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Il patrimonio artistico

di Banca Carige
Monete, pesi e bilance monetali

a cura di
Lucia Travaini
con la collaborazione di
Monica Baldassarri

SilvanaEditoriale

Il patrimonio artistico
di Banca Carige

Continua il viaggio alla scoperta del patrimonio storico-artistico di Banca Carige, percorso iniziato due anni fa dallo studio
della pinacoteca e proseguito con lesame delle sculture, delle opere di grafica e degli arredi darte.
il momento, ora, della collezione numismatica dellistituto.
La raccolta argomento di questo volume, compilato con competenza e passione dalla professoressa Lucia Travaini
dellUniversit Statale di Milano, insieme ad alcuni collaboratori, ognuno per la parte di conoscenza specifica.
A lei e agli altri studiosi il mio pi vivo ringraziamento per aver dato un cos importante contributo allo studio
e alla conoscenza della monetazione ligure e genovese, in particolare.
Linsieme si presenta ampio e variegato, prezioso per qualit e quantit. In esso si comprendono oggetti diversi tra loro
ma accomunati dal legame con laffascinante storia della moneta. Non solo, quindi, tondini di metallo pi o meno
prezioso, battuti con conii pi o meno elaborati (e da qui le diverse descrizioni che troviamo nel catalogo),
ma anche bilance per lesercizio dellattivit di cambia valute e, di conseguenza, pesi monetali che sono stati inventati
per far funzionare tali bilance.
Anche in questo caso Genova protagonista: quasi tutta la raccolta costituita da pezzi usciti dalla zecca di Genova,
durante i suoi quasi sette secoli di vita, e dalle cosiddette zecche minori ovvero dalle zecche situate in localit
che godevano del diritto di produrre moneta, per concessione imperiale alle pi importanti famiglie dellaristocrazia
genovese e ligure. Infine le monete battute nei possedimenti genovesi doltremare, nel Mediterrano orientale
e nel Mar Nero. Al termine, in ordine cronologico, una selezione delle monete prodotte in Italia dagli anni
del Risorgimento nazionale fino al 1950.
E proprio la storia di Genova e della sua regione ci viene restituita da questa collezione e da questo volume perch,
come sottolinea lautrice nel suo saggio di apertura, la moneta espressione della sovranit dello Stato fondato sul diritto.
E le parole lo confermano: numismatica viene da nummus, moneta in latino, e questo da nomos, parola greca,
cio legge.
Con piacere e orgoglio presento, quindi, questo volume che invito a sfogliare per cogliere, anche attraverso le belle
immagini, la voce del nostro passato plurisecolare in cui affondano le radici della nostra identit, solido ancoraggio
per altra crescita verso nuovi orizzonti.

Giovanni Berneschi
Presidente di Banca Carige S.p.A.

Avvincente e sorprendente questo terzo volume dedicato al variegato e preziosissimo patrimonio artistico
di Banca Carige, un tesoro unico che fonte di piacere estetico e di arricchimento culturale.
La nuova pubblicazione della serie ha come oggetto la collezione numismatica di Banca Carige, componente
integrativa sia dei dipinti e dei disegni (primo tomo) sia delle sculture, delle ceramiche, delle stampe e degli arredi
(secondo tomo).
Un libro sulle monete, dunque. Che per molti si riveler una bella scoperta. Perch le monete antiche hanno
un valore ben maggiore di quanto i pi credano: sono oggetti darte, documenti storici, pezzi che rievocano vite,
mestieri, luoghi, epoche.
Grazie alle straordinarie competenze e alla bravura degli autori, questo volume affascina, coinvolge, appassiona;
ci regala emozioni e sapere. Ci conduce sapientemente in un viaggio inaspettatamente interessante, denso anche
di curiosit. , a sua volta, unopera darte. Opera darte e strumento di cultura. Illustrata con notevole maestria,
la collezione numismatica di Banca Carige stimola apprendimenti e ricordi, sentimenti e aspirazioni, scuote lo spirito
e lo eleva.
La collana intitolata al patrimonio artistico di Banca Carige non poteva avere conclusione migliore.
Il nostro orgoglio giustificato, per lopera e per il patrimonio. Da buoni liguri, per, sul compiacimento siamo
abituati a far prevalere la responsabilit dello sviluppo, anche dellarte e della cultura: limpegno della Banca
e della Fondazione Carige continua.

