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ENEIDE [Aeneis]. Il maggior poema della romanit, scritto da Publio Virgilio Marone (70-19 a. C.

) dopo il 29 fino alla


vigilia della sua morte, e rimasto incompiuto, sia nei versi, che qua e l appaiono non terminati, sia nelle incoerenze
della composizione e nella struttura della narrazione. Secondo la volont del poeta, caso avrebbe dovuto perire tra le fiamme, ma
Augusto volle che si salvasse e si pubblicasse, senza alcun ritocco. Consta di due parti di uguale estensione, nettamente divise e distinte: la
prima (libri I-VI), imitata dall'Odissea (v.), narra i viaggi di Enea (v.), finch l'eroe giunge in Italia; la seconda (VII-XII), imitata dall'Iliade (v.),
le guerre per la conquista del Lazio, fino alla fondazione del regno di Lavinio. Dopo sei anni d'avventurosi viaggi, Enea sta per giungere in
Italia, quand'ecco Giunone riesce a disperdere le navi dei Troiani che a stento approdano in Libia. Enea, mentre in compagnia del fedele Acate
esplora la regione, si imbatte in una giovane cacciatrice e da lei apprende che v' una citt vicina, Cartagine, la cui fondatrice Didone (v.),
fuggita da Tiro dopo la morte del marito Sicheo. Quando la cacciatrice si allontana, Enea riconosce in lei, dal suo celeste profumo, Venere
madre sua. Con Acate si avvia allora verso la citt, dove si sta costruendo un magnifico tempio a Giunone. Quivi sono istoriate le pareti del
tempio con episodi della guerra di Troia. Didone, cui Enea si presenta con i suoi compagni, invita l'eroe a banchetto nel suo palazzo. Enea
manda a chiamare il figlio Ascanio, perch venga e porti doni alla regina. Ma Venere, che teme la perfidia cartaginese, sostituisce il giovinetto
addormentato con Cupido, reso simile ad Ascanio. Didone, gi presa d'amore, grazie a Cupido, prega l'ospite che narri della caduta di Troia e
della sua vita errabonda (Libro I). Enea comincia il racconto dal giorno che precede la rovina: i Greci, costruito un enorme cavallo di legno, lo
riempiono di eroi e, simulando il ritorno, si nascondono dietro l'isola di Tenedo. Ai Troiani stupiti un Greco prigioniero, Sinone, che si finge
perseguitato da Ulisse, dichiara che gli assedianti si sono decisi per il ritorno, dopo aver costruito il cavallo per propiziare Pallade crucciata, e
cos grande affinch i Troiani non lo possano introdurre dalle porte. Il sacerdote Laocoonte mentre consigliava di non accogliere il cavallo,
ucciso da due serpenti ed creduto vittima della sua empiet. Vengono dunque abbattute le mura della citt per far passare il cavallo che
collocato sulla rocca. Quando tutti sono immersi nel sonno, escono dalla costruzione gli eroi achivi. Enea, cui compare in sogno Ettore (v.), si
sveglia quando bruciano gi le case di Troia; egli raduna un manipolo di prodi che, assaliti e uccisi alcuni Greci, indossano le armi dei caduti
per fare strage di nemici. Sopraffatti dal gran numero soccombono. Enea rimane solo e corre alla reggia di Priamo (v.), dove vede morire il
vecchio re; a tal vista si ricorda del padre suo, vecchio come il re, della moglie Creusa senza difesa, dei figlio Iulo. Li raggiunge e col padre
sulle spalle, reggendo Iulo per mano, seguito da Creusa, che per presto scompare nel tumulto, si avvia nella notte. Al sorgere del mattino,
