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ORLANDO FURIOSO.

Poema in 46 canti, in ottave, di Ludovico Ariosto (1474-1533),


cominciato probabilmente tra il 1502 e il 1503 e pubblicato dapprima, in 40 canti, nel 1516 e,
in edizione definitiva, nel 1532, dopo varie edizioni fatte sia col consenso, sia all'insaputa
dell'autore: l'edizione di mezzo, del 1521, non apportava novit sostanziali. Soggetto del poema
non tanto la guerra condotta dal re saraceno Agramante (v.) contro Re Carlo (v.) di Francia, quanto
"Le donne, i cavalier, l'arme, gli amori - le cortesie, l'audaci imprese" che si svolsero entro la
cornice di quella leggendaria lotta: il materiale, cio, di una specie di Guerra e pace (v.) quale
poteva essere concepita da uno spirito per eccellenza rinascimentale. Il progetto di raccogliere e
svolgere tanti vari motivi si fondeva, cos, naturalmente con quello di "continuare l'invenzione del
conte Matteo Maria Boiardo" riprendendo, dal suo poema lasciato interrotto, un fondo epicoromanzesco gi in atto e guidando fin dagli inizi figure e vicende nel vivo dell'azione. Il Boiardo,
fondendo gli elementi epici del Ciclo Carolingio (v.) con quelli galanti e romanzeschi del Ciclo
Brettone (v.), aveva raggiunto, pi ancora di una felice innovazione letteraria, una sintesi del mondo
cavalleresco profondamente incisa di ombre e di luci, ricca di passaggi e di sapide incoerenze, a cui
gli avevano aperto la via i cantari popolari e che, sotto l'apparenza della fiaba, celava il fondo
drammatico di una umanit in tumulto. L'Ariosto continua e sviluppa questo spunto dando vita a
quei germi di grande tragedia e di grande farsa che ne erano contenuti, quasi divertendosi a sfiorare
questi due estremi senza mai abbandonarvisi e introducendo, infine, la narrativa moderna dalle
molte corde, dai complessi giochi di contrappunto, intimamente aliena dall'impegnarsi tutta su di un
solo motivo. Comincia dunque, il racconto, press'a poco l dove l'Orlando innamorato (v.) si
arrestava incompiuto: "sotto i gran monti Pirenei" si prepara la giornata campale tra i Mori e
l'esercito cristiano di Carlo; quasi tutti i pi celebrati eroi si trovano presenti nei due campi.
arrivato anche Orlando (v.) dall'Oriente con la bellissima e crudele Angelica (v.), che subito gli
disputata dal cugino Rinaldo (v.); e Carlo, a evitare discordie, affida la donzella al vecchio Namo,
duca di Baviera, promettendola a quello dei due che pi si sar distinto in battaglia. Ma i Cristiani
sono sconfitti: Angelica ne approfitta per fuggire, tutti i protagonisti si disperdono per varie ragioni,
e la nuova azione del poema prende di qui il suo avvio per tre direzioni principali: le vicende di
Angelica, quelle di Orlando e quelle di Ruggiero (v.); la guerra rimarr nel fondo riassumendosi nel
favoloso assedio di Parigi. Fugge, dunque, Angelica, dal padiglione di Namo, traendosi dietro
cavalieri cristiani e saraceni che, disertando la lotta, si mettono sulle sue orme. Da questo momento,
la fanciulla non far che passare dall'uno all'altro dei suoi spasimanti sempre deludendoli sempre
servendosi dell'uno per sfuggir l'altro, di peripezia in peripezia e di astuzia in astuzia. Rinaldo,
Ferra (v.), Sacripante (v.) se la contendono: ogni uomo che incontra si accende per la sua bellezza
con un'elementare foga che sembra sottolineare indirettamente e ironicamente un unico motivo
