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Marco Mazzeo
Melanconia e rivoluzione:
antropologia di una passione perduta
Indice
Introduzione
La melanconia un ritorno al futuro: un altro
mondo possibile
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Appendice
Il corpo di Aiace: iconografia di una introversione
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Bibliografia
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quegli strani animali, bipedi e implumi, che noi siamo. Il melanconico anomalo, dice Aristotele (anmalos, cap. I): non solo
non conforme alla regola in vigore, ma in grado di trasformarla rendendola altro da quello che ora. Chi tormentato dagli
eccessi della bile nera ha il pregio e il difetto di essere diverso da
s stesso. Non dunque fiore allocchiello di chi si fa vanto della
propria coerenza di condotta, ma non neanche strumento docile delle mire oscure del sofista: non inganna mai gli altri pi di
quanto non inganni s stesso. Le accuse mosse a questa passione
da molta filosofia politica contemporanea, dalle estrazioni teoriche pi diverse (da Paul Gilroy a Judith Butler), sono a dir poco
ingenerose: schiacciano le possibilit emotive offerte dalla bile
nera su uno solo dei possibili esiti, la rimozione rancorosa della
propria identit culturale, linguistica o di genere. Il melanconico, invece, maniacale, prosegue Aristotele (maniks, cap. II):
preso dallazione. Non semplicemente impulsivo, sa che alcune
delle potenzialit umane emergono solo allinterno della prassi.
Secondo questa accezione originaria, il melanconico pi prossimo alle alterne vicende sensomotorie dellatleta che allo struggimento interiore del romantico. Quando sono in grado di saltare
lasticella che si trova qui di fronte a me? Sono in grado di saltare
solo dopo aver compiuto il salto con successo e aver superato la
misura. La melanconia protagonista di una torsione vertiginosa
nella quale la potenza cede il passo allatto. Nulla di misterioso:
si tratta di un fenomeno tipico dellapprendimento, quel che lo
psicologo L. Vygotskij chiama realizzazione dello sviluppo prossimale. Per imparare, a volte, bisogna fare il contrario di quel che
consigliano le nonne: necessario che il passo si faccia pi lungo
della gamba. A tal proposito, la psicoanalisi rischia di porgere la
mano alla melanconia per poi farle lo sgambetto: per un verso,
lha messa al centro delle sue linee di ricerca (da Freud a Klein,
da Abraham a Recalcati); per un altro ha messo da parte le possibilit creative del suo volto maniacale concentrandosi soprattutto sullapparentamento con il lutto. E cos dopo aver fatto della
bile nera una sostanza vicina allaccidia e alla tristezza, questa
divenuta simile pure alla sostanza scura e soffocante che affligge
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Nota editoriale
Alcuni capitoli del libro hanno conosciuto una prima pubblicazione, sperimentale
e incompleta. Il capitolo I rielabora larticolo Melanconia in AA.VV., Passioni della
crisi, manifestolibri, Roma 2010, pp. 123-139. Alcuni paragrafi del capitolo II
compaiono sotto il titolo Della mania e del cambiamento: perch Abraham meglio di Freud nel volume curato da Felice Cimatti e Alberto Lucchetti, Filosofia e
psicoanalisi, Quodlibet, in corso di stampa. Una bozza del capitolo IV, pi breve e
piuttosto lontana da quella attuale, stata pubblicata nel 2008 sotto il titolo Imprecisione del limite: contraddizione e melanconia, nel Bollettino filosofico delluniversit della Calabria, 24, pp. 182-194.
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1. Lanomalia: antropologia
delle passioni melanconiche
Senza pi melanconici,
vivremmo in un mondo in cui
tutti accetterebbero lo statu quo.
E.G. Wilson
Sia lanalisi della melanconia di matrice postcoloniale (Gilroy) che di genere (Butler) sembra risentire di un problema che
ha nome e cognome: Sigmund Freud. Il fondatore della psicanalisi affronta il concetto di melanconia per uno scopo preciso
e, per questo motivo, limitato. Freud, lo vedremo meglio nel
prossimo capitolo, ha bisogno di uno strumento teorico in grado di chiarire le dinamiche psichiche di un gruppo specifico
di casi. Lutto e melanconia un testo efficace proprio perch
circoscritto. Lequivoco nasce quando si considera questa trattazione per quel che esplicitamente non (Freud, dunque, non
ne direttamente responsabile): una descrizione completa della
fenomenologia melanconica in grado di esaurirne il significato
psichico e antropologico.
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Credo che questa considerazione unilaterale della melanconia sia fuorviante per due ragioni di fondo. La prima di ordine generale: qualunque passione umana pu essere descritta,
in modo arbitrario ma sicuramente suggestivo, esclusivamente
nel suo volto deforme e osceno. Basta parlare di amore e pensare alluso che ne fa Joseph Ratzinger, di odio e descrivere le
ideologie fondate sulla purezza della razza, citare langoscia e
portare la mente agli affanni del piccolo borghese tormentato
dallindecisione sullandare al mare o in montagna. Mettere in
scena le deformit melanconiche utile solo se questo lavoro lo
si compie in via preparatoria per mostrare anche le potenzialit
di uno stato danimo che, come ogni passione umana, non
irenico (non serve George Orwell a ricordarci che facile uccidere in nome dellamore o Silvio Berlusconi a farci rabbrividire
con una parola di per s splendida come libert). La seconda
ragione pi specifica, perch riguarda in modo particolare la
melanconia. Per capirlo occorre avere un po di pazienza e fare
un passo indietro.
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4 Melanconia e rivolta
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si muove pi per indizi che per prove. Il saggio, almeno allinizio, si muove coerentemente con questa premessa. Il testo, per,
procede per riprese successive e approfondisce i vari aspetti del
malessere melanconico con toni e intenti piuttosto discontinui.
Dal lavoro sperimentale di Freud emerge un quadro complesso
riassumibile in otto punti fondamentali: quattro possono essere
definiti progressivi, cio utili a chiarire il potenziale antropologico della melanconia; quattro sono di marca nettamente regressiva poich contribuiranno a rafforzare cecit e rimozioni circa
questa passione allinterno della riflessione occidentale. Questo
pareggio prende le mosse da un presupposto: la melanconia
uno stato luttuoso, patologico perch cronico. La melanconia
il lutto che fa cortocircuito con s stesso perch non si sottopone
allesame di realt, cio non ritira dalloggetto scomparso (il caro
defunto, il marito che abbandona la sposa sullaltare, lideale illusorio: questi gli esempi di Freud) lenergia pulsionale che su di
esso stata riversata. Per far ci, il melanconico si identifica con
loggetto perduto, ad esempio con il caro estinto. Una identificazione che produce due effetti. Il primo paradossale: Il paziente
consapevole della perdita che ha provocato la sua melanconia
nel senso che sa quando ma non cosa andato perduto in lui
(ivi, p. 104). Il secondo strutturale e costituisce il primo dei
due tratti universali attribuiti da Freud alla melanconia. In contrasto con la timidezza dellincipit, Freud chiede al lettore che
gli sia consentito prendere in esame per un momento ci che la
sofferenza del melanconico ci permette di arguire sulla costituzione dellIo umano (ivi, p. 106). Lidentificazione con loggetto
scomparso fa s che le critiche e laggressivit che il melanconico
gli indirizza contro diventino forme autocritiche, rimproveri rivolti a s stesso. La melanconia la struttura emotiva alla base
di quel che Freud chiama coscienza morale e che in seguito
definir Super-Io.
Loscillazione netta: per un verso la melanconia e il suo
accostamento al lutto costituiscono una sperimentazione che
riguarda un gruppo limitatissimo di casi; per un altro si descrivono le modalit di costituzione di una delle grandi isti32
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Certo, nel testo fanno capolino ipotesi in grado di riequilibrare, almeno parzialmente, il quadro. Dopo aver individuato nella melanconia una struttura potenzialmente universale
(il suo ruolo per lo sviluppo del super-Io), poche righe prima
Freud propone anche per la mania unesperienza universale
di natura economica. Si ha gioia, il giubilo e il trionfo []
quando qualcosa che fa s che un grande dispiegamento di energia psichica, sostenuto a lungo o trasformatosi in abitudine, a
un certo momento diventi superfluo, quando cio una lotta
lunga e difficile coronata da successo.
lunico caso nel quale la mania appare non solo in termini
patologici e in grado di dire qualcosa di antropologicamente
significativo. Ecco quindi un risultato del quale fare tesoro: la
mania legata al sollievo per la lotta rappresentata dalla nostra
esistenza. Brusco e immediato, per, il rientro nei ranghi: la
mania, la dimensione che darebbe accesso al mondo pratico,
descritta da Freud secondo due coordinate di fondo. La prima ribadisce che il suo ruolo teorico comunque quello della
comparsa: mentre esistono melanconici non maniacali, non si
danno soggetti maniacali che non siano melanconici (Freud,
1917, p. 113). La seconda asserzione sviluppa le premesse
della prima: i prototipi indicati per chiarire cosa intenda con
comportamento maniacale sono tendenziosi. Come abbiamo
visto, Freud sottolinea che gioia, trionfo e giubilo [] costituiscono per noi i prototipi della mania (ibidem). Ma poi
si concentra solo sul trionfo immotivato, la forma pi chiaramente delirante dei tre: la mania non altro che un trionfo
di questo genere, solo che anche questa volta lIo ignora quali
prove ha superato e perch sta cantando vittoria (ivi, p. 114).
La mania sostanzialmente una sbornia, un avvelenamento da
vino: Anche lubriachezza, che appartiene al medesimo ordine
di fenomeni, prosegue Freud, pu essere valutata allo stesso
modo (ibidem). Da qui in poi verranno proposte altre ipotesi,
titubanti e poi smentite. Quel che importa che ormai loccasione persa. La melanconia riassorbita dal lutto e dalle sue
tristezze, la mania confinata tra i fumi alcolici di chi ecceMelanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta
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differente e meno convincente. Per due ragioni. La prima riguarda la diversit semantica che esiste tra mancanza e perdita.
Entrambe le nozioni indicano una privazione, ma solo la seconda
suggerisce un possesso precedente: perdo qualcosa solo se lho
avuto, almeno transitoriamente. Che cosa gli umani avrebbero
perso? Nel suo commento a Lutto e melanconia la psicanalista
Maria Melgar (2007, p. 121) lo sintetizza cos:
La psicoanalisi ha scoperto che per la costruzione dellapparato psichico e linguistico, delle funzioni dellego e della libert
del soggetto di provare emozioni, immaginare e creare, necessario perdere gli oggetti della necessit (need) e dellamore.
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Nello specificare che questa forma attiva non una negazione maniacale della ferita melanconica (ibidem), Recalcati
ripropone il paradigma freudiano, seppur sotto la curvatura offerta da Lacan. Da ci segue la svalutazione del polo maniacale,
considerato solo in termini disfunzionali. Si potrebbe obiettare
che forse si tratta solo di un modo diverso di intendere i termini
in gioco. La parola mania qui intesa solo in senso dispregiativo per coerenza con la terminologia adottata da Freud. Ci non
vuol dire che non si riesca a intravedere il risvolto pratico e attivo
della melanconia, che poi quel che veramente ci sta a cuore.
