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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi 2015

02/01/2015
In ogni uomo il riflesso della luce della vita vera
II Domenica dopo Natale
In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio,
presso Dio: tutto stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla stato fatto di ci che
esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le
tenebre non l'hanno vinta. [...] Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni
uomo. Era nel mondo e il mondo stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha
riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti per lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio. [...]
I cristiani cominciano a contare gli anni, a raccontare la storia, da Natale, che il nodo
vivo del tempo, che segna un prima e un dopo. Attorno a quel giorno danzano i secoli e la
mia vita.
Giovanni comincia il vangelo convocando l'in principio del tempo e le profondit di
Dio: In principio era il Verbo e il Verbo era Dio. Non esiste una storia che risalga pi
indietro, che vada pi lontano, che ci faccia sconfinare pi al largo.
Tutto stato fatto per mezzo di Lui. Nulla di nulla senza di lui. In principio, tutto,
nulla, parole che ci mettono in rapporto con l'immensit e la totalit della vita: non solo
gli esseri umani e gli animali, nostri fratelli minori, ma il filo d'erba e la pietra, tutto
stato plasmato dalle sue mani e ne porta l'impronta viva: anche nel cuore della pietra Dio
sogna il suo sogno e di vita la pietra si riveste (Vannucci).
In Lui era la vita. Ges, venuto nella vita come datore di vita, non ha mai compiuto un
miracolo per punire o intimidire. I suoi sono sempre segni che guariscono la vita, la
accrescono, la fanno fiorire. Non venuto a portare una nuova teoria religiosa o un
migliore sistema di pensiero, ha comunicato vita, e anelito a sempre pi grande vita: sono
venuto perch abbiate vita in abbondanza (Gv 10,10). Ges pianta la sua tenda in mezzo
agli uomini, anzi nel mezzo, nel centro nel cuore di ogni uomo, di tutto l'uomo. Questa la
profondit ultima del Natale: nella mia, come nella tua carne, respira il Signore della vita.
Io passo nel mondo portando in me il cromosoma di Dio, intrecciato con l'inconsistenza
della polvere del suolo da cui Adamo plasmato.
Veniva nel mondo la luce vera quella che illumina ogni uomo.
Ogni uomo, nessuno escluso, ha quella luce. Che illumina come un'onda immensa, come
una sorgente che non si spegne, come un sole nella notte.
E la vita era la luce degli uomini. Una cosa enorme: la vita luce, una grande parabola
luminosa che racconta Dio. Il Vangelo ci insegna a sorprendere parabole nella vita, e
riflessi di cielo perfino nelle pozzanghere della vita. Allora il Dio della religione, quello
delle teorie e delle celebrazioni, si ricongiunge con il Dio della vita, quello dei gesti, degli
affetti e degli incantamenti.
Venne fra i suoi ma i suoi non l'hanno accolto. A quanti l'hanno accolto ha dato potere di
diventare figli di Dio. Accogliere: parola che sa di porte che si aprono, di mani che
accettano doni, di cuori che fanno spazio alla vita.
Parola semplice come la libert, potente come la maternit. Dio non si merita, si accoglie.
Facendogli spazio in noi, come una donna fa spazio al figlio che accoglie nel suo grembo,
appena sotto il cuore.
(Letture: Sir 24,1-4.8-12; Sal 147; Ef 1,3-6.15-18; Gv 1,1-18)
riproduzione riservata

Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


08/01/2015
L'amore di Dio, grembo che nutre, riscalda e protegge
Battesimo del Signore Anno B
In quel tempo, Giovanni proclamava: Viene dopo di me colui che pi forte di me: io non
sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua,
ma egli vi battezzer in Spirito Santo. Ed ecco, in quei giorni, Ges venne da Nzaret di
Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall'acqua, vide
squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce
dal cielo: Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento.
Un racconto d'acque, come tante scene di salvezza della Bibbia, come la stessa origine del
mondo, scritta con immagini d'acqua: in principio lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque
(Gen 1,2), una grande colomba in cova su di un mare gonfio di vita inespressa. Come il
creato, anche l'esistenza ha inizio nelle acque del grembo materno.
Il rito del Battesimo porta impresso questo sigillo primordiale di nascite e di rinascite:
l'immersione nell'acqua avvia nell'uomo una nuova nascita. Lo vediamo al Giordano:
venne una voce dal cielo e disse Tu sei il Figlio mio, l'amato. Anche al nostro Battesimo
Dio ha sussurrato: Tu sei il mio figlio, quello che io amo! Parole in cui ho ricevuto il mio
nome Figlio; in cui la mia nascita da una sorgente di cielo.
In te ho posto il mio compiacimento. Un termine inusuale, ma nella cui radice vibra un
sentimento ben noto: gioia, soddisfazione, piacere; e che contiene una dichiarazione
impegnativa di Dio su di noi: prima che tu faccia qualsiasi cosa, cos come sei, per quello
sei, tu mi piaci e mi dai gioia. Prima che io risponda, prima che io sia buono, senz'altro
motivo che la sua gratuit, Dio ripete ad ognuno: tu mi fai felice. Dio dice s a me, prima
che io dica s a Lui: questa la grazia di Dio.
Ges fu battezzato e uscendo dall'acqua vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso
di lui come una colomba. Noto la bellezza del particolare: si squarciano i cieli, come per un
amore incontenibile; si lacerano, si strappano sotto la pressione di Dio, sotto l'urgenza di
Adamo. Si spalancano come le braccia dell'amata per l'amato.
Da questo cielo aperto viene come colomba la vita di Dio. Si posa su di te, ti avvolge, entra
in te, a poco a poco ti modella, ti trasforma pensieri, affetti, speranze secondo la legge
dolce, esigente, rasserenante del vero amore.
Il termine greco battesimo significa immersione; battezzato l'immerso in Dio. Ma ci che
accaduto un giorno, in quel rito lontano, continua ad accadere in ogni nostro giorno: in
questo momento, in ognuno dei nostri momenti siamo immersi in Dio come dentro il
nostro ambiente vitale, dentro una sorgente che non viene meno, un grembo che nutre,
riscalda e protegge. E fa nascere. C' un Battesimo che ricevo adesso, un Battesimo
esistenziale, quotidiano, nel quale io continuo a nascere, ad essere generato da Dio: chi
ama generato da Dio e conosce Dio (1 Gv 4,7) al presente, adesso. Amare fa nascere,
rimette in moto il motore della vita.
Battezzato, cio immerso in un amore, nasci nuovo e diverso, nasci con il respiro del cielo.
(Letture: Isaia 55,1-11; Isaia 12; 1 Giovanni 5,1-9; Marco 1,7-11)
riproduzione riservata
l Vangelo A cura di Ermes Ronchi
15/01/2015
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Dio non chiede sacrifici ma sacrifica se stesso


II Domenica
Tempo ordinario - Anno B
In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Ges che
passava, disse: Ecco l'agnello di Dio!. E i suoi due discepoli, sentendolo parlare cos,
seguirono Ges.
Ges allora si volt e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: Che cosa cercate?.
Gli risposero: Rabb che, tradotto, significa maestro , dove dimori?. Disse loro:
Venite e vedrete. Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero
con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea,
fratello di Simon Pietro. Egli incontr per primo suo fratello Simone e gli disse: Abbiamo
trovato il Messia che si traduce Cristo e lo condusse da Ges. Fissando lo sguardo su
di lui, Ges disse: Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa che
significa Pietro.
Un Vangelo che profuma di libert, di spazi e cuori aperti. Due discepoli lasciano il
vecchio maestro e si mettono in cammino dietro a un giovane rabbi di cui ignorano tutto,
tranne una definizione folgorante: ecco l'agnello di Dio, ecco l'animale dei sacrifici,
immolato presso gli altari, l'ultimo ucciso perch nessuno sia pi ucciso.
In tutte le religioni il sacrificio consiste nell'offrire qualcosa in cambio del favore divino.
Con Ges questo baratto capovolto: Dio non chiede pi agnelli in sacrificio, Lui che si
fa agnello, e sacrifica se stesso; non spezza nessuno, spezza se stesso; non versa il sangue
di nessuno, versa il proprio sangue.
Ecco colui che toglie i peccati del mondo. Il peccato del mondo non la cattiveria: l'uomo
fragile, ma non cattivo; si inganna facilmente, il peccatore un ingannato: alle strade
che il vangelo propone ne preferisce altre che crede pi plausibili, pi intelligenti, o pi
felici. Togliere il peccato del mondo guarire da quel deficit d'amore e di sapienza che fa
povera
la vita.
Ges si volt e disse loro: che cosa cercate? Le prime parole lungo il fiume sono del tutto
simili alle prime parole del Risorto nel giardino: Donna, chi cerchi? Due domande in cui
troviamo la definizione stessa dell'uomo: un essere di ricerca, con un punto di domanda
piantato in fondo al cuore. Ed attraverso le domande del cuore che Dio ci educa alla fede:
trova la chiave del cuore. Questa chiave, lo vedrai, apre anche la porta del Regno
(Giovanni Crisostomo).
Infatti la prima cosa che Ges chiede ai primi discepoli non obbedienza o adesione,
osservanza di regole o nuove formule di preghiera. Ci che lui domanda un viaggio verso
il luogo del cuore, rientrare al centro di se stessi, incontrare il desiderio che abita le
profondit della vita: che cosa cercate?
Ges, maestro del desiderio, fa capire che a noi manca qualcosa, che una assenza brucia:
che cosa ti manca? Manca salute, gioia, denaro, tempo per vivere, amore, senso della vita?
Qualcosa manca, ed per questo vuoto da colmare che ogni figlio prodigo si rimette in
cammino verso casa. L'assenza diventata la nostra energia vitale: vi auguro la gioia
impenitente di avere amato quelle assenze che ci fanno vivere (Rilke).

Il Maestro del desiderio insegna desideri pi alti delle cose. Tutto intorno a noi grida:
accontentati. Invece il vangelo, sempre controcorrente, ripete: Beati gli affamati, beati voi
quando vi sentite insoddisfatti: diverrete cercatori di tesori, mercanti di perle. Ges
conduce i suoi dal superfluo all'essenziale. E le cose essenziali sono cos poche, ad esse si
arriva solo attraverso la chiave del cuore.
(Letture: 1 Samuele 3,3-10.19; Salmo 39; 1 Corinzi 6,13-15.17-20; Giovanni 1,35-42).
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
22/01/2015
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Il Regno e la guarigione dal male di vivere


III Domenica
Tempo ordinario - Anno B
Dopo che Giovanni fu arrestato, Ges and nella Galilea, proclamando il Vangelo di Dio, e
diceva: Il tempo compiuto e il regno di Dio vicino; convertitevi e credete nel
Vangelo.
Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre
gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Ges disse loro: Venite dietro a me, vi
far diventare pescatori di uomini. E subito lasciarono le reti e lo seguirono.
Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedo, e Giovanni suo fratello, mentre
anch'essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiam. Ed essi lasciarono il loro padre
Zebedo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.
Marco ci conduce al momento sorgivo e fresco del Vangelo, a quando una notizia bella
inizia a correre per la Galilea, annunciando con la prima parola: il tempo compiuto, il
regno di Dio qui.
Ges non dimostra il Regno, lo mostra e lo fa fiorire dalle sue mani: libera, guarisce,
perdona, toglie barriere, ridona pienezza di relazione a tutti, a cominciare dagli ultimi della
fila. Il Regno Dio venuto come guarigione dal male di vivere, come fioritura della vita in
tutte le sue forme.
La seconda parola di Ges chiede di prendere posizione: convertitevi, giratevi verso il
Regno. C' un'idea di movimento nella conversione, come nel moto del girasole che ogni
mattino rialza la sua corolla e la mette in cammino sui sentieri del sole. Allora:
convertitevi cio giratevi verso la luce perch la luce gi qui.
Ogni mattino, ad ogni risveglio, posso anch'io convertirmi, muovere pensieri e
sentimenti e scelte verso una stella polare del vivere, verso la buona notizia che Dio oggi
pi vicino, entrato di pi nel cuore del mondo e nel mio, all'opera con mite e possente
energia per cieli nuovi e terra nuova.
Anch'io posso costruire la mia giornata su questo lieta certezza, non tenere pi gli occhi
bassi sui miei mille problemi, ma alzare il capo verso la luce, verso il Signore che mi
assicura: io sono con te, non ti lascio pi, non sarai mai pi abbandonato.
Credete nel Vangelo. Non al, ma nel Vangelo. Non basta aderire ad una dottrina, occorre
buttarsi dentro, immergervi la vita, derivarne le scelte.
Camminando lungo il lago, Ges vide Vede Simone e in lui intuisce Pietro, la Roccia.
Vede Giovanni e in lui indovina il discepolo dalle pi belle parole d'amore. Un giorno,

guarder l'adultera trascinata a forza davanti a lui, e in lei vedr la donna capace di amare
bene di nuovo. Il Maestro guarda anche me, nei miei inverni vede grano che germina,
generosit che non sapevo di avere, capacit che non sospettavo, lo sguardo di Ges rende
il cuore spazioso. Dio ha verso di me la fiducia di chi contempla le stelle prima ancora che
sorgano.
Seguitemi, venite dietro a me. Ges non si dilunga in motivazioni, perch il motivo lui,
che ti mette il Regno appena nato fra le mani. E lo dice con una frase inedita: Vi far
pescatori di uomini. Come se dicesse: vi far cercatori di tesori. Mio e vostro tesoro sono
gli uomini. Li tirerete fuori dall'oscurit, come pesci da sotto la superficie delle acque,
come neonati dalle acque materne, come tesoro dissepolto dal campo. Li porterete dalla
vita sommersa alla vita nel sole. Mostrerete che possibile vivere meglio, per tutti, e che il
Vangelo ne possiede la chiave.
(Letture: Giona 3,1-5.10; Salmo 24; 1 Corinzi 7,29-31; Marco 1,14-20).
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
29/01/2015
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Quel Dio che s'immerge nelle nostre ferite


IV Domenica
Tempo ordinario - Anno B
In quel tempo, Ges, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafrnao,] insegnava. Ed erano
stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorit, e non
come gli scribi. Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito
impuro e cominci a gridare, dicendo: Che vuoi da noi, Ges Nazareno? Sei venuto a
rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!. E Ges gli ordin severamente: Taci! Esci da
lui!. E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, usc da lui. Tutti furono presi da
timore, tanto che si chiedevano a vicenda: Che mai questo? Un insegnamento nuovo,
dato con autorit. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!. La sua fama si
diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.
Ed erano stupiti del suo insegnamento. Lo stupore, quella esperienza felice che ci
sorprende e scardina gli schemi, che si inserisce come una lama di libert in tutto ci che ci
saturava: rumori, parole, schemi mentali, abitudini, che ci fa entrare nella dimensione della
passione, quella che smuove anche le montagne.
Salviamo lo stupore, la capacit di incantarci ogni volta che incontriamo qualcuno che ha
parole che trasmettono la sapienza del vivere, che toccano il centro della vita perch nate
dal silenzio, dal dolore, dal profondo, dalla vicinanza al Roveto di fuoco.
La nostra capacit di provare gioia direttamente proporzionale alla nostra capacit di
meravigliarci.
Ges insegnava come uno che ha autorit. Autorevoli sono soltanto le parole che nutrono
la vita e la fanno fiorire; Ges ha autorit perch non mai contro l'uomo ma sempre in
favore dell'uomo, e qualcosa dentro chi lo ascolta lo sa.

Autorevoli e vere sono soltanto le parole diventate carne e sangue, come in Ges: la sua
persona il messaggio, l'intera sua persona.
Come emerge dal seguito del brano: C'era l un uomo posseduto da uno spirito impuro. Il
primo sguardo di Ges si posa sempre sulle fragilit dell'uomo e la prima di tutte le povert
l'assenza di libert, come per un uomo posseduto, prigioniero di uno pi forte di lui.
E vediamo come Ges interviene: non fa discorsi su Dio, non cerca spiegazioni sul male,
Ges mostra Dio che si immerge nelle ferite dell'uomo; Lui stesso il Dio che si immerge,
come guarigione, nella vita ferita, e mostra che il Vangelo non un sistema di pensiero,
non una morale, ma una sconvolgente liberazione (G. Vannucci).
Lui il Dio il cui nome libert e che si oppone a tutto ci che imprigiona l'uomo. I
demoni se ne accorgono: che c' fra noi e te Ges di Nazaret? Sei venuto a rovinarci? S,
Ges venuto a rovinare tutto ci che rovina l'uomo, a demolire prigioni; a portare spada e
fuoco per tagliare e bruciare tutto ci che non amore. A rovinare il regno dei desideri
sbagliati che si impossessano e divorano l'uomo: denaro, successo, potere, egoismi.
A essi, padroni del cuore, Ges dice due sole parole: taci, esci da lui.
Tace e se ne va questo mondo sbagliato. Va in rovina, come aveva sognato Isaia, vanno in
rovina le spade e diventano falci, si spezza la conchiglia e appare la perla. Perla della
creazione l'uomo libero e amante. Posso diventarlo anch'io, se il Vangelo diventa per me
passione e incanto. Patimento e parto. Allora scopro Cristo, mia dolce rovina (Turoldo),
che rovina in me tutto ci che non amore, che libera le mie braccia da tutte le cose vuote,
e che dilata gli orizzonti che respiro.
(Letture: Deuteronomio 18,15-20; 1 Corinzi 7,32-35; Salmo 94; Marco 1,21-28).
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
05/02/2015
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Dio si avvicina con amore e guarisce la vita


V Domenica
Tempo ordinario - Anno B
In quel tempo, Ges, uscito dalla sinagoga, subito and nella casa di Simone e Andrea, in
compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito
gli parlarono di lei. Egli si avvicin e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la
lasci ed ella li serviva. Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i
malati e gli indemoniati. Tutta la citt era riunita davanti alla porta. Guar molti che erano
affetti da varie malattie e scacci molti demni; ma non permetteva ai demni di parlare,
perch lo conoscevano.
Al mattino presto si alz quando ancora era buio e, uscito, si ritir in un luogo deserto, e l
pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e
gli dissero: Tutti ti cercano!. Egli disse loro: Andiamocene altrove, nei villaggi vicini,
perch io predichi anche l; per questo infatti sono venuto!.
E and per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demni.
Marco presenta il resoconto della giornata-tipo di Ges, una cronaca dettagliata delle sue
fondamentali attivit quotidiane: guarire, pregare, annunciare.

Guarire. E vediamo come il suo agire prenda avvio dal dolore del mondo: tocca, parla,
prende per mano, guarisce. Come il primo sguardo di Ges si posi sempre sulla sofferenza
delle persone, e non sul loro peccato. E la porta della piccola Cafarnao scoppia di folla e di
dolore e poi di vitalit ritrovata.
Il miracolo , nella sua bellezza giovane, il collaudo del Regno, il laboratorio del mondo
nuovo: mostra che possibile vivere meglio, per tutti, e Ges ne possiede la chiave. Che
un altro mondo possibile e vicino. Che il regno di Dio viene con il fiorire della vita in
tutte le sue forme.
La suocera di Simone era a letto con la febbre, e subito gli parlarono di lei. bello questo
preoccuparsi degli apostoli per i problemi e le sofferenze delle persone care, e metterne a
parte Ges, come si fa con gli amici. Non solo la gratuit, quindi, ma anche tutto ci che
occupa e preoccupa il cuore dell'uomo pu e deve entrare, a pieno titolo, nel dialogo con
Dio nella preghiera.
Ges ascolta e risponde: si avvicina, si accosta, va verso il dolore, non lo evita, non ha
paura. E la prese per mano. Mano nella mano, come forza trasmessa a chi stanco, come a
dire "non sei pi sola", come un padre o una madre a dare fiducia al figlio bambino, come
un desiderio di affetto. Chi soffre chiede questo: di non essere abbandonato da chi gli vuole
bene, di non essere lasciato solo a lottare contro il male. E la fece alzare. il verbo della
risurrezione. Ges alza, eleva, fa sorgere la donna, la riaffida alla sua statura eretta, alla
fierezza del fare, alla vita piena e al servizio: per stare bene l'uomo deve dare!
Mano nella mano, uomo e Dio, l'infinito e il mio nulla, e aggrapparmi forte: per me
questa l'icona mite e possente della buona novella.
Pregare. Mentre era buio, usc in un luogo deserto e l pregava. Ges, pur assediato dalla
gente, sa inventare spazi. Di notte! Quegli spazi segreti che danno salute all'anima, a tu per
tu con Dio, a liberare le sorgenti della vita, cos spesso insabbiate.
Annunciare. I discepoli infine lo rintracciano: tutti ti cercano! E lui: Andiamocene nei
villaggi vicini, a predicare anche l. Ges non cerca il bagno di folla, non si esalta per il
successo di Cafarnao, non si deprime per i fallimenti che incontra. Lui avvia processi,
inizia percorsi, cerca altri villaggi, altre donne da rialzare, orizzonti pi larghi dove poter
compiere il suo lavoro: essere nella vita datore di vita, predicare che il Regno vicino, che
Dio vicino, con amore, e guarisce la vita.
(Letture: Giobbe 7,1-4.6-7; Salmo 146; 1 Corinzi 9,16-19.22-23; Marco 1,29-39).
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
12/02/2015
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Dio guarigione contro ogni nostro male


VI Domenica
Tempo ordinario - Anno B
In quel tempo, venne da Ges un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: Se
vuoi, puoi purificarmi!. Ne ebbe compassione, tese la mano, lo tocc e gli disse: Lo
voglio, sii purificato!. E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E,
ammonendolo severamente, lo cacci via subito e gli disse: Guarda di non dire niente a

nessuno; va', invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che
Mos ha prescritto, come testimonianza per loro.
Ma quello si allontan e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Ges non
poteva pi entrare pubblicamente in una citt, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e
venivano a lui da ogni parte.
Un lebbroso. Il pi malato dei malati, di malattia non soltanto fisica, un rifiuto della
societ: porter vesti strappate, velato fino al labbro superiore... impuro, se ne star solo,
abiter fuori dell'accampamento (Lv 13,46). E Ges invece si avvicina, si oppone alla
cultura dello scarto, accoglie e tocca il lebbroso, l'ultimo della fila. Tocca l'intoccabile.
Ama l'inamabile: per la legge mosaica quell'uomo era castigato da Dio per i suoi peccati,
un rifiutato dal cielo.
Il lebbroso non ha nome n volto, perch ogni uomo. A nome di ciascuno geme, dalla sua
bocca velata, una espressione bellissima: Se vuoi, puoi guarirmi. Con tutta la discrezione
di cui capace dice: Se vuoi.
E intuisco Ges felice di questa domanda grande e sommessa, che gli stringe il cuore e lo
obbliga a rivelarsi: Se vuoi. A nome di ogni figlio della terra il lebbroso chiede: che cosa
vuole veramente Dio da questa carne piagata, che se ne fa di queste lacrime? Vuole
sacrifici, una pedagogia di sofferenze per provare la nostra pazienza, o vuole figli guariti?
E Ges felice di poter rivelare Dio, di poter dire una parola ultima e immensa sul cuore di
Dio risponde: Lo voglio: guarisci!. Ripetiamocelo, con emozione, con pace, con forza:
eternamente Dio altro non vuole che figli guariti.
A me dice: Lo voglio: guarisci!. A Lazzaro grida: Lo voglio: vieni fuori!. Alla figlia di
Giairo: Talit kum. Lo voglio: alzati!. la buona novella: un Dio che fa grazia, che
risana la vita, a cui importa la mia felicit prima e pi della mia fedelt.
A ogni pagina del Vangelo Ges mostra che Dio guarigione! Non conosco i modi e i
tempi, ma so che adesso lotta con me contro ogni mio male, rinnovando goccia a goccia la
vita, stella a stella la notte.
Il lebbroso guarito disobbedendo a Ges si mise a proclamare e a divulgare il fatto. Ha
ricevuto e ora dona, attraverso gesti e parole e carne di primavera, la sua esperienza felice
di Dio. L'immondo diviene fonte di stupore, il rifiutato trasformato dall'accoglienza.
Ci che scritto qui non una fiaba, funziona davvero, funziona cos. Persone piene di
Ges oggi riescono a fare le stesse cose di Ges. Pieni di Ges fanno miracoli. Sono andati
dai lebbrosi del nostro tempo: barboni, tossici, prostitute, li hanno toccati, un gesto di
affetto, un sorriso, e molti di questi, e sono migliaia e migliaia, sono letteralmente guariti
dal loro male, e sono diventati a loro volta guaritori.
Prendere il vangelo sul serio ha dentro una potenza che cambia il mondo.
E tutti quelli che l'hanno preso sul serio e hanno toccato i lebbrosi del loro tempo, tutti
testimoniano che fare questo dona una grande felicit.
(Letture: Levitico 13,1-2.45-46; Salmo 31; 1 Corinzi 10,31-11,1; Marco 1,40-45).
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
19/02/2015
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Dai sassi emerge la vita, crediamo nell'amore

