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pr ofe s s i oni / segreto professionale

Riservatezza
e deontologia
professionale

SCENARI

La riservatezza nellesercizio della professione forense


quale corollario del principio generale di fedelt nello
svolgimento della funzione difensiva.
Pierluigi Perri, Avvocato in Milano

na tra le definizioni pi acclarate di deontologia forense


quella che la qualifica come il complesso delle regole di condotta che devono essere rispettate nellattivit professionale.
Queste regole [] si riferiscono variamente al diritto, alletica e alla prassi forense (cfr. R. Danovi, Corso di ordinamento forense e deontologia,
Giuffr 2003, 261). Viene quasi spontaneo attendersi, dunque, che queste regole comprendano anche lobbligo di riservatezza.
Non a caso, infatti, il dovere/diritto di riservatezza per lavvocato ruota
intorno allart. 9 del Codice deontologico forense.
La doppia dimensione della riservatezza, come dovere ma anche come
diritto, ravvisabile nelle varie declinazioni che pu conoscere la previsione dellart. 9 del Codice deontologico.
Come diritto, infatti, essa trova espressione ad esempio nellart. 200
c.p.p., il quale stabilisce che lavvocato non pu essere obbligato a testimoniare su quanto ha conosciuto per ragione del proprio ministero,
ufficio o professione, mentre come dovere riguarda la tutela del segreto cui lavvocato comunque tenuto sia per lattivit giudiziale che per
quella stragiudiziale, nei confronti dei clienti e anche degli ex clienti,
nonch di coloro i quali si siano rivolti allavvocato senza poi formaliz-

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zare lincarico, e infine si estende


a tutti i collaboratori e dipendenti
dellavvocato stesso, il quale si fa
garante del rispetto del segreto acCODE OF CONDUCT FOR EUROPEAN LAWYERS
PUNTO 2.3 - Segreto professionale
quisito in virt dellesercizio della
professione forense (ad esempio
CODICE DEONTOLOGICO
per gli obblighi di riservatezza del
ART. 9 - Dovere di segretezza e riservatezza
praticante c.f.r. C.N.F. Decisione
LEGGE NAZIONALE
del 26 febbraio 2007, n. 10).
La previsione contenuta nellart.
D.LGS. 30 GIUGNO 2003, N. 196 Codice in materia di pro9 del Codice deontologico, non a
tezione dei dati personali
caso inserito nei principi generali
ART. 12 - Codici di deontologia e di buona condotta
che sovrintendono alla professione
ART. 135 - Codice di deontologia e di buona condotta
dellAvvocato, costituisce uno dei
cardini fondamentali per il corretto esercizio del mandato, al punto
che anche il Code of Conduct for European Lawyers, redatto dal Conseil
des Barreaux europens (ossia lorganismo rappresentativo della classe forense in sede europea), vi attribuisce analoga importanza collocandolo
sempre nellambito dei principi generali sotto la voce Confidentiality,
che si potrebbe tradurre come segreto professionale (cfr. D. Condello, Codice deontologico forense commentato, Roma, 2002, 74).

