non ci
purtroppo di grande aiuto, dal momento che le poche occorrenze non ci forniscono
elementi davvero significativi per una pi chiara comprensione del testo; anzi, il
tentativo generalizzato di glissare sullinterpretazione letterale del difficile passo
sembra confermare limpressione di oscurit o perlomeno di ambiguit che gli
stessi antichi dovevano provare dinanzi ad esso.16 A tal riguardo, di scarsa utilit
riesce il commentario origeniano a Giovanni che, pervenutoci frammentario,

13

Affermare, come fa Smothers 1958, 114, che in questo caso Nonnus too has taken
liberties mi pare eccessivo.
14
Le edizioni utilizzate sono quelle di Horner 1911 per la versione sahidica e Horner 1898
per la bohairica.
15
Il testo persiano in Walton 1657, V, 445.
16
Mi pare troppo approssimativa laffermazione in Bauer 1958, 222, secondo cui
J 8,25 ist, wie die griechischen Vter fast durchweg verstehen, adv. gebraucht =
berhaupt, s che tutta la frase dovrebbe essere tradotta come esclamativa: da ich berhaupt
noch zu euch rede!; in tal caso sarebbe usato, secondo Metzger 1994, 191, nel senso
dellebraico hfm (per es. Gen 28,17; 2Sam 6,20; Ml 1,13: cfr. Davidson 1901, 163; WaltkeOConnor 1990, 326), che peraltro nei LXX, almeno con questo valore, tradotto con o
o in altro modo, ma mai, a quanto pare, con .

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presenta una vasta lacuna proprio l dove lautore si avvia a spiegare il v. 25:
lunico dato che sembra potersene ricavare losservazione circa latteggiamento
elusivo di Ges di fronte alla domanda provocatoria dei farisei.17
Perfino Giovanni Cristostomo, che da buon antiocheno in genere molto
attento alla lettera del testo e non di rado offre interessanti considerazioni di
carattere linguistico, su questo punto ci delude col suo atteggiamento cursorio ed
evasivo:
Gli dicono dunque: ; Che follia! Dopo tanto tempo, tanti segni e tanti
insegnamenti domandano ancora: ; Che cos dunque il Cristo?
. Tale il senso di ci che dice: Siete indegni di udire del tutto le mie
parole, figurarsi di sapere chi io sia! Voi infatti parlate sempre per mettermi alla prova
e non prestate attenzione a niente di ci che dico etc.18

Come si pu vedere, il Crisostomo, al pari di Origene, si limita ad osservare


che Ges di fatto si sottrae alla domanda dei farisei, persuaso della sua capziosit:
ad una non-domanda si oppone pertanto una non-risposta.
Daltro canto, dal commento a Giovanni di Cirillo di Alessandria si pu
desumere quale tipo di analisi sintattica vi sia sotteso:
.
, , ,
[].
. , ,
, .
Sono stato tenuto in nessun conto e considerato da voi un uomo da nulla. Ma ben mi
sta, dice, perch ho dato io inizio al discorso con voi, perch vi ho detto qualcosa che
poteva giovarvi []. Ma il Cristo con queste parole sembra suggerirci anche un altro
senso. Non dovevo assolutamente, dice, parlarvi dallinizio, ma piuttosto donare questo
beneficio a quelli che si sarebbero volentieri rallegrati delle mie parole etc.19

Abbiamo innanzi tutto la conferma che anche Cirillo sentiva la domanda dei
farisei (Chi sei tu?) come venata di disprezzo, visto che linterlocutore si sente
tenuto in nessun conto e stimato un uomo di nessun valore.20 Inoltre, lo stesso

17

Comm. in Ioh. 19,24(7) (GCS 10/4 326, 1 e 6 Preuschen = PG 14, 572).


In Ioh. hom. 53, 1 (PG 59, 293).
19
In Ioh. 8, 25 (PG 73, 817). Cfr. anche Cramer 1841, 276-277.
20
Poco prima Cirillo aveva cos commentato, riecheggiando il Crisostomo: (i farisei)
intervenendo con molta follia dopo tanto tempo, tanti segni e tanti insegnamenti domandano:
18

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ANTONIO PIRAS

patriarca di Alessandria doveva notare lambiguit della risposta di Ges, se ne


propone una duplice interpretazione. Entrambi i sensi proposti presuppongono
una frase interrogativa, seppur retorica, che Ges rivolge a s stesso con un senso
quasi di pentimento per aver parlato ai suoi interlocutori e in cui ha il valore
di perch:21
;
T ; =
1. ;
2. ;

interessante rilevare che nel primo caso manterrebbe il valore di


accusativo delloggetto, mentre nel secondo sarebbe una locuzione avverbiale
equivalente a , dal principio; ci che consuona con
linterpretazione di Nonno che di Cirillo era, a quanto sembra, contemporaneo.
Nel XVI secolo, nel fervore degli studi filologici e soprattutto della critica del
testo, il passo controverso fu oggetto di rinnovate analisi e interpretazioni. Mentre
Erasmo, discostandosi, come vedremo, dalla Vulgata, rendeva la locuzione
con in primis,22 lumanista Jacques Lefvre dtaples (ca. 1450-1536),23
Teodoro Beza (1519-1605), il grande erudito protestante, discepolo e
collaboratore di Calvino,24 e il gesuita spagnolo Giovanni Maldonado (1533-1583)
ripercorrevano la pista interpretativa tracciata da Cirillo e da Nonno. Soprattutto
Maldonado nel suo commento ai vangeli, considerato il capolavoro e il primo
commentario moderno, dopo aver esaminato le possibili soluzioni del passo,
spiega: alii denique accipiunt tertio modo pro a principio, quo ego
modo prorsus accipiendum esse arbitror, et quia sensum meliorem efficit et quia
observavi hunc usum eius Graeci adverbii in Scripturis apud Septuaginta esse
frequentissimum.25

Tu chi sei?. E ci voleva chiaramente dire: Hai la sfrontatezza di avere di te stesso una
considerazione pi alta di quella che noi abbiamo di te? (PG 73, 816).
21
Cfr. Metzger 1994, 191.
22
Erasmo 1705, 376 traduce Gv 8,25: in primis quod et loquor vobis.
23
dtaples 1541, 569: [] consuetudine Graecanica capitur pro
, id est secundum principium, sive a principio: et tunc sensus est, quaerentibus
pharisaeis: Tu quis es? Dicit eis Iesus: Sum id, quod a principio etiam loquor vobis []. Et
usurpat frequentissime Ioannes Hebraeorum more praesens pro praeterito, et tempus pro
tempore et id, loquor vobis, perinde est ac locutus sum, ac si diceret: Sum id quod a principio
locutus sum vobis.
24
Beza 1594, 400-402.
25
Maldonado 1854, 687.