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I Domenica di Quaresima
Anno B
In quel tempo, lo Spirito sospinse Ges nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni,
tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.
Dopo che Giovanni fu arrestato, Ges and nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e
diceva: Il tempo compiuto e il regno di Dio vicino; convertitevi e credete nel
Vangelo.
Nel giardino di pietre che il deserto, nuovo spettrale giardino dell'Eden, Ges vince il
vecchio, spento sguardo sulle cose (le tentazioni) e ci aiuta a seminare occhi nuovi sulla
vita. Que sueno el de la vita: sobre aquel abiso petreo! Che sogno quello della vita e sopra
quale abisso di pietre (Miguel de Unamuno).
Il deserto e il regno, la sterilit e la fioritura, la morte e la vita: i versetti di Marco
dipingono nella prima pagina del suo vangelo i paesaggi del cuore dell'uomo.
Ges inizia dal deserto: dalla sete, dalla solitudine, dall'angoscia delle interminabili notti.
Sceglie di entrare da subito nel paesaggio della nostra fatica di vivere..
Ci sta quaranta giorni, un tempo lungo e simbolico. Si fa umanit lungo le piste aride delle
mie faticose traversate.
In questo luogo di morte Ges gioca la partita decisiva, questione di vita o di morte. Il
Messia tentato di tradire la sua missione per l'uomo: preferire il suo successo personale
alla mia guarigione.
Resiste, e in quei quaranta giorni la pietraia intorno a lui si popola. Dai sassi emerge la
vita. Una fioritura di creature selvatiche, sbucate da chiss dove, e presenze lucenti di
angeli a rischiarare le notti.
Da quando Ges lo ha abitato, non c' pi deserto che non sia benedetto da Dio, dove non
lampeggino frammenti scintillanti di regno.
Il regno di Dio simile a un deserto che germoglia la vita, un rimettere al mondo persone
disgregate e ferite. Un'energia trasformativa risanante cova tra le pietre di ogni nostra
tristezza, come una buona notizia: Dio vicino convertitevi e credete nel Vangelo. Credete
nell'amore.
All'inizio di Quaresima, come ai tornanti della vita, queste parole non sono una
ingiunzione, ma una promessa. Perch ci che converte il cuore dell'uomo sempre una
promessa di pi gioia, un sogno di pi vita. Che Ges racchiude dentro la primavera di una
parola nuova, la parola generatrice di tutto il suo messaggio: il regno di Dio vicino. Il
Regno di Dio il mondo nuovo come Dio lo sogna, e si fatto vicino da quando Dio
venuto ad abitare, con amore, il nostro deserto.
Ges non viene per denunciare, ma per annunciare, viene come il messaggero di una novit
straordinariamente promettente. Il suo annuncio un "s", e non un "no": possibile per
tutti vivere meglio, vivere una vita buona bella beata come la sua.
Per raggiungerla non basta lo sforzo, devi prima conoscere la bellezza di ci che sta
succedendo, la grandezza di un dono che viene da fuori di noi. E questo dono Dio stesso,
che vicino, che dentro di te, mite e possente energia, dentro il mondo come seme in
grembo di donna. E il suo scopo farti diventare il meglio di ci che puoi diventare.
(Letture: Genesi 9,8-15; Salmo 24; 1 Pietro 3,18-22; Marzo 1,12-15).
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
26/02/2015

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Cos il Signore ha sognato il volto dell'uomo


II Domenica di Quaresima
Anno B
In quel tempo, Ges prese con s Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto
monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero
splendenti, bianchissime [...]. E apparve loro Elia con Mos e conversavano con Ges.
Prendendo la parola, Pietro disse a Ges: Rabb, bello per noi essere qui; facciamo tre
capanne, una per te, una per Mos e una per Elia. Non sapeva infatti che cosa dire, perch
erano spaventati. Venne una nube che li copr con la sua ombra e dalla nube usc una voce:
Questi il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!. E improvvisamente, guardandosi attorno,
non videro pi nessuno, se non Ges solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordin
loro di non raccontare ad alcuno ci che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo
fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire
risorgere dai morti.
Dall'abisso di pietre al monte della luce, dalle tentazioni nel deserto alla trasfigurazione. Le
prime due domeniche di Quaresima offrono la sintesi del percorso che la vita spirituale di
ciascuno deve affrontare: evangelizzare le nostre zone d'ombra e di durezza, liberare tutta
la luce sepolta in noi. In noi che siamo, assicura Ges, luce del mondo. Guardate a lui e
sarete raggianti e non avrete pi volti oscuri, cantava il salmista.
Aveva iniziato in Galilea la sua predicazione con la bella notizia che il regno di Dio si
fatto vicino; convertitevi, diceva, e credete che Lui qui e guarisce la vita. Oggi il Vangelo
mostra gli effetti della vicinanza di Dio: vedere il mondo in altra luce e reincantare la
bellezza della vita.
Ges porta i tre discepoli sopra un monte alto. La montagna la terra che penetra nel cielo,
il luogo dove si posa il primo raggio di sole e indugia l'ultimo; i monti sono, nella Bibbia,
le fondamenta della terra e la vicinanza del cielo, il luogo che Dio sceglie per parlare e
rivelarsi. E si trasfigur davanti a loro. E le sue vesti divennero splendenti, bianchissime.
Anche la materia travolta dalla luce. Pietro ne sedotto, e prende la parola: che bello
essere qui, Rabb! Facciamo tre capanne. L'entusiasmo di Pietro, la sua esclamazione
stupita: che bello! ci fanno capire che la fede per essere pane nutriente, per essere vigorosa,
deve discendere
da uno stupore, da un innamoramento, da un "che bello!" gridato a pieno cuore. Avere fede
scoprire, insieme a Pietro, la bellezza del vivere, ridare gusto a ogni cosa che faccio, al
mio svegliarmi al mattino, ai miei abbracci, al mio lavoro. Tutta la vita prende senso, ogni
cosa illuminata: il male e il buio non vinceranno, il fine della storia sar positivo. Dio vi
ha messo mano e non si tirer indietro.
Ci che seduce Pietro non lo splendore del miracolo o il fascino dell'onnipotenza, ma la
bellezza del volto di Ges, immagine alta e pura del volto dell'uomo, cos come lo ha
sognato il cuore di Dio. Intuisce che la trasfigurazione non un evento che riguarda Ges
solo, ma che si tratta di un paradigma che ci riguarda tutti e che anticipa il volto ultimo
dell'uomo, il presente del nostro futuro (come Tommaso d'Aquino chiama la speranza).
Infine il Padre prende la parola ma per scomparire dietro la parola del Figlio: Ascoltate
Lui. Sali sul monte per vedere e sei rimandato all'ascolto. Scendi dal monte e ti rimane
nella memoria l'eco dell'ultima parola: Ascoltate Lui. Nostra vocazione liberare, con

gioiosa fatica, tutta la bellezza di Dio sepolta in noi. E il primo strumento per la liberazione
della luce l'ascolto della Parola.
(Letture: Genesi 22,1-2.9a.10-13.15-18; Salmo 115; Romani 8,31b-34; Marco 9,2-10)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
05/03/2015
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Sei casa del Padre, non fare mercato del tuo cuore
III Domenica Quaresima
Anno B
Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Ges sal a Gerusalemme. Trov nel tempio gente che
vendeva buoi, pecore e colombe e, l seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di
cordicelle e scacci tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gett a terra il denaro dei
cambiamonete e ne rovesci i banchi, e ai venditori di colombe disse: Portate via di qui
queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato! (...). Allora i Giudei presero
la parola e gli dissero: Quale segno ci mostri per fare queste cose?. Rispose loro Ges:
Distruggete questo tempio e in tre giorni lo far risorgere. (...)
E io, come vorrei il mondo, cosa sogno per la nostra casa grande che la terra? Che sia
Casa del Padre, dove tutti sono fratelli, o casa del mercato (Gv2,16), dove tutti sono rivali?
questa l'alternativa davanti alla quale oggi mi mette Ges. E la sua scelta cos chiara e
convinta da farlo agire con grande forza e decisione: si prepara una frusta e attraversa
l'atrio del tempio come un torrente impetuoso, travolgendo uomini, animali, tavoli e
monete.
Mi commuove in Ges questa combattiva tenerezza: in lui convivono la dolcezza di una
donna innamorata e la determinazione, la forza, il coraggio di un eroe sul campo di
battaglia (C. Biscontin).
Un gesto infiammato, carico di profezia: Non fate della casa del Padre mio una casa di
mercato! Non fare del mercato la tua religione, non fare mercato della fede. Non adottare
con Dio la legge scadente della compravendita, la logica grezza del baratto dove tu dai
qualcosa a Dio (una Messa, un'offerta, una rinuncia...) perch lui dia qualcosa a te. Dio non
si compra e non si vende ed di tutti.
La casa del Padre, che Ges difende con forza, non solo l'edificio del tempio, ma ancor
pi l'uomo, la donna, l'intero creato, che non devono, non possono essere sottomessi alle
regole del mercato, secondo le quali il denaro vale pi della vita. Questo il rischio pi
grande: profanare l'uomo il peggior sacrilegio che si possa commettere, soprattutto se
povero, se bambino, se debole, i principi del regno. Casa di Dio siete voi, se conservate
libert e speranza (Eb 3,6). Casa, tempio, tenda grembo di Dio sono uomini e donne che
custodiscono nel mondo il fuoco della speranza e della libert, la logica del dono, l'atto
materno del dare. Tempio di Dio l'uomo: non farne mercato! Non umiliarlo sotto le leggi
dell'economia. Non fare mercato del cuore! Sacrificando i tuoi affetti sull'altare del denaro.
Non fare mercato di te stesso, vendendo la tua dignit e la tua onest per briciole di potere,
per un po' di profitto o di carriera.

Ma l'esistenza non questione di affari: , e non pu che essere, una ricerca di felicit. Che
le cose promettono e non mantengono. solo nel dare e nel ricevere amore che si pesa la
felicit della vita. I Giudei allora: quale segno ci mostri per fare cos? Ges risponde
portandoli su di un altro piano: Distruggete questo tempio e in tre giorni lo riedificher.
Non per una sfida a colpi di miracolo e di pietre, ma perch vera casa di Dio il suo corpo.
E ogni corpo d'uomo divino tempio: fragile, bellissimo e infinito. E se una vita vale poco,
niente comunque vale quanto una vita. Perch con un bacio Dio le ha trasmesso il suo
respiro eterno.
(Letture: Esodo 20,1-17; Salmo 17; 1 Corinzi 1,22-25; Giovanni 2,13-25).
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
12/03/2015
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Ognuno di noi il figlio prediletto del Padre


IV Domenica
Quaresima - Anno B
In quel tempo, Ges disse a Nicodmo: Come Mos innalz il serpente nel deserto, cos
bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perch chiunque crede in lui abbia la vita
eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perch chiunque
crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna (...).
Dio ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio. Questo versetto il punto sorgivo e il
perno attorno al quale danza la storia di Dio con l'uomo.
Dio ha amato, un passato che perdura e fiorisce nell'oggi, verit che assorbe ogni cosa:
tutta la storia biblica inizia con un sei amato e termina con un amerai (P. Beauchamp).
la lieta notizia da ripeterci ad ogni risveglio, ad ogni difficolt, ad ogni sfiducia. Noi non
siamo cristiani perch amiamo Dio. Siamo cristiani perch crediamo che Dio ci ama. Che
cos' l'amore? Ossigeno della vita.
Il nucleo incandescente del Vangelo la bellezza dell'amore di Dio (Ev. Ga. 36) che Ges
ha mostrato, vissuto, donato. questo il fuoco che deve entrare in noi, la cosa pi bella,
pi grande, pi attraente, pi necessaria, pi convincente e radiosa (Ev. Ga.35).
Tanto da dare suo Figlio. Nel Vangelo amare si traduce sempre con un altro verbo, umile,
breve, di mani e non di emozioni: dare. Dio altro non fa che eternamente considerare
ogni uomo pi importante di se stesso. Il mondo sappia che li hai amati come hai amato
me (Gv 17,23), il Padre ama me come ha amato Cristo, con la stessa passione, la stessa
fiducia, la stessa gioia, con in pi tutte le delusioni che io so procurargli. Ognuno il figlio
prediletto di Dio.
Cristo, venuto dal Padre come intenzione di bene, nella vita datore di vita, ci chiama ad
escludere dall'immagine che abbiamo di Lui, a escludere per sempre, qualsiasi intenzione
punitiva, qualsiasi paura. L'amore non fa mai paura, e non conosce altra punizione che
punire se stesso.
E non solo l'uomo, il mondo intero che amato, dice Ges, la terra, gli animali e le piante
e la creazione tutta. E se Egli ha amato il mondo e la sua bellezza fragile, allora anche tu
amerai il creato come te stesso, lo amerai come il prossimo tuo.

Dio non ha mandato il Figlio per giudicare il mondo, ma perch il mondo sia salvato. A
Dio non interessa istruire processi contro di noi, neppure per assolverci, ora o nell'ultimo
giorno. La vita degli amati non a misura di tribunale, ma a misura di fioritura e di
abbraccio.
Dio ha tanto amato, e noi come lui: quando amo in me si raddoppia la vita, aumenta la
forza, sono felice. Ogni mio gesto di cura, di tenerezza, di amicizia porta in me la forza di
Dio, spalanca una finestra sull'infinito.
Dio ha tanto amato, e noi come Lui: ci impegniamo non per salvare il mondo, l'ha gi
salvato Lui, ma per amarlo; non per convertire le persone, lo far Lui, ma per amarle.
Se non c' amore, nessuna cattedra pu dire Dio, nessun pulpito. Non c' pi il ponte che
ricollega la terra al cielo, il motore che fa ripartire la storia, una storia con sapore di Dio.
(Letture: 2 Cronache 36,14-16.19-23; Salmo 136; Efesini 2,4-10; Giovanni 3, 14-21).
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
19/03/2015
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Il chicco di grano, icona di una vita che si fa feconda


V Domenica di Quaresima
Anno B
In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c'erano anche alcuni
Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsida di Galilea, e gli domandarono:
Signore, vogliamo vedere Ges.
Filippo and a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Ges. Ges
rispose loro: venuta l'ora che il Figlio dell'uomo sia glorificato. In verit, in verit io vi
dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore,
produce molto frutto (...).
Venne allora una voce dal cielo: L'ho glorificato e lo glorificher ancora! (...). Disse
Ges: Questa voce non venuta per me, ma per voi. Ora il giudizio di questo mondo;
ora il principe di questo mondo sar gettato fuori. E io, quando sar innalzato da terra,
attirer tutti a me (...).
Alcuni stranieri chiedono agli apostoli: Vogliamo vedere Ges. Una richiesta dell'anima
eterna dell'uomo che cerca, che arriva fino a noi, sulla bocca di molti, spesso senza parole,
e ci chiede: Mostrami il tuo Dio, fammi vedere in chi credi davvero. Perch Dio non si
dimostra, con alte catechesi o ragionamenti, si mostra. Mostrando mani d'amore e occhi
limpidi, una vita abitata da lui.
Ges risponde portando gli interlocutori su di un altro piano, oltre il suo volto, proponendo
una immagine indimenticabile: Volete capire qualcosa di me? Guardate un chicco di grano.
Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce
molto frutto. Il vero volto, la verit del chicco consiste nella sua storia breve e splendida.
bellissimo che Ges adoperi il paragone del seme di frumento: non si tratta di
un'allegoria esterna, lontana, separata, ma significa che ci che Ges sta dicendo, ci che
con la sua vita sta mostrando inscritto nelle leggi pi profonde della vita. La vita delle
creature pi semplici risponde alle stesse leggi della nostra vita spirituale: Vangelo e vita

sono la stessa cosa, reale e spirituale coincidono. E come il chicco di grano profezia di
pane, cos Ges afferma: anch'io sono un pane per la fame del mondo.
Se cerchiamo il centro della piccola parabola del seme, la nostra attenzione subito attratta
dal forte verbo morire: Se il chicco non muore, se invece muore... Ma l'accento logico e
grammaticale della frase cade invece su due altri verbi, sono loro quelli principali:
Rimanere solo o produrre molto frutto. Il senso della vita di Cristo, e quindi di ogni uomo,
si gioca sul frutto, sulla fecondit, sulla vita abbondante che lui venuto a portare (Gv
10,10). Non il morire che d gloria a Dio, ma la vita in pienezza.
Fiorire non un sacrificio. Il germe che spunta dal chicco altro non che la parte pi
intima e vitale del seme; non uno che si sacrifica per l'altro, ma l'uno che si trasforma
nell'altro; non perdita ma incremento. Seme e germe non sono due entit diverse, ma la
tessa cosa: muore una forma ma per rinascere in una forma pi piena ed evoluta. In una
logica pasquale.
La seconda immagine che Ges offre di s, oltre al chicco, la croce: Quando sar
innalzato da terra attirer tutti a me. Io sono cristiano per attrazione, sedotto dalla bellezza
dell'amore di Cristo. La suprema bellezza del mondo quella accaduta sulla collina fuori
Gerusalemme, quando l'infinito amore si lascia inchiodare in quel niente di legno e di terra
che basta per morire. E poi risorgere, germe di vita immortale. Perch ci che si oppone
alla morte non la vita, l'amore.
(Letture: Geremia 31, 31-34; Salmo 50; Ebrei 5,7-9; Giovanni 12,20-33)
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
26/03/2015
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Davvero era figlio di Dio. La Croce capovolge la storia


Domenica delle Palme Anno B
Mancavano due giorni alla Pasqua e agli zzimi, e i capi dei sacerdoti e gli scribi
cercavano il modo di catturare Ges con un inganno per farlo morire. Dicevano infatti:
Non durante la festa, perch non vi sia una rivolta del popolo.
Ges si trovava a Betnia, nella casa di Simone il lebbroso. Mentre era a tavola, giunse una
donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo di puro nardo, di grande valore.
Ella ruppe il vaso di alabastro e vers il profumo sul suo capo. Ci furono alcuni, fra loro,
che si indignarono: Perch questo spreco di profumo? Si poteva venderlo per pi di
trecento denari e darli ai poveri!. Ed erano infuriati contro di lei.
Allora Ges disse: Lasciatela stare; perch la infastidite? Ha compiuto un'azione buona
verso di me. I poveri infatti li avete sempre con voi e potete far loro del bene quando
volete, ma non sempre avete me (....).
In questa settimana santa, il ritmo dell'anno liturgico rallenta: sono i giorni del nostro
destino e sembrano venirci incontro piano, ad uno ad uno, ognuno generoso di segni, di
simboli, di luce. La cosa pi bella che possiamo fare sostare accanto alla santit delle
lacrime, presso le infinite croci del mondo dove Cristo ancora crocifisso nei suoi fratelli.
E deporre sull'altare di questa liturgia qualcosa di nostro: condivisione, conforto,
consolazione, una lacrima. E

l'infinita passione per l'esistente.


Salva te stesso, scendi dalla croce, allora crederemo. Qualsiasi uomo, qualsiasi re,
potendolo, scenderebbe dalla croce. Ges, no.
Solo un Dio non scende dal legno, solo il nostro Dio. Perch il Dio di Ges differente:
il Dio che entra nella tragedia umana, entra nella morte perch l risucchiato ogni suo
figlio.
Sale sulla croce per essere con me e come me, perch io possa essere con lui e come lui.
Essere in croce ci che Dio, nel suo amore, deve all'uomo che in croce. Perch l'amore
conosce molti doveri, ma il primo di questi di essere con l'amato, unito, stretto, incollato
a lui, per poi trascinarlo fuori con s nel mattino di Pasqua.
Qualsiasi altro gesto ci avrebbe confermato in una falsa idea di Dio. Solo la croce toglie
ogni dubbio. La croce l'abisso dove Dio diviene l'amante. Dove un amore eterno penetra
nel tempo come una goccia di fuoco, e divampa.
L'ha capito per primo un estraneo, un soldato esperto di morte, un centurione pagano che
formula il primo credo cristiano: costui era figlio di Dio. Che cosa ha visto in quella morte
da restarne conquistato? Non ci sono miracoli, non si intravvedono risurrezioni. L'uomo di
guerra ha visto il capovolgimento del mondo, di un mondo dove la vittoria sempre stata
del pi forte, del pi armato, del pi spietato. Ha visto il supremo potere di Dio, del suo
disarmato amore; che quello di dare la vita anche a chi d la morte; il potere di servire
non di asservire; di vincere la violenza, ma prendendola su di s.
Ha visto sulla collina che questo mondo porta un altro mondo nel grembo, un altro modo di
essere uomini.
Come quell'uomo esperto di morte, anche noi, disorientati e affascinati, sentiamo che nella
Croce c' attrazione, e seduzione e bellezza e vita. La suprema bellezza della storia quella
accaduta fuori Gerusalemme, sulla collina, dove il Figlio di Dio si lascia inchiodare,
povero e nudo, per morire d'amore. La nostra fede poggia sulla cosa pi bella del mondo:
un atto d'amore. Bello chi ama, bellissimo chi ama fino all'estremo. La mia fede poggia
su di un atto d'amore perfetto. E Pasqua mi assicura che un amore cos non pu andare
deluso.
(Letture: Isaia 50,4-7; Salmo 21; Filippesi 2,6-11; Marco 14,1-15,47).
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
02/04/2015
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La corsa al sepolcro e la voce dell'angelo: Non qui