comune a tutto il mondo maschile, vivo anche nel fondo dell'ideale passione di Orlando. Perfino un
santo eremita non sa resistere all'improvviso risveglio dei sensi quand'ella gli appare. Catturata dai
corsari delle Ebude, portata nell'Isola del Pianto ed esposta all'Orca marina, viene salvata da
Ruggiero, che giunge a cavallo dell'alato Ippogrifo; ma resterebbe poco dopo vittima dell'ardore del
suo salvatore, se non riuscisse a rendersi invisibile con un suo magico anello che Ruggiero stesso,
senza saperlo, le ha restituito. Infine, nei pressi di Parigi, incontra un giovane soldato saraceno
ferito, ed ecco che quel che non avevano saputo fare tanti eroi riesce a quell'oscuro adolescente:
Angelica s'innamora di Medoro (v.), lo cura, lo guarisce, lo sposa. E con lui prende la via del ritorno
verso il suo regno, il Catai, di cui Medoro avr la corona. Orlando, frattanto, dopo la rotta ai Pirenei
si messo ancora alla ricerca di Angelica e, nel vano vagabondaggio sulle orme della donna amata,
passa di avventura in avventura. Nell'Isola del Pianto libera Olimpia (v.), esposta all'Orca marina
come poco prima era stata Angelica, uccide il mostro e restituisce la donna al suo amato Bireno;
cade poi prigioniero, come tanti altri cavalieri, nel castello del mago Atlante (v.), che questi ha
costruito per trattenervi, con il fiore della cavalleria, il suo amato Ruggiero dando a ognuno
l'illusione di ritrovare l il suo ideale: ma vi cpita Angelica, la quale, in possesso del magico anello
che distrugge ogni magia, rivela ai cavalieri la loro illusione e li libera; pi tardi, da una spelonca
ove era prigioniera di una banda di ladroni, il paladino libera la vezzosa Isabella, uccide i
malviventi e restituisce la fanciulla a Zerbino: cosicch questo disperato amante sembra destinato a

diventare benefattore di amanti felici. Un giorno arriva nella selva e nella grotta che avevano
ospitato Angelica e Medoro durante il loro dolce idillio: i nomi dei due innamorati, incisi in mille
modi nella corteccia degli alberi e nella roccia, gli rivelano improvvisamente quel che avvenuto,
lo torturano di gelosia, diventano per lui allucinazione: e il pi saggio dei paladini non resiste a
tanto strazio, perde il senno, s'imbestia. Nudo va per la Francia e per la Spagna portando seco la
strage e il terrore; varcato a nuoto lo stretto di Gibilterra, passa in Africa. Ma l'Altissimo ha
misericordia di lui, e toccher ad Astolfo (v.), il meno eroico dei paladini, la sorte di divenir
mediatore della grazia divina. Astolfo, dopo essersi impadronito dell'Ippogrifo abbandonato da
Ruggiero, e dopo aver compiuto singolari imprese in Oriente con Marfisa (v.), con i fratelli Grifone
il bianco e Aquilante il nero e con Sansonetto, sempre assistito da una fortuna che gli proviene, a
sua insaputa, piuttosto da forze magiche che dalla sua reale valentia, passa anch'egli in Africa ed
condotto dall'Ippogrifo sulla cima di una montagna, nel Paradiso terrestre. Qui l'apostolo Giovanni
lo informa della pazzia di Orlando, e con lui, sul carro di Elia, sale nella luna dove si raccoglie tutto
ci che si perduto sulla terra e, in una grande ampolla, raccolto il senno del paladino. Carico di
quel senno, Astolfo torna sulla terra, sconfigge l'esercito di Agramante, pone l'assedio a Biserta,
libera i paladini prigionieri. Quando giunge l, il folle Orlando preso, legato da un gruppo di
cavalieri, costretto ad aspirare dall'ampolla la saggezza perduta. E la guarigione si compie.