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4. Anche la forma / stata oggetto di varie interpretazioni che oscillano


tra il pronome relativo/interrogativo e la congiunzione. Mentre Cirillo di
Alessandria sembra intendere col valore dellinterrogativo ,26 Nonno di
Panopoli gli assegna il valore prettamente relativo di ci che, che poi la lettura
data da Teodoro Beza ([id] quod a principio dico vobis)27 e seguita dalla
maggioranza delle moderne versioni.
A proposito dellambiguit interpretativa di / , potr qui accennare solo
incidentalmente ad unaltra questione. In Gv 8 il pronome/congiunzione presente
anche al v. 24 ( .) e al v. 28 (
), espressioni che, almeno nella maggior parte delle versioni moderne,
compresa la italiana CEI 2008, vengono tradotte come se non crederete che (=
) Io Sono e allora conoscerete che (= ) Io Sono,28 laddove sembrerebbe
pi naturale tradurre se non crederete ci che (= ) io sono e allora
conoscerete ci che (= ) io sono.29 In tal modo sono perfettamente coerenti
tanto la domanda dei farisei (perch? tu chi sei?), quanto la (non-)risposta di
Ges: Ci che vi sto dicendo dallinizio; e altrettanto coerente risulterebbe il
seguito del discorso: 8,28 quando innalzerete il figlio delluomo, allora saprete
davvero ci che (= ) io sono.
La curiosa scelta traduttoria viene generalmente spiegata alla luce di alcuni
passi veterotestamentari30 e in particolare di Es 3,14, uno dei luoghi pi importanti
e pi oscuri della Bibbia, dove Dio rivelerebbe il proprio nome:
11

Mos disse a Dio: Chi sono io per andare dal faraone e far uscire gli Israeliti
dallEgitto?. 12Rispose: Io sar con te ( ) []. 13Mos disse a Dio:
Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi.
Mi diranno: Qual il suo nome?. E io che cosa risponder loro?. 14Dio disse a
Mos: Io sono colui che sono! ( ). E aggiunse: Cos dirai agli Israeliti:
Io-Sono ( ) mi ha mandato a voi.

26

Le occorrenze di questo fenomeno nel NT (per es. Mc 2,16; 9,11.28) sono discusse in
Blass-Debrunner-Rehkopf 1982, 383-384; cfr. anche Bauer 1958, 1161.
27
Beza 1594, 400.
28
Il maiuscolo nel testo. Non molto diversa la traduzione ABU 1985.
29
Cos infatti leggono alcune versioni moderne, come la Bible in Basic English 1964 (8,28
then it will be clear to you who I am, ma in 8,24 if you have not faith that I am he), la
French Louis Segond 1910 e la French Nouvelle Edition de Genve 1975 (entrambe: alors
vous connatrez ce que je suis). Altre traducono come le italiane oppure adottano soluzioni
senza dubbio arbitrarie, come la Bible Franais Courant (vous reconnatrez que je suis qui
je suis), la New International Readers Version 1995 e la The New International Version
1984 (entrambe: Then you will know that I am the one I claim to be) con un riferimento pi
esplicito a Es 3,14.
30
Per es. Dt 32,39; Is 41,4; 43,13; 46,4; 48,12: cfr. Barrett 1962, 282-283.

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Dunque levangelista avrebbe intenzionalmente richiamato Es 3,14,


utilizzando una tipica Offenbarungsformel per affermare la divinit di Cristo. Non
entro nel merito di una complessa questione esegetica,31 ma la presunta relazione
fra Gv 8,24.28 e Es 3,14 non pu non apparire alquanto speciosa e comunque
condizionata da categorie appartenenti alla filosofia ellenica dellessere.32 Da un
punto di vista narrativo, lunico elemento che sembra legare Es 3,14 e Gv 8,25
il fatto che in entrambi i casi la domanda dellinterlocutore elusa: Ges non
rivela la propria identit, cos come Dio glissa sul proprio nome,33 assicurando
peraltro la sua vigile presenza. Non sar inutile riportare qui la traduzione del
passo veterotestamentario fatta da Martin Buber e Franz Rosenzweig:
11

Mosche sprach zu Gott:


Wer bin ich,
da ich zu Pharao gehe,
da ich die Shne Jisraels aus gypten fhre!
12
Er aber sprach:
Wohl, ich werde dasein bei dir,
und dies hier ist das Zeichen, das ich selber dich schickte:
hast du das Volk aus gypten gefhrt,
an diesem Berg werdet ihr Gotte dienstbar.
13
Mosche sprach zu Gott:
Da komme ich denn zu den Shnen Jisraels,
ich spreche zu ihnen: Der Gott eurer Vter schickt mich zu euch,
sie werden zu mir sprechen: Was ists um seinen Namen?
was spreche ich dann zu ihnen?
14
Gott sprach zu Mosche:
Ich werde dasein, als der ich dasein werde.34

31

A tal riguardo si veda in particolare Zimmermann 1960 e Thyen 1992.


Barr 1968, 349 ritiene improbabile che alla resa greca di Es 3,14 con sia
sottesa una riflessione ontologica sulla base della metafisica greca, mentre Garbini 2011, 252253 va ancora pi in l, assegnando allo stesso autore di Esodo la volont di dare alla religione
di Israele uno spessore filosofico di tipo ellenistico e collegare il tetragramma yhwh al verbo
essere (hayah) con una forzatura sul piano linguistico.
33
noto che in ebraico il nome non si riduce ad una semplice etichetta identificativa,
ma indica lessenza stessa, dunque lidentit della persona.
34
Buber-Rosenzweig 1992, I, 157-158 (il corsivo mio). Secondo tale lettura, alla
domanda di Mos se mi diranno qual il tuo nome, che cosa risponder?, Dio, riprendendo
quanto aveva detto al v. 12 (io sar con te), risponde: Non preoccuparti, tu va: io ci sar,
come sempre e nel modo che io vorr. Commenta ancora Buber 1964, 623-624: Der Gott
macht somit keine theologische Aussage ber seine Ewigkeit oder gar seine Aseitt, sondern
er spricht seiner Kreatur, seinem Menschen, seinem Volk den Zuspruch zu, dessen sie bedrfen
[]. Das erste ehje spricht einfach zu: Ich werde da sein (je und je bei meiner Schar, bei
32

