Você está na página 1de 50

Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi

02/01/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Amare la vita, far nascere Dio in s


II Domenica dopo Natale In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era
Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto stato fatto per mezzo di lui e senza di lui
nulla stato fatto di ci che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la
luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta. [...] Veniva nel mondo la luce
vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo stato fatto per mezzo di
lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti per lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono
nel suo nome, i quali, non da sangue n da volere di carne n da volere di uomo, ma da Dio
sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. Dopo il
Natale di Ges viene il nostro natale: a quanti l'hanno accolto ha dato il potere di diventare
figli di Dio. Sintesi estrema del Vangelo: per questo venuto, stato crocifisso ed risorto.
Ci troviamo proiettati nel centro incandescente di tutto ci che accaduto e che avverr.
C' un potere in noi, non una semplice possibilit, ma di pi, una energia, un seme potente:
diventare figli di Dio. Il Figlio si fa uomo perch l'uomo si faccia Figlio. Come si diventa
figli? In tutte le Sacre Scritture figlio colui che continua la vita del padre, gli assomiglia,
si comporta come Dio: nell'amore offerto, nel pane donato, nel perdono mai negato.
Diventare figli una concretissima strada infinita. Una piccola parola di cui trabocca il
Vangelo, ci spiega con semplicit il percorso. La parola l'avverbio come. Che da solo non
vive, che rimanda oltre, che domanda un altro: Siate perfetti come il Padre, siate
misericordiosi come il Padre, amatevi come io vi ho amato, in terra come in cielo. Come
Cristo, come il Padre, come il cielo. Ed aperto il pi grande orizzonte. Non realizzerai
mai te stesso se non provi a realizzare Cristo in te. Io non sono ancora e mai il Cristo, ma
io sono questa infinita possibilit (David Maria Turoldo). Pi Dio equivale a pi io. Pi
divinit in me significa pi umanit. Dio intensificazione dell'umano. Il Padre genera e
comunica vita. Figlio diventi tu quando solleciti negli altri le sorgenti della vita; quando
ridesti luce e calore, generi pace e alleanza, ridoni speranza. Dio amore; come
assomigliare all'amore? Nel Vangelo il verbo amare ha sempre a che fare con il verbo dare:
non c' amore pi grande che dare la vita. Vita contiene tutto ci che possiamo mettere
sotto questo nome: gioia, libert, coraggio, perdono, generosit, pane, luce, leggerezza,
energia. In lui era la vita e la vita era la luce. Cerchi luce? Ama la vita, prenditene cura,
contiene Dio, da Lui contenuta. Amala, con i suoi turbini e le sue tempeste, ma anche, e sia
sempre pi spesso, con il suo sole e le sue rose. E poi vai, amorosamente, l dove la vita
chiede aiuto, sentendo in te la ferita di ogni ferita. Ha fatto risplendere la vita, ma i suoi
non l'hanno accolto. Io non rifiuto Dio, ma neppure lo accolgo. Questo il dramma.
Rimango a mezza strada, perch so che Dio in me brucia, non mi lascia indenne. Ma se
Dio fosse nato anche mille volte a Betlemme, ma non nasce in te, allora nato invano
(sant'Ambrogio). (Letture: Siracide 24,1-4.8-12; Salmo 147; Efesini 1,3-6.15-18; Giovanni
1,1-18)
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
08/01/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed
Ognuno il prediletto di Dio

Enviar

Battesimo del Signore Anno B In quel tempo, Giovanni proclamava: Viene dopo di me
colui che pi forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi
sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzer in Spirito Santo. Ed ecco, in
quei giorni, Ges venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E,
subito, uscendo dall'acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come
una colomba. E venne una voce dal cielo: Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il
mio compiacimento. Ges il figlio che si fa fratello, che si immerge solidale non tanto
nel Giordano, quanto nel fiume dell'umanit, che sempre scorre a rischio sul confine tra
deserto e terra promessa, tra fallimento e fecondit della vita. Lo fa perch ogni fratello
possa diventare figlio. Il cuore del Vangelo di Marco in questa parola: Tu sei mio figlio
amato. La lieta notizia una calda voce di padre che ti chiama figlio. Sostanza di ogni
battesimo: ognuno il figlio prediletto di Dio. Dio preferisce ciascuno. Uscendo dall'acqua
vide i cieli aprirsi. Il mondo nuovo si presenta come una apertura del cielo: il cielo si apre,
vita ne entra, vita ne esce. Si apre e accoglie, come quando si aprono le braccia agli amici,
ai figli, ai poveri, all'amato. Il cielo si apre, sotto l'urgenza dell'amore di Dio, l'impazienza
di Adamo, l'assedio dei poveri, e nessuno lo richiuder pi. Si apre e dona. Su ogni figlio
scende una colomba simbolo dello Spirito, respiro di Dio. Questa immagine del cielo
aperto continua a indicare la nostra vocazione: alzare gli occhi su pensieri altri, su vie alte
che sovrastano le nostre vie; sentire che nella nostra vita sono in gioco forze pi grandi di
noi; che dipendiamo da energie che vengono da altrove, da una fonte fedele e che non
viene meno, che alimenta la nostra vita; che non abbiamo in noi la sorgente di ci che
siamo. Con questa fede possiamo anche noi aprire spazi di cielo sereno, da cui si affacci la
giustizia per la nostra terra, dono che diventa conquista. Possiamo aprire speranza, abitare
la terra con quella parte di cielo che la compone. Allora ti prende come una nostalgia, un
desiderio di fare qualcosa che assomigli a ci che detto di Ges: Pass facendo del
bene, guarendo la vita da ogni sorta di male (At 10); sintesi ultima, essenziale, struggente
e bellissima della vicenda di Ges, ma anche di ognuna delle nostre vite. Passare facendo
del bene il senso del nostro pellegrinaggio sulla terra. Passare fra le cose e le persone
senza prendere, solamente amando, donando, perdonando, accendendo, aprendo spazi di
cielo sereno. Lo far ricordando che Dio non spegner uno stoppino dalla fiamma
smorta (Is 42) che a Lui basta un po' di fumo, lo lavora, lo circonda di cure e di speranza,
gli alita sopra (cf Gn 2, 7) fino a che ne sgorghi di nuovo la fiamma. L'uomo non mai
finito per sempre. Ricordando il Dio dell'umile presagio di fuoco, Dio della nostra fragilit,
Signore della debole fiamma e della grande speranza! (Letture: Isaia 55,1-11; da Isaia 12; 1
Giovanni 5,1-9; Marco 1,7-11).
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
15/01/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Giovanni disse: ecco l'agnello di Dio


II Domenica Tempo Ordinario-Anno B In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi
discepoli e, fissando lo sguardo su Ges (...) disse: Ecco l'agnello di Dio!. E i suoi due
discepoli, sentendolo parlare cos, seguirono Ges. Ges allora (...) disse loro: Che cosa
cercate?. Gli risposero: Rabb " che, tradotto, significa maestro ", dove dimori?. Disse
loro: Venite e vedrete. Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno
rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le
parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontr

per primo suo fratello Simone e gli disse: Abbiamo trovato il Messia " che si traduce
Cristo " e lo condusse da Ges. Fissando lo sguardo su di lui, Ges disse: Tu sei Simone,
il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa " che significa Pietro. Avere gli occhi di
Giovanni. Vedere Ges venire verso di noi. Riuscire a scorgerlo mentre viene sempre pi
vicino: Dio in cerca di noi, braccia inevitabili. Sentirsi desiderato e cercato, solo questo
che salva le malattie dell'anima. La missione di Ges condensata da Giovanni in una
frase sola: Ecco l'agnello di Dio. Parole folgoranti che a ogni Eucaristia noi rilanciamo
verso i cieli e verso un piccolo pane. Ecco l'agnello, ecco l'animale dei sacrifici, l'ultimo
nato del gregge, il sangue versato, il grido innocente che riempie ogni sera il tempio
nell'ora dei sacrifici. Ecco l'ultima vittima, immolata perch non ci siano pi vittime.
L'ultimo ucciso perch nessuno sia pi ucciso. Dio non chiede a noi sacrifici, si sacrifica
per noi. Non chiede offerte, invece lui che offre se stesso in olocausto. Ecco l'agnello di
Dio: ecco la morte di Dio perch non ci sia pi morte. E noi possiamo solo affacciarci, con
un senso di vertigine, ai bordi di questo abisso. Come i due discepoli di Giovanni che
iniziano a seguire Ges. Che cosa cercate?: prime parole del Ges storico, prime parole del
Cristo Risorto: Donna, chi cerchi? Domande. La storia del rapporto tra Dio e l'uomo una
storia di domande e di ricerca. Entrambi cercatori: uno d'amore, ed l'uomo; l'altro
d'amore, ed Dio. Con questa domanda Ges si rivolge ai nostri desideri profondi, fa
appello non all'intelligenza, non alla volont, non alle emozioni o alle scelte, ma a qualcosa
di pi vitale e profondo ancora, fa appello al cuore. Cuore incompiuto. Ges, maestro del
desiderio, ti chiede di comprendere te stesso: che cosa ti manca, di che cosa hai fame,
quale sete urge. Solo avviando queste risposte, troverai la tua identit, incompiuta e
incamminata. Ogni cuore d'uomo porta scritto: pi in l! Ges non chiede innanzitutto
sacrifici, rinunce, impegni e sforzi. Ti chiede di entrare dentro te stesso, di conoscere il tuo
cuore, di pellegrinare verso il tuo intimo, per capire che cosa ti appaga profondamente, che
cosa sazia le profondit della tua vita, e ti d gioia veramente. Inizio del Vangelo di Ges.
E di ogni cammino spirituale. Dove abiti, Signore? L'esperienza cristiana esperienza
d'incontro, di relazione e poi di fedelt. Si fermarono fino a sera: anch'io lo incontrer solo
se mi fermer, se mi prender del tempo per l'ascolto del cuore, per l'ascolto di quelle
domande che fanno viva finalmente la vita. (Letture: 1 Samuele 3,3-10.19; Salmo 39; 1
Corinzi 6,13-15.17-20; Giovanni 1,35-42).
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
22/01/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

L'uomo fatto per un'altra luce


Terza Domenica Tempo ordinario Anno B Dopo che Giovanni fu arrestato, Ges and nella
Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: Il tempo compiuto e il regno di Dio
vicino; convertitevi e credete nel Vangelo. Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone
e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Ges
disse loro: Venite dietro a me, vi far diventare pescatori di uomini. E subito lasciarono
le reti e lo seguirono. Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedo, e Giovanni
suo fratello, mentre anch'essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiam. Ed essi
lasciarono il loro padre Zebedo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.
Camminando lungo il mare di Galilea, Ges vide" In un giorno qualunque, in un luogo
qualunque Ges cammina e guarda. Vede Simone e in lui intravede Cefa, la Roccia. Vede
Giovanni, ma nel pescatore indovina il discepolo dalle pi belle parole d'amore. Un giorno

guarder l'adultera e in lei vedr non la peccatrice, ma la donna. Il maestro ha camminato


anche in me; mi guarda, e nel mio inverno vede grano che germina, una generosit che non
sapevo di avere, intuisce melodie che non ho ancora espresso. Sguardo che rivela, crea,
coinvolge: Venite dietro a me. Prima parola che contiene tutte le altre; doppia parola che
contiene la strada e il suo perch. I quattro del lago seguono Ges non perch attratti dalla
sua dottrina, ma perch sentono che di lui si possono fidare. Come loro, io ho bisogno di
un Dio affidabile. La mia fede si appoggia su una croce, incredibile (idiozia per i greci e
folla per i giudei) ma affidabile, in cui non c' inganno. Venite dietro a me. Perch? La
ragione di tutto nel pronome personale, dietro a me; il motivo oltre il quale impossibile
risalire Lui. Affidarsi precede la missione: diventare pescatori di uomini. I quattro
sapevano pescare. Ma pescatori di uomini una frase inedita, un po' illogica, nulla di
simile nelle Scritture. E significa: vi far cercatori di uomini, come se foste cercatori di
tesori. Mio e vostro tesoro l'uomo. Voi tirerete fuori gli uomini dall'invisibile, come
quando tirate fuori i pesci da sotto la superficie delle acque, come dei neonati dalle acque
materne, li porterete dalla vita sommersa alla vita nel sole. La vostra missione
intensificare la vita. Cercateli in quel loro mondo dove credono di vivere e non vivono, che
credono vitale e invece senza ossigeno. Mostrate che l'uomo, pur con la sua pesantezza,
fatto per un'altra respirazione, un'altra luce. I pescatori che sapevano solo le rotte del lago,
scoprono dentro di s la mappa del cielo, del mondo, dell'uomo. Come loro ti seguir,
Signore, perch tu avanzi verso la verit dell'uomo, accrescimento sei d'umano, e rendi
sicuro ogni passo, non lasciandoti dietro altro che luce. Ti seguir, Signore, fammi
diventare cercatore del cuore profondo, pescatore di luce sepolta. Ti seguir, anche
percorrendo solo la strada tra il lago e la mia casa, continuando a fare il mio lavoro, ma lo
far in modo luminoso e cos umano che forse parler di Te. Ti seguir, perch mi interessa
solo un Dio affidabile che faccia fiorire l'umano. (Letture: Giona 3,1-5.10; Salmo 24; 1
Corinzi 7,29-31; Marco 1,14-20)
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
25/02/2016
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Dio ama per primo, ama in perdita, senza condizioni


III Domenica Quaresima - Anno C
In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Ges il fatto di quei Galilei, il cui sangue
Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici (...) Ges disse loro: Credete
che quei Galilei fossero pi peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi
dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone,
sulle quali croll la torre di Sloe e le uccise, credete che fossero pi colpevoli di tutti gli
abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso
modo. Diceva anche questa parabola: Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua
vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trov. Allora disse al vignaiolo: Ecco, sono tre
anni che vengo a cercare frutti su quest'albero, ma non ne trovo. Tglialo dunque!(...)" Ma
quello gli rispose: Padrone, lascialo ancora quest'anno, finch gli avr zappato attorno e
avr messo il concime. Vedremo se porter frutti per l'avvenire; se no, lo taglierai.

Che colpa avevano quei diciotto uccisi dalla della torre di Siloe? E i tremila delle Torri
gemelle? E i siriani, le vittime e i malati, sono forse pi peccatori degli altri? La risposta di
Ges netta: smettila di immaginare l'esistenza come un'aula di tribunale. Non c' rapporto
alcuno tra colpa e disgrazia, tra peccato e malattia. La mano di Dio non semina morte, non
spreca la sua potenza in castighi.
Ma se non vi convertirete, perirete tutti. tutta una societ che si deve salvare. Non serve
fare la conta dei buoni e dei cattivi, bisogna riconoscere che tutto un mondo che non va,
se la convivenza non si edifica su altre fondamenta, e non la disonest eretta a sistema, la
violenza del pi forte, la prepotenza del pi ricco.
Mai come oggi capiamo che tutto nel mondo in stretta connessione: se ci sono milioni di
poveri senza dignit n istruzione, sar tutto il mondo ad essere privato del loro contributo,
della loro intelligenza; se la natura sofferente, soffre e muore anche l'uomo.
Su tutti scende l'appello accorato e totale di Ges: Amatevi, altrimenti vi distruggerete. Il
Vangelo tutto qui. Senza questo non ci sar futuro. Alla seriet di queste parole fa da
contrappunto la fiducia nel futuro nella parabola del fico: da tre anni il padrone attende
invano dei frutti, e allora far tagliare l'albero. Invece il contadino sapiente, che un
futuro di cuore, dice: Ancora un anno di lavoro e gusteremo il frutto. Dio cos:
ancora un anno, ancora un giorno, ancora sole pioggia cure perch quest'albero buono;
quest'albero, che sono io, dar frutto.
Dio contadino, chino su di me, su questo mio piccolo campo, in cui ha seminato cos tanto
per tirar su cos poco. Eppure lascia un altro anno ai miei tre anni di inutilit; e invia germi
vitali, sole, pioggia, fiducia. Per lui il frutto possibile domani conta pi della mia inutilit
di oggi.
Vedremo, forse l'anno prossimo porter frutto. In questo forse c' il miracolo della fede
di Dio in noi. Lui crede in me prima ancora che io dica s. Il tempo di Dio l'anticipo, il
suo amore preveniente, la sua misericordia anticipa il pentimento, la pecora perduta
trovata e raccolta mentre ancora lontana e non sta tornando, il padre abbraccia il figlio
prodigo e lo perdona prima ancora che apra bocca.
Dio ama per primo, ama in perdita, ama senza condizioni. Amore che conforta e incalza:
Ti ama davvero chi ti obbliga a diventare il meglio di ci che puoi diventare (R. M.
Rilke). La sua fiducia verso di me come una vela che mi sospinge in avanti, verso la
profezia di un'estate felice di frutti: se ritarda attendila, perch ci che tarda di certo verr
(Ab. 2,3).
(Letture: Esodo 3,1-8.13-15; Salmo 102; 1 Corinzi 10,1-6.10-12; Luca 13,1-9).
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
05/02/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Quando l'ascolto rialza una vita


V Domenica Tempo ordinario - Anno B Ges, uscito dalla sinagoga, subito and nella casa
di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a
letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicin e la fece alzare prendendola
per mano [...]. Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli
indemoniati [...]. Guar molti che erano affetti da varie malattie e scacci molti demni; ma
non permetteva ai demni di parlare, perch lo conoscevano. Al mattino presto si alz
quando ancora era buio e, uscito, si ritir in un luogo deserto, e l pregava. Ma Simone e
quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: Tutti ti

cercano!. Egli disse loro: Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perch io predichi
anche l; per questo infatti sono venuto!. In tre quadri rapidissimi Marco delinea i tratti
del volto di Ges: un uomo che guarisce, prega e annuncia. Nella vita datore di vita; nella
notte cercatore di Dio; nel giorno memoria di Dio agli uomini, e memoria degli uomini a
Dio. Ricordati, supplica Giobbe, che questa vita un soffio, un soffio amaro. Davanti a
Dio non c' altro merito che essere piccoli; un alito basta per essere amati. Ges a Cafarnao
assediato dal soffio del male. C' un crescendo turbinoso di malattie e demoni, e alla sera
la porta della citt scoppia di folla e di dolore. E poi di vita ritrovata. Un giorno e una sera
per pensare all'uomo, una notte e un'alba per pensare a Dio. E poi la vita si diramer verso
altri villaggi, verso un altrove di dolori e di attese. La suocera di Simone era a letto con la
febbre. Miracolo cos povero di apparato, cos poco vistoso, dove Ges neppure parla. Ma
parlano i suoi gesti. Gli parlarono di lei. Ges ha un cuore che ascolta, quel cuore da re che
Salomone aveva chiesto, incantando il Signore. Primo culto a Dio e all'uomo, primo
servizio: l'ascolto. Ges si avvicin. Va verso il dolore, non lo evita, nessuna paura, si
immerge negli occhi della donna. E la prese per mano. La mano nella mano forza
trasmessa a chi stanco, fiducia di ogni figlio bambino verso il padre, desiderio di calore.
Prende la tua mano chi ha amore, la stringe forte chi ha cuore per te. La rialz: Ges eleva
la donna, la riconsegna all'andatura eretta, alla statura alta, alla fierezza dell'andare e del
fare. Mano di Dio quotidiana, quando un volto, un incontro, una parola, un messaggio, una
carezza riaccendono in me la speranza e la strada. E si mise a servire. La guarigione del
corpo ha come scopo la guarigione del cuore, il servizio amoroso a ogni vita. La mano che
ti solleva riaccende la fretta dell'amore e dice: guarisci altri e guarir la tua vita. Andiamo
altrove. Ges cerca ancora terre di dolore, cerca le frontiere del male per farle arretrare.
Altrove, a sollevare altre vite, alzare creature, stringere mani. Lui che ha bisogno di
guarire la vita, Lui che ama ricordarsi di me, Lui che deve andare in cerca delle mie
febbri. Poi per sta a me coltivare la vita risorta, nel coraggio del servizio. A volte pu
bastare molto poco per sollevare una vita: ascoltare, avvicinarsi, prendere la mano. Ed
appoggiando cos una fragilit sull'altra che si sostiene il mondo. (Letture: Giobbe 7,1-4. 67; Salmo 146; 1 Corinzi 9,16-19.22-23; Marco 1, 29-39)
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
12/02/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Il nostro il Dio della compassione


VI Domenica Tempo ordinario Anno B In quel tempo, venne da Ges un lebbroso, che lo
supplicava in ginocchio e gli diceva: Se vuoi, puoi purificarmi!. Ne ebbe compassione,
tese la mano, lo tocc e gli disse: Lo voglio, sii purificato!. E subito la lebbra scomparve
da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacci via subito e gli disse:
Guarda di non dire niente a nessuno; va', invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua
purificazione quello che Mos ha prescritto, come testimonianza per loro. Ma quello si
allontan e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Ges non poteva pi
entrare pubblicamente in una citt, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da
ogni parte. Non ha nome n volto il lebbroso, perch ogni uomo, voce di ogni creatura.
Con tutta la discrezione di cui capace dice solo: se vuoi, puoi guarirmi. Il suo futuro
appeso ad un "se" seminato nel cuore di Dio. A nome nostro il lebbroso chiede: che cosa
vuole Dio per me? Cosa vuole da questa carne sfatta, da questo corpo piagato, da questi
anni di dolore? Gli scribi di ogni epoca ripetono che il dolore punizione per i peccati, o
maestro di vita, o imperscrutabile volont di Dio. Per loro Giobbe un caso teologico. Ma

in quella teologia Dio assente. La fede del lebbroso invece palpita: Dio il Dio della
compassione o non ! Cosa vuoi per me? Quello che dicono gli scribi o vuoi guarirmi? La
svolta del racconto non contenuta in una riflessione, ma in un verbo che indica l'essere
preso allo stomaco, dice di una mano che ti stringe le viscere: prov compassione. Per i
sacerdoti il lebbroso un caso, per Ges una lama nella carne. Per gli scribi un
teorema, per lui un fremito, che muove e genera gesti, che fa quasi violenza alla mano, la
fa stendere, la fa toccare. La mano parla prima della voce, le dita sono pi eloquenti delle
parole: Ges rompe i tab, toccare il lebbroso diventare impuro per la legge. Ma per lui
l'uomo sempre puro e vale pi della legge. Una carezza pi della legge. l'eloquenza di
toccare il male tremendo: da troppo tempo nessuno toccava pi il lebbroso, per paura, per
ribrezzo, per obbedienza alla legge. E la sua carne moriva di solitudine, il suo cuore moriva
di assenze. La guarigione comincia quando qualcuno si avvicina e mi tocca con amore, mi
parla da vicino, non ha paura, patisce con me. Il dolore non domanda spiegazioni, vuole
partecipazione. Sentirsi toccati una delle esperienze pi belle e vitali. Chi sa toccarti
davvero, chi sa sfiorare il tuo intimo di luce o di piaga, questi solo lascia tracce di vita, il
tuo guaritore. La parola, una voce per esistere dentro il vuoto, viene dopo: lo voglio,
guarisci! Eternamente Dio vuole figli guariti. A me, a Lazzaro, alla figlia di Giairo, alla
suocera di Simone ripete: lo voglio, alzati, guarisci. Dio guarigione. Dal male di vivere.
Non ne conosco tutti i modi concreti, ma so per certo che non accadr moltiplicando
interventi miracolosi. Non conosco i tempi, ma so che egli rinnover battito su battito il
cuore, stella su stella la notte. Con la compassione, con un gesto, con una voce " che
toccano " una carezza " l'abisso del dolore. (Letture: Levitico 13,1-2.45-46; Salmo 31; 1
Corinzi 10,31-11,1; Marco1,40-45).
riproduzione riservata
l Vangelo A cura di Ermes Ronchi
19/02/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