Comincia per Orlando la redenzione: sconfitti ad Arli e a Diserta, i Saraceni si rifugiano in un'isola
deserta, Lipadusa, d'onde Agramante manda un'ultima sfida ai cristiani proponendo di decidere la
guerra con un duello di tre contro tre. Gradasso e Sobrino si schierano a fianco del re da parte
saracena; Orlando, Oliviero (v.) e Brandimarte (v.) raccolgono la sfida da parte dei cristiani, e
vincono, sebbene il trionfo sia amareggiato dalla morte di Brandimarte e dalla disperata angoscia
della sua dolce Fiordiligi (v.). Ma il poema non termina qui; perfettamente rinascimentale, e quindi
cortigianesco, esso ha un altro protagonista che rappresenta il tributo del poeta alla sua epoca pi
ancora che al suo signore. A questo eroe, a Ruggiero, immaginato capostipite degli Estensi, spetter
la conclusione. Ruggiero un saraceno che gi appariva nell'Innamorato e, negli ultimi canti di quel
poema, si innamorava, ricambiato, di Bradamante (v.), vergine guerriera sorella di Rinaldo. Nel
poema ariostesco questa figura sostanzialmente pallida, quasi nuovo Enea (v.), porta tuttavia con s
un mondo magico che la circonda solo esteriormente, che non nasce dalle esigenze della sua
individualit di personaggio, quasi sovrapposto a lei, ma che nelle mani del poeta diventer
meraviglioso motivo di fondo sulla cui luce iridescente finiranno con l'aggirarsi tutti i personaggi
del poema prendendone un pi vivo risalto. Di questo mondo magico, Ruggiero semplicemente
l'"occasione", cos come la sua apologia cortigianesca l'occasione di tutto il poema; ma
improvvisamente i motivi, dapprima quasi decorativi, creati per giustificare in qualche modo questo
personaggio psicologicamente povero di vita, diventano essenziali nel Furioso fino a costituire
simbolicamente la magia di quell'ideale che tutti i cavalieri perseguono, a cui tutti cercano
innalzarsi, e che rimane limpidamente, ironicamente irraggiungibile al di sopra delle loro vicende.
Artefice diretto di questa magia la figura forse pi sibillina del poema, il vecchio incantatore
Atlante che di Ruggiero ha cura, che lo sa destinato alla conversione e alle nozze con Bradamante,
seguite presto da una morte precoce, e che cerca di sottrarlo alla sua sorte. Dapprima egli tenta di
trattenerlo in dolce prigionia nei regni della fata Alcina, dove gi altri cavalieri sono giunti
rimanendone trasformati in alberi o piante; poi costruisce per lui il palazzo dalle vane apparenze,
dove rimarr anche dopo che Angelica avr liberato gli altri cavalieri per esserne tratto pi tardi da
Astolfo. Questo continuo invito all'illusione, con cui il vecchio mago cerca distrarre il predestinato
dal dramma del mondo, si rifrange cos sulle vicende degli altri, e, mentre esalta nella vita la bella
evasione del sogno, irride poi sottilmente alla vanit del tutto. Al di fuori di questa magia, le
avventure di Ruggiero e di Bradamante formano un parallelo, in senso inverso, con quelle di
Orlando e di Angelica: Bradamante, aiutata dalla buona maga Melissa, va inutilmente in cerca di
lui, inconsapevole
strumento del suo destino, cos come Angelica sfugge il suo disperato amante, ma di continuo i due
innamorati sono divisi. Ritrovatisi dopo che Astolfo ha fatto cadere il castello incantato, sono presto
distolti da nuove avventure: Bradamante scompare nell'inseguimento del traditore Pinabello,

Ruggiero, dopo varie vicende, andr con Marfisa (v.), Rodomonte (v.) e altri Saraceni in aiuto ad
Agramante, a cui ha giurato fedelt. Ma nel campo saraceno sorgono presto discordie, per volere
divino: Ruggiero uccide in duello Mandricardo, ma rimane a sua volta gravemente ferito; non pu
dunque raggiungere Bradamante la quale, sapendolo in compagnia di Marfisa, anch'ella vergine
guerriera, che pi tardi si scoprir essere sorella di Ruggiero, tormentata dalla gelosia.
