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2016

Anno

XXXIII

N.

6,00

LIBRO DEL MESE: Vasilij Grossman corrispondente di guerra


Di punto in bianco... Matticchio in mostra
Scientology: lucro, denunce e testimonial hollywoodiani
60005
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Maggio

N. 5

Matticchio
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pett.le Direttore,
Svorrei
fare un paio di preci-

sazioni a proposito di un articolo apparso nel numero


di aprile: mi riferisco a
Contaminazioni fisiologiche del prof. Fiorenzo Conti.

o Abbonamento annuale solo elettronico (in tutto il mondo):


Consente di leggere la rivista direttamente dal sito e di scaricare copia del
giornale in formato pdf.
40

1) La prima proiezione dei Lumire non avvenne il 22 marzo 1895, ma il


28 dicembre, per la precisione
alle sei pomeridiane. Pare che
fossero presenti non pi di 12
o 20 persone.

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2) Pedanteria a parte, riferendo che per gli autori del volume


recensito, i meccanismi che
valgono per il grande schermo

valgono... anche per il piccolo, il prof. Conti aggiunge:


con grande sollievo dei cinefili. Ebbene no, perlomeno per
i cinefili non giovanissimi come
il sottoscritto: la magia proveniente dalle dimensioni
dello schermo di sala
non mai stata e
non potr mai essere compensata, non
dico dagli smartphone, ma
nemmeno dallo schermo televisivo. Duello al sole fu concepito unicamente per le sale: solo
su grande schermo pu essere
restituito alle sue autentiche dimensioni.
Con i migliori saluti
Giulio dAmicone

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Mimmo Cndito direttore responsabile
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N. 5

Matticchio
2 Lettere

Matticchio Di punto in bianco

Segnali
5 Trivelle

e questione energetica: il cortocircuito


dellignoranza, di Federico Paolini
6 Johan Cruijff: la testa e i piedi del pi bel calcio mai
pensato, di Fabrizio Tanzilli
7 Un capitalismo sempre nuovo. Intervista

a Luc Boltanski, del Collettivo La Botie
8 Lincertezza in agguato. Intervista a Jonathan Coe

e Jonathan Coe Number 11, di Mattia Zuccati
9 Il sereno la pi distesa delle nubi. Intervista a Franco
Cordelli e Franco Cordelli Una sostanza sottile,

di Giorgio Biferali
10 La profonda influenza dei traumi infantili,

di Maurilio Orbecchi
11 Allombra dei cipressi e dentro le case: lanalisi di due
fototesti, di Maria Rizzarelli
12 Maurizio Bettini: rivisitazioni del mito rigorose

e godibili, di Angela Maria Andrisano
13 Il debito pubblico era un bene comune. Intervista

a Giacomo Todeschini, di Massimo Vallerani
14 Alimentazione e produzione tra autobiografismo

e concretezza, di Luca Simonetti
15 Numeri e algoritmi, responsabili delle nostre
sofferenze, di Gabriele Lolli
16 Mario Pomilio e una nuova edizione
di Quinto Evangelio, di Domenico Calcaterra

SommariO

Poesia
21 Giorgio Orelli Tutte le poesie, di Davide Dalmas

Anna Maria Carpi Lanimato porto, di Enzo Rega

Pagina a cura del Premio Calvino


22 Cristian Mannu Maria di sili, di Fabio Stassi

Carlo Loforti Appalermo, appalermo!,



di Luca Ruffinatto

Speciale Celati
23 Una voce savia e folle, di Eloisa Morra
24 Quando Celati dormiva con Basaglia,

di Michele Ronchi Stefanati


Pedinando Zavattini, di Gianni Celati
25 Gianni Celati Romanzi, cronache e racconti,

di Ivan Tassi

Celati, Stendhal, Delfini scrittori-contrabbandieri,

di Anna Palumbo
26 Gianni Celati La banda dei sospiri,

di Massimo Castiglioni

La banda dei sospiri: Un viaggio attraverso le edizioni,
di Maria Pia Arpioni

Letterature
27 Dan Kavanagh Duffy, di Giulio Segato

John Mulgan Un uomo solo, di Paola Della Valle



Alice Munro Amica della mia giovinezza,

di Ennio Ranaboldo

Libro del mese


17 Vasilij Grossman Uno scrittore in guerra,

Classici
28 Franois-Ren de Chateaubriand

Primo piano
18 Lawrence Wright La prigione della fede,

Arte
29 Marcello Barbanera Storia dellarcheologia classica

Narratori italiani
19 Pier Luigi Celli E senza piangere,

di Giulia De Florio, Maria Ferretti e mc

di Marco Sioli e Luca Antonelli


di Angelo Ferracuti
Manlio Cancogni Il trasferimento,

di Mario Marchetti
Gaia De Pascale Come le vene vivono del sangue,

di Laura Savarino
20 Antonio Moresco Laddio, di Filippo Polenchi

Paolo Maurensig Teoria delle ombre,

di Elvio Guagnini
Tito FAraci La vita in generale, di Vito Santoro

Memorie doltretomba, di Carlo Lauro

in Italia dal 1764 ai giorni nostri, di Rosina Leone


Anna Ottani Cavina Terre senzombra,
di Michela Di Macco
Ccile Debray (a cura di) Balthus, di Mattia Patti

Fumetti
30 Manu Larcenet Blast, di Erik Balzaretti
Scienza e religione
31 Alister McGrath La grande domanda,


di Leonardo Ambasciano
Lisa Vozza e Giorgio Vallortigara Piccoli equivoci
tra noi animali, di Maria Cristina Lorenzi

Di punto in bianco
Il tiro parallelo al piano () dicesi di punto in bianco, perch usano i bombardieri la squadra collangolo retto diviso in dodici punti, chiamano lelevazione al
primo punto, al secondo, al terzo, ecc. tiro di punto uno, di punto due, di punto
tre ecc.: quel tiro poi, che non ha elevazione alcuna vien detto di punto in bianco,
cio di punto niuno, di punto zero.
Galileo Galilei, Trattato di fortificazione (1593).
Da questo dimenticato significato originario, quello figurato: allimprovviso, da un
istante allaltro, senza che niente lo lasci prevedere.
Un titolo perfetto per le creazioni imprevedibili di Franco Matticchio che illustrano
e impreziosiscono lintero numero di maggio dellIndice e per le quali ringraziamo ora
e sempre lautore.
Le illustrazioni di queste pagine costituiscono anche una sorta di anteprima perch
parte di esse saranno esposte, e vendute, durante la mostra torinese (vedi locandina di
p. 2) che LIndice ha organizzato con la collaborazione dellUnione culturale Franco
Antonicelli e la curatela di Cfr.artecontemporanea di Luca Terzolo e Carlotta Romano.
Apertura al pubblico tutti i giorni dalle 17 alle 20.
Eventi
17 maggio
ore 19 - inaugurazione
ore 21 - (in collaborazione con Asifa Italia) Serata di proiezione:
Matticchio e il cortometraggio animato dautore
26 maggio
ore 18 - presentazione dellultimo libro di Franco Matticchio

Storia
32 Simone Balossino I podest sulle sponde del Rodano,
di Enrico Faini
Marco Pellegrini Guerra santa contro i Turchi,
di Marina Formica
33 Jonathan Israel La Rivoluzione francese,

di Daniele Di Bartolomeo
35 Tiziano Bonazzi Abraham Lincoln, di Arnaldo Testi
Giacomo Todeschini La banca e il ghetto,


di Massimo Vallerani

Politica
36 Axel Honneth Il diritto della libert,

di Pier Paolo Portinaro


Massimo L. Salvadori Democrazia,
di Stefano Petrucciani

Societ
37 Alessandro Cavalli e Alberto Martinelli

La societ europea, di Sergio Fabbrini

Urbanistica
38 Colin Ward Architettura del dissenso,

di Cristina Bianchetti e Luis Martin Sanchez


Attilio Belli Memory cache, di Francesco Indovina

Musica
39 Pierre Boulez, Jean-Pierre Changeux e Philippe

Manoury I neuroni magici. Musica e cervello,


di Francesco Peri
Francesco Fontanelli Casella, Parigi e la guerra, di
Elisabetta Fava

Quaderni
41 Recitar cantando,

66: Drammi romantici e rarit


novecentesche, di Vittorio Coletti ed Elisabetta Fava
42 Effetto film: Ave, Cesare! di Ethan e Joel Coen,

di Giacomo Manzoli e Giulia Cataluccio
43 La traduzione: Familiarizzante, straniante,

interpretante o invisibile?, di Edoardo Esposito

Schede
45 Infanzia

di Sofia Gallo e Fernando Rotondo

di Fabio Fiori e Walter Meliga

di Roberto Giulianelli, Daniele Rocca, Federico Trocini,


Danilo Breschi, Monica Pacini e Roberto Barzanti

46 Mare

47 Storia

PALAZZO DUCALE_GENOVA
30.04

2016

1 8.09

2016

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partecipanti alla Fondazione Palazzo Ducale

una mostra

un progetto

www.salgadogenova.it

la mostra prodotta
con il sostegno di

organizzazione

www.palazzoducale.genova.it

sponsor istituzionale
della Fondazione Palazzo Ducale

sponsor attivit didattiche


della Fondazione Palazzo Ducale

Segnali

N. 5

Federico Paolini
Questione energetica, trivelle, referendum
Fabrizio Tanzilli
Cruijff, il pi bel calcio del mondo
Collettivo La Botie
Intervista a Luc Boltanski
Mattia Zuccatti
Numero undici
Intervista a Jonathan Coe
Giorgio Biferali
Una sostanza sottile
Intervista a Franco Cordelli
Maurilio Orbecchi
Limportanza dei traumi infantili
Maria Rizzarelli
Cipressi, tombe e due fotoracconti
Angela Maria Andrisano
I miti rivisitati da Maurizio Bettini
Massimo Vallerani
Il ghetto e la banca:
intervista a Giacomo Todeschini
Luca Simonetti
Autobiografie alimentari
Gabriele Lolli
La difficile divulgazione matematica
Domenico Calcaterra
Mario Pomilio e il Quinto evangelio

Questione energetica, trivelle e cortocircuito referendario


Una questione di ignoranza
di Federico Paolini

on credo che in fatto di energia sia


N
saggio ricorrere, oggi, con limpreparazione, con la non conoscenza genera-

contestazione (elaborazioni dellautore su


dati Nimby Forum) hanno riguardato prevalentemente gli impianti per la produziolizzata che vi di questi problemi, a refene di energia elettrica da fonti rinnovabili
rendum (). Prima di decidere, vi deve
(45,64 per cento del totale); gli impianti
essere un grande dibattito nazionale sui
per la gestione dei rifiuti (27,33 per cento);
problemi dellenergia. Cos parlava Aula produzione e la distribuzione di energia
relio Peccei, presidente del Club di Roma,
da fonti non rinnovabili (20,64 per cento);
a un convegno organizzato dallArci sul
la costruzione di infrastrutture di trasportema Ambiente ed energia: scelte energeto; la costruzione di altre infrastrutture
tiche e partecipazione popolare (Messina,
(2,32 per cento). Nel 2014, il macrosettore
dicembre 1978, cfr. Ezio Bussoletti, Ammaggiormente contestato rimasto quello
biente ed energia, Dedalo, Bari 1979).
energetico (64,12 per cento), seguito dai riTrentototto anni dopo, gli italiani sono
fiuti (24,54 per cento), dalle infrastrutture
stati chiamati, ancora una volta, a espridi trasporto (7,65 per cento) e dalle altre
mersi sulla politica energetica in un clima
infrastrutture (3,69 per cento). Le contecaratterizzato dallennesimo cortocircuito
stazioni si sono indirizzate prevalentemenmediatico e politico che ha un generato un
te contro gli impianti per la produzione di
dibattito disinformato e ideologizzato.
energia elettrica da fonti rinnovabili (37,20
Proviamo a delineare un breve ritratto
per cento) seguiti da quelli per la distribuenergetico dellItalia. Dal 1990 a oggi, lo
zione di energia (12,14 per cento), dai proscenario significativamente mutato. Per
getti di ricerca/estrazione di idrocarburi
quanto riguarda i consumi finali di ener(10,03 per cento), dalle discariche (10,03
gia delle famiglie (dati Eurostat), limpiego
per cento) e dai termovalorizzatori (8,18
di prodotti petroliferi declinato dal 35,7
per cento). Secondo: lignoranza del conper cento del 1990 al 7,6 del 2014, mentre
testo scientifico. La proposta referendaria
quello delle energie rinnovabili passato
stata motivata anche dalla contrariet
dal 2,4 per cento al 19,7. Per le famiglie,
allutilizzo delle emissioni di aria comla principale fonte energetica resta il gas
pressa in mare (air gun) per le prospezioni
(44,1 per cento nel 1990; 51,3 nel 2014),
geologiche. Nel corso della discussione sul
seguita dallenergia elettrica (17,4 per cenddl ecoreati, due forze politiche (Gruppo
to nel 1990; 18,7 nel 2014). Lelettricit
autonomie e libert e Fi) si sono spinte a
generata da fonti rinnovabili passata dal
proporre la reclusione da uno a tre anni
16,1 per cento del 2004 al 33,4 del 2014
per limpiego della tecnica dellair gun
del consumo lordo totale, dato che per
nelle attivit di ricerca e di ispezione dei
quanto resti distante da quelli di Norvegia
fondali marini. La proposta ha causato la
(109,6 per cento), Islanda (97,1), Svezia
vibrante protesta di tutti i principali centri
(63,3), Portogallo (52,1) e Lettonia (51,1)
di ricerca (Cnr, Conisma, Infn, Ingv, Ispra,
colloca lItalia prima della Germania
Ogs, Sgi, Szn Anton Dohrn, Sezione italia(28,2 per cento), della Francia (18,3) e del
na Eage/Seg) che, in una lettera firmata dai
Regno Unito (17,8). I progressi dellItalia
rispettivi presidenti datata 9 marzo 2015,
nel settore delle energie rinnovabili sono
hanno evidenziato le numerose inesattezevidenti anche analizzando la composizioze scientifiche emerse nel corso della dine percentuale del consumo lordo finale di
scussione parlamentare e il macroscopico
energia. La quota di energia consumata deerrore () per cui a queste tecniche viene
rivata da fonti rinnovabili passata
attribuita la possibilit di indurre
dal 6,3 per cento del 2004 al 17,1
sismicit. Terzo: la strumentaLibri
del 2014, dato che colloca lItalia
lizzazione politica della consultaprima degli altri principali paesi in- Simone Neri Serneri, Salvatore Adorno (a cura di), Induzione. Pi che la tutela del mare,
dustriali europei (Spagna 16,2 per stria, ambiente e territorio. Per una storia ambientale delle
la vera posta in gioco sembrata
cento; Francia 14,3; Regno Unito aree industriali in Italia, Il Mulino, Bologna 2009
essere di natura istituzionale. Infat15; Germania 13,8). Quanto alla
questione degli idrocarburi, in Ita- Salvatore Adorno et al., Lindustria, la memoria, la storia. ti, se entrasse in vigore la riforma
lia ci sono 867 pozzi in produzio- Il polo petrolchimico nellarea costiera tra Melilli, Augusta della Costituzione voluta dal governo Renzi, le politiche relative
ne: 512 a terra (il 77 per cento degli e Siracusa (1949-2000), Morrone, Siracusa 2008
al trasporto e alla distribuzione
impianti si trova in Emilia Romagna, Sicilia, Toscana e Basilicata) e Martin Melosi, Joseph Pratt, Energy Metropolis. An En- nazionale dellenergia non sareb355 in mare (324 in Adriatico e 31 vironmental History of Houston and the Gulf Coast, Uni- bero pi materie di legislazione
concorrente (art. 117 Cost.), ma
nel Canale di Sicilia). I pozzi sono versity of Pittsburgh Press, Pittsburgh 2007
tornerebbero a essere materie di
collegati a 119 piattaforme marine,
legislazione esclusiva dello stato.
Jeremy
Leggett,
Fine
corsa.
Sopravviver
la
specie
umana
91 centrali di trattamento a terra
In conclusione, alcuni brevi apalla
fine
del
petrolio?,
Einaudi,
Torino
2006
e 14 impianti di stoccaggio gas. Il
punti sul risultato. Il mancato ragcomparto delle attivit estrattive Pietro Menna, Lenergia pulita, Il Mulino, Bologna 2003
giungimento del quorum anche
di idrocarburi e di minerali indunelle regioni interessate dalla prestriali impiega complessivamente
senza delle trivelle in mare significa
equigas
serra
(486.620
tonnellate
di
CO
115.000 lavoratori e genera un fatturato di
2
21,5 miliardi di euro. Le riserve accertate valenti) e di rifiuti (447.997 tonnellate, di che la maggioranza dei cittadini non era
sono pari a 125 Mtep (milioni di tonnel- cui 860 pericolosi). Da questi dati si evince interessata alla natura della consultaziolate equivalenti di petrolio), quelle certe, come lindustria petrolifera produca signi- ne: del resto, linquinamento delle acque
probabili e possibili sono stimate in 700 ficative esternalit (ovvero i costi che non (non solo marine) una preoccupazione
Mtep (dati di Assomineraria). Nel settore ricadono sul produttore, ma sullintera avvertita dal 37,1 per cento delle persone
delle distillazioni petrolifere operano 12 collettivit), sia locali (inquinamento del maggiori di 14 anni (Istat, Annuario 2015).
raffinerie (con una produzione di 71 milio- sito di produzione e delle aree limitrofe) L86,4 per cento dei consensi ottenuti dal
s dimostra che si sono recati a votare
ni di tonnellate di greggio e semilavorati) che globali (emissione di gas serra).
Veniamo agli aspetti del cortocircuito due tipologie di elettori: quelli pi sensibili
che, con lindotto, impiegano 151.000 lavoratori, per un fatturato di circa 123 mi- referendario. Primo: le ambiguit dellam- alle ragioni del radicalismo ambientale e
bientalismo. Sono anni che in Italia i comi- quelli che hanno voluto mandare un priliardi di euro (dati di Unione Petrolifera).
Non c dubbio che la lavorazione degli tati civici indirizzano la loro azione contro mo segnale in vista del referendum costin
idrocarburi sia unattivit inquinante: gli strutture ritenute indispensabili per rende- tuzionale di ottobre.
effluenti (idrocarburi, fenoli, solfuri, com- re sostenibile lo sviluppo e per rispettare gli
paolini@unina2.it
posti solforati e azotati, residui di petrolio, obiettivi imposti da trattati internazionali,
sostanze in sospensione) sono generati quali quelli sulla riduzione delle emissioni F. Paolini insegna storia globale del mondo contemporaneo
alla Seconda Universit di Napoli
dalle acque dei processi, di deposito e di di gas serra. Nel 2010-2011, gli episodi di
manutenzione nonch dalle operazioni di
distillazione e di conversione. Considerato
limpatto ambientale, la normativa impone
allindustria petrolifera limpiego di numerosi metodi di abbattimento (estrazione
con solventi, filtri percolatori, filtrazione su
sabbia di quarzo, flottazione) volti a eliminare lacido solfidrico, i componenti solforati, gli idrocarburi e i fenoli. Per restare
sullattualit, la qualit dellaria nel polo
estrattivo di Viggiano presenta valori nella norma (i dati, pubblicati dalla Regione
Basilicata, sono riferiti al 30 marzo 2016):
anidride solforosa, 29.6 g/m3 (valori limite: 125 g/m3); diossito di azoto, 4.6 g/m3
(valori limite: 200 g/m3); monossido di
carbonio, 0.18 g/m3 (valori limite: 10 g/
m3); particolato PM10, 11.7 g/m3 (valori
limite: 50 g/m3); ozono, 93 g/m3 (valori limite: 180 g/m3). Quanto alla qualit
dellacqua: pH, 7.96 (valori indicati in normativa: fra 6.5 e 9.5); domanda biochimica
di ossigeno, 1.93 g/litro (valori da 2 a 8
indicano un moderato inquinamento); fenoli, 0.005 g/litro (valori limite: 0,01 g/
litro). Il sito, inoltre, produce (dati riferiti
al 2014, Eni) una significativa quantit di

N. 5

Johan Cruijff: la testa e i piedi del pi bel calcio mai pensato


14
di Fabrizio Tanzilli

Segnali

- Sport

rescere a Betondorp, sobborgo popolare della


C
periferia di Amsterdam, e diventare unicona universale, non solo per saper calciare una sfera, seppur

divinamente, non un processo semplice. E allo stesso modo pu risultare complesso tentare di fotografare un personaggio dalle prospettive sempre differenti,
che sia un atleta, o invece un intellettuale. Perch ci
che ha reso Johan Cruijff un fenomeno totale, e non
soltanto di sport, il significato del messaggio che,
per una vita intera, stato in grado di trasmettere e,
non di meno, il suo effetto.
Quellesile ragazzino nato poco distate dallo
stadio De Meer che, come racconta la madre,
faceva tutto ci che gli veniva detto, ma nulla che gli veniva ordinato, non si limitato a
collezionare trofei e coccarde, ma ha trasformato i sogni in mito, in uneternit a cui ha saputo aggiungere la forza di essere tramandata.
Unautentica filosofia, della quale diventato
immediatamente volto e trasposizione, erede e
oracolo, in campo e fuori. Testa e piedi di unutopia prossima alla realt, che lhanno portato
dalla lavanderia al tetto del mondo. Tutti, pi o
meno, avranno sentito parlare di calcio totale
e di (Josep) Pep Guardiola, senza badare, magari, che due semplici espressioni di football, possano rappresentare linizio e lepilogo, fin qui,
di un viaggio incredibile. Che ha proprio nel
numero 14 pi famoso del mondo un impagabile punto di congiunzione e perpetuo arricchimento. La storia di Cruijff tuttuno con quella
dellAjax, almeno allinizio, immersa nel fascino
degli anni sessanta, nei quali c bisogno dellimmaginazione al potere, come sostiene Herbert
Marcuse, e in cui linguaggio e ragione non trascendono pi la realt. Un momento del tempo
in cui la rivoluzionaria idea di calcio olandese
si inserisce con perfetta armonia, ribaltando in
modo determinante la cultura europea. Perch
ci che si nasconde dietro quegli undici ragazzi vestiti di bianco e rosso che giocano a calcio
non un banale addestramento, ma lincontro,
vero, tra il calvinismo, la ribellione giovanile e i
provos, e la sua concreta applicazione sul campo. Una soluzione, in divenire, che ha sposato
letica e lidea di collettivit olandese, e che non
poteva che mostrarsi nella leggendaria Mecca della
controcultura, un laboratorio per ardite sperimentazioni sociali ed evolutive, lunica citt dEuropa con
un cuore abbastanza grande e leggero da essere adatto allatterraggio dellimmaginazione (Matteo Guarnaccia, Provos. Amsterdam 1960-1967: gli inizi della
controcultura, AAA Edizioni, 1997). Cruijff tutto
questo: quel vento di rivoluzione senza barricate, ma
in ugual modo pungente, che a velocit doppia rispetto ai canoni abituali, porta con s il mondo in una
circonferenza di settanta centimetri. In altre parole
leader e profeta del pi bel calcio che sia mai stato
pensato. Perch deduce e semplifica tutto ci che lo
sfiora, assume una centralit liberale e democratica,
immarcabile, che ne far un maestro di calcio, pensieri e approccio per chiunque avr la capacit di ascoltarlo. E poi ha un talento piovuto dal cielo. Dal 15
novembre 1964, giorno del suo esordio con gli ajacidi
contro il Groningen, la sua carriera unascesa interminabile, con apici di arte pura, che incanteranno prima lOlanda, poi, a pi ondate, lEuropa e il
globo. Definirlo un predestinato sarebbe riduttivo,
cos come cercare di collocarlo con un termine alla
moda che ha pi il sapore dello slogan che delleffettiva analisi. Cruijff molto di pi, rappresenta
lemblema del concetto futuristico del suo mentore
Rinus Michels, il vero artefice del pi efficace sconvolgimento del football mondiale. Che consegna
al giovane Johan le chiavi e leredit del suo credo.
Seguitemi, facendo ci che volete, ma fatelo assieme. Il risultato potrebbe essere straordinario, urlava Michels a quei ragazzi affascinati dal rumore che
si agitava sotto il monello di Piazza Spui. E Cruijff
diventa subito la prodigiosa combinazione tra individualismo e collettivismo, dando davvero corpo
al miraggio di affiancare il calvinismo al 68, libert

despressione e progettualit collegiale. Unopera sublime, che combina in un campo di calcio la cultura
del lavoro, lautorit civile e la disciplina individuale
con unondata provocatoria in antitesi alle tradizioni.
Un insieme fondato sulla filastrocca di matrice kantiana sensibilit-intelletto-ragione, ovvero carisma, capitale umano e una sintesi tra due forze socio-morali
come libert e coraggio.
Che si mostra alla storia, in tutta la sua spregiudicatezza, nel 1974 in Germania, in occasione della Coppa

del mondo. La compagine olandese, ribattezzata ben


presto Arancia meccanica, stravolge ogni equilibrio,
incanta, stupisce e vince, e con una naturalezza quasi disarmante conduce quel magic trip sino allultimo
atto. Per un minuto e diciotto secondi annichilir anche i tedeschi padroni di casa, spiegando al mondo la
propria ragion dessere con un ricamo lungo quindici
passaggi che culmina nella rete avversaria; un vantaggio e una dimostrazione che lasciano il mondo a bocca aperta. Lesito della finale, come noto, sorrider
alla Germania, perch nel calcio non sempre talento
e idee vengono premiati, e a volte un po di mestiere
vale pi di molta qualit, ma non sar sufficiente a
confutare una filosofia talmente alta da essere gi in
viaggio verso le decadi successive e diventata ormai
mito.
Prima e dopo quellingrato 7 luglio del 1974 c la
gloria, di cui i tulipani di Amsterdam, e Cruijff in particolare, fanno autentica razzia. I successi sono lovvia

Libri e film
Chrif Ghemmour, Johan Cruyff. Gnie pop et despote,
Hugo Sport, Paris 2015
Stefano Bedeschi, Johan Cruijff, Photocity.it, Napoli
2015
Johan Cruyff, Ftbol. Mi filosofa, Ediciones B, Barcelona 2012
Alec Cordolcini, La rivoluzione dei tulipani, Bradipolibri, Ivrea (TO) 2008
David Winner, Brilliant Orange. The Neurotic Genius of
Dutch Football, Bloomsbury Publishing, London 2001
Johan Cruyff, Mi futbolistaa y yo, Ediciones B, Barcelona 1993
Il profeta del gol, regia di Sandro Ciotti, Italia 1976

conseguenza di tutto ci che dalla testa ai piedi li attraversa. E dopo il primo squillo, targato 1966, Johan
e compagni, a livello di club, non si fermano pi. Rispettando la grandezza che lessere mito in divenire
impone, aprono e chiudono uno dei cicli pi vincenti
della storia del calcio. In termini di numeri si parla di
sei campionati, quattro coppe dOlanda, tre Coppe
dei campioni, due Supercoppe europee e una Coppa
intercontinentale. Trionfi che cancellano ogni confine, con Cruijff nei panni del condottiero autorevole
e altruista, autentico collezionista di applausi,
elogi e riconoscimenti, come i tre Palloni doro
che France Football gli assegna nel 1971, nel
1973 e nel 1974. Nellarco di dieci anni diventato grande, forse troppo per il De Meer di quei
tempi, un prodigio attraente e ingombrante,
dal carattere spigoloso e fascino indiscutibile.
destino, e proprio nellestate in cui il pianeta
comprende le sfumature dellidea avanguardista
olandese, Cruijff vola a Barcellona.
Non un semplice trasferimento, come pu
sembrare, e neppure una mera contrattazione, ma linizio di una nuova era, per lui e per
la citt catalana. Il suo contributo andr ben
oltre il campo, dove comunque scaccia i dubbi
e le esitazioni di unintera squadra. La sua impronta libera e liberale fa breccia nella societ
che si autodefinisce ms que un club, e che
seguendo il modello Ajax, cambia la propria ratio. Siamo alla fine degli anni settanta, ma se oggi
un ragazzino di Barcellona ha lopportunit di
studiare, giocare a calcio e diventare un campione, lo deve proprio a Johan Cruijff. Perch dal
campo alla panchina, sino alla dirigenza, il passo
breve, soprattutto per chi ha capacit innate
che vanno oltre il pregio degli arti inferiori e una
mente che continua a viaggiare a unaltitudine
non comprensibile a tutti. In pochi anni risolleva la dignit di una comunit calcisticamente depressa, consegnandole la sicurezza di un destino
prosperoso. E poi vince, ovviamente, seguendo
il medesimo spartito con cui allAjax aveva incarnato le idee profetiche di Michels, rendendole celebri e indelebili nella memoria. Ovvero
mentalit e impostazione basate sulleducazione
fisica, intellettuale e morale, in una versione avanguardista dei suoi anni giovanili ad Amsterdam, senza
per pregiudicare la possibilit despressione, fedele,
dunque, alle regole che qualche lustro prima il suo
mentore gli aveva impartito: Dove serve fermezza
ci vuole rigore e dove serve la fantasia deve esserci
massima libert. In altre parole Cruijff metabolizza
la cultura olandese progressista e larmonizza allindipendentismo catalano, costruendo un sogno e diventando egli stesso una leggenda senza tempo.
Il risultato strepitoso ed sotto gli occhi di tutti, con diversi tentativi dimitazione, e un erede autentico, che ne ha seguito le orme, sublimandone gli
effetti. Unaltra opera mirabile, quella di Guardiola,
ma resa possibile da ci che proprio El Cruijff, come
venne denominato in Spagna, grazie al suo pensiero
visionario, aveva creato. indubbio che quel nuovo
modo di concepire lapproccio al football, e forse alla
vita in generale, nel momento in cui ha visto la luce,
ha segnato un ripido crinale tra il passato e il futuro.
Uno strappo netto e ribelle che ha contraddistinto linizio di una favola in grado di abbracciare lEuropa,
reinterpretata e ricontestualizzata, ma sempre sullo
stesso canovaccio. Daltronde, che sia calcio o societ,
un pensiero filosofico, una volta espresso, rimane tale
e va portato avanti con forza e coerenza. E Cruijff,
con diligenza e un pizzico di presunzione, si attenuto a quellidea, lha spostata, incarnata e veicolata.
Alla fine, per descriverne i tratti sono sufficienti le
parole pronunciate da Romario, suo ex-giocatore ai
tempi del Barcellona: Il calcio va guardato con gli
occhi di Cruijff. Si potrebbe aggiungere che il resto
n
verr da s.
tanzillif@yahoo.it
F. Tanzilli giornalista e saggista

N. 5

Un capitalismo sempre nuovo: deindustrializzazione ed economia dellarricchimento


Lusso, calma e volutt
intervista a Luc Boltanski del Collettivo La Botie

tato alcuni risultati del vostro ultimo lavoro


di ricerca la cui uscita prevista in Francia per il 2017. Una delle nozioni su cui vi
concentrate quella di economia dellarricchimento, nello stesso senso in cui si
parla di uranio arricchito: potete chiarire
che cosa intendete con questa espressione?
Il cambiamento economico avvenuto in
Francia e in parte anche in Italia a partire dagli anni settanta, verte su due fenomeni. Primo, la deindustrializzazione: salvo
nucleare, armamenti e aeronautica, tutti i
settori industriali sono in crisi e hanno visto una netta diminuzione del numero degli
operai, che si ulteriormente accentuata
negli ultimi ventanni. Ci ha portato a una
nuova ondata di disoccupazione, soprattutto per i lavoratori meno istruiti. Dallaltro
lato si sviluppa uneconomia nuova, che
anche se non conteggiata unitariamente nelle statistiche concerne alcuni settori fortemente interconnessi: lindustria del lusso, il turismo (la Francia la
prima destinazione mondiale), la cultura (il settore
che aumentato di pi in termini di numero di addetti negli ultimi ventanni) e il commercio dellarte e
dellantichit. Si tratta di ambiti strettamente irrelati;
i grandi marchi del lusso si circondano di artisti per
decorare le proprie boutique e, al contempo, proprio
sui prodotti di lusso si reggono in gran parte alcuni
settori della stampa, come i settimanali. Le Monde
ha un supplemento settimanale pagato dalla pubblicit dellindustria del lusso; e la rivista Air France Magazine quella distribuita gratuitamente sui voli Air
France pubblicata da Gallimard.

In Italia, lei noto soprattutto per Il nuovo spirito


del capitalismo (Mimesis, 2014). Dobbiamo pensare alleconomia dellarricchimento come a un nuovo spirito del capitalismo, cio una nuova tappa
nellevoluzione del capitalismo?
In realt, rispetto a quel libro, la nostra nuova ricerca parte da un punto di vista diverso. Il nuovo spirito
del capitalismo si concentrava sul lavoro e sullo sfruttamento del plusvalore del lavoro. Ed per questo
che, insieme a ve Chiapello, avevamo utilizzato i testi
di management, che sono dei veri e propri manuali su
come far lavorare le persone. Adesso invece ci interessiamo a una cosa diversa: la merce e la circolazione
della merce in quanto produttrice di denaro. Si pu
dire che abbiamo diviso in due loperazione di Marx,
che da un lato si occupava del plusvalore del lavoro e
delle forme di sfruttamento, ma, dallaltro lato, della
questione della merce, che al centro del Capitale e
che non affatto affrontata nel Nuovo spirito del capitalismo. Oggi credo che queste due questioni possano essere disgiunte perch il loro legame meno
evidente: la produzione della merce standard infatti
largamente delocalizzata. Prendete un borghese del
XIX secolo: il flneur di Benjamin, per esempio, viveva molto pi vicino di noi agli operai; mentre oggi la
persona che ha fabbricato gli oggetti che ci circondano (uno smartphone o una penna) noi non labbiamo
mai vista, lontana decine di migliaia di chilometri.
Forse un giorno si rivolter, ma non ne sappiamo nulla.
Lei parla dellimportanza delle narrazioni (rcits) nel
processo di arricchimento degli oggetti. Chi le produce?

Le narrazioni hanno molto spesso una base istituzionale. Si tratta di elaborazioni in parte collettive;
possono venire da scrittori, curatori, o da chi scrive
le storie dei musei. Al Muse de lArme di Parigi,
ad esempio, c una vetrina con un vestito; c scritto che si tratta di un vestito che de Gaulle indossava
quando era dal dentista, con una lunga storia relativa
a quelloccasione. Si d valore a tutte le minuzie del
passato.
Chi crede a queste storie?
Mi stupisce molto, nel mio mestiere di sociologo,
scoprire quanto le storie giochino un ruolo importante nella vita. per questo che sono sempre pi
scettico rispetto a certi aspetti del pragmatismo che
mettono laccento sullesperienza. C un paradosso
della condizione umana: la maggior parte delle cose
alle quali siamo legati le conosciamo solo attraverso
delle storie, non le abbiamo sperimentate; le persone
ragionevoli non cercano oltre una certa misura di
verificare lesattezza di queste storie. Dovete immaginare di avere un fratello, un figlio, e gli dite: vai a
vedere se arrivata la posta nella buca delle lettere.
Se ritorna e dice di non aver trovato nulla, voi non
andate di nascosto a controllare se ha rubato la posta.
Se invece ci andate ci sono delle possibilit che siate
accusati di essere dei paranoici. Ecco dunque il paradosso: nessuna persona normale spinge allestremo
lindagine sulla verit della realt, ma accetta ci che
gli stato fornito attraverso storie.
Uno degli aspetti su cui lei ed Esquerre insistete, a

Libri di Luc Boltanski


con ve Chiappello Il nuovo spirito del capitalismo, Mimesis, Sesto San Giovanni (MI), 2014
Della critica. Compendio di sociologia dellemancipazione, Rosenberg & Sellier, Torino 2014
La condizione fetale. Per una sociologia della generazione e dellaborto, Feltrinelli, Milano 2007
Stati di pace. Una sociologia dellamore, Vita e
pensiero 2005
Lo spettacolo del dolore. Morale umanitaria, media e politica, Cortina, Milano 2000

Quindi pensa che il Front National, e pi in generale i nuovi estremismi di destra, siano lincarnazione
politica di questa forma di capitalismo?
Ci sono due fonti del successo del Front National.
La prima il risentimento di coloro che erano legati
al vecchio mondo industriale e che ora sono disoccupati, e subiscono la concorrenza dei lavoratori degli
altri paesi. E poi c lappoggio di tutti coloro che vivono della patrimonializzazione, e che hanno bisogno
di un ambiente favorevole per approfittarne. C un
celebre poema di Baudelaire che si intitola LInvitation au voyage: L non c nulla che non sia belt,
ordine e lusso, calma e volutt. Ed proprio questo: leconomia dellarricchimento ha come ideale un
paese di lusso, calma e volutt. Questa la ragione
per cui si tratta di uneconomia estremamente fragile.
Per distruggere uneconomia industriale c bisogno
di un arsenale. Mentre per distruggere leconomia
dellarricchimento, bastano attentati circoscritti,
come quelli a cui abbiamo assistito in Egitto.
n
collettivolaboetie@gmail.com

- Politica

n occasione dellincontro intitolato DiaIassieme


logo sulle nuove forme di capitalismo,
ad Arnaud Esquerre avete presen-

proposito di questa nuova forma di capitalismo, limportanza del passato. Nella


storia moderna ci sono stati altri periodi di
fascinazione per il passato, come ad esempio il romanticismo: quale tipo di passato
in gioco ora? E in che rapporto sta questo
passato con la nozione, centrale ad esempio nella sharing economy e nelleconomia
di Slow Food, di autenticit?
In effetti, questa nuova forma di produzione della ricchezza sfrutta in larga parte
quel giacimento che il passato. Il valore
di molte griffes dovuto al fatto che sono
storiche, classiche. un passato evocato
attraverso una narrazione, che serve a rendere interessanti i luoghi e le cose. Fino a
un periodo recente, il passato stato una
risorsa per proteggersi dal capitalismo, o
per avere almeno limpressione di restarne
fuori; mentre oggi il passato annesso al
capitalismo, sistematicamente sfruttato,
nellesatta misura in cui suscettibile di
produrre profitto. Il passato fa parte dello
storytelling: i manuali di marketing spiegano che lultima frontiera nel settore turistico consiste nel ghost tour, un viaggio per
turisti americani un po naf a cui, quando
cala il sole, si raccontano storie di fantasmi
mentre li si porta a passeggio per gli angoli
bui dei centri storici. Si tratta di una forma
di strumentalizzazione del passato. Quanto allautenticit, essa associata al passato attraverso lidentit, una nozione molto
importante visto che anche carica di conseguenze
politiche. Lidentit attesta lautenticit e affonda nel
passato. Questa messa a valore dellidentit va di pari
passo col fenomeno politico, centrale oggi in Francia,
del ritorno al nazionalismo, che implica lostracismo
crescente nei confronti degli stranieri. Il fenomeno
della patrimonializzazione porta con s molto denaro: le regioni industriali francesi, come il Nord e il
Nord-Est, che qualche decennio fa erano le regioni
ricche, oggi sono impoverite; mentre le regioni rurali
la Provenza ad esempio, o le regioni costiere che
erano state abbandonate negli anni sessanta, oggi
diventano regioni ricche grazie a uneconomia che i
geografi chiamano residenziale: uneconomia fatta
di seconde case, di pensionati e di persone che lavorano allestero (ad esempio in Belgio o nei Paesi Bassi)
ma comprano una casa l. Ed proprio il carattere
autentico, ovvero identitario, del luogo a costituire
unattrattiva. Quando i vostri vicini sono degli stranieri ricchi, sia chiaro, non un gran problema. Ma
se avete molte persone etichettate come straniere,
anche se magari hanno la cittadinanza francese, questo abbassa il valore del patrimoine. E questa una
delle ragioni (anche se non lunica) del sostegno alla
xenofobia di destra in Provenza.

Segnali

Lincontro del Collettivo La Botie (composto da Camilla Emmenegger, Francesco Gallino e Daniele Gorgone, cui per loccasione
si aggiunto Francesco Manto) con Luc Boltanski si svolto a Torino dove questultimo
si trovava per una serie di incontri organizzati dallUnione culturale Franco Antonicelli,
il dipartimento di Culture, politica e societ
dellUniversit di Torino e la rivista Teoria
politica.

N. 5

Dopo La famiglia Winshaw


Lincertezza in agguato
Intervista a Jonathan Coe di Mattia Zuccatti

umero undici viene presentato come un sequel che i social generano nel ricevere informazioni e azzar- finale sugli Yahoo e i cavalli parlanti di certo satirica,
che non un sequel di La famiglia Winshaw, il dare giudizi possono diventare nemici delle relazioni ma anche capace di veicolare incertezza e disagio. Ho
cercato di prendere spunto da queste tonalit per far
suo romanzo pi conosciuto in Inghilterra. Che cosa umane.
provare al lettore una sensazione di inquietudine, oltre
pu dirci della genesi del libro, che cosa lha portata a
In un articolo per il Guardian scrive: La satira che divertirlo.
rivisitare quel romanzo ventanni dopo?
sopprime la rabbia politica anzich metterla a frutto.
Prima ancora di pensare al contenuto, avevo linten- Energie politiche che potrebbero essere tradotte in
Il libro che Michael scrive sulla famiglia Winshaw
zione di scrivere un libro lievemente inquietante, che azione sono invece canalizzate in comicit e rilasciate aiuta di fatto a incastrarne i membri e a fare giustizia.
mettesse un pizzico di paura. Pi avanti, prendendo dissipate attraverso il riso. Nel libro un personag- In qualche modo la letteratura era dalla parte dei buoappunti e pensando alle storie, ho capito che cerano gio agisce assecondando un pensiero molto simile, e ni. Il personaggio di Laura lintellettuale di Numero
aspetti, come la scelta del genere gotico e limpegno comincia a uccidere comici. Si pu dire che il comico undici si avvicina invece allestablishment scrivendo
sociale del libro, che lo ponevano in relazione con La sia stato in qualche modo soppresso anche in questo Monetizzare lo stupore, un saggio che si propone di
famiglia Winshaw. Non volevo essere accusato di ri- romanzo, soprattutto comparandolo con La famiglia dare un valore economico ai sentimenti. Per un certo
petermi, e il fatto che i suoi protagonisti morissero Winshaw?
verso complice del sistema, per un altro il suo obietstato liberatorio: non dovevo tornare a occuparmi di
Larticolo pi lungo che ho scritto sul comico lho tivo appare nobile: dialogare con un mondo che conoloro. Ho trovato qualche personaggio ai margini e lho
sce soltanto il linguaggio del denaro e che potrebbe
fatto ricomparire con un ruolo diverso. Ma la genesi scritto per The London Review of Books. Utilizzo
aiutare
del libro legata maggiormente
Credo che Laura stia inganal sentire difficile da spiegare
nando se stessa e Rachel, quan che il presente andava raccondo dichiara di agire affinch si
tato spingendosi nel territorio
presti pi attenzione alle emodellorrore o del fantascientifinista della storia successiva un detective intelJonathan Coe
zioni umane. Conosco intelco.
lettuale coinvolto nellindagine su un serial killer
lettuali chiamati a stimare una
NUMero undici
che uccide soltanto comici. Nellultima parte le
propriet perch Wordsworth
Il romanzo si apre con il racStorie che testimoniano la follia
trame e i personaggi si moltiplicano: in quella
vi aveva scritto una poesia,
conto di uno scherzo giocato a
ed. orig. 2015, trad. dallinglese
principale, Rachel viene chiamata come preguardando il paesaggio dalla
Rachel dal fratello maggiore.
di
Mariagiulia
Castagnone,
cettrice
da
una
ricchissima
famiglia
che
abita
in
finestra. E quindi quanto agNicholas approfitta dellaffidauna villa scavata nel terreno sino a una profonpp. 381, 19, Feltrinelli, Milano 2016
giunge al valore dellabitazione
mento incondizionato che la
dit di undici piani. Un mostruoso ed enorme
la poesia di Wordsworth? Creragazzina riserva a chi dovrebeterogeneit che caratterizza la produzione aracnide giunge a chiudere il libro, cibandosi
do sia un modo semplicemente
be guidarla. Poco pi avanti
romanzesca di Coe diventa la cifra costrut- fra gli altri di amministratori delegati, giornaliridicolo di guardare il mondo.
appare il caso di David Kelly,
tiva del suo undicesimo lavoro. Reduce da un sti e produttori televisivi: membri di quelllite
Ecco perch ho scelto di coinlispettore dellOnu trovato
romanzo che raccontava la studiata ingenuit che contribuisce attivamente allo stato in cui
volgere Laura in questa folle
morto allapice del dibattito
degli anni cinquanta, lautore riporta la narra- versa la Nazione. Il romanzo pu essere letto,
macchinazione per attribuire
sulla partecipazione del Regno
zione al contemporaneo e sceglie cos di tema- in effetti, come un catalogo ragionato dei mali
un valore economico al mostro
Unito alla guerra in Iraq. Due
tizzare gli anni pi recenti della societ inglese. che affliggono lInghilterra di oggi. La struttura
di Loch Ness: volevo che appastorie sulla fiducia tradita, uno
Il libro si compone di cinque sezioni. Ognuna aperta, la mescolanza di generi e la coralit perrisse il pi stupido possibile.
dei temi della narrazione.
racconta una storia autoconclusiva ma connessa mettono a Coe di muoversi agilmente nel tempo
Parallela alla storia di una raQual il suo rapporto con il
alle altre, e ogni storia manifesta una filiazione e negli ambienti. Sebbene esplicita (nella parte
gazza che perde tragicamente le
linguaggio?
Nei suoi libri appadedicata
a
twitter
sfiora
la
didascalia)
la
critica
pi o meno esplicita con La famiglia Winshaw
sue illusioni a partire da quello
re spesso quasi protagonista:
(Feltrinelli), il romanzo padre di Numero 11, viene sempre filtrata dalla narrazione, e il tono
scherzo nella cattedrale, c la
rivela, nasconde, complica e
scritto e pubblicato gli inizi degli anni novanta. crea frequentemente una particolare mistura di
storia di un paese che perde
cambia le regole. Viene anche
leggerezza
e
malinconia.
Ci
sono
le
oscure
enerI generi scelti (tra cui un investigativo dai tratti
le proprie, una ad una. Uso la
utilizzato per snodi importanti
gie
collettive
che
danno
vita
ai
reality
show,
e
si
umoristici, il gotico e il racconto di formazione)
morte di David Kelly perch
della trama, come in questultisi concentrano su ingiustizie politiche e sociali di incanalano nelle gogne dei social media, ci sono
rappresenta un punto di svolta
mo, dove una parola rivela un
i
crimini
economico
industriali
di
una
classe
che
cui i personaggi principali sono spesso vittime o
nellatteggiamento del popolo
assassino.
ancora
domina
impunita
e
infine
le
perversioni
testimoni. Il romanzo viene aperto dal fantasma
verso Tony Blair e il suo goverdi
un
mondo,
anche
intellettuale,
che
sceglie
il
Trovo il linguaggio difficile e
dellimmigrazione illegale, che le amiche Rachel
no. Quello stato il momento
denaro
come
misura
di
tutte
le
cose.
Pi
che
fifrustrante,
una delle molte rae Allison, poco pi che bambine, incontrano in
in cui abbiamo smesso di cregioni per cui invidio i musicisti
carne e ossa durante una vacanza alla casa dei glio di La famiglia Winshaw, Numero undici ne
dere che il governo agisse con
il fatto che possano esprimersi
nonni. Qualche anno pi tardi seguiamo invece un parente lontano. Coe ha deciso di abbanonore. Ma anche la fiducia che
senza ricorrere alle parole. Afle tracce della madre di Allison, una ex-cantante donare lenergia dissacratoria che in quel libro
agisca in modo almeno comperiservava
al
potere
e
ai
suoi
protagonisti,
e
di
sefronti il linguaggio a due livelli
di successo, mentre cerca di tornare in auge partente stata infine rimpiazzata
quando scrivi. Da una parte
tecipando a un reality show che spinge i con- guire da vicino le difficolt quotidiane delle loro
da qualcosa di molto pericocerchi di dominarlo, e ingagcorrenti allentomofagia. La parte centrale del vittime: la spassosa e amara satira lascia spazio a
loso: un cinismo sospettoso e
gi una battaglia per ottenere il
romanzo, forse la pi indiretta, si raccoglie at- un umorismo pi misurato e a un realismo sorassegnato. Questo sentimento
ciale
pi
crudo.
Il
pessimismo

mitigato
dalla
controllo, e dallaltra certe voltorno una vicenda raccontata a Rachel da Laura,
viene registrato da Numero unte ti abbandoni, lasci che il linuna sua professoressa universitaria: lossessione dolcezza dellamicizia tra Rachel e Allison, che
dici e lo rende un libro meno
guaggio subentri e detti il corso
per un misterioso film tedesco che ha distrutto attraversa il romanzo. La speranza riposta nelle
vivace di La famiglia Winshaw,
del libro. Come temperamento,
la vita del marito. Visto una volta nellinfanzia e nuove generazioni, ancora capaci di sfuggire a
una
visione
cinica
dellesistenza.
che era piena di una certa rabsono pi incline allo scenario
mai pi ritrovato, la pellicola divenuta reliquia
bia, unenergia giovanile. Voleche vede il controllo al suo cenM.
Z.
di una purezza perduta per sempre. Il protagovo che il libro non arrivasse ad
tro: ecco perch sono molto inesserne paralizzato, e che ne
teressato, e spesso divertito, dalfacesse anche una critica.
lesempio Boris Johnson, che apparso come ospite in le occasioni in cui il linguaggio si ribella al suo signore.
Un altro obiettivo di critica sono i social media. un programma satirico e ha avuto cos tanto successo
La casa del sonno uno dei suoi libri pi amati in
Per come li descrive, sembra che lumano sia troppo da diventare conduttore dello show per alcuni episodi. Italia?
grande per i loro schematismi. Giocano un ruolo im- Era bravissimo. Non dimentichiamoci che Johnson
Non conosco i dati di vendita, ma il libro che pi
portante nelle nostre vite. Danno forma al modo in molto intelligente. Possiede una calcolata, carismatica
mi chiedono di autografare.
cui comunichiamo. Hanno modificato per sempre il combinazione di auto-parodia e fascino genuino: sa
Lei sogna ancora?
nostro modo di intendere la realt?
come rendersi amabile, con la sua zazzera incolta e un
Sogno molto raramente e mi manca davvero molto.
Il genio uscito dalla lampada e non c modo di far- fare da orsacchiotto. stata la partecipazione allo show
lo rientrare. Nel bene e nel male. Ho seguito ad esem- a conferirgli limmagine pubblica che gli ha permesso Quando accade, si tratta di sogni piuttosto spiacevoli.
pio i fatti di Bruxelles su Twitter: da una parte cerano di diventare sindaco di Londra. Questo esattamente Sogni ansiosi. Ho sempre pensato che invecchiando si
persone che offrivano il loro aiuto, lasciando il proprio il contrario di ci che la comicit politica si propone di diventasse pi stabili e a proprio agio nel mondo, ma
numero di telefono, e dallaltra la solita serie di com- fare: ha aiutato la carriera di un politico. In Inghilterra ho scoperto che per me accade il contrario. Il mondo
menti idioti. Anche io sono attivo sui social, ma ci che abbiamo una forte tradizione in questo tipo di comici- sembra un posto non dico pi spaventoso, ma pi introvo frustrante la mancanza di sfumature, di zone t, ne facciamo un feticcio. Ma come tante altre cose di stabile. Non soltanto in termini di eventi globali, ma in
grigie, il fatto che incoraggino un pensiero binario. Ho cui parlo in Numero undici, diventata solo un riflesso generale, per come la vita va avanti. un po il sentire
cercato di mostrarlo nella storia di Rachel e Allison. incondizionato alla situazione politica. Per c un al- che ho cercato di portare al lettore in Numero undici. Si
Hanno unamicizia sana, commovente, che viene inter- tro tipo di satira, possiamo definirla seria, il cui esem- cammina sempre su un terreno leggermente instabile,
rotta per una stupida incomprensione in uno scambio pio supremo si pu trovare ne I viaggi di Gulliver. In dove a ogni passo potrebbero aprirsi trappole o appadi messaggi. Leccessiva semplificazione e limpazienza quel libro lo humor scompare gradualmente. La parte rire sabbie mobili. Lincertezza sempre in agguato. n

La speranza nelle nuove generazioni

Segnali

- Letterature

N. 5

Unidea del mondo e del taoismo in Una sostanza sottile


Il sereno la pi distesa delle nubi
Intervista a Franco Cordelli di Giorgio Biferali
e dove nato questo romanzo?
Quando
Non ricordo bene se nellestate del 2011 o

del 2012. Sicuramente, lho scritto per tre quarti a


Saint-Rmy, in luglio, e lho finito a Roma. In genere,
le mie prime stesure sono molto veloci, anche meno
di un mese. Dopo, se ne stanno tra cassetto e tavolo
anche quattro o cinque anni. Pi che stesure, per,
direi martirii. La prima rilettura il momento in cui
cominci a prendere coscienza di quello che hai scritto, e l, quello che hai scritto, comincia ad avere una
struttura che prima non aveva. Io ragiono un po con
le categorie di Barthes di Il grado zero della scrittura
(Einaudi, 2003): struttura, stile, contenuto. Laspetto
fondamentale quello strutturale, secondo me: che
cos questo libro? Perch lho scritto? Di che parla?
Elaborandolo, viene fuori un aggregato, una forma.
In questo caso, c questa peculiarit del Tao. Nel
romanzo, la figlia dice di averne trovato una copia
nellalbergo in cui risiedeva con il padre. Io avevo
letto il Tao, ed ero reduce dallincontro con un vecchio compagno di scuola che aveva vissuto per tanto
tempo in Indonesia, questo mi aveva un po avvicinato a culture dellestremo Oriente. Penso di aver letto
il Tao per questa ragione. Nel romanzo, poi, c un
verso di Montale che cito cripticamente, il sereno
la pi distesa delle nubi, che riassume la mia idea di
taoismo, la mia idea di mondo, cio che tutto coincide con tutto, che tutto pu essere spiegato nella
sovrapposizione, nella coincidenza, nel ritorno, nella
ripetizione. Il contenuto di questo romanzo non
la malattia. Il primo vero pensiero stato quello dei
medici, volevo scrivere un romanzo sui medici della
mia vita.

Il ricordo una forma indeterminata, approssimativa, menzognera. La scrittura una forma determinata,
per quanto non volontaristica, spontanea, e rappresenta la massima verit possibile. Ogni scrittura dice
sempre la verit.
Nel romanzo, a un certo punto, viene nominata la
sostanza sottile del titolo, e definita come un tratto dellanima. Hanno detto e scritto che la sostanza
sottile la condizione umana, il confine tra la vita e
la morte, la letteratura. Ma cos veramente per lei
la sostanza sottile?
Il primo titolo che avevo pensato era Il tao una sostanza sottile. E riflettendo su questa prima formulazione, la sostanza sottile la coincidenza degli opposti.
Il sereno la pi distesa delle nubi, per intenderci.
Montale il mio poeta, il poeta su cui mi sono educato.

to un capolavoro, e un altro, magari, che vede un po


come una catastrofe?
Arrivato a questo punto della mia vita, per me, ho
scritto nove romanzi. Sono ancora incredulo se penso di averne scritti cos tanti. Dai diciotto ai ventotto anni, credevo che non sarei mai stato in grado di
scrivere un romanzo. Invece mi ritrovo cinquantanni
dopo ad averne scritti nove, mi sembra incredibile,
anche se tendo a pensare che questi nove siano in realt unopera unica. Di tutto il resto, di libri come La
democrazia magica, che saranno almeno tredici o quattordici, potrei fare tranquillamente a meno. Visto che
in essi non si pone il problema della forma romanzo,
non mi interessano. Sono un po la mia catastrofe.

Lei, prima di tutto, uno scrittore, uno scrittore


che da sempre, sui giornali, veste i panni del critico.
Quale dei due ruoli influenza di pi laltro?
Lo scrittore, sicuramente, anche se ho ben presente
quello che faccio. Di fatto, io faccio il critico perch
capitato cos nella vita, perch lho cercato, perch
il lavoro che somiglia meno a un lavoro, perch uno
dei lavori pi liberi che ci siano. un lavoro, quello
del critico, che mi ha dato molto, sia dal punto di vista
della disciplina, esterna e interna, sia dal punto di vista
meramente professionale e di sopravvivenza, e so bene
che un lavoro che faccio per gli altri. Quando scrivo
un romanzo, invece, non penso che sto scrivendo per
gli altri, e neanche per me, non penso nulla. E questa
una differenza cruciale, perch nella scrittura critica
c un elemento di funzionalit.