Flavio Repetto
Presidente Fondazione Carige

Questo libro stato realizzato grazie alla attenta e generosa collaborazione di molte persone che desidero ringraziare;
innanzi tutto Monica Baldassarri, il cui paziente lavoro sul materiale nella sede di Banca Carige stato indispensabile;
con lei devo ringraziare tutti gli autori dei testi i quali hanno consegnato i loro scritti e immagini nei tempi previsti:
Marco Bazzini, Maurice Cammarano, Giuseppe Felloni, Walter Ferro, Ernest Oberlnder-Trnoveanu.
Per laiuto bibliografico ringrazio: la dottoressa Rina La Guardia della Civica Biblioteca Archeologica e Numismatica
del Castello Sforzesco a Milano; il dottor Giuseppe Girola della Societ Numismatica Italiana; per il reperimento
di libri introvabili sulle monete di Monaco M. Christian Charlet dellAssemble Nationale de France (Parigi),
M. Francesco Pastrone delle ditions Victor Gadoury (Principato di Monaco) e Umberto Moruzzi (Roma).
Per lo scambio di materiali e altre notizie sulle monete della Corsica sono molto grata a Jean Malbrunot (Bonifacio).
Ringrazio inoltre Dario Ferro, Maila Chiaravalle, Eva Caianiello e Matteo Broggini.
Gli amici del Circolo Numismatico Ligure Corrado Astengo sono stati particolamente accoglienti e generosi di aiuto:
ringrazio, per tutti, il presidente Fabio Negrino e lex presidente Renzo Gardella.
Per informazioni sulla riforma delleuro sono veramente grata allavvocato Salvatore Messina, direttore della sede
di Milano della Banca dItalia.
Per la concessione di immagini riprodotte nel volume sono grata ai seguenti musei:
British Museum di Londra, Department of Coins and Medals, e in particolare al Keeper Dr Philip Attwood
e al Curator of Medieval and Early Modern coinage Dr Barrie Cook;
Fitzwilliam Museum di Cambridge, Department of Coins and Medals, e al Keeper Dr Mark Blackburn
e al suo collaboratore Dr Jonathan Jarrett;
Mnzkabinett und Antikensammlung der Stadt Winterthur, e al conservatore Benedikt Zch;
Museo della Bilancia di Campogalliano (Modena), nelle persone del direttore dottor Maurizio Salvarani e delle dottoresse
Giulia Luppi e Lia Apparuti.
Ringrazio la British Academy che tramite il dottor Mark Blackburn ha gentilmente concesso luso del font Inscription
Numismatic con cui sono state trascritte le legende monetali.
Sono grata allAmministrazione e alla Direzione Generale di Banca Carige che hanno reso possibile la redazione
di questo catalogo che permette di approfondire, per la prima volta, la conoscenza di una collezione tra le pi importanti
dedicate alla monetazione genovese.
Il dottor Stefano Pitto di Banca Carige, con la sua costante presenza e assistenza, ha avuto un ruolo preziosissimo
per la realizzazione di questo libro, assieme al fotografo Mario Parodi, autore della campagna fotografica realizzata
con grande perizia, e con Monica Baldassarri li ringrazio sentitamente.
Infine, ringrazio le dottoresse Natalia Grilli e Annamaria Ardizzi le quali hanno saputo trasformare i misteri
del loro primo grande catalogo numismatico in una comune esperienza davvero piacevole e costruttiva.

Lucia Travaini
Dipartimento di Scienze dellAntichit
Universit degli Studi di Milano

a p. 4: Zecca di Genova, Dodici doppie e mezza, oro,


1641, particolare del dritto (cat. Monete n. 583)
a p. 6: Zecca di Genova, Tallero per il Levante, argento,
1677, particolare del rovescio (cat. Monete n. 719)
a p. 8: Zecca di Genova, Otto reali, argento,
1666, particolare del rovescio (cat. Monete n. 649)
a p. 25: Zecca di Genova, Otto lire, argento,
1798, particolare del rovescio (cat. Monete 1003)
a p. 375: Bilancia monetale fabbricata a Milano
nei primi dellOttocento (cat. Bilance n. 7)
a p. 411: Zecca di Genova, Otto reali o scudo dellUnione,
argento, 1715, particolare del rovescio (cat. Monete n. 822)

SOMMARIO

12

La collezione numismatica di Banca Carige:


arte e storia, economia e segreti, simboli e politica
in sette secoli di monetazione

304

Lucia Travaini

306

La zecca di Savona
Walter Ferro

Le zecche dei feudi imperiali liguri


Marco Bazzini

324

Lucia Travaini

MONETE
26

Monete, economia e finanza: il caso genovese

328

Le monete della Repubblica di Genova


dal 1139 al 1814
Monica Baldassarri

48

Illustri liguri nello Stato Pontificio


Lucia Travaini

Giuseppe Felloni
34

Corsica e Monaco

330

Dal Regno di Sardegna alla Repubblica Italiana


Marco Bazzini

366

Appendice
a cura di Lucia Travaini

La monetazione degli insediamenti genovesi


nellEgeo e nel Mar Nero
Ernest Oberlnder-Trnoveanu

60

Walter Ferro
66

78

376

Le monete dei feudi imperiali liguri


Marco Bazzini

La collezione di pesi e bilance monetali


di Banca Carige
Maurice Cammarano

Le monete della Corsica e di Monaco


Lucia Travaini

82

PESI E BILANCE MONETALI

Monete di Savona

381

Illustri liguri al potere nello Stato Pontificio:


il riflesso sulle monete

LA COLLEZIONE DEI PESI MONETALI


E DELLE BILANCE
a cura di Lucia Travaini

Lucia Travaini
84

Pesa di pi un chilo di paglia


o un chilo di ferro?
Lucia Travaini

382

Pesi monetali
Maurice Cammarano

400

Bilance
Maurice Cammarano

89

LA COLLEZIONE delle monete


a cura di Monica Baldassarri

90

296

APPARATI

La Repubblica di Genova dal 1139 al 1814


Monica Baldassarri

413

Indice dei nomi di persona

Gli insediamenti genovesi nel Levante

416

Indice dei nomi di luogo e di zecca

Ernest Oberlnder-Trnoveanu

418

Bibliografia

MONETE

MONETE

25

Monete, economia e finanza:


il caso genovese
Giuseppe Felloni

Il regime della moneta metallica: le condizioni


di equilibrio funzionale
Da quando lo Stato si attribuito il diritto di stabilirne peso e titolo, la moneta metallica entrata a pieno
diritto nel mondo finanziario e per molti secoli, sino
agli inizi del XX secolo, fu il veicolo preferito per
stipulare operazioni finanziarie, per liquidare transazioni commerciali o semplicemente per tesaurizzare
la ricchezza accumulata; le sue aree operative intersecavano quindi lintera vita economica. Come ben
noto, tuttavia, la moneta metallica (la sola di cui ci si
occupa in questa sede) non costituiva per il mercato
un parametro costante di riferimento, bens una variabile condizionata da una struttura normativa di cui
occorre segnalare le implicazioni.
Il regime della moneta metallica sottintendeva tre
realt intimamente connesse: la moneta di conto, rappresentata da ununit principale fornita di multipli e
sottomultipli che serviva a misurare i valori; la moneta
effettiva, composta di metallo e usata concretamente per liquidare le transazioni; il rapporto tra le due,
ossia il numero delle unit di conto incorporate nei
pezzi effettivi, che pertanto assumevano anche la funzione di riserva o deposito di valore. Il potere dacquisto delle monete coniate dipendeva perci dalla
definizione dellunit di conto in termini di metallo,
che era una prerogativa dello Stato, ma non rappresentava lunica misura del suo valore duso: accanto
al valore legale o nominale vi era infatti quello che si
formava spontaneamente nel mercato come risultato
della domanda e offerta di metallo, grezzo o monetato
che fosse.
I due valori non coincidevano necessariamente tra
loro. Sotto questo aspetto le monete effettive rientravano in due categorie diverse, le monete cosiddette
piccole e le grosse. Le prime erano coniate con
metalli poveri (bronzo) o con modesta quantit di
argento (biglione o mistura) e, a causa dellelevata
incidenza del costo di coniazione, il valore dellintrinseco (il materiale impiegato) non rappresentava che
l80-90% o ancor meno del valore legale; il loro taglio
era mantenuto deliberatamente a un livello modesto
26

MONETE

(dellordine dei denari e dei soldi) perch servivano


a pagare le piccole transazioni interne, gli acquisti al
minuto, i salari giornalieri ecc.; a causa del margine
cospicuo di immaginario, allinterno del Oaese esse
erano accettate al valore nominale in quanto indispensabili ai pagamenti di infimo importo, mentre
allestero si trattavano a peso. Viceversa, nelle monete
grosse, fabbricate con oro o argento, lincidenza del
costo di fabbricazione era modesta (1-2% o meno) e
il valore legale corrispondeva in pratica alla valutazione corrente dellintrinseco; emesse a un taglio elevato,
si usavano per le transazioni interne di maggior entit
e i pagamenti allestero, sicch avevano una notevole mobilit internazionale; accanto alle locali, infatti,
circolavano anche monete nobili di Paesi stranieri alle
quali le autorit monetarie previo esame del titolo e
peso assegnavano un valore legale espresso nellunit di conto del Paese. Le monete delle due categorie erano accomunate dallessere valutate legalmente
nella stessa unit di conto, nel nostro caso la lira genovese, che costituiva un multiplo fisso delle prime e
una frazione variabile delle seconde. I loro flussi, sebbene riguardassero aree diverse, si incrociavano nelle
casse di soggetti che operavano in entrambi i circuiti
e l il confronto tra i rispettivi valori nominali e gli
intrinseci era dobbligo per le sue ricadute sul conto
economico.
Tra le intersezioni pi importanti vi erano lo Stato e le
magistrature annonarie, che effettuavano molti pagamenti in valute grosse e riscuotevano le entrate anche
in monete piccole; in questo caso, trattandosi di enti
pubblici che dovevano rispettare i corsi legali delle valute, la differenza tra gli intrinseci ricadeva totalmente
sui loro bilanci e non tracimava nel mercato; nel settore privato le cose andavano diversamente perch i
maggiori commercianti, pur trovandosi in condizione
analoga per quanto riguarda le monete date e ricevute, potevano scaricarla sui prezzi di vendita.
Di norma, quando il circolante minuto non superava
le dimensioni fisiologiche del suo ambito funzionale,
la discrepanza di valore intrinseco tra monete grosse
e piccole non turbava il mercato. Quando invece di-

ventava eccessiva in conseguenza della politica dello


Stato o delle oscillazioni del mercato, i suoi effetti si
avvertivano immediatamente sul mercato monetario e
di rimbalzo sulla produzione delle monete.
Il regime monetario era infatti basato su un ruolo ben
preciso della zecca che a Genova, come altrove, era
concepita pi come fonte di guadagno per lerario
che come organo regolatore del circolante; solo in et
moderna questultima funzione cominci a prendere
piede. In quanto retta per fini economici, la condizione fondamentale a cui dovevano attenersi gli amministratori nominati dallo Stato o gli appaltatori privati
era che
P+F+S=M
(formula n. 1)

ossia che i costi, rappresentati dal prezzo pagato dalla


zecca per il metallo grezzo (P) e dalle spese di fabbricazione (F), fossero minori del valore nominale
delle monete coniate (M), in modo da lasciare come
1-2. La prima pergamena
(anno 1193) riguarda una
compra-vendita immobiliare
dellimporto di soldi 20
denariorum bonorum
perperorum [perperorum:
depennato] ianuensium;
la seconda (1197) la
quietanza di una dote di
lire 20 bonorum denariorum
ianuensium.
Genova, Biblioteca Berio,
fondo antico, pergamene, nn.
12/I e 16.
Secondo Giuseppe Felloni,
che ha scoperto questi atti,
il richiamo a denari genovesi
buoni pu spiegarsi
con luso di denariaventi
un maggior valore intrinseco
rispetto ai precedenti
e pertantolepoca di
coniazione dei primi grossi
genovesi dargento,da lungo
dibattuta,potrebbe risalire
al tardo secolo XII.

differenza un margine di guadagno o signoraggio (S);


un guadagno, sia detto per inciso, che per le monete
grosse doro o dargento proveniva dalla fabbricazione di grandi quantit di monete essendo modesto a
livello di singolo pezzo, mentre per quelle piccole,
coniate in minor quantit ed esclusivamente su mandato dello Stato, gravava soprattutto sui singoli pezzi.
Se si considera che il valore delle monete fabbricate
con una unit di metallo grezzo a pieno titolo era in
funzione diretta del taglio (T) e del valore (v), e in
proporzione inversa del titolo delle monete emesse
(t), dallequivalenza suddetta si ricava la condizione
di equilibrio che, in un regime di moneta metallica,
conciliava lofferta di moneta con la redditivit della
zecca1:

T
P = * v (F+S)
t
(formula n. 2)

Mentre gli elementi della seconda parte della formula


dipendevano unicamente dallarbitrio del potere politico, il prezzo ufficiale stabilito per il metallo grezzo doveva adeguarsi a quello di mercato del metallo
grezzo. Infatti, se questultimo cresceva al di sopra del
livello ufficiale, nessun privato sarebbe stato disposto
a portarlo in zecca per farvelo coniare perch avrebbe
perso la differenza; di conseguenza la zecca avrebbe
cessato di lavorare (e il principe di guadagnare il signoraggio). Se invece il prezzo di mercato fosse diminuito al di sotto del prezzo ufficiale, i privati avrebbero avuto convenienza ad acquistare metallo grezzo
sul libero mercato e a portarlo in zecca per averne il
maggior valore; in questo caso la zecca avrebbe lavorato a pieno ritmo (con notevole guadagno per il
principe), ma in breve tempo la domanda crescente di
metallo grezzo ne avrebbe rialzato il prezzo al livello
pagato dalla zecca.
In definitiva, la zecca poteva lavorare solo se il prezzo di mercato non superava quello ufficiale. Tuttavia
questa condizione poteva sussistere raramente per
lungo tempo, poich con molta frequenza intervenivano due fattori di instabilit rappresentati: 1) dal
rincaro del metallo grezzo sul mercato libero; 2) dalla
decisione del principe di procurarsi maggiori introiti
elevando la misura unitaria del signoraggio. Grazie
alle conoscenze ormai acquisite, il mercato monetario
genovese si presta in modo eccellente a dimostrare i
meccanismi a cui tali eventi davano luogo.
I fattori di instabilit
Tra le cause di perturbazione del mercato monetario, quella di maggior rilievo fu il rincaro del metallo
grezzo, che dalle statistiche note risulta essere stato
GIUSEPPE FELLONI

27

minore per il rame, maggiore per largento e massimo


per loro; quando non era conseguenza della politica
monetaria, esso dipendeva esclusivamente dal libero
gioco delle forze che agivano nel mercato e alle quali, di norma, lo Stato non poteva resistere. Come gli
altri fenomeni economici, il prezzo dei metalli che
costituivano lintrinseco della moneta metallica (e di
conseguenza il valore di questultima) erano soggetti a
movimenti di varia importanza e durata che si intrecciavano lun laltro, il cui studio attende ancora il suo
cultore, ma che in prima approssimazione possiamo
distinguere tra variazioni di lunga durata (secolari) e
di durata media o breve.
noto che in tutta Europa, dal secolo XI in poi, i
prezzi dei metalli monetabili furono soggetti a una
crescita secolare dovuta allo squilibrio tra la domanda
28

MONETE

crescente di moneta metallica per effetto dellincremento demografico, dellintensificarsi degli scambi e
dellabbandono del baratto nelle aree pi arretrate del
continente, e un incremento inadeguato dellofferta
di metallo coniabile. il fenomeno ben conosciuto
della svalutazione secolare della moneta o dellinflazione secolare; le due espressioni identificano le due
facce della stessa medaglia, che si palesa per il primo
aspetto con la riduzione progressiva dellequivalenza
metallica dellunit di conto e per il secondo aspetto
con il valore crescente delloro e dellargento (come
di tutti gli altri beni) in termini di unit di conto. La
tendenza si manifest con ritmi e intensit diversi da
metallo a metallo, da epoca a epoca, da paese a paese,
ma fu assolutamente generale. A Genova, tra i primi
anni del secolo XIII e gli anni 1795-1804, lequivalenza in argento della lira di conto scese da 70 grammi a
3,70 grammi (-95%) e nel contempo il prezzo dellargento crebbe da 4,5 lire la libbra a 84 lire (+1900%);
quanto alle merci, a titolo meramente indicativo ci si
pu riferire al prezzo del grano che nello stesso periodo aument da 0,45 lire la mina a 53 lire (+1180%)2.
Nel medio-breve andare il rincaro dei metalli monetabili dipendeva da fattori congiunturali che provocavano la rarefazione delle monete grosse, il rialzo del
loro valore di libero mercato e di conseguenza anche
laumento di prezzo delloro e dellargento grezzi; la
contrazione del circolante pregiato poteva avere cause diverse, ma tutte finivano per scatenare una serie
di azioni e reazioni che conducevano alla medesima
conseguenza.
Ad esempio, nel caso di una carestia che richiedeva
grossi approvvigionamenti allestero, nella bilancia
dei pagamenti poteva formarsi un disavanzo cospicuo
che doveva essere saldato con una rilevante quantit
di monete doro e dargento impoverendo la circolazione interna. Se la rarefazione del circolante nobile
non era compensata da un adeguato aumento della
sua velocit di circolazione (evento improbabile), le
valute grosse risultavano insufficienti a soddisfare tutte le transazioni di maggior importo e ci provocava
la formazione di un aggio sul corso legale. Il rialzo
delle quotazioni libere, a sua volta, generava altre forze inflazionistiche, sia perch il rincaro poteva essere
diverso tra le valute (il che era allorigine di altre manovre speculative), sia per le conseguenze che ne derivavano allerario. Lo Stato e le magistrature annonarie, come si accennato, effettuavano molti pagamenti
in valute grosse e riscuotevano le entrate in monete al
corso legale; quando le quotazioni commerciali si innalzavano oltre i corsi legali, tali enti dovevano perci
procurarsi sul mercato libero una parte delle monete
grosse di cui abbisognavano pagandole al valore abusivo e quindi con un esborso nominale maggiore. Per
contro, nel caso degli introiti stabiliti in moneta cor-

