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Abstract
Despite its pervasive presence in our daily experience, narration has today lost much of its
original cultural weight. The narrative act instead has played a fundamental role in those
traditional communities which for centuries moulded and recreated their vision of the world
and of life by means of it, frequently in contrast to the hegemonic vision. The tale was a
collective rite, in which each participant contributed to weaving the never definitive plot of
cultural identity. The traditional Irish fairy tale is a privileged field in which to evaluate the
dynamics of popular orality and (re)discover the resources intrinsic to the narrative
appropriation of reality.
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ipernarrativo, nel senso che produce e recepisce narrazioni di ogni tipo a un ritmo
spasmodico e che su tale parossismo sembra fondare la sua stessa esistenza e ragion
dessere, diventa paradossalmente problematico interrogarsi sulla funzione e sulla
funzionalit del racconto2, in particolare del racconto di tradizione orale, e pi in
particolare del racconto di tradizione orale che, evadendo dai canoni del realismo e
della verosimiglianza, o quanto meno accogliendoli con la dovuta elasticit, si
inoltra in sentieri che conducono al di l del visibile, delloggettivo, del definito,
del presente.
In un mondo tanto logorroico e ridondante, la quantit tende fatalmente a
intaccare alla radice la qualit di quel che si narra e dellatto stesso di narrare3. Del
resto, per quanto tutti, apparentemente, narrino di tutto e di tutti, ci non implica
automaticamente unapertura a tutto tondo sulla realt nella sua interezza e,
soprattutto, ci non significa che ciascuno disponga delleffettivo potere di dire la
sua in maniera autonoma e magari creativa. La libert individuale e la possibilit
stessa di farsi ed esprimere unidea propria devono fare i conti con una sorta di
Monstrum globale e globalizzante che, per vie pi o meno palesi, detta, per cos
dire, lagenda dei colloqui, scanditi peraltro secondo ritmi quanto mai frenetici.
Proprio perch tutti possono, indistintamente e indiscriminatamente, inserirsi nel
flusso narrativo, lo spazio a disposizione di ciascuno si restringe, di modo che i
messaggi tendono a uniformarsi a un canovaccio pi o meno ufficiale, a una norma
universale (che pretende di essere universalmente valida) fissata in un altrove che
sfugge a una chiara identificazione e definizione; un canovaccio e una norma che
naturalmente si evolvono con molta rapidit, ma intanto privano di apprezzabile
consistenza il corpo degli infiniti racconti che affollano la narrosfera, un
neologismo che suona bene in unepoca di blogosfera e cose simili. Se poi si
considera che il narcisismo sicuramente una delle sindromi che pi caratterizza il
nostro tempo, si capisce come nessuno, premesso che sia dotato di sufficienti mezzi
2
Anche perch diventa sempre pi difficile darne una definizione che abbia un minimo di stabilit e
di attendibilit, e questo soprattutto a causa di coloro che, in teoria, dovrebbero contribuire a
chiarirci le idee. Mi associo al lamento di Jack Goody: Oggi negli ambienti letterari e delle scienze
sociali occidentali la parola narrazione talmente abusata da aver perso quasi del tutto di senso
(Dalloralit alla scrittura. Riflessioni antropologiche sul narrare, in F. MORETTI [a cura di], Il
romanzo, vol. I, La cultura del romanzo, Einaudi, Torino 2001, p. 19).
3
Non si pu che concordare con Walter Benjamin quando afferma: Capita sempre pi di rado
dincontrare persone che sappiano raccontare qualcosa come si deve: e limbarazzo si diffonde
sempre pi spesso quando, in una compagnia, c chi vorrebbe sentirsi raccontare una storia (Il
narratore. Considerazioni sullopera di Nikolaj Leskov, in ID., Angelus Novus, Einaudi, Torino
1966, p. 235).