Enea prende la via dei monti (Libro 2). Abbandonata la spiaggia troiana, prende terra in Tracia, ma, poich col fu assassinato un figlio di
Priamo, Polidoro, deve lasciare la terra maledetta. A Delo, l'oracolo di Apollo, interrogato, risponde che si cerchi la terra degli avi. Anchise
suppone che questa sia Creta, dove giunti fondano una citt, Pergamea: ma la peste li caccia da quel luogo. Enea ha una visione: gli appaiono i
Penati e gli dicono che la madre antica la terra Ausonia, donde Dardano venne. Approdano quindi alle isole Strofadi: le arpie predicono che
Enea fonder la sua citt in Italia, ma dopo aver mangiato per fame le mense. Arrivano ad Azio, donde approdano a Butroto. Andromaca (v.), la
vedova di Ettore, che ha sposato l'indovino Eleno, appena vede Enea e le armi troiane, sviene per la commozione. Dopo un patetico colloquio,
Enea, ripreso il viaggio, sbarca nel porto di Venere, che il primo approdo nel suolo italico. Arrivato in vista di Scilla e Cariddi, volge a
sinistra e prende terra presso l'Etna, nel luogo dei Ciclopi; costeggiata quindi la Sicilia, entra nel porto di Drepano. Qui gli muore Anchise e
cos finisce il racconto di Enea (Libro 3). La regina non sa ormai pi dominare la sua fiamma: il connubio si compie in una grotta, durante una
caccia, ma breve felicit. Giove manda a Enea Mercurio, che gli rimprovera la sua inerzia e gli ricorda il regno d'Italia. Enea, obbediente,
ordina di preparare nascostamente la flotta e rimane inflessibile alle preghiere della disperata Didone. Al mattino, mentre la flotta troiana si
allontana, la regina si trafigge su un rogo, dopo aver maledetto i Troiani e predetto loro la vendetta di Annibale (Libro 4). Enea, giunto a Erice,
dopo un anno che Anchise morto, offre libazioni e vuole che l'anniversario sia solennemente celebrato con agoni. Ma Giunone manda Iride,
che persuade le donne a dar fuoco alla flotta per porre fine ai mali della lunga peregrinazione. Tizzi ardenti sono gettati sulle navi, che
vengono salvate da un acquazzone provvidenziale. Enea, fondata la citt di Acesta, dove han dimora le donne e gli invalidi, parte per l'Italia
col fiore dei Troiani. Giunto in vista d'Italia, Palinuro (v.), il timoniere della nave, vinto dal sonno, precipita in mare col timone. Enea prende il
governo della nave, e s'avvicina all'Italia (Libro 5). Approda a Cuma, presso la spelonca della Sibilla, scende nell'antro, dove il dio profetico
annuncia nuovi pericoli e nuovi travagli, e, dopo essersi munito di un ramoscello sacro dalle foglie d'oro, fatti sacrifizi a Proserpina e a
Plutone, va per il luogo sotterraneo delle ombre, finch giunge alla palude Stigia. L sono Caronte e Cerbero, il cane trifauce. Nel Limbo trova i
bambini e i suicidi; pi oltre, nei campi del pianto, le anime dei morti per amore, fra le quali Didone che lo respinge; pi avanti i guerrieri
caduti sul campi di battaglia. Giunto alla reggia di Plutone, Enea depone il ramoscello d'oro; pi innanzi, nei Campi Elisi, il poeta Museo
conduce Enea da Anchise, il quale mostra al figlio le anime destinate a tornare sulla terra e in special modo i discendenti di Enea: i re albani,
Romolo, la gente Giulia. Inoltre, i grandi cittadini della repubblica, Cesare (v.), Pompeo, i due Marcelli, Claudio, il vincitore dei Galli e dei