La melanconia attiva, in effetti, sembra costituire il modello del
quale andavamo in cerca: non uno sfogo reattivo e inconcludente
alla perdita, ma unazione costruttiva per mezzo di atti innovativi
e pubblici, come accade quando si lavora a un dipinto. Certo,
si tratterebbe sempre di un caso vicino alla nozione di genio,
sempre di Van Gogh si sta parlando, ma non occorre, si potrebbe ribattere, andare troppo per il sottile. Laspetto interessante
della manovra argomentativa di Recalcati, significativa perch
opera di una delle voci pi autorevoli della psicoanalisi lacaniana, consiste invece nella progressiva e spietata neutralizzazione
del potenziale innovativo insito nella melanconia. Se Van Gogh
rintraccia nella pittura la forma attiva della propria melanconia,
Recalcati ribadisce che questa strada in realt non percorribile.
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta
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Larte avrebbe a che fare non con il sintomo freudiano, una formazione dellinconscio che tende a dividere e a destituire lIo, ma
con un sinthomo, come lo chiama Lacan, cio una formazione
egoica che identifica il soggetto e gli rende possibile avere un
nome proprio (ivi, p. 77). Fuori dal gergo: una formazione che
consente allindividuo di costruire il proprio percorso di individuazione specifico e irripetibile. Si tratta infatti di una praxis,
[] una operativit. La finalit del sinthomo quella di dar luogo
a unopera che fa consistere un soggetto privo dellausilio del Padre
(ivi, p. 78. Il corsivo nel testo). Perfetto! Non era proprio quel
di cui andavamo in cerca, una melanconia non pi accidiosa? Poco dopo, per, ci si affretta a dire che il valore di sinthomo possono averlo le opere di Joyce, ma non quelle di Van Gogh. Purtroppo lidentificazione melanconica impedirebbe questa forma
di riparazione alla perdita di iscrizione di un ordine simbolico. In
termini freudiani: neanche il lavoro artistico consente di uscire
dal lutto cronico nel quale Van Gogh immerso, di costruire una
vita che riesca a evadere dalla cortina di ferro imposta da quel
nome, Vincent, che adombra la figura del fratello scomparso. Si
faccia attenzione: Van Gogh fallisce nel far sua questa exit strategy
dal lutto non per un motivo devastante e aggiuntivo (ad esempio
perch soffre anche di disturbi di ordine schizofrenico oppure
per la particolare gravit della situazione familiare), ma proprio
a causa della melanconia che lo affligge. Nella melanconia, il
creatore finisce per consumarsi nellopera conclude Recalcati (ivi,
p. 88. Il corsivo nel testo). Non questa una perfetta immagine, piuttosto, della negazione maniacale di tipo disfunzionale?1
Uscito dalla finestra, il volto oscuro della mania, a questo punto
puramente patologico, rientra dallingresso principale sotto forma di neutralizzazione della prassi melanconica. La conclusione
implicita e inevitabile: una melanconia attiva non pu esistere
perch se dalla melanconia si riemerge, allora vuol dire che non
si mai stati veramente melanconici. Si tratta di una neutraliz1 Quella del consumare proprio limmagine usata da Binswanger (cfr. 5) per definire
la mania: il soggetto maniacale consuma il suo ambiente (Binswanger, 1960, p. 84).
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Riepiloghiamo. Se si estende il modello di Lutto e melanconia fino a tramutarlo in un paradigma antropologico si rischia
di costruire una immagine della natura umana tutta concentrata sulla nozione paradossale e scivolosa di perdita. Per la
melanconia, la conseguenza di questa scelta esiziale perch finisce col rappresentare, se possibile ancora pi che nel passato,
una passione depotenziata e priva di speranza.
A questo punto si profilano di fronte a noi due strade. La
prima, imboccata da Melanie Klein, prova a correggere il paradigma freudiano cercando di inserire al suo interno la mania.
La seconda propone un lavoro pi radicale perch scava dentro
la proposta freudiana alla ricerca di tracce di un modello antecedente ma dimenticato che pu consentire di evidenziare nella
melanconia una potenzialit emotiva oggi quasi insospettabile.
Vediamo, innanzitutto, perch la proposta di Melanie Klein
mantiene meno di quel che promette. Loperazione appare interesMelanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta
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sante. Specialmente nei saggi Psicogenesi degli stati maniaco-depressivi e Lutto e stati maniaco-depressivi Klein cerca di affrontare alcuni
dei problemi irrisolti lasciati da Freud e di riequilibrare la relazione
tra melanconia e mania. Lobiettivo lavorare sulla parentela con
il lutto per fare almeno un paio di passi in avanti. Il primo riguarda la collocazione della melanconia: essa non costituisce solo una
sindrome o una fase dello sviluppo (come tale unica e irripetibile)
ma rappresenta una posizione (Klein, 1935, p. 311), una forma
che la psiche umana pu assumere nei momenti pi diversi del
suo sviluppo e della sua esistenza. Nella sua apparente semplicit
la proposta consente di rileggere in maniera nuova lunico modo, o meglio uno dei pochi, nel quale stato possibile vedere la
melanconia in termini non patologici. Il concetto di posizione
pu rappresentare un sostituito efficace alla nozione di temperamento che, da Ippocrate in poi, si legata alla melanconia o
al sentimento dellaccidia, ben presto ingabbiata in una tipologia
di ordine diverso, quella dei peccati capitali (cfr. cap. III, 4). La
posizione depressiva avrebbe una precisa origine ontogenetica: nel
momento dello svezzamento, il bambino deve confrontarsi con la
perdita del seno materno e tutto ci che il seno e il latte significano per la psiche infantile, vale a dire amore, bont, sicurezza
(Klein, 1940, p. 327). Questi i presupposti dai quali parte Klein:
alla nascita lIo del bambino discontinuo e frammentato; lintroiezione di questi oggetti buoni sentita come costantemente
minacciata di distruzione sia da forza interne (lEs) che esterne.
Da qui sorge lipotesi circa lesistenza di due categorie di paure: la
prima, di ordine paranoico, legata a persecutori interni; la seconda, costituita da sentimenti di pena e angoscia, legati alla paura
di perdere oggetti per i quali ci si strugge damore. La posizione
malinconica sarebbe composta da entrambe le componenti: una
tendenzialmente paranoide e una propriamente depressiva. La parziale sovrapposizione con la paranoia fornisce unimmagine della
melanconia meno segregata dal resto della vita psichica in grado
di focalizzare meglio le sue capacit polimorfiche. Sia il lutto che
gli stati melanconici, infatti, hanno a che fare con una ripetizione
ontogenetica. Il lavoro del lutto riesce non solo quando ristabilisce
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p. 117). Freud non sembra considerare, per, che delle tre componenti principali della melanconia che egli elenca (perdita delloggetto, ambivalenza, regressione della libido nellIo) la seconda ha
una ampiezza teorica non comparabile alle altre due. Lambivalenza
costituisce la grammatica della pulsione in quanto tale, la caratteristica logica che distingue la pulsione dallistinto (Mazzeo, 2009).
Che dunque lambivalenza intervenga in pi di una circostanza non
strano. Il punto capire se nella melanconia esista una modalit specifica di manifestazione dellambivalenza. Secondo Abraham
(1924, p. 315), lalternanza tra inibizione triste ed euforia disinibita a costituire questo modo peculiare. Proprio perch egli rilegge la
circolarit della sindrome psichiatrica maniaco-depressiva secondo
la chiave psicoanalitica dellambivalenza, Abraham (ivi, p. 329) ha
ben chiaro quale sia il punto cieco della prospettiva di Freud:
Mentre Freud ha posto in rilievo e fondato laffinit psicologica fra la melanconia e il lutto normale, non ha trovato nella
vita psichica un processo che corrisponda al mutarsi della
melanconia in mania.
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La mania inquietante e tende al delirio perch abroga inevitabilmente il tu della seconda persona: incarna costantemente
quel che per il motto di spirito, un caso limite (ibidem):
In certe arguzie (si pensi ai puri giochi di parole, non diretti a
un interlocutore particolare) pu mancare la seconda persona,
il tu; in nessuna la terza persona, legli inattivo e giudicante.
Il riferimento proprio a quei giochi di parole che costituiscono, secondo Abraham, una delle vie privilegiate per il
linguaggio del soggetto maniacale. Ma c almeno un secondo
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In realt nellanalisi di Freud e Abraham proprio questo potenziale liberatorio e rivoluzionario a finire sullo sfondo. Invece di
insistere sulla relazione tra mania individuale e festa rituale (pubblica e collettiva, potenzialmente costruttiva e liberatoria), i due si
concentrano solo sugli aspetti pi retrivi del parallelo. Freud sottolinea che si tratta di movimenti liberatori prescritti dallordine
costituito, come nel caso del Carnevale: una semplice valvola di
sfogo. Abraham esplicita il senso dellaccostamento tra melanconia
e festa funebre. I riti primitivi funerari lavorerebbero a dissipare
il lutto sociale per mezzo di unesplosione libidica (cio maniacale) che porta allintroiezione delloggetto perduto, cio dellestinto
(Abraham, 1924, pp. 327-331). Le premesse dellanalogia sono gi
contenute in Totem e Tab, lo scritto pi dichiaratamente antropologico di Freud (1913, p. 144): La festa un eccesso permesso,
anzi offerto, linfrazione solenne di un divieto; il pasto totemico
[] forse la prima festa dellumanit (ivi, p. 146). La prima festa
maniacale ha a che fare con unuccisione rituale, quella del padre
capo dellorda primordiale, e con la sua introiezione cannibalica.
Il paragone tra melanconia individuale e melanconia delle masse
interessante perch lascia sul tavolo unequazione decisiva e rude,
utile per comprendere il perch dello sfortunato destino toccato
in sorte alla mania e agli stati melanconici. Questo aspetto del
teorema melanconico di Freud e Abraham pu essere riassunto
cos: i popoli primitivi sono tali sia dal punto di vista tecnologico
che psichico poich passano allatto l dove noi ci limitiamo a un
movimento psichico. Mentre i pazienti malinconici incorporano
loggetto perduto nella loro psiche, i primitivi lo incorporano fattivamente introducendolo nel corpo come pasto. Il ragionamento
si basa sul presupposto che il passaggio allatto sia sostanzialmente una forma primitiva e, come tale, incivile. Il cannibalismo costituirebbe una forma melanconica, di introiezione di quel che
perduto; di converso, la melanconia costituirebbe una forma pi
primitiva e barbarica del lutto.
Il volto maniacale della sindrome studiata da Freud e Abraham incarnerebbe quel che nel rito rappresentato dalla festa
orgiastica connessa allantropofagia, mentre lesperienza indivi52
duale del lutto corrisponderebbe al pianto funebre sociale (come detto esplicitamente in Lutto e melanconia: Freud, 1917, pp.