ANASTODEINS, ATEI JAH RODJA DU IZWIS

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Appartiene del resto alla topica letteraria, soprattutto nellAntico Testamento,


il rifiuto di Dio di rivelare il proprio nome o la propria identit: emblematici a
questo riguardo i passi di Gen 32,30 e Gdc 13,18. Ed probabile che levangelista,
facendo ricorso a questa topica, intendesse proprio sottolineare la divinit del
Cristo.
5. La difficolt del passo giovanneo, come spesso accade, ha determinato nelle
Veteres Latinae (VL) e nella stessa Vulgata (Vulg) una resa pedissequa del modello,
dando lavvio a una interpretazione originale e del tutto staccata dal testo greco:
VL:35

principium quod et loquor vobis
principium] f ff2 l q e | initium a aur c d j r1 | in primis b || quod] plerique | qui e | quia
b | quoniam d || et] aur c d e j f ff2 l q | om. a b | propter lacunam deest in r1 || vobis]
plerique | vobiscum b r1.

Vulg:36
principium quia et loquor vobis
quia] plerique | quod MPG | qui c Merk.

La procedura di una traduzione meccanica di passi biblici oscuri con la


rinuncia a qualsiasi tentativo di interpretazione ben documentata: si tenga conto
che nel caso delle Veteres Latinae i traduttori erano spesso sprovvisti di adeguati
strumenti traduttorii ed esegetici,37 s che nei casi problematici si limitavano a
una vera e propria traduzione interlineare, lasciando linterpretazione delle
Scritture a quanti ritenevano dotati di uno speciale carisma. Daltra parte la fedelt

meinem Volk, bei euch) []; und das folgende ascher ehje nach allen Parallelen nur bedeutet:
als welcher immer ich dasein werde, als der ich je und je dasein werde, d.h. so wie ich je und
je werde erscheinen wollen, ich selber nehme meine Erscheinungsformen nicht vorweg. Su
tale interpretazione si leggano le interessanti osservazioni di Vinci 2008, 321-324.
35
Jlicher 1963, a cui si rimanda per il conspectus siglorum dei manoscritti riportati in
apparato.
36
Weber 19833, a cui parimenti si rimanda per le sigle dei manoscritti.
37
Sul fatto che spesso si trattasse di traduttori improvvisati cfr. Aug. doctr. 2,11,16 ut enim

158

ANTONIO PIRAS

alloriginale era dovuta alla consapevolezza del traduttore di aver davanti a s un


testo sacro, di cui, per dirla con Girolamo, et uerborum ordo mysterium est38 e
dove singula nomina habent singula sacramenta:39 in altre parole, ogni dettaglio
del testo biblico, compresa la Wortstellung, racchiudeva un mistero che nessuna
libert traduttoria avrebbe dovuto sacrificare e nessun azzardo interpretativo
avrebbe rischiato di tradire.40
Non molto diversa la logica sottesa alla Vulgata geronimiana del Nuovo
Testamento, dal momento che, almeno per quanto riguarda i Vangeli, lo
Stridonense si limit a ritoccare qua e l un testo che gli si presentava ormai
collaudato e consacrato dalluso, sia liturgico sia esegetico, senza procedere ad
una versione ex novo come aveva fatto per lAntico Testamento. Ecco perch la
tradizione testuale della Vulgata si interseca e si confonde cos spesso con quella
delle Veteres Latinae da apparire come tessuto delle stesse maglie di ununica
rete.
Nel caso di Gv 8,25 la tradizione del testo si presenta infatti sostanzialmente
compatta, se si escludono poche varianti, alcune abbastanza scontate (quod, quia,
quoniam) e altre piuttosto indipendenti (in primis, qui) che tradiscono il tentativo
di un aggiustamento, operato forse sulla scorta di una tradizione meno testuale che
esegetica.
Non sorprende che la comprensione di un passo cos oscuro abbia dovuto far
ricorso ad unesegesi anagogica che, una volta preso il volo, avrebbe cominciato
a vivere di una vita propria, completamente avulsa dal testo originale. un
procedimento che si constata di frequente, soprattutto quando il testo per la sua
oggettiva difficolt sfugge a una interpretazione letterale: un intero libro della
Bibbia, il Cantico dei Cantici, reso oscuro dalle molte traversie della sua
tradizione, ha potuto consentire un approccio esegetico di tipo esclusivamente
allegorico.41
Sotto questa prospettiva, la versione latina del nostro passo ha offerto, rispetto
al greco, una chiave interpretativa in pi. Infatti il sostantivo neutro principium,
impiegato per rendere , poteva essere inteso tanto come accusativo,
quanto come nominativo, trasformando la non-riposta di Ges in una riposta piena
e pregnante dal punto di vista teologico:

cuique primis fidei temporibus in manus uenit codex Graecus et aliquantum facultatis sibi
utriusque linguae habere uidebatur, ausus est interpretari.
38
Hier. epist. 57,7.
39
Hier. tract. in psalm. 82,42-43.
40
Per questi aspetti si veda in generale Piras 2013, 315-317.
41
Cfr. Garbini 1989.

ANASTODEINS, ATEI JAH RODJA DU IZWIS

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Dicebant ergo ei: Tu quis es?


Dixit eis Iesus: Principium quod (qui) et loquor vobis.
Gli dicevano dunque: Tu chi sei?
Ges rispose: il Principio che vi parla.