Imbarcatosi, infine, per seguire in Africa il suo re, gettato da una tempesta su di un'isola dove un
eremita lo converte al cristianesimo. Morto Agramante, Ruggiero potrebbe coronare il suo amore;
ma Bradamante stata promessa a Leone, figlio dell'imperatore di Costantinopoli: si svolge cos
l'ultima vicenda del poema, di sapore prettamente romanzesco, in un clima bizantineggiante che si
stacca alquanto dai canti precedenti. Andato in Oriente per combattere il rivale, Ruggiero preso a
tradimento, e sarebbe ucciso se non lo salvasse proprio Leone, ammirato della sua forza. Tra i due
presto legato un patto di fraternit e, quando si apprende che re Carlo conceder Bradamante a chi
sia capace di vincerla in combattimento, Ruggiero, richiestone da Leone, ignaro dell'amore che lega
il cavaliere alla guerriera, accetta di combattere per conquistare la fanciulla all'amico. Vince, infatti,
e subito, disperato, fugge in una selva attendendo la morte. Giunge ancora la maga Melissa, fa
conoscere a Leone la verit, lo convince a rinunziare, e infine Bradamante e Ruggiero sono sposi.
Siamo all'ultimo episodio: a turbare le nozze irrompe l'ultimo dei grandi guerrieri saraceni,
Rodomonte, che accusa Ruggiero di fellonia, un ultimo duello - e uno dei pi tragici - e la morte di
Rodomonte concludono il poema. A queste vicende fondamentali altre se ne intrecciano,
numerosissime, nelle quali consiste, non meno, la vitalit dell'opera. Tutte magiche sono le
avventure di Astolfo: la sorte si diverte a dare al meno valoroso dei guerrieri cristiani poteri
soprannaturali che gli permettono sempre clamorosi trionfi. Per magia egli fugge al regno incantato
della maga Alcina, per magia sconfigge innumerevoli avversari col suo corno fatato, per magia
dissolve il castello di Atlante: e, per di pi, egli spesso inconsapevole di questi suoi poteri, crede
in buona fede al suo valore. Cos che, in tutto il poema, Astolfo sembra rappresentare la comicit
del magico, ma una comicit piena di misura e di dissimulata arguzia. Tutte violenza sono invece le
vicende di Rodomonte, il pi terribile dei Saraceni, che domina talora con la sua facinorosa furia.
Ma, se nell'assedio di Parigi egli riesce forse a darci la pi potente immagine di truculenza che,
dalla pi antica epica, si sia mai espressa attraverso il suo tipo, questo personaggio sa uscire
inaspettatamente dall'unitonalit a cui sembrava destinato. Respinto dalla vezzosa Doralice, che gli
preferisce Mandricardo (v.), questo semibruto cade in una profonda crisi sentimentale e si apparta in
un cupo eremitaggio presso Montpellier, maledicendo l'amore. Ed ecco affiorare da questa vicenda
il dramma forse pi singolare di tutto il poema: giunge Isabella - la fanciulla gi salvata da Orlando,
una di quelle figure di limpida femminilit di fronte alle quali il sorriso ariostesco si vela di
tenerezza - dinanzi al furente eremita. Il suo amato Zerbino le stato ucciso da Mandricardo mentre
egli tentava difendere le armi di Orlando, abbandonate alla rinfusa nella boscaglia dal folle paladino
e da lui raccolte: a lei non rimane che la sua soavit e la sua pena. Rodomonte, appena vede la bella
afflitta, dimentica a un tratto la sua improvvisata misoginia; ma ella decisa a difendere in ogni
modo la propria purezza. E tenta un tragico gioco: se il pagano la rispetter, ella gli dar un filtro
che lo render invulnerabile. E crede, Rodomonte, con ingenuit insieme fanciullesca e bestiale;
lascia che la fanciulla prepari il magico infuso, per suo stesso invito fa prova su di lei della virt del
falso filtro menando un gran fendente sul fragile collo che ella gli porge. Solo dinanzi a quel capo
irrimediabilmente spiccato dal busto comprende, e un'improvvisa avidit di espiazione lo travolge,