Cartaginesi, e il giovane Marcello, nipote di Augusto. Enea torna alfine fra i compagni (Libro 6). Si giunge alle foci del Tevere: l'eroe manda
ambasciatori al re Latino, che li accoglie benignamente, ravvisando in Enea il genero straniero, annunciatogli dagli oracoli. ma Giunone
chiama a s Aletto, perch susciti la discordia e faccia s che Amata, la moglie di Latino, non voglia che la figlia Lavinia sposi uno straniero,
quando gi stata promessa a Turno (v.), re dei Rutuli. Questi, infatti, raduna i suoi. Tutto il Lazio in armi: passano in rassegna i guerrieri
italici: Mesenzio, Lauso, Aventino, Catillo, Cora, Ceculo, Messapo, Clauso, Aleso, Ufente, Umbrone, Virbio, Turno e da ultimo Camilla (v.), la

vergine guerriera (Libro 7). Secondo il consiglio del dio Tiberino, Enea risale il corso del Tevere, finch giunge a Pallanteo, una povera citt di
pastori, sita sul luogo dove nascer la grande Roma. Presentatosi al re Evandro (v.), egli ottiene facilmente ospitalit e alleanza; Pallante (v.),
figlio di Evandro, lo seguir. Durante il banchetto festosamente offerto, Enea ascolta la narrazione delle gesta di Ercole, che ivi uccise Caco,
onde nacque il culto per l'eroe. Accompagnato dal re, visita quei luoghi che un giorno diverranno famosi: l'ara massima, la porta Carmentale,
la selva, asilo di Romolo, il Lupercale e il monte Tarpeio. Intanto Venere, ottenute da Vulcano la armi per il figlio, gliele porta, tutte istoriate
con i principali fatti della storia romana: la lupa e i gemelli, il ratto delle Sabine, Romolo e Tito Tazio Mezio Fufezio, Orazio Coclite e Clelia, i
Galli e il Campidoglio, i Salii, i Lupercali, i Flamini; infine Catilina e Catone. Nel mezzo campeggia la battaglia d'Azio (Libro 8). Turno durante
l'assenza di Enea assale il campo dei Troiani, cercando di dar fuoco alle navi. Ma Giove le trasforma in ninfe del mare. Durante l'assedio al
campo, Niso (v.) volontariamente si offre d'andare ad avvisare Enea del pericolo che stanno correndo i Troiani; fedele amico gli si aggiunge
Eurialo (v.). Ottenuto l'ambito incarico, escono di notte: attraversano il campo dei nemici immersi nel sonno e ne fanno strage. Ma, sorpresi da
una pattuglia nemica che li insegue, Eurialo preso; Niso, visto perduto l'amico, ritorna indietro a vendicarne la morte e cade sul corpo
dell'altro; le teste dei due giovani, infitte su picche, sono esposte agli occhi dei Troiani. Esultanti i Rutuli attaccano con tale audacia da
riuscire a forzare la porta, per la quale irrompe Turno, ma, separato dai suoi, costretto a fuggirsene per il fiume (Libro 9). Giova aduna il
concilio divino e, lamentando che gli di si siano mischiati nella guerra, protesta che si deve lasciar libero il corso al destino. Enea, stretta
l'alleanza con Tarcone, capo degli Etruschi, gi in cammino con le loro forze riunite. La sua nave avanza per prima, seguita da tutta la flotta,
finch giunge in vista del campo troiano. Turno, appena vede Enea, si precipita a impedire lo sbarco, e nella zuffa affronta e uccide il giovane
Pallante, fregiandosi poi del balteo cesellato del caduto. Enea, che vuol vendicare la morte dell'amico, cerca invano Turno, trasportato da
Giunone lontano dal campo (Libro 10). All'alba avviene la solenne sepoltura di Pallante, che, tra i pianti, portato in funebre
accompagnamento dal padre Evandro.