In Il punto cieco, il suo nuovo libro pubblicato in


Italia da Guanda, Javier Cercas parla della letteraChe cosa ha pensato quando hanno cercato di cantura come di qualcosa che deve alimentare contididare la Sostanza sottile al Premio Strega?
nuamente lenigma, e cerca di offrire ai lettori una
Sono sempre stato critico verso il Premio Strega.
possibile definizione del romanzo. Per lei, che ne ha
La prima volta che sono stato al Premio Strega nel
scritti diversi, che cos un romanzo?
1964, e vinse Lombra delle colline di Arpino, giurai a
sicuramente la cosa a cui ho pensato di pi nelNel quindicesimo capitolo si legge questa frase: me stesso che non avrei pi messo piede al Ninfeo di
la mia vita, e proprio per questo non so rispondere.
Perch io non scrivo, io ricordo. Che differenza c Villa Giulia. Provai una sorta di disagio fisico, esistenCome insieme, io posso pensare che sia un romanzo
ziale, nei confronti di un mondo che mi era estraneo.
tra le due cose?
anche lAnabasi di Senofonte.
Qualche anno dopo, quando
Per me sono romanzi anche i
ho letto per la prima volta lanPensieri di Pascal e quelli di
tologia delle lettere di Pasolini,
Marco Aurelio. Il romanzo la
e ho scoperto che lui andava in
testimonianza emotiva del pasgiro a chiedere voti, e poi aveva
vano preparato negli ultimi tempi, e cercare, per
Franco Cordelli
saggio delluomo sulla terra.
ritirato il suo romanzo dal Preuna volta, di non preoccuparsi della trama e dei
imprescindibile, no? la scritUna sostanza sottile
mio, facendo il grande gesto,
personaggi: Non ho personaggi, ho solo figure,
tura, il romanzo la scrittura.
pp. 268, 21, Einaudi, Torino 2016
ci ero rimasto molto male, non
silhouette, profili. Io sono uno che disegna con
mi aspettavo che fosse un bulinchiostro di china, che fa schizzi, abbozzi, alluIl romanzo pieno di rifei potrebbe immaginare un piccolo spazio sioni. Io, al massimo, lascio intendere. E anche
giardo. Prima andava in giro
rimenti letterari, espliciti o
in una grande libreria ideale, dove un letto- il genere, a pensarci bene, non cos facile da
a chiedere voti, e quando poi
meno, come Petrarca, Piovere possa trovare i romanzi, i racconti, i diari, i definire. Non un romanzo, no di sicuro: nemsi accorto che non avrebne, Durrell. un romanzo in
be vinto ha fatto il gesto del
pensieri,
i
ricordi,
le
lettere,
i
libri
dedicati
alla
meno un memoir, come li chiamano i giornalisti
cui sono presenti le sue lettugrande rifiuto. Tra Sartre che
figura
del
padre.
Un
piccolo
spazio
nascosto,
che
vivono
in
America;
o
una
autofiction,
come
re. Quali sono le sue abitudini
rifiutava il Nobel e Calvino il
un po in ombra rispetto ai totem e alle pile di dicevano i francesi; ma forse un libro s, chi pu
da lettore?
Viareggio, quello era un po il
libri allingresso dedicati allimmagine di una dire. Un saggio, forse. C un ospedale, anzi
Per me la lettura come loperiodo dei rifiuti, e la mia era
madre
buona,
affettuosa,
terribile,
profondadiversi ospedali, che il padre ricorda come dei
rario di preghiera per i monaci
una repulsione generale verso
mente
ingombrante.
E
in
quel
piccolo
spazio
il
purgatori,
e
i
medici,
rassicuranti,
che
ritornano
benedettini: a un certo punto
i premi. Poi c stata una fase
lettore
troverebbe
i
libri
di
Kafka,
di
Collodi,
di
spesso.
Sono
immagini
scritte
sul
corpo,
una
fordella giornata bisogna fermarsi
ultima, lo Strega diventato un
Savinio,
di
Roth,
di
Magrelli,
di
Botho
Strauss,
e
ma
nuova
e
pi
profonda
di
memoria.
Un
po
e leggere. Ogni giorno vissuto
premio particolarmente comcome
nellepisodio
finale
di
Caro
diario,
intitolasicuramente
Una
sostanza
sottile
di
Franco
Corsenza lettura un giorno perbinato dagli editori, e mi sono
to
Medici,
in
cui
Nanni
Moretti
racconta
la
sua
delli.
Un
lungo
dialogo
in
Provenza
tra
un
padre
duto, un peccato contro lo spidivertito a punzecchiarlo un
malattia,
dai
primi
pruriti
a
un
bicchiere
dacqua
e
una
figlia,
ottantuno
scene
di
un
atto
unico
rito. Certo se un giorno ti metpo. Per credo che sia anche
che
sa
di
ritorno
alla
vita.
Nel
dialogo,
in
questo
che
ha
la
forma
di
un
romanzo,
e
che
proviene
ti a pensare, invece di leggere,
giusto che il lavoro di uno scritgioco
di
ruolo
in
cui
c
chi
parla
e
chi
ascolta,
direttamente
dal
teatro
della
vita.
Ma
come
tu
non un giorno sprecato. Per
tore venga riconosciuto dalle
Irene
rischia
di
annullarsi,
di
rimanere
solo
una
sai, il nostro destino una nostra scelta, quindi
se pensi, pensi a te. Con la letentit mondano-istituzionali,
lettrice
passiva
di
una
storia
che
in
parte
conosce
non c niente da recriminare. Non si pu fare
tura, invece, pensi allaltro,
non voglio che il mio possa
bene, di recitare un monologo del padre: Tu
altro
che
tramandare.
Irene
ha
il
compito,
e
la
questo il punto. La lettura il
sembrare un atteggiamento
tendi troppo a mimetizzarti; distinguerti, almeno
fortuna,
di
ascoltare
i
racconti,
le
divagazioni,
i
pensiero dellaltro. Non il penmoralistico, ecco. In generale
in questa circostanza, non ti interessa per niente.
flussi
di
coscienza
irregolari
e
liberi
del
padre,
siero di Dio, ma dellalterit.
non nutro un grande interesse
Cos
ti
percepisco.
E
invece
il
dialogo
diventa
reduce da una malattia, in un momento in cui
per i premi, non ci ho mai penuna
lunga
confessione,
e
nel
passaggio
continuo
Nel quinto capitolo, il proforse, per lui, la paura solo un remoto ridalla
prima
alla
terza
persona,
come
se
i
ricordi
sato. Venendo alla questione
tagonista sostiene che Durrell
cordo. Si parla di romanzi, di letture, di donparticolare di questo romanzo,
abbia scritto un capolavoro
ne, di malattie, di frenuli, di poeti, di erezioni, del padre si confondessero con quelli della figlia,
Cordelli
mostra
il
senso
profondo
della
letteraquestanno leditore ha deciso
(il Quartetto di Alessandria)
di pittori, di filosofi, di sogni, di convivenze, di
tura,
che

qualcosa
che
esiste,
che
c,
anche
se
di non partecipare al Premio e
e una catastrofe (il Quintetto
desideri, di solitudine. Per sentire veramente il
io mi sono solo adeguato alla
di Avignone). Se ripensa alla respiro di questo romanzo, il lettore dovrebbe non possibile capire da dove provenga.
sua scelta, senza sentimenti o
sua opera, c un libro di cui
G. B.
mettere da parte gli orizzonti dattesa che gli averisentimenti vari.
n
va fiero, che considera appun-

Segnali

- Narratori italiani

Non si pu fare altro che tramandare

N. 5

10

La profonda influenza dei traumi infantili


Come trasformare un neonato in un trentenne alcolizzato
di Maurilio Orbecchi

Segnali

- Psicologia

importanza del trauma, come fattore di grave


L
disturbo psicologico e sociale, consapevolezza
che oggi fa parte della psicologia del mondo occiden-

tale tanto da apparire ovvia e scontata.


Il concetto cos radicato, che sembra provenire
da tempi remoti. Eppure soltanto negli ultimi duetre decenni del Novecento che il trauma stato ufficialmente riconosciuto come fattore patogeno con
linserimento del Disturbo post-traumatico da stress
nel Dsm, il manuale di psichiatria che fornisce un
linguaggio comune agli psichiatri di tutto il mondo.
Buona parte del merito va ai veterani del Vietnam, che
radunandosi in rap groups autogestiti, e chiamando gli
psichiatri ad assistere ai loro incontri, contribuirono
a far riscoprire limportanza patogena del trauma gi
messa in luce dal medico e psicologo francese Pierre
Janet negli ultimi due decenni dellOttocento. In seguito la sua scoperta fu oscurata per quasi un secolo
dal trionfo della psicoanalisi freudiana e dalla linea di
ricerca, rivelatasi stagnante, che proveniva dallerrata
idea di Freud del conflitto patogeno tra pulsioni sessuali e cultura, tra eros e civilt.
Oggi sappiamo che per creare problemi di salute
psicologica a un individuo sono sufficienti avvenimenti che si presentano a tutti nel corso della vita: un
incidente, un lutto, la perdita di un
posto di lavoro: Non bisogna essere un soldato o visitare un campo profughi in Siria o in Congo per
imbattersi nel trauma. Il trauma
accade intorno a noi, ai nostri amici, alle nostre famiglie e ai nostri
vicini scrive Bessel van der Kolk,
gi professore di psichiatria alla
Boston University, nel suo interessante libro Il corpo accusa il colpo.
Mente, corpo e cervello nellelaborazione delle memorie traumatiche
(ed. orig 2015, trad. dallinglese di
Sara Francavilla e Maria Silvana
Patti, pp. 514, 33, Raffaello Cortina, Milano 2015), che descrive i
pi avanzati modelli e le pi efficaci terapie del trauma a studiosi
del settore e lettori interessati in un
libro rigoroso e scorrevole.
Oggi siamo anche a conoscenza
del fatto che i traumi subiti durante linfanzia sono determinanti, e
che la qualit della vita usufruita
dallindividuo in quel periodo
il pi importante fattore in grado
di predire buona, o cattiva, salute
fisica e psicologica per tutta la sua vita. Siamo generalmente al corrente dellintima relazione tra cure genitoriali e salute biologica. Sappiamo che linsensibilit,
la durezza, la trascuratezza e linvadenza dei genitori
portano a conseguenze patologiche per i bambini,
mentre la capacit di riprendersi dalle avversit, dai
lutti e dalle delusioni vale a dire la resilienza deriva
dalla fiducia trasmessa dal caregiver nei primi due-tre
anni di vita.
Generalmente per non sappiamo che la situazione
talmente rilevante che labuso infantile nelle sue diverse espressioni di violenza fisica, sessuale, emozionale, o di trascuratezza considerato oggi dagli esperti la pi grave, costosa e urgente questione di salute
pubblica nel mondo. Soltanto negli Stati Uniti, estirpare labuso infantile ridurrebbe il tasso di depressione della met, lalcolismo di due terzi, il suicidio, luso
di droga e la violenza domestica di tre quarti. A tutto
questo si aggiungerebbe una notevolissima riduzione
delle principali malattie somatiche, cosa che, tra laltro, comporterebbe un notevole risparmio per i vari
sistemi sanitari tanto che la diminuzione degli abusi
dovrebbe essere uno priorit per uno Stato moderno
al fine di svolgere unopera di prevenzione. Di fronte
a simili risultati la consapevolezza generale non soddisfacente e la risposta delle istituzioni ancora scarsa. Negli Stati Uniti il National Child Traumatic Stress
Network stato istituito dal Congresso soltanto nel
2001. Molte nazioni occidentali sono ancora prive di

istituti e di politiche preventive adeguate.


I bambini sono straordinariamente sensibili agli
eventi avversi principalmente per due motivi fondamentali. Il primo che sono altamente emotivi e
scarsamente cognitivi: la parte centrale del cervello,
il mesencefalo, condivisa tra tutti i mammiferi con
omologie sorprendenti anche a livello biochimico, ed
gi piuttosto matura alla nascita, mentre la parte
riflessiva corticale impiegher oltre due decenni per
formarsi fino in fondo. Non hanno quindi la possibilit di elaborare e di affrontare quanto sta avvenendo.
La seconda ragione consiste nel fatto che i bambini non sono in grado di sopravvivere da soli per cui
hanno bisogno, come ha dimostrato John Bowlby, di
attaccarsi a una figura che li accudisca, li protegga,
li guidi con amore verso una sintonizzazione emotiva armonica col mondo. Nel caso in cui la figura che
li aiuta la stessa che ha comportamenti inadeguati, spaventanti o trascuranti, si innesca nel bambino
un conflitto irrisolvibile tra il fuggire la minaccia e la
spinta biologica a trovare rifugio nella persona che
si occupa di loro, che per anche quella stessa che
crea loro stress. Si tratta di conflitto di impossibile
elaborazione per un bambino, che si risolve con la
formazione di un legame di attaccamento insicuro,

o disorganizzato, che condizioner la persona per il


resto della sua vita relazionale e affettiva, con modelli di comportamento che creeranno problemi a chi
ha non ha avuto una base sicura nel primo anno di
vita. Se, nel corso dellinfanzia, a un attaccamento di
scarsa qualit si aggiungono abusi fisici, sessuali, emozionali o trascuratezze emotive si ottiene una miscela
distruttiva che forma quello che stato chiamato da
Judith Herman disturbo post traumatico da stress
complesso, e da altri trauma dello sviluppo, che
porta verso la disistima di se stessi, la depressione e
le condotte autolesive. Non si tratta di situazioni rare,
o di eventi che riguardano soltanto le fasce marginali
della societ, ma di fatti diffusi e pervasivi con conseguenze pi comuni e complesse dellimpatto di un
uragano. Sono questi gli eventi, scrive van der Kolk,
che possono trasformare un neonato con tutte le sue
promesse in un barbone trentenne ubriaco.
I bambini traumatizzati sono stati svalutati, per cui
spesso si sentono ignobili, sono ipervigili, soggetti a
reazioni pi immediate degli altri, e possono impiegare tutte le loro energie per il controllo della tensione.
Ne rimane loro ben poca per lo studio e per i normali
compiti scolastici. Per alleviare la loro autosvalutazione e la loro tensione, tendono a un affidamento
totale, anche nei confronti dei loro persecutori, per
cui da adulti saranno facilmente vittime di ideologie,
integralismi e fondamentalismi anche sotto formo di
fanatismo.
Se il trauma dello sviluppo fosse riconosciuto

come entit nosografica dal Dsm ci sarebbero maggiori finanziamenti per affrontare gli enormi problemi
di supporto e sostegno psicologico e sociale alle famiglie in difficolt per cercare di prevenire i traumi sui
bambini. I risultati offerti dai pochi centri pilota che
hanno avuto la possibilit di effettuare interventi diretti di prevenzione nei contesti di violenza domestica
e abuso di droghe sono molto incoraggianti.
Una delle maggiori conseguenze dei traumi la
dissociazione, ampiamente descritta da Pierre Janet
che pur non avendo introdotto il concetto ne tuttavia considerato il padre per la qualit della sua sistematizzazione. La dissociazione caratterizzata da
una serie di sintomi che vanno dalla disconnessione
dalla propria identit, dal proprio corpo, o dalla realt, alle amnesie, alle fughe dissociative, ai falsi ricordi.
In queste situazioni, il rapporto con il corpo gioca un
ruolo dominante per cui van der Kolk, nel suo Trauma Center di Brookline, vicino a Boston, insieme alla
psicoterapia, utilizza una serie di approcci corporei
che hanno come obiettivo quello che lui chiama farsi
amico il corpo.
Lapproccio corporeo necessario perch il trauma, diversamente da altri eventi, incide sui ricordi
somatici (il corpo accusa il colpo): lodore della persona violenta, il senso di vomito,
la stretta al cuore, le vampate, la
paralisi alle gambe sono solo alcuni esempi di ricordi corporei. Per
di pi il modo che levoluzione ha
fornito agli esseri umani per calmarsi quello di utilizzare il corpo,
aggrappandosi a unaltra persona.
Ma le persone che durante linfanzia sono state abusate emozionalmente, fisicamente o sessualmente
da chi li doveva proteggere, da un
lato desiderano il contatto fisico,
dallaltro lo fuggono, o comunque
non lo maneggiano bene. Per ottenere una nuova disponibilit e ristabilire la padronanza del corpo,
occorre riabituare la mente a sentire le piacevoli emozioni del corpo,
in un clima di fiducia.
Le vittime del trauma compromettono il rapporto con il corpo e
non possono guarire fino a quando
non familiarizzano con lui, e ne diventano amiche, imparando a sviluppare con calma e piacere quelle
sensazioni che il trauma ha obnubilato, partendo dalla capacit di
percepire la fisicit sottostante alle emozioni, come il
calore, la tensione muscolare, il senso di rilassamento e cos via. Le persone abusate o trascurate vengono accompagnate a tollerare emozioni e sensazioni
corporee senza esserne sopraffatti. Antiche terapie
psicofisiche come lo yoga e la meditazione, questultima oggi rivista alla luce delle neuroscienze e chiamata Mindfulness per distinguerla dalla meditazione
religiosa, si rivelano molto terapeutiche insieme alle
moderne terapie di desensibilizzazione e riconsolidamento dei ricordi come lEmdr e il Neurofeedback,
la terapia sensomotoria. Chi si occupa di traumi ha
sperimentato che diverse procedure di intervento che
coinvolgono, arte, musica, danza, canto, psicodramma, terapia di gruppo si sono rilevate efficaci, naturalmente insieme a una psicoterapia riflessiva empatica e
affettiva che aiuti a diventare consapevoli del proprio
passato e dellesperienza interiore, ossia di che cosa
accade dentro di noi, e al nostro corpo. Ci che conta,
come scrive van der Kolk, che il terapeuta abbia a
disposizione diverse possibilit di intervento per poter indirizzare il paziente a quegli approcci che per lui
sono pi adatti per curare la parte emotiva del nostro
cervello, allontanandola dalla situazione di allarme e
riportandola al suo lavoro ordinario di prendersi cura
del nostro corpo.
n
maurilio.orbecchi@gmail.com
M. Orbecchi medico e psicoterapeuta

11

N. 5

Scrittura, vita e immagine nellanalisi di due fototesti


Allombra dei cipressi e dentro le case

e Sebald. Quel che appare di nuovo nel panorama


delleditoria contemporanea una sempre maggiore
fiducia nella narrazione fototestuale. Il caso di Condominio doltremare (Lorma, 2014) di Giorgio Falco e
Sabrina Ragucci o il successo della collana In parole di Contrasto, per fare soltanto due esempi molto
diversi, dimostrano in fin dei conti una sempre maggiore disponibilit dei lettori e delle lettrici ad accogliere con entusiasmo una forma-libro che tiene insieme parole e immagini, che racconta storie attraverso
uninteressante dialettica in cui la fotografia occupa
una posizione di primo piano nella sintassi narrativa.
A confermare questa impressione la pubblicazione nel corso del 2015 di due fototesti di autori per
certi versi molto distanti (Asterusher di Michele Mari,
pubblicato da Corraini, e Tumbas di Cees Nooteboom, edito da Iperborea), che scelgono di raccontare
due viaggi, uno nella memoria, laltro nello spazio
geografico, facendo dialogare le proprie parole con
alcuni scatti fotografici che scandiscono la narrazione
e contribuiscono a strutturarne architettura e arredi
diegetici. I due libri, pur nella loro diversit di concezione e di impostazione, offrono una lettura speculare
di quel nesso fra scrittura, vita e immagine che spesso
si intreccia nei fototesti. Sia lAutobiografia per feticci
di Mari e Perigo che il racconto del viaggio intorno
al mondo alla ricerca di Tombe di pensatori e poeti di
Nooteboom (come indicano i sottotitoli) propongono un racconto in prima persona di una storia di collezionismo sui generis che ha segnato la loro esistenza,
demandandone il racconto ad alcuni oggetti (diversi,
ma in fondo omogenei per Mari, ossessivamente ricorrenti per Nooteboom) fissati nella pagina scritta e
riflessi nella cornice delle fotografie. Se il primo sembra scegliere la stasi, laltro accorda la narrazione al
ritmo del viaggio, se nellalbum delle case di Mari e
Perigo la via del colore esalta il valore memoriale degli oggetti, nel diario di Nooteboom il bianco e nero,
che ritrae le lapidi dei grandi autori da lui visitate,
racconta come il regno dei morti sempre avvolto in
una sorta di sospensione del tempo in ogni parte del
mondo. Eppure Mari e Perigo adottano unanaloga
sintassi iconotestuale, in cui lalternanza fra parole e
immagini costante e simmetrica, mentre la storia
ripartita in entrambi i casi fra il messaggio verbale e
lo scatto della fotografa (Simone Sssen, per Tumbas)
e del fotografo (Francesco Pernigo, per Asterusher).
In Asterusher (cfr. LIndice 2016 n.4)Mari dichiara sin da subito il suo patto autobiografico con il
lettore, ma quasi contemporaneamente ne confessa il
tradimento. Se, infatti, rivendica fin dallincipit della
prefazione il possesso delle case, della vita, degli oggetti, dei ricordi, dei testi e dellidea di questo libro,
subito dopo per ammette che questa gli appartiene
solo in parte, perch Francesco Pernigo, con le sue
foto, non ha soltanto suggerito i soggetti, li ha proprio
inventati. A lui Mari riconosce anche limportanza
della scelta prospettica dellinquadratura (lesaltazione di nascoste geometrie) e la capacit di selezione chirurgica delle opzioni, dovuta non solo a una
ratio estetica ma anche alla saggezza distonica di chi
meno coinvolto. Al fotografo in fondo, quale primo
lector in fabula, con il suo obiettivo sembra dunque
in qualche modo affidata la nascosta direzione dei lavori di edificazione della casa-libro sostenuta su materiali eterogenei eppure perfettamente accordati. La
prima lettura di quegli oggetti-ricordi racchiusi nella
memoria e consegnati al libro stata dunque regolata
dallobiettivo di una macchina fotografica. Proviamo
a seguire il percorso disegnato dagli scatti.
La prima e lultima foto tracciano il perimetro entro
cui contenuta la collezione di oggetti che raccontano
lesistenza dellautore scissa fra le due case di Nasca e
Milano, quella del passato e quella del presente, labitazione delle estati dellinfanzia e quella di ogni stagione della vita adulta. Il primo testo e lultimo (i soli
non firmati da Mari, ma presi in prestito da La casa di
Asterione di Borges e da Il crollo della casa Usher di
Poe, dalla cui crasi proviene il titolo) lasciano intravedere le fondamenta su cui si regge larchitettura del

libro. Il dialogo fra parole e immagini mette subito


al centro della narrazione la complessa drammaturgia degli sguardi che si intrecciano in Asterusher: la
prima foto (una delle poche riprese in esterno) mostra la casa di Nasca, il punctum direbbe Barthes
segnato certamente dalla figura (forse lautore) che si
intravede dalla finestra e che ha il viso rivolto verso
lesterno, verso il lettore al di l del vetro. Limmagine rimanda alla claustrofilia latente che imprigiona
lo sguardo dentro le case raccontate dal libro e a cui
allude la citazione borgesiana: vero che non esco
di casa, ma anche vero che le porte (il cui numero
infinito) restano aperte agli uomini e agli animali. Entri chi vuole. Le mura possenti al centro dello scatto
non negano apertura e accoglienza al visitatore, la figura dietro la finestra invita anzi a varcare la soglia.
Questa la prima di quelle che con Bredekamp possiamo definire immagini che ci guardano: immagini che fra i feticci ritratti dalle foto e conservati nella
casa di Nasca hanno la pi alta ricorrenza. Il ritratto
della donna nella stanza con il pianoforte, le foto familiari nel salotto, lautoritratto di mia madre nella
sala da pranzo e poi i puzzle dei pi grandi pittori
della storia dellarte occidentale accanto alletichetta
del borotalco Roberts, le copertine di Verderame e
Fantasmagonia (che ritraggono proprio due case), e
ancora nella casa di Milano i fumetti, la dedica di
Jacovitti e la casa-Piranesi, il poster di Maradona, il ritratto di Foscolo, insieme ai tanti specchi disseminati
nelle varie stanze, costruiscono il complicato campo

I libri
Michele Mari, Asterusher. Autobiografia per feticci,
pp. 112, ill, 16, Corraini, Mantova 2015
Cees Nootemboom, Tumbas. Tombe di poeti e pensatori, ed. orig. 2007, trad. dallolandese di Fulvio
Ferrari, pp. 375, 20, Iperborea, Milano 2015
di fuochi incrociati che dallinterno verso lesterno
e viceversa irretiscono e confondono lo sguardo del
lettore. Come Mari lascia intendere, loperazione che
presiede alla messa in racconto di questo suo personale museo dellinnocenza ha una sfumatura postuma anticipata, una sorta di aura testamentaria. In
un frammento di Fantasmagonia, che accompagna la
foto di un armadio con uno specchio, questa prospettiva dallaldil appare evidente: Spesso si immagina
morto, giungendo a vedere con precisione la vacuit
della propria casa: dunque lincauto si sta gi pensando come fantasma, e con infantile irresponsabilit
porta lo sguardo di locale in locale, ridotto a mero vettore ottico. Leffetto di messa in abisso della citazione rivela la vera collocazione dellio che ricostruisce
la sua biografia attraverso latlante degli oggetti della
memoria, un io che rinchiuso nella tomba/casa, o
meglio nelle case/tombe che costituiscono in fondo
il macro-feticcio cui dedicato il poema fotografico.
La dimora di Nasca contiene per lo pi immagini,
mentre a Milano ai feticci visuali si aggiungono quelli
verbali con i tanti scatti che ritraggono i libri ordinati negli scaffali delle librerie dello scrittore: se ne
pu dedurre forse, individuando un sostanziale filo
di continuit fra quelle e questi, che lautobiografia
raccontata dagli oggetti desueti custoditi nella me-

moria di Michele Mari coincide con la sua storia di


lettore.
Anche quella di Nooteboom lautobiografia di
un lettore, che non si accontenta di far visita ai suoi
autori prediletti riguardando le lapidi incise nei dorsi
delle copertine allineate nella libreria, ma che compie
un giro per il mondo alla ricerca delle urne de forti.
Il layout delle pagine di Tumbas, nelle quali alla fotografia della tomba segue sempre un testo pi o meno
lungo (a volte unepigrafe tratta dallopera dello scrittore o della scrittrice sepolti, altre volte la storia del
legame che Nooteboom intrattiene con essi), mostra
un interplay fra verbalit e visualit invertito rispetto
a quello di Asterusher. Nel libro di Mari i frammenti
dei suoi testi precedenti (o in alcuni casi poche righe
scritte per loccasione) guidano gli occhi del lettore
nella decifrazione del senso della foto sottostante, nel
diario di viaggio dello scrittore olandese, al contrario,
lo scatto della tomba, oltre a testimoniare lavvenuta
visita di Nooteboom al sepolcro ritratto da Sassen, introduce il testo e intrattiene con esso un rapporto pi
complesso e ambivalente. Le parole di colui o di colei
che sepolto nella tomba fotografata vorrebbero negare, nellintenzione dellautore del libro, il senso di
morte suggerito dalla lapide: La maggior parte dei
morti tace. Non dice pi niente. Ha letteralmente
gi detto tutto. Per i poeti non cos. I poeti continuano a parlare. A volte si ripetono. Succede ogni volta
che qualcuno legge o recita una poesia per la seconda
o per la centesima volta. Parlano anche ai non nati, a
chi non viveva ancora quando hanno scritto quel che
hanno scritto. Questa foscoliana fiducia nella poesia che vince di mille secoli il silenzio ha guidato i
passi di Nooteboom per anni in giro per il mondo, da
quel pantheon a cielo aperto che il cimitero di PreLachaise al Mount Vaea dove sepolto Stevenson, inseguendo anche i morti che non desideravano essere
trovati (come Pessoa), imparando che nel regno
dei morti non ci sono strade dritte, sperimentando
insieme alla sua compagna di viaggio che fotografare tombe difficile: non c solo la tomba, ma anche
tutto quello che le sta intorno. Sembra proprio che
questultima affermazione possa per metafora essere
letta come una grande intuizione delle difficolt che
implica la lettura di unopera letteraria ed esprima
quellaspirazione, che Nooteboom suggerisce in ultima analisi, verso un rapporto autentico e immediato con quegli autori e con quei testi che sono parte
della sua vita, perch la sua vita lhanno accompagnata nei modi pi diversi e in diversi momenti.
A proposito della trasformazione e della dislocazione dei cimiteri fuori dalle citt delloccidente verso la
fine del XVIII secolo, Foucault nota che proprio a
partire dal momento in cui non si pi molto sicuri di
avere unanima che il corpo resuscita e viene inaugurato il culto dei morti. Il corpo del poeta possiede
quello straordinario privilegio di poter continuare a
vivere nella mente, nella voce e negli occhi di chi legge
il corpo del testo a cui ha consegnato la propria anima.
I racconti e le fotografie raccolti in Tumbas celebrano
questa corrispondenza damorosi sensi fra lettore
e scrittore e disegnano lautoritratto di uno scrittorelettore. Lantologia virtuale che si compone delle citazioni messe a commento delle immagini sepolcrali
ricorda il catalogo di una mostra ideata da Leonardo
Sciascia insieme a Daniela Palazzoli, una mostra di
ritratti fotografici di scrittori allestita presso la Mole
Antonelliana nel 1987. Il titolo, Ignoto a me stesso, era
stato suggerito a Sciascia da un passo di Valry dal
quale lo scrittore deduceva che la fotografia permette
a tutti di riconoscersi, fissati in un istante di eternit,
e tuttavia lo scrittore rimane sempre il pi ignoto a
se stesso. Nooteboom, attraverso questo suo pietoso
pellegrinaggio negli scaffali della sua libreria disseminata in tutto il globo (tutti i cimiteri sono romanzi)
suggerisce forse la strada per affrontare e superare
quella impasse: cercarsi e trovarsi nello specchio delle
pagine altrui, nelle parole di coloro i quali credono
ancora in fondo che scrivere mortalit rinviata. n
m.rizzarelli@unict.it
M. Rizzarelli insegna letteratura italiana contemporanea
allUniversit di Catania

Segnali

he la fotografia abbia a che fare con la vita e con la


C
morte, con la scrittura e con la memoria lo avevano gi detto in tanti: da Barthes e Benjamin a Proust

- Fotografia e leteratura

di Maria Rizzarelli

N. 5

12

Maurizio Bettini: rivisitazioni classiche rigorose e godibili


Vertumno, Arianna e gli altri pacifici conviventi
di Angela Maria Andrisano

Segnali

- Mitologia

utore di romanzi, oltre che filologo classico e stuA


dioso di antropologia del mondo antico, Maurizio
Bettini ha una scrittura semplice e chiara. Racconta ed

espone in modo accattivante anche quando affronta


temi complessi, che necessitano di rigorosa documentazione. Il lettore specialista la ritrova nellapparato di
note numerose e cospicue che chiudono regolarmente
i suoi saggi, permettendo lapprofondimento e la possibilit di verificare la messe di fonti che costituiscono
la solida base di ogni affermazione, di ogni argomentazione, di ogni ipotesi di lettura dei fenomeni culturali
analizzati. Attento osservatore della metamorfosi dei
miti a partire dalle prime versioni greche e latine, declinate in generi letterari diversi (epica, lirica, romanzo,
mitografia), nelle scritture drammaturgiche (tragedia,
commedia, dramma satiresco), nella tradizione delle
letterature e del teatro europei, nonch nelle arti visive,
Bettini si divertito a riscrivere alcune storie tra le pi
popolari nella cultura classica antica, quali premesse a
una serie di ricerche pubblicate nella collana Mythologica di Einaudi che egli stesso dirige.
Nel libro di Silvia Romani compare unagile, quanto
immaginifica premessa (Il racconto di Arianna) di Bettini, che oltre a dar voce alla protagonista, una fanciulla
fuori del tempo, remota e vicina, quasi uneco che arriva dal lontano passato, ma ancora comprensibile oggi,
le affianca altre voci a ricreare uno scenario sonoro:
Teseo naturalmente, ma anche la nutrice che fila, un
soldato, un vecchio, un timoniere, un ragazzo. Teseo
e Arianna raccontano a loro volta: ripensano al passato e alle loro esperienze e le storie si dipanano cos a
raggiera (Arianna non aveva mai dimenticato nulla.
Fin dalla fanciullezza la memoria era sempre stata la
sua gioia e la sua malattia). In questa breve riscrittura si condensano gli aspetti dellantichissimo racconto
orale: i dialoghi frequenti sono intercalati da minuziose
evocazioni di scenari fiabeschi (La mattina dopo, al
risveglio, Arianna aveva trovato sul letto accanto a s
una corona doro e di gioielli, foglie di vite, intrecciate a
un grappolo di pietre viola), da canzoncine e ritornelli
magici a ricomporre una trama che ancora la stessa,
ma una volta ancora diversa nelle forme, non ultimo
tassello di una tradizione lunghissima e fruttuosa.
La ricerca di Romani, esposta attraverso una narrazione altrettanto scorrevole, riprende i dati e gli elementi del mito, presenti in modalit iconica nella riscrittura
bettiniana, quasi fossero gomitoli da dipanare: il labirinto e la danza connessa, il mare e le spiagge solitarie,
i personaggi contigui alla vicenda di Arianna e Teseo
(Minosse, Dedalo, Dioniso, Artemide). Ne emerge una
figura femminile complessa, affiancabile a Medea, capace di abbandonare la propria terra, una donna forte,
una potenziale maga, ma, come Medea, abbandonata
e suicidatasi per impiccagione, anche se nella versione del solo Plutarco. Uno strabismo mitico affligge
la famiglia di Arianna. La sua vita presenterebbe, a
leggere attentamente le fonti come ammirevolmente
procede Romani una tendenza quasi schizofrenica
a costruirsi per paradigmi contrastivi, a tal punto che
gli abitanti di Nasso credevano allesistenza di ben due
fanciulle omonime, con un padre dallo stesso nome e
con la medesima patria. Una donna dalle forti passioni:
sorella di Fedra, innamorata di Teseo, sposa di Dioniso, trasformata quindi in astro del cielo, Arianna ha
una vita avventurosa a partire da una nascita cretese,
da unappartenenza ad una cultura antichissima che
ha lasciato tracce di ben tre scritture (la pittografica,
il lineare A, il lineare B). Dalle scoperte di Sir Arthur
Evans nata la possibilit di andare ancora pi indietro
nel tempo, quasi fino alla preistoria mitica. Un delizioso corredo iconografico mostra le immagini di Arianna nei secoli: potente, composta, lasciva, trepidante,
trafitta dal dolore a partire dalle immagini matriarcali
dellarte minoica fino alle svenevolezze della pittura
ottocentesca, alla marmorea consistenza mitica contrastante con il freddo rigore novecentesco in Piazza dItalia (1950 circa) di De Chirico. Ma non c fonte antica
che Romani non abbia scandagliato, trovando lopportunit per analizzare miti limitrofi a quello di Arianna,
legati a riti consolidati, radicati nelle loro diversit locali
nel territorio continentale e nelle isole. Il viaggio letterario di questa figura femminile fragile e potente, patente incarnazione delle contraddizioni femminili, non

si ferma al mondo classico. Romani percorre le opere


di Boccaccio, Petrarca, Chaucer, Lorenzo il Magnifico
e Poliziano, Lope de Vega, fino a Cvetaeva e a Sylvia
Plath, con incursioni nella storia musicale da Monteverdi a Benedetto Marcello, a Richard Strauss.
Che la tradizione classica arrivi a permeare la contemporaneit e a fornire elementi di interrogazione per
il nostro presente la premessa su cui si fonda lanalisi di queste antiche narrazioni, in cui molto spesso si
trovano intrecciate le storie degli uomini e delle divinit. In questottica Bettini ha pubblicato alcuni saggi
particolarmente incisivi che, indagando le forme delle
religioni antiche, consentono di formulare interrogativi
e riflessioni cruciali sulla contemporaneit. Nel nostro

Libri di Maurizio Bettini


con Silvia Romani, Il mito di Arianna. Immagini
e racconti dalla Grecia a oggi, pp. 278, 30, Einaudi, Torino 2015
Il dio elegante. Vertumno e la religione romana,
pp. 221, 24, Einaudi, Torino 2015
Di e uomini nella Citt. Antropologia religione
e cultura nella Roma antica, pp. 213, 19, Carocci, Roma 2015
Elogio del politeismo. Quello che possiamo imparare dalle religioni antiche, pp. 155, 12, Il
Mulino, Bologna 2014
mondo globalizzato dilaniato da guerre la religione diventa motivo di scontro, impossibilit di convivenza,
veicolo di rivendicazioni anche avanzate attraverso il
terrorismo.
Se i riti, come abbiamo visto, trovano nel racconto
mitico una ragion dessere, sono allo stesso tempo assi
portanti di una cultura e delle istituzioni che ne discendono. La religione antica, secondo modalit diverse,
scandisce da un lato il tempo circolare allinterno delle
proprie comunit e daltro canto condiziona il rapporto di una popolazione e di uno stato nei confronti delle
popolazioni limitrofe o delle popolazioni dominate,
o delle popolazioni con cui si intrecciano relazioni
commerciali. Nel mondo antico scriveva gi Bettini nellElogio del politeismo la religione costituisce
una produzione culturale a tutti gli effetti. Se non
fosse una costruzione culturale a pieno titolo () le
sue pratiche e la sua organizzazione non muterebbero
tanto radicalmente da unepoca allaltra, da un continente allaltro o da un paese allaltro. un fatto che
il cristianesimo si progressivamente costruito contro

le religioni classiche, relegandole nel territorio della


falsit e dellerrore. Bettini mette in luce le potenzialit represse del politeismo, identificandone alcuni
aspetti che, trasferiti nelle nostre societ, ridurrebbero
il conflitto religioso e le conseguenti ostilit. I greci e
i romani, pur avendo compiuto violenze e carneficine
come nelle epoche successive, non si sono scontrati per
affermare una religione sullaltra come hanno fatto cristiani e musulmani, ma hanno invece avuto la capacit
di intravedere nelle divinit altrui le somiglianze con le
proprie, fino al punto di identificarle tra loro. A partire
da questo dato fondamentale (la traducibilit e conoscenza degli dei), Bettini compie unindagine su religione e cultura nella Roma antica (Di e uomini nella
Citt) e sulle peculiarit di una divinit, Vertumno, che
porta inscritta nel suo nome la capacit di cambiamento e di metamorfosi (Il dio elegante). Lo studioso osserva gli aspetti pi significativi e i tratti distintivi di culti
declinati in modo non troppo diverso sulle sponde del
Mediterraneo. Le considerazioni di Bettini si possono
efficacemente affiancare a una mostra (Osiris, mystres
engloutis dgypte), proposta tra settembre 2015 e gennaio 2016 dallInstitut du monde arabe di Parigi, che
testimonia con ricchezza di materiali la maggior parte
dei reperti provengono dagli scavi sottomarini condotti
da Franck Goddio la condivisione del culto di Osiride nella citt di Thonis-Heracleion, in cui egiziani e
greci hanno vissuto mescolati per secoli.
Le identificazioni tra divinit appartenenti a popoli
diversi hanno carattere congetturale, sono di natura
sperimentale, provvisoria, osserva Bettini citando
sia Tacito sia Plutarco, un intellettuale greco interessato a capire (e far capire) i Romani e la loro cultura.
Plutarco, per esempio, istituisce una corrispondenza
tra Fauno e Pico da una parte e Pani e satiri dallaltra. Contestualmente la flessibilit della cultura romana prevede anche di creare nuove facies di di o dee
gi esistenti ponendoli in combinazione tra loro (Iuno
Lucina, Ianus Quirinus) secondo un procedere che
con Jakobson si pu definire interpretatio intralinguistica. Un fenomeno complesso, dunque, e non unilaterale, analizzato minuziosamente: utile a considerare,
in ultima analisi, come gli dei degli altri siano per greci
e romani in alcuni casi sovrapponibili, anche laddove
i loro nomi non corrispondano, oppure diversi ma integrabili, o anche presi in scarsa considerazione, ignorati, quando non disprezzati. Contesti storici, politici,
geografici avranno innescato diverse modalit di conoscenza delle divinit altrui, ma certamente secondo
processi estranei alle religioni monoteiste, per le quali il
proprio dio lunico vero dio.
Lutilit di queste riflessioni per il nostro tormentato mondo globale ancora pi evidente nel saggio su
Vertumno, il dio del vertere e della metamorfosi perpetua, come ha mostrato efficacemente Properzio nel
IV libro delle Elegie, ma di cui il mondo antico non ci
ha conservato nessuna rappresentazione iconografica e
che nel nostro immaginario corrisponde facilmente al
ritratto di Rodolfo II di Giuseppe Arcimboldo (1591):
un dio che si disfa in frutti e ortaggi proprio mentre
di essi si compone osserva Bettini, tuttavia ricordando lampio ventaglio delle sue competenze. In greco si
chiamavano timi le prerogative di un dio, le sue sfere
di influenza per cui veniva venerato secondo coordinate spazio-temporali distinte rispetto a quelle degli altri
dei.
Dio, principe dellEtruria, secondo Varrone, ma anche legato ai Sabini, il dio Vertumno il dio venerato
nel quartiere degli Etruschi ai tempi di Romolo e altrimenti installato sullAventino cinque secoli dopo. Secondo Properzio assimilabile a Bacco, quindi uomo
o fanciulla, dio delle messi, dio guerriero, musico come
Apollo, cacciatore e auriga, pescatore, mercante, pastore, e tuttavia caratterizzato dal decus, dalla avvenenza delle forme. Secondo Bettini, che lascia emergere
in pagine avvincenti la complessit della costruzione
culturale di questa figura divina, lo si pu immaginare
oggi come ispiratore di Woody Allen alle prese con le
metamorfosi di Zelig.
n
angela.andrisano@unife.it
A. M. Andrisano insegna filologia classica allUniversit di Ferrara

N. 5

13

Societ, mercati e poteri: le origini medievali delleconomia occidentale


Il debito pubblico era un bene comune
Intervista a Giacomo Todeschini di Massimo Vallerani

Mi sembra che quello che chiama il mito dellautonomia delleconomia, o della separazione storica
di politica ed economia, derivi dalla cancellazione
del fatto che queste due realt, quella del mercato
in terra cristiana e quella della politica gestita da poteri cattolici, si rivelano invece un unico groviglio in
una moltitudine di fonti storiche. in conseguenza
di questa scissione che i mercati (ipostatizzati spesso
come mercato astratto) indipendentemente dalle
differenze fra le logiche culturali che li hanno caratterizzati nella storia e nel mondo, hanno potuto essere presentati come il palcoscenico su cui si
svolgeva una vicenda atemporale, e cio la partecipazione totale ai giochi economici, linclusione
nella societ di mercato, di quanti si trovavano
a essere sulla piazza del mercato o transitavano da
quelle parti. Indipendentemente dalla loro cultura, dal loro ruolo politico, dalla loro reputazione,
dal loro significato simbolico dal punto di vista di
quanti avevano il controllo del mercato. Uno
sguardo un po ravvicinato alle fonti che abbiamo a disposizione (fonti eterogenee agli occhi dei
contemporanei come leggi, discussioni teologicomorali, atti notarili, codificazioni normative, pareri giuridici, prediche, trattati sul prezzo giusto
delle cose o sullusura, contabilit di vario tipo)
mostra che il funzionamento delle economie e dei
mercati indistinguibile dal funzionamento delle
societ e dei poteri che, come quelli dei governi
cristiani, ne codificavano il funzionamento. Una
conseguenza fondamentale di questo intreccio
costituita dalla definizione di regole per i mercati/
societ in grado di stabilire logiche dellesclusione
dalla societ in quanto organizzazione politica e, allo
stesso tempo, dal mercato in quanto organizzazione
economica. Un esempio macroscopico di questa meccanica dellesclusione quello riguardante i lavoratori
salariati, detti genericamente nel latino dei teologi e
dei giuristi mercenarii. Lavvicinamento concettuale
di questa massa di persone alla sfera della servit e
della non-libert e alla sfera della povert (mercenarii
= pauperes) oltre che dellignoranza (illitterati) le segnava come non indipendenti mentalmente, ricattabili economicamente, e inaffidabili dal punto di vista
morale e giuridico, escluse dalla politica e dal mercato. Occorre domandarsi quanto di questa sintassi
della disuguaglianza sia stata fatta propria dalla scienza economica quando questa si manifest, dal XVIIXVIII secolo, e sino ad oggi, come scienza pura
apparentemente asettica dal punto di vista politicoreligioso.
La convinzione che il pensiero ecclesiastico sia anti-economico dura a morire: ancora recentemente
Le Goff ha ribadito il rifiuto e la condanna di qualsiasi forma di interesse (usura) da parte della chiesa. Su
quali basi invece si fonda questo legame strettissimo
fra chiesa ed economia di mercato? O meglio come
si costruisce un mercato specificatamente cristiano?
La rappresentazione della chiesa come soggetto
storico antieconomico ritratto nella postura di severo giudice dei comportamenti economici, incapace
di capire il funzionamento dei mercati e le leggi economiche, dipende da una serie di fraintendimenti. Il
primo e pi vistoso ha a che vedere con lidea abbastanza diffusa dellesistenza di un soggetto chiesa o
anche cristianit indifferenziato e unico, in qualche

modo al di l del tempo e dello spazio. Il secondo


malinteso sta in una sottovalutazione del tutto ingiustificabile della cultura economica ecclesiastica a sua
volta allorigine di vocabolari e lessici economici. Un
ruolo culturale e amministrativo perfettamente comprensibile se appena si ricordi il peso enorme che le
chiese e la chiesa ebbero come soggetti economici. In
terzo luogo, infine, una lettura incompleta e affrettata delle fonti a disposizione ha talvolta autorizzato
uninterpretazione moralistica e ristretta (vagamente
ottocentesca e parrocchiale) della vasta gamma di posizioni teologico-morali e giuridiche espresse sullarco
di molti secoli dagli autori dei testi che, nel loro insieme, compongono il diritto canonico, leconomia politica e le legislazioni cattoliche in materia di scambio,
credito e, in generale, di comportamenti in grado di
generare un profitto economico. In particolare la condanna dellusura non coincise con una condanna delle transazioni creditizie considerate istituzionalmente
utili e praticate da coloro che, come i grandi mercanti
e i banchieri cristiani (al servizio del papato sin dal
XIII secolo) o le istituzioni ecclesiastiche stesse, erano considerati autentici professionisti delle relazioni
economiche, ritenuti pertanto in grado di gestire il
denaro in modo, oltre che profittevole, moralmente e

politicamente corretto. Lusura condannata era dunque quella praticata sulle piazze e nei mercati locali
da quanti venivano definiti dalla cultura giuridica medievale usurarii manifesti, usurai pubblici dediti alla
compravendita del denaro. Anche in questo caso, la
questione diventa pi chiara se non ci si limita a considerare come fonti probanti soltanto quelle che contengono definizioni dellusura ma il vasto complesso
di fonti cristiane che definiscono i modi corretti di
uso del denaro e le dialettiche del credito e del debito.
In La banca e il ghetto colpisce la dimensione
chiusa di questo sistema di mercato, che tende a
escludere una massa ingente di persone non degne
di appartenervi o incapaci di comprendere le logiche
dello scambio che sostengono il corpo sociale. Quali
sono i meccanismi di esclusione messi in moto da
questa economia?
Mentre in Come Giuda avevo provato a vedere in
che modo attraverso la graduale, secolare costruzione dellopposizione tra la figura di Giuda e quella di
Maria Maddalena era stata messa a punto una rappresentazione divulgabile dellincompetenza economica
di coloro che non appartenevano fino in fondo alla
societ dei fedeli e affidabili, in La banca e il ghetto
ho proseguito il lavoro affrontando piuttosto il versante istituzionale-politico del discorso. Mi sembra
che questo versante sia in buona parte costituito dalle
dinamiche del debito pubblico e specificamente dai
criteri di selezione della cittadinanza che queste dinamiche determinarono nelle citt italiane che fra XIII
e XV secolo hanno inventato il debito pubblico
come tecnica di governo economico dei territori, de-

finendolo al tempo stesso, per mezzo dei linguaggi


teologico-morali e politici, come forma economica
del bene comune. Nellambito di questa codificazione, tardomedievale, del credito di cui godevano le
persone come conseguenza della credibilit attestata
dalla loro possibilit e volont di partecipare al debito
pubblico (e, pi in generale, ai vari aspetti delle relazioni finanziarie cittadine), di dare dunque denaro
allo stato per riceverne in contraccambio un capitale
complesso, fatto di buona reputazione, pagamenti
periodici di interessi e riconoscimento di una compartecipazione alla macchina amministrativa statale,
si progressivamente decantata come moralmente
positiva limmagine dei cittadini affidabili, ricchi e
interessati al funzionamento della politica. Unimmagine ben distinta da quella dei cittadini (?) inaffidabili,
poveri e ignari o non partecipi dei significati politicoamministrativi di istituzioni come i monti del debito
pubblico, i monti di piet e le banche.
Parlando di esclusi si pone naturalmente il problema degli ebrei. Nei libri precedenti era evidente lo
sforzo di non ridurre gli ebrei a caso etnico fin dal
primo medioevo. Il rifiuto della testardaggine ebraica nascondeva una paura intensa di proselitismo e di
contagio verso i cristiani deboli (di bassa condizione sociale). Sembra che in fondo nella figura
dellebreo si siano coagulati tutti gli aspetti negativi che le lite religiose intendevano espellere dalla societ cristiana. Unimpressione che si
ritrova anche nel ghetto di questultimo libro: gli
ebrei erano gli attori deputati a guidare un mercato quotidiano di basso valore, contrapposto al
vero mercato civico della ricchezza comune.
cos? Oppure il ghetto segna anche un cambio di
passo verso lemarginazione fisica di una popolazione specifica?
La storia degli ebrei in area cattolica fra medioevo ed et moderna, e in Italia soprattutto, soffre
di vari equivoci, il maggiore dei quali penso sia la
tendenza storiografica e pubblicistica a proiettare
sulla componente ebraica della societ medievale
problemi e codificazioni identitarie contemporanee, successive al dilagare dellantisemitismo
otto-novecentesco e alla Shoah. Bench alla fine
del medioevo si siano consolidati a opera della
cultura teologica e giuridica, e delle legislazioni
locali, molti stereotipi antiebraici, improprio catalogare il mondo ebraico medievale con le categorie
di identificazione etnica o razzista che noi oggi ben
conosciamo. Per questa ragione, mi sembrato pi
opportuno analizzare i diversi significati che le realt
ebraiche medievali e della prima et moderna hanno
assunto in una variet di fonti piuttosto eterogenea:
lettere, trattati, leggi, sermoni, libelli polemici e cos
via. Il risultato inevitabilmente complesso: gli ebrei
erano sia una presenza reale, fatta di gruppi culturalmente diversi da quello maggioritario cristiano, e per
questo politicamente emarginati, sia una presenza
fantasmatica, fatta di spettri minacciosi e sanguinari
che davano corpo ai timori di una societ cristiana a
sua volta divisa e incerta riguardo alla effettiva cristianizzazione interiore dei suoi membri, sia una rappresentazione metaforica di chi, da infedele, perturbava
lordine cristiano inteso come ordine economico,
religioso e politico. In questo quadro, la nascita alla
fine del medioevo degli istituti che gestivano il debito pubblico, dei monti di piet e delle banche, pu
essere letta come la codificazione politico-economica
di un sistema di esclusioni che assumeva anche la forma di una gerarchizzazione delle economie presenti
sui territori cristiani. I ghetti italiani vennero fondati
appunto in questa fase, in un clima tanto controriformista quanto orientato a distinguere, con precisione
sempre maggiore, leconomia cristiana (come forma
della politica gestita dai governi oligarchici) dalle economie gestite da gruppi politicamente insignificanti.
Indubbiamente in questa fase lindividuazione/ghettizzazione degli ebrei, ossia il loro concentramento
fisico in luoghi ben precisi, produsse una crescita veloce di stereotipi e di politiche potenzialmente antisemiti e pi o meno chiaramente razzisti.
n

- Storia

a banca e il ghetto (si veda la recensione a p.


35) viene alla fine di una densa stagione di studi dedicati a una revisione complessiva delle origini
medievali delleconomia occidentale. Visibilmente
crudeli (Il Mulino, 2009) e Come Giuda (Il Mulino,
2011) hanno messo in discussione idee di lunghissima data: lestraneit del pensiero religioso cattolico
dalleconomia di mercato; la natura inclusiva delleconomia cattolica; la struttura aperta e mista delle
societ urbane italiane, pronte ad accogliere stranieri
ed ebrei disposti a integrarsi. Proviamo a svolgere
questa matassa di controdeduzioni proprio dal rapporto tra economia e politica, da tempo considerate
due sfere separate. Da dove nasce e quali conseguenze ha il mito dellautonomia delleconomia?

Segnali

14

N. 5

Alimentazione e produzione, tra autobiografismo e concretezza


Ma chi me lha fatto fare?
di Luca Simonetti

Segnali

- Societ

ellambito dellalimentazione e pi in generale


N
della produzione del cibo, facile imbattersi
in libri autobiografici, in prima persona. Ma lauto-

biografismo pu svolgere ruoli molto diversi: pu


servire a chiarire il tema in discussione, grazie al
pathos e alla concretezza dellesperienza individuale, ma pu anche finire per oscurarlo, quando la
trattazione meramente ombelicale. I tre libri qui
in esame sono eccellenti esempi di questi due diversi esiti della forma autobiografica.
Enrico Brizzi cerca di rispondere a alcune domande comuni (che cosa vuol dire essere vegani?
che cosa comporta nella vita quotidiana?), raccontando la storia del suo rapporto con la moglie
Claudia la vegana del titolo dal corteggiamento
fino alla nascita della loro figlia (Ho sposato una vegana, pp. 127, 12,50, Einaudi, Torino 2016). Il
problema per che Brizzi non ha
chiaro in mente lo scopo che vuole
ottenere, e cos oscilla continuamente tra lautocommiserazione
(ma chi me lha fatto fare?), lammiccamento al lettore (guardate in
che situazione mi ha messo questa
matta!), la narrazione di un percorso individuale di guarigione o
addirittura il Bildungsroman. Infatti Brizzi (o almeno, il Brizzi-narratore) ha finito per condividere le
convinzioni della moglie, che non
si limita al veganesimo, ma nutre
tutta una serie di altre opinioni
sulluniverso mondo, che definire
poco serie sarebbe eufemistico:
lapparato digerente degli esseri
umani erbivoro, non possiamo
digerire la carne; lolio di palma fa
male; il cacao industriale un veleno; la frutta va consumata prima
dei pasti; lo zucchero un veleno;
lerba di grano va brucata direttamente dal vaso; bisogna usare solo
pane a lievitazione naturale; il parquet tossico e trattato in modo
da rilasciare sostanze volatili nocive al nostro organismo; dopo
la doccia non bisogna asciugarsi;
il wifi produce danni cerebrali e
il microonde cancerogeno; le
aspirine fanno male, e quanto agli
antibiotici vanno fatti in casa con
aglio e limone; e cos via. Lapproccio del Brizzi-narratore alla
questione di disarmante banalit (se tanta gente intelligente e di
successo, da Leonardo da Vinci
e Einstein a Terence Hill e Brad
Pitt, ha scelto di essere vegana,
un perch ci sar); e in effetti le
sue uniche perplessit non vanno
tanto alla sostanza del veganesimo
(che sarebbe una missione giusta, condivisibile, socialmente ed economicamente
vincente), quanto a una eccessiva aggressivit nei
metodi di propaganda, laddove invece sarebbe sufficiente che i vantaggi connessi alla dieta vegana si
affermassero da s, con la mera forza dellesempio.
Il Brizzi-narratore (chiss quello vero) non mai
sfiorato dal dubbio che il veganesimo della moglie
non, diciamolo subito a scanso di equivoci, il veganesimo tout court sia a sua volta una religione,
una ideologia reazionaria, antiscientifica, intollerante e arbitraria. Cos il libro si riduce ad una raccolta di aneddoti, alcuni divertenti (i primi soprattutto) e altri che vorrebbero esserlo ma risultano
solo imbarazzanti (Claudia che chiede a Fausto le
analisi del sangue prima di andarci a letto, che scaccia il gatto che cerca di mangiare la lucertola, o che
semina lo scompiglio in teatro durante una serata
di Supermagic), e non riesce n a convincere, n a
informare, n a divertire.
Il libro di Novella Carpenter (Farm City. Leduca-

zione di una contadina urbana, ed. orig. 2009, trad.


dallinglese di John Irving, pp. 349, 14,50, Slow
Food Editore, Bra 2015) la storia dellautrice, una
contadina urbana, una cittadina cio che si ingegna a trasformare piccoli appezzamenti abbandonati in orti e allevamenti. Nonostante alcune strane
amnesie (il libro, peraltro zeppo di dettagli, omette
di dirci quali siano i lavori part time che consentono
alla protagonista e al suo compagno di sopravvivere), la prima parte, che racconta il trasloco dellautrice da Seattle a una zona periferica e decaduta di
Oakland in California, il suo ambientamento, i rapporti con i vicini, divertente e istruttiva. Peccato
per che insensibilmente il libro si trasformi in un
manuale di how-to: come trasformare un parcheggio dismesso in un orto, come costruire gabbie per
polli e conigli, come allevare uccelli e maiali, come

uccidere gli animali, eccetera (senza ovviamente


trascurare le ricette), il che magari potrebbe anche
interessare poco il pubblico generalista. Inoltre,
per quanto non si possa accusare lautrice di prendersi troppo sul serio (e infatti sa raccontare con
humor i suoi dubbi, i suoi scacchi, i suoi imbarazzi
di piccoloborghese declassata, come quando col
compagno va nottetempo a svaligiare i cassonetti
per recuperare cibo per gli animali), quel che lascia
perplessi il fatto che le scelte decisive dellautrice
non siano minimamente spiegate. Cos non sappiamo perch Carpenter abbia deciso di dedicarsi
allurban farming, perch si sia data allallevamento
urbano, perch attribuisca tutta questa importanza
al saper uccidere da s gli animali di cui cibarsi, e
infine perch abbia deciso, per un mese, di nutrirsi
solo con i prodotti della sua fattoria urbana: tutto
viene dato per scontato. In questo modo il libro riesce, nel complesso, enigmatico, il che limita molto
il suo potere di convincere chi gi non condividesse

le tesi dellautrice.
Anche il libro di Antonio Leotti (Nella Valle senza
nome. Storia tragicomica di un agricoltore, pp. 134,
12, Laterza, Roma-Bari 2016) autobiografico,
incentrato com sul punto di vista peculiare di un
agricoltore, che lavora anche nel mondo del cinema
e si trova a gestire lazienda agricola di famiglia. A
differenza degli altri due testi, per, quello di Leotti non il racconto di una conversione individuale.
Non che manchino i cambiamenti di opinione anche abbastanza radicali (ad esempio, in materia di
politica), ma in genere Leotti si concentra non tanto su se stesso e sulle proprie scelte, quanto sullevoluzione del costume e della cultura italiana. Il ricorso alla dimensione autobiografica, perci, viene
usato per illustrare pi concretamente un problema generale. Ad esempio, illuminante lexcursus
iniziale sul cambiamento nel modo
di percepire lagricoltura (da attivit arretrata e sfigata riservata a
esseri subumani gente poca,
contadini tanti a vera e propria
moda, assieme alla contestuale
affermazione del modello immaginario di agricoltura da Mulino
Bianco, su cui Leotti scrive pagine gustose). Come pure incisiva
la descrizione del dominio del Pci
prima e del Pd poi in Toscana, dal
punto di vista sia dellagricoltura
sia della politica urbanistico-paesaggistica (con gli innumerevoli
e spesso insensati lacci e lacciuoli
imposti alliniziativa privata, ma
che poi non riescono a tutelare
il paesaggio dagli scempi operati
dalla mano pubblica), e della politica culturale in genere (a questo
riguardo, oltre alle spiritose considerazioni sul proliferare di sagre e
festival tutti uguali, piace segnalare lepisodio della proposta, poi
grottescamente abortita, di diventare assessore alla Cultura). In generale, lautore contesta la visione
oggi prevalente in Italia, di tutela
perlopi museale o imbalsamatoria del territorio e del paesaggio
(come se le bellezze paesaggistiche
italiane non siano il frutto dellattivit umana, e come se il paesaggio
non sia necessariamente in continuo mutamento, proprio perch
vivo), che nega ogni cambiamento
e quindi anche ogni progresso. E
infatti il tema principale del libro
proprio la critica della cultura
antiscientifica e antiprogressista
italiana, che idealizza il passato e
le tradizioni, ignorandone per gli
aspetti negativi. Proprio in virt di
questa insolita lucidit, Leotti si
distingue (in meglio) dai numerosissimi saggi che,
negli ultimi decenni, si sono chiesti con pensosit
forse non sempre accompagnata da vero pensiero
che cosa sia oggi e che fine abbia fatto la sinistra in
Italia. Leotti unidea ce lha: che la sinistra, oggi,
come sempre del resto, consista nella fiducia nella
ragione, nella capacit di condividere (responsabilmente: infatti, per lautore, la differenza fra la
politica vera e le chiacchiere da bar consiste nellassumersi la responsabilit delle proprie scelte) un
progetto di progresso civile, economico e culturale,
che non pu e non deve accompagnarsi alla diffidenza verso la scienza e la cultura (diffidenza di cui
espressione il sapere nostalgico denunciato, fra
gli altri, da Antonio Pascale), o peggio ancora alla
fissazione per la purezza, ahim cos caratteristiche della sinistra attuale.
n
l.simonetti@splex.com
L. Simonetti saggista

15

N. 5

Il difficile mestiere della divulgazione


Numeri e algoritmi, responsabili delle nostre sofferenze

matematica. Entrare in questo campo ha richiesto


decisioni non facili, per trovare un equilibrio tra saggistica e informazione da parte di un editore la cui
immagine legata soprattutto alle discipline storiche
e sociali. Finora Il Mulino non aveva ospitato nel suo
catalogo libri di scienza, se non manuali universitari e
opere di filosofia o storia della scienza; facevano eccezione i numerosi titoli dedicati ad astronomia, geologia, scienze dellambiente, biologia, evoluzione nella
collana Farsi unidea, di agile divulgazione attenta
allattualit, la corrispondente italiana di Que saisje; non vi potevano trovare posto tuttavia argomenti
di matematica.
La divulgazione si pu fare se i lettori hanno conoscenze di base, sulle quali si possa inserire la presentazione di sviluppi recenti e soddisfare il desiderio
di informarsi; altrimenti un illusorio surrogato della
scuola. Dato lanalfabetismo diffuso riguardo alla matematica non ci si pu rivolgere alle ultime novit, n
aspettare episodi di richiamo; qualche editore fa questa scelta, puntando sullattrazione di un personaggio o sul clamore, raro, di qualche risultato
incomprensibile gonfiato dai media, ma questo
significa affidarsi alla casualit. Le traduzioni
non sono una soluzione, perch gli altri paesi
hanno lettori con diversa preparazione, a parte
la questione dei costi e della qualit. Leditore
in questo caso ha pensato a cosa mirava, da un
punto di vista culturale, e si attrezzato per ottenerlo.
Gli autori dei primi volumi sono studiosi italiani di prestigio e consapevoli dellimportanza
di comunicare, disposti a sottrarre tempo al
loro lavoro per dedicarlo a questa finalit, tutti con una qualificata esperienza nellattivit
espositiva. Hanno scritto appositamente il loro
contributo, e lhanno fatto per forza in modo
originale, perch i loro temi non sono previsti
nellinsegnamento o nella letteratura. Anche se
lo sono e il soggetto appare tradizionale, il modo
di presentarlo costituisce una visione nuova.
La scelta degli argomenti stata probabilmente pi difficile di quella degli autori. Tra i primi
titoli due sono di tipo disciplinare, numeri e algoritmi, il terzo dedicato al mestiere del matematico; annunciati in uscita a breve sono uno
sulla matematica dellincertezza, la probabilit,
e uno su matematica e scienze della natura; a seguire uno sui problemi difficili e apparentemente insolubili dellinsegnamento. Quindi si spazia
da argomenti quasi istituzionali a saggi sulle
ricadute della matematica e sulla natura della
ricerca, che si potrebbero considerare filosofici.
Numeri, di Umberto Bottazzini, storico della matematica di prestigio internazionale, potrebbe sembrare dal titolo poco originale, tutti sanno
che i numeri sono il nucleo della matematica, e i responsabili delle loro sofferenze; ma chi ricorda solo
limposizione scolastica con la gerarchia crescente
di numeri naturali, interi, razionali, reali sar sorpreso nello scoprire come la loro storia sia ramificata e
complicata, fatta di sbalzi e fratture, di rifiuti decisi
(gli antichi Greci hanno addirittura abbandonato le
frazioni) e di lenta accettazione, e come presenti una
proliferazione di diversi tipi di numeri che esplosa
nellet contemporanea e ancora continua (ultimi nati
nel 1970 i numeri surreali di Conway, che unificano e
generalizzano concetti che sembravano indipendenti, come i numeri reali e i numeri transfiniti). Quello
dei numeri non un argomento elementare; se considerato in tutta la sua estensione storica mette in luce
la natura dellinvenzione matematica, gli ostacoli e i
pregiudizi conservatori che si sono dovuti superare, i
metodi adottati per giustificare lintroduzione di nuovi enti; non in base a elaborazioni puramente astratte
ma sotto le influenze materiali e sociali che li hanno
resi necessari, come i logaritmi per i bisogni della navigazione, o i casi di serendipity tra cui la scoperta dei
complessi per vincere le sfide pubbliche sulla soluzione di equazioni (nella Bologna del Cinquecento).