Domenica di Pasqua
Risurrezione del Signore -Anno B
Il primo giorno della settimana, Maria di Mgdala si rec al sepolcro di mattino, quando
era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e and da
Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Ges amava, e disse loro: Hanno portato
via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!. Pietro allora usc insieme
all'altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro
discepolo corse pi veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chin, vide i teli
posati l, ma non entr. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entr nel

sepolcro e osserv i teli posati l, e il sudario che era stato sul suo capo non posato l
con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entr anche l'altro discepolo, che era
giunto per primo al sepolcro, e vide e credette (...).
Una tomba, una casa, il primo sole, e la corsa di donne e uomini come una spola lucente a
tessere vita. Per prima Maria di Magdala ad uscire di casa quando ancora notte, buio
nel cielo e buio nel cuore. Non ha niente tra le mani, solo il suo amore che si ribella alla
morte di Ges: amare dire: tu non morirai! (G. Marcel). Il suo amore, che intona un
nuovo Cantico dei Cantici in quell'alba: Mi alzer...far il giro delle strade: "avete visto
l'amore dell'anima mia?" (Cantico 3,1-3). E poi il giardino, la corsa e le lacrime, il nome
pronunciato come solo chi ti ama sa fare.
Quell'uomo amato, che sapeva di cielo, che aveva spalancato per lei orizzonti infiniti, ora
chiuso in un buco nella roccia. Tutto finito. Ma allora perch si reca al sepolcro? Perch si
avvicin alla tomba, pur essendo una donna, mentre ebbero paura gli uomini? Perch lei gli
apparteneva e il suo cuore era presso di lui. Dove era lui, era anche il cuore di lei. Perci
non aveva paura (Meister Eckhart).
E vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Il sepolcro spalancato, aperto come il
guscio di un seme, vuoto e risplendente, nel fresco dell'alba. E nel giardino primavera.
Maria di Magdala corse allora e and da Simon Pietro e dall'altro discepolo.
Anche su di loro era rotolato un masso che li stava schiacciando. Il dolore a unghiate
graffiava il cuore. Ma loro erano rimasti insieme, ecco la forza, il gruppo non si era
dissolto: qualcosa, molto di Ges perdurava tra loro come collante delle vite. Insieme
molto di pi della somma dei singoli: tu sei argine alle mie paure e riserva d'olio per la mia
lampada, io sar soffio di vento nelle tue vele e impulso per andare: uscirono allora, e
correvano insieme tutti e due...
Arrivano e vedono: manca un corpo alla contabilit della morte, manca un ucciso ai registri
della violenza: il loro bilancio in perdita.
Non qui dice un angelo alle donne. Che bella questa parola: non qui. Lui , ma non
qui. Lui , ma va cercato fuori, altrove, in giro per le strade, il vivente, un Dio da
sorprendere nella vita. dovunque, eccetto che fra le cose morte. Matura come un
germoglio di luce nella notte, come un seme di fuoco nella storia.
Vi precede in Galilea (Mt 28,7): il primo della lunga carovana, cammina davanti, ad
aprire la nostra immensa migrazione verso la vita. Davanti, a ricevere in faccia il vento,
l'ingiuria, la morte, il sole, senza arretrare di un passo mai.
E coloro che, come lui, non accettano che il mondo si perpetui cos com', coloro che
vogliono cieli nuovi e nuova terra, sanno che chi vive una vita come la sua ha in dono gi
la sua stessa vita indistruttibile. (Letture: Atti 10,34a.37-43; Salmo 117; Colossesi 3,1-4;
Giovanni 20,1-9).
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
09/04/2015
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Quelle ferite di Ges sono l'alfabeto dell'amore
II Domenica di Pasqua
Divina Misericordia - Anno B

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La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo
dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Ges, stette in mezzo e disse
loro: Pace a voi!. Detto questo, mostr loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al
vedere il Signore. Ges disse loro di nuovo: Pace a voi! Come il Padre ha mandato me,
anche io mando voi. Detto questo, soffi e disse loro: Ricevete lo Spirito Santo. A coloro
a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno
perdonati. Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Ddimo, non era con loro quando venne
Ges. Gli dicevano gli altri discepoli: Abbiamo visto il Signore!. Ma egli disse loro: Se
non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e
non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo (...).
I discepoli erano chiusi in casa per paura dei Giudei. La paura la paralisi della vita. Ci
che apre il futuro e fa ripartire la vita sono invece gli incontri. Ges lo sa bene.
I suoi sono scappati tutti, l'hanno abbandonato: che cosa di meno affidabile di quel
gruppetto allo sbando? E tuttavia Ges viene.
una comunit dove non si pu stare bene, porte e finestre sbarrate, dove manca l'aria e si
respira dolore. Una comunit chiusa, ripiegata su se stessa, che non si apre, che si sta
ammalando. E tuttavia Ges viene.
E non al di sopra, non a distanza, ma viene e sta in mezzo a loro. Non nell'io, non nel tu
soltanto, lo Spirito abita nel cuore delle relazioni, come il terzo tra i due, collante delle
vite.
Viene e sta in mezzo. Lui, il maestro dei maestri, ci insegna a gestire l'imperfezione delle
vite. Il suo metodo non consiste nel riproporre l'ideale perfetto, nel sottolineare la nostra
distanza dal progetto, ma nell'avviare processi: a chi sente i morsi della paura, porta in
dono la pace; a chi non crede, offre un'altra occasione: guarda tocca metti il dito; a chi non
ha accolto il soffio del vento dello Spirito, lui spalanca orizzonti.
Il suo metodo umanissimo, che conforta la vita, sta nell'iniziare percorsi, nell'indicare il
primo passo, perch un primo passo possibile sempre, per tutti, da qualsiasi situazione.
Il gruppo degli apostoli aveva tentato di coinvolgere Tommaso: abbiamo visto il Signore.
Ma lui, che era il pi libero di tutti, lui che aveva il coraggio di entrare e uscire da quella
casa, non ci sta: io non mi accontento di parole. Se lui vivo, come fate ad essere ancora
qui rinchiusi, invece di uscire nel sole del mondo? Se lui vivo, la nostra vita cambia!
Ed ecco Ges che entra, sta in mezzo, e dice: Pace a voi. Non un augurio, non una
promessa, molto di pi, una affermazione: la pace con voi, qui, iniziata; non
merito, dono.
Poi si rivolge a Tommaso: Metti qui il tuo dito. Ges aveva educato Tommaso alla libert
interiore, a dissentire, l'aveva fatto coraggioso e grande in umanit. Per farlo ancora pi
grande, gli fa un piccolo rimprovero, ma dolcemente, come si fa con gli amici: non essere
incredulo... Rispetta i suoi tempi, e invece di imporsi, si propone: Metti, guarda, tocca.
La risurrezione non ha richiuso i fori dei chiodi, non ha rimarginato le labbra delle ferite.
Perch la morte di croce non un semplice incidente da superare: quelle ferite sono la
gloria di Dio, il punto pi alto dell'amore, la grande bellezza della storia. Su quel corpo
l'amore ha scritto il suo racconto con l'alfabeto delle ferite, le uniche che non ingannano.
Indelebili ormai come l'amore stesso.
(Letture: Atti 4,32-35; Salmo 117; 1 Giovanni 5,1-6; Giovanni 20,19-31)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi

16/04/2015
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pace la prima parola pronunciata da Cristo Risorto


III Domenica di Pasqua
Anno B
In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da mmaus] narravano [agli Undici e a
quelli che erano con loro] ci che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto
[Ges] nello spezzare il pane. Mentre essi parlavano di queste cose, Ges in persona stette
in mezzo a loro e disse: Pace a voi!. Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un
fantasma. Ma egli disse loro: Perch siete turbati, e perch sorgono dubbi nel vostro
cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un
fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho (...). Allora apr loro la mente per
comprendere le Scritture e disse loro: Cos sta scritto: il Cristo patir e risorger dai morti
il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono
dei peccati, cominciando da Gerusalemme(...).
Lo conoscevano bene, dopo tre anni di strade, di olivi, di pesci, di villaggi, di occhi negli
occhi, eppure non lo riconoscono.
Ges lo stesso ed diverso, il medesimo ed trasformato, quello di prima ed altro.
Perch la Risurrezione non semplicemente un ritornare alla vita di prima: andare avanti,
trasfigurazione, acquisire un di pi. Energia in movimento che Ges non tiene per s,
ma che estende all'intera creazione, tutta presa, e da noi compresa, dentro il suo risorgere e
trascinata in alto verso pi luminose forme.
Pace, la prima parola del Risorto. E la ripete ad ogni incontro: entro in chiesa, apro il
Vangelo, scendo nel silenzio del cuore, spezzo il pane con l'affamato. Sono molte le strade
che l'Incamminato percorre, ma ogni volta, sempre, ad ogni incontro ci accoglie come un
amico sorridente, a braccia aperte, con parole che offrono benessere, pace, pienezza,
armonia. Credere in lui fa bene alla vita. Vuole contagiarci di luce e contaminarci di pace.
Lui sa bene che sono gli incontri che cambiano la vita degli esseri umani. Infatti viene dai
suoi, maestro di incontri, con la sua pedagogia regale che non prevede richieste o
ingiunzioni, ma comunione. Viene e condivide pane, sguardi, amicizia, parola, pace.
Il ruolo dei discepoli non difendersi, non vergognarsi, ma ridestare dal sonno
dell'abitudine mani, occhi, orecchie, bocca: toccate, guardate, mangiamo insieme. Aprirsi
con tutti i sensi divine tastiere (Turoldo), strumenti di una musica suonata da Dio.
Toccatemi, guardate. Ma come toccarlo oggi, dove vederlo? Lui nel grido vittorioso
del bambino che nasce e nell'ultimo respiro del morente, che raccoglie con un bacio.
nella gioia improvvisa dentro una preghiera fatta di abitudini, nello stupore davanti
all'alleluja pasquale del primo ciliegio in fiore. Quando in me riprende a scorrere amore;
quando tocco, con emozione e venerazione, le piaghe della terra: ecco io carezzo la vita
perch profuma di Te (Rumi)...
Non sono un fantasma il lamento di Ges, e vi risuona il desiderio di essere
abbracciato forte come un amico che torna da lontano, di essere stretto con lo slancio di chi
ti vuole bene. Non si ama un fantasma.
Mangiamo insieme. Questo piccolo segno del pesce arrostito, gli apostoli lo daranno
come prova decisiva: abbiamo mangiato con lui dopo la sua risurrezione (At 10,41).
Perch mangiare il segno della vita; mangiare insieme il segno pi eloquente di una
comunione ritrovata, il gesto che lega, custodisce e accresce le vite. Il cibo una realt

santa. Santa perch fa vivere. E che l'uomo viva la prima di tutte le leggi, della legge di
Dio e delle leggi umane.
(Letture: Atti 3,13-15.17-19; Salmo 4; 1 Giovanni 2,1-5; Luca 24, 35-48).
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
23/04/2015
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Ges il pastore buono che d la vita, che contagia d'amore


IV Domenica di Pasqua - Anno B
In quel tempo, Ges disse: Io sono il buon pastore. Il buon pastore d la propria vita per le
pecore. Il mercenario che non pastore e al quale le pecore non appartengono vede
venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perch un
mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e
le mie pecore conoscono me, cos come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la
mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche
quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo
pastore.
Per questo il Padre mi ama: perch io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno
me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo.
Questo il comando che ho ricevuto dal Padre mio.
Pastore buono: il titolo pi disarmato e disarmante che Ges abbia dato a se stesso.
Eppure questa immagine non ha in s nulla di debole o remissivo: il pastore forte che si
erge contro i lupi, che ha il coraggio di non fuggire; il pastore bello nel suo impeto
generoso; il pastore vero che si frappone fra ci che d la vita e ci che procura morte al
suo gregge.
Il pastore buono che nella visione del profeta porta gli agnellini sul seno e conduce pian
piano le pecore madri (Isaia 40,11), evoca anche una dimensione tenera e materna che,
unita alla fortezza, compone quella che papa Francesco chiama con un magnifico
ossimoro, una combattiva tenerezza (Evangelii gaudium 88).
Che cosa ha rivelato Ges ai suoi? Non una dottrina, ma il racconto della tenerezza ostinata
e mai arresa di Dio. Nel fazzoletto di terra che abitiamo, anche noi siamo chiamati a
diventare il racconto della tenerezza di Dio. Della sua combattiva tenerezza.
Qual il comportamento, il gesto che caratterizza questo pastore secondo il cuore di Dio?
Il Vangelo di oggi lo sottolinea per cinque volte, racchiudendolo in queste parole: il pastore
d la vita. Qui affiora il filo d'oro che lega insieme tutta intera l'opera ininterrotta di Dio nei
confronti di ogni creatura: il suo lavoro da sempre e per sempre trasmettere vita, far
vivere e santificare l'universo (Prece eucaristica III).
Dare la vita non , innanzitutto o solamente, morire sulla croce, perch se il Pastore muore
le pecore sono abbandonate e il lupo rapisce, uccide, vince.
Dare la vita l'opera generativa di Dio, un Dio inteso al modo delle madri, uno che nel suo
intimo non autoreferenzialit, ma generazione..
Un Dio compreso nel senso della vite che d linfa ai tralci; del seno di donna che offre vita
al piccolo; dell'acqua che d vita alla steppa arida. Io offro la mia vita significa: vi offro

una energia di nascita dall'alto; offro germi di divinit, per farvi simili a me (noi saremo
simili a lui, 1 Gv 3,2 nella II Lettura).
Solo con un supplemento di vita, la sua, potremo battere coloro che amano la morte, i tanti
lupi di oggi.
Perch anche noi, discepoli che vogliono, come lui, sperare ed edificare, dare vita e
liberare, siamo chiamati ad assumere il ruolo di "pastore buono", cio forte e bello,
combattivo e tenero, del gregge che ci consegnato: la famiglia, gli amici, quanti contano
su di noi e di noi si fidano.
"Dare vita" significa contagiare di amore, libert e coraggio chi avvicini, di vitalit ed
energia chi incontri. Significa trasmettere le cose che ti fanno vivere, che fanno lieta,
generosa e forte la tua vita, bella la tua fede, contagiosi i motivi della tua gioia.
(Letture: Atti 4,8-12; Salmo 117; 1 Giovanni 3,1-2; Giovanni 19,11-18).
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
30/04/2015
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Noi tralci, Lui la vite: siamo della stessa pianta di Cristo


V Domenica Pasqua Anno B
In quel tempo, Ges disse ai suoi discepoli: Io sono la vite vera e il Padre mio
l'agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta
frutto, lo pota perch porti pi frutto. Voi siete gi puri, a causa della parola che vi ho
annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non pu portare frutto da se stesso
se non rimane nella vite, cos neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i
tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perch senza di me non potete far
nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo
gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sar
fatto. In questo glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei
discepoli.
Io sono la vite, quella vera. Cristo vite, io tralcio: io e lui la stessa cosa! Stessa pianta,
stessa vita, unica radice, una sola linfa. Lui in me e io in lui, come figlio nella madre.
E il mio padre il vignaiolo: Dio raccontato con le parole semplici della vita e del lavoro.
Un Dio che mi lavora, si d da fare attorno a me, non impugna lo scettro ma le cesoie, non
siede sul trono ma sul muretto della mia vigna. Per farmi portare sempre pi frutto.
E poi una novit assoluta: mentre nei profeti e nei salmi del Primo Testamento, Dio era
descritto come il padrone della vigna, contadino operoso, vendemmiatore attento, tutt'altra
cosa rispetto alle viti, ora Ges afferma qualcosa di rivoluzionario: Io sono la vite, voi siete
i tralci. Facciamo parte della stessa pianta, come le scintille nel fuoco, come una goccia
nell'acqua, come il respiro nell'aria.
Con l'Incarnazione di Ges, Dio che si innesta nell'umanit e in me, accaduta una cosa
straordinaria: il vignaiolo si fatto vite, il seminatore seme, il vasaio si fatto argilla, il
Creatore creatura.

La vite-Ges spinge la linfa in tutti i miei tralci e fa circolare forza divina per ogni mia
fibra. Succhio da lui vita dolcissima e forte.
Dio che mi sei intimo, che mi scorri dentro, tu mi vuoi sempre pi vivo e pi fecondo di
gesti d'amore... Quale tralcio desidererebbe staccarsi dalla pianta? Perch mai vorrebbe
desiderare la morte?
Ogni tralcio che porta frutto lo pota perch porti pi frutto. Potare la vite non significa
amputare, inviare mali o sofferenze, bens dare forza, qualsiasi contadino lo sa: la potatura
un dono per la pianta. Questo vuole per me il Dio vignaiolo: Portare frutto simbolo del
possedere la vita divina (Brown). Dio opera per l'incremento, per l'intensificazione di
tutto ci che di pi bello e promettente abita in noi.
Tra il ceppo e i tralci della vite, la comunione data dalla linfa che sale e si diffonde fino
all'ultima gemma. Noi portiamo un tesoro nei nostri vasi d'argilla, un tesoro divino: c' un
amore che sale lungo i ceppi di tutte le vigne, di tutte le esistenze, un amore che sale in me
e irrora ogni fibra. E l'ho percepito tante volte nelle stagioni del mio inverno, nei giorni del
mio scontento; l'ho visto aprire esistenze che sembravano finite, far ripartire famiglie che
sembravano distrutte. E perfino le mie spine ha fatto rifiorire.
Se noi sapessimo quale energia c' nella creatura umana! Abbiamo dentro una vita che
viene da prima di noi e va oltre noi. Viene da Dio, radice del vivere, che ripete a ogni
piccolo tralcio: Ho bisogno di te per grappoli profumati e dolci; di te per una vendemmia di
sole e di miele.
(Letture: Atti 9,26-31; Salmo 21; 1 Giovanni 3,18-24; Giovanni 15,1-8).
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
07/05/2015
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La differenza cristiana: amarsi come ama il Signore


VI Domenica di Pasqua - Anno B
In quel tempo, Ges disse ai suoi discepoli: Come il Padre ha amato me, anche io ho
amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel
mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore.
Vi ho detto queste cose perch la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo il
mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un
amore pi grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate
ci che io vi comando. Non vi chiamo pi servi, perch il servo non sa quello che fa il suo
padrone; ma vi ho chiamato amici, perch tutto ci che ho udito dal Padre mio l'ho fatto
conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perch andiate e portiate
frutto e il vostro frutto rimanga; perch tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome,
ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.
Un canto d'amore al cuore degli insegnamenti di Ges. Una poesia dolcissima e profonda,
ritmata sul lessico degli amanti: amare, amore, gioia, pienezza, frutti. il canto della
nostra fede.

Come il Padre ha amato me, io ho amato voi. Di amore parliamo come di un nostro
compito. Ma noi non possiamo far sgorgare amore se non ci viene donato. Siamo letti di
fiume che Dio trasforma in sorgenti.
Rimanete nel mio amore. Nell'amore si entra e si dimora. Rimanete, non andatevene, non
fuggite dall'amore. Spesso all'amore resistiamo, ci difendiamo. Abbiamo il ricordo di tante
ferite e delusioni, ci aspettiamo tradimenti. Ma Ges ti dice: "arrenditi all'amore". Se non
lo fai, vivrai sempre affamato.
Ges: il guaritore del tuo disamore.
Il mondo sembra spesso la casa dell'odio, eppure l'amore c', reale come un luogo. la
casa in cui gi siamo, come un bimbo nel grembo della madre: non la pu vedere, ma ha
mille segni della sua presenza: Il nostro vero problema che siamo immersi in un oceano
d'amore e non ce ne rendiamo conto (G. Vannucci). L'amore , esiste, circola, ed cosa da
Dio: amore unilaterale, a prescindere, asimmetrico, incondizionato.
Questo vi ho detto perch la vostra gioia sia piena. L'amore da prendere sul serio, il
Vangelo da ascoltare con attenzione, ne va della nostra felicit, che sta in cima ai pensieri
di Dio.
Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato. Non semplicemente: amate. Ma fatelo in un
rapporto di comunione, un faccia a faccia, una reciprocit.
E aggiunge la parola che fa la differenza cristiana: amatevi come io vi ho amato. Amare
come Cristo, che lava i piedi ai suoi; che non giudica nessuno; che mentre lo ferisci, ti
guarda e ti ama; in cerca degli ultimi. Chiunque ami cos, qualsiasi sia il suo credo,
entrato nel flusso dell'amore di Cristo, dimora in lui che si fatto canale dell'amore del
Padre.
Come lui ognuno pu farsi vena non ostruita, canale non intasato, perch l'amore scenda e
circoli nel corpo del mondo. Se ti chiudi, in te e attorno a te qualcosa muore, come quando
si chiude una vena nel corpo.
Voi siete miei amici. Non pi servi. Amico: parola dolce, musica per il cuore dell'uomo. Un
Dio che da signore e re si fa amico, e teneramente appoggia la sua guancia a quella
dell'amato. Nell'amicizia non c' un superiore e un inferiore, ma l'incontro di due libert
che si liberano a vicenda.
Perch portiate frutto e il vostro frutto rimanga.
Quali frutti d un tralcio innestato su una pianta d'amore? Pace, guarigione, un fervore di
vita, liberazione, tenerezza, giustizia: questi nostri frutti continueranno a germogliare sulla
terra anche quando noi l'avremo lasciata.
(Letture: Atti 10,25-27.34-35.44-48; Salmo 97; 1 Giovanni 4,7-10; Giovanni 15,9-17).
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
14/05/2015
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Chiamati a pensare in grande, a contagiare di speranza


Ascensione del Signore - Anno B
In quel tempo, [Ges apparve agli Undici] e disse loro: Andate in tutto il mondo e
proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi creder e sar battezzato sar salvato, ma chi
non creder sar condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che

credono: nel mio nome scacceranno demni, parleranno lingue nuove, prenderanno in
mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recher loro danno; imporranno le mani
ai malati e questi guariranno.
Il Signore Ges, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e
confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.
Inizia la nostalgia del cielo: Cristo se ne va, ma solo dai nostri sguardi; non penetra al di l
delle nubi, ma nel profondo delle cose, nell'intimo delle creature e di Dio. Solo il
cristianesimo ha osato situare un corpo d'uomo nella profondit di Dio (R. Guardini).
L'Ascensione del Signore la celebrazione di due partenze, quella di Ges verso l'intimo e
il profondo; quella degli apostoli, prima Chiesa in uscita, verso gli angoli della terra, ad
annunciare qualcosa capace di scardinare il mondo cos come l'abbiamo conosciuto.
Andate in tutto il mondo. Che ampio orizzonte in queste parole! come sentirsi protesi
verso tutto, e allargare le braccia per abbracciare ogni cosa, e respirare in comunione con
ogni vivente, e sentire il vangelo, la bella notizia, la parola di felicit, dilagare in ogni
paesaggio del mondo come ossigeno e fresca acqua chiara, a portare vita a ogni vita che
langue.
E questi saranno i segniscacceranno i demoni imporranno le mani ai malati e questi
guariranno. Segni che non sono riservati ai predicatori del vangelo, ma che accompagnano
ogni credente: e il primo segno la vita che guarisce, la gioia che ritorna. Possiamo essere
certi che la nostra fede autentica se conforta la vita e fa fiorire sorrisi
intorno a noi. Dio ci rende dei guaritori.
E l'altro segno parlare lingue nuove: chi crede veramente, si apre all'ascolto dell'altro e
acquisisce un'intelligenza del cuore che gli permette di comunicare con tutti, con la lingua
universale che la tenerezza, la cura, il rispetto.
Partirono gli apostoli e il Signore agiva insieme con loro. La traduzione letterale suona
cos: il Signore era sinergia con loro. Che bella definizione! Vuoi sapere chi Ges? Il
vangelo di Marco offre questa perla: Il Signore energia che agisce con te. Tu e lui, unica
energia.
Cristo opera con te in ogni gesto di bont; in ogni parola fresca e viva lui che parla; in
ogni costruzione di pace lui che con te edifica il mondo.
Ogni mattina lui ci affida la terra e a sera la ritrova ricca di pane e amara di sudore.
questa la tua gioia, Signore: prolungare nelle fragili nostre mani le tue mani poderose. E
come un solo corpo noi plasmiamo la terra; noi due insieme, uomo e Dio, vegliamo sulle
cose e sul futuro.
E partirono e predicarono dappertutto. Il Signore chiama gli undici a questa navigazione
del cuore; sono un gruppetto di uomini impauriti e confusi, un nucleo di donne coraggiose
e fedeli, e affida loro il mondo, li spinge a pensare in grande a guardare lontano: il mondo
vostro. E questo perch ha enorme fiducia in loro; li ha santificati e sa che riusciranno a
contagiare di nascite, di fuoco e di speranza ogni vita che incontreranno.
(Letture: Atti 1,1-11; Salmo 46; Efesini 4,1-13; Marco 16,15-20).
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
21/05/2015
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Lo Spirito ci fa liberi, vento nel mare di Dio

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Domenica di Pentecoste - Anno B


