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s
v ; s vt
t
A sua volta, supponendo che un corpo si muova a velocità costante, è possibile calcolare lo spazio
percorso in un intervallo di tempo.
v
a ; v at
t
Ma noi sappiamo dalla prima legge della dinamica (la dettaglieremo meglio più avanti)
Che:
F Ma
O, meglio,
v F
F M ; v t
t M
1
L’ultima formula dice che per far variare ad un corpo la sua velocità in un intervallo di tempo, cioè
sia sottoposto ad una accelerazione, è necessario che gli venga applicata una forza netta diversa da
zero. Il significato di netta è illustrato nella figura soprastante.
Le forze sono grandezze vettoriali, cioè sono caratterizzate da una intensità (quanto forte tiro o
spingo), da una direzione e da un verso (da che parte tiro o spingo). Guardate come si sommano le 3
forze nel caso in alto: alla fine si ottiene una 4° forza che si chiama risultante. Nel secondo caso, la
risultante è zero. Cioè forze che singolarmente sono non nulle possono dare luogo ad una risultante
netta nulla. La risultante delle quattro forze si scrive così:
Ftot F1 F2 F3 F4
Per distinguere le grandezze vettoriali viene disegnata una freccia sopra le lettere relative.
Notate anche che a parità di forza, maggiore è la massa, minore sarà la velocità. La massa di un
corpo è infatti chiamata anche inerzia, che indica la capacità di un corpo di opporsi a variazioni del
movimento: per questo è difficile frenare un treno in corsa rispetto ad un moscerino che si spiaccica
sul vostro parabrezza, masse diverse.
Quanto sopra espresso vale per spostamenti lineari, ma a noi interessano anche quelli angolari: nel
nostro curl, infatti, l’avambraccio si muove percorrendo un angolo. Per affrontare l’analisi dei
movimenti angolari è necessario introdurre un nuovo concetto, quello di coppia meccanica.
Supponete di avere una pizza di ferro da 20Kg sul bilanciere da 20Kg a sua volta posto sugli
appoggi di un rack. Afferrate il disco e tirate, come nel caso della forza F1. Poi dite ad un vostro
amico di tirare come nel caso della forza F2. Le due forze sono identiche in intensità, ma cambiano
in direzione e verso, perciò il disco si metterà a girare nel primo caso in senso orario, nel secondo in
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senso antiorario; nel primo caso riuscite a mettere in rotazione la rotella più facilmente rispetto al
secondo caso. A parità di forza quello che cambia è la lunghezza del segmento d, maggiore nel
primo caso.
La distanza d si chiama braccio della forza F ed è la distanza che c’è fra il centro di rotazione e la
retta d’azione della forza F. Mettere in rotazione un oggetto non dipende solo dalla forza che
esercitate, ma anche da come la esercitate rispetto al centro di rotazione. La coppia è perciò una
grandezza che tiene conto di come si applica una forza per mettere in rotazione un corpo, e si
calcola come prodotto della forza per il suo braccio.
Questo prodotto si chiama prodotto vettoriale perché una coppia è una grandezza vettoriale, ma a
noi non ci interessa per i nostri fini e perciò non metteremo la freccina. Una coppia può avere un
valore positivo o negativo a seconda di come mette in rotazione un corpo, a seconda del verso di
rotazione: il segno + o il segno – indicheranno il verso di rotazione rispetto ad un verso di
riferimento. Nel caso della figura, la coppia totale o coppia netta è data da
tot 1 2 F1d1 F2 d 2
Si capisce che anche in questo caso la somma di più coppie diverse da zero può dare una coppia
netta uguale a zero, come nel caso di una altalena che dondola oppure no. Oppure, come nel caso
della figura, se il vostro amico tira contemporaneamente a voi, vince lui e il peso gira in senso
antiorario, cioè opposto a quello che volete voi.
Perciò, nei movimenti lineari si parla di Forza, cioè la capacità di mettere in movimento lineare un
corpo, nei movimenti rotazionali si parla di Coppia, cioè la capacità di mettere in rotazione un
corpo rispetto ad un punto detto polo di rotazione o semplicemente polo.
A questo punto riscriviamo per i movimenti angolari le formule per velocità e accelerazione. I
concetti non cambiano, le formule un pochino. Uno spostamento angolare si indica normalmente
con Theta, mentre Omega è la velocità angolare. Si parla di accelerazione angolare e si indica con
alfa.