Sinizia quando luomo preistorico, le cui capacit


numeriche non superavano quelle di molti animali,
decide di segnare con tacche su ossa il passare del
tempo; poi con i nomi per i numeri interi, che precedono il linguaggio; la hybris pitagorica di misurare
tutto; la scoperta che non possibile, che esistono
grandezze incommensurabili; la ricerca di alternative,
come la teoria delle proporzioni; la trasformazione in
numeri dei processi di approssimazione, con unaltra
hybris, quella di dominare linfinito (i numeri reali
sono decimali illimitati); alla fine di nuovo si scopre
che si pu misurare tutto, ma se i numeri sono tutto
perch numero si chiama ora tutto ci che serve a
misurare, e che a scuola non si chiama numero: gli
immaginari, le matrici, le algebre, le funzioni, le distribuzioni probabilistiche. La radice di tale libert di
proposizione sta nella consapevolezza che i numeri
non sono segni che si leggono nel mondo, ma schemi
di ragionamento che si reggono solo sulla coerenza
delle regole. Sembra quasi che nel corso dellOttocento si sia verificata una mutazione epistemica, che
ha liberato le energie creative dei matematici, prima
legate dalle pi varie metafisiche.

Carlo Toffalori, lautore di Algoritmi, oltre che un


fine logico uno scrittore di vaglia, con predilezione
per la letteratura gialla ma non solo (LIndice 2013,
n. 6), e conferma le sue doti in questopera. Spiritoso,
colto e soprattutto grande didatta, ha anche a suo credito testi universitari sullargomento, sa farsi capire e
rendere allettante lapprendimento, guida il lettore in
modo naturale alla scoperta e alla scrittura di algoritmi; riesce a fare quello che dichiara essere la sua ambizione, seguendo Calvino, di rendere leggera anche
la matematica apparentemente pi grave. Fa toccare
con mano come per riuscire a scrivere un programma per la soluzione di un problema, da affidare alla

I libri
Umberto Bottazzini, Numeri, pp. 201, 14, Il
Mulino, Bologna 2015
Carlo Toffalori, Algoritmi, pp. 208, 14, Il Mulino, Bologna 2015
Angelo Guerraggio, Con la testa tra le nuvole?
Il mestiere di matematico, pp. 188, 14, Il Mulino, Bologna 2016

cieca potenza del calcolatore, si debba innanzi tutto


concepire la strategia in modo da poter eseguire a
mente il calcolo, prima o in alternativa, almeno per
input piccoli; non sono dunque in contrasto la seriet
paziente della macchina con il divertimento esaltante
della scoperta, come nella soluzione di un gioco. Molto spazio hanno i giochi, dagli scacchi a Hex, come
banco di prova degli algoritmi, sicch seriet e divertimento si mescolano e si compensano tra loro. Largomento degli algoritmi non ha nulla a che vedere con
il dolore, algos in greco, come pensano alcuni medici,
ma con lalgebrista arabo al-Khwrizm; comprende
particolari metodi ingegnosi di soluzione di problemi, ma anche modelli teorici astratti di cosa vuol dire
calcolare, sicch si possono affrontare teoricamente
domande sui limiti del computabile. Tra i tanti punti bene illustrati con esempi e spiegazioni trasparenti
spicca la differenza tra sapere che esiste una soluzione
e la difficolt o addirittura limpossibilit di conoscerla; si apre la strada alla fondamentale questione della
complessit computazionale, con i suoi risvolti teorici
ma anche con le conseguenze pratiche sulla sicurezza
degli algoritmi.
Angelo Guerraggio in Con la testa tra le nuvole? dedica una prima parte alla figura del matematico nellopinione corrente, con gli stereotipi
della persona distratta o autistica che si esprimono in una serie di barzellette e storielle e offrono
un po di divertimento anche al lettore; poi nella letteratura dove sono citati Queneau, Swift,
Verne, Potocki, Hugo, Wilde, Stendhal, Valry,
Musil, Broch, Rodari; e nel cinema, con Bianca di Nanni Moretti, Paperino nel mondo della
Matemagica, Genio ribelle, Lo strano caso del
cane ucciso a mezzanotte, The Imitation Game,
La morte di un matematico napoletano (Renato
Caccioppoli) di Mario Martone, A Beautiful
Mind. Quindi lautore passa al mestiere del
matematico, e per unificare i molteplici aspetti
della professione utilizza lidea della soluzione
di problemi attraverso la costruzione di modelli.
Dopo aver spiegato cosa un modello, mostra
come tale concetto sia arrivato a essere posto al
centro della matematica; anche i numeri di cui
si parlava sopra sono modelli; stata una lunga
storia che Guerraggio fa iniziare da Galileo col
suo difalcare gli impedimenti della materia e
raggiungere lapice con leconomia matematica
di fine Ottocento, la rivoluzione marginalista di
Lon Walras. Troviamo tra i protagonisti uninteressante presenza di italiani, in particolare
Vilfredo Pareto, e una vivace discussione che
coinvolge Giovanni Vailati, Maffeo Pantaleoni,
Benedetto Croce. Ma dopo i modelli di evoluzione delle popolazioni, e la crescita logistica
indagata da Malthus e Verhulst entra in scena
leroe della storia, Vito Volterra (1860-1940)
con il modello preda-predatore e i modelli ecologici, a partire da quello per le linci e le lepri del Canada, allinizio del Novecento. Lesposizione storica
interessante, erudita e rigorosa. Anche questo saggio
termina con una serie di giochi per illustrare la creativit che si manifesta nella costruzione di un modello. I lettori, che idealmente farebbero bene a leggere
tutti i volumi, dovrebbero ricavare limpressione che
i termini pi in uso in matematica siano divertimento
e gioco (anche in Numeri, con i giochi di Conway).
I libri della serie Raccontare la matematica sono
impegnativi solo nel senso che bisogna che il lettore
sia partecipe, non passivo; lultimo richiede inevitabilmente un po di analisi, non pi di quella che simpara al liceo scientifico, se ancora la si impara. Anche
gli specialisti troveranno motivi dinteresse, se hanno
voglia per una volta di non restare chiusi nelle loro
quattro mura. In complesso lofferta della casa editrice Il Mulino si presenta come un intelligente e sottile
modo di smitizzare la matematica, visto che mito
n
significava in origine racconto.
gabrielelolli42@gmail.com
G. Lolli ha insegnato filosofia della matematica
alla Scuola Normale Superiore di Pisa

Segnali

coraggiosa e controcorrente o segno fausto


Sticacelta
dei tempi? Anche Il Mulino si apre alla matemacon una nuova serie dedicata a Raccontare la

- Matematica

di Gabriele Lolli

N. 5

16

Mario Pomilio e una nuova edizione di Quinto evangelio


La presenza del Dio assente
di Domenico Calcaterra

Segnali

- Narratori italiani

ra gi contenuto tutto, in nuce, nel poeta deE


gli Emblemi (1949-1951), il destino del Pomilio romanziere: proprio in quei dolci emblemi /

veri, nel montare in suono del segno, nel tradurre


in esauribile ricerca il discorso della (e sulla) letteratura. Di come fosse inscindibilmente connaturata alla dimensione dellesperienza umana il tendere
comunque verso un seppur fragile e lampeggiante
nucleo di verit; proteso allansiosa ricerca di quei
miti che la rendessero immune dai pericoli di
una storicizzazione totale (come ebbe modo di
scrivere in una lettera indirizzata allamico Fortunato Pasqualino). A tradire, da subito, la radicalit del suo scrivere, scoperto affondo che non
pu che mirare alle cose grandi, loptare per una
letteratura intrinsecamente cristiana e che abbia
come baricentro la riscoperta di un pi genuino
umanesimo (si rammenti la critica, poi confluita in
Scritti cristiani, alla narrativa degli anni settanta, che
questa centralit eludeva,
ponendosi non pi al centro
delluomo, della realt, ma
al limite). Ma rimaniamo
ancora alla precoce stagione
degli Emblemi, a certi suoi
appunti per una poetica
(cui fa riferimento in una
lettera del 1956 a Giovanni
Cristini), per toccare lossatura del discorso sullopera
tout court di Mario Pomilio, laddove precisava che
limmagine lirica ha duplice
natura: si tratta, ogni volta,
di inseguire un significato
di pensiero attraverso una
realt concreta; come a dire
che la poesia, e in generale larte, la letteratura, per
lautore del Natale del 1833
si dipana come realt di
pensiero, continua perorazione. Facile dedurne che
lespressione letteraria pi
compiuta di una simile convinzione rimanga Il quinto
evangelio (1975), non a caso
recentemente riproposto,
per celebrare il venticinquesimo della morte dello scrittore abruzzese, da LOrma Editore (Roma
2015, nella collana diretta da Andrea Cortellessa,
pp. 493, 26). La responsabilit di ridare nuova
vita al romanzo senza dubbio pi importante di Pomilio la si coglie subito nellampio corredo di testi
che laccompagnano: dalla Nota archivistica (Come
lavora Mario Pomilio) di Wanda Santini che, tra
avantesto e contesto, attraverso lesplorazione del
dossier quintoevangelico, illumina genesi e modus operandi dello scrittore, mettendone a fuoco
il manzonismo; al lucidissimo saggio conclusivo di
Gabriele Frasca (La verit, la ricerca e la consegna),
nel quale, con il chiaro intento di rilanciarlo come
autore del canone, cerca di storicizzarlo ponendolo
nel solco del modernismo italiano insieme a Gadda
e DArrigo, tutti e tre disposti sullasse dun ripensamento di quella linea narrativa che da Manzoni
giunge fino a Verga. Ancora, in Appendice, tre scritti di Pomilio che aiutano a meglio contestualizzare
il romanzo: dallindispensabile Preistoria dun romanzo, al saggio dedicato alle varianti testuali del
capitolo finale, Il quinto evangelista, per chiudere
con una riflessione sul vento di rinnovamento portato dal Concilio Vaticano II.
Ma che romanzo il Quinto evangelio di Mario
Pomilio? La vicenda esemplare di Peter Bergin,
soldato americano che nel 1945, in una canonica
bombardata di Colonia, casualmente rinviene, tra
le carte del prete, dei materiali che rimandano a un
presunto quinto evangelo (apocrifo o autentico?),
inducendolo (da agnostico) a dare avvio allavventura (cui dedicher lintera esistenza) di raccoglier-

ne ogni testimonianza, a rileggerla oggi, a distanza


di quarantanni, mantiene intatta la sua carica paradigmatica dinesausto moto di ricerca, reazione alla
silenziosa presenza del Dio assente. Siamo allinterminata perorazione vivificata dal dubbio cui si
faceva riferimento in apertura, e che qui trasborda
dallesordiale problema della sofferta coscienza
insidiata dal tarlo morale di Luccello nella cupola
(1954) al maturo approdo del pieno romanzo della
radiosa speranza postconciliare. A ultimare unideale trilogia, seguir poi lulteriore arrovellarsi circa
il problema del male e del dolore nella vita, lincaponirsi nel pervicace inseguimento duna risposta
tuttavia senza uscire dalla fede (tematica pomiliana
per eccellenza), con Il Natale del 1833 (1983), esito
senzaltro pi amaro (si rammenti il cecidere manus manzoniano).
Pomilio colloca qui, al centro della sua meditazione, quella tensione verso lapocrifo che si pa-

lesa nei momenti di svolta: dal tragico fondale da


cui prende avvio il racconto il tema (civile) delluscita dalla guerra che aveva peraltro gi affrontato
di petto, con la storia dun amore tra un italiano e
una giovane tedesca inibito dal risentimento, in Il
cimitero cinese (1969), simbolicamente dedicato al
cugino Karl-Heinz Ilting al clima di rinnovamento dellet postconciliare, degli anni in cui venne
concependo e scrivendo il suo romanzo. Dinanzi
alla brulicante violenza della storia i Vangeli si
traducono in spinta oppositiva, riprendono a essere parola antagonista, risorgente utopia del possibile. E come non pensare, di passaggio perfetto
apocrifo postmoderno che bene potrebbe stare nel
catalogo della letteratura sullargomento qui realizzato da Pomilio , a Ritorno (Sellerio, 2003), la favola teatrale in tre giorni di Michele Perriera, nella
quale il drammaturgo palermitano crea il mito di
un Dio oramai reso impotente e sconfitto, schiacciato dal dilagare del Male, che viene convinto, infine, a fare ritorno sulla terra, reincarnandosi come
feticcio di una visionaria (e diciamo pure sentimentale) utopia. A cosa, in definitiva, somiglia Il quinto
evangelio se non alla riscrittura di un mito necessario e dal valore polisemico? Eresia, favola, immagine poetica, metafora duna tensione inesauribile e
Bergin-Pomilio si prova a ricostruirne la storia, a
immaginarne la letteratura che intorno ne sarebbe
potuta fiorire , detection imperniata su unirrisolta
ambiguit di fondo, tra ricerca di un testo misconosciuto e modo altro di leggere gli stessi vangeli canonici (che il quinto evangelio sia invenzione dei
poeti?), peraltro arpeggiata insistendo non poco

sul basso continuo della delega della Parola e


dun sempre agognato supplemento di rivelazione, scrivendo il suo libro pi ambizioso Pomilio
mette in romanzo quella esegesi del possibile che
presuppone lausilio dellimmaginazione. Come
far dire al Quinto Evangelista nella rappresentazione che funge, significativamente, da reperto
finale: Il Cristo non ci ha dettato una verit, ci
ha lanciati in unavventura: a mettere in campo
un modo di stare nella fede che contempli financo la possibilit del dubbio; quel rischio della
ricerca che rimane, beninteso, lautentico tema
del libro (come scrive lo stesso Pomilio in A dieci
anni del Vaticano II, testo che non a caso figura in
appendice). anzi il libro entro un bidirezionale
intarsio di senso, nel momento in cui si concretizza
in ideale antologia della possibile letteratura generata da quel mito (o meglio della sua germinante
carica polisemica) a coagularsi in correlativo oggettivo di quellavventura,
monumentale emblema per
antonomasia di tutta lopera
pomiliana. Che poi la vera
dimensione di crisi vissuta dai suoi personaggi: dal
Don Giacomo di Luccello
nella cupola (1954), il giovane sacerdote che vede quasi
svuotata di valore la sua funzione di confessore, venuto
a conoscenza della torbida
storia di Marta (cui fa da
contraltare figurale limmagine, centrale, del rondone
intrappolato nella cupola);
al Manzoni personaggio del
Natale 1833 (1983), in preda allangoscioso naufragare
delle sue certezze cristiane
entro un gorgo senza soluzione: il rovello del male, del
dolore nella vita delluomo
(il complesso di Giobbe).
Superfluo ricordare che,
con Il quinto evangelio, lo
spazio della crisi si sublima
invece in positiva oltranza,
in unet qual la nostra,
nella quale diminuita la
vicinanza alle Scritture e troppo attenti ci facciamo alle voci dei filosofi, quasi a soccorrere dei loro
dubbi le nostre nitide certezze (cos scrive, facendosi ventriloquo di un non meglio specificato frate
Ruggero in una delle epistole che reca notizia del
cosiddetto manoscritto di Vivario).
Attraverso i suoi personaggi, Mario Pomilio non
ha fatto mai altro che procedere a un ascolto di s:
specchio in cui riflettere una sorta di autobiografico regesto delle proprie inquietudini; abito duna
voracit morale (cos in unintervista rilasciata a
Carmine Di Biase) che rimane il tratto distintivo e
dellautore e dei suoi protagonisti. A tal proposito
non possiamo tacere qui di quella particolare anatomia del personaggio che, a mo di confessione,
Pomilio mette in atto nel racconto postremo Una
lapide in via del Babuino (1991), in cui nel personaggio storico in potenza Girolamo Bonaparte, adombra lennesimo e terminale emblema di
quella parte di verit pi interna che, in quanto
scrittore, non era riuscito a significare. A oltre
venticinque anni dalla sua scomparsa, a rileggerlo
colpisce la cocciuta spregiudicatezza con la quale
Mario Pomilio si sforzava di ricercare quel contatto col grande in cui, come scrisse nellempatica
Lettera a una figlia (poi confluita in Scritti cristiani,
1979), risiedeva tutta la forza della sua pedagogia
morale e, noi aggiungiamo oggi, con lucida cognizione, della sua poesia.
n
domenico.calcaterra@gmail.com
D. Calcaterra saggista e critico letterario

17

N. 5

Libro del mese

Una verit tremenda


di Giulia De Florio
Vasilij Grossman
Uno scrittore
in guerra

a cura di Antony Beevor


e Luba Vinogradova, ed. orig. 2015,
trad. dallinglese e dal russo
di Valentina Parisi,
pp. 471, 23,
Adelphi, Milano 2015
einrich Heine sapeva che senH
za materia non esiste canto
e che dalla verit del materiale

umano che larte trae la sua sostanza, cos come lo sapeva Stanislavskij quando urlava in faccia
ai suoi attori Non ti credo! se
sentiva che non stavano portando
in scena un mondo, ma una sua
copia sbiadita, artefatta. Il materiale umano che Grossman fissa
sulle pagine dei suoi taccuini e
che poi, filtrato e decantato, rifluisce in tutte le sue opere successive la guerra. Grossman non sa
nulla di guerra, in compenso sa
tutto dellanimo umano, come
afferma sicuro il generale David
Ortenberg, direttore del giornale
Stella rossa per il quale Grossman diventa corrispondente
speciale al fronte, in prima linea,
dallagosto del 1941 fino alla presa
di Berlino del 1945. Quattro anni,
con pochi e brevi congedi, da testimone oculare del pi grande
conflitto del Novecento, quattro
anni in cui Grossman con lesercito sovietico nei momenti e nei
luoghi pi memorabili: in Ucraina quando i tedeschi conquistano
Orl e costringono lArmata rossa
alla ritirata, a Stalingrado, durante
lepica battaglia casa per casa, a
Kursk, nel pi grande scontro di
carri armati della storia e in molti
altri luoghi ancora, fino alloccupazione di Berlino e alla resa della
Germania nazista.
I taccuini sono un copione essenziale, la sceneggiatura scarna
di un cinema a cui Grossman non
assiste da spettatore: si immerge

anima e corpo nel ribollire della


realt e persino da l riesce a ritagliare dal grande affresco bellico
storie individuali, nel suo eterno
indagare luomo di fronte alla storia. Colpiscono le schiette e profonde osservazioni di Orenberg, la
leggenda di Babadanjan (poi immortalato da Grossman nel roboante Il popolo immortale), linfaticabile tenacia del generale ujkov,
comandante della 62 armata di
Stalingrado: mai soltanto nomi, ma
uomini, con cui Grossman discute
e condivide momenti di tragedia,
paura, entusiasmo, perdita, nei
continui smottamenti dellanimo
umano in balia degli eventi. Nei
brani riportati da Antony Beevor
e Luba Vinogradova (curatori del
volume), si mischiano orrore e sublime, locchio di Grossman registra momenti di immensa poesia,
ma non pu fare a meno di unirli al
sangue e alla violenza perch cos
gli si pongono davanti agli occhi: i
fiori, lerba, la terra intera intrisa
di dolore e morte. Sopra ogni cosa
un cielo onnipresente, nero come
la notte della Stalingrado assediata, arancione e rosso per gli scoppi
dei mortai e le bombe degli aerei,
bianco-latte nei giorni di snervante
attesa della prossima mossa. I minuziosi dettagli, delle trincee, delle
casematte rase al suolo, dellinferno di Treblinka non rispondono
a un gusto sadico per lorrore.
la brutalit del dato di fatto, della
lista, dellaccumulo, dellinsieme
dei frammenti che soli possono
restituire il quadro completo, spaventoso nel suo insieme. La precisione cechoviana e la parola nuda
e affilata di alamov: tutto sembra
convergere in queste brevi note,
non pensate affatto per la pubblicazione, ma in cui inevitabile
intravedere lalto magistero della
scrittura di Grossman.
Negli appunti di guerra Grossman non cerca soluzioni definitive, non preda di pensieri e conclusioni affrettate; quando non

impegnato a scappare dai tedeschi


o a leggere Guerra e pace ( lunico
libro che legge, due volte, durante
tutto il conflitto) osserva, riflette e
testimonia. Nemmeno a Berlino si
lascia andare alleuforia, a fanatici
entusiasmi; ascolta le donne tedesche violentate dai soldati russi,
vede e descrive le razzie dellArmata rossa, ai suoi occhi non meno
brutali di quelle del nemico e poi
appunta, in mezzo a tutto questo,
una scena talmente ordinaria da
sembrare un miracolo: Un soldato tedesco ferito abbracciato a
una ragazza, uninfermiera. Non
vedono niente e nessuno. Il mondo per loro non esiste.
Quando ripasso di l
unora dopo, sono sempre seduti nella medesima posizione. Il mondo
non esiste, sono felici,
unimmagine cos banale eppure incredibile nellimpressionante
diorama di Berlino in
fiamme. Incredibile anche perch raccontata
da un russo ebreo la cui
madre stata uccisa da
quegli stessi tedeschi, a Berdiev.
Di quella morte lo scrittore porter
sempre il peso.
A volte sei talmente sconvolto
da quello che hai visto che il sangue defluisce dal cuore, e sai gi
che limmagine pi terribile balenata davanti agli occhi ti perseguiter e ti graver sullanima fino
alla fine dei tuoi giorni. Lo scrive
Grossman nellUnione Sovietica del 1944, ma potrebbe averlo
scritto oggi un sopravvissuto del
Bataclan, un giornalista siriano o
curdo, un reporter in Venezuela o
in Cecenia. Dopo Treblinka, dice
Grossman, chi scrive ha il dovere
di raccontare una verit tremenda, e chi legge ha il dovere civile
di conoscerla, questa verit. E di
capire che la guerra ovunque e
che, forse, lunica salvezza non
cancellare il passato, ma farne men
moria viva.
julia.deflorio@gmail.com
G. De Florio insegna lingua e traduzione russa
allUniversit di Parma

Corrispondenti di guerra
di mc
ggi diremmo di questo libro che la raccolO
ta di alcuni appunti dun reporter embedded. Lembedding venne offerto come una stra-

ordinaria opportunit che, nellaprile del 2003,


il Pentagono consegnava ai giornalisti che partivano per il Golfo a raccontare lesportazione
della democrazia: ma, come la guerra di Bush
aveva altri scopi da quelli ufficialmente dichiarati, allo stesso modo lembedding era ben altro
che una preziosa concessione ai media vogliosi
di conoscere landamento del conflitto al di l
del suo apparato informativo ufficiale. E non a
caso, era una offerta che partiva dalla sezione
guerra psicologica del Pentagono: a credere
che davvero i generali volessero dare una mano
ai reporter bisognava essere ingenui quanto alcune reclute russe raccontate da Grossman, e in
Iraq lingenuit fu di pochi. Un giovane reporter
americano, embedded in una compagnia di carri
Abrams, scrisse alla fine: Ho visto ben poco,
e ho capito ancor meno. Il suo orizzonte era
stato limitato al visore del tank, e il suo rapporto
con i soldati di quella squadra con cui sfidavano
la morte gli dettava obblighi di solidariet che
non potevano non influenzare il suo racconto.
Comunque, lembedding del 2003 non era
altro che la riproposizione di quanto i giornali-

sti avevano vissuto nella prima e nella seconda


guerra mondiale, quando erano stati mobilitati
al fronte ed erano stati assegnati come ufficiali
senza mostrine ai vari comandi operativi. Per
Grossman reporter dellArmata rossa a Stalingrado o a Treblinka, il dovere della bandiera
(cio lobbligo per lui di un racconto piegato
agli obiettivi di Mosca) era dunque un parametro immodificabile delle cronache dal fronte. E
per la forza della sua scrittura, lautenticit dei
ritratti che egli ricava dalla sua vita con i soldati, la sua voglia di capire anche al di l della fedelt al governo comunista, si impongono sulla
bandiera. Leggere con gli occhi del war correspondent di oggi questi lontani taccuini che poi
faranno le cronache della Krasnaja zvedza
provoca non pochi imbarazzi: lasciuttezza
drammatica del racconto, levidenza esclusiva
dei fatti, lassenza di qualsiasi compiacimento
personalistico, dicono nel confronto quanto
legemonia del modello comunicativo televisivo stravolga la narrazione di oggi, e metta in
primo piano linsopportabile reporter-divo.
Nella sua ombra vanesia, la guerra appare oggi
uno scenario di pulsioni abbandonate ai doveri
del giornalismo-spettacolo. Consigliare questi
taccuini alle scuole di giornalismo.

Duplice massacro
di Maria Ferretti
on Vita e destino (Adelphi,
2008), Vasilij Grossman ha dato
C
voce allaltra memoria della guerra,

quella vissuta e sofferta, intessuta


dalla riscoperta dello spirito di libert e delle speranze in una liberalizzazione del regime, che venne
brutalmente messa al bando in
Unione sovietica allindomani della
fine del conflitto, quando fu imposta una memoria ufficiale centrata
sul culto della vittoria, che celebrava
le doti militari di Stalin e
la risorta grandeur della
potenza russa abbigliata in foggia socialista.
Il conflitto fra queste
due memorie, inconciliabili perch portatrici
di valori opposti, ha
attraversato tutta la storia dellUrss e continua
a travagliare la Russia
post-comunista: nel paese che ha pagato il prezzo di sangue pi alto per
sconfiggere il nazismo (27 milioni di
morti), la memoria della guerra, ancora estremamente viva nella societ, resta irrimediabilmente doppia,
spezzata. Perch doppia, ambivalente stata, per le genti dellUrss,
la guerra. Guerra di liberazione
combattuta fino allultimo sangue
per liberare il paese e lEuropa intera dal giogo nazista, la guerra, vinta
con uno spaventoso sacrificio sia al
fronte che nelle retrovie (dove bastava arrivare in ritardo in fabbrica
per esser condannati come disertori) port al consolidamento della
dittatura staliniana, che conobbe
nel dopoguerra un ulteriore inasprimento rispetto ai gi devastanti
anni trenta. Svanirono le speranze
in unattenuazione del regime nate
nei primi anni del conflitto, quando, davanti alla fulminea avanzata
nazista, Stalin si era rivolto alla popolazione per esortarla a scacciare
unita linvasore e difendere la patria
(non gi la patria socialista, la patria
tout court) lasciando da parte il consueto compagni per il pi antico
fratelli e sorelle. Lapertura verso
la chiesa ortodossa, autorizzata a riaprire luoghi di culto per confortare
i fedeli, la concessione di terreni ai
contadini, costretti a una nuova servit della gleba nelle detestate fattorie collettive, lammorbidimento
della censura, che aveva permesso a
Achmatova e Pasternak di levare di
nuovo le loro voci, avevano alimentato le speranze che, dopo la prova
terribile della guerra, battesimo di
fuoco di quel popolo sovietico
guardato sempre con sospetto dal
Cremlino, la morsa del regime si sarebbe allentata. Nel confronto quotidiano con la morte, i combattenti,
i frontoviki, avevano riscoperto,
dopo anni di istigazione allodio e
alla diffidenza, i valori diella solidariet; avevano imparato a non aver
paura. Fin dai primi mesi di guerra,
al fronte era nato un nuovo spirito
di libert, da cui, col disfarsi dei miti
inculcati dalla propaganda (lArmata rossa, per nulla invincibile,
costretta a una rotta disastrosa), scaturiva una destalinizzazione spontanea, che alimentava a sua volta le
speranze nel futuro. Questanelito
alla libert informa la memoria della
guerra trasmessa da Grossman con
Vita e destino, la sua opera pi matura e complessa. Proprio perch
inscindibile dallanelito alla libert,
questa memoria della guerra, pi
simile alla nostra, era inaccettabile

per il potere sovietico, non solo staliniano. Il culto della vittoria, con i
suoi eroi di cartapesta, che eseguono disciplinati i comandi perch i
capi hanno sempre ragione (persino la disfatta dei primi due anni
di guerra era una vittoria del genio
strategico di Stalin, che, novello Kutuzov, si era ritirato per intrappolare
i nazisti), trasmetteva invece quei
valori di ordine e gerarchia ben pi
consoni al regime, dedito nel dopoguerra a esaltare in un clima xenofobo, complice la guerra fredda, la ritrovata potenza nazionale dellUrss
socialista. Ribattezzato pudicamente patriottismo, il nazionalismo
diventato nel dopoguerra lossatura
dellideologia del regime sovietico
nonch (con la sola breve parentesi
di Gorbav, che rende possibile infine la riscoperta dellaltra memoria
della guerra e anche la pubblicazione di Vita e destino) della Russia
post-comunista, che fin dagli anni
di Elcin ha ripreso a celebrare, sia
pur con qualche incertezza iniziale,
il culto della vittoria, tornato pienamente in auge con Putin. I diari
di Grossman, uno dei pi popolari
corrispondenti di guerra per il giornale dellesercito, Stella Rossa,
sono una fonte preziosa per ricostruire la genesi dellaltra memoria
della guerra. Peccato per che siano
stati massacrati dai curatori di Uno
scrittore in guerra, Antony Beevor
e Luba Vinogradova. Frammenti
dei diari, di cui manca persino una
descrizione (quanti quaderni, di
che periodo), sono infatti montati
senza un filo conduttore, inframmezzati da articoli (pubblicati?
tagliati?) e da lettere gi note degli
epistolari: il tutto annegato in una
prolissa descrizione delle battaglie,
che Beevor, storico militare, somministra generosamente. Fastidiosa
la malcelata soddisfazione con cui
gli autori propinano una serie di
luoghi comuni affidandosi, senza
bisogno di dimostrazione, ai sembra, pare, forse, seguendo una
logica banalizzante che vuole che
buoni e cattivi rispettino i loro ruoli.
Cos Grossman presentato, a colpi
di allusioni, come uno scrittore non
grato al regime gi negli anni trenta,
vittima di un intrigo che lo allontana
da Stalingrado alla vigilia della vittoria (ma poi si scopre fra le righe che
lo aveva chiesto lui!) e via dicendo. Si afferma, prendendo spunto
da Vita e destino, che proprio a
Stalingrado Grossman cominci
a mutare opinione sul regime staliniano, mentre in realt il ripensamento dello scrittore matur nel
dopoguerra, e la svolta fu la violenta campagna antisemita ribattezzata
lotta al cosmopolitismo borghese.
Ma perch rinunciare a frasette ammiccanti per riconfortare il lettore
in tutti i suoi preconcetti? La vera
tragedia degli intellettuali sovietici fu proprio di aver creduto nel
mito di Stalin, che molti avevano
contribuito a creare: da qui bisogna
partire se si vuole capire la storia
dellUrss. Che sembra terra incognita per i curatori. Il guaio che,
se ci sar unedizione seria dei diari
di Grossman, nessuno li tradurr,
perch saranno stati gi bruciati dal
mercato. E questo Grossman proprio non se lo meritava.
n
mariaferretti@libero.it
M Ferretti insegna storia russa
allUniversit di Viterbo

18

N. 5

Come diventare milionario


di Marco Sioli
Lawrence Wright
La prigione
della fede
Scientology a Hollywood
ed. orig. 2013, trad. dallinglese
di Milena Zemira Ciccimarra,
pp. 514, 28,
Adelphi, Milano 2015

questa recensione da
Sha crivo
Milano, dove Scientology
appena lasciato un intero

palazzo nel quartiere Isola per


trasferirsi nella nuova sede hollywoodiana in viale Fulvio Testi.
In qualche decennio, la prigione della fede si ampliata
trasferendosi da un oscuro seminterrato di via Torino in un
imponente edificio ristrutturato
in modo appariscente, sul quale
svetta la croce a otto punte simbolo della chiesa, decretando
cos il successo anche in Italia
di Scientology. Questa nuova
sede solo una delle innumerevoli propriet dichiarate in tutto
il mondo, a partire dal centro
dellimpero immobiliare a Los
Angeles con ventisette propriet valutate quattrocento milioni
di dollari sino al quartiere generale spirituale a Clearwater in
Florida. Come scrive Lawrence
Wright, Scientology acquista
spesso edifici di valore storico
nei pressi di luoghi chiave, ma
possiede anche una nave da crociera nei Caraibi e immense riserve di contante. Tutto questo
testimonia lavidit dei membri impegnati in una incessante
attivit di raccolta fondi e nella
gestione delleredit in diritti
dautore sui libri del fondatore,
Ron Hubbard.
Le ragioni dellaumento esponenziale degli adepti e del giro
di denaro che li circonda vengono ripercorse da un giornalista
investigativo del New Yorker,
premio Pulitzer per il giornalismo grazie al precedente lavoro dedicato allorganizzazione
dellattentato dell11 settembre
2001 alle Twin Towers. Con il
piglio dello studioso alle prese
con un tema complesso, Wright
si muove tra una serie impressionante di fonti pubblicate e
online, testimonianze dirette
(note e anonime) degli adepti
e dei detrattori, partendo dalla
volont originale di Hubbard,
il guru originale di Scientology,
che nel 1948 o nel 1949 dichiar
ai suoi collaboratori mi piacerebbe fondare una religione.
Alla base di tutto, il desiderio
di arricchirsi, come afferm il
figlio, Ron Hubbard Jr., ricordando quando il padre gli rivel
la convinzione che per diventare milionari bisogna fondare
una religione. La personalit
trascinante di Hubbard padre
fu subito incanalata in un libro
pubblicato nel 1950 dal titolo
Dianetics: la scienza moderna della salute mentale, un volume che
divenne presto il manuale della
Chiesa di Scientology, allepoca
una delle tante sette religiose nel
panorama statunitense.
Tranne le grandi capacit di
generare ricchezza, delle idee del
fondatore non rimasto granch
nella struttura gerarchica e orga-

nizzativa contemporanea. Ce lo
testimonia un insider, arruolato
nel 1975 a London, nellOntario.
Paul Haggins aveva ventun anni
quando incontr Scientology,
nella persona di un reclutatore
che per strada gli mise nelle mani
uno dei libri di Hubbard invitandolo a leggerlo. Questa tecnica
era la prima delle quattro fasi
dellesercizio di disseminazione
della religione che i reclutatori
erano addestrati a seguire. Dopo
il primo contatto la seconda fase
consisteva nel disarmare lantagonismo verso Scientology, la
terza era quella di trovare la
rovina, cio il problema che assillava la potenziale recluta e gli
impediva di essere felice. Infine,
il quarto gradino era quello di
convincere il futuro adepto che
lorganizzazione aveva sempre
una soluzione al suo problema e
poteva costruire un ponte verso la libert
Seguire la storia dellinsider e
il suo coinvolgimento nellorganizzazione lartificio dellautore
per decostruire e raccontare la
forza di Scientology. Come molti suoi coetanei, ladolescenza di
Haggins era stata segnata da un
padre autoritario e dalle droghe,
poi la passione per il cinema che
sicuramente non gli avrebbe garantito lesistenza agiata dei genitori. Ecco dunque lincontro
con il reclutatore e lesperienza
a Hollywood, nelluniverso di
Scientology che nel 1976 poteva
gi contare su trentamila adepti.
Come ogni scientologo, Haggins
apprese della vita avventurosa
del fondatore, della positivit e
dellumorismo distaccato di Ron
Hubbard, e impar la dottrina
di una religione che consentiva
allindividuo di conseguire una
libert spirituale e migliorare la
propria condizione di vita. Grazie ai gruppi di autoaiuto la sua
nuova carriera come sceneggiatore sub unimpennata. Ma i
guadagni, cos come gran parte
del suo tempo, erano investiti in
corsi di auditing, una specie di
psicoterapia che grazie a una
specie di macchina della verit
era in grado di liberare le masse
mentali che bloccano il flusso
dellenergia. In questo modo
si sviluppava un procedimento
scientifico che aiutava a superare i limiti, realizzando appieno
il potenziale di grandezza. Fede
e tecnologia si univano cos per
neutralizzare i ricordi del passato che intralciavano la realizzazione dellindividuo, per
lasciare spazio alluomo nuovo:
lo scientologo.
Quando Haggins lo divenne,
cerano sette livelli di crescita
individuale con cui Scientology
definiva gli adepti in grado di
gestire le cose e aiutare gli altri
nella crescita. Il fatto che molti
deridessero questi comportamenti non faceva altro che compiacere le persone coinvolte e
convincerli di appartenere a una
minoranza eletta. Sicuramente
superare i vari livelli aveva permesso a Haggins di migliorare
le capacit di comunicazione e
di avere successo come sceneggiatore, anche se il suo mondo
ruotava tutto attorno alla chiesa

Primo piano
a cui aveva aderito: aveva trovato gli ingaggi grazie alle conoscenze di Scientology riuscendo
addirittura a figurare come coautore della serie Walker Texas
Ranger, la moglie e la sorella appartenevano a Scientology, cos
come gli amici che frequentavano la sua casa. Era chiaro che
abbandonare la chiesa per Haggins avrebbe voluto dire mettere
a repentaglio tutti quei rapporti
e la sua stessa popolarit.
Nel frattempo nubi nere si
stavano addensando sullorganizzazione, soprattutto dopo il
1986 quando, ormai miliardario
ma gravemente malato e relegato in una casa mobile, Ron Hubbard mor e le sue ceneri vennero disperse nelloceano Pacifico.
Alcune cause legali intentate da
ex-membri di Scientology avevano gi messo in difficolt i
responsabili che gestivano gli
affari, in tutto una cinquantina
di messaggeri del fondatore,
tra i quali David Miscavige definito dalla moglie di Hubbard
il Piccolo Napoleone. Le accuse nei
confronti
dellorganizzazione erano
sempre le stesse: lavaggio del cervello e
abusi psicologici nei
confronti di persone
fragili che avevano
investito tutti i loro
risparmi in Scientology. Violenze e intimidazioni segnarono
quegli anni, influendo
sulla gestione delleredit del
fondatore, mentre la chiesa aggiungeva uno dei suoi membri
pi famosi: lattore Tom Cruise.
Come in una catena di
SantAntonio, Scientology aveva assoluto bisogno di trovare
nuovi adepti e Tom Cruise era
il messaggero perfetto. Quando,
nellottobre del 2004, Miscavige
gli confer per i suoi meriti nel
diffondere il credo la medaglia
al valore per la libert, un medaglione di platino tempestato di diamanti, la cerimonia si
svolse di fronte a un pubblico
di scientologi che avevano passato gran parte della loro vita a
lavorare per la chiesa per poco
pi di sette dollari al giorno. n
marco.sioli@unimi.it
M. Sioli insegna storia americana
allUniversit Statale di Milano

La crociera del Commodoro


di Luca Antonelli
na religione fondata da uno
U
scrittore di fantascienza, capace di conquistare i divi di Hollywo-

od e di espandersi a livello planetario: Lawrence Wright, giornalista


investigativo del New Yorker,
racconta la controversa storia di
Scientology e del suo fondatore
Ron Hubbard.
Le quattrocento pagine del libro di Wright possono essere lette a pi livelli; il primo quello
cronachistico: Wright ricostruisce
la storia del movimento, raccogliendo e ordinando una mole
notevole di documenti e testimonianze. Scopriamo cos che molte
delle tematiche care a Scientology
hanno origine dalla movimentata
biografia di Hubbard, che include
una spedizione nei Caraibi per un
documentario sui pirati, una esperienza di premorte, il mestiere di
scrittore di fantascienza, e molti
momenti difficili, fino
alla illuminazione raccontata in Dianetics, il
libro di enorme successo in cui Hubbard descrive le proprie teorie
sulla mente umana.
Secondo Hubbard, la
parte inconscia (reattiva) della mente umana
memorizza in maniera
automatica tutti i nostri
ricordi negativi, ed necessario eliminarla per lasciare spazio a quella conscia (analitica); la
liberazione avviene tramite lunghe
sedute denominate auditing, e si
raggiunge per livelli successivi, i
cosiddetti OT, in corrispondenza
dei quali possibile venire a conoscenza di nuove rivelazioni.
Il passo successivo di Hubbard
quello di trasformare la propria
filosofia in religione: raccoglie attorno a s un nucleo di fedelissimi e fonda la chiesa Scientology,
ponendone la sede di fatto su tre
navi: si fa chiamare Commodoro, mentre i suoi seguaci che lo
seguono costituiscono la Sea Org.
Inizia una lunga crociera intorno
al mondo, che ha anche lo scopo di
sfuggire alle pressioni dei governi
e delle istituzioni locali, che spesso
lo considerano ospite non gradito.
Processi e contestazioni alloperato di Scientology hanno caratterizzato il movimento fin dalle origini.

Scientology tuttavia sopravvissuta a queste vicende, anche dopo la


morte di Hubbard (che secondo
Scientology sarebbe in realt la sua
ascesa a pi alti livelli), a cui ha fatto seguito laccesso ai vertici della
chiesa di David Miscavige.
Il libro si pu leggere anche
come la testimonianza della nascita di una religione moderna:
Dianetics risponde alle esigenze di
auto-miglioramento tipiche di una
societ individualista e competitiva
come gli Stati Uniti dellimmediato
dopoguerra, presentandosi inoltre
con una patina tecnologica, ad
esempio facendo uso di strumenti
di misura elettronici come lE-Meter, che secondo Hubbard dovrebbe rilevare la presenza di masse
mentali nel soggetto.
Scientology anche la religione
di molte star hollywodiane; i pi
noti sono Tom Cruise e John Travolta, hanno avuto frequentazioni
pi o meno lunghe con la chiesa
registi e autori vincitori di premi
Oscar. Questi divi hanno un ruolo privilegiato nellorganizzazione:
nella nostra societ i personaggi
del mondo dello spettacolo sono
volti noti a tutte le persone di tutte le classi sociali, e poter disporre
di questi testimonial ha garantito a
Scientology una pubblicit planetaria.
Il terzo livello di lettura riguarda
il lato oscuro di Scientology, che
stata oggetto di indagini e critiche
per le pratiche attuate nei confronti dei propri seguaci. Il passaggio
da un livello OT allaltro si pu
ottenere solamente partecipando a
corsi e a sedute di auditing, il cui
costo a carico dei partecipanti.
Molti dei fedeli prestano la loro
opera per Scientology dietro compenso minimo, e ci sono numerose testimonianze di sfruttamento
estremo e maltrattamenti allinterno della chiesa, specie nei confronti di chi si macchiato di critiche
verso i vertici del movimento.
Scientology ha sempre respinto
queste testimonianze come invenzioni o esagerazioni da parte
di fuoriusciti astiosi, e le note del
libro stesso contengono una lunga serie di precisazioni e smentite
giunte dai vertici della chiesa o dai
seguaci pi famosi.
Molti dei testimoni hanno poi
ritrattato le loro affermazioni, e
hanno avuto grosse difficolt a
staccarsi dalla chiesa: per i membri che vivono in strutture di
propriet della chiesa e dedicano
lintera vita a essa molto difficile abbandonare tutto e ripartire
da zero in un mondo che di fatto
non conoscono.
Limpressione che si ricava in
tutto il libro quella di una struttura molto chiusa: i testi di Hubbard fanno un continuo uso di
acronimi e termini creati ad hoc, e
solo una parte delle rivelazioni
esoteriche stata resa pubblica
contro il parere di Scientology
stessa, in quanto materiale processuale, o grazie alle dichiarazioni di fuoriusciti. Lisolamento
dei fedeli dal mondo esterno pu
allora degenerare nella prigione
della fede citata nel titolo.
n
luke.anto@gmail.com
L. Antonelli matematico e informatico

19

N. 5

La fine del pipistrello


di Angelo Ferracuti
Pier Luigi Celli
E senza piangere
pp. 253, 18,
TEA, Milano 2015

a letteratura, forse per questa


sua natura marginale nellepoca e nella societ dello spettacolo,
ancora uno spazio di libert, il
luogo dove si pu dire tutto ci
che altrove non consentito; e
pu permetterci anche di entrare
nella vita di un altro e immaginarne il destino, o divertirci a modificare la nostra, rendendola diversa
da com veramente. Penso che
il nuovo libro di Pier Luigi Celli,
che si presenta come un giallo di
ambientazione universitaria, sia
in realt ben altra cosa e si muova dentro questa simulazione, un
artificio creato artatamente per
innescare gli ordigni della verit,
non nascondendo anche elementi autobiografici e riflessioni che
nellautore devono avere preso corpo nel corso della sua lunga esperienza come manager
e direttore della Luiss.
Perch pur prendendo
vita e forma nel clima
delluniversit, che
descritta sempre come
un luogo un po grottesco e cimiteriale, fatto
di edifici quasi metafisici, questo
un romanzo sul potere, o meglio
sulle classi dirigenti che guidano
un paese, sulla loro formazione, e
sul ricambio generazionale.
Una mattina, dopo una conversazione piuttosto brusca con il
rettore, il professor Brandi, molto amato dagli studenti e molto
meno dai colleghi, fa perdere le
sue tracce, fatto che mette in agitazione gli ambienti universitari,
ma anche sua moglie e sua figlia,
che vivranno da subito un piccolo psicodramma famigliare. Poi fa
recapitare allateneo un certificato
medico da Lione, dove in cura
in una fantomatica clinica per malati di cuore. Ma chi il professor
Brandi, lo scontento insegnante
universitario fumatore incallito di
toscani che un po somiglia come
fisionomia di carattere allHerzog
di Bellow? un uomo inquieto,
considerato da tutti un idealista un po fuori tempo, incapace
personalmente di creare danno a
chiunque, un capro espiatorio,
cio colui che criticando lordine
costituito viene sconfitto illuminandone i lati oscuri e perversi,
le sue logiche ciniche. Glielo dice
persino in faccia il rettore, durante
il loro ultimo scontro verbale, per
giunta con tono sprezzante : Lei
un perdente, mio caro, si rassegni. La benevolenza degli studenti
non sposta un grammo di potere.
Ma lui era un combattente nato,
glielo aveva ripetuto. Solo non
doveva fare la fine del pipistrello,
come lo ammoniva sua moglie,
che un giorno entr nella loro casa
e dopo un infinito volteggiare e
combattere nellaria, era crollato
morto a terra, stroncato dalla fatica. Brandi avrebbe detto di s
insegno la speranza, non avendo pi certezze, perch nei suoi
ragionamenti filosofici era certo
che la forma era proprio quello

che mascherava la sostanza e impediva al mondo di cambiare.


Presto la narrazione accelera, da
una parte due bravi fumettistici e
caricaturali, il Nano e la Caramella, indagano per luniversit e si
mettono in movimento, dallaltra
un gruppo di studenti cercano di
proteggere in modo militante il
loro professore; poi la situazione
si complica ancora di capitolo in
capitolo, nellalternanza di fatti e
luoghi, quando Caramella sparisce nel nulla, il rettore proprio nel
momento pi ingarbugliato va in
vacanza; landamento pendolareggia tra il giallo psicologico-sociale
e racconto dellassurdo, finch
non entra in scena il commissario
Guglielmi e arriva pure il morto.
Brandi, intanto, vive la sua vita di
scomparso e nello stesso tempo,
nellassenza, continua a muovere
dallinterno i fili del racconto, fino
allo scioglimento del
complicato e attraente
plot.
Con una scrittura
sempre esatta e sorvegliata, quasi classica,
Celli costruisce con
grande abilit e divertita regia un romanzo
corale sullItalia refrattaria ai cambiamenti,
dentro i gangli di una
classe dirigente obsoleta, qui vista nelle sue
tante maschere, che sembra arroccata fuori dalla realt nellesercizio
della conservazione del potere,
incapace di rinnovarsi. Un mondo
diviso tra vecchi e giovani, come
in questo libro, che lautore in
un suo articolo sullHuffington
Post descriveva cos: Riconoscere che c un effettivo bisogno di
cambiare e che ogni cambiamento, per essere salvifico, deve andare fino in fondo, anche quando
costa lacrime, fa saltare posizioni e
rendite consolidate, rimette in discussione quanto sembrava consegnato a una garanzia di continuit
che consentiva a pochi di lucrare
sulla marginalizzazione di molti.
In questo libro lallegoria di unItalia imbozzolata, che forse solo i
giovani possono e devono salvare
rimettendosi in movimento con
scopo politico. Perch come dice
Matilde, una delle studentesse che
hanno seguito Brandi, il professore che tanto ricorda il suo collega
Keating nel film Lattimo fuggente:
Quello di cui avremmo bisogno
di una chiave pi forte, qualcosa
che ci metta in ballo senza che la
musica abbia smesso di suonare
dentro di noi, facendo tutti finta
di non accorgersi del vuoto. n
angelo.ferracuti@interfree.it
A. Ferracuti scrittore

Narratori italiani
Una parabola
doltremare
di Mario Marchetti
Manlio Cancogni
IL TRASFERIMENTO

pp. 123, 14,50, Elliot, Roma 2015


icuramente uno dei nostri miSsicuramente
gliori scrittori del Novecento e
ormai un classico, an-

che se una simile definizione non


sarebbe forse piaciuta ad Azorin/
Cancogni. Morto di recente, il 1
settembre 2015, a 99 anni compiuti, aveva ancora nel cassetto unestrema sorpresa (a dire il vero erano bozze costellate di correzioni
per Fazi che poi non le diede alle
stampe), un piccolo gioiello, appunto questo Trasferimento, salvato e curato da Simone Caltabellota
per Elliot, che va meritoriamente
ripubblicando lopera di questo
scrittore a s, dalle molteplici
sfaccettature: grande
giornalista (sua la celebre inchiesta Capitale
corrotta=Nazione infetta apparsa nel dicembre
1955 sul combattivo
LEspresso), docente
universitario negli Usa
per molti anni, e anche
storico delezione (ricordiamo almeno, sotto questo profilo, Storia
dello squadrismo del
1959 e Gli angeli neri.
Storia degli anarchici italiani del
1994). Nello splendido racconto
seminale Azorin e Mir (1948),
compendio dellamicizia tra Azorin, ovvero lui stesso, e Cassola nei
panni di Mir testo impudentemente adolescenziale Cancogni
dichiara la sua fascinazione per
tutto ci che sta ai margini, per
il periferico, per il semplice. Solo
nei luoghi pi comuni, nei fanali
dalla luce arancione, nei passi che
percorrono i marciapiedi, si pu
afferrare la vita vera che passa.
la poetica del sub-liminare, una
sorta di grazia che in rari momenti
epifanici si riesce a percepire. La
lingua, anchessa, deve essere semplice, esemplata sulle cose, e rifiutare ogni orpello letterario, e nessun impegno deve essere esibito
e, altrettanto, nessun sentimento
ostentato. E propria questa lingua
e questo atteggiamento ritroviamo
nelle migliori opere di Cancogni,
come La carriera di Pimlico (1957),
il dimenticato Odontotecnico
(1957), La linea del Tomori (1965),
Lo scialle di Marie (1967) e anche
in questo estremo Trasferimento,
scritto a met degli anni novanta.
Ci non significa che Cancogni si
esima dal giudizio morale sempre acuto e non convenzionale
che tocca luomo e anche la societ: ma tutto ci si deve cogliere
tra le righe, per cos dire nel sottotesto di una narrazione che agile,
asciutta, minimale.
Certo, come vedremo, nel Trasferimento c un sottile viraggio,
nel finale, verso la parabola religiosa, ma realizzato con una tale
parsimonia di mezzi da scivolarci
nella mente come un ladro nella
notte. La nitidezza e la sveltezza
del testo ricordano (oltre che lamato Bilenchi) lultimo Sciascia di
Una storia semplice, dove complessit e chiarezza paiono intrecciarsi
e integrarsi perfettamente. Tra

laltro, testo di involontaria grande


attualit: la renitenza dellislam ad
accettare legemonia occidentale.
Nel caso specifico ci troviamo in
Libia, verso la fine degli anni trenta, dunque sotto la dominazione
italiana. Il quadro variegato. Chi
narra un alto e onesto funzionario del ministero dellinterno con
ruolo di questore, destinato in
uno spaesante trasferimento oltremare, a Bengasi, capoluogo della Cirenaica, la regione pi difficilmente sottomessa. Dove, da una
parte, continuano a bulicare mille
rivoli di popolare e indomita religiosit, dallaltra, dove pi dura si
rivelata la mano della metropoli
nella persona del maresciallo Graziani, tutto procede nellosservanza delle norme, secondo le regole
inconcusse della burocrazia, e nel
rispetto dei patti, pi o meno occulti, coi maggiorenti locali, in particolare religiosi, pur tra i dubbi e
le esitazioni del funzionario che
narra e dello stesso governatore di
Bengasi. Costoro pur cogliendo le
ragioni del malcontento arabo si
mantengono fedeli al
ruolo, mentre le donne sembrano sapersi
avvicinare pi umanamente alla gente comune, e capirne i fremiti,
dei quali come della
vaga sete di giustizia
che esprimono sono
interpreti Ben Barak e
Nissim. Ben Barak, pi
politico, riuscir a cavarsela, con misteriosi
appoggi, sfuggendo a
tribunali e prigioni, e diventando
poi un leader della Libia indipendente (il narratore rammemora
negli anni cinquanta), Nissim,
invece, pi autenticamente millenarista (predica i soliti luoghi
comuni sulluguaglianza, la fraternit, la povert, lumilt, la pace)
finir impiccato tra due ladri in
un formalmente legittimo ma
poco degno connubio tra autorit
italiane e untuose autorit locali
di fronte a un popolo che lo rinnega, e tre donne si occuperanno
della sua salma. I riferimenti a Cristo sono trasparenti: non manca
neppure un oscuramento del cielo. Tutto uno sciame di personaggi
interseca questo ordito essenziale:
bellissima la figura di uno dei due
ladri il cui ultimo nato verr preso
in adozione dal questore di ritorno in Italia, come ben stagliata
la figura del centurione fascista
Felicani, lunico che nel suo ossessivo rifiuto del compromesso,
riesce a compiere un atto di piet,
mettendo fine con la sua pistola
alle inutili sofferenze degli impiccati. Lingiustizia ha avuto luogo
e non poteva che essere cos. Non
ci sono ragioni perfette n torti
perfetti. Lunico risarcimento per
lingiustizia un gesto individuale,
un atto gratuito ladozione tramite cui la vita si riafferma. Ma naturalmente Cancogni ci fa anche
capire che qualsiasi dominazione
e sopraffazione, per quanto addomesticata o ammantata dalla legge
e dalla cultura, di per s ingiusta
e va pertanto respinta. Il trasferimento, con Tempo di uccidere di
Flaiano, Il deserto della Libia di
Tobino e un paio di titoli di Enrico
Emanuelli, emerge come uno dei
nostri pochi significativi romanzi
n
coloniali.