riferimenti normativi

Principio di fedelt nellesercizio della funzione difensiva


La riservatezza da sempre stata vista come un corollario del principio generale di fedelt nellesercizio della funzione difensiva, nei rapporti
con la parte assistita e coi parenti e affini di questultima e nella condotta
che deve essere mantenuta dallavvocato, anche successivamente al termine del mandato. Non a caso, infatti, stata riscontrata una violazione del
codice deontologico nel caso in cui lavvocato, al quale sia stato revocato
il mandato, invii a tutti i creditori del suo ex assistito una comunicazione che riferisca di eventi e comportamenti del proprio cliente dei quali
venuto a conoscenza durante lo svolgimento dellattivit di difesa (cfr.
C.N.F. 8 luglio 1994, n. 65, Rass. Forense 1994, 322).
Tale principio generale viene tradizionalmente fatto derivare dalle previsioni contenute nellart. 24 della Costituzione in materia di diritto alla
difesa e nellart. 35 del Codice Deontologico Forense, che richiama limportanza del rapporto di fiducia tra la parte e il suo difensore, facendo
cos assurgere la fiduciariet e la riservatezza a condizione determinante al fine di un corretto esercizio del diritto a difendersi in ogni stato
e grado del procedimento. Parte della dottrina ha addirittura rilevato
che il segreto professionale (che tutelato in tutte le professioni e in
tutti i paesi) non stabilito nellinteresse dei professionisti, n nellinteresse dei clienti, ma nellinteresse pubblico, tenuto conto del proprio la
riservatezza dei rapporti consente lesplicazione di una attivit che
potenzialmente diretta a evitare o rimuovere un gran numero di situazioni illegali, proteggendo il quotidiano impegno nel raccomandare e
perseguire il rispetto delle leggi, e affermando infine che [] il grado
di maturit democratica di un paese si misura dal modo con cui il diritto
al segreto assicurato in quel paese (cfr. R. Danovi, Commentario del
Codice Deontologico Forense, Giuffr 2004, 191).
Sempre sul punto della riservatezza nellesercizio della professione

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forense, il Conseil des Barreaux europens ha emanato, nel febbraio del


2001, uno Statement of Position on Lawyers Confidentiality, con il quale
ha cercato di mediare tra le riforme che hanno riguardato la deontologia
professionale forense nei vari Paesi membri.

Riservatezza e efficacia della difesa al proprio assistito


Sebbene la disciplina generale in materia di segretezza e riservatezza
quale dovere deontologico non ponga particolari problemi interpretativi
al professionista del diritto, ci non toglie che potrebbero verificarsi dei
casi nei quali, per difensore, non sia semplice riuscire a ravvisare un confine netto tra violazione della riservatezza del proprio assistito e tutela
dello stesso, in quanto potrebbero essere configgenti diversi interessi, ai
quali il diritto riconosce un analogo grado di tutela.
Sono, come si evince, tutti casi nei quali la riservatezza si confronta con
lesigenza di garantire unefficace difesa al proprio assistito, e sono anche casi di scottante attualit, quantomeno per le questioni giudiziarie
che rivestono maggior interesse per i media.
Le soluzioni possibili per il difensore, nel caso il suo assistito si trovi
ad essere oggetto di attenzione da parte dei cosiddetti poteri forti
(con essi intendendo, in particolare, la stampa, la televisione e Internet) possono essere due: da un lato vi chi ritiene che il processo non debba in nessun caso trasmigrare dallaula del Tribunale verso
lesterno, ma lunica azione che potr compiere lavvocato sar quella
di accertare e denunciare eventuali comportamenti contrari alla deontologia da parte dellavversario, o contrari alla legge da parte degli
organi inquirenti e giudicanti; dallaltro lato, tuttavia, vi chi ritiene
che leccesso di riserbo dellavvocato in caso di questioni giudiziarie
cos al centro dellattenzione da suscitare pubblico dibattito potrebbe
essere certamente rispettoso della norma del codice deontologico in
merito alla riservatezza, ma forse non sarebbe altrettanto rispettoso
dellobbligo di tutelare gli interessi del proprio assistito, soprattutto
quando ci si trovi dinanzi a notizie false o denigratorie riportate dagli
organi di stampa. Entrambi le soluzioni presentano, indubbiamente,
dei pro e dei contra, ma certamente da condividere la posizione di
chi, in dottrina, ha enucleato una possibile deroga al principio di riservatezza nel caso in cui altri, consapevolmente o inconsapevolmente, usino in maniera strumentale ricostruzioni fasulle, testimonianze
non veritiere e giudizi predisposti ad arte per mettere in discussione
la personalit del proprio assistito e condizionare lopinione pubblica
e il libero convincimento del giudice. Sul punto si espresso anche il
Consiglio dellOrdine di Roma, il quale ha rilevato che La stampa, coi
sempre pi organizzati e potenti servizi dinformazione, si fatta ormai
cos insidiosa e oppressiva che, nei casi eccezionalmente violenti nella
loro tipicit [] non talvolta possibile valutare la condotta del difensore sotto il profilo del decoro professionale applicando rigidamente i
principi fondamentali sopra enunciati [rigorosa osservanza di uno stile
di riservatezza e di austerit n.d.a.] ma occorre aver riguardo alle particolarit dei singoli casi: le quali particolarit appaiono pi determinanti
qualora si tengano presenti la natura e il fine del giudizio disciplinare,
consistente nel giudicare a misura duomo, fuori di ogni schema precostituito, la correttezza dellagire del professionista. Devesi, quindi, in
questi casi, dare il giusto rilievo alla situazione in cui pu trovarsi lav-