107-108). Abraham (1924, p. 302) a tal proposito chiaro: La
melanconia rappresenta una forma di lutto arcaica. Il termine
arcaico contiene, qui, un implicito giudizio di valore: uno stato
barbarico che necessita un superamento. Sulla testa della melanconia incombe, pesante, lo spettro di uno stato di natura alla
Hobbes nel quale gli umani mangiano altri umani come fossero
lupi. Eccoci giunti finalmente al nodo cruciale, allambivalenza
che anima il trattamento psicanalitico della melanconia. Per un
verso, se si scava fino in fondo si attua un rovesciamento. Non
la melanconia a derivare dal lutto, ma il lutto a costituire una
forma seconda rispetto alla melanconia. Per un altro, questo rovesciamento assume i connotati del progresso civilizzatore: noi s
che non siamo barbari perch ci nevrotizziamo invece di passare
allatto. Losservazione contiene senzaltro una porzione di verit
(meglio un tic che uno sterminio di massa), ma ci non toglie
che occorre comprendere che fine fa, in questo scenario, la dimensione pratica dellagire. Il rischio rimanere incastrati in una
morsa caricaturale3: primitivi che agiscono mangiandosi a vicenda, nevrotici immobili in attesa che qualcosa finalmente cambi.
proprio su questo punto che si chiude Totem e tab:
lespressione contenuta nel Faust di Goethe secondo la quale
in principio era lazione riguarda, secondo Freud, innanzitutto il primitivo privo di inibizioni [per il quale] il pensiero
si trasforma senzaltro in azione (Freud, 1913, p. 164), mentre il nevrotico moderno ha difficolt proprio con lagire.
significativo per che questa frase, in principio era lazione,
abbia costituito nel Novecento leffige di quella filosofia del
linguaggio che ha cercato di indagare la relazione tra parola e prassi: chiude Pensiero e linguaggio, il capolavoro dello
psicologo sovietico Lev Vygotskij; ricorre tra le pagine di Ludwig Wittgenstein quando si mette a riflettere sulla relazione
3 La ritualizzazione legata allantropofagia, ad esempio, tuttaltro che orgiastica:
Mazzeo, 2006.
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Ludwig Binswanger medico e psichiatra, studioso appassionato della filosofia di Heidegger e Husserl. Leggendo le molte pagine
che ha dedicato alla passione melanconica, si ha la sensazione che
queste letture abbiano contribuito, almeno a volte, a complicare il
quadro teorico pi che a renderlo intelligibile. Dei due libri scritti
sul tema, Sulla fuga delle idee e Melanconia e mania, il secondo
conosciuto e citato, perch pi recente ( una delle sue ultime
opere) e dichiaratamente riassuntivo. per nel primo che possibile trovare le idee pi fertili a proposito della melanconia proprio
perch, paradossalmente, si tratta di un libro parziale e squilibrato,
dedicato a un fenomeno limite, la fuga delle idee. Si tratta di uno
degli esiti estremi della sindrome maniacale al quale la psichiatria
e la neurologia di fine Ottocento dedica parecchia attenzione:
Carl Wernicke, uno dei pionieri della neurologia del linguaggio,
a proporre una delle prime classificazioni delle diverse forme di
fuga di idee alla quale Binswanger d credito. Per comprendere il
fenomeno chiamato fuga delle idee bisogna distinguere. La fuga
ordinata di idee si caratterizza per un flusso incompiuto di pensieri la cui struttura associativa principale, per, rimane in piedi.
Solo nelle due forme pi gravi il paziente perde capacit di azio54
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o uno sbandieramento, il violento strappo che prova a sbalzarci via dalla parete) ma anche pone la questione di ritrovare la
via. Nella mania estetica sembra esserci una contrapposizione
tra festa e cultura, tra movimento e riflessione ( un punto sul
quale Binswanger insiste molto). Il movimento in salita presenta invece unalleanza. Il tipo di trance tipico di chi arrampica
non riducibile n a una mera spinta a salire irriflessa (possibile
solo su percorsi semplici che come tali quasi non presentano
lesperienza dellascesa), n tanto meno a un calcolo riflessivo
(semplicemente non ce n il tempo). La dimensione tecnica
dellascesa si presenta altrettanto complessa: per un verso non
la qualit del materiale a fare la differenza; per un altro ascendere in parete significa farsi tuttuno con protesi tecnologiche.
La corda e i moschettoni, limbraco e i mezzi per assicurarsi alla
parete sono parte integrante del percorso, ne costituiscono la
modulazione, larticolazione tecnica interna. Mentre la danza
una forma despressione che affonda le sue radici nel buio del
nostro passato preistorico, la storia dellalpinismo molto recente perch legata allo sviluppo tecnico del secolo appena concluso. La vita festosa ha dunque un risvolto pratico e tecnico
che Binswanger stenta a riconoscere perch sembra dimenticare
che la festa ha un legame strettissimo con il rito. Dalle celebrazioni dei santi patroni a quelle della fertilit agricola, dai baccanali dionisiaci alle ricorrenze legate allo Stato-nazione, la vita
festosa organizzata in forme istituzionali la cui manifestazione
cronologica periodica. Anche in casi del genere la festa non
semplicemente qualcosa che accade, ma qualcosa che accade
e che riesce (o, dunque, fallisce). Lelemento di performance
presente in ogni rito nella festa vive di un cortocircuito: la festa
riesce non solo se adempie al compito (commemorare un santo,
unire la patria) ma se fa vivere unesperienza di comunanza al di
l del motivo per il quale ci si riunisce.
La seconda forma emotiva, lottimismo, costituisce il controaltare rispetto allocclusione prospettica tipica del depresso.
Trovare una discontinuit netta tra una posizione maniacale e
una visione semplicemente rosea del futuro difficile, soprattutMelanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta
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una caratterizzazione dellesodo e del suo valore politico. Esodo non significa fuga paurosa o ritirata strategica, quanto
innanzitutto ricerca di una terza via non compromissoria, di una
alternativa logica e pratica allultimatum di un bivio che inchioda. Il salto del toro mostra che esodo non significa solo evitare
lo scontro diretto e la sottomissione ma che questa forma politica pu avere diverse direzioni di fuga. Non solo verso il lato
sguarnito, in direzione opposta a quella degli avversari come nel
caso della fuga in Palestina degli Ebrei dEgitto; ma anche direttamente verso coloro che ci sono contro guardandoli negli occhi
e oltrepassandoli a pi pari.
Apparentemente niente potrebbe essere pi lontano dal salto demoniaco del sentimento dellaccidia. Come accennato (
2), liconografia classica di quel che nella dottrina della Chiesa
diventato ben presto uno dei peccati capitali una donna dimessa e dalle vesti logore che tiene in mano una torpedine, pesce
pericoloso per il suo potenziale elettrico (fig. 1). A un secondo
sguardo, per, lapparentamento meno pindarico. Non bisogna dimenticare che nella tradizione occidentale forte il legame
tra accidia e il cosiddetto demone meridiano (Agamben, 1977,
p. 5 e sgg.). Alla fine del IV secolo d.C. Cassiano (in Gigliucci
2009, p. 68) descrive cos laccidia, sesto peccato capitale:
La nostra sesta lotta contro il vizio che i greci chiamano akeda e che noi possiamo definire tedio o ansiet del cuore. Affine
alla tristezza, esso mette alla prova soprattutto i solitari ed un
nemico che attacca pi spesso coloro che dimorano nel deserto.
Disturba il monaco soprattutto verso lora sesta, assalendo la sua
anima malata con le ardentissime fiamme dei suoi accessi sempre
alle stesse ore, proprio come una febbre che ritorna a intervalli
regolari. Appunto per questo alcuni anziani lo identificano con il
demone del mezzogiorno di cui si parla nel salmo novanta.
Il passo prezioso. Condensa al proprio interno molti dei problemi che attanagliano la ricezione moderna della melanconia
mantenendo nel proprio ordito la ricchezza dellintreccio. Il rife62
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la veglia, tra il regno del tempo e quello delleternit. Come dicevo, oltre alle Sirene sono le ninfe a sfruttare la finestra atemporale
offerta dal mezzogiorno. Se la sonnolenza contribuisce ad aprire
le porte psichiche alla possessione, le ninfe sono definite dee senza sonno (ivi, p. 37) che provocano una sindrome caratterizzata
da impossibilit di movimento, afasia e mania (ivi, p. 43). Lentusiasmo ninfolettico porta al delirio profetico (ivi, p. 37) ma pi
in genere a una condizione sospesa, a met tra la veglia e il sogno.
Per Macrobio, ricorda Caillois (ivi, p. 46. il corsivo nel testo), il
fantasma propriamente quel che appare tra la veglia e il sogno
profondo. Questa condizione fantasmatica propizia per apparizioni divine ed erotiche ma anche per compiere azioni sul filo
del rasoio: terrore e ira ispirati dal dio Pan, lerotismo di ninfe e
Sirene. Laccidia della tradizione cristiana legata a doppio filo
con la demonologia del mezzogiorno. Proprio perch demoniaca
una condizione sospesa: pu portare alle rovine dellapoplessia
ma anche alla sapienza di chi sa in anticipo perch ispirato dagli
dei. Il mezzogiorno accidioso dunque il luogo immobile che
consente un salto tra mondi differenti: la fuga verso il futuro, il
passaggio tra la dimensione mortale e quella immortale. Il breve
confronto con laccidia mostra che lantropologia della mania in
grado di sottolineare la relazione che esiste tra quelli che sembrano semplici umori passeggeri (la vita festosa, lottimismo e la sospensione demoniaca) con alcuni aspetti strutturali della vita
umana. La vita festosa, ad esempio, espressione non solo dellirritabilit del maniaco ma dellirritabilit tipica di una specie intera, la nostra. Il maniaco irritabile perch uno stimolo apparentemente innocuo o privo di significato pu destarlo dalla festa
della sua vita e rigettarlo nel carattere problematico dellesistenza
umana: una paziente si lamenta del fatto che nella scodella nella
quale aveva mangiato della frutta venisse servito il giorno dopo
un cibo grasso, il semolino. Sono spiacente di non essere un bidone della spazzatura scrive con astio e disappunto (Binswanger,
1933, p. 25). Un fatto allapparenza innocuo, limpiego nella clinica dello stesso contenitore per due cibi diversi in due giorni
differenti, diventa motivo desplosione: la drammaticit dellesiMelanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta
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La forza vitale del menos e la possessione emotiva della mania descrivono due aspetti del medesimo processo. Il problema comprendere di quale processo psichico si tratti. Giorgio
Colli (1978, p. 26) propone una definizione molto bella. La
mania sarebbe la sapienza vista dal di fuori: un contatto con
forze che soverchiano lindividuo, legate agli di ma anche agli
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta
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Letimologia platonica non solo suggestiva: sottolinea leffettiva connessione linguistica tra due parole e due attivit. Tanto
lazione maniacale quanto la previsione dellindovino (la mantica) si caratterizzano infatti per due propriet di fondo. Una
rivolgersi al futuro tramite un salto: pragmatico nel primo caso (la precipitosit: cap. III, 3); cognitivo nel secondo. Laltra
consiste, invece, nellincapacit a dominare e a possedere fino in
fondo questa fuga in avanti. Nel caso dellindovino, il problema messo in evidenza dalla tradizione mitologica: il destino
di Cassandra di non esser creduta; Tiresia diventa un indovino
come compensazione perch punito tramite accecamento; pi in
generale il vaticinio e la visione hanno una struttura spesso ambigua la cui gestione tuttaltro che scontata (si pensi alle risposte
della Sfinge). Sia il maniacale che il profetico sono protagonisti
di unattivit ampiamente fuori controllo: oltre la media, ma anche estremamente pericolosa. Non a caso nella Poetica (1455a
32-34) Aristotele riprende questo doppio volto della mania. Per
un verso, mette in alternativa due qualit che nei Problemi vanno
insieme: la poetica propria solo di chi dotato (euphus) perch
duttile o del maniacale perch preso dallispirazione estatica (kstasis, altro termine che ricorre spesso nel Problema XXX). Poco
dopo, emerge anche laltra faccia della mania: Oreste ne vittima
perch perseguitato dalle Erinni per aver ucciso la madre (nella
tragedia euripidea Ifigenia in Tauride: Poetica, 1455b 14).