Una sopravvissuta
di Laura Savarino
Gaia De Pascale
COME LE VENE
VIVONO DEL SANGUE

pp. 147, 13,


Ponte alle Grazie, Milano 2016
ntonia Pozzi una sopravA
vissuta. Nasce in una gelida
mattina di febbraio del 1912,

troppo gracile, quasi rachitica,


e getta la famiglia in unattesa
angosciosa che dura settimane: Vivr?. Antonia Pozzi
una combattente. Cresce fiera,
curiosa, trascorre linfanzia tra
ginocchia sbucciate e sonate di
Debussy, avvolta dal tepore domestico della ricca villa milanese
e dalle montagne aspre, maestose, della casa di Pasturo. Sembra
sempre stia per rompersi da un
momento allaltro, Antonia. Il
flusso impetuoso della vita le
scorre nelle vene e preme per
uscire, per dilagare, per esplodere, rendendola cagionevole
allocchio esterno anche se tutto, in lei, testimonia una voglia
mai sopita di sconfinare. Antonia Pozzi una donna piena di
passione.
Apprendiamo di lei ascoltando la sua voce, in prima persona,
in un lungo monologo di 137 pagine che inizia su unambulanza
e si conclude nella quiete della
sua camera a Milano. Apprendiamo che Antonia ha tentato
il suicidio, ha ingerito una dose
massiccia di barbiturici e si
distesa su un prato ad aspettare
la morte. Una morte, per, che
tarda a presentarsi: Antonia viene trasportata durgenza al Policlinico, adagiata su un letto di
ospedale e monitorata da medici
che rallentano linevitabile. E l,
in quella linea di confine tra la
vita e la morte, Antonia valica
la staccionata dei ricordi e ripercorre lintera sua esistenza.
Riporta alla mente i luoghi del
cuore, la Milano universitaria
e le sue adorate montagne. Ma
soprattutto, le amicizie: laffinit
intellettuale con Vittorio Sereni,
lamore per Remo Cantoni, le
pedalate con Dino Formaggio e
la stagione dellimpegno politico con i fratelli Treves. Antonia
Pozzi morta a ventisei anni e
ha lasciato in eredit pi di trecento poesie, lunghe lettere e
pagine di diario.
Gaia De Pascale ha raccolto tutto il materiale e ha ridato
voce ai tormenti e alle speranze
di un animo indecifrabile, affascinante, capace di affrontare la
realt solo attraverso la poesia
eppure cos presente, tangibile,
nella mente di chi lha conosciuta e amata. Il lavoro mimetico
incredibilmente riuscito: il lettore segue le parole di Antonia
come rapito, catturato dallintensit di una vita mai banale e
immerso nelle atmosfere di unItalia in trasformazione. Come le
vene vivono del sangue si legge
dun fiato. E alla fine della lettura, chiusa lultima pagina, ci si
sente forse pi vicini a comprendere linsondabile segreto della
vita di Antonia Pozzi.
n

m.ugomarchetti@gmail.com

laurasavarino4@libero.it

M. Marchetti insegnante e traduttore

L. Savarino redattrice editoriale

20

N. 5

Occhi bianchi sul


pianeta Moresco
di Filippo Polenchi
Antonio Moresco
LADDIO

pp. 288, 15,


Giunti, Firenze 2016
addio una cometa disincaL
gliata dalla costellazione degli
Increati (Mondadori, 2015). un

pianto creaturale, una mostra delle atrocit. una scrittura eventuale, probabilistica, condotta per
quanti di energia.
Sullorizzonte degli eventi le forze piegano il diagramma cartesiano del mondo, gli opposti trovano
una cucitura, fra arte popolare e
arte sacra, fra Grand Guignol e le
efferatezze di Francis Bacon, fra
noir e arte marziale, surrealismo
fauve e manga. Il dagherrotipo
che emerge ha il bianco e nero dei
sogni e dei capolavori del cinema
muto, come La passione di Giovanna dArco
di Dreyer (1928), nel
quale recitava Antonin
Artaud, il padre del
teatro della crudelt.
Oggi nelle stesse fosforescenze brillano i nervi di Antonio Moresco.
In questo suo ultimissimo romanzo esistono
due citt: quella dei vivi
e quella dei morti. La
polizia dei vivi ha una
linea speciale con quella dei morti
e questultima aiuta la prima nel
risolvere i casi, interrogando direttamente le vittime precipitate
nellaltro mondo. DArco uno
sbirro morto, la cui missione
ritornare nella citt dei vivi per
indagare su una terribile mattanza. Ad aiutarlo un bimbo muto,
con una cicatrice intorno al collo,
a forma di collana di spine.
Il nome DArco richiama certo
la pulzella dOrlans, la guerriera
in ascolto privilegiato del Divino
(lacustica centrale nella vicenda: i bimbi della citt dei morti,
infatti, intonano un canto ultrasonico, udibile solo alliniziato
DArco), ma anche, per assonanza
fonetica, laggettivo dark, quelloscuro scrutare che domina la messinscena moreschiana.
Siamo intorno a un romanzo ossessionato dal rovesciamento, dai
prototipi fotografici (quelli che
colleziona uno degli assassini), dal
negativo e positivo, dalla visione: La luce di questa citt diversa da quella della citt dei vivi
() In quella dei morti ti sembra
che non ci sia la luce ma ci vedi, in
quella dei vivi ti sembra che ci sia
la luce ma non ci vedi.
Questa chimica dellesposizione riecheggia negli occhi bianchi
di DArco, residui adamantini di
un incendio di fotoni, nella pelle
bianca del bimbo-Virgilio che lo
accompagna, nellUomo di Luce
e nella mirabile epifania del teatro
lirico. Il romanzo inizia con un
prologo nel quale Antonio Moresco si rivolge al lettore e illustra la
genesi e la missione di questa sua
opera. Fin dallesordio, insomma,
siamo ben consapevoli di essere di
fronte a unenunciazione, a colui
che prende la parola, come il biblico Qohlet: Ve lho gi detto,
io non mi sento tenuto a dire tut-

Narratori italiani
to, a raccontare tutto (). Sono
io che decido cosa voglio e posso
raccontare () e non profanare.
E anche questo racconto dove
sta andando? Sta andando verso
la fine o verso linizio?.
Di fatto, per, il racconto tradizionale, che Moresco dileggia
in continuazione, insufficiente a
descrivere il fato delluomo nellabisso del cosmo: ogni progressione aristotelica e narratologica
altrettanto fallimentare e a essa
si sostituisce la reiterazione. Nel
nome della replica le crudelt e i
corpi martoriati cessano di colpire
lo stomaco dopo poche pagine, in
virt di un dispositivo di rappresentazione che imita il diaframma
totalmente aperto di certi banchi
ottici. Queste immonde visioni
alla Bosch si fanno prestissimo
tableaux fissi e spietati, ma anche
inerti. E di nuovo appare labbaglio della visione, laccecamento
dello sguardo inabissato, la danza
macabra di un armamentario di
rappresentazioni che non riesce a
impedire la propria sconfitta.
La ripetizione, invece, appartiene alla fiaba (Fiaba damore di Moresco del
2014, e del 2007 sono
Le favole della Maria) e
al mito, vitale e citatissimo: da Medea al Saturno che mangia i suoi
figli. Saturno-Crono,
appunto, figura disperante nella simmetria di
uno specchio che non
riflette ma divide due
galassie. Saturno-Crono, infanticida come
lUomo di Luce; divinit del tempo, che innesca una vera e propria
febbre di domande, selvaggia e
ritornante, nel fraseggio di dubbi
agostiniani sul male e il peccato fondativo. Saturno-Crono,
insomma: cruenta inquisizione
sulla natura del tempo, naturale e
narrativo, poich senza elemento
temporale non c narrativa.
Destino e racconto sono cuciti
insieme. E non potrebbe essere
altrimenti. Ma se vero che un
nucleo sorgivo di questo libro si
chiamava Romanzo di fuga, dobbiamo pensare che la fuga ora si
sia congelata in un addio, in una
stasi definitiva? Eppure lepisodio dellologramma lirico nel teatro lapertura di un varco verso
unulteriore urgenza misteriosa;
lemergenza di una parola primitiva e affidata alloralit, forse
in sintonia con le teorie sul villaggio globale, ma anche tesa
a un ignoto da esplorare, come il
fotogramma di cinema delle origini. Segno che forse le visioni di
n
Moresco non sono finite.
filippo.polenchi@gmail.com
F. Polenchi redattore editoriale

Un processo

nella coscienza
di Elvio Guagnini
Paolo Maurensig
Teoria delle ombre
pp. 200, 18,
Adelphi, Milano 2015

nche questo libro conferma


A
che Maurensig scrittore
nato a Gorizia, da sempre atten-

to a questioni nodali della cultura


europea e centroeuropea, affermatosi con La variante di Lneburg (Adelphi, 1993) occupa un
posto di particolare riguardo nella
letteratura italiana del nostro tempo. Gi il titolo, Teoria delle ombre, indicativo della complessit
di una narrativa in cui attenzione
al mistero, visionariet e riflessione
saggistica si intrecciano come altrettante componenti di una scrittura lucida e problematica. Il romanzo che muove anche da una
ricostruzione di dati di
carattere biografico
una esplorazione di
identit del protagonista (Alexandre Alekhine) e della sua tormentata vicenda umana.
Campione mondiale
di scacchi alla vigilia di
una nuova sfida in cui
forse il titolo potrebbe
venirgli sottratto da un
giovane e agguerrito
esponente della nuova scuola sovietica, Alekhine era
nato da una famiglia russa agiata,
emigrata in Francia in anni successivi alla rivoluzione. La sua morte
misteriosa, avvenuta nel marzo del
1946 in un albergo di Estoril, in
Portogallo, getta non poche ombre sulle modalit di quellevento
e sulla vita passata dello scacchista:
unautopsia manipolata lo dichiara
morto per occlusione delle vie respiratorie, mentre il cadavere presenta una ferita di arma da fuoco.
Su Alekhine, che ancora in
Russia aveva collaborato con la
polizia criminale, vennero fatte
illazioni relative anche a una presunta collaborazione con la intelligence britannica. Pesa, in ogni
caso, su di lui, il rapporto con un
alto gerarca nazista, amante degli
scacchi, Hans Frank governatore
del Reich in Polonia e responsabile dei lager , e la pubblicazione di
articoli (forse manipolati dalle redazioni) apparsi su riviste naziste
e di contenuto antiebraico. Sicch,
intorno alla responsabilit della
morte di Alekhine, vengono avanzate, tra le altre, ipotesi diverse: il
Cremlino, i servizi francesi, i servizi portoghesi. Il libro mette il lettore di fronte a un mistero insoluto
ma soprattutto
a un personaggio
complesso, dalla
esistenza dissestata e infelice
anche sul piano
della vita privata,
resa difficile negli
ultimi anni anche
da
ristrettezze
economiche e minata dalle conseguenze dellabuso
di alcol, rifugio e
fuga dallinfelicit cronica, dalla
coscienza del de-

clino, dal ritorno ossessivo della


memoria del passato. Un quadro
al quale corrisponde, in Alekhine,
la coscienza di una propria superiorit negli scacchi e una convinzione aristocratica della natura di
quel gioco da considerarsi come
unarte: una sorta di privilegio di
pochi, dove non sarebbero sufficienti la tecnica e la capacit di
difendersi e di capitalizzare la vittoria ma dove sono necessari per
lui il genio, la disponibilit al rischio, un potere creativo, il quale
pretende la totale abnegazione di
se stessi. Dunque, impegno totale
e nessun sentimentalismo. Anche
verso un amico che diventa avversario come il celebre scacchista cubano Capablanca, Alekhine avverte sentimenti contraddittori. Affini
a quelli che aveva provato da
ragazzo di fronte agli ebrei (Gi
allora quella parola, ebreo, suscitava in lui un certo turbamento, un
misto di timore superstizioso e di
ammirazione).
Ci che lo spinge, poi, ad avvertire sensi di colpa al ricordo della
vilt per non essere intervenuto, a
Varsavia, di fronte alla
violenza esercitata da
alcuni ragazzi contro
un vecchio ebreo. Ed
proprio verso un violinista ebreo (che viene
a conoscere la sua storia) che Alekhine prova
un sentimento di quasi
amicizia ricambiato da
unattenzione umana ai
suoi problemi. Da lui,
il protagonista ottiene
anche un amaro sfogo intorno agli effetti negativi del
troppo amore per larte (Credo
che larte abbia il potere () di allontanarci dagli affetti, dai doveri,
di renderci egoisti oltre ogni limite, cancellando in noi ogni traccia
di amore (). Mi chiedo () se il
talento sia un dono o una maledizione). In questo senso, il racconto diventa anche una cruda analisi
delle responsabilit di chi intende
salvaguardare la propria famiglia e
arte per giustificare silenzi o scelte
che vanno contro i princpi di libert, mettendo in secondo piano
i valori civili. Il libro, che racconta la vicenda di Alekhine (il quale
ricorda che, per salvarsi la vita
si pu essere costretti a compromessi, indossando i panni del
nemico), diventa pure in uno
scenario anche interiore tra isolamento, solitudine, esaltazione,
depressione la rappresentazione
di incubi di un passato che ritorna,
una sorta di tempestoso processo
nella coscienza che approda, infine, nel buio di una spiaggia e nel
mistero rappresentato da una morte e da una vita che possono essere
solo oggetto di ipotesi, illazioni,
sospetti adeguati alla complessit di un personaggio e della sua
storia: un romanzo coinvolgente
e inquietante come lo sono i veri
libri moderni del mistero che non
approdano a verit facili e che
aggiungono congetture e dubbi,
rimangono aperti, provocano
nuove riflessioni, appaiono ricchi
di valori simbolici e di metafore
esistenziali, come gli affascinanti
enigmi degli scacchi magistralmente evocati da Maurensig. n

Un miracolo
a Milano
di Vito Santoro
Tito Faraci
La vita in generale
pp. 208, 15,
Feltrinelli, Milano 2015

n quello che pu essere consiIletterario,


derato il suo primo romanzo
La vita in generale, Tito

Faraci, autore di libri per ragazzi,


ma soprattutto nome di punta del
fumetto seriale italiano, infaticabile creatore di storie per personaggi popolarissimi come Tex, Dylan
Dog, Diabolik, Topolino, solo per
citarne alcuni, si rif a un tema,
quello della seconda possibilit,
quanto mai ricorrente nella narrativa e nel cinema nordamericani.
Si racconta la storia di una discesa
allinferno con relativo riscatto di
un manager di successo del tessile,
Mario Castelli, detto il Generale,
sprofondato velocemente nel baratro a causa di una bancarotta fraudolenta, di cui stato responsabile
quello che riteneva il suo amico pi
fidato. Dopo la detenzione, Mario
sceglie di sparire dal mondo, divenendo un clochard, che solito
stazionare nei pressi della Stazione
Centrale di Milano, insieme a un
piccolo manipolo di freaks, che gli
riconoscono quella autorevolezza
e quella capacit di leadership che
aveva nella vita precedente. Intorno a Castelli, che funge da anello
di congiunzione tra due mondi
quanto mai agli antipodi, Faraci
organizza un romanzo ricco di riferimenti al mondo del fumetto, a
partire dalla splendida copertina
di Paolo Bacilieri e dalla citazione
in esergo di una celebre storia di
Carl Barks, Zio Paperone e la Stella
del polo. Ma dal suo universo lautore milanese importa il tono ilare
e leggero del mondo dei paperi (le
vicissitudini quotidiane dei suoi
personaggi ricordano un po quelle di Paperino alla ricerca del cibo),
e soprattutto la struttura narrativa,
dinamica e ricca di colpi di scena,
propria delle avventure a fumetti.
Al di l di questi aspetti, il romanzo di Faraci ha il merito di puntare
lattenzione, senza retorica, su un
mondo di invisibili, che vivono in
una Milano efficacemente descritta quasi alla Scerbanenco. Una
Milano dove tutti si perdono. I
milanesi per primi. Una Milano
dominata dagli oligarchi dellalta finanza, per i quali i parametri
morali di bene e male sono lettera morta in nome dellutilit e del
profitto. E non un caso che siano
attratti dallo storytelling equiparando il loro lavoro alla creazione
di una storia in cui sono chiamati
a svolgere una funzione determinante e demiurgica. certamente
questo il passaggio pi interessante
del romanzo. A volte per racconta Faraci queste dinamiche
narrative fondate su schemi precisi, imposti da un narratore/dio
dominatore e predatore, possono
essere scardinate da persone spinte
dallamore e dal senso di giustizia.
Un altro miracolo a Milano, almeno sulle pagine di un romanzo,
n
pu accadere.

guagnini@units.it

vitosantoro@live.it

E. Guagnini professore emerito di letteratura


italiana allUniversit di Trieste

V. Santoro insegna letteratura e cinema


allUniversit di Bari

21

N. 5

Lorma delle persone e delle cose


di Davide Dalmas
Giorgio Orelli
TUTTE LE POESIE

a cura di Pietro De Marchi,


pp. 480, 22,
Mondadori, Milano 2015

na delle pi belle risposte


alla domanda sul tipo di
lettore a cui si rivolge il poeta
mi sempre sembrata quella di
Giovanni Giudici: Uno come
me quando leggo Machado.
Probabilmente anche Orelli scrive per uno come lui quando
traduce Goethe e Lucrezio, o
quando legge Montale o Petrarca
o Dante, perch nella sua poesia
percepiamo la stessa strenua attenzione alle cellule sonore della
lingua, alla baudelairiana retorica profonda, che lo guida nelle
traduzioni e nel puntuale accertarsi (Accertamenti verbali, Accertamenti montaliani, Il suono
dei sospiri, ecc.) proprio degli scritti critici.
A partire dalla frequenza dei toponimi
nei titoli (Sera a Bedretto, Carnevale a
Prato Leventina, Campolungo; e poi Lettera da Bellinzona, un
Epigramma veneziano
e un altro pisano, Torcello, Dicembre a Prato) le poesie di Orelli
si presentano spesso,
soprattutto allinizio, come precise istantanee di momenti e di
luoghi, naturalmente a partire
da quelli ticinesi del cerchio familiare: Airolo dove nasce nel
1921, Prato Leventina luogo di
origine e di vacanza, la Bellinzona dellinsegnamento e poi della
morte nel 2013.
Questi luoghi non producono
per sussulti sentimentali o ricordi filati ma poesie interamente fatte di
cose e di esseri viventi.
La nozione chiave che
potrebbe
condensare
tutta la poesia di Orelli
lincontro: e non stupisce
che la raccolta dellintera produzione poetica
sia anche una festa, una
continua celebrazione
delle pi varie forme di
discorso riportato. Spesso i suoi componimenti
sembrano, riprendendo
Saba, scorciatoie e raccontini; ricchi sono gli
spunti aneddotici, continua lattenzione, che in
qualche caso pu perfino diventare una sorta di
astio, verso le vite degli
altri. Gli incontri non
sono per esclusivamente umani. Certo, contano
infinitamente, per Orelli,
le parole dette e udite (di
preferenza in contesti
mobili, fugaci, occasionali o in esaurimento: su
un treno, per strada, in
spiaggia, al parco, pronunciate senza grandi
pretese, in lingue marginali o in dialetti moribondi), rimuginate e
poi incastonate nei suoi
limatissimi versi; ma altrettanto attratto dai

suoni degli animali e delle cose:


i suoni che emettono, i suoni che
servono per descrivere il loro essere l davanti nellincontro e il
suono delle parole che li nominano. Basti ricordare quanto Orelli
un poeta di vacche (con schiene curve, che salgono in cima
allerta e pendono o indugiano
a mezza costa o levano la testa
a ciocco verso il cielo; o, nere
di pioggia, oscillando indietreggiano; fino a quella estrema,
che d il titolo allultima poesia
del volume, ed rimasta sola,
dritta, in cima al colle / adorna
di splendide corna) ma anche
di capre (lunatiche e pietose;
e non cattivose come teme la
piccola Giovanna) o di piccioni
(che sono i padroni di tutto il
Viale / della Stazione) e ancora
di martore, di tacchini, di marmotte (finte pigre), di gazze o
nocciolaie, di cervi solidali o di
falchetti detti sciss.
Listantanea, il suono delle parole, i luoghi, le persone le cose
e gli animali, i discorsi
riportati, gli incontri:
seguendo questi fili
una fortissima continuit lega dallinizio
alla fine la poesia di
Orelli, che ha per
anche unevoluzione,
scandita dalla serie
dei quattro libri pubblicati nello Specchio Mondadori (e gi prima
riconosciuta e poi via via seguita
dai migliori studiosi e autori di
poesia del secondo Novecento
italiano, come si pu chiaramente vedere percorrendo la
ricchissima bibliografia curata
da Pietro Montorfani). A partire
da Lora del tempo, che nel 1962
riassumeva tutto il percorso

Poesia
precedente, indicando proprio
la prevalenza dellistante sulla
durata, la vocazione a descrivere in modo circoscritto quanto
si vede e si deve nominare nel
modo pi preciso. Poi Sinopie
(1977), che inizia ad esibire
maggiormente le forme del racconto, dellapostrofe, del diario;
e che accentua loscillazione tra
le forme brevi, impressionistiche e quelle pi ampie della narrazione in versi, pi informale e
prosastica. Le Sinopie del titolo
sono ancora persone incontrate
per strada, ma traversate da
crepe secolari: Orelli, poeta
delloggetto senza simbolismo,
poeta di assoluta immanenza,
propone in tutta la sua opera un
realismo indiscutibile, ma che si
rivela labile perch quello che
resta non sono tanto loggetto, le persone, i fatti con la loro
corposit, quanto il loro aspetto
fantasmatico, la loro orma (cos
Pier Vincenzo Mengaldo nello
splendido ritratto introduttivo).
E ancora Spiracoli (1989), che
incrementa la libert stilistica,
con un maggiore uso del dialetto e un accresciuto ricorso alla
satira e allironia; e infine Il collo
dellanitra (2001), che invita ancora una volta, fin dalla quarta
dautore, alla continua meraviglia per il trasmutare dei colori a seconda della luce: cos
della vita, degli spettacoli anche
minimi del mondo.
Questo libro costituisce cos
unoccasione di incontro con
unintera vita poetica, alla quale
aggiunta anche la quinta raccolta, Lorlo della vita, rimasta
incompiuta e qui plausibilmente
ricostruita da Pietro De Marchi,
che vi nota la permanenza del
magistero dantesco nel rendere
memorabili, con pochi tratti, le
vite pi umili e in disparte. n
davide.dalmas@unito.it
D. Dalmas insegna letteratura italiana
allUniversit di Torino

La sospensione della notte


di Enzo Rega
Anna Maria Carpi
LANIMATO PORTO

pp. 74, 12,


La Vita Felice, Milano 2015
a dove viene che non la
D
vedo, questa speranza / io
non so in che cosa, / questa gio-

ia improvvisa / fuori del cuore, /


aliena, / e canta / la sua infinita
ragione desistere?. Questi versi,
tolti dalla precedente raccolta di
Anna Maria Carpi, Quando avr
tempo, e riproposti ora nellultima
sezione che da quella raccolta riprende una scelta, possono introdurci nel nuovo libro, nel quale lo
sguardo va alla ricerca di una luce,
gi quasi allinizio, in testi dedicati
alla propria formazione (il titolo
della prima sezione appunto Leducazione, aperta da un esergo goethiano che invita alla conquista
quotidiana): Una guida una luce
volevamo. / Cos giovani e pieni
/ di qualit, vedrete!
/ dicevano i sangiorgi
con il drago (). Ma
il tempo, quello che
d appunto il titolo
alla raccolta passata,
incombe su tutto. E
in conclusione dello
stesso testo leggiamo:
Quando tempo passato, un altro mondo.
/ () perch niente
pi vero e manca il
tempo / e va ognuno
alla cieca e sconsolato. Rimane
dunque unambivalenza di fondo
tra la necessit del rasserenamento e il dato incontrovertibile della
nostra precariet e provvisoriet.
Nel tempo che va, come in altre
raccolte, la poesia cerca di fissare
momenti della quotidianit, in
questa prima sezione quelli di una
famiglia assente, le cui
latitanza attraversa anche
pagine di altre raccolte.
Non era famiglia, e non
era casa. Eppure si sente
il bisogno di riesumarne il ricordo e allinearlo
sul tavolo della eterna
contemporaneit che
la poesia. Cos per il
presente, che si squaderna nella sezione successiva, Quello che vedo:
quasi come una (ma pi
distesa) cole du regard,
o unantropologia della
quotidianit alla Marc
Aug, il quale scende
nel metr e si ferma nei
bistrot parigini. Cos, la
Carpi stenografa il mondo circostante, questo
animato porto (Gente
che va e viene / sembra
festa, / e a me a questora
/ torna la speranza) nel
quale viviamo. Leggiamo
dunque: Mattino fuori in tram, / ognuno ha
unincombenza, / seduto o in piedi / le mani in
grembo o sul corrimano
/ un occhio alla fermata /
e la bocca serrata sul non
senso del tutto. / Il mattino brutale.
Per, c anche una
leggerezza (una accusa
alla propria poesia che
lautrice riferisce in un

testo), e una certa ironia, nel registrare lossessione odierna per il


mangiare, e c chi descrive le proprie crpes, acquistate in un negozio proprio in corrispondenza di
una fermata, e chi invece vanta
una vetrina di formaggi in unaltra strada, e topografia urbana e
gastronomica si sovrappongono.
Ma nellandirivieni temporale, in
chiusa del testo, e in controcanto
allapertura sulloggi cos attento
al cibo (Mangiare, / gi soltanto
parlarne bello, / di questi tempi
non si fa pi altro), si ricorda il
tempo della giovinezza, quello del
digiuno dellanima.
Questa fenomenologia delle
piccole cose riguarda ancora altro:
il fumare; la seduta dalla parrucchiera (dove la ragazzina appena
impiegata viene colta, nel suo momento di pausa, intenta a laccarsi
le unghie); la sosta di una coppia
al bar della stazione, con i due figli; la serata di unaltra coppia, in
casa, lei alla sua scrivania ( lautrice stessa),
e lui, cio (detto con
ironia) uno dellaltro
sesso, che sonnecchia: vicini e distanti.
come se tutto questo,
nonostante la propria
banalit, proprio nella sua banalit, debba
essere pescato nella
deriva incessante nel
tempo. E la riflessione
sul tempo costante:
Non lo senti anche tu che non
c pi? / Il tempo non c pi.
Allora, la necessit di una qualche
forma di stabilit: Non essere
fumo / che se ne va da quel tetto
di fronte, / () / Tramutarmi in
albero, Signore, / platano acero
ippocastano o tiglio / o ailanto, in
uno di quei bastardi / che su un
pugno di terra fanno un regno.
Il tutto in un linguaggio semplice che, nota la Carpi nel libro,
alla sua scrittura avvicina anche i
giovani (che la raggiungono su facebook), ma non solo. Anche in
questo libro, daltra parte, come
in qualcuno dei precedenti (vedi
i versi di Quando avr tempo, qui
ripresi: Sono i poeti dellio scrivo ergo sono, / e luno ignora laltro), lautrice considera la poesia
di oggi: Tanti poeti io non so di
che trattino, / sono esercizi scritti
/ di ingegnosi primi della classe,
/ di normalisti, chi non ne ha incontrati?. E subito dopo dichiara di voler tornare a leggere Eliot,
Brecht, Szymborska. E in un testo successivo fa i nomi di Saba
(la cui frequentazione, a detta di
chi la legge, si sentirebbe nella
scrittura della Carpi, forse per
quella che possiamo chiamare
profonda semplicit), di Giudici,
di Zanzotto: che siano i nostri
ultimi poeti?.
Se da giovani si cercava la luce,
per la sospensione della notte,
spenta la radio che ha fatto compagnia, a dare tregua: il proprio
corpo ad assaporare il piacere,
prima che lo stupro della luce
che ritorna rompa lincanto:
Sotto le coltri / con lamante
sonno / coi piedi tocco la felicit
n
/ tutto il corpo speranza.
enzo.rega@libero.it
E. Rega insegnante e saggista

22

N. 5

Disubbidienze femminili
di Fabio Stassi
Cristian Mannu
MARIA DI SILI

pp. 153, 14,


Giunti, Firenze-Milano 2016

Pagina a cura del Premio Calvino

aria di sili testo vincitoM


re ex aequo della XXVIII
edizione del Premio Calvino

si inserisce in una tradizione


letteraria radicata e fortemente
identitaria, come quella della
Sardegna. Ma i rapporti con la
tradizione, si sa, sono un terreno
pericoloso e sdrucciolevole, e riassumono in s una spinta doppia: la necessit di un ancoraggio
e insieme un bisogno eversivo,
unurgenza di infrazione. Per
fortuna, Cristian Mannu non sceglie di giocare in sicurezza. Evita la trappola di una rappresentazione di
maniera dellisola, le consuete insidie degli stereotipi e
dei folclorismi, e ottiene in due modi un superamento
del confine e dellidentit. Prima con uno spostamento semantico. Il paesaggio che affronta un paesaggio
brullo, isolato e spigoloso, ma tutto interiore. Si tratta
di un reticolo di sentimenti e di risentimenti che ruota intorno a una famiglia. Una famiglia naturalmente
immersa nella cultura sarda, eppure a suo modo universale nel dolore e nella trama che esprime. questa
famiglia a farsi isola, ad assumerne la forma, e cos ad
appartenere a tutte le isole del mondo. Poi, attraverso
la rarefazione del tempo. Lazione si svolge intorno alla
seconda met del Novecento, ma gli anni sono come
indefinibili. Perch la storia che ci viene raccontata
una tragedia fuori dal tempo, primitiva e futura, come
tutte le tragedie.
Dieci voci diverse la ripetono. Come se fossero state
chiamate a testimoniare in un impossibile processo. E
sembrano raccontarla da un angolo che non appartiene
pi alla vita n alla morte. Al centro, c linnocenza o la
colpevolezza di una donna, fuggita insieme al marito di
sua sorella: un tradimento del sangue (e quindi anche
un tradimento dellisola e della tradizione, la violazione
di un divieto, una disubbidienza scandalosa). Ma nello
stesso momento in cui Maria di sili trasgredisce la parte che le era stata riservata, si incolonna in una lunga
fila di disubbidienti e disertrici, da Madame Bovary alla
lupa di Giovanni Verga.
La novit che questo avviene in Sardegna, con leccezione forse della sola Deledda, e per mano di uno
scrittore. In uno dei capitoli iniziali del Giorno del
giudizio, Salvatore Satta si chiedeva per quale motivo
il delitto donore in Sardegna non esiste. La Sicilia ha
fondato una sua epica e un intero immaginario collettivo su questo tema; la Sardegna non lo conosce. La
spiegazione che Satta si dava era questa: Non c delitto donore semplicemente perch in Sardegna la donna
non esiste, come non esiste la gelosia. Qui la donna
una regina schiava.
Lelemento di maggiore originalit di Maria di sili
nellavere messo la disubbidienza di una donna al
centro della narrazione. Una disubbidienza che la apparenta proprio alla ferinit della lupa verghiana, nella
cupa vicenda di un tradimento allinterno della stessa
famiglia, ma con una distanza di un secolo e mezzo.
La donna affiora quasi come una scoperta. Ed in
questo passaggio che si riconosce il movimento della
Storia, lirrompere inevitabile di un mutamento sociale
in tre generazioni, in cui si consuma uno strappo significativo. Prima attraverso il tradimento della madre di
Maria, che la concepisce non con il marito ma con luomo che ha realmente amato, senza infrangere ancora
listituzione del matrimonio. Poi con Maria che aveva
un vento pi forte a spingerla dentro e non ha saputo
calmarlo, quietarlo e trover il coraggio di fuggire con
il marito di sua sorella. La nipote sar lultimo anello di
questa catena.
Un altro scrittore dellisola, Giuseppe Dess, parlava
di matriarcato clandestino (nella letteratura siciliana,
in Brancati, Pirandello, Sciascia, la madre onnipresente; in Sardegna nascosta) e descriveva le donne
sarde come tante Penelopi senza Ulisse (gli uomini
hanno paura del mare, diceva, e odiano lalfabeto, che
un altro spazio, le donne no). Ed in questo spazio
recuperato, o meglio nella lotta per conquistare questo

spazio, che le donne di sili trasgrediscono i loro patti


clandestini di fedelt e di solitudine.
Mannu ci racconta questo cambiamento, che, al suo
primo manifestarsi, non pu che essere tragico e scatenare sventure. E per farlo, per provare a restituire tutta
la temerariet femminile necessaria a questa insubordinazione, usa una lingua di coraggioso lirismo. A volte
il giro della frase quasi cantautoriale: in pi punti assume un respiro metrico, ipnotico, e sin dallepigrafe si
riconoscono leco e latmosfera di certe ballate di Fabrizio De Andr. Ho capelli folti e ricci e neri e lucidi,
dicono, come di merlo che non trova riposo. Oppure:
Avevo gente l dietro che mi cercava e carte segnate
dentro la sacca e la testa che cera e non cera.
Ma tutto limpianto polifonico: una partitura insieme chirurgica ed emotiva in dieci chiavi. Innanzitutto,
la levatrice (Salvatorica Carboni): negli atti di nascita
era sempre la prima a deporre e a riconoscere ocularmente i bambini; e poi Maria di sili, la madre (Rosaria
Granata), il padre (Michele Piga), luomo (Antonio
Lorri di Silus), lamico (Giovannino Medda), lamica
(Teresina Spanu), il marito di Maria (Sergio Desogus),
la sorella (Evelina Piga), la nipote (lultima Maria di sili). Come in Rashomon, il film di Kurosawa degli anni
cinquanta, la verit, deposizione dopo deposizione, si
fa sempre pi ambigua. E alla fine unaltra verit a
emergere. Una storia di mancanze e di abbandoni, di
letti sconsolati, di infelicit, tradimenti, suicidi.
Qui Cristian Mannu riprende leredit di uno scrittore sardo che, prima di Marcello Fois e di Michela
Murgia, pi di tutti aveva cercato di rivitalizzare la
tradizione e di innestarla di variazioni: Sergio Atzeni.
Anche lui in Il figlio di Bakunin aveva raccontato un
uomo attraverso lo specchio di tante dicerie. Con la
stessa mano ferma, Mannu lavora sul fiato, sugli accenti e sulla particolare cantilena di ogni singola voce e alla
fine riesce a restituire al personaggio di romanzo di cui
n
vuole raccontare la storia tutta la sua centralit.
F. Stassi scrittore

Titanismo virato al comico


di Luca Ruffinatto
Carlo Loforti
Appalermo, Appalermo!
pp. 329, 16,
Baldini&Castoldi, Milano 2016

sce per Baldini & Castoldi


E
lopera prima di Carlo Loforti, finalista al Premio Cal-

vino 2015. Titolo enigmatico


la sua parte (moto a luogo?
vocativo? ottativo?) ma curiosamente adatto in tutte le possibili declinazioni e letture a
rendere lidea del romanzo del
giovane autore (classe 1987).
C la citt in effetti che fa da
sfondo, da coro, ma anche, in
qualche modo, da antagonista
alleroe del racconto, quel Mimmo Cal (si poteva
trovare nome pi palermitano?) di cui si dir poco
oltre. La citt, dunque: quella delle borgate popo-

lose e polverose, dei bambini che giocano a pallone


per strada, dei mercati, dello sfincione, della delinquenza organizzata o meno, del tifo vissuto con trasporto quasi religioso. Una Palermo che, per quanto
deformata a fini comici ed espressivi, ritratta dal
vero con mirabile equidistanza tanto dalla retorica
letteraria, quanto dai luoghi comuni tele-giornalistici. Perch, va detto fin da subito a scanso di equivoci, con questo suo primo libro Loforti aspira a tutto
meno che a fare letteratura. Eppure, eppure.
Eppure c Mimmo Cal, anti-eroe per vocazione, celebrit suo malgrado, figlio di quella Palermo
terragna e popolaresca, che prima lo esalta e poi lo
ripudia, per cos dire. Mimmo in quella Palermo
qualcuno: si inventato telecronista locale di calcio
e, soprattutto, colui che, primissimo in Sicilia e forse in Italia, ha importato il costume sudamericano
di celebrare il gol con urlo ferino e prolungato, una
sorta di borborigma interminabile che mette a repentaglio le coronarie del cronista medesimo e manda in visibilio il tifoso allupato.
Una banale intercettazione telefonica tra mafiosi
manda a scatafascio la tv per la quale lavora, e allora
Mimmo, a quarantanni suonati e sulle soglie duna
paternit perlomeno controversa, costretto a rifarsi una vita. Grazie alla passione di assistere alle aste
giudiziarie, decide (si fa per dire, il caso ha la sua
parte) di aprire uninnocente sfincioneria in centro,
e questa scelta dar la stura ad una serie di disavventure sempre pi spassose ed improbabili, in un crescendo paradossale (ma sinistramente verosimile) di
guai: burocratici, bancari, fiscali e via accumulando,
fino allo scioglimento finale, non meno assurdo e realistico.
In questo vortice di disastri, Mimmo Cal impegna un eroico braccio di ferro col destino avverso,
che fa curiosamente pensare ad un titanismo di
stampo romantico, ma virato al comico. Va detto
che Mimmo Cal, mai rassegnato di fronte a rovesci che atterrerebbero un colosso, non privo dun
suo ethos a prova di bomba. E qui il calcio ritorna, sotto forma di serbatoio di metafore e saggezze
per illustrare la bizzarra, cinica, adorabile filosofia
di vita (una filosofia da bar, verrebbe da dire) che il
personaggio s costruita a suo uso e consumo e che
viene messa a dura prova dalle incredibili sequenze
di rovesci in cui quasi sempre involontariamente
coinvolto. Il tutto raccontato con un umorismo che
pare unimpossibile ibridazione siculo-anglosassone
(tale e quale il parlato del deuteragonista della vicenda, Franco), ma che in effetti regala momenti di
autentico spasso. Loforti ha esperienze professionali
di rega e sceneggiatura, e si vede: tutta la vicenda
tenuta insieme da un connettivo di aneddoti e
personaggi al limite dei buffi, meravigliosamente
orchestrati. Dalla madre, avarissima, che noleggia
il protagonista bambino a una vicina svitata e con
frustrazioni da maternit mancata, alla memorabile
scena del pellegrinaggio di esercenti al capezzale del
funzionario Asl morente (degna del miglior Monicelli), o, per citare un esempio della vena aforistica
di Mimmo Cal, lexcursus crasso e fulminante sulla risposta pronta, che illustra tutta la apodittica e
sgangherata efficacia del pensiero del protagonista.
Per tacere dei dialoghi al calor bianco tra il protagonista e la moglie Barbara, spalleggiata da una madre
dallinvadenza proverbiale e viperina.
A dare sangue a personaggi e macchiette, vicenda
e aneddoti e riflessioni del protagonista/io narrante (tuttaltro che superflue, anzi!), Loforti escogita
una prosa che una sorta di impasto molto ruvido
eppur esatto di dialetto siciliano (senza camillerismi
di sorta, si sappia), gergo di strada e immagini da
hard boiled. Un miscuglio dallequilibrio non affatto
semplice da ottenere, e che regge perfettamente dalla prima allultima pagina.
Ne vien fuori una narrazione sapida e mai banale, intelligentemente sboccata, ma soprattutto
spassosa in ogni sua parte. Insomma: una scrittura
che, a quando, pu sembrare gratuitamente oscena, ma che torna adattissima al tratteggio psicologico e etnico dei personaggi e, soprattutto, una
bella e precoce disponibilit a osservare caratteri,
rapporti umani e paradossi di una Sicilia che, per
quanto comicamente stravolta, non poi cos lontana da quella di Sciascia; fatte, inutile dirlo, le
debite proporzioni.
n

L. Ruffinatto educatore e giornalista

23

N. 5

S P E C I A L E

celati
Una voce savia e folle
di Eloisa Morra
impulso iniziale pu avere
L
tanti aspetti quanti sono
i temperamenti e i talenti; pu

essere laccumulo di una serie di


choc praticamente inconsapevoli o unispirata combinazione di
idee astratte e prive di uno sfondo ben definito. Ma in un modo
o nellaltro, il processo resta riducibile alla forma pi naturale
di fremito creativo: unimprovvisa immagine vivente costruita
in un lampo con unit dissimili,
colte tutte assieme in unesplosione stellare della mente. Oltre
a evocare lavventuroso itinerario
di Gianni Celati, queste parole
di Nabokov potrebbero fungere
da ideale risposta alle perplessit, provenienti da pi versanti,
sulloperazione di raccolta delle
sue opere narrative allinterno
del Meridiano curato da Marco Belpoliti e Nunzia Palmieri.
Varrebbe la pena raccogliere le
maggiori opere di un autore contemporaneo vivente, per di pi
un outsider votato a una letteratura tesa al superamento dei suoi
stessi confini? Non si corre ci si
chiede il rischio di ingabbiare
in una subitanea monumentalizzazione un talento narrativo libero e divagante? Il problema
mal posto, e non solo per via della conformazione variegata che
la collana venuta assumendo
negli ultimi anni: perch le opere
dei veri scrittori, anche i pi apparentemente antiletterari, non
faranno che scrollarsi di dosso
le interpretazioni dei critici per
tornare a farsi leggere di nuovo,
intatte.
I sentieri percorsi in questo
speciale sono solo alcune vie di
ricerca possibili; nascono dalle
sollecitazioni delle quasi duemila
pagine del Meridiano, che, lungi dallagire a mo di cenotafio,
hanno il merito non scontato di
farci assistere in sequenza alle
esplosioni stellari della mente
che animano il percorso celatiano: dalla trilogia stralunata degli
esordi fino al libro-ponte Lunario
del Paradiso, passando attraverso
il novellino padano degli anni
ottanta per poi sfumare sulle
opere pi recenti. Lo scorrere di
questi fotogrammi narrativi mette il lettore di fronte a una verit
ben evidenziata da Belpoliti nel
suo saggio dapertura: in qualsiasi punto la fermiamo, la voce di
Celati emerge con una nettezza
e unoriginalit assoluta. Lordinamento volutamente piano
e reader-oriented si procede
cronologicamente per ordine di
pubblicazione scelto dai cura-

tori non fa che accentuare questo


dato: Celati senza dubbio uno
scrittore di libri unici, ovvero di libri, suggerisce Calasso in
Limpronta delleditore, dove
subito si riconosce che allautore
accaduto qualcosa e quel qualcosa ha finito per depositarsi in
uno scritto; allo stesso tempo,
la sua vera opera data dallinconfondibile modulazione vocale
che emerge dallinsieme dei suoi
scritti.
Ci che rende riconoscibile
Celati a ogni apertura di pagina
proprio la verit della figura
mentale che si muove (come in
un Teatro dei Mimi mai dismesso) dietro le maschere del brutalizzato professor Otero Aloysio,
di Garibaldi lo sbandato o nel

sconclusionata vita. Tutto fin


troppo lineare, se a questapparente semplicit lo scrittore non
fosse pervenuto in seguito ad
anni di apprendistato costellati di
incontri, errori, progetti falliti o
mai andati in porto. Il Meridiano
ne presenta testimonianza esplicita non solo attraverso la Cronologia e le note al testo, ricche
di materiali darchivio, ma anche
grazie alla puntuale bibliografia
compilata da Anna Stefi, che costituir senza dubbio una mappa
e una bussola per orientarsi nella
materia magmatica degli studi di
e su Celati. Lincrocio tra le due
serie di dati d corpo allimmagine dun autore che per molti
aspetti somiglia inaspettatamente al suo opposto, Pier Paolo Pa-

che Celati opera per con ben


altra sistematicit e armonia:
basti pensare alla profondit del
suo rapporto con lantropologia,
che ricorda Andrea Cortellessa
lo spinge a considerare latto
del narrare in s. Pi un processo
che un dato, pi una condizione
che un atto, pi un flusso che un
oggetto.
inevitabile che questo narrare arioso e naturale, volto a far
immergere il lettore-ascoltatore
nelliridescenza del tempo, metta in crisi la tradizionale distinzione editoriale in romanzi e
racconti; nemmeno il terzo elemento giustamente aggiunto dai
curatori, quello delle cronache,
esaurisce la molteplicit di una
creativit che si muove in pi di-

dipintore dinsegne Menini: una


voce che a tratti folle e savia, irriverente e malinconica, conscia
che lunico esito umano possibile
il fallimento e che dunque non
resta altro che fabulare, raccontar fole per alleviare i dolori e
ingannare il tempo che passa. In
questo quadro vivere e raccontare non risultano pi attivit
separate e incomunicabili; entrambe dice ancora Belpoliti si
nutrono di cerimoniali, perci
vivere significa intessere racconti. E raccontare il modo migliore per appaesarsi nella propria

solini: li unisce senzaltro lidea


della performativit dellopera,
con il gesto dellautore che entra
in azione quanto il suo testo (e il
conseguente tornare sui propri
passi, come dimostrano le molteplici operazioni di riscrittura: da
Comiche, presente in appendice
anche nella versione 1972-1973,
alle tre stesure di Lunario, fino
alla riedizione di Banda dei Sospiri ristampata da Quodlibet e
recensita in queste pagine). Un
secondo punto di contatto dato
dallattraversamento appassionato delle discipline pi diverse,

rezioni, in una continua apertura


allimpensato. Traduzioni, saggi,
poesie, libri fotografici, documentari: pensare a Celati senza
tener conto di questo continuum
di esperienze (e di unapertura
alla virtualit ereditata da Cesare
Zavattini, di cui lo scrittore parla
nella rara testimonianza qui ripubblicata) impossibile, e forse
sarebbe stato opportuno dotare
il Meridiano di un secondo volume o di alcune appendici. A
mostrare almeno parte dellaltra
met di Celati arriva per la bella raccolta di saggi recentemente

pubblicata da Quodlibet, Studi


daffezione per amici e altri (Macerata 2016, pp. 277, 16,50),
ideale seguito di Conversazioni
del vento volatore. Affezione
un termine leopardiano, ed un
qualcosa di esterno che ci tocca,
che produce uninclinazione del
pensiero e dei sensi; e tutti i libri che ci piacciono agiscono su
di noi in questo modo. Ne nasce una scrittura saggistica non
lontana dalla narrativa, tesa ad
accentuare le risposte interne e
gli echi delle frasi in un fraseggio
che insegue il filo arzigogolato
dei pensieri. E simile non soltanto il tono, ma anche il metodo di lavoro per accumulazioni
e spostamenti di tasselli diversi,
secondo la pratica del montaggio volto a creare lillusione della
continuit attraverso cui Celati
ha dato vita a parecchi suoi libri.
Cos per gli otto studi che
compongono il volume, dedicati
a passioni di lungo corso: dalla
novellistica al poema cavalleresco, passando per leccentrico
Tomaso Garzoni, fino a Imbriani, Tozzi, Campana, Delfini,
Manganelli. Centro dellattenzione di Celati Leopardi, con la
sua vocazione a una poetica della
vaghezza che si traduce in una
scrittura impossibile da racchiudere entro un orizzonte definito
(una traccia di vicinanza con Una
pietra sopra, ma con leliminazione di Galileo a favore di Basile);
nelle sue opere non catalogabili,
e sempre volte a denunciare la
vanit delle ambizioni umane,
lautore di Narratori delle pianure riconosce lo specchio in cui
sempre tornare a guardarsi. Leopardi il nucleo italiano duna
tradizione pi ampia, che dalle
digressioni e ondeggiamenti del
pensiero trae impeto narrativo:
da Stendhal a Gadda, Celati ama
le narrazioni fluide, avventurose, panoramiche, che attraversano rapidamente gli eventi senza
adottare un punto di vista fisso o
una linea retta da A a B. Questo
sono per Celati i classici: libri in
cui perdersi, e se uno non riesce
a perdersi in questi libri, se non
riesce ad essere turbato per il fatto di essersi perso, be io non capisco perch debba leggerli.
lo stesso senso di piacevole spaesamento che si prova nel leggere
Celati, e un invito ad attraversare
i suoi paesaggi di parole.
n
eloisamorra@fas.harvard.edu
E. Morra ricercatrice di letteratura italiana
allUniversit di Harvard

24

N. 5

Quando Celati dormiva con Basaglia


di Michele Ronchi Stefanati
ome ha raccontato a Marco
C
Belpoliti in unintervista per
la rivista Doppiozero, capit

una volta a Gianni Celati di condividere la propria stanza da letto


con Franco Basaglia. Lincontro
avvenne presumibilmente alla fine
del giugno 1969: dal carteggio tra
Celati e la casa editrice Einaudi si
ha infatti notizia della partecipazione del futuro autore di Comiche alle tavole rotonde che Giulio
Einaudi era solito organizzare
destate a Rhmes-Notre-Dame
con i suoi collaboratori. Tra questi, appunto, Franco Basaglia che,
come messo in luce da John Foot
in un suo recente libro (La repubblica dei matti. Franco Basaglia
e la psichiatria radicale in Italia
1961-1978, Feltrinelli, 2015), era
in ottimi rapporti con la casa editrice di via Biancamano soprattutto grazie a Giulio Bollati. Celati
comincia la collaborazione con
Einaudi negli stessi anni, e anche
nel suo caso il tramite di Bollati
sar determinante.
Nellintervista a Belpoliti, Celati descrive (e riproduce, imitandolo) il russare di Basaglia
durante il sonno, particolare che
serve a tratteggiare un ricordo
affettuoso del grande psichiatra
come di una brava persona, onesta, appassionata, ma anche continuamente lacerata, con un peso
portato dal suo mestiere, come
in una lotta perenne con i propri
stessi pensieri sfogata solo in quel
fragore notturno (pazzo duro!
Era come dormire con uno che
cha il demone dentro). La rappresentazione della follia e dellistituzione manicomiale uno dei
temi principali di Comiche, spesso trascurato a favore dellaltro
elemento cardine, il comico, con
il modello principe dello slapstick
movie. I due aspetti sono invece
funzionali, complementari luno
allaltro: il libro andrebbe situato
allinterno di una riflessione teorica sulla follia e, pi in generale,
sulla critica alle istituzioni che
certamente presente a Celati nel
redigere il suo primo romanzo.
Comiche ne ha parlato nel dettaglio Nunzia Palmieri modella
la sua lingua e la materia stessa
del libro sui quaderni scritti da un
internato al manicomio di Pesaro, consegnati a Celati da un suo

amico psichiatra. Gi ai tempi di


Al Bab, progetto editoriale
mai portato a termine intrapreso
tra 1968 e 1972 con Italo Calvino, Guido Neri, Enzo Melandri,
Carlo Ginzburg, Celati aveva in
mente di includere nella rivista
registrazioni di racconti di matti;
visionari, per esempio quel portiere milanese che ha visto i marziani e casi clinici.
Nei saggi raccolti in Finzioni
occidentali e soprattutto in Il bazar archeologico scritto proprio
per Al Bab il tema viene
ulteriormente sviluppato, con
riferimento esplicito allantipsichiatria, a Derrida e alla disputa
con Foucault: Su questo punto
abbastanza importante, con cui
anche lantipsichiatria deve fare i
conti, Derrida ha detto qualcosa
da non dimenticare: La disgrazia
dei folli, la disgrazia interminabile
del loro silenzio, che i loro migliori portaparola sono quelli che
li tradiscono meglio; il fatto che
quando si vuol dire il loro silenzio
in s, si gi passati al nemico e
dalla parte dellordine, anche se,
nellordine, ci si batte contro lordine e lo si mette in questione alla
sua origine.
ei vari esempi di storie marN
ginali escluse dalla storia
monumentale, Celati cita in Bazar

vari racconti di matti, i Memoirs


of My Nervous Illness di Daniel
Paul Schreber (1903), la monografia di Walter Morgenthaler sul
poeta-pittore svizzero Adolf Wlfi e gli scritti di Louis Wolfson.
Gi nel 1966, al momento della
pubblicazione di una primissima
versione di Comiche sulla rivista
Uomini e idee, il Journal dun
schizophrne di Marguerite Sechehaye gli appariva come uno
dei pi bei romanzi del secolo,
ideale continuatore del processo
di imitazione dei linguaggi extraletterari che a suo parere caratterizza il genere fin da Defoe e
Swift.
Celati incontrer poi personalmente Derrida e Foucault al
principio dei settanta, durante il
suo soggiorno alla Cornell University. Lcriture et la diffrence,
cos come lHistoire de la folie,
Surveiller et punir e La volont
de savoir sono testi fondamentali

Gianni Celati
per il Celati degli esordi. Sar lui
stesso, nellaprile del 1972, a suggerire alla Einaudi la pubblicazione di LAnti-Oedipe di Deleuze e
Guattari dopo la lettura del primo volume (per quanto non mi
vedo un Einaudiano qualsiasi che
lo legge di gusto. Io lo leggo di
gusto). Allo stesso modo, vanno
ricordati i rapporti di amicizia e
collaborazione con Elvio Fachinelli e Giuliano Scabia, a cui si
deve lazione teatrale Marco Cavallo, la cui uscita dallospedale
psichiatrico di Trieste centrale
nella vicenda basagliana. Interlocutori, temi e testi che poi torneranno in Alice disambientata,
pubblicato proprio da Fachinelli
per Lerba voglio nel 1978,
esperienza riassuntiva delle varie
influenze di questo suo primo periodo.
Celati era quindi pienamente
inserito nel dibattito sullantipsichiatria e, pi in generale, sullidea della necessit di smantellamento delle istituzioni totali che
caratterizzava quegli anni. Ci
emerge con chiarezza non solo in
Comiche, dove listituzione manicomiale viene raccontata come
luogo di ossessioni, costrizioni e
violenza perpetrata dagli infermieri sui pazienti ma anche dagli
stessi pazienti tra loro (si pensi
alle continue minacce rivolte al
protagonista affinch strappi le
pagine del proprio taccuino, per
non portar fuori quello che si
vede dentro), ma anche nei successivi Le avventure di Guizzardi,
La banda dei sospiri e Lunario,
dove ad essere prese di mira sono
altre istituzioni: la scuola, la famiglia, luniversit, il servizio militare. Allinterno di questo quadro,
lopera di Celati assume ulteriore
profondit. Ne emerge in linea
con lanalisi critica contenuta
nel Meridiano di recente pubblicazione il ritratto di un autore
sempre consapevole della cornice
teorica allinterno della quale operava e, allo stesso tempo, in continua fuga da ogni savoir: scocciato non poco di far la parte di chi
si occupa di tutto e blatera come
un raffinato accademico sulla letteratura, come scrive a Davico
Bonino proprio in riferimento a
quelle tavole rotonde einaudiane
da cui siamo partiti.
n
micheleronchistefanati@gmail.com
M. Ronchi Stefanati dottorando in
italianistica allo University College Cork

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Pedinando Zavattini
di Gianni Celati
Riproduciamo qui un testo piuttosto raro, che testimonia linteresse
di Celati per il mondo di Cesare
Zavattini, maestro di meraviglia.
originariamente apparso in Alfredo Gianolio, Pedinando Zavattini. Immagini e testimonianze dal Cerreto al Po, Diabasis,
2004. Ringraziamo la casa editrice
ed Eloisa Morra per il prezioso lavoro di mediazione.
arissimo Alfredo Gianolio,
C
ora ti racconto il mio incontro con Cesare Zavattini, che for-

se non varrebbe neanche la pena


di essere raccontato, essendo ben
poca cosa. Doveva essere lanno
1975, un editore (Bompiani?)
aveva pubblicato un volume di
opere di Zavattini, e il volume
doveva essere presentato a Bologna. Mi stato chiesto di prender
parte alla presentazione, e ci sono
andato, ho detto qualcosa. Era
in un teatro, con molto pubblico. Dopo i discorsi io e Zavattini
siamo andati via assieme (a bere?
Mangiare?). Vagamente mi sembra che lui mostrasse di conoscere un mio libro, allora ristampato
(Le avventure di Guizzardi), oppure di averne sentito parlare.
Non ricordo altro di quella circostanza, ma dobbiamo essere
entrati un po in confidenza, io
penso, perch dopo ho memoria
di alcune sue telefonate.
Un giorno mi telefona: Devo
passare a Bologna, se vieni alla
stazione ci vediamo. Vado, lo
incontro. Credo che siamo rimasti al bar della stazione per mezza
giornata a chiacchierare. Naturalmente io avevo una grandissima
ammirazione per lui, non solo per
i suoi libri cos fuori dal comune,
non solo perch lui era uno dei
fondatori del nostro cinema, ma
anche per quel libro fotografico su Luzzara che aveva fatto
assieme a Paul Strand. Dir poi
qualcosa su quel lavoro con Paul
Strand, ora continuo a parlare
dellincontro alla stazione. Ho lidea che quel giorno io e Zavattini
abbiamo parlato del suo amico
Ghizzardi, pittore naf e autore
di un fantastico memoriale in una
lingua tutta inventata (Mi richordo ancora). Lo dico perch quel
libro era uscito (o doveva uscire)
in una nuova collana di Einaudi
(con la copertina bianca), dove
lavevano appaiato a uno mio (La
banda dei sospiri), e ad uno di
Carmelo Bene compagnia piuttosto eteroclita: un nuovo autore
sballato (io), un pittore naif amico di Zavattini (Ghizzardi), e un
attore davanguardia (Carmelo
Bene). Ho lidea che allora ci fosse un pensiero pi largo in fatto
di libri, con pi margine dimprevisto, fuori dalle classifiche letterarie e dai giudizi degli esperti.
Zavattini per me era lincarnazione di questo pensiero pi largo,
pi orientato verso il fuori, verso
gli incontri imprevisti.
Dopo, in quellanno, in quel
periodo, doveva esserci un convegno su Zavattini, ad Asiago,
pare. Zavattini mi telefonava, per
dirmi: Senti, importante che tu
vieni a questo convegno. Voleva
che andassi a fare un intervento
anchio. Io gli spiegavo che andare ai convegni dove ci sono stu-

diosi che parlano in modo serio,


non era mai stata per me unidea
attraente. Ma lui insisteva che dovevo andarci, perch altrimenti
ci sarebbero stati solo quegli studiosi che parlano in modo molto
serio. Deve avermi telefonato varie volte, ma non riuscito a convincermi, e dopo non lho mai pi
sentito n visto. Pu darsi che si
sia offeso per il mio rifiuto, e mi
dispiace perch eravamo diventati abbastanza amici. Comunque
non ho saputo pi niente di lui,
finch non ho letto la notizia della
sua morte. Adesso penso che Zavattini sia stato un caso pi unico
che raro nella cosiddetta cultura
italiana; se ho ben capito, aveva
unidea dei nostri lavori dimmaginazione (scrivere, dipingere,
fare film) come attivit dove conta pi di tutto lo stato danimo,
lapertura dello spirito, uno stato
di grazia ecc. Ecco la sua amicizia e ammirazione per Ghizzardi,
personaggio toccato di sicuro da
qualche grazia, se non altro per
come riesce a parlare con grazia
della propria totale sofferenza
dessere al mondo la sofferenza
integra e muta che pu avere un
cane, non quella egotica e chiacchierona delle rivendicazioni personali.
a scoperta e lattenzione dediL
cata a uno come Ghizzardi mi
sembra una delle pi belle impre-

se di Zavattini, assieme a quella


con De Sica nel cinema, a quella
con Paul Strand ecc. Sono tutte
imprese dellimmaginazione, da
individuo estroso e ricettivo, non
imprese professionali. Si pu dire
che tutto questo sorpassato,
che la storia dei pittori naif da
lui incoraggiati una storia strapaesana. Ma io trovo che quello
di Zavattini fosse latteggiamento
di chi voltato verso il fuori, verso laperto, e in questo un caso
raro nella cosiddetta cultura italiana cultura dei paraventi, del
vestiario e delle apparenze che
ti proteggono, delle case e delle
famiglie chiuse come galere, dei
luoghi di convegno senza liberi
incontri. Unultima cosa; il libro
con Paul Strand non c un altro libro cos, tutto al plurale, nei
mezzi (scrittura-fotografia), nella
partecipazione (un paese sul Po,
un fotografo americano ecc.) nei
riflessi del dentro e del fuori che
si rispondono (problema delle
rispondenze, che gli antropologi
si sono posti spesso) ecc. Quel
libro resta per me, come lo era
per Luigi Ghirri, una guida per
pensare lo spazio esterno. Recentemente ne ho parlato in una
lettera allo scrittore inglese John
Berger (autore di libri sullarte,
sulla fotografia etc.) e lui mi ha
risposto con queste parole: Il
libro di Paul Strand stata una
delle mie primarie finestre sul
mondo quando ero giovane. No,
non una finestra, una porta. Non
una porta fuori di casa, ma su una
strada dove si passava dallignoranza allinizio della ricerca di
un sapere che non avremo mai,
ma che pesa su di noi come una
mano sulla spalla non proprio
una mano che ci guida, forse
sperduta come noi, ma una mano
n
che ci accompagna.

