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NAVIGAZIONI

Marco Mazzeo

Melanconia e rivoluzione:
antropologia di una passione perduta

Editori Internazionali Riuniti

I^ edizione: marzo 2012


Copyright Editori Riuniti S.r.l.
isbn: 978-88-359-9131-1

Copertina: Lorenzo Letizia


Realizzazione editoriale: Leonardo Mascioli
www.editoririuniti.net

Indice

Introduzione
La melanconia un ritorno al futuro: un altro
mondo possibile

1. Lanomalia: antropologia delle passioni melanconiche


1 I due volti della melanconia
2 Sulla scia di Freud: melanconia di genere e
melanconia postcoloniale
3 Lanimale anomalo: i Problemata aristotelici
4 Melanconia e rivolta

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18
21
27

2. tutta colpa di Freud? La riscossa della mania


1 Lutto e melanconia: Freud in chiaroscuro
2 Antropologia della perdita? Melanconia e
creazione
3 Melanie Klein: un tentativo di riparazione
4 Lillustre sconosciuto: Abraham e la sindrome
maniaco-depressiva
5 Danzare, arrampicarsi, saltare: Binswanger e
lantropologia della mania
6 Il cigno nero: vino e mania

31
37
43
46
54
68

3. Al di l della tristezza: melanconia e azione innovativa


1 La sfida di Heidegger: la melanconia, stato
danimo della creativit
2 Aristotele, Ippocrate e Platone: il buono, il brutto
e il cattivo
3 Il melanconico in citt: tre caratteristiche etiche
4 Contro laccidia e la tristezza
5 Il genio e la poesia: una rivalutazione fuorviante
6 Il qualunque e il performer: il melanconico
figura dellavvenire

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79
90
96
104
108

4. Ai limiti del linguaggio: una passione priva di misura


1 Laltro limite del linguaggio: oltre
meraviglia e tautologia
2 Una vita priva di misura: oltre la tautologia
3 Il sublime e lo smisurato: oltre la meraviglia
4 Incommensurabilit e rivoluzione:
contraddizione e melanconia

115
120
129
134

Appendice
Il corpo di Aiace: iconografia di una introversione

139

Bibliografia

153

Amarti m'affatica, mi svuota dentro.


Qualcosa che assomiglia a ridere nel pianto.
Amarti m'affatica, mi d malinconia
Che vuoi farci la vita
la vita, la mia.
Amami ancora, fallo dolcemente.
Un anno, un mese, unora
Perdutamente. [...]
Amarti mi consola, mi d allegria
Che vuoi farci la vita!
la vita, la mia.
CCCP, Amandoti

Questo libro dedicato a Paolo Mazzeo, piccolo bimbo umano che


balla e traballa. Ciascuno dei suoi giorni per noi, suppongo anche
per lui, una rivoluzione: indice puntato e deissi sfocata; risate inaspettate e fughe di idee; azioni prese per mano tra qualche pianto e
tanti luminosi domani.

La melanconia un ritorno al futuro:


un altro mondo possibile
Up on melancholy hill
Theres a plastic tree
Are you here with me?
Just looking out on the day
Of another dream.
Gorillaz, Melancholy Hill

Ritorno al futuro il titolo di un film di successo che narra di


una moderna macchina del tempo. Nel cuore degli anni Ottanta, un adolescente della classe media americana e un inventore
scombinato si ritrovano nel 1964 col problema di tornare indietro, allepoca cui appartengono. La pellicola, nella sua semplicit, d corpo a una sensazione che nellOccidente capitalistico
durante gli ultimi decenni si sempre pi rafforzata: la storia
finita, il picco umano dellevoluzione tecnico-economica stato raggiunto, lunico modo per cambiare il futuro tornare sui
propri passi. La necessit di tornare indietro e fare diversamente,
sulla cui realizzazione fantastica ruota lintera pellicola, terreno fertile per la coltura delle passioni melanconiche. Le cito al
plurale per sottolineare le molte sfumature e le vesti cangianti
sotto le quali la melanconia appare: in un paesaggio serale, in
una canzone senza pretese, in un odore che riporta indietro verso
tempi lontani. La variet delle forme sensoriali che travestono
la melanconia stona per con un dato altrettanto appariscente:
la melanconia gode oggi di una reputazione melliflua e stantia.
Le maldicenze circa questo stato danimo riguardano gli ambiti
pi diversi: dallarticolo del quotidiano al saggio filosofico, dalla teoria politica alla critica darte il termine melanconia di
solito considerato sinonimo, perlomeno parente prossimo, di

triste, nostalgico, bloccato nellagire e nel dire. Anche le


ricerche che negli ultimi cinquantanni hanno tentato di riabilitarne la storia e mostrarne la complessit hanno rischiato, loro
malgrado, di peggiorare la situazione. Saturno e la melanconia
(Klibansky, Panofsky, Saxl, 1964) ha contribuito a legare in modo indissolubile questa passione alla celebre incisione di Drer
con la sua protagonista alata ma immobile. Nei primi capitoli di
Stanze Giorgio Agamben (1977) ha proposto una via di riscatto per mezzo dellapparentamento con una passione, laccidia,
anchessa controversa poich la tradizione ha finito con il legarla
alla pigrizia, al torpore e alla sonnolenza.
A tal proposito, il libro che avete tra le mani vorrebbe suggerire un movimento doppio. Visto che il ritorno a una delle prime
rappresentazioni rinascimentali della melanconia legata a Saturno e la riscoperta di una passione medioevale (lacedia dei monaci) non sono stati sufficienti, occorre tentare una mossa estrema:
fare un passo indietro ulteriore, cercare nelle origini pi lontane
della melanconia addentellati positivi di una passione che oggi
appare senza speranza. Meglio chiarirlo subito: non si tratta di
impelagarsi in unimpresa filologica, magari interessante, ma che
rischia di rimanere neutralizzata nei dubbi fasti dellerudizione.
Si tratta di tirar fuori potenzialit emotive sepolte dalle stratificazioni storiche, le svolte culturali, i cambiamenti linguistici
che hanno portato la melanconia dentro un imbuto che ne ha
ristretto il senso e stravolto il significato. Detto in una battuta,
dunque in forma goffa e caricaturale: mentre oggi melanconia
divenuto sinonimo di depressione e tristezza nostalgica, alle
sue radici la passione che si credeva fosse legata allazione di una
sostanza specifica, la nera bile (la mlaina chol, da qui il termine
italiano), era propria di un temperamento completamente differente. Il melanconico era colui che, messo di fronte a trasformazioni repentine, non riusciva a rendersi subito conto di quel che
lui stesso era riuscito a compiere. Nel bene e nel male: nel salvare
la citt o nelluccidere i propri compagni, la melanconia protagonista di una dinamica fatta di azioni e parole volta al cambiamento di una forma di vita. Un interrogativo vorrebbe essere
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La melanconia un ritorno al futuro: un altro mondo possibile

il baricentro delle pagine che seguono: qual il volto emotivo


di chi trasforma la vita propria e quella altrui? La mia ipotesi
che lo stravolgimento delle passioni melanconiche abbia coinciso
con limpoverimento della nostra rappresentazione delle capacit
innovative proprie degli esseri umani. Recuperare le potenzialit
della bile nera non significa semplicemente rendere giustizia a
una delle passioni dellHomo sapiens. Significa provare a compiere un affondo in grado di riportare alla luce e far riemergere un
sentimento capace di ricordarci che un altro mondo possibile.
Riscoprire il volto della melanconia significa, dunque, impegnarsi in un ritorno al futuro. Non quello elusivo vagheggiato
dal film hollywoodiano, ma un altro pi faticoso ed efficace che
consiste in una archeologia semantica. Dissodare le nostre parole e la loro storia nella speranza di trovare traccia di un altro
modo di sentire, un sentire in grado di cambiare il tempo che
ci aspetta. Per aumentare le possibilit di centrare lobiettivo,
stato opportuno escogitare due piccoli accorgimenti strutturali.
Il primo: ogni paragrafo comincer con una breve citazione in
exergo: per fornire un ulteriore spunto ai contenuti offerti nel
testo; per riproporre e cos neutralizzare i ritornelli, a volte filosofico-letterari altre musicali, che organizzano il nostro modo
di intendere le passioni melanconiche. Il secondo accorgimento
riguarda la struttura del libro che, come vedrete, non lineare.
In linea di principio, ogni capitolo pu essere letto indipendentemente dagli altri e la successione nella quale sono proposti contiene, pi che mai, un alto tasso di arbitrio. Le quattro sezioni
che compongono il testo sono per strettamente imparentate tra
loro poich ogni volta finiscono col convergere su uno degli aggettivi principali che compaiono nel luogo di nascita filosofico
della melanconia. Il capitolo XXX dei Problemi di Aristotele
un testo considerato tanto minore da esser accusato a pi riprese di inautenticit (probabilmente a torto: Carbone, 2011, pp.
68-69). Eppure, in quelle poche pagine emerge il condensato di
una passione tipica dellOccidente (difficile trovare un correlato
preciso in altri sistemi culturali: Kleinman, Good, 1985) ma non
per questo poco significativa per una indagine sulla natura di
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

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quegli strani animali, bipedi e implumi, che noi siamo. Il melanconico anomalo, dice Aristotele (anmalos, cap. I): non solo
non conforme alla regola in vigore, ma in grado di trasformarla rendendola altro da quello che ora. Chi tormentato dagli
eccessi della bile nera ha il pregio e il difetto di essere diverso da
s stesso. Non dunque fiore allocchiello di chi si fa vanto della
propria coerenza di condotta, ma non neanche strumento docile delle mire oscure del sofista: non inganna mai gli altri pi di
quanto non inganni s stesso. Le accuse mosse a questa passione
da molta filosofia politica contemporanea, dalle estrazioni teoriche pi diverse (da Paul Gilroy a Judith Butler), sono a dir poco
ingenerose: schiacciano le possibilit emotive offerte dalla bile
nera su uno solo dei possibili esiti, la rimozione rancorosa della
propria identit culturale, linguistica o di genere. Il melanconico, invece, maniacale, prosegue Aristotele (maniks, cap. II):
preso dallazione. Non semplicemente impulsivo, sa che alcune
delle potenzialit umane emergono solo allinterno della prassi.
Secondo questa accezione originaria, il melanconico pi prossimo alle alterne vicende sensomotorie dellatleta che allo struggimento interiore del romantico. Quando sono in grado di saltare
lasticella che si trova qui di fronte a me? Sono in grado di saltare
solo dopo aver compiuto il salto con successo e aver superato la
misura. La melanconia protagonista di una torsione vertiginosa
nella quale la potenza cede il passo allatto. Nulla di misterioso:
si tratta di un fenomeno tipico dellapprendimento, quel che lo
psicologo L. Vygotskij chiama realizzazione dello sviluppo prossimale. Per imparare, a volte, bisogna fare il contrario di quel che
consigliano le nonne: necessario che il passo si faccia pi lungo
della gamba. A tal proposito, la psicoanalisi rischia di porgere la
mano alla melanconia per poi farle lo sgambetto: per un verso,
lha messa al centro delle sue linee di ricerca (da Freud a Klein,
da Abraham a Recalcati); per un altro ha messo da parte le possibilit creative del suo volto maniacale concentrandosi soprattutto sullapparentamento con il lutto. E cos dopo aver fatto della
bile nera una sostanza vicina allaccidia e alla tristezza, questa
divenuta simile pure alla sostanza scura e soffocante che affligge
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La melanconia un ritorno al futuro: un altro mondo possibile

i personaggi di Matrix, il film dei fratelli Wachowski, quando


sono sullorlo del baratro preda dei loro nemici digitali: un filtro mortifero e disperato che arriva nel momento in cui ormai i
giochi sono fatti. Non affatto cos. Il melanconico distimico,
insiste Aristotele (dusthums, cap. III). Il termine greco pressoch intraducibile e per questo occorre in prima battuta ricorrere
a un semplice calco italico: il suo animo vive una frattura difficile
da ricomporre. Quel che oggi chiamiamo depressione una
delle sue possibili fasi, non un destino inoppugnabile e finale.
La distimia corrisponde alla caduta dopo il salto, per riprendere
un esempio che lo psichiatra Binswanger annovera tra le forme
maniacali di comportamento: nel caso in cui il tentativo si riveli
un fallimento il melanconico tale perch ha la forza di rialzarsi
e ritentare ancora, seguendo strategie e tecniche diverse da quelle
impiegate fino a quel momento. La bile nera non produce cocciutaggine ma fratture in grado di dar vita a nuove forme di condotta. Per questo il melanconico, conclude Aristotele, privo di
misura (peritts, cap. IV). Non solo approssimativo, non riesce
a conformarsi a uno standard prefissato, impreciso cio alla ricerca di una regola da consolidare. Questa mancanza di standard
prefissati e istintivi (quelli che consentono allo scimpanz di non
cadere quando volteggia tra i rami e allape di non perdere mai la
via di casa) produce conseguenze contrastanti: il disorientamento di chi non sa che pesci prendere; la possibilit di meravigliarsi
di quel che accade. Dei due stati danimo, paradossalmente, pi
interessante il primo perch pi produttivo sebbene (o forse proprio perch) pi inquietante. Questa mancanza di orientamento
non sottolinea il volto sublime dellesperienza (la potenza delle
onde marine o la magnificenza della tormenta montana), ma la
sproporzione, le difficolt di misura, tra la vita umana e le cose
pi insignificanti che la circondano.
Poich non vogliamo farci mancare niente, lappendice propone un percorso se possibile ancora pi sperimentale, e incauto, dei precedenti. Lanalisi iconografica di una delle figure mitologiche pi strettamente imparentate alla melanconia, Aiace
Telamonio, pu dare unidea visiva veloce ma precisa, a tratti
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

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addirittura impressionante, del processo semantico ed emotivo


subto da questa passione durante una storia oramai millenaria.
Una breve escursione tra le vicende rappresentative di questo
eroe dubbio (protagonista della guerra achea contro Troia, ma
poi preda di raptus omicidi nellomonima tragedia sofoclea)
pu costituire un buon test per verificare connotati e modalit
di un vero e proprio ripiegamento passivo. Da attore di imprese equivoche ma sicuramente attive, a partire dai primi secoli
prima di Cristo Aiace subisce unintroversione sospetta: diventa
sempre pi personaggio contemplativo e inibito, che invece di
essere colto nel gesto bellico o nel riposo dopo aver compiuto
limpresa (e il misfatto) ritratto come paralizzato e incapace di
ogni ulteriore azione. Il protagonista melanconico si introverte e rassegna: da propiziatore di eventi possibili diventa mesto
contemplatore di quel che non potr pi essere. Aiace finisce
in un triste angolo neutralizzato: simbolo eloquente del destino
che molti vorrebbero riservare alla melanconia e al suo potenziale innovativo.
Questo libro nasce da alcuni incontri che in questi anni ho
avuto la ventura di avere e la fortuna di ripetere: Daniele Gambarara mi ammonisce circa le sinonimie che si annidano dentro
la nozione di melanconia; Mauro Sabatini cerca di insegnarmi
che sulla roccia bisogna saper vedere oltre quel che sotto gli
occhi; Luigi Marangio ha avuto lardire di iniziarmi a una pratica tipicamente maniacale come larrampicata libera; Andrea
Usai mi ha promesso di accompagnare le presentazioni del libro
con il suo mood musicale, di certo non depresso; i ragazzi di
ESC mi hanno spiegato che esiste una cosa che si chiama melanconia postcoloniale; Giorgio Villa mi aiuta a comprendere
che il passaggio allatto una faccenda complicata; Luca Parisoli tenta di farmi capire che laccidia pu costituire una forma
di ripartenza; Mauro Serra ha la pazienza di ricordarmi ogni
volta che Platone non ha poi tutte le colpe; Francesca Piazza
mi mostra cosa significa fare antropologia del pensiero greco;
Tommaso Russo Cardona non ha fatto in tempo a spiegarmi le
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La melanconia un ritorno al futuro: un altro mondo possibile

sfumature del sublime kantiano; un redattore anonimo di cui


possiedo solo le iniziali (P.S.) ha contribuito a rendere il testo
molto pi vivace di quel che era in origine; Paolo Virno ha
avuto la pazienza di leggere queste pagine e di segnalarmi ci
che lo convinceva meno. Giovanna Capitelli ha letto con generosa attenzione lappendice. Da Felice Cimatti, Massimo De
Carolis, Stefano Catucci, Francesca Borrelli, Silvia Vizzardelli
e da tutti i membri del neonato Centro studi su psicoanalisi e
filosofia e della rivista Forme di vita cerco di imparare pi che
posso quel che posso. Spesso non quanto vorrei. Ma questa,
come si dice, unaltra storia.

Nota editoriale
Alcuni capitoli del libro hanno conosciuto una prima pubblicazione, sperimentale
e incompleta. Il capitolo I rielabora larticolo Melanconia in AA.VV., Passioni della
crisi, manifestolibri, Roma 2010, pp. 123-139. Alcuni paragrafi del capitolo II
compaiono sotto il titolo Della mania e del cambiamento: perch Abraham meglio di Freud nel volume curato da Felice Cimatti e Alberto Lucchetti, Filosofia e
psicoanalisi, Quodlibet, in corso di stampa. Una bozza del capitolo IV, pi breve e
piuttosto lontana da quella attuale, stata pubblicata nel 2008 sotto il titolo Imprecisione del limite: contraddizione e melanconia, nel Bollettino filosofico delluniversit della Calabria, 24, pp. 182-194.

Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

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1. Lanomalia: antropologia
delle passioni melanconiche

Senza pi melanconici,
vivremmo in un mondo in cui
tutti accetterebbero lo statu quo.
E.G. Wilson

1 I due volti della melanconia


bene dire subito un paio di cose. La prima: nella letteratura filosofica contemporanea, soprattutto di matrice politica,
gli stati danimo melanconici godono di pessima fama.1 Di
solito, la melanconia considerata la passione dellaggressivit
inespressa e interiorizzata, lemozione pi adatta a un mondo
dominato dal capitale, lequivalente pulsionale della nostalgia
dei bei tempi andati quando lo Stato regnava sovrano. La seconda: credo che questa visione della melanconia sia parziale
e fuorviante, sostanzialmente sbagliata. Proceder, dunque,
cos: seppur in modo veloce, analizzer due delle concezioni
pi influenti circa lo status politico della melanconia, quelle
di Paul Gilroy e Judith Butler; poi proporr una visione alternativa in grado di recuperare, innanzitutto, la portata antropologica di questa passione.
La melanconia ha infatti due volti: uno paralizzato e subalterno, proprio del lutto cronico e di forme di identificazione
1 Non un caso, forse, che una delle poche trattazioni recenti della melanconia che
cerca di evidenziarne il carattere potenzialmente innovativo e rivoltoso sia proposta,
paradossalmente, da uno studioso di letteratura (Wilson, 2008).

autoritarie; laltro luogo di origine di prassi e immaginazione,


grazie alle quali modificare le forme della vita umana, rovesciare
istituzioni e trasformare rapporti di potere. Per questa ragione,
impiego la dicitura di melanconia e non quella, pi moderna,
di malinconia: il sapore retr della prima espressione manifesta
da subito un luogo etimologico (la melaina chol, la bile nera
della tradizione ippocratica: cfr. 3) e il carattere tecnico di
una nozione che comprende limpiego quotidiano della parola
(quando diciamo oggi mi sento un po malinconico, una
canzone malinconica) senza ridursi a esso.

2 Sulla scia di Freud: melanconia di genere e melanconia


postcoloniale

La gente in piedi sulluscio


si chiedeva se un giorno
quel bambino sarebbe uscito dal guscio.
Tim Burton, Morte melanconica del bambino ostrica

Sia lanalisi della melanconia di matrice postcoloniale (Gilroy) che di genere (Butler) sembra risentire di un problema che
ha nome e cognome: Sigmund Freud. Il fondatore della psicanalisi affronta il concetto di melanconia per uno scopo preciso
e, per questo motivo, limitato. Freud, lo vedremo meglio nel
prossimo capitolo, ha bisogno di uno strumento teorico in grado di chiarire le dinamiche psichiche di un gruppo specifico
di casi. Lutto e melanconia un testo efficace proprio perch
circoscritto. Lequivoco nasce quando si considera questa trattazione per quel che esplicitamente non (Freud, dunque, non
ne direttamente responsabile): una descrizione completa della
fenomenologia melanconica in grado di esaurirne il significato
psichico e antropologico.
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1. Lanomalia: antropologia delle passioni melanconiche

A tal proposito, Paul Gilroy inequivocabile. A suo giudizio la


melanconia postcoloniale sarebbe la reazione emotiva rancorosa,
il tentativo disperato di mantenere inalterata unidentit statuale,
politica ed economica ormai sfaldata: limpero britannico con le
sue colonie. La melanconia sarebbe il motore di identificazioni
posticce e reazionarie, autoritarie e discriminatorie alla base di
fenomeni ad ampio spettro come il razzismo o pi circoscritti
come la violenza negli stadi. La malinconia la perdita di una
fantasia di onnipotenza (Gilroy, 2004, p. 108), porta a preferire un passato ordinato nel quale si era sfruttati e impoveriti
a un presente cronicamente caotico (ivi, p. 120). Labominio
melanconico sarebbe addirittura triplice: coinciderebbe con lincapacit di arrendersi alla scomparsa di un mondo che non c
pi (mancanza di senso della realt), con lidentificazione in un
mondo che si rivela iniquo (mancanza di giustizia) anche contro
il s melanconico (autodenigrazione masochista).
Unanalisi di segno teorico diverso, quella di Judith Butler ad
esempio, si svolge seguendo un percorso differente ma dallesito
simile: la melanconia sarebbe una ribellione repressa, distrutta
(Butler, 1997, p. 177). Per Butler, gli stati melanconici sono il frutto avvelenato di una rimozione fondamentale che riguarda lo stato
intrinsecamente bisessuale della condizione umana. Lincapacit di
elaborare un lutto imposto da una struttura sociale che ha elevato
a paradigma leterosessualit scatenerebbe una forma melanconica
profonda e pandemica, prodotta da forme rigide di identificazione e di genere sessuale (ivi, p. 137). Il ripudio, automatico
e imposto, verso questa componente bisessuale produrrebbe una
melanconia di genere (ivi, p. 134) provocata dalla costrizione
unilaterale della identit sessuale umana in categorie binarie (gli
uomini eterossessuali che ripudiano la loro parte femminile; le
donne eterosessuali che ripudiano la propria dimensione maschile). Risultato: avremmo a che fare con una passione che coincide
con rifiuto del lutto (Butler, 2004, p. 50), preoccupazione narcisistica (ivi, p. 51), negazione della realt alle perdite (ivi, p. 58)
e che finisce col portare a una indifferenza alla sofferenza (propria e
altrui) il cui esito sarebbe la disumanizzazione (ivi, p. 177).
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

19

Sia per Gilroy che per Butler la melanconia tradisce dunque


una passione subalterna e reattiva: per negare una realt sgradevole, ci si arrocca in identit autoritarie (limpero coloniale; una
dottrina ideologica del genere). In Lutto e melanconia, si sostiene
che gli stati melanconici sono prodotti dalla perdita di una persona amata. Freud evidenzia subito il carattere politico di questa condizione: loggetto amato pu essere costituito anche da
unastrazione che ne ha preso il posto, la patria, ad esempio, o la
libert o un ideale (Freud, 1917, pp. 102-103). Sin dalla prima
pagina, per, Freud specifica che le sue osservazioni non hanno pretesa di validit universale: il suo obiettivo circoscritto,
perch intende lavorare su una sindrome specifica che porta a
uninibizione generalizzata, al disinteresse per il mondo esterno
e allautorimprovero. Gilroy e Butler finiscono per concepire la
melanconia come la passione tipica del padrone e del servo poich partono, in modo indiretto (il primo) o diretto (la seconda),
dallassunzione di questo nucleo teorico. Il padrone, messo alle
strette, sente la fine imminente. Rifiuta la sconfitta e simpegna
nelle sue feste disperate, degne di un ballo sul Titanic. Il servo fa
propria una morale altrui e, invece di dirigere la propria aggressivit verso chi lo opprime, si macera in un rimprovero introverso
e servizievole. come se la melanconia fosse un indizio: il sintomo della compromissione con limpero e il capitale, lidentit
rigida di genere imposta dallo Stato e dalla sua logica binaria.
Questo tipo di manovra argomentativa allapparenza moderna tradisce, a un secondo sguardo, la struttura millenaria delle
polemiche medioevali su un parente prossimo della melanconia,
laccidia (cap. II, 5; cap. III, 4).2 Oggi la melanconia la
passione dellimpolitico; nel Medioevo laccidia raffigurata come evasione peccatrice dal religioso. In entrambi i casi, sterile
fuga dal mondo, passione diabolica: nellaccidia medioevale, il
monaco tormentato da una perdita di senso della sua missione
che apre le porte al maligno; la melanconia contemporanea
cedimento strutturale alla logiche emotive del potere.
2 A tal proposito, Plastina (2009) offre diversi spunti interessanti.

20

1. Lanomalia: antropologia delle passioni melanconiche

Credo che questa considerazione unilaterale della melanconia sia fuorviante per due ragioni di fondo. La prima di ordine generale: qualunque passione umana pu essere descritta,
in modo arbitrario ma sicuramente suggestivo, esclusivamente
nel suo volto deforme e osceno. Basta parlare di amore e pensare alluso che ne fa Joseph Ratzinger, di odio e descrivere le
ideologie fondate sulla purezza della razza, citare langoscia e
portare la mente agli affanni del piccolo borghese tormentato
dallindecisione sullandare al mare o in montagna. Mettere in
scena le deformit melanconiche utile solo se questo lavoro lo
si compie in via preparatoria per mostrare anche le potenzialit
di uno stato danimo che, come ogni passione umana, non
irenico (non serve George Orwell a ricordarci che facile uccidere in nome dellamore o Silvio Berlusconi a farci rabbrividire
con una parola di per s splendida come libert). La seconda
ragione pi specifica, perch riguarda in modo particolare la
melanconia. Per capirlo occorre avere un po di pazienza e fare
un passo indietro.

3 Lanimale anomalo: i Problemata aristotelici

Perch luomo lessere che pi di tutti


pensa una cosa e ne fa unaltra?.
Aristotele, Problemi XXX

In uno dei suoi libri pi recenti, Butler (2004, p. 52) sostiene


che sarebbe folle e pericoloso rintracciare le origini di un dato
decisivo per comprendere le dinamiche politiche del dopo 11 settembre, la costitutiva vulnerabilit umana: quella condizione di
debolezza e di esposizione per la quale senza laltro e le sue cure
(si pensi al neonato) saremmo letteralmente animali morti. Non
ne sono del tutto sicuro, ma credo che il carattere perentorio di
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

21

unaffermazione del genere riguardi la diffidenza, ancora diffusa


in buona parte delle scienze umane e del pensiero politico, circa
lindividuazione di una natura comune allumano, di invarianti
propri della specie che facciano da sostrato alle differenze individuali e culturali. Di solito, le ragioni di questa diffidenza sono di
ordine epistemologico e politico. Da un punto di vista epistemologico, il timore la costruzione di un paradigma scientista che miri
alla riduzione al dato bio-fisico di ogni altro piano del discorso
(sullaccidia melanconica si veda, ad esempio, Benvenuto, 2008,
pp. 141-142). Da un punto di vista politico, invece, si crede che
individuare una natura umana significhi automaticamente volerne
dedurre un ordine politico corrispondente. Poich, ad esempio,
gli esseri umani sono manifestamente animali instabili, rissosi e
aggressivi si pu prendere la palla al balzo per rivendicare lesigenza
di unistituzione politica autoritaria che metta sotto controllo pulsioni altrimenti scomposte e distruttive.
Si tratta di preoccupazioni senza dubbio giustificate. Ma,
opportuno sottolinearlo, si tratta per lappunto di preoccupazioni: indicano le possibili derive di un progetto di ricerca, non la
struttura di quel progetto o la sua fertilit teorica. possibile
lavorare allindividuazione di tratti invarianti della specie che
fanno di noi animali umani e non lupi o calamari, senza per
questo aspirare a un processo deduttivo che dalla nostra struttura
biologica tiri fuori assiomi dellorganizzazione politica.3
Non solo: nel caso della melanconia, il divieto circa la delineazione di un ipotetico profilo della natura umana coincide
malauguratamente con una visione parziale degli stati legati alla
bile nera. Questa paura nellindividuare un tratto invariante della
specie potrebbe spiegare (anche se questo tipo di relazione causale tra i due argomenti non decisivo per quel che intendo sostenere) come mai Butler allinterno di uno dei suoi testi dedicati
alla melanconia segnali una strada teorica interessante (questa s,
fertile) per poi dimenticarla e lasciarla andare al suo destino.
3 Per le argomentazioni a favore di una riflessione filosofica sulla natura umana di stampo n riduzionista n autoritario rimando ai numeri della rivista Forme di vita.

22

1. Lanomalia: antropologia delle passioni melanconiche

In La vita psichica del potere, Butler sottolinea che Freud


parla di questa passione anche in testi successivi a Lutto e melanconia, soprattutto ne LIo e lEs. Qui, la melanconia assume
un ruolo diverso e pi importante: non rappresenta un caso di
lutto mancato quanto il processo costitutivo dellIo. Come si
costruisce il nostro Io? Attraverso una serie di identificazioni
che assorbono gli oggetti pulsionali con i quali abbiamo avuto
a che fare sin dalla primissima infanzia, e che ora non ci sono
pi o non sono pi gli stessi: genitori, amanti, amici e cos
via. Questo processo che trasforma in una parte di s loggetto
che scompare esattamente quel che Freud descrive in Lutto
e melanconia: per non accettare la perdita delloggetto amato,
lIo lo trasforma in una delle sue parti e verso di essa scatena il
proprio amore aggressivo. Per questa ragione, continua Freud,
gli stati melanconici possono diventare una sorta di coltura
pura della pulsione di morte (Freud, 1922, p. 515): il nostro
Io pu essere fatto a pezzi dal Super-Io e dai suoi rimproveri;
cedere alla tentazione di divenire servile, oppure opportunista
e bugiardo, un po come un capo di Stato che pur consapevole
di come effettivamente stanno le cose, intende comunque conservare il favore della pubblica opinione (ibidem). un punto teoricamente decisivo: forse uno dei pochi nei quali Freud
recupera la tradizione occidentale pi profonda che riguarda
la melanconia. Butler non manca di segnalare con efficacia
questo spiraglio ma, poi, finisce col concentrarsi sullelemento
di pericolo: Freud parla di una possibilit (la melanconia pu
[kann] diventare mortale e servile); Butler (1997, p. 175) procede verso lidentit: Nella melanconia [] sarebbe impossibile distinguere listinto di morte dalla coscienza intensificata
attraverso la melanconia. E ancora, rovesciando quasi alla lettera Freud: Lo Stato coltiva la melanconia tra i suoi cittadini
proprio come modalit per dissimulare e deporre la sua stessa
autorit ideale (ibidem). Giustamente, Butler sottolinea che
lo Stato non lanalogo politico della coscienza (il risultato
sarebbe che senza Stato e il suo autoritarismo non potremmo
vivere) ma il capovolgimento di prospettiva fa una vittima inMelanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

23

nocente. Da luogo possibile di morte la melanconia finisce col


coincidere con il potere dello Stato di prevenire una rabbia
insurrezionale4 (ivi, p. 177).
Butler ha ragione nel sottolineare limportanza della trattazione freudiana della melanconia ne LIo e lEs: qui Freud
ricorda che la fenomenologia melanconica molto ampia perch essenziale a produrre il carattere dellIo (Freud, 1922,
p. 491). Che ne fosse consapevole o meno, accennando alla relazione tra melanconia e carattere, Freud si ritrova nella
scena primaria che riguarda la concezione occidentale della
melanconia, i Problemi di Aristotele.
In diverse pagine del testo che costituisce la prima trattazione
filosofica di questa passione, Aristotele afferma che la melanconia
esercita la sua azione sul carattere (lthos) delle persone. Per un
verso questo esercizio formatore sembra limitato: quello melanconico corrisponde, secondo la tradizione medico-ippocratica, a
un tipo comportamentale da opporre al collerico, al flemmatico
e al sanguigno (Klibansky, Panofsky, Saxl, 1964, p. 14). Per un
altro, tutti i cosiddetti Problemi XXX mostrano che la categoria
melanconica bizzarra perch contiene al proprio interno le variet pi diverse: il loquace e il taciturno, il lussurioso e linibito,
il genio e lo stupido. Per Aristotele, la melanconia costituisce
un paradosso logico-pulsionale: il carattere che diverso da
s stesso (Probl. XXX, 954b 9). Per questo motivo, i termini
chiave per comprendere la struttura della melanconia sono due.
Il primo ha dato luogo a molti equivoci: peritts stato spesso
4 Anche quando, nelle pagine successive, Butler sottolinea che la melanconia un processo fondamentale per la strutturazione dellIo tende a considerare questa passione una
specie di male necessario in grado di mettere in evidenza, attraverso il suo abbandono
(Butler, 1997, p. 179), la vulnerabilit umana e, da qui, suggerire la compenetrazione
tra dolore proprio e altrui. Con abilit, Butler cerca di individuare una uscita di sicurezza
dalla cronicit melanconica. A prescindere dal fatto che la strada proposta sia convincente, possibile una analisi pi radicale che sottolinei il potenziale liberatorio della melanconia non attraverso il suo superamento, quanto ricorrendo alla sua stessa struttura
costitutiva. Detto in altri termini: per Butler, occorre melanconicamente introiettare il
potere per poi provare a distruggerlo dentro di s grazie allo spirito di sopravvivenza. Se,
invece, la melanconia una passione innanzitutto pratica (e propria della vita umana in
quanto tale) grazie ad essa possibile ribellarsi contro il potere esterno mediante lazione, e distruggerlo fuori di s e dunque anche per gli altri.

24

1. Lanomalia: antropologia delle passioni melanconiche

tradotto in modo unilaterale, privilegiando solo una delle sue


accezioni, con eccezionale (ci torneremo nel cap. IV). Questo
ha fatto s che, nel corso dei secoli, trovasse giustificazione e diventasse paradigmatica limmagine del genio melanconico, folle
ma straordinario. Il termine greco ha invece un significato compatto ma pi ampio, antropologicamente significativo. Peritts
la personificazione aggettivale della preposizione per (intorno,
circa): leccessivo, quel che passa la misura. La melanconia
passione del peritts perch fotografa lo stato pulsionale di un
corpo che vive di continui squilibri, di cambiamenti, un animale
che non pu che procedere per sbandamenti successivi. Letteralmente: quando cammina, il bipede implume procede per mezzo
di un sistema dinamico di equilibrio che, lo confermano ricerche recenti, un vero e proprio azzardo gravitazionale degno del
trampoliere o del funambolo (siamo bipedi barcollanti: Tobias,
1991, p. 20; cfr. Mazzeo, 2003, p. 201 e sgg.).
Il melanconico , in primo luogo, anmalos: letteralmente diseguale, irregolare, incostante. La melanconia paragonata
allazione del vino (cfr. cap. II, 6) poich manifesta una struttura cronica che, con lebbrezza, emerge il tempo di una sbornia.
Rende diversi dalla quotidianit; ci rende paradossalmente pi
noi stessi manifestando desideri, credenze e caratteri che prima
stavano sotto la superficie: in melancholia veritas. La melanconia
indica uno sfasamento dellidentit, rivela emotivamente quel
che Gilbert Simondon (1989, p. 35, 87) chiama il processo di
trasduzione grazie al quale un essere vivente si individua: diventando altro, cio cambiando, diviene s stesso, costruisce la
propria biografia. Per questa ragione, Aristotele tratta i casi nei
quali le persone, nel momento estremo del pericolo, reagiscono
in modo imprevedibile (Probl., 954b 11). Il pavido azzarda; il coraggioso mostra debolezze sconosciute. Il verbo corrispondente
allaggettivo anmalos (anomalo) significa, non a caso, esposto
alla fortuna, alle sventure: limprevedibilit dellazione umana
una faccia della moneta, la sua esposizione alla contingenza (se
si vuole, la sua vulnerabilit) laltra. In quale aspetto della vita
umana emerge questo doppio movimento, fatto di individuaMelanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

25

zione e contingenza? Nella dimensione della prassi, quando gli


umani agiscono. I Problemi si aprono con casi esemplari (Eracle
e Lisandro, Aiace e Bellerofonte) non per sottolineare il carattere geniale del melanconico (si tratta di personaggi controversi,
spesso perduti o perdenti) ma la sua qualit eroica, cio degna di
essere narrata, vita che fa storia (secondo laccezione omerica del
termine eroe: Arendt, 1958, p. 136). Proprio in queste pagine
Aristotele puntualizza che per vivere gli esseri umani hanno due
strumenti, lintelletto e la mano, e che il primo si sviluppa solo
dopo il secondo. dallazione che nasce il pensiero, non il contrario. E melanconica proprio la riflessivit che segue il fare.
Attenzione, per: ci non vuol dire che il melanconico si caratterizzi per gesti, si direbbe oggi, semplicemente impulsivi: quello
dellazione un primato non cronologico, ma logico. impossibile prevedere lesito del nostro intervento nel mondo, ecco una
delle propriet fondamentali dellazione umana. In questo senso,
riflessione a posteriori: anche dopo aver escogitato il piano pi
minuzioso mi ritrovo a chiedermi cosa diavolo ho fatto, sia che
il piano sia fallito (dove ho sbagliato?), sia che sia riuscito (come
ho fatto a seguirlo?). Perch luomo lessere che pi di tutti
pensa una cosa e ne fa unaltra? (Probl. XXX, 956b 34) chiede
Aristotele: i Problemi non si stanno semplicemente riferendo a
comportamenti che definiremmo incoerenti (sono vegetariano
e mangio il pollo alle mandorle) o frutto di acrasia (vorrei smettere di fumare, ma non riesco). Tra fare e pensare esiste uno iato
costitutivo: come mai quando voglio fare qualcosa, quella si realizza in modo sovradeterminato rispetto a come lho pensata? Per
un verso, le mie capacit immaginative riescono a preformare
la realt (domani piover, me lo sento). Per un altro la realt
eccede la mia immagine: perch pu non realizzarla (mi sveglio
e c un sole che spacca le pietre); perch anche quando la realizza lo fa con una quantit e una qualit di dettagli imprevista
(piove e sento un odore di asfalto bagnato al quale non avevo
pensato). La melanconia pu coagularsi in un carattere specifico,
ripetono i Problemi, ma anzitutto bile nera, la forza pulsionale
costitutiva di ogni carattere, anche di quello non melanconico. Il
26

1. Lanomalia: antropologia delle passioni melanconiche

tipo melanconico colui nel quale, ricorsivamente,5 il carattere


si rispecchia nella forza che lo forma; la passione melanconica
la passione di un processo che, grazie allo scarto tra prassi e
pensiero, costruisce storie individuali e collettive. Altro che stato
danimo rancoroso e subalterno: la melanconia emozione manuale di chi, piaccia o no, interviene costantemente nel mondo.

