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Bibliografica recensioni

L. Lugarini, Hegel e Heidegger. Divergenze e consonanze, Guerini e Associati, Milano 2004, pp. 360.
Come opportunamente afferma lo stesso Lugarini nella Prefazione, nel
testo confluiscono i suoi recenti saggi sul rapporto Hegel-Heidegger. Non
si tratta dunque solo di una raccolta di saggi, per altro gi pubblicati in varie
riviste, ma del fisiologico confluire in un intero, essendo tale intero lunico
logos di un maestro, quale Lugarini per noi stato e rimarr da Filosofia e
metafisica (1964) ad Aristotele e lidea della filosofia (1972) agli Orizzonti
hegeliani di comprensione dellessere. Rileggendo la Scienza della Logica,
(1998) , che non Sammeln, ma movimento dialettico dagli elementi al
loro fondamento. Per questo la prospettiva pi consueta che vede
Heidegger interprete di Hegel si trova ribaltata. Lontano dal rumoroso tumulto degli heideggeriani e fuori dal coro degli operatori effimeri del linguaggio, Lugarini, nellinteresse per la serena calma della conoscenza semplicemente pensante, auspicato da Hegel, pacatamente dichiara che Linversione
della prospettiva suggerita da elementari constatazioni relative al panorama contemporaneo che, nella corsa alla berwindung der Metaphysik, salvo
poche eccezioni d per scontata lappartenenza di Hegel alla metafisica, sancita da Heidegger che ravvisa in Hegel il moderno corifeo dello stile di
pensiero onto-teo-logico, inaugurato da Cartesio lungo la linea della metafisica della soggettivit. Lugarini, non ritenendo inoppugnabile la tesi
heideggeriana, intende soppesare lattendibilit sia dellinterpretazione sia
della valutazione heideggeriane del pensiero di Hegel tramite, anzitutto, un
diretto confronto coi testi hegeliani (p. 10). LAuseinandersetzung che
Heidegger instaura con Hegel si rivela impiantata sul pre-giudizio
heideggeriano dello Hegel pensatore metafisico della soggettivit. Ma a partire da tale pregiudizio Heidegger si ritrover nello stretto spazio delle divergenze e consonanze: o il suo pensiero diverge da quello hegeliano e allora chi
propriamente si inserisce nel filone metafisico Heidegger, ovvero il pensiero di Heidegger converge con quello hegeliano, ma allora la sfida per un
autentico pensiero dellessere gi hegeliana e Heidegger gi compreso
nellAuseinandersetzung che Hegel ha impiantato nellesposizione del suo
pensiero secondo il movimento dialettico. La prima parte introdut-tiva, Vie
Giornale di Metafisica - Nuova Serie - XXVII (2005), pp. 821-854.

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della fenomenologia nel pensiero del Novecento, si rivela uninteressante quanto


esaustiva cornice del quadro storico in cui opera Heidegger: la nascita del
movimento fenomenologico in Germania, la svolta trascendentale che alla
fenomenologia conferisce il I volume di Ideen zu einer Phnomenologie und
phnomenologische Philosophie (1913) di Husserl e il diverso sviluppo che la
fenomenologia assume nella curvatura etica impressa da Scheler e nella riduzione a metodo nella ontologia critica di Hartmann. A Heidegger riconosciuto il merito di avere conferito alla fenomenologia una piega ulteriormente innovatrice, risolvendola in ermeneutica e, a questo titolo in asse
portante della Fundamentalontologie e cio dellanalitica esistenziale (p. 52).
Le pagine dedicate a Husserl (Husserl: problema della ragione e fenomenologia
trascendentale) prendono le mosse dallintento husserliano di procedere ad
una critica della ragione per potersi dire filosofo (cfr. W. Biemel, Einleitung
des Herausgebers alle Lezioni husserliane del 1907 sulla Idee der Phnomenologie, Haag 1958). Dal reperimento della Wesenserklrung nella dialettica
platonica allaccusa di mutamento di prospettiva operato da Aristotele, a
danno dellistanza platonica e del suo progetto di fondazione di una scienza
universale (Lezioni sulla Filosofia prima, Logica formale e trascendentale),
Lugarini con efficace sintesi sottolinea la decisiva importanza che assume,
per Husserl, il predominio sulla dialettica dellanalitica apofantica che instaura col giudizio un modo di pensare contrassegnato da un distacco nei
confronti delle cose, di peso tale da offuscare loriginario radicamento platonico del pensare nel loro terreno [] Entro lunitaria forma spirituale dellEuropa che egli [Husserl] vede nascere in Grecia dalla filosofia sono posti
i germi di un disagio anche esistenziale. Una mentalit dualistica il virtuale
portato di quella comprensione della ragione: una mentalit che specialmente nellet moderna arriva ad imporsi. Il presupposto obiettivistico denunciato
da Husserl infatti gravido di implicazioni (p. 60). Nella conseguente separazione del pensiero dalla realt, questultima non pu che essere rappresentata come Gegenstand e la considerazione pensante, assumendo la forma del Vorstellen pretende un rigore che non quello auspicato da Husserl
per la filosofia come scienza, ma quello dei dettami logici: pensare diviene
sinonimo di ragionare, dove ragione (ratio) nomina la sorgente di teorie e
sistemi concettuali logicamente rigorosi, ma non altrettanto sostenuti dallintrinseco rigore delle cose stesse. La ragione si riduce ad un potere di raziocinio, mentre il raziocinare surroga la presenza delle cose (p. 61). pertanto
in gioco la ragione e in causa il suo significato. Le pagine della Krisis sulleroismo della ragione e sulla necessit che la ragione ridestata proceda alla
Selbsterhellung senza perdere di vista il suo stesso operare, in un certo senso,
introducono la problematica dellintero volume e costituiscono una sorta di
avvertimento al pensare teoretico perch non incorra nella dimenticanza di
s, inceppando nelle strutture teoriche e metodologiche (cfr. pp. 72-73).

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Husserl e Heidegger appaiono accomunati dallintendimento di sciogliere


lesperienza dalle interferenze della logica: li associa il tema dellesperienza
antepredicativa ovvero, in generale, del prelogico (pp. 118-119). La
fenomenologia trascendentale e la fenomenologia fraintesa o deviata dalla
svolta esistenziale scrutano entrambe nel sottofondo pre-logico, nel quale
Husserl indaga per perseguire il konstituierende Leisten della coscienza e
Heidegger, invece, per lumeggiare, in primo luogo, i costitutivi dellessere
dellEsserci e cio gli esistenziali. Per contro, la logica e tuttora si intende
la logica apofantica dovr esser non tanto fondata quanto controbattuta ed
estromessa (pp. 117-118). Per Husserl la logica apofantica responsabile
dellobiettivismo, per Heidegger lidealismo il responsabile della mancata
ontologia della quale accusato anche Hegel.
Nella seconda parte del volume, Logica e dialettica, considerando la polemica heideggeriana con Hegel (Vorlesung del semestre invernale 1930/31
sulla Fonomenologia dello Spirito), Lugarini non pu prescindere dal ricordare
che circa un secolo prima, nella Prefazione del 1831 alla Scienza della Logica,
rendendo conto anche del titolo dellopera Hegel delineava, ante litteram,
tuttaltro assetto di questordine di problemi. E qui, riprendendo i temi gi
ampiamente trattati in Orizzonti hegeliani, rileggendo la Scienza della Logica
ricorda che al nascosto fungere dei concetti nella quotidianit Hegel dava
nome di logica naturale; e di rimando egli assegnava alla Scienza della logica
il compito di rendercene consapevoli e di istituirne il sapere. Lintento hegeliano di espungere dalla materia sterminata della quotidianit i concetti e
di considerarli per se stessi, per rendere conosciuto quello stesso che opera
nella vita di tutti i giorni come noto analogo a quello, ventilato da Heidegger in Essere e tempo di condurre al concetto (auf den Begriff zu bringen)
ci che di volta in volta sia filosoficamente tematizzato (p. 120). Daltra
parte il reiterato rifiuto della logica tradizionale, espressione della Vernunft,
a vantaggio della logica speculativa, movimento del Verstand, Hegel lo aveva
espresso sin dallo scritto del 1801 sulla Differenza dei sistemi filosofici di
Fichte e Schelling e in Fede e sapere (1802): il movimento dei concetti, che
logica in quanto filosofia speculativa, gi anticipato nella Fenomenologia
che della non apofantica logica speculativa hegeliana [] costituisce una
sorta di prelogico retroterra, essendone approntato il terreno per il reperimento dei concetti ed essendovi tracciata la via lungo la quale la coscienza,
modificando di figura in figura il proprio status, viene infine introdotta nella
loro peculiare sfera. E tutto ci significa che, diversamente dalla logica
apofantica contestata sia da Husserl sia da Heidegger, la scienza hegeliana
della logica non solo non rimane avulsa dal retrofondo prelogico del pensare, anzi vi mette radice (p. 122). In questi termini si fa grave la difficolt di
riconoscere il deprecato idealismo e la fenomenologia, in quanto Scienza dellesperienza della coscienza, sembra adombrare laspetto innovativo del tema

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dellesperienza in Husserl, in quanto nella definizione di esperienza come


direkte Beziehung (il riferimento a Logica formale e trascendentale) possiamo anche scorgere una sorta di inconsaputa reviviscenza dello status della
certezza sensibile (p. 123). Pertanto Lugarini, seguendo Husserl e Heidegger nel ritorno alle cose stesse, li accompagna lungo lo stesso movimento
della coscienza evidenziando, per, lUmkehrung della coscienza hegeliana, la
moderna periagogh e la valenza dialettica del significato desperienza (cfr. p.
125). Ricavando dalla coscienza intellettiva e dallautocoscienza razionale la
dimensione prelogica che costituisce il fulcro della Logica, Lugarini scorge
allinterno della Fenomenologia dello spirito una risposta architettata non
secondo i dettami della fenomenologia trascendentale, bens con i criteri di
una scienza, eminentemente dialettica, dellesperienza che la coscienza fa su
altro da s e che essa fa su di s (p. 129) e si rammarica del silenzio di Husserl su questo tema, come se questi ignorasse lesperienza della coscienza in
Hegel e il suo costituire preludio a una logica che prescinde dalla struttura
apofantico-proposizionale. Nello sfondo si intravede piuttosto unimpronta
platonica, in particolare tracce della koinona tn ghenn e dellinerente
nodo dialettico fra tautn e hteron (p. 130). Nonostante lhegeliana fatica
del concetto, secondo Heidegger la Fenomenologia dello spirito rimane inviluppata nella moderna metafisica della soggettivit e risulta per ci stesso
dintralcio per unappropriata elaborazione della questione dellessere (p.
273). Infatti, pur riconoscendo lintrinsecit della dialettica al reale, Heidegger conclude che lessenza dellesperienza, che pure impone la comprensione
dialettica, lentit dellente che come subjectum si determina a partire dalla
soggettivit, la Realdialektik, scorta opportunamente a partire dallesser-presente (Sentieri interrotti), viene rivoltata. LUmkehrung occultata per una
peristroph, un voltar di coccio: La posizione ontologica appena conseguita
si ribalta in una posizione di tipo coscienziale: di nuovo onto-egologia, metafisica della soggettivit (p. 273). Lo Heidegger che vede esulare dal quadro tematico di Hegel la problematica dellontologia generale non sembra in
grado di tener dietro al Verlauf dellesperienza, nel suo significato propriamente dialettico e, lasciandosi sfuggire lautentica valenza della Darstellung
des erscheinenden Wissens, riduce lente che appare allente preso nel senso
della coscienza. Anche negli sviluppi metafenomenologici del pensiero hegeliano Lugarini ha buon gioco, avvalendosi del testo hegeliano, a mostrare una
sorta di fondazione ante litteram del concetto heideggeriano di fenomeno
come ci che in lui stesso si mostra, innervata e sostenuta dallo specifico
movimento dialettico dellessenza (p. 283) e non perde loccasione di denunciare il mancato confronto di Heidegger su questo tema, taciuto anche
nella parte di Identit e differenza dedicata alla Scienza della Logica. Come
trascura il movimento dialettico esplicantesi nelle prime due fasi generali
dellopera, altrettanto Heidegger sorvola su quello che compenetra e regge la