In quel tempo, Ges disse ai suoi discepoli: Quando verr il Parclito, che io vi mander
dal Padre, lo Spirito della verit che procede dal Padre, egli dar testimonianza di me; e
anche voi date testimonianza, perch siete con me fin dal principio.
Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.
Quando verr lui, lo Spirito della verit, vi guider a tutta la verit, perch non parler da
se stesso, ma dir tutto ci che avr udito e vi annuncer le cose future. Egli mi
glorificher, perch prender da quel che mio e ve lo annuncer. Tutto quello che il Padre
possiede mio; per questo ho detto che prender da quel che mio e ve lo annuncer.
Gli Atti degli apostoli raccontano la Pentecoste con i colori dei simboli: il primo la casa.
Mentre si trovavano tutti insieme... un vento riemp la casa.
Un gruppo di uomini e donne dentro una casa qualunque: la gioia che nessun tempio /ti
contiene /o nessuna chiesa /t'incatena:/Cristo sparpagliato/ per tutta la terra,/ Dio vestito di
umanit. (Turoldo).
Le case, le creature non sono sante perch ricevono l'acqua benedetta, ma sono degne di
ricevere l'acqua benedetta perch sono sante.
Venne dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, che scuote la casa, la
riempie, dilaga e passa oltre; un vento che porta pollini di primavera e non lascia dormire
la polvere (Turoldo). Che , al tempo stesso, brezza e uragano, che conforta e incalza.
Lo Spirito santo il vento che fa nascere i cercatori d'oro (Vannucci), che apre respiri ed
orizzonti, che riempie le forme, le abbandona e passa oltre.
Apparvero lingue come di fuoco che si posarono su ciascuno. Il fuoco il simbolo di Dio e
della nostra vita accesa.
Gli uomini, i bambini, nascono accesi, poi i colpi della vita possono spegnerci. E lo Spirito
Santo, vento sugli abissi, Amore in ogni amore, viene a sostenerci nel compito di non
lasciarci invadere dal freddo delle relazioni, il rischio che Ges denuncia: L'amore di
molti si raffredder in quei giorni (Mt 24,12).
Nel vangelo Ges sembra ritrarsi e aprire l'era dello Spirito: Molte cose ho ancora da dirvi.
Lo fa con umilt: non pretende di aver risolto o detto tutto, molte cose restano non dette,
molti problemi nuovi sorgeranno lungo il cammino e dovranno avere risposte nuove!
Ma per ora non potete portarne il peso: la sua pazienza per la nostra povera misura, per noi
che capiamo a poco a poco le cose. I discepoli sono "quelli della via", secondo gli Atti
degli apostoli; quelli che sono in viaggio, vele che fremono sotto il vento dello Spirito "lui
vi guider alla verit tutta intera". I discepoli di Ges non sono stanziali, camminano verso
le "molte cose" ancora da scoprire, verso profondit e intuizioni inattese. La nostra vita
un albeggiare continuo, non un ripetere pensieri gi pensati da altri.
La Bibbia risuona da un capo all'altro di un imperativo: alzati e va'! Il verbo pi
caratteristico dell'uomo di Dio camminare, avanzare, Ges stesso dice di s: Io sono la
via.
La sua pedagogia non arrivare o concludere ma avviare percorsi, iniziare processi: la
verit completa avanti, una scoperta progressiva, un fiorire perenne.
Lo Spirito ci fa liberi e creativi, ci manda al largo nel mare della storia e di Dio, a scoprire
nuovi mari quanto pi si naviga: noi la vela e lo Spirito il vento.
(Letture: Atti 2,1-11; Salmo 103; Galati 5,16-25; Giovanni 15,26-27;16,12-15).
riproduzione riservata

Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


28/05/2015
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Vivere, per Dio e l'uomo, essere in comunione


Santissima Trinit Anno B
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Ges aveva loro
indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi per dubitarono.
Ges si avvicin e disse loro: A me stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate
dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello
Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ci che vi ho comandato. Ed ecco, io sono
con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo.
Dogma della Trinit, ovvero quando il racconto di Dio diventa il racconto dell'uomo. La
dottrina di Dio che Padre, Figlio e Spirito Santo non racchiude un freddo distillato di
pensieri, ma tutta una sapienza del vivere, colma di indicazioni esistenziali che illuminano
la mia vita. Infatti Adamo creato pi ancora che ad immagine di Dio, a somiglianza della
Trinit, a immagine di un legame d'amore, di un Dio che non solitudine. Dove vivere, per
Dio e per l'uomo, essere in comunione. In principio, la relazione; in principio, il legame.
Per questa memoria festosa della Trinit il Vangelo non offre formule, ma riferisce di un
appuntamento, di un
monte scalato con il batticuore, perch la fede prima di tutto desiderio d'incontro:
andarono sul monte che Ges aveva loro fissato.
Alcuni, per, dubitavano. Ci riconosciamo tutti quanti in questa comunit che crede e
dubita al tempo stesso. Eppure il dubbio e la poca fede dei discepoli non fermano n
scoraggiano il Signore. Anzi fanno nascere una reazione bellissima, invece di
rimproverarli, Ges si fa ancora pi vicino: avvicinatosi a loro disse... Ancora non stanco
di parlare, di farsi vicino, delicatamente e senza imporsi, e salvando perfino la loro libert
di dubitare.
Mi stato dato ogni potere in cielo e in terra. Potere parola che in bocca a Ges cambia
di segno: non il potere del mondo, che evoca violenza e sopruso, ma la forza di un Dio che
pu soltanto ci che l'amore pu.
Andate e battezzate nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito. Andate: Dio si appena
fatto trovare e gi t'invita ad andare oltre, per "battezzare", che significa "immergere" il
mondo nel mare di Dio.
I nomi che Ges sceglie per dire Dio, sono nomi di famiglia, di affetto: Padre e Figlio,
nomi che abbracciano, che si abbracciano. Spirito nome che dice respiro, dice che ogni
vita prende a respirare quando si sa accolta, presa in carico, abbracciata. Dio non in se
stesso solitudine, l'oceano della sua essenza vibra di un infinito movimento d'amore:
essenza della Trinit.
Insegnate loro ad osservare tutto ci che vi ho insegnato. Il tutto che Ges ha insegnato
che la nostra vita immersa in un mare d'amore. Ai suoi raccomanda: insegnate ad amare.
Ed detto tutto.
Io sar con voi tutti i giorni. Fino alla fine del mondo. Senza condizioni. Su queste parole
si chiude il Vangelo di Matteo e si apre, si fonda la nostra vita.

Tutti i giorni, fino al consumarsi del tempo, dentro gli abbandoni e le solitudini, quando ti
sfiora l'ala severa della morte e quando ti pare di volare, Lui sar con te, sempre. E senza
porre mai condizioni.
(Letture: Deuteronomio 4,32-34.39-40; Salmo 32; Romani 8,14-17; Matteo 28,16-20).
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
04/06/2015
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Festa delle comunione, Dio dona se stesso


Santissimo Corpo e Sangue di Cristo
Anno B
Il primo giorno degli zzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Ges:
Dove vuoi che andiamo a preparare, perch tu possa mangiare la Pasqua?. Allora mand
due dei suoi discepoli, dicendo loro: Andate in citt e vi verr incontro un uomo con una
brocca d'acqua; seguitelo. L dove entrer, dite al padrone di casa: "Il Maestro dice: Dov'
la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?". Egli vi mostrer al
piano superiore una grande sala, arredata e gi pronta; l preparate la cena per noi. I
discepoli andarono e, entrati in citt, trovarono come aveva detto loro e prepararono la
Pasqua. Mentre mangiavano, prese il pane e recit la benedizione, lo spezz e lo diede
loro, dicendo: Prendete, questo il mio corpo. Poi prese un calice e rese grazie, lo diede
loro e ne bevvero tutti. E disse loro: Questo il mio sangue dell'alleanza, che versato
per molti. In verit io vi dico che non berr mai pi del frutto della vite fino al giorno in
cui lo berr nuovo, nel regno di Dio (...).
Nella cornice di una cena, la novit di Ges: Dio non si propone pi di governare l'uomo
attraverso un codice di leggi esterne, ma di trasformare l'uomo immettendogli la sua stessa
vita. La novit di un Dio che non spezza nessuno, spezza se stesso; non chiede sacrifici,
sacrifica se stesso; non versa la sua ira, ma versa "sui molti" il proprio sangue, santuario
della vita.
In quella sera, cibo vita e festa sono uniti da un legame strettissimo. Spesso trasformiamo
l'ultima Cena in un'anticipazione triste della passione che incombe, mentre Ges fa
esattamente il contrario: trasforma la cronaca di una morte annunciata in una festa, una
celebrazione della vita. Quella cena prefigura la resurrezione, mostra il modo di agire di
Dio: dentro la sofferenza e la morte, Dio suscita vita. E Ges ha simboli e parole a indicare
la sua morte ma soprattutto la sua infinita passione per la vita: questo il mio corpo,
prendete; e intende dire: vivetene!
E mi sorprende ogni volta come una dichiarazione d'amore: "io voglio stare nelle tue mani
come dono, nella tua bocca come pane, nell'intimo tuo come sangue, farmi cellula, respiro,
pensiero di te. Tua vita".
Qui il miracolo, il batticuore, lo stupore: Dio in me, il mio cuore lo assorbe, lui assorbe il
mio cuore, e diventiamo una cosa sola. Lo dice benissimo Leone Magno: partecipare al
corpo e al sangue di Cristo non tende ad altro che a trasformarci in quello che riceviamo.
Con il suo corpo Ges ci consegna la sua storia: mangiatoia, strade, lago, volti, il duro
della Croce, il sepolcro vuoto e la vita che fioriva al suo passaggio. Con il suo sangue, ci

comunica il rosso della passione, la fedelt fino all'estremo. Vuole che nelle nostre vene
scorra il flusso caldo della sua vita, che nel cuore metta radici il suo coraggio, perch ci
incamminiamo a vivere l'esistenza umana come l'ha vissuta lui.
Corpo e sangue, donati: ogni volta che anche noi doniamo qualcosa, si squarciano i cieli.
Corpo e sangue, presi: ogni volta che ne prendo e mangio la mia piccola vita che si
squarcia, si trasforma e sconfina per grazia.
Festa della comunione: a riportare nel mondo questa verit, a riscoprire questo immenso
vocabolo stato Ges. Senso definitivo del nostro andare e lottare, del nostro piangere e
costruire, fine supremo fissato da Cristo stesso a tutta l'umanit il dono della
comunione (S. Bulgakov). Che si estende ad abbracciare tutto ci che vive quaggi sotto
il sole, i nostri fratelli minori, le piccole creature, il filo d'erba, l'insetto con il suo
misterioso servizio alla vita, in un rapporto non pi alterato dal verbo prendere o
possedere, ma illuminato dal pi generoso dei verbi: donare.
(Letture: Esodo 24,3-8; Salmo 115; Ebrei 9,11-15; Marco 14,12-16.22-26).
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
11/06/2015
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Dio, seminatore che non si stanca mai di noi


XI Domenica Tempo ordinario - Anno B
In quel tempo, Ges diceva [alla folla]: Cos il regno di Dio: come un uomo che getta il
seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come,
egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il
chicco pieno nella spiga; e quando il frutto maturo, subito egli manda la falce, perch
arrivata la mietitura. Diceva: A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con
quale parabola possiamo descriverlo? come un granello di senape che, quando viene
seminato sul terreno, il pi piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene
seminato, cresce e diventa pi grande di tutte le piante dell'orto e fa rami cos grandi che
gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra.
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano
intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni
cosa.
Cos il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno. L'infinito di Dio
raccontato da un minuscolo seme, il futuro nella freschezza di un germoglio di senape.
Accade nel Regno di Dio come quando un uomo semina. Il Regno accade perch Dio
l'instancabile seminatore, che non stanco di noi, che ogni giorno esce a immettere
nell'universo le sue energie in forme seminali, germinali, come un nuovo giardino
dell'Eden che sta a noi custodire e coltivare. E nessun uomo o donna che siano privi dei
suoi germi di vita, nessuno troppo lontano dalla sua mano.
Che dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Ges sottolinea un
miracolo infinito di cui non ci stupiamo pi: alla sera vedi un bocciolo, il giorno dopo si
aperto un fiore. Senza alcun intervento esterno. Qui affonda la radice della grande fiducia
di chi crede: le cose di Dio, l'intera creazione, il bene crescono e fioriscono per una

misteriosa forza interna, che da Dio. Nonostante le nostre resistenze e distrazioni, nel
mondo e nel cuore il seme di Dio germoglia e si arrampica verso la luce.
La seconda parabola mostra la sproporzione tra il granello di senapa, il pi piccolo di tutti i
semi, e il grande albero che ne nascer. Senza voli retorici: il granello non salver il
mondo. Noi non salveremo il mondo. Ma, dice Ges, gli uccelli verranno e vi faranno il
nido. All'ombra del tuo albero grande accorreranno in molti, all'ombra della tua vita
verranno per riprendere fiato, trovare ristoro, fare il nido: immagine della vita che riparte e
vince. Se tu hai aiutato anche uno solo a stare un po' meglio, la tua vita si realizzata
(Papa Francesco).
La parabola del granello di senape racconta la preferenza di Dio per i mezzi poveri; dice
che il suo Regno cresce per la misteriosa forza segreta delle cose buone, per l'energia
propria della bellezza, della tenerezza, della verit, della bont.
Mentre il nemico semina morte, noi come contadini pazienti e intelligenti seminiamo buon
grano; noi come campo di Dio continuiamo ad accogliere e custodire i semi dello Spirito,
nonostante l'imperversare di tutti gli erodi dentro e fuori di noi.
Un seme deposto dal vento nelle fenditure di una muraglia capace di viverci; capace,
con la punta fragilissima del suo germoglio, di aprirsi una strada nel duro dell'asfalto. Ges
sa di aver immesso nel mondo un germe di bont divina che, con il suo assedio dolce e
implacabile, spezzer la crosta arida di tutte le epoche, per riportarvi sentori di primavera,
di vita fiorita, di mietiture.
Tutta la nostra fiducia in questo: Dio all'opera in seno alla storia e in me, in alto silenzio
e con piccole cose.
(Letture: Ezechiele 17,22-24; Salmo 91; 2 Corinzi 5,6-10; Marco 4,26-34).
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
18/06/2015
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Dio non interviene al posto mio ma con me


XII Domenica Tempo ordinario Anno B
In quel giorno, venuta la sera, Ges disse ai suoi discepoli: Passiamo all'altra riva. E,
congedata la folla, lo presero con s, cos com'era, nella barca. C'erano anche altre barche
con lui.
Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai
era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli
dissero: Maestro, non t'importa che siamo perduti?. Si dest, minacci il vento e disse al
mare: Taci, calmati!. Il vento cess e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: Perch avete
paura? Non avete ancora fede?. E furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'altro:
Chi dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?.
Una notte di tempesta e di paura sul lago, e Ges dorme. Anche il nostro mondo in piena
tempesta, geme di dolore con le vene aperte, e Dio sembra dormire.
Nessuna esistenza sfugge all'assurdo e alla sofferenza, e Dio non parla, rimane muto.
nella notte che nascono le grandi domande: Non ti importa niente di noi? Perch dormi?
Destati e vieni in aiuto! I Salmi traboccano di questo grido, riempie la bocca di Giobbe, lo

ripetono profeti e apostoli. Poche cose sono bibliche come questo grido a contestare il
silenzio di Dio, poche esperienze sono umane come questa paura di morire o di vivere
nell'abbandono.
Perch avete cos tanta paura? Dio non altrove e non dorme. gi qui, sta nelle braccia
degli uomini, forti sui remi; sta nella presa sicura del timoniere; nelle mani che svuotano
l'acqua che allaga la barca; negli occhi che scrutano la riva, nell'ansia che anticipa la luce
dell'aurora.
Dio presente, ma a modo suo; vuole salvarmi, ma lo fa chiedendomi di mettere in campo
tutte le mie capacit, tutta la forza del cuore e dell'intelligenza. Non interviene al posto
mio, ma insieme a me; non mi esenta dalla traversata, ma mi accompagna nell'oscurit.
Non mi custodisce dalla paura, ma nella paura. Cos come non ha salvato Ges dalla croce,
ma nella croce.
L'intera nostra esistenza pu essere descritta come una traversata pericolosa, un passare
all'altra riva, quella della vita adulta, responsabile, buona. Una traversata iniziare un
matrimonio; una traversata il futuro che si apre davanti al bambino; una traversata
burrascosa tentare di ricomporre lacerazioni, ritrovare persone, vincere paure, accogliere
poveri e stranieri. C' tanta paura lungo la traversata, paura anche legittima. Ma le barche
non sono state costruite per restare ormeggiate al sicuro nei porti.
Vorrei che il Signore gridasse subito all'uragano: Taci; e alle onde: Calmatevi; e alla mia
angoscia ripetesse: finita. Vorrei essere esentato dalla lotta, invece Dio risponde
chiamandomi alla perseveranza, moltiplicandomi le energie; la sua risposta tanta forza
quanta ne serve per il primo colpo di remo. E ad ogni colpo lui la rinnover.
Non ti importa che moriamo? La risposta, senza parole, raccontata dai gesti:
Mi importa di te, mi importa la tua vita, tu sei importante.
Mi importano i passeri del cielo e tu vali pi di molti passeri, mi importano i gigli del
campo e tu sei pi bello di loro.
Tu mi importi al punto che ti ho contato i capelli in capo e tutta la paura che porti nel
cuore. E sono qui. A farmi argine e confine alla tua paura. Sono qui nel riflesso pi
profondo delle tue lacrime, come mano forte sulla tua, inizio d'approdo sicuro.
(Letture: Giobbe 38,1.8-11; Salmo 106; 2 Corinzi 5,14-17; Marco 4,35-41).
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
25/06/2015
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Ges ci prende per mano e ci dice alzati

XIII Domenica Tempo ordinario Anno B


...E subito Ges, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si volt alla folla
dicendo: Chi ha toccato le mie vesti?. I suoi discepoli gli dissero: Tu vedi la folla che si
stringe intorno a te e dici: Chi mi ha toccato?. Egli guardava attorno, per vedere colei
che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ci che le era accaduto,
venne, gli si gett davanti e gli disse tutta la verit. Ed egli le disse: Figlia, la tua fede ti
ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male. Stava ancora parlando, quando dalla casa

del capo della sinagoga vennero a dire: Tua figlia morta. Perch disturbi ancora il
Maestro?. Ma Ges, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: Non temere,
soltanto abbi fede!...
Ges cammina verso una casa dove una bambina di 12 anni morta, cammina accanto al
dolore del padre. Ed ecco una donna che aveva molto sofferto, ma cos tenace che non
vuole saperne di arrendersi, si avvicina a Ges e sceglie come strumento di guarigione un
gesto commovente: un tocco della mano. L'emoroissa, la donna impura, condannata a non
essere toccata da nessuno mai una carezza, mai un abbraccio decide di toccare;
scardina la regola con il gesto pi tenero e umano: un tocco, una carezza, un dire: ci sono
anch'io! L'esclusa scavalca la legge perch crede in una forza pi grande della legge.
Ges approva il gesto trasgressivo della donna e le rivolge parole bellissime, parole per
ognuno di noi, dolce terapia del vivere: Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii
guarita dal tuo male. Le dona non solo guarigione fisica, ma anche salvezza e pace e la
tenerezza di sentirsi figlia amata, lei, l'esclusa.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga e c'era gente che piangeva e gridava forte.
Entrato, disse loro: Perch piangete? Non morta questa bambina, ma dorme.. Dorme.
Verbo entrato nella fede e nel linguaggio comune: infatti la parola cimitero deriva dal
verbo greco che designa il dormire. Cimitero la casa dei dormienti, la casa di Giairo,
dove i figli e le figlie di Dio non sono morti, ma dormono, in attesa della mano che li
rialzer.
Lo deridono, allora, con la stessa derisione con cui dicono anche a noi: tu credi nella vita
dopo la morte? Sei un illuso: finito io, finito tutto. E Ges a ripetere: tu abbi fede,
lascia che la Parola della fede riprenda a mormorare in cuore, che salga alle labbra con
un'ostinazione da innamorati: Dio il Dio dei vivi e non dei morti.
Ges cacciati fuori tutti, prende con s il padre e la madre, ricompone il cerchio vitale degli
affetti, il cerchio dell'amore che d la vita.
Poi prende per mano la piccola bambina, perch bisogna toccare la disperazione delle
persone per poterle rialzare.
Chi Ges? una mano che ti prende per mano. Bellissima immagine: la sua mano nella
mia mano, concretamente, dolcemente, si intreccia con la mia vita, il suo respiro nel mio,
le sue forze con le mie forze.
E le disse: Talit kum. Bambina alzati. Lui pu aiutarla, sostenerla, ma lei, solo lei
che pu risollevarsi: alzati. E lei si alza e si mette a camminare.
Su ciascuno di noi qualunque sia la porzione di dolore che portiamo dentro, qualunque sia
la nostra porzione di morte, su ciascuno il Signore fa scendere la benedizione di quelle
antiche parole: Talit kum. Giovane vita alzati, risorgi, riprendi la fede, la lotta, la scoperta,
la vita, torna a ricevere e a restituire amore.
(Letture: Sapienza 1,13-15; 2,23-24; Salmo 29; 2 Corinzi 8,7.9.13-15; Marco 5,21-43).
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
02/07/2015
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Lo scandalo di un Dio che entra nella mia casa

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XIV Domenica tempo ordinario


Anno B
Ges venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a
insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: Da dove gli
vengono queste cose? E che sapienza quella che gli stata data? E i prodigi come quelli
compiuti dalle sue mani? (...). Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Ges disse loro:
Un profeta non disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua. E l
non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guar. E
si meravigliava della loro incredulit (...).
Il Vangelo di oggi chiuso tra due parentesi di stupore: inizia con la sorpresa della gente di
Nazaret: Da dove gli viene tutta questa sapienza e questi prodigi?. E termina con la
meraviglia di Ges: E si meravigliava della loro incredulit. N la sapienza n i miracoli
fanno nascere la fede; vero il contrario, la fede che fa fiorire miracoli.
La gente passa in fretta dalla fascinazione alla diffidenza e al rifiuto. Da dove gli vengono
queste cose? Non da Nazaret. Non da qui. In questa domanda Da dove? nascosto il
punto da cui ha origine l'Incarnazione: con il Verbo entra nel mondo un amore da altrove,
alieno, qualcosa che la terra da sola non pu darsi, viene uno che profuma di cielo. Quel
mix di sapienza e potenza che Ges trasmette, non basta alla gente di Nazaret per aprirsi
allo spirito di profezia, quasi che il principio di realt (Lo conosco, conosco la sua
famiglia, so come lavora) lo avesse oscurato.
Ma l'uomo non il suo lavoro, nessuno coincide con i problemi della sua famiglia: il
nostro segreto oltre noi, abbiamo radici di cielo. Ges cresce nella bottega di un
artigiano, le sue mani diventano forti a forza di stringere manici, il suo naso fiuta le colle,
la resina, sa riconoscere il tipo di legno. Ma, noi pensiamo, Dio per rivelarsi dovrebbe
scegliere altri mezzi, pi alti.
Invece lo Spirito di profezia viene nel quotidiano, scende nella mia casa e nella casa del
mio vicino, entra l dove la vita celebra la sua mite e solenne liturgia, la trasfigura da
dentro. Fede vera vedere l'istante che si apre sull'eterno e l'eterno che si insinua
nell'istante.
Dice il Vangelo: Ed era per loro motivo di scandalo. Scandalizza l'umanit di Ges, la
prossimit di Dio. Eppure proprio questa la buona notizia del Vangelo, stupore della fede
e scandalo di Nazaret: Dio ha un volto d'uomo, il Logos la forma di un corpo. Non lo
cercherai nelle altezze del cielo, ma lo vedrai inginocchiato a terra, ai tuoi piedi, una
brocca in mano e un asciugamano ai fianchi.
La reazione di Ges al rifiuto dei compaesani non si esprime con una reazione dura, con
recriminazioni o condanne; come non si esalta per i successi, cos Ges non si deprime mai
per un fallimento, ma si meravigliava con lo stupore di un cuore fanciullo. A conclusione
del brano, Marco annota: Non vi pot operare nessun prodigio; ma subito si corregge: Solo
impose le mani a pochi malati e li guar. Il Dio rifiutato si fa ancora guarigione, anche di
pochi, anche di uno solo. L'amante respinto continua ad amare anche pochi, anche uno
solo. L'amore non stanco: solo stupito. Cos il nostro Dio: non nutre mai rancori, lui
profuma di vita.
(Letture: Ezechiele 2, 2-5; Salmo 122; 2 Corinzi 12, 7-10; Mc 6, 1-6)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi

09/07/2015
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I discepoli partono due a due, non soli


XV Domenica Tempo ordinario Anno B
In quel tempo, Ges chiam a s i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere
sugli spiriti impuri. E ordin loro di non prendere per il viaggio nient'altro che un bastone:
n pane, n sacca, n denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due
tuniche. E diceva loro: Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finch non sarete partiti
di l. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete
la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro. Ed essi, partiti, proclamarono
che la gente si convertisse, scacciavano molti demni, ungevano con olio molti infermi e li
guarivano.
Chiam a s i Dodici e prese a mandarli Ogni volta che Dio ti chiama, ti mette in
viaggio. L'ha fatto con Abramo da Ur dei Caldei (alzati e va'); con il popolo in Egitto (lo
condurrai fuori, nel deserto...); con il profeta Giona (alzati e va' a Ninive); con Israele
ormai installato al sicuro nella terra promessa.
Dio viene a snidarti dalla vita stanca, dalla vita seduta; mette in moto pensieri nuovi, ti fa
scoprire orizzonti che non conoscevi. Dio mette in cammino. E camminare un atto di
libert e di creazione, un atto di speranza e di conoscenza: andare incontro a se stessi,
scoprirsi mentre si scopre il mondo, un viaggio verso un altro mondo possibile.
Partono i discepoli a due a due. E non ad uno ad uno. Il loro primo annuncio non
trasmesso da parole, ma dall'eloquenza del camminare insieme, per la stessa meta.
E ordin loro di non prendere nient'altro che un bastone. Solo un bastone a sorreggere il
passo e un amico a sorreggere il cuore.
Un elogio della leggerezza quanto mai attuale: per camminare bisogna eliminare il
superfluo e andare leggeri. N pane n sacca n denaro, senza cose, senza neppure il
necessario, solo pura umanit, contestando radicalmente il mondo delle cose e del denaro,
dell'accumulo e dell'apparire.
Per annunciare un mondo altro, in cui la forza risiede nella creativit dell'umano:
l'annunciatore deve essere infinitamente piccolo, solo cos l'annuncio sar infinitamente
grande (G. Vannucci).
Entrati in una casa l rimanete. Il punto di approdo la casa, il luogo dove la vita nasce ed
pi vera. Il Vangelo deve essere significativo nella casa, nei giorni delle lacrime e in
quelli della festa, quando il figlio se ne va, quando l'anziano perde il senno o la salute...
Entrare in casa altrui comporta percepire il mondo con altri colori, profumi, sapori,
mettersi nei panni degli altri, mettere al centro non le idee ma le persone, il vivo dei volti,
lasciarsi raggiungere dal dolore e dalla gioia contagiosa della carne.
Se in qualche luogo non vi ascoltassero, andatevene, al rifiuto i discepoli non oppongono
risentimenti, solo un po' di polvere scossa dai sandali: c' un'altra casa poco pi avanti, un
altro villaggio, un altro cuore.
All'angolo di ogni strada, l'infinito.
Ges ci vuole tutti nomadi d'amore, gente che non confida nel conto in banca o nel
mattone, ma nel tesoro disseminato in tutti i paesi e citt: mani e sorrisi che aprono porte e
ristorano cuori.

Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni,


ungevano con olio molti infermi e li guarivano.
Dio chiama e mette in viaggio per guarire la vita, per farti guaritore del disamore,
laboratorio di nuova umanit.
(Letture: Amos 7,12-15; Salmo 84; Efesini 1,3-14; Marco 6,7-13).
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
16/07/2015
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La compassione di Ges, sguardo d'amore


XVI Domenica Tempo Ordinario
Anno B
In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Ges e gli riferirono tutto quello che
avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: Venite in disparte, voi
soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po'. Erano infatti molti quelli che andavano e
venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. Allora andarono con la barca verso
un luogo deserto, in disparte. Molti per li videro partire e capirono, e da tutte le citt
accorsero l a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perch erano come
pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
Ges vide una grande folla ed ebbe compassione di loro. Appare una parola bella come un
miracolo, filo conduttore dei gesti di Ges: la compassione. Ges vide: lo sguardo di Ges
va a cogliere la stanchezza, gli smarrimenti, la fatica di vivere. E si commuove. Perch per
Lui guardare e amare sono la stessa cosa. Quando anche tu impari la compassione, quando
ritrovi la capacit di commuoverti, il mondo si innesta nella tua anima.
Se ancora c' chi si commuove per l'uomo, questo mondo pu ancora sperare. Ges aveva
mostrato una tenerezza come di madre anche nei confronti dei suoi discepoli: C'era tanta
gente che non avevano neanche il tempo di mangiare. E lui: Andiamo via, e riposatevi un
po'. C' tanto da fare in Israele, tanto da annunciare e guarire, eppure Ges, invece di
buttare i suoi discepoli dentro la fornace del mondo, dentro il frullatore dell'apostolato, li
porta via con s. C' un tempo per agire e un tempo per ritemprare le forze e ritrovare i
motivi del fare. Si vis omnia bene facere, aliquando ne feceris (Sant'Ambrogio). Se vuoi
fare bene tutte le cose, ogni tanto smetti di farle, stacca e riposati. Un sano atto di umilt:
non siamo eroi, le nostre vite sono delicate, fragili, le nostre energie sono limitate. Ges
vuole bene ai suoi discepoli, non li vuole spremere e sfruttare per uno scopo fosse pure
superiore, li vuole felici come tutti gli altri: riposatevi. E come loro io non devo sentirmi in
colpa se qualche volta ho bisogno, e tanto, di riposo e di attenzioni.
Venite in disparte con me, per un po' di tempo tutto per noi. Un tempo per stare con Dio e
imparare il cuore di Dio. E poi dopo ritornare nella grande folla, ma portando con s un
santuario di bellezza e di forza che solo Dio pu accendere. Cosa c' di pi creativo che
riscoprire le grandi stelle polari che guidano il viaggio dell'uomo?

Ma qualcosa cambia i programmi del gruppo: sbarcando, Ges vide molta folla ed ebbe
compassione di loro. Ges preso fra due commozioni contrapposte: la stanchezza degli
amici e lo smarrimento della folla.
E si mise a insegnare loro molte cose. Ges cambia i suoi programmi, ma non quelli dei
suoi amici. Rinuncia al suo riposo, non al loro.
E ci che offre la compassione, il provare dolore per il dolore dell'altro; il moto del
cuore, che ti porta fuori da te.
Ges sa che nell'uomo non il dolore che annulla la speranza, neppure il morire, ma
l'essere senza conforto nel giorno del dolore.
Ed questo che Ges insegna ai dodici. Insegna per prima cosa "come guardare". Prima
ancora di come parlare, di che cosa fare, insegna uno sguardo che abbia commozione e
tenerezza. Poi, le parole verranno e sapranno di cielo.
(Letture: Geremia 23,1-6; Salmo 22; Efesini 2,13-18; Marco 6,30-34).
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
23/07/2015
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Quel lievito di un pane che non finisce


XVII Domenica Tempo ordinario
Anno B
In quel tempo, (...)
Ges sal sul monte e l si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa
dei Giudei. Allora Ges, alzti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a
Filippo: Dove potremo comprare il pane perch costoro abbiano da mangiare?. (...). Gli
rispose Filippo: Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perch ognuno
possa riceverne un pezzo. Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di
Simon Pietro: C' qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci; ma che cos'
questo per tanta gente? (...) Allora Ges prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a
quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono
saziati, disse ai suoi discepoli: Raccogliete i pezzi avanzati, perch nulla vada perduto
(...).
La moltiplicazione dei pani qualcosa di cos importante da essere l'unico miracolo
presente in tutti e quattro i Vangeli. Pi che un miracolo un segno, fessura di mistero,
segnale decisivo per capire Ges: Lui ha pane per tutti, lui fa' vivere! Lo fa' offrendo ci
che nutre le profondit della vita, alimentando la vita con gesti e parole che guariscono dal
male, dal disamore, che accarezzano e confortano, ma poi incalzano.
Cinquemila uomini, e attorno primavera; sul monte, simbolo del luogo dove Dio nella
Bibbia si rivela; un ragazzo, non ancora un uomo, che ha pani d'orzo, il pane nuovo, fatto
con il primo cereale che matura. Un giovane uomo, nuovo anche nella sua generosit.
Nessuno gli chiede nulla e lui mette tutto a disposizione; poca cosa ma tutto ci che ha.
Poteva giustificarsi: che cosa sono cinque pani per cinquemila persone? Sono meno di
niente, inutile sprecarli.

Invece mette a disposizione quello che ha, senza pensare se sia molto o se sia poco.
tutto!
Ed ecco che per una misteriosa regola divina quando il mio pane diventa il nostro pane, si
moltiplica. Ecco che poco pane condiviso fra tutti diventa sufficiente. C' tanto di quel
pane sulla terra, tanto di quel cibo, che a non sprecarlo e a condividerlo basterebbe per
tutti. E invece tutti ad accumulare e nessuno a distribuire! Perch manca il lievito
evangelico. Il cristiano chiamato a fornire al mondo lievito pi che pane (de Unamuno):
ideali, motivazioni per agire, sogni grandi che convochino verso un altro mondo possibile.
Alla tavola dell'umanit il cristianesimo non assicura maggiori beni economici, ma un
lievito di generosit e di condivisione, come promessa e progetto di giustizia per i poveri.
Il Vangelo non punta a realizzare una moltiplicazione di beni materiali, ma a dare un senso
a quei beni: essi sono sacramenti di gioia e comunione.
Giovanni riassume l'agire di Ges in tre verbi: Prese il pane, rese grazie e distribu. Tre
verbi che, se li adottiamo, possono fare di ogni vita un Vangelo: accogliere, rendere grazie,
donare. Noi non siamo i padroni delle cose, le accogliamo in dono e in prestito. Se ci
consideriamo padroni assoluti siamo portati a farne ci che vogliamo, a profanare le cose.
Invece l'aria, l'acqua, la terra, il pane, tutto quello che ci circonda non nostro, sono
"fratelli e sorelle minori" da custodire.
Il Vangelo non parla di moltiplicazione, ma di distribuzione, di un pane che non finisce. E
mentre lo distribuivano non veniva a mancare, e mentre passava di mano in mano restava
in ogni mano. Come avvengano certi miracoli non lo sapremo mai. Ci sono e basta. Ci
sono, quando a vincere la legge della generosit.
(Letture: 2 Re 4,42-44; Salmo 144; Efesini 4,1-6; Giovanni 6,1-15)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
30/07/2015
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Il Signore vuole diventare il nostro pane


XVIII Domenica Tempo ordinario
Anno B
In quel tempo, quando la folla vide che Ges non era pi l e nemmeno i suoi discepoli,
sal sulle barche e si diresse alla volta di Cafrnao alla ricerca di Ges. Lo trovarono di l
dal mare e gli dissero: Rabb, quando sei venuto qua?. Ges rispose loro: In verit, in
verit io vi dico: voi mi cercate non perch avete visto dei segni, ma perch avete mangiato
di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo
che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell'uomo vi dar. Perch su di lui il Padre, Dio,
ha messo il suo sigillo (...)
Un Vangelo di grandi domande. Chiedono a Ges: Che cosa dobbiamo fare per compiere le
opere di Dio? Egli risponde: Questa l'opera di Dio, credere in colui che egli ha mandato.
Al cuore della fede sta la tenace, dolcissima fiducia che Dio ha il volto di Cristo, il volto di
uno che sa soltanto amare. Nessun aspetto minaccioso, ma solo le due ali aperte di una
chioccia che protegge e custodisce i suoi pulcini (Lc 13,34). questa fiducia che ti cambia
la vita per sempre, un'esperienza che se la provi anche una volta sola, dopo non sei pi lo

stesso: sentirti amato, teneramente, costantemente, appassionatamente, gelosamente amato.


E sentire che lo stesso amore avvolge ogni creatura.
Quale segno fai perch vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi? La risposta di
Ges: Io sono il Pane della vita. Un solo segno: io nutro. Nutrire fare cosa da Dio. Offrire
bocconi di vita ai morsi dell'umana fame, quella del corpo e quella che il pane della terra
non basta a saziare. Pane di cielo cerca l'uomo, cibo per l'anima: vuole addentare la vita,
goderla e gioirne in comunione, saziarsi d'amore, ubriacarsi del vino di Dio, che ha il
profumo stordente della felicit.
Come un tempo ha dato la manna ai padri vostri nel deserto, cos oggi ancora Dio d.
Fermiamo l'attenzione su questo: Dio d. Due parole semplicissime eppure chiave di volta
della rivelazione biblica.
Dio non chiede, Dio d.
Dio non pretende, Dio offre.
Dio non esige nulla, dona tutto.
Un verbo cos facile, cos semplice, cos concreto: dare, che racchiude il cuore di Dio.
Dare, senza condizioni, senza contropartite; dare senza un perch che non sia l'intimo
bisogno di fecondare, far fiorire, fruttificare vita.
Dio offre i suoi doni su piatti di luce, avvolti in bende di luce (Rab'ia): ci che il Padre
offre il Pane che la luce e la vita del mondo.
Dio non d cose, Egli pu dare nulla di meno di se stesso. Ma dandoci se stesso ci d tutto.
Siamo davanti a uno dei vertici del Vangelo, a uno dei nomi pi belli di Dio: Egli nella
vita datore di vita. Dalle sue mani la vita fluisce illimitata e inarrestabile.
Nel Vangelo di domenica scorsa Ges distribuiva il pane, oggi si distribuisce come pane,
che discende in noi, ci fa abitati dal cielo, e fa scorrere la nostra vita verso l'alto e verso
l'eterno: chi mangia non avr fame, chi crede non avr sete, mai!
Abbiamo dentro di noi una vita di terra e una vita di cielo intrecciate tra loro. Il
cristianesimo non un corpo dottrinale, che cresce e si affina attraverso nuove idee, ma
offerta di vita e anelito a sempre pi grande vita; una calda corrente d'amore che entra e
fa fiorire le radici del cuore.
(Letture: Esodo 16,2-4.12-15; Salmo 77; Efesini 4,17.20-24; Giovanni 6,24-35)
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
06/08/2015
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Se ci nutriamo di Cristo, Egli ci abita, d forma all'amare


XIX Domenica
Tempo ordinario -Anno B
In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Ges perch aveva detto: Io sono il
pane disceso dal cielo (...). Ges rispose loro: Non mormorate tra voi. Nessuno pu
venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciter nell'ultimo
giorno. Sta scritto nei profeti: E tutti saranno istruiti da Dio. Chiunque ha ascoltato il
Padre e ha imparato da lui, viene a me (...). In verit, in verit io vi dico: chi crede ha la
vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e

sono morti; questo il pane che discende dal cielo, perch chi ne mangia non muoia. Io
sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivr in eterno e il pane
che io dar la mia carne per la vita del mondo.
I giudei si misero a mormorare perch aveva detto: io sono il pane disceso dal cielo, il pane
della vita. Dio disceso dal cielo, il mondo ne gravido. dentro di te, intimo a te come
un amante, disciolto in te come un pane dentro la bocca.
Il perno della storia la discesa di Dio, discesa che continua per mille strade. Dio, il
vicino-lontano, "Colui-che-viene" in cammino verso ciascuno: se lo accogli, ti abita il
cuore, la mente, le parole, e li nutre di cielo.
C' un segreto gioioso nascosto nel mondo e Dio te lo svela: il cibo che sazia la tua fame di
vita e di felicit esiste. Non sprecare parole a discutere di Dio, puoi fare di meglio: tuffati
nel suo mistero. Cerca pane vivente per la tua fame. Pane vivente che cambia la qualit
della tua vita, le d un colore divino. Non accontentarti di altri bocconi, tu sei figlio di Dio,
figlio di Re. Preprati allo stupore e alla gioia dell'inedito: un rapporto d'amore al centro
del tuo essere e nel cuore del mondo.
Il brano del Vangelo di oggi riempito dal verbo mangiare. Un gesto cos semplice e
quotidiano, cos vitale, pieno di significati, ma il primo di tutti che mangiare o no
questione di vita o di morte.
Il Pane che discende dal cielo Dio che si pone come una questione vitale per l'uomo:
davanti a te stanno la vita e la morte. Scegli dunque la vita (Deut 30,19).
Ci che mangi ti fa vivere e tu sei chiamato a vivere di Dio. Non solo a diventare pi
buono, ma a nutrirti di un Dio che ti trasforma nell'intimo dolcemente e tenacemente. E
mentre ti trasforma in lui, ti umanizza: pi Dio in te equivale a pi io.
I Padri Orientali la chiamano "divinizzazione", "theosis"; e Dante la trascrive con il potente
verbo "indiarsi": diventare figli, della stessa sostanza del Padre.
Assimilare la vita di Ges non significa solo Eucaristia, non si riduce a un rito, ma
comporta una liturgia continua, un discendere instancabile, a ogni respiro, di Cristo in me.
Vuol dire: sognare i suoi sogni, respirare l'aria limpida e fresca del Vangelo, muoversi nel
mare d'amore che ci avvolge e ci nutre: "in Lui siamo, ci muoviamo e respiriamo" (Atti
17,28).
Chiediti: di cosa nutro anima e pensieri? Sto mangiando generosit, bellezza, profondit?
Oppure mi nutro di egoismo, intolleranza, miopia dello spirito, insensatezza del vivere,
paure?
Se ci nutriamo di Cristo, egli ci abita, la sua parola opera in noi (1Ts 2,13), d forma al
pensare, al sentire, all'amare.
Se accogliamo pensieri degradati, questi ci fanno come loro. Se accogliamo pensieri di
Vangelo e di bellezza, ci renderanno uomini e donne della bellezza e della tenerezza, le due
sole forze per cui questo mondo sar salvato.
(Letture: 1 Re 19,4-8; Salmo 33; Efesini 4,30-5,2; Giovanni 6, 41-51).
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
13/08/2015
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Chi mangia e beve Cristo ha gi ora la vita eterna

XX Domenica
Tempo ordinario - Anno B
In quel tempo, Ges disse alla folla: Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno
mangia di questo pane vivr in eterno e il pane che io dar la mia carne per la vita del
mondo. Allora i giudei si misero a discutere aspramente fra loro: Come pu costui darci
la sua carne da mangiare?. Ges disse loro: In verit, in verit io vi dico: se non
mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciter nell'ultimo
giorno. Perch la mia carne vero cibo e il mio sangue vera bevanda (...). Questo il pane
disceso dal cielo; non come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia
questo pane vivr in eterno.
Un Vangelo di soli otto versetti, nei quali Ges per otto volte ribadisce il tema di fondo:
Chi mangia la mia carne vivr in eterno. Il brano pu, ad un primo ascolto, risultare
ripetitivo e monotono, ma come una divina monotonia pacificante e vitale, nello stile
tipico di Giovanni: egli formula un contenuto forte, in termini concisi, poi nei versetti
successivi lo riprende, allargandolo a cerchi concentrici, come quando si getta un sasso
nell'acqua ferma.
Al tema portante del brano, mangiare la mia carne, bere il mio sangue Ges connette,
per otto volte, lo scopo del gesto: perch viviate, semplicemente per vivere, per non
morire.
l'incalzante certezza da parte di Ges di possedere qualcosa che capovolge l'esistenza,
quella che a noi pare scivolare inesorabilmente verso la morte e che invece scorre verso
l'alto, a dilatarsi in Dio, a vivere di Dio.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna. "Ha" la vita eterna, adesso,
non "avr", un giorno. La vita eterna non una specie di Tfr, Trattamento di fine rapporto,
la liquidazione finale che accumulo con il mio buon comportamento. La vita eterna gi
cominciata, una vita diversa, vera, giusta, piena di cose che meritano di non morire. Una
vita come quella di Ges, buona bella e beata. Il cui nome libert, gioia e pienezza.
Il salmo tra le letture ci sorprende, nella Liturgia di domenica, con una domanda: Vi
qualcuno che desidera la vita, che vuole gustare la vita? S, io voglio vivere! Voglio gustare
la vita. C' qualcuno che vuole lunghi giorni felici? S, io voglio lunghi giorni e che siano
felici. Li voglio per me e per i miei fratelli, anche i pi disperati; li voglio per tutti i
naufraghi della vita.
La risposta a questo potente desiderio Ges la fornisce offrendo la sua carne e sangue, che
indicano e contengono la sua vita intera, la sua vicenda umana, le sue mani di carpentiere,
la sua compassione, i capelli intrisi di nardo, il foro dei chiodi, le cose che amava e quelle
per cui tremava. Ges non fornisce regole e divieti da osservare, ma il segreto, la chiave
per far fiorire la vita in tutte le sue forme, e gustarla appieno: vivere come lui ha vissuto.
questa la sorpresa! Ges non dice: bevete la mia sapienza, mangiate la mia santit, il
sublime che in me. Ma: prendete la mia umanit, come lievito della vostra; prendete i
miei occhi, e guardate ogni cosa con la mia combattiva tenerezza; prendete le mie mani e
imparate a rialzare e accarezzare.
Allora mangiare e bere Cristo un gesto che non si esaurisce nella Messa, ma inizia con il
primo respiro del giorno, continua con il Vangelo che mi abita pensieri e parole e che mi
rende spazioso il cuore.
(Letture: Proverbi 9, 1-6; Salmo 33; Efesini 5,15-20; Giovanni 6,51-58).