4 Melanconia e rivolta

Questo non un paese per vecchi.


C. McCarthy

Tra i fraintiviendimenti che funestano la comprensione degli


stati melanconici, uno ricorre con frequenza: la melanconia sarebbe nostalgia dei bei tempi andati, tristezza inacidita di menti
anziane ormai giunte al capolinea. Lanalogia tra vino e melanconia suggerita dal primo antropologo di questa passione, Aristotele, destituisce di fondamento anche questa variante dellequazione melanconia uguale risentimento reattivo (ivi, 955a 1-5):
Il motivo per cui tutti gli esseri umani hanno la tendenza a bere
fino a ubriacarsi che il vino bevuto in grande quantit rende fiduciosi [euelpdes]: lo stesso effetto della giovinezza sui ragazzi, perch i vecchi sono privi di speranza mentre i giovani ne sono pieni.

La melanconia rende, innanzitutto, euelpdes, di buona


speranza: spinge allazione, muove la prassi e solo dopo il colpo
andato a vuoto (se andato a vuoto) si ripiega su s stessa in
modo riflessivo. Ipnotizzati dalle raffigurazioni romantiche della
melanconia che propongono corpi rannicchiati, menti appoggia5 Per il significato logico e antropologico di questa torsione ricorsiva: Virno, 2011.

Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

27

ti sul pugno o sguardi fissi a terra, si rischia di scambiare linizio


con la fine e pensare che la melanconia costituisca lantitesi emotiva dellagire. vero: la riflessione melanconica guarda indietro,
ma quel che vede sono le azioni appena compiute, e anche quelle
che si potranno compiere nel futuro prossimo. Il passato melanconico prossimo per definizione (cio anche ma non solo negli
accessi paralizzanti): il rimprovero, che riscontra Freud nellanalisi dei suoi pazienti, ma come ho fatto a farlo?, linterrogativo di Aiace ed Ercole, domanda di chi fa politica, combatte e
produce. Perch sbaglia solo chi agisce.
Rispetto a quel che la riflessione politica contemporanea d a
intendere, il quadro rovesciato: la melanconia passione della prassi, una delle incarnazioni emotive dello squilibrio pulsionale di
chi non incastrato in un ambiente biologico o istituzionale. La
melanconia vive gli eccessi delle delusioni proprio perch lo sguardo retrospettivo e prospettico di chi con la speranza ci campa.
per questa ragione che la melanconia greca non coincide con la depressione, ma con la coppia bipolare depressione-mania (cap. II).
perdita di s nellazione e, contemporaneamente, riflessione immaginativa sullazione. disaderenza ai dintorni: distacco dalla regola,
dallambiente biologico, dalla condizione culturale. Questo iato pu
trasformarsi nel rifugio, in una fantomatica e alienata interiorit o
in una nicchia mentale impolitica e risentita, ma pu essere anche il
motore per vedere quello che ancora non c e la caducit di un ingiusto presente. Quando Gilroy insiste sulla risposta melanconica alla
caducit dellimpero coloniale britannico sfiora un tema importante.
Oltre a LIo e lEs, parte integrante (cio opposta e complementare)
di Lutto e Melanconia anche un breve saggio freudiano dal nome
Caducit.6 In questo testo, Freud sottolinea lo stato danimo di chi,
vedendo un prato in primavera, ne intravede gi lo sfiorire: sente
che lapogeo del ciclo naturale arrivato e che, dunque, la ruota sta
girando. La melanconia non soltanto percepire come presente quel
che non pi, ma anche percepire come assente quel che ancora in
piedi. La melanconia sia scoramento (dysthumia: ivi, 955a 6) che
6

28

Ringrazio Monica Matera per avermelo segnalato.

1. Lanomalia: antropologia delle passioni melanconiche

speranza. Il lato caduco di questa passione pu accompagnarsi sia


al primo che alla seconda: pu essere disperazione per un mondo
ormai a pezzi che mi illudo ci sia ancora; pu diventare speranza
per la creazione di un mondo diverso. La caducit melanconica
unarma immaginativa a doppio taglio: rimpianto per un impero
che va effettivamente scomparendo; certezza della fine di un altro
impero, quello capitalistico, proprio nel momento del suo massimo
splendore. Il sentimento della bile nera indica una torsione emotiva:
individuare la bellezza del capitale, scorgerne gli oggetti pi brillanti
e trionfanti per sentire il crepitio della loro linea discendente. La
melanconia pu aiutare a uscire dallipnosi capitalistica per la quale
questo sarebbe lunico mondo davvero naturale per gli esseri umani:
spinge a intravederne le crepe e la decadenza, a immaginare azioni
nella certezza che la torta non verr come dice la ricetta.
Lanimale umano peritts e anmalos: la melanconia lavora,
nel bene e nel male, su quel margine di indeterminatezza che
caratterizza il nostro mondo. La mancanza di misura pulsionale pu portare a due esiti anomali. Il primo trasforma la
mancanza di misura in approssimazione, cio la conforma a
una regola anche quando la regola non lo prevede. Il secondo
fa di noi animali non approssimativi ma imprecisi (per questa
distinzione e il prossimo esempio: Garroni, 2005, pp. 9-15)
che, lavorando sullo scarto tra la regola e la sua applicazione,
inventano una nuova regola.
Se in alcuni casi immediatamente manifesto quale sar la strada che il carattere eccessivo e melanconico delle nostre azioni ci far
intraprendere, in altri essa emerge in modo inatteso. Un esempio
del primo tipo di circostanza: faccio uno schizzo di un progetto architettonico e lo riguardo. La sua incompletezza mi spinge a modificarlo, stravolgerlo, arricchirlo, a introdurre nuove regole applicative che servano a fare in modo che ledificio stia in piedi e assuma
una forma specifica. Limprecisione dello schizzo pu indurmi a
tentare una strada innovativa o a rifarmi a un canone stabilito. Ma
il valore ambivalente7 del peritts, quel che ne fa la controparte del
7

Pi in generale, sul rapporto tra melanconia e ambivalenza: Mazzeo, 2009.

Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

29

carattere anomalo della melanconia umana, pu emergere anche


in situazioni apparentemente pi quiete e predeterminate. Si tratta
di un elemento costitutivo della nostra vita messo in evidenza da
Ludwig Wittgenstein: quel che egli chiama un gioco linguistico
che non limitato ovunque da regole (RF, 68). Come le regole
del calcio non impediscono n prescrivono passaggi improduttivi,
lenti e ripetuti, il cui obiettivo solo far scadere il tempo a disposizione (in gergo fare melina che in origine era un altro gioco con
regole proprie), cos anche unoperazione aritmetica pu rivelare
allimprovviso unarea applicativa ancora neutra, unindeterminata
terra di nessuno. Il risvolto emotivo-pulsionale di questa duplicit,
approssimativa e imprecisa, melanconico. Il primo non si arrende
alla decadenza effettiva di un mondo sullorlo della fine. Il secondo
coincide con la creazione di nuove forme di vita, collettive e individuali, grazie alla percezione della contingenza dello stato attuale
delle cose. La melanconia anomala perch, come non si stanca di
ripetere il monaco medioevale, vive la disaderenza alla regola: fuga
delirante verso la negazione della perdita; produzione innovativa
di nuovi giochi linguistici. Afferma perentoria Ildegarda di Bingen
(De causis, p. 75), mistica e medico del XII secolo:
Dio cre luomo e a lui asserv ogni cosa vivente; ma poich luomo trasgred il precetto divino, fu mutato nel corpo e nella mente. [] Se invece fosse rimasto nel paradiso, avrebbe conservato
una condizione perfetta e immutabile. Ma, dopo la trasgressione,
tutto questo fu mutato in qualcosa di nuovo e amaro.

La melanconia, prosegue il testo, per natura in ogni uomo,


perch luomo trasgred (ivi, p. 82). questo lo stato danimo
della prassi umana e delle sue origini: azione e innovazione,
tentativo ed errore, rivolta e caduta, produzione agrodolce e continua di qualcosa di nuovo e amaro.

30

1. Lanomalia: antropologia delle passioni melanconiche

2. tutta colpa di Freud?


La riscossa della mania

1 Lutto e melanconia: Freud in chiaroscuro

Meglio depressi che stronzi.


Caparezza, La mia parte intollerante

Non c dubbio: il breve saggio di Freud Lutto e melanconia


costituisce un crocevia decisivo per comprendere fattezze e travestimenti, caratteristiche e potenzialit delle passioni melanconiche. Si tratta di quindici pagine dense ma discontinue che hanno
avuto la responsabilit, a volte loro malgrado (cfr. cap. I, 2), di
accelerare un processo che in Occidente marciava spedito gi da
secoli, probabilmente da millenni: lintroversione meditabonda
di una congerie di stati danimo che la tradizione pi arcaica
legava alla prassi e allazione. Al di l della vulgata o delle semplificazioni, Freud ha inciso nella riformulazione contemporanea
della malinconia. Un breve sguardo al saggio in questione sufficiente per comprenderne le ragioni. Lincipit cauto e modesto:
si tratta di osservazioni preliminari che come tali lasciano cadere
sin dallinizio ogni pretesa di universale validit (Freud, 1917, p.
102). Freud dubita addirittura che la rilettura della melanconia
alla luce dellesperienza del lutto possa valere anche solo per una
classe di casi, poich forse si riveler valida solo per un piccolo
gruppo di disturbi (ibidem). Il celebre accostamento tra lutto e
melanconia proposto, dunque, come un tentativo incerto che

si muove pi per indizi che per prove. Il saggio, almeno allinizio, si muove coerentemente con questa premessa. Il testo, per,
procede per riprese successive e approfondisce i vari aspetti del
malessere melanconico con toni e intenti piuttosto discontinui.
Dal lavoro sperimentale di Freud emerge un quadro complesso
riassumibile in otto punti fondamentali: quattro possono essere
definiti progressivi, cio utili a chiarire il potenziale antropologico della melanconia; quattro sono di marca nettamente regressiva poich contribuiranno a rafforzare cecit e rimozioni circa
questa passione allinterno della riflessione occidentale. Questo
pareggio prende le mosse da un presupposto: la melanconia
uno stato luttuoso, patologico perch cronico. La melanconia
il lutto che fa cortocircuito con s stesso perch non si sottopone
allesame di realt, cio non ritira dalloggetto scomparso (il caro
defunto, il marito che abbandona la sposa sullaltare, lideale illusorio: questi gli esempi di Freud) lenergia pulsionale che su di
esso stata riversata. Per far ci, il melanconico si identifica con
loggetto perduto, ad esempio con il caro estinto. Una identificazione che produce due effetti. Il primo paradossale: Il paziente
consapevole della perdita che ha provocato la sua melanconia
nel senso che sa quando ma non cosa andato perduto in lui
(ivi, p. 104). Il secondo strutturale e costituisce il primo dei
due tratti universali attribuiti da Freud alla melanconia. In contrasto con la timidezza dellincipit, Freud chiede al lettore che
gli sia consentito prendere in esame per un momento ci che la
sofferenza del melanconico ci permette di arguire sulla costituzione dellIo umano (ivi, p. 106). Lidentificazione con loggetto
scomparso fa s che le critiche e laggressivit che il melanconico
gli indirizza contro diventino forme autocritiche, rimproveri rivolti a s stesso. La melanconia la struttura emotiva alla base
di quel che Freud chiama coscienza morale e che in seguito
definir Super-Io.
Loscillazione netta: per un verso la melanconia e il suo
accostamento al lutto costituiscono una sperimentazione che
riguarda un gruppo limitatissimo di casi; per un altro si descrivono le modalit di costituzione di una delle grandi isti32

2. tutta colpa di Freud? La riscossa della mania

tuzioni dellIo (ibidem). Su questo punto torner. Per ora


opportuno concentrarsi sui risvolti positivi di un percorso tanto travagliato. Di fatto Freud pone dei dubbi sulluniversalit
dellaccostamento lutto-melanconia: il primo aspetto progressivo di un testo che diventer molto pi rigido nelle sue letture
successive (si pensi a Gilroy e in parte alla Butler). In secondo
luogo, Freud individua, ancora prima del riconoscimento della
portata di questa passione (cosa che avverr anni dopo ne LIo e
lEs, cfr. cap. I, 3), uno degli aspetti antropogenetici della melanconia: melanconica la nascita del Super-Io. Freud afferma
esplicitamente (terzo punto progressivo) che il risvolto politico
della melanconia non predeterminato: il melanconico non
necessariamente un nostalgico reazionario dei bei tempi andati
o del si stava meglio quando si stava peggio poich il contenuto perduto pu riferirsi a qualsiasi ideale, tanto alla patria
quanto alla libert (ivi, p. 103). In ultimo, nel testo si chiarisce esplicitamente che la mania costituisce un risvolto decisivo
per comprendere la sintomatologia melanconica (quarto punto): La caratteristica pi singolare e che necessita pi di tutte
di una spiegazione (ivi, p. 112).
proprio la mania, per, a racchiudere in s il punto cieco
dellimpostazione freudiana. A tradire la difficolt larticolazione editoriale e narrativa del testo. A due terzi, infatti, il saggio si interrompe. Poche righe dopo, uno spazio bianco indica
la frattura, un vuoto del discorso che tradisce limbarazzo di una
sospensione. Freud ha spiegato perch spesso il melanconico sia
insonne. Conclude il proprio discorso riproponendo le linee
guida della sua prima interpretazione della melanconia, risalente al 1895. Nella cosiddetta Minuta G il Freud neurologo aveva
spiegato che la malinconia e la mania costituiscono reazioni
psichiche a una ferita. Nella ferita che riguarda il corpo lemorragia chiama al lavoro le energie ematiche per la coagulazione
e la cessazione della dispersione sanguigna. Nella melanconia
una lacerazione psichica chiama a raccolta le energie neuronali
circostanti per riparare il danno subto. Con limmagine della
ferita melanconica Freud raccoglie le idee, rannoda i fili, unisce
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

33

passato neurologico a presente psicoanalitico. Ma non tutti i


fili vengono intrecciati nel nuovo ordito. Da Lutto e melanconia
pende ancora un filo: la mania rimane appesa nel vuoto, ancora
in cerca di una sistemazione teorica.
Lultima parte del saggio costituisce un tentativo di rilancio,
la coraggiosa discussione dei risultati conseguiti. A tal proposito,
Freud non fa sconti: Non solo ci consentito ma addirittura ci
imposto di estendere la spiegazione analitica della melanconia anche alla mania (ivi, p. 113). Poi, impietoso, aggiunge: Non posso
promettere che questo tentativo sar completamente soddisfacente (ibidem). E infatti non lo sar. Per capirlo, basta mettere sotto
la lente dingrandimento alcune gracilit strutturali dellimpianto
teorico del saggio. Lutto e melanconia risente di una impostazione
di tipo tradizionale della quale non riesce a scrollarsi di dosso i
difetti pi limitanti. In una frase: Freud concepisce la melanconia
ancora sul calco teologico della paralisi accidiosa. Nelliconografia
tradizionale laccidioso a volte accompagnato dalla scritta torpet
iners (cfr. 5): un incapace immobilizzato, perch bloccato da
un cortocircuito elettrico come quello prodotto dalla scarica della
razza di mare che laccidioso tiene ben stretta nella mano. Nel saggio di Freud, il melanconico vittima di inibizione (ivi, p. 103),
impoverito e svuotato, incapace di agire (ivi, p. 104). Come
laccidioso, il melanconico freudiano isolato, lontano dalla sfera
della prassi: il suo prototipo non a caso lAmleto, tragedia dalla
quale Freud cita un passo (ivi, p. 106). Tutto procede secondo il
programma dominante nella tradizione occidentale: il melanconico simile al sovrano solitario. Con una mossa sola Freud si
inscrive in un paradigma consolidato che da La Repubblica di Platone arriva fino al dramma barocco. A proposito di questultimo,
Walter Benjamin (1925, p. 180) descrive una nozione di melanconia tutto sommato platonica perch legata alla sovranit solitaria:
anche qui il principe il paradigma del melanconico. Cambia
solo il tipo di legittimazione: il tiranno lha ottenuta con la forza,
il principe con il diritto di successione dinastica. Inibito e solo, il
melanconico freudiano condannato ad avere una relazione marginale con la sfera pubblica.
34

2. tutta colpa di Freud? La riscossa della mania

Certo, nel testo fanno capolino ipotesi in grado di riequilibrare, almeno parzialmente, il quadro. Dopo aver individuato nella melanconia una struttura potenzialmente universale
(il suo ruolo per lo sviluppo del super-Io), poche righe prima
Freud propone anche per la mania unesperienza universale
di natura economica. Si ha gioia, il giubilo e il trionfo []
quando qualcosa che fa s che un grande dispiegamento di energia psichica, sostenuto a lungo o trasformatosi in abitudine, a
un certo momento diventi superfluo, quando cio una lotta
lunga e difficile coronata da successo.
lunico caso nel quale la mania appare non solo in termini
patologici e in grado di dire qualcosa di antropologicamente
significativo. Ecco quindi un risultato del quale fare tesoro: la
mania legata al sollievo per la lotta rappresentata dalla nostra
esistenza. Brusco e immediato, per, il rientro nei ranghi: la
mania, la dimensione che darebbe accesso al mondo pratico,
descritta da Freud secondo due coordinate di fondo. La prima ribadisce che il suo ruolo teorico comunque quello della
comparsa: mentre esistono melanconici non maniacali, non si
danno soggetti maniacali che non siano melanconici (Freud,
1917, p. 113). La seconda asserzione sviluppa le premesse
della prima: i prototipi indicati per chiarire cosa intenda con
comportamento maniacale sono tendenziosi. Come abbiamo
visto, Freud sottolinea che gioia, trionfo e giubilo [] costituiscono per noi i prototipi della mania (ibidem). Ma poi
si concentra solo sul trionfo immotivato, la forma pi chiaramente delirante dei tre: la mania non altro che un trionfo
di questo genere, solo che anche questa volta lIo ignora quali
prove ha superato e perch sta cantando vittoria (ivi, p. 114).
La mania sostanzialmente una sbornia, un avvelenamento da
vino: Anche lubriachezza, che appartiene al medesimo ordine
di fenomeni, prosegue Freud, pu essere valutata allo stesso
modo (ibidem). Da qui in poi verranno proposte altre ipotesi,
titubanti e poi smentite. Quel che importa che ormai loccasione persa. La melanconia riassorbita dal lutto e dalle sue
tristezze, la mania confinata tra i fumi alcolici di chi ecceMelanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

35

de senza aver consapevolezza di quel che fa. Per comprendere


che loccasione ormai perduta, basta avere davanti il quadro
delle principali occorrenze che riguardano il termine mania
nellopera freudiana:
Vol. I, p. 380: sinonimo di rabbioso, psicotico;
Vol. II (Minuta G): orientamento opposto alla
melanconia, propagazione di eccitamento;
Vol. III, p. 92: sinonimo di melanconia;
Vol. V, p. 460: appare in un caso di psicosi;
Vol. VIII: Lutto e melanconia;
Vol. IX Psicologia delle masse; LIo e LEs;
Vol. X, p. 570: intossicazione e fuga simile al vino;
Vol XI, p. 174: beata ebbrezza del maniaco.
Lespressione impiegata in modo generico oppure in senso
disfunzionale, vicino per lappunto allebbrezza e allintossicazione. Il caso costituito da LIo e lEs particolarmente significativo. Come abbiamo visto (cap. I, 3), in questopera Freud
amplia il margine di manovra della melanconia. Non si tratta
pi di una semplice patologia, ma di una tappa antropogenetica
che ha la capacit di formare il carattere dellIo. Freud riprende
la prima delle asserzioni universaliste contenute in Lutto e melanconia (la melanconia fondamentale per la coscienza morale), portandola avanti: la melanconia ora riveste una funzione
per lo sviluppo dellIo. Se lampliamento del sistema freudiano
fosse simmetrico e armonico, qualcosa di simile dovrebbe accadere anche per la seconda asserzione universale, quella che
riguardava la mania e la sua relazione con il sollievo che si esperisce dopo il superamento di una prova. Niente di tutto di questo. Paradossalmente, la posizione pi equilibrata resta quella
del 1895, quando Freud paragona nella Minuta G la mania
alla propagazione di un eccitamento neuronale. Nellimpianto
freudiano, la melanconia rimane una forma di lutto cronico la
cui relazione con la dimensione della prassi e le caratteristiche
portanti della natura umana restano indefinite e sbilanciate.
36

2. tutta colpa di Freud? La riscossa della mania

Indefinite perch relegano sullo sfondo ipotesi interessanti


ma abbandonate; sbilanciate perch concentrate sulle forme
introverse e inibite del melanconico e non sulle potenzialit
innovative della sua immaginazione e della sua prassi.

2 Antropologia della perdita? Melanconia e creazione

A: Lho perso lottimismo!


B: E che ce v?! Dove te lo sei perso?
Tu te devi fa sempre sta domanda:
dove stavo? Che facevo? Ritrovamo tutto.
Antonio Rezza, Virus

Con Lutto e melanconia, Freud compie unoperazione decisiva


che ha inciso profondamente sullimmagine contemporanea di
questa passione. Trattando le disfunzioni melanconiche, Freud
parla in modo pi o meno esplicito e coerente della sua funzione
nel processo dellantropogenesi, cio nella costruzione psichica,
linguistica e pulsionale di ogni essere umano. Il saggio suggella
uno spostamento dasse tematico. Per Ippocrate e Aristotele la
mania il genere del quale la melanconia specie. In seguito
questa relazione subisce un rovesciamento perch la mania a
diventare una variante della melanconia (lo vedremo meglio nel
prossimo capitolo). Gi nel titolo il breve articolo di Freud porta
a uno slittamento ulteriore. Lutto e melanconia ricolloca la sindrome da bile nera nella sua posizione originaria, cio seconda,
ma procede a una sostituzione radicale. A prendere il primato il
lutto; la perdita guadagna il posto antropologico occupato in origine dalla mania e dallazione. opportuno sottolinearlo: non si
tratta di contestare la validit clinica o terapeutica di questa svolta. Quel che in esame sono gli effetti filosofici di questa trasformazione quando il testo di Freud viene assunto come immagine
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

37

della natura umana e della struttura psichica sapiens. Si tratta di


un passaggio spesso implicito e pervasivo il cui risultato lassunzione di quel che potremmo chiamare una antropologia della
perdita: gli esseri umani sembrano essere caratterizzati nella loro
costituzione innanzitutto da una sottrazione originaria. Si tratta
di un modello suggestivo che, al contempo, suscita il sospetto di
una compromissione profonda con il paradigma teologico del
peccato originale e dellespulsione di Adamo ed Eva dal paradiso.
A tal proposito, bisogna fugare una possibile fonte di confusione.
A un primo sguardo, lantropologia di Lutto e melanconia pu
apparire simile allimmagine della natura umana fornita dallantropologia filosofica del Novecento. Secondo Arnold Gehlen, ad
esempio, lanimale umano si distinguerebbe dalle altre forme di
vita per un minore tasso di specializzazione somatica e per un
numero minore di strutture istintuali cui far riferimento per salvare la pelle e sopravvivere. Se, dunque, troviamo nel concetto di
pulsione unarchitrave comune, le due impostazioni teoriche
differiscono per quel che concerne la relazione tra mancanza e
azione. In entrambi i casi gli esseri umani si presentano come
animali pi pulsionali che istintuali, cio legati a spinte allazione
e a stimolazioni percettive non ancora organizzate da un preciso
piano genetico. Mentre la pulsione generica e polimorfa, listinto specializzato e uniforme. Da questa base comune, si procede
per a una biforcazione teorica. Per lantropologia filosofica di
Gehlen, quella istintuale una mancanza originaria che, come
tale, ha due contrappesi. Il primo costituito, come detto, da
un eccesso pulsionale e percettivo, quel profluvio di stimolazioni
che colpisce ogni essere umano e con il quale occorre fare i conti
in ogni momento dellesistenza. Il secondo legato al concetto di
azione: lanimale umano un essere che agisce (Gehlen, 1978,
p. 38) perch il suo primo compito organico consiste nel definire
in che modo funzioner il proprio organismo, per mezzo di quali
strumenti, lingue, forme collettive, istituzioni pubbliche organizzare la forma di vita dei sapiens. Proprio sulla base di Lutto
e melanconia, molta riflessione psicoanalitica e politica contemporanea imbocca una strada, lantropologia della perdita, molto
38

2. tutta colpa di Freud? La riscossa della mania

differente e meno convincente. Per due ragioni. La prima riguarda la diversit semantica che esiste tra mancanza e perdita.
Entrambe le nozioni indicano una privazione, ma solo la seconda
suggerisce un possesso precedente: perdo qualcosa solo se lho
avuto, almeno transitoriamente. Che cosa gli umani avrebbero
perso? Nel suo commento a Lutto e melanconia la psicanalista
Maria Melgar (2007, p. 121) lo sintetizza cos:
La psicoanalisi ha scoperto che per la costruzione dellapparato psichico e linguistico, delle funzioni dellego e della libert
del soggetto di provare emozioni, immaginare e creare, necessario perdere gli oggetti della necessit (need) e dellamore.

Secondo una teoria influente come quella di Jacques Lacan,


ad esempio, questo oggetto costitutivamente perduto sarebbe il
cosiddetto oggetto a. In cosa consiste questo oggetto? In un
paradosso. Per un verso, dobbiamo sforzarci di non pensare ad
esso come a un oggetto che stato presente, un seguito perduto e poi ritrovato ma alla perdita come costitutiva delloggetto
medesimo (Palombi, 2009, p. 41). Per un altro, il termine si
riferisce a unassenza che non nostalgica ma i cui effetti si fanno continuamente sentire. Gli animali umani sarebbero preda di
una continua illusione prospettica perch alla ricerca di qualcosa
che sembra perso ma che invece non c mai stato. La tesi interessante perch descrive la natura umana come intrinsecamente
melanconica. Si ricordi laffermazione icastica di Freud: Egli [il
melanconico] sa quando andato perduto, ma non cosa andato
perduto in lui (Freud, 1917, p. 104). Il quando in questo caso
corrisponderebbe a un passato originario, il cosa a una condizione sconosciuta della quale per si sente la mancanza. Con
una differenza, per, e non da poco: mentre il melanconico ha
subto una perdita effettiva, nel caso delloggetto a questa perdita
prospettica perch si riferisce a una mancanza costitutiva. Per
Gehlen, fondamentale lazione; per Lacan (o perlomeno per
molti suoi epigoni) sembra esserlo la grammatica nostalgica della
nostra struttura psichica. Proprio nella melanconia le due proMelanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

39

spettive possono forse trovare un esperimento di conciliazione


a patto per di non assecondare la tendenza a vedere in questa
passione solo il secondo di questi termini (la mancanza). Credo
che sia opportuno, invece, intravedere nella melanconia anche
il primo, lazione. Per farlo, bisogna non perdere docchio una
nozione ancora oggi occulta e nascosta, la mania.
Per capire meglio le ragioni di questa proposta e prima di
comprendere come possibile articolarla, opportuno andare a
vedere una conseguenza pi esplicita di questa biforcazione teorica. Un testo recente, Melanconia e creazione in Vincent Van
Gogh, pu risultare molto utile perch, seppur da una prospettica
lacaniana, porta alle estreme conseguenze limpianto melanconico della perdita rintracciabile in molti passaggi di Lutto e melanconia. La tesi di Massimo Recalcati (2009, p. 16) ha il pregio
di essere netta: il disagio psichico di uno dei pi grandi pittori
dellOttocento sarebbe dovuto alla melanconia e non a un disordine di tipo schizofrenico. Van Gogh nasce allinterno di un contesto luttuoso e irrisolto: il giorno del proprio compleanno coincide con il giorno nel quale, un anno prima, il fratello muore. Il
nome del pittore, Vincent, tradisce la sovrapposizione: i genitori
chiamano il secondogenito con lo stesso nome del primo nato.
La tesi esplicitamente e coerentemente freudiana. Van Gogh
soffre di una identificazione melanconica perch il suo brodo di
cultura psichico, affettivo e familiare allinsegna del lutto cronico: Vincent parassitato da una immagine ideale che non lo
abbandona e che sovrasta la sua esistenza (ivi, p. 36). Recalcati
rifiuta esplicitamente il paradigma del genio intrecciato alla follia
(ivi, p. 68), ma finisce col tratteggiare un ritratto della melanconia sospetto perch eccessivamente compromesso con la tradizione che vorrebbe criticare. Cerco di spiegarmi. In primo luogo,
la scelta del libro di intrattenersi sulla creativit di un talento
al di fuori del comune come quello di Van Gogh; un talento che
ha la fama di essersi legato indissolubilmente a una forma grave
di disagio psichico che lo ha portato prima allautomutilazione,
poi al suicidio. Ma al di l di una scelta per lo meno compiacente
con il paradigma del genio folle e melanconico, il mio sospetto si
40

2. tutta colpa di Freud? La riscossa della mania

fonda su una ragione pi specifica. La malinconia trattata come


una passione sostanzialmente passiva, un movimento esplicitamente mortifero e nihilistico (ivi. p. 105). Eppure Van Gogh
fornirebbe loccasione e il materiale per lavorare su un ritratto di
questa passione pi equilibrato e meno compromesso dagli stereotipi tradizionali. Il pittore riconosce esplicitamente lesistenza
di due forme di melanconia (ivi, p. 39):
In una prevarrebbero labbandono, la morte, lassenza di speranza, la nostalgia, la stagnazione, linerzia. Nellaltra, in quella che Van Gogh stesso definisce la sua melanconia attiva, si
manifesterebbe unenergia vitale che spera, aspira e ricerca.

Nello specificare che questa forma attiva non una negazione maniacale della ferita melanconica (ibidem), Recalcati
ripropone il paradigma freudiano, seppur sotto la curvatura offerta da Lacan. Da ci segue la svalutazione del polo maniacale,
considerato solo in termini disfunzionali. Si potrebbe obiettare
che forse si tratta solo di un modo diverso di intendere i termini
in gioco. La parola mania qui intesa solo in senso dispregiativo per coerenza con la terminologia adottata da Freud. Ci non
vuol dire che non si riesca a intravedere il risvolto pratico e attivo
della melanconia, che poi quel che veramente ci sta a cuore.
La melanconia attiva, in effetti, sembra costituire il modello del
quale andavamo in cerca: non uno sfogo reattivo e inconcludente
alla perdita, ma unazione costruttiva per mezzo di atti innovativi
e pubblici, come accade quando si lavora a un dipinto. Certo,
si tratterebbe sempre di un caso vicino alla nozione di genio,
sempre di Van Gogh si sta parlando, ma non occorre, si potrebbe ribattere, andare troppo per il sottile. Laspetto interessante
della manovra argomentativa di Recalcati, significativa perch
opera di una delle voci pi autorevoli della psicoanalisi lacaniana, consiste invece nella progressiva e spietata neutralizzazione
del potenziale innovativo insito nella melanconia. Se Van Gogh
rintraccia nella pittura la forma attiva della propria melanconia,
Recalcati ribadisce che questa strada in realt non percorribile.
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

41

Larte avrebbe a che fare non con il sintomo freudiano, una formazione dellinconscio che tende a dividere e a destituire lIo, ma
con un sinthomo, come lo chiama Lacan, cio una formazione
egoica che identifica il soggetto e gli rende possibile avere un
nome proprio (ivi, p. 77). Fuori dal gergo: una formazione che
consente allindividuo di costruire il proprio percorso di individuazione specifico e irripetibile. Si tratta infatti di una praxis,
[] una operativit. La finalit del sinthomo quella di dar luogo
a unopera che fa consistere un soggetto privo dellausilio del Padre
(ivi, p. 78. Il corsivo nel testo). Perfetto! Non era proprio quel
di cui andavamo in cerca, una melanconia non pi accidiosa? Poco dopo, per, ci si affretta a dire che il valore di sinthomo possono averlo le opere di Joyce, ma non quelle di Van Gogh. Purtroppo lidentificazione melanconica impedirebbe questa forma
di riparazione alla perdita di iscrizione di un ordine simbolico. In
termini freudiani: neanche il lavoro artistico consente di uscire
dal lutto cronico nel quale Van Gogh immerso, di costruire una
vita che riesca a evadere dalla cortina di ferro imposta da quel
nome, Vincent, che adombra la figura del fratello scomparso. Si
faccia attenzione: Van Gogh fallisce nel far sua questa exit strategy
dal lutto non per un motivo devastante e aggiuntivo (ad esempio
perch soffre anche di disturbi di ordine schizofrenico oppure
per la particolare gravit della situazione familiare), ma proprio
a causa della melanconia che lo affligge. Nella melanconia, il
creatore finisce per consumarsi nellopera conclude Recalcati (ivi,
p. 88. Il corsivo nel testo). Non questa una perfetta immagine, piuttosto, della negazione maniacale di tipo disfunzionale?1
Uscito dalla finestra, il volto oscuro della mania, a questo punto
puramente patologico, rientra dallingresso principale sotto forma di neutralizzazione della prassi melanconica. La conclusione
implicita e inevitabile: una melanconia attiva non pu esistere
perch se dalla melanconia si riemerge, allora vuol dire che non
si mai stati veramente melanconici. Si tratta di una neutraliz1 Quella del consumare proprio limmagine usata da Binswanger (cfr. 5) per definire
la mania: il soggetto maniacale consuma il suo ambiente (Binswanger, 1960, p. 84).

42

2. tutta colpa di Freud? La riscossa della mania

zazione radicale perch colpisce i due tratti distintivi principali


dellazione maniacale. Il primo lo abbiamo visto: non sarebbe
una prassi perch non in realt unattivit, solo una forma di
autodistruzione. Anche il secondo, cio il suo carattere pubblico,
sembra impraticabile. A causa della sindrome melanconica, Van
Gogh sceglie limpolitica della solitudine, rompe con la citt,
sceglie [] la vita randagia, vuole vivere solo per la Natura e
per larte (ivi, p. 95). La via della prassi sbarrata, Van Gogh
ricacciato nellisolamento distruttivo di una passione che pare
non offrire alcuna possibilit di riscatto.

