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di letteratura
italiana
Storia per generi e problemi
a cura di
II.
Bollati Boringhieri
I.
Il dialogo umanistico
Gi utilizzato nel Medioevo come rigido contenitore di dispute e contrasti, poi da Francesco Petrarca come rappresentazione narrativa di un
tormentato dibattito interiore (si pensi alla solitaria conversatio del Secret11m) il dialogo raggiunge il suo momento di grande diffusione tra xv
e xvr secolo. Nel Quattrocento, approdando a nuovi modelli, il dialogo
in latino il genere preferito dagli umanisti. La sua natura polifonica
risponde alle nuove esigenze degli uomini di lettere, al bisogno di creare
liberi scambi di opinioni e occasioni d'incontro.
La discussione a pi voci, insomma, diventa espressione della ribellione ai generi scolastici, ponendosi come elemento propulsore del dibat- ,
tito culturale, poht1co e civile. Ma accanto all'immagine della conversazione, che net cenacoli, nei circoli, nelle accademie si offre come modello reale dello scambio di opinioni (Il dialogo quattrocentesco - scrive
Garin - spesso il ritratto fedele di questi incontri e ne rievoca idealizzate le inflessioni) 1 convive un uso del dialogo come puro strumento
di aggressione, attraverso un linguaggio costruito sul doppio registro del
serio e del comico. La letteratura dialogica, combattuta tra Platone,
Luciano e Cicerone, si ripropone anche in questo periodo nella sua abituale dimensione di mobilit.
Se non possibile parlare di un unico modello dialogico, pi facile
individiare dellecomponentt che ritornano con una certa insistenza in
numerosi dialoghi. Al primo posto appare una presenza diffusa della pole~
mica che caratterizza l'intero svolgersi dello scambio dialogico. Un soo
tio dialogico, e questo potrebbe essere un altro tratto omogeneo, che
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Vanno ricordati, anche per la significativa scelta del volgare, i quattro libri Della famiglia dell' Alberti, dove la struttura dialogica pone a
confronto posizioni teoriche diverse ed esigenze pratiche in relazione
all'organizzazione e allo svolgersi della vita familiare.
Il Cinquecento
Questi modelli quattrocenteschi troveranno nuovi sviluppi, in altre
direzioni, nel secolo successivo. Proprio nel Cinquecento, infatti, il genere
dialogo diventer uno strumento privilegiato all'interno di qualsiasi sfera
del sapere~n._tutffT-ai'Dattitr sulle questioni pi importanti dell'epoca
rlfrOviamo autori che intervengono utilizzando la forma del dialogo.
Le discussioni linguistiche ne offrono un significativo esempio: Pierio Bembo \Prose delta volgar lingua), Pierio Valeriano (Dialogo della volgar
lingua), Giangiorgio Trissino (Il Castellano), Niccol fv1achiavelli (Discorso
o dialogo), Sperone Speroni (Dialogo delle lingue), Claudio Tolomei (Il
Cesano), Giovan Battista Gelli (Il dialogo sopra la di/ficult dello ordinare detta lingua), Benedetto Varchi (L'Ercolano) e tanti altri autori scri\'Ono dialoghi. Cosl come in forma dialogica si svolge buona parte della
trattatistica politica (Guicciardini, Dialogo del reggimento di Firenze'
Macntavelli, Dell'arte della guerra; Paolo Paruta, Della perfezione della
tita politica), d'amore e di comportamento (Bembo, Gli Asolani; Castiglione, Il Cortegiano; Tullia d'Aragona, Dialogo dell'infinito amore; Leone
Ebreo, I dialoghi d'amore; Stefano Guazzo, La civil conversatione; Tasso,
Il Malpiglio overo de la Corte).
E del resto dialoghi non mancano anche nel dibattito teorico sui generi
letterari (Scipione Ammirato, Il Dedalione aver del poeta; BernardO.Cl
Daniello, Della poetica; Girolamo Frachetta, Dialogo del furor poetico;
Alessandro Lionardi, Dialoghi dell'invenzione poetica; Camillo Pellegrino
il Vecchio, Il Carra/a o vero della epica poesia, 1584) e sulle arti in generale (Alessandro Allori, Il primo libro dei ragionamenti delle regole del disegno; Gregorio Comanini, Il Figino overo del fine della pittura; Vincenzo
Galilei, Dialogo della musica antica et della moderna; Paolo Pino, Dialogo della pittura; Oto Lu pano, Torricella. Dialogo ... nel quale si ragiona
,ft.l/e statue ... ). Mentre vere e proprie raccolte di dialoghi vengono realizzate da autori come Aretino, Antonio Bruciali, Giordano Bruno, Anton
Francesco Doni, Niccol Franco, Speroni, Tasso.