La vera fede si fa carico degli altri


VII Domenica Tempo ordinario Anno A Ges entr di nuovo a Cafrnao, dopo alcuni
giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone che non vi era pi posto
neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola. Si recarono da lui portando
un paralitico, sorretto da quattro persone. Non potendo per portarglielo innanzi, a causa
della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un'apertura,
calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. Ges, vedendo la loro fede, disse al
paralitico: Figlio, ti sono perdonati i peccati. Erano seduti l alcuni scribi e pensavano in
cuor loro: Perch costui parla cos? Bestemmia! Chi pu perdonare i peccati, se non Dio
solo?. (...) L'hanno sollevato quattro amici; sulle loro spalle gli pareva di volare, lui che
neppure camminava; per le strade, poi in alto sul tetto, poi gi nella stanza: nella forza
della loro amicizia aveva ritrovato le sue ali infrante. Ges, veduta la loro fede, disse: i tuoi
peccati ti sono rimessi. Veduta la loro fede, non quella del paralitico, ma quella di coloro
che lo portano, che scavalcano la folla, inventano una strada che non c', danneggiano una
casa d'altri, pieni dell'incoscienza e della forza di chi ama e ha fiducia. Perdonato per la
fede d'altri. Questa comunione di fede, questa catena di fiducia solleva e d coraggio. Una
fede che non si fa carico d'altri non vera fede, insegnano i quattro sconosciuti portatori
dell'uomo. Essere come loro, con questo peso d'umano sul cuore e sulle mani: Chiesa che
non proclama verit astratte sopra il dolore delle persone, ma le solleva; che porta il peso e
il rischio della loro speranza, invece di ribadire concetti. Ti sono rimessi i peccati. L'uomo

rimasto senza parole, forse deluso: ma non questo il mio problema. Dammi le mie
gambe! Tutto qui un gioco di simboli: il perdono e la guarigione del paralitico, il peccato
allontanato e il lettuccio sollevato come un fuscello, non sono due fatti in successione, ma
un unico evento. Il peccato raccontato come una paralisi, un fallimento che ti blocca, uno
sbaglio che ti pesa addosso. Il perdono detto con un verbo di moto che annuncia partenze,
il salpare della nave, l'avviarsi della carovana, che porta scritto "pi in l". Strano perdono:
che non domandato; ma la carne immobile che domanda cammini, estasi, sentieri nel
sole; non c' accusa dei peccati, ma la supplica silenziosa contro un peso che aderisce a te e
ti paralizza; non c' espiazione della colpa, non penitenza, ma prendere su il lettuccio,
quella prigione odiata, e andarsene libero nel sole; non c' merito alcuno, solo saper
accogliere il dono; nessuna condizione, solo la gioia di chi ritrova la strada della vita. E
questo scandalizza i benpensanti di sempre. Se basta cos poco per essere perdonati, se il
perdono dato gratuitamente, sempre, allora come si fa a ritenere importanti le regole? Ma
le regole non sono un debito da pagare a Dio, sono ci che permette all'uomo di camminare
verso la pienezza; via della vita per muovere verso il proprio fine; ritrovarle ritrovare una
vita verticale e una strada nel sole, la strada di Dio. (Letture: Isaia 43,18-19.21-22.24-25;
Salmo 40; 2 Corinzi 1,18-22; Marco 2,1-12)
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
26/02/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

In cammino sull'abisso dell'amore


I Domenica di Quaresima- Anno B In quel tempo, lo Spirito sospinse Ges nel deserto e
nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli
angeli lo servivano. Dopo che Giovanni fu arrestato, Ges and nella Galilea, proclamando
il vangelo di Dio, e diceva: Il tempo compiuto e il regno di Dio vicino; convertitevi e
credete nel Vangelo. Lo Spirito lo sospinse nel deserto. E vi rimase quaranta giorni tentato
da Satana. Pu apparire strano che sia lo Spirito a spingere Ges verso la prova, eppure il
Vangelo chiaro: Ges sospinto dallo Spirito in un pellegrinaggio verso il luogo del
cuore, l dove tutto si decide, verso la scelta. Perch ogni tentazione sempre una scelta
tra due amori. Il comandamento base di tutta la legge biblica dice: ho posto davanti a te la
vita e la morte, scegli! Scegli la vita. Dio un imperativo di libert, intensificazione di vita.
Sceglierlo salvarsi. Stava con le fiere e con gli angeli. il luogo dell'uomo il quale, dice
Pascal, non n angelo n bestia, e quando vuole fare l'angelo diventa bestia. L'uomo
come una corda tesa tra i due, un ponte, un cammino sul ciglio di due abissi. Ma il credente
sa, dentro il suo cuore, in quale mare naufragare, quello della luce di Dio. Ges predicava
il Vangelo di Dio e diceva: il tempo compiuto, e il regno di Dio vicino. Convertitevi e
credete nel Vangelo. Sono quattro gli annunci di Ges: " finita l'attesa. Finito il ciclo dei
giorni sempre uguali. Finito il tempo della fame, fame di senso e fame di Parola, ora si apre
il tempo del Verbo come pane in tutti i solchi della vita. Con me vivrai solo inizi. " Il regno
vicino. Il regno di Dio il riassunto delle nostre speranze, la nuova architettura del
mondo e dei rapporti umani. Ed possibile per grazia, perch Dio stesso si fatto vicino in
Ges. Dio vicino a te, con amore. " Convertitevi... Noi percepiamo questo verbo come
una ingiunzione, mentre in realt porge un invito, una preghiera, offre una risorsa:
Cambia strada, io ti indico la via per le sorgenti, per un Dio luminoso, una nuova
"ragione" per orientarti nel mondo. " Credete al Vangelo: riprova l'emozione di dare
ascolto vero a queste parole. un annuncio buono per tutti, non per i buoni ma per me,

per te, per l'uomo sfigurato che pesa forse sulla tua memoria. E sento la pressante dolcezza
di questa preghiera: riparti da una buona notizia, Dio qui e guarisce la vita. La buona
notizia che Ges annuncia l'amore. Credi; vale a dire: fidati dell'amore, abbi fiducia
nell'amore in tutte le sue forme, come forma della storia, come forma del vivere, come
forma di Dio. Non fidarti di altre cose, non della forza, dell'intelligenza, del denaro, ma
fondati sull'amore. I cristiani altro non sono che coloro che hanno creduto all'amore (1 Gv
4,16). (Letture: Genesi 9,8-15; Salmo 24; 1 Pietro 3,18-22; Marco 1,12-15)
riproduzione riservata
l Vangelo A cura di Ermes Ronchi
05/03/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

La via lucis che nasce dall'ascolto


II Domenica di Quaresima " Anno B In quel tempo, Ges prese con s Pietro, Giacomo e
Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a
loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra
potrebbe renderle cos bianche. E apparve loro Elia con Mos e conversavano con Ges.
Prendendo la parola, Pietro disse a Ges: Rabb, bello per noi essere qui; facciamo tre
capanne, una per te, una per Mos e una per Elia. Non sapeva infatti che cosa dire, perch
erano spaventati (...). Dalla domenica del deserto al Vangelo della luce. La nostra
vocazione altro non che la fatica tenace e gioiosa di liberare tutta la luce e la bellezza
seminate in noi: verit dell'uomo una luce custodita in un guscio di fragile argilla. Sul
monte il volto di Ges brilla di un contenuto che lo travolge, di una energia che non si
ferma al volto, neppure al corpo intero, ma tracima verso l'esterno e cattura la materia degli
abiti: Le sue vesti divennero bianche come nessun lavandaio sarebbe capace. Se la veste
luminosa sopra ogni possibilit umana, quale sar la bellezza del corpo? E se cos il
corpo, come sar il cuore? Allora Pietro, stordito e sedotto da ci che vede, balbetta:
bello per noi stare qui. Stare qui, davanti a questa bellezza, perch qui siamo di casa,
altrove siamo sempre stranieri. Altrove non bello, e possiamo solo camminare non
sostare, qui la nostra identit: abitare anche noi una luce. bello stare qui: il nostro cuore
a casa soltanto accanto al tuo, Signore. Sul Tabor il corpo di Ges trasfigurato racconta
Dio. Tutto ci che Ges ha detto vero perch il suo corpo splende, anticipo del Regno:
Regno di luce e di tenerezza perch il suo Corpo luce e tenerezza; Regno di bellezza e di
grazia perch il suo Corpo bellezza e grazia; Regno di incontri che lega insieme in un
nodo di stupore le sei presenze sul monte. Ma come tante cose belle, la visione non fu che
un attimo. Una nube li copr e venne una voce: Ascoltate Lui. Il Padre prende la parola
ma per scomparire dietro la parola del Figlio. Il mistero di Dio ormai tutto dentro Ges.
Con Mos, dal volto intriso di luce, con Elia, rapito su un carro di fuoco e di luce, tutta la
bibbia converge su Cristo. Sali sul monte per vedere e sei rimandato all'ascolto. Scendi dal
monte e ti rimane nella memoria l'eco dell'ultima parola: Ascoltate Lui. La nostra via lucis
l'ascolto. Quella luce, la luce della trasfigurazione che l'energia stessa di Dio (G.
Palamas) ancora disponibile: nella Parola, nei sacramenti, nella bont delle persone, nella
bellezza delle cose, talvolta scintilla breve talvolta fiume di fuoco. Il mondo intriso di
luce, lo sanno tutte le religioni, lo sanno gli innamorati, gli artisti, i puri. Ma ora io so che
alle sorgenti della bellezza, della pace e dell'energia di quelle falde di fuoco presenti nel
cosmo, posto Ges di Nazaret (O. Clment), fiamma delle cose, cuore di luce dentro
ogni creatura. (Letture: Genesi 22,1-2.9.10-13.15-18; Salmo 115; Romani 8,31-34; Marco
9,2-10).

riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
12/03/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Ges porta l'uomo sulla via del cuore


III Domenica di Quaresima Anno B Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Ges sal a
Gerusalemme. Trov nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, l seduti, i
cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacci tutti fuori del tempio, con le
pecore e i buoi; gett a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesci i banchi, e ai
venditori di colombe disse: Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre
mio un mercato!. I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi
divorer. Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: Quale segno ci mostri per fare
queste cose?. Rispose loro Ges: Distruggete questo tempio e in tre giorni lo far
risorgere (...) Probabilmente gi un'ora dopo i mercanti, recuperate le loro bestie, avevano
ripreso possesso delle loro postazioni. Il denaro scorreva di nuovo di mano in mano,
necessario e benedetto: per la devozione dei pellegrini, per le elemosine! Eppure il
gesto di Ges non rimasto senza effetto. Quell'evento ancora rivelativo dell'autentica
fede evangelica. profezia che si rivolge ancora oggi agli abili custodi dei templi, e li
invita a credere pi nei progetti dove sono coinvolte persone, che in quelli dove coinvolto
denaro. Ma che interpella ciascuno, tentato di instaurare con Dio la legge del mercato, di
rinnovare in s l'eterno errore di pensare che Dio, la salvezza, la croce si possano meritare.
Dio non si merita, si accoglie. La croce di Cristo immeritato eccesso, divina follia,
gratuit assoluta. Il capovolgimento portato da Ges un Dio che non chiede pi sacrifici,
ma che sacrifica se stesso per noi, prende su di s il male e lo porta fuori dal mondo, fuori
dal cuore, lo inchioda sulla croce. Quando i Giudei gli chiedono di giustificare il suo gesto,
Ges porta gli uditori su di un altro piano: Distruggete questo tempio e io lo riedificher.
Non per una sfida a colpi di miracolo, ma per una alternativa: tutt'altro il tempio di Dio.
Ges instaura la religione dell'interiorit, porta l'uomo sulla via del cuore, va fino in fondo
alla linea della persona, e non a quella dell'istituzione o delle cose. Non questione di
templi, come aveva pensato la Samaritana, non questione di luoghi (dove si adora? A
Gerusalemme o sul monte Garizim?), ma di spirito e verit. Di autenticit, di cuore. Nel
Vangelo vediamo Ges frequentare talvolta il tempio, ma molto pi spesso la vita, case,
campi, lago, villaggi e polvere, tanta polvere delle strade di Palestina. Ges insegna che
Dio ci raggiunge nella vita di tutti i giorni, suo tempio fragile e bellissimo e infinito. Se
potessimo imparare a camminare nella vita, nella vita interiore e in quella degli altri, con
venerazione; a camminare nel cosmo facendo di ogni passo un pellegrinaggio sacro!
L'ultima parola del Vangelo oggi dice: Egli infatti sapeva quello che c' in ogni uomo. O
Dio, che conosci cosa c' di ansie, di paura, di forza, di tenebra nel cuore dell'uomo, tu che
ci hai fatti cos, ricordati che siamo deboli e cadiamo facilmente, ma ricordaci anche che
siamo tuo tempio, che in noi c' il bene pi forte del male, c' il bene pi antico del male, e
l'amore di domani. (Letture: Esodo 20,1-17; Salmo 18; 1 Corinzi 1,22-25; Giovanni 2,1325).
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi

19/03/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Amati da Dio: il mistero della vita


IV Domenica di Quaresima Anno B In quel tempo, Ges disse a Nicodmo: Come Mos
innalz il serpente nel deserto, cos bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perch
chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il
Figlio unigenito perch chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perch il
mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non condannato; ma chi non crede
gi stato condannato, perch non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. E il
giudizio questo: la luce venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato pi le tenebre
che la luce, perch le loro opere erano malvagie. [...] Chi fa la verit viene verso la luce,
perch appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio. Dio ha tanto amato.
Parola dove la mia fede prende anima e respiro: nucleo incandescente della storia, sguardo
sull'abisso di Dio. Ha tanto amato il mondo: terra amata la nostra, amate sono le creature
di fango e di perla, e ogni passo penetrare pi a fondo dentro l'amore, che alle spalle mi
urta, di fronte mi circonda e su di me pone la mano (Salmo 139). Tra i due termini, Dio e
mondo, che tutto dice lontanissimi, incomunicabili, estranei, il Vangelo indica un punto di
incontro. Tra Dio e mondo ci che stabilisce il contatto l'amore. Da allora, se non c'
amore, nessuna cattedra, nessun sacerdozio, nessun profeta potr mai dire Dio. Dio ha
tanto amato. Noi non siamo cristiani perch amiamo Dio. Siamo cristiani perch crediamo
che Dio ci ama (Paul Xardel). La salvezza che Lui mi ama, non che io lo amo. Allora
l'unica eresia l'indifferenza " il contrario dell'amore " che sventa anche le trame pi forti
della storia di Dio. Ha tanto amato da dare il suo figlio, considerando ogni uomo pi
importante di se stesso. Se ti domandi che cosa significa amare, la risposta del Vangelo
tutta in quell'umile verbo: dare. Il Padre d il figlio. Il figlio d la vita. Dacci oggi,
preghiamo, il pane che ci fa vivere. L'amore ti fa, nella vita, datore di vita. Non venuto
per condannare; anzi, s: la croce il giudizio del giudizio (Massimo il Confessore),
condannare la condanna, allontanare la lontananza. L'amore non conosce altro castigo che
castigare se stesso. Ma gli uomini hanno amato pi le tenebre che la luce. Da dove viene
questo dramma del preferire la notte? Da dove il tremendo fascino del nulla? E so di poter
dire, con l'eco che hanno le cose grandi: i tuoi figli, Signore, non sono cattivi; si ingannano
facilmente, preferiscono le tenebre perch l'angelo della notte si maschera da angelo della
luce e li inganna. Promette felicit e libert, e li seduce. E che sono inganni \ lo so, e tutti e
due sappiamo \ che non potr \ non ingannarmi ancora (Turoldo). Guardo a Nicodemo,
l'anti eroe, che scivola da Ges furtivo tra le ombre della sera. E vedo che Ges non lo
giudica, non lo condanna, paziente con le sue lentezze, e rispettando la sua paura lo
render fedele fino alla fine, coraggioso al punto di esporsi nel momento pi tragico della
storia al Calvario. Non sono un eroe, Signore, ma oggi mi basta, per mettermi in cammino,
sentirmi amato, con la mia verit di ombre e di paure. (Letture: 2 Cronache 36,14-16.1923; Salmo 136; Efesini 2,4-10; Giovanni 3,14-21)
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
26/03/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Dal nulla il frutto di una vita nuova


V Domenica di Quaresima Anno B In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto
durante la festa c'erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di
Betsida di Galilea, e gli domandarono: Signore, vogliamo vedere Ges. Filippo and a
dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Ges. Ges rispose loro:
venuta l'ora che il Figlio dell'uomo sia glorificato. In verit, in verit io vi dico: se il chicco
di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto.
Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserver
per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, l sar anche il mio
servitore [...]. Padre, glorifica il tuo nome. Venne allora una voce dal cielo: L'ho
glorificato e lo glorificher ancora! [...]. Se il chicco di grano caduto in terra non muore,
rimane solo; se invece muore produce molto frutto. Il centro della frase non il morire, ma
il molto frutto. Lo sguardo del Signore sulla fecondit, non sul sacrificio. Vivere dare
vita. Non dare, gi morire. Tuo solo ci che hai donato. Come accade per l'amore: tuo
solo se per qualcuno. Un chicco di grano, il quasi niente: io non ho cose importanti da
dare, ma Lui prende questo quasi niente e lo salva, ne ricava molto frutto. Sar un chicco
di grano, lontano dal clamore e dal rumore, caduto nel silenzio, seminato giorno per
giorno, senza smania di visibilit e di grandezza, nella terra buona della mia famiglia, nella
terra arida del mio lavoro, nella terra amara dei giorni delle lacrime. Chicco di grano che
prendi in mano e sembra una cosa morta, una cosa dura e spenta, mentre un nodo di vita,
dove pulsano germogli. Cos ogni uomo: un quasi niente che per contiene invisibili e
impensate energie, un cuore pronto a gemmare di pane e di abbracci. Chi vuole lavorare
con me, mi segua. Seguire Cristo, unico modo per vederlo. Per rispondere alla richiesta che
interpella ogni discepolo: vogliamo vedere Ges. L'unica visione che ci concessa la
sequela. Come Mos che vede Dio solo di spalle, mentre passa ed gi oltre, cos noi
vediamo Ges solo camminando dietro a lui, rinnovando le sue opere, collaborando al suo
compito: portare molto frutto. Ges, uomo esemplare, non propone una dottrina, realizza il
disegno creatore del Padre: restaurare la pienezza, la gloria dell'umano. Gloria dell'uomo
il molto frutto di vita, gioia, libert. Gloria di Dio una terra che fiorisce, l'uomo che mette
gemme di luce e di amore. L'anima mia turbata, Padre salvami. Mi possono togliere tutto
il Vangelo, ma non i turbamenti di Ges, il suo amore inerme e lucido, il suo amore inerme
e virile insieme. Mi danno tanta forza come per uno trovare un tesoro. Perch mi dicono
che ha avuto paura come un coraggioso, che ha amato la vita con tutte le sue fibre; che non
andato alla morte col sorriso sulle labbra, ma con un atto di fede. Poich uomo di carne
e di paure, e ama a tal punto, in lui splende la gloria del Padre e la gloria dell'uomo.
Innalzato, attirer tutti a me. Alto sui campi della morte, Ges amore fatto visibile. Alto
sui campi della vita, amore che seduce. E mi attira, dolce e implacabile, verso la mia
casa, verso la mia gloria, verso il molto frutto. (Letture: Geremia 31,31-34; Salmo 50;
Ebrei 5,7-9; Giovanni 12,20-33)
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
02/04/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Quella morte che rivela il cuore di Dio