3 Melanie Klein: un tentativo di riparazione

Non siamo nati per soffrire


Assalti frontali, Sottobotta

Riepiloghiamo. Se si estende il modello di Lutto e melanconia fino a tramutarlo in un paradigma antropologico si rischia
di costruire una immagine della natura umana tutta concentrata sulla nozione paradossale e scivolosa di perdita. Per la
melanconia, la conseguenza di questa scelta esiziale perch finisce col rappresentare, se possibile ancora pi che nel passato,
una passione depotenziata e priva di speranza.
A questo punto si profilano di fronte a noi due strade. La
prima, imboccata da Melanie Klein, prova a correggere il paradigma freudiano cercando di inserire al suo interno la mania.
La seconda propone un lavoro pi radicale perch scava dentro
la proposta freudiana alla ricerca di tracce di un modello antecedente ma dimenticato che pu consentire di evidenziare nella
melanconia una potenzialit emotiva oggi quasi insospettabile.
Vediamo, innanzitutto, perch la proposta di Melanie Klein
mantiene meno di quel che promette. Loperazione appare interesMelanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

43

sante. Specialmente nei saggi Psicogenesi degli stati maniaco-depressivi e Lutto e stati maniaco-depressivi Klein cerca di affrontare alcuni
dei problemi irrisolti lasciati da Freud e di riequilibrare la relazione
tra melanconia e mania. Lobiettivo lavorare sulla parentela con
il lutto per fare almeno un paio di passi in avanti. Il primo riguarda la collocazione della melanconia: essa non costituisce solo una
sindrome o una fase dello sviluppo (come tale unica e irripetibile)
ma rappresenta una posizione (Klein, 1935, p. 311), una forma
che la psiche umana pu assumere nei momenti pi diversi del
suo sviluppo e della sua esistenza. Nella sua apparente semplicit
la proposta consente di rileggere in maniera nuova lunico modo, o meglio uno dei pochi, nel quale stato possibile vedere la
melanconia in termini non patologici. Il concetto di posizione
pu rappresentare un sostituito efficace alla nozione di temperamento che, da Ippocrate in poi, si legata alla melanconia o
al sentimento dellaccidia, ben presto ingabbiata in una tipologia
di ordine diverso, quella dei peccati capitali (cfr. cap. III, 4). La
posizione depressiva avrebbe una precisa origine ontogenetica: nel
momento dello svezzamento, il bambino deve confrontarsi con la
perdita del seno materno e tutto ci che il seno e il latte significano per la psiche infantile, vale a dire amore, bont, sicurezza
(Klein, 1940, p. 327). Questi i presupposti dai quali parte Klein:
alla nascita lIo del bambino discontinuo e frammentato; lintroiezione di questi oggetti buoni sentita come costantemente
minacciata di distruzione sia da forza interne (lEs) che esterne.
Da qui sorge lipotesi circa lesistenza di due categorie di paure: la
prima, di ordine paranoico, legata a persecutori interni; la seconda, costituita da sentimenti di pena e angoscia, legati alla paura
di perdere oggetti per i quali ci si strugge damore. La posizione
malinconica sarebbe composta da entrambe le componenti: una
tendenzialmente paranoide e una propriamente depressiva. La parziale sovrapposizione con la paranoia fornisce unimmagine della
melanconia meno segregata dal resto della vita psichica in grado
di focalizzare meglio le sue capacit polimorfiche. Sia il lutto che
gli stati melanconici, infatti, hanno a che fare con una ripetizione
ontogenetica. Il lavoro del lutto riesce non solo quando ristabilisce
44

2. tutta colpa di Freud? La riscossa della mania

loggetto perduto ma quando riesce a farlo con tutti i suoi oggetti


damore interni (ivi, p. 346. Il corsivo nel testo): lesperienza
del lutto pu essere tanto devastante proprio perch disarticola la
presenza degli oggetti buoni interiorizzati che Klein tende a far
coincidere sostanzialmente con i genitori amati (ivi, p. 336). In
modo simile, gli stati maniaco-depressivi tradiscono lincapacit di
questa restaurazione poich nella primissima infanzia [i soggetti
melanconici] non sono riusciti a consolidare i loro oggetti interni
buoni e a sentirsi sicuri nel loro mondo interiore (ivi, p. 353).
Il fatto che Klein parli di sindrome maniaco-depressiva
(sulla scia di Abraham, come vedremo nel prossimo paragrafo)
non irrilevante: loscillazione tra melanconia e mania definita
parte integrante dello sviluppo normale (ivi, p. 331). La mania mantiene buona parte dei tratti freudiani: anche per Klein
la mania innanzitutto trionfo delirante, pieno di disprezzo e
onnipotenza (ivi, p. 334). Il tentativo, per, farle indossare
abiti civili: oltre alla sua versione patologica, la mania una reazione non pi solo disfunzionale. Essa, infatti, caratterizza anche
il lutto nel quale si pu assistere a momenti di euforia transitoria
(ivi, p. 338). Melanie Klein sembra dischiudere un nuovo spazio antropologico, la riparazione. La mania sarebbe originata da
un senso di onnipotenza necessario per due ragioni. La prima
legata al terrore provato per i propri oggetti interni e alla loro incontrollabilit; la seconda consiste nel far s che il meccanismo
di restauro delloggetto meccanismo acquisito nella posizione precedente, la posizione depressiva possa esser attuato con
piena efficacia (Klein, 1935, p. 313). La mania sarebbe sempre
secondaria rispetto al polo depressivo (metterebbe in atto strumenti confezionati durante la fase inibita e triste): nonostante
ci, Klein ne intravede il ruolo antropologico non disfunzionale.
La mania passa allatto e questo passaggio non sembra costitutivamente malato. Se c stata una perdita, si pu agire per ricucire strappi, incollare parti rotte, cercare pezzi mancanti. Fuor di
metafora: se per Freud la sposa abbandonata corrisponde a un
esempio paradigmatico di perdita melanconica, il volto maniacale positivo pu consistere in un tentativo di riparazione. Ad
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

45

esempio, andare a cercare lo sposo in fuga. Pur allinterno di un


paradigma non soddisfacente, lantropologia della perdita, Melanie Klein propone uno spiraglio: daccordo, partiamo dalloggetto perduto e infranto, ora possiamo per rimetterci mano. Il melanconico non solo il personaggio rannicchiato in un angolo o
affacciato sul mare che contempla orizzonti perduti, ma anche
colui che si alza e parte alla ricerca di quel che ha perso. Purtroppo, per, neanche questa concessione risulta senza riserve.2 Una
nota al passo citato poco sopra blocca sul nascere ogni possibile
entusiasmo: questo restauro, conformemente al carattere fantastico dellintera posizione, quasi sempre, precisa Klein, non
realistico e chimerico (ivi, p. 313, nota 14). Il tema della perdita
ancora troppo forte: lazione maniacale sembra riparatoria ma
in realt finisce con lessere delirante e basata sul diniego, cio
sulla cancellazione e levitamento di incontri psichici che per il
melanconico risulterebbero troppo dolorosi.

4 Lillustre sconosciuto: Abraham e la sindrome maniaco-depressiva

Come ti sei ridotta in questo stato.


Dimmi chi ti ha ridotta in questo stato, danimo.
Caparezza, Goodbye Malinconia

La prima strada, lo abbiamo visto, si rivelata un vicolo cieco:


rimaneggiare il paradigma freudiano aggiungendo in fondo alla
lista la mania ha un effetto posticcio e tardivo. Anche per Melanie
Klein, alla fine, mania equivale a fuga dalla realt. A costo di
risultare pedante, ribadisco il punto: non si tratta di costruire un
elogio della mania, unesaltazione del passaggio allatto in quanto
2 Sempre di una concessione si tratterebbe poich aggiungerebbe un terzo elemento alla
coppia lutto e melanconia senza per scardinarne la gerarchia interna.

46

2. tutta colpa di Freud? La riscossa della mania

tale. Il problema cogliere insieme al risvolto antropologico della


melanconia triste e depressa, ben evidenziato dalla psicoanalisi, anche il fondamento antropologico del suo volto attivo ed euforico.
Semplificando, potremmo dire che la sensazione che si ha dopo
aver letto i testi sulla melanconia di Freud, dispirazione lacanania
e di Klein quella di una profonda asimmetria. La tristezza sembra
avere radici antropologiche profonde e chiare: listituzione della
coscienza morale (Lutto e melanconia), le identificazioni successive
che costruiscono il carattere (LIo e lEs), lillusione prospettica di
un oggetto perduto e mai avuto (Lacan), la debolezza precaria degli
oggetti damore interiorizzati (Klein). La mania, invece, non sembra avere una collocazione propria nella psicogenesi e nelle vie di
individuazione dei sapiens. La sproporzione sospetta: nella natura
umana inibizione, dolore e riflessivit introversa trovano subito il
loro posto, mentre azione e prassi, piacere e sollievo sembrano rappresentare solo deliranti vie di fuga. Che la fuga, ad esempio, non
sia poi una linea di azione cos irrilevante e reattiva? Per rispondere
allinterrogativo conviene fare ancora un paio di passi allinterno
delluniverso psicanalitico.
Nel dibattito sulla melanconia Karl Abraham una presenza
costante ma fugace. Gli si riconosce linfluenza su Freud, specie
sul parallelo tra lutto e stati melanconici, per poi solitamente
lasciarlo nel suo angolo, fortunato precursore di una luce ben
pi intesa. Per questo Abraham costituisce un caso esemplare di
illustre sconosciuto: qualcuno di cui si orecchia il nome, ma
che in realt non si conosce affatto. Ed un peccato: tra gli autori
che abbiamo considerato Abraham colui che scrive di pi sulla
melanconia, per di pi lunico che dedica un paragrafo dei suoi
scritti esplicitamente alla mania.
Come Freud, Karl Abraham innanzitutto un medico e uno
scienziato. Il suo interesse per il disagio psichico passa attraverso
studi di storia naturale (la sua prima pubblicazione riguarda la
storia evolutiva del pollo), listologia e la neuropatologia (Cremerius, 1975, p. 11). Dal 1907 comincia uno scambio di idee con
Freud che, fino al 1925 anno della morte di Abraham, non conoscer interruzioni. Sin dalla prima pagina di Lutto e melanconia,
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

47

Freud (1917, p. 102, nota 1) riconosce esplicitamente il debito


nei confronti del proprio allievo. Quel che Freud omette di dire
che il senso del parallelo tra lutto e melanconia per Abraham,
in buona parte, diverso: molto meno regressivo per il significato
antropologico e il destino filosofico della melanconia.
Abraham, infatti, inserisce il parallelo tra lutto e melanconia
allinterno di una categoria psichiatrica, la sindrome maniaco-depressiva, proposta da Kraepelin alla fine dellOttocento. Per un verso, la caratterizzazione della mania simile a quella freudiana. Anche
in questo caso paragonata a unintossicazione che ricorda in modo
sorprendente quella dei morfinomani e di alcuni alcolisti (Abraham, 1916, p. 272). Per un altro, Abraham tiene fermo un punto
fondamentale dellanalisi psichiatrica che da Kraepelin arriver fino
a oggi negli strumenti diagnostici contenuti nel cosiddetto DSM IV.
La sindrome melanconica ha la caratteristica di essere circolare. Abraham intuisce che lambivalenza non solo legata allamore e allodio
per loggetto perduto ma anche lespressione della logica interna alla
coppia melanconia-mania. La circolarit del comportamento, prima
inibito e poi maniacale, esprime proprio lalternanza di odio e amore: il melanconico si abbatte per fermare lodio per loggetto perduto; si lancia nellazione maniacale quando ne sente la perfezione
ideale. Freud giustappone i due dati senza collegarli tra loro: da un
lato insiste sul carattere ambivalente della melanconia, costitutivo di
questa passione; dallaltro cerca di riannodare i fili della bipolarit
triste-maniacale senza riuscirvi. Questo passaggio teorico decisivo
per dare la possibilit alla mania di riabilitarsi allinterno del quadro
psicanalitico. Se lambivalenza una caratteristica logica fondamentale della melanconia e questa ambivalenza si incarna nelloscillazione inibizione melanconica/disinibizione maniacale, allora la mania
pu rivestire un ruolo decisivo in questo stato danimo. Nelle ultime
pagine del suo saggio, Freud scarta esplicitamente questa ipotesi per
mezzo di una argomentazione che non appare stringente. Poich
ritroviamo lambivalenza anche nei rimproveri ossessivi susseguenti
a una morte, ci vuol dire che il fattore chiave della melanconia deve
trovarsi altrove, a suo parere nella regressione nellIo della libido che
era stata investita nelloggetto damore ora scomparso (Freud, 1917,
48

2. tutta colpa di Freud? La riscossa della mania

p. 117). Freud non sembra considerare, per, che delle tre componenti principali della melanconia che egli elenca (perdita delloggetto, ambivalenza, regressione della libido nellIo) la seconda ha
una ampiezza teorica non comparabile alle altre due. Lambivalenza
costituisce la grammatica della pulsione in quanto tale, la caratteristica logica che distingue la pulsione dallistinto (Mazzeo, 2009).
Che dunque lambivalenza intervenga in pi di una circostanza non
strano. Il punto capire se nella melanconia esista una modalit specifica di manifestazione dellambivalenza. Secondo Abraham
(1924, p. 315), lalternanza tra inibizione triste ed euforia disinibita a costituire questo modo peculiare. Proprio perch egli rilegge la
circolarit della sindrome psichiatrica maniaco-depressiva secondo
la chiave psicoanalitica dellambivalenza, Abraham (ivi, p. 329) ha
ben chiaro quale sia il punto cieco della prospettiva di Freud:
Mentre Freud ha posto in rilievo e fondato laffinit psicologica fra la melanconia e il lutto normale, non ha trovato nella
vita psichica un processo che corrisponda al mutarsi della
melanconia in mania.

Il tono amichevole, ma il colpo duro. Se il mutamento della


melanconia in mania trova spiegazione nellambivalenza, cosa dire della mania in quanto tale? A tal proposito, Abraham suggerisce
due idee particolarmente interessanti perch prova a fare quel che
n Freud, n Klein erano riusciti o riusciranno a fare. La prima idea:
la mania presenta delle affinit con il motto di spirito, per come
descritto e analizzato da Freud. Sia nella mania che nel motto il
risparmio di inibizione d accesso a fonti di piacere pi arcaiche, legate a forme di esperienza infantile. Questo regresso ontogenetico d
la possibilit di accedere a una particolare tecnica della produzione
ideativa (ivi, p. 252) che ha due caratteristiche principali. La prima
leliminazione della costrizione logica, la seconda il giocare
con le parole (ibidem). Se il rischio dessere trascinati via in una
fuga didee a causa della quale si perde molto facilmente la rappresentazione della meta (ibidem), la mania favorisce similmente
al motto di spirito di entrare in unaltra cerchia rappresentativa
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

49

(ibidem). Proprio per questo, si specifica subito dopo, la fuga didee


pu sfiorare temi penosi di solito repressi. Abraham pone le basi
per un vero e proprio rovesciamento tematico, seppur senza svolgere
fino in fondo largomentazione. La mania pu costituire lincarnazione pratica di quel che sul piano verbale il motto di spirito. O
meglio, il motto di spirito costituisce unazione innovativa verbale
che come tale ha inevitabilmente un risvolto pratico: unarguzia riuscita necessita di una capacit di maneggio della situazione e di
cogliere lattimo appropriato, una sensibilit linguistica simile a quel
che i greci chiamano phrnesis (Virno, 2005). La mania pu costituire unazione innovativa pratica che, come tale, ha inevitabilmente
un risvolto linguistico: giochi di parole, fuga delle idee. Il motto
di spirito trova la sua struttura specifica in una forma ternaria. A
differenza del comico che prevede uno scambio di battute tra due
persone, la grammatica del motto richiede la presenza di un terzo.
per questo che, secondo Paolo Virno, ricapitola in s la struttura di
quel che Aristotele chiama praxis perch ha bisogno di un pubblico
non coinvolto direttamente nella vicenda. Cosa succede se non si
tiene nel debito la presenza di questo terzo attore?
Si smarrir lessenziale: la differenza tra un dialogo amoroso o
una conversazione scientifica, per i quali basta la seconda persona, e un motto di spirito o una rivoluzione, che abbisognano
invece, per esistere, di un pubblico indifferente. (ivi, p. 22)

La mania inquietante e tende al delirio perch abroga inevitabilmente il tu della seconda persona: incarna costantemente
quel che per il motto di spirito, un caso limite (ibidem):
In certe arguzie (si pensi ai puri giochi di parole, non diretti a
un interlocutore particolare) pu mancare la seconda persona,
il tu; in nessuna la terza persona, legli inattivo e giudicante.

Il riferimento proprio a quei giochi di parole che costituiscono, secondo Abraham, una delle vie privilegiate per il
linguaggio del soggetto maniacale. Ma c almeno un secondo
50

2. tutta colpa di Freud? La riscossa della mania

punto di contatto. Grazie al motto di spirito si pu verificare


uno spostamento verbale, un cambio di discorso che paragonabile alla figura etico-politica dellesodo (ivi, p. 79 e sgg.).
Cambiando discorso o fuggendo dallEgitto ci si sottrae alla
logica del terzo escluso (o A o non A) trovando una via alternativa. Nel caso del popolo ebraico perseguitato dal Faraone
allalternativa subire violenza o esercitare violenza, il viaggio
nel deserto e lattraversamento del Mar Rosso costituiscono
una forma di spostamento, che spariglia le carte in tavola. Sia
dal punto di vista verbale che da quello puramente pratico, la
spinta maniacale alla fuga e alla sottrazione. Nella sua versione disfunzionale e patologica, la fuga (per Ippocrate uno dei
tratti comportamentali distintivi del melanconico: cfr. cap. III,
2) dispersione: instabilit delirante, assenza di scopi e mete,
perdita di s. Nella sua versione funzionale, invece, costituisce un elemento decisivo per lindividuazione di unalternativa
quando ci si ritrova con le spalle al muro stretti da due opzioni
ugualmente infelici.
La seconda idea di Abraham ancora pi abbozzata della prima e irta di maggiori difficolt: riguarda la parentela strutturale
tra mania e festa rituale. un tema cui accenna Freud nella sua
Psicologia delle masse e analisi dellIo: i Saturnali romani e il carnevale nostrano testimonierebbero come nella trasgressione lideale
dellIo e lIo dei partecipanti si fondino tra loro con il risultato
susseguente di una festa grandiosa per lIo (Freud, 1921, p.
318). In uno scritto di poco successivo, Abraham esplicita questa
connessione tematica mettendo in relazione mania e festa rituale
ma anche mania e cerimonia funebre. Analizzando il caso di un
paziente che in un eccesso maniacale si d al consumo smodato
di carne, Abraham (1924, p. 330) commenta:
Qui diviene del tutto chiaro che la mania rappresenta, nella
sua essenza pi profonda, unorgia di carattere cannibalesco.
La dichiarazione del paziente una prova convincente in favore della concezione di Freud, secondo la quale la mania
rappresenta una festa di liberazione celebrata dallIo.
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

51

In realt nellanalisi di Freud e Abraham proprio questo potenziale liberatorio e rivoluzionario a finire sullo sfondo. Invece di
insistere sulla relazione tra mania individuale e festa rituale (pubblica e collettiva, potenzialmente costruttiva e liberatoria), i due si
concentrano solo sugli aspetti pi retrivi del parallelo. Freud sottolinea che si tratta di movimenti liberatori prescritti dallordine
costituito, come nel caso del Carnevale: una semplice valvola di
sfogo. Abraham esplicita il senso dellaccostamento tra melanconia
e festa funebre. I riti primitivi funerari lavorerebbero a dissipare
il lutto sociale per mezzo di unesplosione libidica (cio maniacale) che porta allintroiezione delloggetto perduto, cio dellestinto
(Abraham, 1924, pp. 327-331). Le premesse dellanalogia sono gi
contenute in Totem e Tab, lo scritto pi dichiaratamente antropologico di Freud (1913, p. 144): La festa un eccesso permesso,
anzi offerto, linfrazione solenne di un divieto; il pasto totemico
[] forse la prima festa dellumanit (ivi, p. 146). La prima festa
maniacale ha a che fare con unuccisione rituale, quella del padre
capo dellorda primordiale, e con la sua introiezione cannibalica.
Il paragone tra melanconia individuale e melanconia delle masse
interessante perch lascia sul tavolo unequazione decisiva e rude,
utile per comprendere il perch dello sfortunato destino toccato
in sorte alla mania e agli stati melanconici. Questo aspetto del
teorema melanconico di Freud e Abraham pu essere riassunto
cos: i popoli primitivi sono tali sia dal punto di vista tecnologico
che psichico poich passano allatto l dove noi ci limitiamo a un
movimento psichico. Mentre i pazienti malinconici incorporano
loggetto perduto nella loro psiche, i primitivi lo incorporano fattivamente introducendolo nel corpo come pasto. Il ragionamento
si basa sul presupposto che il passaggio allatto sia sostanzialmente una forma primitiva e, come tale, incivile. Il cannibalismo costituirebbe una forma melanconica, di introiezione di quel che
perduto; di converso, la melanconia costituirebbe una forma pi
primitiva e barbarica del lutto.
Il volto maniacale della sindrome studiata da Freud e Abraham incarnerebbe quel che nel rito rappresentato dalla festa
orgiastica connessa allantropofagia, mentre lesperienza indivi52

2. tutta colpa di Freud? La riscossa della mania

duale del lutto corrisponderebbe al pianto funebre sociale (come detto esplicitamente in Lutto e melanconia: Freud, 1917, pp.
107-108). Abraham (1924, p. 302) a tal proposito chiaro: La
melanconia rappresenta una forma di lutto arcaica. Il termine
arcaico contiene, qui, un implicito giudizio di valore: uno stato
barbarico che necessita un superamento. Sulla testa della melanconia incombe, pesante, lo spettro di uno stato di natura alla
Hobbes nel quale gli umani mangiano altri umani come fossero
lupi. Eccoci giunti finalmente al nodo cruciale, allambivalenza
che anima il trattamento psicanalitico della melanconia. Per un
verso, se si scava fino in fondo si attua un rovesciamento. Non
la melanconia a derivare dal lutto, ma il lutto a costituire una
forma seconda rispetto alla melanconia. Per un altro, questo rovesciamento assume i connotati del progresso civilizzatore: noi s
che non siamo barbari perch ci nevrotizziamo invece di passare
allatto. Losservazione contiene senzaltro una porzione di verit
(meglio un tic che uno sterminio di massa), ma ci non toglie
che occorre comprendere che fine fa, in questo scenario, la dimensione pratica dellagire. Il rischio rimanere incastrati in una
morsa caricaturale3: primitivi che agiscono mangiandosi a vicenda, nevrotici immobili in attesa che qualcosa finalmente cambi.
proprio su questo punto che si chiude Totem e tab:
lespressione contenuta nel Faust di Goethe secondo la quale
in principio era lazione riguarda, secondo Freud, innanzitutto il primitivo privo di inibizioni [per il quale] il pensiero
si trasforma senzaltro in azione (Freud, 1913, p. 164), mentre il nevrotico moderno ha difficolt proprio con lagire.
significativo per che questa frase, in principio era lazione,
abbia costituito nel Novecento leffige di quella filosofia del
linguaggio che ha cercato di indagare la relazione tra parola e prassi: chiude Pensiero e linguaggio, il capolavoro dello
psicologo sovietico Lev Vygotskij; ricorre tra le pagine di Ludwig Wittgenstein quando si mette a riflettere sulla relazione
3 La ritualizzazione legata allantropofagia, ad esempio, tuttaltro che orgiastica:
Mazzeo, 2006.

Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

53

tra certezza e giochi linguistici. Freud, in parte Abraham e la


tradizione successiva, chiudendo la porta in faccia alla melanconia, rischiano di chiuderla anche alla capacit umana di
cambiare il mondo.

5 Danzare, arrampicarsi, saltare: Binswanger e lantropologia


della mania
Grande la confusione sopra e sotto il cielo.
Osare limpossibile,
osare, osare perdere.
CCCP, Manifesto

Ludwig Binswanger medico e psichiatra, studioso appassionato della filosofia di Heidegger e Husserl. Leggendo le molte pagine
che ha dedicato alla passione melanconica, si ha la sensazione che
queste letture abbiano contribuito, almeno a volte, a complicare il
quadro teorico pi che a renderlo intelligibile. Dei due libri scritti
sul tema, Sulla fuga delle idee e Melanconia e mania, il secondo
conosciuto e citato, perch pi recente ( una delle sue ultime
opere) e dichiaratamente riassuntivo. per nel primo che possibile trovare le idee pi fertili a proposito della melanconia proprio
perch, paradossalmente, si tratta di un libro parziale e squilibrato,
dedicato a un fenomeno limite, la fuga delle idee. Si tratta di uno
degli esiti estremi della sindrome maniacale al quale la psichiatria
e la neurologia di fine Ottocento dedica parecchia attenzione:
Carl Wernicke, uno dei pionieri della neurologia del linguaggio,
a proporre una delle prime classificazioni delle diverse forme di
fuga di idee alla quale Binswanger d credito. Per comprendere il
fenomeno chiamato fuga delle idee bisogna distinguere. La fuga
ordinata di idee si caratterizza per un flusso incompiuto di pensieri la cui struttura associativa principale, per, rimane in piedi.
Solo nelle due forme pi gravi il paziente perde capacit di azio54

2. tutta colpa di Freud? La riscossa della mania

ne e appare disorientato: nella fuga disordinata di idee va anche


perduto il giudizio riflessivo sulla propria capacit di prestazione
(Binswanger, 1933, p. 99), mentre nella fuga incoerente il parlare
si disarticola completamente fino ad arrivare a un cianciare sconnesso (ibidem). Al di l dei particolari tipologici, la distinzione
consente di chiarire un punto decisivo. La fuga delle idee non
un fenomeno monolitico e nella sua forma pi leggera costituisce
una componente del pensiero linguistico di ogni parlante. Quando si preda di uno stato nel quale i pensieri mostrano un ritmo
superiore al normale e di procedere per proprio conto fino a trovare la soluzione di un problema o intravedere un nuovo modo
di comportarsi si ha a che fare con una fuga di idee, non solo non
patologica, ma decisiva per linnesco di unazione innovativa. Su
questo punto Binswanger chiaro. Grazie alla fuga di idee possibile disporre di una maggiore ricchezza di pensieri, uno stato di
produttivit accresciuta ed eventualmente persino unaccresciuta
capacit di prestazione [...] (ibidem). Lobiettivo di Sulla fuga delle
idee individuare la struttura antropologica della mania (ivi, p.
21): non a caso gli scritti di Abraham sulla melanconia vengono
definiti come quelli che pi di ogni altro hanno contribuito alla
teoria della libido di Freud (ivi, p. 39 nota 17). Al contrario di
Abraham che si era limitato a ipotizzare un possibile legame tra
mania e motto di spirito, Binswanger descrive con precisione e
nel dettaglio tre forme di esistenza legate al volto funzionale della
mania: la vita festosa, lottimismo e il salto demoniaco. Lidea di
partenza riprende esplicitamente Freud: il maniacale vive unesperienza di trionfo (ivi, p. 53). La differenza di impostazione consiste nellindividuazione dei correlati non patologici e innovativi
legati a questo tipo desperienza. Binswanger fa riferimento innanzitutto alla dimensione della festa: a una tonalit del vissuto vicina allestasi che confonde i confini tra il soggetto dellesperienza
e il suo contenuto. Non si tratta del semplice vissuto di perdita
dei confini, ma dellincarnazione dellatteggiamento estetico verso
quel che ci intorno. Quella estetica una vita che astrae da ogni
individuazione o la vita dal punto di vista della totalit (ibidem).
La caratterizzazione che ne fornisce Binswanger , purtroppo, del
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

55

tutto impolitica: Innocente, estranea alla lotta aggiunge in nota


(ivi, p. 53 nota 47). La propriet che la contraddistingue un atteggiamento non problematico di apertura al mondo e alla vita.
Un non prendersi cura inteso in modo positivo (ivi, p. 51) e
non solo difettivo e manchevole la cui caratteristica di essere non
riflessivo, comunque legato alla relazione con gli altri, a quel che
Platone chiama sinousia, allessere insieme (ivi, p. 53). Da questo
punto di vista, gli esempi proposti da Binswanger sono particolarmente significativi. la danza a costituire lesempio privilegiato di
quel movimento non direzionato e non limitato tipico della vita
festosa. La danza produce una trasformazione nel modo di vivere
lo spazio e il proprio corpo: ballando non ci si sposta, si riempie
lo spazio. La danza richiede una sincronizzazione: con il ritmo e
la musica, ma anche con coloro i quali ci si sta muovendo. La vita
festosa ha per un risvolto pratico che emerge per mezzo di un secondo esempio, pur solo accennato: Il movimento di scalare una
montagna trasmette il vissuto della vittoria (ivi, p. 44. Il corsivo
nel testo). La sottolineatura sulla trasmissione di questa idea legata a una esplicita correzione di quel che affermava Freud in Lutto
e melanconia: Leccitazione maniacale non produce lebbrezza della
vittoria e il giubilo della festa, le fa solo emergere dalluomo (ivi,
p. 47. Il corsivo nel testo).
Il caso dellarrampicarsi addirittura pi interessante del
precedente: se la danza sottolinea il legame tra mania ed esperienza estetica, questo mette a fuoco la sua relazione con una
forma di attivit pratica di ordine diverso. Mentre nella danza il
movimento non finalizzato, nella scalata i movimenti hanno
una caratterizzazione particolare. Per un verso, sono legati al riempimento dello spazio: la parete dellarrampicatore non solo
una superficie, ma un corpo con il quale entrare in sintonia.
Diversamente dalla danza, per, larrampicatore effettua spostamenti veri e propri: ha una meta da raggiungere e un percorso da fare. Come per la danza, la scalata propone un problema
di orientamento del corpo proprio nello spazio. A differenza di
questa, orientarsi non significa solo ritrovare le coordinate nelle
quali inserire i propri movimenti (dopo una piroetta sul palco
56

2. tutta colpa di Freud? La riscossa della mania

o uno sbandieramento, il violento strappo che prova a sbalzarci via dalla parete) ma anche pone la questione di ritrovare la
via. Nella mania estetica sembra esserci una contrapposizione
tra festa e cultura, tra movimento e riflessione ( un punto sul
quale Binswanger insiste molto). Il movimento in salita presenta invece unalleanza. Il tipo di trance tipico di chi arrampica
non riducibile n a una mera spinta a salire irriflessa (possibile
solo su percorsi semplici che come tali quasi non presentano
lesperienza dellascesa), n tanto meno a un calcolo riflessivo
(semplicemente non ce n il tempo). La dimensione tecnica
dellascesa si presenta altrettanto complessa: per un verso non
la qualit del materiale a fare la differenza; per un altro ascendere in parete significa farsi tuttuno con protesi tecnologiche.
La corda e i moschettoni, limbraco e i mezzi per assicurarsi alla
parete sono parte integrante del percorso, ne costituiscono la
modulazione, larticolazione tecnica interna. Mentre la danza
una forma despressione che affonda le sue radici nel buio del
nostro passato preistorico, la storia dellalpinismo molto recente perch legata allo sviluppo tecnico del secolo appena concluso. La vita festosa ha dunque un risvolto pratico e tecnico
che Binswanger stenta a riconoscere perch sembra dimenticare
che la festa ha un legame strettissimo con il rito. Dalle celebrazioni dei santi patroni a quelle della fertilit agricola, dai baccanali dionisiaci alle ricorrenze legate allo Stato-nazione, la vita
festosa organizzata in forme istituzionali la cui manifestazione
cronologica periodica. Anche in casi del genere la festa non
semplicemente qualcosa che accade, ma qualcosa che accade
e che riesce (o, dunque, fallisce). Lelemento di performance
presente in ogni rito nella festa vive di un cortocircuito: la festa
riesce non solo se adempie al compito (commemorare un santo,
unire la patria) ma se fa vivere unesperienza di comunanza al di
l del motivo per il quale ci si riunisce.
La seconda forma emotiva, lottimismo, costituisce il controaltare rispetto allocclusione prospettica tipica del depresso.
Trovare una discontinuit netta tra una posizione maniacale e
una visione semplicemente rosea del futuro difficile, soprattutMelanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

57

to a volte possibile farlo solo a cose fatte. Retrospettivamente


possibile dire se quella che abbiamo compiuto una grande
impresa legata alla nostra fiducia oppure il tentativo maniacale
che non conosce ostacoli (ivi, p. 80). Questo il senso melanconico dellespressione impiegata da Virgilio nellEneide divenuta proverbiale audentis fortuna iuvat: nel compiere unazione
al limite delle nostre possibilit possibile scorgere se quello che
abbiamo di fronte un limite insuperabile solo dopo aver compiuto il tentativo ( un tema che ritorner nel cap. III, 3).
Non si tratta dunque di una semplice invocazione al gesto eroico
(cosa da lasciare volentieri allesaltazione dei paracadutisti della
Folgore), quanto a unindicazione circa la struttura di ogni azione
umana che si confronta con lesperienza del limite. Nella danza
pu trattarsi di una combinazione di passi particolarmente impegnativa; nellarrampicata di raggiungere con un lancio, cio
senza sostegni e spingendosi nel vuoto, una presa apparentemente irraggiungibile; nellagire politico di cominciare un tumulto e
accorgersi, quasi increduli, che questo prende piede e d il via a
un vero e proprio movimento rivoluzionario. Lottimismo, prosegue Binswanger, caratterizzato da una inconsueta vicinanza
tra i mondi dellagire e del pensiero. Questo stato danimo riduce
al minimo la frattura tra pensiero e azione. Per questa ragione, il
pensiero di chi preso nellazione (e non solo da chi affetto da
fuga di idee) pu risultare impreciso (ivi, p. 85) o grossolano
come un cowboy in un campo di tulipani (ivi, p. 56). Anche in
questo caso, per, si tratta di una imprecisione a posteriori (problema che ritroveremo, anche questo, nel melanconico grecoaristotelico: cfr. cap. IV, 2): il passo andato a vuoto che per
questo giudichiamo pi lungo della gamba; il volo dellarrampicatore che ha mancato la presa; il fallito assalto alledificio nel
quale si sta tenendo lennesimo consiglio del G8.
Lottimismo rivoluzionario, legato allidea che un altro mondo
possibile (cfr. introduzione), unesperienza pi a portata di
mano di quel che potremmo credere. Quando si fa ricerca scientifica e pi in genere riflessione teorica, proprio questa convinzione, rosea e maniacale, che muove lo studioso a cercare quel che
58

2. tutta colpa di Freud? La riscossa della mania

ancora non si vede. Questo passaggio che lega azione e pensiero


nellottimismo maniacale notevole proprio perch oggi sotto
scacco. Siamo testimoni di una doppia forma di crisi di questo
legame. Per un verso, ricorda Hannah Arendt (1958, p. 171), la
ricerca scientifica sembra essere rimasta lultima forma di attivit
umana che pu riservare novit e cambiamento: mantiene in s il
germe innovatore di una prassi atrofizzata. Per un altro, la figura
che oggi pi di ogni altra potrebbe compendiare ricerca scientifica
e attivit politica, Noam Chomsky (il pi importante linguista vivente oltre che teorico politico coraggioso e radicale), propone una
via di antagonismo e separazione che va nella direzione inversa. La
distinzione che egli propone tra problemi, questioni teoriche alle
quali possibile in linea di principio dare una risposta, e misteri,
questioni alle quali non possibile rispondere in linea di principio, risente del mancato riconoscimento nella ricerca empirica e
teorica della presenza dellottimismo venato di maniacalit proprio
dellazione politica. Nel primo caso (la diagnosi di Arendt sul presente) abbiamo lottimismo maniacale nella ricerca ma non nella
politica; nel secondo (lopera di Chomsky) nellazione politica ma
non nella ricerca empirica.
nella sfera onirica che trova la propria certificazione il fatto
che lottimismo maniacale sia presente, almeno potenzialmente, in
modo costante nella vita dei sapiens e non solo nella psiche frantumata di persone in delirio. Binswanger (ivi, pp. 90-91) fa riferimento a un caso particolarmente eclatante che riguarda i sogni
nei quali si convinti di conoscere una lingua straniera. tanto
semplice parlare nel sogno in francese, inglese o tedesco quanto
sconfortante trovare al risveglio non solo che la nostra competenza
linguistica assai pi scarsa, ma anche che sia cos difficile imparare e gestire una lingua che apprendiamo in et adulta. Credo, per,
che questa facilit di azione e reazione propria del sogno sia di tipo
pi generale tanto da riguardare la struttura stessa dellesperienza
onirica: la facilit dello svolgersi degli accadimenti (inquietanti o
piacevoli che siano) che contribuisce a dare al sogno la sua particolare struttura narrativa ed emotiva. forse per questa ragione che
i sogni nei quali si vive un attrito o un impedimento, come una
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