Per seppellire i caduti si pattuisce una tregua. L'ora incalza: affidato il comando della cavalleria alla vergine Camilla, Turno si apposta in
un'imboscata. Ma Camilla, nonostante il suo valore, uccisa da Arunte. La sua morte costringe Turno a uscire nella pianura in campo aperto
(Libro 11). Per evitare inutile spargimento di sangue il Rutulo offre di battersi in duello con Enea: chi vincer avr come consorte Lavinia. Si
giurano i patti, ma la ninfa Iuturna, troppo temendo per il proprio fratello, mescolandosi alla folla dei Rutuli, riesce a spargere il disordine e a
far s che una freccia ferisca un alleato di Enea. Anche Enea, nella zuffa che ne nasce, ferito; della sua assenza dalla battaglia approfitta
Turno per far strage dei Troiani, ma prontamente risanato, Enea ritorna sul campo: tremano i nemici nel vederlo e si volgono in fuga. La
regina Amata, vedendosi perduta, si uccide. Ormai non c' pi salvezza per i Rutuli. Turno, compresa la gravit del momento, vuole una morte
degna della sua nobilt: accorso alle mura, invita Enea a battaglia. I due si scontrano con indicibile furore, ma Turno, infranta la sua spada
sull'armatura di Enea, costretto alla fuga, inseguito dall'eroe. Gli di decidono che i Troiani vincano, ma che non siano essi a dare ai Latini il
nome, la lingua, le leggi: dalla morte di Troia nasca Roma. Turno ormai perduto, atterrato e ferito chiede grazia a Enea, il quale, impietosito,
sta gi per donargli la vita, quando, vistogli indosso il balteo di Pallante, ricorda il giuramento di vendetta e gli infligge il colpo mortale
(Libro 12). Tale la struttura epico-drammatica del poema, il pi ricco di esperienze e di spiritualit di tutta la letteratura latina, perch il poeta
ha mescolato alle favole antiche le ragioni ideologiche dei momento e i profondi sensi della storia. Il fatale errare di Enea e il lungo travaglio
della guerra latina danno l'impressione di un destino sovrumano che incombe. Il meraviglioso e il sovrannaturale, le divinit del cielo, della
terra, del mare, dei fiumi, le ninfe, gli eroi, i semidei si mescolano alle vicende degli uomini; ma il sovrannaturale sempre e soltanto usato
come sublimazione del reale, come potenziamento di affetti, sentimenti, passioni insiti nel cuore umano. Nel quadro generale del poema, dalla
caduta di Troia alla morte di Turno v' un unico e organico processo evolutivo, che deve condurre alla fondazione di Roma. Ma se i fati
dall'alto, inflessibili ed eterni, comandano, qui sulla terra gli uomini rimangono a soffrire: il travaglio di Enea tutto riposto nell'aspirazione
incontenibile di ricercarsi una nuova patria. Le pene dell'animo, il rimpianto del passato la speranza di un futuro migliore, il devoto
attaccamento alla divina genitrice Venere e alla prole che nascer da Ascanio danno un maggior rilievo e un pi intenso valore patetico alla
promessa dei fati e alla gloria della futura citt. Ma tutto ci non si identifica tanto con il mondo eroico degli antichi, quanto con quello
cavalleresco o quasi cristiano dei pi moderni. Aleggia per tutti i canti uno spirito ascetico, come quello che suscita lo stato d'animo di una
crociata. La stessa uccisione di Turno non un atto di ferocia, ma rappresenta il necessario epilogo di un triste evento, prestabilito per aprire
la via del regno latino e della grandezza futura di Roma. Sotto questo aspetto il poema veramente epico, ch l'epica dei Romani, formatasi
lentamente attraverso un processo d'evoluzione popolaresca e letteraria, aveva, gi da secoli, ricondotto l'origine dell'Urbe ai Troiani, anzich
ai Greci. Con Virgilio, tale concezione prendo una pi sistematica e complessa forma, in quanto egli suppone che i Troiani stessi derivino da