Domenica delle Palme " Anno B (...) Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra
fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Ges grid a gran voce: Elo, Elo, lem

sabactni?, che significa: Dio mio, Dio mio, perch mi hai abbandonato?. Udendo
questo, alcuni dei presenti dicevano: Ecco, chiama Elia!. Uno corse a inzuppare di aceto
una spugna, la fiss su una canna e gli dava da bere, dicendo: Aspettate, vediamo se viene
Elia a farlo scendere. Ma Ges, dando un forte grido, spir. Il velo del tempio si squarci
in due, da cima a fondo. Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare
in quel modo, disse: Davvero quest'uomo era Figlio di Dio!. Ecco l'uomo! Appare al
balcone dell'universo il volto di Ges intriso di sangue. Il dolore sotto cui vacilla il dolore
di tutti gli uomini: molte volte ho visto il volto di Dio cosparso di sangue lungo le strade
della vita sempre uguale, nei sentieri indifesi della storia dell'uomo, e non ho saputo
avvicinarmi. Ecco il Figlio di Dio! Ci che appare non lo splendore dell'eterno, ma il
patire di un Dio appassionato. Dio prima pat e poi si incarn. Pat vedendo la condizione
dell'uomo. Pat perch l'amore passione. Caritas est passio (Origene). Amare significa
patire e appassionarsi. E chi ama di pi si prepari a patire di pi (sant'Agostino). Lo vedo
in Cristo, come le donne al Calvario, che stavano ad osservare da lontano. Ges non ha
avuto nemici tra le donne, solo fra loro non aveva nemici. Le donne, ultimo nucleo fedele,
sono con Ges, non possono staccare gli occhi da lui, si immergono in lui. Primo nucleo di
Chiesa, guardano Ges con lo stesso sguardo di passione con cui Dio guarda l'uomo. La
Chiesa nasce, oggi come allora, dalla contemplazione del volto del crocifisso. A fare il
cristiano non sono i riti religiosi, ma il partecipare alla sofferenza di Dio (Dietrich
Bonhoffer). Veramente quest'uomo era Figlio di Dio! Quando la Parola di Dio diventata
grido, poi diventata muta, ecco la prima parola di un uomo, un soldato esperto di morte.
Che cosa ha visto nell'agonia di un morente da fargli pronunciare il primo atto di fede
cristiano? L'esperto di morte in quella morte ha visto Dio. L'ha visto nella morte, non nella
risurrezione. Morire cos cosa da Dio, rivelazione del cuore di Dio. Scendi dalla croce,
gridavano. Ma se scende non Dio, ancora la logica umana che vince, quella del pi
forte. Solo un Dio non scende dal legno. Si consegna alla Notte, si abbandono all'Altro per
gli altri, e passa dall'abbandono di Dio (perch mi hai abbandonato?) all'abbandono a
Dio (nelle tue mani...), rappresentandoci tutti nei nostri abbandoni, nelle desolazioni,
nelle notti. Io so che non capir mai la croce, l'uomo non regge questo amore, troppo
limpido, ma Cristo non venuto perch lo comprendessimo, ma perch ci aggrappassimo
alla sua croce, lasciandoci semplicemente sollevare da lui. La fede abbandonarsi
all'abbandonato amore. Ogni grido, ogni abbandono, pu sembrare una sconfitta. Ma se
affidato al Padre, ha il potere, senza che noi lo sappiamo, di far tremare la pietra di ogni
nostro sepolcro. (Letture: Isaia 50,4-7; Salmo 21; Filippesi 2,6-11; Marco 14,1-15,47).
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
09/04/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Chi ha conosciuto l'amore creder


Pasqua di risurrezione del Signore Maria di Mgdala [...] vide che la pietra era stata tolta
dal sepolcro. Corse allora e and da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Ges
amava [...]. Pietro allora usc insieme all'altro discepolo e si recarono al sepolcro.
Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse pi veloce di Pietro e giunse per
primo al sepolcro. Si chin, vide i teli posati l, ma non entr. Giunse intanto anche Simon
Pietro, che lo seguiva, ed entr nel sepolcro e osserv i teli posati l, e il sudario " che era
stato sul suo capo " non posato l con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entr

anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non
avevano ancora compreso la Scrittura, che cio egli doveva risorgere dai morti. Pasqua il
tema pi arduo e pi bello di tutta la Bibbia. Arduo perch va contro ogni evidenza e ogni
logica, bello perch la vita si riaccende di vita, se credo. Pasqua non porta solo la
salvezza, che il tirarci fuori dalla perdizione, dalle acque che ci minacciano, ma la
redenzione, che molto di pi, che trasformare la debolezza in forza, la maledizione in
benedizione, la croce in gloria, il tradimento di Pietro in atto di fede, il mio difetto in
energia nuova, la fuga in una corsa trepida. Maria corse da Simone e dall'altro discepolo,
che Ges amava... correvano insieme Pietro e Giovanni. Perch tutti corrono nel mattino di
Pasqua? Che bisogno c'era di correre? Tutto ci che riguarda Ges non sopporta
mediocrit, merita la fretta dell'amore: l'amore ha sempre fretta, chi ama sempre in
ritardo sulla fame di abbracci. Corrono, sospinti da un cuore in tumulto, perch hanno
ansia di luce, e la vita ha fretta di rotolare via i macigni dall'imboccatura del cuore. L'altro
discepolo, quello che Ges amava, corse pi veloce. Giovanni arriva prima di Pietro, arriva
per primo a capire il significato della risurrezione, e a credere in essa. L'amato ha
intelletto d'amore (Dante), l'intelligenza del cuore. Un detto medievale afferma: i
sapienti camminano, i giusti corrono, solo gli innamorati volano. Chi ama o amato
capisce di pi, capisce prima, capisce pi a fondo. Vide i teli posati l. Giovanni entr, vide
e credette. Anche di Pietro detto che vide, ma non che credette. Giovanni crede perch i
segni sono eloquenti solo per il cuore che sa leggerli. Giovanni ha il cuore pronto a
bruciare la distanza tra Gerusalemme e il giardino, tra i segni e il loro significato, tra i teli
posati l e il corpo assente. pronto perch amato: ti vedr nell'amore avuto e dato./ Ma
se altro il tuo cielo,/ non ti vedr Signore (C.Cremonesi). Il primo segno di Pasqua il
sepolcro vuoto, il corpo assente. Nella storia umana manca un corpo per chiudere in
pareggio il conto degli uccisi. Manca un corpo alla contabilit della morte, i suoi conti
sono in perdita. Manca un corpo al bilancio della violenza, il suo bilancio in deficit.
Pasqua solleva la nostra terra, questo pianeta di tombe, verso un mondo nuovo, dove il
male non vince, dove il carnefice non ha ragione della sua vittima in eterno, dove le piaghe
della vita possono distillare guarigione. Pasqua: Il buon profumo di Cristo odore di vita
per la vita (2 Cor 2,16). (Letture: Atti degli Apostoli 10,34a.37-43; Salmo 117; Colossesi
3,1-4; Giovanni 20, 1-9)
riproduzione riservata

Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


16/04/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Arrendersi all'amore come Tommaso


II Domenica di Pasqua -Anno B La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre
erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne
Ges, stette in mezzo e disse loro: Pace a voi!. Detto questo, mostr loro le mani e il
fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore (...).Tommaso, uno dei Dodici, chiamato
Ddimo, non era con loro quando venne Ges. Gli dicevano gli altri discepoli: Abbiamo
visto il Signore!. Ma egli disse loro: Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e
non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non
credo. Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso

(...) Aria di paura in quella casa. Paura dei Giudei, certo, ma anche e soprattutto paura di se
stessi, della propria vilt, di come si erano comportati nella notte del tradimento. Eppure
Ges viene, nonostante il loro cuore inaffidabile e il mio cuore lento: venne Ges e stette in
mezzo a loro. La fede non nata dal ricordo di Ges. Il ricordo, per quanto vivo, non basta
a rendere viva una persona, al massimo pu far nascere una scuola. La Chiesa nata da
una presenza, non da una rievocazione. Stette in mezzo a loro: Ges si fa presenza. Dentro
una comunit che per otto giorni contiene e porta anche l'incredulit di uno dei suoi
membri migliori. Tommaso non crede, eppure non se ne va, rimane l con il gruppo, che a
sua volta non lo esclude: comunit, luogo della fede. Cos tu quando debole la tua fede,
non sentirti escluso, resta qui, altri ti porteranno, altri saranno testimoni e memoria viva,
paziente di segni e di pace, per te. Mi conforta pensare che, se trova chiuso, Ges non se ne
va; se tardo ad aprire otto giorni dopo ancora l, rispettoso perfino delle nostre paure:
venne Ges ancora a porte chiuse... e disse a Tommaso... Ges viene, attento ai dubbi dei
suoi amici, cos come il mattino di Pasqua alle lacrime di Maria. Viene, e non per essere
acclamato, ma per andare in cerca proprio dell'agnello smarrito nel piccolo gregge degli
undici. Lascia gli altri dieci al sicuro e si avvicina a colui che dubita: metti qua il tuo dito,
tendi la tua mano. A Tommaso basta questo gesto: colui che si mette nelle tue mani, voce
che non giudica ma incoraggia, corpo offerto ai dubbi e alle paure dei suoi amici, Ges,
non ti puoi sbagliare. E lo stesso fa anche con me, nei giorni del dubbio, quando credere
solo desiderio di credere: si propone di nuovo. Tommaso si arrende, non si dice che abbia
toccato; si arrende all'amore che ha scritto il suo racconto sul corpo di Ges con l'alfabeto
delle ferite, indelebili come l'amore di Dio. E passa dall'incredulit all'estasi: Mio Signore
e mio Dio. Voglio custodire in me questo aggettivo come una riserva di coraggio per la
mia fede: Mio Signore! Piccola parola che cambia tutto, che non evoca il Dio dei libri, il
Dio degli altri, ma il Dio intrecciato con la mia vita, assenza e poi pi ardente presenza.
Tommaso, come l'amata del Cantico dice: Il mio amato per me e io sono per Lui. Mio
perch parte di me. Mio come lo il cuore e, senza, non sarei. Mio come lo il respiro e,
senza, non vivrei. (Letture: Atti 4,32-35; Salmo 117; 1 Giovanni 5,1-6; Giovanni 20,1931).
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
23/04/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Un Dio che si fa vita quotidiana


III Domenica di Pasqua Anno B Mentre essi parlavano di queste cose, Ges in persona
stette in mezzo a loro e disse: Pace a voi!. Sconvolti e pieni di paura, credevano di
vedere un fantasma. Ma egli disse loro: Perch siete turbati, e perch sorgono dubbi nel
vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate;
un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho. Dicendo questo, mostr loro le
mani e i piedi. Ma poich per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore,
disse: Avete qui qualche cosa da mangiare?. Gli offrirono una porzione di pesce
arrostito; egli lo prese e lo mangi davanti a loro [...]. Non sono un fantasma. Il lamento
di Ges giunge fino a me: chi sono io per te? Qualche idea vaga, la proiezione di un
bisogno, un'emozione, un sogno troppo bello per essere vero? Per aiutare la mia fede
pronuncia allora i verbi pi semplici e pi familiari: Guardate, toccate, mangiamo
insieme!. Si fa umile e concreto, ci chiede di arrenderci a un vangelo concreto, di mani, di

pane, di bicchieri d'acqua, di briciole; a un Dio che ha deciso di farsi carne e ossa, carezza
e sudore, un Dio capace di piangere. Il primo gesto del Signore , sempre, una offerta di
comunione: toccatemi, guardate. Ma dove oggi toccare il Signore? Forse lo tocco
quando Lui mi tocca: con il bruciore del cuore, con una gioia eccessiva, con una gioia
umilissima, con le piaghe della terra, con il dolore o la carezza di una creatura. La gente
il corpo di Dio, l lo posso toccare. Avete qualcosa da mangiare?. Mangiare il segno
della vita; farlo insieme il segno pi eloquente di un legame rifatto, di una comunione
ritrovata, il gesto quotidiano della vita che va e continua. Lui l'amico che d sapore al
pane. E mi assicura che la mia salvezza non sta nei miei digiuni per lui, ma nel suo
mangiare con me pane e sogni; la sua vicinanza un contagio di vita. Lo conoscevano
bene Ges, dopo tre anni di strade, di olivi, di pesci, di villaggi, di occhi negli occhi,
eppure ora non lo riconoscono. Perch la Risurrezione non semplicemente ritornare alla
vita di prima: trasformazione. Ges lo stesso ed diverso, il medesimo ed
trasformato, quello di prima ed altro. Apr loro la mente per comprendere le
Scritture. E il respiro stretto del cuore entra nel respiro largo del cielo, se ti fai mendicante
affamato di senso, se leggi con passione e intelligenza la Parola. Perch finora abbiamo
capito solo ci che ci faceva comodo. Siamo stati capaci di conciliare il Vangelo con tutto:
con la logica della guerra, con l'idolo dell'economia, con gli istinti. Nel suo nome saranno
predicati a tutte le genti la conversione e il perdono. Il perdono la certezza che nulla e
nessuno definitivamente perduto, il trionfo della vita, riaccensione del cuore spento,
offerta mai revocata e irrevocabile di comunione. Cristo non un fantasma, vestito di
umanit, sangue vivo dei giorni, il sangue della primavera del mondo. Ha braccia anche
per me, per toccare e farsi toccare; capace, tornando, di rendere la mia speranza amore.
(Letture: Atti degli Apostoli 3,13-15.17-19; Salmo 4; 1 Giovanni 2,1-5a; Luca 24,35-48)
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
30/04/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Il segreto della vita consiste nel dare


IV Domenica di Pasqua Anno B In quel tempo, Ges disse: Io sono il buon pastore. Il
buon pastore d la propria vita per le pecore. Il mercenario " che non pastore e al quale le
pecore non appartengono " vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le
rapisce e le disperde; perch un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il
buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, cos come il Padre
conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non
provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e
diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perch io do la
mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il
potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo il comando che ho ricevuto dal
Padre mio. Con la formula solenne delle rivelazioni, Ges afferma: Io sono il buon
pastore. Per farci capire cosa intende per buono, per cinque volte ripete il verbo offrire.
Ci che il pastore offre la vita, questo il filo rosso dell'intera opera di Dio. L'Opus Dei,
il grande lavoro di Dio, offrire vita. E non so immaginare migliore avventura: io sono
vaso che accoglie vita, anfora che si esercita a ricevere pi vita. Io sono il pastore bello,
dice letteralmente il testo greco, e la bellezza del pastore, il suo fascino stanno in questo
slancio vitale inarrestabile, nella gioia di vedere la vita fiorire in tutte le sue forme. Io do la

vita: offrire la vita non significa per prima cosa morire, perch se il pastore muore le
pecore sono abbandonate e il lupo rapisce, uccide, vince. Dare la vita qui inteso nel senso
primo, come hanno compreso gli apostoli: della vite che d linfa al tralcio (Giovanni);
dell'ulivo innestato che trasmette potenza buona al ramo selvatico (Paolo); di uno che
essendo l'autore della vita (Pietro), l'ha inventata ma soprattutto la scrive, in questo
momento, sillaba per sillaba, sulle tavole di carne che sono io. Linfa divina che ci fa
vivere, che respira in ogni mio respiro, nostro pane che ci fa quotidianamente dipendenti
dal cielo. Come passeri abbiamo il nido nelle sue mani. Le mani di Dio: mani di pastore
contro i lupi, mani impigliate nel folto della vita, mani che proteggono la fiammella
smorta, mani sugli occhi del cieco, mani che scrivono nella polvere e non scagliano pietre,
mai, mani trafitte offerte a Tommaso. Da quelle mani nessuno mi rapir mai, mani di
pastore, il solo che per i cieli mi fa camminare (Turoldo). Il Vangelo si chiude con una
frase solenne: questo il comando che ho ricevuto dal Padre mio. Non un comando ma il
comando, quello che ti fa pastore bello e fa bella la tua vita: il comando di offrire, donare.
Dare la vita innanzitutto offrire il segreto della vita. Questo ho imparato da Ges, che la
vita dono, che il segreto della vita dare, che l'asse della storia il dono, che ogni uomo
per stare bene deve dare. Ma perch per stare bene ogni uomo deve dare? Perch questa
la legge della vita. Perch cos fa Dio. Se non dai vita attorno a te, entri nella malattia. Se
non dai amore, un'ombra invecchia il cuore. La felicit di questa nostra vita ha a che fare
con il dono. E con il diventare pastori buoni, belli, di un piccolo, minimo gregge affidato
alle nostre cure. (Letture: At 4,8-12; Sal 117; 1 Gv 3,1-2; Gv 10,11-18)
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
07/05/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Una linfa d'amore che porta la vita


V Domenica di Pasqua Anno B In quel tempo, Ges disse ai suoi discepoli: Io sono la vite
vera e il Padre mio l'agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni
tralcio che porta frutto, lo pota perch porti pi frutto. Voi siete gi puri, a causa della
parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non pu portare
frutto da se stesso se non rimane nella vite, cos neanche voi se non rimanete in me. Io
sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perch senza di
me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi
lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole
rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sar fatto. In questo glorificato il Padre
mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. Avevamo sempre pensato che
Dio fosse il buon padrone del campo, il contadino operoso e fiducioso. Ma ora Ges
afferma qualcosa di assolutamente nuovo: Io sono la vite, voi i tralci. In Cristo il
vignaiolo si fatto vite, il seminatore si fatto seme, il vasaio argilla, il Creatore creatura.
Dio in me, non come padrone ma come linfa vitale. Dio in me, non come voce che
impone ma come il segreto della vita. Dio in me, come radice delle mie radici, perch io
sia intriso di Dio. Tra poco cominceranno a profumare i fiori della vite, i pi piccoli tra i
fiori. All'inizio della primavera, il vignaiolo attende che la linfa, salita misteriosamente
lungo il tronco, si affacci alla ferita del tralcio potato, come una goccia, come una lacrima.
All'apparire di quella lacrima sui tralci, mio padre diceva: la vite che va in amore! Se la
stessa linfa scorre in Cristo vite e in me tralcio, allora anche la mia vita porter, attraverso

vene d'amore, frutti buoni. C' una linfa che sale dalla radice del mondo, ad un misterioso
segnale della terra e del sole, e in alto apre la corteccia che sembrava secca e morta e la
incide di fiori e di foglie. E per un miracolo, che neppure arriva pi a stupirci, trasforma il
calore del sole in profumo e il buio della terra in colore. Quella linfa, quella goccia
d'amore, che tante volte ho visto tremare sulla punta del tralcio, umile immagine di Dio,
dice che un amore percorre il mondo, sale lungo i ceppi di tutte le vigne, di tutte le vite. E
perfino le mie spine ha fatto rifiorire. Viene da prima di me e va oltre me. Viene da Dio, e
dice a questo piccolo tralcio: Ho bisogno di te per una vendemmia di sole e di miele. Ho
bisogno di te, anche di un grappolo solo, perch senza i vostri tralci la vite sterile. Parole
centrale oggi: rimanete in me, noi siamo gi in Dio, Dio gi in noi, siamo percorsi da
Lui, non c' da cercarlo lontano, qui, dentro, scorre nelle vene dell'essere. E poi
portare frutto, il nome nuovo della morale evangelica non sacrificio ma fecondit, non
ubbidienza ma espansione, non rinuncia ma centuplo. Non di penitenze c' bisogno, ma di
frutti con dentro un buon sapore di vita, a dissetare l'arsura delle cose. Nessun albero
consuma i propri frutti, nessuna vite; essi sono portati, sono offerti per la gioia e l'alimento
delle altre creature. Questa la perfezione: maturare e dimenticarsi nel dono. (Letture: Atti
degli Apostoli 9,26-31; 1 Giovanni 3,18-24; Giovanni 15,1-8)
riproduzione riservata

Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


14/05/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

La misura dell'amore dare senza limiti


VI Domenica di Pasqua Anno B In quel tempo, Ges disse ai suoi discepoli: Come il
Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei
comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre
mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perch la mia gioia sia in voi e la
vostra gioia sia piena. Questo il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come
io ho amato voi. Nessuno ha un amore pi grande di questo: dare la sua vita per i propri
amici. Voi siete miei amici, se fate ci che io vi comando. Non vi chiamo pi servi, perch
il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perch tutto ci che
ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto
voi e vi ho costituiti perch andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perch tutto
quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi
amiate gli uni gli altri. La liturgia propone una di quelle pagine in cui pare custodita
l'essenza del cristianesimo. Tutto ha inizio da un fatto: tu sei amato (...cos io ho amato
voi); ne deriva una conseguenza: ogni essere vivente respira non soltanto aria, ma amore;
se questo respiro cessa, non vive. Tutto procede un traguardo, dolce e amico: questo vi dico
perch la gioia vostra sia piena. L'amore ha ali di fuoco (sant'Ambrogio) che incidono di
gioia il cuore. La gioia un attimo immenso, un sintomo grande: il tuo un cammino
buono. Ges indica le condizioni per stare dentro l'amore: osservate i miei comandamenti.
Che non sono il decalogo, ma prima ancora il modo di agire di Dio, colui che libera e
fonda alleanze, che pianta la sua tenda in mezzo al nostro accampamento. Resto nell'amore
se faccio le cose che Dio fa. Il brano tutto un alternarsi di misura umana e di misura
divina nell'amore. Ges non dice semplicemente: amate. Non basta amare, potrebbe essere
solo mero opportunismo, dipendenza oscura o necessit storica, perch se non ci amiamo

ci distruggiamo. Non dice neanche: amate gli altri con la misura con cui amate voi stessi.
Conosco gli sbandamenti del cuore, i testacoda della volont, io non sono misura a
nessuno. Dice invece: amatevi come io vi ho amato. E diventa Dio la misura dell'amore.
Ma poi ecco che Lui ad assumere un nostro modo di amare, l'amicizia, lui a vestirsi di
una misura umana (voi siete miei amici). L'amicizia un mettersi alla pari, dentro il
gruppo e non al di sopra, dice uguaglianza e gioia. L'amicizia umanissimo strumento di
rivelazione: tutto ho fatto conoscere a voi: il tutto di una vita non si impara da lezioni o da
comandi, ma solo per comunione ed empatia d'amico. E poi di nuovo la misura assoluta
dell'amore, dentro un verbo brevissimo, che spiega tutto: dare. Nel Vangelo il verbo amare
sempre tradotto con il verbo dare (non c' amore pi grande che dare la vita); non gi
sentire o emozionarsi, ma dare; quasi un affare di mani, di pane, di acqua, di veste, di
tempo donato, di porte varcate, di strade condivise. Dare la vita, cio tutto, perch l'unica
misura dell'amore amare senza misura. Amore che non protegge, ma espone; amore che ti
assedia ed a sua volta assediato, come lampada nel buio, come agnello tra i lupi.
Minacciato amore, sottile come il respiro, possente come le grandi acque, da me custodito
e che mi custodisce, materia di cui fatto Dio e respiro dell'uomo. (Letture: Atti 10, 25-27.
34-35. 44-48; Salmo 97; 1 Giovanni 4, 7-10; Giovanni 15, 9-17)
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
21/05/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Un'assenza che ardente presenza


