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In alcuni miei post, pubblicati da Giuseppe lo scorso maggio, iniziai a parlare delle
cause del declino della Romnia bizantina, una delle grandi potenze medievali e
continuatrice (sebbene solo in una sempre pi ristretta Pars Orientis) della
Romnia classica dei cesari. Ora, nel periodo tra il disastro di Manzikert (19 o 26
agosto 1071) e la vittoria definitiva sui Peceneghi al Monte Livunio il 29 aprile
1091, la Romnia bizantina fu molto vicina al crollo finale. Ci che la salv, fu la
mano ferma di Alessio I Comneno (1081-1118), a mio parere uno dei pi grandi
imperatori romani, il quale unendo abilit militare ad una straordinaria intelligenza
politico-diplomatica, riusc ad evitare il collasso e a preservare la Romnia e il suo
prestigio imperiale fino alla catastrofe del 1204. E tuttavia Alessio nel fronteggiare
le pesanti minacce che gravavano sulla Romnia, commise anche lui, nei primi
anni del suo regno, dei passi falsi, che per poco non provocarono guai pi gravi.
Mi riferisco alla questione pauliciana. Lo scorso anno, agli esordi di questo blog,
postai una serie di interventi sulle ipotesi storiografiche relative alla genesi
dellAlevismo anatolico, citando recenti studi di armenistica come i lavori di Seta
Dadoyan, in cui si avanzano forti e fondati indizi su almeno una radice pauliciana
nella genesi dellAlevismo suddetto. E si rese necessario fare una breve storia
dello stesso Paulicianesimo, eresia armena sorta intorno al 650 d.C., di stampo
dualista manicheo e diffusasi tra parte della popolazione armena dellAnatolia
romana, soprattutto nellarea tra lentroterra di Trebisonda, come Colonia (oggi
ebinkarahisar), Sivastia (Sivas) Tefrice (oggi Divrii) e sullalto bacino
dellEufrate. Accennammo anche alloscillante politica romana tra repressioni
antiereticali sanguinosissime, alternate a editti di tolleranza per fini militari,
formando i Pauliciani, una grossa porzione di soldati di frontiera (akriti)
dellArmenia romana. E tuttavia nel 970-975 d.C., limperatore Giovanni I Zimisce
(969-976) decise di trasferirne una grossa fetta nei Balcani, a Filippopoli (attuale
Plovdiv) e dintorni, ricreando nella Tracia un nuovo grenzraum una nuova
frontiera militare akritica prima in funzione antibulgara, poi in quella
antipecenega.
Negli anni successivi al disastro di Manzikert, oltre al crollo del sistema militare
romano, e lavanzata di nemici minacciosi come i Turcomanni Selgiuchidi in
Anatolia, i Peceneghi sul Danubio, e i Normanni nella Longobardia minor/Puglia
sullAdriatico, la Romnia vide anche diversi pronunciamientos da parte di vari
generali per strappare il trono allimbelle Michele VII Ducas (1071-1078), e per
contenderselo. Nel novembre 1077 il duca (cio governatore) di Durazzo, Niceforo
Briennio (nonno o padre dellomonimo generale, storico e genero di Alessio
Comneno), si autoproclam imperatore e marci fino ad Adrianopoli, roccaforte
della sua famiglia, e da l fin sotto le mura di Costantinopoli. Il 7 gennaio 1078,
di
A
peggiorare
5000-10.000
le
cose,
si
uomini.
aggi
unsero
nuovi raids dei Peceneghi, i quali si insediavano sempre pi sulla sponda
un
anticipo
delle
successive
crociate franche in Oriente. Ci che qui ci interessa, cogliere ancora, il difficile
rapporto tra potere politico-religioso romano-bizantino con la componente
pauliciana
e
la
sua
tenace resistenza allintegrazione nel tessuto civile-militare religioso romeoortodosso. Alessio, resosi conto che i Turcomanni erano per il momento il male
minore, dirott fin dal giugno 1081 le sue forze contro i pi aggressivi Normanni di
Puglia, il cui leader, Roberto il Guiscardo (1015-1085), dopo aver conquistato la
Longobardia minor/Puglia romana, si apprestava ad allargare le sue conquiste,
verosimilmente
fino
a
Costantinopoli.
Dovendo dunque lottare per la salvezza della Romnia, Alessio radun tutte le
forze disponibili, tra cui il contingente pauliciano di Filippopoli, forte di
circa 2800 uomini, tutti esperti soldati al comando dei loro comandanti (anch essi
pauliciani) Xantas e Culeone. Dopo la disfatta romana di Durazzo (15-18 ottobre
1081), con Alessio a stento sottrattosi alla cattura da parte dei Normanni, lintero
contingente
pauliciano
che doveva aver perso circa 300 uomini, disert e torn a Filippopoli. Nei due anni
successivi, Alessio pi volte sconfitto dal Guiscardo e da Boemondo che
avanzarono in profondit nel Balcano romano fino al Vardar e fin quasi allEgeo,
Alessio dicevo, disperatamente bisognoso di soldati, implor pi volte il soccorso
pauliciano,
offrendo
il
suo
perdono.
