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Psicoanalisi in nord America: sviluppi recenti

Jay R. Greenberg
Allinizio della ricerca che poi lo ha portato alla creazione della psicoanalisi, Sigmund Freud si trovato ad
avere due idee lungimiranti ma sorprendentemente diverse sul progetto che stava per intraprendere.
Entrambe annunciate in opere fondamentali scritte nello stesso anno, queste enunciazioni avviano una
fragile saldatura dei diversi livelli del discorso che presi insieme costituiscono limpalcatura della nuova
disciplina. Il primo brano tratto dal Progetto di una psicologia e contiene ci che egli spera di realizzare
con le sue ricerche:
Lintenzione di questo progetto di dare una psicologia che sia una scienza naturale, ossia di
rappresentare i processi psichici come stati quantitativamente determinati di particelle materiali identificabili
(Freud, 1895, OSF 2, p. 201).
Freud, lo scienziato, dallinizio e sempre un clinico riluttante, voleva capire la meccanica della mente.
Questa spiegazione secondo Freud doveva essere formulata in un linguaggio di forze e strutture. Ma, prima
di tutto, come si fa a studiare la mente? Prendendo a prestito dalle altre scienze mediche, Freud arriv alla
conclusione che il percorso migliore consisteva nello studiare i casi patologici, cio avrebbe studiato la
mente curando i pazienti. Ma non appena cominci a riferire i dati che emergevano da questi trattamenti si
rese conto che non corrispondevano molto alle ipotesi che avrebbero dovuto confermare. Quindi negli Studi
sullisteria scrisse:
Sento ancora io stesso unimpressione curiosa per il fatto che le storie cliniche che scrivo si leggono come
novelle e che esse sono, per cos dire, prive dellimpronta rigorosa della scientificit. Devo consolarmi
pensando che di questo risultato si deve evidentemente rendere responsabile pi la natura delloggetto che
le mie preferenze (OSF 1, p. 313).
La psicologia sar una scienza naturale, ma le sue ricerche hanno portato a dati privi dellimpronta
rigorosa della scientificit. Freud si rese conto, non appena rivolse la sua attenzione alla psicoanalisi che
doveva tenere insieme un ibrido ingombrante e instabile in parte storie, in parte macchina psichica. Nel
corso della sua carriera alcuni concetti fondamentali il complesso di Edipo ne un eccellente esempio,
come pure lidea di un comportamento apparentemente autolesionista spinto dal bisogno di rivivere le
esperienze precoci nel presente vengono tratti da un discorso. Un altro gruppo di idee altrettanto
fondamentali la serie di proposizioni nota sotto il nome di metapsicologia ancorato in un discorso
diverso. Per anni gli studiosi nordamericani hanno dibattuto con passione per decidere se Freud fosse un
biologo o un ermeneuta, ma facile vedere che era entrambe le cose, fin dallinizio, e lo sapeva.
La sua suprema fiducia in se stesso e la propriet personale della psicoanalisi che rivendicava
pubblicamente nella Storia del movimento psicoanalitico (1014a, p. 7) gli hanno permesso di insistere
sulla coerenza della sua disciplina. Nel corso della sua vita, e per molti anni dopo, il suo carisma personale
stato la colla che ha tenuto insieme le varie parti della sua creazione. E la sua rivendicazione andata
anche oltre e in modo sorprendente: Freud insisteva che le sue varie scoperte dallidea che i sogni
abbiano un significato, alla sessualit infantile, al principio di costanza, allidea che la rimozione sia il
prodotto di un controinvestimento potevano essere ed erano state scoperte con un solo metodo di ricerca.
Per sondare le profondit dellesperienza umana e per dedurre la natura del meccanismo mentale
responsabile della creazione di quellesperienza bastava svolgere un certo tipo di conversazione (seguendo

le regole della situazione psicoanalitica) con un certo tipo di persona (i nevrotici analizzabili). Non solo non
era necessario un altro metodo, ma alla fine non si poteva aggiungere molto altro.
La storia di quella che Arnold Cooper ha chiamato la rivoluzione silenziosa della psicoanalisi americana,
nel senso pi ampio, pu essere raccontata come la storia del crollo di queste due premesse. Pochi analisti
oggi credono che una stessa disciplina possa produrre sia narrazioni interessanti che ipotesi
psicobiologiche esplicative adeguate e molti sono convinti che ci leghiamo le mani se insistiamo a dire che
si possono trovare dati rilevanti solo ascoltando con attenzione regolarmente fluttuante le parole di un
paziente in grado di esprimere a parole la sua esperienza. Il legame che Freud ha tanto sudato per forgiare
stato allentato per sempre, se non spezzato del tutto. Nel mondo psicoanalitico attuale ci sono molte
narrazioni concorrenti associate a vari modelli della mente meno rigorosamente di quanto avrebbero
tollerato Freud e la prima generazione di freudiani. E molti analisti si limitano a raccontare storie e
dichiarano che la metapsicologia non interessante o addirittura impossibile con i dati a loro disposizione.
In modo altrettanto significativo linsistenza su una metodologia unitaria ha perso credibilit. Freud sempre
stato scettico sullidea che la ricerca quantitativa in psicoanalisi (processi o esiti) possa fornire contributi
utili. Si tratta di un aspetto ancora controverso, ma altre metodologie indipendenti hanno fatto passi avanti
decisivi. Forse la prima, e lunica che sia diventata influente ai tempi di Freud, stata lanalisi infantile. In
seguito, gli analisti si sono basati su dati tratti dal lavoro con pazienti molto gravi, quelli tradizionalmente
considerati non trattabili con la tecnica standard. Alcuni teorici, ma non tutti, considerano preziosi i dati
derivanti dallosservazione diretta dei bambini, altri integrano le scoperte ancora preliminari della scienza
cognitiva. Pi comunemente accettata la posizione che deriva dalla pratica della supervisione
psicoanalitica, una prospettiva che (ad eccezione della famosa e un po informale consultazione di Freud
con il padre del piccolo Hans) non stata menzionata in letteratura fino agli anni 50 e che non stata
particolarmente discussa per almeno altri dieci anni.
Ciascuno di questi nuovi vertici di osservazione produce dati che non avrebbero potuto essere disponibili a
Freud, che si limitava a ci che poteva vedere da dietro il lettino. Proprio la diversit dei nuovi dati che
comprendono statistiche, osservazione dei rapporti fatte dallesterno della diade che interagisce, esperienze
interne in prima persona dellanalista, contro le quali Freud aveva messo in guardia, e immagini del cervello,
per citarne solo alcune non solo si presta alla costruzione di nuove narrazioni, ma allenta ancora di pi il
legame tra storia e macchina che Freud apprezzava tanto.