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terza. Ma trascurandolo egli perde di vista il senso complessivo della Dottrina del concetto e giunge anzi a scarnificarne lidea nella corposa accezione
hegeliana (p. 284). La dialettica piuttosto che essere un autentico imbarazzo filosofico, in rapporto alla Seinsfrage giudicata da Lugarini illuminante e poich anche feconda (p. 287), ci sentiamo incoraggiati a pensarla
come una risposta ante litteram alla richiesta di essere che Heidegger ancora
avanza in Einfrung in die Metaphysik : Che ne dellessere?
Ersilia Caramuta

H.G. Hotho, Vorlesungen ber sthetik oder Philosophie des Schnen und
der Kunst (1833). Nachgeschrieben von Immanuel Hegel, herausgegeben
und eingeleitet von Bernadette Collenberg-Plotnikov, FrommannHolzboog, Stuttgart 2004, pp. XCIX-316.
Il corso di lezioni di Estetica del 33 di H.G. Hotho, pervenutoci attraverso appunti raccolti in un manoscritto, opportunamente titolato, suddiviso
in capitoli e chiosato a margine, per opera di Immanuel Hegel, ora disponibile in unedizione corredata da unampia e documentata introduzione di
Bernadette Collenberg-Plotnikov.
La successione di Hotho alla cattedra hegeliana di Estetica a Berlino,
dopo la morte del maestro, lo trova impegnato su un doppio fronte, quello
appunto della tormentata edizione delle lezioni hegeliane di Estetica e laltro, al primo strettamente connesso, della necessit di volgere questa eredit
in un senso che risulti fruttuoso per la risoluzione di una situazione teorica
degli studi storico-artistici piuttosto problematica e complessivamente carente.
Lidea di una storia dellarte speculativa (spekulative Kunstgeschichte)
nasce appunto e si sviluppa nel Corso a partire dallesigenza di connettere
strettamente arte, storia, filosofia, in una unit che discenderebbe dalla natura universale del concetto e dunque in un senso che e rimane hegeliano,
ma che al tempo stesso intende interpretare il pensiero del maestro nella
direzione di una fondazione speculativa della storia dellarte, conducendo in
un certo senso lintenzione hegeliana oltre se stessa e chiudendo una questione, quella dellapplicazione della posizione filosofica di Hegel in ambito storico artistico, che nellEstetica rimaneva aperta e sostanzialmente, a parere di
Hotho, non risoluta, perch avviluppata nel pregiudizio che in un tale ambito fosse dominante e ineliminabile laspetto casuale ed empirico.
Landamento sistematico della lezione di Hotho, insieme al suo contenuto ritmato dialetticamente sui concetti dellEstetica, sono daltronde la prova

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pi evidente di una assoluta fedelt al metodo hegeliano, fatto salvo linteresse di ascrivere anche alla riflessione storica sullarte, contrassegnata dallempirico e dal particolare, quella prerogativa di universalit che hegelianamente
propria soltanto del concetto nella sua assolutezza e delle sue espressioni
storico-filosofiche.
Daltronde, lo stesso Hegel nutriva riguardo al campo storico artistico
lopinione che si trattasse di un ambito per niente speculativo, perch caratterizzato da una mera raccolta di materiali empirici, non privi certamente di
significato, ma incapaci di imprimere una direzione determinata alla riflessione estetica, tali piuttosto da costituire uno di quei due estremi, contrapposto allastratta metafisica del bello, da deporre come unilaterale, per dare
spazio allesercizio della capacit di mediazione che identifica il concetto nella
sua scientificit concreta, in quel suo sviluppo logico necessario che attua il
processo dialettico e genera il sistema.
Lassunzione rigorosa, dunque, del principio teorico hegeliano di base,
insieme alloperazione di recupero nei confronti della sua riserva sulla
scientificit della riflessione storico artistica, costituiscono i termini di
unopera di mediazione che Hotho svolge interpretando il pensiero di Hegel
in una direzione pressoch inusitata dal punto di vista strettamente hegeliano, ma giudicata necessaria, anzi assolutamente indispensabile, perch proficua come possibilit di costituzione di un nucleo scientifico-sistematico di
riferimento per le riflessioni storico-artistiche del tempo.
In questopera allora evidente una messa a frutto di quel pesante tirocinio ermeneutico compiuto da Hotho nella redazione ed edizione dellEstetica hegeliana.
Nella Premessa alla I edizione dellEstetica, Hotho avvertiva che linterprete deve lasciare parlare e agire il testo, quasi fosse un restauratore di
antiche pitture e operare con una delicatezza di tratto che faccia risaltare
loriginale, ma anche vi armonizzi ci che vi stato aggiunto per completarlo. Chi ha dunque cos pazientemente lavorato di cesello alla ricostruzione
dellintero, pare che esiga a questo punto, per cos dire, una ricompensa che
pareggi la mancanza di ricompensa fisiologica nel restauratore, o nellinterprete-trascrittore, che deve, coerentemente, sparire nellopera che ha contribuito
a far vivere. Una tale ricompensa, un frutto, in questo senso, della sua fatica , nel pensiero di Hotho, appunto questa idea di una spekulative Kunstgeschichte, che egli ritiene addirittura di poter considerare nota la
Collenberg come una norma dettata dallo stesso discorso hegeliano, quasi
un suo lascito, alla riflessione storico-artistica.
A questa appassionata interpretazione non estraneo certamente, anzi
elemento determinante, il fatto che nello stesso periodo in cui tiene le lezioni del corso di Estetica in qualit di successore di Hegel, Hotho ricopre la
carica di Assistente al Museo di Berlino, che consacra linizio della sua car-

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riera come storico dellarte.


Immanuel Hegel, allievo di Hotho e interprete del pensiero del padre
forse meno appassionato, e dunque pi obiettivo e disinteressato, di quanto
non lo fosse Hotho, ci restituisce, da parte sua, un materiale di notevole
interesse, non solo per comprendere il complesso rapporto di ascendenza
della speculazione hegeliana sulla riflessione di Hotho, ma anche per impostare correttamente, proprio sulla sua base, la questione dibattuta nel tempo
tra gli stessi hegeliani, ed anche oltre, sul rapporto tra lestetica filosofica e la
storia dellarte vista come una delle scienze particolari ed empiriche, esigenti
tuttavia una fondazione di tipo speculativo. Dunque, gi questo singolare
intreccio di rapporti personali tra autori e interpreti-curatori istituisce un
significativo movimento di corrispondenze, restituzioni e scambi, che d
luogo ad una corrente unitaria di idee e pensieri, a partire dallEstetica di
Hegel, nelleffettivo attraversamento di questa, fino allEstetica di Hotho: un
flusso di termini, contrassegnato da innegabili differenze di posizione, allinterno di una sostanziale affinit di pensiero.
La versatile intelligenza di Hotho, come nota opportunamente la Collenberg, lo colloca in una zona di ambiguit, che legittima un dubbio: se egli
possa essere considerato un filosofo interessato allarte o piuttosto uno storico dellarte che riflette filosoficamente. E tuttavia solo lattenta lettura del
manoscritto del corso di lezioni pu sciogliere questo nodo, perch, se
vero che una sostanziale preoccupazione per le sorti dellarte, conseguente
appunto alla teoria hegeliana dellEnde der Kunst, che lo spinge a forzare il
testo hegeliano in una certa direzione, quasi a colmarne unevidente lacuna,
altrettanto vero che il metodo appreso da Hegel, lidea del ritmo dialettico
del reale, costituisce il modo, il punto di vista, latteggiamento che impronta
di s lo sguardo di Hotho storico dellarte in tutte le sue opere e non soltanto nel suo corso di lezioni, consentendogli di vedere realizzata nellarte, e
soprattutto nella sua storia, quella conciliazione tra il sistematico e leffettuale, tra il principio e la realt storica che Hegel aveva preteso per la filosofia
della storia del diritto, della religione, ma non per lestetica.
La disposizione essenzialmente filosofica dello storico dellarte giustifica
allora larticolazione delle Lezioni che, prendendo le mosse da una filosofia
dellarte nello stile di Hegel (Collenberg, Einleitung, p. XXII), si conclude
con una sezione sulla storia universale dellarte, disegnata sulla base delle
tre forme di fantasia e sul modello delle tre forme di arte di Hegel. Nel
Corso, che il manoscritto segue interamente dallinizio alla conclusione, si
sviluppa una struttura sistematica che annoda e connette, secondo una necessit assoluta espressa dal processo di apparizione delle forme storiche dellarte, il principio universale estetico, il bello nel suo concetto, e la sua concreta effettualit espressa appunto dalle opere in tutti i momenti della loro presentazione reale. Lungi dallessere fatti isolati, esse costituiscono le obiettiva-

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zioni di una totalit in sviluppo, che il bello, nella fantasia dei popoli e
dunque nella loro storia.
Hotho, quindi, assumerebbe interamente da Hegel lidea di una considerazione storica dellarte fondata sul concetto filosofico di Entwicklung, comprendente larte come parte della cultura storica, e giudicando conseguentemente gli artisti e le loro opere come figure svolgenti un ruolo precipuo nel
gioco della storia compreso filosoficamente. Riterrebbe tuttavia un errore
affidare la comprensione dellopera darte al giudizio pronunciato sulla base
di un modello di perfezione identificato con un ideale di bellezza, sogno di
epoche ormai scomparse; larte, infatti, se richiede sviluppo, successione graduale e dunque storia, deve assumere come principio fondamentale, come
tonalit propria della categoria di sviluppo, la limitazione (die Beschrnkung)
che, come Hotho dice altrove (nel saggio su van Heyck), pareggia ogni
nuova vittoria con nuove perdite. Ad essa obbedirebbero gli artisti come
attori storici.
In realt, una tale impostazione potrebbe ancora incorrere nellaccusa
fatta ad Hegel e agli hegeliani di privilegiare una filosofia che giudica larte
e la storia secondo un principio logico-metafisico trascendente. Ma in verit
Hotho credeva fermamente che la sua spekulative Kunstgeschichte potesse
agire come principio di trasformazione della tesi hegeliana della fine dellarte, per consentire ladozione di una visione teorica che infondesse fiducia
nelle reali possibilit dellarte contemporanea. Larte dice Hotho lAssoluto che appare, che toglie il casuale nella sua fenomenicit e gli d una
esposizione cristallina, attraverso la quale traspare chiaramente il vero. Ora
la filosofia lascia apparire lAssoluto soltanto nella parola priva di sensibilit
(pp. 19-20). La filosofia dellarte non deve in questo senso dare prescrizioni
o fornire regole agli artisti quanto al modo migliore di produrre opere. Essa
deve piuttosto mostrare come la capacit pensante e filosofica possa costituire
un pungolo efficace alla espressione del genio produttivo dellartista.
Il principio cui Hotho fa riferimento come elemento motore del processo creativo e manifestativo dellAssoluto, ma anche come singolare antidoto
alla hegeliana morte dellarte, la Phantasie, pura e inesauribile attivit
dello spirito che, mediando armonicamente le sue forme, sentimento, intelletto, ragione, memoria, intuizione, genera quella determinata verace figura, che
costituisce lopera darte come punto reale di incontro tra artista e pubblico
(cfr. p. 33).
questa forte sottolineatura del ruolo dellarte e dei suoi principi che
induce Hotho a interpretare il suo tempo positivamente come tempo di
espressione delluniversalit attraverso soggettivit e individualit originali e,
nel contempo, a prendere le distanze da Hegel, avvicinandosi piuttosto alla
linea goethiana, schilleriana, schellinghiana, questultima particolarmente
contestata, insieme al pensiero di Solger, in un primo momento di adesione

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incondizionata al pensiero del maestro.