Ma
a
Filippopoli
fecero orecchio da mercante. Per cui, dopo aver vinto Boemondo a Larissa
(settembre 1083) e a Kastoria (ottobre-novembre 1083), e scongiurato
momentaneamente il pericolo normanno, Alessio sulla via del trionfale ritorno a
Costantinopoli
pens
bene
di
punire
questi tenaci ribelli armeni. Ritenendo non opportuno avventurarsi direttamente a
Filippopoli, con uno stratagemma, convoc i notabili pauliciani a Mosinopoli (oggi
delle
rovine
presso Komothini), facendoli entrare uno per volta, dopo averli fatti disarmare.
Avuti i leaders pauliciani in mano sua li fece imprigionare per alto tradimento, e
diserzione, obbligandoli a scegliere tra il Battesimo Cristiano Ortodosso e la
prigionia. Alcuni si convertirono e potettero quindi tornare a Filippopoli, ma per i
sepolta nelloscurit in cui viene avvolto chi val meno di niente e che niente
non ha parafrasando la sigla della Freccia Nera televisiva del 1968.
Esercito e Battaglie
La battaglia del Monte Levunio
Una volta di pi, un'orda di barbari invasori calava dalle steppe oltre il Danubio. Si
trattava dei Peceneghi, un popolo nomade che sin dal X secolo compiva incursioni
dei Balcani, e che poteva contare come rinforzi numerosi eretici Bogomili. Nel
1087 attraversarono la frontiera imperiale, giungendo a minacciare la stessa
Costantinopoli nel 1090. Per affrontarli l'Imperatore Alessio I ricorse all'antica
astuzia diplomatica di mettere le trib barbare le une contro le altre, chiamando
come alleati i bellicosi Cumani. La battaglia decisiva ebbe luogo al Monte
Levunio, presso la foce del fiume Maritsa, il 28 Aprile 1091. Per raccontarla ho
scelto le intense ed epiche pagine del romanzo La Lancia di Ferro, di Stephen
Lawhead.
Quando l'imperatore e il suo seguito raggiunsero la cima dell'altura,chiamata
Levunio, la luce del sole al tramonto li colp in pieno viso, facendo loro pensare
allo splendore della vittoria. Intorno al sole un fiammeggiante incendio rosso e oro
mandava un bagliore inferiore solo a quello del disco stesso. Gli uomini,
temporaneamente accecati, si ripararono gli occhi con la mano, fino a che si
abituarono alla luce e poterono far correre lo sguardo lungo l'oscura valle
sottostante. La precariet della loro condizione divenne evidente a poco a poco,
mano a mano che scorgevano l'enorme chiazza scura in movimento che si
allargava ondeggiando da nord a sud, da un promontorio all'altro, espandendosi a
perdita d'occhio come una nera fiumana le cui acque ricoprivano lentamente
l'intera valle di Maritsa con i loro flutti sordidi e schiumanti. Alessio rimase
sgomento e silenzioso vedendo l'esercito nemico che si era raccolto nella valle:
erano peceneghi e bogomili in un numero incalcolabile, trib su trib, intere
popolazioni di barbari accorse per distruggere l'impero. E costoro non erano i
nemici pi strenui, quelli che reclamavano a gran voce il sangue bizantino, ma
solo gli ultimi arrivati di una lunga, lunghissima teoria di orde barbariche che
cercavano di arricchirsi e accrescere il proprio potere saccheggiando la
leggendaria ricchezza dell'impero. Alessio, con la luce del sole morente negli
occhi, contempl lo spaventoso scenario ai suoi piedi, tornando con la mente a
tutte le occasioni nelle quali aveva posato lo sguardo su un esercito nemico prima
della battaglia. Negli anni l'impero aveva affrontato gli slavi, i goti, gli unni, i
bulgari, i magiari, i gepidi, gli uzzi e gli avari, tutti scesi ululando dalle steppe
battute dal vento del Nord; e a sud gli arabi, astuti e implacabili: prima i saraceni,
poi i selgiuchidi, una razza guerriera forte e indomita, che veniva dagli aridi
deserti orientali. Signore del cielo pens sono cos numerosi! Dove finiscono le
loro schiere? Poi, sforzandosi di nascondere lo sgomento, esclam: Tanto pi
numeroso il nemico, tanto maggiore la vittoria. Sia lode a Dio!. E dopo un
momento, si rivolse al cugino Dalasseno, drungarios della flotta imperiale. Quanti
cumani hanno promesso di combattere per noi?. Trentamila, basileus rispose
Dalasseno. Sono accampati proprio laggi e indic un gruppo di alture scoscese,
sopra le quali si stava addensando una cappa di fumo. Il mio signore desidera
recarsi da loro? Alessio scosse lentamente la testa. No. Raddrizz le spalle e la
schiena: Abbiamo veduto barbari a sufficienza. Non esercitano su di noi alcun
fascino. Preferiremmo parlare ai nostri soldati. E' ora di attizzare la fiamma del
coraggio, cos che arda viva nello scontro. Diede uno strattone alle redini e scese
al galoppo dalla collina. Ritornato all'accampamento bizantino, ordin a Niceta,
comandante degli excubitores, di chiamare a raccolta le legioni e i reparti scelti.