Lultimo passo del Problema XXX in cui compare il termine
sottolinea, infine, il carattere movimentato e irriflessivo legato a dono e persecuzione, melanconia e paranoia: I bambini,
gli ubriachi e i folli [mainomenoi] sono incapaci di ragionare
(Probl. XXX, 957a 2-3) perch la grande quantit di calore e
movimento che sconvolge il loro corpo impedisce ai pensieri
di formarsi. Il vino e la bile nera sono in grado di offrire alla
condotta umana gli esiti pi diversi. Secondo quantit e proporzioni con le quali mescolarli ad altre sostanze, i due liquidi
possono intossicare come precisa Freud, ma anche portare ad
azioni tanto innovative da costringere chi ne protagonista a
forme nuove e incerte di apprendimento. La mania corrispon74
de a una forma di possessione, una passione che apre la porta daccesso delle cose umane allingerenza divina (gli ispirati,
enthusiastikoi, sono letteralmente coloro nei quali penetrato
il dio). Se dunque la possessione indica la presenza di una forza esterna non sempre identificata, la gestione dei suoi frutti
non riguarda pi questo stato di rapimento. Aiace, compiuta lazione sacrilega e luccisione del bestiame scambiato per
i propri compagni di ventura, deve decidere cosa fare di s e
della propria vita (cfr. Appendice). Il bevitore, dopo aver detto pi di quel che avrebbe voluto, si ritrova a fare i conti con
la propria sconsiderata sincerit. Qualunque essere umano
costantemente alla prese con le conseguenze imponderabili
delle proprie azioni: una risposta data di impulso, un sogno
fin troppo esplicito, un gesto disperato e imprevedibilmente
rivoluzionario (il suicidio del giovane ambulante tunisino che
nel gennaio 2011 ha innescato i movimenti di liberazione arabi). Lelemento pi interessante della mania greca non risiede
dunque nella dinamica creativa (pi religiosa in Platone, pi
scientifica in Aristotele ma comunque oscura) quanto nel suo
residuo, in quel che resta tra le mani del suo artefice. In tal
senso, nella cultura greca sembra esserci un filo rosso che lega
la mania al lavoro dellautodidatta. Il rapimento divino lascia
aperto, infatti, uno spazio per un lavoro di individuazione tutto
umano. In un passo dellOdissea (XXII, v. 347), Femio, laedo
che intrattiene gli abitante del palazzo reale in assenza di Ulisse,
dichiara: Autodidatta [autodidakts] sono, un dio mi ha infuso
nella mente ogni sorta di canto. Con tutta probabilit, in questo passo essere autodidatti significa fare i conti con un dono
divino e/o naturale. Ma fare i conti con questo dono significa
coltivare un talento, lavorare per perimetrarlo, faticare per farlo
emergere in modo significativo e duraturo. Il collegamento con
la mania tuttaltro che remoto: entusiasmo ispirato e azione
maniacale sono due volti della stessa medaglia tanto che in un
testo tardo, risalente al I secolo d.C., questa relazione ancora tanto forte da risultare scontata. Nella sua descrizione della
melanconia, Areteo di Cappadocia, medico di lingua greca che
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta
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3. Al di l della tristezza:
melanconia e azione innovativa
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una complessit che spesso la riflessione contemporanea ha sottovalutato. Si tratta di tre personaggi che in questa storia di passioni
e manie emergeranno necessariamente stilizzati: come Il buono, il
brutto e il cattivo nel celebre film di Sergio Leone interpreteranno
ruoli diversi ma interconnessi. Per ragioni di coerenza cronologica
non seguir lordine indicato dal titolo della pellicola. Prima del
buono, cio di Aristotele, ci occuperemo degli altri due.
Ippocrate sembra svolgere il ruolo interpretato da Eli Wallach
(nel film, Tuco), il brutto: per un verso il padre della medicina
occidentale fornisce indicazioni preziose sullorganizzazione di
questo stato emotivo; per un altro ha contribuito (probabilmente suo malgrado) a generare confusione e creare diversi problemi
interpretativi. Ippocrate, bene precisarlo subito, non ha fornito
un vero e proprio identikit di questa passione. Le osservazioni degli interpreti si basano su frasi, frammenti, brevi affermazioni che
riemergono, quasi distrattamente, nei testi pi diversi. Nel caso
poi degli studi italiani la mancanza di una edizione delle opere
complete con testo greco a fronte rende lanalisi del problema
ancora pi difficile e porta ad affidarsi a stereotipi interpretativi
faticosi da controllare. Per cercare di trovare il filo del discorso mi
limiter a prendere in considerazione un paio tra i passi pi noti
e influenti sulle concezioni successive della melanconia:
La degenerazione del cervello sopravviene per via del flegma
e della bile. Li riconoscerai entrambi cos: quelli che impazziscono [mainmenoi] per il flegma sono tranquilli e n gridatori n turbatori, mentre quelli per via della bile urlatori,
perversi [kakourgoi; malvagi] e non pacifici [atremaioi: non
tranquilli, tremanti] ma che sempre compiono qualcosa di
inopportuno [akairov: fuori posto, disadatto, inopportuno].
(Sulla malattia sacra, 15, p. 231)
Lansiet [phobos] e la depressione [dusthumia] costanti sono segni di melanconia. (Aforismi, VI, 23. Traduzione di
Klibansky, Panofsky, Saxl, 1964, p. 19)
al negativo: una forma di pazzia, anzi la pi pericolosa e inquietante. Il secondo un aforisma molto citato perch, almeno al
primo sguardo, descrive la melanconia in modo del tutto conforme a quel che oggi chiameremmo depressione.
In realt entrambe le citazioni, viste da vicino, sono utili pi
a complicare il quadro che a semplificarlo. La prima anticipa una
ambivalenza che diventa ancora pi clamorosa nel secondo passo.
La melanconia una forma di pazzia, o meglio di mania. Melanconia e mania costituiscono una coppia logicamente complessa e disorientante (cap. II, 2). Nella terminologia odierna con
la parola melanconia si indica, infatti, sia il tutto che la parte:
la parola rimanda a una sindrome tendenzialmente bipolare con
un apice depresso e con un apice maniacale (melanconico nel
senso di affetto da disturbo maniaco-depressivo) ma anche a uno
dei due picchi, il pi triste e bloccato (melanconico nel senso
di abbattuto, depresso). Ippocrate dimostra che nella lingua
greca la situazione rovesciata.
Il termine generale mania. La parola indica sia la pazzia
in generale che, pi nello specifico, il comportamento del pazzo
melanconico. Gi da subito inizia un contenzioso tra melanconia e mania destinato, ancora nel XXI secolo, a rimanere aperto. vero infatti che per Ippocrate mania il genere di cui
melanconia specie, ma altrettanto vero che se si vanno ad
analizzare le varie occorrenze, tra le due nozioni emerge un grado di parentela molto stretto. Negli Aforismi, ad esempio, sono
sintomi citati spesso luna dopo laltro in un terzetto completato
dallepilessia (Aforismi, III, 20; III, 22). La mania pu essere una
manifestazione della melanconia insieme a convulsioni, cecit o
apoplessia dellintero corpo (ivi, VI, 56), mentre la comparsa di
emorroidi segno di guarigione sia per la melanconia che per la
mania (ivi, VI, 11; VI, 21).
Se il primo passo spinoso, il secondo richiede addirittura
di essere riformulato. La traduzione corrente, infatti, confortante (vedi, Ippocrate la pensa come noi una delle asserzioni
pi ricorrenti nei testi soprattutto medico-psichiatrici contemporanei) ma palesemente circolare. I due termini chiave, phobos
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta
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La traduzione di Savino anche in questo caso libera ma calzante: la distimia corrisponde a una crepa interna perch il
risultato di cose fatte, di pepragmnois, di azioni compiute. In
questo brano dellElettra, il legame tra dsthumos e praxis letterale e in evidenza. Il termine non indica un dolore depressivo
(la frase non avrebbe molto senso: non sono depressa per quello
che ho fatto), quanto piuttosto ha a che fare con il pentimento. Clitemnestra afferma lassenza di un dolore vivo per azioni
compiute perch vuole ribadire lintenzione di non riparare al
male procurato. Niente dsthumos, nessuna azione riparatoria.
La distimia non corrisponde allabbattimento depressivo, questo
pu essere solo uno dei suoi esiti (pu condurre cio allathumia,
allabbattimento). Indica piuttosto una rottura interna, dellanimo o del coraggio: come tale, pu condurre alla riparazione, alla
guerra, alla conciliazione o alla sfida ma si rif soprattutto a uno
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stato danimo rotto e sospeso tra due azioni di cui una compiuta e
laltra possibile. La traduzione che insiste sullo scoramento tende,
in altre parole, ad appiattire il significato di due termini tra loro
distinti: dusthumos e athumos. Il primo indica una frattura in corso, il secondo il risultato privativo di una mancanza.
Questa riformulazione dellaforisma ippocratico presenta il
vantaggio di non recidere il legame tra latrabile del V secolo
a.C. e la melanconia moderna e, al contempo, di sottolineare una
dimensione (quella attiva e pratica di questo stato danimo) che
rischia altrimenti di andare perduta. Quella a cui forse si riferisce
Heidegger quando definisce la malinconia un agire effettivo.
Eccoci, allora, al cattivo. Platone si occupa poco di melanconia,
la cita di sfuggita. In cosa consista appare scontato: in linea con
Ippocrate, Platone porta a compimento lidentificazione tra mania
e melanconia tanto che i due termini diventano intercambiabili.
Nel Fedro (268e), notano Klibansky, Panofsky e Saxl (1964, p.
19), luso del verbo melancholn (esser melanconico) impiegato
come vero e proprio sinonimo di manesthai (esser pazzo). Platone,
per, protagonista di un secondo slittamento semantico, ben pi
decisivo del primo perch di tipo politico. Conviene riportare per
esteso un estratto della Repubblica (573 a 5-c 10):
Ebbene, quando gli altri appetiti gli ronzano attorno stillando
aromi e profumi e pieni di corone, di vini e di quegli sfrenati
piaceri che sono caratteristici di simili compagnie; e facendolo crescere e nutrendolo fino al grado estremo, istillano nel fuco il pungiglione della bramosia; ecco allora che questo duce
dell'anima scortato dalla follia [manias] e si mette in furore. E
se sorprende in s opinioni o appetiti giudicati onesti e ancora
capaci di pudore, li sopprime e li scaccia fuori di s, finch riesce a eliminare la temperanza e a riempirsi d'importata follia
[manias]. Tu descrivi alla perfezione, disse, l'origine dell'uomo
tirannico. Non per questo, feci io, che anche da tempo antico l'Amore detto tiranno? Pu darsi, rispose. E un uomo
ubriaco, mio caro, ripresi, non ha anche lui una certa mentalit da tiranno? Ce l'ha, s. D'altra parte, l'uomo impazzito
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta
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Il passo conferma il carattere intercambiabile di mania e melanconia. Non solo: Platone propone in modo esplicito unaltra
identificazione, quella tra una figura politica precisa e lo stato
danimo dominato dalla bile nera. Il tiranno melanconico:
laura negativa legata alla paura emersa in Ippocrate si rinsalda
nella figura arcigna di chi, senza scrupoli, detiene il potere. Il
carattere attivo di questo stato danimo riemerge con chiarezza,
secondo una connotazione negativa gi presente in Ippocrate,
che in questo caso trova la sua radicalizzazione. Si tratta di una
mossa decisiva per il futuro della melanconia. La Repubblica fonda un mito talmente resistente da avere la capacit di riemergere
due millenni e mezzo dopo, nel ventesimo secolo. Negli ultimi
decenni, soprattutto allinterno dei cosiddetti studi post-coloniali, la melanconia inquadrata come una passione tutta al
negativo, di chi agisce con prepotenza e non vuole perdere la
possibilit di dominare gli altri. Seppur con sfumature diverse
e a volte in modi addirittura opposti tra loro, molti autori contemporanei considerano la melanconia il male da scongiurare:
abbiamo visto nel capitolo primo ( 2) che per Paul Gilroy la
passione di un impero, quello anglosassone, che non c pi; per
Judith Butler costituirebbe una forma di ribellione repressa e il
risultato di rigide identificazioni di genere.1 Grazie a Platone, la
melanconia sembra una passione dalla quale stare alla larga. Ma,
come si conviene per ogni eroe, quando ormai eravamo privi di
ogni speranza, arriva in nostro soccorso lultimo personaggio di
questo arcaico western atrabiliare, Aristotele. Nellaprire il capitolo XXX dei Problemi, Aristotele ci coglie di sorpresa perch
1 Esistono naturalmente eccezioni: Khanna (2003), ad esempio, sottolinea il ruolo di
istanza critica presente in questo stato danimo.