Oscillazione, questa, che chiarisce bene il carattere dellopera di Hotho,
teorico e filosofo dellarte, perch innanzitutto interprete di un pensiero,
quello hegeliano appunto, cui sente di dovere aggiungere tutti quei correttivi
che consentano ad altri di servirsene e di attualizzarlo, smussandone le punte
teoriche pi oscure e intransigenti. Daltra parte, la stessa considerazione
hegeliana dellestetica come scienza necessaria di un oggetto che appartiene
pi alla rappresentazione del passato che allefficacia di una realt presente,
il suo invito a meditare sullarte, non allo scopo di ricrearla, ma per conoscerne la potenza, suonava pur sempre, gi in Hegel, come esigenza di conferire alla riflessione sullarte una valenza filosofica specifica, in un qualche
senso per distinta da quella forma propria del discorso filosofico che la
forma della scienza. In questa concessione e insieme limitazione, fatta da
Hegel nei confronti dellestetica, Hotho scorge lo spazio per una interpretazione del pensiero sullarte come strumento efficace di comprensione e
promozione della realt presente; singolare intreccio ermeneutico, che d
senso e valore a queste lezioni, esaltando quel gioco di lontananza e prossimit nei confronti di Hegel che Hotho raffigura servendosi, non a caso,
dello stesso apparato concettuale offertogli dal maestro.
Anna Maria Treppiedi

G. Dalmasso, Chi dice io. Razionalit e nichilismo, Jaca Book, Milano


2005, pp. 132.
Fine dichiarato dellultima opera di Gianfranco Dalmasso quello di
mettere a fuoco la coppia concettuale costituita da razionalit e nichilismo,
muovendo dalla duplice assunzione secondo la quale, anzitutto, la questione
di ci che oggi si intende per nichilismo appartiene al problema di che cosa
sia, nella propria essenza, la razionalit e, in secondo luogo, il fenomeno del
nichilismo fa emergere la questione dellessenza della razionalit come problema relativo alla sua genesi, cio alla sua origine. Da un lato, cos riguardata, la razionalit appare come una struttura di conoscenza che implica un
movente e un destinatario, cio appare come un fenomeno i cui confini
sono delimitati da un a partire da che cosa e da un a chi. In questo senso, la domanda sulla razionalit, nel suo essere indotta dal fenomeno del
nichilismo, una domanda genealogica che chiede conto del suo stesso porsi. Dallaltro lato, il nichilismo appare come sintomo dellaccadere della razionalit, e funge, nella strategia argomentativa di Dalmasso, da catalizzatore
della domanda genealogica su di essa.

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infatti la realt sintomale del nichilismo, in quanto sfiducia nelle possibilit teoretiche e pratiche della ragione, a indicare lesistenza di un sapere
costruito dalle mani delluomo, del soggetto stesso dellimpresa razionale, un
soggetto che quello cartesiano della scienza: io ho sfiducia nella scienza,
dunque io sono e la scienza , secondo questa argomentazione che fonda la
possibilit del soggetto cercando per, differentemente da Cartesio, di determinarne la genesi, ovvero i limiti. In questa prospettiva, il limite, del soggetto e del suo discorso, risulta essere il prodotto del rapporto fra il soggetto e
il suo atto di pensiero, rapporto che, nella prospettiva di Dalmasso, si traduce in quello fra il soggetto e la sua origine. Condizione di questo passaggio
argomentativo, cio del fatto che la relazione fra il soggetto da un lato e il
suo atto di pensiero dallaltro rinvii alla relazione fra il soggetto e la sua origine, il fatto che il soggetto sia definito non come un dato, bens come
unattivit, secondo le esplicite dichiarazioni significativamente reiterate,
soprattutto, nelle Lezioni sulla filosofia della religione di Hegel, pensatore
neoplatonico dellet moderna, che a questultima offre le coordinate attingendo a tutta la tradizione metafisica occidentale. questo il senso in cui la
realt stessa per Hegel, in quanto attivit, soggetto.
La posizione hegeliana viene da Dalmasso fatta valere contro ci che egli
definisce come intellettualismo nel senso del metodo, che la concezione
che sostanzializza la realt, di conseguenza, prescinde dallessere generato
del pensiero. Sostanzializzando infatti la realt, quella dellio e quella di ci
che esterno a esso, lintellettualismo nel senso del metodo perde il carattere di mutua generazione dellio e del mondo, e giunge cos alle posizioni
in opposizione alle quali si delinea quella di Dalmasso, che appare definibile,
insieme, come un razionalismo critico e come un realismo critico riconducibili alla galassia concettuale del nichilismo: da un lato, scetticismo,
pragmatismo relativista e lo stesso fideismo, quali manifestazioni, tutte, di
sfiducia nella possibilit di conoscere la realt, almeno per via razionale, dallaltro lato, lidolatria dellio che nutre, appunto, ogni forma di intellettualismo e di gnoseologicismo.
Il carattere di attivit della realt, cio il suo carattere di soggettivit, e
lessere generato dellio costituiscono le coordinate entro le quali si pone, per
Dalmasso, la questione della libert, quale forma del mio: libert non ,
certo, chinare il capo di fronte a una necessit cieca, ma non neppure larbitrio senza limiti e senza radici. Per contro, la libert responsabilit, riconoscersi in un discorso, riconoscere un discorso altrui come proprio: la
libert si definisce cio, originariamente, in una forma che resta al di qua
della scissione e delle aporie che ne conseguono tra libert negativa (in
quanto libert dai vincoli, ovvero dal reale) e libert positiva (in quanto capacit di dare luogo a vincoli), per connotarsi come il rapporto di ci che
generato con la propria essenza, quale propria origine. Dal momento che

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lessenza della libert si colloca nel rapporto fra lio e la sua origine, la libert
stessa una struttura del ricevere.
Associandola al concetto di generazione, Dalmasso utilizza la questione
dellorigine come chiave di accesso al rapporto in cui lio si rappresenta il
proprio essere generato. Lobbiettivo quello di pensare legoit al di fuori
di una prospettiva egoistica, cio quello di pensare una soggettivit che
non sia chiusa in s stessa; questo obbiettivo pu essere raggiunto soltanto
laddove legoit risulti considerata attraverso la prospettiva della propria origine, intesa come ci di cui essa, per principio, non pu impadronirsi. Il
concetto di Dio , nella strategia argomentativa di Dalmasso, il mezzo per
evitare la concezione idolatrica dellio, che deriva dalla posizione gnoseologicista del pensiero rappresentativo: la realt di Dio, infatti, ci che si
frappone fra lio e loggetto della sue rappresentazioni, dal momento che
vera o falsa, reale o illusoria, la nozione di Dio sembra costituirsi come una
conoscenza che si colloca fra lio pensante e la sua origine. Detto altrimenti,
tale nozione occupa il posto di ci che, in termini hegeliani, si chiama certezza. Per questo, il problema di Dio tale anche per un ateo, in quanto problema epistemico, prima che problema di fede.
Linappropriabilit per definizione di Dio fonda dunque, secondo
Dalmasso, la possibilit della fiducia nella ragione: se lineffabilismo e il
misticismo risultano solidali allassolutizzazione dellio che consegue allintellettualismo nel senso del metodo, cio risultano solidali alla sostanzializzazione della realt che esso comporta e si rivelano appartenenti, loro malgrado, al novero delle fenomenologie del nichilismo, il riconoscimento del
carattere di attivit generativa del reale che si giustifica con leccedenza della
sua origine nei confronti di ogni tentativo di rappresentazione appropriativa
fonda, nel contempo, la possibilit della dialettica fra ci che genera e ci
che generato, dialettica che viene a identificarsi con la razionalit. Il movimento della generazione del reale , dunque, il luogo nel quale trovano il
loro essere comune sia il soggetto conoscente, sia lidea di Dio.
Concependo cos la realt di Dio, quale baricentro del movimento di
generazione dellio, ne consegue la tesi, apparentemente paradossale, secondo la quale Dio generato insieme allio: se fosse altrimenti, cio se la realt
di Dio fosse separabile da quella della generazione dellio, si ricadrebbe nel
pensiero rappresentativo, si taglierebbe il rapporto fra lio e la realt, e si precluderebbe in via di principio la possibilit, per la ragione, di un rapporto
veridico con il reale: si riaprirebbe, con ci, la strada al nichilismo, non quale sintomo di una possibilit della ragione, ma quale sua verit ultima. Senza
Dio quale fonte della generazione inesauribile dellio, non vi sarebbe ragione
n ratio essendi, n ratio cognoscendi possibile n dellio, n del reale; se
non vi fosse Dio, nulla sarebbe permesso.
Flavio Cassinari

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U. Perone, Il presente possibile, Guida, Napoli 2005, pp. 163.


Il presente possibile , in consonanza con quanto lautore dice nella Prefazione a proposito delle prefazioni in genere, un libro che non si presta ad
essere riassunto; nemmeno per quel censimento minimo del suo succo pi
segreto (p. 7), che una recensione comporterebbe. Questo scacco segna
per anche la vittoria del libro, il cui contenuto giunge, pagina dopo pagina,
inaspettato. Lo stile, che da parte sua misura la capacit di incidere di ci
che passa, di ci che fluisce e, nella lettura, viene costantemente oltrepassato
ed abbandonato cio la parola stessa , contribuisce pi che mai, in questo
caso, a intrecciare le pagine come se si trattasse di prospettive, di possibilit
affioranti sulla superficie del narrare, chiamate alla reciproca connessione
dalloggetto stesso di cui si parla: il tempo presente.
Fra i tempi c un inframmezzo, ama dire Perone; esso si configura nel
libro come una soglia, una lastra di ghiaccio. Queste immagini danno consistenza a ci che non appare mai, pur ospitando ogni nostro gesto, ogni
nostro respiro, e cio il presente. Come la soglia inabitabile, ma tuttavia
ci che ci consente di passare, di collocarci, di percepire un dentro e un fuori, cos il presente ci che discrimina, il passare che trattiene, la mano che
si chiude per reggere e reggersi (p. 33). N presenza stabile n pura inconsistenza, il presente per Perone come langelo del quadro di P. Klee, che
Benjamin chiam langelo della storia; esso conosce, istituisce, una via di
mezzo fra il restare e landare, e sembra dirci che ci vuole memoria per viverlo, ma una memoria rivolta, appesa, paradossalmente, allavvenire. Inteso
come soglia, il presente non perde certo la sua caratteristica di sfuggire, ma
acquista quellestensione e quella profondit che possono farne il punto di
svolta dei tempi (p. 44).
Questa ritrovata attitudine del presente a trattenere, malgrado il passare,
mi pare essere il messaggio pi forte del libro. Ci che essa delinea, d corpo, o forse tenta semplicemente di fermare un movimento ossimorico, impossibile e tuttavia pur sempre effettivo, latto di uno star passando, di
uno stare attraversando, che si rende sempre possibile nella misura in cui
attuale, nella misura in cui il suo tempo il presente. Su questa capacit di
restare senza fermarsi (larresto sarebbe il tempo assoluto, il particolare assoluto che la filosofia vivrebbe immediatamente, mentre, secondo Perone, la
disarmonia, la sproporzione fra lassoluto e il particolare, il tratto propriamente umano del filosofare cfr. p. 147), cui la soglia offre un sito, il libro
innesta le sue nervature e dispiega il suo percorso. La prima parola, il primo
concetto che ci viene incontro dopo la configurazione del presente come
soglia, etica Etica del presente. Letica pu dirsi e darsi solo al presente,
perch anche per lei si tratta di un Alt, di una sosta o, se vogliamo, pi tradizionalmente, di unabitudine un divenire costanti che si staglia proprio