Mentre le truppe si radunavano, l'imperatore rest in attesa nella sua tenda,
inginocchiato accanto al trono, con le mani giunte in preghiera. Quando ne usc, il
sole era tramontato e due stelle brillavano in un cielo dello stesso colore
dell'ametista incastonata nell'elsa della sua spada. Per permettergli di arringare
l'esercito, accanto alla tenda era stata eretta una tribuna sopraelevata, illuminata
da torce accese a ogni angolo dopo il sopraggiungere della notte. Preceduto da un
excubitor che portava il vessillo, l'antico labaro delle legioni romane, Alessio sal
gli scalini e raggiunse la sommit della piattaforma per guardare sotto di s
l'armata di Bisanzio: forze assai ridotte rispetto al passato, ma ancora consistenti.
Le ultime delle antiche e gloriose legioni erano ordinate in ranghi di fronte a lui, e i
diversi reggimenti erano riconoscibili dal colore dei mantelli e delle tuniche: il
rosso della Tracia, il cobalto di Opsikion, il verde della Bitinia, l'oro della Frigia, il
nero di Hetairi. Ogni centuria era l, con le lance levate e rilucenti nella penombra
serotina. Erano cinquantamila, tutto ci che restava dei migliori soldati che il
mondo avesse mai veduto: il cuore di Alessio si riemp di orgoglio. Domani
combatteremo per la gloria di Dio e la salvezza dell'impero esord.
Combatteremo domani, ma stanotte, miei valorosi compagni, stanotte, madre di
tutte le notti, ci raccoglieremo in preghiera. Percorreva avanti e indietro
l'estremit della piattaforma, con l'armatura d'oro che tremava come acqua alla
fiamma delle torce. Quante volte si era rivolto alle truppe in quella medesima
maniera, si chiese. Quante altre volte avrebbe dovuto esortare i suoi uomini a
offrire la propria vita all'impero? Quando sarebbe finita? Santo Iddio, doveva pur
esserci una fine. Pregheremo, amici miei, per la vittoria sul nemico. Pregheremo
per ottenere forza, coraggio e fermezza. Pregheremo perch la protezione del
Signore sia sopra di noi e perch Egli ci rechi il Suo conforto nell'infuriare della
battaglia.. Ci detto Alessio Comneno, l'Unto del signore, Pari dei Santi Apostoli,
cadde in ginocchio, e cinquantamila dei migliori guerrieri che il mondo avesse mai
veduto si inginocchiarono all'unisono con lui. Con le braccia levate al cielo,
l'imperatore lanci la sua fervida supplica verso il trono celeste. Fece risuonare la
sua voce nel silenzio del crepuscolo con l'appassionata veemenza di un
comandante consapevole dello spaventoso svantaggio numerico delle sue truppe,
che sa di dover fare affidamento solo sul suo coraggio per spostare a suo favore
l'ago della bilancia. Quando ebbe finito, la notte era calata sull'accampamento.
Alessio apr gli occhi e rimase stupefatto. Gli apparve una miracolosa visione:
pareva che le stelle fossero cadute sulla terra, e che la pianura che gli stava di
fronte risplendesse della gloria del paradiso. Ogni soldato aveva un lumicino di
cera conficcato sulla punta della lancia; cinquantamila stelle terrestri il cui
tremolante luccichio illuminava l'accampamento di un chiarore soprannaturale. Lo
scintillio delle fiammelle sostenne Alessio per tutta quella lunga notte insonne e lo
accompagnava ancora mentre cavalcava alla testa delle sue truppe, prima
dell'alba. La cavalleria imperiale attravers la valle di Maritsa qualche miglio a
monte dell'accampamento nemico, si schier per il combattimento e attese che
spuntasse il giorno. Attacc da est, con la luce del sole nascente alle spalle. Ai
barbari confusi dal sonno parve che un esercito celeste piombasse su di loro
scaturendo dal sole stesso. Alessio, sferrando un colpo rapido e preciso al ventre
della bestia, condusse la cavalleria contro il centro dell'orda di peceneghi e
bogomili; poi, velocemente, si ritrasse, prima ancora che i corni di battaglia
potessero dare l'allarme. Dopo averli provocati, si ritir oltre la portata delle loro
fionde e dei loro giavellotti e attese che muovessero al contrattacco. Gli invasori,
furibondi e assetati di vendetta, si disposero in linea per la battaglia e diedero
inizio ad una faticosa avanzata. I bizantini si trovarono a fronteggiare un'enorme
massa compatta e brulicante di barbari ululanti pi simile a un'immensa marea
umana che si riversava a ondate sul terreno che a un esercito schierato. Udirono il
rombo cupo e sordo dei tamburi, che sembrava uno sbatacchiare d'ossa; l'urlo
stridente degli enormi e ricurvi corvi da battaglia che ottenebrava i sensi; le grida
minacciose dei guerrieri, che muovevano rapidamente contro di loro con andatura
sempre pi veloce. L'esibizione, l'arma pi valida e sperimentata dei barbari,
mirava a terrorizzare chiunque avessero di fronte; grazie ad essa avevano
conquistato popoli e devastato tutto ci su cui posavano lo sguardo. Ma i soldati
bizantini non li affrontavano per la prima volta e il frastuono e la vista di quella
turba urlante che si ammassava per l'attacco non li impauriva, n li confondeva; i