Proprio questo uso diffuso del dialogo in volgare negli ambiti pi
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fica
diversi rivela la na~ fluida di un genere che sfugge facilmente a qualsiasi rigida definizione. S1 tratta prnttosto di un macrogenere aperto alle
interferenze con gli altri generi, sempre pronto al dialogo con la novella,
con l'epistola, con la commedia, con l'egloga. In effetti chi scrive dialoghi pu spaziare all'interno cli confini molto vasti, dove non mancano
interrelazioni tra filosofia e letteratura, serio e comico, docere e delectare.
E per le stesse ragioni un dialogo pu essere utilizzato con scopi divl!rsi:
come rappresentazione della ricerca collettiva del sapere o, al contrario,
come vuoto contenore per mascherare verit gi CFate sin 'dall'inizio;
'Orn strumento trasgressivo da opporre alla rigida struttura del trattato o come strategia narrativa per sfuggire al rigore dell'Inquisizione.
Molti di questi temi che abbiamo anticipato ritornano con chiarezza
nel dibattito cinquecentesco sul genere dialogo. Un dibattito che si svolge
dopo la met del secolo, quando ormai la produzione dialogica ha raggiunto significativi traguardi sia in termini di quantit che di qualit.
E non un caso che la riflessione teorica abbia luogo proprio in questi
anni contrassegnati da un forte interesse per la teoria della letteratura.
Al centro di questo processo di normalizzazione e codificazione dei generi
letterari c' la Poetica di Aristotele, volgarizzata per la prima volta da
Bernardo Segni nel 1549.
Ma questo bisogno di ordine e razionalit si inserisce in un contesto
storico dove ogni sfera (da quella politica a quella sociale) tende a orga
nizzarsi in rigide gerarchie. L'omologia dei processi di istituzionalizzazione spiega perfettamente l'esplosione non casuale di grammatiche,
manuali, dizionari, rimari, di tutta una serie di strumenti funzionali a
una logica basata sulla prescrizione. 2
Nello stesso tempo la creazione di modelli assoluti implica la neces
saria presenza di antimodelli , di poli aggregativi pronti a neutralizzare i canoni ufficiali. Al tentativo di racchiudere in griglie rigorose qualsiasi aspetto dell'attivit umana fa da contrappeso una Weltanschauung
aperta alla pluridimensionalit.
. Il dibattito cinquecentesco sulla poesia e le arti, e sul dialogo in par
tlcolare, non sfugge a questo doppio movimento contraddittorio, a un11
realt segnata da spinte e controspinte. La dominante tendenza centri
peta deve fare i conti con una forza centrifuga che corrode i contorni,
che affatica la linearit dei percorsi.
' Cfr. A. Quondam, Nascita della grammatica. Appunti per u11a descrizione analitica, Qu~
derni storici, 13, 1978, pp. 555-92.
Il gene
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La cosa questa, che nel dialogo non pur si imitano le persone, che s~no ~n esse
introdotte ma nelle cose che vi si dicono disputando, la vera e certa soenzta, che
si pu d'e;se acquistare, non espressa in ~ffetto ~uale ~.nel m.etodo Aris,tot~lico,
ma imitata e ritratta ... cos ancor la dottrina che 111 ess11mpanamo, non e scienza
7
dimostrativa, ma di scienza ritratto, il quale ad essa si rassimiglia.
e Senarco e i Dialoghi socratici di Platone, concentrano la loro attenzione attorno a due interrogativi: in che misura il dialogo in rapporto
con l'elemento drammatico? e se il dialogo appartiene alla sfera delle
opere mimetiche pur essendo in prosa, potr essere definito poesia ci
che non scritto in versi?
Sigonio, Speroni e Tasso, utilizzando argomentazioni talvolta diverse,
insisto'i)o slll rapporto poesi~9!_aj_<:J_go, attr~ve!SO la mediazione dell'imitazione: Due saran, dun9.!:_1e, i generi dell'imitazione: l'un dell'azione,
nel
quale_ son
rassornig!iad_llrroperantf'aftro"dlleparo1e;n1
quale sono
introdotti
i ragionanti.