25

N. 5

Personaggi perduti
di Ivan Tassi
Gianni Celati
Romanzi, cronache
e racconti
a cura di Marco Belpoliti
e Nunzia Palmieri,
pp. CXXVII-1850, 80,
Mondadori, Milano 2016

e uno non riesce a perdersi


S
in questi libri ha affermato
Celati a proposito dei classici
se non riesce a essere turbato per
il fatto di essersi perso, be io non
capisco perch debba leggerli.
Vale la pena di insistere su questa
dichiarazione, perch per il lettore
del Meridiano che oggi raccoglie romanze, cronache e racconti
di Gianni Celati pu funzionare
come una preziosa indicazione di
manovra. Anche se Celati non risulta ancora un classico a tutti gli
effetti, lintera sua opera ci avverte Marco Belpoliti fin dallintroduzione ambisce a farci
perdere. Non appena
tentiamo di applicare a
questi testi unetichetta
letteraria, o cerchiamo
di inquadrarli allinterno di generi precostituiti, ci troviamo disarmati. Solo accettando di
rinunciare a strumenti
di ricognizione troppo
rigidi e riduttivi riusciremo a pedinare lungo
larco del Meridiano
le svolte dello scrittore, e a riconoscere le tappe della sua accanita
ricerca di un nuovo modo di fare
letteratura.
Le voci dei narratori in azione
nei primi romanzi della rassegna, intente a disintegrare ogni
parvenza di intreccio con il loro
disordine prestabilito, ci offrono
subito loccasione per rilevare una
diffusa insofferenza sia verso le
fasulle oggettivit del realismo di
matrice naturalista, sia verso le noiose trovate dei best seller commerciali. La distruzione della trama
funziona, in questo senso, come il
pi efficace degli antidoti. Inutile
cercare un filo nelle Comiche, dove
la sintassi progettata solo per
suscitare uninarrestabile, teatrale
bagarre. Anche nelle successive
Avventure di Guizzardi non resta
che abbandonarsi alle elucubrazioni del disgraziato Danci, capace
di far precipitare gli eventi della
propria storia luno nellaltro senza
mete apparenti. Soltanto a partire
da Banda dei sospiri il narratore
Garibaldi, nonostante le sgrammaticature del suo tono infantile,
comincia a utilizzare i membri
della propria famiglia di mattoidi come grandi nuclei attorno a
cui organizzare una rievocazione
governata dai ritmi di un fiabesco
imperfetto.
la spia di un cambiamento di
visione e dunque di stile che
si consumer subito dopo, nella
riscrittura di Lunario del paradiso,
dove il soggiorno del narratore
Ciofanni presso una singolare
famiglia tedesca viene tutta un
tratto scandito in fasi riconoscibili.
Poco importa se Ciofanni procede
a tentoni, lasciandosi trascinare dallestro di una macchina da
scrivere che va avanti da s e che
sembra, per questi versi, ereditata
dai surrealisti. come se Celati, da

qui in avanti, non ci domandasse


pi di perderci nelle mirabolanti
acrobazie della lingua, bens di
condividere lo smarrimento del
suo dimesso e stralunato personaggio.
Il cambio di rotta decisivo, in
ogni caso, si registra con il passaggio alla misura breve delle novelle di Narratori delle pianure,
in qualche modo destinate a rappresentare in questo Meridiano
il baricentro delle sperimentazioni di Celati. Lantidoto contro le
eventuali falsit della forma racconto, soggetta a norme codificate
e molto pi vincolanti rispetto a
quelle del romanzo, stavolta costituito non soltanto dai protocolli
di un narratore che racconta, per
sentito dire, storie gi narrate da
altri, sfruttando a pieno i deittici,
le cadenze e le anomalie del parlato. C da tener presente anche il
peculiare metodo compositivo di
cui Celati ci d notizia in una delle
dichiarazioni riportate
dalla ricchissima cronologia di Nunzia Palmieri: Mi davo mezzora
di tempo, unora al
massimo: se andava
bene proseguivo, se no
cestinavo. Mi sembrava
che darmi un tempo
definito per scrivere riducesse tutto allessenziale.
Lindicazione decisiva, perch per Celati le storie
venute bene sono quelle che
vediamo oggi sopravvivere in Narratori delle pianure, e che dunque,
per mettere al bando ogni tentazione di letterariet, si servono del
passato prossimo o dellimperfetto
a discapito del tradizionale passato remoto, sanno
sbarazzarsi delle artificiose scene dialogate e fanno a meno
di introdursi nella
mente dei personaggi, ma soprattutto si
dispongono a disattivare e a sottrarci
qualsiasi rassicurante strumento esplicativo. In particolare nelle conclusioni:
che non coincidono
mai con veri e propri epiloghi in cui
i nodi del racconto
trovano scioglimento, ma al contrario
si mantengono in uno stato di sospensione, fornendoci la prova di
unarte refrattaria a qualsiasi forma
di chiusura organizzativa.
Non ci stupisce che sulle fondamenta di queste contromisure
narrative Celati sia stato in grado
di edificare un intero universo
popolato anche nelle successive
raccolte di Quattro novelle sulle
apparenze e di Cinema naturale
da tipologie di abitanti sempre pi
riconoscibili, che potremmo ribattezzare come personaggi perduti. Si tratta di creature talvolta
contrassegnate da nomi propri
(come Baratto, Cevenini o Ridolfi), ma pi spesso rappresentate
come avviene nelle fiabe da una
qualifica generica (un uomo, una
donna, uno studente). Le periferie, i paesi e le nebbiose campagne in cui si aggirano alla ricerca di

Gianni Celati
una strada o di un destino praticabile, recano impressi i segni di
unalienazione uniforme, che prima o poi conduce tutti ad imbattersi in un malessere, in un problema o in unassurdit legati a quesiti
esistenziali o metafisici. Non un
caso se il protagonista privilegiato
delle diverse impasse, il pi delle
volte, il linguaggio, smascherato
nellessenza dei suoi paradossali
meccanismi, e come tale incapace
di rappresentare lidentit di un io
non pi padrone in casa propria,
di salvaguardare le sue labili fibre
o di fornirgli adeguate credenziali
nei suoi contatti con laltro, recuperando un senso, nel rispetto delle apparenze, alla sua straniante
solitudine. Di fronte a simili ostacoli, i rimedi si riveleranno esigui
o inefficaci: non andranno ricercati
nelle famiglie che opprimono con
la tirannia regolamentata dei loro
clan, non nel mondo che si abbatte con la sua coltre di violenze e di
nonsense su chiunque tenti una via
di fuga attraverso i viaggi, e tantomeno nei libri, detentori di un
sapere falsificato e sempre avulso
dalle esigenze immediate. Ma allora, c da chiedersi, verso quali
orizzonti ci conduce un simile tipo
di letteratura?
Uno dei traguardi principali della scrittura di Celati come torna
a dirci Belpoliti, e ci testimoniano
anche le cronache di viaggio raccolte nellultima parte del volume
consiste in una sorta di ripulitura
dello sguardo e della voce, che una
volta affrancati da infingimenti nel
racconto e nella descrizione delle cose, possono riportare alla
ribalta in panoramiche senza didascalie n melodrammi, e con la
grazia di unoralit quasi fiabesca,
il niente, la pochezza e il vuoto di
una melanconica quotidianit. Per
questi versi, Celati sembra realizzare alcuni degli ideali auspicati per
la letteratura del nuovo millennio
da Italo Calvino, che nella prima

delle Lezioni americane raccomandava di trattare ogni elemento della narrazione anche il pi struggente con leggerezza, mentre
nellultima ipotizzava lavvento di
un autore coraggioso, che nonostante tutto, e per poco che sia
rimasto da raccontare, si ostina a
raccontare ancora.
In qualche modo, Celati pu
incarnare ai nostri occhi quellautore. Per chi si abbandoni alle derive dei suoi panorami, la scrittura
finisce infatti per rivelarsi come
unimprovvisa ancora di salvezza:
attraverso i suoi cerimoniali che
possiamo ancora ostinarci a dire
quel poco che resta da dire.
n
ivantassi2@unibo.it
I. Tassi Language coordinator presso
lEastern College Consortium di Bologna

Celati, Stendhal, Delfini


scrittori-contrabbandieri
di Anna Palumbo
eggendo i saggi di Gianni CeL
lati, dagli esordi fino a tempi
recenti, si resta colpiti dalla quan-

tit di critiche, sia dirette che indirette, rivolte alla letteratura del
pensare bene (definizione data
dallo stesso Celati in unintervista
del 2012). Per pensare bene si
intende lidea salutista del mens
sana in corpore sano: una scrittura levigante, in grado di restituire
un mondo fatto, finito e spiegato.
Secondo Celati, la forma predestinata a disinnescare la letteratura,
trasformandola in un rassicurante
prodotto di consumo il romanzo,
in particolare quello dal secondo
dopoguerra in poi. Siamo nellera
di quelli che Celati definisce, in
unintervista di qualche anno fa a
Marco Belpoliti e Andrea Cortellessa, fottuti romanzi industriali,
che hanno gli stessi caratteri cancerogeni dei prodotti chimici con
assuefazione istantanea.
Queste strong opinions, mai appianate nel corso degli anni, appaiono al contempo partiti presi
in lucida polemica con lindustria
culturale, e irrinunciabili approdi
di un istinto da lettore sveglio e
insofferente. Di qualsiasi natura
esse siano, hanno modellato profondamente lesperienza di Celati,
portandolo a pubblicare scritti di
difficile classificazione. Per fare
qualche esempio, Comiche sarebbe
un romanzo; Narratori delle pianure potrebbe essere una raccolta
di racconti; Verso la foce potrebbe
essere definito racconto lungo. Il
condizionale sempre dobbligo
poich in realt si ha sempre la
sensazione di confrontarsi, pi che
con forme tradizionali, con quelle
che nellintroduzione al Meridiano
di recente uscita
Belpoliti chiama
forme turbate.
proprio sulla
strada della sua
ossessione
antiletteraria e antiromanzesca che
Celati si avvicina
a Stendhal e ad
Antonio Delfini,
dapprima come
lettore, poi come
studioso e, soprattutto nel caso di
Delfini, in veste
di promoter. del
1993 la traduzione della Chartreuse
de Parme di Stendhal, apparsa nei
classici Feltrinelli. Circa quindici
anni dopo, nel 2008, sar la volta
della raccolta di prose scelte di Antonio Delfini, Autore ignoto presenta, per Einaudi. Con questultima
operazione, tra laltro, Celati riesce
a rompere un silenzio ventennale
della casa editrice riguardo allopera dello scrittore modenese (lultima pubblicazione einaudiana di
un libro di Delfini sono i Diari, nel
1982, e sempre grazie allinteressamento di un altro scrittore, in quel
caso Natalia Ginzburg).
Per entrambi i volumi Celati si
occupa anche dei saggi introduttivi, dalla cui lettura comparata
emergono dei ritratti sorprendentemente simili: quelli di due
scrittori-contrabbandieri, viventi e
operanti in spazi e con modi ille-

gali rispetto a tendenze gi ravvisabili nellOttocento di Stendhal e


affermatesi in un secolo XX in cui
Delfini ha potuto assistere alla
trasformazione della letteratura
in facciata culturale borghese. In
cosa si estrinsechi questa illegalit
presto detto: nellinsofferenza
verso il romanzo, genere praticato
e tradito in pi di un senso da
Stendhal e evitato con cocciuta sfiducia da un Delfini che non riusc
nellimpresa neanche quando, nel
1962, cerc di farsi costringere
al romanzo da un accordo preso
con Garzanti; la vivacit di due
scritture svelte nei passaggi e capaci di mandare avanti la narrazione
prima che i fatti precipitino in rassicuranti inquadramenti postumi;
le alterne fortune di due personalit insofferenti alla letteratura come
mestiere; la carica rivoluzionaria
di opere indisciplinate che hanno
come protagoniste, pi ancora che
due scritture, due voci (da notare
che il saggio di apertura a Autore
ignoto si intitola Antonio Delfini
ad alta voce). Le osservazioni sulla
forte componente vocale dei flussi
narrativi di entrambi particolarmente importante se ricollegata
alla passione di Celati per le forme di narrazione orale, ispiratrici
dirette della sprezzatura costantemente ricercata nella definizione
della sua propria voce di scrittore.
critici cos speculari creaStrapunti
no un ponte tutto da percorrere
due scrittori lontani nel tempo e

nello spazio come Antonio Delfini


e Stendhal (che gi Pasolini vedeva accomunati da uninnata grazia
narrativa); soprattutto, traccia una
linea di continuit diretta tra due
outsider, malignamente tacciati di
dilettantismo dai loro contemporanei, e lattitudine mentale avventurosa e vergine da cui Celati si sforza
di partire ogni volta che si mette a
scrivere. Si sforza riuscendoci solo
in parte, come sembra suggerire un
passo di Verso la foce: Letto un
racconto di Delfini dove il protagonista si mette in testa di diventare un contrabbandiere-scrittore.
Diventare uno scrittore vero e proprio richiede troppa ipocrisia, e il
povero Delfini non ci mai riuscito.
Invece il contrabbandiere-scrittore
l per far vendetta: per imbrogliare gli ipocriti civili che pretendono
che non ci sia nessun vuoto centrale, che tutto vada bene, quasi che
loro avessero dentro salda roccia, e
non un buco come tutti. Il povero Delfini riesce a fare per istinto
ci che Celati cerca di fare usando con molta pi malizia e tecnica i mille ferri di un mestiere che
innegabilmente, gli piaccia o no,
padroneggia fino in fondo. Con la
sua Chartreuse, Stendhal d vita a
uno dei pi arditi controcanti a
una civilt che vuol essere sempre
cosciente di se stessa, e cos perde
ogni capacit di meraviglia, conservando quellocchio amoroso e
stupito con cui Celati prova a guardare un mondo di cui capisce sempre un po pi di quanto vorrebbe
n
e gli occorrerebbe.
palumbo8888@gmail.com
A. Palumbo studiosa di letterature comparate

26

N. 5

Un romanzo picaresco
di Massimo Castiglioni
Gianni Celati
LA BANDA DEI SOSPIRI
pp. 264, 15,
Quodlibet, Macerata 2015

il 1976 quando viene pubblicato per la prima volta,


presso Einaudi, La banda dei
sospiri, terzo romanzo di Gianni
Celati, elaborato tra il 1973 e il
1975 durante un soggiorno negli
Stati Uniti. Siamo nel pieno di un
periodo di intensa attivit creativa e critica da parte dellautore:
nel 1971 esordisce con Comiche,
sempre per Einaudi, e
la stessa casa editrice
torinese, lanno successivo, provveder a
stampare Le avventure
di Guizzardi. Nel 1975
vede la luce la prima
edizione dei saggi di
Finzioni occidentali, e
a chiudere questa fase
(a cui vanno ascritti
anche i lavori preparatori per la mai realizzata rivista Al Bab e
lesperienza del 1977 bolognese
culminata in Alice disambientata) ci pensa Lunario del paradiso
(1978), ultimo tassello dellideale
trilogia iniziata con Le avventure di Guizzardi e proseguita con
La banda dei sospiri (i tre testi
saranno poi raccolti nel volume
Parlamenti buffi da Feltrinelli nel
1989).
Ledizione feltrinelliana di Banda dei sospiri (che alla fine degli
anni novanta sar stampato singolarmente) contraddistinta da
un processo di normalizzazione sintattica e di edulcorazione
linguistica che riduce la forza
espressiva della voce narrante
cos come era stata ideata originariamente e limita di conseguenza limpatto con determinati
passaggi. Fortunatamente ora
offerta ai lettori la possibilit
di rileggere il romanzo di Celati nella sua veste iniziale grazie
alla sensibilit di Quodlibet, che
nella collana Compagnia Ex-

tra ha ristampato ledizione del


1976, provvedendo solo ad alcune necessarie correzioni volute
dallautore. Torna quindi, con
tutta la sua dirompente energia,
la narrazione in prima persona di
Garibaldi, il ragazzo protagonista che attraverso i suoi occhi e
le sue deformazioni linguistiche
racconta la ripetitiva esistenza
della famiglia in cui nato. un
nucleo di personaggi comici e
grotteschi, formato dallirascibile
padre (sempre pronto a prendere
a calci qualsiasi cosa), dalla madre sarta e dal fratello maggiore
(perso nei suoi libri
e nelle sue inconcludenti fantasie). Tutte
le figure che entrano
negli eventi raccontati
da Garibaldi non vengono mai indicate col
nome proprio, ma tramite un soprannome o
un nome comune: lui
stesso chiamato cos
perch corre sempre.
Il percorso avventuroso del protagonista
inizia, come ovvio che sia, con
la famiglia: Garibaldi avverte nei
confronti del nucleo familiare un
sentimento di angoscia e oppressione, di fastidio per quella follia
che serpeggia nel ramo paterno
dellalbero genealogico e quasi
di rassegnazione per linevitabile ripetitivit con cui lesistenza
si moltiplica di generazione in
generazione (Invece la nostra
trib di sbraitoni, io dico che doveva discendere da una razza di
scalmanati selvatici con le barbe
lunghe che andavano in giro a far
ladrocini e scandali, e dopo gira e
volta cosa succede? Succede che
ai suoi discendenti gli rimasta la
tara e non c pi niente da fare, e
cos discendiamo noi). Le mura
di casa somigliano allora a quelle
di una prigione, ed fin troppo
naturale, da parte dei figli arrivare a sognare una via di fuga.
Parallelamente, il rapporto col
mondo esterno scandito da un
susseguirsi di avventure e di ri-

Gianni Celati
tuali che coinvolgono gli amici
di scuola (quasi tutti poco inclini
allo studio) e le persone che si
affacciano alla vita di Garibaldi
e dei suoi parenti: tutti partecipano alle ingenue scoperte del
narratore, dai primi fantasiosi incontri con il sesso femminile alle
malefatte compiute con gli amici,
dallindifferenza nei confronti
della scuola (troppo lontana dalle abitudini dei ragazzi) ai primi
lavori.
In certi suoi meccanismi La
banda dei sospiri sembra riallacciarsi alla tradizione del romanzo picaresco, specie per quanto
riguarda la giovane et del protagonista, la famiglia non esemplare (ma certo non ai livelli
dei picari spagnoli), le beffe che
compaiono in vari momenti e la
serialit della narrazione; tuttavia rispetto a quella particolare
forma romanzesca (che Celati
sfrutter per Lunario del paradiso) assente il continuo spostarsi da un luogo allaltro e meno
marcata la crescita interiore del
personaggio principale. La vita
di Garibaldi (o quella che lui racconta almeno) verte soprattutto
nel partecipare allesistenza folle
e comica della sua famiglia, dove
tutti sospirano malinconicamente lamentando i propri fallimenti
mentre lui costretto a sospirare
dentro di s, in attesa che prima o
poi si interrompano gli spettacoli
di questo teatro di pazzia corporale. Una vita, quindi, che poco o
nulla ha di esemplare, e che proprio nel suo essere comune a tutti
trova la sua ragion dessere. Del
resto lo stesso romanzo stato
pensato in antitesi ai grandi romanzi monumentali e alle loro
interpretazioni assolute, per avvicinarsi, come dice lautore stesso
nel risvolto della prima edizione,
al racconto comune che nasce
dalla casualit e dalla ripetitivit
quotidiana e che dunque non
pu essere portatore di grandi
visioni tragiche o consolatorie.
unindiscrezione locale, una violazione domert, un modo di far
n
parlare il corpo matto.
massimo1812@gmail.com
M. Castiglioni giornalista culturale

La Banda dei Sospiri: un viaggio


attraverso le edizioni
di Maria Pia Arpioni
a storia editoriale della Banda
L
dei sospiri, il terzo romanzo
di Gianni Celati, nota, ma non

sar inutile ripercorrerla con laiuto di alcune immagini: quelle


con cui lopera, dalle copertine
delle diverse edizioni, si presentata ai suoi lettori. Gli apparati
paratestuali risultano tanto pi
decisivi nel caso di uno scrittore
come Celati, la cui attenzione per
il mondo delle immagini a partire dagli anni ottanta andata
crescendo e diversificandosi (in
primis per il sodalizio con Luigi
Ghirri, le cui foto dai Narratori
delle pianure in poi sono entrate
nelle cover dei libri Feltrinelli).
Dopo una gestazione durata
un lustro e luscita in rivista della
prima parte (su LErba Voglio,
nel maggio 1974, col titolo autobiografico e ruzantino Linfanzia di Zane), la prima edizione
Einaudi (I Coralli, dicembre
1976) reca una copertina piuttosto istituzionale: il libro completamente bianco, col marchio
storico delleditore ben visibile al
centro.

ulla lascia presagire il caratN


tere eversivo dellopera, per
la visione della vita famigliare

e lesplicita vivacit linguistica. Nellestate del movimentato 1977 tutte le copie vengono
vendute. Laspetto della cover
della ristampa (Nuovi Coralli,
febbraio 1978) molto diverso:
vi compare una coloratissima pagina di fumetto, cinque scene disposte su due strisce che mostrano ghignanti caricature di volti
maschili, un misterioso ingresso
nella penombra di una stanza,
un uomo con pistola puntata su
una bellissima donna, il primo
piano di una bionda (effettivo
centro dattrazione erotico del
romanzo) e infine il salto di un
uomo in probabile fuga. La giustapposizione dei disegni, privi
di nessi narrativi, rimanda alla

struttura del romanzo, costituito


da un insieme di quadri sparsi (cos Nunzia Palmieri, nella
Notizia sui testi del Meridiano).
Lantica passione per i fumetti,
che si vede nel modo di scrivere
ricordata dallautore stesso sul
retro di copertina delledizione
Feltrinelli del 1998, che riporta la stessa immagine. I diversi
tagli e inquadrature dei disegni
richiamano le affinit strutturali
con unaltra delle fonti immaginifiche dello scrittore, il cinema.
Sul piano tematico, questa veste
grafica mette in rilievo, assieme
al gusto per lavventura, la centralit delle figure femminili e del
corpo matto, con i suoi impulsi
erotici e dinamici.
Negli anni ottanta le nuove
opere di Celati appaiono presso
Feltrinelli, che ripubblica alla
fine del decennio anche La banda dei sospiri, prima assieme ad
altri due romanzi einaudiani degli anni settanta (Le avventure di
Guizzardi e Lunario del paradiso)
nella trilogia dei Parlamenti buffi (Impronte, 1989) e poi in
chiusura dei novanta, di nuovo
da solo e con minime varianti rispetto al testo del 76. Sulla
fronte dei Parlamenti buffi compare un dettaglio dei Giochi di
fanciulli di Pieter Bruegel, artista
da Celati e da Ghirri tanto amato
per laffollato decentramento di
figurine e storie. Viene aggiunto
il sottotitolo Romanzo dinfanzia,
che cadr con ledizione-restauro
Quodlibet, dove viene definito
spurio. Anche la scelta grafica sembra relegare ogni aspetto
giocoso e fisiologico (si vede un
bambino che fa la cacca, i corpi
sono asessuati) allet dellinfanzia purgatoriale raccontata nel
libro (cos il secondo risvolto). La
normalizzazione sintattica e lattenuazione dellespressivit lessicale allontanano anchesse il narratore adulto dal s pi giovane.
Gli individui di Bruegel, isolati nella rappresentazione anche
quando spazialmente contigui,
sembrano anticipare la solitudine del nudo femminile della copertina delledizione Quodlibet
(Compagnia Extra), che recupera su indicazione di Celati ledizione del 1976 con in pi solo
alcune necessarie correzioni. Lo
sfondo bianco allude alla prima
edizione, ma il disegno stilizzato
con seni, genitali, occhi e bocca evidenziati in rosso riporta il
baricentro sulla misteriosa forza
dattrazione esercitata dal sesso:
piena materializzazione del messaggio biopolitico del romanzo,
che emerge con chiarezza in una
dichiarazione rilasciata da Celati
per la pubblicazione basca dei
Parlamenti: tutti i totalitarismi
moderni vogliano farci dimenticare lunica cosa che impariamo
di noi stessi, grazie ai vacillamenti
di giovent: impariamo che vivere significa sempre essere estranei
a se stessi, piazzati in un corpo
che ha le sue malattie e foie. n
mariapia@gmail.com
M. P. Arpioni dottoranda in italianistica
allUniversit di Venezia

27

N. 5

Poliziesco per convenienza


di Giulio Segato
Dan Kavanagh
DUFFY

ed. orig. 1980, trad. dallinglese


di Norman Gobetti,
pp. 192, 19,
Einaudi, Torino 2015
uffy il primo romanzo di
D
Dan Kavanagh, pseudonimo di Julian Barnes, scrittore

britannico prestigioso e marito


per diversi decenni di Pat Kavanagh, di mestiere agente letterario, divenuta celebre soprattutto
per una relazione sentimentale
con la scrittrice Jeanette Winterson verso la met degli anni
ottanta e scomparsa
qualche anno fa. E
proprio il 1980 lanno di pubblicazione di
Duffy, anche se Barnes,
probabilmente
conscio che scrivendo
romanzi polizieschi
avrebbe ottenuto un
buon successo commerciale ma non il
desiderato riconoscimento letterario, nello stesso anno pubblica
Metroland, un bel romanzo di
formazione che ha avuto anche
un discreto adattamento cinematografico (regia di Philip Saville, 1997). Scelta coraggiosa
qualcuno pi malizioso direbbe
astuta per il trentaquattrenne
Barnes, quella di esordire nel
mercato editoriale con due romanzi molto diversi e pubblicati quasi in contemporanea:
uno serio (una volta si sarebbe
detto impegnato) e drammatico;
laltro, un poliziesco ironico e
gay-friendly, assai pi scanzonato. A voler essere pignoli, per
laggettivo coraggioso andrebbe
abbinato proprio a Duffy.

el 1980, infatti, il poliziesco


britannico non gode affatto
di buona salute ed esordire con
un romanzo con protagonista
un detective privato bisessuale
senza dubbio una scelta coraggiosa. Il mercato euro-americano
dei noir, a va sans dire, dominato dagli scrittori statunitensi:
nel 1978 esce The Last Good Kiss
(Lultimo vero bacio) di James
Crumley, considerato dalla critica gi a pochi mesi dalla pubblicazione il nuovo Il grande
sonno; Robert B. Parker, il vero
e unico epigono di Raymond
Chandler, proprio nel 1980 vince il prestigioso Maltese Falcon
Award e conquista diversi lettori anche nel Vecchio continente;
infine c Elmore Leonard, che
nel 1980 in realt non ancora
allapice della sua carriera i romanzi che ne consacrano la memoria, LaBrava, Glitz e Freaky
Deaky (da acquistare rigorosamente nelledizione Library of
America curata da Greg Sutter),
arriveranno solo dalla met degli
anni ottanta ma molti critici
gi lo considerano il vero talento
della crime fiction americana. E
se Barnes/ Kanavagh certamente
qualcosa saccheggia dagli archetipi hard-boiled nel costruire il
suo romanzo il detective privato scalcinato, i sordidi gangster,
la pornografia (evidente allusio-

ne a The Big Sleep) sembrano


proprio le prose di Leonard la
vera fonte di ispirazione per la
scrittura di Duffy. Anzitutto luso
della terza persona apparentemente neutra, in realt sottilmente ironica, forse la caratteristica
precipua dei crime novel di Leonard che, allontanandosi parecchio dagli stilemi hard-boiled,
crea la propria voce (Chandler,
ma anche i gi citati Parker e
Crumley, usano sempre la prima
persona). Barnes recepisce perfettamente la lezione del maestro
americano, dimostrando una lodevole abilit nelluso
della terza persona
alla Leonard (peraltro la scelta della terza
persona sulla prima
non cosa marginale:
Dashiell
Hammett,
il padre del poliziesco americano, aveva
scritto in una lettera
che proprio il passaggio dalla prima alla
terza persona era stata
la scelta vincente per il
salto di qualit di Il falco maltese). Unaltra tipica caratteristica
leonardiana, che Barnes riprende
senza troppi fronzoli, lo slittamento del focus del romanzo
dalla rappresentazione dellintreccio centrale nel poliziesco
britannico ma anche in tanto
noir doltreoceano alla caratterizzazione dei personaggi. Difatti
le storie di Leonard spesso sviluppano una vicenda molto esile
dal punto di vista della trama,
lasciando la detection in secondo
piano, o addirittura azzerandola
dopo poche pagine. Si concentrano invece sulla caratterizzazione psicologica dei personaggi,
grazie a dialoghi brillanti e sottili
giochi linguistici. Non sorprende
dunque, in questa prospettiva,
che la storia di Duffy possa essere
descritta in poche parole: un imprenditore che importa maschere di carnevale a Londra viene
ricattato, dopo che la moglie
stata aggredita e sfregiata dagli
stessi malviventi che lo ricattano. Per sbarazzarsi dei ricattatori
limprenditore si affida al detective privato Duffy il quale, come
vuole il clich, un ex-poliziotto.
In realt il poliziesco di Barnes
contiene una detection, che tuttavia si esaurisce rapidamente,
consegnando abbastanza presto
al lettore il nome del molestatore
e ricattatore della moglie. Anche
Barnes, dunque, punta tutto su
una raffinata caratterizzazione psicologica dei personaggi e
sullabilit nel costruire dialoghi
godibili, contraddistinti da un
tagliente humor nero.
Il lettore che cercher in Duffy
un intreccio mozzafiato e ricco
di colpi di scena rester dunque
probabilmente deluso. Se invece
si lascer trascinare dallo sciamare dei dialoghi dei personaggi
principali, tradotti egregiamente
da Norman Gobetti, non potr
fare altro che ringraziare Einaudi che riconsegna questo romann
zo al pubblico italiano.
giulio.segato@unicatt.it
G. Segato insegna letteratura americana
allUniversit Cattolica di Milano

Letterature
Trasparenze e crudelt dallaltro Nord
di Ennio Ranaboldo
Alice Munro
AMICA DELLA MIA GIOVINEZZA

ed. orig 1990, trad. dallinglese di Susanna Basso,


pp. 310, 20, Einaudi, Torino 2015
on occorre azzardare associazioni tra geN
ografia ed invenzione, ovvero ascrivere ai
personaggi della Munro qualche aspetto di un

carattere nazionale, ma certo che il Canada


rurale e provinciale del secondo dopoguerra di
cui lei prevalentemente racconta, nella sua desolata e sterminata latitudine, ha echi universali;
e tiene il confronto, per ricchezza
di trame, variet di tipi e repertorio
emozionale, con altri territori,
come il New Jersey di Philip Roth,
la Pennsylvania di Updike o il Nord
Ovest di Carver.
Con una distinzione importante,
lepos: non c, in Munro, traccia
del sogno americano, coltivato o
calpestato, nulla della sua violenta
deflagrazione o sempre elusiva realizzazione. La scrittrice sembra pi
interessata a raccontare storie di durata e di caparbiet, che non a dare
espressione ai temi classici della costante rigenerazione dalle ceneri e del fallimento individuale, di cui sono invece impregnati molti cicli
narrativi di oltre confine.
Quelle di Alice Munro sono storie sfumate,
in cui i mutamenti dovuti alle trasformazioni sociali ed economiche scompaginano ed usurano
le esistenze ma, in qualche modo, generalmente
sotto traccia, possono anche redimerle. E dove
le relazioni familiari, e i rapporti nelle piccola
comunit costiere o rurali, la fuga e poi il ritorno, dopo anni o decenni, a quelle stesse famiglie
e comunit, sono al centro di tutto.

La sua collezione di anime, in questa raccolta matura (pur uscita nellottobre del 1990),
ricca e complessa; popolata com da madri e
figlie a confronto, da una vedova e dalle tracce
di un marito scomparso, da un vecchio pastore
che, progettando la propria fine, depista il suo
gregge con unimprobabile storia di matrimonio alle Hawaii; da una poetessa locale dei primi
anni del Novecento, morta in solitudine, da una
donna generosa che sopravvive ad una dura famiglia contadina dalla rigida morale religiosa,
da coppie che tradiscono e mettono a dura prova il sodalizio coniugale. Un microcosmo vasto
come la stessa esperienza umana.
Anche dove si manifestano crudelt giovanile od inganni, o quando
la passione erotica deraglia le vite, o
la solitudine, le illusioni incenerite
producono smarrimento e dolore,
le storie di Alice Munro raramente
difettano di empatia, e quasi mai finiscono in tragedia: sempre, invece,
il racconto, qualunque i suoi esiti,
prende il volo in quel frangente di
verit in cui, nella vita dei personaggi, leccitazione iniziale finisce, e
comincia il dolore, ma anche dove
affiorano le possibilit di riscatto.
Non c mai nulla di bozzettistico, in Munro: sempre, invece, quella inimitabile scrittura, cos esatta, quella voce prodigiosamente
modulata nei dialoghi e nel sussurro intimo
delle coscienze. Un virtuosismo dalla temperata regolarit, e unacutezza nella caratterizzazione che genera immagini a cui il lettore
costretto a tornare, quasi in stato di febbrile
necessit: Pensa alle sere in cui stava seduta
in negozio. Alla luce per strada, al complicato gioco di immagini riflesse nelle vetrine. A
quellestemporanea trasparenza.

Proletario neozelandese
di Paola Della Valle
John Mulgan
UN UOMO SOLO

ed. orig. 1939, trad. dallinglese


di Valentina Napoli,
prefaz. di Marinella Rocca Longo
pp. 213, 18,
Kappa, Roma 2015
capolavoro di John Mulgan Man
IinlAlone,
per la prima volta tradotto
italiano, uno dei capisaldi della

letteratura neozelandese degli inizi.


Quando apparve nel 1939 fu salutato come il primo vero romanzo
di una letteratura giovane, che fino
ad allora aveva trovato il suo canale
espressivo privilegiato nella rassicurante misura breve del racconto
e ancora subiva il primato culturale
della Gran Bretagna. A differenza
di altri dominions dellimpero britannico, la Nuova Zelanda era terra
di immigranti provenienti quasi totalmente dal Regno Unito e tard
a separarsi dalla mother Britain.
Raggiunse infatti piena autonomia
politica solo nel 1947. Proprio il
padre di John, Alan Mulgan, noto
giornalista e anchegli scrittore,
dichiarava nostalgicamente nel
romanzo Home (1927) che per la
sua generazione home era appunto
lInghilterra, la madrepatria. Tipica
era anche la rappresentazione idealizzata della Nuova Zelanda come
lussureggiante e accogliente Eden:
un insieme di clich costruiti dallesterno per attirare coloni. Un uomo

solo contravviene a tutto ci.


una storia realista e disincantata, che smantella il ruolo di benigna
benefattrice attribuito alla Gran
Bretagna e sfata il mito della Nuova Zelanda come paese di Bengodi
e paradiso naturale. Il protagonista
Johnson, un giovane inglese reduce della Grande Guerra, decide di
trasferirsi nel dominion dopo aver
sentito cantarne le lodi da commilitoni neozelandesi. Inizia a lavorare come bracciante, poi come
manovale nella costruzione della
ferrovia, ma sia in campagna che
in citt le condizioni dei lavoratori
sono pessime. La crisi del 1929
giunta anche agli antipodi, leconomia ferma, i salari crollano. Oltre
allisolamento umano e geografico,
Johnson si trova schiacciato in un
meccanismo globale che non offre
speranze n possibilit e partecipa
cos alle manifestazioni di protesta
ad Auckland contro un governo
dominato da banche e finanza,
che affama i lavoratori e protegge
il sistema daffari. In seguito viene
coinvolto in una breve relazione
con la moglie maori del suo datore
di lavoro e accidentalmente uccide
luomo. Decide per di non consegnarsi a una legge in cui non crede
e difende la sua libert con la fuga.
Dopo lattraversamento della catena delle Kaimanawa, immerso in
una natura selvaggia e indifferente
allumano che mette a dura prova
la sua sopravvivenza, riuscir a la-

sciare il paese e a tornare in Inghilterra. Infine si arruoler come volontario nella guerra civile spagnola
perch, come lui stesso afferma, la
pace pi pericolosa.
Johnson assiste al travaglio di
un paese dalleconomia instabile,
totalmente asservito alle politiche
coloniali della Gran Bretagna che,
dopo averne sfruttato lalta produttivit agricola e casearia, lo lascer
in balia di se stesso durante la crisi. In un contesto storico-politico
in cui i pi poveri sono costretti a
schierarsi luno contro laltro per
stare a galla e i rapporti umani si
immiseriscono, Johnson sviluppa la consapevolezza che lunico
modo per non sentirsi solo
lottare insieme agli altri, far parte
di un gruppo che persegue uno
scopo, in questo caso la difesa dei
propri diritti. Qui sta il senso del
titolo Man Alone che non vuole celebrare lo stereotipo del Kiwi, luomo neozelandese che non rispetta
la legge n le donne, ma prende
spunto da una battuta del romanzo
di Hemingway: a man alone ain
got no bloody fucking chance.
Narrato in una prosa piana e priva
di pathos che la traduzione rispetta, il romanzo di Mulgan stato
definito proletario. Da sottolineare la ricca prefazione di Marinella
Rocca Longo e la bella introduzione di Valentina Napoli, che aiutano
il lettore ad inquadrare unopera e
una letteratura spesso poco note ai
n
lettori italiani.
paola.dellavalle@unito.it
P. Della Valle ricercatrice di letteratura
inglese allUniversit di Torino

28

N. 5

Navigatore tra due rive


di Carlo Lauro
Franois-Ren de Chateaubriand
MEMORIE DOLTRETOMBA

ed. orig. 1848-50,


trad. dal francese di Ivanna Rosi, Filippo Martellucci e Fabio Vasarri,
2 voll., pp. CCIX - 2090, 160,
Einaudi, Torino 2015
entanni dopo la loro prima
V
traduzione integrale (cfr.
LIndice 1995, n. 11), Einaudi

ripropone i Mmoires doutretombe in due sontuosi Millenni con diversi aggiornamenti


rispetto ai gi curatissimi Pliade
e uniconografia classica (lintero
apparato critico di Ivanna Rosi
encomiabile; la traduzione a
pi mani asseconda al meglio il
lamento cadenzato e inimitabile
dellautore e il volume corredato da unIntroduzione
di Cesare Garboli).
Si sa che la longevit di Chateaubriand
(1768-1848) abbraccia la storia di Francia
dallAncien
Rgime
di Luigi XVI sino alle
soglie della seconda
Repubblica. La sua
memorialistica ancora un grande affresco
storico sociale come
nei casi di un Saint-Simon o di un
Luynes, ma soprattutto il teatro
della propria fiera autobiografia: egotistica, ma non nel segno
della sofferta sincerit pretesa da
Rousseau o da Stendhal.
Monarchico legittimista (mal
ricambiato dai sovrani), Chateaubriand vive in prima persona
e con assai alterne fortune tutti
i rivolgimenti politici, ora esule
in ristrettezze, ora ambasciatore
e financo ministro. Lui stesso,
in una prefazione testamentaria
allopera (1833), tender a sintetizzare la densit del suo vissuto
in tre carriere successive: viaggiatore, letterato, uomo di stato.
Alla prima di esse si deve quella
sconfinata geografia (dalle foreste nordamericane alla Palestina)
ignota certo al recinto europeo di
tanti mmoires precedenti.
La prefazione anticipa anche
quanto poi sar evidente al lettore: la graduale gestazione (che
va dal 1811 al 1841) dei vari libri

dellopera in date e luoghi diversi. Chateaubriand rievoca un


periodo solo quando moltissimi
anni lo separano da esso. Cos
nel 1821, ambasciatore a Berlino, ripercorre il suo viaggio dalla
nata Bretagna a Parigi del 1787;
dellambasciata di Berlino parler poi nel ventiseiesimo libro
protetto da almeno dieci anni di
distanza. Le intersezioni tra passato e presente sono vertiginose.
Tanto pi che le maniacali riletture e riprese del testo, lungo gli
anni (sino al 1846), generarono
mature interpolazioni nelle stesure originarie, vere e proprie
stratificazioni diacroniche, finendo per creare per definizione
dellautore una indefinibile
unit del tutto.
Se c un testo dellepica moderna assimilabile alla
categoria opere mondo coniata da Franco
Moretti, forse questa
costruzione ciclopica
abitata da materiali
eterogenei e anomalie
morfologiche, come
quella magnifica parentesi su Napoleone
che occupa sei libri per
lestensione di oltre
quattrocento pagine o
le auto-emarginazioni
dellAutore che lasciano intere
pagine a terzi: i pensieri splenetici della sorella Lucile, gli epistolari di Madame de Stal o di
Madame Rcamier, il diario del
cameriere Julien per il viaggio in
Palestina, la storiografia di Sgur
per lepoca imperiale, eccetera.
Ma soprattutto nei Mmoires
alligna una vegetazione invasiva
di allusioni e citazioni colte: implicite, virgolettate, parafrasate;
Byron e La Fontaine, Tucidide
e Milton, Lucrezio e Dante, Tasso e Voltaire, i Salmi ed Erodoto, Shakespeare e Cames; ogni
evento, ogni osservazione ha la
sua assonanza enciclopedica in
qualcosa di precedente nei secoli: sin dal primo libro i Mmoires
tradiscono questo sentore ambizioso di ricapitolazione, libro sapienziale, opera mondo.
In essi domina da subito il rimpianto per la perduta grandezza
storica, per la graduale scomparsa dellautenticit. La rivoluzione

Classici
del 1789, il suo livellamento e
la sua violenza, sono il punto di
non ritorno e soprattutto la crisi
del trono e dellaltare, istituzioni
care al memorialista per la loro
tradizione millenaria e poetica.
Liberale per temperamento e
sostenitore della libert di stampa, corpo estraneo alla vita di
corte, lo Chateaubriand royaliste soprattutto il protettore di
una mitica stirpe in estinzione
(la branche ane dei Borboni).
Lindignazione per lingiusta e
frettolosa messa a morte del duca
dEnghien decisa da Napoleone un momento decisivo dei
Mmoires. I generosi viaggi verso
Praga per trovare lesule Carlo X
o addirittura il virgulto Enrico V
di Borbone, pellegrinaggi verso
simulacri impotenti della storia:
strana fedelt jamais, il tutto
senza convinzione. La pagina
sul carisma regale del vecchio
Luigi XVIII il contraltare delle ironie sullallure borghese del
neo-monarca orleanista Luigi
Filippo (in avversione al quale lo
scrittore rinuncer al titolo e alla
pensione di pari).
Trascorsi infatti gli ammirati
bagliori dellepopea napoleonica (cui comunque non perdona i massacri di Giaffa e gli
immani sacrifici di uomini), a
prevalere un forte pessimismo
storico: Ho un tale disgusto di
tutto, un tale disprezzo per il
presente e per lavvenire immediato, () che mi vergogno di
spendere i miei ultimi momenti
nel racconto delle cose passate,
nella pittura di un mondo finito
di cui non si capir pi n il linguaggio n il nome.
Cos, Chateaubriand predilige
tutto ci che segnato dal Tempo ed irrecuperabile se non nel
ricordo, a cominciare dai suoi
simili, come se nessuno potesse
divenirmi compagno afferma
senza passare attraverso la tomba, il che mi porta a credere che
io sono un morto. La pagina in
cui trascorre la notte rinchiuso
nel silenzio di Westminster tra le
sepolture illustri emblematica.
Navigatore tra due rive,
testimone ultimo di intere societ che sono sparite senza traccia
o ricordo: la prima che compare
nei Mmoires quella dei suoi
nobili parenti in quella Bretagna dellAncien Rgime rurale
e quasi feudale: ritrovi gioiosi,
vecchi giochi di carte, cacce, letture al lume di candela. Io sono

forse la sola persona al mondo a


sapere che queste persone sono
esistite () venti volte delle
compagnie si sono formate e disciolte intorno a me.
Avverso ai prodromi dellindustrializzazione e della societ
di massa, lamenta i grandi fiumi
nord-americani sempre pi solcati da bastimenti commerciali,
le pianure inglesi scempiate dalle ferrovie, gli impervi sentieri
delle Alpi soppiantati da strade
comode e comforts alberghieri.
In cammino verso Praga, annota
alle porte di Ulm: La volgarit, la modernit della dogana e
del passaporto contrastavano
col temporale, la porta gotica,
il suono del corno e il rumore
del torrente. Saranno luoghi
immobili nel Tempo a generare
passi dirraggiungibile bellezza:
il fatiscente castello paterno di
Combourg, le rovine notturne
della campagna romana, Venezia (che anticipa in parte quella
della Recherche).
la grande e feconda contraddizione dei Mmoires doutre-tombe quella di contenere,
da un lato, un debordare di
vitalit: tornanti storici, incontri capitali (da Washington allo
zar Alessandro), esplorazioni,
viaggi, ispirazioni letterarie,
esperienze militari, carriera
politica, riflessioni filosofiche,
vicende amorose (cautelate
dalle reticenze di cui Chateaubriand maestro); dallaltro,
di riattraversare il tutto con un
nichilismo strisciante, in cui a
dominare linvincibile ennui:
Tutto mi viene a noia: trascino
con fatica il mio tedio con i miei
giorni: ovunque la vita uno
sbadiglio; o pi leopardianamente: verrebbe la tentazione
di desiderare ogni accidente che
porta alloblio, per sfuggire a se
stessi. La stessa tradizione cristiana dellinfanzia, restaurata
nel Gnie du Christianisme e ora
evocata con nostalgia contro il
nuovo materialismo, viene come
contraddetta da quelle rveries
sullorlo delle tombe che, a parte un senso di nobile sgomento
e di polvere, non trasudano mai
ombra di speranza o di ricongiungimenti.
Il dio dei Mmoires soprattutto il tempo, questo grande
divoratore di secoli. Chateaubriand gli oppone una prosa che
aspira allimmortalit, derivante
dalle Promenades di Rousseau

(cui riconosceva un rinnovamento rispetto alla secchezza di altri


philosophes) ma con uno sviluppo di cadenze e musicalit che
avvolge il lettore in un bozzolo
(Edmond de Goncourt, memore di ossessive letture a voce alta
col fratello Jules, avrebbe dato
tutta la poesia passata e attuale
per i primi due libri dellopera).
Il potere evocativo tuttuno
con la distanza dal suo oggetto,
distanza logistica e cronologica,
nostalgica e fantasmatica.
Cos, in una pagina memorabile, la battaglia di Waterloo percepita in lontananza (e dapprima
scambiata per echi di un temporale) durante una passeggiata nei
dintorni di Gand: la maestosa
insensatezza della storia (ero
a poche leghe da una catastrofe immensa, e non la vedevo)
colta, quasi casualmente, tra
lindifferente quiete dei campi.
Loutre-tombe anche questa separatezza. La stessa per cui, nel
1800, rientrato da clandestino in
una Parigi malconcia, Chauteaubriand cercava pi che un luogo,
il fantasma di un luogo, quello
della ghigliottina: I miei occhi
non potevano staccarsi dal punto del cielo in cui si era innalzato
lo strumento di morte (); l era
caduta la testa di Luigi XVI.
Dopo tanti scenari, i Mmoires sfociano nellultimo e impressionante quarantaduesimo
libro, oracolare ma lucidamente
analitico. Qui lautore intravede
le pi aride conseguenze dellincipiente globalizzazione e della
societ del benessere, ma anche
lo schiavismo delluguaglianza
assoluta, la sostituzione delle
macchine alle braccia, la scandalosa transitoriet di idee e valori,
lannientamento crescente delle
distanze (telegrafo, ferrovie),
la perdita dei confini nazionali
e delle specificit culturali, un
oscuramento della percezione
del bene e del male e un restringimento della coscienza man
mano che lintelligenza si illumina e le idee si allargano.
la dialettica inquietante e
premonitoria di un anti-moderno (nellaccezione vitale di Antoine Compagnon). E quando
scrive: Luomo non ha bisogno
di viaggiare per crescere: reca
in s limmensit prossimo a
Proust non meno che a Pascal.n
claur@libero.it
C. Lauro studioso di letteratura

29

N. 5

Arte
Bambine in posa in scatole prospettiche
di Mattia Patti
Balthus
a cura di Ccile Debray
pp. 282, 39,
Electa, Milano 2016

e opere di Balthus oscillano spesso periL


colosamente tra lapparato illustrativo di
un romanzo di formazione e le ombre inquie-

te di un erotismo sadico: bambine bloccate


in stanze senzaria, messe in posa come in un
rituale crudele, abitano infatti molti suoi quadri. Lombra lunga del pittore-osservatore si
proietta entro la scatola spaziale dipinta, incarnandosi ora in forma di gatto, ora invece
manifestandosi come luce bianca e abbagliante che attraverso grandi finestre inonda i corpi nudi delle fanciulle.
Il corposo catalogo della recente mostra
romana su Balthus (Scuderie del Quirinale
e Acadmie de France Rome, ottobre 2015
- gennaio 2016) offre un quadro eterogeneo
ma non esaustivo di questo inquieto e controverso artista. Nel suo testo introduttivo Ccile Debray, curatrice del Centre Pompidou e
responsabile della mostra, fissa le coordinate
attraverso le quali occorre inquadrare la pittura di Balthus: un realismo aspro, da un
lato, che informa ogni sua opera; da un altro
una complessa rete di relazioni con la pittura del passato (Piero della Francesca soprattutto) e, insieme, con poeti e critici di primo
Novecento. Da qui nasce la lunga elencazione
di temi sui quali la mostra si basata e che i
numerosi saggi in catalogo avrebbero dovuto
illustrare.
Non sempre, tuttavia, facile seguire il filo
del discorso: la prima sezione, dedicata a La
strada, in qualche modo si concentra sugli
specifici problemi posti dal capolavoro gio-

vanile di Balthus, vivace ambientazione nelle


strade parigine del realismo magico italiano e
tedesco (La Rue, 1933, Moma di New York).
Ne d conto il saggio di Marco Vallora, che
esplora i deboli legami tra Balthus e Valori
Plastici, ma che di contro spiega bene come
la lezione di Piero pot essere assunta dal pittore francese. Nella seconda sezione, invece,
la questione dellinfanzia s declinata attraverso un cospicuo gruppo di riproduzioni, dipinti e disegni dedicati ai giochi dei bambini,
ma il contributo di Camille Viville si sofferma sulla teatralit dei ritratti su commissione
prodotti da Balthus, uscendo cos dal tema
annunciato. Tale discrasia emerge anche in
altri, successivi passaggi, come nella parte
dedicata a La scatola prospettica, ove si trova
inspiegabilmente un solo saggio, firmato da
Stphane Gugan e incentrato sullammirazione di Balthus per lopera matura di Andr
Derain. Pi coerenti e chiare, invece, sono le
sezioni esplicitamente legate a fonti letterarie,
quali La pregnanza di Cime tempestose o quella dedicata a Lewis Carroll e intitolata Al di l
dello specchio.
La questione del realismo aspro di Balthus attraversa in modo pressoch continuo
lintero catalogo ed ripetutamente affrontata dagli autori dei saggi. Tuttavia linterpretazione delle opere indebolita, se non
compromessa, dallassenza di schede, dallirregolare e talora casuale alternarsi di disegni e
dipinti e soprattutto dalla distribuzione delle
opere, priva di una ricostruzione cronologica del percorso di Balthus. Avrebbe giovato
forse esporre i materiali con maggiore rigore
filologico, e in maniera lineare, come del resto
accadeva nel catalogo della grande mostra di
Palazzo Grassi del 2001.

Sistema aperto, scienza storica


di Rosina Leone
Marcello Barbanera
STORIA
DELLARCHEOLOGIA
CLASSICA IN ITALIA
DAL 1764 AI GIORNI NOSTRI
pp. 227, 22,
Laterza, Roma-Bari 2015

pi di quindici anni MarcelA


lo Barbanera, autore sullo
scorcio del secolo scorso di una

importante sintesi della storia


dellarcheologia classica in Italia
(Larcheologia degli italiani, Editori Riuniti, 1998, nella premessa
a questo volume immeritatamente derubricata a volumetto), sente oggi
lesigenza di proporne
una nuova versione,
che tenga conto dei cospicui aggiornamenti e
dei risultati delle nuove ricerche. Di questo incremento delle
conoscenze e della
crescita di attenzione
verso questi temi
Barbanera stato uno
dei pi attivi promotori, come
denunciano le note bibliografiche che fanno riferimento ai suoi
numerosi lavori (non solo contributi a stampa ma anche convegni
e mostre), ma questa versione aggiornata e accresciuta si giova degli apporti di molti altri studiosi,
segno di un rinnovato interesse
per una storia dellarcheologia

classica (con ci intendendo larcheologia e la storia dellarte greca e romana) in Italia intesa come
storia culturale. E in tale approccio storiografico sta il principale
motivo dimportanza di questo
lavoro.
Va subito segnalato che Marcello Barbanera non evita di dar
conto degli influssi (raramente
degli scambi, con poche eccezioni tra cui si segnala la personalit
di Ennio Quirino Visconti) da
parte delle altre culture antichistiche europee, che in forme diverse e a pi riprese hanno indirizzato i percorsi dellantichistica
italiana, fino ai giorni
nostri.
Rispetto alla precedente versione acquistano autonomia
i prodromi winckelmanniani, come dichiarato dal sottotitolo (dal 1764, data
di pubblicazione in
Italia della Geschichte
der Kunst des Alterthums) e il periodo pi
recente, questultimo
affidato nella versione del 1998 a
Nicola Terrenato (l ovviamente
aggiornato fino al 1997) mentre
la parte centrale del testo presenta, pur con tutti i necessari e utili
aggiornamenti, un impianto sostanzialmente immutato, anche
se in alcuni punti si notano cambiamenti non secondari come, ad
esempio, la maggior articolazio-

ne del rapporto tra archeologia e


fascismo.
Di particolare interesse e attualit i due ultimi capitoli. Viene
qui esplicitato il percorso che ha
portato larcheologia classica italiana, sulla scorta delle intuizioni
di Ranuccio Bianchi Bandinelli,
di cui Marcello Barbanera si conferma uno dei pi sensibili interpreti, a connotarsi come sistema
aperto, scienza storica capace di
leggere le varie e complementari
manifestazioni del mondo antico
dalle opere darte ai prodotti
della cultura materiale. Giganteggia a ragione in queste pagine
la figura di Andrea Carandini,
cui davvero siamo tutti debitori
di un cambiamento epocale di
metodo e di prospettiva.
Il compito pi arduo per lautore infine tratteggiare gli ultimi decenni della disciplina, essa
stessa di scivolosa definizione.
Pur essendosi dato come limite
temporale la fine dello scorso
millennio, pi volte Marcello
Barbanera sconfina inevitabilmente fino ad anni recentissimi,
dalla mostra Serial Classic a cura
di Salvatore Settis e Anna Anguissola alla fondazione Prada
del 2015, al recentissimo e vivace
dibattito sul patrimonio culturale promosso dagli interventi di
Salvatore Settis, Giuliano Volpe
e Daniele Manacorda (cui aggiungerei Tomaso Montanari).
Qui si misura il passaggio
delloggi, e la difficolt di fare
n
storia del presente.
rosina.leone@unito.it
R. Leone insegna archeologia classica
allUniversit di Torino

Le metamorfosi del paesaggio dipinto


di Michela di Macco
Anna Ottani Cavina
TERRE SENZOMBRA
pp. 472, 50,
Adelphi, Milano 2015

la stessa autrice a dichiarare

nella Premessa che il libro


pu avere le caratteristiche di un

diario, per sua natura frammentario quel tanto che permette alla
narrazione visiva di procedere libera sulla scacchiera.
Non si tratta di una cucitura
postmoderna di frammenti di pittura, ma di una sequenza ragionata di campioni prelevati dal
tessuto della storia, salvando la
diversit delle voci. Bella la scelta di rendere in immagine limpianto narrativo, assimilandolo a
un fregio, dipinto nei riquadri e
ritmato da erme e cariatidi, nella
piena consapevolezza
della funzione che,
nelle sue diverse parti, il fregio viene ad
assolvere in rapporto
allapparato dipinto
nellarchitettura.
Il tema del libro
non il paesaggio, ma
la sua immagine nella
pittura, non lItalia,
il paese reale, ma la
sua immagine progettata e voluta dagli
artisti. Percorso non lineare, governato osservando dallinterno
il paesaggio dipinto in una diacronia sostenuta da opere dimostrative di mutamenti nodali, dal
Seicento, nella sua diversamente
esercitata fiducia nella oggettivit del vedere e nella imitazione
ricomposta, via via fino alla negazione della certezza interpretativa
del mondo. La narrazione visiva
si lascia alle spalle ogni strada
tradizionale, da quella sulla nascita seicentesca del genere fino al
coinvolgimento soggettivo dello
sguardo, o quella sul collezionismo tematico. Per seguire la storia del paesaggio dipinto a partire
dal suo rendersi autonomo rispetto alla funzione subordinata di
elemento di sfondo, con la chiarezza di osservazione e la densa
ma tersa narrazione che le sono
proprie, lautrice analizza come i
diversi modi di esercitare locchio
del tempo, e in quel tempo che
il tempo dellartista e del quadro
preso in esame, restituiscono le
diverse declinazioni della percezione della natura e producono
il quadro di paesaggio; spiega
quanto la concentrazione sul
tema avesse favorito la circolazione, la contaminazione e il rinnovamento del linguaggio figurativo
di artisti di nazionalit e retroterra diversi. La narrazione procede,
diacronica: dalla congiunzione
alla separazione tra osservazione
del paesaggio e dipinto di paesaggio, a partire dalla condivisione di
intenti tra lo scienziato, Galileo, e
il pittore, Adam Elsheimer, che in
quel suo capolavoro che la Fuga
in Egitto restituisce puntualmente il cielo stellato di Roma osservato e rappresentato nella notte
di plenilunio del 16 giugno 1606,
fino alla produzione di paesaggi
di idee (Nicolas Poussin) come
tali terre senzombra; fino al
tramonto del paesaggio dArcadia e allintroduzione del paesaggio come sentimento dei luoghi,

sulla scia di Rousseau; fino ai


paesaggi della ragione (altro
libro di Ottani Cavina); fino ai
paesaggi luminosi di Thomas Jones, artista amatissimo dallautrice; fino alla lettura del paesaggio
romano come pure geometrie,
nella cospicua mole di disegni
degli anni romani di David, JeanGermain Drouais, Louis Gauffier
(dal 1784); fino allopposizione
alla geniale visione immaginaria
(Piranesi) in nome di una nuova concretezza del vero (PierreHenri de Valenciennes); fino al
passaggio dalla veduta alla sua
proiezione utopica; fino agli
studi tratti dal vero in Bologna
e riassestati nellatelier (Antonio
Basoli); fino allabbandono del
paesaggio di idee per il paesaggio
come sentimento: un ampio e articolato capitolo introdotto da un
brano da I viaggi perduti (1985)
di Alberto Arbasino.
Ma torniamo al
libro come diario,
come raccolta di memorie scritte in tempi
diversi e di riflessioni
critiche maturate in
dialogo ideale o reale, passato (Robert
Rosenblum, Giuliano
Briganti,
Federico
Zeri) e presente (Pierre Rosenberg) con figure elette per affinit di metodo.
la stessa Ottani Cavina a dichiarare, nel saggio edito nel volume
in onore di Rosenberg (2001),
limportanza della mostra curata
dallo studioso dal titolo Paysages
dItalie. Les peintres du plain air,
1780-1830 (2001).
Ricordo quel saggio perch
contiene e applica alcune affermazioni di metodo sempre valide. Scrive Ottani Cavina: Fissare
delle precedenze, individuare con
attenzione dei ruoli. questo forse il primo obiettivo, se si vuole
riscrivere la storia del paesaggio
moderno nel passaggio fra Sette
e Ottocento. Perch soltanto una
cronologia accertata, e dunque
affidabile, permette di capire il
valore dirompente di alcuni dipinti e la funzione orientativa che
ebbero alcuni pittori.
ancora, a proposito della diE
scussione attributiva assestata
a favore di Franois-Marius Gra-

net come autore del paesaggio


che fa da sfondo al ritratto del
pittore dipinto da Ingres, lautrice, pur rispettando le analisi
scientifiche per cui il cielo tempestoso risulta dipinto sopra una
stesura azzurra e brillante, ribadiva il valore dellocchio del conoscitore confermando il paesaggio
a Granet, per la visione temporalesca e romantica, estranea a Ingres, in quegli anni pi davidiano.
Questo bel libro di storia
dellarte (secondo titolo della
nuova collana Adelphi: il primo
di Carlo Ginzburg) assicura lintelligenza di quel mondo incantevole costruito da artisti diversamente sollecitati dal paesaggio
italiano; un mondo in gran parte
perduto: ma il libro sprona noi
oggi a fermare gli scempi e vigilan
re per il futuro.
michela.dimacco@uniroma1.it
M. di Macco insegna storia dellarte moderna
alla Sapienza di Roma

30

N. 5

La pesantezza dellessere: la vita


ebbra e dolorosa di Polza Mancini
di Erik Balzaretti
Manu Larcenet
Blast
Grassa carcassa
pp. 208, 20

Lapocalisse
secondo san Jacky
pp. 208, 21

A capofitto
pp. 208, 22

Spero che i buddisti


si sbaglino

pp. 200, 22,


Coconino, Bologna-Roma 2012-2015
el pesante si sa poco. Anche
D
Calvino nelle Lezioni americane sceglie la leggerezza confes-

sando che dellessere pesante non


saprebbe dire molto. meglio la
levit, al limite lascesi anoressica
dei guru e delle sante trafitte. In
effetti, a ben pensarci, c pochissima narrativa grassa. Personaggi come Sancho Panza, Palla di
Sego, Nero Wolfe, Ignatius Reilly
di Toole, il soldato Palla di lardo
di Full Metal Jacket, la Precious di
Sapphire e il Pereira di Tabucchi
rimangono nella storia dellimmaginario proprio perch rari e preziosi. Ecco perch Polza Mancini
si candida a essere indimenticabile: il protagonista,
oscenamente obeso, di
una storia difficile da
costringere in un genere preciso ma certo
non light. Il grasso non
bello e se non ci fa ridere diventa subito un
problema. Ci ripugna
e quindi, se si pu, lo
si allontana. Per questo
leggere Blast di Manu
Larcenet, quattro volumi editi in
italiano da Coconino Press dal
2012 al 2015 per un totale di 916
pagine, unesperienza forte, un
esercizio necessario per godere bulimicamente di una storia capace
di scavare una ferita difficilmente
rimarginabile. Si esce dalla lettura
e dalla visione di questa narrazione, portandosi dietro tutti i postumi morali dello squassante sballo
psichico, quellebbrezza da accumulazione che pu
esplodere cancellando
la realt del dolore. Lesperienza del blast ovvero la liberazione dalla
schiavit dei sensi di
colpa e della pesante
realt oggettiva della
civilt post-industriale.
Unoasi psichica di
pace in cui la natura,
contrapposta alla civilt, non appare per nulla
estranea. Il blast inteso come visione dinamicamente altra. Non
a caso Blast stato anche il titolo
di una rivista del vorticismo inglese
diretta da Whyndham Lewis sodale di un certo Ezra Pound.
Il contenuto e la forma narrativa
con cui si presenta Blast il risultato della rara sintesi di un percorso
che lintera area dei racconti visivi
sta affrontando da anni cercando di armonizzare i vari linguaggi
bidimensionali a disposizione di

un narratore grafico: il colore, la


parola, lillustrazione, anche quella di genere, il fumetto classico,
le immagini mute in sequenza, il
disegno, la pittura, la grafica e il
pre-cinema. Il tentativo quello di
usare il linguaggio pi adeguato a
seconda delle esigenze della narrazione, in piena libert, ma con
grande senso di equilibrio. Blast
in questo senso un graphic novel
straordinario, che sfiora la perfezione nel dosare narrativamente le
non comuni doti artistiche di Larcenet, di cui conoscevamo la profondit narrativa grazie al toccante
Lo scontro quotidiano (Coconino,
2007), dove affiorava gi la tematica del disagio del vivere, realizzato con uno stile pi semplice e
pupazzettato ma gi sottilmente
grottesco e di grande spessore
narrativo. Ma con questa ultima
fatica che Larcenet ci offre lopera
della sua maturit completa. Blast
progettato e realizzato con uno
stile realistico in mezzatinta, dove
abbondano le chine che costruiscono tavole di straordinaria qualit sia in ambito caricaturale, con
forti venature grottesche per personaggi ibridi e inquietanti, spesso
con caratteristiche zoomorfe, sia in
quello dellillustrazione naturalistica e non fiction, assolutamente affascinante e innovativa, per quanto
riguarda animali, piante insetti,
frutta ma anche complessi paesaggi naturali,
costruzioni e interni.
Il Rapporto di Brodeck (realizzato nel
2007 ma edito da Coconino nel 2016), tratto
dal romanzo di Philippe Claudel, e le illustrazioni per la Storia di un
corpo di Daniel Pennac
(realizzato nel 2013 ed
edito da Feltrinelli nel
2014) hanno permesso allautore
di sperimentare uno stile personale che coniuga il pupazzettismo
adulto e caricaturale, del genere
di Joann Sfar e Lewis Trondheim,
con lespressionismo realista di Alberto Breccia guardando anche a
Chabout e Baudoin, alla sorprendente raffinatezza di Sergio Toppi,
al gusto per il surreal-grottesco
di Danijel eelj o di Stphane
Levallois e alla forza narrativa di
Baru o di Cyril Pedrosa. Larcenet, inoltre,
non dimentica di citare
il montaggio tra vignette dazione e illustrazione naturalistica che
Franois Bourgeon aveva usato nelle avventure
di Isa. Forse rammenta
nel suo stile anche i
nasi a becco duccello
di Andrea Pazienza e
sicuramente evoca la figura pesantemente ingombrante del Concrete di Paul Chadwick. Non manca
nellimpianto visuale complessivo
lutilizzo dei colori a cui viene dato
il compito di sottolineare, quasi
fosse un tema musicale, particolari
momenti della narrazione oppure
di rappresentare in forma metanarrativa quadri e disegni e collage
che appaiono nella storia. Lidea
di lavorare con tutte le modalit
del visivo fa s che i vari linguaggi