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laddove tutto contingente, finito e mutevole. Letica, dunque, vive di quella sfida contenuta nella possibilit del presente, la sfida di trattenere, di non
lasciare andare ci che , malgrado tutto, misurato rispetto ad un necessario
passare e ad un continuo andare via da s. Mi sembrano esemplari queste
righe sulla tenerezza, che viene definita da Perone una virt non morale ma
essenzialmente ontologica, in cui, pi che in ogni altra virt, lessere affidato allapparire: La tenerezza concerne il presente; non pu riguardare il
passato n il futuro, se non in quanto anchessi possono essere presenti. Ma
la tenerezza riguarda la fragile stabilit del presente. Essa legge il tempo tra i
tempi. Legge il tra i tempi del tempo: il presente, e lo legge tra i tempi: tra
s e il futuro (resister questo presente agli insulti del tempo?) e tra s e il
passato (avr la forza questo presente di non smarrire le antiche radici?)
(pp. 70-71).
Questa passione per ci che caduco, che si esprime nella tenerezza,
questa forza del lasciar essere ci che ma anche minaccia di non essere
pi (p. 72), lega inesorabilmente il presente al desiderio, anzi fa del tempo
presente il tempo del desiderio. Ci pu accadere perch, contravvenendo
allanalisi heideggeriana che incombe come una maledizione che riduce il
presente a una forma della presenza (p. 32), Perone ci invita (e ci convince)
a pensare il presente come il luogo (soglia) e il tempo (tra-i-tempi) dellindisponibile, come dono, se vogliamo e in questo, incrocia in modo originale
le istanze pi radicali del pensiero contemporaneo . Indisponibile non gi
perch ci manchi ma per il modo stesso in cui ci si consegna, il presente allora pi che mai il tempo proprio del desiderio (vengono alla mente i versi
di Nostalgia del presente di Borges: In quel preciso momento luomo si disse:/ Che cosa non darei per la gioia/ Di stare al tuo fianco in Islanda/ Sotto
il gran giorno immobile/ E condividerlo adesso/ Come si condivide la musica/ O il sapore di un frutto./ In quel preciso momento/ Luomo le stava
accanto in Islanda).
La domanda su come dire, su come pensare il presente, coincide, ne Il
presente possibile, con la domanda sul soggetto. E dal momento che lidea di
presente che Perone accoglie, citando P. Janet, quella di una narrazione
fatta nel momento stesso in cui agiamo (cfr. p. 78), la domanda investir il
soggetto come autore della narrazione. Ma la filosofia conosce, pi di ogni
altra disciplina, lestremo di una narrativit senza autore, una sorta di archi-racconto che rende possibili tutti gli altri infiniti racconti. Le sue due
formulazioni sono la prova ontologica e il cogito. Da essi il pensiero non
cessa di allontanarsi e di tornare, perch costituiscono un fondamento che si
d al modo della soglia inabitabile ma sempre presupposta da ogni passo
avanti e da ogni passo indietro, da ogni affermazione e da ogni negazione.
Cogito e prova ontologica introducono linfinito come re-quisito del soggetto e dunque del finito. Nel finito, lesistenza coincide solo occasionalmente

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con lessenza, perch questa co-incidenza costantemente minacciata dal


deperimento, dalla malattia, dalla morte; il presente dellesistenza di Dio,
invece, coincide veramente con la sua natura eterna (p. 89). In questo
scarto abissale, tuttavia, il pensiero comincia a pensare, cominciando appunto dalla coerenza dellinfinito attestata dalla prova ontologica. Anche il cogito, scrive Perone, non fa che cercare la stessa coincidenza e coappartenenza, ma la cerca nelloggetto residuale dellio, al termine di un esperimento
mentale e spirituale che revoca la certezza di tutto, per ricominciare da capo
con il minimo: il presupposto ineliminabile dellio. Ma questesistenza
anche immediatamente lessenza dellio (p. 92).
Malgrado sia solo un punto minimo di coincidenza di essenza ed esistenza, il cogito, specularmente rispetto alla prova ontologica, afferma che
la finitezza successiva allinfinito, consiste nellinterruzione del finito,
dopo linfinito, nel senso che pu riconoscersi come tale solo dopo che ha
incontrato linfinito sulla sua strada; anche quando linfinito assume il volto
dello sconosciuto con cui bello lottare, come nel misterioso passo della Genesi (32, 23) cui Perone rimanda con emozione. Linfinito interrompe il
finito anche nel senso per cui quando linfinito ha nome Nessuno, come
nei versi di Celan, lio inevitabilmente si spezza, si estranea da s.
Alla filosofia resta allora il compito di mantenere la tensione con linfinito, per salvare lio e il mondo. Questo pu accadere perch essenzialmente
essa non , per Perone, il regno pacificato del concetto, ma il frutto dellaggiustamento costante di una fatica, di uno squilibrio, fra quel particolare
assoluto che sta a cuore pi di ogni cosa e il suo distendersi nella forma delluniversalit e della comunicazione (p. 145). La filosofia, dunque (ed in
qualche modo platonicamente, penso in particolar modo al Simposio), gi
una tensione e non unappropriazione, perch sotto lurgenza, il desiderio
se vogliamo , di ci che Perone chiama il particolare assoluto. Quello
squilibrio fra il particolare assoluto (ci che appartiene al soggetto nella
sua singolarit irriducibile) e il suo distendersi nella forma delluniversalit
e della comunicazione, pu allora essere abitato, accolto, perch la filosofia
ha in proprio, a partire dalla dinamica del desiderio che la attraversa, di
amare la cosa desiderata dentro una distanza. Distanza nella quale nasce la
possibilit di dire, di articolare la particolarit di quel legame in un discorso
udibile, pubblico, universalizzabile. Perone, sorprendentemente, fa rientrare
questa capacit (dis)appropriativa del desiderio ovvero la tensione con linfinito come condizione per vivere il presente anche nel rapporto con le
vecchie e usurate parole della filosofia, come, per esempio, la parola essere.
proprio con la ri-presa in considerazione di questa parola, che nel libro si
esprime attraverso una domanda, che vorrei concludere: E se considerassimo cos anche il nome essere, il primo nome della filosofia, non come il
contrassegno di un potere o di una trasparenza, senza residui, ma come il

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nome con cui cerchiamo di fermare das wahre Bild di una realt che huscht
vorbei, non avremmo forse imboccato la strada per una metafisica, che non
la stanca e sterile ripetizione di un inizio gi fatto, ma un progetto, che,
pur consapevole fino alla slogatura che lo percorre dei rischi, rischia linizio e nutre la speranza di ognuno che, pur sapendo di entrare in un gioco
gi cominciato, non lo vuole per questo gi fatto, ma dove linizio pur
sempre ancora possibile? (p. 144).
Latto di ri-dare il nome si configura, allora, come un altro modo possibile per non perdere, per trattenere, ci che sempre se ne va: linizio e la
fine.
Rosaria Caldarone

N. Salmon, Metaphysics, Mathematics, and Meaning: Philosophical Papers


I, Clarendon Press, Oxford 2006, pp. 419.
La Oxford Press pubblica gli articoli di Nathan Salmon, professore di
Filosofia della Logica, del Linguaggio e Metafisica alla University of California, S. Barbara. Il primo volume, dal corposo titolo Metaphysics, Mathematics and Meaning, sar integrato da un secondo di prossima pubblicazione, Content, Cognition and Communication. Lopera di Salmon rivolta
ad un approccio analitico moderno ed aperto, mirato a svolgere questioni e
problemi metafisici attraverso lanalisi del linguaggio anche secondo approcci
formali. A partire dai suoi primi lavori dedicati soprattutto a Frege, Salmon
ha affrontato questioni relative alla possibilit logica, alla relazione tra dimostrazione e necessit, alle questioni relative alla credenza e alla vaghezza. La
sua ricerca si basa su un semplice assunto essenziale: la ragione lo strumento che genera il metodo filosofico e produce la verit; lessenza di questo
metodo nellargomentazione logica, come il mezzo privilegiato di accesso
a nuove conoscenze corrette: My own objective [...] has been to proceed by
a sequence of obviously valid inferences (though not always uncontroversial)
from clearly correct premises (though not generally indubitable) to a
significant but unpopular thesis (though not typically incredible), or at least
a rather surprising one (p. 1). Una delle pi stridenti dicotomie del pensare
logico, il paradossale contrasto tra utilit e validit, viene elevato a metodo
esplicito della metafisica, propriamente nella sua forma logica: provare il sorprendente, giustificare lintuito e dimostrare il nuovo. Nella prima sezione
Ontology, negli articoli Existence (1987), Nonexistence (1998) e
Mythical Objects (2002), lesistenza determinata nel modo dellattualit,
come propriet di essere di questo mondo possibile, da distinguersi dalla

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propriet delle cose di essere nel modo in cui sono. Essa si esplica su un piano che non pu essere soddisfatto semplicemente dalloperazione formale di
sostituire valori per un insieme di variabili (cfr. ad es. Church), e Salmon
riprende a partire da Kant, attraverso Frege e Russell, lidea radicata in molta
parte del pensiero logico contemporaneo che lesistenza non possa essere
trattata come un concetto di primo livello, cio un concetto o propriet
ammissibile di individui: la predicabilit precede lesistenza. Questa osservazione teorica, che oggi fonda lessenza delle strutture tipizzate, costituisce la
ragione per una nuova teoria della verit dove lente definibile a partire da
un criterio di applicabilit e uno di identit. Lesempio storicamente noto ed
ovvio per illustrare il problema quello della prova ontologica, nel quale un
punto cruciale rappresentato dalla legittimit dellinferenza dalla possibilit
alla necessit: qui si gioca il valore metafisico ed esistenziale dellattualit, anche tramite un fruttuoso uso del valore concettuale delle forme temporali del
passato.
Nel secondo articolo, la non esistenza, viene quindi esplicata sulla base
delle espressioni che coinvolgono nomi senza riferimento, trattate nella forma degli esistenziali singolari negativi e di un accurato utilizzo di strumenti
formali. Cos appare perfettamente coerente il passaggio allanalisi del problema degli oggetti mitici: il suggerimento di prendere seriamente the idea
that false theories that have been mistakenly believed what I call myths
give rise to fabricated but genuine entities (p. 101). Di questo quadro concettuale viene sviluppato laspetto della modalit nella seconda parte,
Necessity, e il tema dellidentit nella terza (Identity). La dicotomia necessit/possibilit indagata con profonda tecnica e teoria, ad esempio nel
proporre il rifiuto di sistemi di logica modale quali i noti S4 ed S5 in quanto
non adeguatamente giustificati in termini di ragionamento non fallace riguardo a ci che potrebbe essere stato (The Logic of What Might Have
Been, 1987) e la logica della possibilit e dellimpossibilit richiama alluso
del concetto di mondi metafisicamente possibili (An Empire of Thin Air,
1988). Nella determinazione dellesistenza come predicazione, criterio essenziale quello dellidentit: Salmon sostiene (The fact that x = y, 1987) la
tesi non troppo popolare che lidentit tra due individui x e y di rispettivi
mondi possibili w1 e w2, non sia basata sulla natura qualitativa dei due individui (cio come essi sono in questi mondi), ma unicamente sulla loro
mera esistenza possibile (anti-haecceitism); tale ragionamento viene ulteriormente applicato alla validit del principio di identit in un arco di tempo
limitato, relativamente ad artefatti e persone (transtemporal anti-haecceitism).
Il problema dellidentit viene ulteriormente approfondito in Identity
Facts (2002), dove largomento di analisi se possa esserci una coppia di
oggetti per i quali non ci sia alcuna questione rispetto al fatto che essi siano
identicamente la stessa cosa (numerical identity) o invece cose distinte (p.