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tecnologici (pi ancora, forse, che sociali, economici o culturali), sia disposto a
restare fuori dallarena multimediale dentro la quale circolano, si incrociano, si
urtano, si fondono, si annullano (e raramente si confrontano) i racconti nei quali
ciascuno pensa, spera o si illude di veicolare un pezzo di s, cos da sottrarlo a un
vuoto imbarazzante inaccettabile nella societ della comunicazione globale e
renderlo parte di una costruzione pi vasta, apparentemente in grado di dargli un
significato, se non proprio un valore, nellutopica tensione a un super-racconto
chiamato a sintetizzare tutto lesistente. In realt sale cos in cattedra la dimensione
pi angustamente quotidiana del nostro vissuto, un vissuto che si prende tutta la
scena e impedisce di vedere ci che fuori di s, anche solo a pochi metri di
distanza, e che sta l in attesa di essere inquadrato, letto e ridisegnato secondo le
modalit che ciascuno capace di mettere in campo, magari a costo di tirarsi fuori
dalla via maestra della comunicazione globale, oppure a prezzo di rimanere in
silenzio e cedere la parola allAltro per ascoltarlo veramente e fino alla fine, con
tutta la pazienza e la concentrazione che merita chi ci racconta una storia degna di
essere ascoltata e, perch no, memorizzata e narrata ad altri, sia pure con i mezzi
pi limitati di cui dispone chi ha lonest di riconoscersi meno dotato come
narratore.
Cos entriamo per in un mondo che, sostanzialmente, non esiste pi; il
mondo, appunto, nel quale cera qualcuno che raccontava con la sua viva voce e
qualcuno che gli prestava la sua attenzione, non sottraendosi al diritto-dovere di
intervenire e di interloquire, forte di una competenza acquisita nel corso di decine o
centinaia o migliaia di altre occasioni simili, dove magari si era trovato dallaltra
parte della ribalta. Naturalmente, anche oggi si danno situazioni in cui qualcuno
prende la parola e qualcun altro si ferma ad ascoltarne il racconto, ma si tratta di un
avvenimento come un altro, che rientra in una quotidianit fatta anche di narrazioni,
orali, recitate (a teatro, al cinema o in televisione), scritte (e dunque lette, in
silenziosa solitudine o in pi rumorosi luoghi di pubblico accesso, su carta o su uno
schermo di computer) o di altro genere, che vanno a sommarsi nella memoria con
sempre minore capacit di incidere sulla nostra vita, sul nostro pensiero, sul nostro
modo di essere. Ci che un tempo si svolgeva nelle piazze o tra le quattro mura di
una casa dallumile dimora del contadino alla sfarzosa reggia del sovrano oggi
migrato sui supporti virtuali della multimedialit; certo, non manca chi ancora
riesce a raccogliere delle persone intorno a s in una piazza o in una qualsiasi arena
pubblica, politico, artista o imbonitore che sia, ma tutto si consuma nellhic et nunc
della singola performance; questa potr essere reiterata, potr incontrare un
clamoroso successo, potr far parlare di s ai quattro venti, ma rester pur sempre
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una performance come unaltra, dove c chi narra (a voler essere generosi, perch
pi spesso si tratta di qualcuno che declama) e c chi si gode lo spettacolo, che
partecipa s, ma senza avvertire il vincolo sostanziale che lega i membri di una
comunit che si riconosce come tale e che assume la narrazione a paradigma della
propria esistenza e delle relazioni che instaura con lAltro.