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Il melanconico lavora nellincertezza di quel che lo psicologo russo L. Vygotskij (1934) chiamerebbe zona di sviluppo
prossimale. Questa area, indeterminata per definizione, corrisponde al punto nel quale il bambino, e pi in genere ogni
discente, fa per la prima volta qualcosa di nuovo e si ritrova in
una situazione piacevole ma paradossale poich fa ci che fino
a quel momento non poteva fare. Il punto notevole perch
costituisce la connessione diretta tra il melanconico dei Problemi, vicino al vino e alla balbuzie, e quello dellEtica Nicomachea, in cui lo si descrive come un thos incontinente ma non
cattivo. Il capitolo XXX dei Problemi aristotelici si caratterizza
per una struttura curiosa poich suddiviso in quattordici paragrafi dalla lunghezza sproporzionata: il primo paragrafo, che
affronta direttamente la melanconia occupa la met del testo;
laltra met frazionata in tredici passaggi molto rapidi, spesso
lacunosi e ammiccanti. Di questi solo lultimo, a mo di conclusione, riprende il tema melanconico in modo frontale. Im3 In un bellarticolo Barbera (2006, p. 41 e sgg.) sostiene che il termine aristotelico
di solito tradotto con balbuziente (ischofons) abbia in realt unaccezione pi
ampia e probabilmente diversa e si riferisca alla nozione di voce secca, bassa
(ischofons). Le due interpretazioni non si escludono. Il passo in questione suggerisce, per, che la connotazione legata alla balbuzie non possa essere eliminata dal
termine. Altrimenti non si capirebbe come i bambini possano essere ischofonoi (di
certo hanno una voce acuta e non certo bassa o secca).
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Nel passo citato alla fine del paragrafo precedente, due verbi
si affiancano e in unoccasione sembrano darsi il cambio: dunamai (potere, avere la possibilit di) e krateo (avere potenza, controllare, avere il dominio su). Nel balbuziente e nel melanconico
emerge un difetto della dunamai che anche un difetto del kratein:
un deficit di possibilit e capacit coincide con una mancanza di
potenza e controllo. Questa doppia manchevolezza ha diversi effetti collaterali, perlomeno tre, non necessariamente negativi.
Il primo: il melanconico un disadatto. la ragione profonda
per la quale, gi in Ippocrate, il melanconico manca di kairs.
Il conflitto tra atto e potenza che caratterizza leccesso di bile
nera porta a comportamenti inopportuni. Essere akairs significa
essere disadatti alla circostanza, poter risultare noiosi, dare
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n delibera n segue leggi, illustrerebbe una situazione di caos assoluto coincidente con una sostanziale immobilit non solo legislativa
ma anche pratica. Nel testo, invece, si afferma esplicitamente che
gli incontinenti, tutti gli incontinenti quindi anche i melanconici,
possono essere abili (deins). Labilit, specifica Aristotele, tale
per cui si in grado di compiere azioni che mirano allo scopo che ci
si proposti e di raggiungerlo (ivi, 1144a 24-26). Lincontinente
ha capacit pratiche che prescindono dalla capacit di deliberare.
Il termine impiegato da Aristotele vive di una coloritura semantica che ben si attaglia a chi vive di atrabile: deins indica abilit
per derivazione da due accezioni originarie. La prima si riferisce a
qualcosa di spaventoso e temibile, spesso un timore di ordine
religioso; la seconda accezione, legata alla prima, fa riferimento a
ci che impressiona perch straordinario nel suo genere, a una potenza che pu essere legata alla divinit (Rocci, 1943, p. 420). Di
certo, allora, il melanconico pu esser abile (tanto che nei Problemi
pu essere anche il migliore). Ci nonostante il suo rapporto con
la deliberazione ambivalente. Su questo punto Aristotele sembra
contraddirsi: in un caso, come abbiamo visto, afferma che il melanconico fa parte degli incontinenti che non deliberano; in un altro
li include esplicitamente negli incontinenti precipitosi (Eth. Nic.,
1150b 19), che deliberano ma poi non perseguono, da contrapporre agli incontinenti deboli che invece si fanno prendere dalla
passione perch non deliberano. Leccessiva capacit immaginativa
dei melanconici li svierebbe portandoli lontano dal logos. Limbarazzo aristotelico sembra suggerire la paradossalit della condizione
del melanconico: egli appare capace e incapace di deliberare; il pi
istruibile e pu ravvedersi perch non sa quel che fa, perch sembra
seguire una regola che ancora non conosce.
Anche in questo caso (per altri: Mazzeo, 2009), il melanconico tende a sfuggire a categorie prestabilite perch incarna la mutabilit intrinseca al comportamento umano. Se letto con attenzione, il testo aristotelico pone questo temperamento a met tra
una categoria e laltra: latrabiliare non tra i deliberatori perch
non porta a termine il processo di deliberazione che si conclude,
secondo Aristotele, con un ragionamento vero e proprio; dallal92
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ecc.
athumia
Le occorrenze di questi termini nei Problemi XXX confermano il carattere di rottura, instabile e per questo propriamente melanconico, della distimia. Soprattutto danno conferma allipotesi
dalla quale ha preso le mosse questo capitolo: il termine greco
non costituisce lequivalente semantico dellitaliano depressione. Per capire un punto sicuramente decisivo, sufficiente citare
per esteso il passo cui accennavamo a proposito dei canti allegri e
del carattere estatico del melanconico (ivi, 954a 21-26):4
Se [la bile nera] presente nel corpo in quantit eccessiva,
induce apoplessie, torpori, depressioni [athumias], paure
[phobous]; se invece si surriscalda induce allegria [euthumias] accompagnata da canti, delirio [ekstseis], eruzione di
piaghe e altre affezioni del genere.
4 Per un altro paio di passi che indicano questalternanza: Probl. XXX, 954b 16;
955a 14-16.
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In entrambe le citazioni compare la coppia phobos-athumia che indica, non lintera dinamica melanconica (Ippocrate parla di phobos o dusthumia), quanto solo il suo vertice
basso. Daltro canto il tema del coraggio, legato allampiezza
semantica del thums, emerge esplicitamente nellaltra direzione, che procede verso il vertice alto. Ed qui che arriva
la dusthumia, nel pieno dellazione maniacale e rischiosa di
Archelao colui che riusc a sconfiggere Atene nella battaglia
navale di Siracusa. Archelao personaggio dal doppio volto:
lassassino che stermina parte della sua famiglia per salire al
trono, ma anche il condottiero capace e generoso che, dopo
aver sconfitto Atene, fornisce ai vinti il legno necessario per
ricostruire la flotta. il governante che, in politica interna, si
contraddistingue per il proprio mecenatismo (di cui si avvantaggi, tra gli altri, Euripide). Nel Gorgia (470b e sgg.), Platone fa di Archelao lemblema del tiranno cattivo e infelice;
in Aristotele, invece, la dusthumia rievoca le capacit di un sovrano scomodo, capace e illuminato. Lathumia emerge dopo,
successivamente allazione del bere (Probl. XXX, 955a 5-7):
per questo che spesso conduce al suicidio. La dusthumia, invece, uno stato danimo pi sfuggente (riguarda pochi, dice
il testo) perch emerge in un mentre, nel farsi dellazione. Per
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta
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rassegnate. Nella Seconda lettera ai Corinzi, Paolo di Tarso distingue tra due forme di tristezza (in greco lupe): una peccaminosa,
prossima alla perdita della speranza e che per questo allontana da
dio; una virtuosa legata ai propri peccati, redenzione che invece
avvicina al creatore. Per il resto, tracce di una valutazione positiva
dellaccidia possibile trovarle soprattutto quando la si considera
genericamente una tentazione e, come tale, in grado di rinforzare
la fede e le virt (Wenzel, 1960, p. 32). Gi in Evagrio Pontico
(siamo nel IV secolo d.C.), questo elemento emerge con chiarezza (Otto spiriti, 13, p. 55):
Laccidia una mancanza di tono [atonia] dellanima, ma una
mancanza di tono che non secondo natura, e che non sa resistere validamente contro le tentazioni [peirasms]. Infatti quello
che il nutrimento per un corpo robusto, questo significa la
tentazione per unanima generosa. Il vento di Borea nutre i germogli, e cos le tentazioni rendono salda la forza dellanima.
Il termine impiegato da Evagrio per definire laccidia particolarmente significativo perch conserva al proprio interno
tracce di un processo di trasformazione: atonia in greco indica un processo di esaurimento, di spossatezza. Anche per la
tradizione teologica medioevale la fatica pu essere una delle
concause che favorisce le tentazioni accidiose. Nel corso del
tempo, la semantica dellaccidia si caratterizza per inversioni
tra cause ed effetto. Nella traduzione greca del testo biblico dei
Settanta il termine akeda e il verbo corrispondente (akediazo)
sono legati alla stanchezza causata dalla malattia o dai nemici.
In Evagrio la conseguente mancanza di tono dellanima. Successivamente, tra il XIII e il XV secolo, si rafforza sempre pi
una nozione di accidia legata non alla debolezza verso dio o alla
tristezza verso le cose del mondo ma come torpore indolente e
pigrizia (Wenzel, 1960, p. 88). Questa passione ora colei che
produce indolenza e mancanza di azione, non pi la conseguenza di spossatezza o, se si risale fino a Omero, conseguenza di
quel che ha prodotto la spossatezza, cio della battaglia.
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Parlare di delitto a proposito di questa trasformazione semantica non eccessivo perch lo slittamento elimina buona
parte del potenziale innovativo della melanconia. Il suo tratto
pi fertile resta confinato e comunque sminuito nellimpiego erotico-amoroso del termine (lo reincontreremo nel 6),
mentre il suo volto pratico-politico finisce nellombra. Per capire meglio quanto decisivo sia il punto, opportuno fare un
esempio. Alla fine del IV sec. d.C. Giovanni Cassiano decide
di recarsi nel monasteri della Palestina e dellEgitto, entusiasta
di conoscere la vita di chi si rifugia in eremi lontani. Cassiano
fa esperienza diretta di quel che egli non esita a inserire tra gli
otto vizi dellanima umana: la nostra sesta lotta contro il
vizio che i greci chiamano akeda e che noi possiamo definire
tedio o ansiet del cuore (Cassiano, in Gigliucci, 2009, p.