Una simile interpretazione evidentemente del tutto slegata dal testo greco,
dove laccusativo , comunque lo si voglia intendere, non potrebbe in
alcun modo essere considerato un predicativo riferito al soggetto, ossia a Ges;
al contrario, lambivalenza dei casi diretti del neutro latino spalancava la porta a
una simile, seppur ardita, soluzione interpretativa. A tal fine non mancavano i
supporti scritturistici: passi neotestamentari palesemente cristologici come Col
1,18 (scil. ) e Apc 1,8 ,
(cfr. 31,6) oppure veterotestamentari cristologicamente interpretati come
Pr 8,22 , fornivano un
solido supporto anche allesegesi di Gv 8,25.
La concezione di Cristo come , forse di matrice giudeocristiana,42 ma
alimentata senza dubbio da categorie platoniche che suggerivano di vedere nel
Logos il modello universale delle cose create, gi presente nellapologetica greca
del II secolo, in particolare in Giustino,43 Taziano44 e Teofilo di Antiochia.45
Qualche decennio pi tardi ad Alessandria Clemente cerca di argomentare sulla
base di Os 2,1-2 che il Figlio 46 e Origene nella sua prima Omelia sulla
Genesi mette in relazione Gen 1,1 con Gv 1,1, che lo riecheggia, e spiega:
In principio fecit Deus caelum et terram (Gen 1,1). Quod est omnium principium nisi
dominus noster et saluator omnium, Iesus Christus, primogenitus omnis creaturae (Col
1,15)? In hoc ergo principio, hoc est in Verbo suo, Deus caelum et terram fecit, sicut
et euangelista Iohannes in initio euangelii sui ait dicens: In principio erat Verbum, et
Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum. Hoc erat in principio apud Deum.
Omnia per ipsum facta sunt et sine ipso factum est nihil (Gv 1,1-3). Non ergo hic
temporale aliquod principium dicit, sed in principio, id est in saluatore factum esse
dicit caelum et terram et omnia quae facta sunt.47

42

Danilou 1974, 277-280.


Dial. 61,1 e 62,4.
44
Ad Graecos 5: l la potenza del Logos.
45
Autol. 2,10: Dio ebbe il suo Verbo come esecutore di tutte le sue opere e per mezzo di
lui ha fatto tutto. Si chiama , perch il principio e il Signore di tutto ci che stato
creato per mezzo suo.
46
Ecl. proph. 4,1; cfr. strom. 6,7,58.
47
Hom. in Gen. 1,1 (SC 7bis p. 24 Doutreleau); cfr. anche comm. in Ioh. 1,19 (GCS 10/4
p. 23 Preuschen): Egli (scil. Cristo) chiamato in quanto Sapienza. Sullesegesi
origeniana del primo versetto di Genesi cfr. Nautin 1973, 89-90.
43

160

ANTONIO PIRAS

In principio Dio cre il cielo e la terra. Qual il principio di tutto se non il nostro
Signore e Salvatore di tutti, Ges Cristo, il primogenito di tutta la creazione? Dunque
in questo principio, cio nel suo Verbo, Dio cre il cielo e la terra, come dice anche
levangelista Giovanni allinizio del suo vangelo: In principio era il Verbo, e il Verbo
era presso Dio, e il Verbo era Dio. Questo era in principio presso Dio. Tutto stato
fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla stato fatto. Qui dunque non parla di un
qualche principio cronologico, ma dice che nel principio, cio nel Salvatore stato
fatto il cielo e la terra e tutto ci che esiste.

Pi tardi, sulla scorta di queste riflessioni, Girolamo, riferendosi ad Aristone


di Pella, pot scrivere che in ebraico il primo versetto di Genesi suona: in filio
Deus fecit caelum et terram.48
Riflessioni non molto diverse in riferimento al Messia si riscontrano nella
letteratura rabbinica dei primi secoli, soprattutto nei midrashim, ci che sembra
confermare lorigine giudeocristiana di questo tipo di esegesi. Ad esempio nel
midrash allEsodo, detto Shemot Rabbah, si dice che anche il Messia chiamato
(Primo o Principio).49
Col conforto di tali riflessioni cristologiche, le versioni latine di Gv 8,25 hanno
dato lavvio ad una vera e propria corrente esegetica, che si manifesta come ormai
compiuta in Ambrogio di Milano e che si snoda fino a Tommaso dAquino e
oltre.50 Si tratta di una corrente esegetica tipicamente occidentale, giacch solo la
resa latina del versetto giovanneo poteva fornirle, attraverso lambiguit sintattica
del neutro principium, una giustificazione anche linguistica.
Ambrogio di Milano sembra essere il primo che abbia insistito su tale lettura
di Gv 8,25, conferendole cos autorit e fortuna. NellEsamerone, commentando
la prima giornata della creazione, parla in riferimento a Cristo di un principio
mistico e, sulla scorta di Origene, aggancia a Gv 8,25 i tre passi biblici cruciali
di Apc 1,8, Gen 1,1 e Gv 1,3:
Est etiam initium mysticum, ut illud est, Ego sum primus et nouissimus, initium et finis
(Apc 1,8). Et illud in Euangelio praecipue, quod, interrogatus Dominus quis esset,
respondit: Initium, quod et loquor uobis. Qui uere et secundum diuinitatem est initium
omnium, quia nemo ante ipsum; et finis, quia nemo ultra ipsum []. In hoc ergo
principio, id est in Christo, fecit Deus caelum et terram (Gen 1,1), quia per ipsum
omnia facta sunt, et sine ipso factum est nihil quod factum est (Gv 1,3).51

48

Quaest. in Gen. 1,1 (PL 23,937).


Shemot Rabbah 15,1; cfr. Wnsche 1882, 395; Black 1967, 236-237.
50
Ledizione del 2003 della Biblia castilian di Serafn de Ausejo traduce ancora
sorprendentemente: Preguntbanle, pues: Y quin eres t?. Jess les contest: El
principio, el que ahora os est hablando.
51
Hex. 1,4,15 (CSEL 32/1 p. 13 Schenkl).
49

ANASTODEINS, ATEI JAH RODJA DU IZWIS

161

Ma c anche un principio mistico, ad esempio quello di cui si dice: Io sono il Primo


e lUltimo, il Principio e la Fine, e, soprattutto, quello dellepisodio evangelico, quando
il Signore, interrogato chi mai egli fosse, rispose: Sono il Principio che vi parlo. Ed
egli, secondo la divinit, veramente il principio di tutte le cose, poich nessuno esiste
prima di lui; ed la fine, perch nessuno dopo di lui []. In questo principio, cio
in Cristo, Dio cre il cielo e la terra, perch Tutto fu fatto per mezzo di lui e senza di
lui nulla fu fatto di ci che stato fatto.