Parlare di dignit dellatto narrativo significa individuare un contesto nel
quale esso parte integrante ed essenziale della vita del singolo e della collettivit,
un contesto che sappia distinguere tra ci che valido, nel senso pi ampio e pi
pieno del termine, e ci che non lo , dunque tra ci che degno di essere narrato e
ci che non lo , a prescindere da qualsiasi pretesa, pi o meno fondata e pi o
meno pertinente, di democraticit4; un contesto in cui raccontare e ascoltare storie
non sia soltanto un passatempo, un modo per ammazzare il tempo, per riempire del
tempo libero, ma loccasione per costruire e ri-costruire il tempo, per configurarlo
secondo canoni specifici, per dargli una dimensione umana, per sottrarlo al caos e
conferirgli un ordine che lo renda addomesticabile, gestibile, finanche arrestabile,
ma soprattutto vivibile5. Non che tutto ci non avvenga nei testi narrativi della
letteratura, ch anzi in essi che la narrazione pu dispiegare al massimo grado e
con il necessario agio il suo composito e complesso arsenale, grazie ai vantaggi
offerti dalla scrittura e dal rapporto univoco che si crea fra lautore e la sua opera6;
4
Come vedremo, ci inoltriamo in un territorio nel quale occorre sapersi spogliare di principi e valori
che diamo per scontati, in quanto fondanti per la nostra visione ufficiale della vita e del mondo, e
porci in ascolto delle ragioni, dei moventi, delle intenzioni che sottintendono una visione altra della
realt e della condizione umana. Un concetto basilare per lo studio del folklore qual quello di
censura preventiva della comunit, ad esempio, preso nella sua pi volgare apparenza semantica,
susciterebbe pi di un sospetto nei nostri spiriti pi illuminati, magari dando la stura a tutta una serie
di pregiudizi e di luoghi comuni che distorcono lapproccio alle culture tradizionali, sottraendole a
una conoscenza seriamente scientifica. Se per leggiamo un fondamentale saggio pubblicato nel
1929 scopriamo che il concetto test evocato sta alla base di una teoria che vede nel folklore un
particolare modo di creazione, termine, questultimo, che forse rimanda allaspetto pi
entusiasmante se non pi significativo di una condizione realmente libera della persona. Si veda
P. BOGATYRV, R. JAKOBSON, Il folklore come un particolare modo di creazione, in G.B. BRONZINI,
Cultura popolare. Dialettica e contestualit, Dedalo, Bari 1980, pp. 83-94.
5
Cfr. P. RICUR, Tempo e racconto, Jaca Book, Milano 1983, vol. I, p. 91: [] esiste tra lattivit
del raccontare una storia e il carattere temporale dellesperienza umana una correlazione che non
puramente accidentale, ma presenta una forma di necessit transculturale. O, in altri termini, che il
tempo diviene tempo umano nella misura in cui viene espresso secondo un modulo narrativo, e che
il racconto raggiunge la sua piena significazione quando diventa una condizione dellesistenza
temporale (corsivo dellautore).
6
Jack Goody ritiene addirittura che la narrazione, intesa specificamente nel senso di trama dotata di
una rigida consequenzialit, sia legata intimamente alla nascita e diffusione della scrittura, tanto da
440
ma, appunto, si tratta di un processo che avviene in separata sede, nel mondo
chiuso di un individuo che solo alla fine, quando ritiene di aver concluso il suo
lavoro nel migliore dei modi, lo porge allattenzione di una comunit, pi o meno
vasta, di lettori che devono accettare, sic et simpliciter, pur con la libert di
esprimere le proprie riserve, una particolare declinazione del potenziale di
narrabilit offerto dalla realt. La parola perde insomma il suo carattere di evento,
magari ritualizzabile in determinate occasioni alluopo consacrate, per diventare un
oggetto, una cosa, un processo belle fatto piuttosto che il farsi progressivo, e
sofferto, di un processo vitale, per lindividuo e per la collettivit7.