Ascensione del Signore Anno B In quel tempo, Ges apparve agli Undici e disse loro:
Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi creder e sar
battezzato sar salvato, ma chi non creder sar condannato. Questi saranno i segni che
accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demni, parleranno
lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recher
loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno. Il Signore Ges, dopo aver
parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e
predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola
con i segni che la accompagnavano. Tre anni di predicazione, di libert e di conflitti
sembrano chiudersi con un bilancio fallimentare: undici uomini impauriti che stanno a
fissare il cielo. Undici uomini che non hanno capito molto del Vangelo, se nell'ultimo
incontro domandano: adesso che rifondiamo il regno di Israele?. Lui parlava del
Regno di Dio, loro capivano il regno di Israele. E invece di restare con loro, di spiegare
ancora, di accompagnarli ancora, Ges se ne va! Con un atto di enorme fiducia negli
uomini Ce la farete dice. Fra sangue e miracoli, fra veleni e fatiche, tra parole inascoltate
e parole potenti. Io ce la far, io salver un pezzetto di Dio in me, lo aiuter a incarnarsi
ancora in queste strade. Cristo se ne va con un atto di fede nell'uomo. Ma Cristo non se ne
andato se non dai nostri sguardi. Egli il Vicino-lontano, come scrive la mistica
Margherita Porete, remoto e prossimo, oltre il cielo e dentro tutte le cose, oltre ogni forma
e pi intimo a me di me stesso. La sua assenza diventata una pi ardente presenza. Noi
restiamo nella storia a fidarci di un corpo assente, a fidarci di una Voce! Io sto con la Voce,
continuo a starci, perch la senti cantare dentro, la senti riaccenderti e farti cuore. Cristo
non andato in alto, andato avanti, assente e meno assente che mai. Cristo non si
spostato di luogo, andato oltre. Il Vangelo, a sorpresa, oggi parla pi degli apostoli che di

Ges. Di una missione che ricevono, e io con loro: Annunciate. Niente altro. Non dice:
organizzate, occupate i posti chiave, emanate leggi, ma semplicemente: Annunciate. Che
cosa? Il Vangelo. Non le mie idee pi belle, non la soluzione di tutti i problemi, non una
politica o una teologia migliori: solo il Vangelo, la storia di Cristo. E mi sembra persino
facile, quando lo amo e lo respiro! L'ultimo versetto chiude il Vangelo di Marco e al
contempo apre il mio: Il Signore operava insieme con loro. Il verbo greco suona cos: Il
Signore era la loro energia. Cristo, il Vicino-lontano, forza del cuore, sinergia degli amori.
Una famosa preghiera dice: Cristo non ha mani se non le nostre mani; non ha piedi se non
i nostri piedi. Vorrei capovolgere questa preghiera e dire: Sono io che non ho mani se non
sono le mani di Cristo. Io che non ho voce, non ho parole, non desideri o sogni veri, se non
sono quelli venuti dal Vangelo. Non ho un mio amore se non sinergia con l'amore di Dio.
(Letture: Atti degli Apostoli 1,1-11; Salmo 46; Efesini 4,1-13; Marco 16,15-20)
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
28/05/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Nati dal respiro di Dio, mandati a costruire fraternit


Domenica di Pentecoste Anno B In quel tempo, Ges disse ai suoi discepoli: Quando
verr il Parclito, che io vi mander dal Padre, lo Spirito della verit che procede dal
Padre, egli dar testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perch siete con me
fin dal principio. Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di
portarne il peso. Quando verr lui, lo Spirito della verit, vi guider a tutta la verit, perch
non parler da se stesso, ma dir tutto ci che avr udito e vi annuncer le cose future. Egli
mi glorificher, perch prender da quel che mio e ve lo annuncer. Tutto quello che il
Padre possiede mio; per questo ho detto che prender da quel che mio e ve lo
annuncer. La Bibbia un libro pieno di strade e di vento, come Pentecoste: vento
impetuoso e respiro leggero, strade che convergono e ripartono. Ges venne a porte
chiuse, si ferm in mezzo a loro e con un gesto inusuale mai registrato prima alit su di
loro. Soffi il suo respiro su ciascuno e su tutti: Ricevete lo Spirito Santo. Lo Spirito il
respiro di Dio, ci che fa vivere Dio. Ricevetelo, come all'origine lo ha ricevuto Adamo,
alito di vita nelle sue narici, e divenne un essere vivente. Nella Bibbia la parola pi legata a
Spirito Santo "nascita", con tutto il suo corteo di manifestazioni: creazione, vita,
trasformazione. Lo Spirito presiede alle nascite, il suo lavoro la vita. Nicodemo a Ges:
Come possibile rinascere?. Ges risponde con una delle parole pi alte per la nostra
vita spirituale: Chiunque nato dallo Spirito Spirito. Adamo che nasce dal soffio di
Dio soffio di Dio, io " pur con tutte le mie inconsistenze " sono respiro di Dio. E questo
cos vero che in san Paolo non si riesce quasi mai a capire fino a che punto la parola spirito
si riferisca alla terza Persona della Trinit, o al modo di vivere di Cristo, o a quello
dell'uomo che intreccia il suo respiro con quello di Dio. Non di confusione si tratta, ma di
comunione! L'umanit dell'uomo, la sua diversit radicale rispetto a tutte le altre creature,
ci che fa s che noi non siamo il primate evoluto che eravamo, non si spiega a partire dalla
nostra appartenenza al mondo animale, ma soltanto a partire dal mondo di Dio. L'uomo
uomo per il respiro di Dio in lui. Io non sono un semplice affinamento della catena animale
ma diversit che viene dalla divinit. Essere umani ed essere respiro di Dio la stessa cosa.
L'umanit dell'uomo la divinit in lui. Lo specifico dell'umano il divino in noi. Come
il Padre ha mandato me, cos io mando voi. A compiere l'identica missione: di un Figlio

venuto perch tutti gli uomini si scoprano figli e vivano da fratelli; di un crocifisso amore
che toglie il peccato del mondo: Vi do il potere di togliere i peccati. Ges conferisce
all'uomo spirituale un potere anteriore a tutti i riti della penitenza, pi profondo di tutte le
formule di assoluzione. Se vivi il progetto di Cristo anche tu togli il male, purifichi, liberi,
fai avanzare; anche tu strada e vento, come lo Spirito, per le vele del mondo. (Letture: Atti
2,1-11; Salmo 103; Galati 5,16-25; Giovanni 15,26-27; 16,12-15.)
riproduzione riservata

Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


04/06/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Trinit: storia d'amore, scuola di vita


Santissima Trinit Anno B In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul
monte che Ges aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi per
dubitarono. Ges si avvicin e disse loro: A me stato dato ogni potere in cielo e sulla
terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del
Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ci che vi ho comandato. Ed
ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. Della Trinit il Vangelo non
offre formule o concetti, ma un racconto: sul monte Ges si avvicin a loro... Ancora non
stanco di avvicinarsi, di venire incontro, di impegnarsi in una amata vicinanza. Neanche
Dio pu stare solo. Alcuni, per, dubitavano. Eppure il dubbio non arresta l'azione del
Signore. Nella fede c' tanta luce quanta serve per credere e tanta oscurit quanto basta per
dubitare. E questo fin dal principio. Il Signore non convoca le migliori intelligenze del
tempo ma undici pescatori che sanno di non sapere, che si sentono piccoli ma abbracciati
dal mistero. Piccoli e abbracciati, come un bambino forte della forza che lo stringe; custodi
del mistero, pur senza capirlo tutto, perch immersi dentro un respiro, un soffio, un vento
in cui naviga l'intero creato. Non sono loro che portano l'annuncio, l'annuncio che porta
loro. Una promessa di felicit Battezzate nel nome del Padre: cuore che pulsa nel cuore
del mondo, sorgente dell'essere; e del Figlio nella fragilit di un Dio che si fatto carne,
lievito, seme, grido; e dello Spirito che presiede ad ogni nascita e ad ogni
ricominciamento. La Trinit ha nomi che abbracciano e fanno vivere. La sua vita non
estranea n alla fragilit n alla bellezza della carne, non al dolore n alla felicit
dell'uomo. Battezzate ogni creatura. Battezzare significa immergere: immergete ogni
vita dentro l'oceano di Dio, e sia sommersa, e sia sollevata dalla sua onda mite e possente!
Fate entrare ogni vita nella vita di Dio. Questo e non altro il compito della Chiesa, il
senso del suo esserci: introdurre gli uomini nella vita divina, che vibra di comunione. Sono
le ultime parole di Cristo, il suo testamento, il cuore della fede. Immersione felice assicura
Mos: Tutto questo detto perch siate felici voi e i vostri figli!. Il battesimo ci dato a
protezione di una lunga felicit. Immersione esigente, per Paolo, nella Croce che amore
fino alla fine, dono estremo. Insegnate a osservare tutto ci che vi ho comandato. E che
cosa questo tutto? Ges stesso lo riassume in una parola: Amatevi. Missione della
Trinit e degli Undici, i piccoli abbracciati: insegnate ad amare come si insegna un'arte che
si conosce bene, come si insegna una strada dell'anima che si percorsa davvero. Insegnate
ad essere felici dice Mos. Insegnate a donare, dice Paolo. Che i vostri figli imparino ad
amare! Non c' bisogno d'altro per affacciarsi sull'orlo del mistero. (Letture: Deuteronomio
4,32-34.39-40; Salmo 32; Romani 8,14-17; Matteo 28,16-20)

riproduzione riservata
l Vangelo A cura di Ermes Ronchi
11/06/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

La legge suprema dell'esistenza il dono di se stessi


Solennit del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo Anno B Il primo giorno degli zzimi
(...) mentre mangiavano, prese il pane e recit la benedizione, lo spezz e lo diede loro,
dicendo: Prendete, questo il mio corpo. Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro
e ne bevvero tutti. E disse loro: Questo il mio sangue dell'alleanza, che versato per
molti. In verit io vi dico che non berr mai pi del frutto della vite fino al giorno in cui lo
berr nuovo, nel regno di Dio. Dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli
Ulivi. Le letture bibliche di oggi sono attraversate, come un filo rosso, da una parola che
riassume il senso della festa del Corpo e sangue del Signore: alleanza, legame, nodo che
unisce ci che era disperso, comunione. Ad ogni Eucaristia, ad ogni comunione, per un
istante almeno, mi affaccio sull'enormit di ci che mi sta accadendo: Dio che mi cerca.
Dio in cammino verso di me. Dio che arrivato. Che assedia i dubbi del cuore. Che entra.
Che trova casa. Dio in me. Neanche Dio pu stare solo. Faccio la Comunione, sono colmo
di Dio, ogni volta fatico a trovare parole, finisco per dedicargli il silenzio. E quello che mi
pare incredibile che Dio faccia un patto di sangue proprio con me, che io gli vada bene
cos come sono, un intreccio di ombre e di paure. Non ho doni da offrire, sono solo un
uomo con la sua storia accidentata, che ha bisogno di cure, con molti deserti e qualche
oasi. Ma io non devo fare altro che accoglierlo, dire s alla comunione, che il suo
progetto, il suo lavoro dall'eternit. Ecco il mio corpo, ha detto, e non, come ci saremmo
aspettati: ecco la mia mente, la mia volont, la mia divinit, ecco il meglio di me, ma
semplicemente, poveramente, il corpo. Il sublime dentro il dimesso, lo splendore dentro
l'argilla, il forte dentro il debole. Il Signore non ci ha portato solo la salvezza, ma la
redenzione, che molto di pi. Salvezza tirar fuori qualcuno dalle acque che lo
sommergono, redenzione trasformare la debolezza in forza, la maledizione in
benedizione, il tradimento di Pietro in atto d'amore, il pianto in danza, la veste di lutto in
abito di gioia, la carne in casa di Dio. Nel suo corpo Ges ci d tutto ci che unisce una
persona alle altre: parola, sguardo, gesto, ascolto, cuore. Nel suo corpo ci d tutta una
storia: mangiatoia, strade, lago, il peso e il duro della croce, sepolcro vuoto; ci d Dio che
si fa uomo in ogni uomo. Quando Ges ci d il suo Sangue, ci d fedelt fino all'estremo, il
rosso della passione, il centro che pulsa fino ai margini, vuole che nelle nostre vene scorra
il flusso caldo e perenne della sua vita, che nel nostro cuore metta radici il suo coraggio, e
quel miracolo che il dono di s. Neppure il suo corpo ha tenuto per s, neppure il suo
sangue ha conservato: legge suprema dell'esistenza il dono di s, unico modo perch la
storia sia, e sia amica. Norma di vita dedicare la vita. Cos va il mondo di Dio. (Letture:
Esodo 24,3-8; Salmo 115; Ebrei 9, 11-15; Marco 14, 12-16. 22-26)
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
18/06/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Un granello di luce nel buio della paura


XII Domenica del Tempo Ordinario - Anno B In quel giorno, [...] ci fu una grande
tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Ges se
ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: Maestro, non
t'importa che siamo perduti?. Si dest, minacci il vento e disse al mare: Taci, calmati!.
E il vento cess [...]. La barca sta per affondare e Ges dorme. Il mondo geme con le vene
aperte, lotta contro la malattia e la disperazione e Dio dorme. L'angoscia lo contesta: Non ti
importa niente di noi? Perch dormi? Svegliati! I Salmi traboccano di questo grido, lo urla
Giobbe, lo ripetono gli apostoli nella paura. Poche cose sono bibliche come questa lite con
Dio, che nasce dalla passione per la vita, dall'arroganza di un amore che non accetta di
finire. Perch avete cos tanta paura? C' tanto da attraversare, tanta paura motivata. Ma
troppo spesso la religione si ridotta a una gestione della paura. Dio non vuole entrare in
questo gioco. Egli non estraneo e non dorme, sta nel riflesso pi profondo delle tue
lacrime. Sta nelle braccia dei marinai forti sui remi, sta nella presa sicura del timoniere,
nelle mani che svuotano l'acqua, negli occhi che scrutano la riva, che forzano il venire
dell'aurora. Dio presente, ma non come vorrei io, bens come vuole lui: sulla mia barca
e vuole salvarmi, ma insieme a tutta la mia libert. Non interviene al posto mio ma insieme
a me; non mi esenta dalla tempesta ma mi precede, come il pastore nella valle oscura. la
nostra fede bambina che ha bisogno pi di miracoli che non di presenza. Vorrei che non
sorgessero mai tempeste e invece la morte allevata dentro di noi con il nostro stesso
respiro e sangue. Vorrei che il Signore gridasse subito all'uragano: Taci, che rimproverasse
subito le onde: Calmatevi, e che alla mia angoscia ripetesse: finita. Vorrei essere esentato
dalla lotta, e invece Dio risponde dandomi forza, tanta forza quanta ne basta per il primo
colpo di remo, tanta luce quanta ne serve al primo passo. Come granello di senape nel buio
della terra, cos Dio nel cuore oscuro della tempesta. Come chicco di grano nel buio della
terra, come un granello di fiducia, di forza, di luce, cos Dio germoglia e cresce nel cuore
dell'ombra. Non ti importa che moriamo? La risposta senza parole ma ha la voce forte dei
gesti: Mi importa di te, mi importa la tua vita, tu sei importante. Mi importano i passeri del
cielo e tu vali pi di molti passeri, mi importano i gigli del campo e tu sei pi bello di loro.
Tu mi importi al punto che ti ho contato i capelli in capo e tutta la paura che porti nel
cuore. E sono qui a farmi argine e confine alla tua paura. Mi troverai dentro di essa, nel
riflesso pi profondo delle tue lacrime. (Letture: Giobbe 38,1.8-11; Salmo 106; 2 Corinzi
5,14-17; Marco 4,35-41)
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
25/06/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

La speranza, virt da svegliare ogni giorno


XIII domenica Tempo ordinario Anno B In quel tempo, essendo Ges passato di nuovo in
barca all'altra riva, gli si radun attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne
uno dei capi della sinagoga, di nome Giiro, il quale, come lo vide, gli si gett ai piedi e lo
supplic con insistenza: La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perch
sia salvata e viva. And con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. Ora una
donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti
medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando,
udito parlare di Ges, venne tra la folla e da dietro tocc il suo mantello. Diceva infatti:

Se riuscir anche solo a toccare le sue vesti, sar salvata. E subito le si ferm il flusso di
sangue e sent nel suo corpo che era guarita dal male (...) Il Vangelo racconta di due donne
guarite, una potenza che esce da Ges, una mano che ti prende per mano. Per riportare nel
mondo la speranza promessa dalla prima lettura: le creature del mondo sono portatrici di
salvezza, in esse non c' veleno di morte (Sap 1, 13-15). Nel breve tragitto tra la sponda del
lago e la casa di Giiro come se Ges fosse ancora sulla barca in bala della burrasca,
assediato da una folla che porta il veleno della malattia e della morte. Dalla tempesta sul
lago alla tempesta della vita: la gente che preme, il vento della disperazione, le onde della
sofferenza. Il cuore, sorretto dalla parola di Dio, dice vita, l'esperienza risponde morte.
Eppure nelle creature del mondo c' salvezza: germoglio che deve ancora fiorire, seme da
cui germoglier l'albero grande. Riprendiamo a sillabare lo stupore dell'esistenza: tu, mio
familiare, mio amico; tu, fratello sconosciuto, tu porti salvezza. Dio ti ha fatto buono e
sano, senza radice di veleno: tu doni salute all'anima. Davanti a te Dio ha gridato: Come
sei bello, figlio mio!. Figlia mia dir Ges alla donna guarita, con una parola
dolcissima. Adesso s sei figlia, ora s guarita e libera, ora che il cuore impaurito di felicit
ode Dio che ti chiama per specchiarsi nei tuoi occhi. Ora a tua volta darai salute. Il
racconto per due volte parla di fede. Quella della donna quasi superstizione, quella di
Giiro fede sopraffatta d'amore per la figlia. Forse poca cosa, eppure a Dio basta. E noi
dovremmo, come Ges, godere di ogni segno minimo di fede, di ogni appartenenza
parziale, essere amici della fede a frammenti di ogni creatura. Fragile fede, che per questo
ha ancora pi bisogno di Lui. Ciascuno di noi quella fanciulla di dodici anni nella casa
del pianto. Ciascuno ha qualcosa di morto dentro, per ciascuno Ges ripete: Talit kum!,
giovane vita, alzati! Riprendi la gioia, la lotta, la scoperta, l'amore. La fanciulla che dorme
la speranza, virt bambina che occorre svegliare ogni giorno, farla alzare, rimettere in
cammino. Ges dice: lzati, verbo di ogni nostro mattino, quando ogni giorno come il
giorno di Pasqua. L dove l'uomo si fermato, Dio fa ripartire, rid bellezza a ci che
appassito, verticalit a ci che stanco. Su ogni creatura, su ogni fiore, su ogni uomo
scende la benedizione delle antiche parole: tu sei portatore di salvezza! Talit kum:
alzati, rivivi, risplendi! (Letture: Sapienza 1,13-15; 2,23-24; Salmo 29; 2 Corinzi 8,7.9.1315; Marco 5,21-43)
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
25/06/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

La speranza, virt da svegliare ogni giorno


XIII domenica Tempo ordinario Anno B In quel tempo, essendo Ges passato di nuovo in
barca all'altra riva, gli si radun attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne
uno dei capi della sinagoga, di nome Giiro, il quale, come lo vide, gli si gett ai piedi e lo
supplic con insistenza: La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perch
sia salvata e viva. And con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. Ora una
donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti
medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando,
udito parlare di Ges, venne tra la folla e da dietro tocc il suo mantello. Diceva infatti:
Se riuscir anche solo a toccare le sue vesti, sar salvata. E subito le si ferm il flusso di
sangue e sent nel suo corpo che era guarita dal male (...) Il Vangelo racconta di due donne
guarite, una potenza che esce da Ges, una mano che ti prende per mano. Per riportare nel

mondo la speranza promessa dalla prima lettura: le creature del mondo sono portatrici di
salvezza, in esse non c' veleno di morte (Sap 1, 13-15). Nel breve tragitto tra la sponda del
lago e la casa di Giiro come se Ges fosse ancora sulla barca in bala della burrasca,
assediato da una folla che porta il veleno della malattia e della morte. Dalla tempesta sul
lago alla tempesta della vita: la gente che preme, il vento della disperazione, le onde della
sofferenza. Il cuore, sorretto dalla parola di Dio, dice vita, l'esperienza risponde morte.
Eppure nelle creature del mondo c' salvezza: germoglio che deve ancora fiorire, seme da
cui germoglier l'albero grande. Riprendiamo a sillabare lo stupore dell'esistenza: tu, mio
familiare, mio amico; tu, fratello sconosciuto, tu porti salvezza. Dio ti ha fatto buono e
sano, senza radice di veleno: tu doni salute all'anima. Davanti a te Dio ha gridato: Come
sei bello, figlio mio!. Figlia mia dir Ges alla donna guarita, con una parola
dolcissima. Adesso s sei figlia, ora s guarita e libera, ora che il cuore impaurito di felicit
ode Dio che ti chiama per specchiarsi nei tuoi occhi. Ora a tua volta darai salute. Il
racconto per due volte parla di fede. Quella della donna quasi superstizione, quella di
Giiro fede sopraffatta d'amore per la figlia. Forse poca cosa, eppure a Dio basta. E noi
dovremmo, come Ges, godere di ogni segno minimo di fede, di ogni appartenenza
parziale, essere amici della fede a frammenti di ogni creatura. Fragile fede, che per questo
ha ancora pi bisogno di Lui. Ciascuno di noi quella fanciulla di dodici anni nella casa
del pianto. Ciascuno ha qualcosa di morto dentro, per ciascuno Ges ripete: Talit kum!,
giovane vita, alzati! Riprendi la gioia, la lotta, la scoperta, l'amore. La fanciulla che dorme
la speranza, virt bambina che occorre svegliare ogni giorno, farla alzare, rimettere in
cammino. Ges dice: lzati, verbo di ogni nostro mattino, quando ogni giorno come il
giorno di Pasqua. L dove l'uomo si fermato, Dio fa ripartire, rid bellezza a ci che
appassito, verticalit a ci che stanco. Su ogni creatura, su ogni fiore, su ogni uomo
scende la benedizione delle antiche parole: tu sei portatore di salvezza! Talit kum:
alzati, rivivi, risplendi! (Letture: Sapienza 1,13-15; 2,23-24; Salmo 29; 2 Corinzi 8,7.9.1315; Marco 5,21-43)
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
02/07/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Ges profeta straniero in patria