59

difficolt nel correre o nel camminare risultano tanto angosciosi:


non solo perch hanno un contenuto spiacevole legato a una impossibilit di movimento ma perch fanno attrito con uno degli
elementi portanti della struttura emotiva elementare dellesperienza onirica, la sua ottimistica fluidit.
Al sogno, infatti, legata anche la terza struttura emotiva
maniacale che Binswanger chiama una forma demoniaca desistenza (ivi, p. 236). Il demoniaco ha due volti: uno inquietante
e orrorifico, laltro eroico e militante. Da un punto di vista teologico, il demoniaco, infatti, non va confuso con il satanico
che corrisponde a mancanza, difetto e decadenza (si pensi per
lappunto a Satana come angelo decaduto) e a pura distruzione.
Allo stesso tempo, il demoniaco non sovrapponibile al genio
perch in questo caso si sottolinea solo la capacit creativa della
condotta umana. Il demoniaco dunque tensione tra la creazione e la distruzione di forma (ibidem. Il corsivo nel testo).
proprio questo aspetto del melanconico maniacale che sfugge sia
allantropologia della perdita che alla storiografia che lega la bile
nera alle sorti del genio: nel primo caso si stenta a riconoscere alla
crisi melanconica la possibilit di produrre forme; nel secondo le
si disconosce la forza di distruggerle. Per capire tratti e fattezze
del demoniaco, pu essere utile passare in rassegna due dei suoi
compagni di viaggio pi prossimi: il salto e laccidia.
Binswanger insiste sul salto soprattutto in termini psichici e
verbali: la disconnessione della fuga di idee capace di passare
da un argomento allaltro con rapidit fulminea, spesso incomprensibile. legato a quellottimismo della conoscenza del quale
parlavamo poco fa (ivi, p. 231): non a caso alcune delle ricerche
contemporanee sul pensiero innovativo insistono proprio sui
mental leaps, cio sui salti che la mente umana sarebbe in grado
di fare grazie a metafore e analogie (Holyoak, Thagard, 1996).
Sarebbe sbagliato, per, intendere questa nozione solo in senso
traslato e perderne laccezione semantica primaria, legata al gesto
fisico e alla performance atletica. Anche qui si corre il rischio di
tralasciare, come per la festa, il volto rituale di questa forma desistenza. Nei giochi olimpici della Grecia antica il salto non figura
60

2. tutta colpa di Freud? La riscossa della mania

come disciplina autonoma. inserita come una delle prove del


pentathlon. Non bisogna dimenticare, per, che il salto acquisisce un valore rituale diretto in unepoca ancora precedente. In
tutta let del bronzo a Creta, ma anche in Siria e in altre civilt
mediterranee, la taurocatapsia (il salto del toro) incarna un momento rituale ancora poco decifrabile ma di sicura importanza.
Lottare con lanimale afferrandolo per le corna, saltare sul dorso
per poi superarlo e volteggiare da un lato allaltro del toro (come
nelle pi moderne tecniche del rodeo) costituivano tre fasi di un
unico momento ludico-rituale che trova ampia rappresentazione
nella produzione vascolare del tempo (Younger, 1995). Il salto
del toro una pratica ancora oggi diffusa: dal Portogallo al sud
della Francia, dallEtiopia allIndia. Il suo significato varia ma
sembra muoversi secondo due coordinate di fondo intrecciate: la
prova di ardimento (laspetto che ne fa oggi una forma sportivaspettacolare per certi versi simile alla corrida) e il rito iniziatico.
Il caso dellukl bul, una pratica iniziatica degli Hamer (popolazione che vive nella Valle dellOmo in Etiopia), particolarmente istruttivo. Per passare al mondo adulto, i giovani del villaggio
devono sottoporsi a una prova che consiste nelloltrepassare con
una serie di salti una schiera di sette tori tenuti uno accanto allaltro. La prova superata se si riesce a compiere il percorso per
quattro volte senza cadere (de Nobili, 2011): solo cos si pu
diventare veri e propri membri della trib. Come la fuga di idee
si caratterizza come un salto demoniaco e presuntuoso (Binswanger, 1933, p. 240), cos nella taurocatapsia o nellukl bul
lautore del salto alla prese con unazione decisiva e, per questo,
sospesa tra la vita e la morte, lappartenenza al genere umano o a
un limbo intermedio. Il salto, parte costitutiva anche di espressioni della vita festosa (lassembl e lo changement du pied della
danza classica; il lancio verso lalto dellarrampicata), un ottimo
esempio di azione maniacale proprio per il carattere sospeso della
sua struttura e lincertezza del suo esito. La taurocatapsia consente di precisare ancora meglio la variet degli addentellati della
nozione di fuga associata da Ippocrate in poi alla melanconia,
soprattutto al suo volto maniacale. Il salto del toro suggerisce
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

61

una caratterizzazione dellesodo e del suo valore politico. Esodo non significa fuga paurosa o ritirata strategica, quanto
innanzitutto ricerca di una terza via non compromissoria, di una
alternativa logica e pratica allultimatum di un bivio che inchioda. Il salto del toro mostra che esodo non significa solo evitare
lo scontro diretto e la sottomissione ma che questa forma politica pu avere diverse direzioni di fuga. Non solo verso il lato
sguarnito, in direzione opposta a quella degli avversari come nel
caso della fuga in Palestina degli Ebrei dEgitto; ma anche direttamente verso coloro che ci sono contro guardandoli negli occhi
e oltrepassandoli a pi pari.
Apparentemente niente potrebbe essere pi lontano dal salto demoniaco del sentimento dellaccidia. Come accennato (
2), liconografia classica di quel che nella dottrina della Chiesa
diventato ben presto uno dei peccati capitali una donna dimessa e dalle vesti logore che tiene in mano una torpedine, pesce
pericoloso per il suo potenziale elettrico (fig. 1). A un secondo
sguardo, per, lapparentamento meno pindarico. Non bisogna dimenticare che nella tradizione occidentale forte il legame
tra accidia e il cosiddetto demone meridiano (Agamben, 1977,
p. 5 e sgg.). Alla fine del IV secolo d.C. Cassiano (in Gigliucci
2009, p. 68) descrive cos laccidia, sesto peccato capitale:
La nostra sesta lotta contro il vizio che i greci chiamano akeda e che noi possiamo definire tedio o ansiet del cuore. Affine
alla tristezza, esso mette alla prova soprattutto i solitari ed un
nemico che attacca pi spesso coloro che dimorano nel deserto.
Disturba il monaco soprattutto verso lora sesta, assalendo la sua
anima malata con le ardentissime fiamme dei suoi accessi sempre
alle stesse ore, proprio come una febbre che ritorna a intervalli
regolari. Appunto per questo alcuni anziani lo identificano con il
demone del mezzogiorno di cui si parla nel salmo novanta.

Il passo prezioso. Condensa al proprio interno molti dei problemi che attanagliano la ricezione moderna della melanconia
mantenendo nel proprio ordito la ricchezza dellintreccio. Il rife62

2. tutta colpa di Freud? La riscossa della mania

rimento al demone meridiano esplicito e rimanda a un passo


biblico (Salmi, 90, 6) che secondo Roger Caillois (1936-37, p.
57) ha costituito il punto di innesto tra due tradizioni fra loro
diverse. Il testo ebraico, che non fa riferimento a unentit specifica ma solo a una devastazione, viene riletto dal traduttore greco
alla luce di una tradizione che vantava una vasta collezione di
demoni che trovano lacme della propria potenza a mezzogiorno.
Questa collocazione temporale pu apparire oggi curiosa perch
inversa alla mezzanotte, lora per noi pi critica per il risveglio
delle potenze occulte (dallinterruzione dellincantesimo della favola di Cenerentola fino al vampirismo di David Bowie nel film
Miriam si sveglia a mezzanotte). Ma prima della diffusione di
mezzi tecnici pi sofisticati per misurare il tempo, lombra costituisce lo strumento privilegiato per indicare lora: per mezzo della meridiana proprio lombra di unasta collocata a terra a dirci
in quale porzione del giorno ci troviamo. Il mezzogiorno si configura nel mondo greco come un momento unico proprio perch,
con il sole allo zenit, listante nel quale i corpi non producono
ombra. Ancora nel Fedro (242a) Platone ribadisce che mezzogiorno lora immobile; per i Problemi (XV, 5, 911a 37-911b 2;
XXV, 4, 938a 23-31) di Aristotele il momento del giorno nel
quale il vento assente. Il mezzogiorno listante nel quale il
tempo svanisce come svaniscono le ombre: per questa ragione
lattimo nel quale il mondo dei morti e dei vivi, quello divino e
mortale trovano allineamento e permeabilit. Questo istante ha
due volti: limmobilit terrena che consente linserimento di altre
dimensioni in quella umana; il movimento di chi si intromette
nel mondo mortale portando scompiglio e trasformazione. Anche in questo caso, lapparentamento tra accidia e melanconia si
fonda sullesaltazione del primo aspetto e sulla rimozione, o per
lo meno sul sistematico ridimensionamento, del secondo. Il congelamento temporale creato dalla struttura luminosa del mezzogiorno costruisce una porta che d accesso a forme tutte in movimento. Nella tradizione greca sono almeno due i generi
demoniaci che sfruttano questo pertugio, le sirene e le ninfe. Siamo abituati a immaginare le prime come esseri met donna e
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

63

met pesce, dunque come demoni freschi e acquatici. Ma, ricorda


Caillois (1936-37, p. 27), il loro nome probabilmente legato a
quello di Sirio, stella che lastronomia e la mitologia antica riferiscono alla canicola pi torrida.4 Il caldo favorisce il sonno e il
sonno rappresenta lanalogo psichico di quel che rappresenta il
mezzod per la struttura del tempo: una porta apparentemente
inerte che d accesso ai movimenti e alle trasformazioni portate
dal sogno e dalla sua maniacale fluidit. Sia il monaco accidioso
che il marinaio omerico sono preda di uno stato intermedio, il
dormiveglia dato dalla calura, che costituisce un pericolo perch
pu dare corpo alleros dei sogni e dei desideri pi riposti. In entrambi i casi non si tratta di un sonno ristoratore, ma di uno stato
inquieto e faticoso che non legato come vorrebbe Caillois (ivi,
p. 62) a una ipotensione psicologica quanto a un eccesso pulsionale, un cortocircuito elettrico improduttivo. Nel passo precedente, Cassiano definisce laccidia una ansiet del cuore, una
condizione fiammeggiante affine alla tristezza legata, poche pagine prima in un passo che non riporto, alla condizione di chi
ubriaco e ha bevuto troppo. Sia nel suo dormiveglia che nella sua
irrequieta fibrillazione, il monaco non trova pace: laccidia il
torpore di chi assediato da spinte polimorfe e contrastanti, non
un torpore semplicemente inerte. Nelliconografia di Cesare Ripa, la scritta che campeggia sullimmagine (torpet iners) il frutto
di un processo che nel XVII ormai compiuto. Lelettricit propria dellaccidia localizzata nella torpedine,5 in un corpo estraneo e morto. Al contrario, questo eccesso elettrico e pulsionale
uno degli elementi chiave della accidia, sentimento fatto di continui saltelli e sbilanciamenti tra il mondo del sogno e quello del4 Propongo con cautela unipotesi probabilmente troppo ardita: non da escludere
che la presenza del cane nelliconografia rinascimentale e successiva della melanconia
risenta implicitamente di questo accostamento con laccidia, il demone meridiano e
il caldo del mezzogiorno (tanto che laccidia descritta nel medioevo come prossima
alla rabbia canina e simile al cane affamato: Wenzel, 1960, pp. 107, 109). La canicola
atmosferica cede il passo allanimale corrispondente.
5 Il riferimento alla torpedine tuttaltro che stravagante. Rappresenta uno dei prototipi scientifici della elettricit corporea e animale fino al XIX secolo. Tanto che Alessandro Volta costruisce la pila proprio come versione artificiale dellorgano elettrico della
torpedine (Bresadola, 2008, p. 94).

64

2. tutta colpa di Freud? La riscossa della mania

la veglia, tra il regno del tempo e quello delleternit. Come dicevo, oltre alle Sirene sono le ninfe a sfruttare la finestra atemporale
offerta dal mezzogiorno. Se la sonnolenza contribuisce ad aprire
le porte psichiche alla possessione, le ninfe sono definite dee senza sonno (ivi, p. 37) che provocano una sindrome caratterizzata
da impossibilit di movimento, afasia e mania (ivi, p. 43). Lentusiasmo ninfolettico porta al delirio profetico (ivi, p. 37) ma pi
in genere a una condizione sospesa, a met tra la veglia e il sogno.
Per Macrobio, ricorda Caillois (ivi, p. 46. il corsivo nel testo), il
fantasma propriamente quel che appare tra la veglia e il sogno
profondo. Questa condizione fantasmatica propizia per apparizioni divine ed erotiche ma anche per compiere azioni sul filo
del rasoio: terrore e ira ispirati dal dio Pan, lerotismo di ninfe e
Sirene. Laccidia della tradizione cristiana legata a doppio filo
con la demonologia del mezzogiorno. Proprio perch demoniaca
una condizione sospesa: pu portare alle rovine dellapoplessia
ma anche alla sapienza di chi sa in anticipo perch ispirato dagli
dei. Il mezzogiorno accidioso dunque il luogo immobile che
consente un salto tra mondi differenti: la fuga verso il futuro, il
passaggio tra la dimensione mortale e quella immortale. Il breve
confronto con laccidia mostra che lantropologia della mania in
grado di sottolineare la relazione che esiste tra quelli che sembrano semplici umori passeggeri (la vita festosa, lottimismo e la sospensione demoniaca) con alcuni aspetti strutturali della vita
umana. La vita festosa, ad esempio, espressione non solo dellirritabilit del maniaco ma dellirritabilit tipica di una specie intera, la nostra. Il maniaco irritabile perch uno stimolo apparentemente innocuo o privo di significato pu destarlo dalla festa
della sua vita e rigettarlo nel carattere problematico dellesistenza
umana: una paziente si lamenta del fatto che nella scodella nella
quale aveva mangiato della frutta venisse servito il giorno dopo
un cibo grasso, il semolino. Sono spiacente di non essere un bidone della spazzatura scrive con astio e disappunto (Binswanger,
1933, p. 25). Un fatto allapparenza innocuo, limpiego nella clinica dello stesso contenitore per due cibi diversi in due giorni
differenti, diventa motivo desplosione: la drammaticit dellesiMelanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

65

stenza umana ricompare sulla scena improvvisamente e con tutto


il suo peso. Il soggetto maniacale porta alle estreme conseguenze
un tratto della nostra natura. Siamo animali irritabili perch le
sollecitazioni che ci colpiscono (interne e pulsionali o esterne e
percettive) non hanno una struttura fissa e prestabilita che le contenga e le indirizzi. Il mondo dellottimista, ricorda Binswanger
(ivi, p. 80), plastico e malleabile: mentre nella fase triste della
melanconia il nostro mondo sembra restringersi e non presentare
via duscita, lottimismo maniacale rende possibile limpossibile e
individua sempre una strada da seguire. Proprio questa contrazione e dilatazione di quel che ci circonda individua uno specifico
caratteristico della condizione umana. Recentemente, stato sottolineato il fatto che molte specie animali, non solo lHomo sapiens, sono in grado di estendere i confini della loro nicchia ambientale: i ragni costruiscono lambiente grazie alle secrezioni che
formano le loro tele; diverse forme di vita (scimpanz ma anche
corvi, delfini e forse pesci) possono vantare articolazioni del comportamento legate a varianti culturali cio non dettate n da diversi profili genetici, n da particolari pressioni ecologiche.6 Si
tratta di studi interessanti poich contribuiscono a costruire
unimmagine della vita animale esente da caricature. Affermare
per che gli esseri umani modificano i loro dintorni in modo
straordinario oppure che tutte le forme di vita trasformano il
loro ambiente non aiuta a capire quale sia lo specifico della nostra
natura e cosa consenta ai sapiens (e non, ahi loro, ai delfini) di
avere in mano le sorti del pianeta Terra. Il soggetto maniacale, a
tal proposito, pu fornire un contributo: proprio questo movimento di contrazione/dilatazione che pu costituire uno dei cardini specifici della nostra forma di vita. Mentre la tela si presenta
come una espansione permanente dellambiente del ragno e luso
di utensili una possibilit accessoria per la sopravvivenza degli
scimpanz (Mazzeo, 2011), nel caso degli umani questa espansione costituisce sempre un problema. Rischia di estendersi troppo,
6 Si tratta del paradigma chiamato Niche construction (costruzione di nicchie) il cui
testo di riferimento possibile trovarlo in Odling-Smee, Laland, Feldman, 2003.

66

2. tutta colpa di Freud? La riscossa della mania

come nel passo maniacale pi lungo della gamba, o di chiudersi


fino a occludere ogni prospettiva di vita, come nel caso depressivo
e suicidario del melanconico triste. Il carattere demoniaco del salto maniacale coglie questo elemento di sospensione tipico della
costruzione dei dintorni umani. La tensione tra creazione e distruzione di forma propria di una pulsazione che per essenza
non permetta che dei tentativi incompleti, impropri e quindi sempre ripetibili (Binswanger, 1933, p. 240. Il corsivo nel testo).

Fig. 1 Cesare Ripa, Acedia, 1593

Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

67

6 Il cigno nero: vino e mania

Scusa le spalle, sto troppo avanti


Piotta, Sto troppo avanti

Un film recente pu aiutarci a costruire unimmagine pi


completa della melanconia maniacale di quanto sia in grado di
fare, ad esempio, la produzione artistica di un folle genio come
Vincent van Gogh ( 2). Come amava ripetere Ludwig Wittgenstein, c molta pi saggezza in un film hollywoodiano che
in tanta riflessione teorica (si rivolgeva alla filosofia anglosassone,
ma losservazione pu essere estesa senzaltro a quella italiana).
Il cigno nero di Darren Aronofsky una pellicola di successo che ha portato nel 2010 lattrice protagonista, Natalie
Portmann, alla conquista del premio Oscar. Pur scontando il
prezzo di alcune semplificazioni, il film fornisce un quadro del
delirio melanconico-maniacale dark sorprendentemente articolato. Nina, la ballerina al centro della trama, mostra con chiarezza uno degli esiti dellintreccio tra melanconia e paranoia
sul quale ha posto laccento Melanie Klein ( 3). Sin dal primo
incontro, fuggevole e casuale, sul metr di New York Nina e il
suo alter ego, Lily, sovrappongono il loro destino lungo binari
fluidi e persecutori. A Nina manca, a dire di chi deve mettere
in scena il lago dei cigni di ajkovskij, la sensualit erotica e
maliziosa della quale, invece, la sua antagonista fin troppo
dotata. Al centro della scena narrativa ci sono i salti maniacali
della danza e lottimismo entusiastico di quando si alle prese
con il superamento di un limite forse insuperabile. Nina, infatti, deve riuscire a sostituire una ballerina culto ormai in l
con gli anni. Lassociazione tra mania melanconica e il vissuto
emotivo-spaziale della danza rappresentato, dunque, in modo
palese. Ma nella seconda parte il film mostra anche il carattere
demonico di questo tipo desperienza. Nina deve interpretare
infatti sia la parte del cigno bianco che quella del cigno nero,
68

2. tutta colpa di Freud? La riscossa della mania

due met complementari di una figura che solo in questo modo


pu trovare completezza. La difficolt di Nina consister proprio nellafferrare questo elemento demonico perch travolta da
unoscillazione. Prima rapita da una immagine di s perfetta
e purissima, poi da un alter ego allucinato e diabolico. Solo
durante la prima del Lago dei cigni, la protagonista riesce a interpretare entrambe le parti: a questo punto che il film indugia su un particolare molto significativo. Il vissuto euforico di
Natalie Portman rappresentato da una vera e propria possessione animale: Nina sente la pelle indurirsi e le piume frusciare
nellaria. Il suo corpo, martoriato dallesercizio fisico e da pratiche costanti di autolesionismo, per alcuni minuti si trasforma
in quello di un cigno. Nella scena della metamorfosi nel cigno
nero, il film punta su uno dei contenuti originari della mania
che la parola follia, la traduzione italiana pi diffusa del termine greco, relega irrimediabilmente sullo sfondo. Il greco mana deriva dalla radice indoeuropea mndh, men, da cui proviene anche il termine menos, il cui significato allude a una forza
animale contagiosa e pervasiva che negli esseri umani assume
spesso la forma del coraggio. Il legame tra questi due termini
testimoniato esplicitamente da un passo omerico segnalato
da Chantraine (1968-1980, p. 660). Nel sesto libro dellIliade
(VI, vv. 97-101) ecco cosa dice lindovino leno Priamde:
[Diomede] lo credo davvero il pi forte in mezzo agli achei;
Neppure Achille tememmo cos tanto, il capo deroi,
che dicono nato da una dea; troppo costui
infuria [mmenai], e nessuno capace di pareggiare la sua foga
[menos]!

La forza vitale del menos e la possessione emotiva della mania descrivono due aspetti del medesimo processo. Il problema comprendere di quale processo psichico si tratti. Giorgio
Colli (1978, p. 26) propone una definizione molto bella. La
mania sarebbe la sapienza vista dal di fuori: un contatto con
forze che soverchiano lindividuo, legate agli di ma anche agli
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

69

animali e a una struttura dellesperienza non solipsistica che


coinvolge pi punti di vista. Questi punti di vista possono appartenere a persone diverse, nel caso ad esempio si osservino le
baccanti in preda al loro furore estatico; possono appartenere
alla stessa persona clta, per, in momenti differenti, si pensi
ad Aiace che solo dopo aver sterminato le mandrie sacre agli di
si rende conto del senso delle proprie azioni. Il passo omerico
sottolinea sia questa vicinanza alla possessione divina (Diomede supera anche chi si dice nato da una dea) che una valenza di
ordine pubblico e pratico. Quella di Diomede non semplice
ira, infatti, una forza combattiva che pu travolgere i nemici.
Mainomai, il verbo greco corrispondente al sostantivo mania,
indica una spinta allazione, spesso prossima al furore, che ha la
caratteristica di prendere la mano a chi ne colto. Di frequente
il verbo appare legato a cose e non a persone: la possessione
cos forte da trasferirsi direttamente nellutensile. Sempre a
proposito di Diomede, ad esempio, Omero scrive (Iliade, VIII,
vv. 108-111):
A Enea li tolsi [i cavalli] un giorno, al maestro di rotta.
cotesti gli scudieri li badino, noi due lanceremo
I miei contro i Teucri domatori di cavalli, ed Ettore
Sapr se lasta infuria [manetai] anche nella mia mano.

Lasta (ma anche le mani, la lancia, il fuoco: Rocci, 1943, p.


1172) si anima perch nella guerra lazione precede lelaborazione cognitiva. Quella mancanza di distanza tra pensiero e mondo
che Binswanger individua nella forma emotiva dellottimismo,
nella mania greca la troviamo amplificata, tutta sbilanciata sul
versante del fare: lasta ci prende la mano e colpisce con velocit
superiore a quella del pensiero.
Per Aristotele, non a caso, il volto maniacale della melanconia essenziale per comprendere in cosa consiste la passione
provocata dalla bile nera. Nei Problemi XXX laggettivo maniaks ricorre in quattro occasioni. Ogni volta, come un colpo di
scalpello, contribuisce a definire la fisionomia di un concetto
70

2. tutta colpa di Freud? La riscossa della mania

sfaccettato e poliedrico. La prima occorrenza appare presto nel


testo, peraltro in un luogo decisivo. Aristotele accosta la bile
nera al vino perch entrambi hanno la propriet di trasformare
lthos degli esseri umani. La prima rende le persone irritabili o
benevole, compassionevoli o sfrontate [itamos] (Probl. XXX,
953a 56); il secondo trasforma il taciturno in un tipo loquace,
ancora un po e diventa un abile parlatore, pieno di animosit;
andando avanti, agisce in modo sfrontato [itamos] e diventa
tracotante e furioso [manikos] (ivi, 953b 2-4). A suggellare la
prossimit delle due sostanze (il vino e la bile nera), laggettivo
itams ricompare in entrambe le descrizioni. Attraverso il parallelismo tra mania e intossicazione alcoolica ( 2) Freud si riallaccia, dunque, a una lunga tradizione che trova uno dei suoi
punti di raccordo in un accostamento che alla base di tutta
la descrizione aristotelica della melanconia. Durante una corsa
durata due millenni e mezzo, il paragone arriva a noi per sfiancato e stravolto. Per Freud, questa analogia ha solo la funzione
di dimostrare il carattere delirante e accessorio della mania. Per
la tradizione greca di cui Aristotele si fa portavoce, questo accoppiamento trova il proprio fondamento in una comune capacit di trasformazione. Nei Problemi XXX essere maniacali non
significa semplicemente essere ebbri o intossicati, ma presi da
unazione che contiene in s la possibilit dello stravolgimento
del carattere, delle abitudini, dellthos di chi la sta compiendo.
Come nota Binswanger, la mania ha la caratteristica di poter
cancellare abitudini e biografia personale. Del resto, anche su
questo punto, Aristotele non fa che prendere atto della tradizione cui appartiene. Nellomonima tragedia di Sofocle, Elettra
esclama abbracciando lurna che contiene le ceneri del fratello
Oreste (Sofocle, Elettra, vv. 1152-1157):
Tu sprofondi, morto. Chi odio ride. Frenetica gode madre matrigna [manetai uf edons mter amtor], lei che eri pronto a colpire,
giustiziere splendente, dicevi, inviando voci di frodo. Lostica Potenza che me e te sovrasta ci ha trainato tutto. A me restituisce te:
non il viso amato, polvere sterile spettro [daimon].
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

71

La traduzione italiana frenetica gode madre matrigna cerca


di rendere in modo conciso e aulico, impresa non facile, lazione della mania. Lespressione densa. In primo luogo, ci dice
che la mania pu essere legata alledon, cio al piacere: cosa che
limmagine stereotipata di una passione furente e folle rischia
di mettere in ombra. In secondo luogo, la tragedia sottolinea in
tutta la sua drammaticit uno dei possibili esiti della trasformazione melanconica dellthos. In questo caso si tratta di un vero e
proprio azzeramento: la madre (meter) incarna la propria assenza
(ametor), una madre che non pi tale. Difficile, poi, non notare
che subito dopo il contesto luttuoso frutto di questa condotta maniacale evoca la presenza di un demone (daimon). Elettra
in questo momento di grande sconvolgimento sembra trovarsi a
met strada tra il mondo dei morti e quello dei vivi. Trasformazione, dolore, piacere, metamorfosi etica sono i connotati della
mania. A dimostrare che si tratta di una passione che non ha una
forma univoca e prestabilita sono le altre tre occorrenze dellaggettivo maniks. In una si affianca esplicitamente il soggetto maniacale al talento (Probl. XXX, 954a 30-34):
Le persone con bile calda e in quantit eccessiva sono maniacali
[maniko] e naturalmente dotate [euphuis], sensuali, pronte ad
assecondare i loro impulsi dira e le loro passioni [thumos], a
volte anche loquaci.

Laggettivo euphus privo di controindicazioni semantiche:


vuol dire letteralmente cresciuto bene nel senso di dotato di
ingegno, con belle qualit, legato a quel che favorevole e opportuno ma anche alla risata delluomo di spirito (Rocci, 1943,
p. 816). Alla risata maligna di Clitemnestra qui fa eco lo spirito
di chi brillante e ha senso dellopportunit (per lanalisi del legame con la passione e il thums rimando al prossimo capitolo).
Le altre due occorrenze presenti nel testo aristotelico mostrano
ancor di pi quanto sia ampio lo spettro semantico della mania. Il passo che abbiamo visto prosegue, infatti, in questo modo
(Probl. XXX, 954b 34-38):
72

2. tutta colpa di Freud? La riscossa della mania

E molti, poich questo calore vicino alle parti dove risiede


lintelletto, sono colpiti da malattie che li rendono invasati [manikis] e ispirati [enthusiastikis]; ecco allora le Sibille, gli indovini, e tutti i posseduti dal dio, quando diventano tali non per
malattia, ma per un temperamento naturale.

La mania pu essere tanto una malattia che una dote naturale.


Il suo legame con la possessione divina fa s che sia portatrice di
ispirazione, poesia e visioni circa il futuro. Come ogni sintomo
melanconico, una forma di squilibrio, una passione che conduce fuori dallordinario (peritts: cfr. cap. IV). Laccenno aristotelico al legame tra mania e poesia richiama, infatti, una connessione forte allinterno della cultura greca. Il legame tra Sibille e
mania ricorre, ad esempio, in un passo di Platone molto noto nel
quale si sottolinea il valore positivo di questo stato psichico ed
emotivo (Fedro, 244a 8-244c):
Non verace il discorso che ad un innamorato si debba preferire
chi non ama, con il pretesto che questi delira [manetai] e il primo invece sano e saggio. Ci sarebbe detto bene se il delirio [to
manian] fosse invariabilmente un male; ora invece i pi grandi
doni ci provengono proprio da quello stato di delirio [manias],
datoci per dono divino. Perch [b] appunto la profetessa di Delfo, le sacerdotesse di Dodona, proprio in quello stato di esaltazione [manisai], hanno ottenuto per la Grecia tanti benefici, sia
agli individui che alle comunit; ma quando erano in s fecero
poco o nulla. Tralascio di parlare ancora della Sibilla e di quanti altri profetizzano per ispirazione divina, i quali con le loro
anticipazioni hanno spesso e a moltissimi indicato una giusta
strada per il futuro; ch ci soffermeremmo su cose note a tutti.
Ma giusto che sia addotto a testimonianza questo fatto, che
anche gli antichi artefici dei nomi non tennero il delirio [manian] dellesaltazione n in vergogna, n in disprezzo, perch diversamente non avrebbero connesso [c] questo stesso nome con
larte bellissima, per la quale si discerne il futuro, chiamandola
esaltazione profetica ("manica")[manikn].
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

73

Letimologia platonica non solo suggestiva: sottolinea leffettiva connessione linguistica tra due parole e due attivit. Tanto
lazione maniacale quanto la previsione dellindovino (la mantica) si caratterizzano infatti per due propriet di fondo. Una
rivolgersi al futuro tramite un salto: pragmatico nel primo caso (la precipitosit: cap. III, 3); cognitivo nel secondo. Laltra
consiste, invece, nellincapacit a dominare e a possedere fino in
fondo questa fuga in avanti. Nel caso dellindovino, il problema messo in evidenza dalla tradizione mitologica: il destino
di Cassandra di non esser creduta; Tiresia diventa un indovino
come compensazione perch punito tramite accecamento; pi in
generale il vaticinio e la visione hanno una struttura spesso ambigua la cui gestione tuttaltro che scontata (si pensi alle risposte
della Sfinge). Sia il maniacale che il profetico sono protagonisti
di unattivit ampiamente fuori controllo: oltre la media, ma anche estremamente pericolosa. Non a caso nella Poetica (1455a
32-34) Aristotele riprende questo doppio volto della mania. Per
un verso, mette in alternativa due qualit che nei Problemi vanno
insieme: la poetica propria solo di chi dotato (euphus) perch
duttile o del maniacale perch preso dallispirazione estatica (kstasis, altro termine che ricorre spesso nel Problema XXX). Poco
dopo, emerge anche laltra faccia della mania: Oreste ne vittima
perch perseguitato dalle Erinni per aver ucciso la madre (nella
tragedia euripidea Ifigenia in Tauride: Poetica, 1455b 14).
Lultimo passo del Problema XXX in cui compare il termine
sottolinea, infine, il carattere movimentato e irriflessivo legato a dono e persecuzione, melanconia e paranoia: I bambini,
gli ubriachi e i folli [mainomenoi] sono incapaci di ragionare
(Probl. XXX, 957a 2-3) perch la grande quantit di calore e
movimento che sconvolge il loro corpo impedisce ai pensieri
di formarsi. Il vino e la bile nera sono in grado di offrire alla
condotta umana gli esiti pi diversi. Secondo quantit e proporzioni con le quali mescolarli ad altre sostanze, i due liquidi
possono intossicare come precisa Freud, ma anche portare ad
azioni tanto innovative da costringere chi ne protagonista a
forme nuove e incerte di apprendimento. La mania corrispon74

2. tutta colpa di Freud? La riscossa della mania

de a una forma di possessione, una passione che apre la porta daccesso delle cose umane allingerenza divina (gli ispirati,
enthusiastikoi, sono letteralmente coloro nei quali penetrato
il dio). Se dunque la possessione indica la presenza di una forza esterna non sempre identificata, la gestione dei suoi frutti
non riguarda pi questo stato di rapimento. Aiace, compiuta lazione sacrilega e luccisione del bestiame scambiato per
i propri compagni di ventura, deve decidere cosa fare di s e
della propria vita (cfr. Appendice). Il bevitore, dopo aver detto pi di quel che avrebbe voluto, si ritrova a fare i conti con
la propria sconsiderata sincerit. Qualunque essere umano
costantemente alla prese con le conseguenze imponderabili
delle proprie azioni: una risposta data di impulso, un sogno
fin troppo esplicito, un gesto disperato e imprevedibilmente
rivoluzionario (il suicidio del giovane ambulante tunisino che
nel gennaio 2011 ha innescato i movimenti di liberazione arabi). Lelemento pi interessante della mania greca non risiede
dunque nella dinamica creativa (pi religiosa in Platone, pi
scientifica in Aristotele ma comunque oscura) quanto nel suo
residuo, in quel che resta tra le mani del suo artefice. In tal
senso, nella cultura greca sembra esserci un filo rosso che lega
la mania al lavoro dellautodidatta. Il rapimento divino lascia
aperto, infatti, uno spazio per un lavoro di individuazione tutto
umano. In un passo dellOdissea (XXII, v. 347), Femio, laedo
che intrattiene gli abitante del palazzo reale in assenza di Ulisse,
dichiara: Autodidatta [autodidakts] sono, un dio mi ha infuso
nella mente ogni sorta di canto. Con tutta probabilit, in questo passo essere autodidatti significa fare i conti con un dono
divino e/o naturale. Ma fare i conti con questo dono significa
coltivare un talento, lavorare per perimetrarlo, faticare per farlo
emergere in modo significativo e duraturo. Il collegamento con
la mania tuttaltro che remoto: entusiasmo ispirato e azione
maniacale sono due volti della stessa medaglia tanto che in un
testo tardo, risalente al I secolo d.C., questa relazione ancora tanto forte da risultare scontata. Nella sua descrizione della
melanconia, Areteo di Cappadocia, medico di lingua greca che
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

75

esercita nella Roma imperiale, afferma che esistono infinite


forme nelle quali i soggetti maniacali sono dotati [euphusite]
e per i quali facile apprendere [eumathsi], astronomia autodidatta [autodidakts], filosofia spontanea [automte], poesia
veritiera ispirata dalle muse (Areteo, cap. VI, Per manies).7 Il
soggetto maniacale, prima che ebbro e intossicato, alle prese
con il significato imprevedibile delle proprie azioni e con la
coltivazione dei talenti che gli sono capitati in sorte. Nessuno
spontaneismo o rassegnazione: la mania coincide con la lotta
costante di chi vuole capire, da autodidatta, il significato della
propria esistenza.

7 Accolgo la lettura di Francis Adams (1856) che corregge adidakts in autodidakts.


Fosse anche corretto il testo per come ci pervenuto, il significato non cambierebbe
molto. Quel che conta sottolineare loscillazione tra una conoscenza innata e una
capacit di autoapprendimento sottolineata comunque dal carattere automtos, autogenerato, della filosofia maniacale.

76

2. tutta colpa di Freud? La riscossa della mania

3. Al di l della tristezza:
melanconia e azione innovativa

1 La sfida di Heidegger: la melanconia, stato danimo della


creativit

Feeling sweet feeling,


Drops from my fingers, fingers
Manic depression is catchin' my soul.
Jimi Hendrix, Manic Depression

Perch parlare del rapporto tra melanconia e azione innovativa?