a fronte
3. Il pi antico registro
della zecca di Genova un
libro mastro del 1365
con la registrazione in partita
doppia delle monete coniate,
i committenti, i compensi pagati
alle maestranze e il risultato
economico della gestione.
Genova, Archivio di Stato,
Zecca antica, n. 1
4. Viene qui riprodotto un
estratto dal primo mastro
della zecca (1365): la sezione
dare del conto aperto al
banchiere Giovanni Sachus,
ove sono registrati il numero
e il peso dei genovini doro
che egli fece coniare: il 10 marzo
n. 1554 genovini per 17 libbre,
il 14 marzo n. 3330 genovini
per 37 libbre, ecc.
Genova, Archivio di Stato,
Zecca antica, n. 1, c. 18
5. Habuimus feri pro cuniare
ut infra. Il mastro della zecca
del 1404 si apre con lelenco
delle attrezzature duso corrente
o utilizzate in passato e ancora
conservate in sede: pile (conii
di incudine) e torselli (conii
di martello) per i genovini
doro, le petachine, le tersairoris
(terzarole) doro, i denari
minuti, i sesini ed i grossi.
Genova, Archivio di Stato,
Zecca antica, n. 4, c. 1

rente, essi continuavano a percepire lo stesso importo


nominale, ma in moneta di conto svalutata e sovente
in pezzi divisionari; a mano a mano che cresceva la
tensione nel mercato libero, il loro bilancio tendeva
cos a incrinarsi, tanto pi che la contemporanea contrazione delle coniazioni decurtava progressivamente
anche gli introiti, pur modesti, del signoraggio.
Unaltra causa frequentemente documentata nelle carte genovesi era lesistenza di monete a pieno intrinseco aventi un valore sproporzionato al loro contenuto
in fino o quella di monete doro e dargento il cui rapporto di valore non rispecchiava quello esistente nel
mercato tra i due metalli; in tali casi le monete meno
valutate a parit di intrinseco tendevano a sparire dal
mercato, riducendo il volume del circolante pregiato
e suscitando una pressione al rialzo; la stessa sequenza
si manifestava con la comparsa nel mercato di monete
grosse cattive (ossia con un intrinseco valutato pi di
quello delle monete in circolazione) o anche (specie
nelle zone di confine) di monete estere di biglione.
Si trattava in ogni caso di un fenomeno noto come
la legge di Gresham (La moneta cattiva scaccia la
buona), che quando era di dimensioni limitate poteva essere sanato proibendo luso di tali monete o
cambiandole con buoni pezzi di fabbricazione locale;
quando invece riguardava una porzione consistente
del circolante, le conseguenze erano inevitabili: le monete buone tendevano a sparire dal mercato guadagnando un aggio sul valore legale e aprendo la strada
al dissesto degli scambi; unici rimedi erano allora la
rivalutazione delle monete deprezzate per riportarle

sul mercato (il che equivaleva a sanzionare la svalutazione dellunit di conto) oppure ridurre le monete a
esatta proporzione con una rifondita generale (molto
costosa).
La rarefazione delle monete grosse e il parallelo rincaro dei metalli preziosi potevano scaturire infine
dalla decisione dello Stato di procurarsi un introito
straordinario mediante laumento del signoraggio
o una maggior coniazione di biglione. Se la circolazione di tali monete si dilatava oltre il fabbisogno
fisiologico (il volume delle transazioni minute al cui
pagamento le monete divisionarie erano funzionalmente adibite), il mercato poteva non accettare pi il
valore largamente immaginario delle monete piccole
(sino ad allora tollerato in considerazione della loro
utilit e della limitata circolazione) e attribuire loro
un potere dacquisto minore in termini di merci e di
monete grosse; a questo punto i detentori di queste
ultime, di fronte allalternativa di rimetterci dandole
al valore legale o di contravvenire alla legge spendendole al valore di mercato (superiore al precedente ma abusivo), preferivano non immetterle nel
circuito degli scambi e tesaurizzarle. Va osservato,
in proposito, che il ricorso allemissione di monete piccole fu un fenomeno del quale studiosi anche
autorevoli hanno travisato la meccanica e sopravvalutato le conseguenze sul circolante, sui prezzi, sugli
scambi con lestero. La constatazione del notevole
divario esistente in termini di metallo tra le monete
grosse e un valore equivalente di piccole, infatti, ha
suggestionato a tal punto gli studiosi italiani del Set-

in questa pagina
6 . Il mastro della zecca
del 1404 contiene anche
la tariffa, qui riprodotta,
che la zecca applicava per
la coniazione delle monete
in corso (soldi 7.08 per ogni
libbra di sesini, soldi 5.09 per
i minuti, soldi 4.05 per i grossi)
e la sua ripartizione tra
compensi per gli operai
e guadagno per il governo.
Genova, Archivio di Stato,
Zecca antica, n. 4, c. 1
7. Genova, palazzo San Giorgio.
La Casa di San Giorgio, che
aveva sede nellomonimo
palazzo, costitu per quattro
secoli il cuore della finanza
genovese dove si intersecavano
gettiti fiscali, affari dogni genere
e risparmi privati. Il ruolo
da essa svolto documentato
dal suo ricco archivio,
di cui disponibile in internet
linventario analitico
(www.lacasadisangiorgio.it).