Dardano, signore di Cortona nell'Etruria, e che, quindi, distrutta Troia, essi ricerchino l'antica patria. La derivazione troiana trova un ulteriore
perfezionamento nell'albero genealogico della famiglia Giulia, la quale, con Cesare e Ottaviano, si vantava di discendere da Iulo Ascanio, figlio
di Enea, epper dal pi illustre dei Troiani venuti nel Lazio. Ma tutti questi elementi di propaganda sono stati rielaborati liricamente e
drammaticamente; i personaggi, in gran parte di ambiente omerico, se perdono in parte la loro aureola mitica e leggendaria, appaiono filtrati
attraverso una esperienza ellenistica, e cio attraverso la tecnica sia del piccolo carme epico, o epillio, sia del teatro borghese; sono, cos,
umani e non divini, alcuni quasi estranei all'epopea. Il pretesto patriottico, l'ispirazione politica, l'occasione panegiristica, sebbene pi

integrali e pi connessi con gli avvenimenti di quello che non fossero le allusioni fugaci delle Bucoliche (v.), le digressioni forzatamente
inserite nelle Georgiche (v.), appaiono sempre come qualche cosa di sostanzialmente diverso e di non interamente assimilabile dal genio
poetico di Virgilio. Il quale indugia pi volentieri sul giovanetto Marcello, morto come Polidoro, Eurialo, Niso, Pallante, Camilla, nel fiore
dell'et, che non sui nomi illustri dei grandi Romani, i Fabil, gli Scipioni, i Cesari. L'Eneide, a differenza dei poemi omerici, non l'epopea
del divino, ma dell'umano, trasferito nella leggenda. F.D.C.dizione critica condotta con mutati principi e pubblicata a Parigi nel 1925. stato
redatto intorno al 1160, in dialetto normanno, non sappiamo da chi; s' pensato a Benot de Sainte-Maure, autore del Romanzo di Troia (v.). e
a Maria di Francia; ma l'una e l'altra assegnazione restano ipotesi poco campate. Virgilio v' seguito abbastanza fedelmente quanto a
contenuto; ma l'ordine dell'azione, che vuol essere esattamente cronologico, appare qua e l permutato. La versificazione sciolta. Che la
materia antica, come in tutti gli altri poemi del cosiddetto Ciclo classico (v.), sia stata trasposta, nel nostro rifacimento, la termini sociali
medievali, superfluo dire, sebbene esso palesi meno ripugnanza dei confratelli a mantenere elementi dell'apparato mitologico. Quel che gli
conferisce una posizione propria nell'ambito della storia del ciclo il manifesto influsso ovidiano: i suoi episodi amorosi non sono ancora
improntati alla raffinata galanteria che di l a poco costituir l'essenza dei romanzi cavallereschi, ma sono permeati da un interesse
psicologico pel fatto amore in s e per s, per la sua natura e definizione, pel modo del suo nascere e per le sue manifestazioni, che ha il
punto di partenza nella letteratura ovidiana, e che sottolinea stridentemente il distacco dallo spirito e dai gusti della vecchia letteratura epica
francese, addirittura ignara d'ogni complicazione sentimentale. S.P. ritti, il colorito generale come il sentimento erano cose proprie della vita
contemporanea, e rispondenti all'idea cavalleresca e cortigiana d'allora" (Comparetti). L'Eneide di H. v. Veldeke (la cui lingua riflette
fortemente il dialetto del poeta, nativo dei dintorni di Maastricht) , invece, una traduzione nel senso medievale, e cio un rifacimento. Ne d
gi la misura il numero dei versi, che sono 13528 di contro al 10156 del romanzo francese. Questo ampliamento dovuto per non tanto a
nuove invenzioni quanto a stemperamento e a una inserzione continua di particolari coi quali una primitiva logica realistica distrugge la
logica poetica. Valgano per esempio i versi 2448-60, nei quali Anna, trovando chiusa la camera di Didone (v.), si mette a picchiare alla porta e