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eccezioni al dovere di riservatezza e segretezza


Vi sono casi nei quali per difensore pu risultare difficoltoso
riuscire a ravvisare un confine netto tra violazione della riservatezza del proprio assistito e tutela dello stesso. Tali casi
sono stati specificamente enucleati dalla dottrina e riguardano, in particolare:
a) la pubblicazione di notizie false riguardo il proprio assistito
o riguardo il fatto per il quale indagato;
b) la pubblicazione di una circostanza vera o di un estratto di
atti coperti da segreto istruttorio che crei pregiudizio verso la
personalit dellimputato e condizioni lopinione pubblica;
c) la pubblicazione di errate ricostruzioni dei fatti o di infondate illazioni;
d) la pubblicazione o diffusione di commenti, giudizi e opinioni dettati pi dalla ricerca della notizia scandalistica che
non dallamore per la verit;
e) la messa in opera di una campagna di stampa denigratoria
nei confronti dellimputato.

vocato, allorquando egli senta nella


sua coscienza che fortissimi interessi affidati alla propria opera di
difensore debbono essere fronteggiati con atteggiamenti fuori del
comune e di tutta emergenza, idonei a neutralizzare la settaria virulenza usata dagli organi di stampa
ai danni della giustizia e comunque
del proprio assistito (cfr. C.d.O. di
Roma 19 novembre 1970, pres. Fornario, est. Della Rocca per come
massimata in D. Condello, op.
cit., 79).
La stessa Corte Costituzionale,
inoltre, ha avuto modo di evidenziare come il diritto di difesa debba rispondere alla necessit di assicurare effettivamente alla parte
unassistenza tecnico professionale, ma non esaurisca il suo contenuto nellappagamento di quelle

esigenze.
Si tratta, com evidente, di situazioni decisamente particolari quelle
nelle quali, a fronte di un bilanciamento, il dovere deontologico di segretezza e di riservatezza debba cedere il passo al pi generale diritto
di difesa, anche se leccezionalit di questi casi va sempre pi diventando la norma.
A fronte di quanto sinora delineato bisogna rilevare, tuttavia, che la
bozza di Codice di buona condotta per il trattamento dei dati personali
in ambito forense ex artt. 12 e 135 del Codice Privacy non prevede assolutamente un ipotetico bilanciamento, stabilendo anzi, al sesto comma
dellart. 1, che Lesercizio del diritto di difesa della persona, costituzionalmente tutelato ex art. 24 Cost., prevalente rispetto alla protezione dei dati personali e della riservatezza, in quanto il primo sempre
da considerarsi di rango superiore, in particolare quando afferisca alla
tutela in sede penale sia del diritto di difesa dellimputato o indagato,
sia della persona offesa, del danneggiato civile da reato o dellente che
agisca ex art. 91 c.p.p., nonch della salvaguardia in sede civile, penale,
amministrativa e tributaria di diritti inerenti alla persona, alla famiglia,
ai minori, al patrimonio e ad altre libert fondamentali e diritti inviolabili dellindividuo.