La narrazione, in gran parte delle culture tradizionali penso in particolare al
contesto irlandese, che quello che conosco meglio e che per tanti versi si rivela tra
i pi emblematici per lo studio del fenomeno in questione (sicuramente il pi
emblematico in Europa) , assume quel carattere di necessit, di sentita e profonda
necessit che contraddistingue i riti comunitari e la loro celebrazione secondo criteri
attentamente concepiti e autorevolmente sanciti. Sullapparato rituale si fonda
lidentit del gruppo, ma potremmo anche dire la sua stessa sopravvivenza, giacch
con esso che procede a individuare, preservare e consacrare gli elementi senza i
quali non sarebbe possibile riconoscersi e prosperare. Ciascuno libero di
raccontare quel che gli pare e nelle circostanze che pi gli aggradano, ma nel
momento in cui il racconto entra in una sfera rituale la libert individuale perde, pi
o meno consapevolmente, peso e valore, giacch deve assoggettarsi a norme di un
livello superiore, magari non direttamente avvertite dai diretti interessati8, ma che
sono state forgiate di pari passo con il forgiarsi di quella comunit che nei racconti
si riflette e si esplicita. La narrazione deve lasciare un segno in coloro che ne sono
stati, in diversa misura, protagonisti, un segno chiamato a creare un vincolo, una
complicit, una solidariet, a prescindere dal suo grado di intelligibilit e di
sostenere che essa abbia un rilievo molto marginale nelle culture e societ prettamente orali: Io
credo che, a differenza di quanto generalmente si pensa, la narrazione non sia una caratteristica
universale della cultura umana, ma piuttosto un portato del diffondersi della scrittura, e in seguito
della stampa (Dalloralit alla scrittura, cit., p. 19). Al di l della stringente logica che sorregge la
tesi di Goody, mi permetto di dissentire sulla sua validit in termini assoluti, se non altro basandomi
sui miei studi condotti sulla tradizione narrativa celtica.
7
Si veda W.J. ONG, Oralit e scrittura. Le tecnologie della parola, Il Mulino, Bologna 1986, in
particolare pp. 119-167.
8
Cfr. N. FRYE, Favole di identit, Einaudi, Torino 1973, p. 16: Nel rituale, quindi, possiamo
trovare lorigine della narrazione, essendo, un rituale, una sequenza temporale datti in cui il
significato consapevole latente: pu essere rilevato da un osservatore esterno, ma per lo pi
nascosto agli stessi partecipanti.
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concreta presa sul reale: la narrazione non il campo delleffettivo ma del possibile,
non del naturale ma del culturale, dunque non del cristallino ma dellambiguo, di
unambiguit foriera di una continua, ancorch inesauribile, ricerca di senso9.
Una funzione cos pregnante la narrazione lha avuta anche in settori della
societ e della cultura estranei o pi estesi rispetto a quelli tradizionali: si pensi
soltanto a ci che hanno significato lepos omerico e il teatro tragico nellantica
Grecia, due diverse forme di racconto che si manifestavano nel vivo della comunit,
con la viva partecipazione di ogni suo membro, il tutto inglobato in una cornice
rituale che ne scandiva rigorosamente tempi e modi. Tale funzione venuta via via
declinando, man mano che luomo acquisiva e sviluppava nuove forme di
espressione, di aggregazione, di speculazione, che progressivamente sottraevano
spazio e importanza allatto narrativo inteso nel pieno delle sue potenzialit. Si sono
cos create le condizioni perch la narrazione orale continuasse a risultare
funzionale in contesti sempre pi ristretti, dove appunto pi forte era la fedelt alla
tradizione e pi labile linfluenza delle sfere egemoni della societ; solo in siffatti
contesti lecito misurare e valutare leffettivo impatto esercitato dallarte del
raccontare e dalla predisposizione a un ascolto consapevole: nel momento in cui
questi scompaiono, scompare anche tutto un pezzo della nostra identit culturale,
solo apparentemente rimpiazzato da qualcosa di analogo, in grado di declinare al
presente un retaggio irreversibilmente legato al passato. La Storia procede secondo
logiche francamente imperscrutabili, travolgendo in maniera indiscriminata tutto ci
che non risulta pi congeniale ai nuovi orizzonti che delinea, perci occorre
riconoscere come spesso determinati fenomeni siano incommensurabili fra loro,
semplicemente perch afferiscono a situazioni del tutto differenti, che comportano
tutta una serie di considerazioni che mettono chiaramente in luce la relativit del
confronto. Per tentare una valida e proficua opera di comprensione di un fenomeno
ormai agonizzante (almeno nel mondo occidentale), occorre volgersi ai documenti
che di esso ci restano, dando al contempo il giusto peso al filtro attraverso il quale
arrivano fino a noi.