XIV Domenica Tempo ordinario - Anno B In quel tempo, Ges venne nella sua patria e i
suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti,
ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: Da dove gli vengono queste cose? E che
sapienza quella che gli stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani?
Non costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di
Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?. Ed era per loro motivo di scandalo. Ma
Ges disse loro: Un profeta non disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e
in casa sua. E l non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi
malati e li guar. E si meravigliava della loro incredulit. Ges percorreva i villaggi
d'intorno, insegnando. Molti ascoltandolo rimanevano stupiti. La prima bella caratteristica
del Ges storico: non lascia indifferente nessun ascoltatore, dove lui passa fiorisce lo
stupore. E molte domande: Marco ne registra cinque " il numero classico degli
interrogativi in serie di cui trabocca la Bibbia ". Da dove gli vengono queste cose? Da dove
questo amore straniero alla terra, queste parole aliene che qui sono in esilio? Il profeta

straniero in patria perch le sue parole vengono da un mondo altro. Allora si apre il
conflitto tra Nazaret e questo "altrove", tra il quotidiano e l'oltre. A Nazaret tutto dice: hai
qui il tuo clan, una madre, fratelli e sorelle; questo il mondo, non ce n' un altro. Hai un
lavoro, la sinagoga e il Libro, questo basta a dare senso alla vita. Cosa vai cercando con il
cuore fra le nuvole? E invece il giovane rabbi spiazzava figli e genitori, lavoratori e
contabili: amate i vostri nemici; lascia i morti seppellire i loro morti, tu vieni e seguimi;
felici i poveri, sono i principi del Regno; guardate i fiori del campo e non preoccupatevi;
guai a voi farisei che imponete agli altri pesi che non toccate con un dito; se non
diventerete come bambini... Come gli abitanti di Nazaret, anche noi siamo una generazione
che ha sprecato i suoi profeti, ha dissipato i suoi uomini di Dio. Come loro livelliamo tutto
verso il basso: solo un falegname, il fratello di Ioses, lo conosco bene, conosco i suoi
difetti uno per uno. Di un uomo cogliamo solo la linea d'ombra, e cos ci precludiamo lo
splendore di epifania del quotidiano, l'eterno che si insinua nell'istante e nella creatura.
Salviamo almeno lo stupore! Il brano si chiude con la sorpresa di Ges, la meraviglia
dolente dell'amante respinto che per continua ad amare, a inventare gesti, anche minimi,
per dire che di noi non stanco. E l non poteva compiere nessun prodigio, dice Marco; ma
subito si corregge: Solo impose le mani a pochi malati e li guar. L'amore respinto continua
ad amare, il Dio rifiutato si fa ancora guarigione. L'amore non stanco, solo stupito; ma
non nutre rancori. Gi lo aveva capito Ezechiele, profeta di profezie respinte: ascoltino o
non ascoltino, sapranno almeno che un profeta in mezzo a loro. Dio ha deciso di farsi
compagnia del suo popolo, ha deciso di essere nel quotidiano di ciascuno, oggi come in
esilio e un giorno, forse gi domani, come stupore, seme di fuoco in mezzo al cuore.
(Letture: Ezechiele 2,2-5; Salmo 122; 2 Corinzi 12,7-10; Marco 6,1-6)
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
09/07/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

La condivisione arricchisce la fede


XV Domenica del Tempo Ordinario - Anno B In quel tempo, Ges chiam a s i Dodici e
prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordin loro di non
prendere per il viaggio nient'altro che un bastone: n pane, n sacca, n denaro nella
cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. E diceva loro: Dovunque
entriate in una casa, rimanetevi finch non sarete partiti di l. Se in qualche luogo non vi
accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi
come testimonianza per loro. Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse,
scacciavano molti demni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano. Partono i
discepoli a due a due. Nient'altro che un bastone a sorreggere il cammino, e un amico a
sorreggere il cuore. Un bastone per appoggiarvi la stanchezza e un amico per appoggiarvi
la solitudine. importante questo andare a due a due, avere uno su cui contare, nelle cui
parole cercare l'evidenza che esisti, che sei amato, che sei capace di relazioni positive. Se
solo, l'uomo portato a dubitare perfino di s stesso. La fede si arricchisce se la condividi.
Infatti l'annuncio fatto a due voci e la prima parola questo legame, questo germe nuovo
di comunione. Non arriveremo / alla meta ad uno ad uno, / ma a due a due. / Se ci
ameremo a due a due / ci ameremo tutti. / E i figli rideranno / della leggenda nera / dove
l'uomo piangeva / in solitudine (P. Eluard). Non portate nulla per il viaggio. Perch tutto
ci che non serve, pesa; perch ogni possesso ti separa dall'altro. Perch l'uomo non fra le

cose. Perch vivrai dipendente dal cielo e dagli altri, di pane condiviso e di fiducia. Perch
l'abbondanza di mezzi non spenga la tua creativit e la fiducia nella potenza della Parola.
L'annunciatore deve essere cos: infinitamente piccolo, solo allora l'annuncio sar
infinitamente grande. Tutto in noi domanda la vicinanza di un amico. Niente in noi postula
questa nudit di croce, Vangelo che consola e poi sgomenta: non portate nulla. Come Ges,
povero di tutto, ma non di amici; senza un luogo dove posare il capo, ma non senza case
amiche dove confortare il cuore. Entrati in una casa l rimanete. Il punto di arrivo la casa,
non la sinagoga o il tempio. Nella casa, dove naturale la sincerit del cuore, l Dio ti
sfiora, ti tocca. Lo fa in un giorno di festa, quando dici a chi ami parole stupefatte e che si
vorrebbero eterne. Lo fa in un giorno di lacrime, quando l'amarezza soffoca la speranza. Il
cristianesimo deve essere significativo l, nella casa, nei giorni della festa e in quelli del
dramma, nei figli prodighi, quando Caino si alza di nuovo, quando l'amore sembra finito e
ci si separa, quando l'anziano perde il senno o la salute. L dove la vita celebra la sua festa
e piange le sue lacrime, scende come pane e come sale, sta come roccia la Parola di Dio.
L'annuncio fatto di poche parole e di molto stile di vita. Per farsi credere il Vangelo ha
bisogno ancora oggi di un anticipo di corpo, di un capitale di incarnazione: lo stile dei
testimoni e dei martiri, una Parola scritta su tavole di carne. (Letture: Amos 7,12-15; Salmo
84; Efesini 1,3-14; Marco 6,7-13)
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
16/07/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

La compassione tesoro da salvare


XVI Domenica Tempo ordinario Anno B In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a
Ges e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli
disse loro: Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po'. Erano
infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti per li videro
partire e capirono, e da tutte le citt accorsero l a piedi e li precedettero. Sceso dalla barca,
egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perch erano come pecore che non
hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose. I discepoli, partiti a due a due,
tornano carichi d'umanit toccata, d'umanit guarita. Attorno a loro si addensa comunione,
al punto che la folla era cos numerosa che non avevano neanche pi il tempo per
mangiare. Aggregano molti e questo pu essere esaltante; il successo pu apparire loro
come la benedizione di Dio sulla missione. Invece Ges, vero maestro dello spirito, vede
pi lontano, il successo non lo esalta, l'insuccesso non lo deprime: queste cose non sono
altro che la superficie mobile delle onde e non la corrente profonda degli eventi. E allora li
riporta all'essenziale: Venite in disparte, con me, in un luogo solitario, e riposatevi un po'.
Israele pieno di drammi, di vedove di Naim che piangono l'unico figlio morto, di lebbrosi
che gridano al cielo la loro disperazione, di adultere colte in flagrante e di pietre pronte alla
lapidazione. Il mondo un immenso dramma, e Ges, invece di ributtare i suoi, subito,
dentro i campi sterminati della missione che urge, li conduce nel deserto. Quasi a perdere
tempo. Il luogo solitario per parlare al cuore (cfr Osea 2). In questo tempo in disparte, il
Signore concede ci che ha veramente promesso, ci che pi necessario: concede se
stesso. E trasmette il segreto del Regno e della vita. La vera terra promessa non un luogo
geografico ma un tempo con il Signore, per dare respiro alla pace, per dare ali al cuore, per

essere riempiti della sua Presenza, per innamorarsi di nuovo. Ne scelse Dodici, scrive
Marco, perch stessero con Lui. Stare con lui il primo lavoro di ogni inviato. Solo
dopo, dopo aver accolto la sua persona prima ancora che il suo messaggio, solo dopo quel
contagio di luce, li mander a predicare. Sbarcando, vide molta folla ed ebbe compassione
di loro. Ges preso in un dilemma fra la stanchezza degli amici e lo smarrimento della
folla. Partito con un programma importante, ora pronto a cambiarlo. Partiti per restare
soli e riposare, i Dodici imparano ad essere a disposizione dell'uomo, sempre. A non
appartenere a se stessi, ma al dolore e all'ansia di luce della terra. La prima cosa che i
discepoli imparano da Ges quella di semplicemente, divinamente commuoversi. Il
tesoro che porteranno con s dalla riva del lago il ricordo dello sguardo di Ges che si
commuove. Lo stesso tesoro che i cristiani devono salvare oggi: il miracolo della
compassione. (Letture: Geremia 23,1-6; Salmo 22; Efesini 2,13-18; Marco 6,30-34)
riproduzione riservata

Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


23/07/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

la condivisione il vero miracolo


XVII Domenica - Anno B Tempo ordinario Ges vide che una grande folla veniva da lui e
disse a Filippo: Dove potremo comprare il pane perch costoro abbiano da mangiare?.
(...) Gli disse uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: C' qui un ragazzo
che ha cinque pani d'orzo e due pesci. Si misero dunque a sedere ed erano circa
cinquemila uomini. Allora Ges prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che
erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano (...). Il miracolo del pane
l'unico presente in tutti e quattro i Vangeli. Marco e Matteo ne riportano addirittura due
redazioni. Si tratta, evidentemente, di un evento decisivo per comprendere la vicenda e il
messaggio di Ges. Il miracolo del pane racconta qualcosa di molto pi grande e bello che
non la semplice moltiplicazione di cinque pani e due pesci. Pi che un miracolo un
segno, fessura di mistero. Il racconto pieno di simboli bellissimi: ormai primavera,
tempo di Pasqua; c' il monte grande simbolo della casa di Dio; c' molta erba che
richiama i pascoli, e il Salmo del buon pastore; ci sono i numeri: cinque pani e due pesci
formano il sette, simbolo della pienezza; c' il pane d'orzo, pane di primizia perch l'orzo
il primo dei cereali che matura, primo pane nuovo; e c' un ragazzo, neppure un uomo
adulto, una primizia d'uomo. Un Vangelo pieno d'inizi, pieno di gemme che fioriscono per
grazia. Modello del discepolo oggi un ragazzo senza nome e senza volto, che dona ci
che ha per vivere, che con la sua generosit innesca la spirale della condivisione, vero
miracolo. Il problema del nostro mondo non la penuria di pane, ma la povert di quel
lievito che incalza e spinge a condividere, a diventare sacramenti di comunione. Al
mondo, il cristiano non fornisce pane, fornisce lievito (Miguel de Unamuno). E ci sono
anche i dodici canestri di pezzi avanzati, uno per ogni trib, segno di abbondanza dalla
quale nessuno escluso; parola sulle cose: non devono andare perdute perch sono sacre,
una santit iscritta perfino nella materia, perfino nelle briciole del pane. Prese i pani, rese
grazie e li distribu: tre verbi che ci ricollegano subito a ogni Eucaristia. E mentre lo
distribuiva, il pane non veniva a mancare, e mentre passava di mano in mano, restava in
ogni mano. Il Vangelo neppure parla di moltiplicazione ma di distribuzione. Credo sia pi
facile moltiplicare il pane, che non distribuirlo. C' tanto di quel pane sulla terra che a

condividerlo basterebbe per tutti (David Maria Turoldo). Ges rifiuta di essere fatto re ma
non rifiuta l'acclamazione a profeta. La profezia gli si addice: bocca di Dio e bocca dei
poveri. Ma dal potere, da tutto ci che circonda il nome di re, fugge lontano. Non il potere,
dunque, ma la profezia per me cristiano, per l'intera Chiesa: essere bocca di Dio e voce dei
poveri il lievito buono che il cristiano fornisce al mondo. (Letture: 2 Re 4,42-44; Salmo
144; Efesini 4,1-6; Giovanni 6,1-15)
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
30/07/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Dio non chiede, si dona per primo


XVIII Domenica Tempo Ordinario-Anno B In quel tempo, quando la folla vide che Ges
non era pi l e nemmeno i suoi discepoli, sal sulle barche e si diresse alla volta di
Cafrnao alla ricerca di Ges. Lo trovarono di l dal mare e gli dissero: Rabb, quando sei
venuto qua?. Ges rispose loro: In verit, in verit io vi dico: voi mi cercate non perch
avete visto dei segni, ma perch avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da
fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio
dell'uomo vi dar. Perch su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo. (...) IIl lago si
riempito di barche e di speranze, l'incontro germoglia di domande. Rabbi, quando sei
venuto qua? Ti stiamo cercando, perch ti nascondi? E Ges svela la sua distanza: molto di
pi di un lago c' di mezzo tra me e voi... Incompreso, sempre sull'altra riva. Ma non si
arrende. Lui che ha sfamato la folla, ora ne diventa l'affamatore, vuole svegliare un'altra
fame, per un pane diverso. Cosa dobbiamo fare per avere questo pane? La risposta
sorprendente: credere, aderire. Sono io che riapro le vie del cielo, che do senso, profondit,
forza e canto alla vita. Credere, ma con fede pura: Voi mi cercate solo perch avete
mangiato! Ges interroga la mia fede illusoria: io amo Dio o i favori di Dio? Abramo,
padre dei credenti, ama Dio pi delle promesse di Dio; i profeti credono nella Parola di Dio
pi ancora che nella sua realizzazione. E io? Amo i doni che attendo o amo il Donatore? La
folla pone la terza domanda: quale segno (ancora non hanno capito!) fai perch possiamo
crederti? Mos ci ha dato la manna, ma tu che cosa ci dai? Ges risponde cambiando i
tempi, dal passato al presente, dal Sinai al lago di Galilea, e gli attori: non Mos ha dato,
ma Dio; e quel Padre ancora d. "Dio d". Due parole semplicissime eppure chiave di volta
del Vangelo. Dio non chiede, Dio d. Dio non pretende, non esige, Dio d. Non d pane in
cambio di potere, neppure di potere sulle anime. Dio d vita al mondo. D per primo, senza
niente in cambio, in perdita. Dio d vita. A noi spetta per aprirci, accogliere, dire di s,
acconsentire, credere. Io sono il pane della vita. Pane indica tutto ci che ci mantiene in
vita. Indica amore, dignit, libert, coraggio, pace, energia. Noi viviamo di pane e di sogni,
di pane e di bellezza, di pane e di amore, entrambi quotidiani, entrambi necessari per oggi
e per domani. Ges colui che mantiene viva questa vita: Dio amore e riversa amore;
Dio luce e dilaga luce da lui; Dio eterno e l'eternit si insinua nell'istante. Ges
annuncia la sua pretesa pi alta: io faccio vivere! Ho saziato per un giorno la vostra fame,
ma posso colmare tutta la vostra vita, tutte le profondit dell'esistenza. L'uomo nasce
affamato. Ed la sua fortuna: ha avuto in dono un cuore pi largo e pi profondo di tutte le
creature messe insieme. E non pu vivere senza mistero. Sete di cielo che non si placher
con larghe sorsate di terra. (Letture: Esodo 16,2-4.12-15; Salmo 77; Efesini 4,17.20-24;
Giovanni 6,24-35)

riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
06/08/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Dio si fa pane per la vita del mondo


XIX Domenica Tempo Ordinario-Anno B In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare
contro Ges perch aveva detto: Io sono il pane disceso dal cielo. E dicevano: Costui
non forse Ges, il figlio di Giuseppe? (...). Ges rispose loro: Non mormorate tra voi.
Nessuno pu venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciter
nell'ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: "E tutti saranno istruiti da Dio". Chiunque ha
ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perch qualcuno abbia visto il
Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verit, in verit io vi dico: chi crede
ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel
deserto e sono morti; questo il pane che discende dal cielo, perch chi ne mangia non
muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivr in eterno
e il pane che io dar la mia carne per la vita del mondo. La storia di Elia ci aiuta a
interpretare il Vangelo di oggi. Dio stesso si fa pane e vicinanza, angelo e carezza perch
noi, profeti troppe volte stanchi, non ci arrendiamo al deserto che ci assedia. Io sono il
pane disceso dal cielo. Io sono il Pane della vita. La mia carne per la vita del mondo. Tre
affermazioni che riassumono il brano. Io sono pane: pane indica tutto ci che ci mantiene
in vita, Cristo fa vivere. Fa vivere con la Parola, con le persone, con il giorno che ci dona,
con pane e acqua, un'intima luce e angeli che non ci aspettavamo, con se stesso. Pane
disceso: il movimento decisivo della storia discendente, Lui che si incarna e vuole la
comunione con me; Lui che attraversa deserti e crea sorprese di pane e di carezze, Lui
che invita. disceso dal cielo perch la terra non basta, perch a nessun figlio prodigo
basteranno mai le ghiande contese ai porci. Ogni figlio ha nostalgia del pane di casa: la
nostra casa il cielo, il nostro pane Dio. La mia carne per la vita del mondo. Tre sole
lettere per ed il senso della storia di Ges, dichiarazione d'amore da parte di Dio: per
te, mondo, per tutte le tue vite, vale la pena vivere e morire; tu prima di me; la tua vita
prima della mia. Neanche Dio vive per s stesso; vive, regna e ama per noi e per il
mondo, seme di fuoco in ogni cosa, per sempre. La nervatura di tutto il brano il verbo
mangiare. Mentre le religioni orientali si concentrano sul respiro, il cristianesimo ha come
gesto centrale il mangiare: entra in me Pane buono, che raggiunge e alimenta anche la
cellula pi lontana. Dio vicino a me, Dio in me, Dio sotto la mia pelle, che si insedia al
centro della mia povert come un re sul trono. Dio in ogni vena, Dio che mi abita:
medicina, guarigione, protezione, salvezza dell'anima e del corpo. Questa la vita eterna,
promessa per circa cento volte nei vangeli. Certezza di una realt senza prove. Tralcio e
vite, una cosa sola. Siate imitatori di Dio. Obiettivo impossibile, se l'Amato non diventa
la vita di chi lo ama, se non d forma Lui al nostro sentire, pensare, parlare, dare. Siate
imitatori di Dio, fatevi voi stessi pane e angelo, acqua e vicinanza. Cercate Qualcuno che
doni il coraggio di non vivere per se stessi, di diventare dono e pane, di diventare tutti, gli
uni per gli altri, carezza e angelo, compagnia nel deserto, compagnia oltre il deserto, su
fino al monte di Dio. (Letture:1 Re 19,4-8; Salmo 33; Efesini 4,30-5,2; Giovanni 6,41-51).
riproduzione riservata

Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


13/08/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Dio, quel Pane che si fa lievito in noi


XX Domenica Tempo Ordinario-Anno B In quel tempo, Ges disse alla folla: Io sono il
pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivr in eterno e il pane che io
dar la mia carne per la vita del mondo. Allora i Giudei si misero a discutere aspramente
fra loro: Come pu costui darci la sua carne da mangiare?. Ges disse loro: In verit, in
verit io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue,
non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io
lo risusciter nell'ultimo giorno. Perch la mia carne vero cibo e il mio sangue vera
bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il
Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, cos anche colui che mangia me
vivr per me. Questo il pane disceso dal cielo; non come quello che mangiarono i padri
e morirono. Chi mangia questo pane vivr in eterno. In questo breve Vangelo di otto
versetti, Ges per otto volte ci parla di un Dio che si dona: Prendete la mia carne e
mangiate. Farsi pane un bisogno incontenibile di Dio. Qui emerge il genio del
cristianesimo: non pi un Dio che domanda agli uomini offerte, doni, sacrifici, ma un Dio
che offre, sacrifica, dona, perde se stesso dentro le sue creature, come lievito dentro il
pane, come pane dentro il corpo. Mangiate e bevete di me: mangiare e bere Cristo
significa diventare luce da luce, Dio da Dio, della stessa sua sostanza. Per farlo occorre
cogliere il segreto vitale di Ges, assimilarne il nocciolo vivo e appassionato. Ges ha
scelto il pane come simbolo dell'intera sua vita. Perch per arrivare ad essere pane c' un
lungo percorso da compiere, un lavoro tenace in cui si tolgono cortecce e gusci perch
appaia il buono nascosto di ogni cuore: spiga dentro la paglia, chicco dentro la spiga, farina
dentro il chicco. Il percorso del pane quello di coloro che amano senza contare le fatiche.
Semini il grano nella terra oscura, marcisce, dice il Vangelo, e nascono le foglioline.
bello a gennaio vedere le foglioline tremare mentre si alzano sopra la neve. Ma se ti fermi
l, hai vinto il nero della terra e il bianco della neve, ma non diventi pane. Per diventarlo
devi andare su, salire, e a giugno la spiga gonfia si piega verso la terra, quasi a voler
ritornare l, a dire: ho finito. Invece viene la mietitura, e se lo stelo dice basta, ho gi
patito la violenza della falce! non diventa pane. Poi viene la battitura, la macina, il fuoco,
tutti passaggi duri per il chicco. A cosa serve alla fine tutto questo? Serve a saggiarci il
cuore. Dio ci mette alla prova perch sa che dentro di noi c' del buono, vuole soffiare via
la pula perch appaia il chicco, togliere la crusca perch appaia la farina. Al buono di
ciascuno Dio vuole arrivare. Cristo si fa pane perch ognuno di noi prima di morire deve
diventare pane per qualcuno, un pezzo di pane che sappia di buono per le persone che ama.
E goccia di sangue, che il simbolo di tutto quanto abbiamo di buono e di caldo e di vivo,
che mettiamo a disposizione di chi amiamo e, ancor pi, di chi ha bisogno di essere amato.
Dio pane incamminato verso la mia fame. Sapermi cercato, nonostante tutte le mie
distrazioni, nonostante questa mia vita superficiale e le risposte che non do, sapere che io
sono il desiderio di Dio tutta la mia forza, tutta la mia pace. (Letture: Proverbi 9, 1-6;
Salmo 33/34; Efesini 5, 15-20; Giovanni 6, 51-58)
riproduzione riservata

Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


20/08/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Le parole di Ges? Fanno viva la vita


XXI Domenica Tempo Ordinario-Anno B In quel tempo, molti tra i discepoli di Ges,
dissero: Questo linguaggio duro; chi pu intenderlo?. Ges, conoscendo dentro di s
che i suoi discepoli proprio di questo mormoravano, disse loro: Questo vi scandalizza? E
se vedeste il Figlio dell'uomo salire l dov'era prima? lo Spirito che d la vita, la carne
non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita. Ma vi sono alcuni tra voi che
non credono. (...) E continu: Per questo vi ho detto che nessuno pu venire a me, se non
gli concesso dal Padre mio. Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non
andavano pi con lui. Disse allora Ges ai Dodici: Forse anche voi volete andarvene?.
Gli rispose Simon Pietro: Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi
abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio. Forse volete andarvene anche
voi?. Affiora tristezza nelle parole di Ges, la consapevolezza di una crisi tra i suoi. Ma
anche fierezza e sfida, e soprattutto un appello alla libert di ciascuno: siete liberi, andate o
restate, ma scegliete! Ges non dice quello che devi fare, quello che devi essere, ma ti pone
le domande che guariscono dentro: che cosa accade nel tuo cuore? cosa vive in te? Che
cosa vuoi per davvero? Pietro a nome nostro risponde: Tu solo hai parole di vita eterna.
Tu solo. Ed esclude un mondo intero di illusioni, di seduzioni. Nessun altro c' al centro
della speranza, a fondamento del cuore. Tu sei stato l'affare migliore della mia vita. Hai
parole: non solo le pronunci, ma le hai, sono tue, sei tu la loro sorgente. Ed una cosa
povera e splendida la parola: solo una vibrazione nel vento, un soffio leggero, ma che sa
spalancare la pietra del sepolcro, che apre strade e nuvole e incontri, porta carezze e
incendi, che dall'inizio crea. Tu solo hai parole di vita. Parole che fanno viva finalmente
la vita. Intuisco che qui la perla, il tesoro: Cristo un incremento di umano in noi,
intensificazione di vita. L'uomo non vive di solo pane, ma di ci che viene dalla bocca di
Dio. Vengono Parole che danno vita al cuore, che allargano, dilatano, purificano il cuore,
ne sciolgono la durezza. Che danno vita alla mente, perch la mente vive di verit
altrimenti si ammala, vive di libert altrimenti appassisce, sincere e libere come nessuno.
Parole che danno vita allo spirito, a questa anima assetata. Dio spirito ed Lui che viene
quando viene la sua Parola. Parole che danno vita anche al corpo perch in Lui siamo,
viviamo e respiriamo: togli il tuo respiro e siamo subito polvere. La Parola che crea
universi, che disegna mondi, che semina futuri, la Parola di Dio opera in voi che credete.
Orienta, illumina, traccia strade, chiama, seduce, semina, abbatte le chiusure. E sono parole
di vita eterna: Cristo dona eternit a tutto ci che di pi bello l'uomo porta nel cuore. Da
chi mai potremmo andare? Pietro poteva tornare alla sua barca. Betsaida l accanto, ma
quello era appena sopravvivere, non era vivere davvero e per sempre, non c' barca che
valga o trasporti l'eternit del cuore. Tu solo hai parole che fanno viva la vita!
Dichiarazione di amore geloso ed esclusivo come un seme di fuoco, geloso ed esultante
come un seme di eternit. (Letture: Giosu 24, 1-2a. 15-17. 18b; Salmo 33; Efesini 5, 2132; Giovanni 6, 60-69)
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
27/08/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Quella strada dalle cose al cuore


XXII Domenica Tempo Ordinario Anno B In quel tempo [...] farisei e scribi interrogarono
Ges: Perch i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma
prendono cibo con mani impure?. [...] Chiamata di nuovo la folla, diceva loro:
Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c' nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui,
possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall'uomo a renderlo impuro. E
diceva ai suoi discepoli: Dal di dentro infatti, cio dal cuore degli uomini, escono i
propositi di male: impurit, furti, omicidi, adultri, avidit, malvagit, inganno,
dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori
dall'interno e rendono impuro l'uomo. Ges duro con gli ipocriti. Veniva da villaggi e
campagne dove il suo andare era come un bagno dentro il dolore. Dovunque arrivava gli
portavano i malati sulle piazze, sulle porte, dai tetti... E mendicanti ciechi lo chiamavano,
donne sofferenti cercavano di toccargli almeno l'orlo del mantello, almeno che la sua
ombra passasse come una carezza sulla loro umanit dolente. E ora che cosa trova? Gente
che discute di mani lavate o no, di stoviglie, di lavature di bicchieri! C'era davvero di che
diventare ruvidi o di che sentirsi scoraggiati. Ges, per, non si perde d'animo, mai,
neppure davanti ai pi superficiali, neppure davanti a me, e indica la strada: dall'esteriorit
all'interiorit, dalle cose al cuore. La vera religione inizia con il ritorno al cuore. Pi di
novecento volte nella Bibbia compare il termine cuore: non il semplice simbolo dei
sentimenti o dell'affettivit, ma il luogo dove nascono le azioni e i sogni, dove si sceglie la
vita o la morte, dove si distingue tra vero e falso, dove Dio seduce ancora e brucia il suo
fuoco come a Emmaus: Non ci bruciava forse il cuore mentre per strada...?. Ma nel
cuore dell'uomo c' tutto: radici di veleno e frutti di luce; campi seminati di buon grano ed
erbe malate. Dal cuore dell'uomo escono le intenzioni cattive: prostituzioni, furti, omicidi,
malvagit e scorre un elenco impressionante di dodici cose cattive, dodici cose che
rendono impura la vita. Ges, il maestro del cuore dice: non dare loro libert, non
legittimarle, non permettere loro di abitare la terra, non farle uscire da te, esse mandano
segnali di morte. Decisivo evangelizzare il cuore, le nostre zolle di durezza, le
intolleranze, le linee oscure, le maschere vuote. Io evangelizzo il mio intimo quando a un
sentimento dico: tu sei secondo Cristo, e ti accolgo, anzi ti benedico; a un altro invece dico:
tu non sei secondo Cristo e non ti accolgo, non ti do la mia casa, non ti lascio sedere sul
trono del mio cuore. Evangelizzare significa portare un messaggio felice. E il messaggio
felice anche questo: la grande libert. Via le sovrastrutture, i paludamenti, via gli
apparati, le disquisizioni sottili e vuote, le tradizioni, le costruzioni fastose, vai al cuore. E
libero e nuovo ritorna il Vangelo, liberante e nuovo, sempre. Scorri il Vangelo e senti
l'ombra di una perenne freschezza, perch sei tornato al cuore felice della vita. (Letture:
Deuteronomio 4,1-2.6-8 Salmo 14; Giacomo 1,17-18.21b-22.27; Marco 7,1-8.14-15.21-23)
riproduzione riservata

Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


03/09/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Dall'ascolto di Dio la luce della verit


XXIII Domenica Tempo Ordinario Anno B In quel tempo, Ges, uscito dalla regione di
Tiro, passando per Sidne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decpoli.

Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte,


lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli tocc la lingua;
guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: Effat, cio: Apriti!. E
subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comand loro di non dirlo a nessuno. Ma pi egli lo proibiva, pi essi lo proclamavano e,
pieni di stupore, dicevano: Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!. Il
racconto della guarigione del sordomuto non il semplice resoconto di un miracolo, bens
un segno che contiene quello che il Signore Ges vorrebbe operare in ogni suo discepolo,
che ha un nodo in cuore, un nodo in gola; quello che vorrebbe realizzare con questa mia
umanit infantile e immatura che non sa ascoltare e non sa dialogare. Che io sia uomo di
ascolto, innanzitutto: sordo infatti ha la stessa radice di assurdo. Entra nell'assurdo chi
non sa ascoltare Dio e gli altri, e lascia andare a vuoto tutte le parole. Esce dall'assurdo chi
impara ad ascoltare. E gli condussero un sordomuto. Un uomo prigioniero del silenzio,
una vita chiusa, accartocciata su se stessa come la sua lingua, un non-uomo. Ges lo porta
in disparte, per un dialogo fatto esclusivamente di sguardi: Io e te soli, dice Ges all'uomo
che non ancora uomo. E sei cos importante che ora le mie dita ti lavorano di nuovo,
come un Creatore che plasmi da capo l'argilla di Adamo. Ges inizia a comunicare cos,
senza parole, con il solo calore delle mani, con una carezza sugli orecchi, sulla bocca. Con
quel volto fra le sue mani guarda in alto e sospira. E l'uomo comincia a guarire. Il mio
volto fra le sue mani! E poi quel sospiro. Geme il Signore il suo dolore per il dolore del
mondo, geme per tante vite che non ce la fanno a sfuggire all'ombra dell'assurdo, geme e
fanno piaga in lui tutti i silenzi ostili della terra, tutte le relazioni spezzate... E infine ecco
la parola che salva: Effat, Apriti, arrivata cos fino a noi, nella lingua di Ges, viva
ancora nel rito del Battesimo. Apriti, come si apre una porta all'ospite, una finestra al sole.
Apriti come si apre uno scrigno prezioso o una prigione del cuore. Apriti come quando
cede un argine o una diga o si spalanca la pietra del sepolcro e la vita dilaga. Non vivere
chiuso, apriti alla Parola, al gemito e al giubilo del creato. E comand loro di non dirlo a
nessuno. Ges aiuta senza condizioni. Per lui pi importante la gioia del sordomuto, che
non la sua gratitudine; la sua felicit conta di pi, e di lui infatti non sapremo pi nulla,
scomparso nel gorgo della vita ritrovata. Il Vangelo di Marco riferir ancora solo due altri
miracoli, la guarigione di due ciechi. Per dire: prima l'ascolto poi viene la luce. Solo se
hai accolto in te la parola di Dio vedrai bene, capirai la verit di ci che vedi, il senso di ci
che accade. (Letture: Isaia 35,4-7a; Salmo 145; Giacomo 2,1-5; Marco 7,31-37)
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
10/09/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Quella domanda: chi sono per te?


XXIV Domenica Tempo Ordinario Anno B In quel tempo, Ges part con i suoi discepoli
verso i villaggi intorno a Cesara di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli
dicendo: La gente, chi dice che io sia?. (...) Ed essi gli risposero: Giovanni il Battista;
altri dicono Ela e altri uno dei profeti. Ed egli domandava loro: Ma voi, chi dite che io
sia?. Pietro gli rispose: Tu sei il Cristo. (...)E cominci a insegnare loro che il Figlio
dell'uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e
dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente.
Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi

discepoli, rimprover Pietro e disse: Va' dietro a me, Satana! Perch tu non pensi secondo
Dio, ma secondo gli uomini. (...) La gente, chi dice che sia il Figlio dell'uomo? Dicono
che sei un profeta: una creatura di fuoco e roccia, di fuoco e luce, come Elia, come il
Battista; dicono che sei voce di Dio e suo respiro. Ges non si sofferma oltre su ci che
dice la gente. Lui sa che la verit non risiede nei sondaggi d'opinione. E pone la grande
domanda, quella che fa vivere la fede: E voi, chi dite che io sia? Una domanda da custodire
e amare, perch il Signore ci educa alla fede attraverso domande: tu, con il tuo cuore, la tua
storia, il tuo peccato e la tua gioia, tu, cosa dici di Ges? Ora non servono pi libri o
formule di catechismo; ognuno uscito dalle mani di Dio, ognuno caduto e risorto, affamato
e incamminato deve dare la sua risposta. La Bibbia piena di nomi di Dio - pastore,
sorgente, fuoco, rugiada, vino, amante, braccio forte, carezza -: a Dio si addicono tutti i
nomi. Un salmo lo chiama roccia e nido (84,4); un altro sole e scudo (5, 13), ma
ancora ci che la gente dice, anche se con parole sante. C' un ultimo nome, il nome che
gli d il mio patire e il mio gioire, che contiene il mio sapore di Dio, che viene dall'averlo
molto cercato, qualche volta sentito, in qualche modo sfiorato con le dita dell'anima: tu sei
il Cristo. Non una persona di ieri, come Elia o il Battista, non un ricordo, niente sei tra le
cose passate. Ma Cristo cos' per me? Per me vivere Cristo, ha detto Paolo; per me,
adesso, Cristo significa vivere. Gi solo nominarlo equivale a confortare e intensificare la
vita, pi Cristo equivale a pi io. E cominci a insegnare loro che il figlio dell'uomo
doveva molto soffrire. Pietro si ribella, come mi ribello anch'io. Un Dio di molto patire non
ci che mi attendevo. Posso seguire le indicazioni spirituali di Ges, le sue regole morali
mi convincono, mi seduce un Ges guaritore e camminatore, accogliente e amicale, libero
come nessuno, posso avere gli stessi suoi sentimenti. Ma la croce! La croce l'impensabile
di Dio, il mezzo pi scandalosamente povero, ma anche l'abisso dove Dio diviene
l'amante, amore fino alla fine, senza inganno alcuno, Dio affidabile. Solo allora i discepoli
capiranno chi Ges: disarmato amore, crocifisso amore, e per questo vincente. Se
qualcuno vuol venire dietro di me, prenda su di s una vita che sia simile alla mia, che sia
croce e dono, non per patire di pi, ma per far fiorire di pi la zolla di terra del cuore, e poi
essere nella vita datore di vita. Come Lui. (Letture: Isaia 50,5-9a; Salmo 114; Giacomo
2,14-18; Marco 8,27-35).
riproduzione riservata

Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


17/09/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

La Chiesa non pu che accogliere


XXV Domenica Tempo Ordinario -Anno B In quel tempo, Ges e i suoi discepoli
attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai
suoi discepoli e diceva loro: Il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani degli uomini
e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorger. Essi per non capivano
queste parole e avevano timore di interrogarlo (...) Quando fu in casa, chiese loro: Di che
cosa stavate discutendo per la strada? Ed essi tacevano (...). Sedutosi, chiam i Dodici e
disse loro: Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore di tutti. E, preso
un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: Chi accoglie uno solo
di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui
che mi ha mandato. Il Vangelo riferisce uno dei momenti di crisi tra Ges e i discepoli.

Per paura non lo interrogano, per vergogna non gli rispondono, si isolano da lui: meglio il
buio che la luce. Nei Dodici si esprime la mentalit che si dirama ovunque in tutte le vene
del mondo: competere, primeggiare, imporsi, chi il pi grande?. A questa voglia di
potere, che principio di distruzione della convivenza umana, Ges contrappone il suo
mondo nuovo: Se uno vuol essere il primo sia il servitore di tutti. Servo non per
rinuncia, ma per prodigio di coraggio. Servire: verbo dolce e pauroso insieme, perch il
nostro piacere prendere, accumulare, comandare, non certo essere servi. Invece servizio
il nome nuovo della storia, il nome segreto della civilt. Ma questo non basta, c' un
secondo passaggio: Servitore di tutti dice Ges, senza limiti di gruppo, di famiglia, di
etna, di chi lo meriti o non lo meriti, senza porre condizioni. Ma non basta ancora, c' un
terzo gradino: prese un bambino e lo mise in mezzo il pi inerme e disarmato, il pi
indifeso e senza diritti, il pi debole tra gli ultimi! Se non sarete cos...Parole mai dette
prima, mai pensate prima, scandalo per i giudei, follia per i greci, ma parole finalmente
liberate come uccelli, come angeli, a raggiungere i confini del cuore. Diventate come
bambini che vivono solo perch sono amati. Ges abbraccia il pi piccolo perch nessuno
sia perduto, non una briciola di pane, non un agnello del gregge, non due spiccioli di un
tesoro. Neppure un capello del vostro capo andr perduto, neppure un passero cade a
terra e come potrebbe andare perduto un bambino? Da l parte il Signore Ges,
dall'infinitamente piccolo inizia la sua cura perch nessuno si senta escluso. Dio e l'uomo
hanno oggi nomi inusuali: servitore, bambino, ultimo! Il servitore di tutti, il bambino per
cui il solo fatto di esistere estasi, l'ultimo. Sono quelle parole abissali: o ti conquistano o
le cancelli per paura che siano loro ad abbattere il tuo sistema di vita. Il mondo nuovo, il
mondo altronasce da un verbo ripetuto quattro volte nell'ultima riga del Vangelo: Chi
accoglie uno solo di questi bambini, accoglie me; chi accoglie me non accoglie me ma
Colui che mi ha mandato. La vulnerabilit della vita nella sua fragilit il luogo da cui
prende le mosse l'etica condivisa (Ricoeur). La Chiesa o accogliente o non . Accogliere
un bambino accogliere Dio. Il volto di Dio inizia dal volto dell'altro (Levinass). (Letture:
Sapienza 2,12.17-20; Salmo 53; Giacomo 3,16-4,3; Marco 9,30-37)
riproduzione riservata

Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


24/09/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Se la profezia mettersi in ascolto


XXVI Domenica del Tempo ordinario Anno B In quel tempo, Giovanni disse a Ges:
Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demni nel tuo nome e volevamo
impedirglielo, perch non ci seguiva. Ma Ges disse: Non glielo impedite, perch non
c' nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e possa parlare male di me: chi non
contro di noi per noi. (...) Se la tua mano ti motivo di scandalo, tagliala: meglio per te
entrare nella vita con una mano sola, anzich con le due mani andare nella Geenna, nel
fuoco inestinguibile. (...) E se il tuo occhio ti motivo di scandalo, gettalo via: meglio
per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anzich con due occhi essere gettato
nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue. Maestro,
quell'uomo non dei nostri... Non importa se bravo, fa miracoli e dalle sue mani
germoglia vita. Ci oscura, ci toglie pubblico, viene da un'altra storia, dobbiamo difendere
la nostra. L'istituzione prima di tutto, l'appartenenza prima del miracolo, l'ideologia prima

della verit. La risposta di Ges, l'uomo senza barriere, di quelle che possono segnare una
svolta della storia: gli uomini sono tutti dei nostri, come noi siamo di tutti. Prima di tutto
l'uomo. Quando un uomo muore, non domandarti per chi suona la campana: essa suona
sempre un poco anche per te (John Donne). Tutti sono dei nostri. Tutti siamo "uno" in
Cristo Ges. Anzi, si pu essere di Cristo anche senza appartenere alla sua istituzione,
perch la Chiesa strumento del Regno, ma non coincide con il Regno di Dio, che ha altri
confini. Compito dei discepoli non classificare l'altro, ma ascoltarlo. Profeta chi ascolta
il soffio della primavera dello Spirito, che non sai da dove viene, che non conosce la
polvere degli scaffali, la polvere delle frasi gi fatte, delle musiche gi imparate. Ascoltare
la sinfonia del gemito di un bambino: anche questa profezia. Imparare a sentire e a
lasciarsi ferire dal grido dei mietitori defraudati (Gc 5,4): anche questa profezia.
Ascoltare il mondo e ridargli parola, perch tutto ci che riguarda l'avventura umana
riguarda me: sono un uomo e nulla di ci che umano mi estraneo (Terenzio). Ma
l'annuncio di Ges ancora pi coraggioso: ti porta dal semplice non sentirti estraneo al
gettarti dentro: dentro il grido dei mietitori, dentro lo Spirito dei profeti. Ti porta a vivere
molte vite, storie d'altri come fossero le tue. Ti dar cento fratelli, dice, cento cuori su cui
riposare, cento labbra da dissetare, cento bocche che non sanno gridare, di cui sarai voce. Il
Vangelo termina con parole dure: Se la tua mano, il tuo piede, il tuo occhio ti
scandalizzano, tagliali, gettali via. Vangelo delle cicatrici, ma luminose, perch le parole
di Ges non sono l'invito a un'inutile automutilazione, sono invece un linguaggio figurato,
incisivo, per trasmettere la seriet con cui si deve pensare alle cose essenziali. Anche
perdere ci che ti prezioso, come la mano e l'occhio, non paragonabile al danno che
deriva dall'aver sbagliato la vita. Ci invita il Signore a temere di pi una vita fallita che non
le ferite dolorose della vita. (Letture: Numeri 11,25-29; Salmo 18; Giacomo 5,1-6; Marco
9,38-43.45.47-48)

Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


01/10/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Non ripudiamo il sogno di Dio