Non si tratta di un tema logoro e consumato? Certamente s. Ma
proprio dietro lusura prodotta dalla ripetizione di un clich si nasconde il punto cieco che, se smascherato, pu consentirci di cambiare punto di vista su una passione tanto chiacchierata e sfuggente.
possibile, dunque, rispondere a un dubbio pi che legittimo a
partire da due tesi di fondo. La prima: nel pensiero occidentale la
melanconia costituisce una delle fondamenta della nozione prima
rinascimentale e poi romantica di genio, uno degli assi portanti
della nozione di creativit. La seconda: il termine creativit, ricorda
Emilio Garroni (1978), fuorviante perch tende a far riferimento
a una capacit di produzione ex nihilo, prassi quasi divina che non si
rifarebbe a nessuna regola o determinazione. Molto si parlato del
rapporto tra melanconia e creativit, poco di melanconia e azione
innovativa. Capire meglio la sorte della melanconia potr servire a
comprendere meglio le trasformazioni e il progressivo depotenziamento non solo di questa passione, ma anche di trasformazioni foriere di novit ma svincolate dalla teologia della creazione.

Per capire cosa intendere con la locuzione azione innovativa


pu essere utile partire da una pagina filosofica che sembra scritta quasi distrattamente, densa invece di implicazioni. Per certi
aspetti non stupisce che Martin Heidegger definisca la melanconia come lo stato danimo di base per chiunque faccia filosofia e
arte: si tratta di una passione legata a questi ambiti da millenni.
La mossa, per, meno neutra di quel che potrebbe sembrare.
Procedendo a grandi linee, non del tutto sbagliato affermare che
per buona parte del pensiero occidentale la malinconia associata soprattutto a due figure, al genio e allaccidioso. Heidegger
non parla di nessuna delle due. Fin dallinizio, il genio escluso
(Heidegger, 1933, p. 238): la creativit cui si riferisce non va intesa come un privilegio e un esser superiore verso i non creativi,
lavoratori manuali o uomini daffari. Sulla scena non compare
mai neanche il contemplativo immobilizzato dai suoi pensieri e
magari perseguitato da tentazioni diaboliche (ci torneremo nel
3). Quando pensa alla melanconia Heidegger dice di riferirsi
a ogni agire creativo che vive di un correlato necessario, oggi
potremmo forse dire di una regola. Non corrisponde alla creativit prossima alla creazione divina, ma a quel cui mi riferivo
prima con lespressione azione innovativa, il potenziale innovativo insito in ogni azione umana, pratica e/o linguistica che
sia. Da questo punto di vista, sorprendente non tanto che Heidegger accenni alla melanconia (si tratta di uno stato danimo
classico per la filosofia occidentale), ma di dove e come ne parli.
Durante il lungo percorso tracciato nei Concetti fondamentali
della metafisica, avrebbe avuto pi di unoccasione per affrontare
quel che viene definito uno stato danimo fondamentale (ivi,
p. 239). Soprattutto nella complessa e dettagliatissima analisi che
Heidegger propone della noia, ci saremmo potuti attendere il
riferimento pi o meno fugace alla sindrome causata, secondo
la medicina ippocratica, dalla bile nera. Molto spesso, infatti,
melanconia e tedio sono stati accostati come forme parentali,
stati danimo simili (Pigeaud, 2008, p. 75). Heidegger affronta il
tema, invece, quando si tratta di aprire un nuovo e fondamentale
tema di discussione: la distinzione tra la condizione della pietra,
78

3. Al di l della tristezza: melanconia e azione innovativa

dellambiente animale e del mondo umano. l, e solo l, che nel


testo emerge la melanconia. Quando ci si interroga su cosa sia il
mondo, la finitezza e lisolamento, emerge uno stato danimo che
sembra connesso pi alla metafisica che alla noia. La melanconia
sarebbe non solo una disposizione allagire, ma un agire effettivo cio un determinato interrogare (Heidegger, 1933, pp.
239-240). Ecco, allora, come Heidegger affronta il tema. Per un
verso, con piglio deciso: afferma risolutamente che la melanconia
lo stato danimo della filosofia, il brodo di coltura della creativit potenzialmente insita in ogni agire umano. Per un altro, con
lincertezza di chi non sa se proseguire: Heidegger si ferma qui e
non dice altro, limitandosi a rinviare il lettore a uno dei luoghi
di origine della trattazione occidentale di questo stato danimo,
i Problemi XXX aristotelici. Per superare una simile reticenza,
questo un indizio che conviene esplorare: potrebbe condurci
non alla connessione tra potenza produttrice divina e melanconia, quanto al rapporto tra la bile nera e le azioni innovative
potenzialmente a disposizione dellHomo sapiens.

2 Aristotele, Ippocrate e Platone: il buono, il brutto e il cattivo

Questa concezione della melanconia


come tristezza non per originaria.
W. Benjamin, Il dramma barocco tedesco

Per ricostruire alcune delle radici di una nozione polimorfica


come quella di melanconia, pu essere utile fissare tre punti di
riferimento. Ippocrate il primo a utilizzare questo termine e a
tracciare uno schizzo di questa nozione. Seppur surrettiziamente,
Platone indica alcune coordinate essenziali che, soprattutto nella
filosofia politica del secondo Novecento, avranno grande fortuna.
Nel libro XXX dei Problemi, Aristotele ne descrive la struttura con
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

79

una complessit che spesso la riflessione contemporanea ha sottovalutato. Si tratta di tre personaggi che in questa storia di passioni
e manie emergeranno necessariamente stilizzati: come Il buono, il
brutto e il cattivo nel celebre film di Sergio Leone interpreteranno
ruoli diversi ma interconnessi. Per ragioni di coerenza cronologica
non seguir lordine indicato dal titolo della pellicola. Prima del
buono, cio di Aristotele, ci occuperemo degli altri due.
Ippocrate sembra svolgere il ruolo interpretato da Eli Wallach
(nel film, Tuco), il brutto: per un verso il padre della medicina
occidentale fornisce indicazioni preziose sullorganizzazione di
questo stato emotivo; per un altro ha contribuito (probabilmente suo malgrado) a generare confusione e creare diversi problemi
interpretativi. Ippocrate, bene precisarlo subito, non ha fornito
un vero e proprio identikit di questa passione. Le osservazioni degli interpreti si basano su frasi, frammenti, brevi affermazioni che
riemergono, quasi distrattamente, nei testi pi diversi. Nel caso
poi degli studi italiani la mancanza di una edizione delle opere
complete con testo greco a fronte rende lanalisi del problema
ancora pi difficile e porta ad affidarsi a stereotipi interpretativi
faticosi da controllare. Per cercare di trovare il filo del discorso mi
limiter a prendere in considerazione un paio tra i passi pi noti
e influenti sulle concezioni successive della melanconia:
La degenerazione del cervello sopravviene per via del flegma
e della bile. Li riconoscerai entrambi cos: quelli che impazziscono [mainmenoi] per il flegma sono tranquilli e n gridatori n turbatori, mentre quelli per via della bile urlatori,
perversi [kakourgoi; malvagi] e non pacifici [atremaioi: non
tranquilli, tremanti] ma che sempre compiono qualcosa di
inopportuno [akairov: fuori posto, disadatto, inopportuno].
(Sulla malattia sacra, 15, p. 231)
Lansiet [phobos] e la depressione [dusthumia] costanti sono segni di melanconia. (Aforismi, VI, 23. Traduzione di
Klibansky, Panofsky, Saxl, 1964, p. 19)

Il primo passo sembra fornire unimmagine della melanconia


80

3. Al di l della tristezza: melanconia e azione innovativa

al negativo: una forma di pazzia, anzi la pi pericolosa e inquietante. Il secondo un aforisma molto citato perch, almeno al
primo sguardo, descrive la melanconia in modo del tutto conforme a quel che oggi chiameremmo depressione.
In realt entrambe le citazioni, viste da vicino, sono utili pi
a complicare il quadro che a semplificarlo. La prima anticipa una
ambivalenza che diventa ancora pi clamorosa nel secondo passo.
La melanconia una forma di pazzia, o meglio di mania. Melanconia e mania costituiscono una coppia logicamente complessa e disorientante (cap. II, 2). Nella terminologia odierna con
la parola melanconia si indica, infatti, sia il tutto che la parte:
la parola rimanda a una sindrome tendenzialmente bipolare con
un apice depresso e con un apice maniacale (melanconico nel
senso di affetto da disturbo maniaco-depressivo) ma anche a uno
dei due picchi, il pi triste e bloccato (melanconico nel senso
di abbattuto, depresso). Ippocrate dimostra che nella lingua
greca la situazione rovesciata.
Il termine generale mania. La parola indica sia la pazzia
in generale che, pi nello specifico, il comportamento del pazzo
melanconico. Gi da subito inizia un contenzioso tra melanconia e mania destinato, ancora nel XXI secolo, a rimanere aperto. vero infatti che per Ippocrate mania il genere di cui
melanconia specie, ma altrettanto vero che se si vanno ad
analizzare le varie occorrenze, tra le due nozioni emerge un grado di parentela molto stretto. Negli Aforismi, ad esempio, sono
sintomi citati spesso luna dopo laltro in un terzetto completato
dallepilessia (Aforismi, III, 20; III, 22). La mania pu essere una
manifestazione della melanconia insieme a convulsioni, cecit o
apoplessia dellintero corpo (ivi, VI, 56), mentre la comparsa di
emorroidi segno di guarigione sia per la melanconia che per la
mania (ivi, VI, 11; VI, 21).
Se il primo passo spinoso, il secondo richiede addirittura
di essere riformulato. La traduzione corrente, infatti, confortante (vedi, Ippocrate la pensa come noi una delle asserzioni
pi ricorrenti nei testi soprattutto medico-psichiatrici contemporanei) ma palesemente circolare. I due termini chiave, phobos
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

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e dusthumia, mostrano una complessit cui la coppia ansiet e


depressione non sembra onestamente fare onore. Si tratta, infatti, di una traduzione sottodeterminata rispetto al greco. Phobos
significa anche fuga e spavento, mentre il termine ansiet
riporta a una quadro clinico pi moderno (legato allefficacia di
sostanze dette ansiolitici) e, soprattutto, a una passione interna
mentre, ricorda esplicitamente Lorenzo Rocci (1943, p. 1973),
phobos indica innanzitutto una modalit di comportamento. La
fuga imparentata al timor panico non solo perch questultimo
pu scatenare la prima ma anche perch, per contagio, capita
spesso che accada linverso. Veder scappare qualcuno preso dal
panico crea panico in chi losserva. Questo elemento duplice di
phobos emerge con pi chiarezza nel primo passo. In questo caso
il melanconico non colui che ha paura ma colui che scatena il
timore altrui perch urlante, tremante, malvagio e inopportuno.
I due passi aiutano a comporre un volto inquietante e doppio: il
melanconico ha paura e fa paura, scappa e fa scappare.
Questo aspetto stenta a emergere nella traduzione per una
ragione non meno importante della prima: nel greco compare
la disgiunzione o che i traduttori contemporanei (ad es. anche Pigeaud, 1988, p. 29, 56, 68) spesso rendono invece con la
congiunzione e. Se i due termini devono presentarsi insieme,
chiaro che il volto abbattuto della dusthumia non pu che sottolineare laspetto interiore e paralizzato della phobos. Al contrario, la melanconia data dalla persistenza anche solo di uno dei
due sintomi. Ci significa che sia la presenza solo delluno che
la presenza solo dellaltro d luogo alla sindrome della bile nera.
La disgiunzione sottolinea unalternanza sintomatica che la congiunzione e schiaccia in una diagnosi a posteriori. La disgiunzione fuga o abbattimento sottolinea il carattere duplice e altalenante del fare melanconico. Come tradurre allora dusthumia?
Cominciamo da due certezze: un termine difficile da rendere
perch legato a un concetto proprio della cultura greca, quello di
thums; sicuramente il termine depressione non fa giustizia alla
sua complessit e ne fuorvia la comprensione. Thums termine
probabilmente di origine olfattiva: sembra legato al verbo thuo
82

3. Al di l della tristezza: melanconia e azione innovativa

che significa fare sacrifici (attraverso fumigazioni, si pensi al


latino fumus) ma anche agitarsi, infuriarsi. Per questo la sua
area semantica particolarmente estesa: vuol dire principio vitale, pensiero, volont ma anche coraggio, collera, sentimento
(Rocci, 1943, p. 897). Per mezzo del prefisso dus-, dusthumia
indica una disfunzione del thums: non pu indicare il suo grado
zero, labbattimento totale (per quello c lathums con la solita
alpha privativa). Poich si tratta di un aforisma, Ippocrate non
fornisce un contesto sufficientemente ampio dal quale ricavare
indicazioni aggiuntive. necessario, allora, ricorrere a una strategia indiretta. Alla voce dusthums, Rocci (ivi, p. 518) rimanda
in prima battuta a due passi dellElettra di Sofocle. Consultarli
pu risultare utile per individuare il profilo del distimico. La trama dellElettra di Sofocle nota: Oreste, figlio di Agamennone, torna a Micene per vendicare la morte del padre ucciso dalla
moglie Clitemnestra e dal suo amante Egisto. La sorella Elettra
ne aspetta la venuta sperando cos di poter ottenere finalmente
giustizia. Oreste mette alla prova la famiglia spargendo la notizia
della propria morte. La tragedia si conclude con luccisione dei
due assassini di Agamennone. Quasi in apertura del testo, Elettra
parla col coro del suo dolore per luccisione del padre. Il Coro
cerca di calmarla dicendole (Sofocle, Elettra, vv. 213-220):
Rifletti. Non correre oltre.
Non scorgi perch oggi [t paronta] sprofondi
il carattere tuo radice
nel fango di tanta disgrazia?
Trabocca, la tua dote di mali.
Quel tuo fuoco ribelle [sa dusthum], lanima
strana ti fruttano le guerre: non esiste duello
con inaccessibili re.

Lultima parte della traduzione particolarmente libera. Pi


letterale sarebbe un alla tua anima distimica generano sempre
conflitti. Laggettivo qui indica sicuramente dolore e sconforto
ma, come cerca di dire la traduzione di Ezio Savino (fuoco riMelanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

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belle), c molto di pi. Non certo la depressione che di guerre


non ne hai mai potuta causare nessuna, tanto meno sfide ai potenti. Nel passo, la distimia di Elettra non coincide con la triste
paralisi del depresso: richiama piuttosto una difficolt allinterno
di due sequenze dazione. La prima, passata ma ancora presente
(ta paronta indica letteralmente le circostanze attuali), quella
delle disgrazie (Clitemnestra che uccide il padre); la seconda la
vendetta che avverr per mano del fratello allinterno di un conflitto nel quale Elettra schierata contro i potenti. La distimia di
Elettra in questo primo passo dunque tutto tranne rassegnata
e inibita. Nel secondo passo il carattere pratico del concetto
ancora pi marcato. La tragedia entra nel vivo, madre e figlia si
scontrano. Clitemnestra ricorda le colpe del marito, Agamennone, il quale aveva sacrificato una delle figlie a Demetra, dea
della caccia, e conclude la propria invettiva affermando (Sofocle,
Elettra, vv. 549-550):
Ascolta, Io non ho crepe dentro per lopera fatta [eg mn on
ouk eim tos pepragmnois dsthumos]. Se mi giudichi preda di
mente perversa raddrizza, fermo, il sentire: poi critica pure.

La traduzione di Savino anche in questo caso libera ma calzante: la distimia corrisponde a una crepa interna perch il
risultato di cose fatte, di pepragmnois, di azioni compiute. In
questo brano dellElettra, il legame tra dsthumos e praxis letterale e in evidenza. Il termine non indica un dolore depressivo
(la frase non avrebbe molto senso: non sono depressa per quello
che ho fatto), quanto piuttosto ha a che fare con il pentimento. Clitemnestra afferma lassenza di un dolore vivo per azioni
compiute perch vuole ribadire lintenzione di non riparare al
male procurato. Niente dsthumos, nessuna azione riparatoria.
La distimia non corrisponde allabbattimento depressivo, questo
pu essere solo uno dei suoi esiti (pu condurre cio allathumia,
allabbattimento). Indica piuttosto una rottura interna, dellanimo o del coraggio: come tale, pu condurre alla riparazione, alla
guerra, alla conciliazione o alla sfida ma si rif soprattutto a uno
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3. Al di l della tristezza: melanconia e azione innovativa

stato danimo rotto e sospeso tra due azioni di cui una compiuta e
laltra possibile. La traduzione che insiste sullo scoramento tende,
in altre parole, ad appiattire il significato di due termini tra loro
distinti: dusthumos e athumos. Il primo indica una frattura in corso, il secondo il risultato privativo di una mancanza.
Questa riformulazione dellaforisma ippocratico presenta il
vantaggio di non recidere il legame tra latrabile del V secolo
a.C. e la melanconia moderna e, al contempo, di sottolineare una
dimensione (quella attiva e pratica di questo stato danimo) che
rischia altrimenti di andare perduta. Quella a cui forse si riferisce
Heidegger quando definisce la malinconia un agire effettivo.
Eccoci, allora, al cattivo. Platone si occupa poco di melanconia,
la cita di sfuggita. In cosa consista appare scontato: in linea con
Ippocrate, Platone porta a compimento lidentificazione tra mania
e melanconia tanto che i due termini diventano intercambiabili.
Nel Fedro (268e), notano Klibansky, Panofsky e Saxl (1964, p.
19), luso del verbo melancholn (esser melanconico) impiegato
come vero e proprio sinonimo di manesthai (esser pazzo). Platone,
per, protagonista di un secondo slittamento semantico, ben pi
decisivo del primo perch di tipo politico. Conviene riportare per
esteso un estratto della Repubblica (573 a 5-c 10):
Ebbene, quando gli altri appetiti gli ronzano attorno stillando
aromi e profumi e pieni di corone, di vini e di quegli sfrenati
piaceri che sono caratteristici di simili compagnie; e facendolo crescere e nutrendolo fino al grado estremo, istillano nel fuco il pungiglione della bramosia; ecco allora che questo duce
dell'anima scortato dalla follia [manias] e si mette in furore. E
se sorprende in s opinioni o appetiti giudicati onesti e ancora
capaci di pudore, li sopprime e li scaccia fuori di s, finch riesce a eliminare la temperanza e a riempirsi d'importata follia
[manias]. Tu descrivi alla perfezione, disse, l'origine dell'uomo
tirannico. Non per questo, feci io, che anche da tempo antico l'Amore detto tiranno? Pu darsi, rispose. E un uomo
ubriaco, mio caro, ripresi, non ha anche lui una certa mentalit da tiranno? Ce l'ha, s. D'altra parte, l'uomo impazzito
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

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[mainmenos] e squilibrato cerca e presume di poter comandare


non soltanto agli uomini, ma anche agli di. Certo, disse.
Perfettamente tirannico, eccellente amico, si fa un uomo, ripresi, quando la natura o le abitudini o quella e queste insieme lo
rendono ubriacone, erotico e bilioso [melancholiks].

Il passo conferma il carattere intercambiabile di mania e melanconia. Non solo: Platone propone in modo esplicito unaltra
identificazione, quella tra una figura politica precisa e lo stato
danimo dominato dalla bile nera. Il tiranno melanconico:
laura negativa legata alla paura emersa in Ippocrate si rinsalda
nella figura arcigna di chi, senza scrupoli, detiene il potere. Il
carattere attivo di questo stato danimo riemerge con chiarezza,
secondo una connotazione negativa gi presente in Ippocrate,
che in questo caso trova la sua radicalizzazione. Si tratta di una
mossa decisiva per il futuro della melanconia. La Repubblica fonda un mito talmente resistente da avere la capacit di riemergere
due millenni e mezzo dopo, nel ventesimo secolo. Negli ultimi
decenni, soprattutto allinterno dei cosiddetti studi post-coloniali, la melanconia inquadrata come una passione tutta al
negativo, di chi agisce con prepotenza e non vuole perdere la
possibilit di dominare gli altri. Seppur con sfumature diverse
e a volte in modi addirittura opposti tra loro, molti autori contemporanei considerano la melanconia il male da scongiurare:
abbiamo visto nel capitolo primo ( 2) che per Paul Gilroy la
passione di un impero, quello anglosassone, che non c pi; per
Judith Butler costituirebbe una forma di ribellione repressa e il
risultato di rigide identificazioni di genere.1 Grazie a Platone, la
melanconia sembra una passione dalla quale stare alla larga. Ma,
come si conviene per ogni eroe, quando ormai eravamo privi di
ogni speranza, arriva in nostro soccorso lultimo personaggio di
questo arcaico western atrabiliare, Aristotele. Nellaprire il capitolo XXX dei Problemi, Aristotele ci coglie di sorpresa perch
1 Esistono naturalmente eccezioni: Khanna (2003), ad esempio, sottolinea il ruolo di
istanza critica presente in questo stato danimo.

86

3. Al di l della tristezza: melanconia e azione innovativa

rompe in modo netto con la tradizione precedente. Non solo


afferma ma d per scontato, infatti, che la melanconia abbia una
connotazione positiva (Probl. XXX, 953a):
Perch gli uomini che si sono distinti [peritti] nella filosofia, nella politica, nella poesia, nelle diverse arti sono tutti
dei melanconici e alcuni fino al punto da ammalarsi delle
malattie dovute alla bile nera?

Il parallelo bile nera-vino certo un topos, una somiglianza


percettiva che rievoca una parentela di ordine etico. In entrambi i casi si tratta di sostanze fluide e scure che provocano
instabilit. Aristotele, per, rovescia il senso dellanalogia. La
coppia resta, vino e bile nera si assomigliano, ma la relazione
di parentela pi raffinata. Non si tratta semplicemente di
sostanze scure che portano a urla e malvagit. La perdita di
equilibrio pu essere un fatto positivo e non coincidere solo
con il tremore del melanconico ippocratico o con il furore
del tiranno di Platone. Lelemento sul quale si insiste , da un
punto di vista etico, neutro e decisivo: nel bene e nel male, sia
il vino che la bile nera sono in grado di cambiare il carattere della persona sulla quale agiscono. Sono sostanze in grado
di far cambiare idea, di cambiare lthos degli animali umani
(una capacit etopoietica: Pigeaud, 1988, p. 23 e sgg.). La
relazione privilegiata con questa emozione, gi segnalata da
Ippocrate ed emersa nel terrificante tiranno platonico, non
scompare ma si approfondisce: non pi luomo che ha paura
ed tremante; non pi solo il tiranno cha fa paura e fa tremare. La bile nera in grado di modificare la relazione stessa
che ognuno di noi ha con la paura (phobos: Probl. XXX, 954b
11 e sgg.): pu trasformare in pauroso chi sembra sicuro di s
e, viceversa, far reagire improvvisamente un pusillanime. Bile
nera e vino possono condurre a tutto, sono sostanze del cambiamento radicale. Aristotele, infatti, utilizza in pi di unoccasione un aggettivo molto significativo perch composto
dalla ripetizione doppia di pan (tutto), pantodaps (ivi, 954a
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

87

30), traducibile con tutto di tutto. A tutto pu condurre la


malinconia con i suoi imprevedibili esiti. Il termine, infatti,
riemerge in un passo del De divinatione per somnum (Parv.
Natur., 463b 17-18) nel quale si sottolinea che il tipo melanconico contraddistinto dallavere visioni di ogni tipo
(pantodaps) e dallessere soggetto a movimenti numerosi e
di ogni tipo (pantodap). Anche quando il melanconico fa
una figura peggiore e riveste i panni del balbuziente o dellincontinente, la connotazione negativa manifesta accenni a una
sorta di grammatica della trasformazione. Il melanconico balbuziente compare nel libro XI dei Problemi (903b 19-26):
Perch i balbuzienti sono melanconici? Forse perch essere
melanconici consiste nel seguire velocemente [tachs] limmaginazione e la caratteristica dei balbuzienti questa, che
limpulso [orm] a parlare precede in essi la capacit [dynamis] di farlo, perch lanima [psuch] va dietro troppo in fretta a ci che le si presenta. [] La prova che gli ubriachi
sono cos, andando dietro soprattutto alle apparenze e non
lasciandosi guidare dalla mente [nous].

Il confronto procede su due piani paralleli. Il primo il


dominio della phantasia2 sullintelletto, laltro il cortocircuito
tra potenza e atto. In entrambi i casi bile nera e vino rosso
producono fenomeni anomali (Cap. I, 3) invertendo la relazione tra capacit e azione. Gradualmente esce allo scoperto
uno dei segreti della melanconia, uno degli aspetti che ne fanno un agire effettivo secondo la definizione di Heidegger:
grazie alla bile nera si agisce prima di esserne capaci. Anche
nel linguaggio: sia sul piano articolatorio (come dirlo) che su
quello cognitivo (cosa dire), il melanconico parla prima che
sia in grado di farlo. Per un verso, latrabiliare corre costantemente il rischio di trovarsi tra le mani una voce sconnessa,
2 un tema che riemerge nei Parva Natur., 466a 33-b 5. Per questo aspetto del
problema: Mazzeo, 2008; Mazzeo, 2009.

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3. Al di l della tristezza: melanconia e azione innovativa

una phon senza logos (ivi, XI 905a 19-24). Per un altro, la


balbuzie segno di immaturit tipico dellinfanzia, nella quale si deve ancora imparare a coordinare non solo la voce ma
anche gli arti (ivi, XI 902b 16-22)3:
Perch da ragazzi si balbetta pi che da adulti? Forse, come i bambini non hanno sempre una completa padronanza
[kratousi] delle mani e dei piedi, e i pi piccoli non possono
[dunamai] camminare, cos i giovani non sono padroni [dunantai] della loro lingua? Se poi sono molto piccoli, sono
in grado di emettere suoni solo alla maniera degli animali,
perch manca la padronanza [krateiv] della voce.

Il melanconico lavora nellincertezza di quel che lo psicologo russo L. Vygotskij (1934) chiamerebbe zona di sviluppo
prossimale. Questa area, indeterminata per definizione, corrisponde al punto nel quale il bambino, e pi in genere ogni
discente, fa per la prima volta qualcosa di nuovo e si ritrova in
una situazione piacevole ma paradossale poich fa ci che fino
a quel momento non poteva fare. Il punto notevole perch
costituisce la connessione diretta tra il melanconico dei Problemi, vicino al vino e alla balbuzie, e quello dellEtica Nicomachea, in cui lo si descrive come un thos incontinente ma non
cattivo. Il capitolo XXX dei Problemi aristotelici si caratterizza
per una struttura curiosa poich suddiviso in quattordici paragrafi dalla lunghezza sproporzionata: il primo paragrafo, che
affronta direttamente la melanconia occupa la met del testo;
laltra met frazionata in tredici passaggi molto rapidi, spesso
lacunosi e ammiccanti. Di questi solo lultimo, a mo di conclusione, riprende il tema melanconico in modo frontale. Im3 In un bellarticolo Barbera (2006, p. 41 e sgg.) sostiene che il termine aristotelico
di solito tradotto con balbuziente (ischofons) abbia in realt unaccezione pi
ampia e probabilmente diversa e si riferisca alla nozione di voce secca, bassa
(ischofons). Le due interpretazioni non si escludono. Il passo in questione suggerisce, per, che la connotazione legata alla balbuzie non possa essere eliminata dal
termine. Altrimenti non si capirebbe come i bambini possano essere ischofonoi (di
certo hanno una voce acuta e non certo bassa o secca).

Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

89

plicitamente, questa struttura considerata una pura anomalia


da espungere: chi parla dei Problemi XXX di solito si occupa
solo del primo paragrafo. un errore. Nel paragrafo cinque,
ad esempio, Aristotele si chiede perch gli anziani abbiano pi
nous (intelletto) e perch i giovani imparino meglio, perch dio
ci abbia dato due organi, la mano e il nous (lintelletto). La
risposta consiste nel proporre unanalogia: gli anziani stanno al
nous, come i giovani alle mani. E, prima di avere conoscenza di
qualcosa, dobbiamo farne pratica. Solo usando qualcosa se ne
pu avere padronanza (ivi, 956a): questo maneggio delle cose
che porta alla padronanza il corrispettivo pratico della passione melanconica. Il fare prima di saper fare.

3 Il melanconico in citt: tre caratteristiche etiche

Melancholia passer esattamente davanti a noi


e non ci sar spettacolo pi straordinario.
Lars von Trier, Melancholia

Nel passo citato alla fine del paragrafo precedente, due verbi
si affiancano e in unoccasione sembrano darsi il cambio: dunamai (potere, avere la possibilit di) e krateo (avere potenza, controllare, avere il dominio su). Nel balbuziente e nel melanconico
emerge un difetto della dunamai che anche un difetto del kratein:
un deficit di possibilit e capacit coincide con una mancanza di
potenza e controllo. Questa doppia manchevolezza ha diversi effetti collaterali, perlomeno tre, non necessariamente negativi.
Il primo: il melanconico un disadatto. la ragione profonda
per la quale, gi in Ippocrate, il melanconico manca di kairs.
Il conflitto tra atto e potenza che caratterizza leccesso di bile
nera porta a comportamenti inopportuni. Essere akairs significa
essere disadatti alla circostanza, poter risultare noiosi, dare
90

3. Al di l della tristezza: melanconia e azione innovativa

limpressione di essere incapaci (Rocci, 1943, p. 48). Questa


mancanza di adattamento ha un risvolto positivo: il melanconico non agisce sfruttando opportunit gi date e per questo deve
crearne di nuove. Questo il senso dellinterrogativo che apre i
Problemi XXX: in che modo i melanconici si distinguono nella
politica, nelle arti, nella filosofia? Mancando attimi propizi gi
dati e producendone altri ancora inesistenti.
Il secondo: il melanconico incontinente (akrats). Questa definizione proposta e sviluppata per esteso nellEtica Nicomachea.
I Problemi sono l a far gioco di sponda. Come abbiamo visto, la
mancanza di dominio, innanzitutto su s stessi, un tratto tipico
dellthos melanconico. Lo si intravede gi in Ippocrate: una paura priva di confini e la mancanza di cura indicano un tratto che
si evidenzia in Platone per il quale il tiranno costituisce quel che
oggi chiameremmo una formazione reattiva. Un uomo che cerca
di controllare gli altri poich non controlla s stesso.
Il terzo: il melanconico non delibera ma apprende. Aristotele suddivide la categoria degli incontinenti in due specie. Una formata
da chi delibera ma poi non persiste nelle sue scelte (Eth. Nic., 10,
1152a 18-22). Questo tipo di incontinenti paragonato a una citt che decreta buone leggi ma non le applica e si differenzia dai
malvagi che invece decretano cattive leggi e le applicano. Lincontinente melanconico, invece, non persiste nelle scelte perch neanche
delibera. Il melanconico un incontinente estremo che proprio per
questo, per la sua estrema irregolarit, pu apprendere perch pi
facilmente pu essere persuaso dagli altri. Dopo linfelice esordio
platonico, il paragone con la citt ripropone sulla scena politica la
classe cui appartengono i melanconici, gli incontinenti. Si tratta,
per, di un ritorno solo abbozzato perch lo schema di Aristotele
risulta incompleto. Se lincontinente che delibera come una citt
che delibera bene ma razzola male e il malvagio qualcuno che
delibera male e fa di conseguenza, a cosa assomiglia il melanconico?
LEtica Nicomachea non lo dice. Rimangono solo due possibilit: il
melanconico rappresenta una polis che n fa leggi n le segue; oppure incarna la citt che segue leggi che non delibera. Due ragioni fanno
propendere per la seconda ipotesi. La prima alternativa, la citt che
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

91

n delibera n segue leggi, illustrerebbe una situazione di caos assoluto coincidente con una sostanziale immobilit non solo legislativa
ma anche pratica. Nel testo, invece, si afferma esplicitamente che
gli incontinenti, tutti gli incontinenti quindi anche i melanconici,
possono essere abili (deins). Labilit, specifica Aristotele, tale
per cui si in grado di compiere azioni che mirano allo scopo che ci
si proposti e di raggiungerlo (ivi, 1144a 24-26). Lincontinente
ha capacit pratiche che prescindono dalla capacit di deliberare.
Il termine impiegato da Aristotele vive di una coloritura semantica che ben si attaglia a chi vive di atrabile: deins indica abilit
per derivazione da due accezioni originarie. La prima si riferisce a
qualcosa di spaventoso e temibile, spesso un timore di ordine
religioso; la seconda accezione, legata alla prima, fa riferimento a
ci che impressiona perch straordinario nel suo genere, a una potenza che pu essere legata alla divinit (Rocci, 1943, p. 420). Di
certo, allora, il melanconico pu esser abile (tanto che nei Problemi
pu essere anche il migliore). Ci nonostante il suo rapporto con
la deliberazione ambivalente. Su questo punto Aristotele sembra
contraddirsi: in un caso, come abbiamo visto, afferma che il melanconico fa parte degli incontinenti che non deliberano; in un altro
li include esplicitamente negli incontinenti precipitosi (Eth. Nic.,
1150b 19), che deliberano ma poi non perseguono, da contrapporre agli incontinenti deboli che invece si fanno prendere dalla
passione perch non deliberano. Leccessiva capacit immaginativa
dei melanconici li svierebbe portandoli lontano dal logos. Limbarazzo aristotelico sembra suggerire la paradossalit della condizione
del melanconico: egli appare capace e incapace di deliberare; il pi
istruibile e pu ravvedersi perch non sa quel che fa, perch sembra
seguire una regola che ancora non conosce.
Anche in questo caso (per altri: Mazzeo, 2009), il melanconico tende a sfuggire a categorie prestabilite perch incarna la mutabilit intrinseca al comportamento umano. Se letto con attenzione, il testo aristotelico pone questo temperamento a met tra
una categoria e laltra: latrabiliare non tra i deliberatori perch
non porta a termine il processo di deliberazione che si conclude,
secondo Aristotele, con un ragionamento vero e proprio; dallal92

3. Al di l della tristezza: melanconia e azione innovativa

tro per la veemenza (sfrodrs) della sua immaginazione non lo


pu far collocare neanche tra i deboli perch il melanconico di
forza ne ha da vendere, di controllo che a corto. Limbarazzo
espositivo sembra nascere da un fatto oscurato dalle incertezze
categoriali ma proprio per questo decisivo: quella melanconica
una deliberazione di una regola (Aristotele direbbe di uno strumento, di un mezzo) interrotta dalla sua stessa applicazione.
Aristotele sottolinea che la deliberazione (buleusis) riguarda i
mezzi ma non i fini; riguarda quel che concerne noi e non gli altri; non si riferisce a un dato di fatto ma a cose che non chiaro
come andranno a finire (ivi, 1111b 9). Il melanconico vive lindistinzione transitoria di tutti e tre i parametri deliberativi o, se
si vuole, applica il terzo criterio definitorio della deliberazione (la
non chiarezza su come andr a finire) agli altri due. Si tratta di
unattivit potentemente immaginativa: talmente potente che le
immagini della fantasia possono sopraffare quelle percettive, come
lubriaco si fa trascinare dalle proprie visioni (ed per questo che
il melanconico paragonato anche a chi dorme quando, sognando, la phantasia domina sullaisthesis: ivi, 1152a 15). unattivit
nella quale la distinzione mezzo-fine non ancora definita. Soprattutto un modo di agire che Aristotele definisce in pi di una
circostanza fuori di s, estatico (ekstatiks: ivi, 1151a 1; 1151a
20-21), nel quale manca il centro costituito dai limiti stabiliti dalla
propria persona. Poich senza centro il melanconico non pu
distinguere, come avviene invece nella deliberazione, ci che pertiene al proprio agire e ci che non gli pertiene. Agisce in una
zona dindistinzione. A proprio rischio e pericolo naturalmente: il
successo linnovazione e la riformulazione categoriale tra ci che
percepito e ci che immaginato, mio e non mio, mezzo e fine;
la sconfitta il balbettio dellagitato, la caduta a terra dellubriaco,
linconcludenza di qualcuno che non sa quel che fa e continua a
non saperlo. Non a caso laggettivo apre i Problemi XXX: estatico
Eracle che uccide i figli (Probl. XXX, 953a 17), Aiace che delira e poi si ammazza (ivi, 953a 22), Maraco di Siracusa nei suoi
momenti poetici migliori (ivi, 954a 39). Questa uscita di s pu
avere gli esiti pi diversi: la bellezza della poesia come lorrore per
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

93

il delitto pi nefasto. Per questa ragione il melanconico estatico


senza parole: di fronte a quel che ha compiuto cessa di parlare
(aposioposi: ivi, 953b 14) oppure canta ardente della pi accesa
allegria (odes euthumias: ivi, 954a 25). Il termine euthumia prezioso perch consente di fare ritorno al punto dal quale eravamo
partiti, la definizione ippocratica di melanconia e le sua difficolt
di traduzione nella quale compaiono le parole chiave phobos e dusthumia. Chi in preda allestasi corrisponde al vertice alto di un
moto oscillatorio che precipita nellathumia e trova il suo punto di
rottura nella dusthumia:
euthumia
euthumia
dusthumia

ecc.

athumia
Le occorrenze di questi termini nei Problemi XXX confermano il carattere di rottura, instabile e per questo propriamente melanconico, della distimia. Soprattutto danno conferma allipotesi
dalla quale ha preso le mosse questo capitolo: il termine greco
non costituisce lequivalente semantico dellitaliano depressione. Per capire un punto sicuramente decisivo, sufficiente citare
per esteso il passo cui accennavamo a proposito dei canti allegri e
del carattere estatico del melanconico (ivi, 954a 21-26):4
Se [la bile nera] presente nel corpo in quantit eccessiva,
induce apoplessie, torpori, depressioni [athumias], paure
[phobous]; se invece si surriscalda induce allegria [euthumias] accompagnata da canti, delirio [ekstseis], eruzione di
piaghe e altre affezioni del genere.
4 Per un altro paio di passi che indicano questalternanza: Probl. XXX, 954b 16;
955a 14-16.