loro cuori non erano prostrati dal terrore, n i loro sensi annichiliti dal panico. Gli
Immortali- cos erano chiamate le truppe scelte dell'Imperatore osservavano la
scena stringendo appena gli occhi, aumentando la pressione delle mani su lance e
redini, tenendo a bada i cavalli con parole pacate e sussurrate e restarono fermi,
in attesa. Con al fianco i due alfieri, uno che brandiva lo stendardo del Sacro
Romano Impero d'Oriente, l'altro il vessillo dorato, Alessio fece correre lo sguardo
sui suoi ufficiali, gli strateghi, che coordinavano i lunghi ranghi dei soldati, stando
al centro di ciascuna ala. Si sofferm sul primo, un veterano delle guerre contro i
Peceneghi, di nome Taticio, il cui ardimento e la cui astuzia spesso avevano
salvato vite umane e deciso le sorti delle battaglie. L'imperatore fece un segno al
suo generale, che ordin a gran voce Al passo!. Le trombe lanciarono un unico,
acuto squillo, e le truppe avanzarono come un sol uomo. Lo schieramento
imperiale composto da due divisioni formate da dieci reggimenti disposti su
cinque file, con cento cavalieri alla testa avanz in ordine serrato. I cavalieri
procedevano spalla contro spalla e fianco contro fianco: le loro lunghe lance
tenevano a distanza i nemici e impedivano loro di usare le scuri e le mazze
ferrate. Lanciata sul campo di battaglia, una carica della cavalleria non conosceva
ostacoli. Al segnale di Taticio, le trombe squillarono e i cavalieri aumentarono
l'andatura. L'orda barbara lanci un grido e mosse loro incontro. Dopo cinquanta
passi, le trombe suonarono di nuovo e i soldati raddoppiarono la velocit. I cavalli,
addestrati al combattimento, tendevano le briglie, eccitati per lo scontro
imminente; ma i cavalieri li trattenevano, in attesa del segnale di attacco. I
barbari avanzavano rapidi e il frastuono delle loro grida, dei tamburi e dei corni
faceva tremare la terra e l'aria, inghiottendo il tuono degli zoccoli impetuosi che
divoravano il terreno. A un cenno dello stratega, le trombe squillarono ancora una
volta: diecimila lance si sollevarono. I due eserciti stavano per scontrarsi e,
mentre la distanza tra loro si riduceva sempre di pi, le trombe diedero l'ultimo
segnale: gli uomini a cavallo spronarono i destrieri e li lanciarono al galoppo. Per
lo spazio di un respiro, tutto si confuse in un caos ribollente, mentre i due eserciti
si abbattevano l'uno sull'altro. Il cozzare delle armi risuon come un'esplosione e
giunse fino alle colline circostanti. Diecimila barbari caddero; molti finirono
calpestati dagli zoccoli ferrati della cavalleria imperiale che fecero loro schizzare i
cervelli fuori dai crani; i restanti trovarono la morte sulla punta di una lancia
bizantina. L'attacco port l'imperatore e la sua guardia fin nel cuore dell'orda
barbarica. Quei selvaggi guerrieri, scorgendo l'oro e la porpora degli stendardi
smaglianti, si accalcarono uno sull'altro urlando per la bramosia di abbattere
l'Unto del Signore. Ma Alessio, consapevole dell'enorme rischio di venire
circondato, aveva istruito Taticio a dare il segnale della ritirata non appena fosse
stata compiuta la carica. Come convenuto, quando, sopra le urla dei barbari,
udirono gli squilli di tromba, i bizantini si disimpegnarono agilmente, battendo in
ritirata sui corpi dei morti e degli agonizzanti. I barbari, vedendo indietreggiare il
nemico, continuarono a spingersi avanti, correndo e gridando, totalmente accecati
dalla brama di sangue. Ma il loro inseguimento li fece cadere preda di un'altra
tremenda carica della cavalleria, che era stata tatticamente predisposta
dall'imperatore. Dopo aver fermato la ritirata, infatti, egli aveva ordinato ai suoi
uomini di far voltare i cavalli e di serrare le fila; poi, alla testa di cinquemila
cavalieri, aveva scagliato la sua divisione al centro dell'orda barbarica che si
avvicinava. I nemici, resi pi accorti dall'esperienza precedente, cercarono di
evitare di essere colpiti dalle lance e dagli zoccoli e rallentarono l'andatura,
diradando i ranghi in modo da lasciare un varco ai destrieri e da atterrare i
cavalieri che li avrebbero sfiorati. Ai bizantini, per, tale tattica era ben nota e non
si lasciarono prendere in trappola tanto ingenuamente. La retroguardia copriva le
spalle all'avanguardia, cos che i barbari non solo non riuscirono a circondare il
nemico, ma rischiarono di venire falciati mentre tentavano l'accerchiamento. La
carica perdeva vigore; le truppe imperiali scelsero di ritirarsi proprio nel momento
in cui la loro spinta propulsiva si era esaurita. Indietreggiarono, lasciando il campo
di battaglia coperto dai cadaveri di peceneghi e bogomili. Senza arrestarsi per
rinserrare i ranghi e muovere un nuovo attacco, ripiegarono sulle colline. I barbari,
allora, credendo di aver sconfitto il nemico, strinsero le fila. I tamburi rullarono, i
corni echeggiarono e l'orda barbarica cominci ad avanzare lentamente, dopo che
due cariche devastanti le avevano insegnato a temere l'astuzia dei bizantini.