Nei trentanni successivi alla morte di Freud c stata una corrente principale chiaramente dominante nella
psicoanalisi nordamericana. Dal punto di vista organizzativo ruotava intorno allAmerican Psychoanalytic
Association e ai suoi istituti, strettamente collegati con la psichiatria e in senso pi ampio con la professione
medica. Dal punto di vista intellettuale era guidata dagli emigrati fuggiti dallEuropa prima della seconda
guerra mondiale. Il training, laccreditamento e laccesso alle riviste scientifiche erano tutti strettamente
controllati.
Naturalmente si sentivano anche altre voci. Karen Horney, Clara Thompson, Erich Fromm e altri si erano
formati nella tradizione freudiana, ma se ne allontanarono. Ognuno di loro ebbe dei seguaci ed ebbe a che
fare con istituti di formazione al di fuori allAmerican Psychoanalytic Association. Harry Stack Sullivan, che
non fece mai un training formale da psicoanalista, ma che fu vice presidente allAmerican Psychoanalytic
Association, promosse la sua psichiatria interpersonale come alternativa psicodinamica allortodossia
freudiana. Ma tutti questi teorici e le organizzazioni di cui facevano parte erano emarginati, esclusi dai
dibattiti pi accreditati.
Questo accentramento ha fatto ben di pi che esercitare un controllo politico ed economico sulla
psicoanalisi: forse e con maggiore importanza ha tenuto insieme il progetto di Freud. La teoria, anche se
emendata, deve essere espressa nel linguaggio delle forze e delle strutture. I teorici potevano quindi stare
pi vicini al desiderio originario di Freud di poter teorizzare la mente in termini di stati determinati
quantitativamente di particelle materiali identificabili (Freud, 1895, p. 201) che alla sua confessione
successiva e meno convinta che a volte era stato costretto a invocare quella che ha definito questa strega
la metapsicologia (Freud, 1937, OSF 11, p. 508).
Heinz Hartmann, certamente il principale teorico freudiano nordamericano degli anni 40 e 50, ha ancorato le
sue opere alla metapsicologia. Forse non ancora possibile apprezzare in pieno quanto sia fecondo il fatto
che la base su cui Freud ha costruito la sua teoria della nevrosi non sia specificamente umana, ma
generalmente biologica di modo che per noi le differenze tra umani e animali risultano relative (1939, p.
28). La rivendicazione di scientificit evidente nel pensiero di Hartmann riflette il suo scopo pi ampio, che
condivideva con molti teorici influenti dei suoi tempi. Hartmann e i colleghi che lavoravano nella tradizione

che venne poi chiamata della psicologia dellio americana volevano far diventare la psicoanalisi una
psicologia generale che estendesse lambito della teoria fino a spiegare non solo la psicopatologia
nevrotica ma anche le psicopatologie pi gravi e anche la cosiddetta normalit.
Cercando di conseguire questo obiettivo Hartmann e i suoi colleghi della psicologia dellio hanno aggiunto
parecchio al modello della mente di Freud. Sono stati introdotti nuovi concetti come il s (Hartmann, 1950),
la sfera priva di conflitti (1939), le funzioni adattative dellio (1939) e cos via e i concetti esistenti sono stati
modificati in modo significativo. Accanto alle pulsioni libidica e aggressiva di Freud, Hartmann ha proposto
quella che ha chiamato energia neutralizzata come forza motivazionale alla base dei comportamenti e
delle esperienze non conflittuali e ha ampliato il concetto di conflitto stesso. Ma nessuno di questi
cambiamenti ha interrotto il collegamento tra narrazione e metapsicologia che era centrale nel pensiero di
Freud. Di conseguenza, nonostante gli sviluppi teorici degli anni 60 e dei primi anni 70, la natura essenziale
del progetto freudiano rimasta intatta.
Ma questo panorama ha cominciato a cambiare drammaticamente in nord America tra la met e la fine
degli anni 70. Due fenomeni danno inizio al cambiamento che poi accelera negli anni 80 e 90. In primo
luogo vi fu una serie di attacchi diretti al collegamento tra narrazione e metapsicologia che Freud aveva
sperato di imporre e che la seconda generazione dei suoi seguaci aveva cercato di mantenere. I titoli di
alcuni contributi importanti di questo periodo illustrano la direzione che sta prendendo la nuova generazione
di teorici: George Klein scrive il capitolo Due teorie o una? (1976), Merton Gill La metapsicologia non
psicologia (1976), Roy Schafer Un nuovo linguaggio per la psicoanalisi (1976), Robert Holt Limmagine
meccanicistica e umanistica delluomo in Freud (1972). Gill fece brevemente notare il contrasto centrale tra
i due progetti di Freud e in questo modo evidenzi quella ci pensava fosse la loro incompatibilit
fondamentale:
Termini tipici del linguaggio delle scienze naturali fisico-chimiche sono investimento, forza, energia e
topografia. Termini tipici delle scienze naturali biologiche sono apparato, funzione, struttura e adattamento.
Termini tipici del linguaggio psicologico sono motivazione, significato, scopo, simbolizzazione,
interpretazione.
Qui Gill mette in luce proprio la tensione che Freud aveva notato 80 anni prima. Vorrei aggiungere a
margine che la stessa tensione che era stata notata una decina di anni prima dagli analisti latinoamericani, in particolare Jose Bleger e Willy Baranger. Ma mentre Freud si era limitato a riconoscere la
tensione e a far capire che finch lui riusciva a contenerla non cera bisogno che altri se ne preoccupassero,
la nuova generazione di teorici la usava come strumento per separare ci che era stato unito
arbitrariamente. Leffetto di questa critica and oltre levidenziazione delle differenze tra i due discorsi e
port alla completa emarginazione della metapsicologia. Anche a livello teorico il fulcro pass dai concetti
esplicativi che erano per definizione lontani dallesperienza (la teoria biologica generale di Hartmann
formulata nei termini delle scienze naturali) alle generalizzazioni derivanti dalla pratica clinica che
rimanevano pi vicine a ci che vivevano analizzando e analista (la teoria specificamente umana di
Hartmann formulata in un linguaggio psicologico). Le narrazioni ricevevano particolare attenzione e anche
la teoria discuteva dei modi in cui la vita viene vissuta invece che del modo in cui funziona la mente.