68). Lelemento di morte legato alla parentela insito nel termine greco akeda non sparisce ma si trasforma lasciando una
lontana traccia di s: ora sdegno e disprezzo per i fratelli
(ivi, p. 69). Il non darsi pensiero diventa mancanza di pentimento (ivi, pp. 66-67):
Fu questa tristezza a impedire a Caino di pentirsi dopo luccisione del fratello e a spingere Giuda dopo il tradimento, non a
cercare di riparare la colpa ma a impiccarsi per la disperazione.
Anche quando si scorge il volto nobile della tristezza segnalato da Paolo di Tarso, lo si riduce a rimpianti dei peccati,
al desiderio di perfezione e alla contemplazione della beatitudine futura (ivi, p. 67). A predominare luscita da ogni
forma sociale perch lozio porta ad essere inerte per qualunque lavoro egli debba svolgere (ivi, p. 69). Anche nei Problemi
aristotelici si fa riferimento a una figura, Bellerofonte, che va
alla ricerca di luoghi solitari [eremias] (Probl. XXX, 953a 22).
Ma attenzione: prima di ci, il nipote di Sisifo uccide il fratello,
cambia nome (da Ipponoo in Bellerofonte), rifiuta le attenzioni
della moglie di chi lo ospita, ruba Pegaso, riceve in dono da
Atena delle briglie doro. Agisce, nel bene e nel male, nel monMelanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta
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Il ripiegamento interiore lampante: la phobia, la componente paurosa della melanconia, non pi lesito di una
fuga corporea ma lindietreggiare interiore verso la ragione.
Non la spinta che porta allesodo perch diventata la tentazione che coglie e blocca chi lesodo lha gi intrapreso e
ora si trova nel deserto a lottare con i propri demoni. Mentre
Aristotele identifica la melanconia, come abbiamo visto, con
la dusthumia relegando gli abissi depressivi della mancanza
danimo (athumia) solo a uno dei suoi possibili esiti, gi nel
6 Anche se Klibansky, Panofsky e Saxl (1964, p. 235 n. 18) hanno ragione nel dire che
Petrarca non utilizza termini teologico-morali (a tal proposito sembrano convincenti
anche gli argomenti proposti da Wenzel, 1960, pp. 155-163), la strada che egli propone
non fa certo il gioco di una valutazione complessiva dello spirito melanconico che ne
consideri il valore pratico. Anzi, il rinvio di Petrarca alla aegritudo ancora pi fuorviante perch rimanda a una malattia dellanima secondo una direttrice magari laica ma
sempre, questo il punto, depotenziata. Di fondo si rimane nella stessa logica: o creativit
di dio o indolenza terrena. Il dato di fondo rimane un altro: anche Petrarca disconosce
la natura bipolare della melanconia (Klibansky, Panofsky, Saxl, 1964, p. 235).
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una riflessione bloccata e inerte, sempre pi sconnessa dalla prassi umana con il risultato indiretto ma decisivo di fare
dellagire creativo una prerogativa sempre pi sottomessa alla divinit. La complessit della descrizione aristotelica della
melanconia paragonabile a quella di una sequenza filmica
piena di scene e azione. La tradizione successiva lavora per
tagli: isola singoli fotogrammi (il melanconico abbattuto, il
distimico isolato) spacciandoli per lintero. Nel Rinascimento
la melanconia continua a essere oggetto di questo processo di
scomposizione per sineddoche, nel quale la parte sostituisce
il tutto. Il risultato, in questa circostanza, una scotomizzazione: elitaria e sostanzialmente contemplativa la melanconia
generosa; popolare ma non creativa quella poetica-amorosa.
Secondo Klibansky, Panoksky e Saxl a Marsilio Ficino
che dobbiamo lidea del genio melanconico. Per gli autori di
una monografia classica sul tema questa sarebbe sostanzialmente una buona notizia. Contribuirebbe a rivalutare una
passione che, nel Medioevo, si era ritrovata sola in una cella
in compagnia di un monaco disperato e dubbioso. In secondo
luogo, questa valutazione positiva deriva da una convergenza
interpretativa: anche per gli autori di Saturno e la melanconia,
la melanconia sarebbe qualcosa che se non riguarda proprio
il genio (una categoria che contiene pi di una ingenuit)
apparterrebbe a qualcosa di molto simile. chiaro: la nozione
rinascimentale di genio non coincide con quella romantica.
Il termine latino impiegato da Marsilio Ficino, ingeniosus,
indica innanzitutto abilit e intelligenza. altrettanto vero,
per, che la declinazione di queste capacit sostanzialmente
contemplativa. Quel che Klibansky, Panofsky e Saxl (1964,
p. 254) definiscono il merito maggiore di questa operazione costituisce invece un problema: lintellettualizzazione
della melanconia porta questa passione pi verso il regresso
allinfinito del pensiero che verso lazione. Lassociazione tra
melanconia e Saturno fissa uno spostamento decisivo: dai cortocircuiti della deliberazione emersi nellEtica Nicomachea si
sprofonda nella contemplazione. Ficino lo dice esplicitamente
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta
105
Struggente, non c dubbio, ma del tutto impolitico. La rilettura erotica e quella poetica della melanconia, anche nei casi
migliori (come quello costituito da un testo esemplare come
quello di Agamben ma anche in Lutto e melanconia di Freud),
ci porta ben che vada allinnovazione artistica e niente pi.8 Il
punto importante perch in grado di rappresentare con finezza un elemento cardine della melanconia, cio il suo rapporto
con limmaginazione (cap. IV, 3). Ma se ci si ferma qui, si
rischia di perdere laltro aspetto innovativo legato alla prassi.
8 Alla fine, anche un commentatore fine come Jackie Pigeaud (1988, p. 46 e sgg.)
cade nella trappola: suppone che allorigine dei Problemi XXX ci sia la riflessione
su poesia e ispirazione.
107
Ex contradictione quodlibet
Pseudo Scoto
Alla fine di questa breve ricostruzione archeologica, la nozione di melanconia di Ippocrate e Aristotele risulta la pi antica ma
anche la pi fertile: piena di aspetti semantici e risvolti politici che
attendono di uscire allo scoperto. La riemergenza della melanconia greca coincide con un possibile ritorno al futuro. Il preantico
sembra portare in luce aspetti della condotta umana che stanno
riemergendo proprio ora, nel mondo postmoderno. Non si tratta
di cadere preda della nostalgia per quel che avvenuto, quanto
di rimettere a disposizione energie emotive, figure passionali che
una storia lunga e parziale rischia di schiacciare nellimmagine
semplificatoria del melanconico reattivo e incattivito che rimugina su occasioni perdute. Ancora oggi la melanconia oggetto di
un processo di rimozione la cui forza sorprendente, tanto che
anche un testo come Stanze ne resta vittima. Agamben prima
traduce lincipit dei problemi aristotelici ribandendo il carattere
non geniale del peritts (reso con distinti) e il suo carattere politico (lespressione italiana per politikn vita pubblica: Agamben, 1977, p. 16). Poi, poche pagine pi in l, il carattere pubblico della melanconia scompare misteriosamente depennato tra
le prerogative di chi affetto dalla bile nera: la stessa tradizione
che associa il temperamento malinconico alla poesia, alla filosofia
e allarte attribuisce ad esso unesasperata inclinazione alleros
(ivi, p. 20). E il suo volto politico? Dove andato a finire? Sparito, ingoiato dalla tradizione successiva. forse possibile colmare
questa lacuna utilizzando uno strumento offertoci dallo stesso
Agamben, seppur in un testo successivo. Per ripensare in modo
nuovo al melanconico dei Problemi, a met strada tra Ippocrate e
Aristotele, pu essere opportuno concepirlo come una figura etica vicina allessere qualunque, la figura della singolarit pura
108
In modo analogo, la melanconia non corrisponde per Aristotele alla rassegnazione9 poich si contraddistingue nella sua lettura
della teoria umorale per un tratto paradossale. Il melanconico non
un carattere tra gli altri (il flemmatico, il sanguigno, il bilioso)
ma il temperamento che porta a cambiare carattere, cio alla sua
costruzione (cap. I). per questo che i Problemi lo paragonano
a un volto: tutti lo hanno, caratterizza ciascuno ma contemporaneamente anonimo (Probl. XXX, 954b 26). Il qualunque ,
non a caso, ci che costruisce lthos di ciascuno: il modo nel
quale si passa dal proprio al comune e dal comune al proprio
(Agamben, 2001, p. 21), incarna il termine che indica le vie dindividuazione di ciascuno. Proprio per questo sia melanconia che
essere qualunque esibiscono una forma estatica: poich indicano
oscillazioni modali entrambi eccedono s stessi, costituiscono una
linea di sviluppo della quale non si pu essere padroni prima che
questa si realizzi. Un simile deficit di padronanza la terza cifra
9 Troviamo il termine greco apat ma per indicare la possibilit melanconica non solo di
provare paura, come ricorda Ippocrate, ma anche di resisterle: Probl. XXX, 954b 15.
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111
113
In uno dei suoi testi pi noti, la Conferenza sulletica, Ludwig Wittgenstein propone laccostamento tra una figura logica, la tautologia, e due stati danimo, la meraviglia e la sicurezza. Se ci spingiamo fino ai limiti del linguaggio e decidiamo
di arrischiarci nel terreno paludoso in cui le parole tendono a
perdere senso, scopriamo che le affermazioni etiche o religiose
sono simili a espressioni del tutto quotidiane, allapparenza
meno impegnative. Wittgenstein propone due esempi in grado
di mostrare le caratteristiche logico-linguistiche di affermazioni del genere: la meraviglia per lesistenza del mondo (quanto
straordinario che qualcosa esista: CE, p. 13) e la sensazione
di sentirsi assolutamente al sicuro (sono al sicuro, nulla pu
recarmi danno, qualsiasi cosa accada: ibidem). Si tratta di versioni della meraviglia e della sicurezza che potremmo chiamare, impiegando unespressione assente nel testo, superlative.
Esse differiscono dai loro equivalenti ordinari per un aspetto: mentre se dico mi meraviglio che oggi tu abbia indossato
quella cravatta a righe, ci avviene perch mi sono immagiMelanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta
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117
una immagine diversa della contraddizione: non la paralisi del romantico nostalgico per il quale il passato il presente, non un muro
logico come vorrebbe Wittgenstein nella sua produzione pi tarda,
ma un camminare frenetico e per questo privo di messa a fuoco.
A tal proposito lo stesso Aristotele sembra combattuto. Nella sua
discussione del principio di contraddizione impiega due immagini.
La prima coerente con lidea del muro: chi non segue il principio
paragonato a una pianta (Mazzeo, 2009) perch impossibilitato
ad agire e incapace di parlare. La seconda, invece, pi vicina al caso
descritto da Binswanger: il sofista se volesse sguazzare nelle contraddizioni dovrebbe fare e disfare contemporaneamente, dovrebbe cadere in un pozzo e credere allo stesso tempo che sia una cosa buona e
una cosa non buona cadere in un precipizio (Met. IV, 1008b 15-16).