Niceta, che era rimasto fermo in attesa in cima alla collina, raggiunse l'imperatore
e comment: I cumani stanno diventando impazienti, basileus, minacciano che,
se non sar loro permesso di combattere prima di mezzogiorno, abbandoneranno
il campo di battaglia. Mezzogiorno ancora lontanorispose Alessio. La loro
pazienza sar presto premiata. Guarda laggi!Indic le forze nemiche che si
avvicinavano, non pi in un'unica massa disordinata e acefala, ma divise in tre
corpi distinti, ciascuno agli ordini di un comandante. Riferisci dunque ai nostri
impazienti alleati di tenersi che presto consegneremo il nemico nelle loro mani.
Avvertili di tenersi pronti. Niceta si conged e, spronando il cavallo, ritorn al
galoppo al suo posto di osservazione mentre l'imperatore riprendeva il comando
delle truppe per sferrare l'attacco successivo. Consapevole di essere sul punto di
dare inizio alla fase pi delicata della battaglia, Alessio mormor una breve
preghiera e si fece il segno della croce. Poi, scendendo dalla collina con a fianco i
due alfieri, fece un segno a Taticio che, voltatosi, grid l'ordine: Cavalleria, al
passo!. Tra gli squilli di tromba, le fila di cavalieri in arme si fecero avanti. Gli
invasori risposero accrescendo la distanza fra le loro divisioni. Alessio non
ignorava che, se avessero offerto loro una mezza possibilit, i barbari avrebbero
cercato di accerchiarlo e, se vi fossero riusciti, le sorti della battaglia si sarebbero
volte pericolosamente a loro vantaggio. Osserv il nemico: le due divisioni esterne
si allontanavano dai fianchi di quella centrale e, dietro, il resto dei barbari andava
a coprire le posizioni vacanti dei tre corpi in avanzata. Stanno imparando pens.
I tanti anni di guerra contro l'impero avevano insegnato loro i rudimenti dell'arte
militare. Ogni scontro era pi difficile da vincere, e richiedeva un pi alto tributo di
vite umane, rispetto al precedente: ragione in pi per fare in modo che la
battaglia avesse fine in quel luogo e in quel momento. Alz la mano e fece segno
al suo stratega. Dopo un istante si lev lo squillo acuto e penetrante delle trombe
e le truppe imperiali cominciarono ad avanzare. Come c'era da aspettarsi, nel
momento in cui l'armata di Bisanzio part all'attacco le due ali nemiche si
allargarono per colpirla ai fianchi. Contemporaneamente, il grosso dell'esercito si
spinse rapido in avanti per accerchiare e distruggere gli Immortali. Allo stesso
modo dell'attacco precedente, anche questo fu frenato dalla muraglia compatta di
scudi e corpi che ne assorb l'impatto. Allora i cavalieri abbandonarono le lance e
misero mano alle spade per disperdere a colpi di fendente l'assembramento
nemico. Guardando su entrambi i lati, Alessio si avvide che le divisioni nemiche si
stavano richiudendo sulla cavalleria, e quindi ordin a Taticio di far suonare la
ritirata. Poi si chin sulle redini, le tir con forza, fece voltare il cavallo e guid i
suoi uomini al galoppo su per la collina. I barbari, sorpresi dalla facilit della
vittoria, si lanciarono all'inseguimento, per approfittare dell'inaspettato vantaggio.
Le tre divisioni di testa, seguite da un'enorme valanga umana composte da un
quadrilatero di ventimila unit in larghezza e ventimila in lunghezza si gettarono
correndo lungo i fianchi della collina, decise a non lasciare ai bizantini il tempo di
riorganizzarsi per un nuovo attacco. Con un boato che fece tremare la terra, i
barbari si lanciarono al massacro dei nemici, divorando il terreno e facendo
risplendere le armi sotto il sole. La cavalleria imperiale, non potendo riordinare i
ranghi per tornare alla carica, non ebbe altra scelta che quella di ripiegare ancora
pi in alto, mentre le trombe continuavano a suonare la ritirata. Rapida, la
cavalleria abbandon il campo, e per un attimo non fu che una cresta scura sulla
cima, poi scomparve sull'altro versante. I barbari, con urla di trionfo, si gettarono
all'inseguimento come una muta famelica di cani. Dalla cima della collina videro
gli Immortali che galoppavano gi per il pendio in direzione del fiume e, credendo
che li avrebbero raggiunti mentre tentavano il guado, li inseguirono ebbri di
trionfo. Scesero a capofitto, riversandosi nella vallata per raggiungere il fiume.