Come vedete, le prime 2 righe delle formule sotto riportate presentano gli stessi concetti per
movimenti rotatori. La terza riga è interessante.
; t
t
; t
t
I ; I Md 2
t
I
La prima legge della dinamica, F=Ma, si riscrive in questo modo per le rotazioni: una coppia
produce una accelerazione angolare, come una forza produce una accelerazione linare. Viceversa,
se c’è una accelerazione angolare, ci deve essere una coppia che la produce.
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Consideriamo l’ultima riga delle formule sopra riportate: una variazione di velocità angolare in un
certo intervallo di tempo è causata da una coppia che fa ruotare un oggetto intorno ad un punto.
Compare la grandezza I che si chiama momento d’inerzia. Questo è l’equivalente della massa per le
rotazioni. Rappresenta la capacità di un corpo di opporsi a variazioni della sua rotazione intorno ad
un punto. Il concetto è molto meno intuitivo di quello di massa, però questo non è un corso di
Fisica: vi basti sapere che per i nostri scopi il manubrio nella nostra mano ha momento d’inerzia
come indicato nelle formule, dove d è la lunghezza del nostro avambraccio.
Ok, intuitivamente (che molte volte significa “in maniera imprecisa e a pedate”), se il manubrio
ruota intorno al nostro gomito, la capacità di opporsi alla rotazione deve essere proporzionale alla
massa M del manubrio e alla distanza di questo dal centro di rotazione, che è proprio la lunghezza
dell’avambraccio.
Come si applica questo in palestra? Se un bilanciere si muove a velocità costante, non c’è
variazione di velocità, perciò non c’è accelerazione, perciò non c’è forza netta diversa da zero che
agisce sul bilanciere stesso. Ciò significa che la forza peso è perfettamente equilibrata dalla forza
che state sviluppando. Il discorso è analogo nel caso di un movimento rotatorio.
E’ ragionevole affermare che in una esecuzione corretta con un carico impegnativo il bilanciere si
muove a velocità costante in tutto l’arco di movimento. Nel curl questo deve essere vero per una
esecuzione corretta e controllata. Perciò voi dovete sviluppare una forza che in ogni momento è
quasi equivalente a quella statica per tenere il nostro manubrio fermo. “Quasi” perché il manubrio si
muove. La dizione “quasi statica” è un classico della Fisica.
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Variazione di velocità, necessità di una forza perché ciò avvenga. Questa forza, che si manifesta
solo in questi istanti di tempo, si somma algebricamente (cioè con segno + o – a seconda dei casi)
alla forza “quasi statica” precedentemente indicata. Questi istanti di tempo caratterizzano l’analisi
dinamica del movimento e saranno oggetto della presente trattazione.
La figura precedente descrive l’andamento qualitativo della velocità del manubrio. I vari segmenti
di curva sono stati divisi e classificati secondo la notazione di Poliquin:
A questo punto introduciamo una semplificazione per permetterci di ottenere dei risultati numerici
con facilità. Conoscendo la velocità, vogliamo conoscere lo spazio percorso. Sappiamo che:
s vt
La formula dice che una variazione di spazio è data dalla velocità per l’intervallo di tempo
considerato. Cerchiamo di calcolare lo spazio totale percorso.
Mi sembra chiaro che la somma di tutte queste variazioni di spazio sia pari allo spazio percorso.
Indicherò la somma con una sigma maiuscola.
In ogni intervallo di tempo la velocità può essere diversa. Supponiamo di considerare n intervalli di
tempo che indicherò con 1, 2, 3 e in generale con i=1…n In ogni intervallo di tempo la corrispettiva
velocità sarà vi mentre lo spazio percorso sarà si
n n
S si vi t
i 1 i 1
Et voilà! Abbiamo scritto una formula abbastanza complicata! Le formule sono un modo compatto
di dire le cose!