Fumetti
convivano ma, al tempo stesso, siano lacanianamente superati in un
continuo gioco di specchi tra le immagini della storia con quelle nella storia. Non a caso arte-terapia,
disegno, pittura e scultura fanno
da contrappunto continuo al racconto. Mai come in Blast lo stile
definisce la struttura e viceversa. Il
contenuto narrativo sistematicamente costruito lavorando a favore
dellemersione massima della vasta
gamma di emozioni, dal dolore fisico a quello psichico, dalla violenza allamore, che il lettore, come
investito dallo spostamento daria
di unesplosione, condivide con
il deus ex machina del racconto,
Polza Mancini: un Henry Chinaski
bukowskiano che incontra il Walden di Thoreau.
Questo straordinario romanzo
grafico pesa tutto sulle grandi spalle di Polza e sulla sua grassa figura
di freak autolesionista. I personaggi che incontra nella sua delirante
epopea contribuiscono alla costruzione di uno straordinario affresco
contemporaneo del dolore, della
marginalit, della verit e della
follia, visti allinterno del processo di dissoluzione dei valori della
societ post-industriale. Blast si
presenta come una drammatica allegoria del topos della pesantezza
di una societ che ricerca e premia
il leggero ma in realt spinge nello sprofondo i suoi scarti pesanti.
Polza Mancini un uomo obeso
e dipendente da alcool e cioccolata, una strana bulimia selettiva,
alla ricerca continua dello sballo
annientatore, che si porta dietro la
pesantezza dellessere. Dellessere
stato figlio di un uomo
duro, pieno di dolore e
rancore. Di essere sopravvissuto al fratello
in un incidente dauto.
Di essere un marito
incapace di amare. Di
essere uno scrittore
mancato e, come ripiego, un esperto di culinaria: ultima forma di
mimetismo sociale per
un adepto dello sballo.
Polza uno che deve, se vuole sopravvivere, dimenticare i suoi pesi,
fisici e morali, come una mongolfiera che per poter volare deve alleggerirsi del suo carico a tutti i costi. Lui lo fa mettendosi in viaggio
come un Sancho Panza razionalmente affamato che si mangiato
Don Chisciotte con tutta la sua
follia, mentendo di continuo, abbandonando il consesso civile per
una discesa agli inferi che ricorda
i viaggi degli eroi nellade e dei peccatori negli
inferni cristiani. Un inferno che Polza ritrova
sulla terra dove non si
sfugge a quel destino
umano che vivere
nel tempo costante del
declino morale, fisico
e psichico. In soli due
anni di vita ebbra la
sua parabola si compie.
In realt il racconto una road story dalle forti venature pastorali, a
cui Larcenet dedica pagine memorabili e straordinarie dal punto di
vista del disegno naturalistico, tra
la ricerca di un immaginario da
eden dentro una natura naturata
e la riedizione di riti dionisiaci. Un
mondo naturale dove la solitudine
si perde nel silenzio e nel buio pi
totale ma di molto preferibile a
ogni altra forma di consesso umano o di parodia dello stesso. Ci

troviamo dunque di fronte a un


lungo monologo inarrestabile in
forma di flashback di un isolato la
cui maggior pena la convivenza
coatta, alla ricerca continua di un
s perduto o che non c mai stato.
Un io estraneo di cui aver paura.
Polza si presenta come un Dioniso
minore, un Bacco sfatto e sciatto, il Pan perduto e straccione
evocato da quel genio delirante di
Bruno Schulz, scrittore-illustratore
e sacerdote massimo di epifanie
naturalistiche, costretto
in un mondo dove Pan
dato per morto. Figlio
di un padre del Novecento, con tanto di
ideologia comunista al
seguito, orgogliosamente proletario e dalla magrezza che ne definisce
la miseria e la voglia frustrata di riscatto, Polza,
il cui nome una crasi
della massima pomni
leninskie zavety (segui i precetti
di Lenin), alla morte del padre,
cui forse non completamente
estraneo, si trasforma in un prodotto pronto alle pi varie forme
di autodistruzione che conducono
inesorabilmente alla marginalizzazione e alla devianza. Il monologo
di Polza non altro che una lunga
confessione a due poliziotti che
cercano una verit giudiziaria e
si trovano di fronte ad una verit
cangiante, mutevole,
folle come il sospettato
che si racconta come
un viaggiatore vittima
della violenza subculturale e della miseria
sociale quando la realt
lo vorrebbe fuggitivo e
colpevole. Polza racconta due anni di vita di
strada, tra campagne e
natura idealizzata, oasi
anche psicologica in cui rifugiarsi
secondo il pensiero freudiano, e
la civilt suburbana, manicomio e
carcere incluso, fatta di personaggi
che una volta sarebbero stati descritti romanticamente come picareschi e che ora invece sono solo
emarginati, pazzi, drogati, assassini e suicidi. Polza diventa uno di
loro, ma il suo individualismo e la
sua unicit fisica sembrano tenerlo
lontano dagli eccessi pi estremi
pur rimanendo sempre un auto-

lesionista professionale, spinto a


capofitto verso la morte. Quasi
avulsa e straniante lesperienza
del blast che Polza sperimenta prima autonomamente e poi sempre
pi con laiuto di sostanze e alcoolici. Si tratta di unesperienza
mistica, unilluminazione temporanea, dove Polza esce da s stesso
e si riconnette a tutto luniverso,
vivendo la felicit di essere parte
di un tutto a cui non interessano
il suo peso e il suo dolore e dove
ridiventa leggero. Questo universo
archetipico rappresentato sia da
unenorme scultura Moai dellisola di Rapa Nui e qui impera
non poco la psicologia junghiana,
vero approdo e meta inizialmente
prevista dallOdisseo-Polza allinizio del viaggio sia dalluso dei
colorati disegni infantili dei figli
di Larcenet, tentativo interessante come modello visivo di straniazione. Una connessione con il
monolite di 2001: Odissea nello
spazio appare scontata nella logica
dellinafferrabile mistero cosmico.
Comunque, in questo beato black
out, Polza trova una pace temporanea che diventer anchessa tossica perch dal blast attinge anche
unimmotivata motivazione per
continuare a vivere nella ricerca
di un nuovo blast. Questi brevi intervalli nella continuit del dolore
appaiono a una prima lettura come
una gratuita incursione new age, o
un ritorno nostalgico ad Aldous
Huxley e a Timothy Leary. Niente
di cos scontato. La narrazione, tra
monologo e inchiesta giudiziaria,
terr fede ai canoni del racconto
criminale seppure sui generis. Relegato in fondo al racconto, ma
forse vero e unico bisogno di Polza, lamore come ce lo si aspetta:
invisibile, insperato e totalizzante.
Una dura battaglia tra disperati.
Lamore vince tutto ma, in questo
caso, lo fa ponendo le basi per il
dramma finale, travolgendo ogni
residua resistenza alla distruzione,
varcando anche gli ultimi argini
del tollerabile. Nel mondo della
marginalit psichica e sociale lamore non redime ma condanna a
un inferno sempre peggiore.
n
erik.balzaretti@libero.it
E. Balzaretti storico dellillustrazione
ed esperto in narrazioni visive

N. 5

Un disciplina fittizia?

Scienza e Religione

di Leonardo Ambasciano
Alister McGrath
La grande domanda
Perch non si pu fare a meno
di parlare di scienza,
di fede e di Dio
ed. orig. 2015, trad, dal inglese
di Sabrina Placidi,
pp. 261, 23
Bollati Boringhieri, Torino 2016

siste una disciplina accademiE


ca, impartita presso il Jordan
College di Oxford, che si chiama

teologia sperimentale. Questa


branca del sapere accademico
finalizzata allo studio e alla comprensione dei segni fisico-naturali
e delle ripercussioni cosmologiche
della caduta conseguente al peccato originale. Se questa descrizione
suona strana, perch n il Jordan
College n la teologia sperimentale sono reali. Si tratta, invece,
del punto di partenza
di una tra le maggiori
saghe fantastiche degli
ultimi decenni, ossia la
trilogia Queste oscure
materie di Philip Pullman, pubblicata originariamente tra 1995 e
2000 da Salani e fonte
dispirazione per unomonima quanto deludente trasposizione
cinematografica datata
2007 (La bussola doro).
Non meno bizzarro il fatto che
le caratteristiche di questa disciplina fittizia sembrano riecheggiare
tra le pagine di La grande domanda
lultimo libro di Alister McGrath,
teologo anglicano, attualmente
professore di scienze e religione e
direttore dello Ian Ramsey Centre
for Science and Religion presso
lUniversit di Oxford.
Bench le opere di entrambi gli
autori prendano le mosse dalla
medesima Oxford in cui universit, scienza e religione stanno in
fragile equilibrio, un tale accostamento pu apparire francamente
inopportuno. La prosa fantastica
di Pullman, letterato e insegnante
oxoniense non credente, al servizio di una critica spietata della
religione cristiana. Nel contesto
steampunk e ucronico di La bussola doro, dove Calvino riuscito
ad assurgere al soglio pontificio, la
ricerca scientifica ferocemente
controllata da un apposito organo
ecclesiastico chiamato il Magistero
onde evitare linsorgere di destabilizzanti speculazioni scientifiche.
Come aveva segnalato Christopher
Hitchens in unintervista pubblicata su Vanity Fair nel 2002,
Pullman rompe con gli accomodanti schemi narrativi adottati dai
tre illustri predecessori legati alla
pratica letteraria, alla fede cattolica o anglicana e allinsegnamento
universitario in quella che Matthew Arnold defin nel 1865 come
la citt dalle guglie sognanti:
parliamo di Charles L. Dodgson
(meglio noto con lo pseudonimo
di Lewis Carroll), C. S. Lewis e J.
R. R. Tolkien.
McGrath, al contrario, redige in
La grande domanda unapologia
pro vita sua volta a denunciare i
presunti nichilismo e vacuit del
pensiero ateo cui ader in giovane
et, allo scopo di rifondare sub
specie theologica le basi del dia-

31

logo con la scienza. Nel far ci,


McGrath si riallaccia direttamente
alla tradizione oxoniense di Lewis
e Tolkien, prediligendo il lascito
teologico del primo. Questi due
autori vengono esplicitamente
ricordati come studiosi della letteratura che hanno veicolato tematiche religiose nelle loro opere
sulla falsariga di un cristianesimo
inteso come forma narrativa la
quale poi, solo in seconda battuta,
d vita a formulazioni dottrinali e
di fede, a una visione etica e alla
conquista del senso. Da qui Inventing the Universe, il titolo originale del libro che sembra alludere
a quella tematizzazione evolutiva e
cognitiva dellistinto narrativo di
homo sapiens gi brillantemente
affrontata da Jonathan Gottschall,
e che invece vincola la creazione
individuale di senso ai dogmi teologici.
Nonostante tali differenze, il
passato accademico di
McGrath in biochimica
imprime alla sua opera
un definito orientamento meccanicistico e ingegneristico che ha non
pochi punti in comune
con la teologia sperimentale
immaginata
da Pullman. Secondo
McGrath il mondo
naturale, la cui semiotica
indicherebbe
lopera di un agente
creatore, e i comportamenti umani, visti attraverso la lente critica
della fede e del peccato originale,
forniscono il materiale concettualmente malleabile a partire
dal quale occorrerebbe cercare il
significato, il senso e il valore delle
conoscenze scientifiche. Lo scopo
quello di costruire una molteplicit gnoseologica di varie mappe
di significato, legate come un intreccio di narrazioni e tenute insieme dalla cornice epistemologica
fondante che il teologo individua
nella dottrina cristiana.
In modo interessante, McGrath
rifiuta sia il luogo comune storiografico dello scontro tra scienza e
religione, sia le proposte di pace
pi o meno precarie, come il principio dei magisteri non sovrapposti avanzato dal paleontologo
statunitense Stephen J. Gould nel
1997. Si tratta in effetti di unidea
che ha fatto il suo tempo, picconata dallaumento interconfessionale dei movimenti neocreazionisti
e dalla loro crescente ingerenza
socio-politica. Come rilevato dal
filosofo della scienza e cognitivista Robert N. McCauley nel
suo ultimo lavoro intitolato Why
Religion Is Natural and Science
Is Not,(Oxford University Press,
2011) Gould aveva sbagliato a
escludere pregiudizialmente il fondamentalismo dalla sua idea di religione, aveva minimizzato il fatto
che la religione tenta di assecondare il funzionamento intuitivo di
molti meccanismi cognitivi umani,
talvolta fallaci e scarsamente affidabili, e aveva sminuito il ruolo
basilare che la spiegazione eziologica e mitografica dei tempi profondi gioca allinterno della giustificazione teologica. Dallaltra parte
della barricata, McGrath rivendica
prevedibilmente uninterazione e
un dialogo creativi tra i due magi-

steri, a patto che siano patrocinati


dalla teologia.
Per raggiungere questo scopo,
il teologo non esita purtroppo a
distorcere o travisare in chiave
religiosa i risultati e gli obiettivi di
molti campi disciplinari, cadendo
spesso nella fallacia logica degli
scienziati credenti ossia prediligendo le speculazioni teologiche
e ignorando le prove contrarie che
compromettono le tesi del volume.
McGrath evita quindi il confronto
con il consenso prevalente in filosofia della scienza, primatologia,
neuroscienze, storiografia e biologia evoluzionistica: ad esempio, accantona convenientemente il fatto
che la matematica, lungi dallessere
nel contempo miracolo, prova e
garanzia dellesistenza di una divinit, non collimi sempre con la
realt ontologica; che la moralit
preceda filogeneticamente la religione; che lo storytelling soddisfi il
bisogno di senso individuale e collettivo anche quando privo di contenuti religiosi; che lateismo sia
una posizione attestata fin dallantichit; e, infine, che lindividuazione intuitiva e teleologica di un
agente allopera in campi non sociali sia il risultato maladattivo dei
vincoli evolutivi di homo sapiens in
quanto primate. Non pertanto
fuori luogo ritenere che il volume
arrechi un potenziale e controproducente disservizio divulgativo.
Formalmente alla ricerca di un
middle ground tra creazionisti e intellettuali atei o agnostici, ma ostile a questi ultimi e campanilistico
nellignorare le posizioni di altre
fedi, McGrath opta per un neocreazionismo politicamente corretto
di matrice deista (per usare una
classificazione proposta da Telmo
Pievani nel suo Creazione senza
Dio, Einaudi 2006) che pone al
centro della sua riflessione aprioristica la ricerca di leggi naturali
istituite da un legislatore divino. Il
progetto dialogico dellintera operazione trova in queste premesse

un limite invalicabile. Come scrive


ironicamente McCauley, ad oggi,
la teologia sperimentale ha dimostrato una maggiore vitalit nel
mondo fittizio che Philip Pullman
descrive nel romanzo La bussola
doro che non nel mondo nel quale
i teologi di carne e ossa realizzano
i loro progetti. Fino a prova contraria, credere altrimenti rimane
n
una pia illusione.
leonardo.ambasciano@gmail.com
L. Ambasciano dottore di ricerca in studi
storici allUniversit diTorino

Vespa solitaria e inconsapevole


di Maria Cristina Lorenzi

Lisa Vozza e Giorgio Vallortigara


PICCOLI EQUIVOCI TRA
NOI ANIMALI
pp. 243, 13,90,
Zanichelli, Bologna 2016

e ogni tanto vi siete chiesti se


Svostro
il vostro cane pensa, o se il
gatto ha intenzionalmente

quello sguardo assassino, Piccoli


equivoci tra noi animali pu aiutarvi a trovare qualche risposta;
i diversi argomenti sono trattati
con rigore scientifico e offrono
al lettore un quadro equilibrato
dei progressi scientifici su alcuni
aspetti del comportamento animale. Vozza e Vallortigara usano
un linguaggio semplice e accessibile e propongono una carrellata
di esempi di ci che gli scienziati
stanno cominciando a capire del
comportamento degli animali:
cosa vedono, cosa percepiscono,
cosa si sa (poco) delle
loro motivazioni e della loro consapevolezza. Con una scrittura
piacevole, gli autori ci
mostrano quanto spesso attribuiamo agli (altri) animali emozioni o
abilit che ci sono proprie, prigionieri come
siamo di trappole
cognitive e di una incontenibile tendenza
ad attribuire agli altri, umani o
animali che siano, le stesse capacit ed emozioni che percepiamo
in noi stessi. Se questo pu rivelarsi appropriato verso gli uomini, non detto che lo sia verso gli
altri animali. Una delle domande
che gli autori si pongono se gli
animali siano consapevoli. Ripercorrono allora rapidamente le
indaagini fatte a partire dai pri-

mi esperimenti di Gallup con lo


specchio: riconoscere la propria
identit allo specchio un compito difficile, nel quale riescono
soltanto le scimmie antropomorfe, ma daltra parte, anche i bambini falliscono prima dellanno e
mezzo di et! Non c una risposta definitiva a questa domanda
e anche le ricerche pi recenti
ancora non bastano a risolvere la
questione.
Un obiettivo del libro che
condivido particolarmente
proporre al lettore uninterpre-

tazione scientifica del comportamento animale e scoraggiare le


interpretazioni antropomorfiche:
inutile ipotizzare che un animale abbia funzioni superiori (che
non possiamo dimostrare) se lo
stesso comportamento pu essere spiegato facilmente da meccanismi cognitivi pi semplici (che
possiamo verificare sperimentalmente). In effetti, tanti comportamenti che ci sembrano intelligenti possono essere spiegati da
meccanismi molto semplici, che
non richiedono alcuna consapevolezza o elaborazione cognitiva
complessa. Cos per esempio
per il comportamento di una piccola vespa solitaria, che paralizza
la preda con il suo veleno, la trasporta al nido e vi depone sopra
un uovo: la larva che si svilupper dalluovo trover nutrimento
nella preda paralizzata. Questa
sequenza di comportamenti, che
sembra guidata da un
pensiero organizzato e
consapevole, viene invece ben descritto da
una catena di comportamenti semplici. Una
prospettiva interessante che gli autori ci riportano continuamente a una spiegazione
adattativa: perch si
evoluto questo o quel
comportamento? In
qual modo le condizioni ecologiche in cui lanimale
si evoluto ci aiutano a capire
perch quelle abilit esistono?
In realt, si pongono lo stesso
problema persino per la nostra
tendenza a proiettare sugli animali le nostre emozioni: perch
lo facciamo? Quali sono state le
pressioni selettive che hanno favorito negli esseri umani la ten-

denza a riconoscere negli altri


(inclusi gli altri animali) le proprie emozioni? In conclusione,
questo libro vuole dare al lettore
una visione aggiornata di alcuni
temi del comportamento animale, passeggiando un po nella
mente degli animali, senza voler
essere un manuale ma piuttosto
una piacevole lettura di alcune
n
ore.
cristina.lorenzi@unito.it
M. Cristina Lorenzi insegna al Laboratoire
dethologie exprimentale dellUniversit di Parigi

32

N. 5

Eserciti evanescenti
e vescovi ingombranti
di Enrico Faini
Simone Balossino
I podest sulle sponde
del Rodano
Arles e Avignone
nei secoli XII e XIII

prefaz. di Jean-Claude Maire Vigueur,


pp. 365, 36,
Viella, Roma 2015

allinizio ci fu uningombrante
presenza e alla fine una clamorosa assenza.
Lingombrante presenza
quella del potere vescovile: in
nessuna citt italiana possiamo
trovare testimonianze altrettanto
chiare della delega del potere dalle mani del presule a quelle dei
consoli. Probabilmente in Italia
questa delega non ci fu o, quantomeno, non fu mai formalizzata:
le citt dovevano gi avere nel
secolo XI forme di rappresentanza politica distinte da quelle
ecclesiastiche, sebbene esse non
siano ancora state messe a fuoco
dagli storici. Questa ingombrante presenza continu a farsi sentire fino alla conquista angioina: la
competizione politica allinterno
delle mura fu giocata infatti tra
la cittadinanza e il presule ancor
pi che tra le diverse componenti sociali della cittadinanza stessa.
Fu cos che la politica duecentesca concentrata in Italia soprattutto sullo scontro tra popolo e
nobilt si tinse in Provenza dei
colori delleterodossia religiosa,
della furia inquisitoriale e della
crociata; e tutto questo sebbene,
come mostra Balossino, non vi
siano prove di uneffettiva adesione degli arlesiani o degli avignonesi al catarismo diffuso nella
finitima Linguadoca.
La clamorosa assenza che caratterizza la fine dellesperienza
comunale in Provenza quella
della guerra tra le citt: quello
che ci pare un tratto virtuoso
costituiva una debolezza. La
rete urbana provenzale non era
fitta come quella italiana. Prima
ancora di aver sottomesso tutto
il territorio della rispettiva diocesi, prima quindi di entrare in
strutturale contrasto con le citt
vicine, la storia dellautonomia
di Arles e Avignone fu stroncata
dagli Angi. Un secolo di competizione violenta aveva invece
dotato a met Duecento le
litigiose citt italiane di apparati bellici efficacissimi, capaci di
drenare risorse davvero ingenti.
Le leghe che si erano opposte
prima al Barbarossa, poi a suo nipote Federico II potevano dunque contare su eserciti paragonabili a quelli messi in campo dalle
monarchie del tempo. Anche Arles, Avignone e Marsiglia si organizzarono in lega quando si avvidero delle intenzioni di Carlo
dAngi. Tuttavia colui che, una
quindicina danni dopo, avrebbe
messo in fuga la cavalleria degli
Svevi ebbe facilmente ragione di
tre citt che avevano avuto fino a
quel momento scarsa esperienza
n
della guerra.
enrico.faini@gmail.com
E. Faini dottore di ricerca in storia medievale
presso lUniversit di Firenze

Custodire il mare spagnolo


di Marina Formica
Marco Pellegrini
Guerra santa
contro i Turchi
La crociata impossibile
di Carlo V
pp. 416, 25,
Il Mulino, Bologna 2015

questi amari nostri tempi, in


Ici ncuicontro
il timore di atti terroristila cristianit sembrano

scandire linformazione quotidiana con inquietante insistenza,


senza cadere in improbabili assimilazioni tra ieri e oggi, utile
ripercorrere in maniera vigile fasi
di scontri e di tentati scontri che,
nei secoli, hanno segnato le societ occidentali. dunque anche
allinterno di questa
prospettiva che il nuovo lavoro di Marco Pellegrini si rivela importante per la riflessione,
storica e civile insieme.
Le sue pagine ci riportano agli anni del
primo Cinquecento,
quando siniziarono a
delineare in maniera
precisa i caratteri e le
contraddizioni di quella globalizzazione di
cui siamo oggi figli. Forte delle sue
precedenti ricerche sullimmenso impero di Carlo V dAsburgo,
sullEuropa moderna e sul papato
romano, sulla cultura dellumanesimo e del Rinascimento e sulle
tradizioni crociate, lautore ricostruisce con freschezza narrativa
la storia dei rapporti fra le sponde
mediterranee del XVI secolo, dalla prima espansione spagnola in
Nordafrica fino alle ripetute spedizioni su Algeri (1541) e Tunisi
(1574). Lattenzione costante verso gli scenari mediterranei sfocia
in una visione interpretativa ampia, da cui scaturisce un quadro
geopolitico dinamico e poco convenzionale, segnato, da una parte,
dallo sviluppo delle citt costiere
maghrebine e, dallaltra, dalla
perdita, lenta ma inesorabile, del
controllo iberico sul Mediterraneo
centro-occidentale.
Grazie allo spostamento dellosservazione sul mare, oltre che sulla
terra, le dinamiche globali finiscono con lassumere nuovi significati, arricchendo quella storiografia
consolidata che, finora, ci aveva
abituato a guardare a Carlo dAsburgo prevalentemente attraverso una prospettiva eurocontinentale. Nel libro, i grandi protagonisti
delle compagini politiche statuali
sono affiancati dallattenzione verso attori sociali generalmente sottovalutati (le militanze piratesche,
in primo luogo), mentre lintreccio
di fattori diversi (commerciali, politici, militari, culturali) arricchisce
di una forza inusuale la linea interpretativa pi tradizionale, concentrata sulla continuit tra le scelte
dellimperatore e la linea politica
estera della sua casata. Ne emerge
un quadro geopolitico dinamico,
segnato, da una parte, dallo sviluppo delle citt costiere maghrebine e, dallaltra, dalla perdita,
lenta ma inesorabile, del controllo
iberico sul Mediterraneo centrooccidentale. Il riferimento a Braudel e alla longue dure risulta inevitabile, nonostante la limitatezza

delle citazioni alla sua opera magistrale; di certo, meno scontate


sono le diverse scale gerarchiche
che ne conseguono. Mi riferisco,
in particolare, agli ideali della crociata nellagire politico di Carlo V
e, pi in generale, alla storia della
prima et moderna: un elemento,
questo, estraneo alla prospettiva
della mditerrane eppure determinante nelle relazioni secolari tra
Oriente e Occidente, strettamente
legato allideologia del jihad e a cui
il volume assegna giustamente un
ruolo centrale nella sua economia
interna.
Sfatando miti e false interpretazioni e tratteggiando le specificit
delle crociate moderne rispetto a
quelle medievali, lautore coglie i
tratti costitutivi di un fenomeno
che, pur mantenendo
diversi suoi elementi costitutivi, assunse
forme particolari in
circostanze
storiche
altrettanto particolari.
Lattenzione di Pellegrini si concentra,
specificamente, sulla
penisola iberica, dove,
come egli scrive, la
crociata come idea-forza conobbe un risveglio
motivato da una molteplicit di spinte, prima tra tutte
lesigenza di stabilire una sorta
di custodia maris su quello che le
fonti turche dellepoca non esitavano a definire, appunto, Ispanyol
bahriye (mare spagnolo). Pur
tuttavia, a sgombrare il campo da
visioni totalizzanti, viene altres
specificato come, lungi dal suffragare unazione di conquista freddamente pianificata a tavolino,
Carlo V fosse pienamente partecipe della eccezionale rinascita
di quellantico anelito religioso,
rinato nel contesto cinquecentesco con tratti, significati e forme
di diffusione del tutto nuovi. Nel
quadro condiviso di una cultura
millenaristica ed escatologica, centrata su una visione provvidenziale
della realt umana e trascendente,
aneliti profetici e interpretazioni
apocalittiche avevano infatti iniziato a circolare trasversalmente,
in senso sia sociale sia culturale,
politico e religioso, ben oltre la
presa di Granada del 1492, al
punto che il processo secolare
della Reconquista spagnola continu ancora a lungo, finendo con
lo sfociare in una sorta di guerra
santa permanente. Il trionfo del
papa Angelico (da molti identificato con Pio V), lavvento dellultimo imperatore (secondo alcuni
lo stesso Carlo V), la conversione
finale dellumanit, turchi compresi, a ununica fede, prima del
regno del millennio, la necessit
dellunione dei cristiani apparvero allora quali motivi ricorrenti
di una mentalit diffusa, che non
consente dindividuare nette linee
di demarcazione tra aspetti spirituali e aspetti temporali, tra generi
letterari e confini territoriali.
Limperatore non sarebbe per
riuscito a coordinare una spedizione internazionale modellata
sul prototipo della crociata medievale, complice la disunione del
mondo europeo e la sotterranea

el febbraio 1221 una commissione di cittadini di Arles


partiva per una missione delicata. Lo scopo era trovare un professionista capace di reggere il
sistema politico arlesiano senza
lasciarsi avvincere dagli odii di
parte. La commissione si diresse
in Italia e individu il
soggetto idoneo nel
pavese Torello de Strada. Con la carica di
podest, Torello e,
come lui, molti altri
italiani della prima
met del Duecento
si recava in Provenza
non per signoreggiare una citt straniera,
ma per governarla, a
tempo determinato,
esercitando
equanimit di giudizio e competenza
amministrativa. Si potrebbe dire
con un po di trionfalismo che
nel XIII secolo lItalia esportava
leader e sistemi politici ma sarebbe vero solo in parte. vero
che il sistema dei podest itineranti era stato collaudato in Italia una quarantina danni prima
che lo adottassero i provenzali,
per tutto il volume di Balossimo
dimostra anche che la Provenza
non partecip al movimento comunale come fanalino di coda,
importando uomini e modelli
preconfezionati, ma fu in grado
di proporre soluzioni originali in
maniera del tutto autonoma. A
met Duecento i comuni provenzali furono assassinati dallimperialismo angioino: la loro fine
precoce ne ha determinato la
sfortuna storiografica. Diversamente dallItalia dove i comuni
sono stati visti come lanticipazione della lotta risorgimentale
contro il dominio straniero le
autonomie cittadine provenzali
sono state a lungo considerate un
inciampo nella costruzione della
monarchia nazionale francese.
Balossino non il primo studioso ad avvalersi dei ricchi fondi
archivistici cittadini del Midi, n
il primo a essersi accorto della vitalit socio-economica delle citt
provenzali, ma certo tra i primi (assieme a Enrica Salvatori) a
presentare un confronto serrato
con la realt politico-istituzionale
italiana.
Lautore chiarisce gli elementi strutturali che accomunano
la Provenza e lItalia comunale.
Troppo condizionati dagli esiti tardo medievali si dimentica
infatti che entrambi i territori
erano sottoposti alla sovranit
spesso solo nominale del Sacro
romano impero. Questo lasco
dominio favoriva lo sviluppo di
forti poteri locali: in Germania
erano soprattutto principi laici
ed ecclesiastici. Dove invece la

vitalit economica lo consentiva


( il caso dellItalia del Nord e
della Provenza, ma anche della
valle del Reno), il potere cominci a essere gestito collettivamente nella prima met del XII
secolo da un folto gruppo di possidenti cittadini, tanto capaci di
impegnarsi nelle attivit economiche pi speculative, quanto di
combattere a cavallo: gli studiosi
chiamano oggi questo gruppo
sociale milites (cavalieri) cittadini. A determinare lemersione
dei milites furono dunque altri
due elementi strutturali comuni:
una rete urbana dorigine antica rimasta solida attraverso tutto lalto medioevo e
uno spazio di scambi
economici in rapida
crescita: il Mediterraneo. Arles e Avignone
disponevano di un
accesso privilegiato a
questo spazio grazie
al Rodano navigabile,
cos come succedeva
alle citt padane lungo
il Po, o a quelle toscane lungo lArno. Lo
sfruttamento di questa
arteria fluviale dunque il quarto
elemento strutturale che avvicina
le citt italiane a quelle provenzali. Ai milites cittadini pi antichi
si affiancarono molto presto soggetti di pi recente arricchimento. Essi trovarono, almeno fino
alla fine del secolo XII, il modo di
inserirsi nel vertice politico urbano, rappresentato dal collegio di
consoli che cambiava ogni anno.
Questo processo di cooptazione
funzion pi a lungo rispetto a
quanto si pu osservare in Italia,
ma nel momento in cui i gruppi
dirigenti di Arles e Avignone tesero a chiudersi, i nuovi soggetti
sociali si organizzarono in confraternite e societ di mestieri, in
tutto simili alle contemporanee
societ popolari italiane. Laffermazione del podest forestiero
talvolta, non sempre, dorigine
italiana va dunque inquadrata
nellincremento della conflittualit intracittadina: proprio come
succede su suolo italico.
Lo scopo dellautore sta nel
mostrare la vitalit e la genesi
autonoma del sistema comunale
ben al di l della barriera delle
Alpi, entro la quale troppo spesso confinato dalle ricostruzioni
manualistiche. Obiettivo pienamente raggiunto grazie sia allanalisi fine della documentazione
locale, sia allimpiego di una bibliografia francese ormai profondamente rinnovata
nella prospettiva (da
Jean-Pierre Poly, a
Jacques Chiffoleau,
a Florian Mazel).
Tra le righe, per,
Balossino ci fornisce
anche la chiave per
cogliere le profonde
differenze tra le due
storie comunali. I
punti di originalit si
colgono molto bene
allesordio e alla
conclusione dellautogoverno cittadino.
Potremmo dire che

Storia

33

N. 5

Storia

pposizione del papato romano.


o
Negli anni segnati dallascesa di
Solimano I, a nulla sarebbero serviti i suoi sforzi per evitare che la
costa maghrebina diventasse il dominio di una nuova generazione di
corsari, religiosamente motivati a
cacciare gli infedeli iberici; mentre
la Mezzaluna ottomana sosteneva
la formazione dello stato barbaresco di Algeri, la Spagna fin con il
perdere il controllo dei territori e
dei mari che avrebbe voluto tutelare, lasciando le coste dellAndalusia e dellItalia meridionale alle
razzie barbaresche.
Allinterno di uno spiccato stato conflittuale, che fin con lassumere le sembianze di una vera
e propria guerra islamo-cristiana
non convenzionale, sarebbe stata
piuttosto la santa sede a mettere a
tacere ogni velleit di cruciata generalis sotto legida imperiale. Di
fronte al timore di una possibile
concentrazione della Mezzaluna
sulle acque mediterranee e atlantiche, solo il pontefice sarebbe riuscito, sia pur momentaneamente,
a convincere alcune potenze (tra
cui la Spagna, la Francia e gli stati
della penisola italiana) a deporre
le reciproche rivalit e abbracciare le armi sotto stendardi cruce
signati. Il discusso e controverso
episodio di Lepanto del 1571, che,
per un momento, sembrava avere
suggellato la grande contesa per la
supremazia nel Mediterraneo, ci
viene a questo punto restituito in
tutta i suoi significati processuali
e mitologici: un mito quanto mai
vitale, evidentemente, se ancora
oggi, a distanza di cinquecento
anni, di fronte ad avvenimenti e
dinamiche che sembrano porre in
discussione le ragioni del presente
dellOccidente e, soprattutto, del
suo futuro, la viva attenzione che
alcune frange integraliste prestano
a quel successo sembra fare coagulare i timori di chi paventa la vittoria del mondo islamico su quello
occidentale. E la paura dellaltro
turco o musulmano tout court
pare alternarsi al desiderio di riconquistare Costantinopoli, di ritornare, cio, a essere padroni del
mondo.
n
marina.formica@uniroma2.it
M. Formica insegna storia moderna
allUniversit di Roma Tor Vergata

Una minoranza egualitaria,


materialista, atea e femminista?
di Daniele Di Bartolomeo
Jonathan Israel
La Rivoluzione
francese

Una storia intellettuale dai


Diritti delluomo a Robespierre
ed. orig. 2014, trad. dallinglese
di Palma di Nunno e Marco Nanni,
pp. 960, 42,
Einaudi, Torino 2015

Israel, raffinato ed eruJna onathan


dito professore di storia moderallUniversit di Princeton, lo

storico pi discusso del momento.


Le sue ambiziose e innovative ricerche sullilluminismo sono da
alcuni anni al centro di un intenso
dibattito, che si riacceso dopo
luscita nel 2014 del
suo ultimo volume sulle
origini intellettuali della
Grande Rivoluzione.
Revolutionary
Ideas:
An Intellectual History
of the French Revolution from The Rights
of Man to Robespierre,
prontamente tradotto in Italia da Einaudi
con un titolo parzialmente diverso il caso
editoriale storiografico
pi importante degli ultimi anni.
Il libro di Israel ha fatto scalpore,
come non accadeva da tempo ad
un saggio di storia. Ne hanno scritto su importanti riviste, quotidiani
e inseriti culturali alcuni tra i pi
grandi specialisti mondiali dellilluminismo e della rivoluzione francese. Il volume stato accolto dalla
critica con giudizi sferzanti, spesso
al limite dellinsulto accademico, a
cui lautore ha replicato colpo su
colpo, con crescente insofferenza
e ostinata determinazione. Israel
accusato dai suoi colleghi di aver
commesso una serie di errori macroscopici, imperdonabili per uno
storico del suo prestigio e esperienza. Vincenzo Ferrone, insigne
studioso dellilluminismo, ha scritto senza giri di parole, sul Sole 24
Ore di domenica 7 febbraio 2016,
che si tratta di un libro inaccettabile. Lynn Hunt, tra le pi auto-

revoli esperte di storia rivoluzionaria, ha dato a Israel dellarrogante e


lo ha accusato di essere incappato
innumerevoli volte nel peccato
mortale dellanacronismo (New
Republic, 28 giugno 2014). Per
David Bell, rinomato specialista di
storia francese e collega di Israel a
Princeton, il libro, a tratti perfino
noioso, un goffo tentativo di
dimostrare con enorme sfoggio
di erudizione una tesi incredibilmente semplice, oltre che sbagliata (The New York Review of Books, 9 ottobre 2014). Francesco
Benigno, autore di importanti studi sulle rivoluzioni di et moderna,
ha paragonato il racconto di Israel
ad un rassicurante film western
dantan in cui tutto il
bene sta da una parte e
tutto il male dallaltra
(Alias, 24 gennaio
2016). Jeremy Popkin,
altro grande specialista
di studi rivoluzionari,
ha definito ingannevole il mastodontico
apparato di note e rinvii alle fonti primarie
allestito da Israel per
sostenere la sua improbabile tesi (H-France
Review, maggio 2015, n. 66). A
questo punto il lettore si star chiedendo: cosa mai avr fatto lo storico di Princeton per meritarsi un
simile trattamento?
Israel ha dapprima dichiarato
solennemente che la rivoluzione
francese ha avuto una e una sola
causa, la filosofia illuminista, e poi
ha applicato agli eventi rivoluzionari la sua interpretazione stilizzata
dellilluminismo. A suo avviso a
partire dalle principali ramificazioni dei lumi che sarebbero derivati
non solo i diversi gruppi politici
che si sono contrapposti durante
lesperienza rivoluzionaria ma anche i successi, gli insuccessi (non
ultimo il Terrore) e perfino la conseguenza pi remota del fallimento
della rivoluzione: non il comunismo come di solito si intende, ma
addirittura il fascismo.
Il testo di Israel una riscrittura

79 MAGGIO MUSICALE FIORENTINO

CARL ORFF

CARMINA BURANA
KRISTJAN JRVI, direttore

OPERA DI FIRENZE
30, 31 maggio 2016, ore 20.00

www.operadifirenze.it
#operaforeverybody

dellintera rivoluzione come lopera in positivo degli adepti dellilluminismo radicale (ammiratori di
Diderot, dHolbach e Helvtius)
e in negativo dei loro avversari di
turno, siano essi i moderati seguaci di Voltaire e Montesquieu o i
discepoli populisti di Rousseau e
Mably. Il racconto ben congegnato per non lasciare dubbi al
lettore. La narrazione degli eventi
sistematicamente inframmezzata da affermazioni perentorie che
ricostruiscono, per lintera durata
dellevento e al di l delle specificit dei diversi gruppi e attori
politici, la sostanziale continuit
di questa battaglia tra il bene e il
male. Nonostante la sicurezza con
cui Israel presenta al lettore la sua
storia della rivoluzione, agli occhi
degli specialisti non sono poche
le affermazioni dello storico di
Princeton che vacillano alla prova
delle fonti. NellIntroduzione, ad
esempio, Israel sostiene in modo
categorico che la minoranza repubblicana, democratica, egualitaria, materialista, atea e femminista
che ha fatto la rivoluzione avrebbe
sacrificato tutti i precedenti e i
modelli esistenti sullaltare della
filosofia, unica guida possibile per
agire nel presente. In realt, la rivoluzione francese non stata, come
crede lautore, lesperienza narcisistica di un gruppo esiguo di filosofi
ispirati da idee astratte. Il rapporto
tra i rivoluzionari e il passato stato molto pi complesso, articolato
e dubbioso. Per capirlo, sufficiente considerare la centralit che
i precedenti storici, in particolare
la prima rivoluzione inglese, hanno avuto nei discorsi e negli scritti
dei protagonisti della rivoluzione.
Si potrebbero fare altri esempi, ma
forse pi interessante spostare
lattenzione dagli errori puntuali
commessi da Israel a ci che li ha
resi possibili o, siamo tentati di
dire, necessari.
la volont di riconoscere e far
rivivere le speranze (realizzate e
mancate) della rivoluzione a rappresentare insieme la forza e la debolezza del libro. Merito di Israel
aver reso di nuovo attuale la rivoluzione, raccontando con competenza, chiarezza, passione ed entusiasmo, come non capitava dai tempi
delle grandi storie della rivoluzione scritte nei secoli passati, la genesi di alcuni tra i valori e le pratiche
fondamentali della nostra cultura
politica. Pu suonare strano, ma
in un tempo come il nostro in cui
il passato, compresa la rivoluzione, viene scandagliato alla ricerca
delle pi svariate genealogie della
violenza contemporanea, il libro
di Israel risulta piuttosto inattuale.
Eppure non lo del tutto, poich
lautore ha diviso la rivoluzione
francese in due parti ben distinte:
luna, fondatrice della democrazia
rappresentativa, impersonata da
Brissot e dai suoi eredi superstiti del Terrore; laltra, fautrice di
un populismo violento, incarnata
da Robespierre e dai suoi epigoni sopravvissuti al Termidoro. Di
questo passo Israel si lancia in affermazioni alquanto discutibili e a
volte palesemente contraddittorie.
Non si capisce, ad esempio, come
si possa dire che la rivoluzione
stata lopera di una minoranza di
illuministi radicali mentre a governare la Francia rivoluzionaria cera
quasi sempre una maggioranza a
loro avversa. Capita cos di leggere
nella pagine di Israel che la Costituzione del 1793 tutto sommato

un modello ideale e che labolizione della schiavit (1794) un vanto della rivoluzione, salvo poi scoprire che ad approvare questi due
provvedimenti non sono stati gli
uomini di Brissot ma Robespierre
ed i Montagnardi. Questa annotazione non vuole certo nascondere
le nefandezze perpetrate dallIncorruttibile e dai suoi seguaci, n
tantomeno mettere in dubbio il
valore intellettuale dei suoi avversari, uomini come Condorcet che
sostennero importanti riflessioni e
provvedimenti in materia di rappresentanza politica, democrazia,
eguaglianza, libert di stampa e laicit. Non tuttavia possibile affermare che il rivoluzionamento della
societ francese sia avvenuto senza
il contributo di altri importanti e
forse pi influenti rivoluzionari.
Quello di Israel un ragionamento semplicistico, poich non
considera la differenza che c tra
una cultura politica fatta di idee,
scritti e discorsi e la sua applicazione e interazione con le strutture
e gli eventi politici. Alla prova dei
fatti, poi, accade che anche i portatori dellideologia illuminista radicale assumano decisioni politiche
apertamente contrarie agli ideali
proclamati o, peggio ancora, nefaste proprio perch derivate dallapplicazione ostinata di tali ideali.
Solo per fare due esempi, possiamo ricordare che la propaganda
bellicista di Brissot allorigine
di quella che stata recentemente ribattezzata the first total war e
che lalfiere principale di questo
conflitto, Napoleone Bonaparte,
ha messo fine al sogno rivoluzionario proprio grazie allappoggio
di quelli che Israel considera gli
ultimi tedofori dellilluminismo radicale. Leggendo il libro di Israel si
ha limpressione che il passato assomigli troppo al futuro e al punto
di vista ideologico dello scrittore.
Si annulla cos quel salutare effetto di straniamento che ogni buon
libro di storia dovrebbe provocare nel lettore. Se fino a qualche
tempo fa gli storici erano accusati
di scrivere libri incomprensibili e
inutili, oggi esempi come quello
di Israel mostrano che in atto un
salutare cambio di rotta. Non sono
pochi, infatti, i saggi di storia che
ormai si leggono piacevolmente,
quasi come un romanzo. Viene da
chiedersi, per, se il prezzo da pagare per ottenere questo risultato
non sia a volte troppo oneroso. Se
semplifica troppo il suo ragionamento, lo studioso finisce per perdere autorevolezza e pu perfino
capitare al lettore, anche a quello
pi avvertito, la strana esperienza
di rivivere la piacevole sensazione
della scoperta non tra le pagine di
un libro accademico come quello
scritto dallo storico di Princeton,
ma leggendo un romanzo storico
sulla rivoluzione di enorme successo come quello firmato dalla
scrittrice inglese Hilary Mantel (di
recente tradotto in italiano in tre
volumi da Fazi col titolo La storia
segreta della rivoluzione, 20142015), che in alcuni passi meglio
di Israel sa restituire gli uomini al
loro tempo, gli umori, gli odori, la
storia quotidiana di persone che
pensavano, parlavano, scrivevano
e agivano in un modo e in un mondo pi complesso, ma non meno
n
affascinante.
ddibartolomeo@unite.it
D. Di Bartolomeo insegna storia moderna
allUniversit di Teramo

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35

N. 5

Storia

Si fa quel che si pu,


sperando di indovinare
di Arnaldo Testi
Tiziano Bonazzi
Abraham Lincoln
Un dramma americano
pp. 312, 22,
Il Mulino, Bologna 2016

otrei essere pi presidenziaP


le di chiunque di chiunque tranne che del grande Abe

Lincoln. Lui era molto presidenziale. Cos dice Donald Trump,


che potrebbe essere il prossimo
candidato repubblicano alla presidenza e magari il prossimo presidente degli Stati Uniti. Anche per
lui, dunque, Lincoln una figura
superiore agli altri nel pantheon
degli statisti americani, persino,
bont sua, di una spanna superiore al monumento che Trump ha
di se stesso. Il grande
Abe Lincoln: lo chiama cos, con una familiarit che tipica pi
dei ricordi scolastici che
della
frequentazione
dei presidential studies.
Il grande Abe, che era,
per chi lo conosceva
bene, lesatto opposto
di ci che The Donald
potrebbe mai essere: Era privo di
ogni disgustoso egoismo e pomposo orgoglio, non si sentiva un
aristocratico, n aveva alterigia o
vanit. Tutte assieme le sue qualit
naturali lo rendevano un gentleman mite, quieto e riservato.
A scrivere queste cose di Lincoln
, nel 1889, uno dei suoi primi biografi, amico e partner in affari. La
citazione tratta dal suo biografo
pi recente, Tiziano Bonazzi, che
in queste trecento pagine (poche
per gli standard editoriali delle vite
lincolniane, spesso multi-volume)
offre al pubblico italiano unopera
meditata, moralmente complessa e, va da s, storiograficamente
aggiornata. Bonazzi partecipa infatti alla ricca discussione che si
svolta fra gli storici negli ultimi
anni, in occasione del 150 anniversario della guerra civile e della
sua conclusione con lassassinio
dello stesso Lincoln. E usa la sua
curiosit intellettuale e sensibilit
morale per esplorare le ironie e le
trappole delle passioni e dei comportamenti umani, per rendere lanalisi e la narrazione complesse a
diversi strati di complessit. Scrive
a proposito di una certo impegnativo passaggio: Occorre procedere per velature come nella pittura
cinquecentesca per descriverlo.
Ecco, questo fa in tutto il libro.
Lanalisi del contesto in cui si
forma e opera Lincoln offre a Bonazzi lopportunit di commentare i grandi nodi della storia degli
Stati Uniti, dalle esperienze rivoluzionarie e costituenti fino ai grandi
drammi ottocenteschi che sono al
centro del libro. La ricostruzione
storica attenta alle specificit
nazionali ma anti-eccezionalista.
Le vicende americane sono sempre concettualizzate nel quadro di
quella che Bonazzi, qui e altrove
nei suoi scritti, chiama la grande
Europa. La storia del paese vista come parte integrante di quella
dellEuropa e della diaspora europea oltreoceano. La (fondatissi-

ma) convinzione che i principi


del 1776 e del 1787, la creazione
dello stato, lespansione territoriale e la nascita della repubblica
democratica, la costruzione della
nazione unitaria e la secessione,
lemancipazione e labolizione della schiavit, non siano comprensibili se non nellambito di processi
che investivano lintero mondo
transatlantico. Trattandosi di una
biografia, il filo conduttore del libro langosciato percorso personale e politico di Lincoln attraverso tutto questo, la sua capacit
di crescere e imparare, soprattutto
avvicinandosi alla presidenza e poi
da presidente. Bonazzi al meglio
nellanalisi dei testi lincolniani che
consentono di penetrare, per quanto sia possibile, nel lavorio della
mente del suo protagonista, nel procedere
della sua ricerca personale, nelle ragioni delle
sue decisioni. Le sfide
centrali che Lincoln affronta sono riassumibili in una prima coppia
di parole-chiave, nazione e razza, e nel loro
intreccio storico nella
schiavit. La nuova idea di nazione che si affaccia nei suoi discorsi
degli anni cinquanta, evocando il

linguaggio romantico europeo, si


fonde con la ripresa degli ideali
illuministi della Dichiarazione di
indipendenza e infine matura nel
discorso di Gettysburg del 1863.
Nel corso del conflitto Lincoln
giunge cos a chiarire a se stesso,
ai concittadini e al mondo che lo
scopo della guerra non pi solo
il ripristino dellunit statuale, ma
diventato la ricostituzione di una
comunit nazionale organica dedicata al principio che tutti gli uomini sono creati eguali, una nazione
senza schiavi.
Sar questa una nuova era di
giustizia? In effetti no, perch la
nuova nazione nasce minata dal
razzismo. Il razzismo ovunque
nella societ bianca, nel sud e nel
nord, anche fra gli anti-schiavisti,
anche fra gli abolizionisti radicali,
anche in Lincoln. Lincoln ha da
sempre una personale repulsione
per la schiavit; la ritiene immorale, uno strumento che impedisce
allumanit dei neri di svilupparsi,
perch solo il lavoro libero garantisce la piena dignit umana. I neri
sono dunque per lui parte dellumanit, ma ci non significa che
siano uguali ai bianchi. In effetti
li considera inferiori: possono essere liberi ma non mescolarsi con
i bianchi, possederne gli stessi diritti. Di nuovo la guerra a spingere Lincoln a cercare in se stesso
e a cambiare. Solo con il proclama
di emancipazione, con larruolamento degli ex schiavi nellesercito unionista, con le discussioni
sullemendamento costituzionale
che abolisce la schiavit, solo allora comincia a elaborare la nozione

che libert e uguaglianza possano


coincidere.
C una seconda coppia di
parole-chiave che cruciale per
comprendere la mente di Lincoln,
e anche un po di quella del suo
biografo. La coppia religione
e storia. Bonazzi dedica grande
attenzione alla religiosit del suo
soggetto, un dato importante nei
religiosissimi Stati Uniti. Lincoln
fatto a modo suo, un libero

La nascita delleconomia cristiana


di Massimo Vallerani
Giacomo Todeschini
La banca e il ghetto
Una storia italiana

pp. 239, 22, Laterza, Roma-Bari 2016


ellItalia degli stati regionali e delle citt
N
tra Quattro e Cinquecento presero forma due istituzioni contrapposte e speculari: la

banca da un lato, sede del prestito del denaro a


interesse legalizzato; il ghetto dallaltro, luogo
delimitato del piccolo commercio del denaro
a usura, tollerato ma pubblicamente relegato
allesterno del circuito economico virtuoso che
alimentava il corpo civico cristiano. Il libro di
Todeschini vuole ricostruire la nascita delle
due facce delleconomia cristiana: una interna
e costitutiva del corpo civico, laltra esterna e
potenzialmente distruttiva. Il centro dellanalisi, come si capito, il concetto di corpo civico,
e ancora di pi il suo mantenimento dovuto
alla sacralizzazione del debito pubblico sostenuto dai cittadini: prestare allo stato e ricevere
un interesse non solo era lecito ma era anche
moralmente giusto. Questa funzione positiva,
in teoria aperta a tutti, era nei fatti riservata a
una ristretta lite di mercanti finanziatori, che
sapevano come radunare e come spendere il
denaro necessario per la felicit della repubblica. Si form cos unlite multiforme e onnicomprensiva, che distribuiva sapientemente
gli incarichi e i carichi secondo una logica allo
stesso tempo comunitaria e personale, familiare e statale. Dalle pagine di Todeschini questa
continuit dei piani emerge bene come caratteristica di fondo di unoligarchia bancaria che
si fa anche statale cambiando le regole del gioco politico in maniera irreversibile.
La saldatura tra fortune private e ricchezza
pubblica sotto la copertura ideologica e con-

tabile del debito pubblico cre un sistema di


governo fortissimo e chiuso, portato naturalmente alla discriminazione e allautoriproduzione. Un sistema perennemente in difesa dagli attacchi di una massa di sub-cives di scarso
peso economico, incapaci di fare e di capire
i giochi dello scambio e quindi inadatta al
governo della citt. Si assiste quindi a uninesorabile svalutazione, in tutti i sensi, della loro
attivit minuta e irrilevante sul piano delle finanze pubbliche. Il prestito ebraico rientr in
questo processo di emarginazione: tollerato
ma svalutato ritualmente, utile per la piccola
economia quotidiana, per i bisogni dei corpi di
poco valore, ma esterno e staccato dal grande
corpo civico collettivo. I prestatori ebrei, attori estranei per lingua, religione e provenienza
dalla societ cittadina, furono quindi i portatori (inconsapevoli?) di unidea svalutata di economia, che nelle cose e nelle persone doveva
mostrare pubblicamente la sua estraneit alla
vera economia cristiana. Il ghetto lesito inevitabile di questa opera di separazione sociale
e politica messa in atto dalle oligarchie italiane
del XV secolo: un luogo fisicamente separato
dove concentrare questi circuiti economici
bassi, carnali, fisici e destinati al consumo immediato senza prospettive di sviluppo, esterni
alla ricchezza collettiva.
Fu veramente una storia italiana allora?
Cosa differenzia il caso italiano dalle parallele vicende delle citt europee che in molti
casi videro una affermazione simile delle lite
finanziarie? Forse lassenza di una presenza
diretta del potere regio che immettesse queste
oligarchie in un assetto politico superiore, costringendole a coordinarsi con enti e interessi
diversi e pi alti. In Italia, al contrario, il dominio cittadino, locale e familiare di queste oligarchie rimasto immutato per secoli.

pensatore che legge la Bibbia per


i suoi contenuti morali, che non
si riconosce in alcuna denominazione, che parla di dio ma mai di
Cristo. Il suo un dio inconoscibile, che agisce nel mondo per scopi che sono noti a lui ma non agli
uomini, che si serve dei contradditori disegni umani per realizzare
il proprio. E ci ha conseguenze
politiche, evidenti in particolare
nel suo secondo discorso inaugurale, a guerra quasi finita. Lincoln
non pretende di conoscere la volont di dio, di condurre crociate
in suo nome, non neanche sicuro
che la sua parte sia nel giusto, non
sente di avere lautorit di dividere il paese fra giusti e ingiusti, di
condannare lintero popolo meridionale. Il peccato della schiavit
, allorigine, il peccato di tutti gli
americani. per questo che dice:
con rancore verso nessuno, con
carit verso tutti.
Se i disegni di dio nel mondo
sono inconoscibili, ci pone a Lincoln il problema del ruolo della
agency umana nella storia, del ruolo attivo che gli individui possono
avere dentro quegli ignoti disegni. La tensione potrebbe essere
paralizzante, portare al fatalismo
e allimmobilismo. Non Lincoln
che, spinto dalla sua irresistibile
spinta a fare, risolve la tensione
con lironia: si fa quel che si pu,
sperando di indovinare, di far
bene, consapevoli che impossibile prevedere i risultati delle proprie azioni, che la storia per noi
imprevedibile. Queste laiche convinzioni di Lincoln sembrano congeniali allapproccio storiografico
di Bonazzi. Che fra laltro scrive:
oggi che sono cadute le grandi filosofie della storia, la storia pu servire come un esercizio di pietas
nei confronti degli esseri umani.
Pu servire per comprendere lincertezza e lo smarrimento in cui le
persone in carne e ossa che sono i
nostri antenati si sono trovate ad
agire, e quindi le loro passioni morali e gli scandali, le furie e i peccati. Appunto, lincolnianamente,
con rancore verso nessuno, con
carit verso tutti.
n
arnaldo.testi@unipi.it
A. Testi insegna storia e istituzioni delle
Americhe allUniversit di Pisa