GIUSEPPE FELLONI

29

8. Gli statuti della zecca


di Genova del 29 ottobre 1445.
Genova, Archivio di Stato,
membranacei, n. XXIII:
dopo il al frammento del 1315,
pubblicato da R.S. Lopez,
gli statuti pi antichi della
zecca di Genova sono
questi del 1445, pervenutici
integralmente ed editati a suo
tempo da C. Gandolfi.
9. Come si rileva dal preambolo
degli statuti del 1445, linteresse
per la stabilit monetaria
negli ambienti finanziari
genovesi fu talmente vivo che
alla loro redazione concorsero,
insieme con lufficio
governativo competente
(Officium monetarum), i due
massimi consorzi di pubblici
creditori, la Casa delle compere
di San Giorgio e le Compere
del Capitolo.
Genova, Archivio di Stato,
membranacei, n. XXIII, p. 3.

30

MONETE

tecento e del nostro tempo, da considerarlo la causa


fondamentale degli squilibri monetari nellancien
rgime. Nella loro opinione, lemissione di monete
piccole, a causa del vuoto di metallo che le accompagnava, determinava una reazione di rigetto nel
mercato che, non potendole rifiutare al valore legale
come imponeva la legge, attribuiva un premio commerciale (aggio) alle monete piene nei confronti di
quelle piccole. Ora, vero che gli Stati, oppressi da
bisogni impellenti, si sono talvolta procurati somme
cospicue con la fabbricazione di ingenti quantit di
moneta fiduciaria, ma almeno nellet moderna si
trattato di casi rari. La norma sembra essere quella
di emissioni limitate: nei secoli XVII-XVIII, secondo le statistiche disponibili per le zecche di Milano, Genova, Firenze e Torino, esse incisero infatti
sulle emissioni totali rispettivamente nella misura
del 3,8%, del 3,2%, dello 0,3% e del 42,5%; solo
quella piemontese, dunque, fece ampio ricorso alla
fabbricazione di monete di piccolo taglio fortemente
sopravvalutate e sono ben documentate le gravissime esigenze di bilancio che la giustificarono, specie
nel decennio 1791-1800. Nelle altre zecche, invece,
lincidenza del fenomeno fu nettamente inferiore al
5% ed difficile pensare che il vuoto di valore implicito in quella modesta emissione di monete piccole
potesse trascinare il residuo 95% e pi di monete
grosse nella svalutazione dellunit di conto; un effetto che risulterebbe ancora pi improbabile se,
anzich esaminare la loro composizione, le emissioni fossero riferite alla circolazione complessiva, che
oltre a quelle nazionali includeva anche le monete
grosse estere3.

La strategia delle autorit monetarie


I due fattori di instabilit agivano in modo opposto
sui due membri delleguaglianza alla formula n. 2. Il
rincaro del metallo grezzo faceva lievitare il prezzo
di mercato al di sopra di quello offerto dalla zecca
con il risultato di farne cessare lattivit. Laumento del signoraggio, dal canto suo, poteva fruttare
allerario il guadagno sperato solo nellimmediato e
solo se il metallo era stato acquistato al prezzo corrente o ricavato dalle miniere demaniali, ma alla lunga la diffusione nel mercato di monete scadenti provocava gli stessi effetti gi delineati: rarefazione delle
monete nobili e rincaro del metallo grezzo. Qualunque fosse il motivo per cui il prezzo di mercato del
metallo grezzo superava quello offerto dalla zecca,
per ripristinare la redditivit di gestione il governo
doveva riequilibrare lequazione aumentando in proporzione le variabili contenute nel secondo membro
delleguaglianza (le uniche da lui dipendenti). In
mancanza di altre alternative, il suo intervento non
poteva assumere che una delle soluzioni seguenti o
una combinazione di esse:
aumentare T, cio ridurre il peso della moneta effettiva a parit di valore legale;
aumentare v, ossia attribuire un maggior valore alla
moneta effettiva;
diminuire t, vale a dire assegnare lo stesso valore
legale a una moneta con un intrinseco minore;
diminuire F, soluzione difficilmente praticabile per
la rigidit dei costi;
diminuire S, rimedio non realistico, considerata la
riluttanza del fisco a ridurre i propri introiti.
Risultato inevitabile della manovra, qualunque fosse,

era che la zecca, per poter lavorare, doveva offrire un


prezzo corrispondente a quello di mercato e, nonostante temporanei sbandamenti, seguirne le tendenze
di medio-lungo periodo.
Queste considerazioni trovano pieno riscontro nella storia della zecca genovese e delle monete da essa
coniate. Considerando il periodo dal 1350 al 1814
(alquanto lacunoso per i primi centocinquantanni ma ben documentato per i successivi) e le sole
monete emesse in passato e ancora in circolazione
al momento dellintervento governativo, possibile documentare tali provvedimenti e classificarli
per tipo (variazioni nel taglio, nel valore unitario e
nel titolo) e per specie monetaria (monete piccole,
argento ed oro)4. I risultati sono sintetizzati nella tabella seguente, che riguarda soltanto le unit
principali delle varie specie, trascurando per largento e loro i multipli e sottomultipli che erano in
proporzione dei pezzi principali e ne subivano le
stesse modifiche 5.

Tabella 1
Natura e frequenza degli interventi sulle monete in circolazione

Titolo

+ Taglio

+ Valore

Titolo

+ Taglio

+ Valore

Titolo

Oro

+ Valore

1350-1500

Argento

+ Taglio

Monete piccole

11

1501-1650

31

12

1651-1814

41

16

11

Totale

79

29

17

19

32

Gli interventi sulle monete piccole riguardarono principalmente il peso e il titolo. Nel corso del tempo il
peso and diminuendo progressivamente a eccezione di brevi rimonte per mascherare una drastica riduzione del titolo con una maggior quantit di rame.
Il titolo in argento, invece, fu sempre in discesa fino
a cedere completamente al rame, come per il denaro
(1629), i pezzi da denari quattro (1751), da denari sei
(1671) e da un soldo (1670). Gli interventi sul valore
unitario furono limitati al cavallotto, aumentato da ss.
4 a ss. 6.08 nel 1669 e riportato al valore precedente
nel 1735; per le altre monete piccole il valore non fu
mai toccato e per tener conto dellinflazione secolare
il governo si limit a integrarle con lemissione di pezzi di maggior valore unitario. Questa politica aveva
la sua principale ragion dessere nella circostanza che
le monete piccole servivano ad acquistare al minuto
le derrate alimentari; la pi importante di queste, il
pane, aveva addirittura un prezzo fisso per pagnotta
(venduta per una parpaiola o un cavallotto, termini