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166); riprendendo un suo lavoro precedente Salmon propone una dimostrazione che ci sia sempre un fatto che rende due cose identiche o distinte (basata su alcune leggi logiche essenziali e sulla teoria standard degli insiemi).
La discussione riguardo al principio di identit richiama ovviamente in primo luogo una riproposizione della Legge di Leibniz in termini di logica classica, dove lidentit di singoli termini implica lidentit di formule in cui essi
occorrono e per le quali la distinzione data unicamente dalle occorrenze
libere dei rispettivi termini, cio la sostituzione di identici per identici: tale
relazione ritenuta indispensabile da molti autori per riconoscere la relazione del segno di identit come espressione di identit ontologica, piuttosto
che di una qualche altra relazione pi debole. Ci esprime la radice di una
esplicita posizione che distingue tra unidentit in senso filosofico e una in
senso popolare: la prima logicamente legata allindiscernibilit, cio la
coincidenza in tutte le caratteristiche, non limitabile ad un ristretto campo
di propriet. Spostandosi allidentit di un termine con se stesso, il tema
ovvio diviene quello della permanenza dellidentit personale attraverso il
cambiamento, qualificato come pseudo-problema in quanto presuppone la
dottrina che la persona sia costituita da stadi o fasi (Personal Identity:
Whats the Problem?, 1995). Ancora una volta il concetto chiave quello
di necessit: la necessaria identit tra due soggetti riconosciuti come identici
nel tempo pu variamente essere interpretata come epistemica o aletica, stabilendo un collegamento trans-temporale di natura diversa; lidentit transtemporale consiste perci nellesistenza di un tale appropriato collegamento
(p. 196).
Le parti IV e V del volume trattano rispettivamente di Philosophy of
Mathematics e Theory of Meaning and Reference. Larticolo Wholes,
Parts and Numbers (1997) affronta i problemi insorgenti dalla considerazione della relazione metafisica tra parti e tutto, in special modo quanto di
paradossale pu derivare dal mantenimento della legge del terzo escluso
laddove si considerino come oggetti logici anche le parti, e dove uno dei
passaggi pi interessanti lidea che some properties are exemplified or
possessed by individuals taken collectively, in concert, rather than taken
individually and rather than by the corresponding class (p. 237), a sua volta
implicando la necessit di sistemi formali con tecniche di riferimento plurali.
Questa indicazione si inserisce oggi in un variegato contesto di ricerche che
tendono ad illustrare le differenze concettuali insite nei termini somma
(mereologica) e totalit, ovvero complesso e moltitudine. The Limits of
Human Mathematics (2001) lesempio classico di un tema particolarmente rilevante per la filosofia della logica e della matematica: qual il significato dei teoremi di incompletezza per la mente umana, in particolare per
quanto riguarda intuizione, creativit, certezza a priori? Il punto della questione riassunto nella seguente illuminante domanda: Is there an effective

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procedure for enumerating the rules of human mathematical inference


together with those purely mathematical truths that the human mind is
capable of knowing with mathematical certainty without independent
mathematical proof? (p. 261); con una visione che evidentemente va oltre
la semplice considerazione sintattica, nella nozione semantica di prova
matematica che si coglie limportanza dei risultati dei teoremi di incompletezza. Lultima parte del volume dedicata a temi di filosofia del linguaggio
tra i pi noti ed importanti, quali il problema del contenuto e del significato
di un enunciato (On Content, 1992; A Problem in the Frege-Church
Theory of Sense and Denotation, 1993), la designazione, la possibilit e le
propriet delle espressioni (On Designatine, 2005; The very Possibility of
Language, 2001; Tense and Intension, 2003; Pronouns and Variables,
2005). Salmon difende una teoria del linguaggio che lo porta a fare i conti
con i problemi del senso e del significato (espressioni con identico referente
o con referente fittizio), del tempo, della possibilit di spiegare il significato
delle parti del discorso, temi che vengono affrontati gi con le approfondite
analisi dellidentit e dellesistenza, nelle sezioni precedenti. Il volume, data
la variet e complessit dei temi che affronta, si propone come uno tra i pi
interessanti dellattuale panorama teorico in Filosofia della Logica e Metafisica.
Giuseppe Primiero

B. Centi e G. Gigliotti (a cura di), Fenomenologia della ragion pratica: letica di Edmund Husserl, Bibliopolis, Napoli 2004, pp. 368.
Il convegno Fenomenologia della ragion pratica: letica di Edmund Husserl
tenuto a Roma nel 2003 e la traduzione italiana delle Vorlesungen ber Ethik
und Wertlehre del 1914 a cura di Paolo Basso e Paolo Spinicci (Le Lettere,
Firenze 2002) stanno alla base degli interventi contenuti nel presente volume, che, per lautorevolezza dei contributi, offre una panoramica completa
delle questioni etiche di Husserl dalla fine dellOttocento fino agli anni 20
(p. 9).
Materia e forma della legge morale nellinterpretazione husserliana del formalismo di Kant il contributo di apertura di Gianna Gigliotti in cui viene
messo a confronto il formalismo etico kantiano con le relazioni che intercorrono in Husserl tra materia e forma. Lautrice, a partire dalla denuncia di un
vuoto formalismo etico volge lattenzione verso una possibile analogia tra
logica ed assiologia formale. Unanalogia che abbia la capacit di cogliere, in
una realt ideale, i nessi tra un enunciato normativo valido ed uno descritti-

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vo (p. 26) o pi in generale tra logica ed etica. Si tratta di un trasferimento


della logica formale alletica che avvicinerebbe Husserl a Kant in quanto per
Husserl alle leggi essenziali dellanalitico corrispondono le leggi essenziali
del sintetico (p. 28). Ma tale avvicinamento interrotto dal contestare la
legalit del sintetico apriori come atto fondativo di una scienza etica. Piuttosto lapriori formale capace di configurarsi come legge generale possibile
di diversi riempimenti e non puramente logico-formale (p. 31). Husserl
contesta a Kant il nesso formalismo/vuotezza al fine di recuperare la distinzione tormentatissima tra contenuto e oggetto che permette di riconsiderare il ruolo formale del sentimento (pp. 30-45). In questo modo letica
scientifica di Husserl si configura come una tecnica dellagire razionale in
generale, secondo la forma e la materia. Ed mediante una chiamata in
causa delle argomentazioni di Herbart e Brentano sulla relazione tra sentimento e oggetto che Husserl costruisce la sua critica allintellettualismo
kantiano (p. 60), nello specifico per Husserl assurdo che luniversalizzazione in s e per s divenga il movente della volont (p. 66). Si impone allautrice lesigenza di considerare il parallelismo tra etica e logica del 1914 e
di risalire ai concetti di validit e verit delle Ricerche Logiche in cui si assume
che ciascuna proposizione logico-apofantica, pu anche essere colta come,
o trasformata in una proposizione ontologico-formale (p. 68), (Husserliana
XXVIII pp. 8-9, tr. it. pp. 30-31). In tal modo viene posta dunque lattenzione sullampliamento della logica formale che carica di contenuto la formalit kantiana facendo intervenire il sentimento nel referente oggettuale
(p. 111). Si tratterebbe dunque di una critica assai forte a Kant che, secondo
Vincent Grard (Lanalogie entre lthique formelle et la logique formelle chez
Husserl) non avrebbe compreso il senso dellanalitica etica perch non ha
compreso i rapporti di dipendenza tra letica formale e letica materiale (p.
118). In tal modo lanalogia tra etica e logica in Kant si configura come una
analogia superficiale da contrapporre a quella husserliana che risulta essere
piuttosto continua e radicale (p. 122). Ed a partire dal confronto tra Husserl e Moritz Schlick che si manifesta lo scarto tra enunciati logici che, per
il loro carattere tautologico, non risultano essere dello stessa natura degli
enunciati di valore (p. 126). Dunque lanalogia che sussiste tra etica formale
e logica formale non univoca: una differente connotazione del concetto di
valutazione per gli enunciati (logici o etici) risulta essere il carattere distintivo
di una ambiguit analogica tra logica formale e ontologie regionali (p. 128).
Dunque i fenomeni propri della vita affettiva e volitiva non si lasciano vedere completamente in trasparenza nellambito della logica apofantica (p.
135). Tuttavia la distinzione che Husserl opera tra una logica della conseguenza e una logica della verit serve a recuperare la logica mediante
unassiologia formale che indipendentemente dal valore di verit sottost al
principio di non contraddizione e al principio del terzo escluso che, a causa

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del concetto di positivit o negativit del valore pratico o meglio dellazione,


specifico degli imperativi che costituiscono conclusioni pratiche diventa
principio del quarto escluso (pp. 131-132). Lanalogon si manifesta non in
maniera unidirezionale ma in una bidirezionalit reciproca che va dal logico
al pratico e dal materiale al formale e che connota, proprio a partire dal concetto di conseguenza, limperativo come ipotetico e non gi categorico (p.
143). Qual lidentit di unetica scientifica che trova nella analogia con la
logica lespressione pi rigorosa? Chiarire la relazione tra giudizio assiologico
e giudizio normativo che concerne un contenuto descrittivo il lavoro proposto da Jocelyn Benoist in La fenomenologia e i limiti delloggettivazione: il
problema degli atti non obiettivanti. necessario porre alla base di ogni imperativo la conoscenza della norma che come conoscenza sottost allapofanticit del vero-falso e del corretto (richtig) ed incorretto (unrichtig) (p. 155).
La cornice cognitiva offre dunque un quadro allinterno del quale inserire lo
statuto degli atti non-obiettivanti, quegli atti che come lamore e lodio esistono primariamente come modi di sentire (Gemtsbewegungen) senza oggetto e un atto intenzionale obiettivante che si rappresenta loggetto come atto.
Lapofanticit entra allora in diretto contatto con il sentimento (Gefhl) nel
diventare obiettivante del cosiddetto atto non obiettivante [] e richiedere necessariamente atti obiettivanti, cos da avere un oggetto []: loggetto carico di valore, e in questo senso, potrebbe essere vero o falso, o almeno
corretto (richtig) o non corretto (p. 160). Si esce in tal modo dalla sfera
della rappresentazione e il punto di vista descrittivo [] non pu rappresentare una soluzione al problema del correlato specifico dellatto affettivo
(p. 164). Rientra prepotentemente la questione fondativa sul nesso tra logica
come descrizione di uno stato e il ruolo di come sia possibile far valere i principi per enunciati che esprimono comandi o preghiere. Il tentativo husserliano quello di considerare lapofanticit a partire dalla denotazione dellatto
oggettivante stesso: Ora, i veri significati (Bedeutungen) delle espressioni discusse risiedono in questi atti oggettivanti (p. 165) (Husserliana XIX/2, p.
748, tr. it. p. 524). Nella maturit delle Ideen il discorso molto pi radicale
nel senso che non esistono atti non obiettivanti. Ogni atto obiettivante e
quindi dove c significato, c oggettivazione (p. 169). Ma questa intenzionalit non pacifica si tratta pi che altro di un tendere alla verit
che per la doppia valenza dellatto logico chiede giustificazione e denotazione, lintenzionalit etica dunque unintenzionalit colpita da diplopia che
mette in relazione norma e oggetto (p. 173).
Lanalisi delle modalit intellettive sentimentali, affettive e valutative e
lintenzionalit propria del sentimento, messa in luce nelle Ricerche logiche
riguarda lambito di indagine di Thomas Vongehr in Husserl ber Gemt
und Gefhl in den Studien zur Struktur des Bewusstseins (pp. 227-253).
Viene condotto uno studio sulle lezioni del 14 del 20 e del 24 in cui viene

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riproposto il problema degli atti obiettivanti in relazione alle sensazioni di


sentimento e agli atti di sentimento che risulteranno obiettivanti e trasformabili in predicati di valore, garantendo in tal modo una logica dei valori.
Diventa, dunque, assai pertinente, dopo queste analisi di tipo fondazionale, un avanzamento nel senso di una trattazione pi sistematica di una
etica logica in Husserl. in questa direzione che si muove lo studio di Kevin
Mulligan in Husserl on the Logics of Valuing, Values and Norms, proteso ad
una valutazione delle interrelazioni tra una logica dei valori e una logica
delle norme. La discussione si apre a partire da due famiglie distinte di concetti: la famiglia dei concetti assiologici (valore, valore positivo, indifferenza, buono, cattivo, etc.) e la famiglia dei concetti normativi o deontici (obbligo, permesso, proibizione) in cui la relazione tra norme e valori si concentra nelle relazioni tra proposizioni assiologiche e deontiche. Ritorna anche in
questo intervento il problema della verit in relazione ad una possibile scienza etica, tant che nellambito dei concetti assiologici Husserl pensa che le
valutazioni hanno valori di verit ed esiste un essere valutabile oggettivamente (p. 187) mediante dei portatori di verit assiologici (axiological
truth-bearers) della forma x valutabile. Ritorna dunque il problema della
rappresentazione e precisamente nei termini di una possibile distinzione tra
giudicare ci che viene giudicato (Stze) e lo stato di cose (state of affairs)
rappresentato dalle proposizioni. Una tricotomia che gioca un ruolo predominante nellanalisi tra norme e valori anche a partire da una certa giustificazione di un procedimento logico che vede nel sentimento il fondamento
ultimo autoevidente del giudizio (p. 195).
Lanalisi di Mulligan per non si ferma alle sole questioni fondazionali,
anzi considera una logica normativa o dei valori formale che non pu prescindere da un linguaggio formale. Seguendo dunque i contributi di Kalinowski e Iwin viene proposto un linguaggio in cui a e b sono variabili per
oggetti assiologici e O una costante per gli oggetti di tale dominio. VP, VN,
V, I sono costanti per valore positivo, negativo, valore e indifferenza assiologica (p. 202) e in tal modo si arriva a formalizzare in ambito etico il principio di non contraddizione, VPa VNa e la legge del quarto escluso VPa v
VNa v Ia. Tali principi diventano il sostrato che garantisce lessere cognitivamente valutabile (p. 213) e manifestano lapertura della logica assiologica
alla deontica trovando nella giustificazione laggancio tra valutazione ed azione Se x giustificabile, allora x intenzionale (pp. 221-222).
Lanalogia che sembra essere il filo conduttore dellintero testo ritorna nel
contributo di Beatrice Centi, Il concetto di valore nelle Lezioni di etica (1914)
di Husserl : intrecci, nodi e senso della forma. In particolare il parallelismo tra
logica ed etica comporta unanalogia tra giudizi etici e teoretici e tra atti di
conoscenza e atti di valutazione etica (pp. 258-282) in un intreccio in cui