Supponiamo ora di aumentare il numero totale n degli intervalli di tempo: lo aumentiamo sempre di
più (matematicamente, diciamo che lo facciamo tendere ad infinito…). Gli intervalli di tempo
diventano sempre più piccoli, così come gli intervalli di spazio. Via via che ciò accade, la sigma si
stira verso l’alto. Per magia, questo è il risultato:
T
S ds vdt
0
Les jeux sont fait! La sigma è diventata il segno di integrale, quel simbolo incomprensibile che ci ha
fatto sbavare sui banchi delle Superiori! Ma è la stessa cosa di prima in fondo! Il delta è diventato d,
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che in questo caso indica intervallo di tempo piccolissimo o infinitesimo, la sigma è diventata una s
allungata e la formula dice che lo spazio totale è la somma di tutti gli spazi infinitesimi che a sua
volta è la somma dei prodotti delle velocità in ogni istante di tempo infinitesimo per l’istante stesso.
Chiaro che se sommo tutti gli infinitesimi di tempo, questa somma va dall’istante zero all’istante T
che è il tempo che dura la mia ripetizione di curl
Ancora, lo spazio è l’area sottesa sotto la curva della velocità: è come se sommassi le aree vdt di
tanti rettangolini di base v e altezza dt. Questo concetto ci servirà fra un po’.
s
v
t
ds
v
dt
Nel passaggio dalla prima formula alla seconda ci sono circa 200 anni e passa di Storia della
Matematica, 10 personaggi famosi e migliaia di pagine scritte per dimostrare che sia vero.
Scriviamo perciò:
T
ds
s vdt ; v
0
dt
Si vede come integrazione e derivazione siano legate fra loro. Conoscendo lo spazio conosco la
velocità e viceversa.
Analogamente,
T
dv
v adt ; a
0
dt
L’accelerazione è la variazione della velocità rispetto al tempo.
v
a ; v at
t
Il grafico successivo mostra in rosso come varia la velocità, perciò rappresenta il grafico
dell’accelerazione.
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Come si può vedere, a velocità costante corrisponde una accelerazione nulla. Ciò significa che la
forza netta è nulla. Questo è un concetto importante, che è esprimibile in maniera differente a
seconda delle situazioni:
per mettere in moto un corpo è necessaria una forza risultante diversa da zero
per frenare un corpo è necessaria una forza risultante diversa da zero
per variare la velocità di un corpo è necessaria una forza risultante diversa da zero
Il corpo può essere soggetto a forze la cui risultante è zero, perciò non varierà il suo stato: se è
fermo rimane fermo, se si muove, continua a muoversi a velocità costante. Ma se si ferma, parte o
cambia la sua velocità, una delle forze a cui è sottoposto deve variare in modo che la forza risultante
totale non sia più nulla. Fra un po’ le implicazioni.
E’ da notare che, a parità di velocità finale costante, la variazione dipende dal tempo necessario a
raggiungerla. Confrontiamo il disegno precedente con quello successivo.
Le velocità finali sono volutamente identiche nei due casi. Quello che cambia è proprio il tempo
necessario a raggiungere la velocità finale. Infatti ricordiamo che:
7
v
a
t
Perciò più l’intervallo di tempo è piccolo, più l’accelerazione è grande. Ecco una prima cosa
interessante: più frenate velocemente il peso, più forza ci dovete mettere, idem se lo volete mettere
in moto velocemente.
A questo punto, però, a noi non ci piacciono le derivate e gli integrali, ma vorremmo delle
formulette più semplici da gestire.
Supponiamo che il grafico della velocità sia un po’ più spigoloso, o, come si dice, lineare a tratti.
E’ una approssimazione, nessun oggetto fisico si muoverà così, i valori che otterremo saranno
perciò affetti da questo errore di approssimazione. Però, fidatevi, è una buona approssimazione.
In questo modo negli intervalli di tempo dove la velocità varia (linearmente), le accelerazioni sono
costanti e si possono calcolare facilmente senza derivate o cose strane.
E’ anche facile eliminare l’integrale: Sia TE il tempo totale dell’eccentrica e TC il tempo totale della
concentrica (in pratica le basi dei due trapezi nel disegno sopra riportato)
T
s vdt
0
vmaxT0 v T v T v T
vmax (TE T0 T1 ) max 1 max 2 vmax (Tc T2 T3 ) max 3 0
2 2 2 2
Sembra complicato ma non lo è: si tratta dell’area sotto la curva della velocità. Area con segno
perché dove la curva è sotto l’asse del tempo, l’area è negativa.
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Se il movimento eccentrico e concentrico inizia e termina nel solito punto, lo spazio percorso è pari
a zero. Non sto a dire che questo in palestra accade sempre, a meno che non siate impazziti…
Ok, a questo punto abbiamo introdotto i concetti di base che ci serviranno successivamente. Si
illustra comunque un esempio pratico per dare un’idea che questa roba… serve ed ha un senso.