Il filtro, nel nostro caso, rappresentato dai collectors, ossia da quegli
studiosi, cultori o semplici curiosi che, soprattutto nel corso del XIX secolo, si
adoperarono alla raccolta, alla trascrizione e alla pubblicazione di racconti ascoltati
9
Cfr. J. HILLIS MILLER, Reading Narrative, University of Oklahoma Press, Norman 1998, p. 18:
We need storytelling, it may be, not to make things clear but to give a sign that neither quite
explains nor hides. What cannot be explained nor understood rationally can be expressed in a
narration that neither completely exposes nor completely covers over. The great stories in our
tradition may have as their main function this proffering of an ultimately almost inexplicable sign.
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dalla viva voce non sempre, in verit degli informatori, vale a dire dei peasants,
ossia i contadini irlandesi che mantenevano in vita la millenaria tradizione dello
storytelling, magari servendosi ancora della lingua indigena, il gaelico, che ne
rafforzava il carattere autoctono e sanciva una sorta di cesura rispetto alla
Modernit veicolata e incarnata dallinglese dei colonizzatori. Riallacciandomi a un
lavoro di ricerca ormai di lunga data, intendo qui proporre alcuni brani tratti dai
racconti tradizionali antologizzati da William Butler Yeats10, il quale, prima di
accedere alle vette poetiche che sappiamo, si dedic a una capillare opera di
raccolta e di valorizzazione della tradizione narrativa orale e popolare del suo
paese, in vista della creazione di unautentica letteratura nazionale. Yeats, in realt,
si accost alla sua materia attraverso la mediazione di altri autori che, prima di lui,
si erano occupati dei racconti dei contadini irlandesi; il suo approccio fu tuttavia
innovativo e decisivo per conferire validit artistica, oltre che pi ampiamente
culturale, a un corpus narrativo correttamente inteso nella sua vitale relazione con il
contesto nel quale era ancora fruito e ri-creato. Naturalmente linteresse di Yeats era
quello del poeta alla ricerca di una tradizione che rigenerasse la letteratura e
fungesse da arma identitaria nella lotta per lindipendenza irlandese, ma ci non
toglie che, per la prima volta, la cultura ufficiale, egemone, fondata gi da secoli
sulla scrittura, riabilitava, sulla scorta della rivoluzione romantica, un sistema
afferente a una cultura disconosciuta, subalterna, ancorata alloralit11. Nei limiti
del possibile, i testi inclusi nelle antologie yeatsiane possono aiutarci a comprendere
alcuni tratti essenziali della narrazione in un contesto fortemente conservativo qual
era quello della campagna irlandese dellOttocento, attraverso la sua forma pi
caratteristica e pi ricca di testimonianze: il fairy tale.
Il genere narrativo del fairy tale, grazie a un lavoro condotto tanto sulla
specificit storico-culturale irlandese, quanto sul concetto stesso di fairy12, stato
sottoposto a unopera di ampliamento e approfondimento che ne ha fatto una
categoria trasversale, capace di inglobare un patrimonio di racconti molto pi vasto
10
W.B. YEATS, Fairy and Folk Tales of the Irish Peasantry (1888) e Irish Fairy Tales (1892),
raggruppate sotto il titolo di Fairy and Folk Tales of Ireland, Colin Smythe, Gerrard Cross 1973;
trad. it., Fiabe irlandesi, RCS Collezionabili, Milano 2001.
11
Rimando, chi volesse approfondire la questione, al mio Il fairy tale nella tradizione narrativa
irlandese. Un itinerario storico e culturale, Adda, Bari 2008, in particolare pp. 49-81.
12
Sulla polisemanticit di questo sostantivo-aggettivo si vedano ad esempio le quattro accezioni
riscontrate da N. WILLIAMS, The Semantics of the Worf Fairy: Making Meaning Out of Thin Air, in
The Good People. New Fairylore Essays, Garland Publishing, New York-London 1991, p. 463: (1)
enchantment, illusion; (2) fairyland, land of illusion; (3) human with special powers; (4) supernatural
beings.