_________ .............._ _ _ ..______________
Ma se il dialogo si pone sulla sponda opposta a quella della dimostrazione, viene spontaneo interrogarsi sui reali destinatari della lett~ratura
dialogica: per quale pubblico si scrive? Il Sigonio offre una sua rtsposta
ponendo l'accento sulla utilitas del dialogo:
in dialogis vero, ut qui popularem utilitatem intueantur, easdem res !llas r~tioni?us
simplicioribus quibusdam, et imbecillioribus et quibus vulgus assenttatur tmpentorum, probare. 8
E adoperando lo scfiema clei generi elaborato da Platone nella Repubblica (dove al genere mimetico o drammatico corrispondono tragedia e
[nei dialoghi, invece, trattandosi di opere che mirano all'utilit popolare, prova le
medesime tesi con ragioni pi semplici e che possano essere comprese dalla folla
dei non dotti.]
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Dialoghi socratici Ji Platone. Le pagine del Castelvetro e del Piccolomini risultano le pi interessanti sia per lo spazio che dedicano alle varie
questioni, sia per le loro posizioni totalmente contrapposte.
Il Castelvetro, da parte sua, non esita a condannare le irregolarit
del genere dialogo, in nome di una interpretazione rigida della Poetica.
Innanzitutto la questione del pubblico, legata in particolare al dialogo
rappresentativo:
Se adunque [i dialoghi] montano o possono montare in palco ... seguita di ne<:essit
che abbiano il commune popolo per veditore e per ascoltatore, per cagione del quale
commune popolo e per diletto solo della moltitudine rozza stato trovato il palco
e la maniera rappresentativa. 10
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Qual dunque pu essere la cena materiale e corporale, tale conseguentemente succede la verbale e spirituale; cossl dunque questa dialogale ha le sue parti varie
r diverse, qual varie e diverse quell'altra suol aver le sue; non altrimente questa
ha le proprie condizioni, circostanze e mezzi che come le proprie potrebbe aver
quella. 12
Ma se in Bruno il rapporto dialogo-cena gravido di molteplici implicazioni filosofiche, in relazione anche al Simposio di Platone, in altri autori
del Cinquecento la metafora del convito si presta a usi pi circoscritti:
negli Asolani di Bembo serve a Gismondo per invitare gli interlocutori
a soffermarsi sugli argomenti principali del dialogo; nel Dialogo dcli' Aretino si presta ad allusioni oscene; nel Dialogo della retorica di Speroni esemplifica il chiasmo cibo-verit/intelletto-stomaco.
Un altro tema frequente riguarda l'accostamento dialogo-pittura, che
illumina la parzialit delle descrizioni offerte nello scambio dialogico.
Il Castiglione definisce il suo Cortegiano come un ritratto di pittura della .
I corte d'Urbino, non di mano di Rafaello o di Miche! Angelo, ma di pit-/
~ \ tor ignobile e che solamente sappia tirare le linee principali (Ded. 1), 0
! mentre l'Aretino nel Dialogo, invocando Tiziano, allude alla rapidit della
' sua scrittura fatta di figure abbozzate. Ma il discorso si fa ancora pi
interessante nel Dialogo della retorica di Speroni (dove chi scrive dialoghi ritrae solo verit relative, alla stessa maniera dei pittori che riprodu' cono nelle loro tele immagini parziali della realt) e nella Cena de le Ceneri
di flruno (dove la frammentariet del dialogo rinvia alla inevitabile impreisione dei ritratti).
Alla luce di queste indicazioni teoriche appare ancora pili difficile trac(are una tipologia del dialogo nel Cinquecento. Ci limiteremo, quindi,
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Il dialogo con gli animali offre diverse possibilit. Nella Circe di Gelli
si affronta il tema del rapporto humanitas//eritas tra Ulisse e le nume
rose bestie che abitano l'isola della maga. Nel quinto dialogo una cerva
rinuncia alla possibilit di ritornare tra gli uomini perch alle donne viene
concesso solo un ruolo di assoluta subalternit. In una prospettiva pili
specificamente filosofica, invece, si muove la Cabala del cavallo pegaseo
di Bruno. Qui Onorio (asino pegaseo) afferma la comune radice mate
riale di tutti gli esseri viventi: la superiorit dell'uomo rispetto agli altri
animali non decretata da astratte gerarchie, ma si concretizza su basi
naturali, sulla capacit degli organi del proprio corpo di compiere ope
razioni proibite ad altre specie.