una forsennata mistica si schiude nell'animo di quello stolto, che eleva alla morta un grandioso
sepolcro. Luce che per un momento invade assurdamente il pi brutale dei guerrieri, cos come
assurdamente la bestialit aveva potuto travolgere in Orlando il pi puro degli eroi. Le avventure
d'amore si moltiplicano, d'altronde, nel poema che ha per motivo centrale un'amorosa insania; nel
vasto vagabondaggio di questi guerrieri che scorrazzano per il mondo nella sca o a capo di
migrazioni di popoli, l'amore appare come l'estro sempre vivo che spinge ognuno nella sua errante
fatica: un amore che pu essere eroicamente patetico come quello di Isabella e Zerbino, trepido di
sentimentalit come quello di Fiordiligi e Brandimarte, passionale e drammaticamente agitato come
il legame che stringe Olimpia e Bireno, fatuo, sensuale e pur gentile in Doralice e Mandricardo,

meravigliosamente illogico in Angelica e Medoro. Ma, pur nelle sue varie sfumature, un amore
che rimane sostanzialmente elementare, sotterraneo richiamo dei sessi, forza primigenia e
impersonale che sospinge l'uomo cos come lo sospingono le sue cieche esigenze di guerra, di
migrazione, di avventura. E si delinea in tal modo quello che, nel Furioso, appare come il motivo di
fondo: il contrasto fra l'individuo conscio di s, della sua volont, dei suoi ideali, e una fatalit
cosmica che tutto lo avvolge e a cui egli segretamente sottomesso. Solo che questa forza non il
fato dell'antica Grecia, una verit capace di sbigottirci se ci fosse possibile considerarla in se stessa,
ma che, per fortuna, si palesa solo per accenni, solo sfiorando l'uomo invece di distruggerlo,
bonariamente ammonendolo della vanit dei suoi sforzi senza tuttavia togliergli la generosa
illusione dei suoi ideali. Per questo, a tratti, ma con insistenza, dopo tante valli ridenti, e boschi, e
fiumi, e colorite fioriture, appare nel Furioso un'isola deserta dove l'eroe viene sbattuto da un
destino improvvisamente severo. E l tutto squallore: l'incanto delle forme scompare di fronte al
dramma dell'essere, la natura diventa tragica solitudine in cui l'uomo deve scegliere tra la
disperazione e il colloquio con Dio. In una di queste isole avviene il duello dei sei guerrieri che
conclude virtualmente il poema; ed questo, salvo alcuni momenti nell'ultima lotta tra Ruggiero e
Rodomonte, l'unico vero duello del Furioso, il solo in cui l'uomo ha dinanzi a se una vera morte e,
oltre quella, il senso dell'eternit. Ma la natura non solo intorno all'uomo, col suo sorriso
imperturbabile e allettante e la sua terribile impassibilit: dentro di lui, dietro la sua anima e la sua
volont, fondo cieco di lui stesso, dal quale possono scaturire all'improvviso insospettabili brutture
o frane di tenerezza: l'uomo dei primordi che continua a vivere entro l'uomo civile e ora lo strappa
dalle mete raggiunte ora viene al suo soccorso riportandogli intatta una antica innocenza. Da questa
concezione iniziale che investe di s tutto il poema, nasce il vero fatto nuovo introdotto dall'Ariosto
nella grande narrativa: quel senso della prospettiva che fa vivere i personaggi non solo nel
susseguirsi delle loro vicende ma anche nel sovrapporsi in profondit dei loro stati d'animo e delle
loro creazioni. Non a caso l'Orlando furioso nasce poco dopo che i grandi pittori hanno scoperto
prospetticamente lo spazio: l'epica medievale rappresentava in superficie, per vasti affreschi,
condensando nel personaggio, fin dal primo apparire, tutta la sua storia. Cos ci si presentano le
figure dantesche: complete e immutabili nel loro primo gesto o nella loro prima parola; e, quando le
abbiamo viste o sentite, le conosciamo tutte: nella loro eternit non rimane posto per l'imprevisto.