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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
20/08/2015
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La dura Parola che d vita


XXI Domenica
Tempo ordinario - Anno B
In quel tempo, molti dei discepoli di Ges, dopo aver ascoltato, dissero: Questa parola
dura! Chi pu ascoltarla?. Ges, sapendo dentro di s che i suoi discepoli mormoravano
riguardo a questo, disse loro: Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell'uomo
salire l dov'era prima? lo Spirito che d la vita, la carne non giova a nulla; le parole che
io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono. Ges
infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo
avrebbe tradito. E diceva: Per questo vi ho detto che nessuno pu venire a me, se non gli
concesso dal Padre. Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non
andavano pi con lui. Disse allora Ges ai Dodici: Volete andarvene anche voi?. Gli
rispose Simon Pietro: Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo
creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio.
Giovanni mette in scena il resoconto di una crisi drammatica. Dopo il lungo discorso sul
pane dal cielo e la sua carne come cibo, Ges vede profilarsi l'ombra del fallimento: molti
dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano pi con lui, dicendo: questa parola
dura. Chi pu ascoltarla?
Il suo essere disceso dal cielo, per farsi tutt'uno con noi, e diventare cibo che si assimila,
nostro pane: un Dio da mangiare, da esserne vivi, di una vita non effimera ma eterna, tutto
questo difficile per i discepoli, e resta duro anche per noi oggi. Il mistero non va ridotto
alla ragione o addomesticato, ma rispettato. Altrimenti si rischia di sterilizzare qualcosa
che invece vitale. Il cristianesimo comprensibile solo se in esso c' qualcosa di
incomprensibile, un di pi, che eccede la logica. Accostiamoci al Vangelo, alle parole
dure di Ges, con la nostra sensibilit tenuta viva, con stupore e turbamento, per non
svuotarlo e impoverirlo, perch energia che deve toccarci, non lasciarci tranquilli,
cambiare qualcosa in noi che viviamo di ripetizioni e abitudini.
Ed ecco la svolta del racconto: Forse volete andarvene anche voi? In Ges c'
consapevolezza della crisi, ma anche fierezza e sfida, e soprattutto un appello alla libert:
siete liberi, andate o restate, ma scegliete; e seguite quello che sentite dentro!
Ges non ordina quello che devi fare, non impone quello che devi essere, ma ti porta a
guardarti dentro: che cosa desideri davvero? Dove va il tuo cuore? Finita la religione delle
pratiche esterne e degli obblighi, si apre quella del corpo a corpo con Dio, a tu per tu con la
sua vita, fino a diventare una cosa sola con lui.
Sono chiamato anch'io a scegliere di nuovo. E ci aiuta la stupenda risposta di Pietro:
Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna. Tu solo: Dio solo. Un inizio
bellissimo. Non ho altro di meglio. davvero l'affare migliore della mia vita.
Hai parole: il cielo non muto, Dio parla e la sua parola crea, ribalta la pietra del sepolcro,
vince il gelo, apre strade e incontri, carezze e incendi. Parole di vita: che portano vita ad

ogni parte di me. Danno vita al cuore, lo rendono spazioso, ne sciolgono la durezza. Danno
vita alla mente, che vive di verit altrimenti si ammala, e di libert o muore. Danno vita
allo spirito: mantengono vivo un pezzetto di Dio dentro di noi, nutrono la nostra parte di
cielo. Parole che danno vita anche al corpo, perch in Lui siamo, viviamo e respiriamo:
togli il tuo respiro e siamo subito polvere. Parole di vita eterna, che creano cose che
meritano di non morire, che regalano eternit a tutto ci che di pi bello portiamo nel
cuore.
(Letture: Giosu 24,1-2.15-17.18; Salmo 33; Efesini 5,21-32; Giovanni 6,60-69).
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
27/08/2015
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Quel rischio di una fede dal cuore lontano piegata all'esteriorit


XXII DOMENICA
Tempo ordinario - Anno B
Si riunirono attorno a Ges i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo
visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cio non lavate (...),
quei farisei e scribi lo interrogarono: Perch i tuoi discepoli non si comportano secondo la
tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?. Ed egli rispose loro: Bene
ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi onora con le labbra,
ma il suo cuore lontano da me (...). Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate
la tradizione degli uomini.
Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: (...) Non c' nulla fuori dell'uomo che, entrando
in lui, possa renderlo impuro (...). E diceva ai suoi discepoli: Dal di dentro infatti, cio
dal cuore degli uomini, escono i propositi di male (...).
Ges viveva le situazioni di frontiera della vita, incontrava le persone l dov'erano e
attraversava con loro i territori della malattia e della sofferenza: dove giungeva, in villaggi
o citt o campagne, gli portavano i malati e lo supplicavano di poter toccare almeno il
lembo del suo mantello. E quanti lo toccavano venivano salvati (Mc 6,56). Da qui veniva
Ges, portando negli occhi il dolore dei corpi e delle anime, e insieme l'esultanza
incontenibile dei guariti. Ora farisei e scribi lo provocano su delle piccolezze: mani lavate
o no, questioni di stoviglie e di oggetti! Si capisce come la replica di Ges sia decisa e
insieme piena di sofferenza: Ipocriti! Voi avete il cuore lontano! Lontano da Dio e
dall'uomo.
Il grande pericolo, per i credenti di ogni tempo, di vivere una religione dal cuore
lontano, fatta di pratiche esteriori, di formule recitate solo con le labbra; di compiacersi
dell'incenso, della musica, della bellezza delle liturgie, ma non soccorrere gli orfani e le
vedove (Giacomo 1,27, II lettura).
Il pericolo del cuore di pietra, indurito, del cuore lontano da Dio e dai poveri quello
che Ges pi teme. Il vero peccato per Ges innanzitutto il rifiuto di partecipare al
dolore dell'altro (J. B. Metz), e l'ipocrisia di un rapporto solo esteriore con Dio.

Lui propone il ritorno al cuore, per una religione dell'interiorit. Non c' nulla fuori
dall'uomo che entrando in lui possa renderlo impuro, sono invece le cose che escono dal
cuore dell'uomo...
Ges scardina ogni pregiudizio circa il puro e l'impuro, quei pregiudizi cos duri a morire.
Ogni cosa pura: il cielo, la terra, ogni cibo, il corpo dell'uomo e della donna. Come
scritto: Dio vide e tutto era cosa buona.
Ges benedice di nuovo le cose, compresa la sessualit umana, che noi associamo subito al
concetto di purezza e impurit, e attribuisce al cuore, e solo al cuore, la possibilit di
rendere pure o impure le cose, di sporcarle o di illuminarle.
Il messaggio festoso di Ges, cos attuale, che il mondo buono, che le cose tutte sono
buone, che sei libero da tutto ci che apparenza. Che devi custodire invece con ogni cura
il tuo cuore perch la fonte della vita.
Via le sovrastrutture, i formalismi vuoti, tutto ci che cascame culturale, che lui chiama
tradizione di uomini. Libero e nuovo ritorni il Vangelo, liberante e rinnovatore.
Che respiro di libert con Ges! Apri il Vangelo ed come una boccata d'aria fresca dentro
l'afa pesante dei soliti, ovvii discorsi. Scorri il Vangelo e ti sfiora il tocco di una perenne
freschezza, un vento creatore che ti rigenera, perch sei arrivato, sei ritornato al cuore
felice della vita.
(Letture: Deuteronmio 4, 1-2. 6-8; Salmo 14; Giacomo 1, 17-18. 21b-22.27; Marco 7,18.14-15.21-23).
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
03/09/2015
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La guarigione del sordomuto e la nostra liberazione


XXIII Domenica
Tempo ordinario - Anno B
In quel tempo, Ges, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidne, venne verso il mare
di Galilea in pieno territorio della Decpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di
imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e
con la saliva gli tocc la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli
disse: Effat, cio: Apriti!. E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della
sua lingua e parlava correttamente. E comand loro di non dirlo a nessuno. Ma pi egli lo
proibiva, pi essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: Ha fatto bene ogni cosa:
fa udire i sordi e fa parlare i muti!.
Il percorso tracciato da Marco molto significativo: con una lunga deviazione Ges
sceglie un itinerario che congiunge citt e territori estranei alla tradizione religiosa di
Israele; percorre le frontiere della Galilea, alla ricerca di quella parte comune ad ogni uomo
che viene prima di ogni frontiera, di ogni divisione politica, culturale, religiosa, razziale.
Scrivo queste parole dalla Mongolia, da una piccola, giovanissima chiesa ad Arvaheer,
dove risuonano vere; dove, nella fede sorgiva delle origini, senti che Ges davvero

l'uomo senza confini, che lui il volto alto e puro dell'uomo, e che per il cristiano ogni
terra straniera patria.
Gli portarono un sordomuto. Un uomo imprigionato nel silenzio, vita a met, ma portato
da una piccola comunit di persone che gli vogliono bene da colui che Parola e
liberazione, che parla come nessuno mai, che l'uomo pi libero passato sulla terra.
E lo pregarono di imporgli la mano. Ma Ges fa molto di pi di ci che gli chiesto, non
gli basta imporre le mani in un gesto ieratico, vuole mostrare la umanit e l'eccedenza, la
sovrabbondanza della risposta di Dio.
Allora Ges lo prese in disparte, lontano dalla folla. In disparte, perch ora conta solo
quell'uomo colpito dalla vita. Immagino Ges e il sordomuto occhi negli occhi, che
iniziano a comunicare cos.
E seguono dei gesti molto corporei e insieme molto delicati: Ges pose le dita sugli orecchi
del sordo. Secondo momento della comunicazione, il tocco delle dita, le mani parlano
senza parole.
Poi con la saliva tocc la sua lingua. Gesto intimo, coinvolgente: ti d qualcosa di mio,
qualcosa che sta nella bocca dell'uomo insieme al respiro e alla parola, simboli dello
Spirito.
Vangelo di contatti, di odori, di sapori. Il contatto fisico non dispiaceva a Ges, anzi. E i
corpi diventano luogo santo di incontro con il Signore.
Ges guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: Effat, cio: Apriti! In
aramaico, nel dialetto di casa, nella lingua del cuore, quasi soffiando l'alito della creazione:
Apriti, come si apre una porta all'ospite, una finestra al sole.
Apriti dalle tue chiusure, libera la bellezza e le potenzialit che sono in te.
Apriti agli altri e a Dio, anche con le tue ferite.
E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava
correttamente. Prima gli orecchi. Ed un simbolo eloquente. Sa parlare solo chi sa
ascoltare. Gli altri innalzano barriere quando parlano, e non incontrano nessuno.
Ges non guarisce i malati perch diventino credenti o si mettano al suo seguito, ma per
creare uomini liberi, guariti, pieni. Gloria di Dio l'uomo vivente (sant'Ireneo), l'uomo
tornato a pienezza di vita.
(Letture: Isaia 35,4-7; Salmo 145; Giacomo 2,1-5; Marco 7,31-37).
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
10/09/2015
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La domanda che ci interroga nel profondo: voi chi dite che io sia?
XXIV Domenica
Tempo ordinario - Anno B
In quel tempo, Ges part con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesara di Filippo,
e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: La gente, chi dice che io sia?. Ed essi
gli risposero: Giovanni il Battista; altri dicono Ela e altri uno dei profeti.
Ed egli domandava loro: Ma voi, chi dite che io sia?. Pietro gli rispose: Tu sei il
Cristo. E ordin loro severamente di non parlare di lui ad alcuno. E cominci a insegnare
loro che il Figlio dell'uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi

dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo
discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli,
voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimprover Pietro e disse: Va' dietro a me, Satana!
Perch tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini (....).
Ges interroga i suoi, quasi in un sondaggio d'opinione: La gente chi dice che io sia? E
l'opinione della gente bella e incompleta: Dicono che sei un profeta, uno dei pi grandi!
Ma Ges non semplicemente un profeta del passato che ritorna, fosse pure il pi grande
di tutti. Bisogna cercare ancora: Ma voi, chi dite che io sia?
Non chiede una definizione astratta, ma il coinvolgimento personale di ciascuno: "ma
voi...". Come dicesse: non voglio cose per sentito dire, ma una esperienza di vita: che cosa
ti successo, quando mi hai incontrato?
E qui ognuno chiamato a dare la sua risposta. Ognuno dovrebbe chiudere tutti i libri e i
catechismi, e aprire la vita.
Ges insegnava con le domande, con esse educava alla fede, fin dalle sue prime parole: che
cosa cercate? (Gv 1,38). Le domande, parole cos umane, che aprono sentieri e non
chiudono in recinti, parole di bambini, forse le nostre prime parole, sono la bocca assetata e
affamata attraverso cui le nostre vite esprimono desideri, respirano, mangiano, baciano.
Ma voi chi dite che io sia? Ges stimolava la mente delle persone per spingerle a
camminare dentro di s e a trasformare la loro vita. Era un maestro dell'esistenza, e voleva
che i suoi fossero pensatori e poeti della vita.
Pietro risponde: Tu sei il Cristo. E qui c' il punto di svolta del racconto: ordin loro di non
parlare di lui ad alcuno. Perch ancora non hanno visto la cosa decisiva. Infatti: cominci a
insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva soffrire molto, venire ucciso e, dopo tre
giorni, risorgere.
Volete sapere davvero qualcosa di me e di voi? Vi do un appuntamento: un uomo in croce.
Prima ancora, l'appuntamento di Cristo sar un altro: uno che si china a lavare i piedi ai
suoi.
Chi il Cristo? Il mio "lavapiedi". In ginocchio davanti a me. Le sue mani sui miei piedi.
Davvero, come a Pietro, ci viene da dire: ma un messia non pu fare cos.
E Lui: sono come lo schiavo che ti aspetta, e al tuo ritorno ti lava i piedi. Ha ragione Paolo:
il cristianesimo scandalo e follia.
Adesso capiamo chi Ges: bacio a chi lo tradisce; non spezza nessuno, spezza se stesso;
non versa il sangue di nessuno, versa il proprio sangue.
E poi l'appuntamento di Pasqua. Quando ci cattura tutti dentro il suo risorgere,
trascinandoci in alto.
Tu, cosa dici di me? Faccio anch'io la mia professione di fede, con le parole pi belle che
ho: tu sei stato l'affare migliore della mia vita. Sei per me quello che la primavera per i
fiori, quello che il vento per l'aquilone. Sei venuto e hai fatto risplendere la vita.
Impossibile amarti e non tentare di assomigliarti, in te mutato / come seme in fiore. (G.
Centore).
(Letture: Isaia 50, 5-9; Salmo 114; Giacomo 2,14-18; Marco 8,27-35).
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
17/09/2015
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L'insegnamento di Ges: chi vuol essere primo sia servo di tutti


XXV Domenica
Tempo ordinario Anno B
In quel tempo, Ges e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che
alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: Il Figlio dell'uomo
viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre
giorni risorger. Essi per non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafrnao. Quando fu in casa, chiese loro: Di che cosa stavate discutendo per
la strada?. Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse pi
grande. Sedutosi, chiam i Dodici e disse loro: Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo
di tutti e il servitore di tutti. E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e,
abbracciandolo, disse loro: Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome,
accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato.
Il Vangelo ci sorprende con parole inusuali, ci consegna tre nomi di Ges che vanno
controcorrente: ultimo, servitore, bambino, cos lontani dall'idea di un Dio Onnipotente e
Onnisciente quale l'abbiamo ereditata.
Il contesto. Ges sta parlando di cose assolute, di vita e di morte, sta raccontando ai suoi
migliori amici che tra poco sar ucciso, insieme con il gruppo dei pi fidati, ed ecco che
loro non lo ascoltano neppure, si disinteressano della tragedia che incombe sul loro
maestro e amico, tutti presi soltanto dalla loro competizione, piccoli uomini in carriera: chi
il pi grande tra noi?
Penso alla ferita che deve essersi aperta il lui, alla delusione di Ges. C' di che
scoraggiarsi. Tra noi, tra amici, un'indifferenza cos sarebbe un'offesa imperdonabile.
Invece il Maestro del cuore, ed qualcosa che ci conforta nelle nostre fragilit, non
rimprovera gli apostoli, non li ripudia, non li allontana, e tanto meno si deprime.
Li mette invece sotto il giudizio di quel limpidissimo e stravolgente pensiero: chi vuol
essere il primo sia l'ultimo e il servo di tutti. Il primato, l'autorit secondo il Vangelo
discende solo dal servizio.
Prese un bambino, lo pose in mezzo, lo abbracci e disse: chi accoglie uno di questi
bambini accoglie me. il modo magistrale di Ges di gestire le relazioni: non si perde in
critiche o giudizi, ma cerca un primo passo possibile, cerca gesti e parole che sappiano
educare ancora. E inventa qualcosa di inedito: un abbraccio e un bambino.
Tutto il vangelo in un abbraccio, un gesto che profuma d'amore e che apre un'intera
rivelazione: Dio cos.
Al centro della fede un abbraccio. Tenero, caloroso. Al punto da far dire ad un grande
uomo spirituale: Dio un bacio (Benedetto Calati).
E papa Francesco, a pi riprese: Ges il racconto della tenerezza di Dio, un Dio che
mette al centro della scena non se stesso e i suoi diritti, ma la carne dei piccoli, quelli che
non ce la possono fare da soli.
Poi Ges va oltre, si identifica con loro: chi accoglie un bambino accoglie me. Accogliere,
verbo che genera il mondo come Dio lo sogna.
Il nostro mondo avr un futuro buono quando l'accoglienza, tema bruciante oggi su tutti i
confini d'Europa, sar il nome nuovo della civilt; quando accogliere o respingere i
disperati, che sia alle frontiere o alla porta di casa mia, sar considerato accogliere o
respingere Dio stesso.
Quando il servizio sar il nome nuovo della civilt (il primo si faccia servo di tutti).

Quando diremo a uno, a uno almeno dei piccoli e dei disperati: ti abbraccio, ti prendo
dentro la mia vita. Allora, stringendolo a te, sentirai che stai stringendo fra le tue braccia il
tuo Signore.
(Letture: Sapienza 2,12.17-20; Salmo 53; Giacomo 3,16-4,3; Marco 9,30-37).
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
24/09/2015
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Si pu essere di Cristo senza appartenere al gruppo dei Dodici


XXVI Domenica
Tempo Ordinario
Anno B
In quel tempo, Giovanni disse a Ges: Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demni
nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perch non ci seguiva. Ma Ges disse: Non
glielo impedite, perch non c' nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito
possa parlare male di me: chi non contro di noi per noi (...).
Chi scandalizzer uno solo di questi piccoli che credono in me, molto meglio per lui che
gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti
motivo di scandalo, tagliala: meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anzich
con le due mani andare nella Genna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti motivo
di scandalo, taglialo (...) E se il tuo occhio ti motivo di scandalo, gettalo via: meglio per
te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anzich con due occhi essere gettato nella
Genna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue.
Maestro, c'era uno che scacciava demoni e volevamo impedirglielo, perch non era dei
nostri. Un uomo, che liberava altri dal male e li restituiva alla vita, viene bloccato dai
seguaci di Ges.
Giovanni si fa portavoce di una mentalit gretta, fatta di barriere e di muri, per la quale non
conta la vita piena dell'uomo, il vero progetto di Ges, ma la difesa identitaria del gruppo,
il loro progetto deviato.
Mettono quindi l'istituzione prima della persona, la loro idea prima dell'uomo: il malato
pu aspettare, la felicit pu attendere.
Ma la "bella notizia" di Ges non un nuovo sistema di pensiero, la risposta alla fame di
pi grande vita. Il Vangelo non una morale, ma una sconvolgente liberazione.
Infatti Ges sorprende i suoi: chiunque aiuta il mondo a liberarsi e fiorire dei nostri.
Semini amore, curi le piaghe del mondo, custodisci il creato? Allora sei dei nostri. Sei
amico della vita? Allora sei di Cristo.
Quanti seguono il Vangelo autentico, senza neppure saperlo, perch seguono l'amore.
Si pu essere di Cristo, senza appartenere al gruppo dei dodici.
Si pu essere uomini e donne di Cristo, senza essere uomini e donne della chiesa, perch il
regno di Dio pi vasto della chiesa, non coincide con nessun gruppo.
Allora impariamo a godere e a ringraziare del bene, da chiunque sia fatto.

Quelli non sono dei nostri. Tutti lo ripetono: gli apostoli di allora e i partiti di oggi, le
chiese e le nazioni davanti ai migranti. Invece Ges era l'uomo senza barriere, uomo senza
confini, il cui progetto uno solo: voi siete tutti fratelli.
Gli esseri umani sono tutti dei nostri e noi siamo di tutti, siamo gli "amici del genere
umano" (Origene).
Tante volte ci sentiamo frustrati, impotenti, il male troppo forte. Ges dice: tu porta il tuo
bicchiere d'acqua, fidati, il peggio non prevarr.
Se tutti i miliardi di persone portassero il loro bicchiere d'acqua, quale oceano d'amore si
stenderebbe a coprire il mondo. Basta un sorso d'acqua per essere di Cristo.
Ma l'annuncio di Ges si fa pi coraggioso: Ti dar cento fratelli, se mi segui (Mt 19,29) e
intendeva dire: cento cuori su cui riposare, ma anche cento labbra da dissetare.
Il Vangelo termina con parole dure: se la tua mano, il tuo piede, il tuo occhio ti
scandalizzano, tagliali. Ges ripete un aggettivo: il tuo occhio, la tua mano, il tuo piede.
Non dare sempre la colpa del male agli altri, alla societ, all'infanzia, alle circostanze. Il
male si annidato dentro di te: nel tuo occhio, nella tua mano, nel tuo cuore. Cerca il tuo
mistero d'ombra e convertilo.
La soluzione non una mano tagliata, ma una mano convertita. A offrire il suo bicchiere
d'acqua.
(Letture: Numero 11,25-29; Salmo 18; Giacomo 5,1-6; Marco 9,38-43.45.47-48)
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
01/10/2015
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Una carne sola: Dio congiunge le vite, autore della comunione


XXVII Domenica
Tempo Ordinario, Anno B
In quel tempo, alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a
Ges se lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: Che cosa vi
ha ordinato Mos?. Dissero: Mos ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di
ripudiarla. Ges disse loro: Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa
norma. Ma dall'inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l'uomo
lascer suo padre e sua madre e si unir a sua moglie e i due diventeranno una carne sola.
Cos non sono pi due, ma una sola carne. Dunque l'uomo non divida quello che Dio ha
congiunto. A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse
loro: Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio verso di lei; e
se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio.
Alcuni farisei si avvicinano a Ges per metterlo alla prova. La domanda scontata: lecito
a un marito ripudiare la moglie? La risposta facile: s, lecito. Ma non questa la vera
posta in gioco. Il brano mette in scena uno dei conflitti centrali del Vangelo: il cuore della
persona o la legge? Ges afferma una cosa enorme: non tutta la legge ha origine divina,
talvolta essa il riflesso di un cuore duro (per la durezza del vostro cuore Mos diede il
permesso del ripudio...). La Bibbia non un feticcio. E per questo Ges, infedele alla

lettera per essere fedele allo spirito, ci prende per mano e ci insegna ad usare la nostra
libert per custodire il fuoco e non per adorare la cenere! (Gustav Mahler).
C' dell'altro, pi importante e pi vitale di ogni norma, e sta dalle parti di Dio. A Ges non
interessa regolamentare la vita, ma ispirarla, accenderla, rinnovarla, con il sogno di Dio. Ci
prende per mano e ci accompagna a respirare l'aria degli inizi: in principio, prima della
durezza del cuore, non fu cos.
L'uomo non separi quello che Dio ha congiunto. Dal principio Dio congiunge le vite!
Questo il suo nome: Dio-congiunge, fa incontrare le vite, le unisce, collante del mondo,
legame della casa, autore della comunione. Dio amore, e amore passione di unirsi
all'amato (san Tommaso). Il Nemico invece ha nome Diavolo, Separatore, la cui passione
dividere.
L'uomo non divida, cio agisca come Dio, si impegni a custodire la tenerezza, con gesti e
parole che creano comunione tra i due, che sanno unire le vite. Tutto parte dal cuore, non
da una norma esterna. Chi non si impegna totalmente nelle sue relazioni d'amore ha gi
commesso adulterio e separazione. Il peccato tradire il respiro degli inizi, trasgredire un
sogno, il sogno di Dio.
Portavano dei bambini a Ges... Ma i discepoli li rimproverarono. Al vedere questo, Ges
si indign. l'unica volta, nei Vangeli, che viene attribuito a Ges questo verbo duro.
L'indignazione un sentimento grave e potente, proprio dei profeti davanti all'ingiustizia o
all'idolatria: i bambini sono cosa sacra.
A chi come loro appartiene il regno di Dio. I bambini non sono pi buoni degli adulti;
non sono soltanto teneri, ma anche egocentrici, impulsivi e istintivi, per sanno aprire
facilmente la porta del cuore a ogni incontro, non hanno maschere, sono spalancati verso il
mondo e la vita.
I bambini sono maestri nell'arte della fiducia e dello stupore. Loro s sanno vivere come i
gigli del campo e gli uccelli del cielo, si fidano della vita, credono nell'amore.
Prendendoli fra le braccia li benediceva: perch nei loro occhi il sogno di Dio brilla, non
contaminato ancora.
(Letture: Genesi 2, 18-24; Salmo 127; Ebrei 2, 9-11; Marco 10, 2-16)
riproduzione riservata

l Vangelo A cura di Ermes Ronchi


01/10/2015
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Una carne sola: Dio congiunge le vite, autore della comunione


XXVII Domenica
Tempo Ordinario, Anno B
In quel tempo, alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a
Ges se lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: Che cosa vi
ha ordinato Mos?. Dissero: Mos ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di
ripudiarla. Ges disse loro: Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa
norma. Ma dall'inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l'uomo
lascer suo padre e sua madre e si unir a sua moglie e i due diventeranno una carne sola.