Oltre allimpatto degli attacchi al collegamento tra narrazione e metapsicologia, un secondo fenomeno pi o
meno simultaneo ebbe un ruolo altrettanto importante anche se meno diretto nel dare forma alla natura del
progetto psicoanalitico. Il dissenso teorico e gli scismi istituzionali erano iniziati in nord America e
soprattutto a New York negli anni immediatamente successivi alla morte di Freud. Tra il 1941 e il 1945
diversi analisti influenti ma eterodossi lasciarono il New York Psychoanalytic Institute e fondarono
programmi di training autonomi. Erich Fromm, Karen Horney e Clara Thompson lasciarono listituto insieme.
Horney fond lAmerican Institute of Psychoanalysis nel 1941, mentre Fromm e Thompson si unirono a
Harry Stack Sullivan e a Frieda Fromm-Reichmann che lavoravano nellarea di Baltimore e Washington e
costituirono il William Alanson Institute nel 1943. Il Columbia Psychoanalytic Institute fu fondato nel 1945
sotto la guida di Sandor Rado.
Questi primi dissensi (che possono essere rinviati concettualmente ai primi scismi del circolo psicoanalitico
freudiano) condividevano la stessa sensibilit: tutti sottolineavano limportanza dellesperienza
interpersonale e/o sociale nella costruzione della struttura psichica, delle psicopatologie e dellesperienza
umana in senso lato. Messe insieme e rozzamente compattate sotto letichetta un po dispregiativa di
culturalismo, le idee di questi teorici vennero sostanzialmente ignorate dalla comunit ortodossa. Per molti
decenni i sostenitori di queste posizioni svilupparono le loro idee in isolamento.

Ma gli anni 70 videro linizio del cambiamento. Accanto alle critiche dirette alla metapsicologia cominciarono
ad emergere nuovi sistemi concettuali radicalmente alternativi allinterno delle organizzazioni psicoanalitiche
dominanti. Originariamente concentrate sulla comprensione e la terapia dei pazienti che erano stati
considerati non analizzabili con il metodo psicoanalitico classico, queste teorie proponevano sia narrative
nuove che modelli alternativi del tipo di mente che poteva vivere al di fuori di queste narrazioni storiche
della vita.
La sfida nordamericana pi significativa allortodossia emerse negli anni 70 con lopera di Heinz Kohut.
Profondamente radicato nella metapsicologia freudiana e nellelaborazione della psicologia dellio, Kohut
era deluso dallefficacia clinica della teoria in primo luogo con i pazienti con diagnosi di psicopatologia
narcisistica e poi con tutti i pazienti analizzabili (Kohut, 1971, 1977). Nel 1977 Kohut aveva elaborato un
ampio modello concettuale che prevedeva lemergere di una psicologia del s coerente basata su una
teoria della mente che avrebbe dovuto sostituire il modello strutturale prevalente. Allinizio il dissenso di
Kohut lo port su una strada simile a quella di altri dissidenti prima di lui. La sua eterodossia port
allesclusione delle idee della psicologia del s dai dibattiti dei gruppi psicoanalitici dominanti.
Allincirca nello stesso periodo in cui Kohut elaborava il suo modello alternativo della mente e in cui Shafer,
Gill e Klein mettevano in discussione il valore dellintera teoria metapsicologica, anche in altre aree
emergevano critiche al pensiero dominante. Wilfred Bion arriv a Los Angeles da Londra nel 1968 e vi
rimase per dieci anni fino a poco prima di morire nel 1979. Bion insegnava le idee di Melanie Klein insieme
alla sua versione interpersonalizzata di quelle idee. Il pensiero di Klein veniva anche diffuso negli anni 70
attraverso il lavoro di Otto Kernberg, che integrava le idee kleiniane sulle angosce e difese primitive in un
modello della mente tratto dalla psicologia dellio nella particolare interpretazione di Edith Jacobson
(Kernberg, 1976; Jacobson, 1965). Forse perch, a differenza di Kohut, Kernberg mantenne il vocabolario
classico se non il significato classico di pulsione e struttura la sua opera fu accettata prontamente dai
gruppi ortodossi.
In seguito a tutto ci verso la fine degli anni 70 lortodossia che aveva dominato la psicoanalisi in nord
America nei decenni successivi alla morte di Freud venne contestata da molte direzioni diverse, anche se le
comunicazioni tra i dissidenti e lortodossia e tra i dissidenti stessi erano limitate. Fu in questo clima che
Stephen Mitchell e io scrivemmo Le relazioni oggettuali nella teoria psicoanalitica (1983) in cui
sostenevamo che la metapsicologia di Freud era ancorata a una visione della mente in cui lenergia
derivava dal bisogno di soddisfare gli impulsi (cio le pulsioni) che avevano origine nel nucleo somatico presociale dellorganismo umano. Correzioni successive di questa teoria originaria, apportate da Freud e dai
suoi seguaci allinterno della tradizione della psicologia dellio intendevano mantenere questa idea centrale.
Con questo in mente chiamammo questa tradizione teorica modello pulsionale. Trentanni dopo aver
scritto questo libro, ritornandoci con il senno di poi, vorrei sottolineare che la nostra interpretazione del
pensiero di Freud una lettura tipicamente nordamericana, che si basa sulla lettura di Hartmann che
dominava allepoca e che diede quella particolare declinazione locale a cosa significava essere freudiani.
I dissensi pi rilevanti dalla posizione di Freud la teoria interpersonale di Sullivan e la psicologia del s di
Kohut negli Stati Uniti, le teorie dei rapporti oggettuali di Fairbairn, Klein e Winnicott in Gran Bretagna
sono certamente diversi tra loro in modi significativi, ma condividono il rifiuto della premessa fondamentale
di Freud come era stata interpretata da Hartmann. Invece delle pulsioni come primo motore, tutti
postulavano che la mente, con le sue motivazioni fondamentali, fosse strutturata in modo da riflettere
limpatto evolutivo e linflusso psicodinamico duraturo dei primi rapporti con gli altri. Abbiamo chiamato
questa posizione alternativa il modello relazionale.
Cerano naturalmente differenze nel modo in cui i due modelli erano organizzati. I teorici del modello
pulsionale almeno in nord America pensavano di muoversi in una tradizione concettuale condivisa.
Nella maggior parte dei casi costruivano sulle formulazioni elaborate da altri prima di loro. Usavano un
vocabolario comune, appartenevano agli stessi gruppi professionali e pubblicavano sulle stesse riviste.