Unanaloga considerazione era stata gi fatta poche pagine prima a commento


di Gen 1,1 in Hex. 1,2,5.
Su Gv 8,25 Ambrogio ritorna ancora nel De fide, terminato intorno al 380,
dove in prospettiva antiariana affronta il problema delle due nature del Cristo:
dopo averne fatto cenno in 3,7,49, definendo il Cristo omnium principium con
riferimento a Col 1,18, vi insiste ancora pi chiaramente in 5,10,121:
Quid est ergo: Non credit in me? (Gv 12,44) Non in id quod corporaliter cernitis, non
in hominem tantummodo, quem uidetis: non enim in hominem tantummodo
credendum asseruit, sed ut credas quia Iesus Christus ipse est Dei filius et homo.
Propter quod et utrumque ait: A meipso non ueni (Gv 7,28), et alibi: Ego sum
principium quod et loquor uobis. Quasi homo, a se non uenit; quasi Dei filius non ex
homine principium habet, sed Sum, inquit ipse, principium quod et loquor uobis.
Che cosa significa dunque: Non crede in me? Non in ci che percepite fisicamente,
non nelluomo soltanto che vedete: non disse infatti che bisogna credere solamente
nelluomo, ma di credere che Ges Cristo egli stesso figlio di Dio e uomo. Per questo
disse: Non sono venuto da me stesso, e altrove: Io sono il principio che vi parlo. In
quanto uomo, non venuto da s stesso; in quanto figlio di Dio non ha principio da un
uomo, ma Io sono, disse, il principio che vi parlo.

Si noti come Ambrogio per rendere pi esplicita la sua esegesi ampli la


citazione completando lellissi della frase: Ego sum principium quod et loquor
uobis.52
Tra IV e V secolo lesegesi cristologica del passo giovanneo conosce una certa
fortuna: la ritroviamo in Apponio, di ambiente romano e autore di una Expositio
in Canticum Canticorum, databile fra il 405 e il 415. Al pari di Ambrogio e sotto
levidente influsso di Origene, egli in un contesto trinitario aggancia Gv 8,25 a
Gen 1,1 e Gv 1,1:

52

La citazione giovannea occorre anche in in Luc. 10,112 nella forma principium, qui et
loquor uobis che si affianca a quelle dellEsamerone (initium, quod et loquor uobis) e del De
fide (principium, quod et loquor uobis), segno di una situazione ancora fluttuante delle versioni
latine.

162

ANTONIO PIRAS

Dixit Deus per Moysen in primo libro Geneseos: In principio fecit Deus caelum et
terram (Gen 1,1). [] Harum autem trium personarum unitas omnifariam in nouo
testamento per beatum Iohannem euangelistam, per Verbi uocabulum luce clarius
manifestatur, dicendo: In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus
erat Verbum (Gv 1,1). Patrem autem in Filio omnia fecisse, ipse Filius approbauit qui,
interrogatus a Iudaeis: Tu quis es? respondit se esse Principium, in quo beatus Moyses
caelum et terram facta testatur, dicendo: Principium, quod et loquor uobis.53
Dio disse per mezzo di Mos nel primo libro della Genesi: In principio Dio cre il
cielo e la terra. [] Lunit di queste tre persone emerge con tutta evidenza dovunque
nel Nuovo Testamento attraverso le parole dellevangelista Giovanni, attraverso la
Parola stessa: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio.
Che il Padre avesse creato tutto nel Figlio, lo dichiar il Figlio stesso, quando alla
domanda dei Giudei: Tu chi sei? rispose di essere il Principio nel quale Mos attesta
che fu creato il cielo e la terra, dicendo: Il Principio che vi parlo.

Ma stato soprattutto Agostino a offrire unesegesi del passo giovanneo ampia


e dettagliata e a lasciarla in eredit alle et successive. Lomelia 38 del Commento
a Giovanni interamente dedicata al nostro versetto e lIpponate vi d prova della
sua profondit speculativa e della sua fine abilit di analisi del testo, corredata di
osservazioni psicologiche e linguistiche. Nellinterpretazione del passo introduce
una novit, costituita dal riferimento a Es 3,14, mentre lascia da parte il consueto
richiamo a Gen 1,1 e a Gv 1,1:
Tamen hoc attende quod ait Dominus Christus: Si non credideritis quia ego sum,
moriemini in peccatis uestris. Quid est: Si non credideritis quia ego sum? Ego sum,
quid? Nihil addidit; et quia nihil addidit, multum est quod commendauit. Exspectabatur
enim ut diceret quid esset, nec tamen dixit. Quid exspectabatur ut diceret? Forte: Nisi
credideritis quia ego sum Christus; nisi credideritis quia ego sum Dei Filius. []
Multum est quod ait ipsum: Ego sum: quia sic dixerat et Deus Moysi: Ego sum qui
sum. Quis digne eloquatur quid sit, sum?54
Bada tuttavia a ci che dice Cristo Signore: Se voi non credete che io sono, morrete nei
vostri peccati. Che significa se non credete che io sono? Io sono che cosa? Non ha
aggiunto nulla; e siccome non ha aggiunto nulla, molto ci che ha voluto richiamare.
Ci si aspettava che dicesse che cosa egli era e non lha detto. Che cosa ci si aspettava
che dicesse? Forse: Se non credete che io sono il Cristo; oppure se non credete che io
sono il Figlio di Dio? [] Io sono unaffermazione molto significativa; cos infatti
Dio aveva detto a Mos: Io sono colui che sono. Chi potr adeguatamente spiegare
che cosa significa sono?

53

In Ct. 6,28-29 (CCL 19 pp. 149-150 de Vregille-Neyrand).


Comm. in Ioh. 38,8. Il testo latino e la traduzione italiana che abbiamo utilizzato sono
quelli della Nuova Biblioteca Agostiniana (vol. XXIV, Citt Nuova, Roma 1968).
54

ANASTODEINS, ATEI JAH RODJA DU IZWIS

163

Poco oltre nello spiegare che Cristo il Principio e che tale il senso della
risposta data ai farisei ci fornisce qualche informazione di carattere linguistico.
Agostino, attento interprete della Scrittura conosceva il greco, che da ragazzo
aveva dovuto imparare suo malgrado a suon di busse,55 e non poteva certamente
non notare loscurit del testo greco di Gv 8,25 e lambiguit della versione latina.
Dopo aver dunque sottolineato la differenza di genere tra il greco e il latino
principium, nellintento di superare lincoerenza dei due testi ricorre a un
escamotage sintattico che, a suo dire, darebbe maggior profondit alla risposta di
Ges, ma che alla fine non convince per la sua stessa macchinosit.
Egli insomma ritiene che laccusativo sia da considerare come
complemento oggetto di un (sottinteso) imperativo desumibile dal
versetto precedente (8,24b ). Il dialogo dunque
dovrebbe essere inteso in questo modo:
, .
;
, .