Ma i personaggi del Furioso si completano a mano a mano che ci vengono incontro come da una
lontananza, prendono forma dal sovrapporsi di imprevedibili e contraddittorie forme che di volta in
volta vengono ad assumere. Non si conosce Angelica fino a che l'incontro con l'amore non la
trasforma; Orlando diviene personaggio completo solo dopo l'esperienza della follia e della
redenzione; Rodomonte spezza bruscamente il suo tipo statico di violento per palesare in s
impensabili capacit di religioso rimorso. E il poema stesso trova la sua unit e il suo significato
solo quando lo si guardi in prospettiva, nel gioco di tutti i suoi episodi discordi, nel suo susseguirsi
di sorrisi e di commozioni, di risate e di sgomenti. In questo stratificarsi di primi piani, i personaggi
sembrano perdere la loro coerenza cos come sembra perderla l'idea stessa dell'uomo; ma, in realt,
un'altra coerenza si delinea entro un pi complesso dramma: da questo momento la faticosa lotta
dell'uomo per la sua salvezza non pi un fatto chiuso nella sola coscienza dell'individuo,
un'elementare e limitata contesa tra i suoi egoismi terreni e la sua sete di divinit,
ma una smisurata vicenda a cui partecipano tutte le energie del mondo. Per primo l'Ariosto riesce a
vedere la creatura umana non pi in funzione della sua sola volont ma fatalmente coinvolta in un
dramma di natura, che ora la travolge, ora da lei travolto, condizionata da reazioni incontrollabili e
irriflesse, elemento di un vasto sommuoversi il cui centro di gravit non nell'individuo ma nel
cuore dell'umanit e dell'intero creato. Trovi racchiuso, in questo poema scritto per gioco, lo spirito
tragico ed eroico di quel naturalismo rinascimentale che, con il Bruno, vedr cadere i ponti tra gli
animati e l'inanimato e dominare un'unica grandiosa vicenda insieme miserabile e insigne, dove, tra
contraddizioni e affermazioni, tra redenzioni e sconfitte, tra certezze palesi e segrete verit, la cecit
primordiale del creato diventa luce. Ma, a tutto ci, la reazione poetica dell'Ariosto non di furore
eroico n di sbigottimento: creatura di quel primo Cinquecento dalle grandi illusioni e dai grandi
errori, dalle corti splendide dove la continua presenza della bellezza induce a muovere con passo

leggero verso effimeri ideali di potenza, egli non sente la tragicit del suo mondo. La sua reazione
tutta sorriso: un sorriso che non di ironia quanto di compiacimento. Al pari dei pittori del suo
tempo, l'Ariosto pu raccogliere attorno a una scena di orrore o di angoscia chiarissimi spazi, e
campagne, e rivi, e trasparenze lontane di cieli: pu rappresentarci Olimpia o Angelica incatenate
alla roccia, preda dell'Orca marina, e tuttavia indugiare in due meravigliosi studi di nudo, sentire
come elementi di una stessa realt lo strazio degli animi e la chiara magnificenza delle carni. Il tutto
si fonde sotto la specie del decorativo, che non esteriorit ma gioia consapevole e colta: il cupo
dramma dell'uomo, che il Medioevo vedeva limitato in un'ascesi solitaria, trabocca ora in una natura
animata e vivente che fa penetrare nell'intimo dell'individuo le sue esigenze e insieme lo ricrea con
le sue apparenze smaglianti, che lo rende assurdo solo per farlo partecipare a quella coerenza che
non del singolo ma del tutto. E si delinea cos uno scetticismo positivo, in cui germinerebbe il
seme di una pi vasta mistica se il poeta non si tenesse discosto da questo fatale maturare, se non si
rifiutasse di impegnarvisi per goderne pi leggermente le possibilit e le forme. Solo per chi cieco
a questo spettacolo, solo per chi si affatica a isolare rigidamente l'assoluto bene o il male assoluto,
solo per l'antica larva dell'eroe senza macchia e senza debolezza, separato dagli altri da un abisso di
perfezione, sorride ironico l'Ariosto: momento critico a cui lo induce la festivit di un mondo
appena scoperto e che appariva infinitamente pi ricco e pi vasto di quello della tradizione antica.
U.D.osto non pu avere gran parte tra i lirici; comunque egli sempre per mistero di stile
l'isolatissimo, l'irraggiungibile; il pi completamente segreto nelle sue intenzioni, nei suoi mezzi,
nei suoi veri ed ultimi effetti; il pi incollocabile, ch non ti riesce ancora accertarti se ti viene da
parte dell'Angelo o dell'avversario. (M. Bontempelli)

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