Questultima non la descrizione del sofista ma del volto maniacale
della nostra esperienza e della sua incontinenza etica (cap. III, 3):
lanciarsi nel vuoto credendo e non credendo che sia una buona cosa.
Non ho il tempo di ponderare la scelta che lazione gi mi ha preso
la mano, il piede gi impegnato a saltare il precipizio. Paradossalmente, questo aspetto della contraddizione melanconica colto pi
dalle prime rappresentazioni teologiche della accidia che da tanta
letteratura successiva circa la passione una volta legata alla bile nera. Per Evagrio Pontico, ad esempio, limmagine della pianta non
suggerisce la paralisi legata alla tristezza o alla depressione accidiosa,
quanto la forza di chi riesce a resistere a questa tentazione. Laccidia
non corrisponde alla paralisi vegetale, quanto al vento di Borea che
nutre i germogli (Otto mali, p. 55). Evagrio getta le basi per un altro
tipo di analogia tra melanconico e accidioso, che purtroppo in seguito avr poca fortuna: entrambi assomigliano a un corpo oscillatorio,
alla rapida azione del vento che qui e in nessun luogo.
Nella sua conferenza, invece, Wittgenstein si concentra solo su
stati danimo piacevoli e quieti: la sensazione di chi si meraviglia
guardando lazzurro del cielo (CE, p. 14), la sensazione di sicurezza
di chi ha ormai scampato il pericolo (ibidem). Lunico momento
inquietante in grado di increspare il tono emotivo della conferenza
quando si ipotizza che improvvisamente a qualcuno in sala cresca
una testa di leone (ivi, p. 16). Anche in questo caso lemergenza
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta
119
rientra: si tratterebbe, secondo Wittgenstein, di qualcosa che susciterebbe sorpresa (e non terrore!) tanto che lesempio prosegue
con larrivo rassicurante di un dottore. Nel testo c qualcosa di
edulcorato e immobile che segnala una doppia mancanza: logica
(la simmetria speculare tra tautologia e contraddizione) ed emotiva (lassenza di un correlato inquieto a meraviglia e sicurezza).
possibile sopperire a questa mancanza attraverso unindagine che si
concentri sullanalisi del corrispettivo emotivo della contraddizione. Esiste la concreta possibilit che questo caso non costituisca il
semplice doppio, magari pi pericoloso e instabile, del primo ma
rappresenti un punto di vista diverso, forse addirittura pi estremo,
sui limiti del linguaggio. Propongo come candidato la melanconia.
Per un verso la melanconia lo stato danimo contraddittorio per
eccellenza: lo abbiamo visto, mania e blocco dellazione, eccesso
e difetto di azione, linguaggio, emozione. Per un altro, la melanconia offre il vantaggio di sollecitare direttamente limmaginazione.
Se tautologia, meraviglia e sicurezza mettono limmaginazione in
una situazione di stallo, la melanconia sfodera la potenziale produttivit dei suoi eccessi. Per capirlo dovremo tornare, per unultima volta, alla melanconia greca e ai suoi luoghi di origine.
"sciocco" (ivi, 954 a 31) e "geniale" (ivi, 954 a 32). Basta leggere qualche riga del testo per rendersi conto che, nell'accezione originaria, la melanconia non indica quel che oggi chiameremmo un'indole depressiva ma ha un significato pi ampio.
Esprime "un'ambivalenza termodinamica" (Klibansky, Panofsky, Saxl, 1964, p. 39): gli alti e bassi della variabilit di una
sostanza che, riscaldata o raffreddata, produce comportamenti
opposti. Nel testo proposto in modo quasi ossessivo il parallelismo tra bile nera e vino, fluidi che rivelano la variabilit del
comportamento umano (cap. III, 6). Il melanconico simile
a un ubriaco perch, come chi ha bevuto troppo, manifesta un
comportamento imprevedibile che rovescia abitudini e previsioni: il mite diventa aggressivo, il forte mostra la propria debolezza. La coppia depressione-mania, che oggi trova il suo sunto
psichiatrico nella cosiddetta "sindrome bipolare", qui emerge
con fattezze diverse. proprio Aristotele il primo a svincolare
questo stato d'animo da una concezione puramente patologica: la bile nera fornisce la descrizione primigenia della natura
umana. Il melanconico non semplicemente colui che, afflitto,
guarda l'orizzonte disarmato (come sar nelle rappresentazioni
cinquecentesche di Drer o Cranach: ci torno nellappendice)
ma colpisce chi preda di un moto oscillatorio. Labile e incostante, ogni equilibrio scompare tra euforia e abbattimento,
azione forsennata e paralisi abulica. La fenomenologia dell'ebbro melanconico fornisce la grammatica della pulsione: questa,
senza gli argini dell'istinto, ostaggio dell'incostanza dello stato d'animo e della forza impetuosa di una costituzione psichica
squilibrata (Probl. XXX, 954 b 27). L'accostamento con chi
eccede nell'uso di vino rivela una caratteristica tanto del melanconico che della nostra natura: la perdita di individuazione
prodotta dai guizzi della bile nera e dall'alcool si lega alla necessit di imbottirsi di sostanze estranee per colmare il proprio vuoto (Starobinsky, 1963, p. 12). La psiche melanconica
tradisce la necessit di sostegni esterni, di forme di appoggio e
completamento. Non a caso, in un altro testo, Aristotele l'accosta alla giovinezza (Eth. Nic., 7, 1154 b 10-15): lo squilibrio
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta
121
123
Il significato di peritts rischia di essere sfuggente, e con esso la melanconia, per almeno tre ragioni. Aristotele paragona le
oscillazioni della bile nera, la termodinamica della malinconia,
alleidos (abbiamo sfiorato questo punto gi nel cap. III, 6).
Il termine non significa semplicemente volto (come suggerisce la traduzione) ma indica, almeno nella principale delle sue
accezioni, una coppia metonimica: vuol dire sia aspetto che
bellaspetto, forma ma anche formosit. Leidos per
laspetto quel che peritts per la misura: indica una scala valutativa e, contemporaneamente, uno dei termini della scala (il bello,
il misurato). Pensiamo allespressione quel ragazzo ha un viso
espressivo. In questo caso laggettivo espressivo ha un valore
duplice. Significa che quel viso ha espressioni diverse, sia belle
che brutte, in grado di rendere il viso bello o brutto. Significa anche, per, che quel viso in grado di assumere espressioni molto
diverse tra loro. Gi per questo e aldil della gradevolezza delle
singole espressioni, quel viso ha una sua bellezza.
Il paragone con leidos permette di mettere in chiaro unaltra caratteristica del peritts. Secondo la concezione classica della
bellezza, il bello coincide con larmonia proporzionata delle forme. La bellezza una forma media che supera gli eccessi grazie al
proprio equilibrio. Allo stesso modo, peritts indica contemporaneamente due estremi di una gradazione oppositiva: si riferisce
sia alleccesso che alla mediet. La faccenda resa complessa dal
fatto che uno dei suoi estremi, la moderatezza, per definizione
quel che nel mezzo. Lopposizione indicata dal termine, dunque,
corre sul filo di una peripezia logico-pulsionale. Il termine che si
oppone per struttura logica (e non semplicemente per contrasto,
in un modo che oggi potremmo definire reattivo: dati due termini A e B, se tu scegli A io prendo B) a una estremit non laltra
estremit (di un segmento, ad esempio) ma il punto mediano (se
tra A e B tu scegli A, io non prendo B ma C):
A
peritts
124
B
peritts
4. Ai limiti del linguaggio: una passione priva di misura
Il carattere contemporaneamente estremo e mediano del peritts mostra le qualit, altrettanto paradossali, di un terzo aspetto che
riguarda una questione pi generale, propria della misurazione ma
non della valutazione dellaspetto. Il parallelo tra i due casi, forma
estetica e misura, si interrompe nel momento in cui analizziamo il
carattere potenzialmente autoriflessivo dei due termini. In entrambi i casi abbiamo a che fare con una scala graduata. Mentre, per,
nel primo i due estremi sono costituiti da termini che si riferiscono
allaspetto (bello, brutto), nel secondo gli estremi riguardano la misurazione, cio lattivit stessa del costruire scale graduate. proprio
grazie al carattere non reattivo del peritts che possibile non irrigidire lesperienza tra due semplici estremi (A contro B; letologo
direbbe attacco contro fuga) ma articolare il loro rapporto in una
infinit di gradi intermedi. Si immagini la presenza di due punti
isolati, A e B. Il carattere (anche) mediano del peritts proprio
quel che consente la formazione del segmento che, contemporaneamente, li congiunge e distanzia. Il peritts esprime il carattere
antropologico del paradosso di Zenone non per sposarne la paradossalit ma per indicarne il fondamento logico-pulsionale:
1)
3)
A
B
C
* * * * *
D
E
2)
n)
A
*
*
C
B
*
(peritts)
e cos via fino alla
costruzione del
segmento AB
(peritts) (peritts)
Questa terza dimensione del problema mostra il rilievo antropologico del peritts malinconico poich chiama in causa il
rapporto tra animali umani e misurazione. proprio perch
nascono senza misura che i sapiens possono misurare, cos come proprio perch nasce senza un sistema di comunicazione
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta
125
luogo di origine di due figure complementari: lo Zelig di Woody Allen che cambia sempre identit al fine di mimetizzarsi nel
tessuto sociale; Jacques l'Aumne, il protagonista di Suburbio
e fuga di Raymond Queneau, che immagina di fare qualunque
mestiere per assaporare ogni lato della vita umana e costruire
una identit sempre pi individuata (eccezionale nel senso di
individuato, eccentrico, ricercato).
Lo stato danimo che meglio incarna il peritts, la melanconia, non pu dunque che ripercorrerne le alterne vicende.
uno stato emotivo che rischia un continuo sfasamento rispetto
a s stesso producendo una vertigine prossima a quella prodotta dalla contraddizione. Sono paralizzato e maniacale, ebbro e
lucido, loquace e muto: emerge una specie di dialettica delle
qualit che [] cammina attraverso rovesciamenti e contraddizioni (Foucault, 1972, p. 233). Nel caso in cui le oscillazioni
giungono al culmine, questi stadi giungono a una indeterminatezza del comportamento prossima a quella prodotta dalla
sospensione di ci che il libro Gamma della Metafisica chiama
principio di contraddizione.
Da questo punto di vista la storia, labirintica e polimorfa, del
concetto di melanconia indica due crocevia antropologici in grado di suggerire perch la melanconia sia un candidato in grado
di riempire quel vuoto, logico ed emotivo, segnalato nella Conferenza sulletica di Wittgenstein. La melanconia il correlato pulsionale della contraddizione perch questultima ne descrive sia
la struttura che la causa scatenante. Per un verso, si tratta di uno
stato d'animo contraddittorio per sintomo e forma. Dal medioevo fino all'Ottocento, melanconia sar sinonimo di licantropia e
cannibalismo, vampirismo e di ogni stato al confine tra l'umano e l'animale (lo stesso Aristotele l'accosta alla "malattia sacra",
cio all'epilessia: Probl. XXX, 953 a 10; 953 b 6). L'instabilit dei
sapiens trova le forme pi diverse in figure di confine che segnalano la precariet di una identit sempre pronta a mescolanze improprie, a ritorni di fiamma di un disordine del quale la bile nera
il simbolo psichico. Per un altro verso, la melanconia lo stato
d'animo suscitato dalla contraddizione. un pastore anglicano che
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta
127
129
limmaginazione, fa il suo ritorno. Come abbiamo visto, l'indagine aristotelica si apre con l'interrogativo: Perch tutti gli uomini privi di misura [peritti], nell'attivit filosofica e politica,
artistica o letteraria, hanno un temperamento melanconico
[...]? (Probl. XXX, 953 a 10-13). L'eccesso che caratterizza chi
posseduto dalla bile nera pu avere due esiti. Il primo vanifica
l'azione: la paralizza nella solitudine di chi ride amaramente
della vita; la disperde nelle oscillazioni continue di chi cambia
sempre idea. Il secondo caratterizza la smodatezza del melanconico facendo emergere possibilit di riscatto. A tal proposito
utile citare un passo dei Parva naturalia, nel quale Aristotele
alle prese con il problema della divinazione del sonno (Parva
Natur., 466a33-b5. La traduzione mia).