gira invano la maniglia, finch le viene in mente di guardare attraverso il buco della serratura e cos scorge il corpo combusto della amorosa e
infelice regina! Il racconto vivace del Normanno si appiattisce in questo modo nel rifacimento dei Limburghese in una insistente descrittivit,
specialmente di abiti e vesti, affatto meccanica, ossia senza neanche il pregio di un vivace decorativismo. L'autore manca di stile; non solo, ma
non domina neanche bene il mezzo espressivo, il verso e la rima: di qui le zeppe, le formule, le ripetizioni. Come avviene ai provinciali, il
Veldeke, accogliendo
di Francia gl'ideali della cortesia cavalleresca, li esagera e li irrigidisce. Cos, non esita a togliere parole che avrebbero potuto turbare delicate
orecchie cortesi, come "fellonia" e "codardia"; tralascia le sentenze sulla mobilit della donna; sopprime luoghi indecenti come le
insinuazioni sulla pederastia di Enea da parte della madre nel vivace contrasto colla figlia Lavinia innamorata; trasforma i vili pastori in
guerrieri, gli arcieri in nobili, secondo modi che ricordano le convenzioni sociali e poetiche della Francia prima del Romanticismo; si dilunga
nella cronaca stilizzata di cerimonie, ricevimenti, feste. Come quella che corrispondeva ai bisogni dei tempi, l'Eneide ebbe un grande successo
in Germania. Da una parte per una ragione formale, in quanto che l'introduzione nella poesia tedesca, da parte del Veldeke, della rima pura
invece della solita assonanza fu novit apprezzatissima. Poi, per l'interesse della materia e la novit del genere. Reminiscenze ed echi
dell'Eneide ricorrono, infatti, numerosi nella letteratura poetica immediatamente posteriore, compresi il Parsifal (v.) di Wolfram e il Tristano
(v.) di Gottfried von Strassburg. Wolfram chiama espressamente il Veldeke suo maestro; e Goffredo ne tesse un caldo elogio nel Tristano (v.
4724 sgg.). V.S. Quattrocento era apparso il solo lavoro del Lancia, nei primi del nuovo secolo assai numerose sono le versioni italiane. Per il
primo libro esce a Venezia nel 1532, in terza rima, quella di Emilio Cambiatore da Reggio: la prima non toscana. Stesa in decenni precedenti,
e gi mal giudicata dal Guarino, venne rifatta con un tono cinquecentesco da un Giampaolo Vasio e edita nel 1539. Sempre in Venezia, nel
1540, vennero tradotti in sciolti i primi sei libri, quale opera di sei gentiluomini in onore di sei dame: notevoli le versioni del cardinale
Ippolito de'Medici per Giulia Gonzaga e di Alessandro Piccolomini per Frasia Venturi. Quest'opera (di cui era nota in passato una copia con la
giunta dei libri VII-VIII) fu ristampata nel 1544: e ben conferma il carattere mondano ed elegante con cui il poema venne accolto nella
magnifica vita del Rinascimento anche al di fuori di interessi strettamente culturali. Nella raccolta completa delle opere virgiliane in rima
toscana, apprestata in Firenze nel 1556 da Lodovico Domenichi, la versione dei gentiluomini fu ristampata, ma Tomaso Porcacchi sostitu con
una propria la parte di Aldobrando de'Cerretani. Costui a sua volta tradusse in ottave, con ampi rifacimenti tutto il poema e lo pubblic nel
1560 nella stessa citt. questo un "travestimento" di tipo ariostesco assai singolare, e si ispira a una solennit degna della cavalleria e delle
nuove imprese dei condottieri italiani, a esempio con lodi a Cosimo I de'Medici in bocca ad Anchise, e simili; laddove l'opera dei gentiluomini,
nel centone del Domenichi, ha pi che altro un carattere disinvolto e manierato, da galanteria di societ, che ne spiega la fortuna a tutto il
Seicento. Ancora in ottava rima la versione di Alessadro Guarnello, col primo libro (a Venezia, senza indicazioni di stampa e di data, poi in