Allo scambio dialogico partecipano anche personaggi che non figu""- rana tra i presenti. il caso del dialogo nel dialogo, dove un personag
gio riferisce il dialogo avvenuto tra altri personaggi assenti, oppure rac
conta un sogno in cui si d la parola a un interlocutore di rilievo (Aretino,
Bembo, Franco).
La necessfr=c!_~-~-12_te_ne~~JL9.i~?go -~!'interno ..9J regole _ben precise
spinge talvolta gli interTocutori a stipufare dei patti. Nel corpus dialogico
di SpefofiTCio accade frequentemente: per abolite l'autorit dei personaggi
pili potenti, per ribadire l'importanza del silenzio e dell'ascolto, per accet
tare il contrasto e l'interruzione, per rinunciare al ruolo di chi insegna.
Ma patti si stipulano anche in alcuni dialoghi di Aretino, Guazzo, Tasso.
Un altro tema importante riguarda le interferenze tra il dialogo e gli
altri generi. In alcuni casi una lettera (Sul p~ar5p-eroru) ouna vera
e propna orazione (Il Ni/o overo del piacere di Tasso) vengono ascritte
al genere dialogo dagli stessi autori, mentre frequente ritrovare all'in
terno della struttura dialogica la presenza di novelle (Il Cortegiano), di
testi poetici (Gli Asolani), di aneddoti (Sei giornate dell'Aretino).
Un ruolo particolare giocano le epistole dedicatorie, le avvertenze indirizzate ai lettori, le premesse, che in genere precedono i dialoghi. Molto
spesso esse contengono utili indicazioni cifrate dove si allude alla natura
della stessa struttura dialogica e dove si indicano alcuni possibili per
corsi per l'interpretazione dei testi.
Il Seicento
La fine del xvr secolo segna il tramonto di uno straordinario successo
della letteratura dialogica. Il dialogo perde lentamente la sua caratteri
stica di genere onnipresente. E sebbene anche in questo periodo non
Il gene.
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manchino autori che ne facciano uso, esso trova una sua significativa
specificit nell'ambito del milieu scientifico. La scelta operata da Galileo costituisce, senza dubbio, un interessante tentativo di fondere assieme
letteratura e scienza all'interno di un progetto strategico ben preciso.
Nel proemio del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1624),
indirizzato al discreto lettore, Io scienziato pisano cos giustifica il suo
interesse per il dialogo: Ho poi pensato tornare molto a proposito lo
spiegare questi concetti in forma di dialogo, che, per non esser ristretto
alla rigorosa osservanza delle leggi matematiche, porge campo ancora a
digressioni, tal ora non meno curiose del principale argomento. 14 Un
interesse che affonda le sue radici gi nella forma epistolare del Saggiatore (1623), dove, al di l della storica contiguit tra i due generi (la lettera pur sempre pars altera dialogi), la forma dialogica affiora in molteplici occasioni.
Galileo pone innanzitutto l'accento sulla struttura aperta del dialogo
(il non esser ristretto alla rigorosa osservanza delle leggi matematiche),
alludendo alla contrapposizione dialogo/trattato, su cui, da punti di vista
diversi, si erano gi soffermati alcuni autori cinquecenteschi. Lo scienziato rifiuta con chiarezza l'uso di un genere sistematico che si identifica proprio con l'atteggiamento dogmatico degli aristotelici. Alla natura
monologica del trattato, egli contrappone la polifonia del dialogo, la messa
in scena di un percorso conoscitivo esposto a dubbi e contraddizioni.
L'altro elemento su cui Galileo si sofferma riguarda la possibilit di
abbandonarsi a digressioni. La varietas che anima il dialogo, infatti, autorizza deviazioni dall'argomento inizialmente proposto, favorendo I' approdo verso altri temi. Cos come, nello stesso tempo, consente variazioni di colore attorno a un concetto, attraverso l'uso di un linguaggio
fortemente figurato.