I teorici del modello relazionale, invece, nella maggior parte dei casi non avevano affiliazioni professionali
comuni tra loro. I loro vocabolari e molte delle loro sensibilit erano molto diversi fra loro. Lidea alla base
della creazione di un ombrello sotto il quale riparare tutte queste teorie consisteva nel definire lesistenza e
il valore di un modello psicoanalitico costruito su premesse alternative a quelle sostenute dagli ambienti
nordamericani predominanti. Lombrello doveva essere molto ampio per contenere queste idee anche
lontane, ma copriva un terreno in cui potesse emergere quella che Mitchell e io consideravamo
unalternativa veramente psicoanalitica al modello pulsionale.

Avendo definito un modello relazionale che poteva essere estrapolato dal lavoro dei teorici che lavoravano
in modo indipendente e con implicazioni diverse, entro la fine degli anni 80 Mitchell stava costruendo una
teoria integrata e coesa sua propria (Mitchell, 1988). Partendo dai contributi di autori che secondo noi
partivano da principi relazionali, Mitchell propose una sintesi che avrebbe reso possibile vedere tutti i
fenomeni psicodinamici entro una matrice relazionale multiforme che temga conto dellorganizzazione del
s, degli attaccamenti agli altri (oggetti), delle transazioni interpersonali e del ruolo attivo dellanalizzando
nella continua ricreazione del suo mondo soggettivo (1988, p. 8, corsivo in originale). Con questa
integrazione Mitchell ha creato una psicoanalisi relazionale che non pi un ombrello. Il suo lavoro ha dato
un nuovo significato al termine che ora descrive una scuola di pensiero coesa e ampia che compete con
altre in un mercato psicoanalitico sempre pi diversificato.
Allinizio degli anni 90 la psicologia del s di Kohut, la psicoanalisi relazionale di Mitchell, e le teorie dei
rapporti oggettuali derivate dallopera di Klein e Bion, insieme alla tradizione interpersonale pi consolidata,
divennero influenti sulla scena psicoanalitica nordamericana. Molti analisti che non si trovavano pi a loro
agio con il potenziale teorico e/o clinico del modello pulsionale di Freud e con le modifiche apportate dalla
psicologia dellio furono attratti dai punti di vista alternativi. Temendo, e a volte incontrando, lesclusione dal
discorso dominante, gli aderenti al pensiero della psicologia del s e alle teorie relazionali crearono le loro
organizzazioni, programmi di training, riviste e conferenze. In questo modo fecero affidamento su una tattica
che Freud aveva usato fin dallinizio per proteggere la sua fragile disciplina dagli assalti di un ambiente
medico e accademico potente e ostile. Hanno creato organizzazioni autonome nelle quali si potevano
sviluppare le idee senza dover affrontare le critiche delle autorit costituite.
Si tratta di un percorso che era gi stato seguito spesso nella storia della psicoanalisi: nuove idee diventano
movimenti (per prendere a prestito unespressione di Freud stesso, 1914a), si creano delle istituzioni per
proteggerle e il campo si suddivide. Ma alla fine del ventesimo secolo lesito stato diverso rispetto al
passato. Storicamente una volta che i gruppi erano stati esclusi, le conversazioni tra i loro membri e gli
aderenti alle istituzioni erano semplicemente cessate. Adler e Jung ruppero con Freud cento anni fa e i
contatti tra i loro seguaci e gli analisti tradizionali sono ancora molto pochi. Ma dagli anni 80 in poi le nuove
idee sono state liberamente diffuse nella comunit pi ampia. I rappresentanti della psicologia del s, i
teorici della teoria delle relazioni oggettuali di scuola kleiniana e bioniana, della psicoanalisi relazionale e
del pensiero interpersonale venivano invitati con sempre maggiore frequenza a presentare le loro idee agli
istituti locali dellAmerican Psychoanalytic Association e addirittura agli incontri annuali dellassociazione.
Queste presentazioni non necessariamente convertivano il pubblico a tutte le idee sostenute da quelle
teorie. Certamente alcuni freudiani sono diventati psicologi del s, altri teorici delle relazioni oggettuali e altri
analisti relazionali, ma la maggior parte non ha cambiato posizione. La narrativa freudiana continua ancora
a essere usata ampiamente. Ci che invece successo che gli analisti hanno adottato alcuni principi da
altre nuove teorie e li hanno integrati nella loro cornice concettuale. Ci ha portato allo sviluppo di quello
che stato chiamato il pluralismo psicoanalitico che descrive due modi piuttosto diversi di vedere il
panorama teorico.
Se lo vogliamo definire in modo prudente, il pluralismo si riferisce allampio riconoscimento che esiste una
gamma di punti di vista psicoanalitici legittimi, sia che ci sia uno scambio di idee tra i loro aderenti o meno.
Ma visto in modo pi radicale, il pluralismo permette di dire che ogni analista ha idee concorrenti e a volte
incompatibili che si possono arricchire o contestare a vicenda. Poich queste idee sono contenute nel
pensiero di tutti tranne che dei pi rigidi, sono pochi gli analisti che lavorano in accordo con i principi
teorici o clinici di una sola teoria unificata (forse nessuno). Invece noi viviamo in un gran miscuglio teorico
e la maggior parte degli analisti trae i suoi principi da diversi sistemi formali.
La tendenza al pluralismo definito nel modo pi radicale ha cominciato a essere notata nella letteratura
anglofona negli anni 80. Ma interessante notare che era emersa molto tempo prima negli scritti degli
analisti attivi a Rio de la Plata in America Latina. Ci sono molti paralleli interessanti tra il lavoro di questi
teorici e di quelli nordamericani che ho descritto finora, ma il tempo non mi permette di parlarne stasera.
Nella letteratura in lingua inglese, in un articolo del 1983 che rimane ancoroggi importante, Joseph Sandler
ha scritto che la maggior parte degli analisti lavora con teorie private che mescolano le sensibilit di vari
sistemi formali. E quattro anni dopo la parola pluralismo stata usata per la prima volta nel Journal of the
American Psychoanalytic Association per descrivere lo stato della teoria psicoanalitica. Arnold Cooper ha
notato i profondi cambiamenti della teoria psicoanalitica che stanno avvenendo silenziosamente il
pluralismo teorico oggi prevalente.
Gli analisti hanno reazioni diverse alla nuova psicoanalisi pluralista. Alcuni la abbracciano come una
liberazione dal letto di Procuste del passato, altri la piangono come labbandono del rigore teorico e clinico.

Ma comunque uno si senta, evidente che la versione pi radicale del pluralismo si allontana
profondamente e permanentemente dalla visione originale di Freud della sua creazione. La convinzione che
ci sia un legame intrinseco tra la struttura narrativa e i modelli della mente non tiene pi.