Quando per il primo dei barbari arriv al guado, all'improvviso sbucarono
diecimila soldati bizantini: nascosta fra i giunchi della riva, la fanteria imperiale si
lev con un grido. Nello stesso istante gli Immortali girarono i cavalli e ritornarono
di gran carriera sui loro passi, gettando nel panico le forze nemiche. Tentando
disperatamente di riguadagnare la collina per non ritrovarsi in trappola, i barbari
se la diedero a gambe per la strada da cui erano venuti. Allora sulla cima di
un'altura alle loro spalle apparvero i mercenari cumani: trentamila uomini, l'intera
popolazione di un paese barbaro che nutriva un odio atavico per i vicini peceneghi
e bogomili. La trappola era scattata, ed ebbe inizio il massacro. Alessio, ormai
fiducioso nel successo, si ritir dallo scontro. Riun le proprie guardie vareghe e
incaric Dalasseno di informarlo non appena la vittoria fosse stata completa, poi si
diresse
senza
indugio
alla
sua
tenda.
(Da LA LANCIA DI FERRO, DI STEPHEN R. LAWHEAD, traduzione Anna Maria
Cossiga
Conseguenze
Gabri
Passalacqua)
storiche
voluto dare piuttosto prova della sua cultura letteraria, invece di offrire qualche
notizia diretta e autentica. Parlando dei manichei, degli armeni (= pauliciani) e dei
bogomili in Macedonia Centrale egli nelle dispute reali o fittizie con loro non ha
fatto altro che ripetere gli argomenti dell'apologeta bizantino Eutimio Zigabeno.
Per indagare la storia del bogomilismo siamo costretti, come per tanti altri
momenti nella storia degli Slavi meridionali, a ricorrere alle fonti di origine
bizantina. Relativamente pi copiose, queste fonti nella loro maggioranza si
riferiscono al periodo posteriore della storia del bogomilismo, quando il
movimento ereticale varc i confini della Bulgaria, per diffondersi nell'Impero
bizantino. Considerati gli stretti legami storici e dottrinali che riallacciano il
bogomilismo alle dottrine dei manichei, dei pauliciani, dei massaliani e di alcune
eresie in Bisanzio e nell'Oriente, le fonti storiche di detti movimenti ereticali
diventano pi che indispensabili anche per lo studio del bogomilismo. Per una
curiosa coincidenza due delle fonti bizantine pi antiche sono legate, in certo
modo, con l'Italia. Cos, la "Historia Manichaeorum" di Pietro Siculo, composta
verso l'872, testimonia della penetrazione di missionari pauliciani fra i Bulgari o
almeno di legami esistenti fra i pauliciani dell'Asia Minore e la Bulgaria in quel
periodo. Scritta sulla base di una esperienza personale, quest'opera offre,
d'altronde, preziose corrispondenze dottrinali fra le due eresie. In un codice della
Ambrosiana (cod. 270, E. 9 sup., olim T 89), del sec. XIV, ci pervenuto il testo
unico della fonte bizantina pi antica, dove si danno notizie, bench senza
nominare esplicitamente il bogomilismo, dell'eresia bulgara. Si tratta di una
lettera del patriarca costantinopolitano Teofilatto (2.II.933-27.II.956), diretta al re
bulgaro Pietro (927-969). Conosciuta, come pare, dagli eruditi europei gi all'inizio
del '700 e rimasta inedita, a causa di una falsa attribuzione, sino al secondo
decennio del nostro secolo, tale epistola fu inviata in risposta ad una domanda del
sovrano bulgaro, turbato dal propagarsi dell'eresia nel suo regno. Il patriarca, o
meglio quell'ignoto Giovanni, "chaytophytax" della Chiesa di Costantinopoli, che
scrisse in vece sua la lettera, si basava sulle informazioni fornitegli dal re bulgaro.