diventati addirittura sinonimi della pagnotta stessa)


e il rincaro del grano era assorbito dai panettieri con
una diminuzione del suo peso.
Ben diversa natura e finalit ebbero gli interventi sulle
monete grosse il cui titolo (a parit di tipo monetario)
rest sempre invariato. Laumento di prezzo del metallo
grezzo fu scaricato sul taglio soltanto nei due primi secoli
o poco pi e limitatamente a pochi tipi monetali: il grosso,
il grossone, il ducatone (tutti e tre in argento) e lo scudo
doro (una sola volta, nel 1567). In tutti gli altri interventi,
il governo si limit a ritoccare il valore legale, senza alterare n il peso, n il titolo; lo scopo evidente era di offrire
alle transazioni di maggior importo (quelle finanziarie)
una moneta dalle caratteristiche materiali stabili, indipendentemente dal suo corso di mercato. A conferma di ci,
si pu ricordare che lo scudo doro del 1567 con il suo
doppio e quello dargento del 1593 furono per due secoli
il nerbo del circolante nel mercato genovese e le monete
maggiormente usate nelle fiere di cambio.
Moneta e finanza
Come si gi rilevato, nellarco plurisecolare di tempo che va dallistituzione della zecca alla soppressione della Repubblica (1139-1814) il potere dacquisto
della moneta genovese continu a deteriorarsi nei
confronti degli altri beni economici. Il fenomeno non
ebbe un carattere regolare e continuo, ma procedette
a strappi e, a quanto appare dalla documentazione,
fu alimentato non tanto da drastiche sottrazioni di
metallo da parte dello Stato per necessit di bilancio,
quanto da fattori di perturbamento provenienti dal
mercato ai quali esso dovette soccombere riducendo
via via lequivalenza metallica della moneta di conto.
Le variazioni della moneta metallica, di qualunque
ampiezza fossero, erano matrici di rischi: esse potevano offrire guadagni, quando la moneta era scambiata con una moneta diversa o con una lontana nello spazio o distante nel tempo, ma potevano essere
anche fonte di perdite. Il deterioramento del mezzo
monetario provocava un conflitto dinteresse nel cambio delle valute e nei rapporti finanziari a distanza o
a termine, cio in quelli che prevedevano un esborso
immediato di denaro e un rimborso in altro luogo o in
epoca successiva. Il conflitto nasceva dalla circostanza
che il creditore, avendo versato al momento del contratto un capitale in denaro con un certo potere dacquisto, desiderava recuperarlo integralmente; il debitore, dal canto suo, preferiva pagare alla scadenza lo
stesso importo nominale ricevuto in passato perch,
grazie alla svalutazione dellunit di conto intervenuta
nel frattempo, il denaro sborsato per pagare il debito
aveva un potere dacquisto inferiore a quello ricevuto
in passato, facendogli lucrare la differenza. I creditori
tendevano insomma a pareggiare lintrinseco dato e
restituito (salvo beninteso leventuale interesse), menGIUSEPPE FELLONI

31

tre i debitori puntavano sulleguaglianza numerica


delle unit di conto ricevute e pagate.
difficile stabilire, soprattutto per i tempi pi antichi, quanto gli operatori economici fossero consapevoli degli effetti finanziari della svalutazione e sapessero profittarne: le fonti disponibili sono scarsissime.
La testimonianza pi antica sinora conosciuta un
documento del marzo 1191, primo di un numeroso
manipolo di atti analoghi, con il quale un esportatore,
avendo ottenuto a Genova un prestito per acquistare
merci da vendere nelle fiere di Champagne, promise di rimborsarlo in quella moneta con il ricavo della
vendita e, in caso di svalutazione, di aumentarne limporto in proporzione6. Questo documento dimostra
le precoci conoscenze che almeno i grandi mercanti
genovesi avevano dei fenomeni monetari e il mezzo
escogitato per rimediare alla possibile svalutazione:
ancorare il rimborso alla medesima equivalenza in argento della moneta vigente in fiera al momento della
stipulazione del contratto. verosimile che non in
tutti i rapporti privati vi fosse la consapevolezza dei
32

MONETE

rischi insiti nelluso della moneta e che alcuni conflitti di interesse sfociassero nelle aule di giustizia, ma i
criteri a cui le sentenze si ispirarono non sono stati ancora studiati. Solo in et moderna la legislazione genovese si occup in modo organico del problema con
una legge del 19 novembre 1637 - 1 febbraio 1638,
che regol luso della moneta nei pagamenti secondo
i seguenti principi:
a) nei contratti e nei testamenti in cui la prestazione era
indicata in una moneta effettiva particolare o in una
moneta immaginaria specifica (comerano le lire di numerato in San Giorgio) o in una moneta immaginaria
corrente (ad esempio lire), il pagamento doveva farsi in
monete che avessero lo stesso potere dacquisto complessivo della somma in denaro versata dal creditore o
indicata dal testatore;
b) la disposizione precedente si applicava anche ai censi, purch il creditore non avesse riscosso il medesimo
importo nominale per almeno dieci anni senza protestare;
c) gli affitti, i salari e le prestazioni periodiche, se non