Perch sia cos dovrebbe risultato chiaro da due articoli importanti che furono pubblicati nel 1988. Fred
Pine, riconoscendo che gli analisti apprezzano e usano diversi punti di vista nel lavoro con i pazienti,
sosteneva lapproccio che ha chiamato delle quattro psicologie. A seconda del paziente o della fase
dellanalisi in cui il paziente si trova, lanalista pu scegliere di vedere le cose attraverso la lente chiamata
psicologia delle pulsioni, dellio, delle relazioni oggettuali e del s. bene notare che queste psicologie
provengono dai principali sistemi concettuali che alla fine degli anni 80 si facevano concorrenza per il
predominio nella comunit psicoanalitica. Nella sua forma originaria ciascuna psicologia dotata della sua
struttura narrativa e del suo modello della mente.
Nello stesso anno vi fu la pubblicazione del modello relazionale integrato di Stephen Mitchell. Lambizione
di Mitchell era ancora maggiore di quella di Pine, che si limitava ad offrire una miscela clinica, una specie di
dispensa di concetti da cui lanalista poteva prendere lingrediente che gli serviva in quel momento. Questo
prestito non disturbava il modello sottostante delle quattro psicologie. Mitchell, invece, voleva a creare un
modello applicabile in modo pi ampio, unalternativa alla teoria freudiana delle pulsioni che non solo
fornisse una guida clinica ma che spiegasse lo sviluppo umano, leziologia della psicopatologia e
lesperienza umana in generale. A differenza di Pine, Mitchell ammetteva che la sua nuova visione
comportava il ripudio della metapsicologia evoluta (1988, p. 1-2), tuttavia non arrivava a proporre un
modello completo della mente che la sostituisse.

Prendiamo il fato della metapsicologia in seguito a questi sviluppi. La diffusa adesione al pluralismo e ai
modelli integrati ha permesso agli analisti di mescolare interpretazioni cio linee narrative da diversi
sistemi concettuali per creare una combinazione personale e idiosincratica di ciascun analista e per il suo
lavoro con diversi pazienti. Si potrebbe sostenere che almeno fare questo non compromette la coerenza del
lavoro clinico. Nel migliore dei casi segna ogni incontro analitico con un modo di capire il funzionamento
della diade analitica costruito reciprocamente e alla fine anche la storia della vita dellanalizzando. Ma se
narrazioni multiple non sono solo possibili ma inevitabili, cosa succede al collegamento tra i racconti creati
dalla diade analitica al suo interno e un modello della mente che si presume rifletta unimmagine universale
e immutabile di un evento materiale?
Il collegamento viene distrutto e con esso limportanza centrale di costruire un modello della mente. Una
pratica clinica pluralistica non pu sostenere lo scopo freudiano di pensare metapsicologicamente, di
rappresentare i processi psicologici come stati determinati quantitavamente di particelle materiali
identificabili in modo che la comprensione del loro funzionamento sia priva di contraddizioni (1895, p.
295). Secondo quello che dice Freud stesso, la sola prova che potrebbe convincerci ad aderire a un
modello piuttosto che a un altro di tipo clinico. Anche se a volte egli esprime la speranza che un giorno
possano emergere dati anatomici che confermino le speculazioni metapsicologiche, nella maggior parte dei
casi Freud riconosce che questo un pio desiderio. Quindi, perch abbiano valore i modelli debbono
prescrivere strategie cliniche: interpretare il conflitto tra pulsioni e difese, come previsto dal modello
strutturale; affrontare le esperienze formative di rispecchiamento e idealizzazione, come previsto dalla
visione di Kohut di un s bipolare; affrontare le spinte pi primitive e i terrori a cui danno origine e le difese
proiettive/introiettive come insegnano i kleiniani, ecos via.
Tutte le teorie che Pine invoca e la maggior parte delle teorie che Mitchell ha inserito nella sua sintesi (ad
eccezione forse di quella di Winnicott) sono complete in s e quindi si escludono reciprocamente e restano
ciascuna con le sue implicazioni cliniche. Quindi, se gli analisti nei loro uffici potevano muoversi
agevolmente tra narrazioni derivate da modelli incompatibili della mente, e lo hanno fatto, che valore hanno
questi modelli? Schafer, Gill, George Klein e altri hanno attaccato direttamente e in modo convincente il
collegamento tra narrazione e metapsicologia negli anni 70. Le integrazioni cliniche di Mitchell e Pine negli
anni 80 sono andate avanti nella stessa direzione. Alcuni analisti considerano questi sviluppi come
labbandono della fragile verit faticosamente scoperta da Freud e dai suoi seguaci. Altri li apprezzano
perch forniscono una cornice che contiene la flessibilit clinico/narrativa che trovano necessaria nel loro
lavoro quotidiano con i pazienti. Ma sia che si fosse daccordo o meno con le critiche che le si conoscesse
o meno la marea della pratica analitica stava spazzando via ledificio sistematico che definiva la
psicoanalisi per Freud e per la seconda generazione di freudiani.

Ho detto sopra che nella regione di Rio de la Plata in America Latina a partire dagli anni 60 gli analisti,
seguendo Jose Bleger e Willy Baranger, dicevano con chiarezza si trattava non solo di una tensione ma di
una contraddizione tra teoria psicoanalitica e pratica psicoanalitica. Un decennio dopo idee simili emerse in
nord America hanno portato a discutere dei principi fondamentali alla base della ricerca psicoanalitica.
Cos nel 1994 lInternational Journal of Psychoanalysis organizz una conferenza per celebrare il suo 75
anniversario. Il tema della conferenza, La concettualizzazione e comunicazione dei fatti clinici fu suddiviso
in cinque sezioni la prima delle quali era intitolata Cos un fatto clinico? Gli articoli che affrontavano
questo argomento erano dettagliati e sofisticati ma ripensandoci ora la domanda iniziale sembra strana,
come se ci fossero dei fatti che non sono fatti clinici.
Ma nel contesto della storia della ricerca psicoanalitica si poteva forse si doveva porre questa domanda
perch solo i fatti derivati da un certo metodo di osservazione venivano considerati fatti clinici. Come
scrive Robert Caper nella sua risposta alla domanda: un fatto clinico il prodotto di un apparato di
osservazione molto complesso e delicato, cio quello che lui ha definito il setting psicoanalitico (1994, p.
905). Cos centanni dopo la sua costituzione come disciplina, lidea di Freud che la situazione
psicoanalitica sia lunica fonte valida di dati psicoanalitici era ancora sostanzialmente rispettata.
La formulazione di Caper, come quella di Freud, non solo esclude le osservazioni fatte al di fuori della
stanza analitica, implica anche una definizione particolare di ci che costituisce la situazione psicoanalitica.