94

3. Al di l della tristezza: melanconia e azione innovativa

La dusthumia compare dentro unazione e non come suo apice


(abissale o celeste che sia). Nel testo lespressione compare due
volte (ivi, 954b 29-35):
Se non stanno attente [le persone soggette a melanconia]
tendono a essere colpite dalle malattie collegate con la bile
nera in una parte o nellaltra del corpo: alcune manifestano
attacchi epilettici o apoplettici; altre ancora provano un forte scoramento [athumiai] o paura [phoboi]; altre si sentono
troppo coraggiose, come accaduto ad Archelao re di Macedonia. Responsabile di questa azione il vario mescolarsi del
freddo e del caldo: se la mescolanza pi fredda del dovuto
provoca distimie [dusthumias] senza motivo [].

In entrambe le citazioni compare la coppia phobos-athumia che indica, non lintera dinamica melanconica (Ippocrate parla di phobos o dusthumia), quanto solo il suo vertice
basso. Daltro canto il tema del coraggio, legato allampiezza
semantica del thums, emerge esplicitamente nellaltra direzione, che procede verso il vertice alto. Ed qui che arriva
la dusthumia, nel pieno dellazione maniacale e rischiosa di
Archelao colui che riusc a sconfiggere Atene nella battaglia
navale di Siracusa. Archelao personaggio dal doppio volto:
lassassino che stermina parte della sua famiglia per salire al
trono, ma anche il condottiero capace e generoso che, dopo
aver sconfitto Atene, fornisce ai vinti il legno necessario per
ricostruire la flotta. il governante che, in politica interna, si
contraddistingue per il proprio mecenatismo (di cui si avvantaggi, tra gli altri, Euripide). Nel Gorgia (470b e sgg.), Platone fa di Archelao lemblema del tiranno cattivo e infelice;
in Aristotele, invece, la dusthumia rievoca le capacit di un sovrano scomodo, capace e illuminato. Lathumia emerge dopo,
successivamente allazione del bere (Probl. XXX, 955a 5-7):
per questo che spesso conduce al suicidio. La dusthumia, invece, uno stato danimo pi sfuggente (riguarda pochi, dice
il testo) perch emerge in un mentre, nel farsi dellazione. Per
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

95

questa ragione, pu avere esiti diversi: scadere in athumia e


portare allimpiccagione ma anche scatenare lo scatto di reni
che provoca una risposta imprevista.
Attraverso la tripletta di composti sulla radice thums, Aristotele articola e approfondisce laforisma di Ippocrate. Labbattimento prodotto dalla mancanza di thums (lathumia) solo
una delle possibili conseguenze delle dinamiche dellanimo melanconico: paura e distimia ne indicano i due momenti critici nel
quale il carattere di ciascuno, pi che rivelarsi, corre il pericolo di
trasformarsi e cambiare direzione.

4 Contro laccidia e la tristezza

Amor del bene, scemo di suo dover.


Dante Alighieri, Purgatorio

Un altro modo nel quale tradotto laforisma di Ippocrate


propone, invece di ansiet e depressione, la coppia paura
e tristezza (cfr. ad es. Benvenuto, 2008, p. 26). La scelta
motivata dal tentativo di riallacciare le fila della tradizione melanconica con quella medioevale dellaccidia, un peccato che
ricorda da vicino la sindrome della bile nera. Si tratta, per,
di unoperazione pericolosa che rischia di portare fuori strada. Come accennavo allinizio, due sono i modi nei quali rendere sterile la nozione di melanconia. La pi nota e recente,
unoperazione soprattutto rinascimentale e barocca, riservarla
al genio, secondo la fortunata (e sciagurata) traduzione di uno
dei termini chiave dei Problemi XXX, peritts con eccezionale invece che con che eccede la misura (rimando al quarto
capitolo unanalisi pi estesa del termine). Ma esiste unaltra
operazione in grado di sterilizzare il potenziale innovativo della
melanconia: ridurre questo stato danimo a una tradizione che
96

3. Al di l della tristezza: melanconia e azione innovativa

ha origine alla fine del IV secolo d.C. circa (Jackson, 1986,


p. 65), quella dellaccidia. Anche in questo caso si rischia di
rimanere vittima di un gioco di prestigio. La tradizione medioevale, infatti, confonde le acque poich riprende una famiglia semantica legata a un termine omerico, ippocratico e poi
biblico, innestato sulla radice aked-, e lo trasforma nella latina
acedia. Il cambiamento non solo linguistico ma teorico. In
greco, akeda una parola che indica innanzitutto mancanza
(lalpha privativo lo ricorda): noncuranza, indifferenza.
Per questo, al fine di comprenderne la semantica, pu aiutare
lanalisi del termine positivo contenuto al suo interno. Kedos
vuol dire cura, sollecitudine, pensiero ma anche afflizione, lutto e parentela per matrimonio, parentela5. Il termine indica un distacco dal mondo che sembra articolato: da
un lato il non darsi pensiero di chi agisce preso da una spinta
insopprimibile (la dimensione che oggi definiremmo maniacale della melanconia); la mancanza di lutto di fronte a una
perdita (la dimensione dimessa della melanconia fotografata
dal celebre saggio di Freud). Acedia latina e akeda greca non
sono dunque termini sovrapponibili: per mezzo dellacedia, le
melanconia viene depurata della sua componente maniacalepratica e la non curanza diventa sostanzialmente ascetica e
religiosa. Ippocrate impiega il sostantivo in modo accidentale,
mentre unattestazione dellaggettivo corrispondente (akedees)
la si ritrova sia nellIliade che nellOdissea. Nelle due opere sembra risentire di una trasformazione. Nella prima, si riferisce
al corpo straziato di chi, morto o morente, non trover cure.
Achille sta per dare il colpo di grazia a Licaone, gravemente ferito. Mentre sta gettando nel fiume il proprio avversario,
esclama: Giaci [keiso] laggi in mezzo ai pesci che della ferita
5 Questo aspetto della akeda scompare solo apparentemente nella tradizione successiva, per poi tornare protagonista di alcune riemersioni carsiche altrimenti incomprensibili. Un esempio: nella sua storia della melanconia, Jackson parla di Sorano di Efeso,
un autore del I secolo d.C. Questi, nel descrivere i sintomi tipici della melanconia, fa
unaffermazione a prima vista incomprensibile: Tormento mentale e spossatezza, abbattimento, silenzio, animosit verso i membri della propria famiglia [] (Jackson,
1986, p. 34). Improvvisamente riemerge lafflizione luttuosa legata alla parentela.

Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

97

ti leccheranno il sangue, incuranti [akedes] (Iliade, XXI, vv.


122-123). In un episodio successivo, Priamo cerca di ottenere
da Achille il riscatto del corpo del figlio ucciso: Non farmi sedere sul seggio, figlio di Zeus, finch senza cure [akeds] Ettore
giace [keitai] straziato nella tua tenda, ma subito rendimelo,
che possa vederlo (ivi, XXIV, v. 553-555). In entrambe le circostanze la mancanza di cure riguarda una sepoltura che rischia
di non avvenire: un lutto che tende allincompletezza. Queste
attestazioni del termine contribuiscono a spiegare la fortuna
dellipotesi freudiana: come se Lutto e melanconia riuscisse a
riepilogare al proprio interno parti della storia sepolta non solo
della melanconia ma del suo intreccio con laccidia. Allo stesso
tempo, mostrano quale parte della storia continui a essere oggetto di rimozione: nellIliade si parla di morti, ma di un lutto
che si verifica dopo combattimenti feroci. Lakeda descrive una
mancanza di cure funebri legate allo scontro, alla lotta, al conflitto. Si tratta dunque di una mancanza che giunge alla fine di
un processo fatto di azioni che trasformano, non di uno stato
danimo che previene lingresso umano nel mondo delle cose.
NellOdissea, laggettivo ricorre ancora pi spesso rispetto
allIliade (cinque volte contro due): continua a comparire accompagnato dal verbo giacere (keimai) ma la scena cambia
decisamente. Diviene un epiteto tutto al femminile che riguarda una mancanza di cura che riguarda loikos, cio la casa e le
cose domestiche: compare a proposito di Nausicaa e le sue vesti
che giacciono abbandonate (Odissea, VI, vv. 25-26), di donne
disattente che non curano Argo, il cane di Ulisse che attende il
padrone (ivi, XVII, vv. 318-319); descrive le armi trascurate di
Ulisse, guastate dal fumo, perch rimaste inutilizzate dalle donne (ivi, XIX, v. 18); qualifica il cibo che rimane l, da una parte, perch non servito dalla nonna di Telemaco (ivi, XX, 130).
Lultima occorrenza sembra sintetizzare le diverse sfumature semantiche presenti nelle due opere omeriche poich impiegata
per i corpi che giacciono non sepolti nella casa di Ulisse dei
pretendenti di Penelope (ivi, XXIV, v. 187). Anche laggettivo
greco che dar origine al latino acedia sembra dunque caratte98

3. Al di l della tristezza: melanconia e azione innovativa

rizzato da un processo di introversione, lento ma progressivo:


dalla guerra alla casa; dalla casa alleremo; dalleremo allanimo del singolo peccatore. Secondo una tradizione che probabilmente ha inizio alcuni secoli prima della nascita di Cristo
con limpiego del termine greco per la traduzione dellAntico
testamento (Del Castello, 2010, p. 27), lacedia innanzitutto
la tentazione di chi, ritiratosi dal mondo, rischia di trasformare
il suo eremo nella casa del maligno: Antonio da Coma tentato
dal diavolo nel deserto, il monaco minacciato nel silenzio della
sua cella. Lelemento della possessione divina che Aristotele si
era sforzato di riconvertire in termini pratici (e, prima di lui,
Ippocrate di descrivere in termini medici) riemerge sotto una
veste differente, figlia dei nuovi tempi. Ora il melanconico
preso dal dio non pi perch agisce nel mondo compiendo gesta fuori misura (nel bene e nel male: come Eracle e Aiace, due
dei melanconici citati nei Problemi), ma poich preda di un
demone che per definizione malvagio.
La partita decisiva non consiste pi nella sponda ambivalente
tra melanconia e mania, ma ha come protagonista il rapporto
tra acedia e tristitia. Che la si condanni come peccato capitale
o se ne distinguano forme positive e negative, lasse del discorso
spostato e il delitto ormai compiuto. Anche quando la coppia accidia-melanconia riesce a far ritorno nel mondo delle cose
umane, risulta ormai depotenziata. In inglese lacedia diventa
sloth, termine vicino allaggettivo slow (lento): laccidia-melanconia negligenza sul lavoro, preghiera senza devozione, pigrizia
nel comportamento (Jackson, 1986, pp. 71-72). Probabilmente
Agamben ha ragione nel criticare una nozione di acedia tutta
schiacciata sul sonno colpevole del pigro (la sua critica si rivolge
a Panofsky e Saxl). Ci non toglie che si tratti di una disperata
paralisi (Agamben, 1977, p. 12). possibile parlare di unaccidia positiva nel pensiero teologico medioevale solo a caro prezzo:
accettare che laccidia sia una forma prossima (genitrice o figlia
secondo le versioni, ma poco importa) della tristezza. proprio
questo apparentamento a essere alla base del definitivo inserimento dellaccidia prima e della melanconia poi tra le passioni
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

99

rassegnate. Nella Seconda lettera ai Corinzi, Paolo di Tarso distingue tra due forme di tristezza (in greco lupe): una peccaminosa,
prossima alla perdita della speranza e che per questo allontana da
dio; una virtuosa legata ai propri peccati, redenzione che invece
avvicina al creatore. Per il resto, tracce di una valutazione positiva
dellaccidia possibile trovarle soprattutto quando la si considera
genericamente una tentazione e, come tale, in grado di rinforzare
la fede e le virt (Wenzel, 1960, p. 32). Gi in Evagrio Pontico
(siamo nel IV secolo d.C.), questo elemento emerge con chiarezza (Otto spiriti, 13, p. 55):
Laccidia una mancanza di tono [atonia] dellanima, ma una
mancanza di tono che non secondo natura, e che non sa resistere validamente contro le tentazioni [peirasms]. Infatti quello
che il nutrimento per un corpo robusto, questo significa la
tentazione per unanima generosa. Il vento di Borea nutre i germogli, e cos le tentazioni rendono salda la forza dellanima.

Il termine impiegato da Evagrio per definire laccidia particolarmente significativo perch conserva al proprio interno
tracce di un processo di trasformazione: atonia in greco indica un processo di esaurimento, di spossatezza. Anche per la
tradizione teologica medioevale la fatica pu essere una delle
concause che favorisce le tentazioni accidiose. Nel corso del
tempo, la semantica dellaccidia si caratterizza per inversioni
tra cause ed effetto. Nella traduzione greca del testo biblico dei
Settanta il termine akeda e il verbo corrispondente (akediazo)
sono legati alla stanchezza causata dalla malattia o dai nemici.
In Evagrio la conseguente mancanza di tono dellanima. Successivamente, tra il XIII e il XV secolo, si rafforza sempre pi
una nozione di accidia legata non alla debolezza verso dio o alla
tristezza verso le cose del mondo ma come torpore indolente e
pigrizia (Wenzel, 1960, p. 88). Questa passione ora colei che
produce indolenza e mancanza di azione, non pi la conseguenza di spossatezza o, se si risale fino a Omero, conseguenza di
quel che ha prodotto la spossatezza, cio della battaglia.
100

3. Al di l della tristezza: melanconia e azione innovativa

Parlare di delitto a proposito di questa trasformazione semantica non eccessivo perch lo slittamento elimina buona
parte del potenziale innovativo della melanconia. Il suo tratto
pi fertile resta confinato e comunque sminuito nellimpiego erotico-amoroso del termine (lo reincontreremo nel 6),
mentre il suo volto pratico-politico finisce nellombra. Per capire meglio quanto decisivo sia il punto, opportuno fare un
esempio. Alla fine del IV sec. d.C. Giovanni Cassiano decide
di recarsi nel monasteri della Palestina e dellEgitto, entusiasta
di conoscere la vita di chi si rifugia in eremi lontani. Cassiano
fa esperienza diretta di quel che egli non esita a inserire tra gli
otto vizi dellanima umana: la nostra sesta lotta contro il
vizio che i greci chiamano akeda e che noi possiamo definire
tedio o ansiet del cuore (Cassiano, in Gigliucci, 2009, p.
68). Lelemento di morte legato alla parentela insito nel termine greco akeda non sparisce ma si trasforma lasciando una
lontana traccia di s: ora sdegno e disprezzo per i fratelli
(ivi, p. 69). Il non darsi pensiero diventa mancanza di pentimento (ivi, pp. 66-67):
Fu questa tristezza a impedire a Caino di pentirsi dopo luccisione del fratello e a spingere Giuda dopo il tradimento, non a
cercare di riparare la colpa ma a impiccarsi per la disperazione.

Anche quando si scorge il volto nobile della tristezza segnalato da Paolo di Tarso, lo si riduce a rimpianti dei peccati,
al desiderio di perfezione e alla contemplazione della beatitudine futura (ivi, p. 67). A predominare luscita da ogni
forma sociale perch lozio porta ad essere inerte per qualunque lavoro egli debba svolgere (ivi, p. 69). Anche nei Problemi
aristotelici si fa riferimento a una figura, Bellerofonte, che va
alla ricerca di luoghi solitari [eremias] (Probl. XXX, 953a 22).
Ma attenzione: prima di ci, il nipote di Sisifo uccide il fratello,
cambia nome (da Ipponoo in Bellerofonte), rifiuta le attenzioni
della moglie di chi lo ospita, ruba Pegaso, riceve in dono da
Atena delle briglie doro. Agisce, nel bene e nel male, nel monMelanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

101

do. Il suo non un eremitaggio preventivo ma il duro risultato


dellattiva partecipazione alle cose della vita. Il legame tra acedia e solitudine monastica esaspera questo tratto solitario stravolgendone il significato: nella melanconia lisolamento, cos
come la riflessione, giungono dopo lazione; nellacedia monastica sono invece antidoto preventivo alla prassi, ne costituiscono
cio la neutralizzazione. Le cose vanno ancora peggio quando
lacedia si rif a un concetto di tradizione latina e dispirazione
stoica, laegritudo. A tal proposito, Cicerone afferma che con
questo termine i latini denominarono il disagio, linquietudine e langoscia (cit. in Gigliucci, 2009, p. 89). In un testo di
Petrarca (Accidia, ivi, 2009, p. 92), ad esempio, ne emerge il
lato lamentoso e tutto introverso:6
Se subito [la fortuna] raddoppia il colpo comincio un po a vacillare, e se ai due se ne aggiunge un terzo o un quarto sono
costretto a ritirarmi nella rocca della ragione: non per con fuga
precipitosa ma indietreggiando passo passo.

Il ripiegamento interiore lampante: la phobia, la componente paurosa della melanconia, non pi lesito di una
fuga corporea ma lindietreggiare interiore verso la ragione.
Non la spinta che porta allesodo perch diventata la tentazione che coglie e blocca chi lesodo lha gi intrapreso e
ora si trova nel deserto a lottare con i propri demoni. Mentre
Aristotele identifica la melanconia, come abbiamo visto, con
la dusthumia relegando gli abissi depressivi della mancanza
danimo (athumia) solo a uno dei suoi possibili esiti, gi nel
6 Anche se Klibansky, Panofsky e Saxl (1964, p. 235 n. 18) hanno ragione nel dire che
Petrarca non utilizza termini teologico-morali (a tal proposito sembrano convincenti
anche gli argomenti proposti da Wenzel, 1960, pp. 155-163), la strada che egli propone
non fa certo il gioco di una valutazione complessiva dello spirito melanconico che ne
consideri il valore pratico. Anzi, il rinvio di Petrarca alla aegritudo ancora pi fuorviante perch rimanda a una malattia dellanima secondo una direttrice magari laica ma
sempre, questo il punto, depotenziata. Di fondo si rimane nella stessa logica: o creativit
di dio o indolenza terrena. Il dato di fondo rimane un altro: anche Petrarca disconosce
la natura bipolare della melanconia (Klibansky, Panofsky, Saxl, 1964, p. 235).

102

3. Al di l della tristezza: melanconia e azione innovativa

380 d.C. Giovanni Crisostomo descrive la sindrome ossessiva


del monaco come athumia, tristezza e scoramento (Del Castello, 2010, p. 33). Certo, nel Medioevo nessuno si sogna
di proporre in modo esplicito e definitorio lequazione tra
unaffezione corporea prodotta dalla bile nera e una passione
legata alla contemplazione del divino (Wenzel, 1960, p. 186).
Si tratta di relazioni implicite, di incontri parziali e coincidenze limitate.7 Lincontro tra vizi e capitali e melanconia
umorale piuttosto precoce (emerge gi tra VIII-IX d.C. in
Teodulfo dOrleans: Del Castello, 2010, p. 72), si afferma nel
XIII secolo (tra gli altri in Guglielmo dAlvernia, Alessandro
di Hales, Davide di Ausburg, Roberto Grossatesta: Wenzel,
1960, pp. 191-193) lasciando qualche residuo nellopera di
Tommaso che definisce laccidia acida con un riferimento
etimologico inventato che la congiunge implicitamente al
sapore della bile nera (Del Castello, 2010, p. 89). Solo pi
tardi, nel XVII secolo, lautore del pi autorevole lessico latino, Charles du Cange, definir laccidia species melancholiae
quae monachorum propria est (cit. in Del Castello, 2010,
p. 19). Ma questa storia di intrecci e sovrapposizioni parziali
suggerisce quali siano stati almeno alcuni dei percorsi lungo i
quali stato possibile contrabbandare una sostituzione degna
del pi abile falsario: sostituire la passione dellazione incerta
con il sentimento della tristezza inibita.
7 possibile che esista un altro intreccio significativo tra i termini in questione che
riguarda il legame tra abbattimento depresso, melanconia, accidia e ira. Un passo
dei Salmi (119, 53) reso dai Settanta con il greco athumia (
: unira ardente mi prende a motivo
degli empi, che abbandonano la tua legge), tradotto in latino con il termine horror (horror obtinuit me ab impiis qui dereliquerunt legem tuam) allinterno di unarea
semantica legata allira (tremito, indignazione) che rimarr invariata nelle traduzioni
nelle varie lingue romanze. Nel recuperare lantecedente aristotelico dellaccidia, Boccaccio sfiora il punto dolente. Per definire laccidioso, si rif allEtica Nicomachea. Ma
invece di andare a pescare i passi circa il melanconico si riferisce al carattere di chi
eccede o difetta per ira (orgh). Al legame aristotelico tra dusthumia, athumia e euthumia, si preferisce la pista platonica che lega il termine alla parte irascibile dellanima
(thumikn). Di questa, infatti, Cassiano, Evagrio ed altri parlano quando riprendono
in chiave teologica la tripartizione proposta nella Repubblica tra anima razionale, concupiscibile e irascibile (cfr. Del Castello, 2010, p. 56).

Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

103

5 Il genio e la poesia: una rivalutazione fuorviante

Fuori un giorno fragile


Ma tutto qui cade incantevole
come quando resti con me.
Subsonica, Incantevole

La nozione di creativit che oggi ci troviamo tra le mani


risente di nozioni, come quella di genio, che catapultano le
capacit innovative umane in un alveo misterioso e interiore,
ispirato e sospirante, di cui una filosofia materialistica degna
di questo nome non sa cosa farsene. La passione melanconica
spesso andata a braccetto con il genio: qualche anno fa una
bellissima mostra parigina ha provato a ricostruire la storia
della Mlancolie: gnie et folie en Occident (Clair, 2005). La
mia ipotesi che il depotenziamento innovativo della passione melanconica abbia contribuito alla costruzione di una
nozione di creativit apparentemente emotiva (il sentire del
genio ispirato, ma anche la speranza che ogni volta rinasce
ma sempre delusa come la definisce il testo che apre il catalogo della mostra: Bonnefoy, 2005, p. 15) ma sostanzialmente
teologica (la produzione dal nulla del dio che crea). Come
avviene questo depotenziamento? Disconoscendo il volto pratico della melanconia, spesso coincidente con quello che oggi
definiremmo il suo volto maniacale (cap. II). Riconoscere la
complessit della coppia melanconia-mania non significa solo
tratteggiare un ritratto pi completo di una passione tutta
umana ma anche godere della possibilit di individuare il potenziale politico e trasformativo della bile nera. La fotografia
che Aristotele scatta alla melanconia , ad oggi, la pi nitida e
ricca di dettagli. Nella tradizione successiva, limmagine non
solo perde definizione ma soprattutto si frastaglia dividendo il
polo riflessivo-distimico da quello attivo-maniacale. Lacedia
medioevale contribuisce a fare della melanconia occidentale
104

3. Al di l della tristezza: melanconia e azione innovativa

una riflessione bloccata e inerte, sempre pi sconnessa dalla prassi umana con il risultato indiretto ma decisivo di fare
dellagire creativo una prerogativa sempre pi sottomessa alla divinit. La complessit della descrizione aristotelica della
melanconia paragonabile a quella di una sequenza filmica
piena di scene e azione. La tradizione successiva lavora per
tagli: isola singoli fotogrammi (il melanconico abbattuto, il
distimico isolato) spacciandoli per lintero. Nel Rinascimento
la melanconia continua a essere oggetto di questo processo di
scomposizione per sineddoche, nel quale la parte sostituisce
il tutto. Il risultato, in questa circostanza, una scotomizzazione: elitaria e sostanzialmente contemplativa la melanconia
generosa; popolare ma non creativa quella poetica-amorosa.
Secondo Klibansky, Panoksky e Saxl a Marsilio Ficino
che dobbiamo lidea del genio melanconico. Per gli autori di
una monografia classica sul tema questa sarebbe sostanzialmente una buona notizia. Contribuirebbe a rivalutare una
passione che, nel Medioevo, si era ritrovata sola in una cella
in compagnia di un monaco disperato e dubbioso. In secondo
luogo, questa valutazione positiva deriva da una convergenza
interpretativa: anche per gli autori di Saturno e la melanconia,
la melanconia sarebbe qualcosa che se non riguarda proprio
il genio (una categoria che contiene pi di una ingenuit)
apparterrebbe a qualcosa di molto simile. chiaro: la nozione
rinascimentale di genio non coincide con quella romantica.
Il termine latino impiegato da Marsilio Ficino, ingeniosus,
indica innanzitutto abilit e intelligenza. altrettanto vero,
per, che la declinazione di queste capacit sostanzialmente
contemplativa. Quel che Klibansky, Panofsky e Saxl (1964,
p. 254) definiscono il merito maggiore di questa operazione costituisce invece un problema: lintellettualizzazione
della melanconia porta questa passione pi verso il regresso
allinfinito del pensiero che verso lazione. Lassociazione tra
melanconia e Saturno fissa uno spostamento decisivo: dai cortocircuiti della deliberazione emersi nellEtica Nicomachea si
sprofonda nella contemplazione. Ficino lo dice esplicitamente
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

105

(il passo citato anche da Klibansky): Saturno non si occupa


di immaginazione o deliberazione, legati alla figura di Giove, ma della mens contemplativa perch rivendica per s una
vita separata e divina (De vita, III, 22, p. 276). Se vero
che Ficino il primo (o tra i primi) a riconoscere la fusione
aristotelica della melanconia con il furore divino di Platone
(Klibansky, Panofsky e Saxl, 1964, p. 244) anche vero che
nel De vita si consuma uno slittamento. Da una parte si dice
che Platone, Democrito e Aristotele legano la melanconia al
furore: i melanconici sono assai eccitati (concitatos) e in preda al furore (furiosos) (De vita, I, 5, p. 104). Il latino furor
(ivi, p. 105) traduce esplicitamente il greco mania. Daltra
parte la genialit diventa letteraria e filosofica mentre lazione
scompare: la melanconia rende stolidos e stupidos; produce amentiam e vecordia, demenza e pazzia (ivi, p. 105);
serve allacquisizione della sapienza (sapientiam) e del giudizio
(iudicium: ibidem). Lunico elemento legato alla pratica ancora in evidenza legato alle lunghe veglie del melanconico:
mentre per per Aristotele erano legate alla violenta agitazione (Probl. XXX, 957a 35), ora non sono dedicate ad agire
nel mondo ma a uno studio spasmodico che porta allesaurimento (De vita, p. 131). Non a caso una figura emotiva
che ricorda ancora molto il demone meridiano medioevale:
definita esplicitamente un demone malvagio (ivi, p. 109),
spesso considerata come un monstrum e una pestilentia,
cercando di proporre dei rimedi che ne possano alleviare gli
effetti sullanima (Hankins, 2007, p. 13).
Sul volto erotico della melanconia si intrattiene laltro
dei testi pi significativi scritti sulla melanconia negli ultimi
decenni. I primi tre capitoli di Stanze di Giorgio Agamben
hanno contribuito a ridare centralit a questa passione: non
pi solo sentimento limite ma luogo di elaborazione di entit
immaginative fondamentali per ogni processo culturale. Due
le mosse principali: la prima rilegge la melanconia soprattutto
in termini di desiderio erotico; la seconda rivaluta lacedia
medioevale che, in termini teologici, ripropone una logica si106

3. Al di l della tristezza: melanconia e azione innovativa

mile legata alleccesso del volere. In entrambi i casi avremmo


una esacerbazione del desiderio il cui risultato melanconico
consisterebbe nella capacit fantasmatica di far apparire perduto un oggetto inappropriabile (Agamben, 1977, p. 26). La
melanconia d accesso a una zona di indistinzione tra rappresentato e reale fondamentale non solo nelle prime fasi dellontogenesi umana ma, anche dopo, allinterno di ogni processo
creativo. Per questo, il filone erotico ricostruito da Agamben
importante. Gi compare nei Problemi a proposito dellincontinenza sessuale del melanconico, prosegue in Areteo che
nel I secolo d.C. parla della melanconia amorosa in un modo
che anticipa quel che avverr molti secoli dopo con la personificazione di questa passione nella Dame mlancolie (Areteo,
per melancholias, p. 51):
Si dice che uno di essi, incurabilmente ammalato [di melanconia], amasse una ragazza; mentre a nulla gli giovarono i medici, fu curato dallamore [...]. Egli stesso non riconosceva amore
ma quando con esso contagi la fanciulla, la sua depressione
spar, si dileguarono ira e dolore. Ed egli arse nella gioia la sua
tristezza; ridiede pace alla propria mente, medico lAmore.

Struggente, non c dubbio, ma del tutto impolitico. La rilettura erotica e quella poetica della melanconia, anche nei casi
migliori (come quello costituito da un testo esemplare come
quello di Agamben ma anche in Lutto e melanconia di Freud),
ci porta ben che vada allinnovazione artistica e niente pi.8 Il
punto importante perch in grado di rappresentare con finezza un elemento cardine della melanconia, cio il suo rapporto
con limmaginazione (cap. IV, 3). Ma se ci si ferma qui, si
rischia di perdere laltro aspetto innovativo legato alla prassi.

8 Alla fine, anche un commentatore fine come Jackie Pigeaud (1988, p. 46 e sgg.)
cade nella trappola: suppone che allorigine dei Problemi XXX ci sia la riflessione
su poesia e ispirazione.

Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

107

6 Il qualunque e il performer: il melanconico figura dellavvenire

Ex contradictione quodlibet
Pseudo Scoto

Alla fine di questa breve ricostruzione archeologica, la nozione di melanconia di Ippocrate e Aristotele risulta la pi antica ma
anche la pi fertile: piena di aspetti semantici e risvolti politici che
attendono di uscire allo scoperto. La riemergenza della melanconia greca coincide con un possibile ritorno al futuro. Il preantico
sembra portare in luce aspetti della condotta umana che stanno
riemergendo proprio ora, nel mondo postmoderno. Non si tratta
di cadere preda della nostalgia per quel che avvenuto, quanto
di rimettere a disposizione energie emotive, figure passionali che
una storia lunga e parziale rischia di schiacciare nellimmagine
semplificatoria del melanconico reattivo e incattivito che rimugina su occasioni perdute. Ancora oggi la melanconia oggetto di
un processo di rimozione la cui forza sorprendente, tanto che
anche un testo come Stanze ne resta vittima. Agamben prima
traduce lincipit dei problemi aristotelici ribandendo il carattere
non geniale del peritts (reso con distinti) e il suo carattere politico (lespressione italiana per politikn vita pubblica: Agamben, 1977, p. 16). Poi, poche pagine pi in l, il carattere pubblico della melanconia scompare misteriosamente depennato tra
le prerogative di chi affetto dalla bile nera: la stessa tradizione
che associa il temperamento malinconico alla poesia, alla filosofia
e allarte attribuisce ad esso unesasperata inclinazione alleros
(ivi, p. 20). E il suo volto politico? Dove andato a finire? Sparito, ingoiato dalla tradizione successiva. forse possibile colmare
questa lacuna utilizzando uno strumento offertoci dallo stesso
Agamben, seppur in un testo successivo. Per ripensare in modo
nuovo al melanconico dei Problemi, a met strada tra Ippocrate e
Aristotele, pu essere opportuno concepirlo come una figura etica vicina allessere qualunque, la figura della singolarit pura
108

3. Al di l della tristezza: melanconia e azione innovativa

(Agamben, 2001, p. 55). Per un altro verso e allo stesso tempo,


il melanconico sembra coincidere con lantitesi contemporanea
del genio, cio con quel che oggi viene di solito chiamato il performer. Prima di concludere, proviamo a fare qualche passo in
questa direzione. Ne La comunit che viene, Agamben delinea
un percorso teorico radicale che non solo riscopre da un punto
di vista logico e metafisico il quodlibet della filosofia patristica,
ma indica nel qualunque una via politica opposta a quel che
indichiamo con lespressione qualunquista. Il qualunque non
ha che fare con lindifferenza, apatia, rassegnazione (ivi, p. 14),
ma con i connotati del volto umano. Cosa lo rende tale?
Il volto umano non lindividuarsi di una facies generica n
luniversalizzarsi di tratti singolari: il volto qualunque, nel
quale ci che appartiene alla natura comune e ci che proprio
sono assolutamente indifferenti. (ivi, p. 21)

In modo analogo, la melanconia non corrisponde per Aristotele alla rassegnazione9 poich si contraddistingue nella sua lettura
della teoria umorale per un tratto paradossale. Il melanconico non
un carattere tra gli altri (il flemmatico, il sanguigno, il bilioso)
ma il temperamento che porta a cambiare carattere, cio alla sua
costruzione (cap. I). per questo che i Problemi lo paragonano
a un volto: tutti lo hanno, caratterizza ciascuno ma contemporaneamente anonimo (Probl. XXX, 954b 26). Il qualunque ,
non a caso, ci che costruisce lthos di ciascuno: il modo nel
quale si passa dal proprio al comune e dal comune al proprio
(Agamben, 2001, p. 21), incarna il termine che indica le vie dindividuazione di ciascuno. Proprio per questo sia melanconia che
essere qualunque esibiscono una forma estatica: poich indicano
oscillazioni modali entrambi eccedono s stessi, costituiscono una
linea di sviluppo della quale non si pu essere padroni prima che
questa si realizzi. Un simile deficit di padronanza la terza cifra
9 Troviamo il termine greco apat ma per indicare la possibilit melanconica non solo di
provare paura, come ricorda Ippocrate, ma anche di resisterle: Probl. XXX, 954b 15.

Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

109

della possibile congiunzione tra melanconia e quodlibet: processi


di trasformazione che non contengono al proprio interno linee
classificatorie gi identificate (come avviene invece nelluniversale) ma che allo stesso tempo hanno il potere generativo delle
molteplici singolarit. Lo abbiamo visto, la melanconia anche
mania (cap. II): azione il cui senso pu esser visto solo da fuori e a
posteriori; il qualunque, afferma Agamben (ivi, p. 28), una maniera nel senso etimologico proveniente dal latino manare, cio
sgorgare, grondare. In entrambi i casi lorigine semantica affonda
le sue radici nellindoeuropeo man: una forza contagiosa di difficile controllo. Per questa ragione, si tratta di una passione e di una
figura logico-politica allinsegna dellkstasis, cio della fuoriuscita
di s (ivi, p. 56). Lidentit del melanconico unidentit qualunque: singolare (il melanconico loquace e non unaltra cosa;
taciturno e non altro), ma non fedele a una identit precostituita
o a un concetto universale sotto il quale ricadere. Quello melanconico un temperamento paradossale: il temperamento di chi
cambia temperamento, indica il percorso formativo del temperamento in quanto tale, il temperamento qualunque esso sia. In
questo movimento formativo, ogni temperamento si genera attraverso un movimento estatico. Attraverso questa fuoriuscita (il
delirio di Aiace, lisolamento di Bellerofonte, lispirazione poetica
di Maraco di Siracusa) si forma un thos specifico. La melanconia
, per questo, passione indifferente: non padrona del suo essere e
precedente le singole determinazioni. La melanconia passione
del singolare comune: come un volto, priva di unidentit perch legata alla totalit completa delle possibilit. La melanconia ,
infine, passione della prassi: contiene unazione maniacale in grado di generare s stessa senza per questo essere in grado di cogliere
in anticipo il proprio senso.
Per ragioni simili, anche se non identiche, a quelle che legano la melanconia alla singolarit pura del quodlibet, la figura artistica pi calzante per lumor nero non il genio, come
vorrebbe la tradizione, ma quella del performer. Si tratta di un
personaggio che incarna lanonimia propria della melanconia:
a differenza dellopera del genio, sottolinea Silvia Vizzardelli
110

3. Al di l della tristezza: melanconia e azione innovativa

(2010, p. 161), la performance vive della relazione tra artista e


pubblico. Non lautore ma il processo trasformativo cui d vita la performance a essere protagonista del processo innovativo.
A differenza dellatteggiamento contemplativo di chi si pone
di fronte a un quadro, almeno a un quadro dipinto secondo
una concezione tradizionale della pittura, il pubblico di una
performance non solo assiste ma partecipa al processo creativo,
ne costituisce parte integrante. Il performer propizia la nascita
di una situazione, di un evento, del quale non ha n pu avere
il controllo: condivide con il melanconico il tratto etico, gi
sottolineato da Aristotele, dellincontinenza ( 3). La passione
della bile nera, cos come il propiziatore di una performance,
vive la mancanza di controllo delle conseguenze dei propri atti non come unappendice imperfetta e malevola, ma come lo
spazio di manovra per la costruzione di un diverso stato di cose.
In entrambi i casi emerge una forma innovativa che non ha
la pretesa di generare dal nulla. Il performer deve saper fare
qualcosa di quello che ha gi a disposizione (ivi, p. 163. Il
corsivo nel testo); il melanconico non crea contemplando dio
o resistendo ai demoni, ma costretto allinnovazione poich
si trova, spesso suo malgrado, in una situazione al limite delle
proprie possibilit. Il performer e il melanconico mostrano, per
questo, il loro grado di prossimit per mezzo di un parente
comune, latleta. Come abbiamo visto in precedenza (cap. III,
5), secondo Hannah Arendt il mondo contemporaneo dopo
aver neutralizzato la sfera della prassi umana le avrebbe concesso uno spiraglio piccolo e specializzato. Solo la ricerca scientifica avrebbe ancora accesso a quel serbatoio di potenzialit
innovative in grado di modificare la vita degli umani: la scienza
e le sue scoperte sarebbero il residuo di questo processo di riduzione. Performer e melanconico suggeriscono che esiste almeno
un secondo ambito residuale nel quale sopravvive il carattere
innovativo dei sapiens, seppur confinato in una riserva di animali in via di estinzione. Il fascino esercitato dalla prestazione
sportiva legato alla nozione di record: la possibilit di arrivare
l dove nessun altro giunto prima, la sensazione che la storia
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

111

possa ancora essere rappresentata secondo una linea progressiva


nella quale chi viene dopo supera colui che lo ha preceduto.
chiaro: si tratta di una caricatura dellagire umano legata a miti come quello dellandamento progressivo e della storia come
miglioramento (per una critica efficace e appassionante: Gould,
1996). Pur essendo sbiadita e distorta, comunque una traccia del carattere pratico dellagire umano che nel performer e
nella melanconia trova pi completa espressione (non a caso
nei Problemi XXX ne troviamo traccia nel paragrafo 11). Melanconica e performativa lesperienza del limite della nostra
capacit dazione mentre lazione si compie. Non unesperienza preventiva e rassegnata, quanto il tentativo di superamento
di una difficolt le cui fattezze non sono del tutto note. Qui
giace la caricatura sportiva: latleta di fronte allasticella posta
a due metri e quaranta daltezza e vuole provare a superarla
con un salto. Il limite ben preciso, posizionato a una altezza
gi misurata e prestabilita. Performer e melanconico, invece,
hanno a che fare con un limite che tale perch le sue fattezze
sono ancora ignote. Sarebbe un peccato considerare lincertezza
del performer e gli esiti altalenanti di Aiace come prerogative
esclusive dellartista o del mito eroico. Ogni azione umana
potenzialmente una sliding door: un bivio che conduce verso lidi imprevisti. Lazione sportiva diventa unimmagine pi fedele
di questo movimento, melanconico e performativo, dellazione
umana quando mette in crisi le regole che lo strutturano. In
uno dei suoi documentari pi riusciti (La grande estasi dellintagliatore Steiner), Werner Herzog descrive la storia di Walter
Steiner, vincitore della medaglia doro nel 1972 e nel 1979 nel
salto in lungo con gli sci. La peculiarit del personaggio non risiede in un record successivamente battuto pi volte. Linteresse
risiede nel carattere inaspettato del salto, cio nelle conseguenze impreviste che questo produce. Il salto, infatti, fu cos lungo
che rischi di mettere sotto scacco lintera vita economica dello
sport: costrinse a estendere la lunghezza di molte delle piste
per evitare che il saltatore potesse atterrare sugli spettatori. Saltando, Steiner ha modificato le regole stesse del salto. Lautore
112

3. Al di l della tristezza: melanconia e azione innovativa

dellazione si trova a fare i conti con conseguenze impreviste


anche per lui, supera un limite (in questo caso lestensione della
pista) che si dimostrato esser tale solo dopo il salto. Per questa ragione Walter Steiner pu costituire un ottimo esempio di
performer melanconico: alle prese con un conflitto normativo
che non precede ma segue le sue azioni; infrange la regola non
per seguire il gusto adolescenziale (e subalterno, almeno per
chi non abbia quellet) della trasgressione, ma perch esplora
aree dellesperienza ancora non a fuoco n alla collettivit cui
appartiene, n a s stesso.

Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

113

4. Ai limiti del linguaggio:


una passione priva di misura

1 Laltro limite del linguaggio: oltre meraviglia e tautologia

Allora che ti meravigli


Gianna Nannini, Io

In uno dei suoi testi pi noti, la Conferenza sulletica, Ludwig Wittgenstein propone laccostamento tra una figura logica, la tautologia, e due stati danimo, la meraviglia e la sicurezza. Se ci spingiamo fino ai limiti del linguaggio e decidiamo
di arrischiarci nel terreno paludoso in cui le parole tendono a
perdere senso, scopriamo che le affermazioni etiche o religiose
sono simili a espressioni del tutto quotidiane, allapparenza
meno impegnative. Wittgenstein propone due esempi in grado
di mostrare le caratteristiche logico-linguistiche di affermazioni del genere: la meraviglia per lesistenza del mondo (quanto
straordinario che qualcosa esista: CE, p. 13) e la sensazione
di sentirsi assolutamente al sicuro (sono al sicuro, nulla pu
recarmi danno, qualsiasi cosa accada: ibidem). Si tratta di versioni della meraviglia e della sicurezza che potremmo chiamare, impiegando unespressione assente nel testo, superlative.
Esse differiscono dai loro equivalenti ordinari per un aspetto: mentre se dico mi meraviglio che oggi tu abbia indossato
quella cravatta a righe, ci avviene perch mi sono immagiMelanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

115

nato che avresti potuto sceglierne unaltra (a tinta unita, ad


esempio), quando affermo che mi meraviglio dellesistenza del
mondo non sono in grado di immaginare cosa accadrebbe se
tutto quello che oggi esiste non ci fosse pi.
Wittgenstein si sofferma su due caratteristiche di espressioni
del tutto ordinarie la cui struttura la stessa delle affermazioni etiche o religiose. La prima labbiamo intravista. Frasi del
genere sono il prodotto di un cattivo uso della lingua (ivi,
p. 13): lindizio principale della loro mancanza di senso dato dal fatto che mettono sotto scacco limmaginazione. Come
immaginare qualcosa di completamente altro rispetto a ci che
conosciamo? La seconda caratteristica riguarda la loro struttura liminare, sostanzialmente vuota, che fa assomigliare questo
tipo di asserzioni a una tautologia (ivi, p. 14). Laccostamento non casuale. Secondo il Tractatus, del quale la Conferenza
sulletica la ripresa e il continuamento, la tautologia costituisce
il limite interno del linguaggio, linsostanziale centro delle
proposizioni (T, 5.143). La tautologia (la proposizione A=A, ma
anche quanto azzurro questo azzurro! o, per lappunto, mi
meraviglio che esista il mondo) indica il centro del linguaggio,
il suo cuore pulsante. Proprio per questo, ogni tautologia una
forma linguistica che riveste per il linguaggio unimportanza simile a quella che assume il tubo per lo scorrimento dei liquidi:
una struttura portante e, contemporaneamente, vuota. Laccostamento (del quale Wittgenstein per primo, occorre dirlo, non
soddisfatto) efficace ma parziale. Il Tractatus specifica che
esiste una seconda figura logica, la contraddizione, in grado di
delineare i limiti del linguaggio: tautologia e contraddizione
sono i casi limite del nesso segnico, ossia della sua dissoluzione (T, 4.466). La contraddizione incarna i margini esterni del
linguaggio, il suo limite esteriore (T, 5.143). Lassenza di questa figura logica nella Conferenza sulletica eclatante: se per un
verso le due strutture sono tra loro simmetriche (incarnano il
centro e la periferia del linguaggio, il vuoto e il pieno) e dunque
citare la prima significa implicitamente accennare alla seconda,
per un altro verso i due termini sono tra loro speculari e, dun116

4. Ai limiti del linguaggio: una passione priva di misura

que, a orientamento inverso, rovesciato.1 Mentre la tautologia


segue da tutte le proposizioni (T, 5.142), la contraddizione
segna il punto di origine di ogni affermazione poich da essa
ogni proposizione discende (Q, 3.6.1915, p. 194). La tautologia si configura come un mellifluo camminare sul posto; la connotazione vagamente spettrale della contraddizione dovuta al
fatto che questa si propone come una fuga scomposta. Ecco una
delle radici della differenza di tono emotivo che le caratterizza
e distingue. La prima ha il volto regolare e prevedibile di una
scultura manieristica: priva di difetti, pu lasciare di stucco nel
senso duplice dellespressione. La frase quanto azzurro questo
azzurro! pu dar corpo alla meraviglia pi assoluta ma anche
trasformarsi rapidamente in un parlare vacuo e noioso. Il Tractatus cerca di nascondere sotto il tappeto la tensione prodotta
dal rapporto di somiglianza e diversit tra le due figure logiche.
Wittgenstein afferma perentorio: Le proposizioni della logica
sono tautologie (T, 6.1). Presa alla lettera, laffermazione innesca un cortocircuito imbarazzante. Poich le contraddizioni
sono proposizioni logiche, anche le contraddizioni dovrebbero
essere tautologie, cosa ovviamente contraddittoria (se, dunque,
Wittgenstein avesse voluto procedere per provocazioni sarebbe
stato forse pi corretto dire lopposto: le proposizioni della logica sono tutte contraddizioni). Negli scritti precedenti, in particolare nei Quaderni, la simmetria speculare e rovesciata tra tautologia e contraddizione invece esplicita. Wittgenstein si rende
conto che il carattere estremo della contraddizione sta nel fatto
che questa dovrebbe anzi dire pi di tutte le altre proposizioni
(Q, 11.6.1915, p. 200) e che se p.~p [P e non P] POTESSE
esser vera direbbe davvero moltissimo (Q, 13.6.1915, p. 200.
Maiuscolo e corsivo nel testo). Il carattere allusivo della contraddizione dunque di ordine diverso da quello che anima la
tautologia: la contraddizione non vera ma se lo fosse illuminerebbe la struttura germinale del linguaggio. Questo controfat1 Per un approfondimento del valore antropologico dellinversione speculare e del suo
rapporto con la melanconia: Mazzeo, 2007.

Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

117

tuale incarna non solo la debolezza logica ma anche la struttura


emotiva di una figura logica che non dipinge semplicemente i
tratti di una impossibilit totale (come sottolinea il Tractatus: T,
4.464) o di uno sbarramento allazione (la strategia wittgensteiniana nelle opere successive, la contraddizione come muro: cfr.
ad es. Z, 687). La contraddizione porta con s unassenza mal
digerita, un colpo senza mira. Se la tautologia paragonabile
al clic, innocente e un po stupido, di una pistola scarica, la contraddizione il frutto di una mira non a punto, prestazione di
unarma imprecisa che per spara il suo colpo. La tautologia
immobile; anche se in una direzione incerta, la contraddizione
si muove poich mette insieme due cose che insieme non potrebbero stare. Binswanger a tal proposito chiaro. La follia maniaco-depressiva conduce a guardare il mondo dallalto, si trova al
di sopra di tutto (Binswanger, 1933, p. 160) ma questo vissuto
estetico non solo rassicurante o gioioso. Per un verso richiama
una sicurezza di ordine estetico-religioso (ivi, p. 161), per un
altro porta al vissuto labile e precario di chi preda di continue
contraddizioni. Uno dei suoi pazienti predilige proprio la forma
dello sparo per indicare il tentativo di incarnare una velocit tale
da poter raggiungere due opposti di una scala (ivi, p. 162):
Ma tu sei pazzo, eh, tu sei un asino, un bue, un cane stupido
no, no, tu non sei un cane stupido, tu non sei un cane no,
no, tu sei un povero cane, no, no, neppure un povero cane, ma
povero s, tu gufo, tu barbagianni, bum-bum!

A rigor di logica non si tratta (o meglio, non si tratta ancora)


di vere e proprie contraddizioni: il soggetto maniacale descritto da
Binswanger afferma e nega lo stesso non contemporaneamente, ma in
rapida successione, cosa che il principio di per s non vieta. Questo
effetto di contemporaneit per raggiunto in modo indiretto, cio
dinamico: la fibrillazione talmente rapida che arriva a produrre
leffetto della simultaneit. Il maniacale preda di una fibrillazione
cos violenta che impossibile dire in quale stato egli si trovi in ogni
singolo momento. Il caso riportato interessante perch fornisce
118

4. Ai limiti del linguaggio: una passione priva di misura

una immagine diversa della contraddizione: non la paralisi del romantico nostalgico per il quale il passato il presente, non un muro
logico come vorrebbe Wittgenstein nella sua produzione pi tarda,
ma un camminare frenetico e per questo privo di messa a fuoco.
A tal proposito lo stesso Aristotele sembra combattuto. Nella sua
discussione del principio di contraddizione impiega due immagini.
La prima coerente con lidea del muro: chi non segue il principio
paragonato a una pianta (Mazzeo, 2009) perch impossibilitato
ad agire e incapace di parlare. La seconda, invece, pi vicina al caso
descritto da Binswanger: il sofista se volesse sguazzare nelle contraddizioni dovrebbe fare e disfare contemporaneamente, dovrebbe cadere in un pozzo e credere allo stesso tempo che sia una cosa buona e
una cosa non buona cadere in un precipizio (Met. IV, 1008b 15-16).
Questultima non la descrizione del sofista ma del volto maniacale
della nostra esperienza e della sua incontinenza etica (cap. III, 3):
lanciarsi nel vuoto credendo e non credendo che sia una buona cosa.
Non ho il tempo di ponderare la scelta che lazione gi mi ha preso
la mano, il piede gi impegnato a saltare il precipizio. Paradossalmente, questo aspetto della contraddizione melanconica colto pi
dalle prime rappresentazioni teologiche della accidia che da tanta
letteratura successiva circa la passione una volta legata alla bile nera. Per Evagrio Pontico, ad esempio, limmagine della pianta non
suggerisce la paralisi legata alla tristezza o alla depressione accidiosa,
quanto la forza di chi riesce a resistere a questa tentazione. Laccidia
non corrisponde alla paralisi vegetale, quanto al vento di Borea che
nutre i germogli (Otto mali, p. 55). Evagrio getta le basi per un altro
tipo di analogia tra melanconico e accidioso, che purtroppo in seguito avr poca fortuna: entrambi assomigliano a un corpo oscillatorio,
alla rapida azione del vento che qui e in nessun luogo.
Nella sua conferenza, invece, Wittgenstein si concentra solo su
stati danimo piacevoli e quieti: la sensazione di chi si meraviglia
guardando lazzurro del cielo (CE, p. 14), la sensazione di sicurezza
di chi ha ormai scampato il pericolo (ibidem). Lunico momento
inquietante in grado di increspare il tono emotivo della conferenza
quando si ipotizza che improvvisamente a qualcuno in sala cresca
una testa di leone (ivi, p. 16). Anche in questo caso lemergenza
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

119

rientra: si tratterebbe, secondo Wittgenstein, di qualcosa che susciterebbe sorpresa (e non terrore!) tanto che lesempio prosegue
con larrivo rassicurante di un dottore. Nel testo c qualcosa di
edulcorato e immobile che segnala una doppia mancanza: logica
(la simmetria speculare tra tautologia e contraddizione) ed emotiva (lassenza di un correlato inquieto a meraviglia e sicurezza).
possibile sopperire a questa mancanza attraverso unindagine che si
concentri sullanalisi del corrispettivo emotivo della contraddizione. Esiste la concreta possibilit che questo caso non costituisca il
semplice doppio, magari pi pericoloso e instabile, del primo ma
rappresenti un punto di vista diverso, forse addirittura pi estremo,
sui limiti del linguaggio. Propongo come candidato la melanconia.
Per un verso la melanconia lo stato danimo contraddittorio per
eccellenza: lo abbiamo visto, mania e blocco dellazione, eccesso
e difetto di azione, linguaggio, emozione. Per un altro, la melanconia offre il vantaggio di sollecitare direttamente limmaginazione.
Se tautologia, meraviglia e sicurezza mettono limmaginazione in
una situazione di stallo, la melanconia sfodera la potenziale produttivit dei suoi eccessi. Per capirlo dovremo tornare, per unultima volta, alla melanconia greca e ai suoi luoghi di origine.

2 Una vita priva di misura: oltre la tautologia

e la mente saggia tenerla


lontana dagli uomini che vanno oltre misura [perissn].
Euripide, Baccanti, vv. 428-429

A colpire della descrizione aristotelica nei Problemi XXX


la variabilit del comportamento melanconico. Tre coppie di
aggettivi antinomici ne forniscono il ritratto: il melanconico
"lussurioso" (Probl. XXX, 953 b 33) e "intorpidito"; (ivi, 954
a 23), "taciturno" (ivi, 953 b 13) e "ciarliero" (ivi, 954 a 34);
120

4. Ai limiti del linguaggio: una passione priva di misura

"sciocco" (ivi, 954 a 31) e "geniale" (ivi, 954 a 32). Basta leggere qualche riga del testo per rendersi conto che, nell'accezione originaria, la melanconia non indica quel che oggi chiameremmo un'indole depressiva ma ha un significato pi ampio.
Esprime "un'ambivalenza termodinamica" (Klibansky, Panofsky, Saxl, 1964, p. 39): gli alti e bassi della variabilit di una
sostanza che, riscaldata o raffreddata, produce comportamenti
opposti. Nel testo proposto in modo quasi ossessivo il parallelismo tra bile nera e vino, fluidi che rivelano la variabilit del
comportamento umano (cap. III, 6). Il melanconico simile
a un ubriaco perch, come chi ha bevuto troppo, manifesta un
comportamento imprevedibile che rovescia abitudini e previsioni: il mite diventa aggressivo, il forte mostra la propria debolezza. La coppia depressione-mania, che oggi trova il suo sunto
psichiatrico nella cosiddetta "sindrome bipolare", qui emerge
con fattezze diverse. proprio Aristotele il primo a svincolare
questo stato d'animo da una concezione puramente patologica: la bile nera fornisce la descrizione primigenia della natura
umana. Il melanconico non semplicemente colui che, afflitto,
guarda l'orizzonte disarmato (come sar nelle rappresentazioni
cinquecentesche di Drer o Cranach: ci torno nellappendice)
ma colpisce chi preda di un moto oscillatorio. Labile e incostante, ogni equilibrio scompare tra euforia e abbattimento,
azione forsennata e paralisi abulica. La fenomenologia dell'ebbro melanconico fornisce la grammatica della pulsione: questa,
senza gli argini dell'istinto, ostaggio dell'incostanza dello stato d'animo e della forza impetuosa di una costituzione psichica
squilibrata (Probl. XXX, 954 b 27). L'accostamento con chi
eccede nell'uso di vino rivela una caratteristica tanto del melanconico che della nostra natura: la perdita di individuazione
prodotta dai guizzi della bile nera e dall'alcool si lega alla necessit di imbottirsi di sostanze estranee per colmare il proprio vuoto (Starobinsky, 1963, p. 12). La psiche melanconica
tradisce la necessit di sostegni esterni, di forme di appoggio e
completamento. Non a caso, in un altro testo, Aristotele l'accosta alla giovinezza (Eth. Nic., 7, 1154 b 10-15): lo squilibrio
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

121

di comportamento fa tutt'uno con le necessit di cure di un


animale neotenico, caratterizzato da uninfanzia cronica, da
una ontogenesi che, rispetto a quella delle altre forme di vita,
priva di pause. Le tre coppie di aggettivi indicano uninstabilit
che riguarda, non a caso, ogni sfera della vita umana: quella
pulsionale (il melanconico intorpidito e lussurioso), cognitiva
(sciocco e geniale) e linguistica (taciturno e ciarliero).
Come accennato (cap. I, 3), i Problemi XXX impiegano un
termine specifico per indicare la condizione melanconica: chi ne
affetto peritts, aggettivo greco dallo spettro semantico unitario seppur relativamente ampio. Il termine significa che passa
la misura, eccessivo, ridondante, dispari, eccellente, singolare,
ricercato, sovraccarico, accezioni rintracciabili anche allinterno
dellopera aristotelica (Carbone, 2011, pp. 72-73). possibile
che limpiego dellaggettivo peritts da parte di Aristotele riecheggi, modificandola, unidea gi presente in Ippocrate. Nellopera
Sulla natura delluomo (per fusios, XV), si distinguono i diversi
tipi di febbre causati dalla bile: la febbre continua, quotidiana,
terziana e quartana. Lultima la pi pericolosa perch, ostinata,
si ripresenta ciclicamente. Inutile dire che causata dalla bile
nera melanconica (ivi, XV, 21-27):
Le quartane sono simili in linea generale alle terziane, ma si
protraggono pi a lungo di queste []. A causa della bile nera
alle febbri si aggiunge questo carattere smisurato [perisson] e di
cui difficile liberarsi [dusapllakton].

Comunque sia, la costruzione del termine consiste nella


lessicalizzazione di una forma grammaticale. Come in greco
antico epissa vuol dire figlia minore perch allude al successivo (ep) per eccellenza, peritts la forma aggettivale di una
preposizione grammaticale, per: intorno, ma anche al di l,
attraverso, molto. La melanconia aristotelica incarna innanzitutto il regno dellapprossimazione: il mondo di chi stenta a
cogliere il bersaglio, di chi si accosta, per eccesso o per difetto,
alla soluzione. La parola incarna sia leccesso che lapprossima122

4. Ai limiti del linguaggio: una passione priva di misura

zione, in entrambi i casi indica lo scacco della misurazione. La


melanconia il corrispettivo emotivo di un movimento oscillatorio: la sindrome che evidenzia il volto anmalos del comportamento umano, cio diverso da s stesso (cap. I, 3). la
bile nera che forma il carattere (lthos: ivi, 955 a 34), afferma
esplicitamente Aristotele. Laspetto interessante dellimmagine, ripresa dalla medicina ippocratica ma che avr diffusione
fino allinizio del XVII secolo (Foucault, 1972, p. 232), che
lincostanza del flusso svolge un ruolo doppio. La tradizione
successiva spesso insister solo sul carattere estremo del melanconico (nel bene o nel male, accentuandone gli aspetti geniali
o patologici). Per un verso, lincostanza la regola: la diversa
consistenza a formare la psiche determinando lappartenenza
categoriale di ciascuno di noi (Probl. XXX, 955 a 32-33); per
un altro una caratteristica della bile nera particolarmente accentuata nei melanconici. Chi affetto da melanconia rappresenta per la specie una vera e propria iperbole (uperboln: ivi,
955 a 39), la sovrabbondanza pulsionale dellorganizzazione
corporea della specie.
Alcune traduzioni italiane dei Problemi non aiutano a far
luce su un aspetto, peraltro fondamentale, della questione
poich risentono della vulgata che si limita a sottolineare la
presunta eccezionalit del melanconico. Angelino e Salvaneschi, ad esempio, intitolano il testo La melanconia delluomo
di genio dando per scontato che peritts significhi semplicemente straordinario. Peccato per che siano proprio loro a
tradurre laggettivo con il termine opposto (litaliano mediocre) in un passo peraltro decisivo da un punto di vista teorico
(ivi, 954 b 21-26):
Come, infatti, si diversi non per lavere un volto ma per avere
un determinato volto [eidos], bello gli uni, brutto gli altri, altri
ancora mediocre [perittn] sono questi i moderati [mesoi] per
natura cos anche coloro che poco partecipano di un siffatto
temperamento [quello melanconico] sono moderati, quelli che
ne partecipano in dose elevata sono diversi dai pi.
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

123

Il significato di peritts rischia di essere sfuggente, e con esso la melanconia, per almeno tre ragioni. Aristotele paragona le
oscillazioni della bile nera, la termodinamica della malinconia,
alleidos (abbiamo sfiorato questo punto gi nel cap. III, 6).
Il termine non significa semplicemente volto (come suggerisce la traduzione) ma indica, almeno nella principale delle sue
accezioni, una coppia metonimica: vuol dire sia aspetto che
bellaspetto, forma ma anche formosit. Leidos per
laspetto quel che peritts per la misura: indica una scala valutativa e, contemporaneamente, uno dei termini della scala (il bello,
il misurato). Pensiamo allespressione quel ragazzo ha un viso
espressivo. In questo caso laggettivo espressivo ha un valore
duplice. Significa che quel viso ha espressioni diverse, sia belle
che brutte, in grado di rendere il viso bello o brutto. Significa anche, per, che quel viso in grado di assumere espressioni molto
diverse tra loro. Gi per questo e aldil della gradevolezza delle
singole espressioni, quel viso ha una sua bellezza.
Il paragone con leidos permette di mettere in chiaro unaltra caratteristica del peritts. Secondo la concezione classica della
bellezza, il bello coincide con larmonia proporzionata delle forme. La bellezza una forma media che supera gli eccessi grazie al
proprio equilibrio. Allo stesso modo, peritts indica contemporaneamente due estremi di una gradazione oppositiva: si riferisce
sia alleccesso che alla mediet. La faccenda resa complessa dal
fatto che uno dei suoi estremi, la moderatezza, per definizione
quel che nel mezzo. Lopposizione indicata dal termine, dunque,
corre sul filo di una peripezia logico-pulsionale. Il termine che si
oppone per struttura logica (e non semplicemente per contrasto,
in un modo che oggi potremmo definire reattivo: dati due termini A e B, se tu scegli A io prendo B) a una estremit non laltra
estremit (di un segmento, ad esempio) ma il punto mediano (se
tra A e B tu scegli A, io non prendo B ma C):
A
peritts

124

B
peritts
4. Ai limiti del linguaggio: una passione priva di misura

Il carattere contemporaneamente estremo e mediano del peritts mostra le qualit, altrettanto paradossali, di un terzo aspetto che
riguarda una questione pi generale, propria della misurazione ma
non della valutazione dellaspetto. Il parallelo tra i due casi, forma
estetica e misura, si interrompe nel momento in cui analizziamo il
carattere potenzialmente autoriflessivo dei due termini. In entrambi i casi abbiamo a che fare con una scala graduata. Mentre, per,
nel primo i due estremi sono costituiti da termini che si riferiscono
allaspetto (bello, brutto), nel secondo gli estremi riguardano la misurazione, cio lattivit stessa del costruire scale graduate. proprio
grazie al carattere non reattivo del peritts che possibile non irrigidire lesperienza tra due semplici estremi (A contro B; letologo
direbbe attacco contro fuga) ma articolare il loro rapporto in una
infinit di gradi intermedi. Si immagini la presenza di due punti
isolati, A e B. Il carattere (anche) mediano del peritts proprio
quel che consente la formazione del segmento che, contemporaneamente, li congiunge e distanzia. Il peritts esprime il carattere
antropologico del paradosso di Zenone non per sposarne la paradossalit ma per indicarne il fondamento logico-pulsionale:
1)

3)

A
B
C
* * * * *
D
E

2)

n)

A
*

*
C

B
*

(peritts)
e cos via fino alla
costruzione del
segmento AB

(peritts) (peritts)

Questa terza dimensione del problema mostra il rilievo antropologico del peritts malinconico poich chiama in causa il
rapporto tra animali umani e misurazione. proprio perch
nascono senza misura che i sapiens possono misurare, cos come proprio perch nasce senza un sistema di comunicazione
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

125

preformato che lumano pu parlare. Il peritts, da tradurre


dunque non tanto con eccezionale quanto con smisurato,
smodato o anche approssimativo, impreciso, quel che
costituisce la condizione di possibilit della misura. Gli altri
animali non hanno bisogno di crearsi unit di misura perch,
tendenzialmente, le hanno: gi hanno i loro meccanismi di
controllo per orientarsi nello spazio, emettere suoni comunicativi o ingerire la giusta quantit di cibo. Gli umani sono esseri
misurativi perch non nascono con unit di misura predefinite:
proprio per questo sono a rischio di eccesso o difetto. Il motto
protagoreo luomo misura di tutte le cose, citato polemicamente pi volte da Aristotele, banalizza un tratto decisivo della
specie dandone unaccezione relativista. Lespressione va intesa
in termini pi radicali: non in modo soggettivo (quale singolo
uomo: ognuno la vede come gli pare) ma comune (lumano in
quanto tale deve dare misure: Cardona, 1985, p. 44). Protagora
scambia la molteplicit dei sistemi di misura (pollici e metri,
once e grammi) con lunit di una potenzialit di fondo, cio di
un invariante biologico, la capacit-bisogno di costruire sistemi
metrici. Come dire che occorre tenere bene a mente un dato di
partenza: siamo animali approssimativi.
Per questa ragione, il peritts il fondamento della scala di
misurazione, delle sue estremit e dei suoi gradi intermedi. La
sregolatezza della bile nera, la sua anomalia, il luogo di origine
della regolarit; la sua mancanza di misura la condizione di
possibilit dellorganizzazione misurativa di una forma di vita
che non nasce con un gran numero di clich metrici (oggi li
chiameremmo istinti) gi pronti. Attenzione, per. Laggettivo
il motore drammatico del testo aristotelico perch la messa a
punto di un sistema di misura non risolve una volta per tutte
il problema della smodatezza. Il peritts ha a che fare con la
melanconia perch allude non solo allestremo e alla mediet
della misurazione, ma anche alla misurazione di quel che misura non pu trovare. La melanconia anomala, cio incostante
e irregolare, perch rivela la continua possibilit dellumano di
essere diverso da quello che , di trasformarsi. Se si vuole,
126

4. Ai limiti del linguaggio: una passione priva di misura

luogo di origine di due figure complementari: lo Zelig di Woody Allen che cambia sempre identit al fine di mimetizzarsi nel
tessuto sociale; Jacques l'Aumne, il protagonista di Suburbio
e fuga di Raymond Queneau, che immagina di fare qualunque
mestiere per assaporare ogni lato della vita umana e costruire
una identit sempre pi individuata (eccezionale nel senso di
individuato, eccentrico, ricercato).
Lo stato danimo che meglio incarna il peritts, la melanconia, non pu dunque che ripercorrerne le alterne vicende.
uno stato emotivo che rischia un continuo sfasamento rispetto
a s stesso producendo una vertigine prossima a quella prodotta dalla contraddizione. Sono paralizzato e maniacale, ebbro e
lucido, loquace e muto: emerge una specie di dialettica delle
qualit che [] cammina attraverso rovesciamenti e contraddizioni (Foucault, 1972, p. 233). Nel caso in cui le oscillazioni
giungono al culmine, questi stadi giungono a una indeterminatezza del comportamento prossima a quella prodotta dalla
sospensione di ci che il libro Gamma della Metafisica chiama
principio di contraddizione.
Da questo punto di vista la storia, labirintica e polimorfa, del
concetto di melanconia indica due crocevia antropologici in grado di suggerire perch la melanconia sia un candidato in grado
di riempire quel vuoto, logico ed emotivo, segnalato nella Conferenza sulletica di Wittgenstein. La melanconia il correlato pulsionale della contraddizione perch questultima ne descrive sia
la struttura che la causa scatenante. Per un verso, si tratta di uno
stato d'animo contraddittorio per sintomo e forma. Dal medioevo fino all'Ottocento, melanconia sar sinonimo di licantropia e
cannibalismo, vampirismo e di ogni stato al confine tra l'umano e l'animale (lo stesso Aristotele l'accosta alla "malattia sacra",
cio all'epilessia: Probl. XXX, 953 a 10; 953 b 6). L'instabilit dei
sapiens trova le forme pi diverse in figure di confine che segnalano la precariet di una identit sempre pronta a mescolanze improprie, a ritorni di fiamma di un disordine del quale la bile nera
il simbolo psichico. Per un altro verso, la melanconia lo stato
d'animo suscitato dalla contraddizione. un pastore anglicano che
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

127

all'inizio del Seicento riesce a mettere a fuoco con particolare


chiarezza questo aspetto, sotterraneo ma onnipresente, del tono
emotivo dominato dalla bile nera. In Anatomia della melanconia,
Robert Burton (1577-1640) estremizza un'idea gi espressa da
Ippocrate e dalla sua scuola: il saggio si trova in una condizione
simile a quella del melanconico perch prende atto dei contrasti
e delle contraddizioni che attraversano il mondo. Ne ride amaramente, prendendone distanza. L'attenzione di Burton si concentra su Democrito, il filosofo incontrato da Ippocrate in uno dei
suoi viaggi e definito dal medico greco simile a chi colpito dalla
bile nera (cit. in Starobinsky, 1994, p. 24):
Senza dubbio capita sovente che coloro che sono tormentati
dalla bile nera facciano altrettanto: essi sono talvolta taciturni, solitari e ricercano i luoghi deserti; sfuggono la compagnia degli uomini [...].

La variabilit pulsionale non costituisce solo il fondamento


biologico della melanconia, come sembra suggerire Aristotele,
ma anche il suo oggetto di riflessione, il motivo concreto e contingente della sua esplosione. La variabilit comportamentale
umana la causa scatenante della melanconia non solo perch ne rappresenta il motore pulsionale ma anche perch ne
costituisce l'innesco. Il mondo "pieno di ridicole contraddizioni" (Burton, 1621, p. 88) perch gli uomini, grazie alla loro variabilit, sono simili a camaleonti (si pensi a Zelig o
a Jacques l'Aumne): ognuno di noi pu recitare "venti parti
e personaggi contemporaneamente per il proprio vantaggio",
pu essere "buono con i buoni, cattivo con i cattivi, poich
ha innumerevoli facce, aspetti, carattere, uno per ogni persona
che incontra" (ivi, p. 105). Allo stesso tempo, l'eccessiva mutevolezza di opinione e comportamento pu tramutarsi anche
nel suo opposto, nell'ottusit di chi non vuole cambiare idea.
Sulla variabilit dell'animo umano l'esercizio retorico ha una
presa priva di garanzie (nei Problemi XXX lals, ciarliero, si
oppone esplicitamente a retoriks: Probl, 953 b 1-2): non solo la
128

4. Ai limiti del linguaggio: una passione priva di misura

parola dell'altro pu portarlo all'errore, ma pu non riuscire a


convincerlo della verit. Poich non esiste un tribunale ultimo,
nessuno pu essere inchiodato dall'evidenza dei fatti (Burton,
1621, p. 113). Burton non punta il dito solo sulle ingiustizie
delle societ umane ma anche sulle difficolt a debellarle.
Il titolo dell'opera allude esplicitamente a un processo di
scomposizione: anche se si procede a un'anatomia dei fatti e
li si suddivide in porzioni pi piccole non possibile arrivare
a elementi primi, ad atomi indiscutibili di pura evidenza. Democrito, con il suo sorriso amaro, ride del suo stesso atomismo
poich trovare fatti elementari (gli stessi auspicati dall'autore
del Tractatus) non cos facile.2 Protagora ha torto quando pensa che tutti debbano essere come lui, il peritts malinconico d
ragione a Protagora (luomo misura di tutte le cose: questo
vale per tutti gli umani ed ecco uno dei suoi invarianti biologici) e cos facendo ne elimina il relativismo: lo supera spiegandone il senso antropologico comune.

3 Il sublime e lo smisurato: oltre la meraviglia

Ma allora non si potrebbe dire che


tra proposizioni della logica e proposizioni empiriche
non c nessun limite preciso?
Limprecisione appunto quella del limite
tra regola e proposizione empirica.
Wittgenstein, Della certezza, 319 (Corsivo nel testo)

La melanconia non solo motore del problema, linstabilit


pulsionale di una specie, ma pu anche indicare una via d'uscita: qui che uno dei protagonisti della Conferenza sulletica,
2 questo uno dei punti di connessione tra melanconia e ironia: Russo Cardona, 2009.

Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

129

limmaginazione, fa il suo ritorno. Come abbiamo visto, l'indagine aristotelica si apre con l'interrogativo: Perch tutti gli uomini privi di misura [peritti], nell'attivit filosofica e politica,
artistica o letteraria, hanno un temperamento melanconico
[...]? (Probl. XXX, 953 a 10-13). L'eccesso che caratterizza chi
posseduto dalla bile nera pu avere due esiti. Il primo vanifica
l'azione: la paralizza nella solitudine di chi ride amaramente
della vita; la disperde nelle oscillazioni continue di chi cambia
sempre idea. Il secondo caratterizza la smodatezza del melanconico facendo emergere possibilit di riscatto. A tal proposito
utile citare un passo dei Parva naturalia, nel quale Aristotele
alle prese con il problema della divinazione del sonno (Parva
Natur., 466a33-b5. La traduzione mia).
I melanconici, grazie alla loro immaginazione, sono capaci di
cogliere nel segno [eustochoi] a distanza come se tirassero da
lontano. A causa della mutevole velocit delle loro sensazioni
riescono a immaginare quel che viene dopo [to ech-menon];
cos come i poemi di Filenide, anche chi colto da mania
[emmaneis] dice e pensa cose che si susseguono per somiglianza [echmena tou omoiou], come lAfrodite-frodite, e in
questo modo le loro immagini si connettono tra loro susseguendosi l'una all'altra.

Il passo conferma il carattere ambivalente della melanconia. Per un verso i melanconici hanno la capacit di cogliere
nel segno grazie alla loro febbrile immaginazione. Per un altro
sono emmaneis, soggetti maniacali che grazie alla loro velocit
rappresentativa sono capaci di collegamenti semantici arditi. I
melanconici sono violenti nel rappresentare, i maniacali veloci e mutevoli; i primi agiscono a distanza (tirano da lontano),
i secondi avvicinano tutto grazie alla loro celerit immaginativa. Aristotele mostra la duplicit di uno stato d'animo che
comprende in s sia labbattimento della disperazione che la
voracit della mania. Nel primo caso, essa segna una cesura
e una distanza che solo la forza, sempre a rischio di delirio,
130

4. Ai limiti del linguaggio: una passione priva di misura

dellimmaginazione pu colmare. Nel secondo, organizza


un continuo passaggio per successioni. La melanconia legata alla capacit immaginativa, a quel che Emilio Garroni
(2005) chiama facolt dell'immagine. Aristotele ribadisce
che la bile nera porta a essere eustochos. Il termine, complesso
(per un'analisi: Piazza, 2004), allude alla capacit di cogliere
il segno, di capire in poco tempo cosa giusto fare. capacit vicina all'avvedutezza pratica (la phronesis) ma anche
alla phantasia, alla facolt immaginativa del senso comune.
Proprio perch il melanconico "passa la misura" in grado di
trovare la mediet tra gli elementi contrapposti: l'azione bloccata dal timore dell'errore e la frenesia di chi, cercando di fare
tutto, non conclude nulla. L'eccesso, il cruccio del melanconico, trova in una capacit melanconica, l'immaginazione,
una via di possibile risoluzione: lindeterminatezza semantica
propria della contraddizione messa al lavoro per costruire
nuove forme di organizzazione di un mondo tanto instabile,
una vita eccezionale perch soluzione individuale al problema della specie. Nellaccidia, sia nella versione canonica che
nelle accezioni pi arcaiche, limmaginazione individuata
come un pericolo: Locchio dellaccidioso continuamente
fisso alle finestre commenta Evagrio Pontico (Otto mali, p.
57) e nella sua mente fantastica [phantzetai] sui visitatori.
La fantasia vista come il trasporto malvagio di chi cede alla
tentazione e disprezza il creato che va curato per mezzo del
lavoro non tanto perch manuale, quanto perch in grado di
fissare una misura (metron) (ivi, pp. 57-58). Wittgenstein
non sembra fare diversamente: per un verso la sua opera un
continuo lavorio immaginativo, per un altro verso nei confronti di questa facolt sono frequenti le parole di dubbio e
sospetto (Mazzeo, 2010).
Se invece torniamo ad Aristotele, troviamo che per limmaginazione pu dischiudersi uno spazio meno costipato e unilaterale. In un passo dellEtica Nicomachea (VI, 1141b 3-6),
il termine peritts impiegato in unaccezione che fornisce un
indizio tenue ma interessante:
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

131

Perci Anassagora e Talete, e gli uomini come loro, vengono


chiamati sapienti ma non saggi, quando si vede che ignorano
ci che vantaggioso per loro, e si dice che essi conoscono
realt straordinarie [peritt] e meravigliose [thaumasth], difficili [chalep] e demoniache [daimonia] [].

Il peritts sembra costituire il volto complementare della


meraviglia, cos come il difficile il volto altro del demoniaco:
sullo stesso piano logico ma gode di caratteristiche diverse, per
certi versi opposte. Potremmo provare a tradurre con qualcosa
che fa riferimento a quel che smisurato, un sentimento simile a quel che Kant nella Critica della facolt di giudizio definisce
sublime matematico. Ma si tratta di parentela, non di identit.
Nel primo caso abbiamo a che fare con una tensione immaginativa destinata al fallimento poich ha a che fare con qualcosa non solo grande, ma grande senzaltro, assolutamente sotto
ogni rispetto (oltre ogni comparazione) (Kant, 1790-99, p.
86). Questa definizione esibisce unimpressionante somiglianza con quelle wittgensteiniane circa le proposizioni delletica
(Virno, 1994). Lobiettivo cui punta Kant sottolineare che
il sublime non riguarda le cose della natura in quanto tali ma
rivela, in modo tanto indiretto quanto potente, una facolt
dellanimo che supera ogni misura dei sensi (ibidem). Per questa ragione il sublime produce contemporaneamente dispiacere
e piacere: il primo scaturisce dalla frustrazione dellimmaginazione che non riesce nella valutazione di una simile grandezza;
la seconda nasce dallaccordo di questo giudizio di inadeguatezza della sensibilit nei confronti delle idee e comporta il sentimento di una destinazione soprasensibile (ivi, p. 94). Nel
caso del peritts non c alcun rimando al soprasensibile ma la
messa in evidenza di uno scarto, uno iato, una mancanza di
allineamento che richiama a un cambiamento radicale allinterno del sensibile. proprio lo scarto a richiamare uno sforzo
immaginativo non destinato necessariamente al fallimento, come invece nel caso del sublime. Il peritts richiama quel che
smisurato, non in riferimento a ci che assolutamente grande
132

4. Ai limiti del linguaggio: una passione priva di misura

(il caso che hanno in mente Kant e Wittgenstein) ma a tutto


ci che sfugge alla misura: che non ha un preciso metro di paragone perch imprevisto e nuovo. I due casi possono coincidere (anche lassolutamente grande sfugge alla misura), ma non
necessariamente. Linverso infatti non valido: esiste un non
misurato non coincidente con la grandezza assoluta, un senza
misura che non contiene alcuna finalit o destinazione.
Il meraviglioso lascia attoniti e in atteggiamento contemplativo; lo smisurato trasmette un lascito di crisi e incompletezza
che chiama allazione e al completamento. Il primo finisce col
mettere sotto scacco limmaginazione, il secondo la chiama a
nuove forme di produzione, pi o meno riuscite. Il meraviglioso mette in evidenza la necessit di un distacco da quel che
ho intorno; lo smisurato chiama al superamento della cesura
mediante unimmaginazione pratica, indirizzata allazione. Da
questo punto di vista, meraviglia e sublime sono maggiormente
intrecciati con la grammatica della sorpresa, come Wittgenstein
non manca di notare: mi sorprendo per qualcosa che esula dalle
mie aspettative. Lo smisurato ha pi a che fare con la grammatica della delusione e della speranza: mi aspetto qualcosa e
quel che noto la non coincidenza tra quel che esiste e quel
che mi aspettavo. La sorpresa insiste su quel che c: quel che
c ma non mi attendevo. Il peritts insiste sulla mancanza di
corrispondenza, su quel che non c e non coincide. Per questo
Aristotele si interroga in un paragrafo dei Problemi XXX apparentemente lontano dai temi melanconici perch luomo
lessere che pi di tutti pensa una cosa e ne fa unaltra? (Probl.
XXX, 956b 33) e poco dopo prosegue (ivi, 956b 37-38):
Perch certe persone, pur intelligenti, passano il tempo a conquistarsi delle cose senza poi servirsene? per unabitudine?
Oppure per il piacere insito nella speranza [elpidi]?

Lo iato tra dire e fare, tra fare e fare, tra pensare e accadere
esemplifica le varie fratture su cui limmaginazione melanconica
lavora e produce.
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

133

4 Incommensurabilit e rivoluzione: contraddizione e melanconia

La contraddizione si potrebbe concepire come


lammonimento degli Dei che devo agire
e non riflettere.
Wittgenstein, OFM, III, 56, p. 171

Per spiegare il rapporto tra linguaggio e mondo, il Tractatus si


avvale di unimmagine geometrica: la proposizione come un
metro apposto alla realt (T, 2.1512). La tautologia, sottolinea
Franco Lo Piparo (2002, p. 102), strettamente imparentata con
la nozione di misura-campione: il modo pi secco per rispondere
alla domanda com il rosso drago? mostrarne un esempio
visibile. quel che, di fatto, accade in ogni negozio di colori o
stoffe. La Conferenza sulletica privilegia questo tipo di esempi:
nellesclamazione quanto azzurro questo azzurro! ritroviamo
il cortocircuito tra campione ed espressione corrispondente: con
meraviglia constatiamo un fatto altrimenti normale, quanto il
campione calzi con il suo modello. Luguaglianza tra lespressione
rosso drago e il colore equivalente assomiglia a unespressione tautologica, A=A. In entrambi i casi emerge la struttura del
mondo, la sua armatura (T, 4.023). La contraddizione porta
in scena uno stato danimo, la malinconia, che non si concentra
sulla stretta connessione tra i due termini, la macchia e il suo nome, quanto sul margine di gioco che sussiste tra loro. Riprendiamo il paragone wittgensteiniano tra linguaggio e geometria. La
tautologia, con la sua rassicurante meraviglia, si concentra sulla
coincidenza tra il metro e la realt, la parola e il mondo. Vuoi
sapere quanto grande questa stanza? Nessun problema, prendo
il metro e comincio a misurarne i lati per poi calcolare larea.
La contraddizione matrice della malinconia perch si annida negli interstizi delle pratiche misurative, nelle sue incertezze, nelle sue necessarie approssimazioni. Prendo le misure
della mia stanza e, allimprovviso, sono preda di una esitazione.
134

4. Ai limiti del linguaggio: una passione priva di misura

Quanto devo approssimare per avere una misura che sia precisa?
Al centimetro? Al millimetro? Meno? La fettuccia pu mettermi in profondo imbarazzo: prendo la misura e vedo che la fine
della stanza non coincide con una delle tacche del mio metro.
l, a met, tra un millimetro e un altro. ovvio: di solito, questo residuo qualcosa di innocuo, ad esso semplicemente non
facciamo caso. Ma peculiare dello stato melanconico mettere
in evidenza la potenziale profondit dello scarto: quella tacca
indica e non indica la misura giusta, per uscire dalla trappola
costituita dal limite indecidibile tra due misure devo inventare qualcosa. Casi del genere sono particolarmente significativi.
Come frasi allapparenza semplici del tipo quanto azzurro
questo azzurro! tradiscono la struttura interna delle proposizioni etiche e religiose, cos le approssimazioni misurative quotidiane ricordano leterno agguato di situazioni nelle quali la
regola non mi dice pi nulla (Waismann, 1967, p. 114). La
contraddizione non si configura solo come semplice blocco per
lazione o per il ragionamento ma come spinta a prendere una
decisione, cio introdurre unulteriore regola (ibidem. Il corsivo
nel testo). A e non A deve il suo carattere inquietante anche
al fatto che una proposizione che spinge allinnovazione e
al cambiamento: se la tautologia mostra la struttura del gioco
attraverso un processo di congelamento, la contraddizione lo
mette non solo in discussione ma di nuovo in moto.
La storia della riflessione geometrica piena di discussioni teoriche allapparenza banali ma che, al contrario, costituiscono la
traduzione teorica di questurto non tanto contro il limite quanto contro la sua imprecisione. Aristotele, il padre del principio di
non contraddizione, sembra quasi ossessionato da un caso che
tormenta la geometria euclidea: perch il lato e la diagonale di
un quadrato, figura allapparenza cos ordinata e regolare (quasi
tautologica, verrebbe da dire: per i pitagorici il quadrato simbolo del buono: Met. I, 986 a 26), produce limpossibilit di
calcolare questo rapporto attraverso un numero intero? Come
afferma esplicitamente Aristotele, lincommensurabile produce
meraviglia (Met, I, 983 a 14), ma si tratta di uno stato danimo
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

135

diverso da quello cui si riferisce Wittgenstein, perch vicino allo


sconcerto di chi si disillude e alla perplessit scettica. lo stupore
inquieto prodotto non dallaccettazione che ogni cosa ci che
e non unaltra cosa, per usare lespressione di Butler tanto cara
a Wittgenstein (Q, 15.10.1916, p. 231; LE, p. 93), quanto da
qualcosa che non torna, dallo scollamento tra i nostri strumenti di misurazione e larticolazione del mondo. Limpossibilit di
trovare ununit di misura: questo il cardine dello stato emotivo
della melanconia e il punto di emergenza della contraddizione (si
pensi alla risposta: ma insomma ti piace? S e no).
Negli anni della Conferenza sulletica (la data precisa non
nota, si aggira tra il 1929 e il 1930), Wittgenstein si concentra
su un problema per certi versi simile a quello dellincommensurabilit della diagonale, discusso non a caso anche da Protagora
e Aristotele (Met. III, 998 a 1-3). Nelle sue discussioni con
alcuni membri del Circolo di Vienna, Wittgenstein prende in
esame un caso classico della geometria, rispolverato in quegli
anni da J. Hjelmslev, studioso di geometria e padre del pi noto
linguista Louis. La questione riguarda la tangente al cerchio.
Come noto, tangente e cerchio posso incontrarsi sovrapponendosi in un sol punto. Nessuna rappresentazione grafica, per, in grado di rendere giustizia a questa verit teorica:

Il punto di tangenza tra le due figure si estende inevitabilmente conquistando una zona pi ampia, quasi si trattasse di
un segmento. Al di l delle profonde differenze di impostazione (Mazzeo, 1999; 2001a), sia Wittgenstein che Hjelmslev
prendono questo caso come una sorta di esorcismo, in grado di
combattere un timore molto diffuso sia tra i matematici che i
filosofi, la contraddizione. Casi del genere testimoniano il fatto
che esistono situazioni problematiche (Hjelmslev) o di conflit136

4. Ai limiti del linguaggio: una passione priva di misura

to grammaticale (Wittgenstein) nelle quali pu darsi una terza


via (entrambi gli autori utilizzano unespressione simile a questa: Hjelmslev, 1923, p. 189; Waismann, 1967, p. 94); non
riducibile al s o no, alla struttura binaria del terzo escluso o
del principio di non contraddizione (Hjelmslev, 1923, p. 190).
proprio nel proporre questa terza via tra il formalismo di
chi considera del tutto insignificante lorganizzazione concreta
del linguaggio, dei numeri o di una figura geometrica e chi, invece, cerca di spiegare qualunque forma segnica sempre con un valore referenziale (come segni di qualcosa: Waismann, 1967, p.
94. Il corsivo nel testo) che Wittgenstein introduce ( una delle
prime volte, forse addirittura la prima) la nozione di gioco.
nello scarto, nel gioco per lappunto (si pensi allaccezione
meccanica della parola: la chiave che nella toppa fa gioco), tra
due forme che si incastrano tra loro ma non perfettamente che
nascono non solo le angosce dellapprossimazione, ma anche la
possibilit di sviluppare nuove pratiche linguistiche. un tema,
quello del cambiamento linguistico e sociale, che Wittgenstein
sfiora, lambendolo in modo solo tangenziale. Probabilmente, si
tratta di uno dei maggiori punti ciechi della sua impostazione
filosofica: non volendo concedere spazio a tutte le chiacchiere
sulletica (Waismann, 1967, p. 55), preferisce fermarsi al caso
tautologico che constata che, e non come, il mondo . Come abbiamo visto, nella Conferenza sulletica Wittgenstein si concentra
solo sulla tautologia, su ci che blocca limmaginazione impedendole di andare avanti. Produrre lanalogo della meraviglia e
concentrarsi su contraddizione e melanconia non significa solo
completare lanalisi wittgensteiniana (cosa, di per s, poco rilevante), ma provare ad aprirla a una riflessione che si concentri
sulle possibilit e le modalit dinnovazione delle forme nelle
quali si organizza la via umana. La melanconia rischiosa perch
pu cadere vittima della forza immaginativa che la anima. Allo
stesso tempo, poich si concentra sullo scarto tra giochi linguistici diversi e differenti forme dellesperienza (ad esempio, lo spazio grafico-visivo non conforme a quello geometrico) lavora su
un fattore di indeterminatezza (ivi, p. 43) che non semplice
Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

137

attrito, ma loccasione per un cambiamento del proprio punto


di vista. La tautologia si ferma alla constatazione del mondo
come tutto limitato (ivi, p. 55); la melanconia, correlato emotivo di contraddizione e immaginazione, ne costituisce il risvolto
problematico perch si chiede dove cada questo limite, se si dia
sempre una sovrapposizione tra limite del linguaggio e limite del
mondo (Mazzeo, 2005). La tautologia animata da una meraviglia che un vero e proprio sentimento mistico (Waismann,
1967, p. 55): per questo lascia tutto com. La contraddizione
melanconica animata e chiamata a confrontarsi con una spinta
per Wittgenstein pi sospetta, un bisogno di metafisica (caro
al suo amico/nemico Schopenhauer: Mazzeo, 2001b) potenzialmente produttivo e paradossalmente pi materialista perch alla
ricerca non solo di una descrizione del mondo ma anche del suo
cambiamento. Non fermarsi alla meraviglia ma avventurarsi nei
rischi dellimmaginazione malinconica significa questo: sapere
che ogni cosa ci che , ma non arrendersi allidea che non
possa esser trasformata in unaltra cosa.

138

4. Ai limiti del linguaggio: una passione priva di misura

Il corpo di Aiace:
iconografia di una introversione

Buono obbedire alla notte.


Omero, Iliade, VIII, v. 282

Al valore di Aiace, figlio di Telamone re di Salamina, lIliade


dedica un intero libro, lottavo, nel quale si descrive lo scontro
vigoroso, seppur senza vinti n vincitori, con Ettore. Estratto a
sorte, Aiace dimostra di essere in grado di ferire e mettere in seria
difficolt il pi forte dei combattenti troiani. Il calar della notte
e il sopraggiungere di araldi che chiedono di cessare le ostilit
interrompono una sfida che lo vede in netto vantaggio. Ettore lo
riconosce: con lasta sei il primo degli Achei (Il., VII, v. 289). I
troiani, vedendo il loro condottiero ritornare sano e salvo, esultano perch Ettore scampato alla furia [menos] dAiace, alle sue
mani imbattibili [aaptous] (ivi, VII, v. 309). I termini con i quali descritto Aiace sono interessanti poich provengono da un
occhio esterno e per questo pi credibile. NellIliade Aiace incarnazione del menos, termine che abbiamo gi incontrato (cap.
II, 6), prossimo al greco mania e al latino mens: forza dello
spirito che anima il corpo, ci che rende vivaci pensieri e parole
(Chantraine, 1968-80, pp. 659-660). Seppur marginale nel lessico greco, laggettivo aaptos altrettanto interessante: letimologia
incerta (ivi, p. 3) ma sembra plausibile laccostamento con un
termine dalla struttura simile (aepts) che significa indicibile
(ivi, p. 1263). Le mani di Aiace sono cos veloci e abili che la loro
azione intangibile (ptomai corrisponde allitaliano toccare, la
prima delle alpha iniziali indica una privazione): toccano senza
venir toccate. Nel contempo appaiono anche inenarrabili: tanto
rapide da non poter essere descritte dalle parole.

Nella tragedia di Sofocle, lAiace dellIliade subisce una profonda torsione rispetto alla descrizione omerica. Tutto quel che
soffia a favore e gonfia le vele, comincia a remare contro. Se nella battaglia leroe si era fermato per il calare della notte e offrire
sacrifici agli di, ora il delirio ispiratogli da Atena lo porta a
compiere un macello notturno e sfrenato. NellIliade, il tramonto del sole consente la sepoltura dei caduti in battaglia; ora il
finale della tragedia si consuma proprio sullattrito vissuto dalla
moglie quando vuole seppellire il corpo di Aiace suicida per la
vergogna. Il contrappunto orchestrato da Sofocle organizza una
punizione spietata e completa: Aiace punito per aver mancato di rispetto agli di, per questo viene posseduto da Atena e
costretto al misfatto. Uccide gli animali del proprio accampamento, convinto si tratti dei propri compagni divenuti, ai suoi
occhi, improvvisamente nemici. Riavutosi dallaccesso di furia,
Aiace finisce col suicidarsi per il disonore. Leggendo il testo,
non sorprende che nel capitolo XXX dei Problemi Aristotele abbia inserito il nome del guerriero greco tra le personalit melanconiche per definizione, tra chi per antonomasia sopraffatto
dalla bile nera. Per mostrarlo ci si pu appellare innanzitutto a
dettagli significativi: la tragedia si conclude descrivendo il sangue del suicida un melan menos, un menos nero (ivi, vv. 141213), una forza maniacale tinta di scuro come la bile che provoca
la melanconia. Aiace sconvolge gli astanti perch con il proprio
accesso dira allucinata improvvisamente si trasforma, modifica
il proprio carattere mostrando quella flessibilit umorale tipica, per Aristotele, del melanconico. Aiace allimprovviso un
altro afferma il coro (ivi, vv. 715-716) che poi rincara la dose:
cambiato, altri pensieri al carro dun carattere nuovo (ivi,
vv. 735-6). Anche secondo Atena, dea nemica, Aiace il migliore per capacit di scelta del momento opportuno, del kairs
(ivi, v. 120). Grazie a lei, come avrebbe diagnosticato Ippocrate
con soddisfazione (cap. III, 2), il figlio di Telamone ha perso
questa appropriatezza dellazione. Ma siamo ancora ai dettagli
e alle sfumature. Tre sono i punti dincastro lessicali che fanno
di Aiace una figura melanconica per Aristotele e per una parte
140

Il corpo di Aiace: iconografia di una introversione

consistente delliconografia successiva. La prima lampante: si


tratta di una figura esplicitamente maniacale. la mania a cogliere il figlio di Telamone mentre trucida animali innocenti
(ivi, v. 59), Atena lo chiama espressamente in questo modo:
un mementandra un essere umano maschile colto dal furoreggiare (ivi, v. 81), cosa riconosciuta anche da Tecmessa (la moglie: ivi, v. 216), dal messaggero (ivi, v. 726) e dal coro (ivi, v.
611, 958). La tragedia, inoltre, pervasa da aggettivi composti
che hanno come prefisso il dus che caratterizza il dusthums di
cui parla Aristotele a proposito dei melanconici (cap. III, 2).
La frattura e le difficolt indicate dal prefisso si ripercuotono su
ogni sfumatura della personalit del protagonista: il nome (dusnumos: dal nome difficile, v. 914), la socievolezza (dustrpelos,
difficile da trattare, v. 914), il rapporto con gli di (dussebs,
empio, v. 1293), il volto visibile di quel che compie (dusthatos,
difficile, orribile a vedersi, v. 1004), lesito dei suoi atti (dustucheo, avere cattiva fortuna, non riuscire, v. 692), la sorte che gli
spetta (dstenos, sventurato, vv. 109, 122, 849, 1290; dsmoros,
dalla sorte infelice, vv. 630, 784, 894, 905, 1203), le possibilit
di riscatto futuro (dustherpeutos, difficile a curarsi, v. 609), le
emozioni (dsphoros, grave, vv. 51, 643; dusmens, adirato, vv.
122, 987). Una linea di frattura percorre tutta la tragedia di
Sofocle e tramite questa crepa si effettua quel ribaltamento trasformativo che mette Aiace alle corde. A tal proposito, altri due
termini sono particolarmente significativi, sempre allinsegna
del prefisso dus- e delle sue linee di frattura: il primo dusmenos
(vv. 18, 564, 662) il cui significato politicamente rilevante,
poich di solito traducibile con litaliano nemico. La crepa
lungo la quale si frattura lesistenza di Aiace il melanconico fa
s che continui a trovarsi tra nemici secondo un rovesciamento
tanto profondo da far perdere lorientamento. Le sciagure che
incombono su di lui possono essere lette secondo modalit differenti. Per un verso, Atena si scatena contro leroe greco perch
ha mancato di rispetto agli di lamentandosi di non aver ricevuto le armi del defunto Achille. Per un altro, la tragedia lascia
margine a una interpretazione differente: possibile che la sorMelanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

141

te di Aiace sia stata determinata viceversa proprio da quel che


avuto. Nellepisodio descritto nel settimo capitolo dellIliade,
Aiace ed Ettore si salutano scambiandosi doni. Il primo regala una fascia color porpora, il secondo una spada con borchie
dargento (Il., VII, vv. 303-305). Sono le armi di Ettore, non
quelle di Achille, a scatenare linferno dellinvidia suscitata da
Aiace. Secondo questa linea di lettura, che serpeggia tra i versi
di Sofocle senza mai affermarsi, il rovesciamento maniacale riguarda proprio la coppia amico/nemico. Certo, quando perde
la testa Aiace tenta di uccidere i propri compagni come fossero
nemici. Ma per un altro verso, quelli sono per lui davvero nemici poich gli invidiano un dono datogli da colui che, lui s
davvero, dovrebbe essere e rimanere suo avversario, il troiano
Ettore. La constatazione di Sofocle sulla natura degli umani
amara, ma non per questo priva di lucidit (Aiace, vv. 758-759.
La traduzione mia):
Squilibrati [periss], corpi che non comprendono, precipitano sotto i duri insuccessi [duspraxais] venuti dagli di.

A fianco della frattura che segna la prassi, non sorprende che


compaia un altro dei quattro aggettivi protagonisti del Problema
XXX di Aristotele. Oltre a confermare che il termine peritts non
ha come accezione principale quella di eccellenza (come vorrebbe il ritornello del melanconico matto ma geniale: cap. IV), la
citazione sottolinea la presenza esplicita nella figura di Aiace del
tema melanconico dello squilibrio. Azione, frattura e mancanza
di equilibrio rappresentano le chiavi per comprendere la metamorfosi di Aiace nel passaggio dallepica alla tragedia.
La torsione subta da Aiace sar al centro dello sviluppo
iconografico di una figura che avr una certa fortuna rappresentativa nellarte occidentale, sia antica che successiva. Il tema del suicidio costituir la testa di ponte per far entrare in
uniconografia prima concentrata sullazione maniacale i temi
dellabbattimento e della depressione. Procediamo con ordine. Seppur in chiave suicidaria, nellAiace di Sofocle perma142

Il corpo di Aiace: iconografia di una introversione

ne quel che successivamente sar rimosso e occultato. Il volto


maniacale e attivo del suo comportamento ancora evidente:
il trionfo, il salto e la danza, temi che abbiamo visto essere
spesso considerati tipicamente maniacali (cap. III), compaiono
tutti nella tragedia: con balzi quasi animali che Aiace compie
la strage (Aiace, v. 300 e sgg.); linvito alla danza offerto dal
coro quando sembra che il guerriero greco abbia rinunciato ai
propositi di morte (ivi, v. 693 e sgg.). Il tema del trionfo, sottolineato da tutta la tradizione psicoanalitica, appare in relazione
al problema dellincontinenza e del controllo delle emozioni
che Aristotele riprender nellEtica Nicomachea: I melanconici
sono incontinenti [akrateis] per precipitazione (Eth. Nic., VII,
1150b 26). Sofocle mette in relazione due termini, in italiano
distanti da un punto di vista lessicale (trionfo e incontinenza),
ma in greco parenti molto prossimi (Aiace, vv. 762-765, Traduzione modificata):
Affior subito la sua demenza, proprio quando si precipitava alla
guerra e il padre gli dava buone parole. Gli ripeteva: Ragazzo,
ama il trionfo [kratein] ma amalo sempre allombra di un dio!.

Il verbo greco kratein assume una connotazione doppia e


riflessiva: dominare vuol dire anche dominarsi, trionfare sugli
altri ma anche su s stessi. Per questo quando Aristotele sottolinea che il melanconico colui che manca di kratos insiste in
modo netto sul suo volto maniacale: sentimento del trionfo
e mancanza di controllo sulle proprie emozioni costituiscono,
spesso e facilmente, facce della stessa medaglia.
La storia delliconografia di Aiace Telamonio complessa,
sarebbe velleitario pensare di poterla controllare tanto pi in
unappendice (per un ampio elenco descrittivo dei reperti oggi
a disposizione: Camiz, Ferrazza, 2006). Allo stesso tempo resto
convinto che si tratti di un buon esempio delle sorti della melanconia in due millenni e mezzo di storia, soprattutto se si circoscrive lindagine, comunque priva di pretese di completezza, al
tema del suicidio. Anche solo allinterno di questa nicchia iconoMelanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

143

grafica possibile riscontrare una sorta di involuzione sistematica


che si basa su un movimento di fondo. Da personaggio attivo
Aiace tende a una trasformazione, non lineare ma certamente
progressiva, verso una figura bloccata e puramente contemplativa. Se si scorrono le varianti iconografiche di questa scena legata
alla tragedia di Sofocle, possibile individuare un movimento
piuttosto preciso, non solo iconografico ma propriamente teorico (le denominazioni e i dati sono tratti da LIMC, I, 1, pp. 327332; le illustrazioni da LIMC, I, 2, pp. 244-250) circa lo stato
danimo che egli incarna, la melanconia:
Aiace a terra

VII/VI a.c.

(fig. 1)

Aiace si sporge sulla spada

VII/IV a.c.

(fig. 2)

VI/V a.c.

(fig. 3)

V a.c.

(fig. 4)

V/IV a.c.

(fig. 5)

IV a.c.

(fig. 6)

III/ I a.c.

(fig. 7)

Aiace davanti la spada


Aiace acrobatico
Aiace si lancia sulla spada
Aiace inginocchiato si getta
Aiace prostrato

Basta avere la pazienza di sfogliare qualcuna delle immagini


secondo lordine cronologico per avere limpressione netta di un
film a rallentatore come quando, per gioco, si tracciano le scene
di un disegno sui bordi delle pagine del quaderno per poi farle
scorrere velocemente. La denominazione tradizionale di una delle versioni pi antiche della rappresentazione del suicidio, Aiace
a terra, non deve infatti trarre in inganno: non si tratta (fig. 1)
della raffigurazione di un cadavere ormai morto. un Aiace infilzato, colto nel momento nel quale la vita lo sta per abbandonare:
al culmine dellazione. Nel passaggio dalliconografia del VII
secolo a.C. a quella del V la scena sembra retrocedere di un paio
di fotogrammi (figg. 2, 3).
Il corpo dAiace intraprende un processo di retrocessione,
di introiezione dellatto che col passar del tempo diverr tanto
estremo da trasformarlo da figura maniacale, presa dallazione,
144

Il corpo di Aiace: iconografia di una introversione

Fig. 1 Aiace a terra: riproduzione di un disegno presente sulla benda di uno


scudo del primo quarto del VI sec.; ara in terracotta del 530 a.c. circa,
Copenaghen, Ny Carlsberg Glypsothek.

Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

145

in personaggio contemplativo, immobile nel suo mondo interiore. Prima Aiace diviene colui che si sporge sulla spada, poi
colto nel momento in cui la posiziona a terra. Se si eccettua
liconografia di tipo acrobatico, in voga soprattutto nel V secolo, Aiace non pi colui che agisce, ma colui che prepara
unazione ancora tutta da compiere. Per comprendere perch
sia possibile affermare che liconografia acrobatica costituisca
uneccezione, basta dare uno sguardo alle sorti successive che
avr il figlio di Telamone (figg. 5-7): il lancio sulla spada non
un vero e proprio lancio, la figura rannicchiata e contratta,
colta prima dellazione e del suo svolgimento. Le due varianti
successive, legate allinginocchiamento e alla prostrazione, ne
costituiscono la conseguenza logica, lestremo risultato di un
nastro che si riavvolge. Da Aiace infilzato si arriva a un Aiace
seduto che medita sul da farsi. Questa forma iconografica
particolarmente rilevante perch, a differenza delle altre, avr
grande successo. La figura riprodotta nella fig. 8 segna una vera e propria svolta: realizzata probabilmente nel I secolo a.C.
da un autore della Roma augustea, costituisce una ripresa del
tema dellAiace prostrato. Secondo lo storico dellarte G. Ortiz (1988, p. 45), in unepoca di grande incertezza politica, la
rappresentazione di un Aiace di questo tipo (prostrato e fermo)
poteva costituire un monito a non mettere alla prova lordine
sociale e a riflettere prima di agire. Il reperto, per come oggi ci
giunge, acuisce il senso di riflessione quasi contemplativa della rappresentazione. Aiace seduto con la testa poggiata sulla
mano destra. In origine la mano impugnava una spada, probabilmente di ferro, poi andata perduta. Il dato particolarmente
rilevante perch questo tipo di immagine ha avuto la sorte di
diventare, suo malgrado e a posteriori, il prototipo figurativo
del personaggio triste e meditabondo. La somiglianza tra la
statua e il ben pi noto Torso del Belvedere pare non sia casuale: Ortiz (1986) ha sostenuto con una certa autorevolezza che
il prototipo del pensatore occidentale raffiguri proprio Aiace
Telamonio. Liconografia di questa figura tragica e leggendaria testimonia un ripiegamento contemplativo stratificato ma
146

Il corpo di Aiace: iconografia di una introversione

spietato. Il legame con la melanconia indiretto (per ora non


si parla esplicitamente di un Aiace melanconico, come avverr
parecchi secoli dopo: cfr. ad es. fig. 9) ma non per questo meno
influente. Leroe delle azioni belliche omeriche, il protagonista
della tragedia sofoclea suicida ma ancora connotato dalla vivacit della mania e dello squilibro, diventa paradigma di un tipo
caratteriale differente, addirittura opposto: seduto e pensoso,
prigioniero dei suoi dubbi, ora leffige dellazione paralizzata e
del regresso infinito di pensieri ed emozioni umane. Aiace, sottolinea invece Sofocle, un sovvertitore dellordine costituito.
Nella sua requisitoria contro la sepoltura del suicida, Menelao
esplicito: dellordine politico soggezione [dos] la base, regolata caso per caso [kairion] (Aiace, v. 1084) e Aiace ha osato
mettere in discussione lautorit di chi comanda e ladeguatezza, il kairs, delle sue scelte. Da figura scomposta ma eversiva,
Aiace si prepara a fare da modello spento a unazione paralizzata, lontana dalla citt. La solitudine dellAiace di Sofocle, il suo
pascere solitario la mente (ivi, vv. 614-615. La traduzione di
Rocci, 1943, p. 1316) frutto dellisolamento di chi lo giudica
e lo condanna: diverr invece lesilio autoimposto di chi triste
e depresso (fig. 8). Da ribelle ad afflitto: ecco la storia di uniconografia di un eroe, lapparente destino di una passione tutta
da riscoprire nelle sue articolazioni pi profonde e innovative.

Fig. 2 Aiace si sporge sulla spada: due scarabei risalenti al V. sec. a.C., Londra,
British Museum e Boston, Museum of Fine Arts.

Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

147

Fig. 3 Aiace davanti la spada: anfora attica risalente al 540 a.C., Bologna,
Museo municipale.
Fig. 4 Aiace acrobatico: impugnatura in bronzo modellata sulla forma del
personaggio, 470-450 a.C., Basilea, Antikenmuseum.

148

Il corpo di Aiace: iconografia di una introversione

Fig. 5 Aiace si lancia sulla spada: scarabeo, inizio del IV sec. a.C.,
Parigi, Cabinet des Mdailles

Fig. 6 Aiace inginocchiato si getta sulla spada: cratere del gruppo Turmuca,
prima met del IV sec. a.C., Londra, British Museum.

Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

149

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Il corpo di Aiace: iconografia di una introversione

Fig. 7 Aiace prostrato: gemme in pasta di vetro, III/I sec. a.C., Monaco.
Fig. 8 Aiace, I sec. a.C. statua in bronzo, Basilea, Antikenmuseum
Fig. 9 Asmus Jakob Carstens, Der schwermtige Ajax mit Termessa und Eurysakes
(il melanconico Aiace con Tecmessa ed Eurisache), 1791

Melanconia e rivoluzione: antropologia di una passione perduta

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Finito di stampare nel marzo 2012


presso Puntoweb

via Variante di Cancelliera, snc - Ariccia RM

Printed in Italy

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