XXVII Domenica del Tempo Ordinario Anno B In quel tempo, alcuni farisei si
avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Ges se lecito a un marito
ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: Che cosa vi ha ordinato Mos?.
Dissero: Mos ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla. Ges disse loro:
Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall'inizio della
creazione (Dio) li fece maschio e femmina; per questo l'uomo lascer suo padre e sua
madre e si unir a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Cos non sono pi due,
ma una sola carne. Dunque l'uomo non divida quello che Dio ha congiunto. A casa, i
discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: Chi ripudia la
propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il
marito, ne sposa un altro, commette adulterio. (...) Una domanda trabocchetto: lecito o
no a un marito ripudiare la moglie? I farisei conoscono bene la legge di Mos; sanno per
che esiste un conflitto tra norma e vita, e molto dolore tra le donne ripudiate, e mettono alla
prova Ges in questa strettoia tra la regola e la vita, tra il sabato e l'uomo: star con la
legge o con la persona? Ges risponde rilanciando in alto, ci porta subito oltre lecito e
illecito, oltre le strettoie di una vita immaginata come esecuzione di ordini, come

obbedienza a norme. Ci porta a respirare un sogno, l'aria degli inizi: in principio, prima
della durezza del cuore, non fu cos; a respirare con il respiro di Dio, che non pu essere
ridotto a norma, e che riparte da parole folgoranti: non bene che l'uomo sia solo! Nel
regno della bellezza e della gratuit, nel cuore dell'Eden, Dio scopre un non-bene, una
mancanza che precede la colpa originale, un male pi antico del peccato: la solitudine, il
primo nemico della vita. Neanche Dio pu stare solo (Turoldo). Dio contro la
solitudine, in se stesso relazione, estasi, esodo, comunione. In principio, il legame.
Costitutivo della vita stessa di Dio, Trinit. A Lui interessa che nessuno sia soffocato dalle
spire della solitudine: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile. Aiuto parola
bellissima che riempie i salmi, che deborda dalle profezie, gridata nel pericolo, invocata
nel pianto, molto pi di un supplemento di forza o di speranza, indica una salvezza
possibile e vicina. Eva e Adamo sono l'uno per l'altro aiuto simile, salvezza che
cammina a fianco, una carne sola. In principio, prima della durezza del cuore, era cos.
L'uomo non divida quello che Dio ha congiunto. Non contaminare il sogno di Dio, ecco
l'imperativo. Ma questo non avviene a causa di una sanzione giuridica che ratifica la fine di
un patto nuziale, ma accade a monte, per cento eventi, per quei comportamenti che
producono l'indurimento del cuore e non sanno mantenere vivo l'amore: l'infedelt, la
mancanza di rispetto, l'offesa alla dignit, l'essere l'uno per l'altro non causa di vita ma di
morte quotidiana... Un matrimonio che non si divide non una norma difficile da
osservare, vangelo, lieta notizia che l'amore possibile, che pu durare oltre, che il
cuore tenero capace di un sogno che non svanisce all'alba, e che secondo il cuore di
Dio, Lui il molto-tenero... (Letture: Genesi 2,18-24; Salmo 127; Ebrei 2,9-11; Marco
10,2-16)
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
08/10/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Il giovane ricco dice no al tesoro in cielo Triste la vita dell'osservante senza amore
XXVIII Domenica del Tempo Ordinario Anno B In quel tempo, mentre Ges andava per la
strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domand:
Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredit la vita eterna?. Ges gli disse:
Perch mi chiami buono? Nessuno buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti:
"Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non
frodare, onora tuo padre e tua madre". Egli allora gli disse: Maestro, tutte queste cose le
ho osservate fin dalla mia giovinezza. Allora Ges fiss lo sguardo su di lui, lo am e gli
disse: Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro
in cielo; e vieni! Seguimi!. Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne and
rattristato; possedeva infatti molti beni. Ges, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi
discepoli: Quanto difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di
Dio!. (...) Una grande domanda, quella dell'uomo ricco e senza nome: Maestro buono,
cosa devo fare per trovare la vita? La risposta di Ges appare solenne, eppure quasi
deludente: elenca cinque comandamenti che riguardano il prossimo, e ne aggiunge un
sesto, non frodare. Ma l'uomo ricco non soddisfatto: tutto questo l'ho sempre osservato.
Dovrei essere in pace e invece mi manca qualcosa. Cosa c' di meglio del dovere
compiuto, tutto e sempre? Eppure all'uomo non basta. Inquietudine divina, tarlo luminoso
che rode le false paci dell'anima e fa nascere i cercatori di tesori. Ges lo fissa, dice Marco,

come se prima non l'avesse neppure visto, e vede apparire, farsi largo, avanzare un
cercatore di vita. E lo ama. Poi parla: vendi tutto, dona ai poveri, segui me. L'uomo si
spaventa e si rattrista per quelle tre parole. Marco usa un verbo come per il cielo che
diventa cupo: il suo volto si oscura. Era arrivato correndo, se ne va camminando. L'uomo
che fioriva di domande se ne va muto. Il ribelle si arreso, il cercatore si spaventato: la
vetta troppo lontana, ci vuole troppo coraggio. E non capisce che la felicit dipende non
dal possesso ma dal dono, che il cuore pieno dipende non dai beni (Luca 12,15) ma dai
volti, che la sicurezza non nel denaro, ma nelle mani del Pastore grande. E per tutta la
vita rester cos, onesto e triste, osservante e cupo. Quanti cristiani sono come lui, onesti e
infelici. Osservano tutti i comandamenti, tutti i giorni, come lui, e non hanno la gioia: lo
fanno per ottenere qualcosa, per avere e non per essere, lo fanno come dentro un universo
carcerario dove quasi tutto proibito e il resto obbligatorio. Tutto sanzionato da premio o
castigo. E il cuore assente, una morale senza amori. Ges propone all'uomo ricco la
comunione, cento fratelli, ma egli preferisce la solitudine; propone un tesoro di persone,
egli ne preferisce uno di cose. Propone se stesso: segui me, la mia vita sorgente di vita
buona, bella e beata. Ma l'uomo segue il denaro. Tutto finito? No, a conclusione ecco un
sussulto di speranza in una delle parole pi belle di Ges: tutto possibile presso Dio. La
passione di Dio moltiplicare per cento quel poco che hai, quel nulla che sei e riempirti la
vita di affetti e di luce: ti dar un tesoro di volti, non possederai nulla eppure godrai del
mondo intero, sarai povero e signore, come me. Seguirti, Signore, stato il migliore
affare della mia vita. (Letture: Sapienza 7,7-11; Salmo 89; Ebrei 4,12-13; Marco 10,17-30).
riproduzione riservata

Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


15/10/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Un Dio venuto per servire l'uomo


XXIX Domenica Tempo Ordinario Anno B In quel tempo, si avvicinarono a Ges
Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedo, dicendogli: Maestro, vogliamo che tu faccia per
noi quello che ti chiederemo. Egli disse loro: Che cosa volete che io faccia per voi?. Gli
risposero: Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra.
Ges disse loro: Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o
essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?. Gli risposero: Lo possiamo. E
Ges disse loro: Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono
battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta
a me concederlo; per coloro per i quali stato preparato. Vangelo dei paradossi perenni,
della pi sorprendente autodefinizione di Ges: venuto per servire. Tutto nasce dal fatto
che Giovanni il teologo, l'aquila, il mistico, il discepolo amato, chiede di essere al primo
posto: la ricerca del primo posto una passione cos forte che penetra e avvolge il cuore di
tutti. Pericolosamente: Non sapete quello che chiedete!. Non avete capito ancora a cosa
andate incontro, quali argine rompete con questa domanda, che cosa scatenate con questa
fame di potere. Per il Vangelo, invece, essere alla destra e alla sinistra di Cristo, vuol dire
occupare due posti sul Golgota, quell'ultimo venerd; vuol dire essere con Ges lungo tutta
la sua vita, quando voce di Dio e bocca dei poveri, e fa dei piccoli i principi del suo
Regno, quando disarmato amore. Stare a destra e a sinistra di questa vita vuol dire bere
alla coppa di chi ama per primo, ama in perdita, ama senza contare e calcolare. Con Ges,

tutto ci che sappiamo dell'amore / che l'amore tutto (E.Dickinson). Sono venuto per
essere servo. La pi spiazzante di tutte le definizioni di Dio. Parole da vertigine: Dio mio
servitore! Dio non tiene il mondo ai suoi piedi, inginocchiato Lui ai piedi delle sue
creature. I grandi della storia erigono troni al proprio ego smisurato, Dio non ha troni,
cinge un asciugamano e vorrebbe fasciare le ferite della terra con bende di luce. Non
cercarlo al di sopra dei cieli disceso e si dirama nelle vene del mondo, non sopra di te ma
in basso, il pi vicino possibile alla tua piccolezza. Perch essere sopra l'altro la massima
distanza dall'altro. L'Onnipotente pu solo ci che l'amore pu: servire ogni respiro, invece
di mietere le nostre povere messi seminare ancora ad ogni stagione. Capovolgimento,
punto di rottura dei vecchi pensieri su Dio e sull'uomo. Appare un tutt'altro modo di essere
da cui germina la parola di Ges: Tra voi non sia cos!. Tra voi cose di cielo! Tra voi un
altro mondo! Tra voi una storia altra, un altro cuore! E farai cos, perch cos fa Dio. Ma io
tremo se penso alla brocca e all'asciugamano. cos duro servire ogni giorno, custodire
germogli, vegliare sui primi passi della luce, benedire ci che nasce. Il cuore subito
stanco. Non resta che lasciarsi abitare da lui, irradiare di vangelo. Se Dio nostro servitore,
servizio il nome nuovo della storia, il nome segreto della civilt. (Letture: Isaia
53,2a.3a.10-11; Salmo 32; Ebrei 4.14-16; Marco 10,35-45)
riproduzione riservata

Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


22/10/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Ogni uomo un mendicante di luce


XXX Domenica Tempo Ordinario - Anno B In quel tempo, mentre Ges partiva da Grico
insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timo, Bartimo, che era cieco (...).
Allora Ges gli disse: Che cosa vuoi che io faccia per te?. E il cieco gli rispose:
Rabbun, che io veda di nuovo!. E Ges gli disse: Va', la tua fede ti ha salvato. E
subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada. La guarigione di Bartimeo l'ultimo
miracolo del Vangelo di Marco. Ultimo e necessario questo bellissimo racconto, cos
scarno e vivo, pieno di movimento, di grida, di strade e di luce. Un mendicante cieco,
icona di ogni uomo, mendicante di luce e di strade, di orizzonti e di compassione. Cosa c'
di pi perduto, di pi inutile, di pi naufrago dell'esistenza di un mendicante cieco e solo?
Eppure questo naufrago non perduto. Alza la voce sul rumore della folla che lo ignora,
che lo oltrepassa e va; solo e al buio grida la sua disperata speranza. Un grido che fisico
ma si direbbe viscerale, che sembra salire da ci che ogni essere ha di pi di profondo e di
pi carnale. Il grido pi che la parola, c' dentro corpo, energia, dolore, bisogno. il
grido del bambino che nasce, del morente in croce che urla al cielo e alla terra il buio che
ha nel cuore. Finch c' un grido, la speranza ha la sua casa. Ed ecco dalla folla tre parole:
coraggio, alzati, ti chiama: il nostro triplice ministero. Coraggio! Incoraggiare
innanzitutto, dare cuore e speranza, condividere la paura, e inoculare coraggio, frutto della
fiducia in Dio, in tutti quelli che gridano dolore. Alzati! Rimettere in piedi, aiutare a
ripartire, e mai gettare a terra nessuno, mai demolire nessuno. E io non so come farlo, non
lo so davvero. Ma questo racconto mi aiuta: nominare Cristo, annunciare la compassione di
Dio equivale a confortare la vita, a rimetterla in piedi. Ed ecco il terzo ministero: ti chiama,
ha ascoltato il tuo grido e ora pronuncia il tuo nome. Lui che pu dare luce, dare occhi
profondi che vedono, che vedono il cuore di Dio e il senso della vita. Con una sola

espressione Marco ci offre una delle sintesi pi belle di cosa sia l'azione pastorale, non
compito di esperti ma missione di ogni discepolo: coraggio, alzati, ti chiama. Ed ecco che
si libera tutta una energia compressa, l'energia della vita, tutto sembra improvvisamente
eccessivo, esagerato. Bartimeo non parla, grida; non si toglie il mantello: lo getta; non si
alza in piedi, balza. La fede moltiplicazione di vita, un eccesso illogico e bello, vita in
pienezza. Anche noi, mendicanti di luce, almeno una volta, dietro ad una parola del
Vangelo, abbiamo lasciato i nostri angoli bui, la vita seduta, le vecchie strade e forse,
quando ci siamo buttati nel volo, si sono aperte strade nel sole, ali che non sapevamo di
avere. (Letture: Geremia 31,7-9; Salmo 125; Ebrei 5,1-6; Marco 10,46-52).
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
29/10/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Nelle Beatitudini la regola della santit


Solennit di Tutti i Santi In quel tempo (...) Ges insegnava loro dicendo: Beati i poveri in
spirito, perch di essi il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perch saranno
consolati. Beati i miti, perch avranno in eredit la terra. Beati quelli che hanno fame e sete
della giustizia, perch saranno saziati. Beati i misericordiosi, perch troveranno
misericordia. Beati i puri di cuore, perch vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perch
saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perch di essi il regno
dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni
sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perch grande la
vostra ricompensa nei cieli. Non ci stanchiamo mai di ascoltare le nove beatitudini, anche
se le sappiamo bene, anche se certi di non capirle. Esse riaccendono la nostalgia prepotente
di un mondo fatto di bont, di non violenza, di sincerit, di solidariet. Disegnano un modo
tutto diverso di essere uomini, amici del genere umano e al tempo stesso amici di Dio, che
amano il cielo e che custodiscono la terra, sedotti dall'eterno eppure innamorati di questo
tempo difficile e confuso: sono i santi. La storia si aggrappa ai santi per non ritornare
indietro, si aggrappa alle beatitudini. Beati i miti perch erediteranno la terra, soltanto chi
ha il cuore in pace garantisce il futuro della terra, e perfino la possibilit stessa di un
futuro. Nell'immenso pellegrinaggio verso la vita, i giusti, coloro che pi hanno sofferto
conducono gli altri, li trascinano in avanti e in alto. Lo vediamo dovunque, nelle nostre
famiglie come nella storia profonda del mondo: chi ha il cuore pi limpido indica la strada,
chi ha molto pianto vede pi lontano, chi pi misericordioso aiuta tutti a ricominciare.
Dio interviene nella storia, annuncia e porta pace. Ma come interviene? Lo fa attraverso i
suoi amici pacificati che diventano pacificatori, attraverso gli uomini delle beatitudini. Il
Vangelo ci presenta nelle beatitudini la regola della santit; esse non evocano cose
straordinarie, ma vicende di tutti i giorni, una trama di situazioni comuni, fatiche, speranze,
lacrime: nostro pane quotidiano. Nel suo elenco ci siamo tutti: i poveri, i piangenti, gli
incompresi, quelli dagli occhi puri, che non contano niente agli occhi impuri e avidi del
mondo, ma che sono capaci di posare una carezza sul fondo dell'anima, sono capaci di
regalarti un'emozione profonda e vera. E c' perfino la santit delle lacrime, di coloro che
molto hanno pianto, che sono il tesoro di Dio. Le beatitudini compongono nove tratti del
volto di Cristo e del volto dell'uomo: fra quelle nove parole ce n' una proclamata e scritta
per me, che devo individuare e realizzare, che ha in s la forza di farmi pi uomo, che
contiene la mia missione nel mondo e la mia felicit. Su di essa sono chiamato a fare il mio

percorso, a partire da me ma non per me, per un mondo che ha bisogno di esempi
raccontabili, di storie del bene che contrastino le storie del male, di cuori puri e liberi che si
occupino della felicit di qualcuno. E Dio si occuper della loro: Beati voi!. (Letture:
Apocalisse 7,2-4.9-14; Salmo 23; 1 Giovanni 3,1-3; Matteo 5,1-12a)

Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


05/11/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

nel cuore la vera bilancia di Dio


XXXII Domenica del Tempo Ordinario Anno B In quel tempo, Ges nel tempio diceva alla
folla nel suo insegnamento: Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe
vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei
banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi
riceveranno una condanna pi severa. Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla
vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gett
due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a s i suoi discepoli, disse loro: In
verit io vi dico: questa vedova, cos povera, ha gettato nel tesoro pi di tutti gli altri. Tutti
infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato
tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere. C' un luogo nel tempio dove tutti
passano, Ges siede l, davanti ai tredici piccoli forzieri delle offerte, di fronte al sacerdote
che controllava la validit delle monete e dichiarava a voce alta, per la folla, l'importo
dell'offerta. In quel luogo, dove il denaro proclamato, benedetto, invidiato, esibito, Ges
osserva invece le persone, e nota tra la folla una vedova, povera e sola: non ha pi nessuno,
non pi di nessuno, e perci di Dio. L'uomo guarda le apparenze, Dio guarda il cuore
(1 Sam 16,7), ed ecco che il denaro si dissolve, pura apparenza, il tesoro la persona. Nel
Vangelo di norma i poveri chiedono e supplicano, ora un povero non chiede nulla per s,
ma capace di dare tutto. Allora Ges chiama i discepoli, l'ultima volta in Marco, e
indica un maestro della fede in una donna povera e sola, capace di dare anche l'ultimo
sorso, gli ultimi spiccioli di vita. Mentre l'evidenza del mondo dice: pi denaro bene,
meno denaro male, Ges capovolge questa logica: pi cuore bene, meno cuore
male. Il bene detto dal cuore. Le bilance di Dio non sono quantitative. Tutti danno del
loro superfluo, e i loro beni restano intatti; lei invece d ci che ha per vivere, e le rimane
solo Dio. D'ora in poi, se vivr, lo far perch quotidianamente dipendente dal cielo. Ma
chi ha il coraggio di dare tutto, non si meraviglier di ricevere tutto. Beati i poveri che non
hanno cose da dare, e perci hanno se stessi da dare. Come un povero, puoi donare ci che
hai per vivere, ma ancor pi ci che ti fa vivere: le spinte, le sorgenti, le passioni vitali.
Non c' vita insignificante o troppo piccola, nessuno cos povero o debole, nessuno cos
vuoto o cattivo da non poter donare la ricchezza delle esperienze, le intuizioni, le forze del
cuore, le energie della mente, il segreto della bellezza che ha visto e goduto, i motivi della
sua gioia, i perch della sua fede. E ricominciamo, con il magistero di una donna, a
misurare il mondo non con il criterio della quantit, ma con quello del cuore. Non c'
nessun capitalismo nella carit, agli occhi di Colui che guarda il cuore la quantit non che
apparenza. Ci che conta non il denaro, ma quanto amore vi stato messo, quanta vita
contiene. Talvolta tutto il Vangelo racchiuso in un bicchiere d'acqua fresca, dato solo per
amore; tutta la fede in due spiccioli, dati con tutto il cuore. (Letture: 1 Re 17,10-16;
Salmo 145; Ebrei 9,24-28; Marco 12,38-44)

Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


12/11/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Quella breccia di luce sul futuro


XXXIII Domenica Tempo Ordinario Anno B In quel tempo, Ges disse ai suoi discepoli:
In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurer, la luna non dar pi la sua
luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora
vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli mander
gli angeli e raduner i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremit della terra fino
all'estremit del cielo. Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo
diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate vicina. Cos anche voi: quando
vedrete accadere queste cose, sappiate che egli vicino, alle porte. In verit io vi dico:
non passer questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra
passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto per a quel giorno o a quell'ora,
nessuno lo sa, n gli angeli nel cielo n il Figlio, eccetto il Padre. Per noi che viviamo di
solo presente, la liturgia apre una porta nella parete del tempo, perch possiamo guardare
oltre. Non per anticipare la data di un futuro, ma per insegnarci a vivere giorni aperti al
futuro. Il Vangelo non parla della fine del mondo ma del senso della storia. Dice parole
d'angoscia, eppure ci educa alla speranza, in questa nostra vita che un impasto di dramma
e di delicatezza. Parla di stelle che si spengono e cadono dal cielo, ma il profeta dice che il
cielo non sar mai spento, mai vuoto di stelle: I saggi risplenderanno come stelle per
sempre. Cadano pure i vecchi punti di riferimento, uomini nuovi si accendono su tutta la
terra, e da questa storia che sembra risucchiata verso il basso, salgono invece nella casa
delle luci. Uomini giusti e santi, uomini e donne in tutto il mondo salgono nella casa della
luce: sono coloro che conservano in fondo agli occhi il riverbero della speranza, che hanno
passione per la pace, che inducono il mondo a essere pi giusto e pi buono loro
risplenderanno come le stelle per sempre. Oggi non c' bisogno di grandi Profeti, ma di
piccoli profeti che vivano con semplicit, senza chiasso, senza integralismi il Vangelo nella
vita quotidiana. E questi sono come stelle, e sono molti, e sono legione, e sono come astri
del cielo e della storia: basta saperli vedere, basta alzare lo sguardo attorno a noi: non
sprechiamo i giusti del nostro mondo, non dissipiamo il tesoro di bont delle nostre case.
Cristo vicino, sta alle porte, Cristo che alla periferia della mia casa, della mia citt, agli
orli murati dei nostri mondi separati, sta l, come una porta, come una breccia nel muro,
come una breccia di luce a indicare incontri e offerte di solidariet e di amore. E se ogni
Eucaristia, se ogni vita, se ogni sera della vita si chiudesse con le parole stesse con cui si
chiude la Bibbia, parole di porte aperte, di battenti spalancati, di cuore e di braccia larghi
quanto la speranza: Lo Spirito e la Sposa dicono vieni! e chi ascolta ripeta: vieni. E se
ognuno dicesse a tutti e a tutto, a Dio e ad ogni creatura Vieni; se dicesse alla persona
amata ma anche all'estraneo, all'ultima stella del cielo e al povero Vieni; se dicesse agli
uomini giusti e saggi di cui pieno il mondo Vieni; in questa ospitalit reciproca
troveremmo il senso dell'avvento, in questo non sentirsi gettati via il senso della storia.
(Letture: Daniele 12,1-3; Salmo 15; Ebrei 10,11-14.18; Marco 13,24-32)
riproduzione riservata

l Vangelo A cura di Ermes Ronchi

19/11/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Un regno d'amore che rende liberi