Della effettiva bont di tale artificio non possibile non pensare che perfino
Agostino, mente straordinariamente lucida e acuta, fosse talvolta indotto a
dubitare:
Et illi semper terrena sapientes et semper secundum carnem audientes et respondentes,
quid ei dixerunt? Tu quis es? Non enim cum dixisti: Nisi credideritis quia ego sum,
addidisti quid esses. Quis es, ut credamus? Et ille: Principium. Ecce quod est esse.
[] Principium, ait, quia et loquor uobis. Principium me credite, ne moriamini in
peccatis uestris. Tamquam enim in eo quod dixerunt: Tu quis es? nihil aliud dixerint
quam: Quid te esse credimus? respondit: Principium; id est: Principium me credite. In
Graeco namque eloquio discernitur, quod non potest in Latino. Apud Graecos enim
feminini generis est principium, sicut apud nos lex generis feminini est, quae apud
illos est masculini: sicut sapientia et apud nos et apud illos generis feminini est.
Consuetudo locutionis ideo per diuersas linguas uariat genera uocabulorum, quia in
ipsis rebus non inuenis sexum. [] Cum ergo dicerent Iudaei: Tu quis es? ille qui
sciebat esse ibi quosdam credituros, et ideo dixisse: Tu quis es? ut scirent quid illum

55

Cfr. conf. 1,14. La conoscenza del greco da parte di Agostino discussa; mi pare peraltro
eccessiva lopinione di Pincherle 1930, 12, secondo cui il greco imparato da Agostino si
restrinse a ben poco, forse a poco pi che i primi elementi della grammatica. Pi equilibrata
la posizione di Chadwick 1989, 9, il quale ritiene che lIpponate fu presto in grado di leggere
i libri greci che gli servivano; nella maturit tradusse con competenza, per suo uso e consumo,
testi filosofici molto tecnici. Per non si sogn mai di acquisire una concoscenza approfondita
di Omero e della letteratura greca, come molti aristocratici romani del suo tempo.

164

ANTONIO PIRAS

credere deberent, respondit: Principium: non tamquam diceret: Principium sum; sed
tamquam diceret: Principium me credite. [] Et addidit, quia et loquor uobis: id est,
quia humilis propter uos factus, ad ista uerba descendi.56
E quelli che sempre si fermavano alle cose della terra e sempre ascoltavano e
rispondevano secondo la carne, cosa gli dissero? Tu chi sei? Dicendo infatti Se non
credete che io sono, non hai aggiunto chi sei. Devi dirci chi sei, se vuoi che crediamo.
Egli rispose: Il Principio. Ecco cos lessere. [] Io sono dice il Principio che
anche parlo a voi. Credete che io sono il Principio, se non volete morire nei vostri
peccati. Come se con quella domanda Tu chi sei?, gli avessero chiesto: chi dobbiamo
credere che sei? Egli rispose: Il Principio; cio credetemi il Principio. Il testo greco
pi chiaro di quello latino. Presso i greci infatti principio di genere femminile,
come presso di noi di genere femminile la legge, che invece presso di loro di genere
maschile; sapienza invece di genere femminile tanto presso di noi che presso di loro.
Il modo di esprimersi cambia in ciascuna lingua, perch le cose non hanno sesso. []
Quando dunque i Giudei gli chiesero Tu chi sei?, egli che sapeva che tra quelli cerano
alcuni che avrebbero creduto e che gli avevano chiesto Tu chi sei? appunto per sapere
che cosa dovevano credere di lui, egli rispose: il Principio; non nel senso: Io sono il
Principio, bens: Credetemi il Principio. [] E aggiunse: che anche parlo a voi; cio,
che umiliandomi per voi, mi sono abbassato fino ad usare il vostro linguaggio.

Agostino riprende in altre opere il passo giovanneo in maniera cursoria con un


riferimento pi tradizionale ora a Gv 1,1-3,57 ora a Gen 1,1.58
Dal V secolo in poi, soprattutto grazie allautorit di Ambrogio e di Agostino,
i riferimenti a Gv 8,25 e alla sua esegesi ormai codificata si fanno vieppi
frequenti: ne ritroviamo le tracce dal Contra Varimadum dello Pseudo-Vigilio di
Tapso59 alle Solutiones diuersarum quaestionum dello Pseudo-Agostino,60
entrambi di area africana, da Fulgenzio di Ruspe61 a Verecondo di Iunca,62 da
Fausto di Riez63 fino a Beda.64 Si arriva quindi, attraverso la letteratura

56

Comm. in Ioh. 38,11.


Per es. epist. 149,25, della fine del 415, dova la forma del passo principium, qui et
loquor uobis, e c. Maximin. 2,174 (CCL 87A p. 608 Hombert).
58
Per es. Gen. ad litt. 3 (CSEL 28,1 p. 461).
59
1,12,1 (CCL 90 p. 25 Schwank).
60
10,10 e 60,17 (= Ambr. fid. 5,10,120-122) (CCL 90 pp. 158-159 e 198 Schwank).
61
Ad Tras. 2,5,2-3 e c. Fab. frg. 24,4, entrambi con riferimento ad Apc 1,8 (CCL 91 pp.
124-125 e 91A pp. 800-801 Fraipont).
62
In cant. Habacuc 13,23 (CCL 93 p. 138 Demeulenaere): ego sum principium, quod et
loquor uobis; il versetto, attraverso Apc 1,8 (e 31,6), utilizzato in funzione del tema del
mysterium lunae, su cui cfr. Rahner 1995, 145-287.
63
Spir. 1,4 ego sum principium, quod et loquor uobis (CSEL 21 p. 106 Engelbrecht); epist.
3 (CSEL 21 p. 170, 20-21 Engelbrecht), entrambi con allusione ad Apc 1,8 (e 31,6).
64
In Gen. 1,1,1 (CCL 118A p. 3 Jones), naturalmente in riferimento a Gen 1,1; temp. rat.
40,15 (CCL 123B p. 405 Jones).
57