Gli echi del carisma e dellautorit di Freud sono trasmessi a una nuova generazione di analisti
nordamericani e continuano a farsi sentire. La situazione psicoanalitica rimane essenzialmente quella che le
autorit costituite dicono che sia. Per molo tempo in nord America ci ha significato che dati psicoanalitici
validi possono essere raccolti solo da un analista che segue una tecnica ancorata ai principi di neutralit,
astensione e attenzione regolarmente fluttuante che ascolta in silenzio un paziente nevrotico che fa libere
associazioni disteso sul lettino.
Per tutti gli anni 60 e 70 questo metodo di osservazione non veniva tanto descritto quanto presunto. Cos
Rudolph Loewenstein cominci un articolo intitolato Osservazioni su alcune variazioni nella tecnica
psicoanalitica dicendo: Dar per scontate le caratteristiche essenziali della tecnica psicoanalitica classica
(1958, p. 202). Pur riconoscendo che molti analisti intuitivamente cambiano il loro approccio con alcuni
pazienti, in generale quelli che ricadono in categorie diagnostiche o psicodinamiche atipiche, il concetto che
ci sia una tecnica standard sulla quale misurare queste variazioni e per mezzo della quale si raccolgono i
dati importanti non viene sostanzialmente messa in discussione.
La pratica della tecnica standard e la raccolta di quelli che erano considerati dati psicoanalitici validi erano
considerate inestricabilmente connesse. A volte questo collegamento era giustificato da un uso sfacciato
del ragionamento circolare. Si ipotizzava che un analista che seguisse la tecnica corretta avrebbe trovato
quello che cera da trovare e se non lavesse trovato questo avrebbe ipso facto discreditato la metodologia.
Prendete ad esempio questo commento di Leo Rangell in una discussione importante spesso citata sulle
differenze tra la psicoanalisi e la psicoterapia. Rispondendo a un articolo sullargomento di Frieda FrommReichmann (1954) in cui lautrice si chiedeva se la paura di castrazione e il complesso di Edipo fossero
sempre al cuore della patogenesi, Rangell scrive:
Certi studi tendono a mettere in dubbio lesistenza universale dei complessi di castrazione e di Edipo La
validit di queste risultanze negative per non dipende forse dalla portata clinica del metodo investigativo
adottato? Il mancato rinvenimento di dati a conferma non disturba seriamente le teorie esistenti quando, per
esempio, il metodo usato non rivolto principalmente allinconscio (1954, p. 735).
Una tecnica corretta porter a dati corretti. Risultanze inattese significano che la tecnica usata non andata
abbastanza a fondo nellinconscio. Questa tautologia ha dominato il panorama psicoanalitico per anni
rendendo difficile alle nuove idee o alle nuove metodologie attrarre una considerazione seria tra gli analisti
classici. I fatti che potrebbero interessare gli psicoanalisti i fatti clinici devono avere origine nelle
osservazioni di un analista che usa la tecnica standard.
Le strutture organizzative e politiche della psicoanalisi dominante sostenevano e perpetuavano il
collegamento ipotizzato e forse desiderato tra metodo e risultanze. La certificazione degli analisti in training
presso lAmerican Psychoanalytic Association e il relativo controllo delle analisi di training e delle
supervisioni consistevano proprio in questo, cio garantiva che gli analisti approvati avrebbero seguito le
tecniche approvate e che sarebbero arrivati a risultati approvati. Le variazioni potevano essere causa di
esclusione, una pratica che in una certa misura continua anche oggi.

C in realt un collegamento inerente tra tecnica standard come unico metodo legittimo di osservazione
per generare dati psicoanalitici e lidea che il complesso di Edipo sia eziologicamente e
psicodinamicamente centrale. Non per il collegamento che proponeva Rangell. Un modo alternativo per
capire la relazione che la costante riscoperta della centralit del complesso di Edipo in ogni trattamento
un artefatto della metodologia stessa. Per esempio, se lunica fonte valida di dati analitici ci che un
osservatore ricettivo pu sentire e inferire dalle parole del paziente che dice cosa ha in mente, ne consegue
che la teoria analitica sar, almeno per la maggior parte, una teoria dellesperienza che pu essere
espressa a parole. Ci necessariamente privilegia lesperienza che comincia a tre o quattro anni det,
quando appare la memoria verbale per la prima volta, quando il bambino pu pi facilmente essere visto
come un agente attivo che persegue motivazioni strutturate (il che facilita le inferenze sulle pulsioni e le
fantasie) e quando le capacit cognitive permettono e impongono che il bambino immagini la partecipazione
di persone che non sono presenti immediatamente (il che facilita le inferenze sulla triangolazione e sul
complesso di Edipo).
Naturalmente fin dallinizio Freud ha tenuto conto del non detto quanto meno da quando Dora si era
messa a giocherellare con il borsellino mentre era sul lettino, Freud si era reso conto del valore
comunicativo di quelli che chiamava atti sintomatici (1905, p. 76). E in seguito sottoline che tutta la nostra
storia personale pu essere e spesso espressa con azioni ripetitive nel transfert (1914b) e anche al di
fuori del transfert (1920). Ma queste eruzioni non verbali possono solo dare suggerimenti, e sono utili solo
nella misura in cui trasmettono significati che possono poi essere verbalizzati. Alla fine i dati psicoanalitici
consistono in ci che pu essere detto. Questa idea stata decisiva nel formare il corso delle teorizzazioni
di Freud e dei suoi interpreti nordamericani pi influenti, che ritenevano che gli eventi degli anni a partire
dallemergere della memoria verbale costituissero le fondamenta eziologiche. Tutto ci che avviene prima
ha un influsso solo attraverso il suo impatto sulla mente del bambino pi grande.
Laver privilegiato le parole in quanto dati ha portato Freud a fare le sue scelte teoriche fondamentali, tra le
quali ci sono l concetti che la fantasia d forma allesperienza con maggiore forza delleffetto degli eventi
esterni, compresi i traumi precoci; che le relazioni con il padre anche se assumono importanza solo in un
momento successivo dello sviluppo sono probabilmente alla radice della psicopatologia nevrotica pi delle
relazioni con la madre; che lesperienza triangolare ha maggiore significato eziologico dellesperienza
diadica; che il conflitto intrapsichico, che presuppone lesistenza di strutture psichiche ragionevolmente
stabili, pi centrale per la patogenesi delle carenze ambientali.