Cos non sono pi due, ma una sola carne. Dunque l'uomo non divida quello che Dio ha
congiunto. A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse
loro: Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio verso di lei; e
se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio.
Alcuni farisei si avvicinano a Ges per metterlo alla prova. La domanda scontata: lecito
a un marito ripudiare la moglie? La risposta facile: s, lecito. Ma non questa la vera
posta in gioco. Il brano mette in scena uno dei conflitti centrali del Vangelo: il cuore della
persona o la legge? Ges afferma una cosa enorme: non tutta la legge ha origine divina,
talvolta essa il riflesso di un cuore duro (per la durezza del vostro cuore Mos diede il
permesso del ripudio...). La Bibbia non un feticcio. E per questo Ges, infedele alla
lettera per essere fedele allo spirito, ci prende per mano e ci insegna ad usare la nostra
libert per custodire il fuoco e non per adorare la cenere! (Gustav Mahler).
C' dell'altro, pi importante e pi vitale di ogni norma, e sta dalle parti di Dio. A Ges non
interessa regolamentare la vita, ma ispirarla, accenderla, rinnovarla, con il sogno di Dio. Ci
prende per mano e ci accompagna a respirare l'aria degli inizi: in principio, prima della
durezza del cuore, non fu cos.
L'uomo non separi quello che Dio ha congiunto. Dal principio Dio congiunge le vite!
Questo il suo nome: Dio-congiunge, fa incontrare le vite, le unisce, collante del mondo,
legame della casa, autore della comunione. Dio amore, e amore passione di unirsi
all'amato (san Tommaso). Il Nemico invece ha nome Diavolo, Separatore, la cui passione
dividere.
L'uomo non divida, cio agisca come Dio, si impegni a custodire la tenerezza, con gesti e
parole che creano comunione tra i due, che sanno unire le vite. Tutto parte dal cuore, non
da una norma esterna. Chi non si impegna totalmente nelle sue relazioni d'amore ha gi
commesso adulterio e separazione. Il peccato tradire il respiro degli inizi, trasgredire un
sogno, il sogno di Dio.
Portavano dei bambini a Ges... Ma i discepoli li rimproverarono. Al vedere questo, Ges
si indign. l'unica volta, nei Vangeli, che viene attribuito a Ges questo verbo duro.
L'indignazione un sentimento grave e potente, proprio dei profeti davanti all'ingiustizia o
all'idolatria: i bambini sono cosa sacra.
A chi come loro appartiene il regno di Dio. I bambini non sono pi buoni degli adulti;
non sono soltanto teneri, ma anche egocentrici, impulsivi e istintivi, per sanno aprire
facilmente la porta del cuore a ogni incontro, non hanno maschere, sono spalancati verso il
mondo e la vita.
I bambini sono maestri nell'arte della fiducia e dello stupore. Loro s sanno vivere come i
gigli del campo e gli uccelli del cielo, si fidano della vita, credono nell'amore.
Prendendoli fra le braccia li benediceva: perch nei loro occhi il sogno di Dio brilla, non
contaminato ancora.
(Letture: Genesi 2, 18-24; Salmo 127; Ebrei 2, 9-11; Marco 10, 2-16)
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
08/10/2015
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La libert che il giovane ricco non ha capito

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XXVIII Domenica
Tempo Ordinario - Anno B
In quel tempo, mentre Ges andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in
ginocchio davanti a lui, gli domand: Maestro buono, che cosa devo fare per avere in
eredit la vita eterna?. Ges gli disse: Perch mi chiami buono? Nessuno buono, se
non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non
rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre. Egli allora gli
disse: Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza. Allora Ges
fiss lo sguardo su di lui, lo am e gli disse: Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che
hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi! (...)
Un tale corre incontro al Signore. Corre, con un gesto bello, pieno di slancio e desiderio.
Ha grandi domande e grandi attese. Vuole sapere se vita o no la sua. E alla fine se ne
andr spento e deluso. Triste, perch ha un sogno ma non il coraggio di trasformarlo in
realt. Che cosa ha cambiato tutto? Le parole di Ges: Vendi quello che hai, dallo ai poveri,
e poi vieni. I veri beni, il vero tesoro non sono le cose ma le persone. Per arrivarci, il
percorso passa per i comandamenti, che sono i guardiani, gli angeli custodi della vita: non
uccidere, non tradire, non rubare. Ma tutto questo l'ho sempre fatto. Eppure non mi basta.
Che cosa mi manca ancora? Il ricco vive la beatitudine degli insoddisfatti, cui manca
sempre qualcosa, e per questo possono diventare cercatori di tesori. Allora Ges
guardandolo, lo am. Lo ama per quell'eppure, per quella inquietudine che apre futuro e
che ci fa creature di domanda e di ricerca.
Una cosa ti manca, va', vendi, dona.... Quell'uomo non ha un nome, un tale, di cui
sappiamo solo che molto ricco. Il denaro si mangiato il suo nome, per tutti
semplicemente il giovane ricco. Nel Vangelo altri ricchi hanno incontrato Ges: Zaccheo,
Levi, Lazzaro, Susanna, Giovanna. E hanno un nome perch il denaro non era la loro
identit. Che cosa hanno fatto di diverso questi, che Ges amava, cui si appoggiava con i
dodici? Hanno smesso di cercare sicurezza nel denaro e l'hanno impiegato per accrescere la
vita attorno a s. questo che Ges intende: tutto ci che hai dallo ai poveri! Pi ancora
che la povert, la condivisione. Pi della sobriet, la solidariet. Il problema che Dio ci
ha dato le cose per servircene e gli uomini per amarli. E noi abbiamo amato le cose e ci
siamo serviti degli uomini...
Quello che Ges propone non tanto un uomo spoglio di tutto, quanto un uomo libero e
pieno di relazioni. Libero, e con cento legami. Come nella risposta a Pietro: Signore, noi
abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito, cosa avremo in cambio? Avrai in cambio una
vita moltiplicata. Che si riempie di volti: avrai cento fratelli e sorelle e madri e figli...
Seguire Cristo non un discorso di sacrifici, ma di moltiplicazione: lasciare tutto ma per
avere tutto. Il Vangelo chiede la rinuncia, ma solo di ci che zavorra che impedisce il
volo. Messaggio attualissimo: la scoperta che il vivere semplice e sobrio spalanca
possibilit inimmaginabili. Allora capiamo che Dio gioia, libert e pienezza, che il
Regno verr con il fiorire della vita in tutte le sue forme (Vannucci). Che ogni discepolo
pu dire: con gli occhi nel sole/ a ogni alba io so/ che rinunciare per te/ uguale a fiorire
(Marcolini).
(Letture: Sapienza 7,7-11; Salmo 89; Ebrei 4,12-13; Marco 10,17-30)
riproduzione riservata

Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


15/10/2015
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Come Ges chi vuol essere grande sia servitore


XXIX Domenica
Tempo Ordinario - Anno B
In quel tempo, si avvicinarono a Ges Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedo, dicendogli:
Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo (...).
Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra.
Ges disse loro: Voi non sapete quello che chiedete (...). Il calice che io bevo, anche voi
lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere
alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; per coloro per i quali stato
preparato.
Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora
Ges li chiam a s e disse loro: Voi sapete che coloro i quali sono considerati i
governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi per non
cos; ma chi vuole diventare grande tra voi sar vostro servitore, e chi vuole essere il primo
tra voi sar schiavo di tutti (...).
Giovanni, non un apostolo qualunque ma il preferito, il pi vicino, il pi intuitivo, chiede
per s e per suo fratello i primi posti. E l'intero gruppo dei dieci immediatamente si ribella,
unanime nella gelosia.
come se finora Ges avesse parlato a vuoto: Non sapete quello che chiedete!. Non
sapete quali argini abbattete con questa fame di primeggiare, non capite la forza oscura che
nasce da queste ubriacature di potere, che povero cuore ne esce.
Ed ecco le parole con cui Ges spalanca la differenza cristiana: tra voi non sia cos. I
grandi della terra dominano sugli altri... Tra voi non cos!
Credono di governare con la forza... non cos tra voi!
Chi vuole diventare grande tra voi. Una volont di grandezza innata nell'uomo: il non
accontentarsi, il "morso del pi", il cuore inquieto. Ges non condanna tutto questo, non
vuole nel suo regno uomini e donne incompiuti e sbiaditi, ma pienamente fioriti, regali,
nobili, fieri, liberi.
La santit non una passione spenta, ma una passione convertita: chi vuole essere grande
sia servitore. Si converta da "primo" a "servo". Cosa per niente facile, perch temiamo che
il servizio sia nemico della felicit, che esiga un capitale di coraggio di cui siamo privi, che
sia il nome difficile, troppo difficile, dell'amore.
Eppure il termine servo la pi sorprendente di tutte le autodefinizioni di Ges: Non sono
venuto per farmi servire, ma per essere servo. Parole che ci consegnano una vertigine:
servo allora un nome di Dio; Dio mio servitore!
Vanno a pezzi le vecchie idee su Dio e sull'uomo: Dio non il Padrone dell'universo, il
Signore dei signori, il Re dei re: il Servo di tutti! Non tiene il mondo ai suoi piedi,
inginocchiato lui ai piedi delle sue creature; non ha troni, ma cinge un asciugamano. Come
sarebbe l'umanit se ognuno avesse verso l'altro la premura umile e fattiva di Dio? Se
ognuno si inchinasse non davanti al potente ma all'ultimo?
Noi non abbiamo ancora pensato abbastanza a cosa significhi avere un Dio nostro
servitore. Il padrone fa paura, il servo no. Cristo ci libera dalla paura delle paure: quella di

Dio. Il padrone giudica e punisce, il servo non lo far mai; non spezza la canna incrinata
ma la fascia come fosse un cuore ferito. Non finisce di spegnere lo stoppino dalla fiamma
smorta, ma lo lavora finch ne sgorghi di nuovo il fuoco. Dio non pretende che siamo gi
luminosi, opera in noi e con noi perch lo diventiamo.
Se Dio nostro servitore, chi sar nostro padrone? Il cristiano non ha nessun padrone,
eppure il servitore di ogni frammento di vita. E questo non come riserva di vilt, ma
come prodigio di coraggio, quello di Dio in noi, di Dio tutto in tutti.
(Letture: Isaia 53,10-11; Salmo 32; Ebrei 4,14-16; Marco 10,35-45).
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
22/10/2015
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Credere fa bene, Cristo guarisce tutta l'esistenza


XXX Domenica
Tempo Ordinario - Anno B
In quel tempo, mentre Ges partiva da Grico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il
figlio di Timo, Bartimo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che
era Ges Nazareno, cominci a gridare e a dire: Figlio di Davide, Ges, abbi piet di
me!. Molti lo rimproveravano perch tacesse, ma egli gridava ancora pi forte: Figlio di
Davide, abbi piet di me!. Ges si ferm e disse: Chiamatelo!. Chiamarono il cieco,
dicendogli: Coraggio! lzati, ti chiama!. Egli, gettato via il suo mantello, balz in piedi
e venne da Ges.
Allora Ges gli disse: Che cosa vuoi che io faccia per te?. E il cieco gli rispose:
Rabbun, che io veda di nuovo!. E Ges gli disse: Va', la tua fede ti ha salvato. E
subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.
Un ritratto tracciato con tre drammatiche pennellate: cieco, mendicante, solo. Un
mendicante cieco: l'ultimo della fila, un naufrago della vita, un relitto inchiodato nel buio
sul ciglio di una strada di Gerico. Poi improvvisamente tutto si mette in moto: passa Ges e
si riaccende il motore della vita, soffia un vento di futuro. Con il Signore c' sempre un
"dopo".
E Bartimo comincia a gridare: Ges, abbi piet. Non c' grido pi evangelico, non
preghiera pi umana e bruciante: piet dei miei occhi spenti, di questa vita perduta. Sentiti
padre, sentiti madre, ridammi vita.
Ma la folla fa muro al suo grido: taci! Il grido di dolore fuori luogo. Terribile pensare che
davanti a Dio la sofferenza sia fuori luogo, che il dolore sia fuori programma.
Eppure per tanti di noi cos, da sempre, perch i poveri disturbano, ci mostrano la faccia
oscura e dura della vita, quel luogo dove non vorremmo mai essere e dove temiamo di
cadere.
Invece il cieco sente che un altro mondo possibile, e che Ges ne possiede la chiave.
Infatti il rabbi ascolta e risponde, ascolta e rilancia.
E si libera tutta l'energia della vita. Notiamo come ogni gesto da qui in avanti sembra
eccessivo, esagerato: Bartimo non parla, grida; non si toglie il mantello, lo getta; non si
alza da terra, ma balza in piedi.

La fede questo: un eccesso, un'eccedenza, un di pi illogico e bello. Qualcosa che


moltiplica la vita: Sono venuto perch abbiate il centuplo in questa vita. Credere fa bene.
Cristo guarisce tutta l'esistenza.
Anzi il cieco comincia a guarire prima di tutto nella compassione di Ges, nella voce che
lo accarezza. Guarisce come uomo, prima che come cieco. Perch qualcuno si accorto di
lui. Qualcuno lo tocca, anche solo con la voce. Ed egli esce dal suo naufragio umano:
l'ultimo comincia a riscoprirsi uno come gli altri, inizia a vivere perch chiamato con
amore.
La guarigione di Bartimo prende avvio quando balza in piedi e lascia ogni sostegno,
per precipitarsi, senza vedere, verso quella voce che lo chiama: guidato, orientato solo
dalla parola di Cristo, che ancora vibra nell'aria.
Anche noi cristiani ci orientiamo nella vita come il cieco di Gerico, senza vedere, solo
sull'eco della Parola di Dio, che continua a seminare occhi nuovi, occhi di luce, sulla terra.
(Letture: Geremia 31,7-9; Salmo 125; Ebrei 5,1-6; Marco 10, 46-52).
riproduzione riservata
Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
29/10/2015
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I santi sono gli uomini e le donne delle Beatitudini


Solennit di Ognissanti
In quel tempo, vedendo le folle, Ges sal sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a
lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
Beati i poveri in spirito,
perch di essi il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perch saranno consolati.
Beati i miti,
perch avranno in eredit la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perch saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perch troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perch vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perch saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perch di essi il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di
male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perch grande la vostra
ricompensa nei cieli.

I santi sono gli uomini delle Beatitudini. Queste parole sono il cuore del Vangelo, il
racconto di come passava nel mondo l'uomo Ges, e per questo sono il volto alto e puro di
ogni uomo, le nuove ipotesi di umanit. Sono il desiderio prepotente di un tutt'altro modo
di essere uomini, il sogno di un mondo fatto di pace, di sincerit, di giustizia, di cuori
limpidi.
Al cuore del Vangelo c' per nove volte la parola beati, c' un Dio che si prende cura della
gioia dell'uomo, tracciandogli i sentieri. Come al solito, inattesi, controcorrente. E restiamo
senza fiato, di fronte alla tenerezza e allo splendore di queste parole.
Le Beatitudini riassumono la bella notizia, l'annuncio gioioso che Dio regala vita a chi
produce amore, che se uno si fa carico della felicit di qualcuno il Padre si fa carico della
sua felicit.
Quando vengono proclamate sanno ancora affascinarci, poi usciamo di chiesa e ci
accorgiamo che per abitare la terra, questo mondo aggressivo e duro, ci siamo scelti il
manifesto pi difficile, incredibile, stravolgente e contromano che l'uomo possa pensare.
La prima dice: beati voi poveri. E ci saremmo aspettati: perch ci sar un capovolgimento,
perch diventerete ricchi.
No. Il progetto di Dio pi profondo e vasto. Beati voi poveri, perch vostro il Regno,
gi adesso, non nell'altra vita! Beati, perch c' pi Dio in voi, pi libert, pi futuro.
Beati perch custodite la speranza di tutti. In questo mondo dove si fronteggiano lo spreco
e la miseria, un esercito silenzioso di uomini e donne preparano un futuro buono:
costruiscono pace, nel lavoro, in famiglia, nelle istituzioni; sono ostinati nel proporsi la
giustizia, onesti anche nelle piccole cose, non conoscono doppiezza. Gli uomini delle
Beatitudini, ignoti al mondo, quelli che non andranno sui giornali, sono invece i segreti
legislatori della storia.
La seconda la Beatitudine pi paradossale: beati quelli che sono nel pianto. In piedi, in
cammino, rialzatevi voi che mangiate un pane di lacrime, dice il salmo. Dio dalla parte di
chi piange ma non dalla parte del dolore! Un angelo misterioso annuncia a chiunque
piange: il Signore con te. Dio non ama il dolore, con te nel riflesso pi profondo delle
tue lacrime, per moltiplicare il coraggio, per fasciare il cuore ferito, nella tempesta al tuo
fianco, forza della tua forza.
La parola chiave delle Beatitudini felicit. Sant'Agostino, che redige un'opera intera sulla
vita beata, scrive: abbiamo parlato della felicit, e non conosco valore che maggiormente si
possa ritenere dono di Dio. Dio non solo amore, non solo misericordia, Dio anche
felicit. Felicit uno dei nomi di Dio.
(Letture: Apocalisse 7,2-4.9-14; Salmo 23; 1 Giovanni 3,1-3; Matteo 5, 1-12).
riproduzione riservata

Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


05/11/2015
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Gli spiccioli della vedova e il tesoro in Cielo
XXXII domenica
Tempo ordinario Anno B

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In quel tempo, Ges, seduto di fronte al tesoro [nel tempio], osservava come la folla vi
gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gett
due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a s i suoi discepoli, disse loro: In
verit io vi dico: questa vedova, cos povera, ha gettato nel tesoro pi di tutti gli altri. Tutti
infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato
tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere.
Il Vangelo mette a confronto due magisteri: quello degli scribi, teologi e giuristi importanti,
e quello di una vedova povera e sola; ci porta alla scuola di una donna senza pi difese e la
fa maestra di vita.
Gli scribi sono identificati per tre comportamenti: per come appaiono (passeggiano in
lunghe vesti) per la ricerca dei primi posti nella vita sociale, per l'avidit con cui
acquisiscono beni: divorano le case delle vedove, insaziabili e spietati. Tre azioni descritte
con i verbi che Ges rifiuta: apparire, salire e comandare, avere. Sintomi di una malattia
devastante, inguaribile, quella del narcisismo. Sono di fatto gli inconvertibili: Narciso pi
lontano da Dio di Caino.
Ges contrappone un Vangelo di verbi alternativi: essere, discendere, servire e donare. Lo
fa portandoci in un luogo che quanto di pi estraneo al suo messaggio si possa
immaginare: in faccia al tesoro del tempio; e l, seduto come un maestro, osserva come la
gente getta denaro nel tesoro: come non quanto. Le bilance di Dio non sono
quantitative, ma qualitative.
I ricchi gettavano molte monete, Ma, venuta una vedova povera, vi gett due monetine.
Due spiccioli, un niente, ma pieno di cuore. Ges se n' accorto, unico; chiama a s i
discepoli, li convoca, erano con la testa altrove, e offre la sua lettura spiazzante e liberante:
questa vedova ha gettato nel tesoro pi di tutti gli altri.
Ges non bada alla quantit di denaro. Anzi afferma che l'evidenza della quantit solo
illusione. Conta quanto peso di vita c' dentro, quanto cuore, quanto di lacrime, di
speranza, di fede dentro due spiccioli.
L'uomo per star bene deve dare. la legge della vita, siamo progettati cos. Questa capacit
di dare, e dare come un povero non come un ricco, ha in s qualcosa di divino! Tutto ci
che fatto con tutto il cuore ci avvicina all'assoluto di Dio.
Il verbo salvifico che Ges propone in contrapposizione al divorare degli scribi,
gettare, ripetuto sette volte nel brano, un dare generoso e senza ritorno.
Lo sa bene la vedova, l'emblema della mancanza. La sua mano getta, dona con gesto largo,
sicuro, generoso, convinto, anche se ci che ha da donare pochissimo. Ma non la
quantit che conta, conta sempre il cuore, conta l'investimento di vita. La fede della vedova
viva e la fa vivere. Non le d privilegi n le riempie la borsa, ma le allarga il cuore e le d
la gioia di sentirsi figlia di Dio, cos sicura dell'amore del Padre da donare tutto il poco che
ha.
Questa donna, che convive col vuoto e ne conosce l'angoscia, fiduciosa come gli uccelli
del cielo, come i gigli del campo. E il Vangelo torna a trasmettere il suo respiro di
liberazione.
(Letture: 1Re 17,10-16; Salmo145; Ebrei 9,24-28; Marco 12,38-44).
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
12/11/2015
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Ogni giorno un mondo nasce e uno muore


XXXIII Domenica
Tempo ordinario Anno B
In quel tempo, Ges disse ai suoi discepoli: In quei giorni, dopo quella tribolazione, il
sole si oscurer,
la luna non dar pi la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli
saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli
mander gli angeli e raduner i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremit della terra fino
all'estremit del cielo.
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e
spuntano le foglie, sapete che l'estate vicina. Cos anche voi: quando vedrete accadere
queste cose, sappiate che egli vicino, alle porte. In verit io vi dico: non passer questa
generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole
non passeranno. Quanto per a quel giorno o a quell'ora, nessuno lo sa, n gli angeli nel
cielo n il Figlio, eccetto il Padre.
Un Vangelo sulla crisi e insieme sulla speranza, che non intende incutere paura (non mai
secondo il vangelo il volto di un Dio che incute paura), che vuole profetizzare non la fine,
ma il fine, il significato del mondo.
La prima verit che l'universo fragile nella sua grande bellezza: in quei giorni, il sole si
oscurer, la luna non dar pi la sua luce, le stelle cadranno dal cielo...
Eppure non questa l'ultima verit: se ogni giorno c' un mondo che muore, ogni giorno
c' anche un mondo che nasce. E si va di inizio in inizio, attraverso inizi sempre nuovi
(Gregorio di Nissa).
Quante volte si spento il sole, quante volte le stelle sono cadute a grappoli dal nostro
cielo, lasciandoci vuoti, poveri, senza sogni: una disgrazia, una malattia, la morte di una
persona cara, una sconfitta nell'amore, un tradimento.
Fu necessario ripartire, un'infinita pazienza di ricominciare. Guardare oltre l'inverno,
credere nell'estate che inizia con il quasi niente, una gemma su un ramo, la prima fogliolina
di fico, nella speranza che viene a noi vestita di stracci perch le confezioniamo un abito
da festa (Paul Ricoeur).
Ges educa alla speranza, a intuire dentro la fragilit della storia come le doglie di un
parto, come un uscire dalla notte alla luce. Quanto morir perch la vita nasca (Clemente
Rebora). Ben vengano allora certe scosse di primavera a smantellare ci che merita di
essere cancellato, anche nella istituzione ecclesiastica.
E si ricostruir, facendo leva su due punti di forza.
Il primo: quando vedrete accadere queste cose sappiate che Egli vicino, il Signore alle
porte. La nostra forza un Dio vicino, la sua strada passa ancora sul mare, anche se non
ne vediamo le tracce (Salmo 77,20). La nostra nave non
in ansia per la rotta, perch sente su di s il suo Vento di vita.
Il secondo punto di forza la nostra stessa fragilit. Per la sua fragilit l'uomo, tanto fragile
da aver sempre bisogno degli altri, cerca appoggi e legami. Ed appoggiando una fragilit
sull'altra che sosteniamo il mondo.
Dio dentro la nostra fragile ricerca di legami, viene attraverso le persone che amiamo.
Ogni carne intrisa d'anima e umida di Dio (Bastaire).