I melanconici, grazie alla loro immaginazione, sono capaci di
cogliere nel segno [eustochoi] a distanza come se tirassero da
lontano. A causa della mutevole velocit delle loro sensazioni
riescono a immaginare quel che viene dopo [to ech-menon];
cos come i poemi di Filenide, anche chi colto da mania
[emmaneis] dice e pensa cose che si susseguono per somiglianza [echmena tou omoiou], come lAfrodite-frodite, e in
questo modo le loro immagini si connettono tra loro susseguendosi l'una all'altra.
Il passo conferma il carattere ambivalente della melanconia. Per un verso i melanconici hanno la capacit di cogliere
nel segno grazie alla loro febbrile immaginazione. Per un altro
sono emmaneis, soggetti maniacali che grazie alla loro velocit
rappresentativa sono capaci di collegamenti semantici arditi. I
melanconici sono violenti nel rappresentare, i maniacali veloci e mutevoli; i primi agiscono a distanza (tirano da lontano),
i secondi avvicinano tutto grazie alla loro celerit immaginativa. Aristotele mostra la duplicit di uno stato d'animo che
comprende in s sia labbattimento della disperazione che la
voracit della mania. Nel primo caso, essa segna una cesura
e una distanza che solo la forza, sempre a rischio di delirio,
130
131
Lo iato tra dire e fare, tra fare e fare, tra pensare e accadere
esemplifica le varie fratture su cui limmaginazione melanconica
lavora e produce.
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta
133
Quanto devo approssimare per avere una misura che sia precisa?
Al centimetro? Al millimetro? Meno? La fettuccia pu mettermi in profondo imbarazzo: prendo la misura e vedo che la fine
della stanza non coincide con una delle tacche del mio metro.
l, a met, tra un millimetro e un altro. ovvio: di solito, questo residuo qualcosa di innocuo, ad esso semplicemente non
facciamo caso. Ma peculiare dello stato melanconico mettere
in evidenza la potenziale profondit dello scarto: quella tacca
indica e non indica la misura giusta, per uscire dalla trappola
costituita dal limite indecidibile tra due misure devo inventare qualcosa. Casi del genere sono particolarmente significativi.
Come frasi allapparenza semplici del tipo quanto azzurro
questo azzurro! tradiscono la struttura interna delle proposizioni etiche e religiose, cos le approssimazioni misurative quotidiane ricordano leterno agguato di situazioni nelle quali la
regola non mi dice pi nulla (Waismann, 1967, p. 114). La
contraddizione non si configura solo come semplice blocco per
lazione o per il ragionamento ma come spinta a prendere una
decisione, cio introdurre unulteriore regola (ibidem. Il corsivo
nel testo). A e non A deve il suo carattere inquietante anche
al fatto che una proposizione che spinge allinnovazione e
al cambiamento: se la tautologia mostra la struttura del gioco
attraverso un processo di congelamento, la contraddizione lo
mette non solo in discussione ma di nuovo in moto.
La storia della riflessione geometrica piena di discussioni teoriche allapparenza banali ma che, al contrario, costituiscono la
traduzione teorica di questurto non tanto contro il limite quanto contro la sua imprecisione. Aristotele, il padre del principio di
non contraddizione, sembra quasi ossessionato da un caso che
tormenta la geometria euclidea: perch il lato e la diagonale di
un quadrato, figura allapparenza cos ordinata e regolare (quasi
tautologica, verrebbe da dire: per i pitagorici il quadrato simbolo del buono: Met. I, 986 a 26), produce limpossibilit di
calcolare questo rapporto attraverso un numero intero? Come
afferma esplicitamente Aristotele, lincommensurabile produce
meraviglia (Met, I, 983 a 14), ma si tratta di uno stato danimo
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta
135
Il punto di tangenza tra le due figure si estende inevitabilmente conquistando una zona pi ampia, quasi si trattasse di
un segmento. Al di l delle profonde differenze di impostazione (Mazzeo, 1999; 2001a), sia Wittgenstein che Hjelmslev
prendono questo caso come una sorta di esorcismo, in grado di
combattere un timore molto diffuso sia tra i matematici che i
filosofi, la contraddizione. Casi del genere testimoniano il fatto
che esistono situazioni problematiche (Hjelmslev) o di conflit136
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138
Il corpo di Aiace:
iconografia di una introversione
Nella tragedia di Sofocle, lAiace dellIliade subisce una profonda torsione rispetto alla descrizione omerica. Tutto quel che
soffia a favore e gonfia le vele, comincia a remare contro. Se nella battaglia leroe si era fermato per il calare della notte e offrire
sacrifici agli di, ora il delirio ispiratogli da Atena lo porta a
compiere un macello notturno e sfrenato. NellIliade, il tramonto del sole consente la sepoltura dei caduti in battaglia; ora il
finale della tragedia si consuma proprio sullattrito vissuto dalla
moglie quando vuole seppellire il corpo di Aiace suicida per la
vergogna. Il contrappunto orchestrato da Sofocle organizza una
punizione spietata e completa: Aiace punito per aver mancato di rispetto agli di, per questo viene posseduto da Atena e
costretto al misfatto. Uccide gli animali del proprio accampamento, convinto si tratti dei propri compagni divenuti, ai suoi
occhi, improvvisamente nemici. Riavutosi dallaccesso di furia,
Aiace finisce col suicidarsi per il disonore. Leggendo il testo,
non sorprende che nel capitolo XXX dei Problemi Aristotele abbia inserito il nome del guerriero greco tra le personalit melanconiche per definizione, tra chi per antonomasia sopraffatto
dalla bile nera. Per mostrarlo ci si pu appellare innanzitutto a
dettagli significativi: la tragedia si conclude descrivendo il sangue del suicida un melan menos, un menos nero (ivi, vv. 141213), una forza maniacale tinta di scuro come la bile che provoca
la melanconia. Aiace sconvolge gli astanti perch con il proprio
accesso dira allucinata improvvisamente si trasforma, modifica
il proprio carattere mostrando quella flessibilit umorale tipica, per Aristotele, del melanconico. Aiace allimprovviso un
altro afferma il coro (ivi, vv. 715-716) che poi rincara la dose:
cambiato, altri pensieri al carro dun carattere nuovo (ivi,
vv. 735-6). Anche secondo Atena, dea nemica, Aiace il migliore per capacit di scelta del momento opportuno, del kairs
(ivi, v. 120). Grazie a lei, come avrebbe diagnosticato Ippocrate
con soddisfazione (cap. III, 2), il figlio di Telamone ha perso
questa appropriatezza dellazione. Ma siamo ancora ai dettagli
e alle sfumature. Tre sono i punti dincastro lessicali che fanno
di Aiace una figura melanconica per Aristotele e per una parte
140
141
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VII/VI a.c.
(fig. 1)
VII/IV a.c.
(fig. 2)
VI/V a.c.
(fig. 3)
V a.c.
(fig. 4)
V/IV a.c.
(fig. 5)
IV a.c.
(fig. 6)
III/ I a.c.
(fig. 7)
145
in personaggio contemplativo, immobile nel suo mondo interiore. Prima Aiace diviene colui che si sporge sulla spada, poi
colto nel momento in cui la posiziona a terra. Se si eccettua
liconografia di tipo acrobatico, in voga soprattutto nel V secolo, Aiace non pi colui che agisce, ma colui che prepara
unazione ancora tutta da compiere. Per comprendere perch
sia possibile affermare che liconografia acrobatica costituisca
uneccezione, basta dare uno sguardo alle sorti successive che
avr il figlio di Telamone (figg. 5-7): il lancio sulla spada non
un vero e proprio lancio, la figura rannicchiata e contratta,
colta prima dellazione e del suo svolgimento. Le due varianti
successive, legate allinginocchiamento e alla prostrazione, ne
costituiscono la conseguenza logica, lestremo risultato di un
nastro che si riavvolge. Da Aiace infilzato si arriva a un Aiace
seduto che medita sul da farsi. Questa forma iconografica
particolarmente rilevante perch, a differenza delle altre, avr
grande successo. La figura riprodotta nella fig. 8 segna una vera e propria svolta: realizzata probabilmente nel I secolo a.C.
da un autore della Roma augustea, costituisce una ripresa del
tema dellAiace prostrato. Secondo lo storico dellarte G. Ortiz (1988, p. 45), in unepoca di grande incertezza politica, la
rappresentazione di un Aiace di questo tipo (prostrato e fermo)
poteva costituire un monito a non mettere alla prova lordine
sociale e a riflettere prima di agire. Il reperto, per come oggi ci
giunge, acuisce il senso di riflessione quasi contemplativa della rappresentazione. Aiace seduto con la testa poggiata sulla
mano destra. In origine la mano impugnava una spada, probabilmente di ferro, poi andata perduta. Il dato particolarmente
rilevante perch questo tipo di immagine ha avuto la sorte di
diventare, suo malgrado e a posteriori, il prototipo figurativo
del personaggio triste e meditabondo. La somiglianza tra la
statua e il ben pi noto Torso del Belvedere pare non sia casuale: Ortiz (1986) ha sostenuto con una certa autorevolezza che
il prototipo del pensatore occidentale raffiguri proprio Aiace
Telamonio. Liconografia di questa figura tragica e leggendaria testimonia un ripiegamento contemplativo stratificato ma
146
Fig. 2 Aiace si sporge sulla spada: due scarabei risalenti al V. sec. a.C., Londra,
British Museum e Boston, Museum of Fine Arts.
147
Fig. 3 Aiace davanti la spada: anfora attica risalente al 540 a.C., Bologna,
Museo municipale.
Fig. 4 Aiace acrobatico: impugnatura in bronzo modellata sulla forma del
personaggio, 470-450 a.C., Basilea, Antikenmuseum.
148
Fig. 5 Aiace si lancia sulla spada: scarabeo, inizio del IV sec. a.C.,
Parigi, Cabinet des Mdailles
Fig. 6 Aiace inginocchiato si getta sulla spada: cratere del gruppo Turmuca,
prima met del IV sec. a.C., Londra, British Museum.
149
150
Fig. 7 Aiace prostrato: gemme in pasta di vetro, III/I sec. a.C., Monaco.
Fig. 8 Aiace, I sec. a.C. statua in bronzo, Basilea, Antikenmuseum
Fig. 9 Asmus Jakob Carstens, Der schwermtige Ajax mit Termessa und Eurysakes
(il melanconico Aiace con Tecmessa ed Eurisache), 1791
151
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