XXXIV Domenica del Tempo Ordinario - Solennit di Nostro Signore Ges Cristo Re
Dell'universo - Anno B In quel tempo, Pilato disse a Ges: Sei tu il re dei Giudei?. Ges
rispose: Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?. Pilato disse: Sono forse
io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai
fatto?. Rispose Ges: Il mio regno non di questo mondo; se il mio regno fosse di
questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perch non fossi consegnato ai
Giudei; ma il mio regno non di quaggi. Allora Pilato gli disse: Dunque tu sei re?.
Rispose Ges: Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel
mondo: per dare testimonianza alla verit. Chiunque dalla verit, ascolta la mia voce.
Pilato e Ges uno di fronte all'altro. Pilato l'uomo del potere e della paura insieme, per
paura consegner Ges alla morte, contro il suo stesso parere. Ges invece l'uomo della
libert. Lo leggiamo nelle sue risposte cos franche e nitide. Allora chi pi uomo Due
volte Pilato domanda: Tu sei re? Ges risponde che il suo Regno non di quaggi, e lo
mostra attraverso due caratteristiche che si oppongono a violenza e inganno, la duplice
logica di ogni potere, i due nomi del Nemico dell'uomo. I regni di quaggi si combattono,
il potere ha l'anima della guerra, si nutre di violenza. Ges non ha mai arruolato eserciti,
non mai entrato nei palazzi dei potenti, se non da prigioniero. Metti via la spada, ha detto
a Pietro, altrimenti la ragione sar sempre del pi forte, del pi violento, del pi crudele.
Per i regni di quaggi l'essenziale vincere, ma Lui dice: nel mio Regno l'essenziale
dare. Non c' amore pi grande che dare la vita per quelli che si amano. Il dono e non la
rapina sono il perno della storia. La seconda caratteristica la verit: sono venuto per
rendere testimonianza alla verit. Prima di tutto alla verit di Dio: il volto vero di Dio un
crocifisso amore, disarmato amore, risorgente amore. E poi la verit dell'uomo: il volto
vero dell'uomo fatto di libert e di fraternit, luminoso, veggente, amante. Come aveva
proclamato a Nazaret: Sono venuto ad annunciare la libert ai prigionieri, la luce ai ciechi,
ai poveri che sono loro i principi, ai costruttori di pace che sono loro i signori della terra.
Cristo re perch la sua figura generativa di umanit; perch innesta bisogni inediti, crea
una tensione a fiorire, un avanzamento dell'umano, una intensificazione della vita. Ogni
credente ha ricevuto nel battesimo lo stesso potere. Ad ognuno il sacerdote ha detto: Tu sei
re, ti affidata una porzione di mondo, la devi reggere con saggezza e con giustizia. Alle
tue mani consegnata una porzione di storia perch tu la faccia fiorire di libert e di
tenerezza. Re secondo Cristo chi disarma il proprio cuore, chi smaschera gli inganni, le
menzogne e gli idoli del nostro vivere. re chi giudica l'arroganza, chi libero nella verit,
chi si prende cura d'altri. re chi sa amare, perch l'amore possiede l'eternit. Venga il tuo
Regno, Signore, e sia bello come i sogni, sia intenso come le lacrime di chi visse e mor
nella notte per costruirlo. (Letture: Daniele 7,13-14; Salmo 92; Apocalisse 1,5-8; Giovanni
18,33b-37)

Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


26/11/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed
Alla porta del cuore in attesa di Dio

Enviar

I Domenica di Avvento Anno C In quel tempo, Ges disse ai suoi discepoli: Vi saranno
segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il
fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ci
che dovr accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora
vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. [...] State
attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e
affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all'improvviso [...]. Vegliate in
ogni momento pregando, perch abbiate la forza di sfuggire a tutto ci che sta per
accadere, e di comparire davanti al Figlio dell'uomo. Avvento parola la cui radice latina
significa: venire accanto, farsi vicino. il tempo in cui tutto si fa pi vicino: Dio all'uomo,
l'altro a me, io al mio cuore. sempre tempo d'Avvento, allora, sempre tempo di
abbreviare distanze, di conquistare vicinanza. Avvento quel tempo magnifico che sta tra il
gemito delle cose e la venuta di Cristo, lunga ora tra doglie e parto, di cui ci parla il
drammatico Vangelo di Luca. Dio ha giudicato il mondo e l'ha trovato lontano. Ma invece
di sdegnarsi, lui stesso che si carica della distanza, s'incarica di tutti i passi. Dio ha
giudicato l'uomo e l'ha trovato lontano. E invece di condannarlo, si pone in cammino a
ricucire i lembi della lontananza. Il Signore giudica me e mi trova con il cuore appesantito,
e viene pi vicino, lui l'unico che parla al cuore. Quando avverr tutto questo? Ges invece
di rispondere quando avverranno le cose ultime, indica come attenderle nel tempo
intermedio. Il quando avverranno adesso: il cristiano non evade, abita il quotidiano,
intercede, letteralmente cammina in mezzo, medicando le piaghe, curando i germogli. E
anche il germe divino, quel piccolo Dio che ha da fiorire in ognuno di noi. Attesa e
attenzione sono le due parole tipiche dell'Avvento. Attesa di Dio, Colui-che-viene,
eternamente incamminato verso di me. Attesa come di madre: la donna sa nel suo corpo, da
dentro, cosa significa attendere; il tempo pi sacro, pi creatore, pi felice. Attendere,
infinito del verbo amare. Tutte le creature attendono, anche il grano attende, e le pietre e la
notte, tutta la creazione attende un Dio che viene, che ha sempre da nascere. State attenti
che i vostri cuori non si appesantiscano. Vivere con attenzione, perch la pi grave
epidemia moderna la superficialit (R. Panikkar). Vivere attenti al cuore, prima di tutto,
perch la casa della vita, la porta di Dio. L'incarnazione non finita, accade
continuamente. Dio nasce perch io nasca. L'uomo non mai nato del tutto, e deve
affrontare la fatica di generarsi di nuovo, o sperare di essere generato... la speranza fame
di nascere del tutto, di portare a compimento ci che custodiamo in noi. Verr sulle nubi,
ma gi viene: nei piccoli gesti dei cuori puri, nella luce intima che indica la via, in una
delicatezza inattesa, viene attraverso le persone che amo e che ho accanto, come talenti.
Sono il suo linguaggio, la mano dei suoi doni. Ogni carne intrisa di Dio. (Letture:
Geremia 33,14-16; Salmo 24; 1 Tessalonicesi 3,12-4,2; Luca 21,25-28,34-36)
riproduzione riservata

Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


04/12/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

E il deserto diventa cuore del mondo


II Domenica di Avvento Anno C Nell'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare,
mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrrca della Galilea, e Filippo,
suo fratello, tetrrca dell'Itura e della Tracontide, e Lisnia tetrrca dell'Abilne, sotto i

sommi sacerdoti Anna e Cifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccara, nel
deserto. Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di
conversione per il perdono dei peccati, com' scritto nel libro degli oracoli del profeta
Isaa: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi
sentieri! Ogni burrone sar riempito, ogni monte e ogni colle sar abbassato; le vie tortuose
diverranno diritte e quelle impervie, spianate. Ogni uomo vedr la salvezza di Dio!. Il
Vangelo chiama a confronto storia e profezia. La grande storia riassunta da Luca
nell'elenco iniziale di sette nomi propri che tracciano la mappa del potere politico e
religioso. Sono sette, a simboleggiarne la pienezza e a convocare tutto il potere di ogni
tempo e di ogni luogo. Alla geografia dei potenti sfuggono per un deserto, un uomo, una
parola. Il quasi-nulla, quanto basta tuttavia a mutare la direzione della storia: mentre a
Roma si decidevano le sorti dei popoli, mentre Pilato, Erode, Anna e Caifa si spartivano il
potere su quella terra assolata e passionale, su questo meccanismo perfettamente oliato,
cade un granello di sabbia del deserto, un granello di profezia: la Parola discese, a volo
d'aquila, sopra la sua preda, Giovanni, figlio di Zaccaria e figlio del miracolo, nel deserto.
La nuova capitale del mondo il deserto di Giuda. Lontano dalle capitali e dagli imperi, da
templi e da palazzi, la profezia l'estasi di una storia che non basta a se stessa. Nel deserto,
dove un uomo vale quanto vale il suo cuore, dove senza maschere e senza paure, solo nel
deserto la goccia di fuoco della profezia pu dare il suo frutto. La Parola fu su Giovanni.
In cinque semplicissimi termini racchiusa la mia e la tua vocazione. Chiamati ad essere
profeti: metto il mio nome al posto di quello del profeta, e so che molte volte ormai la
Parola venuta sopra di me, e non mi ha trovato. Ma so che deve venire, verr, perch di
me non stanca. Ha bisogno non di grandi profeti, ma di piccoli e quotidiani che, l dove
vivono, incarnino un progetto senza inganno o violenza, facciano risuonare parole pi
profonde, orizzonti chiari, lealt, coerenza, giustizia. E la misteriosa e mai revocata scelta
di Dio: fare storia con chi non ha storia, scegliere la via della periferia, entrare nel mondo
dal punto pi basso, da dove l'uomo soffre. Ciascuno di noi pu diventare voce di una
Parola, di una sillaba di Dio. Ma prima deve essere raggiunto, afferrato, conquistato da
Cristo. Per questo: Preparate le vie del Signore, inventate vie attraverso le quali la Parola
giunga fino al cuore; moltiplicate le strade della seduzione di Dio, date ogni giorno un po'
di tempo e un po' di cuore alla lettura del Vangelo, lasciatevi affascinare. E poi, nel tuo
eremo interiore, con perseveranza, rendi continuo come il respiro, normale come il pane, il
dialogo del cielo. (Letture: Baruc 5,1-9; Salmo 125; Filippesi 1,4-6.8-11; Luca 3,1-6)
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
10/12/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Per stare bene l'uomo deve dare


III Domenica di Avvento Anno C In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo:
Che cosa dobbiamo fare?. Rispondeva loro: Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha,
e chi ha da mangiare, faccia altrettanto.(...) Poich il popolo era in attesa e tutti, riguardo a
Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti
dicendo: Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che pi forte di me, a cui non sono
degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzer in Spirito Santo e fuoco. Tiene in
mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucer
la paglia con un fuoco inestinguibile. Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava
il popolo. Esulter, si rallegrer, grider di gioia per te, come nei giorni di festa. Nelle

parole del profeta, Dio danza di gioia per l'uomo. Sofonia racconta un Dio felice il cui
grido di festa attraversa questo tempo d'avvento e ogni tempo dell'uomo e ripete, a me, a te,
ad ogni creatura: tu mi fai felice. Tu, festa di Dio. Dio seduce proprio perch parla il
linguaggio della gioia, perch il problema della vita coincide con quello della felicit
(Nietzsche). Mai nella Bibbia Dio aveva gridato. Aveva parlato, sussurrato, tuonato, aveva
la voce dei sogni; solo qui, solo per amore Dio grida. Non per minacciare, solo per amare.
Mentre il profeta intuisce la danza dei cieli e intona il canto dell'amore felice, il Battista
risponde alla domanda pi feriale, che sa di mani e di fatica e incide nei giorni: che cosa
dobbiamo fare?. E l'uomo che non possiede nemmeno una veste degna di questo nome,
risponde: chi ha due vestiti ne dia uno a chi non ce l'ha. Colui che si nutre del nulla che
offre il deserto, cavallette e miele selvatico, risponde: chi ha da mangiare ne dia a chi non
ne ha. Nell'ingranaggio del mondo Giovanni getta un verbo forte, dare. Il primo verbo
di un futuro nuovo. In tutto il Vangelo il verbo amare si traduce con il verbo dare (non c'
amore pi grande che dare la vita; chiunque avr dato anche solo un bicchiere d'acqua
fresca; c' pi gioia nel dare che nel ricevere"). legge della vita: per stare bene l'uomo
deve dare. Vengono pubblicani e soldati, pilastri del potere: e noi che cosa faremo?.
Non prendete, non estorcete nulla, non accumulate. Tre risposte per un programma
unico: tessere il mondo della fraternit, costruire una terra da cui salga giustizia. Il profeta
sa che Dio si trasmette attraverso un atteggiamento di rispetto e di venerazione verso tutti
gli uomini, e si trasmette come energia liberatrice dalle ombre della paura che invecchiano
il cuore. L'amore rinnova (Sofonia), la paura invecchia il cuore. E io, che cosa devo
fare?. Non di grandi profeti abbiamo bisogno ma di tanti piccoli profeti, che l dove sono
chiamati a vivere, anche non visti, giorno per giorno, siano generosi di giustizia, di pace, di
onest, che sappiano dialogare con l'essenza dell'uomo, portando se non la Parola di Dio
almeno il suo respiro alto dentro le cose di ogni giorno. Allora, a cominciare da te, si
riprende a tessere il tessuto buono del mondo. (Letture: Sofonia 3,14-18; Isaia 12; Filippesi
4,4-7; Luca 3,10-18).
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
17/12/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Dio viene come vita e come gioia


IV Domenica d'Avvento Anno C In quei giorni Maria si alz e and in fretta verso la
regione montuosa, in una citt di Giuda. Entrata nella casa di Zaccara, salut Elisabetta.
Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussult nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclam a gran voce: Benedetta tu fra le donne e
benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da
me? Ecco, appena il tuo saluto giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia
nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ci che il Signore le ha
detto. Nel Vangelo profetizzano per prime le madri, due donne con il grembo carico di
cielo, abitate da figli inesplicabili. Maria ed Elisabetta sono i primi profeti del Nuovo
Testamento: la prima parola di Dio la vita. Dio viene come vita. Due donne, la vergine e
la sterile, entrambe incinte in modo impossibile annunciano che viene nel mondo un di
pi, viene ci che l'uomo da solo non pu darsi. Dio viene come gioia. Per due volte Luca
ripete che il bambino salta di gioia nel grembo. In quel bambino l'umanit intera che
sperimenta che Dio d gioia, la terra intera che freme per le energie divine che in essa sono

deposte ogni giorno. Dio viene come abbraccio. La preghiera di Maria non nasce nella
solitudine, ma nell'abbraccio di due donne, in uno spazio di affetto. Dio viene nelle mie
relazioni, mediato da persone, da incontri, da dialoghi, da abbracci. Le mie braccia
allargate sono appena l'inizio del cerchio. Un Amore pi vasto lo compir (M. Guidacci).
Benedetta tu fra le donne! La prima parola di Elisabetta una benedizione che da Maria
discende su tutte le donne. Benedetta sei tu fra le donne che sono, tutte, benedette. Ad ogni
frammento, ad ogni atomo di Maria, sparso nel mondo e che ha nome donna (G. Vannucci)
vorrei ripetere la profezia di Elisabetta: che tu sia benedetta, che benefico agli umani sia il
frutto dell'intera tua vita. Ogni prima parola tra gli uomini dovrebbe avere il primato della
benedizione. Dire a qualcuno ti benedico! significa vedere il bene in lui, prima di tutto
il bene e la luce, e il buon grano, con uno sguardo di stupore, senza rivalit, senza invidia.
Se non imparo a benedire chi ho accanto, la vita, non potr mai essere felice. Ogni prima
parola con Dio abbia il primato del ringraziamento. Come fa Maria con il suo Magnificat,
che il suo Vangelo: la lieta notizia dell'innamoramento di Dio, che ha posto le sue mani
nel folto della vita. Per dieci volte Maria ripete: lui, lui che guarda, lui che innalza,
lui che riempie, lui. Il centro del cristianesimo ci che Dio fa per me, non ci che io
faccio per Dio. Anch'io abiter la vita con tutta la mia complessit, con la parte di Zaccaria
che fatica a credere, di Elisabetta che sa benedire, con la parte di Maria che sa lodare, di
Giovanni che sa danzare, portando in molti modi il Signore nel mondo. E forse verr
pronunciata anche per me la parola: Benedetto sei tu perch porti il Signore, come Maria.
(Letture: Michea 5,1-4a; Salmo 79; Ebrei 10,5-10; Luca 1,39-45)
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
24/12/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Santa Famiglia, l'angoscia e la luce


Santa Famiglia di Ges, Maria e Giuseppe " Anno C I genitori di Ges si recavano ogni
anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono
secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del
ritorno, il fanciullo Ges rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero.
Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a
cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a
Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre
li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua
intelligenza e le sue risposte. (...) Luca racconta due pellegrinaggi: quello verso il tempio di
Gerusalemme e quello verso la casa di Nazaret. Sono i due poli dentro i quali dovrebbe
battere il cuore di ogni famiglia, di ogni credente: le cose di Dio e le persone che ci sono
affidate. Insieme vanno a Gerusalemme, insieme ritornano a Nazaret, insieme cercano il
figlio. Insieme. Questo gesto sempre pi raro nelle famiglie, vocazione da imparare sempre
di nuovo. Tuo padre e io angosciati ti cercavamo, dice Maria. Delle cose di mio Padre
mi devo occupare, risponde Ges. I genitori pensano di aver ritrovato il figlio e lui
dichiara di essere figlio di un Altro. Passaggio di paternit, dalla casa di Nazaret alla casa
del mondo, e oltre. Il Vangelo apre dimensioni insospettate del vivere, varca soglie, una
finestra di luce, offerta di altra alleanza, dove tutti sono fratelli e la mia famiglia l'intera
famiglia umana. Al Vangelo, allora, non chieder consigli spiccioli su come si conduca una
famiglia, ma idee-forza per la dilatazione della vita. Famiglia santa quella di Nazaret

eppure non le risparmiata l'angoscia: Angosciati ti cercavamo. Dialogo pacato, senza


risentimenti, senza accuse, che sa interrogare e ascoltare. Famiglia santa, eppure figlio e
genitori non si capiscono; Maria e Giuseppe sono profeti, visitati da angeli e visioni,
eppure non comprendono ci che accade nella loro stessa casa. Da questa famiglia santa
eppure imperfetta, santa e limitata, scende come una benedizione, una consolazione, un
conforto per tutte le nostre famiglie con tutti i loro limiti. Neppure la migliore delle
famiglie esente dall'incomprensione e dalla crisi. Ma essi non compresero le sue
parole. Come tutti i figli adolescenti, Ges afferma la propria autonomia. Maria e
Giuseppe come tanti, come tutti i genitori, sentono che alla fine i figli non sono nostri,
appartengono a Dio, al mondo, alla loro missione, ai loro amori, alla loro vocazione, ai loro
sogni, persino ai loro limiti. Perch ci hai fatto cos?. C' un dolore che pesa sul cuore,
eppure i tre si accettano di nuovo: Ges scese con loro, venne a Nazaret e stava loro
sottomesso. L'incomprensione non ferma tutto, ci si rimette in cammino anche se non
tutto chiaro, anche se non ho tutto capito. Si cammina anche nella sofferenza, meditando,
conservando, proteggendo nel cuore, come santa Maria, gesti e dolori, parole e domande,
con un atto di fede negli altri, finch un giorno si dipani il filo d'oro che tutto illuminer e
legher. (Letture: Primo libro di Samuele 1,20-22.24-28; Salmo 83; Prima lettera di
Giovanni 3,1-2.21-24; Luca 2,41-52)
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
31/12/2009
stampa quest'articolo segnala ad un amico feed

Enviar

Vita vera essere abitati da Dio


II domenica dopo Natale (...) Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti per
lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo
nome, i quali, non da sangue n da volere di carne n da volere di uomo, ma da Dio sono
stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo
contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di
grazia e di verit. Giovanni gli d testimonianza e proclama: Era di lui che io dissi: Colui
che viene dopo di me avanti a me, perch era prima di me. Dalla sua pienezza noi tutti
abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perch la Legge fu data per mezzo di Mos, la grazia e
la verit vennero per mezzo di Ges Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio
unigenito, che Dio ed nel seno del Padre, lui che lo ha rivelato. LLa liturgia propone
lo stesso Vangelo del giorno di Natale, perch Natale si conquista lentamente. Lo stesso
Vangelo, ma con una differenza: mentre a Natale l'attenzione, e l'emozione, erano rivolte
alla discesa di Dio nella carne, nel tempo, nella notte, le letture oggi ci suggeriscono il
movimento inverso. Si apre per noi come uno sfondo di eternit, uno sfondamento del
tempo verso l'eterno. Ora la carne che assunta dalla Parola, il sangue sale verso il cielo,
l'uomo verso Dio. E il Verbo si fatto carne. Dio ricomincia da Betlemme. Colui che
aveva plasmato Adamo con la polvere del suolo, diventa lui stesso argilla di piccolo vaso.
Da allora c' un frammento di Logos in ogni carne, qualcosa di Dio in ogni uomo. C'
santit, almeno incipiente, e luce in ogni vita. E nessuno potr pi dire: qui finisce la terra,
qui comincia il cielo, perch ormai terra e cielo si sono abbracciati. Nessuno potr dire: qui
finisce l'uomo, qui comincia Dio, perch creatore e creatura si sono abbracciati e, almeno
in quel neonato, uomo e Dio sono una cosa sola. Almeno a Betlemme. A quanti l'hanno
accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio. Cristo nasce perch io nasca. Nasca

nuovo e diverso. La sua nascita vuole la mia nascita. Ges non venuto a portare un
elenco di verit, ma vita da vivere; non ci ha comunicato una teoria religiosa, ma una forza
di vita. Ha dato il potere, afferma Giovanni, non la semplice opportunit o l'occasione di
diventare figli di Dio, ma il potere, la forza, l'energia, la vitalit per spalancare le porte, per
varcare le soglie. Il Verbo come forza in noi. In questa carne Cristo , in questi dubbi, in
questi abbandoni, in questa fatica di credere, in questa gioia di credere. in noi per dirci:
amo la tua solitudine, il tuo cercare, amo le tue lacrime, anche la tua debolezza. Non c'
nulla della tua vita che mi lasci indifferente. Tu mi interessi, con la storia del tuo cuore, con
la storia della tua casa. Voglio essere in te come luce e come sole, come strada e come
pane, come roccia e come nido. A quanti l'hanno accolto. Dio non si merita, si accoglie.
L'uomo diventa ci che accoglie in s, ci che lo abita. Vita vera essere abitati da Dio.
Ecco la profondit ultima del Natale: Dio nell'uomo. Se appena percepiamo qualcosa del
significato oceanico di queste due termini, Dio e uomo, intravediamo il dramma immenso
del Natale (Paolo VI). (Letture: Sircide 24, 1-4.12-16; Salmo 147; Efesini 1, 3-6.15-18;
Giovanni 1, 1-18)
riproduzione riservata

Você também pode gostar