ANASTODEINS, ATEI JAH RODJA DU IZWIS

165

mediolatina, a Tommaso dAquino, che, col modo di argomentare e la


terminologia tipici della scolastica, riprende, includendovi anche le considerazioni
linguistiche, lomelia 38 del Commento a Giovanni dellIpponate.65
6. Come si visto, abbiamo a che fare con una tradizione esegetica abbastanza
documentata, ma circoscritta in area esclusivamente occidentale, che ha potuto
prender lavvio e alimentarsi grazie alla traduzione latina del difficile passo
giovanneo.
Ununica, isolata coincidenza con la traduzione latina si riscontra nella
versione etiopica che, omettendo , legge qR: aP, (io sono) il
Primo e ho parlato a voi.66 Trattandosi di un testo misto che, sulla base di un
originale greco o siriaco, mostra tracce di contaminazioni successive dalle versioni
copte e araba,67 si pu in questo caso pensare ad unelaborazione indipendente.
Ci che invece ci pare di straordinario interesse la perfetta consonanza della
versione gotica con la tradizione latina:
aruh qeun du imma: u as is?
jah qa du im Iesus: Anastodeins, atei jah rodja du izwis.68

In questa sede non si potr che fare un rapido accenno alla complessa questione
della Vorlage della Bibbia gotica, per la quale rimandiamo soprattutto agli studi
specifici di Carla Falluomini.69 La versione gotica dipende chiaramente dal greco
e i pi recenti studi sono orientati a riconoscervi il testimone indiretto pi
significativo del testo bizantino che noi troviamo in forma compiuta solo a partire
dallVIII-IX secolo nei manoscritti in minuscola.
Una questione nella questione costituita dalle lezioni occidentali che il testo
gotico ha in comune con le Veteres lLatinae e con i Padri latini. La presenza di tali
lezioni stata spiegata in vario modo.
Lopinione oggi pi accreditata che le lezioni occidentali, che divergono
dal tipo-base bizantino, vadano considerate lezioni antiche che circolavano in

65

Super Ioh. 8,1,3.


Ledizione utilizzata quella di Wechsler 2005; cfr. anche Metzger 1994, 191. Si noti
che lo stesso termine qudmw, primo, principio impiegato in 1Gv 2,13 per tradurre
: cfr. Dillmann 1865, 464. Il Wechsler riporta tuttavia in apparato la variante sm
n nbrkkm qudm, ci che io vi ho detto prima, che senzaltro pi vicina al
greco.
67
Cfr. Metzger 1996, 88-89.
68
Ledizione di riferimento Streitberg 20007; unedizione sinottica del solo vangelo di
Giovanni basata sul codex Argenteus in Francini 2009.
69
Si veda soprattutto Falluomini 2008, Falluomini 2010 e Falluomini 2015.
66

166

ANTONIO PIRAS

ambiente costantinopolitano prima di essere sostituite dalle lezioni bizantine.


Dunque, le caratteristiche occidentali della bibbia gotica si spiegherebbero
direttamente attraverso il modello greco utilizzato,70 vale a dire un tipo
occidentale primitivo, rintracciabile in certe versioni orientali, in alcuni Padri
greci e in qualche manoscritto greco.
A tal riguardo, gi Jlicher71 sostenne che tutte le varianti occidentali del
gotico si riscontrerebbero di fatto nei testimoni greci del tipo occidentale e nelle
relative versioni; e anche von Soden72 credeva che le varianti comuni al gotico e
al latino fossero presenti nel Codex Bezae, considerato il principale rappresentante
di quel tipo testuale. Ipotesi verisimili, se non fosse che proprio Gv 8,25 sembra
smentirle o perlomeno ridurne la portata, dal momento che la lezione del codex
Bezae ( ) non in grado di spiegare direttamente il
testo gotico.73
Ma non mancano altre opinioni, non meno ragionevoli. Si pensato, da un
lato, che Vulfila abbia utilizzato per la sua traduzione, accanto al modello greco,
anche uno o pi manoscritti latini.74 La consuetudine di collazionare diversi
testimoni nellattivit di traduzione e trasmissione dei testi del resto ben
documentata e le fonti ci informano che Vulfila, operante in unarea geografica a
cavallo tra le due partes imperii, conoscesse, oltre al gotico e al greco, anche il
latino.75 Dal lavoro dellquipe per la nuova edizione critica della Bibbia gotica
emerge con sempre maggior evidenza la consonanza tra il testo gotico e le versioni
latine pregeronimiane, rappresentate in particolare dai codici Brixianus (f),
Monacensis (q) e Corbeiensis (ff2).
Daltro lato, non si esclude che la contaminazione con la versione latina sia
avvenuta in una fase successiva, allorch la bibbia gotica arriv in Occidente nel
V secolo al seguito dei Goti, favorita magari dalla circolazione di manoscritti
bilingui, che alla versione gotica della bibbia affiancavano quella latina.76
Comunque stiano le cose, nel nostro caso innegabile che per la resa di Gv
8,25 il traduttore goto abbia avuto presente il testo latino. Conformemente ai
criteri di estrema fedelt al modello e di sostanziale uniformit adottati per la

70

Cfr. Gryson 1990, 27-31.


Jlicher 1910, 379.
72
Von Soden I, 2 470.
73
Scrivener 1864, 120.
74
Lietzmann 1919, 276-277; Falluomini 2006, 5.
75
Cfr. Scholia in concilium Aquileiense 33 f. 305v (CCL 87 p. 163 Gryson).
76
Questa fu gi lopinione di Kauffmann 1919 e Kauffmann 1922; sui problemi connessi
ai bilingui veda Dolcetti Corazza 2004, 36-39.
71