36

N. 5

Come congiungere ora


legoismo alluniversale?
di Pier Paolo Portinaro
Axel Honneth
Il diritto della libert
Lineamenti per
uneticit democratica
ed. orig. 2015, trad. dallinglese
di Carlo Sandrelli, prefaz. di Gstavo
Zagrebelsky, pp. 528, 35,
Codice, Torino 2015

ue autori hanno dominato,


D
negli ultimi due secoli e con
alterna fortuna, il discorso sul-

la specifica forma politica della


modernit occidentale, lo stato
costituzionale (liberale prima,
democratico poi): Kant e Hegel.
Lascesa di Kant stata lenta e
discreta, fino ad affermare la sua
egemonia nellet dello stato costituzionale
dei diritti (quindi nella
seconda met del Novecento). Hegel laveva
fatta da padrone prima,
nelle culture politiche
nazionali (in varie ibridazioni), fino al trionfo
e alla catastrofe dello
stato etico: ma, dopo
la messa al bando come
nemico della societ
aperta allindomani
delle ubriacature statolatriche,
ha recuperato progressivamente
terreno, esibendo la sua capacit di fornire solide architetture
concettuali anche alle democrazie
parlamentari e welfariste degli ultimi decenni. Al culmine di questa
riabilitazione si colloca lopera del
maggiore erede della Scuola di
Francoforte, e direttore del sempre vitale Institut fr Sozialforschung, Axel Honneth. Contro le
teorie della giustizia e le filosofie
politiche normative che configurano ormai una sorta di scolastica del kantismo, e si mostrano
incapaci di cogliere leticit di
pratiche e istituzioni determinate, questo autore ripropone uno
Hegel insuperato teorico della
societ moderna, in grado cio
di ancorare lidea di giustizia alle
concrete lotte per il riconoscimento dei soggetti sociali. Fin dalle
prime pagine della Premessa, la
volont di seguire il modello della
Filosofia del diritto hegeliana
dichiarata. Ovunque pu, lautore
aderisce allargomentare hegeliano
e alle sue costruzioni triadiche. Le
tre sezioni del libro sono dedicate
rispettivamente allidea (astratta)
di giustizia, alla possibilit della
libert e alla realt della libert. E se le prime due parti del
libro intrecciano, altrimenti che
nella sistematica hegeliana, diritto
astratto e morale, la terza parte ricalca piuttosto fedelmente la partizione famiglia-societ civile-stato
in cui si scompone leticit (ora
ripartita nei sistemi istituzionali
dei rapporti personali, del mercato
economico e della sfera pubblica
politica), arricchendola di excursus
storici e aggiornandola alla sensibilit contemporanea. Cos, pi
che insistere con accenti tradizionalistici sulla radice etica della
famiglia, ampio spazio riservato
allamicizia in senso moderno e
alle relazioni intime; pi che concentrarsi sulla dialettica del siste-

ma dei bisogni, ci si sofferma a indagare le decisioni di mercato e in


particolare il mercato del lavoro in
una prospettiva di responsabilit
sociale; pi che soffermarsi sul
modello burocratico, centralistico
e limitatamente liberale dello stato
di diritto hegeliano, si scandagliano le opportunit di ridefinirlo in
termini di eticit democratica.
Si pu riassumere in una formula
il senso delloperazione, un po
barocca, compiuta in questo libro, dicendo che il suo intento
riattualizzare la filosofia politica
hegeliana ritraducendola nel lessico dellintersoggettivit, vale a dire
riplasmandola con lausilio delle
categorie messe a punto da Habermas, soprattutto nella Teoria
dellagire comunicativo
(mondo della vita, sistema, comunicazione discorsiva, sfera pubblica
democratica, obblighi
normativi).
Ci che il libro propone dunque una
grandiosa genealogia
dellidea di libert,
scomposta e ricomposta nelle sue determinazioni
essenziali,
come libert negativa
(assenza di costrizioni esterne), libert riflessiva (autonomia e autodeterminazione) e libert sociale o
istituzionale la libert non gi dal
collettivo ma nel collettivo, inteso
il collettivo non gi come comunit
soggettivamente sentita ma come
totalit articolata di istituzioni
relazionali consapevolmente vissute (quanto Hegel compendiava
nel concetto di spirito oggettivo). La tesi centrale che il motore dei processi che hanno
portato allaffermazione dei
principi istituzionalizzati
di libert non in primo
luogo il diritto, ma sono
le lotte sociali per la loro
adeguata comprensione e
i cambiamenti di condotta
che ne derivano; perci,
anche lorientamento pressoch esclusivo della teoria
della giustizia contemporanea verso il paradigma del
diritto un errore teorico.
Quello che qui si configura pertanto un ritorno
almeno parziale a Marx (e
per chi sia alla ricerca di
unefficace sintesi del faticoso percorso intrapreso in
questo libro suggerisco di
ricorrere a un altro saggio
di Honneth recentemente
tradotto: Sulla povert della
nostra libert. Grandezza e limiti
della dottrina della vita etica di Hegel, in Filosofia politica 2016/1).
Questa ricostruzione della filosofia politica hegeliana (con un
prudente e circonstanziato recupero di qualche tesi marxiana) ha
sicuramente il pregio di mostrare
come essa abbia saputo decifrare
le logiche sociali e politiche del
moderno, mantenendo intatta la
sua potenzialit esplicativa fino alla
stagione del welfare state, del capitalismo postindustriale e delle istituzioni postdemocratiche. Ma ora
gli scricchiolii si fanno di giorno in
giorno pi preoccupanti. Per He-

Politica
gel la filosofia giungeva a compimento del processo di formazione
della realt, e il filosofo non poteva
che esprimere compiacimento per
la conciliazione di reale e razionale
e fiducia nel fatto che la colonizzazione del reale da parte della ragione fosse destinata a proseguire, faticosamente ma inesorabilmente, il
suo cammino. Oggi questa fiducia
venuta meno e non un caso che
la divaricazione tra fattualit e modelli normativi si faccia sempre pi
insostenibile (e non si pu negare
che Honneth abbia ragione a manifestare tutta la sua insoddisfazione
nei confronti delle egemoni teorie
della giustizia di matrice kantiana
ben rappresentate anche fra le
giovani generazioni della Scuola
di Francoforte, come documentano i volumi della collana Habermasiana, curata da Leonardo
Ceppa per leditore Trauben, che
include anche, a cura di Cristina
Caiano, due saggi di Honneth: La
stoffa della giustizia e I limiti del
proceduralismo, 2010). Anche il
simpatetico prefatore delledizione italiana, Gustavo Zagrebelsky,
non pu fare a meno di osservare,
in conclusione, che: La libert
sociale e lagire comunicativo, nel
quadro di una giustizia minima necessaria ad assicurare lonest della
comunicazione, appaiono sempre
pi chiaramente come le chimere
di ci che resta della democrazia
nel nostro tempo. Pur con tutta la sua attenzione alle patologie
sociali, Honneth continua invece
ad aggrapparsi, con gesto nostalgico, alla speranza che nellalveo di
istituzioni volte alla realizzazione
della libert possa svilupparsi una
cultura europea di attenzioni condivise e di solidariet allargate.
Non sembra avvertire (dovremmo
qui dire: recalcitra kantianamente ad ammettere) che nel nuovo
orizzonte della globalizzazione il
noi delle relazioni personali sta
implodendo davanti al risorgere

degli egoismi, dei tribalismi, dei


moralismi insofferenti alla mediazione; che il lavoro, cui Hegel
attribuiva la funzione di congiungere legoismo alluniversale, sta
diventando veicolo di particolarismo e privilegio di pochi; e che la
democrazia costituzionale, come
forma politica di un mezzo secolo di transizione, si scopre sempre
pi disarmata davanti alle minacce
che insidiano il suo patrimonio di
plurali libert.
n
pierpaolo.portinaro@unito.it
P. P. Portinaro insegna filosofia politica
allUniversit di Torino

Senza Marx
nessuna socialdemocrazia
di Stefano Petrucciani
Massimo L. Salvadori
Democrazia
Storia di unidea
tra mito e realt

pp. 508, 35,


Donzelli, Roma 2015
ra i molti libri sul tema delT
la democrazia che sono stati
pubblicati di recente, quello di

Massimo L. Salvadori costituisce


indubbiamente un contributo importante. Nelle cinquecento pagine di cui il testo si compone, infatti,
lautore traccia una storia ricca ed
esauriente del pensiero democratico dalle origini greche fino a noi;
terminando, negli ultimi due capitoli, con una diagnosi
accurata e, direi, anche
spietata, delle condizioni in cui versa la democrazia contemporanea.
Nellimpossibilit
di
ripercorrere punto per
punto unanalisi che
sempre rigorosa e
dettagliata, mi limito a
mettere in evidenza alcuni snodi che il libro
illumina in modo particolarmente penetrante,
o dove la ricostruzione dellautore
si caratterizza per la sua originalit.
Pagine particolarmente ricche
sono, a mio avviso, quelle che Salvadori dedica alla vera e propria
nascita politica della democrazia
moderna, e cio alle rivoluzioni
francese e americana. Per quanto
riguarda la prima, dallampia ricostruzione di Salvadori emerge molto bene come la nascita della democrazia europea, che negli eventi
francesi ha un momento di passaggio cruciale, sia gi caratterizzata
da una divaricazione di prospettive, che segner gli sviluppi dei due
secoli seguenti. Da un lato vi una
democrazia che si mantiene dentro
il quadro del liberalismo, ossequiosa del sacro diritto di propriet,
disponibile anche, come lo uno
dei principali teorici del terzo Stato, Sieys, a mantenere requisiti
di censo per laccesso al diritto di
voto. Dallaltro vi sono coloro che,
a partire da Robespierre, pensano
la democrazia politica come strettamente collegata a una espansione
nel senso della democrazia sociale. Nel pensiero politico del capo
giacobino, infatti, leguaglianza
nei diritti politici si collega a ben
precise coordinate di eguaglianza
sostanziale: La prima legge della societ () si legge in un bel
passo citato da Salvadori , quella
che garantisce a tutti i membri della societ i mezzi desistenza; tutte
le altre sono subordinate a questa;
la propriet stata istituita e garantita solo per consolidarla; ma essa
non pi legittima quando le sue
conseguenze si dispiegano fino al
punto da minacciare la sussistenza
degli uomini. Ogni speculazione
mercantile che io faccio sulla vita
del mio simile non un traffico, ma
un brigantaggio e un fratricidio.
La democrazia, dunque, si dice
fin dallinizio in modi contrapposti
e alternativi: dalla radicalizzazione
della visione sociale ed espansiva
della democrazia nasce, gi alla fine

del Settecento, con Gracco Babeuf, la torsione comunistica che,


sviluppandosi prima sotterraneamente e poi in modo eclatante, conoscer la sua parabola ascendente
e discendente in quel secolo breve
che stato il Novecento. Nellutopia egualitaria di Babeuf, non priva
di aspetti autoritari, Salvadori vede
gi in germe gli esiti che il comunismo conoscer con la dittatura bolscevica che seguir alla rivoluzione
russa del 1917. E non si pu dire
che abbia tutti i torti.
Gi a partire da qui si pu dunque comprendere qual il filo rosso che, se leggiamo bene, sottende
la ricostruzione storica di Salvadori: il pi conseguente pensiero democratico quello che
(prendendo le distanze
sia dallindividualismo
proprietario liberale, sia
dal collettivismo egualitario che, ricercando
una democrazia compiuta, finisce per sopprimere la democrazia
stessa) cerca di sintetizzare la difesa liberale dei
diritti e del pluralismo
con le istanze sociali sostenute dai movimenti
popolari. In questa prospettiva si
inscrivono John Stuart Mill, con
la sua proposta di un socialismo
liberale; Giuseppe Mazzini, di cui
Salvadori rivendica la modernit
invitando a non lasciarsi scoraggiare dai continui riferimenti alla
provvidenza, a dio e al dovere che
si trovano nelle sue opere; ma anche i marxisti revisionisti come
Kautsky che, dopo essere stato un
difensore dellortodossia contro
Bernstein, diventa un critico severo del bolscevismo e propugna una
visione gradualista (a Kautsky, tra
laltro, Salvadori aveva dedicato
uno dei suoi primi studi importanti). Una condanna senza appello
pronunciata invece per quanto
riguarda il pensiero di Marx sulla
questione della democrazia.
A proposito del pensatore di
Treviri, per, si potrebbero addurre due argomenti a discarico. Primo: se vero che il lato propositivo del suo pensiero si scontrato
con le dure repliche della storia, il
lato analitico potrebbe essere ancora molto attuale. Lo dimostra la
stessa riflessione di Salvadori sulla
democrazia contemporanea, presa
drammaticamente in ostaggio dai
grandi poteri sovranazionali del
capitalismo finanziario. Secondo:
se vero come sostiene Salvadori
che i risultati pi importanti conseguiti dalla democrazia sono stati
quelli che si devono alla battaglia
condotta dalle forze socialdemocratiche, altrettanto certo che,
senza la rottura teorica segnata da
Marx, non ci sarebbe stata neppure la socialdemocrazia, nata dal suo
insegnamento, pur virandolo in
senso via via pi gradualista. E se
i socialdemocratici non sono stati
eredi diretti di Marx, bisogna dire
che non lo stato neppure il bolscevismo.
n
petrucciani@tin.it
S. Petrucciani insegna filosofia politica alla
Sapienza di Roma

37

N. 5

Societ

Ordine politico e pluralismo estremo


di Sergio Fabbrini
Alessandro Cavalli
e Alberto Martinelli
La societ europea
pp. 352, 24,
Il Mulino, Bologna 2015

entre lUnione europea in


M
difficolt, la letteratura che
la riguarda invece in crescita, in

particolare quella di lingua inglese. I volumi sulle caratteristiche e


la trasformazione dellUe riempiono vaste sezioni delle biblioteche
universitarie. Gran parte di quei
volumi ha tuttavia una caratteristica: trattano aspetti specifici della
politica e delle politiche dellUe,
oppure dellorganizzazione economica dellarea delleuro, oppure
delle vicende storiche che hanno
segnato il processo di integrazione. Il volume di Cavalli
e Martinelli, invece, si
distingue per un approccio olistico allUe:
un approccio che solamente due scienziati
sociali di grande cultura e vasta esperienza
potevano adottare. Nei
dodici capitoli, tutti i
grandi temi legati alla
trasformazione dellEuropa sono discussi dettagliatamente, secondo
un ordine logico di tipo weberiano. Si parte dai grandi temi fondativi dellEuropa (lidentit europea, il nazionalismo, le lingue,
le religioni, le universit, le citt,
la popolazione) per passare poi
al sistema politico dellUnione (le
istituzioni e i partiti e i gruppi) e ai
sistemi di welfare ed economico,
per discutere quindi la gestione
della crisi economico-finanziaria
e concludere, infine, con una riflessione sul futuro dellUe. Ogni
capitolo scritto in modo chiaro
e comprensibile. Il libro rivolto
non solamente agli addetti ai lavori, ma soprattutto ai giovani e agli
studenti che stanno costruendo
lEuropa integrata con i loro spostamenti transnazionali e le loro

Indice - teju cole.indd 1

aperture mentali. Insomma, come


dicono gli autori, dedicato alla
generazione Erasmus.
Se molti sono i fili narrativi che
gli autori seguono, tuttavia la direzione della narrazione appare
univoca e chiara: come coniugare
il formidabile pluralismo europeo
con la formazione di un necessario ordine politico in Europa. La
prima parte del libro si sostanzia
in una ricostruzione sistematica
delle basi del pluralismo europeo.
Per gli autori, la forza dellEuropa risiede nella molteplicit delle
sue identit culturali, delle sue
lingue nazionali e regionali, delle
sue convinzioni religiose e laiche,
delle sue universit e citt, della
sua popolazione differenziata e
socialmente evoluta. La modernit europea per definizione pluralistica, anzi consiste
nel consentire il perseguimento di progetti
di modernit diversi e
non sempre facilmente
conciliabili. LEuropa
fatta di molti e diversi
demoi, non gi di un
unico demos. Certamente, la formazione e
il consolidamenti degli
stati nazionali hanno
contribuito potentemente a uniformare le
identit, le lingue e le regioni di
chi viveva in quegli stati, creando
sentimenti di appartenenza a tradizioni e miti quindi definiti come
costitutivi della nazione. Tale processo di uniformit si dimostrato
pi retorico che empirico. Anzi, il
processo di integrazione, riducendo il controllo degli stati nazionali
sui loro cittadini e territori, ha favorito o legittimato la riemersione
di identit, lingue e religioni radicate in comunit sub-nazionali,
mai definitivamente cancellate.
Con linvecchiamento della popolazione europea e larrivo di comunit extra-europee di migranti,
il pluralismo si inevitabilmente
accentuato, aggiungendo nuove
identit, nuove lingue e nuove

religioni a quelle esistenti. La societ europea del XXI secolo si


presenta dunque come un microcosmo universale. Naturalmente,
tutto ci rappresenta una sfida
esistenziale per chi ha costruito
la propria sicurezza, economica
e sociale, nelluniformit delle
comunit nazionali o addirittura
locali. Di qui, la mobilitazione del
sentimento di insicurezza che ogni
migrazione produce, finalizzata
ad alzare le barriere culturali e a
chiudere frontiere territoriali. Per
Cavalli e Martinelli il pluralismo
europeo non si pu neutralizzare
con il protezionismo, anche perch quel pluralismo costitutivo
della storia europea, sin dalle sue
origini nellesperienza di Roma
antica. Tuttavia, quel pluralismo
deve essere ricondotto a un ordine
politico che, seppure diverso dallo stato nazionale o dalle coese comunit sub-nazionali, si dimostri
in grado di regolare positivamente
le relazioni tra le sue componenti. Peraltro, argomentano Cavalli
e Martinelli, il pluralismo nazionale-culturale europeo diverso
dal pluralismo etnico-culturale
che ha connotato storicamente
gli Stati Uniti. Questultimo stato storicamente costituito da una
moltitudine di gruppi nazionali,
tuttavia quei gruppi, una volta
giunti nel paese, hanno cercato
di integrarsi in una cultura diversa dalla loro, anche se inclusiva
della loro specifica diversit. In
Europa, invece, siamo di fronte
a un pluralismo tendenzialmente
pi statico, in quanto le differenze
culturali tendono a coincidere con
stati nazionali o regioni sub-nazionali distinte. poco plausibile,
dunque, ipotizzare un processo
di melting pot in Europa, mentre
quel processo ha funzionato, pi o
meno, negli Stati Uniti. Lestremo
pluralismo nazionale e culturale
dellEuropa una ricchezza, ma
anche una sfida. Lasciato a s
stesso oppure regolato da modelli
istituzionali inadeguati, esso pu
degenerare in conflitti che potrebbero mettere in discussione prin-

18/04/16 11.26

cipi costitutivi dellEuropa, come


la tolleranza e la convivenza. Ed
quello che gi si vede nella reazione violenta di giovani mussulmani, di seconda e terza generazione,
cresciuti in quartieri-ghetto ai
bordi delle principali citt metropolitane europee. La sfida, allora, quella di creare un ordine
politico che possa preservare le
differenze, pur ricomponendole
allinterno di sistemi differenziati
di convivenza politica. LEuropa
dei molti demoi deve fondarsi sul
mutuo riconoscimento tra i vari
popoli, oltre che sullaccettazione
del principio di non-dominazione
da parte dei loro stati nazionali, in
particolari i pi grandi. Ed qui
che entra in gioco la seconda parte
del libro, cio i capitoli che discutono il sistema politico e le istituzioni dellUe. Sul piano istituzionale, lUe non potr mai diventare
uno stato federale seppure in
grande. Non solamente perch
non dispone di un singolo demos,
ma anche perch la centralizzazione implicita nello stato federale
incompatibile con la asimmetria demografica e materiale tra
i suoi stati membri. Piuttosto il
modello dellunione federale che
lUe dovrebbe consapevolmente
sperimentare, in quanto basato
su bassa centralizzazione e alta
autonomia degli stati membri. Gli
autori riconoscono la natura necessariamente unionista e non
statalista dellUnione, tuttavia
non ne tirano le conseguenze.
Per esempio, argomentano a favore di una parlamentarizzazione
dellUe, di una trasformazione
della Commissione in un governo
parlamentare, senza riconoscere
che un simile processo sarebbe incompatibile con ununione di stati
asimmetrici e differenziati.
Dopo aver spiegato la natura
composita (o compound) delle istituzioni europee, Cavalli e Martinelli si sono quindi misurati con le
divergenze interpretative di quella
natura composita. Nel solco degli
studi che hanno messo in discussione la narrativa di un futuro

comune per lEuropa, futuro reso


ancora pi improbabile dagli effetti della gestione della crisi economico-finanziaria, gli autori del
volume si sono quindi cimentati
a identificare un disegno di riforma dellUe che tenesse nel dovuto conto il pluralismo nazionale e
culturale, da un lato, e la necessit
degli stati membri dellEurozona
di dotarsi di strutture per prendere decisioni efficienti e legittime.
Gli autori non definiscono terminologicamente la loro proposta,
anche se essa appare coerente con
una visione a cerchi concentrici
dellUe, in quanto costituita da un
gruppo centrale di paesi impegnato a costruire una vera e propria
comunit politica, ed altri paesi
invece collocati in cerchi laterali
ed impegnati a collaborare intorno a specifici regimi di policy.
Nei fatti gi cos. LUe di gi
altamente differenziata sul piano
istituzionale, una differenziazione
costituzionalmente regolata dalla
clausola di opting-out. Clausola
che concerne sia la possibilit di
non partecipare a specifici regimi
di policy (come lUnione economica e monetaria) sia la possibilit di non riconoscere parti dei
Trattati o lintera Carta dei diritti.
Occorre quindi domandarsi se
questa unione a cerchi concentrici
sia sufficiente per governare sia i
conflitti di interesse tra gruppi
di paesi che partecipano a cerchi
diversi come nel caso dellunione
bancaria, che le sfide collettive che
coinvolgono tutti i paesi in tutti i
cerchi, come nel caso del terrorismo o delle migrazioni. Ma naturalmente, come viene ricordato
nelle conclusioni, il futuro dellUe
aperto. Alla fine, la sua evoluzione o trasformazione dipenderanno dalle scelte che fanno i cittadini
europei. Questo libro un ottimo
strumento per aiutarli a scegliere
con conoscenza.
sfabbrini@luiss.it
S. Fabbrini insegna scienza politica e relazioni
internazionali allUniversit Luiss di Roma

38

N. 5

La miseria del funzionalismo


di Cristina Bianchetti e Luis Martin Sanchez
Colin Ward
Architettura
del dissenso

Forme e pratiche alternative


dello spazio urbano

a cura di Giacomo Borella,


trad. dallinglese di Achille Brambilla,
Giacomo Borella e Daniella Engel,
pp.160, 14,
Eluthera, Milano 2016
attacco al riduzionismo funL
zionalista, quarantanni fa
veniva portato avanti entro al-

meno due angolazioni diverse.


Entrambe talmente note da aver
costruito vere tradizioni di studi. Da un lato Henri Lefebvre, a
sfidare lortodossia marxista e rifondare unidea di diritto in senso esteso, contro la burocratizzazione della citt. Dallaltro lato,
la pista anarchica di Colin Ward.
La critica al riduzionismo funzionalista sembra essere gi tutta
l, compresa nelle parole di Lefebvre e di Ward, nei
loro attacchi alla tecnocrazia e alla pianificazione, cui si imputa
lincapacit di essere
adattiva, di cogliere la
variet, di permettere
altri usi, di evitare gli
sprechi di un ricominciamento
continuo.
Naturalmente sia nelle
posizioni di Lefebvre,
sia in quelle di Ward
c molto altro, ma il
contrasto al funzionalismo chiarissimo: incapace di costruire ambienti adattabili e malleabili, di
permettere riusi, ricicli e commistioni di usi. Soprattutto incapace
di concepire una citt che si regge
su un reciproco adattamento degli usi e degli spazi; su movimenti
che non sono mai definitivi.
Il libro pubblicato da Eluthera
Architetture del dissenso. Forme e
pratiche alternative dello spazio
urbano, nella grande variet degli
spunti che contiene, richiama soprattutto questo tema. Si tratta di
dodici interventi, tradotti per la
prima volta in italiano, che documentano le riflessioni di Ward su
architettura e urbanistica. Sono
compresi tra il 1962 e il 2002 e
nascono da occasioni diverse:
programmi radiofonici, conferenze, due capitoli di uno splendido libro, Arcadia for all (scritto
con Dennis Hardy e pubblicato
da Five Leaves Publications nel
1984). Forse non i due migliori
capitoli di una riflessione che gli
autori conducono sui potlands
del sud dellInghilterra, insediamenti sparpagliati e irregolari
formatisi nei primi decenni del
Novecento come paesaggio dei
poveri e solo in seguito ibridati
degli interessi di bohmien, artisti e ceti medi: un caleidoscopio
di baracche, carrozze ferroviarie e alloggi arrangiati in tutti i
modi che colonizzano territori di
frangia, spesso poco appetibili e
scarsamente produttivi. Sulla copertina del libro di Hardy e Ward
sono ritratti, in una fotografia degli anni venti, i corpi di giovani
donne che ballano sulla spiaggia,
in costume da bagno (Stedman
Collection): una fotografia mol-

to evocativa. Il giocare da soli (


la Robert Putnam), volgendo le
spalle alla citt e alla modernit,
anche libert e leggerezza. La
leggerezza bene resa dallespressione francese corp perdu che
indica lagire senza badare a conseguenze, con noncuranza, che
esalta il primato del corpo sulla
ragione. Perch questo ci raccontano i due autori: il senso di
felicit che deriva non tanto dal
possesso di un pezzo di terra, ma
dalla convinzione di creare da s
una piccola realt a partire da
una scelta personale. Senza fare
cortocircuiti troppo stretti, che
sarebbero sbagliati, c molto in
tutto questo della stagione della
dispersione degli anni novanta.
Ovvero della costruzione di insediamenti lontani dalle citt compatte, spesso osteggiati come deturpanti, a volte celebrati, come
nella recente mostra a cura di
Olivio Barbieri e Pippo Ciorra,
La citt perfetta, che ripercorre i
quattrocento chilometri della costa adriatica da Vasto a
Ravenna (installazione
Maxxi, Roma 2015).
I dodici scritti compresi nel libro aprono
a molto altro. Letture
di edifici e di spazi:
gli orti come elemento
familiare e onnipresente nel paesaggio
britannico da quasi
duecento anni, ovvero la soluzione pi banale del progetto urbano contemporaneo; o la citt a grana fine,
lascito della stagione antecedente
il fordismo. Tutto restituito in
modo attento e puntiglioso, pervaso dalla passione militante di
un pensatore che palesa, quasi a
ogni passo, la propria passione
politica. Richiamando gli scalpellini medievali, gli auto-costruttori
di tutti i tempi e un piccolo gruppo di pensatori nei confronti dei
quali sente unaffinit profonda:
Hassan Fathy, Ptr Alekseevi
Kropotkin, John Habraken,
Charles Correa, Giancarlo De
Carlo e soprattutto Ivan Illich,
accomunati per il loro carattere
di pensatori dissidenti.
Colin Ward afferma di essere
capitato nel mondo dellarchitettura e dellurbanistica quasi

Urbanistica
per sbaglio. Ma ha scritto altri
splendidi libri sulla storia dellurbanistica moderna (uno per tutti, il testo scritto con Peter Hall
Sociable Cities. The Legacy of
Ebnezer Howard, Wiley 1998).
un autore molto noto, ma poco
studiato. Per questo il piccolo
libro di Eluthera (che ne segue
un altro, dello stesso autore, intitolato Anarchia, 2004) molto
importante. Oggi vi sono tutte le
condizioni per un ritorno critico
del pensiero di Colin Ward. Un
ritorno critico, non unicamente
legittimante. Quando Ward indaga il formarsi di quei territori
dei poveri che sono i potlands,
prova a rileggere le New Town
attraverso lenti anarchiche o
rintraccia le scie della sociabilit
nelle garden city, riabilita una tradizione libertaria, quasi eversiva,
della pianificazione che nella sua
versione ortodossa viene da lui
duramente criticata come espressione di un approccio burocratico
e funzionalista. Oggi, per prendere distanza dal funzionalismo,
lurbanistica si rifugia in gabbie
terminologiche: pop-up urbanism,
adaptive urbanism, performative
urbanism, bottom-up urbanism,
temporary urbanism, everyday
urbanism, tactical urbanism,
guerrilla urbanism, open source
urbanism, do-it-yourself urbanism. Tutto questo non fa altro che
dichiarare una grande difficolt
che non potrebbe essere alleviata dal ritorno a personaggi-icona
(Ward, De Carlo, i pi richiamati). Sarebbe fortemente contrario
alle loro stesse posizioni: aspre,
sarcastiche, poco inclini a ridurre
chicchessia in immaginetta exvoto. La deflagrazione terminologica di cui oggetto lurbanistica
contemporanea come tentativo
di celebrare approcci di mobilitazione dal basso, essa stessa (e
malgr soi) una nuova forma della
riduzione funzionalista: non pi
sottovalutazione di usi e differenze, ma facile uscita dai problemi,
soluzioni codificate, umanesimo
spicciolo. Non sul piano terminologico che il discorso di critica
al funzionalismo pu andare molto avanti.
n
cristina.bianchetti@polito.it
C. Bianchetti insegna urbanistica
allUniversit di Torino

martin.luis8911@yahoo.it
L. M. Sanchez architetto

Fra intrighi e tradimenti


di Francesco Indovina
Attilio Belli
MEMORY CACHE
Urbanistica e potere a Napoli
pp. 210, 36 ill. b/n, 16,
Clean, Napoli 2016

on ci si lasci ingannare dalla


N
dichiarazione di mitezza
dellautore, il suo racconto tut-

to fuorch mite. Non perch Belli coltivi lastio, ma perch la testimonianza di queste vicende
uno spaccato di potere pubblico
e accademico, di invidie e tradimenti, di intrighi e tentativi frustrati: portando le stigmate della
realt ne mostra la violenza. Meraviglia la capacit di resistenza
dellautore dentro queste vicissitudini: guardate con ironia, le
vicende portano il segno di una
determinazione che, ancorch
frustrata, resiste e si ripropone. Il
contesto della vita universitaria,
della politica, delle tragedie che
investono Napoli costituisce la
trama alla quale si intreccia lordito delle esperienze
dellautore.
Belli ricostruisce i
tratti della sua formazione: tutta la sua evoluzione culturale caratterizzata da legami
e rotture, da adesioni
e rifiuti. Al periodo di
formazione si accompagnano esperienze
professionali di pianificazione
nonch
un primo ingresso
alluniversit, ma pi si arricchisce la sua esperienza, pi la sua
professionalit diventa ricca, pi
crescono opposizioni, sgarbi, tradimenti. Anche il contesto cambia e cresce, dal 1968 al 1972
si sovrappongono, si intrecciano,
e infine si elidono due modi di
vita e due paradigmi disciplinari molto diversi tra di loro. Il
passaggio dallempirismo logico,
dal planning scientifico, al marxismo, allanalisi del conflitto urbano e delluso del territorio nel
diagramma delle trasformazioni
sociali; la svolta politica e ideologica del periodo prender corpo
in campo disciplinare. Il grande
movimento di politicizzazione di
massa non lo lascia indifferente
e molti sono i suoi tentativi di
porre su basi diverse
sia lanalisi che lintervento nella citt e
nel territorio. La sua
attenzione si focalizza sul mezzogiorno
fornendo in Potere
e territorio nel mezzogiorno dItalia durante la ricostruzione
1943-1950, un quadro che non gli vale
le simpatie dei poteri forti, economici,
politici e culturali,
fuori e dentro luniversit. anche un
periodo di impegno
politico nella nuova sinistra, dove
cerca di affermare
limportanza delle
questioni
urbane.
Scarso successo.
Si tratta anche di
travagli alluniversi-

t, dove ci si rifiuta di riconoscere lurbanistica come disciplina


autonoma. Belli partecipa a diversi concorsi, uscendone sconfitto: tradimenti, concorrenze
tra diverse sedi, scarso appoggio
della facolt gli fanno attendere
lordinariato fino al 1988. Da qui
un nuovo percorso universitario,
prima come direttore del dipartimento di conservazione, fino alla
formazione del dipartimento di
urbanistica e allistituzione del
corso di laurea in pianificazione
territoriale. Il suo impegno nelle
questioni napoletane si concentra poi su Bagnoli, una delle vicende pi assurde e indecorose,
di cui siamo tutti responsabili.
A cominciare dal 1990 lacciaieria declina e chiude nel 1993.
Una iattura per leconomia e
loccupazione dellarea, ma anche, si disse, unoccasione di rinascita. Tra paure di speculazioni e un ambientalismo estremo,
una pubblicit esaltata contro
il coinvolgimento dei
privati, lincertezza dei
progetti,
lesistenza
di gruppi di interesse
forti ma inetti e lincapacit di governo,
si mostra in tutta la
sua crudezza il disastro. Bagnoli ancora
l; oggi si ricomincia
con le speranze, poche
idee ma grandi annunzi.
Il libro di Belli cade
a pennello nel dibattito politico
che dovrebbe animare la citt in
vista delle prossime elezioni amministrative, o meglio, lo farebbe
se le forze politiche coinvolte fossero effettivamente interessate a
un bilancio del passato e a riflettere su disegni per il futuro. Sebbene non sia tema esplicitamente
centrale del libro, la questione
dellaggiornamento della teoria e
della pratica urbanistica attraversa tutto il percorso di Belli. Non
si tratta di negare il necessario
allargamento del punto di vista,
n di negare anche inefficienze e
lentezze della pianificazione, ma
piuttosto di garantire il governo
pubblico delle trasformazioni
urbane e territoriali, un governo
guidato da obiettivi strategici,
che certo tengano conto delle
trasformazioni in atto ma non ne
siano vittime. La dinamica della
societ non mette in discussione
il governo pubblico delle trasformazioni, ma solo la cattiva urbanistica, cos come la richiesta di
una maggiore flessibilit non richiede la cancellazione del piano,
ma piuttosto unarticolata strumentazione per la sua realizzazione. Lurbanistica, riconosce Belli,
ha rapporti stretti con la politica,
perch le scelte urbanistiche non
sono tecniche ma politiche, ma
spesso (tutta la vicenda di Napoli
ne una dimostrazione) la scelta
politica si muove per soddisfare
appetiti pi che bisogni e si fa
condizionare da un ideologismo
estremizzato, al punto da essere
pura astrazione.
n
indovina@iuav.it
F. Indovina ha insegnato pianificazione
urbanistica allo Iuav di Venezia

39

N. 5

Cicaleccio socratico
di Francesco Peri
Pierre Boulez, Jean-Pierre
Changeux e Philippe Manoury
I NEURONI MAGICI
MUSICA E CERVELLO
pp. 215, 19,
Carocci, Roma 2016

dobbligo una doppia cautela


di fronte a un titolo cos seducente: I neuroni magici (Les neurones enchants). Non tanto e non
solo perch lepiteto mannianomozartiano si presta a evocare la
pneumologia del XIX secolo pi
che le neuroscienze del XX, e rischia di spandere sulla trattazione
un pulviscolo di suggestione indebita: il vero abbaglio sarebbe
attendersi uno svolgimento esaustivo, lineare e coerente del tema
che sembra profilarsi in filigrana,
cio unintroduzione ragionata
alla neurofisiologia della cognizione musicale. Questo gli autori non
vogliono e forse non potevano offrire. Sembra sciocco, daltronde,
cercare in ogni testo
il trattato, pretendere
che prenda possesso in
modo provvisoriamente necessario di una
casella nel sistema del
sapere, saturandola.
Questa nuova e molto ben tradotta proposta Carocci nasce da
un assiduo scambio tra
uno dei massimi compositori e teorici del
nostro tempo, Pierre
Boulez, che allepoca andava per
i novantanni e si apprestava a
lasciarci, Philippe Manoury, compositore pi giovane (classe 1952)
e solido erede del retaggio modernista e Jean-Philippe Changeux,
lillustre neurobiologo francese,
che funge in qualche modo da padrone di casa e cerca di reggere le
fila del discorso. Il testo procede
da quellestemporaneo confronto
e in esso rimane fortemente ancorato, dal momento che la forma
molto poco bouleziana quella
della sbobinatura, seppure arricchita, rinettata e opportunamente
montata per temi.
Il risultato, pindarico e opulento nella sua incessante dispersione, fa pensare a certi grandi
zibaldoni dialogati della tarda
antichit: ai Deipnosofisti di Ateneo, ai Saturnalia di Macrobio,
eclettici e gonfi come cornucopie.
Si avverte quasi un socratico frinire di cicale dietro questo pacato
confronto tra esperti della propria
disciplina che si prendono il tempo di spiegarsi, raccontarsi, contraddirsi, scambiarsi aneddoti,
spigolature, esempi e rimandi a
centoventi saperi diversi. Guai al
lettore che sperasse di richiudere
il volume con solidi e spendibili
rudimenti; benvenuto quello che
un po di capogiro non spaventa, ma che ritiene soprattutto un
onore poter origliare allo stipite
di questo moderno De musica libri sex (sette, in realt, sono i capitoli).
Non capriccio, ma tradizione:
la pratica di interrogare gli artisti
o di somministrare loro dei questionari antica almeno quanto
la psicologia sperimentale, che fin
dai primordi, cio dallultimo ter-

zo del XIX secolo, ha individuato


nei fenomeni della creazione e
della fruizione di opere darte un
terreno privilegiato per lo studio
delle funzioni cerebrali. Questo
pi che mai vero nellepoca del
neuroimaging, le cui sempre pi
sofisticate modalit hanno consentito di abbreviare lintervallo
cartesiano tra lo sperimentatore
e il soggetto, tra le ipotesi dello
studioso e il mondo vissuto del
musicista, tra le prestazioni cognitive e i loro correlati neurali, tra la
narrazione introspettiva e la verifica strumentale. fondamentalmente questo lasse portante del
discorso: un neuroscienziato di
solida cultura musicale intervista
due artisti dalla spiccata propensione per le scienze su quello che
accade nella loro mente quando
dirigono, scrivono, ascoltano,
correggono, valutano e pensano,
per poi riscontrare quel vissuto
esperienziale sullo state of the art
della ricerca sul cervello. Lorecchio interno, la memoria, lapprendimento, la dialettica tra immaginazione
e percezione, la plasticit dei meccanismi sinaptici e unidea forte
del cervello come macchina chimica agente e
non meramente ricettiva: un apparato che
funziona dallinterno
verso lesterno.
Quel confronto non
risponde, si capisce, a
vere dinamiche di laboratorio: uninformale chiacchierata a vocazione divulgativa,
come una sorta di documentario
su carta. Landirivieni tra arte
e scienza ha luogo nel punto di
contatto tra la storia delle idee
estetiche e la realt della vita musicale. In questo delicato snodo il
meglio si combina con il peggio,
perch se da un lato nulla pi
delizioso che ascoltare Manoury
e Boulez entrare nel merito di un
lungo e rodato mestiere sviscerando dettagli tecnici, trucchi e
curiosit sulla storia e la pratica
dellorchestrazione, della concertazione, della scrittura, della
direzione dorchestra ecc., modesta e talvolta impacciata, se giudicata sul metro di uno specialista,
appare la presa dellanfitrione
Changeux sui grandi concetti del
pensiero estetico, dal cui bacino,

Musica
pure, sono tratti gli inneschi di
ciascun capitolo.
Unaltra pecca, per chi volesse
ritenerla tale, la frammentazione del discorso, che agisce ad
almeno tre livelli: leccessiva rapidit con la quale si avvicendano i
temi, quasi che il regista del progetto, spaventato dal cronometro, si affannasse per sbrigare il
programma, anche a costo di abbozzare e poi passare oltre; liridescenza caleidoscopica dei motivi e dei riferimenti, che dissolve
dallinterno la linearit dei singoli
svolgimenti, con il gi citato effetto di scucito (a volte gradevole);
limpressione, inevitabile a tratti,
che i due protagonisti Boulez e
Changeux il pur brillante Manoury, pi defilato, si accontenta
spesso di giocare il ruolo di famulus del maestro parlino luno
accanto allaltro, come in certe
discussioni accademiche, senza
entrare davvero in risonanza. Di
qui un sospetto di imperfetta digestione teorica e redazionale che
guasta un po la fruizione del lavoro, gi di per s incline a saziare
senza togliere la fame.
Un grande pregio, tuttavia, va
segnalato. Il libro affronta i problemi della musica come tale da
unottica matura, adulta, serenamente allaltezza dei problemi
tecnici e formali del nostro tempo. Per una volta la scienza non
viene scomodata, come tanto
spesso accade, per fungere da marionetta di unestetica retrograda
e ottusa: siamo lontani da certi ridicoli tentativi di smentire o screditare su presunte basi naturali
realt dellordine della creazione
e della storia degli stili. In questo
senso lapproccio di Changeux,
che si indovina competente e appassionato osservatore della scena
musicale contemporanea, appare
lucido e lungimirante, a partire
dalla scelta degli interlocutori.
Con buona pace dei neonati che
non amano le dissonanze o delle
vacche che lattano con Mozart!
Un table-talk rapsodico e internamente irrisolto che rischia
di scontentare gli uni (rimandati fatalmente alla bibliografia) e
spiazzare gli altri (il tecnicismo
musicale di un livello inadatto ai
profani), ma che lascia un senso di
gradevole stordimento, curiosit e
ammirazione. Un testamento alla
memoria di un grande.
n
francescoperi@live.it
F. Peri germanista

Politonalit:
variante fonica del cubismo
di Elisabetta Fava
Francesco Fontanelli
CASELLA, PARIGI
E LA GUERRA

Inquietudini moderniste
da Notte di maggio
a Elegia Eroica

pp. 279, 22,


Albisani-De Sono, Bologna 2015
i campi dellarte succede
Ipernchetutti
il gioco del caso offuschi
qualche ragione la memoria

dei posteri, selezionando con


una certa dose di arbitrio i sommersi e i salvati. Alfredo Casella
senzaltro una figura a cui la
storia postuma non ha reso giustizia: forse proprio perch in
vita fu celebre, eseguito, stimato,
richiesto, da morto la sua fama
impallidita; quel che peggio,
nonostante alcuni ottimi studi su
di lui, la penuria di occasioni reali dascolto ha prodotto stereotipi
sempre pi difficili da sradicare:
i due pi pesanti sono
quello del Casella fascista, che si tende a
enfatizzare nonostante le documentate
precisazioni di Fiamma Nicolodi nel suo
Musica e musicisti nel
ventennio fascista (Discanto, 1984), e quello
del Casella ottimista,
che sembra tagliarlo
via da tutta una riflessione critica e sofferta
a cui invece partecip con passione, come compositore e come
strenuo divulgatore di musiche
altrui. A mettere a fuoco questi
problemi interviene un nuovo
volume della serie promossa
dallAssociazione De Sono, che
sceglie ogni anno, fra le tesi pi
meritevoli, un titolo o due da
pubblicare: per fortuna pu cos
circolare, per i tipi delleditore bolognese Albisani, lottimo
lavoro di Francesco Fontanelli,
messinese uscito dalla Facolt
di musicologia di Cremona alla
scuola di Fabrizio Della Seta:
una voce giovane per freschezza
di stile, ma gi matura per capacit critica e argomentativa.
Fontanelli fa tesoro di unosservazione che a suo tempo sembr persino paradossale: quando
il critico inglese John Waterhouse
intervenne a un convegno su Casella (1980) rovesciando un altro
luogo comune, quello cio del Casella
eclettico. Waterhouse dimostr come nella sostanza Casella attraversi unevoluzione
che trova sempre le
sue ragioni dentro la
scrittura, dentro la
sostanza del pensiero:
lapparente discontinuit in realt solo
una mutata prospettiva dello stesso problema. Fontanelli verifica questa convinzione
sulla base di alcuni
lavori del periodo pi
delicato, pi strattonato fra impulsi e
correnti diverse, vale
a dire quello degli
anni cosiddetti del
quinquennio parigino, dal 1913 al 1917,

quindi da Notte di maggio, con


Casella impegnato insolitamente
con la prosa carducciana, allElegia eroica (1916), al poema A
notte alta: ossia da un linguaggio
armonico denso, dove la tonalit
comincia a essere forzata da elementi estranei, a un coagularsi
di dissonanze e di tensioni acuite dalla grande orchestra, fino
alla chiarificazione di timbri e
aggregati accordali sulla tastiera
del pianoforte: non voltafaccia,
ma fasi di un percorso di ricerca che affronta forme e organici
diversi, per approdare infine al
teatro, grande scoglio dei compositori italiani del Novecento.
Ma poich Casella a Parigi era
gi stato quasi ventanni prima,
quando si era iscritto tredicenne al Conservatoire, Fontanelli
riprende in realt il discorso da
questi primi contatti: cosa che
consente alla sua trattazione di
mettere radici pi profonde nel
rapporto fra Casella
e Parigi, e al lettore
meno esperto di capire
meglio, essendo in un
certo senso iniziato
lui stesso pagina dopo
pagina alla formazione
di Casella e alla conoscenza dellambiente
che la determin. Fontanelli contrappunta le
sue argomentazioni da
un lato con la fondamentale autobiografia
di Casella, I segreti della giara
(Sansoni, 1941), dallaltro con
il riscontro su materiali epistolari e soprattutto sugli autografi
conservati alla Fondazione Cini:
loggettivit del foglio manoscritto, della dichiarazione espressa a
ridosso dellopera aiutano a rettificare quel che di falsato pu
uscire dalle memorie di tanti anni
dopo. Via via Fontanelli ci porta dentro lanalisi (a volte anche
molto serrata e severa) dei brani selezionati, additando ritorni
interni, sviluppi, echi dellimpressionante cultura caselliana,
capace di spaziare dai clavicembalisti fino allamatissimo Faur,
da Bach e Scarlatti fino a Wagner,
a Mahler e ai russi. Come i suoi
grandi contemporanei, Debussy,
Strauss, Schnberg, Stravinskij,
Skrjabin, anche Casella avverte il
logorio dellarmonia tradizionale
e come loro tenta vie duscita,
dinnovazione e salvataggio: una
politonalit riletta come variante
fonica del cubismo, echi modali,
montaggi di cellule dentro cui ricondurre melodia e armonia, tentando, come dice Fontanelli con
felice accostamento, una sorta di
riequilibrio omeostatico alla
Jurij Lotman: dove il sistema di
segni in crisi esplora nuovi punti
di forza per sopperire alla perdita defficacia dei vecchi. Anche
in questi esperimenti si avverte
lazione di quella che fu la bussola di tutto Casella: lideale della
chiarezza, della geometria, della forma definita, che qualifica
lintera sua produzione e aiuta a
comprendere le ragioni di eventuali deviazioni di percorso.  n
lisbeth71@yahoo.it
E. Fava insegna storia e critica della musica
allUniversit di Torino

Michelangelo Merisi da Caravaggio (Milano, 1571 - Porto Ercole, Grosseto, 1610) Ritratto di cavaliere di Malta (Alof de Wignacourt?) 1608 - olio su tela 118,5 x 95,5 cm - Firenze, Galleria Palatina, Palazzo Pitti.
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Iniziativa nellambito di

41

Quaderni

N. 5

Recitar cantando, 66
Vittorio Coletti
ed Elisabetta Fava
Drammi romantici
e rarit novecentesche
Effetto film
Giacomo Manzoli
e Giulia Carluccio
Ave, Cesare!
di Joel e Ethan Coen
La Traduzione
Edoardo Esposito
La traduzione perfetta

Drammi romantici e rarit novecentesche


Recitar cantando, 66
di Vittorio Coletti ed Elisabetta Fava
opo aver aperto la sua nuova stagioD
ne con unopera importante ma, a
mio giudizio, infelice di Verdi, la Giovanna dArco, da cui solo la bravura del
direttore Riccardo Chailly, del soprano
Anna Netrebko e del coro scaligero ha
potuto estrarre i non molti pregi, la Scala
ha presentato un altro Verdi di seconda
fila, quello di I due Foscari, diretto splendidamente da Michele Mariotti e ben recitati da Placido Domingo (nel ruolo del
vecchio baritono che ormai gli sta a pennello: quello del vecchio pi di quello
del baritono). A dispetto della cronologia I due Foscari unopera pi avanzata
della Giovanna dArco, anche se Verdi
vedeva in questa pi pregi e in quella pi
difetti del giusto. Se Giovanna dArco ha
ancora il respiro corale delle primissime
opere, Nabucco e Lombardi, I due Foscari tenta una via nuova, seppur col passo
ancora incerto degli esperimenti. Verdi si sentiva pi a suo agio con soggetti ispirati da Schiller (come appunto la
Giovanna dArco) che dal pur ammirato
Byron (da cui I due Foscari e Il corsaro),
credo per la minore intensit ed efficienza drammaturgica di opere forse pi
poetiche che teatrali come quelle dellinglese. I loro soggetti erano infatti forse
meno sfaccettati di quelli schilleriani e
Verdi avvertiva il rischio di un eccesso di
uniformit nel metterli in scena. significativo che il compositore abbia trascurato vistosamente, poco dopo, il pur bello e intenso Corsaro per passare subito a
un altro soggetto schilleriano, quello di
Luisa Miller (1849). Eppure, come aveva
ben alimentato il teatro di Donizetti (Parisina, Marin Faliero), cos Byron non
infecondo per Verdi. Lo ha dimostrato
lesecuzione scaligera di I due Foscari.
Certo lopera, come Verdi lamentava,
povera dazione e variet, a tinta unica e
cupa, richiesta da una trama in cui niente cambia dallinizio alla fine: disgrazie a
ripetizione in casa Foscari, padre (doge),
figlio, nuora e nipoti, dovute allostinato
e infondato desiderio di vendetta del nemico Loredano. A parte il soprano (sola
voce femminile, dalle generose ma rare
arcate melodiche), lunico personaggio
che potrebbe introdurre colori e ritmi
diversi proprio il cattivo Loredano, il
basso. E invece riuscito male e per di
pi quando festeggia la sua vendetta da
solo, nei concertati di dolore generale,
talmente sovrastato da baritono, tenore
e soprano che non se ne accorge nessuno. Nondimeno I due Foscari apre qua e
l pagine incantate ed elegiache, allarga
sul mare gli spazi perlopi claustrofobici dellinsieme, come nellaria di Jacopo
(tenore) a Venezia e nella barcarola dei
gondolieri, ed soprattutto un testo di
raffinata strumentazione, con belle figure legate ai singoli personaggi e teneri
passaggi allarpa. Insomma, unopera
che a noi parsa pi bella che a Verdi
stesso e che di gran lunga pi riuscita,
coinvolgente e intensa della Giovanna
dArco di un mese prima, anche perch
il libretto di Francesco Maria Piave
decisamente meglio strutturato di quello che Temistocle Solera aveva ricavato
dal dramma di Schiller. Alla Scala poi I
due Foscari sono stati risparmiati dalla
regia sobria di Alvis Hermanis, mentre
Giovanna era stata ridicolizzata dalla demenziale regia di Moshe Leiser e Patrice
Caurier, come abbiamo gi scritto.
I registi, anche i pi misurati, qualcosa
debbono sempre aggiungere e non sem-

pre con mano felice. Questo si visto


anche al Carlo Felice di Genova in occasione di una magnifica e meritoria ripresa di unopera meno nota del dovuto di
Gaetano Donizetti, Roberto Devereux,
in cui il regista Alfonso Antoniozzi, per
tutto il resto sobrio e funzionale, non ha
resistito a mettere in scena anche lui dei
mimi durante louverture e a conciare,
col costumista, i cortigiani tutti (chiss
perch) in abiti femminili, con ampi colletti che li facevano sembrare dei cioccolatini con la ciliegina in mezzo. Tuttavia
lopera risultata memorabile perch,
tipico melodramma del belcanto (siamo
ancora nel 1837), stata interpretata a
Genova da due vere regine della lirica
come Mariella Devia (soprano) e Sonia
Ganassi (mezzosoprano); al loro fianco
anche tenore (Stefan Pop) e baritono
(Marco Di Felice) hanno fatto la loro
egregia parte.

Torino nel mese di gennaio si viA


sta La volpe astuta di Leo Janek
(1924), assoluta rarit nei nostri teatri,

e due; Elisabetta abdica a favore di Giacomo I. Donizetti con la sua musica ha fatto
di un buon dramma unopera eccellente,
in cui tutto di alto livello in partitura e
forse il giovane direttore Francesco Lanzillotta avrebbe potuto sottolinearne di
pi le delicatezze, non solo le veementi
cabalette. Ma Roberto Devereux vive sulle
due prime donne e quelle del Carlo Felice
erano il massimo a disposizione per i ruoli:
uninossidabile Mariella Devia, a suo agio
nelle parti regali donizettiane, e una Sonia
Ganassi con magica voce brunita e grande
n
talento recitativo.

ma titolo amatissimo tanto sulle scene


ceche e slovacche, ossia in patria, quanto
in Germania, dove la traduzione di Max
Brod aveva procurato al titolo immediata
fortuna. Liniziativa torinese tanto pi
meritoria in quanto rientra in una programmazione pi di lungo sguardo, che
proseguir nei prossimi anni con altre
opere di Janek, tutte consegnate per la
regia alle mani esperte di Robert Carsen,
bench almeno in questo primo titolo fosse in realt Stefano Simone Pintor a realizzarne la ripresa. La vicenda narra le avventure di un vispa volpicina (Briscola, nella
traduzione italiana), catturata da cucciola
da un cacciatore, cresciuta in un grande
cortile fra gli altri animali, fuggita dopo
essere riuscita a raggirare il cane e papparsi qualche gallinella; una volta tornata
nella foresta trova lanima gemella, mette
su famiglia, ma non perde il suo istinto di
libera pensatrice e finisce per provocare troppo da vicino un bracconiere che,
ahim, la stecchisce. Ma lultima scena
mostra il cacciatore che di nuovo torna
nel bosco per riflettere e stare da solo e
vede passare una giovane volpe uguale a
Briscola: segno che la natura si rigenera,
pi forte della meschinit umana, pi forte anche della fragilit che accomuna tutte
le creature. Che La volpe astuta sia fra i lavori pi riusciti del Novecento per tenuta
drammaturgica e freschezza inventiva
un dato che non bisognerebbe stare qui a
ribadire, non pi di quanto si farebbe per
Il naso, La carriera di un libertino o Il giro
di vite. Tuttavia, nonostante il buon cast e
la direzione solida di Jan Latham-Koenig,
il pubblico appariva un po perplesso: e
questa perplessit derivava dalla difficolt
obiettiva di seguire la vicenda, gi di per
s insolita. Janek rappresenta e mescola
uomini e animali: dove questa distinzione
era chiara, tutti hanno apprezzato, basti
pensare alla spiritosissima scena nella fattoria, con le galline. Gi capire che il cane
era un cane diventava pi difficile; del tutto impossibile era individuare rane, grilli e
zanzare, che pure trovano nella partitura
di Janek connotazioni ben precise: voci
di bambini, strumenti acuti, melodizzare
onomatopeico. Se per sulla scena lo spettatore vede sempre volpi, per quanto graziose esse siano, perde il filo: specialmente
se lopera sconosciuta ai pi e viene cantata ovviamente in ceco. Le scene erano di
per s belle, anche molto belle: Carsen d
sempre il meglio di s, quando rappresenta la natura, da quella acquatica della Rusalka, vista proprio al Regio qualche anno
fa, a quella boschiva del Sogno di una notte
di mezza estate di Britten di cui abbiamo
parlato di recente; e anche qui il cielo blu
sopra il verde del bosco creava sfumature
affascinanti, su cui calava linverno, tornava il disgelo e fioriva la primavera, con
tanto di funghi prataioli fra lerba. Ma per
una prima torinese lobiettivo principale doveva essere quello di far capire la storia e far ridere e piangere il pubblico con
i suoi protagonisti: se si pensa che in Germania La volpe astuta riempie le platee di
bambini, non si pu che rammaricarsi di
non essere riusciti comprensibili nemmeno agli adulti, mancando cos lincontro
con un capolavoro.
n

vittorio.coletti@lettere.unige.it

lisbeth71@yahoo.it

Coletti insegna storia della lingua italiana


allUniversit dei Genova

E. Fava insegna storia e critica della musica


allUniversit di Torino

unopera cos dipendente dalla virtuo


sit vocale, che vista con secondo cast
parsa purtroppo molto pi modesta, pur

non essendo male il soprano, la moldava


Natalia Roman (ma bisognerebbe insegnarle meglio litaliano). Roberto Devereux
deve il suo libretto a Salvatore Cammarano
e ha molte delle caratteristiche linguistiche
dei testi che poi il napoletano confezioner per Verdi: iperletterariet, grammatica
oltre lo standard per alzare il tono, italianizzazioni forzate (come il celebre Lordi
per i Lords), ottima padronanza metrica,
cabalette del genere Di quella pira. Roberto
Devereux lultimo tassello della cosiddetta trilogia Tudor di Donizetti (con Anna
Bolena e Maria Stuarda) ed tratto da un
dramma parigino di Jacques-Franois Ancelot del 1829, Elisabeth dAngleterre, da
cui Felice Romani aveva ricavato per Saverio Mercadante nel 1833 il Conte dEssex.
Cammarano avr attinto, come ricorda il
programma di sala del Carlo Felice, anche
a testi storici sul regno di Elisabetta, ma
quello che funziona nel libretto discende,
se non gi dal pi classico libretto di Romani, dallefficienza drammaturgica del
dramma di Ancelot (i francesi del tempo
sapevano costruire un plot teatrale come
si deve). Ci sono tutti gli ingredienti del
drammone romantico, in stile Anna Bolena o pre-Ballo in maschera: Elisabetta e la
duchessa Sara, sposata Nottingham, sono
entrambe innamorate di Roberto di Essex:
la prima, da regina, certa che le spetti e
si infuria quando saccorge che non cos,
pentendosene solo troppo tardi; la seconda, sua amica diletta e, per buon peso, moglie del miglior amico del tenore, tiene le
chiavi del cuore del prode.