Il sistema comincia con lipotesi che la sola fonte valida di dati analitici sia la situazione analitica classica e
che lunico modo di essere un analista consista nel fare una terapia classica. Questa prospettiva stata
imposta dal modello di training seguito dagli istituti psicoanalitici negli anni 50. Non sorprendente che le
risultanze derivanti da questi dati confermino una teoria che postula la mente ormai strutturata di un
bambino edipico o post-edipico. Ancora nel 2002 Charles Banner sosteneva la centralit delle narrazioni
edipiche scrivendo che: Il modo in cui funziona la mente nella tarda infanzia e nellet adulta rappresenta
lesito dei conflitti e delle formazioni di compromesso dei secondi tre anni di vita, influenzati e modellati
anche da ci che successo nei primi tre anni di vita. Ancora una volta il vertice di osservazione, la
struttura narrativa e la metapsicologia convergono.
Ma a partire dagli anni 60 e 70 (e ancora oggi) la singolarit di questa metodologia stata sempre pi
messa in discussione. E man mano che gli analisti abbracciavano nuovi vertici di osservazione e da queste
osservazioni traevano nuovi dati, anche le tradizionali formulazioni dinamiche di Rangell, Brenner e altri
sono state messe in discussione. Anche se potevano non essere stati notati mentre avvenivano, a posteriori
si pu vedere che questi due cambiamenti erano profondamente collegati tra loro.
Due spostamenti metodologici molto diversi hanno contribuito al cambiamento e ciascuno di essi
avvenuto separatamente nel lavoro di studiosi diversi. Entrambi partecipavano alla discussione dominante
subendo forti critiche e laccusa di minacciare il processo psicoanalitico. Nonostante le grandi differenze tra
i due, entrambi hanno ottenuto leffetto di introdurre nuovi fatti clinici che attiravano lattenzione teorica e
clinica sul significato dinamico dei primi anni di vita.
Uno di questi metodi proponeva di generare fatti clinici mediante osservazioni extra-cliniche. A partire dagli
anni 60 Margaret Mahler pubblic studi che riferivano delle sue osservazioni su bambini molto piccoli
durante le interazioni con le loro madri. Le osservazioni di Mahler suscitarono subito controversie perch
erano basati su comportamenti visti dallesterno delle interazioni nella diade madre-bambino. Il suo
approccio era osteggiato da molti colleghi al New York Psychoanalytic Institute che sostenevano che i dati
psicoanalitici potevano essere scoperti solo nel processo pdicoanalitivo.

Oggi c ancora notevole disaccordo sul fatto che losservazione delle interazioni tra madri e bambini sia una
fonte valida di dati psicoanalitici. La critica principale che queste osservazioni non hanno lelemento della
soggettivit, ma nonostante questi dissensi, il metodo ha vissuto una crescita tumultuosa ed ha avuto
grande influenza su molti psicoanalisti. La sua applicazione stata sia ampliata (a interazioni che
avvengono nei primi attimi di vita) che approfondita (registrazioni filmate permettono unanalisi delle
interazioni minuto per minuto). Particolarmente importanti per il pensiero degli analisti relazionali, degli
psicologi del s e dei teorici dellattaccamento, i sostenitori dellutilit di queste osservazioni sostengono che
esse illuminano la psicodinamica individuale, la natura del processo psicoanalitico e il problema dellazione
terapeutica.
Allincirca nello stesso periodo in cui Mahler partiva dalle osservazioni del comportamento manifesto al di
fuori del setting clinico per influenzare le teorizzazioni psicoanalitiche, altri teorici cercavano di approfondire
il processo analitico stesso. Ma cercavano in una direzione diversa rispetto al passato, non nelle
associazioni del paziente bens nellesperienza dellanalista e nel controtransfert.
noto che Freud aveva evitato di discutere il controtransfert. I pochi riferimenti nei suoi scritti alla possibilit
che gli analisti possano provare sentimenti potenti per i loro pazienti erano avvertimenti che invitavano ad
evitarli o quanto meno a tenerli sotto controllo (1915b, p. 163). Ci sono pochi riferimenti al controtransfert
nella letterature precedente al 1950 e ripetono le preoccupazioni e gli avvertimenti di Freud. Non solo i
freudiani ma anche gli interpersonalisti consideravano i sentimenti dellanalista un pericolo e certo un
ostacolo alla conoscenza. In un articolo sullapproccio di Harry Stack Sullivan al trattamento, Mary White
notava che Sullivan avvertiva che il terapeuta che prova rabbia o irritazione verso un paziente ha bisogno
di aiuto terapeutico anche lui (1977, p. 321). Un discorso simile si pu trovare negli scritti di Clara
Thompson, anche se Thompson (1952) distingue tra quelle che considera reazioni affettive nevrotiche
dellanalista e quelle che sono innescate dal comportamento o dalla personalit del paziente.
Ma a partire dagli anni 50 gli analisti in varie parti del mondo provenienti da tradizioni teoriche diverse
hanno cominciato a riferire casi in cui hanno usato il loro controtransfert come fonte di dati sugli eventi
dellanalisi e quindi sul mondo degli oggetti interni del paziente (Heimann, 1950; Racker, 1957; Reich, 1951;
Tower, 1956). Queste relazioni allinizio sono state salutate con cautela dagli analisti nordamericani, che in
generale erano meno entusiasti dellattenzione prestata allesperienza interna dellanalista rispetto ai loro
colleghi europei e latinoamericani. Mentre raccogliere dati dal controtransfert non mai stato considerato
non analitico nel modo in cui erano considerate le osservazioni extracliniche di Mahler, usare i sentimenti e
le fantasie degli analisti come qualcosa di pi di un segnale di avvertimento era considerato da molti una
proposizione rischiosa. Rispondendo due decenni dopo a quella che era diventata una forte tendenza a
tenere conto dei dati del controtransfert, Charles Brenner disse che questa scelta troppo spesso tender a
dimostrarsi un ostacolo per il lavoro analitico (1985, p. 162).
Progressivamente per sempre pi analisti sono arrivati a ritenere che gli aspetti della partecipazione
dellanalista non solo ci che pensiamo o sentiamo consciamente, ma anche ci che registrato
inconsciamente ed espresso con lenactment possano contribuire alla comprensione del mondo interiore
del paziente (Levenson, 1972; Sandler, 1976; Chused, 1991; Jacobs, 1991; McLaughlin, 1991).
Comprendere il comportamento e lesperienza dellanalista tra i fatti psicoanalitici veniva sempre pi
accettato, tanto che nel 1995 Glen Gabbard poteva definire la fiducia nel valore dei dati del controtransfert
come un terreno comune emergente condiviso da analisti di varie scuole teoriche.