443
13
Se oggi fiabe, leggende e in generale i racconti legati alla sfera del soprannaturale, del fantastico,
dellinverosimile appaiono come nullaltro che residui di credenze superstiziose, adatti pi che altro
a intrattenere i bambini, perch si sono nel frattempo verificati processi storici, sociali, culturali,
economici che hanno completamente mutato il quadro della situazione. Si veda ci che Bronzini dice
a proposito del contesto dellItalia meridionale in Introduzione a G.B. BRONZINI, G. CASSIERI, Fiabe
pugliesi, Mondadori, Milano 1983, p. 24: La frantumazione dei nuclei, luoghi e momenti
aggregativi della societ contadina meridionale ha determinato altres la perdita di altre funzioni, un
tempo preminenti, del narrare, come la funzione dilettevole e la didascalica, che nella effettiva realt
erano combinate e non separate come vuole la distinzione romantico-grimmiana di fiabe e
leggende. Detto en passant, la concezione di fairy tale qui adoperata tende appunto a scardinare, a
depotenziare lartificiosa ed estrinseca disgiunzione tra fiaba e leggenda.
14
Se assimiliamo come lecito inferire da tutto un orientamento della narratologia, nonch da un
minimo di sensibilit metaforica il racconto al viaggio, il passo seguente si rivela quanto mai
appropriato e suggestivo: Il viaggio il disordine che minaccia lordine costruito dal pensiero,
anche se rappresenta daltro lato la possibilit di nuovi ordinamenti, la ricchezza nascosta di
potenzialit non ancora esperite, il fascino della trasgressione dellordine costituito, il richiamo di
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Il racconto, e a fortiori il fairy tale, nel suo farsi e darsi in forma rituale,
traccia intorno a s una sorta di cerchio magico, allinterno del quale la parola
assume un potere eccezionale, il potere di evocare e dare un certo spessore a cose,
persone, fatti, memorie, episodi che altrimenti resterebbero nel vuoto insensato
delloblio e del caos. Questo cerchio cinge e protegge tutti i partecipanti al rito,
tanto chi narra quanto chi ascolta, assodato che i ruoli possono facilmente
scambiarsi in corso dopera. Non riconoscere la sacralit del racconto,
sottovalutarlo o magari disprezzarlo determina lesclusione dal gruppo, con tutti i
rischi connessi al restare in balia di quelle figure, di quei fenomeni e di quegli
eventi che la narrazione rende presenti ma inoffensivi. Il testo di Far Darrig in
Donegal assolutamente indicativo in proposito. Leggiamo il seguente dialogo:
Un vecchio e una donna sedevano ai lati del focolare.
Sareste cos gentile, signore, da darmi alloggio per la notte? chiese Pat rispettosamente.
Sai raccontare una storia? gli disse luomo di rimando.
No, signore, non posso proprio dire di essere bravo a contare storie, rispose il calderaio.
Puoi anche andartene allora, perch in questa casa entra solo chi sa raccontare una storia.
[] Ma guarda un po, una storia! mormor. Frottole di vecchi per far piacere ai
bambini15!
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suona a chi ascolta come il primo segnale dirrealt di ci che sta per essere
narrato17. Nel racconto yeatsiano tale deriva viene scongiurata da una sorta di
cospirazione narrativa, che per anche sintomatica di un sentito bisogno di
rinvigorire un sistema entrato in crisi, come del resto emerge dal differente uso che i
personaggi fanno del termine storia; luso che ne fa Pat Diver rispecchia
espressioni oggi correnti, quali non raccontare storie o sono tutte storie,
destinate a privare di veridicit e valore il racconto di colui al quale sono state
rivolte.