anno inevitabilmente tutti una brutF


ta fine: Roberto muore sul patibolo; i
Nottingham sono condannati a morte tutti

N. 5

42

Cold War, Hot Movies


di Giacomo Manzoli

Ave, Cesare!, di Ethan e Joel Coen,


con Josh Brolin, George Clooney, Alden Ehrenreich, Jonah Hill, Scarlett Johansson, Channing Tatum,Usa 2016
opo 17 lungometraggi e un paio di corti, con Ave,
D
Cesare! Joel e Ethan Coen hanno oltrepassato la
fatidica soglia dei trentanni di una carriera iniziata nel

un lavoro che sta a met fra lo storiografo e il cantastorie. Infatti, se si analizza la loro filmografia ci si accorge
che, film dopo film, le loro opere affrontano periodi
storici di passaggio, momenti obliqui del passato ame1984 con Blood Simple. Allepoca, illustri recensori
ricano in cui sta finendo qualcosa e qualcosaltro non
furono concordi nel ritenerlo un piacevole esercizio
ancora cominciato. Fingendosi dissacratori in vena di
hitchockiano, un divertissement postmoderno e citaomaggi, i Coen trovano cos
zionista. Eppure il film si apriuna chiave per riflettere sugli
va con un monologo in cui una
Stati Uniti del presente, interfantomatica voce fuori campo
cettarne gli umori, le tensioni
ricordava che: In Unione Soprofonde, le contraddizioni
vietica hanno il comunismo,
di Giulia Carluccio
pi sconcertanti. Ambientato
qui in Texas ciascuno pensa
in un momento in cui lo Studio
agli affari suoi. Citazionista,
inema e America, tramonto dello studio sy- Wright sulloceano, quando vede comparire il re
System stava finendo e cominin maniera esasperata e spustem e alba della guerra fredda. Che il metaci- dei B-western, il collega Hobie Doyle (Alden Ehciava la guerra fredda, in cui
dorata, lo indubbiamente
nema di Ave, Cesare! corrisponda a una tappa ul- renreich), che naturalmente va a salvarlo (guarda
gli sceneggiatori, in splendide
anche questultima opera. Il
teriore del viaggio dei Coen nella storia americana caso un cowboy, ma di serie B), con indosso il suo
ville affacciate sulloceano,
titolo, Hail, Caesar!, ricalca
(iniziato ormai alcuni decenni or sono) si detto. costume da centurione romano e sorseggiando
vagheggiavano la rivoluzione
(con una virgola e un punto
Si detto anche, e non solo in questa sede, che le un Martini cocktail, gli dice Anche tu comunicomunista sotto linfluenza
esclamativo in pi) quello di
modalit dello sguardo con cui i due cineasti del sta?, gi convinto dalla dottrina che gli stata
della scuola di Francoforte (il
un bruttissimo film del 1994
Minnesota inquadrano via via frammenti diversi appena inculcata. Nel frattempo, il Gene Kelly
povero Marcuse, che si trasfedi Anthony Michael Hall, ma
della storia del loro paese spesso filtrato dallot- della situazione, il divo del musical Burt Gurney
r in California solo nel 1965,
il riferimento esplicito alla
tica dei generi, dal citazionismo, dallestetica del (Channing Tatum), devoto alla Russia sovietica,
qui paga per tutti) per sanare
biografia di Eddie Mannix.
pastiche
ecc.
Tutto
vero.
Ma
al
di
l
dellodore
di
le proprie frustrazioni, il film
Il personaggio interpretato
si accinge a raggiungere la patria del comunismo
postmodernismo sempre sottolineato in sede cri- con limmancabile sottomarino da guerra fredtorna nei misteriosi anni cinda Josh Brolin, infatti, ha lo
tica, lapproccio dei Coen va ben oltre la logica da, portando con s i soldi del riscatto da versare
quanta. Arrivava la televisione
stesso nome di un celebre
del divertissement, spesso evocata in accezione alla causa. Peccato che il suo cagnolino (di nome
e di l a poco sarebbe scopproduttore esecutivo della
negativa.
Il
riferimento
di
secondo
grado
ai
generi
piata la guerra fredda, con le
Mgm, una sorta di Mr. Wolf
Engels) decida di salpare con lui, facendo precipopolari del cinema americano (ma anche, pi in pitare in mare la valigia con il denaro Un cane
sue teorie della cospirazione
alla Pulp Fiction, capace di
generale, della narrativa statunitense) la forma fatale, come alla fine di Rapina a mano armata di
e lincubo dei sottomarini nurisolvere i problemi delle star
stessa della loro riflessione sullAmerica. Passare Kubrick o di Una pallottola per Roy di Walsh, ma
cleari sovietici nella spiaggia
pi imprevedibili (da Spencer
attraverso
il
filtro
delle
forme
culturali
americasotto casa. Una guerra fredTracy a Clark Gable). Mannix
qui gli eroi, compreso il cane, sono caricaturali e
ne
popolari
(cinematografiche,
letterarie
ecc.),
da per la quale laudiovisivo
era effettivamente un bizzarparodizzati. Se la Hollywood raccontata dai Coen
esibendolo, equivale a guardare attraverso una
degli ultimi anni, fra film (Il
ro tipo di cattolico: bench
lente di ingrandimento, talvolta deformante, pa- un po lAmerica, allora unAmerica parodizponte delle spie, La vera storia
sia lui sia la moglie avessero
esaggi e personaggi (tipicamente americani) colti zata e assurda. Com parodizzato e assurdo il suo
di Dalton Trumbo, Operazione
unaltra storia, non divorziafixer,
il
suo
problem
solver,
Josh
Brolin-Mannix,
in
momenti
e
contesti
storici
variamente
cruciali.
U.N.C.L.E. e perch no?
rono mai perch contrari alla
Qui, in Ave, Cesare!, come prima in Barton Fink, sempre impegnato a rimediare qualsiasi catastrofe
Kommunisten di Straub) e
rottura del sacramento, pornon si tratta unicamente di raccontare lAmerica si abbatta sugli studios, tra occhiate allorologio e
serie tv (22.11.63, The Ameritando avanti serenamente la
attraverso quei frame, quanto piuttosto di andare visite al confessionale. Per la conversione di Clocans, Deutschland 83 e altre),
partita a quattro per anni. E
oney al comunismo rimedier dandogli due semal
centro
nevralgico
della
loro
produzione,
cio
a
sembra provare una irresistiquando il compagno di lei,
plici schiaffi e rispedendolo sul set (il Golgota del
Hollywood,
entrando
nel
meccanismo
stesso
della
bile fascinazione. Come fosse
lattore televisivo George Reefabbrica dei sogni, nel making of dei suoi generi e peplum di cui protagonista), dove tutti, sentenun momento vintage da reves, la lasci, venne ritrovato
mitologie. Se i Coen, ambientando la loro storia dolo recitare di fronte a Cristo, si commuovono,
staurare e ricordare con affetmorto nella sua stanza e molti
fino a quando la magia si interrompe proprio sul
nello
Studio
System
si
divertono
(e
ci
divertono)
to, con nostalgia. Non tanto
vociferarono che fosse stato
pi bello e la star dimentica la battuta decisiva (e
rifacendo
quasi
filologicamente
(e

la
manire
de)
per uningenuit che non c
Mannix a punirlo per aver
i film acquatici, il musical, il peplum, il western di cio la parola fede). Ma intanto poi si ricominmai stata, ma perch ancora si
fatto soffrire lamata consorserie B ecc., ne demitizzano in realt gli artefici e cia e la magia riparte (basta crederci). Per questo
trattava di unepoca di misteri
te. Insomma, un personaggio
gli interpreti. La star del peplum cristologico, il Mannix decide di rifiutare lofferta di lavorare
e segreti, spie e spiati, scambi
che nella realt fra amicizie
Baird Withlock interpretato da un George Clo- alla Lockheed per continuare a servire Hollywodi prigionieri, censura e indaalla Cia e rapporti con la maoney genialmente autoidiotizzato, valga per tutti. od (comunque, il capitale, direbbe il Marcuse del
gini, dove si poteva conservafia superava nettamente le
Rapito dagli sceneggiatori comunisti e condotto al film), sullo sfondo degli esperimenti atomici a Bire lillusione che con le procontraddizioni e i paradossi
cospetto di Marcuse nella villa alla Frank Lloyd kini. Il cinema sempre il cinema.
prie sceneggiature si potesse
nei quali la fantasia dei Coen
cambiare qualche testa,
lo hanno invischiato nella tranella convinzione che quella
ma del film.
cinematografica
fosse
unarma
comparabile a quelle
non
sono
solo
due
cinefili
talentuosi
che
si
divertono
a
Film che affastella una tale serie di riferimenti al periodo finale della Hollywood classica da essere stato giocare con le figurine del cinema classico. Se nel corso costruite dalla Lockheed. Avere fede, per quanto una
giustamente letto come un aggiornamento del catalo- di questi trentanni sono stati insigniti di tutte le mag- fede perversa, in qualcosa e qualcuno. La parola che
go di tutte quelle bizzarrie hollywoodiane che da sem- giori onorificenze cinematografiche (dalla Palma doro non a caso George Clooney dimentica ai piedi della
pre costituiscono uno dei punti di forza del cinema allOscar) il motivo che c qualcosa di pi dietro croce, in una sequenza blasfema e religiosa al contemcoeniano: se in Il grande Lebowsky cerano i musical allironia caustica e al talento visuale che consente loro po, la pi bella passione che si sia vista dai tempi della
n
di Busby Berkeley e in Fratello dove sei? gli spiritual di di tradurre qualunque plot in un universo fiabesco e Ricotta pasoliniana.
King Vidor, qui troviamo i numeri acquatici di Esther grottesco alla Roald Dahl e mandarlo in cortocircuito.
giacomo.manzoli@unibo.it
Senza sembrare troppo pomposi, ma la sensazione
Williams e lesasperazione della componente queer tiG. Manzoli insegna storia del cinema allUniversit di Bologna
pica delle danze ipercinetiche di Gene Kelly, Stanley che, in modo beffardo e sfuggente, i Coen svolgano
Donen e Minnelli. Se in Barton Fink cerano i film
sul wrestling di Wallace Beery, qui ci sono i peplum
di Charlton Heston; se Il Grinta era un remake di un
film di John Wayne, qui troviamo riferimenti ad attori
di b-western stile Gene Autry o Roy Rogers. E il gioco
potrebbe continuare a lungo. Ma Joel e Ethan Coen

Note a margine

Quaderni

- Effetto film

N. 5

43

Sulla difficolt di stabilire una buona traduzione e di attribuire la sua paternit


Familiarizzante, straniante, interpretante o invisibile?

intervengono continuamente a informarci della produzione libraria corrente e della rilevante parte che,
di questa produzione, viene dallestero e che appunto tradotta viene proposta ai lettori?
Il dibattito sui principi e sui metodi del tradurre
si fatto, negli ultimi decenni (ricorderemo la data
di nascita dei cosiddetti Translation Studies: 1976)
approfondito e agguerrito come non mai, e agli studi che si sono posti come caposaldi della disciplina
(Andr Lefevere, Siri Nergaard, Henri Meschonnic,
Gideon Toury, Antoine Berman, Eugene
Nida, Peeter Torop, Paul Ricoeur) molti
altri si sono aggiunti testimoniando linteresse e lattenzione a questi problemi.
Ricorderemo in Italia, dopo il Dire quasi
la stessa cosa di Umberto Eco (Bompiani,
2003), le pi recenti riflessioni di Antonio
Prete (Allombra dellaltra lingua, Rizzoli, 2011), Franca Cavagnoli (La voce del
testo, Feltrinelli, 2012), Maria Silvia Da
Re (La bocca immagina, Mimesis, 2013);
e non senza significato che il divulgativo
La traduzione: teorie e metodi di Raffaella
Bertazzoli (Carocci, 2006) sia giunto nel
2015 alla decima ristampa, tanto che concetti come quello di traduzione familiarizzante, straniante, interpretante, di source
oriented e target oriented, di traduttore invisibile oppure no fanno ormai parte del
linguaggio letterario comune.
Altra cosa, naturalmente, dire se questi e altri termini vengano attentamente o
almeno correttamente applicati, e se unanalisi del libro recensito comporti una
valutazione davvero adeguata delle scelte
compiute dal traduttore o suggerite magari dai criteri editoriali. Diremo infatti,
naturalmente semplificando, che ci sono due modi
di giudicare una traduzione: o siamo degli esperti
della lingua delloriginale e abbiamo letto il libro
proprio e anzitutto nella sua lingua, gradatamente
appropriandoci dei suoi caratteri linguistici e delle
sue stesse idiosincrasie espressive, assimilando le
particolari modalit di esposizione e di articolazione
del discorso, assuefacendoci alla rapidit nervosa o
magari alla riposata tranquillit della sua esposizione, o irritandocene, ma partecipando comunque dei
vezzi e dei vizi della sua scrittura: e allora la traduzione sar anzitutto oggetto di un confronto e di un
ripensamento, in cui le impressioni gi sedimentate
della prima lettura si troveranno a interagire con le
nuove, e si potr valutare effettivamente la rispondenza alloriginale delle scelte traduttive. Oppure
siamo semplicemente dei lettori della traduzione, che
indipendentemente dalla buona o meno conoscenza
della lingua di partenza non hanno letto loriginale e
non lo posseggono, e potranno al massimo effettuare
qualche raffronto (qualche parola o qualche pagina)
se quelloriginale sar comunque disponibile in biblioteca o nelle librerie specializzate.
In questo secondo caso, che incomparabilmente
il pi frequente nella normale pubblicistica, quando
si parla di buona traduzione lunico significato
che tale espressione pu sensatamente assumere
che si tratta di una traduzione in buon italiano, o
piuttosto in un italiano che pare rispondere in modo
adeguato alle caratteristiche di genere del testo, o
a quelle che singolarmente vi si presentano nel modo
di articolare i fatti e di disporli, nel suo alternare narrazione e dialogo, fatti e descrizioni, contorcimenti
psicologici e molteplicit o meno di piani espressivi.
Non per questo si tratta di un giudizio da sottovalutare: se dato infatti con cognizione di causa e se
buon italiano non sta semplicemente a significare
correttezza grammaticale, un libro ben scritto sar
sempre unopera che si aggiunge al patrimonio della
tradizione, e attivamente la arricchisce inserendosi
nel polisistema (Even-Zohar), di cui partecipa.
Tuttavia il caso potrebbe essere proprio quello di
una traduzione che migliora il testo originale o

che, modificandone comunque aspetti considerati a


vario titolo (stilistico o di contenuto) inadatti allambito culturale di arrivo, lo rende pi leggibile, ne favorisce la circolazione e contribuisce alla conoscenza
e allacclimatamento di un autore, di una situazione,
di un linguaggio che non troverebbero altrimenti facile accettazione.
Questo avvenne spesso, com noto, durante il
regime fascista, per lapplicazione da parte dei traduttori della cosiddetta censura preventiva e anche per lappiattimento operato talvolta (il Faulkner
di Vittorini, ad esempio) su uno sperimentalismo
espressivo che pareva allo stesso traduttore troppo

outr. Ma sar il caso di ricordare anche che Svevo


fu accolto allestero prima che in Italia perch fra le
altre ragioni il suo claudicante italiano non veniva
percepito dallorecchio straniero, e risultava normalizzato dalla traduzione.
Non si potr dire, in questi casi, che le traduzioni
fossero buone; utili, semmai, proprio e nonostante
la scarsa fedelt ai caratteri delloriginale, funzionali a quella naturalezza che doveva far sentire la
traduzione spontanea e nuova, originale essa stessa. Stiamo citando parole di Giuseppe Antonio
Borgese, promotore nel 1930 duna delle iniziative
che si volevano pi importanti nellambito della tra-

Una perfetta traduzione


(...) dovrebbe essere fedele e bella; dovrebbe
seguire, pensiero per pensiero, frase per frase, il
testo originale, eppure dovrebbe, per virt della sua naturalezza, sembrar spontanea e nuova,
originale essa stessa. Nessuno, tranne il traduttore, devessere costretto ad accorgersi chegli
segue qualcuno. Egli illumina il suo modello
con una lanterna cieca. Non prediligiamo le traduzioni che si chiamavano barbare: quelle che
fanno desiderare il testo. Una buona traduzione
dovrebbe far dimenticare il testo (). Si deve
tradurre direttamente dal testo, adottando la
migliore edizione. Si deve tradurre integralmente, senza tagli ed arbitrii. Perch la traduzione
sia durevole, occorre chessa sia scritta in piana
lingua italiana corrente, senza sfoggi arcaici o
vernacolari, tranne i casi in cui particolari accentuazioni servano a imitare certi caratteri del
testo.
(Giuseppe Antonio Borgese, Nota a Stendhal,
La certosa di Parma, ed. orig. 1839, trad. dal
francese di Ferdinando Martini, Mondadori,
Milano 1930).

duzione, quella della mondadoriana Biblioteca Romantica, annunciata come una raccolta di capolavori romantici e stranieri in veste italiana classica in
cui i traduttori dovevano attenersi a dettami obiettivi. Non facile vedere quanto integralit del testo
a parte questi dettami potessero davvero portare
ai risultati desiderati, n si pu credere che le buone intenzioni si accordassero sempre con le esigenze
editoriali e pratiche. Citeremo proprio per la Biblioteca Romantica il caso di Rinaldo Kfferle traduttore dei Demoni di Dostoevskij e oggetto presso
la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, che ne
ha acquisito larchivio, di una giornata di studio il 16
maggio di cui resta testimoniata la cura
con cui volle aderire al difficile linguaggio
del maestro russo rispettandone ad esempio luso dei diminutivi o lanticipazione
degli aggettivi in funzione umoristica se
non sarcastica (il molto rispettabile e
dotto Stepan Trofimovic Verchovenski),
e alla cui traduzione, pure, Borgese si
preoccup di togliere le scabrosit non
indispensabili perch fosse appunto
raggiunta la naturalezza desiderata. Lo citiamo, per, anche per segnalare come le
esigenze o le convenienze editoriali intervengano a volte, arbitrariamente e anche
subdolamente, a correggere e a falsare il
carattere e le ragioni di una traduzione.
Si accorse infatti, Kfferle, che dopo la
guerra Mondadori stava per ristampare
la sua traduzione secondo una lezione,
per, minuziosamente manomessa da un
redattore anonimo, appianata, resa cio
pi agevole alla comprensione del lettore
medio, storpiata sistematicamente pagina
per pagina. Inutili le proteste: Il traduttore si content di togliere, dallopera
malconcia, il proprio nome e, in contraccambio, fu lasciato libero di cercarsi, per
la traduzione genuina, qualche altro editore che gliela ristampasse (le citazioni sono da un dattiloscritto
di Kfferle conservato presso la Fondazione).
Libert virtuale, vorremmo dire; come trovare un editore che potesse competere con le 20.000
copie messe in circolazione a un prezzo economico
dalla Biblioteca Moderna Mondadori? Rispondeva in questo senso Federico Gentile, amministratore
delegato della Sansoni, a unofferta di Kfferle in
proposito; e i Demoni sansoniani sarebbero infatti
usciti nel 1958, nellambito di un tutto Dostoevskij
curato da Ettore Lo Gatto, per la firma di tuttaltro
traduttore, Giorgio Maria Nicolai, le cui richieste
dovevano essere parse pi accettabili.
Tutto qui? No, purtroppo: sia perch, morto Kfferle, Mondadori continu a ristampare la versione
purgata riapponendole, per, il nome di Kfferle
traduttore, sia perch il testo sansoniano reca stranamente, insieme alla firma di Giorgio Maria Nicolai, la
nota seguente: Le versioni de I demoni, Ladolescente e de I fratelli Karamazov sono state a suo tempo
gentilmente concesse dalle case editrici Mondadori,
Sonzogno e Casini. Quale delle due dichiarazioni
dovremo giudicare attendibile? Cosa stato concesso da Mondadori e che cosa invece dovuto a
Giorgio Maria Nicolai? Non si tratta, per caso, di
un ulteriore maquillage della traduzione originaria?
Non questo il luogo per approfondire largomento, ma possiamo almeno riprendere, da un altro
punto di vista, le osservazioni da cui eravamo partiti
per dire che purtroppo, e comunque per le abitudini
o necessit dellindustria editoriale, resta arduo stabilire, oltre che la bont o meno di una traduzione,
la sua effettiva e magari multipla paternit. E la
raccomandazione quasi centenaria, ormai, di Borgese che la traduzione devessere sinceramente sotto
la responsabilit di chi la firma continua ad essere
un principio tanto ovvio quanto poco rispettato. n
edoardo.esposito@unimi.it
E. Esposito insegna critica letteraria e letterature comparate
allUniversit degli Studi di Milano

Quaderni

ome giudichiamo di una traduzione? Su che


C
elementi si basano i molti recensori che, dalle
pagine dei quotidiani, delle riviste e di questa stessa

- La traduzione

di Edoardo Esposito

45

Schede

N. 5

Infanzia
AA.VV, La prima volta che, pp. 240,
15,50, Il Castoro, Milano 2016
Il Castoro non nuova alle opere collettive. Gi ha pubblicato Parole Fuori, con una
rosa di scrittori noti nel panorama letterario
per ragazzi, sul tema delle emozioni. Allora a
ciascuno venne affidata unemozione
da raccontare, mentre con La prima
volta che (in cui la rosa di scrittori varia nei nomi, pur mantenendone alcuni) la sfida misurarsi su uno stesso
tema, quella prima volta che ha segnato la vita in modo indelebile. Non
di racconti biografici si tratta, ma di
riflessioni personali brillantemente risolte in narrazioni con registri e toni
consoni a ciascuno degli scrittori che
ha partecipato allavventura. Cos il
lettore ha il piacere di saltabeccare tra
la scoperta di un interesse amoroso tra
due ragazzini (Fausto Boccati), alla
capacit di dire stasera non esco e
accogliere qualcuno che viene a cercarti a casa (Beatrice Masini), dallesperienza di chi, migrante tra sabbie e
luoghi desolati nel cuore dellAfrica,
giunge al mare (Antonio Ferrara), al
primo bacio al Centro avventure lupo
grigio, che ti rivela chi sei veramente
(Tommaso Percivale), dal tradimento
di un gruppo di amici che si diletta
di giochi di ruolo per incontrare la fidanzatina di un altro (Domenico Baccalario), alla prima bugia il cui prezzo
un viaggio da sola in treno col cuore
in gola per il ritardo (Giulia Sagramola), dalla
sigaretta fumata al funerale di Vecchio gufo,
alias il comandante partigiano Veleno, unico
capace di placare la rabbia di una ragazzina
di periferia (Francesco DAdamo), ai sudori
freddi per dire non fai per me a Melissa dai
capelli rossi (Alice Basso), dalla consapevolezza di quanta ricchezza ci sia in un pinolo
dipinto di verde donato con amore (Sualzo),
alla sfida di dichiararsi a Ulma, la stangona
che gioca a calcio meglio di un maschio (Zita
Dazzi), dal coraggio di Nadir, autistico, di
tagliare da scuola e trovare un amico (Fabrizio Silei), allemozione del primo lavoro che
pu causare brutti scherzi (Annalisa Strada).
La narrazione parcellizzata in cos differenti
situazioni e stili, compreso il graphic novel,
restituisce una sorta di romanzo omogeneo,
un quadro articolato delladolescenza e dei
primi timidi e contradditori tentativi di diventare adulti, autonomi e sicuri di s. Da
undici anni
Sofia Gallo

Sergio Ruzzier, Una lettera per Teo, ed.


orig. 2014, trad. dallinglese della redazione,
pp. 32, 18, Topipittori, Milano 2015

Infanzia
Mare
Storia

Sergio Ruzzier un autore completo con


una spiccata e confessata predilezione per
gli uccelli, come dimostra il libro dal titolo
omonimo (Despina, 2002). Nel nuovo albo
in realt a tenere la scena fin dal principio
un furetto postino che fa il suo lavoro con dedizione ed ricambiato con affetto dagli altri
animali, un vero modello di servizio pubblico
friendly. Consegna posta di ogni tipo, buste,
cataloghi, pacchetti, un osso al cane, un pacco anfibio al pesce, una lettera damore a uno
scoiattolo romantico che legge su un ramo.
Sempre con un sorriso e un gesto gentile, ricambiato con una partita a bocce o una tazza
di zabaglione. Ma quando torna a casa preso da un po di tristezza perch non c mai
una lettera per lui, finch un giorno dalla sua
cassetta esce un cip, seguito da un uccellino che si perduto e che naturalmente Teo
accoglie e accudisce con amore, cos che nasce una bella famigliola a due: insieme fanno
il giro delle consegna, cucinano, costruiscono il pupazzo di neve Ma allarrivo della
primavera gli uccelli ritornano a nord e Cip
che ormai cresciuto deve partire, con una
lacrimuccia di Teo, che per torna di buon
animo alla vita di sempre. Un giorno, per,
arriva qualcosa e poi qualcosaltro. La favoletta semplice e gentile, non c da cercare

significati particolari, come le famiglie diverse o la crescita che porta al distacco, basta seguire e accompagnare il piccolo entro il
flusso di emozioni, anticipazioni, attese, gratificazioni che il racconto suscita. Ruzzier
un vero artista e maestro capace di creare un
linguaggio unico di parole e immagini che si
compongono in vera narrazione. Da tre anni
Fernando Rotondo

Bernard Friot, Dieci lezioni sulla poesia,


lamore e la vita, ed. orig 2014, trad. dal
francese di Janna Carioli, pp. 180, 12,50,
Lapis, Roma 2016
Bernard Friot stato felicemente tradotto
dal Castoro che ha fatto conoscere le sue brevi storie surreali, illustrate dal tocco efficace
di Silvia Bonanni. Altrettanto felice la pubblicazione delle Lezioni sulla poesia proposta
da Lapis, un libro prezioso che esalta il valore del narrare poetico in un gruppo. Due
i soggetti principali: Marion e Kev. Lei una
dodicenne ribelle, nativa di Montrond, paese
di poco interesse e sede di un centro estivo.
La madre lavora, la nonna ha un tumore, il
padre assente e Marion si ritiene grande
per certi divertimenti. Espulsa dai giochi
sportivi allaperto, deve partecipare al laboratorio di poesia che lo scrittore Simon tiene
nella biblioteca del centro, con un gruppetto
di volenterosi. Tra di loro c Kev, un anno
pi giovane, con gesso e sedia a rotelle per
una frattura alla gamba. I due si conoscono, perch Kev viene destate a Montrond
a trovare la nonna Annette. Se qualcosa tra
loro due c, loro non lo sanno riconoscere
e tanto meno esprimere. Marion partecipa ai giochi di Simon di malavoglia, Kev
pi accondiscendente, ma entrambi, come i
loro compagni, non hanno mai praticato la
strada della scrittura per intercettarsi o per
relazionarsi col mondo e vanno a tastoni, con
timidezza o azzardo. Nel corso delle dieci lezioni le cose cambiano, i ragazzini liberano la
loro creativit, riescono a dare parole ai loro
sentimenti, malesseri e gioie. Tanti gli spunti
di gioco: quali gli aggettivi simpatici e quelli
antipatici? Quante parole ricordi di una poesia letta? Come non aver paura della pagina
bianca? Che cos dolce o amaro? Scrivere
viaggiare, fare errori, sentirsi liberi: io ti amo
pi di sempre, ti amo pi di paura, ti amo
pi che morte. tuttavia negli intervalli tra
una lezione e laltra che si snoda la storia di
Marion e Kev. La scrittura piana di Friot ci
conduce a penetrare la sensibilit dei due ragazzini e d vita a un libro che un dono per
i lettori adulti e una fortuna per i giovani. Da
nove anni
S. G.

Fabian Negrin, Come? Cosa?, pp. 40, 16,


Orecchio acerbo, Roma 2016
Chi da piccolo non ha giocato con gli amici
al telefono senza fili? Il primo sussurra una

parola allorecchio del vicino, che la ripete a


quello di chi gli sta accanto o almeno dice
quello che ha capito, e cos via uno dopo laltro; pi sono i partecipanti e pi facile che
allultimo arrivi una parola completamente
diversa o tanto sgangherata da provocare
risate. Chiss se i bambini di oggi giocano
ancora cos tra un cellulare, un videogame
e i cartoni in tv. Fabian Negrin, eccezionale autore completo, di illustrazioni e testo,
trae ispirazione da quel vecchio
passatempo che metteva alla prova
capacit di ascolto e pronuncia per
inventare una storia ambientata in
un porto e dintorni un giorno di forte vento. Una storia che sicuramente
divertir i piccoli lettori per gli equivoci linguistici tra i personaggi, fra
i quali protagonista suo malgrado
un bambino. In una giornata molto
molto ventosa, una donna chiede che
cosa vuole mangiare la sera al marito
che parte per la pesca, e questi urla
in risposta: Pur di patate!. Ma
la moglie capisce due grandi frittate e manda a comprarle il figlio,
che a sua volta capisce palme impanate, che per per il giardiniere
diventano galline ammaestrate e
cos via. Complice il vento che soffia e sbuffa, fischia e urla, si gonfia e
scatena, muggisce e ruggisce, urla e
ulula, infuria e turbina, impazza ed
esplode in un crescendo di violenza.
In un susseguirsi di incomprensioni,
fraintendimenti, malintesi ed errori
umani, quando il vento si placa il cerchio si chiude e si torna al punto di
partenza, che non giusto rivelare. Oggi c
stato un po di vento in mare dice pap al
ritorno. Vento? Qui stato calmo, mi pare
risponde la mamma e il bambino si tiene la
testa stralunato: Calmo?! Come? Cosa?
Parole e disegni di Negrin volano leggeri, le
prime variano come soffi di vento, i secondi
parlano come la lingua dei segni. Da tre anni
F. R.

Russell Brand, Il Pifferaio di Hamelin, ed.


orig. 2014, trad. dallinglese di Rosa Vanina
Pavone, ill. di Chris Riddell, pp. 128, 15,50,
Il Castoro, Milano 2016
Ci vuole coraggio per azzardare lennesima
riscrittura della famosa fiaba dei Grimm, le
cui fonti per risalgono almeno a 500 anni
prima, ma Brand ci riesce magnificamente, grazie soprattutto al sontuoso apporto
di Chris Riddell. Hamelin il paese della
ricchezza, arroganza e fatuit degli adulti,
che contagiano i bambini trasformandoli in
mostriciattoli dediti al consumismo e al bullismo verso Sam, il ragazzo zoppo ed emarginato, ma intelligente e sensato. Brand si
esibisce in una ridda linguistica dove rutti,
scorregge, cacche e pip, perfettamente resi
dai disegni, dominano le prime pagine. Ed
ecco che si verifica una grottesca, surreale ed
esilarante invasione di ratti pirati, o meglio
del collettivo rattesco anarco-egualitario
che al grido di anarchia! devasta lordinata
ma ipocrita cittadina. Riddell si scatena per
diciotto pagine filate con le sue matite coloratissime, topastri e personaggi deformati e
strampalati, situazioni grottesche e surreali,
ghirigori baroccheggianti e invenzioni iconografiche, effetti stranianti ed esilaranti. Compare un pifferaio, vestito a scacchi bianchi e
neri come un clown inquietante portatore di
pulizia e giustizia, che promette di liberare
la citt dai ratti nella scena successiva il
suonatore camminer come su un fiume di
pelliccia scintillante in cambio di una borsa doro. Che per i maggiorenti della citt
gli rifiutano a operazione conclusa. Come
da copione, il pifferaio riprende a suonare
seguito dai bambini che svaniscono per non
tornare pi. Tranne Sam, che Il finale a
sorpresa naturalmente va lasciato al lettore.
Manca limmagine originale e fascinosa della
montagna che si rinchiude sui topi e poi sui
bambini, peccato, ma non si pu avere tutto.
Sembra un albo per bambini, ma anche un
vero libro per ragazzi. Da otto anni
F. R.

46

Schede

- Mare

N. 5

Paolo Ganz, Cercando Venezia. Guida poetica alla citt di pietre e acqua, pp. 131,
18, Mare di Carta, Venezia 2015
Venezia ha tanti primati, anche quello di
avere pi o meno fantasiose definizioni. Solo
per citarne alcune recenti: Venezia un pesce per Tiziano Scarpa, Venezia un sogno
per Anna Pavignano, Venezia un imbroglio
per Francesco Guccini, Venezia un camaleonte per Paolo Ganz, autore di questa nuova
guida poetica. Veneziano e musicista; questo
pu gi bastare per seguirlo per calle e campielli, alla ricerca della musica segreta di una
citt che anche uno strumento musicale,
suonato innanzitutto dallacqua. Ed forse
questo il capitolo che manca a questa guida,
anche se la musica comunque la si ascolta
leggendo queste pagine. Ma, tornando alla
definizione scelta, Venezia un camaleonte perch sa rubare il colore di ci che la
circonda, di ci che la compone: mattoni e
pietre, cocci e sabbie, erbe e palafitte. Questi sono anche alcuni dei titoli dati ai brevi
capitoli, piccoli racconti a tema, tutti scritti
in presa diretta e molto sentiti. Sono gli incontri casuali, i ricordi di bambino, i personaggi sconosciuti, gli accadimenti quotidiani,
che fanno di questo libro un delicato invito
a passeggiare spensieratamente, se non addirittura al perdersi in quel grande labirinto
incantato che Venezia. Una citt afflitta da
un duplice supplizio, laffollamento turistico
e labbandono residenziale, che sono le due
facce della stessa medaglia. Due problemi
enormi che in maniera implicita ed esplicita
vengono spesso inevitabilmente evocati anche in questo libro. Se complesse e discusse
sono le strategie per approcciarli, semplice
ed efficace linvito che offre Ganz per provare almeno a riequilibrare il carico della
nave chiamata Venezia. Cercatela fuori
dagli itinerari convenzionali, farete un
regalo a voi stessi e a questa citt, fatta di
pietra come tutte, impreziosita dallacqua come poche. Il libro arricchito
delle illustrazioni di Lele Vianello, che
per anni ha collaborato con Hugo Pratt.
Sono piccoli schizzi in bianco e nero
che raccontano in altro modo una porta
o un balcone, le lanterne o i cocal, cio
fari e gabbiani. Una guida appassionata
quindi, come leditrice che lha pubblicata, Cristina Giussani di Mare di Carta, che instancabilmente presidia con i
suoi libri e con la sua libreria, unaltra
Venezia, prendendo a prestito il titolo di
Predrag Matvejevi.

maestro anglo-polacco, il francese Houdaille


racconta il mare a partire dalle sue navigazioni, lunghissime, fatte introno al mondo,
in equipaggio e in solitario, conoscendo
linfinita dolcezza delle onde, che si alterna a
momenti dinaudita ferocia. Ed proprio dal
sentimento della paura, profonda, viscerale, provata dallautore durante una traversata dellOceano Pacifico, che savvia il racconto. la descrizione di una burrasca che
supera ogni immaginazione, alzando onde
incrociate che si drizzano in verticale. In
quelle condizioni bisogna gettarsi anima e
corpo nella tempesta. Il marinaio, consapevole della sua fragilit, deve fare tutto il possibile per evitare il peggio, rimettendosi per
alla fine al giudizio inappellabile delloceano.
Non ci sono ovviamente solo le emozioni
forti delle tempeste, ma anche quelle dolci
portate da venti favorevoli o regalate da scali
sconosciuti, a lungo agognati. Ogni marinaio sogna unisola ai confini del mondo, la pi
lontana, la pi selvaggia possibile, una ricerca che pu giustificare da sola tutte le partenze. La testimonianza dellautore sarricchisce
anche del suo mestiere di velaio. Unarte antica che, ancora oggi, nelleterna evoluzione
tecnologica, rispondendo a una necessit
per capace anche di continuare ad alimentare una poetica del mare, fatta di vele che
si perdono allorizzonte. Unemozione che
appartiene non solo ai cap-hornier, come
Houdaille, ma anche a tutti noi che alziamo
instancabilmente una vela per bordeggiare
sottocosta, rinnovando una preghiera eolica.
Ci sono i vivi, i morti, e coloro che vanno in
mare, dicevano gli antichi greci, anche per
il semplice piacere di ritrovare un rapporto
intimo con la natura, aggiungiamo noi oggi.
F. F.

Fabio Fiori

Christophe Houdaille, Il canto delle


vele. Piccole riflessioni sulla navigazione daltura, pp. 92, 8,50, Ediciclo,
Portogruaro (VE) 2015
Anche la vela entra nella collana Piccola
filosofia di viaggio, che raccoglie le idee e
le esperienze di lenti viaggiatori contemporanei. Una collana che amplia il gi ricco
catalogo di Ediciclo, un piccolo editore che
da trentanni pedala con determinazione su
una delle pi impervie salite imprenditoriali
di questi anni. Pedalare il verbo pi appropriato perch, come esplicita il suo nome, ha
una predilezione particolare per la bicicletta,
intesa innanzitutto come esperienza di vita.
Con questo titolo, assieme ad altri, allarga
lorizzonte narrativo di chi ama vivere allaria
aperta, nella consapevolezza di un imprescindibile rapporto con gli elementi naturali.
E chi pi del marinaio, anche ai giorni nostri,
pu rinnovare questo ancestrale contatto?
doveroso il punto interrogativo perch,
come ci avverte subito nelle sue riflessioni
Christophe Houdaille, in tanti, in troppi, sognano la libert marina, chiudendosi poi in
una prigione tecnologica. Nella vela, altrettanto pericolosa la deriva agonistica che riduce il mare a un campo di regata e la barca a
un mezzo performante. Quello di cui ci parla
invece lautore un rapporto profondo con
il mare, da ammirare e da temere, e di una
relazione amorosa con la barca, da curare e
da ascoltare. Atteggiamenti che rinnovano
unantica tradizione, descritta in maniera insuperabile da Joseph Conrad. Cos come il

Alessandro Vanoli, Quando guidavano le


stelle. Viaggio sentimentale nel Mediterraneo, pp. 236, 16, Il Mulino, Bologna 2015
Riprendendo linsuperabile lezione di Fernand Braudel, secondo cui il mare continua
a offrire sul suo passato la pi illuminante
testimonianza, Alessandro Vanoli s messo
in viaggio per scrivere un altro racconto su
questinsuperabile mescolanza liquida di passato e presente. Lo ha fatto attraversandolo
innanzitutto lungo la storia, andando di porto in porto, di epoca in epoca. Se non completamente condivisibile la nostalgia per un
Mediterraneo millenario che qualche tempo
fa ha cominciato a spegnersi, di certo invece innegabile il suo difficile presente. Probabilmente per anche in questo molto simile a tutta la sua plurimillenaria storia. Quattro
sono i capitoli in cui suddiviso il libro e
ognuno corrisponde a una navigazione, con
una nota esplicativa al termine del viaggio.
Nel primo si parte da Atene, o per essere pi
precisi dal Pireo, il porto per eccellenza della
civilt classica verso cui ancora, volenti o nolenti, abbiamo filato lunghe e robuste cime
dormeggio. Poi di qui gli antichi in sei giorni
di navigazione raggiungevano Alessandria,
che per Vanoli il vero passaggio obbligato tra Oriente e Occidente. Infine Cartagine e Roma, anchesse sulle opposte sponde,

anchesse protagoniste della storia mediterranea. Nel secondo capitolo gli approdi sono
ancor pi lontani, da Oriente a Occidente,
da Costantinopoli a Valencia, per arrivare
addirittura dallaltra parte dellAtlantico, in
compagnia di Cristoforo Colombo. Il terzo
parte anchesso da Bisanzio ma approda subito a Venezia, per perdersi poi pigramente
sulle sponde adriatiche, per raccontare qualche bella storia alla maniera di un altro storico che tanto scrisse su questo mare lungo e
stretto: Sergio Anselmi. Lultima navigazione
parte da Alessandria alla met dellOttocento, seguendo le vicende di due viaggiatori
deccezione, Maxime Du Camp e Gustave
Flaubert, impegnati in un lungo itinerario,
fino a una Palermo ammantata di orientalismo. Dalla Sicilia la rotta porta agli altri due
maggiori porti delloccidente italiano: Napoli
e Genova, entrambi legati alle drammatiche
vicende dellemigrazione dei primi del Novecento. Le tante storie narrate sono imbastite
con il filo dei ricordi personali di Vanoli che
conclude fornendo anche un elenco dei suoi
strumenti di navigazione, ossia di tutti quei
libri che hanno giocato un ruolo importante
per costruire la sua mediterraneit.

Claudio Giunta, Mar Bianco, pp. 287,


19,50, Mondadori, Milano 2015

Lapnea uno stato fisiologico, ma anche uno sport e, per qualcuno, una pratica
trascendentale. Senza dimenticare che in
passato stata un lavoro, quello dei pescatori
di spugne ad esempio, di cui Haggi Statti
idealmente il simbolo. Statti apparteneva
a quellantica genia di poverissimi lavoratori del mare che ogni giorno, tra mille
fatiche e enormi pericoli, si immergeva nel
mare Egeo per raccogliere spugne a grandi
profondit. Cos per lui fu facile scendere
a unottantina di metri per permettere poi
il recupero dellancora, altrimenti persa,
di una nave militare italiana nel 1913. Una
storia raccontata con grande passione anche da Jaques Mayol, luomo delfino,
uno dei padri dellapnea, che per decenni
duell negli abissi con Enzo Maiorca, un
altro straordinario pioniere dellimmersione. Sono proprio questi i tre nomi che
mancano nelle pagine comunque documentate e appassionate di James Nestor,
che racconta il suo viaggio nel profondo
in Il respiro degli abissi. Un libro che
insieme un inchiesta sullo sport estremo
pi pericoloso al mondo e sulle ricerche
scientifiche abissali, il tutto intrecciato con
la sua scoperta di questo misterioso mondo
sottomarino. Il racconto savvia nel 2011,
quando questo giovane giornalista americano viene mandato da una rivista a Kalamata in Grecia, per seguire il campionato
mondiale di apnea. in quelloccasione che
Nestor, nato e vissuto in riva alloceano ma
che mai ha messo la testa sottacqua, conosce
questo sport che allinizio lo sconcerta e atterrisce, ma poi lo attrae irresistibilmente, sia
culturalmente che materialmente. Il racconto
si compone di capitoli batimetrici cio scanditi dalle profondit; da 0, che anche metafora delle iniziali conoscenze dellautore, a
-10.900 del Challenger Deep, un abisso della
pi ampia Fossa delle Marianne. qui che si
conclude lesperienza narrata da Nestor, che
partecipa a una missione scientifica desplorazione in questi luoghi che rimangono i pi
lontani e sconosciuti della Terra. Tra le decine di personaggi raccontati, apneisti e non,
raccontati c un doveroso spazio anche per il
nostro Raimondo Bucher che nel 1949 scese
in apnea fino a -30 metri, per primo in maniera documentata, tanto da essere considerato
il primo record ufficiale. Erano anni in cui si
credeva che il corpo umano non avrebbe resistito a quelle pressioni, che oggi invece sono
alla portata di tanti apneisti. Tralasciando infatti le incredibili gesta degli attuali campioni,
lapnea una pratica in grande espansione,
perch il pi semplice e affascinante modo
dimmergersi, sperimentando quotidianamente una vera e propria mistica dellacqua.

Il romanzo di Claudio Giunta certamente (come avverte il risvolto di copertina) un noir e insieme un romanzo dambiente, ma anche in parte un romanzo
di formazione (un po ritardata, ma sono i
tempi di questa nostra epoca di rinvii e di
esitazioni) e pure una specie di nostos. Ed
un bel romanzo, per varie ragioni. Con
rapida preterizione non facciamo i complimenti alla storia e allefficacia con la quale
lautore la svolge per il lettore n alla scrittura, coinvolgente e stilisticamente adeguata, n alla capacit, che verrebbe voglia di
definire consumata, di delineare i personaggi, su cui per torneremo. La scomparsa di tre giovani fiorentini nellarcipelago
russo delle Solovki, nel Mar Bianco, dove
erano andati per collaborare al restauro
di un antico monastero ortodosso (Wikipedia fornisce tutte le informazioni utili
per documentarsi) il fatto che innesca
lindagine del protagonista, il giornalista
freelance (non per scelta sua) Alessandro
Capace, coetaneo degli scomparsi, che alla
fine risolver, per la stampa e la polizia ma
diversamente per s, il caso. Da Firenze al
Mar Bianco un lungo viaggio, uno spaesamento (peraltro noto a Giunta, che ha
scritto con Giovanna Silva Tutta la solitudine che meritate. Viaggio in Islanda, Quodlibet Humboldt, 2013) che agisce da potente
catalizzatore di riflessioni e di interrogativi:
nella desolazione della terra e del mare ai
limiti del circolo polare, su unisola dove si
trovano soltanto un povero villaggio fangoso e un lugubre monastero, trasformato in
gulag durante il periodo sovietico, non c
quasi niente di naturale n tantomeno di
romanticamente possente, semmai il corrispettivo ambientale di una lunga e atroce
e per anche miserabile storia di male e di
dolore che ha fatto scattare la catastrofe
(evento e soluzione) a cui sono andati incontro gli scomparsi. Lo svolgimento della
tragedia per si lentamente preparato nel
luogo una Firenze evocata con spiritoso
sarcasmo (Cancn rinascimentale) e
soprattutto nel mondo le famiglie, gli
amici, gli amori dove i tre giovani vivevano e che tocca pure il protagonista, fiorentino anchegli, e raggiunge il suo acme nella
saldatura fra quella angustia e difficolt del
vivere (compendiata a un certo punto nella
ripresa di un celebre passaggio del diario
di Cesare Pavese) e il cumulo di sofferenza di cui le Solovki sono le mute depositarie. Nel corto circuito di due ambienti
cos lontani e bruscamente ravvicinati si
muovono i molti personaggi, delineati da
Giunta sempre con incisivit, coerentemente al disegno complessivo e per tratti
nitidi ed espressivi: il direttore del giornale, il commissario, la lettrice-interprete Julia, la famiglia del protagonista e dallaltra
parte gli abitanti delle Solovki, il pope, il
capovillaggio Filippov, il povero Valentin,
ultima vittima innocente della ferocia che
ha lungamente dominato le isole. La figura
di Enrico Saraceno, leader del gruppo dei
giovani scomparsi, intravisto nel prologo,
invece fatta emergere dai discorsi di coloro
che ne parlano e dal suo diario con progressiva e intermittente evidenza. Ma con
le madri, specialmente quelle di Enrico e
di Valentin, che ci troviamo di fronte a dei
personaggi di commovente umanit, testimoni desolate e consapevoli delle vicende
dei loro figli e portatrici dinesauribile amore per essi. Nessuno ci amer davvero, su
questa terra, come nostra madre, riflette a
un certo punto Alessandro: non detto che
la considerazione valga per tutti, e comunque lo sarebbe, sospettiamo, soltanto per
i maschi, come lo sono il protagonista, gli
scomparsi e Valentin. Ma le persone luminose di queste madri occupano una parte
non trascurabile del percorso che il protagonista fa attraverso la tragedia e il dolore,
della sua differita formazione (Come si
cambia? Cos che ci costringe a cambiare?, si chiede alla fine della storia), nella
quale c posto anche per un nuovo amore,
ma che approda in ultimo a unaltra madre,
perduta e questa volta ritrovata, la sua.

F. F.

Walter Meliga

F. F.

James Nestor, Il

respiro degli abissi.

viaggio nel profondo,

Torino 2015

Un
pp. 296, 22, Edt,

Holger Afflerbach, Larte della resa.


Storia della capitolazione ed. orig.
2013, trad. dal tedesco di Paola Rumore, pp.
296, 25, Il Mulino, Bologna 2016

Ufficiale garibaldino, passato poi nelle


file dellesercito regio e sugli scranni della Camera dei deputati, Cristiano Lobbia
un Carneade verso cui nel 1869 si volge
lo sguardo dellintera opinione pubblica italiana. Il suo nome abbinato allo
scandalo della Rega cointeressata, la societ che, sorta per iniziativa del Credito
mobiliare di Domenico Balduino, aveva
ricevuto in gestione dallo stato il lucroso
settore dei tabacchi. Nel corso dellacre
dibattito parlamentare che ne era seguito,
Lobbia aveva annunciato di possedere delicate informazioni. Poche sere dopo, nel
centro di Firenze allora capitale, era stato
assalito da uno sconosciuto che aveva tentato di ucciderlo. Arisi Rota restituisce con
acume il sofferto clima politico e culturale
che trasforma questa vicenda in un caso
mediatico, capace di catturare lattenzione
della stampa soprattutto quando, nellautunno dello stesso anno, Lobbia viene messo sotto processo con laccusa
di avere inscenato laggressione. In
un 1869 trafitto dalle sollevazioni popolari contro la tassa sul macinato, il
dibattimento fiorentino si trasforma
in un banco di prova per la tenuta
istituzionale. Sul tavolo, infatti, insieme allonorabilit del deputato
veneto sono posti gli assunti risorgimentali, in larga misura violati da
un decennio di mala gestio della cosa
pubblica. Lobbia viene conteso tra
quanti lo elevano a genuina rappresentazione degli ideali delle guerre
dindipendenza e quanti, al contrario, vedono in lui lo strumento di una
macchinazione. Lex camicia rossa
rimbalza sulle prime pagine delle
maggiori testate del paese finch il
tribunale ne dichiara la colpevolezza.
Gli occorreranno cinque anni e due
ulteriori processi per vedere cancellata la condanna.

legittimo parlare di una mano invisibile che disciplina lo svolgimento delle guerre? questa la domanda alla quale con
richiamo al concetto formulato da Adam
Smith per descrivere il funzionamento del
mercato Afflerbach ha qui cercato di
dare risposta, ripercorrendo la storia bellica europea in relazione ai rapporti che,
al momento della cessazione dei conflitti,
si instaurano tra vincitori e vinti. In vista
di tale obiettivo, lo storico tedesco ha dunque preso in esame quellampia casistica
di consuetudini, di concezioni dellonore,
di fattori tecnici e di questioni politiche,
sociali ed economiche, che hanno accompagnato levoluzione del fenomeno bellico e, al contempo, determinato il decorso
dei processi di capitolazione dallet del
ferro sino allepoca attuale delle guerre
post-eroiche. Bench consapevole della
natura camaleontica del fenomeno bellico,

pa; potrebbe diventare un film nella Parigi


degli anni folli e invece si chiude con un
processo per omicidio a carico di Louise,
stanca delle intemperanze del marito contro il figlio. Narrata la trama con il supporto di immagini, gli autori si soffermano
sulla fabbrica della storia e sulle sue possibili letture a seconda che si privilegi lo
studio della guerra del 1914, quello del genere, delle violenze coniugali, dei rapporti
amorosi o della giustizia negli anni trenta.
Nella scenografia del processo, celebrato a
Parigi nel 1929, vittima e colpevole appaiono lo specchio del funzionamento e dei
contrasti della societ francese: lo scompiglio della guerra ha aperto brecce, allentato vincoli morali nella vita privata e nelle
relazioni tra i generi, ma nel dopoguerra
urge ristabilire un ordine simbolico contro
mogli infedeli e mariti indegni. Allobitorio, Paul solo un alcolizzato, pervertito
e vagabondo. Alla sbarra, Louise diventa
una madre esemplare al cui cospetto la
giustizia al maschile pu presentare il suo
volto pi umano.
Monica Pacini

Roberto Giulianelli

Guerra

e nazioni.

Idee e movimenti nazionalistici nella Prima guerra mondiale, a cura di Marco Scavino, pp. 251,
22,50, Guerini & Associati, Milano 2015
Fra gli studi usciti in occasione del
centenario dellingresso italiano nel primo conflitto mondiale, questa collettanea
curata da Marco Scavino merita un posto
a s per il suo approccio variegato. Spazia dallovest allest continentale, per poi
prendere sinteticamente in esame, sottraendosi a una visione eurocentrica di quel
cataclisma, gli Stati Uniti (il nazionalismo
nascosto di Wilson), la Cina, lIndia, il
mondo arabo e la Turchia (dove la figura
chiave fu Ziya Gkalp, che nella propria
concezione fondeva lidea francese di civilization e quella tedesca di kultur). La
prima guerra mondiale offr infatti uno
sbocco a tutte le tensioni dellepoca. E ne
ingener di ulteriori. In Italia, alla scarsa
democraticit con cui nellestate del 1914
si decise di temporeggiare, fatalmente si
un lascesa di quel nazionalismo che doveva alimentare linterventismo e che, anche
dopo leffettivo ingresso nel conflitto, si
trasform nel suo versante movimentista e
autoritario, in forza politica a s, creando
le condizioni per il crollo dello stato liberale. Altrove la riflessione sullopportunit
di un intervento fu pi tormentata; risult
particolarmente controversa nellarea balcanica, dove, una volta messa in moto la
competizione fra irredentismi, le geografie
immaginarie delle nazioni si dilatarono a
dismisura. Integrano questa panoramica
gli studi sulla massoneria, divisa ma in prevalenza interventista, e sulle lacune presenti nel testo della Convenzione dellAja
circa i diritti dei cittadini di nazionalit
nemica in un territorio in tempo di guerra.
Daniele Rocca

Afflerbach riscontra lesistenza di alcune


leggi fondamentali, tra cui la tendenza
alla minimizzazione delle perdite o il principio di reciprocit, secondo cui la tempestivit della resa del vinto determinerebbe
il grado di misericordia del vincitore. E,
per questa via, riprendendo la distinzione
clausewitziana tra guerra assoluta e guerra reale, ritiene che i moventi egoistici di
ciascun belligerante abbiano svolto un
ruolo decisivo nellevitare che le guerre si
concludessero con lannientamento totale
del vinto. In tal senso, le stesse normative internazionali, introdotte col proposito
di regolare i conflitti, non sarebbero altro
che la codificazione di consuetudini progressivamente affermatesi sin dal medioevo. Secondo Afflerbach tali consuetudini
avrebbero contribuito a un progressivo,
ancorch relativo, miglioramento delle
condizioni in cui avvengono i conflitti.
Federico Trocini

Fabrice Virgili e Danile Voldman, La


garonne e lassassino. Storia di Louise
e di Paul, disertore travestito, nella
Parigi degli anni folli, ed. orig. 2011,
trad. dal francese di Vira Lanciotti e Teresa
Bertilotti, pp. 142, 19, Viella, Roma 2016
Il saggio ricostruisce nei dettagli la storia
tragicamente avventurosa di una coppia di
giovani operai immigrati a Parigi nel primo
Novecento. Una storia ordinaria damore e miseria trasformata in un fatto di cronaca alla frontiera del genere dalla scelta
del caporale Paul di sottrarsi alla guerra
disertando e travestendosi da donna. Nelle
vesti di Susan, Paul non vive nellombra di
una domesticit virtuosa, ma si fa seduttiva
regina della notte e spregiudicata garonne con la complicit della moglie Louise.
Dopo lamnistia la vicenda attira la stam-

Liberalismo

e democrazia nellItalia

a cura di Aurelia Camparini e Walter E. Crivellin, pp.


210, 23, FrancoAngeli, Milano 2015
del secondo dopoguerra,

Questa raccolta di saggi si concentra su


una preoccupazione che anim il dibattito
politico e ideologico dei primi decenni del
secondo dopoguerra: coniugare la teoria
liberale con quella democratica in modo
da attuare compiutamente lintera gamma
dei valori costituzionali. Si ribadisce cos
il contributo cruciale di una personalit
come quella di Alcide De Gasperi, politico
le cui scelte si nutrirono anche di idee liberaldemocratiche assai pi robuste di quanto si sia ancor oggi soliti pensare. Meno
nota la figura di Luigi Firpo, di cui non
si esaminano gli eruditi studi accademici,
bens i vivaci e anticonformisti interventi giornalistici che da intellettuale militante firm per
La Stampa di Torino.
Sua era una concezione
del liberalismo meno incline dellamico e collega
Bobbio a riconoscere le
virt del socialismo, eppure altrettanto progressista in quanto solerte
nella tutela e promozione
dei valori della scienza e
della laicit. Dal saggio di
Alberto Giordano risalta
il contributo dato da Luigi Einaudi anche in chiave costituente, portatore
di unidea liberale attenta
a trovare nei meccanismi istituzionali garanzie
contro
lonnipotenza
dello stato e la prepotenza privata. Giuseppe
Sciara passa in rassegna
le numerose traduzioni,

i commenti e gli studi che sul liberalismo


francese dinizio Ottocento, e in particolare su Benjamin Constant, uscirono tra
1943 e 1946, nella fase genetica del nuovo
ordinamento repubblicano. Ne risulta sia
lesigenza diffusa allepoca di prendere pi
o meno le distanze dal liberalismo crociano, sia lattrazione crescente esercitata dal
socialismo su ex-crociani ed ex-gentiliani.
Spunti interessanti anche nei saggi dedicati a Salvemini, a Bobbio e al Mondo di
Pannunzio. Da questi autori il riformismo
italiano potrebbe trarre nuova linfa.
Danilo Breschi

Il Psiup: la costituzione e la parabola di


un partito (1964-1972), a cura di Learco
Andal, Davide Bigalli e Paolo Nerozzi,
pp. 156, 18, BraDypUS, Bologna 2015
A cinquantanni di distanza dal 12 gennaio 1964, giorno della fondazione del
Psiup (Partito socialista italiano di unit proletaria), per iniziativa di un
gruppo di ex-militanti, si svolse a
Bologna, il 10 ottobre 2014, un convegno teso a riflettere criticamente
su quella transitoria formazione.
Gli atti rendono ora possibile apprezzare un dibattito che evit le
secche del nostalgico reducismo. La
relazione introduttiva, affidata ad
Aldo Agosti, lo storico pi autorevole di quella tormentata vicenda,
immise nel confronto interrogativi e
problemi che escludevano considerazioni apologetiche. Le tre principali componenti alla base della confluenza di non omogenei filoni della
sinistra socialista furono, secondo
Agosti, un esasperato classismo,
un frontismo mai dismesso ed un
anacronistico legame con lUrss e
con il campo dei paesi satelliti. Se
netta era lopzione anti-riformista,
non lineare, n convincente, fu la
linea opposta al centro-sinistra.
Lo scandaloso impaccio con cui il
partito non riusc a prendere le distanze dallinvasione sovietica della
Cecoslovacchia (1969) port in superficie
contraddizioni insanabili. Lesito elettorale
del 1972 pose la parola fine a un lavoro
generoso, ma prigioniero di schemi rigidi
e superati. Le visioni che albergavano dentro il Psiup erano tuttaltro che collimanti.
Tra le pi incisive appare la sinistra sindacale, che oper nella Cgil sotto la guida di
Vittorio Foa. E tra i giovani non mancarono prese di posizione atte a smontare una
collocazione vetusta e burocratizzata. Il
Psiup era nato gi morto, dominato perlopi da quadri tanto attivi quanto incapaci
di sintonizzarsi con i nuovi assetti che il
capitalismo andava assumendo e di trarne
con coraggio radicali revisioni culturali e
pratiche.
Roberto Barzanti

Schede

Arianna Arisi Rota, 1869: il Risorgimento alla deriva. Affari e politica nel caso
Lobbia, pp. 282, 25, Il Mulino, Bologna
2015

- Storia

47

N. 5

Tutti i titoli di questo numerO


A

fflerbach, Holger - Larte della resa Il Mulino - p. 47


Arisi Rota, Arianna - 1869: il Risorgimento
alla deriva - Il Mulino - p. 47

alossino, Simone - I podest sulle sponde


del Rodano - Viella - p. 33
Barbanera, Marcello - Storia dellarcheologia
classica in Italia dal 1764 ai giorni nostri Laterza - p. 29
Belli, Attilio - Memory cache - Clean - p. 38
Bettini, Maurizio - Dei e uomini nella Citt Carocci - p. 12
Bettini, Maurizio - Il dio elegante. Vertumno e
la religione romana - Einaudi - p. 12
Bettini, Maurizio / Romani,
Silvia - Il mito di Arianna.
Immagini e racconti dalla Grecia a
oggi - Einaudi - p. 12
Bonazzi, Tiziano - Abraham
Lincoln - Il Mulino - p. 35
Bottazzini, Umberto - Numeri Il Mulino - p. 15
Brand, Russell - Il pifferaio di
Hamelin - IL Castoro - p. 45
Brizzi, Enrico - Ho sposato una
vegana - Einaudi - p. 14

anz, Paolo - Cercando Venezia - Mare di


carta - p. 46
Giunta, Claudio - Mar Bianco - Mondadori p. 46
Grossman, Vasilij - Uno scrittore in guerra Adelphi - p. 17
Guerraggio, Angelo - Con la testa tra le
nuvole? - Il Mulino - p. 15

onneth, Axel - Il diritto della libert Codice - p. 36


Houdaille, Christophe - Il canto delle vele Ediciclo - p. 46

annu, Cristian - Maria di sili - Giunti p. 22


Mari, Michele - Asterusher. Autobiografia per
feticci - Corraini - p. 11
Maurensig, Paolo - Teoria delle ombre Adelphi - p. 20
McGrath, Alister - La grande domanda Bollati Boringhieri - p. 31
Moresco, Antonio - Laddio - Giunti - p. 20
Mulgan, John - Un uomo solo - Kappa - p. 27
Munro, Alice - Amica della mia giovinezza Einaudi - p. 27

egrin, Fabian - Come? Cosa? - Orecchio


acerbo - p. 45
Nestor, James - Il respiro degli
abissi - Edt - p. 46
Noteboom, Cees - Tumbas.
Tombe di poeti e pensatori Iperborea - p. 11

relli, Giorgio - Tutte le


poesie - Mondadori - p. 21
Ottani Cavina, Anna - Terre
senzombra - Adelphi - p. 29

amparini, Aurelia /
Crivellin, Walter (a cura
di) - Liberalismo e democrazia
nellItalia del secondo dopoguerra FrancoAngeli - p. 47
Cancogni, Manlio - Il
trasferimento - Elliot - p. 19
Carpenter, Novella - Farm
City. Leducazione di una contadina
urbana - Slow Food - p. 14
Carpi, Anna Maria - Lanimato
porto - La Vita Felice - p. 21
Cavalli, Alessandro /
Martinelli, Alberto - La societ
europea - Il Mulino - p. 37
Celati, Gianni - La banda dei
sospiri - Quodlibet - p. 26
Celati, Gianni - Romanzi, cronache
e racconti - Mondadori - p. 25
Celati, Gianni - Studi daffezione
per amici e altri - Quodlibet - p. 23
Celli, Pier Luigi - E senza piangere TEA - p. 19
Chateaubriand, Franois-Ren de Memorie doltretomba - Einaudi - p. 28
Cordelli, Franco - Una sostanza sottile Einaudi - p. 9

e Pascale, Gaia - Come le vene vivono del


sangue - Ponte alle Grazie - p. 19
Debray, Ccile - Balthus - Electa - p. 29

araci, Tito - La vita in generale Feltrinelli - p. 20


Fontanelli, Francesco - Casella, Parigi e la
guerra - Albisani-De Sono - p. 39
Friot, Bernard - Dieci lezioni sulla poesia Lapis - p. 45

ellegrini, Marco - Guerra


santa contro i Turchi - Il Mulino p. 32
Pomilio, Mario - Il quinto
evangelio - LOrma - p. 16

uzzier, Sergio - Una


lettera per Teo - Topipittori p. 45

alvadori, Massimo L. Democrazia - Donzelli - p. 36


Scavino, Marco (a cura
di) - Guerra e nazioni. Idee
e movimenti nazionalistici
nella prima guerra mondiale Guerini&Associati - p. 47

neuroni magici - Carocci - p. 39


Il Psiup: la costituzione e la parabola di un
partito - BraDypus - p. 47
Israel, Jonathan - La rivoluzione francese Einaudi - p. 33

anavagh, Dan - Duffy - Einaudi - p. 27


La prima volta che - Il Castoro - p. 45

arcenet, Manu - Blast - Coconino - p. 30


Leotti, Antonio - Nella valle senza nome Laterza - p. 14
Loforti, Carlo - Appalermo, appalermo! Baldini&Castoldi - p. 22

odeschini, Giacomo - La
banca e il ghetto - Laterza - p. 35
Toffalori, Carlo - Algoritmi Il Mulino - p. 15

an der Kolk, Bessel - Il corpo accusa il


colpo - Raffaello Cortina - p. 10
Vanoli, Alessandro - Quando guidavano le
stelle - Il Mulino - p. 46
Virgili, Fabrice / Voldman, Danile - La
garonne e lassassino. - Viella - p. 47
Vozza, Lisa / Vallortigara, Giorgio Piccoli equivoci tra noi animali - Zanichelli p. 31

ard, Colin - Architettura del dissenso Eluthera - p. 38


Wright, Lawrence - La prigione della fede Adelphi - p. 18

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