Le autorit ecclesiastiche e civili in Bulgaria per non riuscivano ancora ad
afferrare le particolarit della "nuova eresia", e perci la loro informazione non
aveva fornito al patriarca un materiale sicuro e chiaro, per distinguere bene il
movimento. Formulando i tratti essenziali dell'eresia in una serie di anatematismi,
la lettera rimaneva piuttosto a ci che si conosceva sul manicheismo e sui
pauliciani. Nonostante tutto, dal contenuto di questa epistola si possono trarre
alcune conclusioni fondamentali rispetto alla storia del bogomilismo nel periodo
della sua formazione iniziale. Priva di qualsiasi indicazione cronologica esplicita,
ma databile al primo decennio del patriarcato di Teofilatto, l'epistola costituisce un
vero "teyminus ante quem" per il sorgere dell'eresia. Sebbene non disponesse di
una informazione sufficiente, l'autore della lettera aveva definito l'eresia come un
neomanicheismo - un manicheismo cio congiunto con paulicianismo - e questa
sua definizione non fu smentita dalle testimonianze delle altre fonti storiche, e
tanto meno dagli studi moderni, che la modificarono solo parzialmente. La
maggior parte delle fonti bizantine dei tempi posteriori hanno un valore minore e
relativo. Cos, lo scritto di Michele Psello "De operatione daemonum", composto
verso l'inizio della seconda met del sec. XI, non altro che una fonte torbida, il
cui pregio maggiore consiste forse nell'indicare la propagazione dell'eresia in
Tracia. Verso la stessa epoca il monaco del monastero della Peribleptos Eutimio
compose la sua e Costantino Armenopulo, nella sua opera "De haeresibus",
composta verso la met del '300, si accontentarono di riprodurre le testimonianze
dello Zigabeno, come fece del resto parzialmente anche il metropolita di Salonicco
Simeone all'inizo del '400 nel suo ' Dialogo' contro tutte le eresie. Per il secolo XIII
si hanno due altri scritti, una "Epistula ad Constantinopolitanos contra Bogomilos"
del patriarca Germano II (1222-1240), e uno scritto del cartofilace della chiesa
costantinopolitana Giorgio Moschabar, della seconda met del secolo, con alcune
notizie sulla diffusione dell'eresia e su certi tratti dottrinali poco chiari. Dopo il
1363 il patriarca costantinopolitano Callisto I (1350-54, 1355-63) scrisse la vita
dell'esicasta bulgaro Teodosio di Turnovo (m. 1363), conosciuta oggi solo nella
versione bulgara medioevale. Confondendo massalianismo e bogomilismo, il
patriarca ci d alcune notizie sul movimento dei bogomili in Bulgaria in
quell'epoca. Come ultime fonti di origine bizantina si devono rammentare un certo
numero di atti sinodali, alcune formule di anatematismi e di abiura, finalmente
qualche cronaca. Gli scritti di origine serbo-croata e russa costituiscono piuttosto
delle testimonianze della vitalit e della propagazione dell'eresia che fonti di
notizie nuove e originali. Sfruttando con acuto senso critico e spassionata
oggettivit tutte queste fonti si giunger a ricostituire, almeno nei suoi tratti
essenziali, l'evoluzione storico-dottrinale del movimento bogomilistico che agit
un vasto spazio del mondo europeo per oltre cinque secoli.
Il nome slavo "Bogomil", che divenne famoso per cagione dell'eresia omonima,
non altro che un semplice calco dal greco "teofilos", cio a "amato da Dio " ossia
"caro a Dio". Detto nome slavo appare presso i Bulgari gi nella seconda met del
sei. IX. Cos, la pi antica menzione di questo nome si legge in una nota marginale
sul celebre codice pergamenaceo di Cividale (Cod. Sacri, I, f. 4), del sei. V-VI, dove
un nobile bulgaro, Sadak, inviato nell'867 dal principe Boris (852-889) al pontefice
Nicol I, ha segnalato i nomi dei suoi familiari e fra l'altro di sua figlia, "filia eius
Bogomilla". Cosma, che conosceva bene il significato di esso nome, parlando nella
sua opera degli eretici bogomili, non li nomina mai con tale denominazione:
invece di essere un biasimo, il nome tornerebbe a onore e elogio. Per primi
usarono detto nome come appellativo dell'eresia gli autori bizantini, per i quali,
nonostante i tentativi di spiegarlo, esso rimaneva estraneo e oscuro. L'eresia
prese il suo nome da un capo eponimo - il prete (pop) Bogomil, la cui esistenza
storica viene attestata dalle due fonti fra le pi autorevoli, il "Discorso" cio di
Cosma e il Sinodico della chiesa bulgara. L'informazione delle due fonti per caso
quanto mai concisa: non ci insegna altro che il pop Bogomil visse nei tempi del re
bulgaro Pietro, cio fra il 927 e il 969. Appoggiandosi sulle testimonianze di
Cosma, del Sinodico e dell'epistola di Teofilatto, gli studiosi, fra i quali anche i pi
recenti, giunsero alla conclusione che il nascere dell'eresia si deve datare "dans le
premier quart du Xe sicle" oppure "at the beginning of the reign" del re Pietro,
dio poco dopo il 927. Non pochi indizi inducono per a formulare l'ipotesi che
l'eresia aveva anche la sua 'protostoria' e che la sua origine si deve cercare gi
verso la met del secolo IX, all'epoca della conversione ufficiale del popolo
bulgaro al cristianesimo.