Dubitare per legittimo e profondamente umano, specialmente quando si ha
a che fare con la materia trattata dal fairy tale18. Il racconto si incarica allora di
mettere in scena le domande che luomo si pone sulla realt che lo circonda, il
disagio stesso che egli prova nel non riuscire a dominare appieno lambiente nel
quale vive, indirizzandolo a una scoperta o a una ri-scoperta di uno o pi elementi
che gli erano rimasti oscuri, del tutto o in parte. Si tratta di una conquista che non
cala dallalto, concessa da chiss chi o chiss cosa, ma che la narrazione persegue
autonomamente, per il tramite di personaggi solidali con il contesto cui
appartengono coloro che partecipano al rito. Leggiamo un brano tratto da Le gabbie
danime:
A Jack seccava molto il fatto che, sebbene vivesse in un posto dove le sirene erano fitte
come aragoste, non aveva mai potuto guardarne una in faccia. Ci che lo irritava
maggiormente era che tanto suo padre che suo nonno le avevano viste molto spesso; si
ricordava perfino di aver udito da bambino di come suo nonno, il primo della famiglia a
stabilirsi nella baia, fosse stato cos intimo di una sirena che, non fosse per la paura di
irritare il prete, lavrebbe considerata come uno dei suoi figli. Jack per non sapeva a
quanta parte credere di questa storia19.
Insieme a Jack c tutta una comunit che si interroga sulla veridicit delle
storie riguardanti le sirene, storie che, presumibilmente, sono rimaste ferme al
tempo del nonno di Jack. Il racconto sembra denunciare una fase di arretramento
delle tradizionali credenze, magari sotto la spinta del cattolicesimo, dunque un
momento in cui gli individui sono chiamati a prendere una posizione. Ebbene, il
17
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racconto stesso a offrire una risposta, servendosi proprio di Jack Dogherty, persona
in carne e ossa assurta a personaggio esemplare, per riproporre lincontro tra il
genere umano e la sirena, nellintento di rinsaldare o, se necessario, rifondare una
componente del folklore locale. E non importa tanto il grado di veridicit che sar
poi attribuito allesistenza della creatura soprannaturale, quanto il permanere, pur se
sotto mutate spoglie, di una funzione da essa rivestita nella comunit.
Altrettanto istruttivo risulta un passo tratto da Jamie Freel e la fanciulla
rapita:
Era risaputo che le fate vi tenevano i loro festini magici, ma nessuno aveva mai avuto il
coraggio di mettervi piede. Jamie aveva pi volte osservato da lontano le figurette e
ascoltato quella musica cos attraente chiedendosi come fosse linterno del castello; ma una
sera, alla vigilia di Ognissanti, si alz e, preso il cappello, disse a sua madre: Me ne vado
al castello a cercar fortuna.
Cosa! grid la donna; avresti il coraggio di andare l? Tu che sei lunico figlio di una
povera vedova! Non essere cos sciocco e temerario, Jamie! Ti uccideranno, e che ne sar
allora di me?
Non aver paura, madre, che non mi capiter niente di male. Ma devo proprio andare20.
20
Ivi, p. 53.
Loperazione compiuta attraverso la figura di Jamie Freel pu essere letta nei termini di un
ottimale sfruttamento, da parte del narratore (e del racconto), delle risorse che il contesto mette a
disposizione. Cfr. P. RICUR, Tempo e racconto, cit., vol. II, p. 132: Mediante procedure di
risparmio e di compressione, il narratore introduce ci che estraneo al senso [] nella sfera del
21
447
Il narratore che presiede al rito tradizionale del fairy tale non tuttavia una
persona sprovveduta, ingenua, incapace di distinguere i diversi livelli della sua
narrazione, dunque i diversi gradi di credibilit e di validit da essa veicolati. Lo
storytelling una cosa seria nel senso pi nobile del termine ed esige precise
competenze perch possa sprigionare tutto il suo potenziale. Leggiamo le ultime
righe de La bella indolente e le tre zie:
E in verit, ragazzi miei, anche se la storia divertente, non credo che la morale sia buona;
e se qualcuna di voi sciocchine si prova a imitare la pigrizia di Anty trover che i frutti non
saranno gli stessi. Anty era bella oltre ogni dire, e nessuna di voi lo ; per di pi aveva tre
potenti fate che le davano aiuto. Non ci sono fate ora, n principe o signore che passi a
cavallo e vi porti via, che siate pigre o che siate operose; e forse, dopo tutto, il principe e la
sua bella non furono poi cos felici quando le preoccupazioni del mondo o la vecchiaia
giunsero anche per loro22.