Ma la ricerca galileana di un equilibrio tra docere e delectare, scrittura scientifica e scrittura letteraria, si spiega anche in funzione del pubblico. A quali lettori si rivolge il Dialogo? Non certamente al chiuso universo degli aristotelici, completamente impermeabile a qualsiasi sorta
\ di novit estranea ai volumi dello Stagirita. Galileo, invece, guarda con
interesse alle nuove figure di intellettuali, al clero pii1 tollerante, ai nuovi ricchi, a coloro che guardano alla cultura non per interessi profes: sionali. Jj
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" Galileo Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano,
cura di L. Sosia, Torino 1970, p. 9.
11 Cfr. A. Battistini, Letteratura e scienza in Galileo, Classense, lJ, 1982, p. 4.
{{f:;i~tro~~1~~~:r:~~~PJY~~:~:-~!r::o~~~~~~-~ffdi;di scrivefeda:L'Alt ieri Biagi attribuisce proprio al clima di questi anni la decisione
da parte di alcuni autori di abbandonare la forma letteraria del dia
logo. l Il matematico Bonaventura Cavalieri, per esempio, rinuncia alla
scrittura dialogica di una sua opera, progettata come dibattito a tre voci.
E un dialogo avrebbe anche voluto scrivere Marcello Malpighi, come
si evince da un carteggio epistolare.
Ma agli episodi di autocensura, si aggiungono anche scelte coraggiose.
Tommaso Cornelio giustifica l'utilizzazione della forma del dialogo nelle
materie scientifiche in un Dialogus, anteposto ai suoi Progymnasmata
(1663), dove appaiono tra i protagonisti Bruno e Stelliola. Mentre Giu
seppe Ferroni, in un dialogo anonimo dall'ingannevole titolo Dialof!,o fi5ico
astronomico contro il sistema copemicano (1680), si schiera a favore dellr
teorie eliocentriche.
11
' Cfr. C. Muscetta, Simplicio e la commedia filosofica dei massimi sistemi, in RrJl1
smo, neorealismo, controrealismo, Milano 1976, pp. 161-213.
17
Cfr. M. L. Alt ieri Biagi, Fanne della comunicazione scientifica, in UE, III, 2, i'lS~
pp. 920-22.
derazioni sopra l'arte e lo stile del dialogo, con occasione di esaminare questo problema: se alle materie scientifiche convenga qualche eleganza di stile
e quale (1646) di Sforza Pallavicina. L'autore, che nel 1644 aveva gi
sperimentato la scrittura dialogica col De Bene, dedica nel suo trattato
un capitolo specifico alla delicata questione dell'uso dell' elocutio nell' ambito delle scienze: Si spiega qual maniera siasi introdotta nel trattare
le scienze la frase barbara e con quali ragioni si difende. Le riflessioni
contenute nelle Considerazioni saranno riprese e rielaborate successivamente nel Trattato dello stile e del dialogo ( r 662).
Il Pallavicina, che riprende nei capitoli xxx-xxxvm una serie di temi
iti dibattuti dai tre trattatisti cinquecenteschi, riconosce al dialogo, attraverso la fusione di dottrina e di imitazione, una naturale predisposizione
alla maniera insegnativa:
I Dialoghi vogliono come primo loro obietto l'insegnamento; n vi aspergono il piacere se non quanto il conoscono profittevole a mantener l'attenzione, ad imprimere la dottrina nella memoria, ali' acquisto e all'aumento delle scienze.18
Il Settecento
. ~ella prima met del Settecento, in un clima certamente pi disteso,
dialogo conosce un momento di ripresa in diversi ambiti. Per alcuni
autori italiani diventano un punto di riferimento gli scrittori francesi
Bernard de Fontenelle (Dialogues des mortes, 1683) e Franois Fnelon
Wialogues des mortes, 1712-18), che contribuiscono con successo a rilanciare temi lucianeschi. Proprio al dialogista di Samosata, tradotto nuov_arnente da Gasparo Gozzi, si deve il modello del dialogo dei morti,
npreso da Parini nel Dialogo sopra la nobilt: qui un nobile e un poeta
plebeo, capitati per caso accanto nel cimitero, discutono animatamente,
da punti di vista contrapposti, limiti e privilegi della nobilt.
Il dialogo ritorna anche nelle dispute linguistiche: Onofrio Branda
nei Dialoghi della lingua toscana esalta il toscano e vitupera il milanese,
11
"Trattato dello stile e del dialogo, del padre Sforza Pallavicina, Modena 1819, p. 222.