Roma nel 1554 e in ristampe) e col secondo (a Venezia nel 1573, con ristampe). Un manoscritto completo di tale traduzione, noto nel
Settecento, fu evidentemente disperso in seguito. Nei 1542 Pietro Aretino magnificava all'Alamanni la versione dell'ottavo libro, opera
manoscritta dal patrizio veneto Giustiniani. Nel 1567-68 viene pubblicata postuma la versione dell'intero poema di Ludovico Dolce. Sei versioni
parziali escono tra il 1562 e il 1589; migliore quella del 1584-85 per i due primi libri dovuta a Giovanni Andrea dell'Anguillara (famoso per

il libero volgarizzamento delle Metamorfosi, v., di Ovidio) e ristampata perfino nell'Ottocento. Con questo traduttore si sente che ormai
l'Eneide latina non che un pretesto per una nuova creazione d'arte: con eleganza, ma anche con disinvoltura, l'antico classico considerato
come un canovaccio che la stessa ottava fa rifiorire fin con nuove situazioni. Davanti all'esempio dell'Anguillara, che rif il poema virgiliano
nella scia dell'Orlando furioso, Annibal Caro (1507-1566) pi sottilmente letterato ma non meno disinvolto, si inserisce nella tradizione che era
stata dell'Alamanni e dei Trissino. quella del verso sciolto, e finisca col vincere la prova con maestria: la sua Eneide, del 1563-66, pubblicata
postuma a Venezia nel 1581. cos veramente in Italia la classica versione del capolavoro virgiliano. Lo scrittore, desideroso per gran tempo di
scrivere un poema epico, essendo avanti negli anni, si appassiona alla sua versione cercando di ricreare secondo un proprio modo l'opera del
poeta antico. In tal modo con vivacit e grazia questa Eneide italiana acquista un suo posto tra le opere che si possono chiamare originali: gli
episodi sono rivissuti con un nitore plastico degno del Rinascimento; e il tono elegiaco rispecchia bene, sia pure con qualche manierismo,
quello di Virgilio; le avventure sono rese con una variet snodata e libera, tanto da mostrare qualche volta le caratteristiche di una versione
"bella ma infedele". Non vale a superare lo stilizzamento dell'Eneide ormai fissata col verso eroico nella letteratura italiana la versione, in
ottave, del mantovano Ercole Udine, pubblicata nel 1597, e ristampata nel 1600, n quella del primo libro, in esametri italiani, di Bernardo
Filippini, del 1659. Un posto a s, per la sua utilit pratica e anche per l'esattezza filologica, merita una versione letterale. parola per parola,
delle varie opere (Venezia, Sessa, 1588): l'Eneide fatta italiana da Giovanni Fabrini da Figline si accompagna alle Bucoliche e alle Georgiche
tradotte da Carlo Malatesta da Rimini e da Filippo Venuti da Cortona, e, come solennemente dichiara il titolo dell'impresa, "con ordine, che
l'espositione Volgare dichiara la Latina e la Latina la Volgare, et utile tanto a chi in questo poema vuole imparare la lingua Latina, quanto a
chi cerca d'apprendere la Volgare". Pur con aperte concessioni al gusto dell'epoca e interpretazioni allegoriche e morali estranee al testo,
questa silloge ha un valore didascalico notevolissimo, specie per il fatto che tre appartenenti a diverse regioni d'Italia si erano uniti in un
lavoro collettivo al di fuori di particolari tendenze letterarie. L'opera fu ristampata pi volte, almeno a tutto il Settecento, ed ebbe fortuna fin
tra gli scolari. In tal modo il culto e la fortuna di Virgilio dal Medioevo a tutto il Rinascimento venivano a fondersi con la stessa tradizione
nazionale, or sotto il segno della dottrina or sotto quello della poesia. C.C.Dryden (1631-1700). Moltissime le versioni e i travestimenti moderni
francesi e tedeschi.

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