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lespressione materiale a priori specifica il concetto di valore che produce


contenuti intersoggettivi e comunicabili. In questo contesto si danno formulazioni di giudizi di sentimento che la ragione trasforma in giudizi etici. Si
ottiene in tal modo, proprio a partire dal sentimento unetica formale non
lontana dalla vita fino al punto da fare i conti con il sentimento per eccellenza che lamore. Come sottolinea larticolo conclusivo di Ullrich Melle in
Husserls personalistische Ethik, derivante dallo studio di alcuni manoscritti
degli anni 20, la motivazione etica fondamentale lamore che si trova in un
conflitto contraddittorio con letica formale. Esiste una tensione tra la persona e la sua legge etica che pu risolversi soltanto in una fede razionale in
Dio (pp. 327-356).
Si tratta in conclusione di un testo che tende a rimarcare una complessa,
ambigua e anche contraddittoria analogia tra logica ed etica, che ribadisce il
valore dei lavori di Husserl nella storia del pensiero contemporaneo relativamente a quellambito analitico della logica che deve necessariamente fare
i conti con la sua storia e con il sintetico della conoscenza.
Massimo Panzarella

A. Infranca, Trabajo, Individuo e Histora. El concepto de trabajo en


Lukcs, Herramienta, Buenos Aires 2005, pp. 316.
Studioso collaudato di Lukcs, Ph. D. in filosofia presso lAccademia
Ungherese delle Scienze e premio Lukcs per le ricerche condotte allArchivio Lukcs di Budapest e per i saggi pubblicati sul filosofo ungherese
Infranca discute lucidamente in questo suo ultimo libro il significato del
concetto di lavoro sia come forma interpretativa, sia come concetto chiave
per lelaborazione di un onto-metodo volto alla rifondazione di un nuovo
materialismo storico e dialettico.
Il concetto di lavoro ha in Lukcs un ruolo chiave. Questo ruolo fa parte
dellarcheologia del suo pensiero anche se appare in forma elaborata nellOntologia dellessere sociale. Le categorie di totalit, alienazione e prassi diventano pi chiare, se comprese in rapporto ad esso. In mezzo alla sua incessante
critica allortodossia stalinista, cercando una rifondazione del marxismo ampiamente nutrita dalla conoscenza dei Manoscritti economico-filosofici del
1844, Lukcs si interroga costantemente sulla relazione tra il pensiero
hegeliano e quello marxiano e, in parallelo, sulla possibilit di elaborare un
sistema antropologico metafisico in grado di riscattare il razionalismo filosofico. Per Infranca questo ritorno alla metafisica non ha nulla di scandaloso. Nella misura in cui la categoria del lavoro in Lukcs la chiave per

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comprendere la genesi dellessere sociale, il suo sistema metafisico (nel


senso di un andare oltre la fisica) non altro che la concezione della filosofia come un perenne e incessante superamento delle apparenze e come ricerca dellessenzialit storica umano-materiale. LOntologia di Lukcs si iscrive
nella pi alta tradizione classica della filosofia, per il fatto stesso di instaurare
una feconda relazione con la Metafisica aristotelica e con la Logica hegeliana.
Per quanto contraddittorio possa apparire questo cammino che si colloca contro coloro che hanno decretato la fine della filosofia (per esempio
Heidegger) esso d prova di un estremo rigore scientifico-filosofico dove si
sforza di ricostruire le determinazioni originarie del complesso sociale e di
perseguire una comprensione radicale della processualit storica e dellindividuo.
Come sappiamo, il primo a concepire il lavoro come la mediazione autoproduttiva delluomo fu Hegel. Rispetto a questa concezione, innegabile il
debito di Marx. Cos come Marx, Lukcs ha chiaro che il lavoro per Hegel
non presenta solo un lato negativo, estraneo alluomo; esso anzitutto
esteriorizzazione umano-positiva. Questo spiega perch nella logica-gnoseologia hegeliana (la sua falsa ontologia, come la chiama Lukcs) il lavoro
soprattutto lastrattamente spirituale, ossia il sapere, la filosofia. Lukcs denuncia lestensione della teleologia del lavoro, da parte di Hegel, a principio
universale errore ricorrente anche in Aristotele e in tutte le ontologie religiose. Il carattere sillogistico-teleologico nella Scienza della logica hegeliana
culmina in una inevitabile identit soggetto-oggetto. questa, tuttavia, una
questione complessa che merita una densa analisi di tutta lopera di Hegel;
precisamente lanalisi effettuata, in modo magistrale, da Lukcs. Secondo
la., Lukcs recupera il concetto hegeliano di astuzia della ragione e riconosce la profondit analitica di Hegel che considera lazione del mezzo sulloggetto momento rappresentativo del ritorno delloggettivit al concetto, al se
stesso (lo spirito oggettivo).
In questa prospettiva, Lukcs evidenzia soprattutto linteresse del giovane
Hegel, in relazione al tema dello strumento di lavoro (oggetto del IV capitolo del libro di Infranca). Gi in Hegel lo strumento di lavoro considerato
lespressione del dominio delluomo sulla natura; allo stesso tempo, il processo teleologico (azione come movimento intrapreso in vista di un fine)
pu essere considerato come la traduzione del concetto in realt e della realt
in concetto. Hegel ha colto anche il carattere mediatore e continuo (una
volta che perdura nel tempo ed suscettibile di essere ripetutamente utilizzato) dello strumento di lavoro dimostrando, in questo modo, una concezione oggettiva dello stesso e riconoscendo nel mezzo un valore superiore al
fine. Infine, la riflessione riguardo alla teleologia hegeliana permette a
Lukcs di esprimere i nodi concettuali intorno ai quali si formata la concezione marxiana dello sviluppo della storia come conseguenza della relazione

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del lavoro con la propriet oggettiva degli strumenti di produzione (p. 37).
Per arrivare a una ontologia scientifico-genetica del lavoro in contrapposizione alla concezione logico-scientifica della Scienza della logica o fenomenologico-storica della Fenomenologia dello spirito hegeliane, Lukcs elabora la
propria teoria del rispecchiamento e con ci supera non solo Hegel, Kant e
Aristotele, ma anche lOntologia di Hartmann, nella quale trova peraltro notevoli fonti di ispirazione. La teoria del rispecchiamento, largamente discussa
nel libro di Infranca, concerne unattivit gnoseologica con la quale la
mente umana sarebbe capace di riprodurre loggetto da conoscere, dando
vita a una specie di riproduzione fotografica delloggetto. Non verrebbero
tuttavia tralasciate, in una tale ricostruzione/riproduzione, le categorie di singolarit, particolarit e totalit concreta.
Possiamo notare che per mezzo di questo dialogo/superamento che
Lukcs giunge a concepire il lavoro come la categoria prioritaria della sua
antropologia metafisica, la protoforma di ogni attivit sociale, ossia il
principio umano e teleologico che risponde al regno della necessit e che
d origine a serie causali-casuali della totalit sociale, o del complesso sociale.
Questa categoria deve essere considerata come mezzo imprescindibile per
comprendere non soltanto il ruolo attivo della coscienza ma anche il processo di ominizzazione e le dinamiche del divenire storico. In questo senso
lontologia di Lukcs si presenta, innanzitutto, come la nuova sintesi di
materialismo dialettico e materialismo storico e, in seconda istanza, come la
nuova sintesi di materialismo e di idealismo; ci, tramite il riconoscimento
della priorit della riproduzione della vita sulle altre sfere dellattivit umana,
priorit fondata sulla considerazione dello sviluppo storico di tali sfere di
attivit. In questo modo, per Lukcs lontologia una scienza che abbraccia
la totalit sociale in tutti i suoi momenti e nel suo intero complesso (p. 81).
Dopo una analisi dettagliata e un chiarimento su questo processo (cap.
1), Infranca prosegue con la relazione del lavoro con letica e con la politica
(cap. 2) e con larte (cap. 3). Allinterno delle diverse questioni poste in
questi capitoli, come per esempio la critica di Lukcs allo stalinismo, linfluenza dellopera di Goethe, Mann e Tolstoi sullEstetica di Lukcs, la polemica contro una teoria del linguaggio inteso come mero essere-riflesso
del processo storico, costituisce una sorta di filo rosso la tesi di Infranca secondo cui non esiste una separazione nitida tra economia e vita quotidiana.
Lukcs rinnova la discussione sulla relazione tra il regno della libert e
il regno della necessit. Daccordo con Lukcs, Infranca argomenta che
soltanto in una societ socialista il lavoro superfluo e creativo si trasformer in unattivit fondamentale e il lavoro in quanto attivit strettamente
economica, riproduttiva, che corrisponde al soddisfacimento dei bisogni
primari, sar ridotto anche se non eliminato in quanto perpetuo regno
della necessit proprio della nostra vita quotidiana. In questo senso, il re-

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gno della libert significa, in parte, il superamento effettivo della divisione


sociale del lavoro, che fa prevalere il calcolo economico, la forma di produzione retta dal capitale che rende subalterno lo stesso produttore della ricchezza, il lavoratore, nella sua esistenza reificata. Anche in quanto lavoro
alienato, in quanto lavoro sottoposto alla divisione sociale del lavoro, esso ha
portato con s, nel suo decorso storico, lo sviluppo socio-strutturale e ha
influito sullo sviluppo delle arti e della scienza, ponendo cos la possibilit
concreto-oggettiva del proprio superamento. A proposito della relazione tra
estraniazione e lavoro, nellultimo capitolo, la. sostiene che, malgrado lautocritica di Lukcs a proposito di Storia e coscienza di classe, esistono punti di
confluenza o di continuit tra questa opera e lOntologia. Tuttavia, differentemente dallultima opera lukcsiana che presenta unanalisi ontologicogenetica del lavoro, uno studio pi profondo del fenomeno dellestraniazione sia nella sua dimensione soggettiva sia nella sua dimensione socio-storica
e una comprensione pi radicale dellinsieme della totalit sociale in tutti i
suoi aspetti fondamentali Storia e coscienza di classe non contiene una distinzione tra oggettivazione ed estraniazione ed portatrice di una visione
materialista-formale o fenomenologica del processo del lavoro. Gi nella
prima grande opera del Lukcs marxista possiamo comunque ritrovare la
tendenza a concepire il lavoro (anche se inteso, in questo momento, soltanto
nella sua dimensione alienata) come una categoria fondante le forme desistenza e di comprensione dellessere sociale.
Non ultimo merito del libro di Infranca , in definitiva, quello di mostrare come Lukcs sia un autore del quale occorre forse oggi ricominciare a
parlare. La sua attualizzazione del marxismo, la sua discussione minuziosa su
cosa sia il materialismo storico e dialettico, la sua concezione del lavoro
come categoria centrale dellessere sociale; la sua visione del ruolo attivo
dellindividuo e della coscienza e sul complesso riproduttivo sociale, appaiono ancora suscettibili di sviluppi fecondi.
Tatiana Fonseca

Tommaso dAquino e loggetto della metafisica, a cura di S.L. Brock, Armando Editore, Roma 2004, pp. 232.
Il filo conduttore che lega i vari saggi contenuti nel volume rappresentato dalla volont di comprendere ed approfondire il senso della domanda
metafisica nel pensiero dellAquinate, al fine di sceverare il rapporto fra metafisica in quanto scienza dellens qua ens e teologia in quanto scienza divina.
Questo rapporto, come noto, forma un nodo cruciale nella storia del pen-