Comunicazioni di informazioni al proprio assistito


Un altro problema di difficile composizione tra norma deontologica ex art. 9 del Codice deontologico forense e le altre norme che regolano
la professione davvocato quello relativo alla comunicazione di informazioni, da parte dellavvocato, verso il proprio assistito, i suoi parenti e
affini. Al riguardo, la regola generale impone allavvocato di osservare
la massima trasparenza in primis nei confronti del proprio assistito e in
secundis, qualora autorizzato da questultimo, nei confronti degli altri
soggetti sopra menzionati, per tutto ci che concerne il giudizio e per

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tutte le altre informazioni rilevanti di cui sia venuto legittimamente


a conoscenza. La ratio di tale regola ravvisabile sempre nellobbligo,
in capo allavvocato, di garantire la miglior difesa: sono, infatti, proprio
il diretto interessato o le persone ad esso pi vicine quelle che possono
contribuire a raccogliere elementi utili per strutturare una difesa efficace. Tutto ci, per, incontra un limite in quelle manifestazioni di
pensiero da parte del professionista definite dalla dottrina come attivizzanti, ossia volte a suggerire o a istigare la parte o i suoi congiunti
a preformare artatamente, distruggere, occultare o inquinare elementi
idonei ad formare delle prove (si cita, a m desempio, la decisione del
Consiglio Nazionale Forense del 2 dicembre 1998, n. 185, nella quale
stato ravvisato come ponga in essere un comportamento disciplinarmente rilevante perch lesivo della dignit e decoro della classe forense
lavvocato che insista affinch il cliente lo nomini in sostituzione di un
collega in una controversia contro un suo ex cliente, esprimendo confidenze e giudizi su questultimo e suggerendo al cliente comportamenti
atti a sottrarre ingenti somme di denaro alla garanzia dei creditori, oltre
a trattenere somme dello stesso).
Ulteriore aspetto che resta da analizzare quello delle comunicazioni,
da parte del difensore, nei confronti dei terzi in merito a tutto quello
che ha appreso dal suo assistito, oltre quello di cui venuto a conoscenza nel corso dellattivit giudiziaria. Nel caso delle confidenze da parte
del proprio assistito, sar questultimo che potr dispensare lavvocato
dallobbligo del segreto professionale e della riservatezza, per cui render lecita la rivelazione dei fatti da parte del difensore, mentre per il
secondo caso non vi sono autorizzazioni idonee a sottrarre dallobbligo
di riservatezza e di segreto il difensore, anche perch il tutto potrebbe
tradursi in una complicazione della posizione processuale dellassistito,
con conseguente violazione dellobbligo deontologico di assicurare la
miglior difesa ai propri clienti.
La deontologia, in conclusione, ha uno dei suoi capisaldi nella tutela
della riservatezza, ma non tuttavia sufficiente a sostituire in toto le previsioni contenute, oltre che nel codice penale e di procedura penale, nel
Codice in materia di protezione dei dati personali (D.lgs. n. 196/2003).

casistica dei consigli dellordine


La casistica dei Consigli dellOrdine fornisce moltissimi spunti di riflessione sul tema dellobbligo
di segreto e di riservatezza e sul corretto inquadramento di queste fattispecie, anche in
connessione con la legge sul trattamento dei dati personali.
Consiglio dellOrdine di Verona 4 ottobre 2004.
Oggetto dellesposto al Consiglio era la presentazione, da parte del difensore, della documentazione bancaria inerente la controparte in due
processi civili per separazione, senza averne previamente acquisito il consenso. Questo comportamento integrava, a detta dellattore, una violazione della normativa sulla privacy proprio per via
della mancata prestazione del consenso da parte
dellinteressato. Contro queste accuse lavvocato

si difendeva precisando che la documentazione


gli era stata fornita dal cliente, il quale ne era in
possesso in quanto coniuge separato dellattore,
ma soprattutto che il possesso di quei documenti
era legittimo in quanto anteriore alla separazione
dalla moglie e finalizzato a dimostrare in giudizio
alcuni prelievi non autorizzati, effettuati dal conto corrente cointestato, e poi versati su un altro
conto intestato solo allattrice, circostanza che,
peraltro, la stessa attrice aveva confermato nel