Il Vangelo parla di stelle che cadono. Ma il profeta Daniele alza lo sguardo: i saggi
risplenderanno, i giusti saranno come stelle per sempre, il cielo dell'umanit non sar mai
vuoto e nero, uomini giusti e santi si accendono su tutta la terra, salgono nella casa delle
luci, illuminano i passi di molti. Sono uomini e donne assetati di giustizia, di pace, di
bellezza. E sono molti, sono come stelle nel cielo. E tutti insieme foglioline di primavera,
del futuro buono che viene.
(Letture: Daniele 12,1-3; Salmo 15; Ebrei 10,11-14.18; Marco 13,24-32).
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
19/11/2015
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Un regno che libera, un re che si fa servitore


XXXIV Domenica
Tempo ordinario Anno B
Cristo Re dell'universo
In quel tempo, Pilato disse a Ges: Sei tu il re dei Giudei?. Ges rispose: Dici questo
da te, oppure altri ti hanno parlato di me?. Pilato disse: Sono forse io Giudeo? La tua
gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?.
Rispose Ges: Il mio regno non di questo mondo; se il mio regno fosse di questo
mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perch non fossi consegnato ai Giudei; ma il
mio regno non di quaggi.
Allora Pilato gli disse: Dunque tu sei re?. Rispose Ges: Tu lo dici: io sono re. Per
questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verit.
Chiunque dalla verit, ascolta la mia voce.
Due re, uno di fronte all'altro. Pilato, la massima autorit civile e militare in Israele, il cui
potere supremo di infliggere la morte; Ges che invece ha il potere, materno e creatore,
di dare la vita in pienezza.
Chi dei due pi libero, chi pi uomo? Pilato, circondato dalle sue legioni, prigioniero
delle sue paure, oppure Ges, un re disarmato che la verit ha fatto libero; che non ha
paura, non fa paura, libera dalla paura, che insegna a dipendere solo da ci che ami?
Mi commuove ogni volta il coraggio di Ges, la sua statura interiore, non lo vedi mai
servile o impaurito, neppure davanti a Pilato, se stesso fino in fondo, libero perch vero.
Dunque tu sei re? Pilato cerca di capire chi ha davanti, quel Galileo che parla e agisce in
modo da non lasciare indifferente nessuno. La riposta: S, ma il mio regno non di questo
mondo. Forse riguarda un domani, un al di l? Ma allora perch pregare "venga il tuo
regno", venga nelle case e nelle strade, venga presto?
I regni della terra, si combattono, il potere di quaggi ha l'anima della guerra, si nutre di
violenza. Ges invece non ha mai assoldato mercenari, non ha mai arruolato eserciti, non
mai entrato nei palazzi dei potenti, se non da prigioniero. Metti via la spada ha detto a
Pietro, altrimenti la ragione sar sempre del pi forte, del pi violento, del pi crudele, del
pi armato. Il suo regno differente non perch si disinteressa della storia, ma perch entra
nella storia perch la storia diventi tutt'altra da quello che .

I servi dei re combattono per loro. Nel suo regno accade l'inverso, il re si fa servitore: non
sono venuto per essere servito, ma per servire. Non spezza nessuno, spezza se stesso; non
versa il sangue di nessuno, versa il suo sangue; non sacrifica nessuno, sacrifica se stesso
per i suoi servi.
Il suo regno non di questo mondo, ed per questo che pu essere in questo mondo, e
pu riprenderne le minime cose senza sciuparle, pu riprendere ci che rotto e farne un
canale (Fabrice Hadjadj).
Pilato non pu capire, prende l'affermazione di Ges: io sono re, e ne fa il titolo della
condanna, l'iscrizione derisoria da inchiodare sulla croce: questo il re dei giudei. Voleva
deriderlo e invece stato profeta: il re visibile l, sulla croce, con le braccia aperte, dove
dona tutto di s e non prende niente. Dove muore ostinatamente amando. E Dio lo far
risorgere, perch quel corpo spezzato diventi canale per noi, e niente di quell'amore vada
perduto.
Pilato poi si affaccia con Ges al balcone della piazza, al balcone dell'universo, lo presenta
all'umanit: ecco l'uomo! E intende dire: ecco
il volto alto e puro dell'uomo.
(Letture: Daniele 7,13-14; Salmo 92; Apocalisse 1,5-8; Giovanni 18,33-37).
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
26/11/2015
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Questo mondo ne porta un altro nel grembo


I Domenica di Avvento Anno C
In quel tempo, Ges disse ai suoi discepoli: Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle
stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli
uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ci che dovr accadere sulla terra. Le
potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su
una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose,
risollevatevi e alzate il capo, perch la vostra liberazione vicina. State attenti a voi stessi,
che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e
che quel giorno non vi piombi addosso all'improvviso; come un laccio infatti esso si
abbatter sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni
momento pregando, perch abbiate la forza di sfuggire a tutto ci che sta per accadere, e di
comparire davanti al Figlio dell'uomo.
L'Avvento il tempo che prepara nascite, il tempo di santa Maria nell'attesa del parto,
tempo delle donne: solo le donne in attesa sanno cosa significhi davvero attendere.
Ci saranno segni nel sole, nella luna, nelle stelle e sulla terra angoscia. Il Vangelo ci prende
per mano, ci porta fuori dalla porta di casa, a guardare in alto, a percepire il cosmo pulsare
attorno a noi, a sentirci parte di un'immensa vita. Che patisce, soffre, si contorce come una
partoriente (Isaia 13,8), ma per produrre vita. Il presente porta nascite nel grembo. Ogni
giorno c' un mondo che muore, ogni giorno c' per un mondo che nasce.
Quanto morir perch la vita nasca (C. Rebora): abbiamo tutti nella memoria la notte di
Parigi. Notte di morte. Eppure il nostro atto di fede : neppure la violenza eterna, neppure

il terrore; il regno di Dio viene. Giorno per giorno, continuamente, adesso, Dio viene.
Anche se non lo vedi, anche se non ti accorgi di lui, in cammino su tutte le strade.
Noi pensiamo che la presenza del Signore si sia rarefatta, il Regno allontanato; che siano
altri i regni emergenti: i califfati, l'Isis, l'economia, il mercato, l'idolo del denaro, il profitto.
Invece no: il mondo intero pi vicino al Regno oggi, di dieci o vent'anni fa: risollevatevi,
alzate il capo, la vostra liberazione vicina.
Il Vangelo d'Avvento ci aiuta a non smarrire il cuore, a non appesantirlo di paure e
delusioni: state attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano.
Ci sar sempre un momento in cui ci sentiremo col cuore pesante. Ho provato anch'io lo
scoraggiamento, molte volte, ma non gli permetto di sedersi alla mia tavola, di mangiare
nel mio piatto. Il motivo questo: fin dentro i muscoli e le ossa io so una cosa, come la
sapete voi, ed che non pu esserci disperazione finch ricordo perch sono venuto sulla
terra, di Chi sono al servizio, Chi mi ha mandato qui. E Chi sta venendo: allora vedranno il
Figlio dell'uomo venire con grande potenza e gloria.
Questo mondo contiene Lui! Che viene, che qui, che cresce dentro; c' un Liberatore,
esperto di nascite, in cammino su tutte le strade.
Alzatevi, guardate in alto e lontano, perch la vostra liberazione vicina. Uomini e donne
in piedi, a testa alta, occhi alti e liberi: cos vede i discepoli il Vangelo. Gente dalla vita
verticale e dallo sguardo profondo.
Il Vangelo ci insegna a leggere la storia come grembo di futuro, a non fermarci all'oggi:
questo mondo porta un altro mondo nel grembo. Da coltivare e custodire con combattiva
tenerezza. Un mondo pi buono e pi giusto, dove Dio viene, vicino e caldo come il
respiro, forte come il cuore, bello come il sogno pi bello. (Letture: Geremia 33,14-16;
Salmo 24; 1 Tessalonicesi 3,12-4,2; Luca 21,25-28.34-36).
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
03/12/2015
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E la Parola di Dio cambia passo alla nostra storia


II Domenica di Avvento Anno C
Nell'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era
governatore della Giudea. Erode tetrrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrrca
dell'Itura e della Tracontide, e Lisnia tetrrca dell'Abilne, sotto i sommi sacerdoti Anna
e Cifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto.
Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il
perdono dei peccati, com' scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia:
Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!
(...) Ogni uomo vedr la salvezza di Dio!.
Luca d inizio al racconto dell'attivit pubblica di Ges con una pagina solenne, quasi
maestosa, un lungo elenco di re e sacerdoti, che improvvisamente subisce uno scarto, un
dirottamento: un sassolino del deserto cade dentro l'ingranaggio collaudato della storia e ne
muta il passo: la Parola di Dio venne su Giovanni nel deserto.

La Parola, fragile e immensa, viene come l'estasi della storia, di una storia che non basta
pi a se stessa; le inietta un'estasi, che come un uscire da s, un sollevarsi sopra le logiche
di potere, un dirottarsi dai soliti binari, lontano dalle grandi capitali, via dalle regge e dai
cortigiani, a perdersi nel deserto. il Dio che sceglie i piccoli, che abbatte i potenti, che
fa dei poveri i principi del suo regno, cui basta un uomo solo che si lasci infiammare dalla
sua Parola.
Chi conta nella storia? Erode sar ricordato solo perch ha tentato di uccidere quel
Bambino; Pilato perch l'ha condannato a morte. Nella storia conta davvero chi comincia a
pensare pensieri buoni, i pensieri di Dio.
La parola di Dio venne su Giovanni, nel deserto. Ma parola di Dio viene ancora, sempre
in volo in cerca di uomini e donne dove porre il suo nido, di gente semplice e vera, che
voglia diventare sillaba del Verbo (Turoldo). Perch nessuno cos piccolo o cos
peccatore, nessuno conta cos poco da non poter diventare profeta del Signore.
Voce di uno che grida nel deserto: preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri.
Ogni burrone sar riempito, ogni monte abbassato; le vie tortuose diventeranno diritte e
quelle impervie, spianate.
La voce dipinge un paesaggio aspro e difficile, che ha i tratti duri e violenti della storia: le
montagne invalicabili sono quei muri che tagliano in due villaggi, case e oliveti; i burroni
scoscesi sono le trincee scavate per non offrire bersaglio e per meglio uccidere; sono
l'isolarsi per paura... anche la nostra geografia interiore, una mappa di ferite mai guarite,
di abbandoni patiti o inflitti.
Il profeta per vede oltre, vede strade che corrono diritte e piane, burroni colmati, monti
spianati. Per il viaggio mai finito dell'uomo verso l'uomo, dell'uomo verso il suo cuore. E
soprattutto di Dio verso l'uomo.
Un'opera imponente e gioiosa, e a portarla a compimento sar Colui che l'ha iniziata.
L'esito certo, perch il profeta assicura: Ogni uomo vedr la salvezza. Ogni uomo? S,
esattamente questo: ogni uomo. Dio viene e non si fermer davanti a burroni o montagne, e
neppure davanti al mio contorto cuore. Raggiunger ogni uomo, gli porr la sua Parola nel
grembo, potenza di parto di un mondo nuovo e felice, dove tutto ci che umano trovi eco
nel cuore di Dio.
(Letture: Baruc 5,1-9; Salmo 125; Filippsi 1,4-6,8-11; Luca 3,4-6).
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
10/12/2015
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La legge della vita: per stare bene l'uomo deve dare


III Domenica di Avvento
Anno C
In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: Che cosa dobbiamo fare?.
Rispondeva loro: Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia
altrettanto. Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: Maestro, che
cosa dobbiamo fare?. Ed egli disse loro: Non esigete nulla di pi di quanto vi stato
fissato.

Lo interrogavano anche alcuni soldati: E noi, che cosa dobbiamo fare?. Rispose loro:
Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe.
Poich il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se
non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: Io vi battezzo con acqua; ma
viene colui che pi forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali (...).
Esulter, si rallegrer, grider di gioia per te, come nei giorni di festa. Nelle parole del
profeta, Dio danza di gioia per l'uomo. Appare un Dio felice, il cui grido di festa attraversa
questo tempo d'avvento, e ogni tempo dell'uomo, per ripetere a me, a te, ad ogni creatura:
tu mi fai felice. Tu, festa di Dio.
La sua gioia stare con i figli dell'uomo. Il suo nome Io-sono-con-te: non temere,
dovunque tu andrai, in tutti i passi che farai, quando cadrai e ti farai male, non temere, io
sono con te; quando ti rialzerai e sorriderai di nuovo, io sar ancora con te. con te Colui
che mai abbandona, vicino come il cuore e come il respiro, bello come un sogno. Tutti i
giorni, fino al consumarsi del mondo.
Mai nella Bibbia Dio aveva gridato. Aveva parlato, sussurrato, tuonato, aveva la voce dei
sogni; solo qui, solo per amore Dio grida. Non per minacciare, per amare di pi.
Il profeta intuisce la danza dei cieli e intona il canto dell'amore felice, dell'amore che rende
nuova la vita: "ti rinnover con il suo amore".
Il Battista invece, quasi in contrappunto, risponde alla domanda pi feriale, che sa di mani
e di fatica: "e noi che cosa dobbiamo fare?". E il profeta che non possiede nemmeno una
veste degna di questo nome, risponde: "chi ha due vestiti ne dia uno a chi non ce l'ha".
Colui che si nutre del nulla che offre il deserto, cavallette e miele selvatico, risponde: "chi
ha da mangiare ne dia a chi non ne ha". Nell'ingranaggio del mondo Giovanni getta un
verbo forte, "dare". Il primo verbo di un futuro nuovo.
In tutto il Vangelo il verbo amare si traduce con il verbo dare (non c' amore pi grande
che dare la vita per quanti si amano; Dio ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio,
chiunque avr dato anche solo un bicchiere d'acqua fresca). legge della vita: per stare
bene l'uomo deve dare.
Vengono pubblicani e soldati, pilastri del potere: "e noi che cosa faremo?" "Non prendete,
non estorcete, non accumulate". Tre parole per un programma unico: tessere il mondo della
fraternit, costruire una terra da cui salga giustizia.
Il profeta sa che Dio si incarna attraverso il rispetto e la venerazione verso tutti gli uomini,
come energia che libera dalle ombre della paura che ci invecchiano il cuore. L'amore
rinnova (Sofonia), la paura paralizza, ruba il meglio della vita.
E io, che cosa devo fare?. Non di grandi profeti abbiamo bisogno, ma di tanti piccoli
profeti, che l dove sono chiamati a vivere, giorno per giorno, siano generosi di giustizia e
di misericordia, che portino il respiro del cielo dentro le cose di ogni giorno. Allora, a
cominciare da te, si riprende a tessere il tessuto buono del mondo.
(Letture: Sofonia 3,14-18; Isaia 12; Filippesi 4,4-7; Luca 3, 10-18).
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
17/12/2015
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Il primato della benedizione. E del ringraziamento

IV Domenica di Avvento
Anno C
In quei giorni Maria si alz e and in fretta verso la regione montuosa, in una citt di
Giuda.
Entrata nella casa di Zaccara, salut Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di
Maria, il bambino sussult nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed
esclam a gran voce: Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che
cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto giunto
ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha
creduto nell'adempimento di ci che il Signore le ha detto.
Un Vangelo di gioia e di donne. Santa Maria, gravida di Dio, incinta di luce, va in fretta,
pesante di vita nuova e leggera di libert, sui monti di Giuda.
Origene di Alessandria (III sec.) afferma che l'immagine pi vivida e bella del cristiano
quella di una donna incinta, che porta in s una nuova vita. E non occorre che parli,
evidente a tutti ci che accade: viva di due vite, battono in lei due cuori. E non li puoi
separare.
Il cristiano passa nel mondo gravido di Dio, "ferens Verbum" (Origene) portando un'altra
vita dentro la sua vita, imparando a respirare con il respiro di Dio, a sentire con i
sentimenti di Cristo, come se avesse due cuori, il suo e uno dal battito pi forte, che non si
spegner pi. Ancora adesso Dio cerca madri, per incarnarsi.
Nell'incontro di Maria con Elisabetta, Dio viene mediato da persone, convocato dai loro
abbracci e dai loro affetti, come se fosse, e lo , un nostro familiare. Non c' infinito
quaggi lontano dalle relazioni umane.
In questa che l'unica scena del Vangelo dove protagoniste sono solo donne, inscritta
l'arte del dialogo.
Il primo passo: Maria, entrata nella casa, salut Elisabetta. Entrare, varcare soglie, fare
passi per andare incontro alle persone. Non restarsene al di fuori, ad aspettare che qualcosa
accada ma diventare protagonisti, avvicinarsi, bussare, ricucire gli strappi e gli
allontanamenti. E salutare tutti per via, subito, senza incertezze, per primi, facendo
viaggiare parole di pace tra le persone. Bella l'etimologia di "salutare": contiene, almeno in
germe, una promessa di salute per le relazioni, di salvezza negli incontri.
Il secondo passo: benedire. Elisabetta...esclam: Benedetta tu fra le donne. Se ogni prima
parola tra noi fosse come il saluto di chi arriva da lontano, pesante di vita, nostalgia,
speranze; e la seconda fosse come quella di Elisabetta, che porta il "primato della
benedizione". Dire a qualcuno "sei benedetto" significa portare una benedizione dal cielo,
salutare Dio in lui, vederlo all'opera, vedere il bene, la luce, il grano che germoglia, con
uno sguardo di stupore, senza rivalit, senza invidia. Se non impariamo a benedire, a dire
bene, non saremo mai felici.
Il terzo passo allarga orizzonti: allora Maria disse: l'anima mia magnifica il Signore. Il
dialogo con il cielo si apre con il "primato del ringraziamento". Per prima cosa Maria
ringrazia: grata perch amata. L'amore quando accade ha sempre il senso del miracolo:
ha sentito Dio venire come un fremito nel grembo, come un abbraccio con l'anziana, come
la danza di gioia di un bimbo di sei mesi, e canta.
A Natale, anche noi come lei, grati perch amati, perch visitati dal miracolo.
(Letture: Michea 5,1-4; Salmo 79; Ebrei 10,5-10; Luca 1,39-45).
riproduzione riservata

Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi


24/12/2015
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in famiglia che si impara il nome pi bello di Dio


Santa Famiglia - Anno C
I genitori di Ges si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando
egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni,
mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Ges rimase a Gerusalemme, senza che
i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di
viaggio, e poi si misero a cercarlo (...) Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in
mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano
pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua
madre gli disse: Figlio, perch ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti
cercavamo. Ed egli rispose loro: Perch mi cercavate? Non sapevate che io devo
occuparmi delle cose del Padre mio? (....).
Che cosa dice la Parola di Dio alle fragilit delle nostre famiglie? Dice prima di tutto che il
matrimonio santo come il sacerdozio. Che la vocazione dei genitori santa come quella
di una monaca di clausura. Perch l'amore quotidiano nella casa un tutt'uno con l'amore
di Dio. E non sono due amori, ma un unico, solo, grande mistero, un solo amore che
muove il sole e l'altre stelle, che muove Adamo verso Eva, me verso gli altri, Dio verso
Betlemme, nel suo esodo infinito verso di noi.
La famiglia il luogo dove si impara il primo nome, e il pi bello, di Dio: che Dio
amore; dove si assapora il primo sapore di Dio, cos vicino a quello dell'amore.
I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme. Questa parola ricorda alla famiglia
che essa in pellegrinaggio. Come canta il Salmo: Beato l'uomo (la coppia) che ha sentieri
nel cuore (Sal 83). Beata la famiglia dove si impara a sconfinare. Verso gli uomini e verso
Dio.
Non sapevate che devo occuparmi d'altro da voi? I nostri figli non sono nostri,
appartengono al Signore, al mondo, alla loro vocazione, ai loro sogni. Un figlio non pu,
non deve impostare la sua vita in funzione dei genitori. Sarebbe come bloccare la ruota
della creazione.
Devo occuparmi delle cose del Padre. Per una vita piena e felice il primato di Dio. Sono
parole dure per i genitori, ma dove l'ha imparato Ges se non nella sua famiglia? Me lo
avete insegnato voi il primato di Dio! Madre, tu mi hai insegnato ad ascoltare angeli!
Padre, tu mi hai raccontato che talvolta la vita dipende dai sogni, da una voce nella notte:
alzati prendi il bambino e sua madre e fuggi in Egitto.
Ma essi non compresero. Ges cresce dentro una famiglia santa e imperfetta, santa e
limitata. Sono santi i tre di Nazaret, sono profeti colmi di Spirito, eppure non capiscono i
propri familiari. E noi ci meravigliamo di non capirci nelle nostre case? E qui leggo un
conforto per tutte le famiglie, tutte diversamente imperfette, ma tutte capaci di far crescere.
Si pu crescere in bont e saggezza anche sottomessi alla povert del mio uomo o della
mia donna, ai perch inquieti di mio figlio. Si pu crescere in virt e grazia anche
sottomessi al dolore di non capire e di non essere capiti.

E questo perch? Perch nei miei familiari abita un mistero. Di pi, sono loro il mistero
primo di Dio, il sacramento, vale a dire il segno visibile ed efficace. Isaia ha detto: Tu sei
un Dio nascosto. Dove mai nascosto Dio, se non nella mia casa? La casa il luogo del
primo magistero. Nella casa Dio ti sfiora, ti tocca, ti parla, ti fa crescere. Ti insegna l'arte di
vivere, l'arte di dare e ricevere amore.
(Letture: 1 Samuele 1,20-22.24-28; Salmo 83; 1 Giovanni 3,1-2.21-24; Luca 2,41-52).
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Il Vangelo A cura di Ermes Ronchi
31/12/2015
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Vertigine del Natale: il potere di diventare figli di Dio


II domenica dopo Natale - Anno C
In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio,
presso Dio: tutto stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla stato fatto di ci che
esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le
tenebre non l'hanno vinta. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo e il mondo stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha
riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti per lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da
sangue n da volere di carne n da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il
Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua
gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verit.
In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Giovanni inizia il
suo Vangelo con un volo d'aquila, un inno immenso che ci impedisce di pensare piccoli
pensieri, che opera come uno sfondamento sulle pareti dei nostri giorni verso l'eterno,
verso l'in principio, verso il per sempre. Per assicurarci che c' come un'onda immensa
che viene a infrangersi sui nostri promontori, che siamo raggiunti da un flusso continuo
che ci alimenta, e che non abbiamo in noi la nostra sorgente.
La fede l'esperienza che in gioco nella nostra vita c' una forza pi grande di noi, un bene
grande che alimenta il nostro amore, una vita piena che pu riempire la nostra piccola vita.
A quanti l'hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio. Il potere, non solo la
possibilit o l'opportunit; ma una energia, una vitalit, una forza: il Verbo viene nel
mondo e in noi come una forza di nascite. Cristo nasce perch io nasca. Nasca nuovo e
diverso. Nasca dall'alto. Il Verbo di Dio un seme che genera secondo la propria specie.
Dio non pu che generare Figli di Dio.
Tutte le parole degli uomini ci possono solo confermare nel nostro essere carne, realt
incompleta, fragile e inaffidabile. Ma il salto, l'impensabile accade con il Natale, con la
Parola che entra nel mondo e porta la vita stessa di Dio in noi. Ecco la vertigine: la vita
stessa di Dio in noi. Questa la profondit ultima del Natale. Dio in me. Destino di ogni
creatura diventare sillaba di Dio, carne intrisa di cielo, figlio. Il cristianesimo non
rinuncia, ingrandimento sconfinato del nostro essere (Giovanni Vannucci).

In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini. La vita stessa luce per gli uomini, e
chi ha passato un'ora sola a vivere amore oppure ad addossarsi il pianto di un sofferente
pi vicino al mistero di Dio di chi ha letto tutti i libri. Chi sa della vita sa di Dio.
E il Verbo si fece carne. Dio ricomincia da Betlemme. Il grande miracolo che Dio non
plasma pi l'uomo con polvere del suolo, dall'esterno, come fu in principio, ma si fa lui
stesso polvere plasmata, bambino di Betlemme e carne universale. E se tu devi piangere,
anche lui imparer a piangere. E se tu devi morire, anche lui conoscer la morte.
Da allora c' un frammento di Logos in ogni carne, qualcosa di Dio in ogni uomo. C'
santit e luce in ogni vita.
E nessuno potr pi dire: qui finisce la terra, qui comincia il cielo, perch ormai terra e
cielo si sono abbracciati. E nessuno potr dire: qui finisce l'uomo, qui comincia Dio,
perch creatore e creatura si sono abbracciati e in quel neonato, a Betlemme, uomo e Dio
sono una cosa sola.
(Letture: Siracide 24,1-4.12-16; Salmo 147; Efesini 1,3-6.15-18; Giovanni 1,1-18).
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