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siero filosofico che, da Aristotele in poi, ha connesso lontologia e la teologia,


fino a determinare quella struttura di pensiero che con Heidegger si appreso a chiamare onto-teologia. Nondimeno una questione cos antica e centrale rimane ancora oggi attuale, oggetto di dibattito, perch in fondo non
risolta dalla critica heideggeriana allimpianto onto-teologico della metafisica, cos come mostrano a pi riprese i diversi contributi, ed in particolare le
riflessioni di Mario Pangallo. Nel riproporla, gli autori tentano di raggiungere il cuore stesso dellontologia e della teologia, non gi per affermare il
primato delluna sullaltra, bens con lo scopo di definire loggetto dellinterrogazione filosofica, ossia se esso possa essere ancora configurato come loggetto della metafisica, se il domandare su esso abbia per la ragione un senso
ed entro quali limiti. Infatti, come avverte Stephen L. Brock, curatore del
volume, come se la ritrovata sensibilit per le domande classiche della
metafisica fosse oggi il segno di uninversione di rotta, di un passaggio da
una situazione culturale in cui il tramonto della metafisica si considerava un
fatto compiuto [...] a un vero e proprio rilancio di questa disciplina. Sono
tante le correnti di pensiero attuale che testimoniano, in un modo o nellaltro, linevitabilit delle domande forti caratteristiche della metafisica (p. 9);
domande inevitabili giacch, come argomentato nel corso del volume,
proprio nella formulazione della domanda ontologico-metafisica, in quanto
domanda sullente in quanto tale, che si radica lambizione dello studio
umano, il tentativo di soddisfare il pi profondo dei desideri umani, il desiderio di sapere (p. 13) e di comprendere cosa sia la realt come tale e luomo che di tale realt fa parte.
I saggi, per, non affrontano da un punto di vista generale la questione
della plausibilit o meno della metafisica come disciplina, ma trattano il
problema della metafisica da unangolatura specifica, a partire da Tommaso,
con continui riferimenti al pensiero aristotelico. La scelta non casuale e
non si giustifica solo, in un contesto di accese discussioni e vivi dibattiti, con
il rilancio degli studi tomisti che non risultano pi caratterizzati ormai dalla
sicurezza di venti o trentanni fa. Scegliere Tommaso per discutere nuovamente il problema della metafisica e del suo oggetto significa volere sottolineare la problematicit della questione stessa proprio a partire da un autore
che, in ultima analisi, sembrerebbe assumere una posizione precisa nei confronti della metafisica e del suo rapporto con la teologia posizione
riassumibile nella classica definizione della filosofia come ancilla theologiae.
Per Tommaso rimane indiscusso che il sapere supremo sia rappresentato
dalla teologia in quanto teologia rivelata, in quanto conoscenza di una verit
la cui certezza ed assolutezza sono garantite proprio dal fatto che questa verit sia verit rivelata e non gi semplicemente verit posta dalluomo nel suo
percorso euristico. Il compito delluomo allora quello di rendere fruibile
per la ragione il contenuto della rivelazione, compito che egli pu espletare

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grazie al supporto ed allimpianto speculativi tipici della filosofia. Questultima deve rimanere a servizio della verit rivelata. La chiarezza di questa
posizione non fuga dubbi e domande, che in s non si legano al contenuto
della rivelazione, in quanto esso, dandosi come atto di fede, resta per s
indimostrabile, sicch rispetto ad esso si tratta solo di scegliere di credere o
meno. Il dubbio , per cos dire, a monte; esso si consegna nella domanda
stessa che luomo pone quando si interroga su Dio a partire dallente, quando cio pone la domanda teologica a partire dalla domanda ontologica o
metafisica dove il termine metafisica corrisponde in pieno allaristotelica
prote philosophia. La difficolt non risiede tanto nella risposta alla domanda,
ma nella plausibilit stessa della domanda; in altri termini, nel tentativo di
porre da parte della metafisica lente in quanto tale come proprio oggetto
dindagine, arrivando poi per questa via allo sbocco teologico nella domanda
su Dio. Da qui prendono avvio le considerazioni e gli approfondimenti dei
vari autori, a partire dai saggi di Lawrence Dewan e Jan A. Aertsen, che
esplicitano il significato dello studio dellente in quanto ente, passando per
le riflessioni di Miguel Prez de Laborda, Pasquale Porro e David B.
Twetten sugli strumenti e le nozioni di cui la metafisica e la teologia nella
loro struttura si servono per la loro indagine, fino ai lavori conclusivi dal
taglio pi accentuatamente storico-critico di Luis Romera e dello stesso
Brock che affrontano il problema di Dio in quanto domanda della metafisica tomista e la nozione dellipsum esse, rimettendo cos in discussione alcune
posizioni e voci autorevoli che in precedenza si sono espresse in merito, allinterno dellambito di studi relativi allAquinate.
Rosa Maria Lupo

S. Cavaciuti, Lalterit. Il problema morale nel pensiero di Maine de Biran:


Parte VI, Franco Cesati Editore, Firenze 2004, pp. 235.
Il libro di Santino Cavaciuti costituisce la sesta parte della trattazione, da
parte della., del problema morale in Maine De Biran. Questo volume
specificatamente dedicato allapprofondimento del problema dellalterit.
Gi precedentemente Cavaciuti aveva evidenziato lo schema ternario del pensiero in Biran, in particolar modo di quello morale, che si va definendo attraverso il triplice rapporto della coscienza con la corporeit, lalterit e la
Trascendenza. Esaurita la trattazione del primo rapporto fondamentale della
coscienza (quello con la corporeit), la. approfondisce ora il rapporto con
lalterit, rinviando ad una settima parte lanalisi del terzo rapporto con la
Trascendenza. Dopo aver analizzato nel cap. I il tema dellalterit nella sua

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generalit, nel suo significato pre-morale e a-morale, egli affronta il nesso fra
alterit e moralit evidenziando anzitutto il carattere alteritativo della coscienza morale biraniana, le cui forme superiori sono rappresentate dalla simpatia e dallamore (analizzate negli ultimi due capitoli). Esistono per forme
inferiori di rapporto con laltro (il bisogno dellaltro, la compiacenza degli
altri, la passivit e il dominio nei confronti degli altri, la passivit legata allopinione) e forme intermedie (i rapporti teoretico-morali e la giustizia). Le
forme inferiori vengono definite tali perch conservano eccessive tracce di
soggettivit o sensibilit, che impediscono un autentico rapporto di apertura
nei confronti dellaltro, mentre nelle forme intermedie la moralit si realizza,
ma solo in maniera imperfetta. Cos la giustizia rimane un grado intermedio
della moralit, perch si ferma allesteriorit dellindividuo, senza raggiungere
la vera personalit spirituale. Laltro della giustizia un io rispettato nei suoi
diritti, ma non amato: rimane un lui, non diventa un tu. La giustizia lega gli
uomini alla stregua di atomi, ovvero di esseri che non si compenetrano, che
non entrano veramente in relazione, ma rimangono essenzialmente e intrinsecamente autonomi [] (p. 120). Pur non essendo lideale morale supremo, la giustizia ne comunque mediatrice, ovvero prepara a quellideale di
concordia e di unione profonda fra le persone in cui consiste lamore.
Lamore, a sua volta, ancor pi che dalla giustizia, preparato, secondo
Biran, dalla simpatia. Con la simpatia, ma soprattutto con lamore, si realizza a pieno il rapporto morale alteritativo.
La. convinto della costanza e della centralit del tema della simpatia
nella filosofia di Biran, pur ammettendone diverse accezioni, corrispondenti
a diverse fasi del suo pensiero. Egli ritiene che, se la simpatia assorbe in un
primo tempo lintero fatto morale in Biran, in un secondo tempo, invece,
sta a indicare lantecedente [] della vera coscienza morale, riducendosi
allespressione della pura sensibilit nel suo rapporto con il mondo morale,
presupposto del medesimo [], ma al di qua ancora della vera realt morale (p. 132). Cavaciuti distingue quindi due forme di simpatia allinterno del
pensiero di Biran: una forma edonistica, propria del primo Biran, e una forma espansivistica, propria dellultima fase del suo pensiero e che costituisce
la premessa e la preparazione della vera coscienza morale con il relativo
raddoppiamento dellio e quindi con la sua espansione [] (p. 134). Pur
avendo prevalentemente in Biran un carattere istintivo e organico, la simpatia anche veicolo di qualcosa che non propriamente organico, e pertanto essa [] pu essere veicolo, poi, della stessa coscienza morale, la quale
appunto si inserir sul tronco della simpatia e ne trasformer la natura, senza
peraltro distruggerla (p. 147). La simpatia rappresenta, dunque, un momento centrale nel processo di avvicinamento del fisico al morale: essa
lindice di una possibile armonia tra le due dimensioni dellesistenza e della
natura umana [], dove la seconda superiore dimensione (quella morale)

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trascende qualitativamente la prima (cio la dimensione fisica), ma dove


pure preparata dalla medesima e, con i limiti di tutto ci che fisico e
organico, anche dalla medesima sostanzialmente annunziata (ibid.).
Se la simpatia, proprio per il suo carattere espansivo, avvia quel processo
di decentramento del soggetto dalla sua attivit e di uscita da s fino alla
piena traduzione della sua soggettivit in quella di un altro soggetto, preparando cos lamore, essa rimane, tuttavia, pur sempre un momento preparatorio rispetto ad esso, non potendo ancora coincidere con tutta la sua pienezza. Lamore soltanto appartiene alla vera coscienza morale, la quale
ulteriore alla pura simpatia [] (p. 137).
Lamore il culmine della moralit, il momento superiore della coscienza
morale alteritativa, ovvero, la coscienza morale alteritativa perch []
nella sua realizzazione suprema amore (p. 103).
Anche a proposito del tema dellamore Cavaciuti sottolinea come esso
rivesta vari significati nella filosofia di Biran e come si evolva lungo la storia
del suo pensiero. Se, infatti, fino al 1817 quel senso di pace e di armonia
(connesso allamore) soprattutto collegato, nella sua visione allora sensistica
e naturalistica, al corpo e alle buone disposizioni fisiche, dal 1817 in poi si
affaccia nel suo pensiero un nuovo tipo di amore, lamore divino. C tuttavia una continuit tra le due forme di amore, non soltanto perch nel pensiero di Biran il superamento della sensibilit non appare mai del tutto pacifico e definitivo, ma anche perch Biran sembra sostenere che una certa
forma damore divino sia presente in ogni forma di amore. La totale sottomissione, o addirittura esclusione, della sensibilit dalle forme superiori
damore compromette larmonia fra le due parti delluomo la salvaguardia
della sua duplicit (delluomo duplex in humanitate) sovente sostenuta da
Biran , e contraddice la definizione da lui data dellamore come sentimento felice dellesistenza, ovvero sentimento felice dellunione che fa lesistenza tutta intera. Dopo unanalisi dettagliata delle molteplici origini dellamore (lamore come originato dal bisogno, dal desiderio, dalla simpatia, dal sapere,
dallesperienza, come aggiunto dallalto), la. sottolinea come pi si raggiungano le forme superiori damore, pi ci si accorga che esso non ha una vera
e propria origine, risultando piuttosto loriginario.
Due, in definitiva, i connotati essenziali dellamore in Biran: il suo carattere alteritativo (di superamento dellegoismo e di apertura allaltro) e il suo
carattere di integralit, come armonia, nel soggetto amante, delle due nature umane: liperorganica e lorganica (p. 181). Particolarmente significativa risulta per la trattazione dellamore divino, culmine dellamore umano, ma nel contempo rientrante in esso, perch in fondo ogni amore umano
anche amore divino, avendo ogni amore autentico nella sua essenza []
come oggetto, virtualmente almeno, nel bello e nel buono, il Perfetto []
(p. 217).