A questo punto, formalizziamo meglio gli elementi che ci interessano. Ricordiamo la prima legge
della dinamica, scritta a modino.
F Ma
Forza ed accelerazione sono grandezze vettoriali, e la forza F va intesa come risultante di tutte le
forze agenti su un corpo. Il corpo, di massa M è soggetto ad una accelerazione a. Diamo evidenza di
tutte le forze che agiscono sul corpo riscrivendola così:
n
i
F
i 1
Ma
Se la risultante di tutte le forze è pari a zero il corpo mantiene il suo stato di moto (cioè se è fermo
rimane fermo, se si muove continua a farlo a velocità costante)
i 1
i I
Se la risultante di tutte le coppie di forze agenti sul corpo è nulla, il corpo mantiene il suo stato di
moto rotatorio.
Dire che un corpo è fermo implica dire che non percorre spazio e non ruota. Perciò non è soggetto
ad accelerazioni. Le equazioni della statica sono perciò:
n n
Fi 0 ;
i 1
i 1
i 0
Queste equazioni si applicano anche nel caso di situazioni quasi statiche, cioè situazioni dove un
corpo si muove e ruota a velocità costante e sufficientemente “bassa” da considerarlo fermo in ogni
istante di tempo. Saranno la base delle analisi meccaniche successive.
L’ultimo argomento è il top del noioso: le unità di misura. E’ una lagna parlare di queste cose, lo
so… ma ricordatevi sempre che chi sbaglia le unità di misura al 95% non ha le idee chiare su quello
che dice.
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3. La forza si misura in Kg * m/s2 perché è massa per accelerazione, e l’unità di misura è il
Newton (N). Poiché stiamo parlando di “ferro”, il feeling è migliore se trasformiamo le forze
in Kg equivalenti. La forza peso infatti è data da P=Mg dove g è l’accelerazione
gravitazionale che vale 9.81 m/s2. Se divido il valore in Newton di una forza per g trovo una
massa equivalente in Kg equivalenti. Le forze saranno espresse in questa grandezza.
Facciamo due conti importanti che svilupperemo meglio in seguito in quanto è il cuore della
trattazione: al pulley basso c’è il simpaticone della palestra, quello che vi rompe le palle quando
fate stacco perché prospetta scenari lugubri di ernie e dischi vertebrali spezzati. Quando voi
eseguite il pulley tirate in maniera morbida e i 100Kg salgono velocemente. Il tizio invece mette
50Kg e strappa come se stesse facendo il lancio del martello. Chi si fa più male?
Dobbiamo modellare il nostro problema in termini matematici (wow, siamo forti eh!):
vmaxT0
s vmax (TE T0 )
2
v 0.3
0.7 max vmax (2 0.3)
2
vmax 0.37 m / s
vmax 0.1
0.7 vmax (1 0.1)
2
vmax 0.73m / s
10
vmax
a
T0
0.37
a 1.23m / s 2
0.3
Nel caso dello splendido, invece:
0.73
a 7.3m / s 2
0.1
Cioè di ben 6 volte superiore!
F Ma
Fnoi 100 *1.23 123 N 12.5 Kg eq
FSplendido 50 * 7.3 365 N 37.2 Kg eq
Il tizio tira più forte un peso più basso, e perciò deve sommare, alla partenza, oltre alla forza quasi
statica per equilibrare il peso, anche quella per metterla in moto. E deve metterci il triplo di quella
che utilizziamo noi nella nostra esecuzione controllata.
Anticipando concetti che poi svilupperemo meglio (e scoprendo subito l’assassino), questo non
significa che Mister Smile stia facendo meglio di noi perché in pratica usa più Kg: lui strappa così
forte che in un decimo di secondo il peso che tira quasi raddoppia. Questa forza non genera lavoro
“utile” sui muscoli e deve essere assorbita dal corpo, in questo caso dal tessuto connettivo, dai
tendini e, nel caso del pulley, dalla schiena che di colpo si trova un carico notevole addosso.
Questo è il motivo per cui tirare, strappare anche con pochi pesi, è pericoloso: le forze necessarie
per invertire di colpo un movimento sono enormi, seppure per istanti brevissimi. E devono essere
tutte assorbite dal vostro organismo.
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