l movimento ereticale germogli sul fondo di una complicata realt storica,
quando un fermento interno tentava di concretizzarsi sotto influssi esterni. I
missionari cristiani, nella loro attivit, ebbero a combattere contro varie correnti
religiose, in uno stato dove mancava qualsiasi unit di fede. Al paganesimo slavo
si gli Uiguri ed i Protobulgari mantenessero dei rapporti fra di loro, malgrado le
enormi distanze, anche nel periodo dal sec. VII al sec. IX. Conoscendo lo zelo
eccezionale dei missionari manichei, si potrebbe supporre che durante la seconda
met del sec. VIII e sino all'840 essi non avevano interrotto i legami con gli affini
Protobulgari. Non del tutto impossibile che dopo la soppressione del
manicheismo verso la met del sec. IX, e specialmente dopo le grandi
persecuzioni, missionari manichei abbiano cercato rifugio presso i parenti lontani,
tanto pi che le frontiere dello stato protobulgaro giungevano molto a nord-est,
lungo la costa settentrionale del Mar Nero. Disponendo di alcuni indizi sui contatti
che esistevano in quell'epoca fra i Protobulgari e gli Slavi, da un lato, e l'Iran
dall'altro, non sembra impossibile che missionari manichei potessero giungere in
Bulgaria anche dall'Iran e dall'Iraq. Ad onta dei dubbi formulati da certi studiosi
circa la possibilit di un influsso diretto del manicheismo sui Bulgari, bisogna
supporre con grande verosimiglianza che la religione di Mani penetr fra di loro
insieme con l'eredit antica, assunta dopo lo stabilirsi nei territori balcanici, come
anche tramite contatti diretti nei secoli seguenti con gli Uiguri, con Irak, Iran e
perfino con gli Armeni. Non desta dubbi invece la penetrazione di missionari
pauliciani fra i Bulgari. I cronisti e gli storici bizantini parlano della colonizzazione
di eretici in Tracia nel sec. VIII, a pi riprese (nel 746, 756, 778). I Responsa ad
consulta Bulgarorum di papa Nicol I, dell'866, confermano che a duella epoca fra
i Bulgari erano giunti missionari armeni. Una iscrizione protobulgara della prima
met del sec. IX menziona un personaggio di nome indubbiamente armeno fra i
capi dell'esercito bulgaro. Infine, la 'Historia Manichaeorum' di Pietro Siculo
testimonia di legami fra i pauliciani e le terre bulgare solo pochi anni dopo la
conversione ufficiale nell'865. Questa conversione, effettuata in parte con
violenza, non riusc a sradicare il paganesimo. Numerosi cenni nelle fonti storiche
parlano della persistenza di credenze e riti pagani anche dopo l'introduzione del
cristianesimo come religione ufficiale nello stato. Sino agli ultimi due decenni del
sec. IX, quando nel paese fu introdotto l'alfabeto slavo, fu creata una letteratura
in lingua slava e si organizz un clero slavo, la cristianizzazione rimaneva pi o
meno alla superficie, la nuova religione veniva considerata una manifestazione
pericolosa dell'influsso bizantino ed il clero bizantino un elemento estraneo, se
non anche ostile. I,'aggravarsi progressivo della vita sociale ed economica
rendeva ancora pi ardente il malcontento. Su questo terreno di reazione latente
contro la fede cristiana e la chiesa ufficiale, contro il bizantinismo e le miserie
della vita, ogni semente di pensiero eretico e eterodosso germogliava
copiosamente.
La
constatazione
di
"une
recrudescence
des
crits
antimanichens" nella letteratura bizantina del sec. IX vale ugualmente anche per
la giovane letteratura paleobulgara. Certamente, l'apparire in essa, gi verso la
fine del sec. IX e all'inizio del decimo, di alcuni scritti, di origine bizantina e di
contenuto apologetico, non si deve spiegare come una mera moda letteraria e
attribuirsi al puro caso. Basta citare qualche titolo, per persuadersi che i primi
scrittori bulgari e slavi foggiavano armi contro le eresie ed in difesa della nuova
fede. Tale fu, ad esempio, la traduzione paleoslava di alcuni scritti di Metodio di
Olimpo ed in primo luogo della sua opera "De libero arbitrio", diretta contro il
determinismo della gnosi valentiniana, ma utilizzabile egualmente contro i
manichei. Io scrittore paleobulgaro Costantino di Preslav tradusse, all'inizio stesso
del sec. X, i quattro "Sermoni contro gli Ariani" di Atanasio Alessandrino
evidentemente non per interesse puramente storico-letterario, e nemmeno per
lottare contro un fantasma scomparso ormai da secoli, ma giacch le correnti
ereticali nella Bulgaria di quell'epoca, non ancora bene identificate, offrivano certe
analogie con la "Arriana haeresis" e potevano essere confutate con argomenti
simili. All'epoca paleobulgara appartiene anche la traduzione slava delle di Cirillo
di Gerusalemme, il quale polemizza ampiamente non solo contro le altre eresie,
ma in modo particolare contro il manicheismo. Con la realt storica in Bulgaria
probabilmente si deve connettere anche il riassunto sulle eresie che il patriarca
Fozio scrisse, ad una data che non si pu stabilire con precisione, per rispondere
alla richiesta di un certo monaco, di nome Arsenio. Ora, da una lettera di Fozio
sappiamo ch'egli invi al `monaco ed esicasta 'Arsenio alcuni Bulgari, per istruirli
nella vita monastica. Se si tratta del medesimo personaggio, non sarebbe forse
troppo inverosimile ammettere che dietro il suo interessamento per le eresie si
nascondeva, in realt, l'informazione da parte dei suoi allievi circa la situazione
nel paese neoconvertito. Senza menzionare qui anche le altre testimonianze,
talvolta poco chiare, sull'attivit degli eretici, manichei e pauliciani, in Bulgaria nel
sec. IX, occorre concludere che, secondo ogni probabilit, l'agitazione ereticale
cominci in questo paese molto prima dell'inizio del sec. X, cio gi verso la met