448
sfalsati o che, quanto meno, possono essere avvicinati. In questo modo il racconto
funge da polo dattrazione di elementi altrimenti inconciliabili, dando vita a una
vera e propria sintesi che pu essere colta e messa a frutto realmente soltanto da chi
organico al rito narrativo. Una sintesi che ben si intuisce dalla naturalezza con cui
la narratrice accosta il lato divertente della storia e la sua morale, due aspetti che,
malgrado appaiano in contrasto, risultano dialetticamente fusi in ununica entit
funzionale.
La narratrice, nel rivolgersi in maniera tanto esplicita al suo uditorio, esercita
unaccurata funzione di filtro, finalizzata allesatta comprensione del racconto o,
meglio ancora, a una comprensione che risponda alle esigenze educative delle
giovani generazioni, che proprio in tali circostanze acquisivano gli strumenti per
rendersi autonome ed entrare con cognizione di causa nella fase adulta della loro
vita. Ci che per la redazione scritta non pu restituirci sono le repliche, i
commenti, le ulteriori domande scaturite dallattento ascolto delle parole della
narratrice, dunque il dibattito, pi o meno acceso, che ha senzaltro completato e
corroborato la performance narrativa. A colui che ha trascritto il racconto nulla
importa di questa fase, il suo interesse tutto per la bella storia da far leggere a un
pubblico di colti lettori che dalla lettura non si aspettano altro che un piacevole
svago. Ma il significato o i significati di cui il fairy tale portatore sono
intimamente legati alla partecipazione collettiva, sono in maggiore o minore misura
plasmati dal contributo di ciascuno, dalle prospettive, dai giudizi, dalle riflessioni
che il rito fa emergere con il suo innato dialogismo. Un dialogismo che viene
volentieri rispecchiato dallo stesso intreccio narrativo, nel quale i personaggi si
confrontano fra loro e si scambiano la parola, dandola anche a figure che non sono
umane che potremmo anche interpretare quali portavoce delle istanze
dellambiente naturale , per giungere alla conquista di una verit altrimenti
inattingibile, una verit che trasfigura la realt magari in barba alle disposizioni
deliberate a tavolino dai poteri costituiti e la riconfigura secondo i parametri di un
equilibrio complessivo. Il campo da gioco dei folletti un racconto in tal senso
illuminante:
Lanty MClusky aveva preso moglie e, naturalmente, aveva bisogno di una casa in cui
accoglierla. Ora, Lanty aveva acquistato un piccolo podere di circa sei acri, ma, poich
mancava la casa, decise di costruirne una e, perch fosse pi confortevole possibile, scelse
di fabbricarla in una di quelle belle chiazze verdi che hanno fama di essere il campo da
gioco dei folletti. Lanty fu sconsigliato dal farlo, ma poich era un uomo caparbio e non
molto incline alla paura, disse che non avrebbe rinunciato a una posizione cos gradevole
per la sua casa neanche per far piacere a tutti i folletti dEuropa. [] Tutto procedeva
449
450
che anche lungimiranza con cui Lanty prende atto della situazione e vi si
adegua, accantonando finanche i suoi legittimi ma non assoluti diritti di
proprietario. Finch qualcuno, dopo aver ascoltato questa storia, riterr giusto,
necessario, doveroso o semplicemente opportuno conformarsi allesempio del
protagonista, nella narrazione sar ancora possibile ravvisare almeno un barlume di
quella ritualit che lha foggiata e lha resa organicamente funzionale al suo o ad
altri contesti. Fino ad allora narratori e narratari, tanto pi se esponenti di classi
oppresse, emarginate, in ogni caso subalterne, disporranno di un prezioso spazio nel
quale configurare ed eventualmente trasfigurare il proprio mondo e la propria vita,
elaborando magari frutti capaci di rigenerare lumanit in un futuro non troppo
lontano.
451