ANASTODEINS, ATEI JAH RODJA DU IZWIS

167

versione, Vulfila traduce il passo in modo quasi meccanico.77 Imbarazzato


probabilmente dalla scarsa intelligibilit del testo greco, deve essersi affidato a
qualche manoscritto latino che aveva sottocchio e alla relativa tradizione
esegetica che in area occidentale abbiamo visto essere ampiamente diffusa,
almeno a partire da Ambrogio di Milano che del vescovo goto era praticamente
contemporaneo. Le tradizioni esegetiche hanno del resto sempre fornito un
agevole supporto ai traduttori nel caso di passi problematici, come lesperienza
geronimiana ci insegna.
Se infatti il traduttore si fosse basato esclusivamente sul modello greco, non
avrebbe potuto fare a meno di tradurre alla lettera *o anastodein, atei jah rodja
du izwis, una soluzione di scarsa intelligibilit. Avrebbe forse anche potuto
tradurre, un po pi liberamente, *fram anastodeinai atei jah rodja du izwis; ma
se scrittori del calibro di Giovanni Crisostomo o di Cirillo di Alessandria non
riuscirono a dissimulare il proprio disagio dinanzi al difficile passo giovanneo,
lecito dubitare che Vulfila, che certamente non pot neppure disporre dei loro
commenti per ragioni cronologiche, arrivasse ad elaborare, vincolato comera al
modello greco, una soluzione traduttoria cos nitida.
Invece limpiego del nominativo anastodeins in corrispondenza
dellaccusativo greco si rivela la prova pi certa del ricorso ad un testo latino e alla
tradizione esegetica che vi era sottesa. Non si tratta dunque di un Miverstndnis
des bersetzers, come annotava Streitberg,78 ma di una ben precisa scelta
traduttoria.
Si potrebbe pensare, come stato spesso ipotizzato, che il testo gotico sia stato
adeguato successivamente, intorno al V secolo, alla bibbia latina, quando la Bibbia
di Vulfila fu portata in Occidente dai Goti e dalle altre popolazioni germaniche che
ne facevano uso. Bisogna tuttavia considerare che la Bibbia gotica non ebbe
soltanto una funzione catechetica o liturgica: si deve infatti presumere
lintenzione da parte delle istituzioni ecclesiastiche e politiche gotiche di
preservare la traduzione di Vulfila da revisioni che ne alterassero la forma
originaria, in considerazione della valenza simbolica della Bibbia gotica, un testo
consacrato dalla tradizione, che contribuiva ad enfatizzare lidentit religiosa ed
etnica dellelite al potere e a legittimare la stessa Chiesa dei Goti.79
Ma allipotesi di una revisione operata in et successiva, almeno relativamente
al nostro passo, si oppone non soltanto un motivo ideologico; ve n infatti anche
uno teologico di non minore peso. Infatti, un ritocco del testo di Gv 8,25 che

77

Cfr. Dolcetti Corazza 2004, 44-45.


Streitberg 20007, 42.
79
Falluomini 2010; si veda anche Dolcetti Corazza 2004, 41.
78

168

ANTONIO PIRAS

finisca per presentare Cristo come anastodeins, come nel senso indicato da
Origene e da altri, presupporrebbe ladesione alla dottrina della consostanzialit
del Figlio col Padre, che del tutto incompatibile con la cristologia ariana,
soprattutto con quella del V secolo che, ancora a salvaguardia di unidentit
politica e religiosa, riproponeva gli aspetti pi radicali dellarianesimo.80
Dinanzi a Gv 8,25 Vulfila si trov a un bivio: o tradurre meccanicamente dal
greco col risultato di avere un gotico incomprensibile, oppure seguire il testo delle
Veteres Latinae col rischio di avere una traduzione che avrebbe potuto fornire un
dictum probans contro la dottrina ariana da lui stesso professata.81 Scelse la
seconda via, tecnicamente meno malagevole e tutto sommato pi conforme al
criterio di fedelt al testo originale da lui seguito. In realt, a parte il fatto che il
vescovo goto seppe sempre sfuggire alla tentazione di manipolare la propria
versione a fini settari, come dimostra chiaramente il caso di Gv 10,30, dove luso
ricercato del duale sa pi di niceno che di omeano,82 agli ariani della prima ora non
faceva difficolt indicare il Figlio come principium: non per nel senso
dellesegesi platonizzante di Gen 1,1 che egli fosse il modello eterno e universale
delle cose create, ma nel senso che fosse la prima e pi sublime creatura del Padre,
fatta per operare la creazione del mondo e principio stesso della storia, secondo
lesegesi tipicamente ariana di Pr 8,22
. Ma che per gli ariani l, il principium ontologico e cronologico
del Figlio sia il Padre e resta il fondamento di quel subordinazionismo che
caratteristico della loro dottrina.83
Ecco perch ha senso che sia stato Vulfila in persona a tradurre in quel modo
il passo giovanneo, laddove ne avrebbe molto meno, anzi sarebbe assurdo se a
ritoccarlo fossero stati i tardivi e radicali seguaci dellarianesimo. E questi, se non
osarono alterare la traduzione di un passo che, quantunque stridesse col loro credo,
era ormai consacrato dallauctoritas dellapostolo delle genti gote, dovettero
perlomeno orientarne lesegesi in senso ariano ogni qual volta venisse citato.
quel che accade nelle poche occorrenze di Gv 8,25 presenti nella superstite
letteratura ariana latina, che tra laltro sembrano confermare ancora una volta la
consonanza del testo gotico con quello latino.
Negli Scholia Arriana in concilium Aquileiense, conservati in un manoscritto
parigino,84 che contengono osservazioni marginali di parte ariana sul Concilio di
Aquileia del 381 e in particolare sul dibattito tra lariano Massimino e Ambrogio,

80

Si veda quanto scrive Simonetti in Quasten III, 97-104; cfr. inoltre Vian 1995.
Sullarianesimo di Vulfila si veda Simonetti 1976.
82
Cfr. Piras 2007, 44.
83
Cfr. Simonetti in Quasten III, 100.
81

ANASTODEINS, ATEI JAH RODJA DU IZWIS

169

la citazione di Gv 8,25 principium quod et loquor uobis viene agganciata a Gv 1,1


in principio erat uerbum con la precisazione che Cristo s principium, ma nel
senso che egli rappresenta linizio stesso della creazione.85 In un modo analogo,
ma pi chiaro, la stessa citazione si ritrova in uno dei frammenti dellExpositio in
Lucam, conservato in un manoscritto ambrosiano.86 Nel commentare Lc 1,33 essa,
che si presenta nella forma disambiguata ego principium, quod et loquor uobis,
inserita in un collage di altre citazioni (Gv 1,1; Sal 109,3, Pr 8,22, Apc 1,9) ed
spiegata nel senso che il Figlio, in quanto creato dal Padre, habet principium e
rappresenta linitium in genitura, ossia il (Col 1,15).87
Queste pur tardive testimonianze, risalenti alla fine del IV secolo o ai primi
decenni del V e dunque contemporanee a Cirillo di Alessandria e a Nonno di
Panopoli, attestano che la lettura occidentale del passo giovanneo era accettata
senza riserve anche dai Goti di area latina, fornendo cos una riprova del fatto che
essa era in perfetta consonanza con la scelta traduttoria di Vulfila.
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84

Paris, Bibliothque Nationale, lat. 8907.


Scholia in concilium Aquileiense 13 f. 301r (CCL 87 p. 154 Gryson).
86
Milano, Biblioteca Ambrosiana, C 73 inf.
87
Expositio in Lucam 1,33 f. 29r-29v (CCL 87 p. 206 Gryson).
85

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