Mentre si sviluppava in tanti setting diversi e nel lavoro di teorici molto diversi, la sensibilit che emergeva
dal comprendere lesperienza del controtransfert nei fatti clinici convergeva con la visione derivante dal
nuovo vertice di osservazione introdotto dallopera di Mahler. Sia Mahler, che guardava allo sviluppo
dallesterno della diade che interagiva, che i teorici dellenactment e del controtransfert che guardavano dal
profondo dellinterno, mettevano in luce limportanza di tenere conto nella teoria dei dati pre-verbali e non
verbali. I fatti clinici oggi comprendono lespressione dei contenuti psichici che non possono essere
simboleggiati e tanto meno verbalizzati e che quindi possono solo essere comunicati e osservati nellazione,
nellinterazione e nelle esperienze incorporate. Ci porta inevitabilmente a tenere conto dellimportanza
degli sviluppi pre-edipici sia nella teoria che nella pratica. Quando non tutti i dati sono verbali, non tutte le
narrazioni sono edipiche.
Linteresse per le nuove possibilit narrative era diffuso alla fine degli anni 80. Molti teorici che per altri
aspetti avevano poco in comune erano passati dallaffermare la centralit del complesso di Edipo ad
abbracciare una valutazione positiva condivisa del significato dinamico dei primi anni di vita. I teorici dello
sviluppo mahleriani e post-mahleriani trovavano la loro strada per gli anni pre-edicipi nelle osservazioni
extracliniche, mentre altri arrivavano a conclusioni simili con lanalisi del controtransfert e la consapevolezza

dellenactment. Inoltre cerano psicologi del s che dichiaravano che la loro posizione di ascolto empatico li
sensibilizzava ai bisogni evolutivi insorti allinizio della vita, kleiniani le cui interpretazioni profonde si
concentravano su desideri e paure arcaici, bioniani la cui attenzione per la funzione di contenimento
dellanalista metteva in luce il significato dinamico delle proto-esperienze insopportabili e indicibili,
winnicottiani che ritenevano che lanalista fornisse un ambiente di holding nel quale potesse emergere il
vero s nascente, le femministe che erano partite per correggere il radicale evitamento di Freud dellimpatto
dinamico delle madri e della funzione materna e i teorici dellattaccamento che sottolineavano la ricreazione
nella relazione analitica della prima esperienza di riconoscimento, sintonia e regolazione degli affetti che
trascende le parole e anche i significati.
Un modo per riassumere questo cambiamento consiste nel dire che nel corso del tempo il fulcro narrativo
nella mente di molti se non di tutti gli psicoanalisti nordamericani si spostato dallirriducibile centralit del
conflitto con le sue formazioni di compromesso verso lattenzione per il ruolo eziologico centrale di un
concetto di trauma definito in termini ampi (col suo corredo di deficit psichico). Ci ha sollecitato alcuni a
vedere concetti che sono stati sviluppati in altre parti del mondo ma che erano stati sostanzialmente ignorati
negli Stati Uniti fino a poco fa come per esempio O di Bion e reale di Lacan.
Vorrei notare che cera un terreno ricettivo per questi concetti al di fuori degli ambienti nordamericani
dominanti, in particolare nella tradizione interpersonale. Gi negli anni 30 e 40 Harry Stack Sullivan aveva
sviluppato il concetto di una modalit prototassica incomunicabile di pensiero e il relativo concetto di
esperienza non-me che si forma in reazione a unangoscia intollerabile. Le idee di Sullivan completavano
lattenzione per le esperienze preverbali tratte dallosservazione dei bambini e dalla teoria
dellattaccamento. Insieme fornivano una cornice che poteva contenere altre versioni di un registro
inconscio non simboleggiato. Si possono trarre interessanti parallelismi tra il pensiero di Sullivan e la
psicologia del s di Kohut e tra il suo lavoro e quello degli autori europei, ma questo ci porterebbe al di l
dellambito della nostra serata.
Le trasformazioni che vi ho descritto hanno portato a un nuovo fulcro nella concettualizzazione del processo
analitico e dellazione terapeutica che ancora in corso di sviluppo. Potremmo dire cos: il passaggio dalla
narrazione edipica a quella pre-edipica che ha caratterizzato il dialogo psicoanalitico negli anni 80 e 90 ha
lasciato il passo a una nuova attenzione per la capacit dellanalizzando di costruire narrazioni. In altre
parole, laccento sta passando al facilitare la capacit di simboleggiare lesperienza. Lo sviluppo stato
lento in nord America perch la cosiddetta tecnica classica aveva una posizione privilegiata e in molti
settori oggi laccento non tanto sul capire la storia personale quanto su quello che Thomas Ogden,
prendendo un po a prestito da Bion, ha chiamato il lavoro che facciamo psichicamente con la nostra
esperienza vissuta. Da questo punto di vista, il processo analitico tende a facilitare nuove modalit di
pensiero attraverso le quali si possa fare questo lavoro. La vivacit psichica e la creativit sono privilegiate
sulla scoperta delle verit nascoste. Lo scopo dare spazio a nuovi modi di pensare o addirittura rendere
possibile pensare laddove non era possibile farlo.
Oggi il sogno centenario di Freud di una disciplina che abbracciasse ipotesi condivise in cui unautorit
centrale presiedeva sulla pratica e sullo sviluppo della teoria ormai distrutto. Al suo posto c una
comunit frammentaria che, paradossalmente, condivide un panorama comune, un campo dinamico in cui
le relazioni diadiche e triangolari svolgono un ruolo vitale, in cui linconscio dellanalista e la sua
partecipazione conscia danno forma allincontro psicoanalitico, in cui la comunicazione non verbale e
verbale abbastanza potente da poter condurre alla creazione di significati condivisi o da devastare il
trattamento. Divisi dalle loro teorie forse gli psicoanalisti sono uniti da una fiducia condivisa nel valore del
loro progetto, nei benefici unici di ci che la prima paziente di Josef Breuer, Anna O, pi di centanni fa
aveva chiamato la cura della parola.

JAY R. GREENBERG
Psicoanalista americano che esercita la sua attivit a New York. Analista di training del William Alanson
White Institute. Autore di Le relazioni oggettuali nella teoria psicoanalitica, Ed. Il Mulino, 1987, con Stephen
Mitchell, e di Oedipus and Beyond: A Clinical Theory, Harvard University Press, 1991. Editor della rivista
The Psychoanalytic Quarterly da gennaio 2011, dopo essere stato Editor per il Nord America
dellInternational Journal of Psychoanalysis dal 2007 al 2010.

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