a fronte
10. Dopo i banchi in numerato
del 1531 e 1539 (i primi banchi
pubblici dEuropa in et
moderna), nel 1586 la Casa
di San Giorgio istitu un banco
che riceveva e pagava solo
monete doro delle cinque
stampe e del quale qui
riprodotta una pagina del
primo libro giornale. Il nuovo
banco non permise solo
di risolvere alcuni problemi
immediati di liquidit della
Casa, ma costitu per i privati
una difesa permanente
dalla svalutazione dellargento.
Genova, Archivio di Stato,
Banco di San Giorgio, registro
n. 17,09330.
11. Secondo il consueto
riscontro effettuato nella Casa
di San Giorgio allinizio di
ogni anno, al 2 gennaio 1614
il denaro liquido esistente
nella sacrestia principale del
banco di numerato ascendeva
a lire 1.456.418, oltre a mezzo
milione di lire della sacrestia
vecchia e a quasi 3 milioni
di lire nelle casse dei banchi
in oro e in argento. Si tratta
quindi di 5 milioni di lire
in forma liquida, una somma
enorme che equivaleva al 90%
dellintero fabbisogno annuale
della Repubblica.
Genova, Archivio di Stato,
Banco di San Giorgio, registro
n. 185,02541.

in questa pagina
12. Le ricchezze guadagnate
dai genovesi con i prestiti
a Carlo V, Filippo II
e Filippo III di Spagna
non restavano per lo pi
nella penisola iberica,
ma venivano rimpatriate, tanto
vero che il poeta Quevedo
lamentava che largento delle
Indie morisse nella Spagna,
ma fosse sepolto a Genova.
Il documento qui riprodotto
la prima pagina di una lista
di 65 casse dargento
in barre e lingotti, che nel 1614
Gio. Battista e Vincenzo
Squarciafico portarono in zecca
per farlo riconiare in crosazzi
genovesi. Genova, Archivio
di Stato, Zecca antica, n. 33.

erano stati esplicitamente concordati in una moneta


specifica, dovevano pagarsi in lire genovesi secondo il
loro valore alla data in cui maturavano.
Per facilitare il calcolo del potere dacquisto della
moneta nei casi in cui la prestazione doveva essere

rivalutata, la legge sugger di considerare il valore


dello scudo dargento, confrontando la variazione subita (a parit di peso e di titolo) tra lorigine
dellobbligazione e la maturazione del pagamento;
in questo modo sessequir legualit e giustizia de
i contratti7. La legge fu molto lodata da Gian Rinaldo Carli, uno dei maggiori studiosi della materia nellItalia settecentesca, e le sue lodi sono ben
giustificate quando si considerano lorganicit del
contenuto, la lucidit dellesposizione e la scelta
di un indice di rivalutazione (il corso dellargento
monetato) che, forse per la prima volta nella storia,
doveva essere applicato in modo automatico e permanente ai rapporti finanziari; non ultimo pregio, la
norma in c) prevedeva la possibilit a discrezione
delle parti di indicizzare il salario, scelta che non
era certo alla portata dei lavoratori di medio-infimo
livello, ma era frequente quando il lavoratore aveva sufficiente forza contrattuale (comera il caso ad
esempio di qualche notaio al servizio della Repubblica o della Casa di San Giorgio). Dopo la sua emanazione, la legge venne inserita negli statuti civili della
Repubblica, il che dimostra da un lato la sua portata
non estemporanea e dallaltro la sua rispondenza alla
filosofia dei governanti genovesi che, essendo capitalisti e mercanti banchieri, sostenevano ovviamente le
ragioni dei creditori. E cos rimase sino alla fine della
Repubblica a salvaguardia dellintegrit del capitale
finanziario.

Nella versione semplificata P+B=V (dove P il prezzo pagato dalla


zecca per una libbra di fino, B limporto delle spese di fabbricazione
f e del diritto di signoraggio s e V il valore di emissione), la formula stata proposta in origine dallAutore di questa nota (Felloni 1975,
pp. 219-220). Essa stata successivamente ripresa da C.M. Cipolla,
che ha modificato i termini delleguaglianza nella forma M=P+(C+S)
(dove M il valore delle monete emesse e C+S corrisponde al mio
B) e lha presentata come una scoperta personale senza citare la fonte (Cipolla 1988, pp. 21-22, e Cipolla 1990, pp. 225-226). Tuttavia,
nonostante lautorit di cui godeva, neppure Cipolla riuscito a destare il minimo interesse nei numismatici, sebbene la formula esprima in
termini contabili il problema economico fondamentale di qualunque
zecca dei secoli passati e consenta di approfondirne razionalmente le
implicazioni operative.

Per il prezzo del grano nel primo Duecento cfr. Genova, Archivio di
Stato, manoscritto n. 535, p. 667 e passim; per il periodo successivo
cfr. Felloni 1975, p. 293.
3
Felloni 1981, pp. 197-222.
4
Felloni 1975, pp. 309-315.
5
Eccone lelenco. Per le monete piccole: medaglia, denaro, pezzi da
denari 2, 3, 4, 6, 8, 20; soldo, pezzi da soldi 2, 4, 5 e 10. Per le monete
dargento: grosso, grossone o testone, ducatone, scudo del 1593, lira,
Madonnina, scudo di San Giovanni Battista, scudo del 1791. Per le
monete doro: genovino, scudo del sole, scudo e zecchino.
6
Hall et al. 1938, nn. 275, 423, 540 ecc.; per un elenco di tali atti e di
quelli analoghi redatti da altri notai cfr. Chiaudano 1957, p. 210.
7
Statutorum civilium serenissimae reipublicae Genuensis. Libri sex,
Genuae, apud Petrum Ioannem Calenzanum, MDCLXIII.

GIUSEPPE FELLONI

33

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