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casistica dei consigli dellordine


corso del giudizio. Il Consiglio dellOrdine, in primo luogo, ha rilevato che il diritto di difesa giudiziale ex art. 24 Cost. debba prevalere su quello
alla riservatezza in quanto norma di rango costituzionale (in realt, sul punto, la dottrina si sta
sempre pi orientando verso un inquadramento
di rango costituzionalistico del diritto alla riservatezza, per cui il rilievo della maggior forza della
norma contenuta nellart. 24 Cost. a fronte del
diritto alla riservatezza appare poco corretto), ma
soprattutto che le esenzioni contenute nellart. 13,
lett. b) e nellart. 24, lett. f) del D.lgs. n. 196/2003
consentono il trattamento dei dati comuni ai fini
di esercitare delle pretese in giudizio, sempre che
i dati siano trattati solo in relazione alla richiesta
giudiziale e per il periodo di tempo strettamente
necessario. Inoltre si rileva la stretta pertinenza
dei documenti presentati con le richieste giudiziali avanzate, e che, nel caso di specie, per gli
stessi non poteva parlarsi di divulgazione, dal
momento che essi erano stati semplicemente inseriti nel fascicolo processuale, per cui potevano
essere trattati solo da persone comunque tenute
al segreto dufficio o al segreto professionale. La
circostanza, poi, che detta documentazione si riferisse ad un momento temporale anteriore alla
separazione ne legittima il possesso da parte del
cliente, e quindi ne giustifica lapprensione da
parte del difensore. In sostanza, per il Consiglio
dellOrdine di Verona, nessuna contestazione pu
essere mossa al legale sotto il profilo deontologico, ma anzi viene ravvisato un corretto esercizio
del dovere di assicurare la miglior difesa al proprio assistito.
Consiglio dellOrdine di Latina 29 giugno 1999.
Il caso riguardava il mancato pagamento di alcune opere di giardinaggio fatte da un contadino
nel fondo di propriet di un colonnello dellaeronautica. Il legale del contadino, investito della
questione, inviava una lettera di messa in mora
al colonnello senza ricevere alcuna risposta in
merito. A questo punto il difensore, piuttosto
che adire la normale strada giudiziaria, preferiva interessare della vicenda il superiore gerarchico del colonnello, chiedendogli di intervenire

per un componimento bonario della questione.


Il colonnello, ovviamente indispettito da questo
atteggiamento, presentava un esposto al Consiglio dellOrdine di appartenenza dellavvocato e
questultimo, per difendersi dalle accuse mosse,
argomentava dicendo che tutto il suo operato era
volto a raggiungere un bonario componimento
della vicenda senza che vi fosse necessit di adire lautorit giudiziaria. Il Consiglio dellOrdine
ravvisava, nelloperato del legale, la violazione
dellart. 6 (dovere di lealt) e dellart. 9 (dovere di segretezza), in quanto aveva portato al di
fuori della sede naturale, ossia le aule del Tribunale, una questione di stampo esclusivamente
privatistico, e gli infliggeva la sanzione dellavvertimento. Lavvocato impugnava la decisione,
sostenendo che non poteva parlarsi di violazione del dovere di segretezza, in quanto la contestazione proveniva dalla controparte e non dal
proprio cliente, e ribadiva le sue buone intenzioni dettate solo dalla volont di non avviare un
procedimento giudiziale per una causa di esiguo
valore. Il Consiglio Nazionale Forense, investito
della questione, ha per respinto il ricorso e confermato la sanzione dellavvertimento, ravvisando addirittura un contenuto denigratorio nelle
espressioni adoperate (cfr. C.N.F. Decisione del 11
aprile 2001, n. 55).
Su tale decisione, tuttavia, il Danovi ha commentato che le norme deontologiche violate
non sono certamente quelle indicate nel capo di
incolpazione [], poich la lealt un principio generale [] e lart. 9 riguarda la segretezza
e riservatezza alla quale tenuto il legale nei
confronti del proprio assistito (cfr. R. DANOVI,
Lavvocato incolpato. Casi clinici di deontologia
forense, Giuffr 2006, 36-37). Volendo ravvisare delle violazioni deontologiche, anzi, queste
vanno ricercate negli artt. 20 e 48 del Codice
deontologico forense. Lart. 20, infatti, vieta di
utilizzare espressioni sconvenienti ed offensive
rivolte verso chiunque, sia essa la parte assistita,
la controparte o i terzi, e lart. 48 impone degli
obblighi di correttezza nei confronti della controparte analoghi a quelli che bisogna osservare
verso il proprio assistito.

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