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Lamore divino introduce nella tensione morale verso laltro una nuova
forma di alterit, quella della Trascendenza, i cui rapporti con la coscienza
morale la. si propone di analizzare, nel prosieguo dellopera.
Filippo Di Stefano

Platone e lontologia. Il Parmenide e il Sofista, a cura di M. Bianchetti e


E.S. Storace, Albo Versorio, Milano 2004, pp. 124.
Questo volume raccoglie le riflessioni di autorevoli studiosi, che si sono
espressi e confrontati sulla questione dellontologia in Platone e a partire da
Platone, nonch sulla stessa possibilit di parlare di ontologia in riferimento
ad un autore vissuto circa duemila anni prima che tale termine fosse coniato cos scrivono nella presentazione dei volume Platone e lontologia i curatori Matteo Bianchetti e Erasmo Silvio Storace.
Il volume si divide in due parti, perch due sono state le conferenze che
hanno fornito loccasione per la composizione di questo scritto.
Nella prima parte compaiono cinque contributi, caratterizzati da
unimpostazione filologicamente molto attenta, tesa ad analizzare passi precisi delle due opere platoniche rese oggetto dindagine, per ricostruirne il
significato storico. Enrico Berti, nel suo Elementi di ontologia nel Parmenide e nel Sofista, evidenzia la positivit e costruttivit del percorso ipotetico
del Parmenide (da non considerare un dialogo distruttivo o ludico) ed approfondisce le ragioni che inducono a ravvisare nel Sofista il momento storico di rottura con lunivocismo eleatico. Con Il falso: unesistenza che non
esiste tra cose esistenti Giovanni Casertano pone lattenzione sulla questione dei legame tra logos a realt che per Platone costitu, dopo Parmenide e
i Sofisti, il punto di svolta della filosofia, la quale deve trovare anche una
risposta al problema del non essere. Qui decisivo il tema della dialettica,
cio della capacit di determinare in comune il significato di parole che si
riferiscono a cose. Francesco Fronterotta (Pensare la differenza. Statuto
dellessere e definizione del diverso nel Sofista di Platone) affronta il problema della relazione tra essere e diverso, rintracciando nella possibilit di una
ontologia dinamica, basata sulla definizione della tou paschein kai poiin
dynamis, linnovativa dimensione platonica dellessere. II saggio di Fronterotta porta in appendice la traduzione commentata di Sofista 248d-e, passo
fondamentale, su cui i critici dibattono ampiamente, dissentendo anche sullattendibilit del testo tramandato. Maurizio Migliori, sulla base delle sue
analisi e delle sue convinzioni protologiche in merito al pensiero platonico,
contesta la centralit dellontologia nei due dialoghi in esame; il suo saggio

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si intitola infatti: Non lontologia il vero cuore del Parmenide e del Sofista. (Sul fatto che il termine ontologia sia inadatto a trattare del pensiero
platonico sono daccordo quasi tutti gli autori del volume). In questo senso
Migliori sottolinea come Parmenide e Sofista siano scritti di passaggio verso
il Filosofo non scritto, in cui sarebbe dovuta comparire la vera dottrina filosofica di Platone. In Struttura e funzioni della dicotomia nel Sofista Mario Vegetti, infine, chiarisce la funzione del metodo diairetico, in rapporto
alle questioni della dialettica, della classificazione, degli eide, delle definizioni. Il suo intervento sembra un po pi decentrato rispetto alla questione ontologica, curandosi maggiormente di analizzare laspetto metodologico della
dialettica platonica.
La seconda parte del libro raccoglie due interventi che si contraddistinguono per la loro visione teoretica ad ampio raggio delle opere platoniche
indagate. Vincenzo Vitiello e Carlo Sini adottano uno stile meno attento alle
analisi dei singoli passi, concentrandosi sul ruolo che le due opere assumono
nel contesto della speculazione platonica e, soprattutto, nella tradizione del
pensiero filosofico. Il primo evidenzia nel suo Incontro sul Parmenide e il
Sofista come il Parmenide costituisca un esempio mirabile del logos filosofico e della sua difficolt, soprattutto dinanzi al tema dellexiphnes, dove la
parola filosofica trova la sua crisi ma contemporaneamente la possibilit di
esperire il pensare. II secondo, su una linea non molto distante da Vitiello,
mostra come lontologia rivela la sua profonda natura di immagine; immagine che, come ogni immagine, dice Platone, sempre il fantasma di un
altro (il significato politico dellontologia di Platone, p. 119). Lo spunto
etico-politico di opere filosofiche come Sofsta e Parmenide consiste nel destarsi dallincantamento ontologico e dalla favola metafisica dellessere.
Nel suo insieme il libro risulta ricco di prospettive e proposte assai stimolanti, di interpretazioni, e spesso anche di traduzioni, alternative riguardo ad
alcuni passi platonici di cruciale importanza. I saggi, che si lasciano leggere
a condizione di tenere costantemente aperti il Sofista e il Parmenide, offrono
cos la possibilit di ritornare a Platone e alla sua ardua concezione dellessere
con una nuova e composita consapevolezza problematica e critica. Il testo risulta fertile anche per la presenza di numerosi rimandi interni fra i vari interventi. In questo, per certi versi, sembra assumere anchesso le movenze di un
dialogo e, nella riflessione interiore del lettore, lo diventa a tutti gli effetti.
Carlo Cannella

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M.G. Lombardo, La mente affettiva di Spinoza. Teoria delle idee adeguate,


Il Poligrafo, Padova 2004, pp. 190.
Mario G. Lombardo legge lEtica di Spinoza come un trattato di psicologia filosofica per la precisione una psicologia dellautointerpretazione
(p. 9); ma il discorso psicologico, coerentemente con la struttura del capolavoro spinoziano, strettamente connesso a questioni di natura ontologica
che confluiscono nella dimensione etica. La tesi che viene articolata nel corso
del saggio che la mente umana, interpretando i dati percettivi che le si
offrono nel campo esperienziale, ha la capacit di istituire, in vista di uno
scopo concepito anche con lausilio dellimmaginazione, ordini e combinazioni di idee che hanno effetti sulla struttura psico-fisica del soggetto. Assumendo la prassi interpretativa come forma di causazione, la. sostiene che la
mente pu guidare lindividuo in direzione dellincremento della propria
potenza singolare e, per questo, trasformare la condizione affettiva attuale
del corpo (p. 27); secondo lesempio di Spinoza, lodio pu essere trasformato in amore piuttosto che essere ricambiato con odio. Tale capacit della
mente detta dalla. causalit mentale, adottando un termine non proprio
del lessico spinoziano (potentia intellectus, avrebbe detto il filosofo) ma largamente utilizzato dalla philosophy of mind. Il termine, per, non pu esprimere alla lettera la causalit delle credenze sulle azioni, dato che Spinoza nega
linterazione causale fra la mente e il corpo. Per intendere correttamente la
causalit mentale, Lombardo ne identifica lambito dazione con quello delle
dinamiche affettive (cfr. p. 14), in quanto lazione della mente causale solo
se si traduce in affetto.
Due sono i luoghi, secondo la., nei quali si riscontra chiaramente la causalit della mente allinterno dellEtica: da un lato, laffascinante esperienza
riferitaci da Spinoza che ci informa della nostra eternit (sentimus, experimurque, nos aeternos esse); e dallaltro largomento della decima proposizione
della V parte, il quale attribuisce alluomo il potere di ordinare e connettere
le affezioni del corpo secondo lordine improntato al buon uso dellintelletto (p. 10). Lombardo, traducendo ordinem ad intellectum con tale espressione, sostiene che Spinoza ci offrirebbe una descrizione della mente la cui caratteristica principale interpretare. Infatti, ordinare e connettere le affezioni del corpo non altro che interpretare, inter praetium dare, connettere le
rilevanze percettive in un insieme relazionale valutativamente composto e
cognitivamente sensato (p. 41). Se la mente, dunque, non solo idea delle
affezioni del corpo, non un epifenomeno, ma possiede anche un potere
controfattuale nel senso che ideazione di un ordine possibile buono e differente da quello che a un certo momento dellesperienza vitale avvertito
come mortificante (p. 104), allora il primato del corporeo sul mentale pu
essere rovesciato dallattivit combinatoria della mente. Grazie a questa tesi,

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perci, si ha il vantaggio di allontanare la minaccia epifenomenista dalla


psicologia spinoziana; minaccia che la. riscontra nel monismo anomalo di
Donald Davidson, la cui teoria della mente si richiama, almeno nei presupposti, a quella di Spinoza (cfr. pp. 44-50). Inoltre, possibile respingere sia
la vulgata spinozista che giudica illusorio ritenere di avere il potere di fare
qualcosa che non siamo gi necessitati a fare (p. 39); come anche linterpretazione intellettualistica, autorevolmente rappresentata da Martial Gueroult
(cfr. pp. 136-137), per la quale il rimedio alla passivit consiste unicamente
nella constatazione dellordine universale delle cause, ripetuto come un
mantra nelle situazioni di avversit esistenziale. Da questultima visione, in
particolare, scaturirebbe unimmagine unilaterale di sapiente, con gli occhi
rivolti pi al passato che al futuro; di certo non luomo forte e attivo, che
Spinoza propone come naturae humanae exemplar.
Lerrore di queste interpretazioni nasce dal non avere scorto che il discorso spinoziano si sviluppa a livelli ontologici differenti nelle distinte parti
dellEtica (p. 39) e che bisogna quindi tenere conto della distinzione fra
lambito metafisico e quello psicologico. Il parallelismo, o pi propriamente
simultaneit (ordo et connexio idearum idem est ac ordo et connexio rerum), assicura semplicemente la conoscibilit di una realt ordinata e concatenata
causalmente, ma dato che Spinoza, specialmente nella V parte, deve mostrare nelluomo la modalit del superamento della passivit, simpone lesigenza
etica per la quale le affezioni corporee, e quindi gli affetti, si debbano regolare in base ad un ordine istituito dallintelletto: in tal modo dal punto di
vista dei modi, non c parallelismo ma dominio delluno sullaltro (p.
107). Che la necessit della connessione causale ha valore semantico diverso
in ciascuna delle parti dellEtica (p. 40) confermato ulteriormente dalle
contrapposizioni del secondo capitolo del Trattato politico che ci inducono
a distinguere lordo naturae, indifferente alla vita umana, dalle leges humanae
rationis, che mirano al vero utile delluomo, e inoltre a non confondere la
differente efficacia del conatus nel sapiente, il quale riesce ad incrementare la
propria vis existendi per necessit intrinseca, e nello stolto, guidato dalla necessit estrinseca delle cause esterne (cfr. pp. 112-114).
Per meglio comprendere la competenza ermeneutica della mente, necessario per chiarire che cosa sono le idee adeguate e come si giunge a possederle (cap. III, Causalit tramite idee adeguate). Infatti, proprio mediante
le idee adeguate chiave dellEtica quale filosofia pratica (p. 95) che la
mente si affranca dalla condizione di passivit, esprimendo la propria causalit. molto interessante a tal riguardo la proposta di Lombardo, il quale sostiene che, per la comprensione della nozione di idea adeguata, sarebbe molto pi utile avvalersi della dottrina delle relazioni trascendentali (o ideate) di
Francisco Suarez (cfr. pp. 80-93) che della gnoseologia di Descartes. Tali relazioni infatti, e non le idee chiare e distinte, permettono di concepire, in

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Bibliografica

funzione dellidea di bene, le possibilit pertinenti allessenza degli enti che


non sono ancora realizzate. Allinterno della filosofia spinoziana, perci,
essenziale distinguere tre le idee vere che appartengono al dominio rappresentativo ed esprimono la convenienza tra lidea e lideato, e le idee adeguate, le quali si formano quando la mente comincia a considerare pi cose simultaneamente, e comincia a comprendere le loro concordanze, le loro differenze e le loro contrariet e, in altre parole, concepisce le propriet comuni
a pi cose (p. 101). Riuscendo a cogliere la ragione delle diverse composizioni o discordanze fra i corpi esplicito qui il richiamo allo Spinoza di
Gilles Deleuze e selezionando gli incontri buoni da quelli cattivi, entriamo
nel dominio delladeguatezza. La causalit formale della mente si esplica in
modo eminente l dove la mente capace di sentire e sperimentare la propria eternit mediante il possesso dellidea, che esprime lessenza del corpo
sub specie aeternitatis, separatamente dallesperienza del divenire (cfr. pp.
157-159). Ma bene non dimenticare che la natura desiderante, la cupiditas, ci che spinge la mente umana a concepire interpretazioni della realt
che riescano a tramutare lattuale condizione di passivit (cfr. p. 140); e
questo in vista della realizzazione di una condizione corporeo-mentale beata,
che il saggio, non contraddicendo lordine naturale, prefigura in maniera euristica e, perch no, creativa.
Giovanni Licata

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